Denuncio al mondo ed ai posteri con i miei libri tutte le illegalità tacitate ed impunite compiute dai poteri forti (tutte le mafie). Lo faccio con professionalità, senza pregiudizi od ideologie. Per non essere tacciato di mitomania, pazzia, calunnia, diffamazione, partigianeria, o di scrivere Fake News, riporto, in contraddittorio, la Cronaca e la faccio diventare storia. Quella Storia che nessun editore vuol pubblicare. Quelli editori che ormai nessuno più legge.
Gli editori ed i distributori censori si avvalgono dell'accusa di plagio, per cessare il rapporto. Plagio mai sollevato da alcuno in sede penale o civile, ma tanto basta per loro per censurarmi.
I miei contenuti non sono propalazioni o convinzioni personali. Mi avvalgo solo di fonti autorevoli e credibili, le quali sono doverosamente citate.
Io sono un sociologo storico: racconto la contemporaneità ad i posteri, senza censura od omertà, per uso di critica o di discussione, per ricerca e studio personale o a scopo culturale o didattico. A norma dell'art. 70, comma 1 della Legge sul diritto d'autore: "Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l'utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali."
L’autore ha il diritto esclusivo di utilizzare economicamente l’opera in ogni forma e modo (art. 12 comma 2 Legge sul Diritto d’Autore). La legge stessa però fissa alcuni limiti al contenuto patrimoniale del diritto d’autore per esigenze di pubblica informazione, di libera discussione delle idee, di diffusione della cultura e di studio. Si tratta di limitazioni all’esercizio del diritto di autore, giustificate da un interesse generale che prevale sull’interesse personale dell’autore.
L'art. 10 della Convenzione di Unione di Berna (resa esecutiva con L. n. 399 del 1978) Atto di Parigi del 1971, ratificata o presa ad esempio dalla maggioranza degli ordinamenti internazionali, prevede il diritto di citazione con le seguenti regole: 1) Sono lecite le citazioni tratte da un'opera già resa lecitamente accessibile al pubblico, nonché le citazioni di articoli di giornali e riviste periodiche nella forma di rassegne di stampe, a condizione che dette citazioni siano fatte conformemente ai buoni usi e nella misura giustificata dallo scopo.
Ai sensi dell’art. 101 della legge 633/1941: La riproduzione di informazioni e notizie è lecita purché non sia effettuata con l’impiego di atti contrari agli usi onesti in materia giornalistica e purché se ne citi la fonte. Appare chiaro in quest'ipotesi che oltre alla violazione del diritto d'autore è apprezzabile un'ulteriore violazione e cioè quella della concorrenza (il cosiddetto parassitismo giornalistico). Quindi in questo caso non si fa concorrenza illecita al giornale e al testo ma anzi dà un valore aggiunto al brano originale inserito in un contesto più ampio di discussione e di critica.
Ed ancora: "La libertà ex art. 70 comma I, legge sul diritto di autore, di riassumere citare o anche riprodurre brani di opere, per scopi di critica, discussione o insegnamento è ammessa e si giustifica se l'opera di critica o didattica abbia finalità autonome e distinte da quelle dell'opera citata e perciò i frammenti riprodotti non creino neppure una potenziale concorrenza con i diritti di utilizzazione economica spettanti all'autore dell'opera parzialmente riprodotta" (Cassazione Civile 07/03/1997 nr. 2089).
Per questi motivi Dichiaro di essere l’esclusivo autore del libro in oggetto e di tutti i libri pubblicati sul mio portale e le opere citate ai sensi di legge contengono l’autore e la fonte. Ai sensi di legge non ho bisogno di autorizzazione alla pubblicazione essendo opere pubbliche.
Promuovo in video tutto il territorio nazionale ingiustamente maltrattato e censurato. Ascolto e Consiglio le vittime discriminate ed inascoltate. Ogni giorno da tutto il mondo sui miei siti istituzionali, sui miei blog d'informazione personali e sui miei canali video sono seguito ed apprezzato da centinaia di migliaia di navigatori web. Per quello che faccio, per quello che dico e per quello che scrivo i media mi censurano e le istituzioni mi perseguitano. Le letture e le visioni delle mie opere sono gratuite. Anche l'uso è gratuito, basta indicare la fonte. Nessuno mi sovvenziona per le spese che sostengo e mi impediscono di lavorare per potermi mantenere. Non vivo solo di aria: Sostienimi o mi faranno cessare e vinceranno loro.
Dr Antonio Giangrande
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ANNO 2021
FEMMINE E LGBTI
SECONDA PARTE
DI ANTONIO GIANGRANDE
L’ITALIA ALLO SPECCHIO
IL DNA DEGLI ITALIANI
L’APOTEOSI
DI UN POPOLO DIFETTATO
Questo saggio è un aggiornamento temporale, pluritematico e pluriterritoriale, riferito al 2021, consequenziale a quello del 2020. Gli argomenti ed i territori trattati nei saggi periodici sono completati ed approfonditi in centinaia di saggi analitici specificatamente dedicati e già pubblicati negli stessi canali in forma Book o E-book, con raccolta di materiale riferito al periodo antecedente. Opere oggetto di studio e fonti propedeutiche a tesi di laurea ed inchieste giornalistiche.
Si troveranno delle recensioni deliranti e degradanti di queste opere. Il mio intento non è soggiogare l'assenso parlando del nulla, ma dimostrare che siamo un popolo difettato. In questo modo è ovvio che l'offeso si ribelli con la denigrazione del palesato.
IL GOVERNO
UNA BALLATA PER L’ITALIA (di Antonio Giangrande). L’ITALIA CHE SIAMO.
UNA BALLATA PER AVETRANA (di Antonio Giangrande). L’AVETRANA CHE SIAMO.
PRESENTAZIONE DELL’AUTORE.
LA SOLITA INVASIONE BARBARICA SABAUDA.
LA SOLITA ITALIOPOLI.
SOLITA LADRONIA.
SOLITO GOVERNOPOLI. MALGOVERNO ESEMPIO DI MORALITA’.
SOLITA APPALTOPOLI.
SOLITA CONCORSOPOLI ED ESAMOPOLI. I CONCORSI ED ESAMI DI STATO TRUCCATI.
ESAME DI AVVOCATO. LOBBY FORENSE, ABILITAZIONE TRUCCATA.
SOLITO SPRECOPOLI.
SOLITA SPECULOPOLI. L’ITALIA DELLE SPECULAZIONI.
L’AMMINISTRAZIONE
SOLITO DISSERVIZIOPOLI. LA DITTATURA DEI BUROCRATI.
SOLITA UGUAGLIANZIOPOLI.
IL COGLIONAVIRUS.
L’ACCOGLIENZA
SOLITA ITALIA RAZZISTA.
SOLITI PROFUGHI E FOIBE.
SOLITO PROFUGOPOLI. VITTIME E CARNEFICI.
GLI STATISTI
IL SOLITO AFFAIRE ALDO MORO.
IL SOLITO GIULIO ANDREOTTI. IL DIVO RE.
SOLITA TANGENTOPOLI. DA CRAXI A BERLUSCONI. LE MANI SPORCHE DI MANI PULITE.
SOLITO BERLUSCONI. L'ITALIANO PER ANTONOMASIA.
IL SOLITO COMUNISTA BENITO MUSSOLINI.
I PARTITI
SOLITI 5 STELLE… CADENTI.
SOLITA LEGOPOLI. LA LEGA DA LEGARE.
SOLITI COMUNISTI. CHI LI CONOSCE LI EVITA.
IL SOLITO AMICO TERRORISTA.
1968 TRAGICA ILLUSIONE IDEOLOGICA.
LA GIUSTIZIA
SOLITO STEFANO CUCCHI & COMPANY.
LA SOLITA SARAH SCAZZI. IL DELITTO DI AVETRANA.
LA SOLITA YARA GAMBIRASIO. IL DELITTO DI BREMBATE.
SOLITO DELITTO DI PERUGIA.
SOLITA ABUSOPOLI.
SOLITA MALAGIUSTIZIOPOLI.
SOLITA GIUSTIZIOPOLI.
SOLITA MANETTOPOLI.
SOLITA IMPUNITOPOLI. L’ITALIA DELL’IMPUNITA’.
I SOLITI MISTERI ITALIANI.
BOLOGNA: UNA STRAGE PARTIGIANA.
LA MAFIOSITA’
SOLITA MAFIOPOLI.
SOLITE MAFIE IN ITALIA.
SOLITA MAFIA DELL’ANTIMAFIA.
SOLITO RIINA. LA COLPA DEI PADRI RICADE SUI FIGLI.
SOLITO CAPORALATO. IPOCRISIA E SPECULAZIONE.
LA SOLITA USUROPOLI E FALLIMENTOPOLI.
SOLITA CASTOPOLI.
LA SOLITA MASSONERIOPOLI.
CONTRO TUTTE LE MAFIE.
LA CULTURA ED I MEDIA
LA SCIENZA E’ UN’OPINIONE.
SOLITO CONTROLLO E MANIPOLAZIONE MENTALE.
SOLITA SCUOLOPOLI ED IGNORANTOPOLI.
SOLITA CULTUROPOLI. DISCULTURA ED OSCURANTISMO.
SOLITO MEDIOPOLI. CENSURA, DISINFORMAZIONE, OMERTA'.
LO SPETTACOLO E LO SPORT
SOLITO SPETTACOLOPOLI.
SOLITO SANREMO.
SOLITO SPORTOPOLI. LO SPORT COL TRUCCO.
LA SOCIETA’
AUSPICI, RICORDI ED ANNIVERSARI.
I MORTI FAMOSI.
ELISABETTA E LA CORTE DEGLI SCANDALI.
MEGLIO UN GIORNO DA LEONI O CENTO DA AGNELLI?
L’AMBIENTE
LA SOLITA AGROFRODOPOLI.
SOLITO ANIMALOPOLI.
IL SOLITO TERREMOTO E…
IL SOLITO AMBIENTOPOLI.
IL TERRITORIO
SOLITO TRENTINO ALTO ADIGE.
SOLITO FRIULI VENEZIA GIULIA.
SOLITA VENEZIA ED IL VENETO.
SOLITA MILANO E LA LOMBARDIA.
SOLITO TORINO ED IL PIEMONTE E LA VAL D’AOSTA.
SOLITA GENOVA E LA LIGURIA.
SOLITA BOLOGNA, PARMA ED EMILIA ROMAGNA.
SOLITA FIRENZE E LA TOSCANA.
SOLITA SIENA.
SOLITA SARDEGNA.
SOLITE MARCHE.
SOLITA PERUGIA E L’UMBRIA.
SOLITA ROMA ED IL LAZIO.
SOLITO ABRUZZO.
SOLITO MOLISE.
SOLITA NAPOLI E LA CAMPANIA.
SOLITA BARI.
SOLITA FOGGIA.
SOLITA TARANTO.
SOLITA BRINDISI.
SOLITA LECCE.
SOLITA POTENZA E LA BASILICATA.
SOLITA REGGIO E LA CALABRIA.
SOLITA PALERMO, MESSINA E LA SICILIA.
LE RELIGIONI
SOLITO GESU’ CONTRO MAOMETTO.
FEMMINE E LGBTI
SOLITO CHI COMANDA IL MONDO: FEMMINE E LGBTI.
FEMMINE E LGBTI.
INDICE PRIMA PARTE
SOLITO CHI COMANDA IL MONDO: FEMMINE E LGBTI. (Ho scritto un saggio dedicato)
Discriminazione di Genere.
La cura maschilista.
Comandano Loro.
Donne e Sport.
Le Dominatrici.
La Rivoluzione Sessuale.
La Verginità.
Il Gang Bang.
Il Cinema Femmina.
San Valentino.
Il Femminismo.
Le Quote rosa.
Le donne di sinistra che odiano le donne.
I Transessuali.
Gli Omosessuali.
Le Lesbiche.
Gli Agender - “Non Binari”.
Il DDL Zan: la storia di una Ipocrisia. Cioè: “una presa per il culo”.
A morte i Maschi.
A morte i Padri.
Revenge Porn. Dagli al Maschio.
L’Odore.
Il Sudore.
Il Pelo.
I Capelli.
L’occhio vuole la sua parte.
Il trucco.
Il Reggiseno.
Il Bikini.
Le Strafatte.
Parliamo del Culo.
Mai dire...Porno.
Mai dire...prostituzione.
Cornuti/e e mazziati/e.
Essere Single.
INDICE SECONDA PARTE
SOLITO CHI COMANDA IL MONDO: FEMMINE E LGBTI. (Ho scritto un saggio dedicato)
La Molestia.
Il Catcalling: la presunta molestia sulle donne.
Il Metoo.
Le Violenze di Genere: Maschicidi e femminicidi.
Il Delitto d'onore.
Lo Stupro.
Lo Stupro Emozionale.
Mai dire…Matrimonio.
Mai dire …Mamma.
Mai dire…Figli.
L’Aborto.
Il Figlicidio.
Le Feste: chi non lavora, non fa l’amore.
La cura chiamata Amore.
La Dieta del Sesso.
Il Sesso.
Dildo & Company: gli accessori del sesso.
La Virilità.
La Masturbazione.
Il Corteggiamento.
Durante il sesso.
Il Tradimento.
Il Priapismo: l’erezione involontaria.
Il Bacio.
Il Cunnilingus.
I Feticisti.
Durante la Menopausa.
L'Andropausa.
Il Sesso maturo.
Le Truffe Amorose.
FEMMINE E LGBTI
SECONDA PARTE
Il caso del procuratore di Firenze. Perché Creazzo è stato condannato, le domande a cui Csm e Anm dovrebbero rispondere. Paolo Comi su Il Riformista il 24 Dicembre 2021. «Ho l’impressione che la magistratura ed il suo organo di autogoverno debbano fare ancora tanta strada prima di acquisire una maggiore consapevolezza del valore della dignità della donna nell’ambiente di lavoro e dell’adeguatezza della relativa tutela», aveva detto il professore Mario Serio, difensore della pm antimafia Alessia Sinatra, molestata sessualmente dal procuratore di Firenze Giuseppe Creazzo a dicembre del 2015 nel corridoio di un albergo romano.
La Sezione disciplinare del Csm, al termine di un procedimento interamente a porte chiuse, aveva condannato Creazzo alla perdita di due mesi di anzianità per aver “leso la propria immagine e il prestigio della magistratura”, assolvendolo invece dall’aver violato “il dovere di correttezza ed equilibrio”, essendo la molestia “un fatto privato”. Anche la magistrata, però, era finita sotto disciplinare per “grave scorrettezza” nei riguardi del collega. La sua “colpa” era quella di aver definito “porco” Creazzo chattando nella primavera del 2019 con Luca Palamara, augurandosi poi che venisse bocciato nella corsa per diventare procuratore di Roma. La notizia della condanna di Creazzo era stata data solo dal Riformista e da pochissimi altri giornali. La grande stampa, infatti, aveva completamente ignorato l’accaduto. Essendo trascorsa una settimana dalla sentenza di condanna di Creazzo, pur non conoscendone le motivazioni, qualche domanda è d’obbligo.
1) Perché della vicenda non parla nessuno? 2) Perché gli scarni comunicati stampa hanno riportato solo le dichiarazioni di Creazzo che si professa innocente? 3) È stata avviata la procedura per il trasferimento di ufficio per incompatibilità ambientale del procuratore di Firenze da parte del Csm? 4) L’Associazione nazionale magistrati e l’Associazione donne magistrato, particolarmente sensibili alle violazioni dei diritti delle colleghe afghane da parte dei talebani, perché non hanno espresso solidarietà alla pm siciliana? 5) Perché il Csm ha sentito l’esigenza di spiegare in un comunicato stampa che l’episodio andava considerato un “fatto privato” fra colleghi? 6) Come mai il Csm, visto che si trattava di un “fatto privato”, non ha punito Creazzo, contraddicendo una consolidata giurisprudenza della Cassazione che pretende sempre la correttezza dei magistrati anche quando non indossano la toga? 7) Perché è stato deciso prima il procedimento nei confronti di Creazzo e non quello nei confronti della pm? 8) Può lo stesso Collegio disciplinare giudicare i due procedimenti basati sugli stessi fatti? 9) In base a quali criteri è stato composto questo Collegio, presieduto direttamente dal vice presidente del Csm David Ermini, e perché era presente una sola donna sui sei componenti? 10) In passato, in procedimenti disciplinari per molestie o violenze sessuali che sanzioni ha applicato il Csm?
Sarebbe importante se qualcuno da Palazzo dei Marescialli, la “casa di vetro” della magistratura, fornisse dei chiarimenti a queste domande. Conoscendo però l’ambiente di piazza Indipendenza si può essere certi che i quesiti rimarranno senza alcuna risposta. L’auspicio è che cali quanto prima l’oblio su questa vicenda. E che anche i pochi giornali che hanno dato la notizia si stanchino di raccontarla, accodandosi a tutti gli altri che hanno deciso di censurarla. Nascondendo i fatti non aumenta certo la fiducia dei cittadini nella magistratura, da tempo in caduta verticale (non per colpa delle trame di Palamara). Paolo Comi
(ANSA il 17 Dicembre 2021) - Perdita di due mesi di anzianità: è la sanzione che la Sezione disciplinare del Csm ha inflitto al procuratore di Firenze Giuseppe Creazzo, accusato da una collega, la pm di Palermo Alessia Sinatra, di averla molestata sessualmente nel 2015 in un hotel della capitale dove era in corso un'iniziativa della loro corrente, Unicost. Il procuratore è stato invece assolto da una seconda accusa: quella di aver violato con questo comportamento i doveri di correttezza propri di un magistrato nei confronti della collega. Il tribunale delle toghe ha escluso l'addebito, ritenendo - a quanto si è appreso- che la vicenda si possa circoscrivere a un evento tra privati. "Si tratta di una sentenza ingiusta perché sono innocente, è una decisione conforme alla condanna mediatica che avevo già subito allo scoppiare della notizia. Farò ricorso per Cassazione, dove confido che potrò avere finalmente giustizia". Così il procuratore capo di Firenze Giuseppe Creazzo, dopo la decisione della sezione disciplinare del Csm che lo ha sanzionato con una perdita di due mesi di anzianità nell'ambito del procedimento che lo vedeva accusato da una collega, la pm di Palermo Alessia Sinatra, di averlo molestato sessualmente nel 2015 in un hotel romano. "Indipendentemente dal giudizio (che non spetta a noi) sulla pronuncia della Sezione disciplinare, e sulla congruità della sanzione inflitta con riguardo alla levatura del bene tutelato, in un procedimento soggettivamente autonomo ma obiettivamente e storicamente connesso a quello della magistrata Alessia Sinatra, resta forte e grave l'impressione che la Magistratura italiana e il suo organo di governo debbano proseguire ancora a lungo nella strada dell'acquisizione di una maggior consapevolezza del valore della dignità della donna nell'ambiente di lavoro giudiziario e dell'adeguatezza della relativa tutela". E' il commento del professor Mario Serio, difensore di Sinatra nel procedimento disciplinare a suo carico, dopo la sanzione disciplinare inflitta al procuratore Giuseppe Creazzo.
Sanzione disciplinare al procuratore Creazzo. Lui: “Sentenza ingiusta, sono innocente”. Il Dubbio il 17 dicembre 2021. Perdita di anzianità di due mesi: è questa la sanzione stabilita dal tribunale delle toghe per il procuratore di Firenze, accusato di aver molestato una collega nel 2015. Perdita di anzianità di due mesi: questa la sanzione decisa dalla sezione disciplinare del Csm nei confronti del procuratore capo di Firenze, Giuseppe Creazzo, nell’ambito del procedimento aperto davanti al “tribunale delle toghe” per le avances alla pm di Palermo Alessia Sinatra in un hotel della Capitale nel 2015. Il procedimento disciplinare – che aveva preso il via lo scorso maggio e che si è svolto interamente a porte chiuse – si è concluso ieri sera: la sanzione disciplinare è stata disposta relativamente al capo di incolpazione inerente le avances – che non sono state oggetto di azione penale per mancanza di querela della persona offesa -mentre riguardo la seconda incolpazione – anche questa mossa al capo dei pm di Firenze dalla procura generale della Cassazione, titolare dell’azione disciplinare – inerente la «violazione del dovere di correttezza e di equilibrio» con il «comportamento gravemente scorretto» nei confronti della collega, la disciplinare ha escluso l’addebito, ritenendolo quale un fatto avvenuto “tra privati”, ed assolto Creazzo. Che dopo la decisione del Csm commenta: «Si tratta di una sentenza ingiusta perché sono innocente. È una decisione conforme alla condanna mediatica che avevo già subito allo scoppiare della notizia. Farò ricorso per Cassazione, dove confido che potrò avere finalmente giustizia»
Buffetto del Csm al pm molestatore. Luca Fazzo il 18 Dicembre 2021 su Il Giornale. Sanzione simbolica a Creazzo che palpeggià una collega. Infuria la polemica. E adesso chi glielo dice al tifoso fiorentino che per la palpata in diretta a una giornalista è finito giustamente sotto pubblico ludibrio e incriminato per violenza carnale? Come gli spiegheranno che il capo della Procura che indaga contro di lui ha anch' egli toccato senza preavviso e senza consenso il sedere di una donna, e che per questo il Consiglio superiore della magistratura lo ha punito con un buffetto quasi ridicolo, e continuerà tranquillamente a restare al suo posto di procuratore, perché in fondo quella smanacciata è una faccenda privata tra lui e la collega? Le cose, purtroppo, stanno esattamente così. Ieri il Csm chiude il procedimento disciplinare a carico di Giuseppe Creazzo, capo della Procura fiorentina, accusato da Alessia Sinatra, giovane e tosta pm palermitana, di avere allungato pesantemente le mani su di lei, quando si trovarono da soli nell'ascensore di un hotel romano. Il Csm apparentemente aveva due strade davanti a sé: assolvere Creazzo per mancanza di prove, visto che nessun altro aveva assistito alla scena, e quindi alla fine contro di lui c'era solo la parola della Sinatra; o punirlo con una pena esemplare, dimostrando che la gravità di certi comportamenti è identica, e semmai più grave, se a metterli in atto è un magistrato. Invece la sezione disciplinare del Csm sceglie una terza strada; ritiene provate le accuse contro Creazzo, ma lo punisce solo con una pena simbolica, due mesi di perdita di anzianità; e lo assolve dalla seconda accusa, quella di aver violato con questo comportamento i «doveri di correttezza propri di un magistrato». Secondo il Csm, i due non erano nell'esercizio delle loro funzioni, ma privati cittadini: nonostante, va ricordato, stessero rientrando in albergo da una riunione del direttivo centrale dell'Associazione nazionale magistrati. Erano magistrati o non erano magistrati? Boh. Per Creazzo l'inciampo si chiude qui, continuerà a guidare la Procura di Firenze, reati sessuali compresi. Conseguenze penali per la violenza alla Sinatra non ne ha mai rischiate, per il semplice motivo che la pm palermitana non lo ha mai denunciato: una scelta, ha spiegato a suo tempo la Sinatra, «sofferta e complessa»: «ci ho pensato a lungo, alla fine ha prevalso la scelta di non danneggiare l'istituzione cui appartengo e in cui credo». Il problema è che mentre Creazzo esce pressoché incolume dalla vicenda, ad andarci di mezzo rischia di essere proprio la sua vittima, Alessia Sinatra, che è finita anche lei sotto procedimento disciplinare, e che il prossimo 14 gennaio è attesa dalla sentenza del Csm. La sua colpa? Essersi sfogata chattando con Luca Palamara, allora leader della sua corrente, Unicost: e avere definito Creazzo «essere immondo e schifoso». Certo, ci si può augurare che il Csm dopo avere condannato il molestatore si senta ora in dovere di assolvere la sua vittima. Ma resta il fatto che la decisione di incriminarla per quello sfogo era stata vissuta assai male dalla Sinatra, che disse senza giri di parole di sentirsi «violentata un'altra volta». E resta anche il fatto che se non fosse stato per le chat di Palamara, di questa storia non si sarebbe mai saputo nulla: come di tante altre vicende che restano a girare sottovoce, nei corridoi delle procure e del Csm, senza che nessuno decida di portarle alla luce.
Luca Fazzo (Milano, 1959) si occupa di cronaca giudiziaria dalla fine degli anni Ottanta. È al Giornale dal 2007. Su Twitter è Fazzus.
La sanzione: persi due mesi di anzianità. Il caso Creazzo, il magistrato ‘punito’ con un buffetto dopo le molestie alla collega Sinatra. Paolo Comi su Il Riformista il 19 Dicembre 2021. Sanzione della perdita di due mesi di anzianità. Per chi non seguisse le vicende che riguardano la magistratura potrebbe sembrare una condanna irrisoria. Ed invece, considerati i precedenti su casi analoghi, è una sanzione molto pesante che può segnare la fine della carriera del procuratore di Firenze Giuseppe Creazzo. La sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura lo ha ritenuto ieri colpevole di aver molestato sessualmente la pm dell’antimafia di Palermo Alessia Sinatra. L’episodio sarebbe accaduto alla fine di dicembre del 2015 in un albergo romano dove i due magistrati alloggiavano dopo aver partecipato a un convegno organizzato da Unicost, il gruppo di cui all’epoca Luca Palamara era il ras indiscusso. La magistrata non aveva mai denunciato la violenza subita. «Mi sembra tutto molto surreale, kafkiano direi. In questa storia sono sia vittima che colpevole: era meglio se non fossi stata creduta», disse in una intervista al Riformista la pm siciliana che fino a quel momento si era occupata di fasce deboli. «Dopo quello che è successo non riesco a occuparmi più di vittime di reati sessuali. Non sono più andata ai convegni, nelle scuole, io che avevo sempre incoraggiato le vittime di questi reati a fare denuncia», aggiunse la magistrata. Il procedimento disciplinare nei confronti di Creazzo, e inizialmente anche di Sinatra, aveva avuto una genesi molto particolare: le chat di Palamara. Quando esplose il Palamaragate, i pm di Perugia decisero di sequestrare il cellulare dell’ex zar delle nomine. Fra le migliaia e migliaia di messaggi che Palamara scambiava con i colleghi, spuntarono anche quelli con la magistrata. A differenza di tutti gli altri, però, la pm antimafia non chiedeva posti o incarichi ma cercava conforto. Il primo messaggio che balzò agli occhi degli inquirenti era dal contenuto inequivocabile: «Giurami che il porco cade subito». È il 23 maggio del 2019, la vigilia della nomina in Commissione del nuovo procuratore di Roma, e Creazzo è in pole per succedere a Giuseppe Pignatone. «Non mi dire che Creazzo ci crede?», scrive Sinatra a Palamara, «sono pronta a tutto e lo sai». «Io insieme a te. Sempre…», risponde Palamara. «Ma con te il porco ha parlato?», prosegue Sinatra. E Palamara: «Assolutamente no». «Porco mille volte», risponde la magistrata. E poi: «Sono inorridita. Sento kazzate su valori e principi fondanti ed elevatissimi. E su queste basi il gruppo per il quale io mi sono spesa stando nell’angolo, farà di tutto per mettere sulla poltrona di Roma un essere immondo e schifoso». «Io sono disposta a tutto», conclude Sinatra. I messaggi vennero trasmessi alla Procura generale della Cassazione che avviò gli accertamenti. Solo a quel punto si scoprì il segreto che la magistrata aveva rivelato a pochissimi amici, fra cui Palamara.
Quest’ultimo, da abile mediatore, gestiva lo sfogo di Sinatra e le richieste di Creazzo, con cui era in ottimi rapporti.
A settembre del 2017 Palamara scrive: «Caro Peppe se capiti a Roma in questi giorni ci prendiamo caffè?».
«Carissimo – gli risponde Creazzo – non ho in programma di venire almeno nelle prossime due settimane, se tuttavia ritieni posso venire a prescindere da altri impegni dimmi tu». «Non preoccuparti – lo rassicura Palamara – volevo fare il punto su alcune questioni ci sentiamo anche telefonicamente domani un abbraccio». Seguiranno messaggi per il posto di aggiunto a Firenze. Scrive Creazzo: «Carissimo Luca ho incontrato Cosimo Ferri che mi ha espressamente chiesto chi preferisco per il terzo aggiunto fra i due di Mi. Se la scelta si riduce a questa ristrettissima rosa secondo me Dominianni (pm di Mi, ndr) è meglio per profilo e attitudini e per la circostanza, che ritengo ancor più decisiva, che non appartiene già a questo ufficio al contrario dell’altro e dunque porterebbe un rinnovamento, cosa sempre positiva. Questo è il mio pensiero, per quel che vale, nell’ovvio rispetto di ogni decisione che verrete a prendere».
«Si tratta di una sentenza ingiusta, sono innocente. È una decisione conforme alla condanna mediatica che avevo già subito allo scoppiare della notizia», è stato il commento di Creazzo alla lettura della sentenza. Il provvedimento del Csm arriva in un momento delicato per la Procura di Firenze che sta conducendo molte indagini complesse: da quelle sulla Fondazione Open di Matteo Renzi, condotte dal procuratore aggiunto Luca Turco e dal pm Antonino Nastasi, noto alle cronache anche per il caso David Rossi, a quelle sulla fuga di notizie che ha caratterizzato l’indagine di Perugia a carico di Palamara. Ma a parte le indagini di grande risonanza, come potrà Creazzo, che ha presentato domanda per il posto di procuratore nazionale antimafia, coordinare o condurre personalmente i procedimenti per i reati di violenza sessuale dopo questa sentenza del Csm? Paolo Comi
Nasce la nuova giurisprudenza. Il procuratore Creazzo molestò una collega, ma per il Csm sono cose private: lievissima sanzione, “so’ cose da ragazzi…” Piero Sansonetti su Il Riformista il 18 Dicembre 2021. La commissione disciplinare del Csm ha esaminato le accuse rivolte da una magistrata di Palermo al procuratore di Firenze Giuseppe Creazzo. Le accuse erano parecchio pesanti. Diciamo molestie sessuali, ma forse anche qualcosa di più. La legge mi pare che in questi casi dica che si tratta di vera e propria violenza sessuale. La magistrata siciliana, secondo la sua ricostruzione, fu nella sostanza aggredita dal dottor Creazzo. Nell’atto di incolpazione c’è scritto che Creazzo tentò di baciarla sulla bocca, armeggiò con la lingua, le mise le mani sul seno sinistro e sul sedere. Lei si difese e resistette. Lo scacciò, e non sporse denuncia penale. Naturalmente bisogna vedere se è vero tutto questo, visto che i procuratori della Repubblica hanno gli stessi diritti di difesa di uno scippatore di periferia. E il garantismo vale per loro come per tutti. Creazzo ancora ieri si è dichiarato innocente. Se fosse innocente sarebbero gravi le accuse contro di lui. Vedremo in Cassazione. La commissione disciplinare del Csm però (riunita in camera di consiglio e presieduta da David Ermini, vicepresidente del Consiglio superiore) ha preso la più folle delle decisioni che essere umano (o, peggio, gruppo di esseri umani) possa prendere: ha stabilito che le accuse della magistrata di Palermo sono vere, e ha condannato Creazzo a perdere due mesi di anzianità. Si, ragazzi, è inutile che ridiate: è così. Due mesi. Quando andrà in pensione, il dottor Creazzo, invece di avere, poniamo, una anzianità di 480 mesi, dovrà accontentarsi di una anzianità di 478 mesi. La perdita di retribuzione sarà dello 0,4 per cento. Nessuna pena accessoria, la conferma a procuratore di Firenze e l’assoluzione dalla seconda accusa: quella di avere violato (quando ha aggredito la collega) i doveri di correttezza propri di un magistrato. La commissione disciplinare del Csm ha escluso questo addebito, ritenendo (riferisce l’Ansa) che la vicenda possa “circoscriversi a evento tra privati”. Nasce una nuova giurisprudenza. Preottocentesca. Io non riesco a commentare. Le mani tremano (di incredulità, di sbigottimento, di rabbia…). Cioè è successo questo ieri, se ho ben capito: il massimo organismo di governo della magistratura italiana ha stabilito che quando un maschio aggredisce sessualmente una donna e le reca violenza, questo atto rientra nei rapporti privati tra loro. È giusto rimproverare il magistrato per il disagio che ha creato col suo comportamento, e per la sua evidente maleducazione, e concretizzare questo rimprovero con una pena simbolica, ma niente di più. Cerchiamo di riprenderci dallo stupore e di ragionare. Creazzo resta magistrato. Il Csm ha stabilito che l’autore di una violenza sessuale può fare il magistrato. Creazzo non subisce nessuna limitazione di carriera. Creazzo resta Procuratore di Firenze, cioè capo dei pubblici ministeri del capoluogo toscano che – oltretutto – in questi mesi hanno per le mani processi importantissimi. Mi chiedo: come potrà mai la Procura di Firenze, da questo momento, indagare su denunce per molestie sessuali o tentativi di aggressione sessuale? Qualunque imputato potrà difendersi spiegando che la questione che lo riguarda è una questione privata. Ma mi chiedo anche quale autorità morale potrà esercitare il procuratore di Firenze sui suoi sostituti, e i suoi sostituti, a loro volta, sulla cittadinanza. Quale opinione potrà avere, Firenze, della sua magistratura? Poi c’è un secondo ragionamento da fare. Io non ho una grande opinione – come ho scritto ieri proprio su questo giornale – dell’Ordine dei giornalisti, ma nemmeno di quello degli architetti, degli ingegneri, dei notai. E tuttavia penso che se una cosa del genere fosse avvenuta ad un architetto, o a un ingegnere, o a un notaio – o a maggior, maggior ragione a un avvocato o a un medico – gli Ordini rispettivi si sarebbero comportati in maniera assai più rigorosa. Perché? Per un motivo semplicissimo: nella società italiana, anche nei piani alti del potere e dell’establishment, nessuno si considera onnipotente. E nessuno pretende il diritto all’impunità. I magistrati si. Si sentono onnipotenti, si sentono casta, difendono coi denti il loro diritto ad essere casta e ad essere l’unica casta. Di essere superiori alla società. Difendono i loro cuccioli dirazzati, li proteggono. Perché anche i cuccioli dirazzati fanno parte dell’incastro del loro potere. E nessuno, mai nessuno, da fuori, deve scalfire quel potere. Altrimenti – gridano – cade l’indipendenza della magistratura. Se nessuno avrà la forza, e l’audacia, e il coraggio di mettere le mani in questa follia, il potere della magistratura crescerà ancora. Diventerà puro arbitrio. Ci siamo vicini.
Piero Sansonetti. Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.
Il silenzio dei MeToo sul pm molestatore. Francesco Maria Del Vigo il 18 Dicembre 2021 su Il Giornale. Esiste un Paese a due velocità: quello di chi fa parte della casta della giustizia e quello dei comuni mortali. Al primo Paese è concesso tutto, proprio tutto: anche molestare una collega e venire condannato alla perdita di due mesi di anzianità. Reato per il quale un cittadino normale - in presenza di una denuncia - rischia anni di reclusione. Ma, al netto della stragrande maggioranza di giudici e pm per bene, toga non morde toga. La storia: Giuseppe Creazzo, capo della procura di Firenze - che tra le altre cose sta indagando su Matteo Renzi e il caso Open, quindi fascicoli politicamente rilevanti - nel 2015 fa delle avances alla collega Alessia Sinatra in un hotel di Roma. Lei non denuncia i fatti, ma se ne lamenta al telefono e il suo sfogo finisce nelle intercettazioni dell'ex numero uno dell'Anm, Luca Palamara. A questo punto la questione diventa pubblica e, obtorto collo, non si può più fare finta di nulla. Così ieri il Csm punisce Creazzo con la perdita di due mesi di anzianità. Una condanna - si fa per dire -, ridicola e offensiva nei confronti della vittima e di tutte le donne. In un Paese nel quale per dieci giorni l'attenzione pubblica è stata monopolizzata dalla scellerata pacca di un tifoso (che verrà processato per molestie sessuali proprio dalla procura di Firenze, quindi da Creazzo) a una giornalista in diretta tv, nessuno batte un ciglio se un uomo dello Stato molesta una sua collega. Ma oltre al danno, c'è la beffa. Che fine hanno fatto le paladine del #Metoo? Dov'è andata a nascondersi l'onda di solidarietà rosa che solitamente abbraccia chi è vittima di avances non gradite? Perché il mondo femminista non apre un lungo e fecondo dibattito sulla condizione della donna nella magistratura che, a giudicare da questi fatti, è ancora ferma ai tempi delle caverne? Attendiamo le solite - e giuste - prese di posizione indignate.
Francesco Maria Del Vigo è nato a La Spezia nel 1981, ha studiato a Parma e dal 2006 abita a Milano. E' vicedirettore del Giornale. In passato è stato responsabile del Giornale.it. Un libro su Grillo e uno sulla Lega di Matteo Salvini. Cura il blog Pensieri Spettinati.
Il silenzio della stampa. Molestie di Creazzo, i giornali censurano la notizia per ordine del partito delle Procure. Piero Sansonetti su Il Riformista il 21 Dicembre 2021. Il Csm – come voi sapete e pochi altri sanno, tra poco vedremo perché – ha riconosciuto il Procuratore di Firenze colpevole di violenza sessuale verso una sua collega. Il Csm ha inflitto al Procuratore di Firenze, per questa (diciamo così) malefatta, una pena che consiste in due mesi di perdita di anzianità. Il relatore nella sezione disciplinare che doveva giudicare e punire era Giuseppe Cascini, Torquemada contro i reati della pubblica amministrazione (tipo l’imperdonabile traffico di influenze). Il Presidente era David Ermini, cioè il capo del Csm. Il Csm ha dichiarato anche che l’aggressione del Procuratore di Firenze nei confronti di una sua collega è da considerare un “fatto privato”. Bene, non so se avete mai frequentato una scuola di giornalismo. Anche se non l’avete frequentata, capite bene che questa è una notizia clamorosa, se vera. Naturalmente aspettiamo la Cassazione prima di dare per certa la colpevolezza del Procuratore di Firenze. Però sappiamo per certo che il Csm ha giudicato “un fatto privato” l’incontro violento tra il Procuratore e la magistrata che avrebbe subito violenza sessuale. E di conseguenza il Csm ha stabilito che non era necessario nessun intervento sulla carriera del Procuratore, né tantomeno la sua rimozione, ma solo – così, proprio per non fare figuracce – la pena minima ipotizzabile. Questa dei due mesi tagliati via da una pensione che sarà ridotta circa del 0,4 per cento. Tutti i grandi giornali hanno considerato questa notizia una notizia da pagina 32, piccola piccola, infondo alla pagina (parlo del Corriere della Sera). Più o meno come si dà la notizia di un modesto furto in un supermercato, o di un ingorgo, o qualcosa del genere. L’esempio del Corriere è stato seguito dagli altri grandi giornali, Repubblica, il Messaggero, La Stampa.
Io però conosco i miei colleghi. Sanno fare il loro lavoro, almeno i più anziani lo sanno fare, lo hanno fatto per tanti anni e bene. A nessuno di loro può venire neppure in mente che quella notizia non fosse una clamorosa notizia da prima pagina. Sia per l’enormità del fatto che coinvolge un Procuratore della repubblica, cioè una delle massime autorità del paese (che, tra l’altro, sta indagando su Renzi e Berlusconi) sia per l’ignominia di un Csm che definisce “fatto personale” una molestia o una violenza sessuale, cosa che non avrebbe fatto neppure un pretore di campagna degli inizi del secolo scorso. Del resto il silenzio non ha riguardato solo la stampa: la politica ha fatto altrettanto. E allora, tutto questo come si spiega? In un solo modo: con la consapevolezza che oggi il sistema delle Procure, che purtroppo comprende anche il Csm, dispone di un controllo ferreo e inaggirabile sulla politica e sull’informazione. I grandi giornali sono tenuti ad obbedire, e obbediscono, come sotto giuramento. Mai un piccolo gesto di ribellione. Se Procuratore, o Csm comanda, giornalista obbedisce. Naturalmente non c’è nessuna possibilità, in queste condizioni, di parlare di libertà di informazione. La libertà d’informazione, in Italia, esiste su molti piani. Ma esclude la possibilità di critica al potere più grande. Cioè al potere giudiziario. Chi ha voglia di contrastare questa tendenza totalitaria – come noi, per esempio – deve convincersi che dovrà farlo più o meno dalla clandestinità, come facevano i nostri nonni che si opponevano al Minculpop.
Piero Sansonetti. Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.
Il caso del procuratore di Firenze. Csm femminista con le afghane, talebano con le italiane: le molestie di Creazzo “un fatto privato…”. Paolo Comi su Il Riformista il 21 Dicembre 2021. Lo scorso mese di agosto il Consiglio superiore della magistratura, all’indomani della presa di Kabul da parte dei terribili talebani, diramò un comunicato-appello dai toni drammatici. «Considerata – scrissero a Palazzo dei Marescialli – la condizione di criticità nella quale attualmente versa, in quel Paese, la garanzia della integrità dei diritti fondamentali, avuto particolarmente riguardo la condizione delle donne e dei minori» e «tenuto conto di quanto dettato dalla Convenzione per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne alla quale ha aderito anche l’Afghanistan», «tutte le Istituzioni interne ed internazionali si attivino per quanto di rispettiva competenza al fine di garantire il rispetto dei diritti umani in quel Paese». È urgente, aggiunsero i consiglieri del Csm, «promuovere ogni azione necessaria o utile allo scopo» e bisogna vigilare «sulla effettiva efficacia di ogni intervento a tal fine diretto».
Dopo aver quindi manifestato «piena solidarietà alle donne afghane e in particolare alle donne magistrato», i componenti dell’organo di autogoverno delle toghe espressero «la più viva preoccupazione per l’evoluzione della situazione in Afghanistan auspicando che tutte le Istituzioni interne ed internazionali si attivino per quanto di rispettiva competenza al fine di garantire il rispetto dei diritti umani in quel Paese». La settimana scorsa, invece, sempre gli stessi componenti del Csm, per la precisione quelli della Sezione disciplinare, comminavano la sanzione della perdita di soli due mesi di anzianità al procuratore di Firenze Giuseppe Creazzo, reo di aver molestato sessualmente in un corridoio di un albergo romano, la collega Alessia Sinatra, pm alla Dda di Palermo.
Nella sentenza alcuni dei capi di incolpazione inizialmente a carico di Creazzo erano stati peraltro esclusi dal momento che “la vicenda si poteva ascrivere a un evento fra privati”. In attesa, comunque, di conoscere nel dettaglio le motivazioni di questa sentenza, relatore è il togato progressista Giuseppe Cascini, già procuratore aggiunto a Roma, è già possibile fare qualche considerazione. Ad esempio sulla composizione del collegio giudicante. Presieduto dal vice presidente del Csm David Ermini, su sei componenti cinque erano uomini.
Sarebbe interessante capire perché si sia deciso di comporre un collegio di soli uomini. Infatti, oltre alla togata Paola Maria Braggion che ha fatto compagnia ai cinque, al Csm ci sono altre magistrate. Per la precisione cinque. In ipotesi, dunque il collegio che ha giudicato Creazzo poteva essere composto di sole esponenti del gentil sesso. Ma a parte ciò, vale la pena di ricordare che in questi giorni la pm Sinatra non ha ricevuto la solidarietà dei colleghi. Anzi. Nei suoi confronti sono stati aperti due procedimenti: uno davanti ai probiviri dell’Associazione nazionale magistrati, ed uno davanti alla stessa sezione disciplinare del Csm che ha sanzionato Creazzo. Il motivo è riconducibile alle sue chat con Luca Palamara. Avendo detto che Creazzo era un “porco” e che doveva essere segato quanto prima nella corsa per la Procura di Roma, la magistrata avrebbe commesso una grave “scorrettezza”.
Secondo la Procura generale della Cassazione di questo Paese, lo sfogo di una donna magistrato che ha subito pesanti avances sessuali è passibile di sanzione disciplinare. La magistrata attende il verdetto nei suoi confronti il prossimo 14 gennaio. Ad assistere la pm antimafia è il professore siciliano Mario Serio, già componente laico del Csm. Sarebbe sorprendente se dopo la pronuncia “soft” nei confronti di Creazzo, pur a fronte della gravità del fatto (il procuratore di Firenze, da quanto si è potuto sapere, avrebbe palpeggiato le parti intime della magistrata), la dottoressa Sinatra venisse a sua volta sanzionata. Per il Csm, ed è il dato di fondo, è molto più grave se un magistrato chatta con Palamara che se molesta sessualmente una collega. Forse Sergio Mattarella, che è anche presidente del Csm, non ha tutti i torti quando parla della necessità di una “rigenerazione etica” in magistratura. Paolo Comi
«Molestie nello sport, la maggior parte dei casi resta nel silenzio». Chiara Sgreccia su L'Espresso il 21 dicembre 2021. Secondo Daniela Simonetti, presidente dell’organizzazione Il cavallo Rosa, lo sport è uno degli ambiti professionali in cui le donne sono più riluttanti nel denunciare le violenze perché vigono comportamenti di tipo omertoso. Anche le storie arrivate a #lavoromolesto mostrano la necessità di invertire la tendenza. Fabiola aveva 21 anni quando ha iniziato il tirocinio in un piccolo centro riabilitativo, nel modenese. Seguiva i pazienti durante le terapie in piscina, insieme al responsabile che, più o meno, aveva il doppio della sua età. «Usciamo stasera? Ti porto in un posto carino» chiedeva lui insistentemente, alla fine di quasi ogni turno. «Un giorno come tanti, dopo aver ricevuto l’ennesimo rifiuto, lui prende e mi tira una pacca sul sedere. Davanti a tutti i pazienti che sono rimasti lì a guardare. Nessuno ha detto niente, nemmeno io. Ero pietrificata ma sono morta dentro». Fabiola non ha mai più parlato dell’accaduto, dimenticato per non invalidare il tirocinio e perdere i crediti che le servivano per laurearsi. Un episodio simile ha segnato anche il suo secondo stage curriculare, l’anno successivo all’interno di una palestra. «Lo sport è uno degli ambiti professionali in cui le molestie finiscono troppo spesso nel silenzio» spiega Daniela Simonetti, presidente di Il Cavallo Rosa/ChangeTheGame, un’organizzazione di volontariato nata nel 2018, impegnata a proteggere atlete e atleti da violenze e abusi sessuali, emotivi e fisici. «Mentre, per fortuna, nella società civile si sta creando una coscienza solida che condanna gli autori delle violenze e spinge più donne a denunciare, nello sport la situazione in Italia è rimasta bloccata a oltre cinquant’anni fa. Le regole sono vecchie, il linguaggio cristallizzato, sussistono comportamenti di tipo omertoso che pongono denunciante e denunciato sullo stesso piano, e tante hanno timore di raccontare le molestie subite, per paura di essere costrette a interrompere la carriera. Questo vale soprattutto per le atlete ma anche per le operatrici del settore».
Un’indagine realizzata da DAZN in collaborazione con l’istituto di ricerca Blogmeter, resa pubblica lo scorso novembre, in occasione della Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne, ha mostrato come le differenze di genere siano discriminanti anche per le atlete e gli atleti più conosciuti. Dall’analisi delle conversazioni sul web e dei commenti ai post, circa 570 mila messaggi complessivi, tra il 2019 e il 2020, di una calciatrice, una pallavolista, una nuotatrice e un calciatore, un tennista e un pallavolista, è emerso che mediamente l’11 per cento dei commenti ai contenuti diffusi da atlete donne sono molesti. Percentuale che sale al 22 per cento, un commento su cinque, se il contenuto postato dall’atleta (donna) è un selfie, come un momento leggero e non legato allo sport. Per gli uomini, invece, i commenti volgari o offensivi costituiscono circa il 6 per cento del totale. A cui si deve aggiungere un altro 4 per cento di insulti rivolti ai familiari o alle persone care che fanno parte delle vite dei protagonisti, che di frequente sono donne, come madri, mogli, o fidanzate.
«Deve essere previsto un pacchetto di norme per tutelare le atlete che desiderano denunciare. - conclude Simonetti - In Italia i regolamenti delle federazioni sportive non prevedono esplicitamente di punire l’illecito di violenza sessuale o di abuso di minori. Quindi non c’è sanzione. È necessario fare formazione capillare e determinare un cambio culturale e normativo netto. Dopo l’indignazione è arrivato il momento di passare ai fatti».
Anche le forze dell’ordine non hanno preso seriamente la querela della ragazza. Foto di peni in chat, storia di Flavia e della sua denuncia impossibile: “Mi hanno riso tutti in faccia ma anche questa è violenza”. Rossella Grasso su Il Riformista l'1 Dicembre 2021. Pochi giorni sono passati dalla giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Panchine e scarpe rosse, lunghi monologhi, appelli e racconti di violenza fisica fino ai femminicidi: il 25 novembre è l’occasione per passare in rassegna tutto questo. Simboli forti, importanti, ma ci sono anche altre violenze sotto gli occhi di tutti e che purtroppo si ripetono tutti i giorni come se fosse una cosa “normale”. Una di queste è inviare la foto del pene in chat a donne sconosciute. Poche possono dire di non averne mai ricevuta una. Ed è questo che è successo anche a Flavia, 34enne napoletana, con la passione per il racconto sui social. Flavia in un pomeriggio qualunque ha ricevuto un messaggio privato su Instagram. Spesso i follower le chiedono consigli in privato e lei è ben lieta di rispondere. Così ha aperto il messaggio arrivato da un contatto sconosciuto e si è trovata davanti la testa rossa di un glande. Sotto il numero di telefono e frasi oscene. Il tutto ovviamente non richiesto. Disgustata per l’accaduto ha telefonato alla Polizia Postale per chiedere come fare a denunciare l’accaduto che è a tutti gli effetti una molestia sessuale proprio per via del carattere indesiderato e non richiesto. Il consenso è fondamentale, non solo nelle relazioni quotidiane, ma anche negli spazi digitali e il fatto che queste foto ricadano nella categoria del “non richiesto” le qualifica assolutamente come violenza. “Sono rimasta molto sorpresa quando la centralinista, una donna, mi ha risposto al telefono e ironizzato dicendo: ‘dica la verità? Vuole sapere a chi appartiene quel numero?’ – racconta Flavia – Io non ci ho trovato nulla da ridere. Comunque mi ha detto di recarmi al commissariato territoriale”. Flavia, decisa a segnalare quel numero per evitare che altre donne ricevessero la stessa foto o peggio, ha seguito le istruzioni ed è andata al commissariato vicino casa. “Quando sono arrivata il poliziotto che mi ha accolta era divertito dalla vicenda – continua il racconto – Mi ha detto che non avevano i moduli da farmi compilare per sporgere denuncia. Mi ha dato un facsimile dicendomi di tornare a casa, ricopiarlo al computer compilandolo. Perché poi non potevo avere lo stesso foglio da compilare? Poi dovevo anche allegare lo screenshot della chat e la foto del pene ricevuto”. “La cosa assurda è che c’era tanta gente in fila per denunce di vario tipo, che si possono fare anche online, ma perché per denunciare un reato informatico invece è tutto così difficile?”, si chiede Flavia. A ogni modo la 34enne non si è persa d’animo decisa a portare avanti quella denuncia legittima ma che fino ad ora quelli che aveva incontrato avevano sminuito e deriso. “Non avendo la stampante a casa sono anche dovuta andare dal cartolaio e chiedergli di stamparmi la foto del pene da allegare alla denuncia. Risate anche lì. Mi chiedo: ma se queste foto le avessero ricevuto le loro figlie? Avrebbero riso a crepapelle?” Insomma dopo telefonate, risate in faccia, persone che le hanno detto che “stai esagerando, per così poco” ed essere tornata per ben due volte in commissariato Flavia è riuscita a fare la sua denuncia. “Intanto l’uomo della chat continuava a mandarmi foto, frasi oscene e addirittura un video di lui che si masturba – continua Flavia – Io non sapendo come agire in queste situazioni non lo bloccavo per poter prima fare la denuncia. Ma intanto nessuno mi ha detto come gestire questa spiacevole situazione. Spero che adesso il suo contatto verrà bloccato e smetta di inviare molestie ad altre donne”. Il fenomeno delle molestie via chat, sotto forma di foto del pene o frasi volgari è molto comune. Molte donne derubricano la faccenda bloccando i contatti da cui arrivano le oscenità. Qualcuna ci ride su ma si tratta di una violenza a tutti gli effetti. Una sentenza della Cassazione ha stabilito che non si tratta di un reato. Ma è in ogni caso una pratica talmente diffusa da spingere la Rete della Conoscenza Milano, a lanciare una campagna molto chiara: “Il cazzo in chat, anche questa è violenza”. Si tratta di un network indipendente di studenti di cui fanno parte 4 organizzazioni che operano nelle scuole e nelle università pubbliche milanesi: Unione degli Studenti, nelle scuole superiori, Studenti Indipendenti Statale, Studenti Indipendenti Bicocca e Studenti Indipendenti Politecnico nei rispettivi atenei. Il manifesto divulgativo è molto chiaro e rimanda ad altre violenze “quotidiane” che sono spesso sottovalutate ma che sono violenze a tutti gli effetti. Tra queste c’è “ipersessualizzare una bambina”, “chiedermi se voglio avere figli a un colloquio di lavoro”, “sessualizzare (il mio corpo, la mia pelle, la mia cultura, la mia sessualità)” e “pagarmi meno di un uomo”. La lista continua: “Farmi dubitare di me stessa”, “’Ma hai il ciclo?’ Anche la mia rabbia è legittima”, “Non affidarmi un lavoro perché é da uomini”, “Impedirmi di abortire” e infine “5 mesi di maternità contro 10 giorni di paternità”. Dagli uomini che si appoggiano addosso approfittando della folla nei mezzi pubblici in poi, quante donne possono dire di non averne subita nemmeno una di queste? Il dramma è che se lo racconti ti ridono in faccia.
Rossella Grasso. Giornalista professionista e videomaker, ha iniziato nel 2006 a scrivere su varie testate nazionali e locali occupandosi di cronaca, cultura e tecnologia. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Tra le varie testate con cui ha collaborato il Roma, l’agenzia di stampa AdnKronos, Repubblica.it, l’agenzia di stampa OmniNapoli, Canale 21 e Il Mattino di Napoli. Orgogliosamente napoletana, si occupa per lo più video e videoreportage. E’ autrice del documentario “Lo Sfizzicariello – storie di riscatto dal disagio mentale”, menzione speciale al Napoli Film Festival.
Elisa Messina per il "Corriere della Sera" il 29 novembre 2021. Nei casi di molestie e di violenza sessuale c'è sempre un colpevole dell'atto (o più di uno) ma, spesso, ci sono anche i «colpevoli» di indifferenza, quelli che fanno finta di non vedere o i professionisti della minimizzazione. A Greta Beccaglia, 27 anni, giornalista sportiva di Toscana Tv, ieri, sono capitati tutti e tre. Fuori dallo stadio di Empoli, alla fine di Empoli-Fiorentina, mentre era collegata in diretta tv per raccogliere gli umori del dopo-partita, un tifoso passa e le dà un violento schiaffo sul sedere. Passano altri due e le rivolgono frasi oscene. Dallo studio il conduttore la invita ad andare avanti e a «non prendersela». Il video di quei secondi tremendi diventa il caso della domenica suscitando un'onda di reazioni da parte del mondo politico: dall'ex premier Giuseppe Conte alla leader di Fdi, Giorgia Meloni, da Maria Elena Boschi (Italia viva) a Mara Carfagna (Fi), ministro per il Sud e la coesione sociale, dal vicepresidente del Senato Roberto Calderoli (Lega) al governatore della Liguria Giovanni Toti, fino a Valeria Valente, la presidente della commissione parlamentare sul femminicidio, sono state tante le dichiarazioni di solidarietà.
Cosa le ha fatto più male?
«L'indifferenza intorno a me. Tutti vedevano, nessuno diceva niente. Ma vuole sapere la dinamica precisa? Prima quell'uomo si è sputato sulla mano e poi mi ha dato uno schiaffo sul sedere, violento, che ha fatto male anche fisicamente».
Lei ha reagito con fermezza ma educazione al suo aggressore.
«Ero disorientata, sconvolta. Ma cercavo di mantenere un atteggiamento professionale per rispetto nei confronti dei telespettatori».
Rispetto che nei suoi confronti non c'è stato.
«Sono stati due minuti e mezzo tremendi, dopo le prime molestie c'è stato anche un uomo incappucciato che si è avvicinato per toccarmi. E tutto proprio nel giorno in cui la serie A scendeva in campo con il segno rosso sul volto per sensibilizzare sul tema della violenza alle donne. Assurdo. Mi ha sconvolto lo sguardo di quei tifosi, erano sguardi feroci, da carnefici».
Come si spiega tanta aggressività?
«Non me la spiego. Io in quel momento sono diventata, per loro, un palo da prendere a calci, un oggetto su cui sfogare la rabbia. Mi sono anche sentita in colpa. Mi sono anche chiesta se avevo fatto qualcosa di sbagliato, mi sono detta che forse non dovevo mettere i jeans stretti... Nei commenti che sono comparsi sui social nelle ore successive c'è chi fa riferimento proprio ai miei jeans».
Purtroppo capita spesso nei casi di molestie e violenze: pensare che le vittime hanno una parte di responsabilità nell'aggressione subita. Anche l'atteggiamento del collega in studio, Giorgio Micheletti, che le diceva di non prendersela e di andare avanti è stato molto criticato. L'Ordine dei giornalisti l'ha definito «un comportamento incomprensibile».
Lei come l'ha presa?
«Giorgio è un professionista serio. Credo che, lì per lì, non si sia reso conto di quello che stava accadendo. Nel video che circola si sentono solo quelle battute. Ma poi, in studio, si è scusato molte volte e mi ha invitata a raccontare l'accaduto e a denunciare»
Il «non rendersi conto» è una di quelle cose che devono cambiare, non le pare?
«Sicuramente. Quello che è successo a me, a telecamere accese, succede, purtroppo, a tante ragazze in circostanze diverse. Nei posti di lavoro, per strada. Io, nonostante tutto, sono fortunata. Posso far arrivare forte il messaggio per tutte. Ed è quello che sto facendo» Tornerà fuori dallo stadio? «Certamente. Altrimenti le cose non cambieranno mai davvero. Martedì, per la partita Fiorentina-Sampdoria, ci sarò».
Lorenzo Marucci per "la Stampa" il 29 novembre 2021. L'indignazione non è passata. Greta Beccaglia, la giornalista pratese di Toscana Tv, ha ancora tanta rabbia, anche il giorno dopo, a mente fredda. Sabato, subito dopo il derby Empoli-Fiorentina, stava effettuando dei collegamenti in diretta per ascoltare l'umore della gente all'uscita dal Castellani quando ha subito le molestie. «Sono psicologicamente provata - racconta Greta - la notte scorsa non ho quasi chiuso occhio. Se nel 2021 continuano ad esserci episodi del genere, significa che tante persone devono ancora capire molte cose. È inaccettabile, nessuno può permettersi di alzare le mani in questo modo, è intollerabile. Conosco tanti tifosi che mi hanno sempre rispettato ma ci sono anche soggetti di questo tipo. Tra l'altro, proprio nella giornata calcistica che si è da poco conclusa, il mondo del pallone si è mobilitato contro la violenza alle donne: i giocatori vengono spesso presi come punto di riferimento dai tifosi, ma in questo caso evidentemente occorre ancora lavorare parecchio e in profondità».
Ha ricevuto molti messaggi di solidarietà?
«Tantissimi. Quel gesto verso di me è stato davvero il più basso che potesse esserci. Mi hanno scritto molti calciatori e personaggi noti, vergognandosi loro stessi per quell'episodio e per quella persona. Devo dire grazie anche all'Ordine dei giornalisti che mi ha fatto sentire subito la propria vicinanza».
Ripensandoci ora che cosa le viene da dire?
«Nell'immediato ho reagito con educazione e compostezza, è il mio modo di essere. Ho preferito comportarmi così: ero in diretta, con tante persone che guardavano e che vanno rispettate. Non dimenticherò facilmente gli occhi di quella persona che si è resa protagonista di questo episodio così grave. Mi ha tirato una pacca sul sedere in modo molto violento. Per di più poi è accaduto anche che, dopo alcuni apprezzamenti osceni urlati da alcuni tifosi, un'altra persona, incappucciata, mi ha toccato le parti intime. Pure il cameraman che era con me mi ha detto di non aver mai visto una cosa simile in tanti anni di servizio. È stata un'esperienza che mi ha ferito molto. Credo che sia giusto parlarne per poter educare certe persone a non ripetere gesti che non vanno mai fatti».
Ha colpito, durante la diretta televisiva, la frase troppo morbida del conduttore («non prendertela») anche se poi ha condannato con forza quanto successo...
«Ha colpito tutti quella frase nel video che è stato tagliato, ma io difendo Giorgio (Micheletti, storico ideatore negli anni Ottanta di "Qui Studio a voi stadio" ndr) perché in quel frangente non aveva ancora ben capito cosa stava realmente succedendo. Poi si è anche scusato e mi ha detto cose bellissime. E mi ha difeso con fermezza. Sul momento, ripeto, visto l'episodio improvviso e inatteso, ha detto quelle parole però non c'è assolutamente niente contro di lui».
E adesso? Come si riparte?
«Tornando subito allo stadio, come sempre. Ora sarà importante riuscire a rintracciare la persona, ma io vado avanti a fare il mio mestiere».
Nessun dubbio dunque. L'episodio non le toglie la voglia di proseguire?
«Non smetto, ci mancherebbe. Ripeto, domani sarò regolarmente al Franchi, per Fiorentina-Sampdoria. Nella speranza che questo diventi solo un bruttissimo isolato ricordo».
LE PAROLE DI GIORGIO MICHELETTI IN DIRETTA: Si cresce anche attraverso queste esperienze. Chiudiamola lì. Così per lo meno puoi reagire se vuoi, non in diretta. Determinati atteggiamenti meritano ogni tanto qualche sano schiaffone che se fosse stato dato da piccoli probabilmente li avrebbero fatti crescere più dritti.
Estratto dell'intervista di Elisa Messina per il "Corriere della Sera" il 29 novembre 2021. Purtroppo capita spesso nei casi di molestie e violenze: pensare che le vittime hanno una parte di responsabilità nell'aggressione subita. Anche l'atteggiamento del collega in studio, Giorgio Micheletti, che le diceva di non prendersela e di andare avanti è stato molto criticato. L'Ordine dei giornalisti l'ha definito «un comportamento incomprensibile». Lei come l'ha presa? «Giorgio è un professionista serio. Credo che, lì per lì, non si sia reso conto di quello che stava accadendo. Nel video che circola si sentono solo quelle battute. Ma poi, in studio, si è scusato molte volte e mi ha invitata a raccontare l'accaduto e a denunciare»
Greta Beccaglia, la giornalista molestata: «Macché goliardata: un gesto grave e lui non capisce». Elisa Messina su Il Corriere della Sera il 30 novembre 2021. La giornalista non accetta le giustificazioni del tifoso che l’ha molestata dopo Empoli-Fiorentina: «Le sue parole peggiorano le cose. Vado avanti perché le donne vanno tutelate». «Che giornata infinita e surreale! Mi viene da piangere. Per la stanchezza e per la commozione». E piange davvero Greta Beccaglia, la giornalista sportiva che, sabato sera, è stata molestata in diretta tv , fuori dallo stadio, dopo Empoli-Fiorentina: i giorni successivi a quel maledetto dopo-partita sono stati pieni di lacrime e di parole. «Davvero non mi aspettavo tutto questo: i messaggi di solidarietà, le dichiarazioni dei politici... Mi stanno chiamando in tantissimi. Mi dispiace non riuscire a rispondere a tutti. Ci sono messaggi che non ho ancora letto», ci dice quasi senza voce, mentre la aspettano per un collegamento con la Vita in Diretta. Il tifoso che l’ha molestata fuori dallo stadio di Empoli, ha parlato di una goliardata dicendo che vuole prima possibile incontrare la giornalista e chiederle scusa (ascolta l'intervista a La Zanzara ). Di un gesto compiuto in un momento di rabbia perché avevano perso la partita. Greta non era a conoscenza di queste dichiarazioni. Dopo averle lette, per i primi secondi è rimasta senza parole. Poi le ha trovate: «Pensa davvero di non aver fatto nulla di male? Una goliardata, dice. Giustificata dalla rabbia perché la Fiorentina aveva perso? Definire goliardia una molestia significa non aver capito la gravità di un atto. Sono dichiarazioni irricevibili. Mi pare che peggiorino tutto». Il tifoso in questione nella stessa dichiarazione ha anche lanciato una proposta di scuse ufficiali. «Scuse? Per adesso non ne so nulla. E comunque io, oggi, (ieri ndr) ho fatto la mia denuncia in Questura» dice la cronista. Una denuncia fatta pensando a tutte le donne che subiscono molestie senza la possibilità di avere la mobilitazione che si è creata in sua difesa della cronista: «Denunciare è importante, e spero che, vedendo me, altre lo facciano». Le scuse, anche se arriveranno, non fermeranno certo l’inchiesta appena partita in procura. «Nel caso dipenderà dalla sensibilità della mia assistita accettarle o meno», fa sapere il suo legale, Leonardo Masi. Ma c’è una cosa che, ancora ieri, la cronista di Toscana Tv ci teneva a sottolineare, una cosa che le è rimasta dentro e che non l’ha fatta dormire la notte: non si è trattato solo un singolo e del suo gesto, quello schiaffo sul sedere, c’era un branco, dietro e intorno a lui. Che vedendo quel gesto si è sentito autorizzato a rivolgerle parole oscene, a toccarla. Due minuti di oscenità che a lei sono sembrati infiniti. «Ho avuto paura davvero di quegli uomini. E ho denunciato. Ho denunciato tutto, non solo il tifoso, ma anche le parole e i gesti degli altri». Greta parla e la voce si rompe ancora: «Oltre ai tanti messaggi di affetto ci sono stati anche quelli di chi dice che io sto montando il mio caso solo guadagnare più follower sui social. Ma s’immagina? Quello che sto vivendo è faticoso e stressante emotivamente. Ma è anche bello, da un certo punto di vista. E voglio che serva davvero, perché le donne devono essere più tutelate». Ancora immersa nel frullatore mediatico Greta non ha avuto ancora il tempo di sentire la famiglia: «Sa con chi avrei avuto tanto bisogno di parlare di quello che è successo? Con mio padre. Che non c’è più, purtroppo. Perché io sono forte, è in questi giorni si è visto, ma avrei tanto voluto parlare con il babbo».
Striscia la notizia, Greta Bacchiglia palpeggiata e il fuorionda Mediaset: "Mi hai toccato il seno, infame!" Libero Quotidiano il 30 novembre 2021. Il caso di Greta Beccaglia, palpeggiata e molestata in diretta a Toscana Tv da un tifoso della Fiorentina dopo la partita di Empoli ha scosso tutta Italia. E Striscia la notizia, condannando il gesto volgare e spudorato del 45enne ristoratore di Ancona ("Mi scuso, era una goliardata", ha provato a difendersi lui peggiorando se possibile la situazione), ricorda qualche altro precedente illustre di assalti a tele-giornaliste. La Beccaglia, in collegamento con la trasmissione A tutto gol, ha reagito con invidiabile calma ("Scusami? Non puoi fare questo", ha detto al molestatore che si era già dato alla fuga). Decisamente più veemente la reazione di Cristina Bianchino, giornalista Mediaset che nel 2008 venne avvicinata da dietro dal noto disturbatore Gabriele Paolini. Al primo contatto fisico, il raptus più che motivato: "Non mi devi toccare! - urla la giornalista interrompendo il collegamento -. Io ti denuncio! Sono una donna, vattene! Lasciami stare, te ne devi andare, vai via! Tu mi hai toccato il seno, fai schifo, vai via, sei un pornografo. Vai via infame!". "Quando vi capitano situazioni come queste - è il consiglio di Striscia -, fate come certi vostri colleghi". Schiaffi in faccia e calci negli stinchi ai maleducati palpeggiatori. Alle telegiornaliste passa la paura, agli spudorati passerà la voglia di importunare.
(ANSA il 29 novembre 2021. ) - Sarebbe un 45enne residente in provincia di Ancona, secondo quanto appreso, l'uomo identificato dalla polizia come l'autore delle molestie alla giornalista di Toscana Tv Greta Beccaglia, avvenute mentre era in diretta per una trasmissione sportiva dopo la partita Empoli - Fiorentina del 27 novembre. L'uomo, tifoso della Fiorentina, è stato individuato dagli agenti del commissariato di Empoli, che si sono avvalsi, tra l'altro, delle immagini riprese dalla stessa emittente e di quelle dell'impianto sportivo. Le telecamere hanno permesso di riprenderlo nel passaggio ai tornelli di uscita. (ANSA).
Da iene.mediaset.it il 29 novembre 2021. Alice Martinelli incontra il “palpeggiatore” di Greta Beccaglia, la giornalista al centro della cronaca di questi giorni per via della molestia subìta fuori dallo stadio Castellani di Empoli. L’inviata di Toscana Tv stava facendo un collegamento in diretta con lo studio per raccogliere le prime impressioni dei tifosi al termine della partita tra la squadra di casa e la Fiorentina, quando l’uomo, passando, le ha toccato il fondoschiena. Il servizio andrà in onda domani, martedì 30 novembre, in prima serata su Italia1.
Massimo Falcioni per tvblog.it il 29 novembre 2021. La premessa è doverosa: il caso non ha alcun legame con la vicenda riguardante Greta Beccaglia e neppure la minima possibilità di collegamento. Stiamo parlando dell’ospitata di Alvise Rigo a Domenica In nel blocco dedicato al commento dell’ultima puntata di Ballando con le Stelle. Ventinove anni a dicembre, 187 centimetri per 90 chilogrammi, Rigo è un ex rugbista e modello che nello show di Milly Carlucci sta ottenendo i prevedibili apprezzamenti del mondo femminile. Un gradimento ribadito pure domenica con le donne in studio che hanno fin da subito evidenziato la prestanza del ragazzo. “Voleva mettersi la camicia, io gli ho detto: ‘mettiti la t-shirt, è meglio per tutti’”, confida Rossella Erra, che anche a Ballando si mostra costantemente euforica alla vista di muscoli e pettorali. “Lui è davvero un bel toccare, Mara tocca, tocca”, è l’invito dell’opinionista alla conduttrice. La Venier sta al gioco e si lancia in ripetute palpate al lato b, avvantaggiate dai primi piani della regia. “È un bel toccare, porta bene. Lo faccio solo perché porta bene. Alla mia età posso fare tutto”. Rigo – va detto – sorride e si presta alla gag, a riprova di come il clima sia goliardico e assolutamente scherzoso. Ma c’è un ma: cosa sarebbe accaduto a parti, e sessi, inversi? Cosa sarebbe accaduto se certe parole e certi gesti fossero stati promossi da un padrone di casa con il doppio dell’età della sua ospite? Senza voler processare la Venier, che ha saputo regalare una parentesi simpatica e fuori dalle righe, è inevitabile porsi delle domande. Le palpatine e le allusioni sessuali risultano meno gravi e più accoglibili se il destinatario è un uomo? E soprattutto, non c’è il rischio che passi il messaggio che con un maschio si può osare perché tanto è scontato che l’uomo la butterà sul ridere?
Da ilmessaggero.it il 30 novembre 2021. Mara Venier è su tutte le furie. Dopo la puntata di ieri del talk della Rai su zia Mara sono piovute tantissime critiche. Ospiti di Domenica In ieri, come ogni domenica, c'erano i protagonisti di Ballando con le Stelle. Tra questi anche Alvise Rigo il 29enne ex rugbista che sta riscuotendo grande successo all'interno del programma di Milly Carlucci. L'apprezzamento per il modello è stato ribadito anche ieri in diretta da Rossella Erra, opinionista di Ballando, che ha detto: «Voleva mettersi la camicia, io gli ho detto "mettiti la tshirt che è meglio per tutti». Poi nel siparietto è stata messa in mezzo anche Mara Venier. «Lui è davvero un bel toccare, Mara tocca, tocca». La conduttrice, allora, stando al gioco lanciato dalla Erra, palpando il lato B di Alvise ha detto: «È un bel toccare, porta bene. Lo faccio solo perché porta bene. Alla mia età posso fare tutto».
Mara Venier pronta alla querela
Le risate in studio si sono sprecate e il rugbista stesso ci ha riso su. Fin qui tutto bene, se non fosse che un giornalista ha paragonato questa gag a quanto accaduto alla giornalista Greta Beccaglia, volto di Toscana Tv, molestata in diretta da un tifoso (che ora chiede scusa) dopo il match Empoli-Fiorentina. Questo non è proprio andato giù al volto di Rai 1 che ha lasciato le proprie dichiarazioni all'AdnKronos: «Vergognoso accostare il gesto goliardico fatto con simpatia e affetto in assoluta buona fede nei confronti di Alvise, mio concittadino veneziano, all’atto di molestia nei confronti della giornalista sportiva di Toscana Tv. Prima di scrivere un pezzo così un giornalista ci deve pensare molto bene. Non accetto di essere accostata alle molestie sessuali. Non mi va bene e sto valutando col mio avvocato un’azione legale» La regina della domenica ha aggiunto: «Le molestie sessuali sono una cosa. Una bottarella al sedere fatta ridendo è un’altra cosa. Ho mandato tutto al mio avvocato Carlo Longari e valuteremo se è il caso di querelare il giornalista. Non permetto a nessuno di mettere insieme queste vicende»
Il commento di Alvise
Sulla questione si è espresso anche Alvise. Il protagonista di Ballando è tranquillo a riguardo: «Se mi sono sentito molestato? Ma scherziamo? Mara è una zia per me. Il nostro era un gioco. Non è assolutamente accostabile una cosa così grave come quella accaduta alla giornalista sportiva Beccaglia a una cosa così simpatica e goliardica come quella fra Mara e me».
"Lo ha palpato", "Non sono molestie": bufera sulla Venier. Novella Toloni il 30 Novembre 2021 su Il Giornale. Il gesto compiuto dalla conduttrice durante l'ultima Domenica In è stato paragonato alla molestia subita dalla giornalista Beccaglia. Sul web è esplosa la polemica e la Venier ora minaccia azioni legali. La palpatina di Mara Venier ad Alvise Rigo, durante l'ultima puntata di Domenica In, sta diventando un vero e proprio caso. Forse più grande di quello che ha visto protagonista Greta Beccaglia, la giornalista sportiva molestata fuori dallo stadio da un tifoso, che si è permesso di schiaffeggiarle il sedere in diretta tv. Contesti diversi, intenzioni diverse ma polemica simile. Il gesto della conduttrice, infatti, è stato duramente criticato da alcuni siti di informazione e da molti utenti del web, che su Twitter hanno attaccato la Venier per il suo gesto, paragonato proprio a quello del tifoso contro la Beccaglia. Nel corso dell'ultima diretta di Domenica In Mara Venier ha scherzato con Alvise Rigo, protagonista di Ballando con le stelle e ospite in studio per la consueta parentesi dedicata allo show del sabato sera di Rai Uno. Con la complicità di altri ospiti, Mara Venier ha scherzato sulla bellezza e sulla prestanza fisica dello sportivo, allungando le mani e palpeggiando scherzosamente il sedere di Rigo. Il gesto ha subito scatenato il popolo del web. In poco tempo su Twitter si sono moltiplicati i cinguettii di rimprovero per l'atteggiamento della Venier, paragonato a quello del tifoso che ha palpeggiato la giornalista Greta Beccaglia fuori dallo stadio. Decine di commenti critici che hanno aperto un vero e proprio caso e infiammato la polemica: "Oggi Mara Venier ha palpato il culo ad Alvise in diretta. Na bella palpata. Nessuno ha detto nulla. Invece hanno fatto un bello zoom con la telecamera Fosse successo il contrario scoppiava na baraonda", "Eh ma questa è goliardia giusto? Non è una mancanza di rispetto verso l'altro sesso, mentre a sessi invertiti diventa molestia e l'altro passa per un porco. OK". Interpellata dall'Adnkronos, però, Mara Venier ha rispedito al mittente le accuse, minacciando azioni legali: "Vergognoso accostare il gesto goliardico fatto con simpatia e affetto in assoluta buona fede nei confronti di Alvise, mio concittadino veneziano, all'atto di molestia nei confronti della giornalista sportiva di Toscana Tv. Non accetto di essere accostata alle molestie sessuali. Non mi va bene e sto valutando col mio avvocato un'azione legale. Le molestie sessuali sono una cosa. Una bottarella al sedere fatta ridendo è un'altra cosa. Non permetto a nessuno di mettere insieme queste vicende". Dopo le parole della conduttrice, sono arrivate anche le dichiarazioni di Alvise Rigo, sorpreso dalla polemica scatenatasi: "Se mi sono sentito molestato? Ma scherziamo? Mara è una zia per me. Il nostro era un gioco. Non è assolutamente accostabile una cosa così grave come quella accaduta alla giornalista sportiva Beccaglia, ad una cosa così simpatica e goliardica come quella fra Mara e me". Acqua sul fuoco di una polemica che stenta a placarsi e che potrebbe vedere fioccare querele.
Novella Toloni. Toscana Doc, 40 anni, cresco con il mito di "Piccole Donne" e del personaggio di Jo, inguaribile scrittrice devota a carta, penna e macchina da scrivere. Amo cucinare, viaggiare e non smetterò mai di sfogliare riviste perché amo le pagine che scorrono tra le dita. Appassionata di social media, curiosa per natura, il mio motto è "Vivi e lascia vivere", perché non c’è niente di più bello delle cose frivole e leggere che distolgono l’attenzione dai problemi
Da "Un Giorno da Pecora" il 29 novembre 2021. Le molestie a Greta Beccaglia? “Purtroppo sono successe anche a me fuori dagli stadi. Ti dicono di tutto, ma che ti mettano le mani addosso è ancora più grave: quando vedono una telecamera questi personaggi da branco, vigliacchi, si esaltano, specie quando ci sono delle donne”. A parlare, ospite di Un Giorno da Pecora, su Rai Radio1, è la giornalista Paola Ferrari, che ha commentato così il brutto episodio subito dall'inviata fuori dallo stadio dove si giocava Empoli-Fiorentina. Lei come avrebbe reagito alla molestia subita dalla sua collega? “Io avrei dato una bella borsettata a quel tifoso. Però devo anche dire che oggi è pericoloso farlo, rischi di trovare i violenti che poi ti mettono le mani addosso”.
Dagospia il 29 novembre 2021. Dal profilo Facebook di Andrea Scanzi. Si sta parlando molto dell'aggressione a Greta Beccaglia. Giustamente, perché il tema è grave e racconta tutta l'inciviltà greve, sessista e ignorante della nostra società. Purtroppo però, quando il branco si muove e sbava sui social, nessuno fa più distinguo. Qua i piani di azione, e di discussione, sono due. Ben distinti e diversissimi tra loro. I "tifosi". Il primo piano è quello dei "tifosi" che hanno insultato e aggredito la ragazza. Quella gente lì fa schifo e incarna l'apice della frustrazione più sottosviluppata e sessista. Sono "uomini" incolti e violenti, che sicuramente si esaltano con gli slogan dei Salvini e delle Meloni (o peggio), che parlano sempre di sesso perché non lo fanno mai e che reputano la donna un “oggetto”. Gli stadi sono pieni di quel vomito lì e non solo gli stadi, ma pure il mondo reale e i social. E' la stessa gente che fa battute sui gay, sugli stranieri, sui "diversi". Rumenta mononeuronale. Chi ha toccato il sedere a Greta e chi l'ha insultata va fermato, indagato e condannato. E' gente vomitevole, rimasta all'età della pietra, che non serve a nulla: quando va bene fa schifo, quando va male è pure pericolosa. Monnezza morale. Il giornalista in studio. Tutt'altro discorso merita il povero giornalista in studio, vittima di uno shitstorm ottuso, violento e gratuito. Non conosco Giorgio Micheletti, e magari ha “precedenti” che ignoro, ma chi lo sta massacrando per quel "Non te la prendere" o è scemo, o è in malafede o insegue l'algoritmo e il like facile a qualsiasi costo. Ma stiamo scherzando? Ma l'avete visto e sentito (bene) il video? Micheletti non dice "Non te la prendere" nel senso di "Non farla lunga Greta, in fondo ti hanno solo toccato il culo!". Se così fosse, sarebbe da arresto. Il senso - e il tono - della sua frase è in realtà chiarissimo e del tutto opposto: "Non prendertela Greta, cerca di andare avanti, quelli lì sono dei sottosviluppati e sono pure violenti, loro sono in tanti e tu sei sola, cerca di andare avanti e poi li denunciamo". E' quello lì il senso, cazzo! La sta PROTEGGENDO, non sta certo minimizzando: da professionista navigato, sa bene che se Greta perde - comprensibilmente - la testa quelli lì possono persino aggredirla. A suffragare questa inattaccabile chiave di lettura c'è anche quel che dice Micheletti due minuti dopo, tornando sull'aggressione e denunciandola senza mezzi termini. Ma quella parte di video lì, "magicamente", è stata tolta dal video divenuto virale. E ha reso Micheletti ancora più capro espiatorio del branco infoiato. Quando una discussione importantissima diventa “sfogatoio”, si perde drammaticamente in lucidità. Qui i colpevoli sono gli uomini che oggettivizzano la donna e credono che sia normale tastarla, molestarla, aggredirla. Ne esistono a milioni. Sono loro i colpevoli, e tra di loro ci sono anche i minimizzatori (quelli che se la cavano con il solito "E che sarà mai?") e gli ipocriti (quelli che in privato fanno come i "tifosi" di cui è stata vittima Greta, però poi sui social fanno i fenomeni). Ma spalare merda sul giornalista in studio non solo non aiuta ad affrontare il tema, ma è pure un raro esempio di bullismo collettivo, unito a un livello pericolosamente elevato di analfabetismo funzionale. Un abbraccio a Greta. E solidarietà a Giorgio.
Greta Beccaglia molestata: Giorgio Micheletti sospeso da Toscana Tv. Massimo Galanto per tvblog.it il 30 novembre 2021. È stato sospeso dalla conduzione il giornalista Giorgio Micheletti, protagonista della diretta televisiva di sabato scorso su Toscana Tv durante la quale l’inviata Greta Beccaglia, fuori dallo stadio ‘Castellani’ di Empoli, al termine della partita Empoli-Fiorentina, è stata molestata da un tifoso viola. La sospensione è stata comunicata dalla direzione e dalla proprietà dell’emittente Toscana Tv. Volto noto dei programmi calcistici dei network privati (ma ha collaborato anche a Il Processo di Biscardi quando era in onda su La7), Micheletti paga il fatto di aver invitato a caldo la collega a “non prendersela” per ciò che era accaduto.
Greta Beccaglia e il “Non te la prendere” di Giorgio Micheletti: quando l’”espressione infelice” non viene più perdonata
Nel comunicato ufficiale diffuso da Toscana Tv si legge che “abbiamo condiviso con il giornalista Giorgio Micheletti di concedergli l’opportunità di un momento di riflessione e di pausa professionale nella conduzione del format ‘A Tutto Gol’, al fine di chiarire lo svolgimento dei fatti riservandoci di valutare eventuali provvedimenti disciplinari“.
L’emittente ha confermato il sostegno e la solidarietà alla Beccaglia, spiegando che “quello che è accaduto è una molestia“: Se Greta vorrà, saremo al suo fianco nella denuncia sporta e speriamo che quanto accaduto possa aiutare noi, il mondo dell’informazione e nella fattispecie il mondo del calcio parlato, a costruire un ‘discorso’ pubblico più rispettoso.
Micheletti, che all’AdnKronos si è detto “dispiaciuto” ma ha riconosciuto che “la decisione presa di comune accordo con l’emittente sia adesso la soluzione migliore“, nella giornata di oggi è intervenuto in alcune trasmissioni tv che si sono occupate del caso, da Pomeriggio Cinque con Barbara d’Urso a Che Succ3de? con Geppi Cucciari.
Dagospia l'1 dicembre 2021. Da “La Zanzara - Radio24”. La sospensione, la gogna mediatica e le pesanti accuse del mondo social. Giorgio Micheletti, giornalista e conduttore di Toscana Tv, è ancora al centro di numerose polemiche dopo le molestie subite da Greta Beccaglia, aspirante giornalista della stessa emittente. Micheletti torna a parlare senza freni e si difende a La Zanzara su Radio 24.
“Scuse? Mi sono scusato perché così lo ha voluto l’azienda, il direttore in prima persona”.
“È stata una decisione condivisa - continua il giornalista - quella di fermarsi per un attimo, per permettere alla televisione di non avere eccessiva pressione mediatica e permettere a me di smettere di essere preso di mira. Questa è la filosofia proposta”.
Tornerai a lavorare per Toscana Tv?
"Non lo so, perché non so quanto dura la sospensione”. Poi ha ammesso di essere abbastanza incazzato “per come sono stato trattato in questa specifica cosa. Gli accordi erano che nel comunicato interno il punto fosse alla fine di “riflessione” e non ci fosse “in attesa di prendere provvedimenti disciplinari”. Se avessi saputo che sarebbe stata aggiunta questa frase, col cazzo che avrei fatto questo! Se stiamo su una barca, ci stiamo sempre, non è che mi ci fai salire e poi mi ci lasci da solo. Perché allora mi incazzo!”. Micheletti si è dichiarato “totalmente abbandonato, dall’inizio di questa faccenda, da parte gli organismi direttori della televisione”. “Quello che ha tirato la manata non c'entra più. Via! Sono solo io - dichiara ancora Micheletti - uno che conduce una trasmissione in diretta ha il tempo di capire che quell'episodio potrebbe essere foriero di un argomento di carattere nazionale, che quel tipo di atto non riguardava una sola persona ma un'intera categoria del genere umano e che nel contempo mentre parlavo con quattro ospiti in studio e cercavo di dare delle direttive alla regia, cercavo di preoccuparmi soprattutto di non mandare nel casino Greta anche dal punto di vista dell'incolumità fisica e dovevo anche avere la lucidità di sapere che cosa potevo fare!”. Il giornalista è poi tornato a parlare del fatto: “Il tutto è durato in totale 120 secondi e il momento in se' appena 3. Al primo impatto non ho nemmeno capito che fosse stata una manata sul sedere, ma avevo pensato a una strusciata. Sai quando fai il furbo e pigli dentro una persona che ti sta davanti con le spalle? Sai, quando fai il simpaticone... Mai nella vita mi sono accorto subito che era una palpata di sedere, mai nella vita. Ma poi me ne sono accorto perché ho visto la reazione di Greta e allora ho collegato, sempre rapidamente e sempre con quello spicchio di cervello che resta a uno che fa la diretta e che doveva capire tutto quello che capitava intorno”. Rispetto al suo comportamento, Micheletti ha spiegato: “Mi sono preoccupato di fare solo ed esclusivamente quello che, secondo me, in quel momento doveva essere fatto per il bene di Greta e per la sua incolumità fisica. Scusate se ricordo a quelli politically correct che Greta è una donna e che, se mi sono preoccupato della sua integrità fisica, automaticamente ho portato rispetto alla categoria. Ma l'avrei fatto anche se si fosse trattato di un uomo, perché quello è l'atteggiamento da tenere. Le ho detto che se a diretta chiusa voleva reagire con qualche ceffone avrebbe fatto bene, perché le mamme di questi signori non avendoglieli dati da piccoli li hanno fatti crescere 'storti'. E questo sarebbe minimizzare l'episodio? Poi sulle frasi contestate ha concluso: “Perché ho detto quello? E che ne so? Potevo dire 'Stai tranquilla'? Avrei sbagliato uguale! In quel momento mi è venuto in mente 'Non te la prendere'! Non so perché, ma voi forse sapete perché dite certe cose in un momento di concitazione?!”.
Da ilrestodelcarlino.it il 29 novembre 2021. "Ho fatto una cavolata, mi descrivono come un violentatore ma io non sono così", si difende e si scusa Andrea Serrani, ristoratore di 45 anni di Chiaravalle che è accusato di avere molestato la giornalista Greta Beccaglia, 27 anni che ha una compagna e una figlia, che era in collegamento fuori dallo stadio al termine della partita Empoli - Fiorentina. Serrani - questa la ricostruzione delle forze dell'ordine - è passato alle spalle della giornalista e le ha mollato uno schiaffo sul sedere a favore di telecamere. Serrani era a Firenze proprio perché è un tifoso della Viola. "A casa mi hanno detto: come ti è venuto in mente? - ha spiegato alla Zanzara su Radio 24 - Me l'ha detto anche la mia compagna. Sanno che non sono una persona cattiva. Stiamo passando tutti i dispiaceri possibili del mondo. Uno lavora una vita, si crea una vita e poi guardate cosa succede". Ed è stato proprio il video della emittente Toscana Tv a rivelare il volto di Serrani. Che ora ammette e si scusa: "Sono pronto a incontrarla, non sono un delinquente", ripete. E l'avvocato dell'uomo, Roberto Sabatini, rincara: "Auspico una composizione bonaria. sarei felice se la dottoressa conoscesse Andrea, un imprenditore, una bravissima persona, padre di famiglia, che è sempre stato rispettoso verso le donne. Il suo gesto è inutile da commentare, mi sento però di dire che nel gesto di Serrani, quanto meno nelle sue intenzioni, non c'era alcuna connotazione di tipo sessuale". Niente da fare, per il momento. Greta Beccaglia ha fatto sapere di non essere disposta a ritirare la denuncia che ha presentato in Questura a Firenze. "Se si scusa, quell'uomo fa il minimo indispensabile. Ma le scuse in questi casi non bastano. La giustizia deve fare il suo corso e stabilire che quel gesto vergognoso è sbagliato", ha ribadito intervistata da RaiNews24.
Da liberoquotidiano.it il 30 novembre 2021. La molestia ai danni della giornalista Greta Beccaglia in diretta tv ha sollevato un'ondata di indignazione generale. L'inviata di Toscana Tv era fuori dallo stadio per raccogliere un po' di voci dopo la partita Empoli-Fiorentina, quando un tifoso le ha toccato il fondoschiena e poi è scappato via. L'uomo, stando a quanto trapelato finora, avrebbe 45 anni e sarebbe della provincia di Ancona. Il grave episodio, tra l'altro, è avvenuto durante un collegamento con lo studio. Proprio da lì la giornalista si è pure sentita dire: "Non te la prendere". A commentare l'accaduto adesso è anche Daniela Santanchè, senatrice di Fratelli d'Italia, che su Twitter si è sfogata scrivendo: "Io dico che questo sotto-uomo che molesta la giornalista Greta Beccaglia ce l’ha molto piccolo. Voi che dite?". Parole che hanno colpito molto i suoi follower. Uno infatti ha commentato: "Dimensioni intime proporzionate al quoziente intellettivo e al tasso di civiltà espresso". Tra le migliaia di persone che hanno espresso la massima vicinanza alla Baccaglia c'è anche Diletta Leotta. "Nella giornata in cui si ricordano le violenze sulle donne, voglio esprimere la mia solidarietà alla giornalista che è stata vittima di gesti intollerabili e riprovevoli. Ci siamo stancate tutte e tutti. Basta alla violenza sulle donne", ha detto l'inviata di Dazn in diretta dallo stadio Maradona prima della partita Napoli-Lazio.
Dagospia il 30 novembre 2021. Da "Un giorno da pecora". Come mi sento? “Sono stanca, provata, sono tre giorni che non dormo e non mi fermo un secondo praticamente”. A parlare, ospite di Un Giorno da Pecora, su Rai Radio1, è Greta Beccaglia, la giornalista di Toscana Tv che è stata molestate in diretta da un tifoso dopo la partita Empoli-Fiorentina. “Il video dura 20 secondi, dove si vede il tifoso che mi dà una pacca sul sedere, coi tifosi intorno che restano indifferenti. Successivamente ho intervistato altri tifosi che non hanno avuto parole carine nei miei confronti, e ancora dopo un altro tifoso mi è venuto addosso sfiorandomi le parti intime. Sono stata sfortunata perché queste cose non devono accadere ma almeno ho avuto la possibilità, essendo in diretta, di testimoniare queste cose”, ha spiegato l'inviata a Un Giorno da Pecora. Le era già successo una cosa del genere? “No, parole o apprezzamenti non richiesti si, ma un gesto del genere mai”. Lei ha reagito in modo molto elegante. “In quel momento ho reagito con educazione, come sono fatta io, non volevo rispondere con violenza ad un gesto violento”. Andrea Serrani, l'uomo che si è comportato in questo modo, si è scusato. Lei cosa intende fare? “L'ho denunciato e non intendo incontrarlo. Ci penserà il legale e la giustizia a decidere cosa dovrà fare. Quel che ci tengo a dire è che il gesto non è accettabile”. Perché, a suo avviso, il tifoso fatto quel gesto? “Non so perché lui l'abbia fatto, forse quella persona ha pensato che fossi un oggetto lì”. Lei tornerà già oggi a fare dei collegamenti fuori dallo stadio? “Si, voglio andare assolutamente fuori dallo stadio per Fiorentina-Samp, voglio tornare il prima possibile alla normalità. Sono più arrabbiata che impaurita da quello che è successo – ha detto Beccaglia a Un Giorno da Pecora - voglio solo tornare alla normalità.”. Lei è tifosa della Fiorentina? “Sono tifosa della Viola, il giocatore che ho amato di più è stato Batistuta. Però simpatizzo anche per l’Inter, perché da tutta la mia famiglia era interista, ma poi ho scelto di tifare per i Viola”. Ha ricevuto solidarietà anche da parte dei calciatori? “Si, tanti calciatori sono stati molto carini, da El Sharawii della Roma a Torreira”, ha raccontato la giornalista a Rai Radio1.
Elisa Messina per corriere.it il 30 novembre 2021. «Che giornata infinita e surreale! Mi viene da piangere. Per la stanchezza e per la commozione». E piange davvero Greta Beccaglia, la giornalista sportiva che, sabato sera, è stata molestata in diretta tv, fuori dallo stadio, dopo Empoli-Fiorentina: i giorni successivi a quel maledetto dopo-partita sono stati pieni di lacrime e di parole. «Davvero non mi aspettavo tutto questo: i messaggi di solidarietà, le dichiarazioni dei politici... Mi stanno chiamando in tantissimi. Mi dispiace non riuscire a rispondere a tutti. Ci sono messaggi che non ho ancora letto», ci dice quasi senza voce, mentre la aspettano per un collegamento con la Vita in Diretta. Il tifoso che l’ha molestata fuori dallo stadio di Empoli, ha parlato di una goliardata dicendo che vuole prima possibile incontrare la giornalista e chiederle scusa. Di un gesto compiuto in un momento di rabbia perché avevano perso la partita. Greta non era a conoscenza di queste dichiarazioni. Dopo averle lette, per i primi secondi è rimasta senza parole. Poi le ha trovate: «Pensa davvero di non aver fatto nulla di male? Una goliardata, dice. Giustificata dalla rabbia perché la Fiorentina aveva perso? Definire goliardia una molestia significa non aver capito la gravità di un atto. Sono dichiarazioni irricevibili. Mi pare che peggiorino tutto». Il tifoso in questione nella stessa dichiarazione ha anche lanciato una proposta di scuse ufficiali. «Scuse? Per adesso non ne so nulla. E comunque io, oggi, (ieri ndr) ho fatto la mia denuncia in Questura» dice la cronista. Una denuncia fatta pensando a tutte le donne che subiscono molestie senza la possibilità di avere la mobilitazione che si è creata in sua difesa della cronista: «Denunciare è importante, e spero che, vedendo me, altre lo facciano». Le scuse, anche se arriveranno, non fermeranno certo l’inchiesta appena partita in procura. «Nel caso dipenderà dalla sensibilità della mia assistita accettarle o meno», fa sapere il suo legale, Leonardo Masi. Ma c’è una cosa che, ancora ieri, la cronista di Toscana Tv ci teneva a sottolineare, una cosa che le è rimasta dentro e che non l’ha fatta dormire la notte: non si è trattato solo un singolo e del suo gesto, quello schiaffo sul sedere, c’era un branco, dietro e intorno a lui. Che vedendo quel gesto si è sentito autorizzato a rivolgerle parole oscene, a toccarla. Due minuti di oscenità che a lei sono sembrati infiniti. «Ho avuto paura davvero di quegli uomini. E ho denunciato. Ho denunciato tutto, non solo il tifoso, ma anche le parole e i gesti degli altri». Greta parla e la voce si rompe ancora: «Oltre ai tanti messaggi di affetto ci sono stati anche quelli di chi dice che io sto montando il mio caso solo guadagnare più follower sui social. Ma s’immagina? Quello che sto vivendo è faticoso e stressante emotivamente. Ma è anche bello, da un certo punto di vista. E voglio che serva davvero, perché le donne devono essere più tutelate». Ancora immersa nel frullatore mediatico Greta non ha avuto ancora il tempo di sentire la famiglia: «Sa con chi avrei avuto tanto bisogno di parlare di quello che è successo? Con mio padre. Che non c’è più, purtroppo. Perché io sono forte, è in questi giorni si è visto, ma avrei tanto voluto parlare con il babbo».
Da adnkronos.com il 30 novembre 2021. "Io censuro completamente quanto accaduto alla giornalista fuori dallo stadio, quella ragazza ha ragione". Giancarlo Gentilini, già sindaco 'sceriffo' di Treviso, intervistato dall'AdnKronos non esita a mettersi dalla parte di Greta Beccaglia, la giornalista sportiva finita al centro della cronaca di queste ore per le molestie sessuali subite, mentre era nel corso di una diretta televisiva, al termine di un match di serie A di calcio. "Io - ricorda Gentilini - ho fatto il legale per 40 anni e per 10 il sindaco, non mi sono mai permesso di toccare a nessuno neanche un capello, io credo che al lavoro non siano permessi gesti di questo tipo, che sono contrari al mio vangelo che è 'Dio, patria e famiglia'". Nel 2012, a marzo, da vicesindaco a Treviso, Gentilini però si era attirato le ire delle femministe per aver minimizzato su un episodio analogo, quando una donna, nei pressi della stazione ferroviaria, era stata fatta oggetto di un gesto simile a quello subito dalla giornalista Beccaglia: "Non mi ricordo di aver detto che una semplice pacca sul sedere non è un atto di violenza sessuale", dice oggi Gentilini. Poi si spiega, facendo i suoi distinguo: "Se queste cose sono accettate dalla donna - aggiunge - allora, però, è un'altra cosa. Io voglio dire che se una donna sculetta davanti, e attira la voglia e la carica del maschio, allora siamo fuori dal tema" della violenza sessuale. "Se il gesto scurrile - precisa ancora l'ex leghista - viene fatto in altre situazioni, come nel caso di Empoli, è da censurare, non confondiamo ebrei e samaritani, dicevano i miei nonni". Poi dice la sua sul tema del covid. Spiegando di essere per il vaccino obbligatorio, non senza ricordare che anche il saluto romano avrebbe potuto dare una mano a fermare i contagi. "E' difficile obbligare gli italiani a vaccinarsi? Io - risponde - saprei come fare, come quando a Treviso ho messo la tassa sul celibato, chi non si sposava pagava una tassa". "Ecco - sottolinea - io farei pagare una multa da mille euro l'anno a chi non si vaccina contro il covid, così risaniamo pure le finanze italiane, perché quello di toccare il portafogli è l'unico argomento che può convincere chi non si vuole fare il siero". "Mussolini - ricorda - aveva poi scelto un saluto del passato, che non portava contagi, e forse, tanti contagi - dice ancora, riferendosi all'attualità del covid - sarebbero stati pure evitati se ci fosse ancora stato quel modo di salutarsi. Altro che i saluti della Roma attuale...".
(ANSA il 30 novembre 2021) Il questore di Firenze ha emesso un Daspo di 3 anni, senza altre prescrizioni, per tenere lontano da manifestazioni sportive il tifoso della Fiorentina di 45 anni accusato di aver molestato la giornalista Greta Beccaglia durante una diretta tv dall'esterno dello stadio di Empoli il 27 novembre. Il tifoso, un ristoratore della provincia di Ancona, è stato individuato con le immagini delle telecamere e la giornalista lo ha querelato per le molestie.
Stefano Rispoli per "il Messaggero" il 30 novembre 2021. Chiede scusa, il molestatore più famoso d'Italia. Avrebbe fatto volentieri a meno di tutta questa popolarità. Ma ad inchiodarlo sono state le telecamere che hanno immortalato il suo gesto inqualificabile, in diretta, dopo il derby perso dalla sua Fiorentina ad Empoli, sabato scorso: il ghigno sul volto, uno sputo sulla mano («era solo un colpo di tosse», dirà lui) la stessa che poi stampa sul fondoschiena di Greta Beccaglia, inviata dell'emittente Toscana Tv, che stava sondando pareri tra i tifosi nel dopo-partita. Intanto è stato sospeso dalla conduzione il giornalista Giorgio Micheletti, che era in studio durante il collegamento.
LA QUERELA Era in diretta, la giornalista toscana che ha denunciato l'autore del gravissimo gesto. La polizia, grazie alle immagini, l'ha riconosciuto: è Andrea Serrani, 45 anni di Chiaravalle, dove gestisce la trattoria-pizzeria Il Ranocchiaro. Su di lui, il macigno di un'accusa pesantissima: violenza sessuale, almeno così ipotizzano gli investigatori del Commissariato di Empoli, che potrebbero indagare altri tifosi sospettati di aver molestato la giornalista. Serrani rischia anche il Daspo. Quando ha capito l'antifona, intuendo il probabile assedio di giornalisti sotto la sua abitazione, Serrani ha deciso di trasferirsi in un alloggio segreto. «Non merito la gogna mediatica che si è scatenata contro di me - si sfoga al telefono -. Non ho mai fatto male a nessuno e vivo la mia vita lavorando». Ha una figlia piccola, il ristoratore. E una compagna. Vuole tutelare le sue donne, ma anche chiedere scusa a quella che ha offeso in diretta tv, con il più deprecabile dei gesti: una pacca sul sedere. «Per me, in quel momento, era solo un gesto goliardico e invece si è scatenato il putiferio». Chissà cosa gli è passato per la testa negli attimi in cui, deluso dalla battuta d'arresto della Viola, lasciava lo stadio di Empoli. Il suo avvocato ha scritto alla giornalista a Greta e all'emittente, ma non ha avuto risposta. Dallo studio Micheletti, assistendo alla scena aveva commentato: «Non te la prendere. Si cresce anche attraverso queste esperienze. Chiudiamola lì. Così per lo meno puoi reagire se vuoi, non in diretta, così determinati atteggiamenti meritano ogni tanto qualche sano schiaffone che se fosse stato dato da piccolo probabilmente li avrebbe fatti crescere più diritti». Ma ora la tv valuta, riservandosi procedimenti disciplinari per il giornalista.
IL RACCONTO «Ero con un amico che avevo raggiunto a Firenze - racconta -. Eravamo amareggiati, in pochi minuti la nostra Fiorentina era passata dalla vittoria alla sconfitta. C'erano alcuni giornalisti che chiedevano commenti a caldo. Ho visto questa giornalista e le ho dato un buffetto sulle parti basse. Era solo un gesto goliardico». Come se palpeggiare una ragazza fosse uno scherzo. Il tutto, davanti a migliaia di telespettatori e all'indomani della settimana in cui si è celebrata la Giornata contro la violenza sulle donne. «Non ho mai fatto male a nessuno - si giustifica -, vivo amando mia figlia, curando i tanti rapporti di amicizia che ho a Chiaravalle e altrove, ho un locale avviato che ho aperto con tanti sacrifici. Quello che mi fa davvero temere sono le conseguenze che potrei subire riguardo a mia figlia. Mi fa piacere che qualche cliente mi abbia telefonato, rimproverandomi per il gesto, ma comprendendo il mio stato d'animo. Tutti sanno che non sono un violento». Ora è tempo del pentimento. «Porgo le mie scuse a Greta Beccaglia, sono pronto a farlo pubblicamente, anche in diretta tv se serve», è la richiesta di perdono del 45enne. Che ora gioca in difesa. «Non volevo offenderla o mancarle di rispetto. Nel mio locale lavorano diverse donne e possono testimoniare che ho profondo rispetto per loro, non ho mai dato fastidio a nessuno».
L'ACCUSA «Vorrei davvero incontrare la giornalista per chiederle pubblicamente scusa». Sa che rischia l'accusa di violenza sessuale. «È la cosa che mi fa più male - ammette Serrani -. So di aver sbagliato clamorosamente, ma di certo non volevo essere violento né causare traumi psicologici o fisici alla giornalista». Prova a ridimensionare l'accaduto. «Penso che chi vuol davvero abusare sessualmente di una persona si rende protagonista di ben altri gesti». Alla trasmissione La Zanzara ha poi ricostruito il palpeggiamento, negando di aver sputato sulla mano con cui ha toccato il fondoschiena della giornalista. «Stavo tossendo - ha precisato - A casa mi hanno detto: «Come ti è venuto in mente?». Me l'ha detto anche la mia compagna. Mi conoscono, sanno che non sono una persona cattiva. Stiamo passando tutti i dispiaceri possibili del mondo». La contrizione sa di disperazione. «Non sto bene. Guarda dov' è finita sta cosa per uno sbaglio. Uno lavora una vita, e guarda per una cosa così...»
Il bilancio è di due indagati per violenza sessuale. Molestie a Greta Beccaglia, Daspo per un secondo tifoso: “Sfiorate le parti intime”. Roberta Davi su Il Riformista il 30 Novembre 2021.
C’è un secondo tifoso della Fiorentina denunciato da Greta Beccaglia, l’inviata di ToscanaTv molestata durante la diretta televisiva dall’esterno dello stadio di Empoli lo scorso 27 novembre. La Digos l’ha individuato oggi: è un 48enne della provincia di Firenze. Anche lui, proprio come Andrea Serrani, il 45enne ristoratore di Chiaravalle (Ancona) identificato ieri, è indagato per l’ipotesi di violenza sessuale.
Le molestie a fine diretta
In base alla denuncia della giornalista, il 48enne fiorentino si sarebbe avvicinato a Greta Beccaglia a fine diretta, pochi minuti dopo aver subito le molestie da Serrani, e l’avrebbe sfiorata nelle parti intime attraverso un contatto fisico. Anche in questo caso esistono delle immagini di ToscanaTv. Per risalire a questo secondo molestatore il commissariato di Polizia di Empoli le ha acquisite e confrontate con quelle delle telecamere dello stadio ‘Castellani’, con un’attenzione particolare al momento in cui si vede il passaggio dei sostenitori viola nel luogo in cui si trovano i tornelli. Per lui il questore Filippo Santarelli ha già emesso un Daspo di due anni: un anno in meno rispetto a Serrani. Intanto prosegue l’attività investigativa per dare un nome agli altri tifosi responsabili di molestie verbali nei confronti della giornalista.
“Sono tre giorni che non dormo”
Greta Beccaglia, intervenuta alla trasmissione ‘Un giorno da pecora’ su Rai Radio1, ha parlato di ciò che è successo la sera del derby tra Empoli e Fiorentina. “Sono stanca, provata, sono tre giorni che non dormo e non mi fermo un secondo -ha raccontato.- Il video dura 20 secondi dove si vede il tifoso che mi dà una pacca sul sedere, coi tifosi intorno che restano indifferenti. Successivamente ho intervistato altri tifosi che non hanno avuto parole carine nei miei confronti, e ancora dopo un altro tifoso mi è venuto addosso sfiorandomi le parti intime. Sono stata sfortunata perché queste cose non devono accadere ma almeno ho avuto la possibilità, essendo in diretta, di testimoniarle“.
La giornalista ha poi sottolineato: “Non mi era mai successo. Parole o apprezzamenti non richiesti sì, ma un gesto del genere mai”.
Riguardo a Andrea Serrani, il tifoso querelato e che nel frattempo si è scusato– “Mi scuso per il gesto. Non riesco a spiegarlo. Ora vorrei contattare la giornalista e chiederle scusa”- Greta Beccaglia ha spiegato: “L’ho denunciato e non intendo incontrarlo. Ci penserà il legale e la giustizia a decidere cosa dovrà fare. Quel che ci tengo a dire è che il gesto non è accettabile. Non so perché lui l’abbia fatto, forse quella persona ha pensato che fossi un oggetto lì.”
Il suo desiderio, ora, è solo quello di tornare alla normalità e al suo lavoro. “Voglio andare assolutamente fuori dallo stadio per Fiorentina-Samp. Sono più arrabbiata che impaurita da quello che è successo, voglio solo tornare alla normalità.” Roberta Davi
Gianluca Veneziani per “Libero quotidiano” il 30 novembre 2021. Ci manca solo che lo mettano alla gogna e lo frustino in pubblico. Intendiamoci: il tifoso che ha palpato il sedere della giornalista Greta Beccaglia ha commesso un atto becero e riprovevole. Ma la sacrosanta indignazione si sta trasformando in una caccia mediatica al mostro, oggettivamente sproporzionata.
Sgarbi, il palpeggiamento è stato più idiota, più volgare o più da sfigato?
«È un gesto da scemo, dotato di una gravità ludica che andrebbe però rovesciata, chiedendosi: cosa sarebbe accaduto se fosse stata una donna a toccare il culo a un maschio? Il problema non sarebbe neanche sorto. E questo dipende dal fatto che reati come lo stalking o la molestia vengono considerati solo se riguardano una donna, in quanto le donne godono di una specie di diritto aumentato. E invece, visto che per fortuna oggi le donne sono uguali agli uomini, toccare il culo a una donna dovrebbe avere lo stesso valore del toccare il culo a un uomo. La questione si sposta quindi dal piano politico e morale a quello di percezione personale. Chi si sente offeso dal palpeggiamento, che sia maschio o femmina, può denunciare. Se invece non ci sente offesi, il problema dovrebbe finire lì».
Il palpeggiatore è ora indagato per violenza sessuale, mentre molti politici chiedono per lui pene «senza esitazioni». Un appello giusto o esagerato?
«Io mi domando: cosa c'entrano il sesso e la violenza con una toccata di culo? Parliamo di un gesto maleducato, esecrabile, ma le violenze sessuali hanno a che fare con atti sessuali. In questo caso è solo una volgarità. Più che impiccare il trasgressore, come alcuni sembrano voler fare, mi limiterei a multarlo. Mille euro per ogni palpata. Così la prossima volta, anziché il culo di una donna, si toccherà le palle. Senza considerare il fatto che, continuando a demonizzarlo, si rischia di farne una vittima».
Alcuni obiettano: cominciando a minimizzare una toccata di sedere si finirà per minimizzare il femminicidio.
«È un errore logico. Sarebbe come dire che la toccata di un culo a un uomo è l'inizio di un potenziale omicidio».
Nel mirino è finito anche il conduttore in studio, Giorgio Micheletti, colpevole secondo i censori di non aver difeso la collega e di averle detto «Non prendertela. Si cresce anche attraverso queste esperienze» (anche se lui ha poi invitato la Beccaglia a «reagire. Certi atteggiamenti si meritano qualche schiaffone» e, per ammissione della giornalista, si è scusato in studio). Micheletti ha sbagliato?
«Il conduttore ha usato il buon senso, cercando di sdrammatizzare. Magari poteva dire pubblicamente: "Quell'uomo è stato molto maleducato, va denunciato". Ma non facciamone il complice di una molestia».
È un errore generalizzare, facendo passare quel tifoso come il prototipo del Maschio bruto, maiale e violento?
«Il maschio è generalmente un coglione e fa delle cose discutibili. Anzi, direi che i maschi sono tutti così, però alcuni si trattengono. L'unica vera soluzione per noi maschi sarebbe ignorare le donne, non guardarle più, creando una grande comunità omosessuale, in cui al massimo ci tocchiamo il culo tra noi. Allora le donne verranno a invocarci perché qualcuno le tocchi di nuovo».
In alcuni celebri film italiani ci sono scene di pacche sul sedere. Penso a quella con Alberto Sordi e Franca Valeri ne "Il vedovo". Che facciamo, censuriamo?
«La cancel culture porterà a togliere ogni riferimento ad atteggiamenti come questi. Quello che allora era considerato ironico diventerà simbolo di un comportamento scorretto. E il film con Sordi verrà censurato».
A Sgarbi è mai capitato di essere palpeggiato?
«Dico di più, sono stato molestato e violentato da donne, ma non ho mai denunciato, sopportando in silenzio. Quanto alle pacche sul sedere, se una me la fa, le dico: “Continua, continua…”
Non è l'arena, Greta Beccaglia e il video al rallentatore: "Dove mi ha messo la mano", cosa non si era notato. Libero Quotidiano il 09 dicembre 2021. Greta Beccaglia, la giornalista molestata fuori dallo stadio durante la diretta tv, ospite di Massimo Giletti a Non è l'Arena, su La7, nella puntata dell'8 dicembre, racconta quei momenti. "Mi ha fatto paura, mi ha toccata", dice. Quindi il conduttore manda in onda gli ultimi secondi al rallentatore del video in cui si vede che viene palpeggiata e c'è un uomo col cappuccio che "l'ha toccata anche davanti". "Non c'è violenza sessuale, c'è maleducazione, ingiuria e mancanza di rispetto...", commenta Vittorio Sgarbi, anche lui ospite nello studio di Giletti. "Quando un omosessuale mi tocca le pa*** io non reagisco e sorrido, quando una donna mi tocca il c*** io non reagisco e sorrido". In collegamento c'è la giornalista Francesca Brienza: "Non era una semplice toccata, sputarsi sulla mano e dare uno schiaffo sul sedere a una donna è una forma di violenza. E' un fatto grave", commenta. "Ero in mezzo a dei leoni. E nessuno è intervenuto. C'era una totale indifferenza. E questo non è normale", aggiunge Greta Beccaglia. Peggio ancora: "Dopo l'accaduto e dopo la denuncia ho ricevuto tanti messaggi di solidarietà ma anche messaggi negativi e minacce, che mi hanno ferita", conclude la giornalista, "ma mi hanno dato la forza per continuare".
Da repubblica.it il 9 dicembre 2021. Trenta donne hanno partecipato alla cena di solidarietà in favore di Andrea Serrani, ristoratore di Chiaravalle (Ancona) indagato per il reato di violenza sessuale dopo aver molestato l'inviata di Toscana Tv Greta Beccaglia. Il ristorante il Ranocchio, di cui l’uomo è proprietario, ha ospitato la serata di sole donne. Da quando è scoppiato il caso, nel pieno delle polemiche, il locale era rimasto chiuso. A riaprirlo pochi giorni fa era stata la compagna di Serrani, Natascia Bigelli, in assenza di Andrea Serrani, che si era allontanato da Chiaravalle per qualche tempo. Intorno alle 21 di ieri, lunedì 6 dicembre, come annunciato sul gruppo Facebook ‘Amiche e amici di Andrea’, un gruppo di donne si è dato appuntamento nel locale per esprimere solidarietà all’uomo che quando ha fatto la sua comparsa nel ristorante, è stato accolto da un fragoroso applauso, come riportato da alcune testate locali. Gli amici e i conoscenti di Serrani gli rimproverano il gesto, ma dichiarano di stringersi attorno all’uomo per proteggerlo dalla gogna mediatica e dagli hater. Intanto in Toscana la Giunta regionale si costituirà parte civile a carico del responsabile delle molestie subite dall’inviata, se e quando sarà attivato un procedimento a suo carico. A presentare la mozione in aula, approvata all’unanimità, è stato il consigliere Marco Stella (Forza Italia): "Quanto successo a Empoli non possiamo derubricarlo come l'atteggiamento di uno stolto, ma va condannato con fermezza" ha dichiarato il consigliere.
Massimo Falcioni per tvblog.it il 30 novembre 2021. Vittorio Sgarbi show a Quarta Repubblica. Nel talk di Nicola Porro è stata affrontata per qualche istante la vicenda riguardante Greta Beccaglia, la giornalista palpata sabato scorso da un tifoso in diretta tv fuori dallo stadio di Empoli dopo il match tra i padroni di casa e la Fiorentina. “Oggi sono stato insistentemente toccato da due donne che mi hanno sfiorato il culo e non ho denunciato”, ha detto il critico d’arte collegato con Nicola Porro. E ha aggiunto: “Gli omosessuali che incontro mi toccano sempre le palle e non ho mai detto niente”. Contestato da Paolo Cento, Sgarbi si è prima scagliato contro l’interlocutore (“vaffanc*lo, vaffanc*lo, vaffanc*lo, cogl**ne”), per poi proseguire con la sua valutazione: “Se un omosessuale mi tocca le palle lo prendo per una battuta e mi capita sempre. Una donna può stare al gioco, oppure può denunciare ed essere risarcita con 1000 euro. Fai una multa contro la maleducazione, non parli di violenza sessuale. Non è violenza, non è violenza, non è violenza”. Intanto, è stato sospeso dalla conduzione Giorgio Micheletti, che guidava dallo studio il live di Toscana Tv. Nel comunicato ufficiale l’emittente ha spiegato: “Abbiamo condiviso con il giornalista di concedergli l’opportunità di un momento di riflessione e di pausa professionale nella conduzione del format ‘A Tutto Gol’, al fine di chiarire lo svolgimento dei fatti riservandoci di valutare eventuali provvedimenti disciplinari“. Micheletti si è detto “dispiaciuto” per il provvedimento, tuttavia ha riconosciuto che “la decisione presa di comune accordo con l’emittente sia adesso la soluzione migliore”.
Dagospia l'1 dicembre 2021. FLASH! - FACEBOOK HA SOSPESO PER UNA SETTIMANA L'ACCOUNT DI FILIPPO FACCI. IL MOTIVO? UN POST CON FOTO DI GRETA BECCAGLIA E QUESTA DIDASCALIA: "UHEILA, COME VA? SONO TOPO GIGIO. E QUELLA NELLA FOTO È UNA VITTIMA DI MOLESTIE SESSUALI"
Filippo Facci per "Libero quotidiano" l'1 dicembre 2021. Sono sessista. Scrivo a titolo personale perché non voglio coinvolgere Libero. Ma sono sessista: faccio prima a metterla così, senza spiegare, senza farmi ricattare da questa pandemia di demenza a cui non voglio prostituire la mia ventura senilità. Il caso della giornalista che ha fatto una tragedia per la pacca sul sedere (cioè: la stiamo facendo noi giornalisti, la tragedia) mi paralizza, va oltre la mia capacità di argomentare, non ce la faccio, e allora dico: sono sessista. Ammiro Vittorio Feltri e Giuliano Ferrara e Vittorio Sgarbi che ancora riescono a metterci dell'intelligenza pedagogica, a sforzarsi, adeguarsi al nulla del tempo: ma non sono neanche riuscito a leggerli sino in fondo. Sento dire di violenza sessuale, processi, contrizioni, vedo dappertutto la foto della vittima in bikini: che lei, secondo me, dopo 'sto casino, di pacche sul culo ne vorrebbe una a settimana. Lo dico perché sono sessista. E sono pure escludente (esclusivo suona male) perché dirò Natale, anche se non ho un'identità cattolica, e userò i pronomi, dirò signore e signora, dirò disabile e anche di peggio (se voglio che s' intenda la disabilità) e scriverò «la» Boldrini per far capire che è una donna, nero o negro se non s' offende nessuno, e cieco, muto, sordo, interista, ciò che mi fa distinguere nelle pieghe dell'unico e disperato genere che conosco.
Da ilnapolista.it l'1 dicembre 2021. La tifoseria organizzata deve sempre distinguersi per la propria intelligenza, deve continuamente dimostrare di essere innovativa. Sono uno spaccato visionario della nostra società, lungimirante, avanti anni luce rispetto al resto del mondo. Un esempio lo hanno fornito i tifosi della Fiorentina che questa sera, in occasione di Fiorentina-Sampdoria, e dopo il caso del tifoso viola che ha palpeggiato la giornalista di Toscana Tv Greta Beccaglia impegnata nel post-partita di Empoli-Fiorentina, non hanno trovato di meglio che esporre uno striscione che qualifica – ove mai ce ne fosse bisogno – il loro quoziente intellettivo: “Prima razzisti, poi sessisti. Ma mai giornalisti”. Avrebbero potuto stupire con uno striscione in difesa delle donne ma ancora una volta i tifosi organizzati hanno voluto ribadire il loro livello culturale. Nello striscione c’è anche il riferimento agli insulti razzisti nei confronti di Koulibaly. Per fortuna ci ha pensato il presidente viola Rocco Commisso a scusarsi con la giornalista anche a nome del tifoso. Come ha ricordato la stessa Beccaglia: Commisso mi ha chiesto scusa a nome del tifoso, poi abbiamo parlato e fatto una foto. È stato molto carino e mi ha espresso tutta la sua solidarietà riguardo la situazione. Che effetto mi fa tornare allo stadio? Vorrei ricominciare subito a lavorare, per me l’obiettivo è quello di tornare alla normalità e spero che quello che è successo possa cambiare qualcosa”, le sue parole riportate da ‘Firenzeviola.it’. “Sono stata fortunata nella sfortuna, c’è stato un video, così c’è stata una testimonianza e ho potuto denunciare, spero che tante ragazze lo potranno fare. Penso che il Daspo sia la cosa sia più giusta, poi deciderà la giustizia.
Renato Franco per corriere.it l'1 dicembre 2021.
La prima riflessione?
«Che all’ignoranza e all’imbecillità non c’è mai fine. È triste, avvilente, che una donna possa ancora essere considerata come oggetto; è qualcosa di svilente, fuori contesto e fuori tempo».
Giorgia Rossi ha il calcio nel dna, ha mosso i primi passi per Roma Channel, adesso è uno dei volti di punta di Dazn. La molestia a Greta Beccaglia, in diretta, nel dopo partita di Empoli-Fiorentina, «mi ha amareggiato tantissimo».
Più facile con il senno di poi, ma lei come pensa avrebbe reagito?
«L’effetto sorpresa non è irrilevante, perché non ti aspetti un gesto di quel genere. La mia professione è una priorità, ma quando viene intaccata la sfera privata anche nel contesto professionale si può reagire. Io tendenzialmente sono molto istintiva e penso che il mio primo slancio sarebbe stato quello di andargli contro, di sfidarlo, dirgli che non poteva andarsene e passarla liscia.
Poi capisco che è difficile, non sai cosa ti possa scattare in quei momenti. Comprendo anche la reazione della collega che è rimasta basita: è complicato gestire situazioni così in diretta. A me è sempre andata bene: non è mai successo, nessuna molestia né fisica né verbale».
Il conduttore Giorgio Micheletti è stato sospeso dal video per la sua frase inopportuna («Non te la prendere»), anche se poi durante la trasmissione ha detto che il molestatore meritava quattro schiaffoni...
«Il non te la prendere non è certo la frase più adatta, ma capisco anche che nella concitazione della diretta è facile distrarsi un attimo».
Al molestatore è stato dato un Daspo di tre anni...
«Bisogna partire da queste punizioni. Le società oggi sono attente, stanno collaborando; anche negli episodi di razzismo l’individuazione dei colpevoli attraverso le telecamere è sempre più frequente. Ci siamo sviluppati tecnologicamente e gli strumenti che abbiamo vanno usati, anche questo deve servire. Punizioni di questo tipo sono le misure giuste da prendere, non può passare tutto sotto traccia; è giusto dare l’esempio e far riflettere chi ha commesso un gesto inaccettabile. La riflessione è il solo modo per mettersi in discussione».
A lei non è mai successo, ma forse qualche coro pesante sì.
«In realtà quando sono in diretta pre-evento tendo ad isolarmi e non ci faccio caso. Mi sono capitati cori, ma non di quel tipo. Finché dicono che sei una bella ragazza con toni coloriti va bene, stai al gioco; ma quando si esagera diventa un’offesa».
Il mondo del calcio è soprattutto maschile, ha anche codici tribali: l’hanno fatta mai sentire un’intrusa in quanto donna?
«No, mai. È vero che il calcio è uno sport prettamente maschile, ma in questi anni sono entrate anche tante donne capaci. È ovvio, non siamo ipocrite, essere una bella ragazza ti può aiutare in un ambiente come quello televisivo, però credo che bisogna togliersi l’idea di fare sempre una distinzione costante tra uomo e donna.
La distinzione è tra professionista e professionista, nel bene e nel male; critiche comprese. È giusto che le donne abbiano pari possibilità, ma è anche giusto che chi le ha sia seria, professionale e preparata. Tanto quanto gli stessi uomini».
Il calcio, ma la società in generale, è ancora indietro su questi temi. Le chiavi per uscirne?
«Sono due. Prevenire con l’educazione e i messaggi positivi. Reagire e rispondere quando succede: la replica deve essere dura, ferma, deve servire come monito per il futuro. È l’unico modo per arginare questo fenomeno. Quando avvengono cose così l’educazione non serve: a essere troppo educati si passa per fessi. La risposta deve essere efficace: tutti devono sapere che il rispetto è alla base, che nessuno deve approfittarsi della presenza di una donna. Non è giusto far passare tutto come goliardia».
Da corriere.it l'1 dicembre 2021. La giornalista vittima di molestia in diretta televisiva pochi giorni fa all'esterno dello stadio dell'Empoli, Greta Beccaglia, è tornata in collegamento con Toscana Tv fuori dall'Artemio Franchi di Firenze per presentare il match della 13° giornata di campionato tra Fiorentina e Sampdoria. «Non vedevo l'ora di fare questo collegamento. Avevo bisogno di tornare alla normalità, sono notti che non riesco a dormire per quello che è successo», ha dichiarato Greta Beccaglia in diretta. «Ho incontrato il presidente Commisso e mi ha fatto un discorso positivo ed espresso la sua solidarietà», ha dichiarato la giornalista di Toscana Tv.
Estratto dell’articolo di Federica Cocchi per gazzetta.it l'1 dicembre 2021. Quando ci risponde al telefono lo capiamo subito, è allo stadio: c'è Fiorentina-Samp. Greta Beccaglia è già tornata a raccontare il calcio con tutte le sue sfumature. Lei ha conosciuto anche le peggiori, il branco, il sentirsi indifesa di fronte all'aggressione fisica. Ferite che restano nella mente, nel cuore, ancora più che sul corpo. Il video dello schiaffo sul sedere ricevuto dalla giornalista 27enne di Toscana Tv fuori dallo stadio di Empoli ha fatto il giro del mondo, stigmatizzato a tutti livelli: sport, spettacolo, pure politica. Un video servito anche a identificare il colpevole di quel gesto vergognoso. È il 45enne Andrea Serrani che ora si duole per quel gesto e ha provato a contattare la Beccaglia per scusarsi. Respinto.
Claudia Osmetti per "Libero Quotidiano" il 2 dicembre 2021. Ha scatenato un pandemonio e adesso non riesce più a uscirne. «Non sono un mostro», continua a ripetere Andrea, «non merito la gogna mediatica». Andrea è Andrea Serrani, il ristoratore marchigiano di 45 anni che, sabato sera, è finito sui tigì di tutte le reti. È lui che, al termine della partita Empoli-Fiorentina, davanti allo stadio Castellani della cittadina toscana, in un attimo di leggerezza, o forse di euforia, o vai a sapere bene di cosa, ha dato una pacca sul sedere alla giornalista Greta Beccaglia. In diretta, davanti a chissà quanti telespettatori. Un secondo, un gesto solo e (chiariamo subito) sbagliatissimo. Che gli sta costando caro: Beccaglia l'ha denunciato e si è ritrovato indagato (assieme a un altro tifoso) per violenza sessuale. L'accusa è stata formalizzata giusto ieri sera dalla procura di Firenze: adesso, rischia una condanna al carcere che oscilla tra i sei e i dodici anni. Così ha chiuso il locale che gestisce, ha un Daspo della validità di tre anni già in tasca ed è "scappato" precipitosamente da casa. Nel senso che la pressione che gli è scivolata sul capo, Andrea proprio non la regge. Quindi ha fatto i bagagli e si è trasferito in un "alloggio segreto" con l'intenzione di evitare i giornalisti che gli stazionano in giardino. «Non merito questa gogna che si è scaricata contro di me», racconta al quotidiano Il Messaggero, «non ho mai fatto male a nessuno e vivo la mia vita lavorando. Ero con un amico che avevo raggiunto a Firenze. Eravamo amareggiati, in pochi minuti la quadra era passata dalla vittoria alla sconfitta. C'erano alcuni giornalisti che chiedevano commenti a caldo. È stato solo un gesto goliardico. Non ho mai fatto male a nessuno». Ha un chiodo fisso, Andrea: la sua bambina, «temo le conseguenze che potrei subire riguardo a lei». Sui social, nel frattempo, si ammassano le reazioni. Due su tre sono insulti e offese, indirizzati non solo a lui, ma anche ai suoi famigliari e a quell'attività di ristorazione che (siamo onesti) c'entra un tubo con questa faccenda. «Se vengo a cena dai una sculacciata anche ame?», scrive qualcuno su Instagram. «Questo è un posto gestito da un molestatore seriale», recensisce (si fa per dire) qualcun altro su internet. Le sue difese le prende l'avvocato Roberto Sabbatini che, d'accordo, è di parte nel vero senso della parola (cioè, è stato ingaggiato da Andrea), ma che lo dice papale: «Il gesto del mio assistito è stato grave e lui si è perfettamente reso conto dell'imperdonabile errore che ha commesso. Ma questo linciaggio mediatico è esagerato. Anzi, è vergognoso». Non è il solo Sabbatini a voler raccontare di un altro Andrea. Uno «dolce e rispettoso, sempre presente nelle difficoltà di chi ha vicino». Sono le parole di Natascia Bigelli, la sua compagna. Lei lo chiama «Andy». «Andy», racconta sulle pagine anconetane de Il Resto del Carlino, «è un grand uomo, un papà speciale, un amico di tutti. È solo un burlone. Ci stiamo facendo forza a vicenda per quello che ci sta capitando siamo su tutte le tivù e su tutti i giornali». Non ce ne è uno (e anche questo va puntualizzato) in casa Serrani che provi minimamente a scusare quella pacca. «Non si fa, lo sappiamo», continua Natascia, «ma far passare Andrea da maniaco a violentatore è un fatto che ammazza». Sono diversi i messaggi di solidarietà che arrivano da amici e conoscenti. Intanto il ristorante di Chiaravalle (Ancona) resta chiuso e riaprirà solo nel fine settimana e a casa Andrea non ci torna. «Valuteremo quali decisione prendere anche in merito al Daspo», aggiunge l'avvocato Sabbatini, «al momento la pena di tre anni ci sembra spropositata. Ma non è, chiaramente, questo l'aspetto che ora turba maggiormente. Purtroppo non sono riuscito a parlare con il collega che difende la dottoressa Beccaglia, proverò a ricontattarlo tra qualche giorno, quando il clamore mediatico intorno a questo episodio si sarà placato». Dal canto suo la vittima, Greta Beccaglia, non le manda a dire: «Non dormo da tre giorni», dichiara, «ma per me l'obiettivo era tornare il prima possibile alla normalità e a fare il mio lavoro. Spero che quello che è successo possa cambiare qualcosa. Nella sfortuna sono stata fortunata perché le telecamere hanno ripreso tutto e quel video è una testimonianza».
Sui social si moltiplicano gli insulti. Caso Greta Beccaglia, il tifoso costretto a scappare in un luogo segreto: “Linciaggio vergognoso”. Fabio Calcagni su Il Riformista il 2 Dicembre 2021. Ha fatto un casino, un gesto sbagliato e per cui pagherà davanti alla giustizia trovandosi indagato per violenza sessuale e col rischio di una condanna che oscilla dai sei ai dodici anni. Ma nei confronti di Andrea Serrani, il ristoratore marchigiano di 45 anni che sabato sera ha avuto la malsana pensata di dare una pacca sul sedere della giornalista Greta Beccaglia, quella che sta avvenendo è una vera e propria gogna.
Non parliamo solo dei media, dei quali lo stesso Serrani ha fatto uso nel tentativo di chiedere scusa all’inviata di Toscana Tv, ma anche da ‘privati cittadini’.
E le ripercussioni sono state tali da spingere il ristoratore a fare i bagagli e a trasferirsi in una località segreta per evitare le orde di giornalisti che stazionano davanti casa, dove Serrani vive con figlia e compagna.
“Non merito la gogna mediatica che si è scatenata contro di me – ha dichiarato al Messaggero Serrani -, non ho mai fatto male a nessuno e vivo la mia vita lavorando”.
“Posto gestito da un molestatore seriale“, scrive invece un utente tra le recensioni del suo ristorante “Il Ranocchiaro”. Parole devastanti per la famiglia, con la compagna Natascia che prova a difenderlo, senza provare a giustificare il comportamento del fidanzato: “Non si fa, lo sappiamo, ma far passare Andrea da maniaco a violentatore è un fatto che ammazza”, aveva spiegato a Il Resto del Carlino.
Tra tanti messaggi di odio chi non ha lasciato solo Andrea sono i suoi amici, che si sono riuniti anche online in un gruppo lanciato su Facebook. Una scelta per mostrare solidarietà al 45enne di Chiaravalle perché, pur condannando il gesto, si debba reagire contro la gogna mediatica che si è venuta a creare.
Per ‘alleggerire’ il clima non sono bastate neanche le parole ai microfoni de ‘Le Iene’ del ristoratore: “Mi scuso per il gesto. Non riesco a spiegarlo. Ora vorrei contattare la giornalista e chiederle scusa – aveva spiegato il 45enne – A casa mi hanno detto ‘come ti è venuto in mente’, me l’ha detto anche la mia compagna. Sanno che non sono una persona cattiva, stiamo passando tutti i dispiaceri possibili del mondo. Non sto bene. Uno lavora una vita, crea una vita, e guarda per una cosa così”, aveva detto Serrani nei giorni scorsi.
Una situazione complicata confermata anche dall’avvocato del 45enne marchigiano, Roberto Sabatini, che ha sottolineato come Andrea sia “scosso e molto provato. Il suo gesto è stato grave e lui si è perfettamente reso conto dell’imperdonabile errore che ha commesso. Nessuno di noi intende minimizzare l’accaduto e tutti siamo molto sensibili al tema della violenza sulle donne ma mi sento di dire che il linciaggio mediatico a cui è sottoposto il mio assistito è esagerato, anzi, vergognoso”.
Fabio Calcagni. Napoletano, classe 1987, laureato in Lettere: vive di politica e basket.
SARA FERRERI per ilrestodelcarlino.it il 3 dicembre 2021. "Un flash mob per Andrea che non ha mai usato violenza e anzi ha sempre rispettato le donne". Ieri sera ha riaperto la trattoria pizzeria "Il Ranocchiaro" di Andrea Serrani, il 45enne chiaravallese finito sotto i riflettori di tutto il mondo per la palpata alla giornalista tv, Greta Beccaglia, che stava svolgendo il suo lavoro davanti alla telecamera. A riaprire (era rimasto chiuso dopo il clamore mediatico attorno alla vicenda) il locale di viale Rinascita è la compagna di Andrea Serrani, Natascia Bigelli che abbraccia amici e clienti che hanno organizzato ieri sera un flash mob senza striscioni né slogan, ma solo "in segno di solidarietà e vicinanza" ad Andrea e alla sua famiglia allargata. Durante il flash mob la chiamata in diretta ad Andrea, con una standing ovation per il ristoratore chiaravallese, che ha ringraziato tutti per l’affetto. Lo hanno pregato di andare al locale ma lui ha preferito restare a casa con la sua figlioletta, ancora lontano dai riflettori. Lei, Natascia Bigelli, è ancora provata, ha appena chiuso la chiamata con un signore che voleva ordinare "due molestie". "Chiediamo solo di tornare a una vita normale – spiega Bigelli – fatta di lavoro e di affetti in una piccola realtà com’è Chiaravalle. In questi giorni sta arrivando di tutto via social, spuntano minacce anche verso i nostri figli e accuse gratuite. Il mio compagno ha sicuramente sbagliato, ha fatto una cosa che non si fa e se n’è reso conto. Dopo l’accaduto mi ha chiamato dicendo di aver sbagliato e ha subito chiesto scusa a tutti. Io avrei dovuto raggiungerlo per fare una piccola vacanza a Firenze ma ci è piombato addosso il mondo. Lui risponderà in tribunale di quel gesto e pagherà, anche se non può essere equiparato a un violentatore – sottolinea ancora la compagna di Serrani –. Sono arrivati anche commenti pesanti e telefonici a mio figlio maggiore oltreché a noi. Un vero linciaggio. Parole davvero irripetibili e che mai avrei immaginato nei nostri confronti. Spero che questo incubo finisca presto". Nadia Imberti racconta: "Andrea mi è stato molto vicino dopo il mio divorzio. Ha preso a cuore me e mio figlio quando eravamo in difficoltà. Ci portava anche la pizza gratis. Una persona che di fronte alla sofferenza apre il suo cuore. Lui è un burlone, ma ha rispetto per tutti. Mi aspettavo che la giornalista non lo denunciasse valutando che è stata più una burla, una cosa fatta senza pensarci ma non con cattiveria. La molestia è ben altro. Lui ha chiesto scusa e cercato di avere il suo perdono". "Andry ha chiesto scusa – le fa eco Roberta – si è reso conto di aver sbagliato, ma questo non ha avuto nessun effetto. Mi auguro che questa storia venga rivalutata dalla giornalista: è stato un gesto istintivo, spontaneo e burlone come lui, che tutto questo casino non se lo merita proprio".
(ANSA l'1 dicembre 2021) - Insulti all'inviata della Vita in diretta - "giornalisti infami" - durante il collegamento da Chiaravalle (Ancona) dove risiede l'uomo accusato di aver palpeggiato la giornalista Greta Beccaglia mentre era in diretta nei pressi dello stadio di Empoli dopo la partita Empoli-Fiorentina. È l'Ordine dei Giornalisti delle Marche a intervenire per stigmatizzare quanto accaduto ieri a Chiaravalle. L'Odg Marche "stigmatizza e condanna le aggressioni verbali delle quali è stata fatta oggetto la giornalista Ilenia Petracalvina in collegamento da Chiaravalle con la Vita in diretta". "Dopo il deplorevole episodio in Toscana ai danni della collega Greta Beccaglia, - lamenta l'Ordine dei giornalisti marchigiani - ancora segni di inciviltà con insulti questa volta diretti a tutta la categoria dei giornalisti, solo perché si cerca di capire e far capire raccontando i fatti accaduti. Quando i servizi sono scomodi si alza la barriera contro l'informazione, considerando infami i giornalisti. In altre occasioni invece li si lusingano". "È il solito discorso - conclude l'Odg Marche -: molti vogliono vedere i giornalisti come cani da salotto, invece dovranno abituarsi a considerarli sempre più cani da guardia e interpreti dei diritti costituzionali, bilanciando quelli individuali con quelli collettivi, senza spettacolarizzare né strumentalizzare i fatti".
Concita De Gregorio per invececoncita.blogautore.repubblica.it l'1 dicembre 2021. Posto che la bellezza:
1) E’ un dono, non un merito né una colpa.
2) Risponde a canoni variabili, discende dall’epoca e dal luogo. Grassezza, magrezza, pallore, abbronzatura, volumi di singole parti sono pregi o difetti a seconda del secolo, del continente, delle divinità di riferimento, dello stile di vita.
3) E’, certo, negli occhi di chi guarda. Sollecita ciò che siamo.
4) Non ha nessuna relazione con l’intelligenza, la spiritualità, il talento e altre categorie legate al carattere e alle capacità eventualmente sviluppate con disciplina. Esistono persone belle e idiote, belle e geniali, belle e corrotte, belle e premio Nobel per la pace e via combinando.
5) Nel caso in cui sia esibita, non è mai un invito a toccare. Che si tratti della Gioconda appesa al muro o della ragazza al bancone del bar. Per essere toccata deve esserne lieta (la ragazza, dico. La Gioconda mai, del resto non può chiederlo). 6) Chi tocca senza il consenso della toccata esercita violenza. Deve essere perciò punito e prima ancora considerato dalla comunità un minus habens. Chi ride o sminuisce la violenza la legittima. 7) L’abbigliamento non rileva. Coperta da velo o in tanga a fare lap dance: no è no.
Detto questo mi domando se nel giornalismo televisivo sportivo la ricorrenza di conduttrici e croniste con fisico da pin up (possibili talenti, come detto al punto 4) sia una casuale ricorrenza statistica, cioè se le pin up proliferino lì più numerose che in natura o se sia invece un criterio di selezione adottato da chi ha il potere di scegliere - editori, direttori, capiredattori - con la speranza di sollevare, si dice, l’audience. Perché se così fosse - ma è solo un dubbio - sarebbe questo, credo, il punto.
Da “La Zanzara - Radio24” l'1 dicembre 2021. “Greta? È tutto esagerato. Il gesto che ha fatto quel tizio è di una cafoneria insopportabile, io non lo farei mai. È un imbecille, ma non è un’aggressione, è uno schiaffetto sul culo. Fare passare questa cosa come una violenza sessuale mi sembra un’esagerazione insopportabile”. Così Vittorio Feltri a La Zanzara su Radio 24 sul caso di Greta Beccaglia, la giornalista di Toscana Tv molestata in diretta sabato scorso. “Lui – prosegue Feltri - deve chiedere scusa, ma quando sento che si propongono dai sei ai dodici anni per una palpata di culo mi sembra eccessivo. Poi pensatela come volete”. “È una molestia – dice ancora Feltri - ma la violenza è altra cosa. È chiaro che se stai facendo la tua trasmissione e ti toccano il culo ti scoccia. È stato un raptus, le ha toccato il culo non è che glielo ha sfondato. È uno scemo, un minorato. Non è avvenuto altro, è stata una cafonata, una cosa schifosa che va condannata. Ma da lì a passare come violenza, dai… Non è violenza. Non è durata dieci minuti, è una pacca sul culo, non l’ha presa e sbattuta… ma quale aggressione su…”. Ma la violenza è anche questa, ribatte David Parenzo: “Ma una bottarella sul culo non è un pugno in faccia. Non è violenza, impara l’italiano”. E il conduttore Micheletti è stato accusato per una frase estrapolata ed è stato sospeso: “Questa è una mascalzonata”.
Natalia Aspesi per “la Repubblica” l'1 dicembre 2021. (...) Ho voluto rivedere più volte gli attimi, meno di un secondo, delle immagini incriminate e ho visto: una ragazza carina con microfono, jeans e giubbino, raccontare la fine della partita Empoli-Fiorentina all'uscita, un gruppo di tifosi maschi come sempre eccitati correre via, e il più arrabbiato, immagino io, per la sconfitta della sua squadra ha sfiorato con la mano sinistra la natica destra della giovane cronista che, sorpresa per un secondo, da brava professionista ha continuato il suo lavoro. Bisognerebbe anche ricordare che il tifoso non è solitamente maestro di bon ton, e ne fa anche di molto peggio: e al massimo gli fanno una sgridatina e via. Io sto ovviamente con la collega, ma non col clamore che ha suscitato, non meno indignato (ma mi auguro più brevemente) di quando un reporter viene ucciso sul suo lavoro, come purtroppo capita. Ho letto e sentito i soliti sfregi all'italiano, per esempio definire schiaffo (che si riferisce solo al volto) la manata sul sedere, chiamare "parti intime" le natiche valorizzate dai jeans quindi non particolarmente occultate, definire "palpeggiamento" un tocco veloce e paragonarlo a un "crimine". C'è chi mi ha scritto come uomo "di sentire il dovere di proteggere le sue donne" (non so le altre), guai se capitasse loro una cosa così, saprebbero cosa fare! A parte che le donne sono in grado di difendersi, malgrado la moda, del resto già alla fine, del vittimismo: decenni fa quando ventenni sui tram affollati una mano o altro sul sedere era abituale, ci eravamo allenate con un famoso colpo di fianco che provocava mugolii al malcapitato villano e stroncava ogni suo maldestro tentativo di sopruso. Forse eravamo più forti, forse più cattive, forse persino più allegre. Per cui mi dispiace io, e spero non solo io, oggi voglio fare la differenza tra offesa e crimine e penso che una mano sul sedere esiga delle scuse ma non meriti l'ergastolo, anche perché penso che nel tempo del fattaccio tre persone morivano sul lavoro. Tutti ad occuparsi di quel sedere, nessuno di quei tre morti. Quindi grazie Repubblica, che non sempre mi piaci, per aver osato ricordarcelo e farci provare vergogna.
Lucia Esposito per “Libero quotidiano” il 3 dicembre 2021. «Di sicuro il passare degli anni non le giova». «Ha pestato una m...», «Ultimamente la Natalia Aspesi, giornalista straordinaria che stimo, sta perdendo colpi secondo me è scoccata l'ora di lasciare spazio ai giovani». Da giorni i social vomitano offese e insulti contro di lei, ma la giornalista di Repubblica non si scompone. «È ovvio che mi attacchino, ben vengano gli attacchi anche perché se non ti attaccano non esisti. Adesso sto scrivendo un altro articolo sulla vicenda...». La vicenda è la stessa da giorni: la pacca sul sedere della giornalista toscana Greta Beccaglia e il daspo di tre anni con cui il tifoso della Fiorentina dalla mano morta (ma lesta) è stato punito. La Aspesi, femminista storica, ha scritto quello che pensa: «Credo che una mano sul sedere esiga delle scuse ma non meriti l'ergastolo, anche perché penso che nel frattempo tre persone morivano sul lavoro». L'onda anomala di una marea livida si è alzata contro di lei, incontrollabile come sempre quando nei social si riversa tutto l'odio di chi non ammette un pensiero divergente rispetto a quello dominante, di chi non tollera che un'opinione segua una direzione contraria e pretende di ricompattare tutto sotto l'insegna del pensiero unico. Ma la signora del giornalismo non si ritira di un millimetro, anzi fa un passo avanti: «Pensiamo a cose serie. Se diamo tutta questa importanza a una vicenda come questa, vuol dire che siamo davvero caduti in basso. Domenica scorsa mentre tutti inorridivano per la molestia davanti allo stadio, tre persone morivano sul lavoro. Tutti si occupavano di quel sedere, nessuno di quei tre morti. Adesso la saluto perché devo andare a scrivere». La giornalista non ci concede altro tempo, ma il suo pensiero è chiarissimo: condanna senza sconti della molestia, solidarietà alla collega, ma diamo agli eventi il peso che meritano. Impariamo a non omologare i fatti: la notizia di tre persone che perdono la vita mentre lavorano è molto più grave di una mano sul sedere che è un atto da condannare ma non è un crimine. Certamente il suo pensiero è tutt' altro che omologato sia rispetto al giornale per cui scrive sia nei confronti delle battaglie del movimento femminista. Diverse e lontane da quelle lotte per cui lei stessa in passato si è battuta in prima fila. La Aspesi ha preso le distanze dalle novel le femministe che inorridiscono se un uomo osa fare dei complimenti, che considerano molestia anche il fischio di un ammiratore e che si attaccano alle desinenze delle parole credendo che sia una "a" a riequilibrare le differenze di genere. Ha seppellito senza rimpianti perfino il metoo quando in un'intervista a Vanity Fair ha detto che il movimento americano «ha parlato soltanto di donne famose, che se non la davano al produttore di turno al massimo perdevano lo status di diva. Ha ignorato le operaie, le commesse, le segretarie, quelle donne che rischiano di perdere il lavoro e non mangiare più». Ed ora, dopo giorni di discettazioni sociologiche e filosofiche su un uomo che tocca il sedere a una donna in diretta tv, Natalia Aspesi dice che no, quella palpata non è un crimine. E per questo finisce alla gogna. Ma nell'articolo la Aspesi sostiene un'altra cosa su cui tutte noi dovremmo davvero riflettere. Scrive: «A parte che le donne sono in grado di difendersi, malgrado la moda, del resto già alla fine, del vittimismo: decenni fa, quando sui tram affollati una mano o altro sul sedere era abituale, ci eravamo allenate con un famoso colpo di fianco che provocava mugolii al malcapitato villano e stroncava ogni suo maldestro tentativo di sopruso. Forse eravamo più forti, più cattive e perfino più allegre». E se davvero, fosse così? Se davvero fossimo diventate più deboli, più buone e anche più tristi rispetto alle nostre mamme che lottavano per l'aborto e il divorzio invece che per una "a" al posto della "o" alla fine di una parola?
NATALIA ASPESI per la Repubblica il 5 dicembre 2021. Pacca sul sedere numero 2. Per la pacca sul sedere numero 1 ( Repubblica 1 dicembre 2021) le reazioni sono state: maschi dolenti ma zitti; signore a cui per età a nessuno verrebbe in mente di sfiorarle perché nonna è ancora più sacra di mamma, abbastanza d'accordo con me, che forse avventatamente giudichiamo peggio morire stritolata da una macchina tessile che beccarsi una toccata là, persino là là; invece per le ragazze anche di giovinezza molto prolungata nei decenni, somma indignazione, quella mano veloce su jeans molto spessi, gronda violenza, patriarcato e buttiamo via la chiave. Naturalmente i maschi di casa nostra, tutti i nostri maschi sono mondi da queste turpitudini, come penso lo siano per le loro donne i toccanti delle altre, e quindi riassumendo, più o meno tutti gli uomini del mondo almeno una volta nella vita avranno peccato di toccamento: padri, figli, mariti, amanti, l'ortolano, il confessore, il politico di riferimento, della nostra e dell'altrui vita, anche perché questo toccator diabolico non ha caratteristiche particolari, fisiche, mentali, professionali, sociali, di censo. Non è una malattia, non è un vizio, non è un tic nervoso, non è una stortura psicologica, non è ereditaria né di una particolare etnia. È testosterone ribelle, è lesione dell'altrui spazio (questo non lo dico io ma i sapienti del ramo), è una massima villanata: ma se c'è qualcosa che tutti abbiamo perso è la buona educazione, il rispetto per gli altri, l'idea che minacciare di gola tagliata chiunque divaghi dal messaggio obbligatorio sia del tutto necessaria. E offrendo il petto ai pugnali delle assetate di giustizia, oso persino dire che se è vergognoso toccare un sedere, forse lo è anche chiedere per il colpevole il carcere duro. Noi che veniamo dal pleistocene femminista ci chiediamo, smarrite, ma se ne abbiamo fatte di tutti i colori per liberarci da una subordinazione davvero crudele che le femministe della generazione * neanche se la possono immaginare, siamo ancora qui, idealmente intoccabili ma barbaramente toccate? Dunque e lo dico pescando a caso nell'enorme riserva di brutture destinate alle donne, se nel passato (ancora negli anni '50) si riuscì a cancellare per sempre la consuetudine per cui, in caso di parto drammatico, era l'uomo a decidere chi doveva sopravvivere, la moglie o il figlio, e quasi sempre era il bambino, perché poi di donne ce ne erano tante a disposizione, come mai noi, voi, non siamo riuscite a educare i nostri zoticoni non solo a lavarsi le loro mutande, ma anche a non toccare il sedere ad anima viva a qualsiasi binario appartenga? Sia con mano morta che veloce colpetto? Certo il toccatore è un satanasso da individuare (guai se non ci fossero le telecamere ovunque, non ci sarebbero nemmeno i thriller), arrestare, processare, condannare, chiudere in galera e la sua famiglia si arrangi, ma non si poteva con la pazienza o la bastonata necessaria, far capire che se una donna può diventare presidente della Repubblica, bisognerebbe cominciare col non toccarla se non su richiesta esplicita? Mentre alle signore fuori di sé per l'accadimento delittuoso, vorrei dire: se la parità di genere, di carriera, di abbigliamento, di gabinetto, non vi ha insegnato a impedire che vi tocchino, anche voi avete sbagliato qualcosa: perché i toccatori non vivono in un'altra galassia ma attorno a voi, non sono degli alieni invasori, sono vicino a voi da sempre, alcuni anche dalla loro nascita e voi li avete fatti uomini, allevati ed educati, blanditi e protetti, corteggiati, amati, sposati. E poi perché attribuite a voi la fragilità e a loro la forza, a voi la purezza e a loro il peccato? Se non sapete fermarli, e basta un fuggevole tocco per non farvi dormire più notti (noi dormivamo anche sotto i bombardamenti) perché non li ricambiate? Perché non li toccate voi, così per dispetto, per minaccia, per prenderli in giro? Post Scriptum pacca sul sedere numero 2: in questo momento ho avuto una illuminazione e dovrei chiedere scusa alle indignate, però non tanto: per voi la pacca sul sedere è il massimo dell'affronto perché gli altri, quelli che ci impedivano di vivere (per favore, se non lo avete già fatto, leggete Dalla parte di lei di Alba de Cespedes, 1949, ripubblicato mesi fa), sono stati in parte risolti dalla generazione che si risvegliò negli anni '70. Una pacca sul sedere era così niente al confronto, che ne ridevamo. Ma se vi guardate attorno, oltre all'umiliante toccamento, il patriarcato domina ancora, sempre pronto a fregarvi, a togliervi i diritti. Quindi ricominciate a guardare oltre.
Amabili like. L’isteria da pacca sul culo, il vittimismo fotogenico e le verità che non ci piacciono. Guia Soncini su L'Inkiesta il 2 Dicembre 2021. Come dimostra la vicenda dell’uomo ingiustamente accusato dello stupro di Alice Sebold, bisogna smettere d'illudersi: il mondo non lo cambieranno gli indignati in servizio permanente, ma le persone che indagano a fondo, non accontentandosi di credere alla versione che fa prendere più cuoricini su Instagram. Forse la domanda non è più solo «ci sono discriminazioni di cui sia più conveniente essere vittime»: forse la domanda è se ci siano reati le cui vittime siano più ascoltate di altre. E non dipende dal loro essere i reati peggiori: solo quelli più di moda. In questi ultimi anni, ve ne sarete accorti se eravate sì su Marte ma col wifi, vanno di moda i reati sessuali. Sono gli unici cui c’interessiamo, gli unici ai cui colpevoli non concediamo il beneficio del dubbio, gli unici – che il dio delle parole mi perdoni – notiziabili.
Abbiamo per il sesso (inteso sia come avance sessuale sia come genere sessuale) un interesse così morboso che sembriamo usciti da un convento l’altroieri. E, sempre come chi scopra il mondo senza essere preparato ad affrontarlo, perdiamo completamente il senso delle proporzioni.
In questi giorni la cosa più grave successa in questo secolo non è più che qualcuno abbia notato che una serie parlata in romano è effettivamente parlata in romano, come ci sembrava la settimana scorsa, quando lo scandalo della romanità incomprensibile ad alcuni infelici pochi aveva superato l’11 settembre, il Bataclan, e persino il MeToo nella notiziabilità locale.
Il sesso è tornato a spadroneggiare: la cosa più grave successa in questo secolo è che un tizio abbia dato una pacca sul culo a una tizia. Oddio, “sesso”: un culo vestito è così poco oggetto sessuale che Instagram nemmeno te lo censura.
Ma non importa, perché la pacca è stata data davanti alle telecamere, fornendoci – oltre che una struggente prova di fessaggine del tizio – indignazione così pronta che sarebbe stato uno spreco non approfittarne.
E quindi ecco i penalisti amatoriali disquisire sui social di come quella sia violenza sessuale e il tizio verrà condannato a una pena tra i sei e i dodici anni. Ma, benedetti figlioli, posto che in confronto a me Travaglio è Cesare Beccaria e io vi manderei tutti in galera senza passare dal via ancor prima che tocchiate un culo, già solo perché andate allo stadio; ecco, premessa la premessite, se per una pacca sul culo condannassero a sei anni, per uno stupro quanti dovrebbero darne: seicento?
Ma non è dell’isteria da pacca sul culo che voglio parlare, e neanche del fatto che una pacca sul culo vi sembri più grave delle morti sul lavoro (come saggiamente notò mesi fa Natalia Aspesi, persino il tizio che fischia per strada vi sembra più grave di quel fenomeno per niente portatore di cuoricini su Instagram che è l’operaio che casca dall’impalcatura).
Voglio parlare di Alice Sebold, di cui avete probabilmente letto Amabili resti (o avete visto il film). Quando aveva diciott’anni, la scrittrice venne violentata. L’uomo che vide per strada e credette di riconoscere e identificò in tribunale si fece diciott’anni di carcere.
Su quella storia, la Sebold scrisse un libro, Lucky (in Italia lo pubblica e/o), il cui titolo viene dal poliziotto che le disse che era stata fortunata. Come il conduttore la cui inviata viene palpeggiata e che non ha la prontezza di riflessi di declamare Carla Lonzi in diretta, così il poliziotto che usa l’aggettivo sbagliato diventa immediatamente il cattivo della situazione, il simbolo di tutto ciò che non va, l’oggetto del nostro sdegno. Anche se era, la proporzione del poliziotto, inattaccabile: Sebold era stata in effetti fortunata rispetto alla ragazza che nello stesso posto era stata uccisa e smembrata.
Quattr’anni fa, Sebold ripubblica Lucky con una prefazione a sdegno garantito: «Sono passati trentasei anni da quando sono stata violentata, diciotto dalla prima edizione di Lucky, e solo due mesi da quando un molestatore seriale nonché orgoglioso palpeggiatore di figa è stato eletto quarantacinquesimo presidente di questi Stati Uniti». Sai quanti cuoricini assicurati, a dire che Trump è brutto e cattivo.
Nel frattempo l’accusato (da Sebold) era uscito di galera da un paio di decenni, trascorsi – come quelli precedenti – a proclamare invano la propria innocenza. Poi arriva l’antieroico eroe. Timothy Mucciante (che nome favoloso, sembra inventato da Puzo). Uno che non s’accontenta di schierarsi col vittimismo più fotogenico.
Mucciante doveva produrre il film tratto da Lucky. Nota delle incongruenze nella storia. Approfondisce. Dubita. Lo cacciano dalla produzione del film: alle donne si crede, le donne sono ontologicamente vittime, come osi dubitare, fascista e probabilmente maniaco sessuale che non sei altro. Mucciante s’incaponisce. Assolda un investigatore. Il tizio che i diciott’anni di galera se li è ormai fatti viene scagionato. Alice Sebold si scusa: le dispiace che a essere vittima del sistema giudiziario (un po’ anche della sua confusione mentale, che è legittima ma letale: siamo proprio sicuri di volerci basare sui ricordi che abbiamo dei nostri traumi?) sia stato l’ennesimo nero. Fosse stato bianco, la contrizione dell’accusatrice per errore sarebbe stata meno fotogenica.
Conviene non farsi rapinare: se qualcuno invece di derubarti ti tocca il culo, le forze dell’ordine lo identificano con molta più urgenza. Ma conviene anche smettere d’illudersi che il mondo lo cambieranno gli indignati in servizio permanente effettivo, quelli sempre pronti alla morte per la causa del giorno purché sia a presa rapida, i militanti della pruderie e i negazionisti delle gerarchie (gerarchie di tutto: di reati, di risorse, d’attenzione, di traumi, di gravità).
Conviene sperare in molti Mucciante disposti a essere la liceale più impopolare della classe e a ristabilire verità che non ci piacciono, ma che forse sono più importanti dei cuoricini.
(Il non colpevole si chiama Anthony Broadwater, aveva 22 anni quando fu condannato nel 1982. Si è detto «grato» delle scuse di Sebold. Lucky, il film, non si farà più. Di Lucky, il libro, l’editore americano ha detto che lo ritirerà dal commercio).
Filippo Facci per "Libero quotidiano" il 7 dicembre 2021. Troppo ego in questa rubrica: ma voglio solo ammettere un errore e lanciare un piccolo messaggio. L'errore è stato farmi intrappolare dal caso di Greta Baccaglia (pacca sul sedere) dopo aver accusato un sistema mediatico di cui alla fine ho fatto pienamente parte: ho scritto per dire di non scrivere, ho giudicato nel dire di non giudicare, ho incolpato per dire di non incolpare. Persino questa ammissione, ora, suona come un'escogitazione per allungare il brodo. Ma il caso di Greta Beccaglia resta una cronaca minore scappata di mano: perché non si può partire da una pacca sul sedere per azzardare una seria battaglia sulla violenza sessuale, non si può cacciare di casa un paccatore alla «Amici miei» per imputarlo di un reato da galera, e la signorina Beccaglia non vorrà, credo, vincolare la sua carriera a uno sgradevole incidente professionale a cui tutto sommato è sopravvissuta, come ha testimoniato in trecento trasmissioni tv. Che non sono finite: ieri sera c'è stato un talkshow serale sul tema, mercoledì ce ne sarà un altro. Ecco, voglio solo dire che mi hanno invitato (gentilmente, sul serio) ma che ho declinato. Vale poco: soprattutto se, come faccio da un paio d'anni, rifiuto inviti senza che lo sappia nessuno. Questa volta lo dico, perché da qualche parte bisogna pur cominciare. Non ci vado, fine. Se un tema è una cazzata, non si va in tv a dire che è una cazzata. Si fa altro.
Davide Giri e Greta Beccaglia, se un omicidio razzista indigna meno della pacca sul sedere. Gianluca Veneziani su Libero Quotidiano il 6 dicembre 2021. Ma non siete un po' indignati, arrabbiati, addolorati, no eh? Non c'è nulla che vi porti, per solidarietà, battaglia civile o reazione ideale, a inginocchiarvi o a scrivere un tweet sulla morte di Davide Giri a New York e sull'aggressione dell'altro italiano Roberto Malaspina per mano dell'afroamericano Vincent Pinkney? Ennò, perché la cancel culture ha davvero cancellato tutto, non solo la storia fatta da quei cattivoni di bianchi, ma anche il principio dell'equità di giudizio, a seconda di chi siano il criminale e la vittima, e soprattutto il sentimento elementare della pietà umana. La morte di Giri, accoltellato a New York senza alcuna buona ragione che non fosse verosimilmente il suo colore di pelle, si può considerare l'esito più tragico della cancel culture, cioè di quell'accanimento contro tutto ciò che ha a che fare con la presenza dei bianchi e il loro ruolo nella storia. Se fosse confermata la tesi del papà dell'altro ragazzo aggredito, per cui Pinkney sarebbe «un fanatico razzista che odia i bianchi. Mio figlio ha tutte le caratteristiche per essere bersaglio di uno così, pelle e capelli chiari», non si tratterebbe solo di un caso di criminalità, posto che l'aggressore non è uno stinco di santo, ma membro di una gang. Né sarebbe solo un episodico e sanguinoso caso di razzismo al contrario. Ma la tragedia si potrebbe giudicare il prodotto estremo di una (in)cultura che intende sbarazzarsi dei bianchi, cancellandone le tracce del passato (da cui l'abbattimento di statue), cambiando loro i connotati nei film (vedi il fenomeno del blackwashing, per cui personaggi bianchi vengono interpretati da afroamericani) e, in fin dei conti, colpevolizzando i bianchi di essere tali. Rei per statuto ontologico, antropologico e cromatico. E quindi degni di essere eliminati, anche fisicamente. Così, in menti criminali come quella di Pinkney, dall'assalto alle statue si arriva all'aggressione agli individui, dal vandalismo all'omicidio. Di fronte a episodi simili in un Paese normale ti aspetteresti una levata di scudi, un'inginocchiata collettiva come quella dopo l'uccisione di George Floyd, lenzuolate di commenti sui giornaloni ed esternazioni sdegnate a mezzo social da parte dei principali intellettuali e politici. E soprattutto ti aspetteresti un minimo di vicinanza ai familiari della vittima e all'altro ragazzo ferito. E invece, eccetto sparuti casi, il nulla. Dove sono le Boldrini e gli Zan che si genuflettevano in Parlamento per manifestare solidarietà alla comunità afroamericana vessata dai bianchi? Dove sono le conduttrici tv che credevano sacrosanto dichiarare la propria adesione alla causa del Black Lives Matter e gli scrittori (o meglio, scrittor*) alla Murgia e Saviano che vedono xenofobia ovunque? E dove sono i calciatori che si mettono ginocchia a terra prima delle partite per denunciare la dilagante minaccia razzista? Potrebbero farlo anche ora, visto che anche Davide giocava a calcio ed è stato aggredito mortalmente proprio dopo un allenamento. Perché nessuno di loro lancia una campagna #WhiteLivesMatter? Forse perché si considera quasi normale e non notiziabile che un nero uccida un bianco per motivi razziali. Al più si riduce la tragedia a un fatto di violenza, di degrado, di marginalità, né si fa mai cenno al fatto che l'aggressore fosse un nero (ieri Corriere della Sera e Il Fatto Quotidiano sono riusciti nell'impresa).
Muti sull'italiano ucciso a NY, scatenati per la pacca sul sedere: Pietro Senaldi, che vergogna i nostri politici
Basti pensare a cosa sarebbe accaduto a parti invertite, e cioè se un afroamericano fosse stato ucciso da un ragazzo bianco, fanatico razzista. Tg e giornali avrebbero aperto su quello, le più alte istituzioni dello Stato avrebbero lanciato sermoni sull'allarme discriminazione, i leader di partito si sarebbe sentiti in dovere di condannare l'episodio, cospargendosi il volto di nero. In questo caso, invece, non ne vale la pena... Ma che volete farci, ultimamente presidenti di Camera, capi politici e intellò sono troppo impegnati ad aggiungersi al coro contro la violenza del secolo: la palpata a Greta Beccaglia. Quando si tratta di una toccatina di culo hanno il tweet facile, quando viene ucciso un ragazzo bianco chissenefrega.
Pacca sul sedere: è reato se la mano rimane sul lato B. Marina Crisafi su StudioCataldi.it il 26 ago 2016. Per la Cassazione, è violenza sessuale la permanenza della mano sulla zona erogena per un apprezzabile lasso di tempo. La pacca sul sedere se la mano rimane sulla zona un apprezzabile lasso di tempo integra violenza sessuale. Ad affermarlo è la Cassazione, con la sentenza n. 35473/2016 depositata oggi e qui sotto allegata, tornando su un tema controverso in giurisprudenza. La mano "lesta" sul lato B se "isolata e repentina" e priva di concupiscenza non sempre era stata considerata reato, ma con la sentenza di oggi la Suprema Corte ha fatto dietrofront confermando la condanna nei confronti di un carabiniere per la toccata fuggevole ai glutei. Dichiarando il ricorso inammissibile, il Palazzaccio ha ritenuto la motivazione contenuta nella sentenza impugnata (della Corte d'appello di Perugia) dotata di una stringente e completa capacità persuasiva, con una puntuale argomentazione circa le circostanze di tempo e di luogo nel quale i fatti si erano verificati con specifico riguardo alle condizioni psicologiche della vittima. Ad inchiodare il militare era stata la stessa donna che una volta uscita dalla stazione dei Carabinieri aveva raccontato immediatamente tutto al proprio fidanzato. Inutile per lo stesso sostenere che ad entrare in contatto con il gluteo della donna sarebbe stata la fondina della pistola di ordinanza. La vittima infatti si era proprio resa conto che si trattava della pressione della mano "mantenuta per un tempo apprezzabile". Sicchè il giudice di appello non ha avuto dubbi sulla sussistenza dell'elemento soggettivo del reato contestato, in conformità con la costante giurisprudenza secondo la quale: "in tema di violenza sessuale vanno considerati atti sessuali quelli che siano idonei a compromettere la libera determinazione della sessualità della persona o ad invadere la sfera sessuale con modalità connotate dalla costrizione, sostituzione ingannevole di persona, abuso di inferiorità fisica o psichica, in essi potendosi comprendere anche quelli insidiosi e rapidi, che riguardino zone erogene su persona non consenziente (come, ad es., palpamenti, sfregamenti, baci, tra le molte Cass. 42871/2013). E per gli Ermellini non c'è storia: non può crearsi confusione, la palpata è reato. Cassazione, sentenza n. 35473/2016
Da ANSA il 30 novembre 2021. Il 63% delle parlamentari australiane a livello federale ha subito molestie sessuali, così come un terzo di tutti i dipendenti del Parlamento del Paese, tra staff e parlamentari: è quanto emerge da un atteso rapporto commissionato nei mesi scorsi dopo la denuncia - lo scorso febbraio - di uno stupro avvenuto due anni fa proprio in un ufficio del Parlamento. Lo riportano i media internazionali. A denunciare lo stupro era stata Brittany Higgins, oggi ex dipendente del governo, che aveva raccontato di essere stata violentata da un collega nelle stanze dell'allora vice ministro della Difesa dopo una serata con un gruppo di colleghi del Partito Liberale. Un episodio che aveva scioccato il mondo politico australiano. Commentando il rapporto, la Commissaria per la discriminazione sessuale, Kate Jenkins, ha detto che la grande maggioranza delle vittime di abusi sono donne. Lo studio indica infatti che il 63% delle parlamentari ha subito questo tipo di molestie contro il 24% dei loro colleghi maschi e una media nazionale per le donne del 39%. Nel complesso, il 51% di tutti i dipendenti del Parlamento del Paese (parlamentari inclusi) ha subito almeno un caso di bullismo, di molestia sessuale o di tentata aggressione sessuale. Inoltre, poco più di un quarto delle persone che hanno subito molestie sessuali hanno puntato il dito contro un membro del Parlamento. "Queste esperienze lasciano una scia di devastazione per gli individui e le loro squadre e minano le prestazioni del nostro Parlamento a danno della nazione", ha detto Jenkins, autrice del rapporto. Da parte sua, il premier Scott Morrison ha definito "spaventosi" i risultati del sondaggio, per il quale sono state intervistate 1.723 persone e 33 organizzazioni.
Da striscialanotizia.mediaset.it il 2 dicembre 2021. La notizia di Franco Di Mare condannato per aver diffamato il comandante della Polizia Locale di Verona ha fatto clamore, tanto siamo abituati che la faccia franca. Un esempio? I due pesi e due misure usati nei suoi confronti, nonostante le palpate alle colleghe, rispetto a quanto accaduto al giornalista di Toscana Tv che ha minimizzato le molestie subite da Greta Beccaglia
Dagospia il 2 dicembre 2021. Dall’account Twitter di Barbara Carfagna. Ci siamo difese da direttori che ci sbattevano al muro, in uffici chiusi. Quella di oggi mi sembra una situazione più semplice e una battaglia che si vincerà anche grazie al consenso sociale. La solidarietà andrebbe più al passato che alle future generazioni
Da "Anteprima. La spremuta di giornali di Giorgio Dell'Arti" il 2 dicembre 2021. Cinzia Fiorato, giornalista televisiva Rai ed ex conduttrice del Tg l , ha scritto un lungo post su Facebook a partire dalla molestia subita sabato scorso in diretta tv da Greta Beccaglia, al termine di Empoli-Fiorentina. Fiorato racconta le molestie, le discriminazioni e il sessismo che ha vissuto in Rai e non solo in oltre trent'anni di carriera. Parla delle poche colleghe della sua generazione che sono state «funzionali» a un sistema che, nella sostanza, per molto tempo non è cambiato e dice, alla fine, che ci sono stati dei miglioramenti, anche se «il pericolo di procedere con un passo avanti e due indietro è sempre in agguato». «Ho incontrato molti colleghi che hanno cercato di ricattarmi sessualmente nella mia vita professionale, ho avuto diverse "pacche" non gradite, commenti volgari, parole sussurrate, avvicinamenti arbitrari, sguardi invasivi e invadenti. Non mi è arrivato tutto solo dai colleghi e nemmeno solo dai miei superiori, il mondo della televisione è arricchito da diverse categorie i lavoratori, ci sono stati molti tecnici, molti impiegati, molti operai che si sono permessi cose che non si dovevano permettere, gravi e meno gravi. Una volta stavo aspettando in silenzio l'arrivo di alcune immagini dall'estero, a un certo punto, non si sa perché, il tecnico ha preso una cassetta betacam e mi ci ha dato con forza una pacca sul sedere facendomi male. Non lo avevo mai visto prima in vita mia. Gli ho urlato tutta la mia rabbia, certo, ma mi sono resa conto subito che eravamo soli nella stanza e la mia parola sarebbe stata contro la sua» (dal post su Facebook di Cinzia Fiorato).
Dagonews il 13 dicembre 2021. Quando a “toccare” le giornaliste in tv non erano i tifosi ma i piloti. Dopo il caso di Greta Beccaglia, la cronista molestata in diretta all’uscita dallo stadio, si è tornati a parlare di sessismo in tv. Sui social furoreggia un video del ’95 di "Mai dire gol" in cui la giornalista Claudia Peroni intervista i due piloti della Ferrari Gerhard Berger e Jean Alesi che si divertono a palpeggiarla. Una clip che, ai giorni nostri, susciterebbe un vespaio di polemiche. “Nel ’95 il mondo girava in un’altra maniera, era anche più maschilista. Se questa cosa fosse successa oggi, la mia reazione sarebbe stata diversa. Sono anche più esperta. Non glielo avrei permesso”, confessa Claudia Peroni, giornalista Mediaset ed ex pilota di rally. “Sono d’accordo con il pensiero di Sgarbi: “Quel che ha fatto Benigni con la Carrà nella celebre puntata di Fantastico, oggi non sarebbe più possibile. Così allo stesso modo anche quel siparietto con Berger e Alesi ai giorni nostri non sarebbe proponibile”. Nel video “incriminato” la Peroni cerca di stemperare: “Sarei sembrata ridicola se mi fossi offesa. In diretta devi imparare a gestire le situazioni. Il caso di Greta Beccaglia è diverso, nessuno è intervenuto in difesa della ragazza, non è stato gestito bene”. Secondo Cinzia Fiorato, ex conduttrice del Tg1, negli anni ’90 “se ti mostravi mortificata per queste cose ti dicevano che eri una psicolabile”. “Non condivido – ribatte Claudia Peroni – erano situazioni di lavoro che dovevi saper gestire autonomamente. All’epoca andai ospite in una puntata del Maurizio Costanzo Show dedicata alle donne che fanno lavori da uomini e dissi che noi donne dobbiamo imparare a difenderci e a rafforzarci”. Su questo la giornalista la pensa come Natalia Aspesi che su Repubblica ha scritto: “Decenni fa quando sui tram affollati una mano o altro sul sedere era abituale, ci eravamo allenate con un famoso colpo di fianco che stroncava ogni suo maldestro tentativo di sopruso”. Ma oggi la Peroni avrebbe preso a calci Berger e Alesi? “No, erano due abituati a scherzare e io avevo molta confidenza con loro. Ma sicuramente oggi li avrei messi a posto in maniera diversa…”
Striscia la notizia, Massimo Giletti e la palpata in diretta al seno di Rita Dalla Chiesa. Libero Quotidiano l'11 dicembre 2021. La tirata di Massimo Giletti contro le molestie sessuali a Greta Beccaglia non convince Striscia la notizia. Il conduttore di La7, nell'ultima puntata di Non è l'arena, aveva stigmatizzato l'aggressione subita dalla giovane giornalista di Toscana Tv fuori dallo stadio di Empoli: "Io concordo, questa è una molestia. Ma se continuiamo a sminuire quello che accade in certe situazioni poi rendiamo lecita qualsiasi cosa. Questa è una battaglia a un livello culturale becero, siamo rimasti quasi agli anni 50 ma almeno oggi se ne discute". Ma Antonio Ricci, fondatore e regista del tg satirico di Canale 5, ha la memoria lunga e rispolvera un vecchio video d'archivio datato 2012. Giletti è sul palco dello show Rai Penso che un sogno così dedicato a Domenico Modugno. Emma ha appena finito di cantare e il conduttore fa il galante: "A parte che sei bellissima...". E Striscia fa notare che "l'occhietto di Giletti si abbassa sulle gambe della ospite e poi la lingua si scioglie". "Stare da sola, stare single ti giova... Sei diventata bellissima". Emma in minigonna si aggiusta sullo sgabello e Giletti fa la battuta: "Mi raccomando chiudi bene che siamo su Rai1". Altro giro altro momento un po' piccante. Nel 1999 un giovanissimo Massimo abbraccia Stefania Orlando e la mano sale dal fianco fino al seno, costringendo la showgirl a togliergliela con nonchalance. Sempre a I fatti vostri, altra palpata a Rita Dalla Chiesa: "Le fa pure ballonzolare il seno!", sottolinea indignato Ezio Greggio nel video di Striscia dell'epoca.
Greta Beccaglia, l'ex conduttrice del Tg1 Cinzia Fiorato: "Pacche e molestie, non solo da colleghi e capi". Libero Quotidiano il 03 dicembre 2021. Continua a tenere banco il caso di Greta Beccaglia, la giornalista che al termine di Empoli-Fiorentina ha ricevuto una pacca sul sedere in diretta televisiva da parte di un tifoso. Partendo da quanto accaduto alla collega, Cinzia Fiorato (ex conduttrice del Tg1) ha scritto un post su Facebook in cui ha denunciato le molestie, le discriminazioni e il sessismo che ha vissuto in Rai e non solo in oltre trent’anni di carriera. “Ho incontrato molti colleghi che hanno cercato di ricattarmi sessualmente nella mia vita professionale - ha scritto la Fiorato - ho avuto diverse ‘pacche’ non gradite, commenti volgari, parole sussurrate, avvicinamenti arbitrari, sguardi invasivi e invadenti. Non mi è arrivato tutto solo dai colleghi e nemmeno solo dai miei superiori, il mondo della televisione è arricchito da diverse categorie i lavoratori, ci sono stati molti tecnici, molti impiegati, molti operai che si sono permessi cose che non si dovevano permettere, gravi e men gravi”. “Per fortuna oggi è cambiato molto - ha evidenziato l’ex conduttrice del Tg1 - per fortuna oggi la gogna comincia a essere per il molestatore e non per la molestata, come fu per me. C’è ancora qualcuno che nicchia, che non si arrende e ripete fra i denti ‘e che sarà mai’, ma il suo è un sussurro, fortunatamente. C’è ancora tanto da fare e il pericolo di procedere ‘un passo avanti e due indietro’ è sempre in agguato, ma dobbiamo resistere e insistere. Io sto ancora aspettando giustizia e spero che Greta - ha chiosato la Fiorato - l’avrà un po’ anche per me”.
Da tag43.it l'1 dicembre 2021. Mentre in Italia si continua a discutere della deprecabile vicenda di Greta Beccaglia, cronista di Toscana Tv molestata dopo il derby toscano Empoli-Fiorentina, in Francia accade il contrario: un ex giornalista di Canal+ è accusato di aver toccato il seno a una hostess durante il match Psg-Nantes.
Nuove accuse per Ménès e l’indagine della procura di Parigi
Pierre Ménès, 58 anni, come ha riportato Le Parisien, è oggetto di una indagine preliminare aperta il 20 novembre per aggressione sessuale. Secondo fonti concordanti, durante la partita al Parc des Princes, Ménès in qualità di spettatore avrebbe toccato in maniera inappropriata il seno di una hostess. Sentita dalla polizia, la presunta vittima non ha voluto sporgere denuncia, ma di fronte alle prove la Procura di Parigi ha aperto ugualmente un’indagine preliminare per violenza sessuale. L’avvocato dell’ex giornalista ha contestato ogni accusa. «Pierre Mènes ha assistito alla partita ed è stato in compagnia di tre persone per tutta la sera. Non c’è stato alcun problema», ha spiegato il penalista rilanciando: «Il mio cliente sporgerà una denuncia per calunnia». Non sarebbe la prima volta che Ménès finisce nei guai. Lo scorso marzo ha lasciato Canal+ dopo la messa in onda da parte della stessa rete del documentario Je ne suis pas une salope, je suis une journaliste (dove salope sta per “troia”) che denunciava il sessismo nel mondo del giornalismo sportivo, dentro e fuori le redazioni. Il sito di notizie Les Jours aveva però rivelato che parte del documentario era stata tagliata dopo il montaggio. Le sequenze rimosse, si disse su richiesta della direzione sportiva del canale, riguardavano proprio Pierre Ménès. Il giornalista, che a luglio ha aperto una nuova piattaforma dedicata al calcio, era accusato dalla regista del documentario Maria Portolano di due aggressioni a sfondo sessuale: aver baciato con la forza e in onda la giornalista Isabelle Moreau nel 2011 e la collega Francesca Antoniotti nel 2016. Anche il ministero degli Interni francese espresse disappunto per questi comportamenti, accompagnati va detto da applausi e risate in studio, e in un tweet ricordò che «baciare di forza una donna in una trasmissione televisiva o in qualsiasi altro contesto è un’aggressione sessuale punita per legge con pene fino a 5 anni di prigione e 75mila euro di multa».
Ranucci ha dichiarato di aver presentato denuncia. “Molestie sessuali e mobbing a Report, la Procura faccia chiarezza”, parla Michele Anzaldi. Riccardo Annibali su Il Riformista il 30 Novembre 2021. Sul caso del dossier anonimo inviato a luglio alla commissione di Vigilanza contenente accuse di presunti abusi sessuali, mobbing e servizi preconcetti, il conduttore di Report, Sigfrido Ranucci, ha dichiarato in prima serata su Rai3 di aver presentato denuncia alla Procura della Repubblica di Roma ben 4 mesi fa.
Michele Anzaldi, deputato di Italia Viva e segretario della commissione di Vigilanza Rai, quali sono i punti su cui è necessario fare chiarezza?
Come è possibile che dopo un tempo così lungo non si sappia ancora nulla sui contenuti e sull’origine di quel dossier? Come è possibile che la Procura non abbia fatto nulla? Oppure se, come è auspicabile, ha effettuato le dovute verifiche, perché non diffonde oggi subito un comunicato per dire cosa hanno appurato le indagini? Dopo che il caso è stato portato a conoscenza di milioni di italiani in prima serata sul servizio pubblico, è davvero doveroso e irrimandabile che venga fatta piena chiarezza, innanzitutto a tutela di una trasmissione come Report, che negli anni ha rappresentato il fiore all’occhiello dell’informazione pubblica italiana, ma anche a tutela delle stesse donne nominate nel dossier e della redazione intera. Ranucci è sotto scorta per aver subito pesantissime minacce di morte: se c’è un dossier che lo riguarda è doppiamente doveroso fare chiarezza, perché se si trattasse di un fake aprirebbe scenari non meno inquietanti del gravissimo scenario che vedesse quelle accuse confermate.
Il tema in questione è all’ordine del giorno e sempre più sentito, la convincono gli addebiti del dossier?
Parliamo di un caso, come quello di presunti abusi sessuali nei confronti delle donne, che dovrebbe avere massima precedenza proprio per la delicatezza di tali addebiti, che nel caso del dossier in questione appaiono circostanziati sebbene personalmente non mi abbiano convinto, tanto che da luglio non ho dato seguito pur essendo stato tra i destinatari dell’invio.
Il primo a chiedere chiarezza è stato lo stesso Ranucci in diretta tv, che aspettano i magistrati a chiarire?
Anche la Rai ha il dovere di fare la sua parte, sebbene in questi giorni sia apparsa, almeno pubblicamente, poco reattiva: avviare subito un’indagine dell’Audit interno, sentendo le persone coinvolte e verificando la fondatezza dello scenario contenuto in quella denuncia che sembrerebbe apparentemente avere le caratteristiche di un caso di whistleblowing. L’ad Fuortes si è impegnato ufficialmente in Vigilanza ad effettuare le dovute verifiche: passata una settimana dall’audizione, che verifiche sono state avviate? Riccardo Annibali
Violenza di genere e potere maschile, i casi Varriale e Ranucci. Sembra un paradosso, ma è esattamente quello che sta accadendo da giorni. Cos’hanno in comune Enrico Varriale e Sigfrido Ranucci, oltre ad essere entrambi giornalisti? Aurora Matteucci su Il Dubbio l'1 dicembre 2021. Sono al centro di una bufera mediatica che si è abbattuta con la consueta spietatezza prima ancora, more solito, che sui fatti di cui sono accusati, sia stato effettuato un accertamento pieno di responsabilità da parte di un Tribunale. Verrebbe quasi spontanea la battuta “chi di spada ferisce, di spada perisce” se non fosse che il garantismo a fasi alterne non appartiene a chi ha a cuore i principi costituzionali.
Varriale è a giudizio per stalking e lesioni a carico della ex compagna – che ha già rilasciato la sua deposizione nelle aule del quotidiano “La Repubblica”; Ranucci destinatario di una lettera anonima che lo accusa di mobbing e avances sessuali. Lettera pubblicata da “Il Giornale” nella sua interezza. Sia chiaro: nessuno dubita che quei fatti, se accertati in un processo, meritino l’affermazione di responsabilità dei due. Una pena giusta, proporzionata alla gravità di quanto potrebbe eventualmente emergere, non certo esemplare. Sia altrettanto chiaro: l’unico strumento per accertare un fatto di reato è e resta il processo penale, con il suo corteo di regole (oggi purtroppo sempre più improntate alla riduzione delle garanzie per gli imputati accusati di certi reati), la sua liturgia, le sue forme che, “per quanto imperfette esse siano hanno il potere di proteggere” (B. Constant).
Proteggere da che cosa? E quali forme vorremmo vedere rispettate? Proteggere dalla protervia dei moderni supplizi mediatici, dalla semplificazione estrema della complessità, dalla narrazione in bianco e nero, priva di sfumature, con cui vengono corteggiati e irretiti i lettori dando in pasto verità assolute ancora da accertare. La verifica di attendibilità di una dichiarazione, nel processo penale, è presidiata da tali e tanti accorgimenti tecnici non riproducibili nelle sale televisive, men che meno nelle interviste- che servono ad evitare che un testimone possa essere condizionato da domande suggestive, nocive.
Le persone offese di violenza di genere, poi, se ritenute vulnerabili, sono accompagnate in un percorso di sostegno che tende ad evitare il ripetersi di audizioni per proteggerle dalla c. d. vittimizzazione secondaria e sottrarle, così, al fuoco incrociato delle domande delle parti. Una soluzione normativa, questa, che le migliori intenzioni hanno trasformato in un avvitamento per le garanzie della difesa, ma questa è un’altra storia. Quel che si vuol dire, limitandoci ad osservare questi ultimi due episodi di linciaggio mediatico, è che ancora una volta si tende ad affrontare il problema dall’angolatura sbagliata, facendo strame della presunzione di innocenza.
Poco importa, anche se è già qualcosa, che Repubblica descriva la donna che ha denunciato Varriale come presunta vittima, se poi si decide di sciorinare i dettagli del suo racconto sottraendo quella narrazione alle forme tipiche del processo penale, le uniche in grado di proteggere lei, l’accusato, la collettività da possibili inquinamenti esiziali per l’accertamento della verità: termine questo che può persino apparire altisonante ai più ma che costituisce, o almeno dovrebbe costituire, l’essenza stessa del processo penale. Una verità che chiamare solo “processuale”, per distinguerla da quella “reale” – quella che, veicolata anzitempo da una narrazione incentrata sui soli esiti delle indagini preliminari, impermeabile alle cadenze dell’aula processuale e alle prove della difesa – si ammanta di una rappresentazione forcaiola, innalza gli indici di gradimento per le sentenze di condanna e destituisce di attendibilità l’autonomia del potere giudiziario, quando gli esiti sono assolutori. Uno scandalo, un tradimento che la piazza non tollera.
Lo si è detto anche in questi giorni dedicati alla celebrazione della giornata internazionale contro la violenza maschile nei confronti delle donne: non è lo strumento penale la panacea di tutti i mali, non è l’aumento delle pene a poter rappresentare la soluzione di un fenomeno complesso che ha più a vedere con modelli sociali patriarcali, persino con la loro messa in crisi, con la resistenza di stereotipi culturali, lessicali, sociali che ancora sigillano una visione ancillare e subalterna della donna. Numeri ancora da capogiro quelli delle donne uccise o maltrattate per mano maschile, nonostante l’aumento delle pene: se è vero che il 34% degli uomini violenti uccide e si uccide, occorre ripensare con altri occhi al problema, privilegiare la prevenzione, l’educazione.
Interroghiamoci una buona volta sulle forme di manifestazione del potere maschile, sull’impoverimento delle relazioni uomo donna, sul mercimonio della sessualità ridotta, in alcuni casi, a controprestazione specie, ma non solo, sui luoghi di lavoro. Per carità, ben vengano nuove prese di (auto) coscienza, di (auto) determinazione, ma queste non dovrebbero tradursi nell’esclusivo ricorso allo strumento penale elevato a manifesto di istanze vendicative, repressive, normative, moralizzatrici.
Occupiamoci anche degli uomini, lavorando sulla loro partecipazione al problema della violenza, abbandonando la strada delle inutili e pericolose scorciatoie delle condanne mediatiche, buone solo come placebo per calmare frustrazioni sociali e per ridurre la soggettività politica delle donne al ruolo di vittima. Restituiamo la lettura di fenomeni complessi alla politica e lasciamo che il processo penale si occupi dei fatti storici, sgombrandolo da funzioni che non sono proprie di quel contesto, impreparato per definizione a rappresentare terreno di scontro simbolico tra bene e male.
«Ho tagliato i capelli, tolto i tacchi, nascosto il seno: per non subire molestie sono diventata invisibile». Le storie di Livia e Samuela, arrivate in redazione testimoniano l’estenuante lotta delle donne contro i pregiudizi nei luoghi di lavoro. Continuate a mandarci le vostre testimonianze di #lavoromolesto. Chiara Sgreccia su L'Espresso il 3 dicembre 2021. La bellezza femminile è uno strumento per il successo. La pensa così il 63 per cento dei maschi adolescenti intervistati per una ricerca che Ipsos ha condotto con Save The Children, sulla percezione degli stereotipi di genere in Italia, nel 2020. Per Daniela Fatarella, direttrice generale dell’organizzazione internazionale che si batte per migliorare la vita dei bambini, i pregiudizi di genere sono fortemente condizionanti sin dall’infanzia, così si cementificano e confermano nell’età adulta. «Le ragazze crescono tra mille inviti a minimizzare. Mettere la vittima sul banco degli imputati, sottovalutare i comportamenti aggressivi, definire confini sempre più labili per la violenza sono azioni che servono a rendere accettabile l’inaccettabile». Ammettere che si tratti di molestia solo nei casi più gravi, con conseguenze fisiche evidenti, e non anche quando ci sono pressioni psicologiche, ricatti economici, altri tipi di vessazioni, fa prosperare i comportamenti violenti e consolida gli stereotipi fino a trasformali in normalità.
Come racconta Livia, che lavora da 21 anni, la lotta quotidiana di una donna contro i pregiudizi di genere può diventare estenuante. «Pago da tanto tempo lo scotto del mio non essere accondiscendente. Non sono forzatamente gentile, non accetto le avances dei colleghi. Ogni giorno mi batto contro i soprusi, rimandando al mittente lo schifo che ricevo».
Livia ha iniziato a lavorare a 26 anni, dopo un master, in una piccola banca del sud d’Italia. All’inizio filava tutto liscio, i problemi sono iniziati quando un istituto più grande ha acquisito l’azienda «i dirigenti, per cui ancora lavoro, hanno pensato di aver comprato anche le persone insieme alla banca. I capetti di turno hanno iniziato a usarci per soddisfare il proprio ego e per svolgere quei compiti che loro non avevano voglia di fare. Ho capito subito che tipo di sistema maschilista stavano impostando e mi sono rifiutata di accettare le loro regole». Così Livia, certa di non voler scendere a compromessi, ha dovuto rinunciare a molti aspetti di se stessa per mantenere il lavoro. «Volevo rendermi invisibile, nonostante il mio aspetto fosse notevole. Ho smesso di indossare le gonne e i tacchi che tanto amavo. Ho tagliato i capelli e nascosto il mio seno prorompente». Per un lungo periodo ha anche rinunciato a ogni possibilità di avanzamento di carriera perché accadeva in continuazione che le venisse chiesto qualcosa in cambio. «In uno degli ultimi eventi pubblici prima del Covid - racconta - uno dei dirigenti mi ha sussurrato all’orecchio “non sai che ti farei”». Livia l’ha fulminato con lo sguardo senza bisogno di parole. «Che credi? - ha risposto il dirigente innervosito - C’è la fila di donne che mi aspettano fuori dalla porta». «Penso che sia la coda per il bagno» ha ribattuto lei prima di allontanarsi. «Tutto questo va avanti da anni. Mi chiedo se nelle aziende in cui il maschilismo è molto radicato ci sia una sorta di passaparola per torturare la malcapitata di turno».
Anche per Samuela gli ultimi due anni di lavoro sono stati un inferno. Vessazioni, offese, minacce e battute ambigue da sopportare ogni giorno, da parte di superiori e colleghi che non riuscivano ad accettare il suo ruolo di responsabilità. In particolare, uno le ha rovinato la vita, privata oltre che professionale «perché si sa che chi è frustrato per non aver ottenuto ciò che avrebbe voluto, può arrivare a raccontare anche storie inventate». Stefano si era avvicinato a Samuela facendole i complimenti per il suo aspetto. Poi è passato ai commenti provocanti, alle battutacce e, infine, alle offese «si sentiva in diritto di dire di tutto quando lo rifiutavo. Diventava aggressivo, mi screditava davanti ai colleghi, mi urlava “puttana”. A volte si permetteva di seguirmi fino a casa». Stanca, dopo due anni di sopportazione a denti stretti, Samuela si è rivolta al presidente dell’azienda, gli ha raccontato quello che stava succedendo e come si sentiva. «Nemmeno l’evidenza e le prove l’hanno costretto a darmi ascolto. Stefano era troppo amico del presidente per esser mandato via. Io, invece, ero solo una rompiscatole che non stava alla volontà di un uomo. Così ho perso il lavoro».
«Quelle mani addosso durante il mio tirocinio: ho sopportato in silenzio, ero troppo giovane». Chiara Sgreccia su L'Espresso l'1 dicembre 2021. Roberta, Mariella e Laura erano in stage quando hanno subito molestie pesantissime da parte dei loro responsabili. Come loro tante altre ragazze non hanno trovato il coraggio di denunciare per la paura di perdere un’opportunità «a 20 anni è diverso, ora saprei come comportarmi». «Quando ho iniziato lo stage in agenzia parte del mio lavoro consisteva nel sopportare le battute e gli sguardi del mio superiore - racconta Roberta -. Tante volte ho ricevuto avances esplicite e ogni volta che facevo capire di non avere interesse, il capo minimizzava, rideva, diceva che stava scherzando e mi dava della ragazza troppo seria, che non sa stare al gioco». Come Roberta, molte altre hanno scritto a #lavoromolesto, lo spazio anonimo di denuncia che abbiamo aperto con Cgil Piemonte e Umbria, per raccontare le molestie che hanno subito durante i mesi del tirocinio da colleghi e capi. Le loro esperienze dimostrano che troppe donne, giovani soprattutto, hanno creduto di dover sostenere il peso, da sole, di comportamenti aggressivi, battutacce, ricatti a sfondo sessuale, da parte dei superiori in azienda, in ufficio, in fabbrica perché «è così che funziona» e per paura di perdere un’opportunità di lavoro che tanto hanno aspettato, voluto, e che con difficoltà sarebbe ricapitata. «Non riuscivo più a muovermi, - ricorda Mariella - il mio sangue era gelato. Eravamo in auto e lui ha messo la sua mano tra le mie gambe. Non ho fatto nulla, sono rimasta ferma, con lo sguardo fisso in avanti anche se non vedevo più niente. Aspettavo che quel momento finisse, sperando che il tempo passasse più in fretta del solito». Non era la prima volta. In ufficio il titolare aveva già avvicinato Mariella: le si metteva accanto, la osservava lavorare, le accarezzava il collo da dietro. Qualche giorno dopo la vicenda dell’auto ha toccato il fondo. «Mi ha preso il braccio e con la forza mi ha spinto sopra le sue gambe. Mi schiacciava contro il suo corpo, voleva farmi sentire il suo pene in erezione. Ha messo le mani sotto la mia maglietta, ha iniziato a toccarmi il seno». Mariella è scappata senza girarsi, spaventata, sconvolta, imbarazzata e attonita per l’accaduto. «Non ho detto nulla ai colleghi, niente a nessuno se non al mio fidanzato che, però, non ha fatto niente. Volevo chiamare il supporto psicologico ma, mi dissero, sarebbe stata necessaria la prescrizione del medico. Io non l’avevo e non volevo raccontare ad altri quello era successo». Così Mariella strinse i denti e andò avanti da sola. Aveva vent’anni, pochi soldi e doveva finire il tirocinio necessario per l’abilitazione alla professione che ora svolge con soddisfazione, da un’altra parte. «Oggi di anni ne ho trenta e so come comportarmi. Allora, però, ero poco più che maggiorenne. Non sapevo cosa fare, a vent’anni ti vergogni, hai paura di perdere quel poco che hai e stai zitta». Anche Laura era in stage quando ha subito molestie dal suo capo. Aveva iniziato da poco, non voleva perdere ore di lavoro e così, dopo aver fatto un incidente in macchina, ha continuato andare in azienda, seppur indolenzita. Un giorno, però, in cui il suo ginocchio si è gonfiato molto più del solito, ha chiesto a Mauro, nome di fantasia per il direttore dell’ufficio, qualche ora libera per andare dal medico a farsi visitare. «Lui, invece, mi ha inviata ad avvicinarmi. Ha detto che voleva dare un’occhiata. Ero in piedi e si è accovacciato per toccarmi la gamba. Non potevo vederlo perché ero girata di spalle ma sentivo che mi palpeggiava insistentemente. I minuti passavano lentissimi e lui non smetteva». Laura non reagì, non aveva la forza. Sperava solo che le mani di Mauro non salissero troppo. «Quando quel momento terribile finalmente è finito mi sono girata e ho incrociato il suo sguardo. Lui ha abbassato il suo e se ne è andato senza dire una parola. Per molto tempo mi sono sentita come se avessi fatto qualcosa di sporco e sbagliato, non ne ho mai parlato con nessuno».
«Mi ha messo le mani addosso e mi ha licenziata». Storie di lavoro molesto. Chiara Sgreccia su L'Espresso il 23 novembre 2021. «Alla vigilia della giornata internazionale contro la violenza sulle donne, L’Espresso e la Cgil hanno raccolto le voci delle lavoratrici che hanno subito aggressioni, minacce, ricatti sessuali. E lanciano la campagna #lavoromolesto, per rompere il silenzio. «Faccio fatica a pensare alle parole ma ricordo molto bene la sua mano che scivola sulle mie gambe. “Ti fermi?”, sussurra mentre il suo viso si avvicina al mio orecchio. Mi volto per guardarlo negli occhi: “No”, rispondo secca, escludendo ogni indugio. Mi alzo decisa per andar via, cade il silenzio per qualche secondo. “Stai pure a casa, non è il caso che torni, sei licenziata”, dice. Ho preso la borsa e sono uscita, senza una lacrima, senza il tempo per la debolezza, perché così so fare». V. aveva ventun anni e lavorava da poco più di due settimane come segretaria in una piccola azienda che produce escavatori. Era nel suo ufficio, seduta alla scrivania, di fronte al pc, quando un giorno, poco prima della pausa pranzo, è arrivato «il padrone» della ditta e si è accomodato accanto a lei per rivedere il bilancio. «Mi ha messo le mani addosso e mi ha licenziata quando l’ho respinto», ha raccontato V. alla nonna. «Questa volta piangevo, perché con lei potevo lasciarmi andare, senza alcun timore di apparire debole. Lei era la mia forza, mi capiva, mi conosceva e mi appoggiava nelle mie battaglie». Il compagno di V. era in carcere dopo aver partecipato ad una manifestazione interrotta dalle cariche della polizia, la figlia di un anno a casa con i genitori e i nonni. Tutto era pronto per un pranzo che nessuno ha consumato. «La moglie del titolare ha telefonato a casa, voleva incontrare qualcuno della mia famiglia per spiegare perché ero stata mandata via senza preavviso. Ha detto che era colpa mia, avevo attentato alla virtù del povero marito, l’avevo provocato. E lui, così, era stato costretto ad allontanarmi e licenziarmi. Mio fratello e mia madre le hanno creduto: ero io la poco di buono». Era V., per i familiari, colpevole di aver perso un’occasione, di essersi comportata male con un uomo che, invece, aveva fatto tanto per lei, offrendole un lavoro. «Mia nonna mi stringeva forte le mani». V. non è sola. Secondo l’ultimo rapporto Istat, pubblicato nel 2018, il prossimo nel 2022, sono 1 milione e 404 mila le donne che hanno subito molestie fisiche o ricatti sessuali sul posto di lavoro. Colleghi, superiori o altre persone che hanno provato a toccarle, accarezzarle, baciarle, fino ad arrivare al tentativo di utilizzare il loro corpo come merce, con la richiesta di prestazioni, rapporti o disponibilità sessuali in cambio di assunzioni, crescite professionali, accessi all’occupazione. Ha subito violenze di questo tipo l’8,9 per cento delle lavoratrici attuali o passate, incluse quelle in cerca di un impiego. Soltanto nei tre anni precedenti all’indagine, tra il 2013 e il 2016, sono 425 mila le vittime di molestie fisiche sul lavoro. Con una incidenza maggiore tra le più istruite e tra i 25 e i 44 anni. Mentre è in costante diminuzione il numero di donne che ha subito molestie sessuali nel corso della vita, a oggi almeno 8 milioni e 800 mila, non scende il dato di chi le subisce in ufficio o in fabbrica. I ricatti e le molestie sul lavoro, cioè quei comportamenti indesiderati che hanno lo scopo o l’effetto di violare la dignità delle lavoratrici e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo, si verificano maggiormente nei centri delle aree metropolitane e nei comuni con oltre 50 mila abitanti. Prevalentemente si tratta di un ricatto sessuale per mantenere, ottenere il lavoro o un avanzamento di carriera. Per tre vittime su dieci si ripete più di una volta a settimana. La lavoratrice in questo modo si trova a essere in una condizione asimmetrica di potere rispetto all’autore della molestia e a subire ripercussioni sia fisiche, in quanto la molestia coinvolge il corpo e comporta un contatto non voluto, sia psicologiche, perché indipendentemente dall’atto, è volta a piegare la volontà della donna affinché, per timore, accetti le attenzioni indesiderate. Gli autori delle molestie a sfondo sessuale sono in larga prevalenza uomini. Questo vale per il 97 per cento delle vittime donne e per l’85,4 per cento delle vittime uomini. L’indagine Istat, infatti, per la prima volta stima che siano 3 milioni 754 mila gli uomini ad aver subito molestie sessuali nel corso della vita, incluse quelle fisiche, verbali, l’esibizionismo, il pedinamento, le telefonate oscene, l’invio di materiale pornografico, le molestie attraverso i social network e la sottrazione di identità. Per gli uomini e per le donne le molestie verbali sono la forma più diffusa. «Che cosa posso fare oggi?», chiede A. al vicedirettore dopo essere entrata nella sua stanza. Era agosto, la filiale semivuota, il lavoro da svolgere scarso. A. era stata assunta da poco. «Potresti metterti sotto la scrivania», risponde lui prima di scoppiare in una fragorosa risata. A. racconta ai colleghi quanto è successo ma nessuno dà peso all’accaduto: «Non c’è da preoccuparsi, il vicedirettore è solo una simpatica canaglia». Al contrario di quanto ha scelto di fare A., sono pochissime le donne che parlano in azienda delle molestie subite. Quasi nessuna denuncia alle forze dell’ordine, anche se la maggioranza sa che si tratta di fatti gravi. Tante non ne parlano perché vengono considerati una consuetudine, la normalità e per paura di ritorsioni e conseguenze che potrebbero portare al deterioramento della carriera. Così spiega D. che lavora in un’industria tessile e ora fa parte della rappresentanza sindacale unitaria: «Altre volte, invece, capita di non dire niente per ignoranza, intesa come mancanza di informazione al riguardo. Io, ad esempio, non conoscevo i miei diritti, solo il dovere di lavorare bene e, per troppa dedizione, sono stata la prima a non mettere un argine alle richieste del mio responsabile, per me era come un padre». D. si è resa conto dell’ambiente malsano che aveva intorno quando ha comunicato ai colleghi la data del matrimonio: «Aspetta almeno una decina d’anni per rimanere incinta», le ha risposto il capo. E non scherzava. Quando, invece, è accaduto, D. è stata demansionata. «Subito dopo essere rimasta incinta mi hanno spostata e non sono tornata più alla posizione lavorativa che avevo prima. Ero distrutta psicologicamente: negli anni mi avevano assegnato ruoli di rilievo che mi facevano sentire appagata, ma le responsabilità non erano mai state riconosciute dal contratto. Così ho capito che mi avevano soltanto usata». Come è scritto nell’articolo 1 della “Convenzione sull’eliminazione della violenza e delle molestie nel mondo del lavoro”, redatta dall’Ilo (International labour organization), l’agenzia delle Nazioni Unite che promuove la giustizia sociale e i diritti umani in ambito lavorativo, ratificata da poco anche dall’Italia, la violenza o le molestie sul lavoro sono «un insieme di pratiche e comportamenti inaccettabili». Ma lo è anche solo «la minaccia di porli in essere, sia in un’unica occasione, sia ripetutamente». La stessa convenzione spiega che consistono in azioni che «possano comportare un danno fisico, psicologico, sessuale o economico, e includono la violenza e le molestie di genere». Rappresentano, quindi, una minaccia alle pari opportunità e sono incompatibili con il lavoro dignitoso, sano, sicuro, per tutti. In un ambiente lavorativo in buona salute devono essere favorite le relazioni interpersonali basate su principi di eguaglianza e di reciproca correttezza. Le storie di V. A. e D., insieme ai racconti e le testimonianze di tante altre lavoratrici vittime di molestie, sono state raccolte dalla Cgil Piemonte e Umbria che dal 25 novembre, Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, insieme a L’Espresso lancia la campagna #lavoromolesto al fine di dare una voce e un volto alla lotta contro la violenza di genere nei luoghi di lavoro.
«Il mio capo mi ha chiusa in bagno per fare sesso. Mi sono odiata per non averlo denunciato». Chiara Sgreccia su L'Espresso il 29 novembre 2021. Troppo spesso la vittima di molestie si sente in colpa. Come spiegano le storie di Alice e Valeria, tra le tante che ci stanno arrivando in questi giorni a #lavoromolesto. Denuncia anche tu se hai subito aggressioni, ricatti, minacce. Abbiamo creato uno spazio anonimo per raccontare quello che succede a tante donne, con l’obiettivo di costruire un fronte di resistenza. Alice (nome di fantasia), 26 anni. Ne aveva 18 quando il suo titolare, over 40, l’ha condotta in bagno, ha chiuso la porta e ha provato ad avere un rapporto sessuale con lei. Una collega, per sbaglio, è entrata nella stanza e ha interrotto la scena. Ma non ha dato peso a ciò che aveva visto, e neppure agli effetti che quella vicenda avrebbe creato in Alice. «Né lei né il titolare si sono chiesti se fossi stata consenziente e anche a me non importava. Ho normalizzato quello che è successo il più in fretta possibile perché credevo che nel “mondo reale” fosse una consuetudine avere a che fare con uomini così». Alice era alla sua seconda esperienza lavorativa, in uno stabilimento balneare del centro Italia. «Rifiutavo i suoi approcci ma non l’ho denunciato. Così le attenzioni, i commenti provocanti, i riferimenti a sfondo sessuale si sono trasformati in veri e propri insulti, offese e forme di frustrazione per me. Odiavo me stessa per non essermi rivolta alle forze dell’ordine». Alice cercava a ogni costo di dare una spiegazione all’accaduto, frugava tra i ricordi provando a isolare i comportamenti che aveva avuto, modi di fare che avrebbero potuto testimoniare le sue responsabilità, o legittimato il titolare ad arrivare a tanto. «Sono stata troppo permissiva? Ho fatto credere che fossi d’accordo senza rendermene conto? Perché non me ne sono andata subito da quel bagno? Perché, poi, ho sopportato per altri due mesi i suoi insulti?». Domande come queste hanno riempito a lungo la testa di Alice e fatto sì che si facesse carico di colpe che, invece, non sono affatto le sue. «Proprio questi pensieri sbagliati mi hanno spinta a non denunciare, a nascondere quello che era successo, a non raccontare a nessuno come mi sono sentita, a tenere solo per me le brutte sensazioni. Oggi so che i comportamenti sgradevoli non vanno sottovalutati: le parole possono diventare facilmente atti e le molestie sono intenzioni che si fanno azione». Un anno dopo l’accaduto, l’ex titolare di Alice è morto in un incidente d’auto. «Eppure neanche una piccola parte del malessere che provavo è svanito in me. Quando i confini di ciò che è giusto o sbagliato si confondono nella normalità, nella vita di tutti i giorni, l’unica soluzione è fidarsi delle proprie sensazioni, del proprio sistema di valori: nessuna influenza sociale può mettere in dubbio il rispetto che si deve avere verso se stessi». Anche Valeria, 21 anni, è stata molestata sul lavoro, da un uomo più grande di lei. «Non è stato il titolare ma il cognato di questo. Era spostato, aveva più di 40 anni e due figli. Quando veniva in azienda mi faceva battutine e diceva frasi a doppio senso. Poi è passato ai commenti espliciti sul mio viso e sul mio corpo. A un certo punto ha iniziato a chiedermi di uscire». Valeria ha sempre rifiutato gli inviti, chiesto a Marco (nome di fantasia come quello di Valeria) di smetterla, spiegato che la situazione non la faceva sentire bene, a proprio agio. Ma Marco non le ha dato ascolto «L’ultima volta mi ha seguita fino a casa, dietro di me con la sua macchina. Gli ho urlato di smettere, di andare via, di lasciarmi in pace. Gridavo che si stava comportando male». Dopo qualche settimana Valeria è stata licenziata, il suo atteggiamento nei confronti del lavoro da svolgere, a dire del titolare, non era più positivo come agli inizi.
Sono arrivate tante storie simili a quella di Alice e Valeria in questi giorni a #lavoromolesto, lo spazio anonimo di denuncia che abbiamo aperto con Cgil Piemonte e Umbria per invitare le donne a denunciare, a non stare zitte. Proprio con l’obiettivo di dare un contributo alla formazione di una nuova normalità che non identifichi più i comportamenti discriminatori come abitudine. Per fare in modo che nessuna possa pensare che la denuncia sia una vergogna o che il silenzio, la testa china, l’arrendevolezza siano soluzioni.
«Chi ti faresti?»: nelle chat dei capi la classifica a punti delle dipendenti. Chiara Sgreccia su L'Espresso il 10 Dicembre 2021. Non soltanto aggressioni fisiche, anche le risatine, la battute a sfondo sessuale sono una forma di violenza. La denuncia di Cristina, tra le tante arrivate in redazione: «I colleghi uomini, commentano le caratteristiche fisiche di tutte le donne dell’azienda e organizzano veri e propri contest». Giovane, innovativa, digitale e smart. Così si presenta la società per cui lavora Cristina. Benefit per i dipendenti come convenzioni con ristoranti e la palestra, eventi di gruppo - cene, gite, attività sportive - organizzati per rafforzare la cooperazione e la coesione tra i lavoratori «ma poi non esiste un vero e proprio piano per il welfare aziendale. - racconta Cristina amareggiata - Non abbiamo flessibilità sugli orari di lavoro, è impossibile tornare a casa prima di cena, non sono previsti sostegni alla famiglia, né per la cura dei bambini, né per l’assistenza agli anziani. Le iniziative promosse per accrescere il benessere della società non sono il frutto di una strategia condivisa con i dipendenti ma il risultato di quanto il direttore, uomo, crede possa essere piacevole per tutti». La cosa che più fa innervosire Cristina, però, è un’altra: la sensazione di essere trattata come un oggetto, perché è donna. Nessuna molestia esplicita, non ci sono stati episodi di violenza fisica chiaramente circoscrivili. Si tratta di quel costante chiacchiericcio che sente alle spalle. Le risatine, i mormorii, i commenti e le battutine a doppio senso continue: ogni volta che si alza dalla scrivania, che fa un break per prendere il caffè, che partecipa ai meeting con i colleghi. Sono comportamenti che sembrano lievi, leggeri, facili da soprassedere ma che, giorno dopo giorno, stanno rendendo pesanti le ore lavorative. «Ho scoperto che ci sono delle chat, a cui partecipa anche il capo, in cui i colleghi, uomini, commentano le caratteristiche fisiche di tutte le donne dell’azienda, come ci vestiamo e come ci comportiamo. Quando c’è meno lavoro da fare, nei momenti più liberi, vengono anche organizzati dei veri e propri contest “Chi ha le chiappe più belle?, Chi il seno più grande? Chi accende maggiormente la tua energia sessuale?”. Una classifica a punti in cui le donne diventano oggetti da valutare asetticamente, di nascosto, per fare quattro risate e spezzare la routine. «Un clima simile a quello che avevo in classe alle scuole medie». Cristina è stanca di sopportare questa situazione di cui tutti sono al corrente ma che nessuno prova a interrompere. Anche nell’azienda in cui lavorava Angelica il clima era simile, soprattutto quando andavano in visita i dirigenti da Roma e Milano. «Alle impiegate veniva chiesto di mettersi le minigonne e scodinzolare davanti a loro, “Mi raccomando domani vestitevi in modo consono” ci ordinavano». Un giorno Angelica ha chiesto spiegazioni, «in che senso?» ha detto, almeno per rompere l’ambiguità su cui giocava il suo superiore. Per spingerlo ad assumersi le responsabilità di una richiesta insensata. «Vogliono che tu metta la gonna, corta sarebbe meglio». Lei ha risposto che i suoi abiti in lana pura, maglione e pantaloni, sarebbero andati benissimo. Costosi, eleganti, adatti per l’ambiente di lavoro, con cui si sarebbe sentita a suo agio. Non solo per questo ma anche perché sapeva che era buona pratica dei dirigenti «avere rapporti sessuali con le impiegate che non rifiutavano» Angelica ha cambiato lavoro alla scadenza del contratto.
Secondo il 3° Rapporto dell’”Osservatorio mercato del lavoro e competenze manageriali”, presentato a fine 2020 dall’associazione 4.Manager, solo il 18% delle donne, in Italia, ha un contratto da dirigente, percentuale che negli ultimi 10 anni è cresciuta appena, dello 0,3 per cento. Ed è proprio nei ruoli manageriali che emergono le maggiori differenze di retribuzione di genere. Le donne, già prima dell’emergenza sanitaria, guadagnavano in media il 16 per cento in meno all’ora rispetto agli uomini, per la combinazione di diversi fattori tra cui che la maggior parte delle donne lavora in settori in cui gli stipendi sono più bassi, come istruzione e assistenza, e la minore presenza in ruoli apicali.
Per Rita Chiesa, professoressa di psicologia del lavoro all’Università di Bologna, esistono due tipi di barriere che interferiscono nello sviluppo professionale di una donna: interne, cioè stereotipi di genere assimilati che fanno sì che le bambine, fin da piccole, siano portate a interessarsi all’assistenza e alla cura della persona. E barriere esterne cioè i preconcetti di chi seleziona il personale che, frequentemente, è convinto che le donne non siano adatte alle posizioni di leadership, modellate su una definizione di competitività tipicamente maschile. «In più - spiega la professoressa - in molti casi interviene anche il giudizio morale. Ci sono studi che testimoniano come le donne non vengano selezionate solo per le loro competenze e abilità specifiche ma anche per la loro attitudine alla collaborazione, molto più degli uomini, e per il modo di vestire».
«Il giorno dopo le molestie, c’era già un’altra pronta a prendere il mio posto. Un capo non si cambia, le lavoratrici sì». Secondo una ricerca internazionale coordinata dal dipartimento di Psicologia dell’Università Sapienza di Roma, le lavoratrici precarie sono più esposte alle molestie sessuali. La storia di Lara è una tra le tante che ci sono arrivate: continuate a scriverci. Chiara Sgreccia su L'Espresso il 15 Dicembre 2021. «Lavoravo come assistente alla poltrona in uno studio dentistico, facevo affiancamento ad una ragazza che se ne stava per andare. Soltanto dopo ho capito il perché» scrive Lara a #lavoromolesto, lo spazio anonimo di denuncia a cui, con Cgil Piemonte e Umbria, abbiamo dato vita per raccogliere le storie di violenze subite dalle donne in azienda, in ufficio, in fabbrica, durante l’orario di lavoro. Con l’obiettivo di dare forma a una nuova normalità in cui nessuna è più vittima.
«Il capo era molto invadente. - continua Lara - Un giorno sono rimasta da sola nello studio e si è avvicinato a me furtivamente. Non avevo idea di che cosa stesse per fare, così lo guardavo con aria perplessa, interrogativa. Ha fatto come per salutarmi, perché stava per uscire, e, invece, mi ha dato un bacio a stampo sulla bocca. Poi è corso via senza lasciarmi il modo di reagire o replicare». Il giorno dopo Lara va al lavoro con l’intenzione di parlare con il suo capo. Quello che è accaduto per lei è inammissibile. Lo affronta subito, diretta, senza giri di parole, un attimo dopo essere entrata. Lui sembra capire, non si scusa ma lascia intendere che niente di simile si sarebbe più ripetuto.
Passa una settimana. Tutto normale finché il capo non chiede a Lara di raggiungerlo nel suo ufficio. «Dovevo visionare dei nuovi materiali che erano arrivati in studio. Non mi ha neanche lasciato il tempo di entrare. Appena ho aperto la porta della sua stanza, ha preso le mie mani e stretto talmente forte che, per qualche secondo, non ho saputo come liberarmi. Mi tirava, mi schiacciava contro il suo corpo perché voleva che percepissi la sua eccitazione». Lara riesce rompere la presa. Si sgancia dalla stretta viscida di lui, si allontana. Va su tutte le furie ma poi, ancora una volta, passata la rabbia, si fida. Crede al capo quando le dice che non sarebbe successo di nuovo.
E, invece, qualche giorno dopo, mentre si stava cambiando, alla fine del turno, lui entra nello spogliatoio. «Spinge la porta e mi dice “perché non ci cambiamo insieme?” Riesco a malapena uscire in tempo». Trascorrono pochi secondi, neanche quelli necessari a prendere coscienza della situazione e Lara capisce che c’è qualcuno alle sue spalle. «Mi giro e vedo che ha il membro fuori dai pantaloni, mentre mi chiede di fare sesso. Scioccata non rispondo e scappo a casa. Dal giorno successivo una nuova ragazza ha iniziato affiancarmi durante i turni, pronta a sostituirmi nel lavoro». Lara non ha mai denunciato e per questo si sente in colpa, soprattutto perché suppone che quanto successo a lei potrebbe essere accaduto anche ad altre lavoratrici dello stesso studio.
Secondo una ricerca internazionale effettuata in 33 paesi appartenenti all’Unione europea, su un campione di oltre 60 mila lavoratori, coordinata dal Dipartimento di Psicologia della Università Sapienza di Roma, chi ha un impiego precario è più esposto, sul posto di lavoro, a comportamenti sessuali indesiderati e alle molestie, rispetto ai colleghi che hanno un impiego stabile. Le donne riportano di essere state oggetto di molestie sessuali con una frequenza tre volte maggiore degli uomini. In particolare, il rischio di violenza si alza, sia per gli uomini sia per le donne, quando il precariato è associato all’imprevedibilità degli orari e al fatto che i lavoratori debbano svolgere più incarichi contemporaneamente.
«La precarietà si accompagna quasi sempre a un rischio maggiore di perdita del lavoro - spiega Claudio Barbaranelli, uno dei professori di psicologia che ha realizzato la ricerca - per questo, il lavoratore può avere più esitazioni a denunciare le molestie sessuali, proprio per paura di perdere il posto. Inoltre, il livello più elevato di flessibilità e di turnover nel lavoro precario portano a un più alto grado di anonimato e al minor pericolo di essere scoperti in caso di molestie. Infatti, se la vittima è un dipendente precario o a tempo determinato, l’attuazione di molestie sessuali potrebbe essere percepita come meno rischiosa da parte del perpetratore».
Marinella Meroni per “Libero quotidiano” l'1 novembre 2021. I polpi sono così intelligenti da essere considerati dagli studiosi gli animali più ingegnosi del mare: sanno usare la memoria come l'uomo, hanno il senso dell'umorismo, riescono a svitare coperchi di barattoli (anche quelli con chiusure di sicurezza), sono curiosi e simpatici tanto da giocare con i sub e perfino farsi accarezzare. Ora i ricercatori hanno fatto una nuova rivoluzionaria scoperta: le femmine dei polpi "sparano" oggetti contro i maschi quando si sentono molestate. In pratica, si difendono dalle molestie insistenti dei corteggiatori lanciando intenzionalmente contro di loro degli oggetti, come conchiglie e fango. E la loro tattica è vincente, poiché i maschi poi si allontano frustrati. Una strategia difensiva nei confronti dei "molestatori" piuttosto rara nel regno animale, individuata finora solo in pochissime specie animali, come scimpanzè ed elefanti. A confermarlo i ricercatori australiani dell'Università di Sidney con lo studio "In the line of fire: debris throwing by wild octopuses" (Sulla linea di fuoco: detriti lanciati da polpi selvatici), pubblicato su New Scientist. Sono arrivati a queste conclusioni dopo aver visionato centinaia di video registrazioni che hanno fornito informazioni dettagliate. In pratica, si è visto che le femmine di polpo quando sono importunate con eccessivi e non graditi corteggiamenti, raccolgono con i loro otto tentacoli dal fondale marino fango, conchiglie o altri sedimenti per poi prendere bene la mira inclinando il corpo e lanciare gli oggetti con un agile movimento contro i maschi. Un comportamento che gli scienziati chiamano "lancio" e con il quale questi intelligenti cefalopodi di solito posizionano un oggetto nei loro tentacoli e lo "sparano" con un getto d'acqua.
POTENZA E PRECISIONE In proposito, dichiara Godfrey-Smith dell'Università di Sidney: «Sono le femmine a lanciare oggetti spesso ai maschi che tentano l'accoppiamento. Abbiamo osservato che quando una polpa lancia per colpire tende a farlo con più potenza e precisione prendendo la mira, e il maschio in nessun caso ha mai risposto al fuoco. Ad esempio, in un video si vede una femmina lanciare fango dieci volte al maschio che tentava di accoppiarsi con lei, colpendolo per ben cinque volte, e il maschio ha cercato di schivare il fango, tentando anche di anticipare le mosse della femmina, il che conduce a pensare che si trattasse di una qualche forma di combattimento. Al maschio rifiutato, poi, non è rimasto che lanciare una conchiglia nel vuoto, in quello che è sembrato un altrettanto evoluto segnale di frustrazione. In un altro video, invece, una femmina ha lanciato una conchiglia in "stile frisbee" con i tentacoli. Oggi è chiaro che il lancio di oggetti da parte dei polpi non soltanto è intenzionale, ma è anche chiaramente offensivo». I ricercatori hanno anche osservato e svelato il comportamento particolarmente curioso e la reazione dei maschi che cercavano di evitare di essere colpiti, schivando i vari lanci: alcuni si abbassavano poco prima che partisse il tiro, altri subito dopo il lancio, e in altri ancora li hanno visti alzare i tentacoli in direzione del lanciatore senza abbassarsi, proprio come fa un portiere di calcio quando si prepara a pare un tiro. Ma non è tutto: in alcuni casi questi comportamenti delle femmine si sono riscontrate anche quando devono difendere la loro tana o territorio da altri polpi intrusi. Una femmina "tosta", dunque, che sa tutelarsi da avances non gradite e proteggere il suo territorio, quasi avvertendo gli incauti: "Stai alla larga e non avvicinarti senza il mio permesso perché potresti prenderle di santa ragione".
Da liberoquotidiano.it l'11 settembre 2021. In Italia succede anche questo: masturbarsi in treno si può. Lo ha confermato la Sesta sezione penale della Cassazione, secondo cui fare autoerotismo davanti a una donna non è reato, perché "l'interno di un vagone ferroviario non può essere ritenuto un luogo abitualmente frequentato da minori". Quindi, come riporta il Fatto quotidiano, non può riscontrarsi nella fattispecie l'accusa di "atti osceni". Le motivazioni sono state depositate lo scorso 2 settembre e aprono scenari potenzialmente inquietanti e clamorosi. Per esempio, prosegue sempre il quotidiano diretto da Marco Travaglio, aprirebbe la strada al "via libera al sesso in automobile, in mezzo alla strada e senza cautelarsi coi fogli di giornale sui finestrini, purché avvenga in tardo orario: di notte i bambini dovrebbero stare a casa, a letto, non a fare i guardoni delle coppiette". Stesso discorso, sulla carta, anche per i cinema dove si proiettano film vietati ai minori di 18 anni o "in un'aula universitaria, altro luogo dove ragazzini non se ne vedono. Magari in una pausa di una lezione di giurisprudenza, dove si forgiano i magistrati del domani, quelli che scriveranno sentenze come questa. Si ride per non piangere". Il fatto in questione risale al 2019, quando una passeggera segnalò "l'intemperanza" erotica di un vicino di seggiolino, che aveva pensato bene di toccarsi davanti ai suoi occhi. L'uomo venne arrestato dalla Polizia ferroviaria con l'accusa di resistenza a pubblico ufficiale e atti osceni, vista l'intenzione di "importunare la donna", come venne messo a verbale dagli agenti. Alla Cassazione si è finti per il presupposto che si poteva escludere "il pericolo che i minori assistessero alla condotta", passaggio ritenuto non vero dai magistrati di Cassazione secondo cui "per luogo abitualmente frequentato da minori non si intende un sito semplicemente aperto o esposto al pubblico dove si possa trovare un minore, bensì un luogo nel quale, sulla base di una attendibile valutazione statistica, la presenza di più soggetti minori di età ha carattere sistematico".
Alberto Infelise per "Specchio - la Stampa" il 10 maggio 2021. Ci sono molte cose sbagliate che si possono fare quando si guarda a una tragedia come quella di uno stupro tra ragazzi: una di queste è giudicarlo con occhi lontani e raccontarlo con parole vecchie e inadeguate. Per questo, quando abbiamo deciso di parlare del caso di Ciro Grillo e di quel presunto stupro durante una serata che doveva essere di divertimento, abbiamo stabilito di non farlo "da genitori". Perché spesso la prospettiva dei genitori, degli adulti, è diversa da quella dei giovani. Undici tra ragazzi e ragazze hanno così scelto di essere la nostra finestra su un mondo che troppo spesso guardiamo senza conoscere. Chi di noi non ha avuto almeno una conversazione, con amici o in famiglia, su quella serata, sul ruolo dell'alcol, sul sesso e sul consenso, sui maschi e sulle femmine? «Di queste cose sentiamo sempre parlare i grandi, finalmente qualcuno lo chiede a noi», hanno detto i nostri undici. Ecco i loro pensieri. Serate e incontri Marta D. V. ha 20 anni, è di Venezia e non esita a rompere il ghiaccio: «Mi è capitato che una conoscente mi confessasse di aver subito una violenza. Non ho assistito all' evento, ma è stato molto forte che questa ragazza abbia deciso di confidarsi: ero molto giovane allora e più che altro ho cercato ti ascoltarla. È stato un racconto molto forte, mi sono chiesta come si fosse trovata in quella situazione». Giulia N. di anni ne ha 19 ed è di Padova: «Non mi è mai successo di assistere direttamente a una molestia durante una serata, fortunatamente, ma mi è molto chiaro che l'abuso di alcol e sostanze abbassano le barriere cognitive». La violenza può passare dal virtuale al reale. Lo spiega Delia S., 18 anni della provincia di Siracusa: «Pubblicare video dei rapporti tra due persone, anche occasionali, è violenza. Così, specie in un paese piccolo, la gente ne parla molto. Ho pensato molto male di chi l'ha pubblicato, la vittima di questo video non è più uscita di casa per mesi. È stata intaccata la sua dignità ed è stato un atto di violenza». Alcol e sostanze Come per tutti, giovani e meno, feste e serate possono essere condite dall' uso di alcol o sostanze, che può diventare abuso, cambiando le carte in tavola. Riccardo P., diciottenne di Pordenone, racconta di un amico, timido e riservato, che però una sera beve molto e perde i freni: «È diventato insistente e violento con una ragazza che da tempo aveva adocchiato, aveva una cotta per lei. Lui era timido e non si era mai buttato. Riparlandoci da sobrio ha negato di esser mai stato insistente o violento con la ragazza». Ma la questione delle molestie e delle violenze per i nostri undici non è legata a quello che si manda giù una sera. Il racconto di Letizia V., diciottenne aquilana, è molto forte e chiaro: «È frequente il caso che nei locali ci sia gente che ti tocca e tu non vorresti. Capita, e non è una cosa molto rara, che non va detta o che non conta. È talmente frequente che ormai si dà per scontata. A me non è mai piaciuto più di tanto andar in giro per locali perché sapevo che c'era la possibilità che queste cose succedessero. Se devo uscire e ritrovarmi con uno che passa dietro e mi tocca non mi piace, preferisco restare a casa». Paolo D., diciottenne siracusano, racconta del contesto di certe molestie: «Davanti a un mio amico un ragazzo si era spinto molto oltre il semplice contatto fisico con una ragazza. Quello che lo colpì fu l'indifferenza degli altri di fronte a scene simili, a una ragazza in difficoltà. Nessuno interveniva, nonostante la ragazza desse ampia dimostrazione del fatto di non volerne sapere. Il mio amico poi è intervenuto e ne è nata una rissa. Quando una persona è anche indebolita dal fatto di essere alterata, avere approcci sbagliati è ancora di più inaccettabile». Qui il discorso si fa molto chiaro: «Le sostanze allentano i freni inibitori, ma le sostanze non possono spingerti a fare cose che non sono già nella tua indole. Lo stupratore è uno stupratore, non lo diventa a causa dell'alcol o di altre sostanze», spiega Alessio P. 19 anni di Ascoli Piceno. Anche Lorenzo O., 17 anni di Ascoli, lo dice chiaramente: «Il problema in questi casi non è l'alcol. Io mi soffermerei sull'educazione. Esiste il problema dell'alcol, ma il vero problema è l'educazione». «Alla base di tutto - spiega Giulia C. 18 anni anche lei di Ascoli - oltre all' educazione, c' è anche l'indole della persona». Per Federico R., 20 anni di Milano, «l'alcol può sciogliere i vincoli ma non vuol dire che autorizzi a esagerare. L' alcol può essere un aiuto a lasciarti andare, ma questo non vuol dire che ti lasci andare alla molestia». «Non è giusto dire che sia colpa delle sostanze - spiega Riccardo F., 17 anni di Ascoli - Se sei una brava persona e sai dov' è il limite, lo sai anche da ubriaco». Su una cosa tutti i nostri undici sono d' accordo: in caso di molestie o violenze non bisogna stare zitti, bisogna cercare il confronto con gli altri e se possibile denunciare, anche se questo costa e fa sentire a rischio. Ma nessuna violenza o molestia può più essere tollerata impunemente. Le molestie quotidiane Ma sono le ragazze a raccontare della quotidianità delle molestie, della frequenza imbarazzante dei contatti e delle attenzioni non richieste. E qui alcol e sostanze non c' entrano proprio nulla: «A me è capitato di ricevere fischi per strada, sentire grida e schiamazzi al mio passaggio da parte di ragazzi o uomini che stavano in strada. Altre mie amiche sono state seguite in macchina fino a casa», racconta Giulia C. «Io - dice Letizia - mi chiedo se valga pena di farsi quattro ore in un locale per tornare a casa con un trauma. Non è che passano un attimo, ti toccano e se ne vanno. Stanno lì e insistono. E cosa dobbiamo sentire quando si fermano con la macchina, abbassano il finestrino e ti dicono qualcosa? Mi succede da quando sono piccola, da quando ho 14 anni. In certe occasioni preferisco non andare a una festa o a una serata piuttosto che dovermi trovare in situazioni spiacevoli». Marta avverte ancora: «Bisogna stare attenti a non mettersi in situazioni difficili. Non bisogna mettersi nella condizione di perdere il controllo. Bisogna chiedersi "cosa mi può succedere?". Ci deve essere un'educazione alla responsabilità». Come ci si può difendere in quelle situazioni? «Le ragazze non devono essere difese, ma tutelate», dice Alessio, e il concetto di tutela è condiviso anche dagli altri ragazzi: «Non deve esserci una protezione possessiva, ma la capacità di difendere con dolcezza la persona che in una situazione rischia di essere più vulnerabile: e non è detto che sia una ragazza». E forse ci sarà un giorno in cui «non dovremo fingere di essere arrivate in un locale col fidanzato per evitare di essere molestate dal primo che passa».
· Il Catcalling: la presunta molestia sulle donne.
Perché si dice "catcalling": origine e significato del termine inglese. La Repubblica il 6 aprile 2021. Il termine è sempre più diffuso in Italia e nel mondo e per l’Accademia della crusca indica la "molestia sessuale, prevalentemente verbale, che avviene in strada". In origine, invece, il termine inglese indicava il lamento notturno dei gatti, un verso che nel Settecento veniva imitato dal pubblico in teatro e che serviva per criticare gli attori sgraditi. Sofia Gadici
Ottavio Cappellani per la Sicilia il 4 aprile 2021. Il “catcalling” non vuol dire “chiamare il gatto”, bensì “chiamare la micia”. Consiste nell’usanza diffusa di emettere suoni, per lo più gutturali, al fine di attirare l’attenzione di una ragazza che sta passando. Il catcalling, secondo coloro che lo praticano, farebbe in maniera che i suoni emessi, tipo grufolare, scatarrare, singultare, causino nel sesso femminile una sorta di arrapamento incontenibile. Dipende dal luogo. Se sei in una strada di un quartiere popolare, fai lo scippatore e sei seduto sul tuo motorino, il catcalling non si fa. Se sei nel privé di una discoteca, fai il calciatore, e hai le magnum di champagne sul tavolo, puoi mandare il tuo bodyguard a fare catcalling per conto tuo, di solito non si offendono moltissimo. A me fanno molto il catcalling, ma siccome sono maschio devo subire e quando torno a casa piango da solo nel bagno per non farmi sentire. Non abbiamo alcuna difesa contro il catcalling delle donne. Alcune mi toccano il culo e poi io penso che in fondo è stata colpa mia e mi colpevolizzo. Questo è ancora peggio della toccata in culo in sé. Molti sbagliano a fare catcalling perché non hanno i social, infatti nei social si vedono molti culi con le frasi poetiche. Se passa un culo e volete fare catcalling dovete recitare una poesia. Meglio se al tramonto. Però può capitare che si offendono anche così. Valle capire. Non puoi dire che non capisci le donne perché è sessismo. Se non le capisci fingi. Annuisci. Ci sono ragazze che nessuno gli fa il catcalling ma poi tornano a casa e fanno il video di denuncia lo stesso. Conosco una ragazza che Brad Pitt le ha fatto il catcalling e si è vantata con le amiche, ma le amiche si sono indignate e le hanno detto che non era una bella cosa, poi si sono picchiate e adesso non si parlano più. Un mio amico fa il catcalling alle vecchie all’uscita della chiesa, alcune lo prendono a borsettate altre gli offrono il fernet. Lo sguardo fisso per non essere catcalling non deve durare più di due secondi virgola otto. Una ragazza ha picchiato un ragazzo che l’ha guardata fissa per tre o quattro secondi, anche se quello aveva il bastone bianco e il cane pastore. Parlare di catcalling è pericolosissimo, non sai come muoverti e qualunque cosa dici sbagli sempre, ma a me ieri non mi venivano idee per la rubrica così ho rischiato. Dicono che fare sesso occasionale con gli sconosciuti sia molto eccitante. Ma visto che il catcalling è vietato devi mandare una raccomandata con la ricevuta di ritorno. Una delle maniere per non farsi accusare di catcalling è offrire la cocaina, ma ti viene a costare una cifra e commetti reato. Quando il catcalling era permesso io rimorchiavo un tot. Invitare una donna a cena è catcalling, lo sanno tutti che non la stai invitando a cena perché ti sembra denutrita. Alcuni per non incorrere nell’accusa di catcalling lavorano alla mensa della Caritas. “Suca” lo puoi dire solo da uomo a uomo, altrimenti è catcalling.
La denuncia. Catcalling, cos’è e perché si parla di questa forma di molestia nei confronti delle donne. Vito Califano su Il Riformista il 31 Marzo 2021. Si parla molto da qualche giorno in Italia di “cat calling”. Il dibattito è partito da una denuncia di Aurora Ramazzotti. La figlia del cantante Eros Ramazzotti e della showgirl Michelle Hunziker, classe 1996, ha denunciato questo fenomeno. Si definisce “cat calling” quel fenomeno di lanciare apprezzamenti, genericamente con allusioni di tipo sessuale, in strada con modi di dubbio o cattivo o pessimo gusto nei confronti di donne e ragazze. La denuncia in una stories sui social di Aurora Ramazzotti: “Ci rendiamo conto che nel 2021 succeda ancora, di frequente tra l’altro, il fenomeno del catcalling. Sono l’unica che ne è vittima costantemente nonostante sia anche una che si vesta un po’ da maschiaccio. Ma appena mi metto una gonna o, come in questo caso, mi tolgo la giacca sportiva, perché sto correndo e fa un cacchio di caldo, io debba sentire i fischi, i commenti sessisti, le schifezze. Mi fa schifo. E se sei una persona che lo fa, perché stati vedendo questa storia o ti arriva in qualche modo, sappi che fai schifo”. La parola “cat calling” è un prestito integrale dall’inglese. La prima attestazione risale al 1956, come ricorda l’Accademia della Crusca. Si forma dal verbo to catcall, documentato già a partire dalla seconda metà del Settecento per indicare i fischi di disapprovazione verso gli artisti a teatro. Il sostantivo catcall ha letteralmente il significato di “verso che i gatti fanno di notte”. E quindi si riferisce ai vari fischi, apprezzamenti, grida, commenti volgari nei confronti di ragazze e donne e del loro corpo. Il governo francese nel 2018 ha approvato una legge che dichiara punibile il cat calling su strade o mezzi di trasporto pubblico con multe fino a 750 euro, oltre a una mora per comportamenti perfino più aggressivi. Anche in altri Paesi il comportamento è punito. In Italia non esiste un reato per punire il cat calling. D’altronde sarebbe più opportuno agire sulla cultura nella quale nasce un atteggiamento offensivo piuttosto che aggiungere un’altra punizione senza alcun tipo di prevenzione.
Anais Ginori per la Repubblica il 19 aprile 2021. «Abbiamo tutte vissuto storie come questa che restano impresse nelle memoria». Marlène Schiappa ha raccontato l' altra sera in televisione di come sia stata avvicinata con battute volgari, fischiata in strada e di quando nei mezzi pubblici un uomo aveva cominciato a pedinarla. «Ho avuto una delle più grandi paure della mia vita», ha ricordato la ministra alla Cittadinanza, trentotto anni, origini corse e italiane (il cognome si pronuncia alla francese: Sciappà). È stata lei, quando era ministra per la Parità, a far approvare nel 2018 una legge che punisce "commenti o comportamenti con connotazioni sessuali o sessiste" nei luoghi pubblici, con multe da 90 a 1.500 euro in caso di circostanze aggravanti, per esempio quando la vittima ha meno di 15 anni. Tre anni dopo, il bilancio della legge contro il catcalling - termine inglese entrato anche nel dibattito italiano - è ancora modesto: solo 3mila infrazioni registrate dalla polizia. «È normale visto che bisogna cogliere in flagranza di reato i responsabili», si è giustificata Schiappa che però ora vuole andare avanti. Sulla base delle prime denunce, delle osservazioni della polizia e delle associazioni interessate, il governo vuole elaborare una mappa della Francia per identificare le "zone rosse" in cui ci sono più molestie in strada per le donne. E sulla base dei risultati mandare più poliziotti. «Duemila delle 10mila assunzioni di nuovi agenti saranno dedicati a questa missione», ha spiegato Schiappa che ora lavora nel dicastero dell' Interno. La ministra ha spiegato di voler creare "Qsr", quartiers sans relous , usando un gergo giovanile che si può tradurre in: quartieri liberi da molestatori. Di fronte a violenze fisiche e minacce ben più pesante di qualche fischio o battuta, c' è stata qualche critica. Schiappa ne fa una questione d' immagine femminile nella società. «Non possiamo dire alle donne: chiedi un aumento, imponiti nel mondo professionale, non autocensurarti. E poi lasciare che siano costrette a camminare con lo sguardo basso nello spazio pubblico ». Già nel 2018 la legge contro le molestie in strada era stata attaccata, ci fu un controverso testo firmato dall' attrice Catherine Deneuve e altre intellettuali femministe su Le Monde dal titolo: "Libere di essere importunate". Se in passato molte donne si sono abituate a sopportare questo tipo di "fastidio", le giovani sembrano meno disposte a far finta di niente. «Tutti i sondaggi dimostrano che molte ragazze non si sentono sicure e libere di muoversi nello spazio urbano», prosegue Schiappa. «Verbalizzare queste molestie è complicato, servono prove, testimonianze, la collaborazione di tutti. Ma lo Stato deve mettere nero su bianco che pedinare una donna, chiederle 10 volte il numero di telefono, fare commenti non richiesti sul suo fisico, è illegale». Al di là dei risultati concreti, la proposta di Schiappa si inserisce in una battaglia culturale di lungo termine. Nella patria di Simone de Beauvoir, il maschilismo è forse meno visibile ma ancora ben radicato. Fino a qualche anno fa Dominique Strauss-Kahn era considerato solo come un "libertino". Schiappa ha pubblicato numerosi saggi sulla conciliazione tra professione e famiglia, alcuni firmati insieme al marito Cédric Bruguière, con il quale ha avuto due figlie. È stata accusata di voler “americanizzare” la Francia, di fare facile moralismo. Come se le donne non fossero capaci di distinguere la frontiera tra molestia e seduzione. «Per me - risponde spesso la ministra che da piccola sognava di fare la gendarme - l' unico limite che vale è il consenso».
Da "video.corriere.it" il 31 marzo 2021. Aurora Ramazzotti si sfoga sui social dopo aver ricevuto fischi e commenti sessisti mentre faceva jogging per strada: «Chi fa queste cose mi fa schifo». La giovane è stata vittima dell'ennesimo episodio di Cat Calling e ha deciso di denunciare sui social attraverso delle storie su Instagram. «Possibile che nel 2021 succede ancora il fenomeno del Cat Calling?! Appena mi tolgo la giacca sportiva perché sto correndo e fa caldo devo sentire fischi, commenti sessisti e le altre schifezze. Mi fa schifo e se sei una persona che lo fa, mi fai schifo», ha detto Aurora Ramazzotti.
Da "today.it" il 31 marzo 2021. Non c'è mai fine al peggio, soprattutto sul web. Aurora Ramazzotti, che ieri ha detto di essere spesso vittima di catcalling - ovvero apprezzamenti e avances sgradite in strada, condite con termini sessisti - è stata travolta da una valanga di cattiverie sui social. Commenti velenosi - sotto un post che riportava le sue parole su questo fastidioso fenomeno - per certi versi ancora più pesanti delle molestie verbali subite, soprattutto perché molti provenivano proprio da donne. "Ma è la stessa che soffriva perché a scuola dicevano che era brutta? Ora si duole perché le dicono che è bona?" chiede sarcasticamente (e odiosamente) qualcuna, o ancora: "Ma chi la fischia?". E poi da "Neanche fossi Miss Mondo" a "Sarà peggio quando nessuno ti fischierà più", via così scroll su scroll.
La replica di Aurora Ramazzotti. Critiche che fanno inorridire, alle quali Aurora Ramazzotti ha replicato: "Non so perché ma questa volta fa più male del solito - spiega tra le storie Instagram - forse perché è un fenomeno che riguarda tantissime donne. Alcune lo vivono peggio di me, non escono più, non fanno certe strade, non si vestono più in un certo modo. Non sono neanche gli uomini che riducono tutto all'aspetto fisico. Addirittura sembra che ci siano dei requisiti per meritare il catcalling e che io non ce li abbia, perché in quanto cesso non me lo merito. Sono le donne che mi sconvolgono - continua l'influencer - Come fai a dirmi che piangevo da ragazzina perché ero brutta e ora mi lamento perché mi dicono che sono figa? Come fai? Ho letto quei commenti perché volevo capire come percepivano questo messaggio le persone che non mi seguono. Non mi aspettavo che si riducesse di nuovo tutto all'aspetto fisico. Io non mi sognerei nemmeno di pensarla una cosa del genere di un'altra donna. Mi rendo conto che non siamo pronti per l'avanzamento, non andiamo da nessuna parte. Se non ne posso neanche parlare io, che ho un seguito, di un fenomeno del genere, chi lo fa? Non è un'opinione mia, dovrebbe essere scritto in una legge che un uomo non può fischiarmi per strada come fossi un cane".
"Tua mamma così bella, tu brutta", Aurora Ramazzotti risponde all'hater. Aurora mette in evidenza uno dei tanti commenti ("Ma chi ti fischia?") e rincara la dose: "Visto che tu così stai ammettendo che non mi meritavo quei fischi, perché non sono figa, possiamo allora ammettere tutti insieme che siamo arrivati a un punto così basso che anche le cozze addirittura vengono fischiate e ricevono commenti sessisti. Quindi il problema merita di essere risolto, no?". Uno lungo sfogo che si conclude con la promessa di continuare a battersi per certi temi, ma soprattutto contro la cattiveria gratuita: "So che tra i miei follower ci sono tante persone intelligenti che riescono a vedere oltre e vi ringrazio per questo. Non perdo la voglia di parlare di certe cose, anzi, ho un sacco di idee in mente per fare sempre più bene".
Da liberoquotidiano.it il 12 aprile 2021. Una Luciana Littizzetto mai vista così dura. A Che tempo che fa, su Rai3, la storica spalla di Fabio Fazio si esibisce nella sua classica lettera-monologo diventata in brevissimo tempo un trending topic su Twitter, stra-condivisa da migliaia di donne. Il tema? Serissimo, quello del catcalling: il volgare apprezzamento in pubblico che in realtà rappresenta una violenza verbale e psicologica sulle ragazze, denunciata qualche giorno fa da Aurora Ramazzotti. "Pensa che ho letto che il 79% delle donne nella sua vita ha vissuto un’esperienza di catcalling. 79% è tanto, vuol dire quasi tutte. Non è un problema che riguarda solo le donne, ma tutta la società", spiega la comica torinese a Fazio. "Non dire: "Eh che cosa sarà mai il catcalling, quanto la fate lunga, è solo un complimento". E non mi dire: "è sempre stato così." Se l’hanno subito le nostre nonne e le nostre mamme noi non lo vogliamo più. Le nostre figlie non lo vogliono più". Poi si parte con le invettive, parole violentissime contro i maschi che hanno un solo modo di rapportarsi verso il genere femminile: "Ma quanto devi essere disperato per comportarti così? Ma quanta poca gnocca come la chiami tu hai visto, nella tua superflua vita? Caro cretino. Fischiatore solitario. Smanettatore di walter su panchina. Vuvuzela fastidiosa, bavoso schifosone che mi gridi: Ciao zo***a! mentre in pantaloncini corro al parco. Cosa pensi? Ammesso che pensi? Se è un complimento, allora dillo alla tua fidanzata all’altare e vediamo come finisce il matrimonio. Prova quando il prete dice: vuoi tu… Mimmo Catrama… prendere in sposa …. e tu aggiungi Chi? questa vac***a? A vedere come la prende tuo suocero". "Quindi per piacere amico - è la conclusione -: la prossima volta che senti il bisogno di urlare schifezze, fallo rivolto alla luna e se non sai tener ferma la lingua lecca il muro. Cordialmente, io e tantissime donne italiane". Come darle torto.
Sara Manfuso per "la Notizia". Nessuna preclusione aprioristica, nessuna convinzione che alcuni temi di utilità sociale debbano essere trattati da pochi eletti. Se fosse così, chissà, magari dovrei ben guardarmi anch’io dallo scriverne. Ben venga dunque che l’influencer di turno, o che qualche esponente della nutrita categoria dei “figli di” (sdoganata con soavità nell’ultima edizione del GFVip con i vari Oppini e Zenga), possa portare l’attenzione su questioni di una qualche rilevanza pubblica parlando a quei tanti giovani che la politica si è persa per strada. Allora, evviva Aurora Ramazzotti - tanto influencer quanto “figlia di” - che sul suo seguitissimo Instagram fa esplodere il caso “cat calling” con un post, che suona com’è uno sfogo troppo a lungo trattenuto, subito ripreso dalle maggiori testate nazionali. Sembra davvero non poterne più, poverina. Infatti, scrive così: “Possibile che nel 2021 succede ancora il fenomeno del Cat Calling?! Appena mi tolgo la giacca sportiva perché sto correndo e fa caldo devo sentire fischi, commenti sessisti e le altre schifezze. Mi fa schifo e se sei una persona che lo fa, mi fai schifo”. Cat calling, espressione poco frequentata in Italia e che se tradotta alla lettera può essere altamente fuorviante (a me viene subito da pensare alla “gatta” - cat - cantata da Marcella Bella in “Nell’aria”, ma potrei dover subito respingere le accuse di sessismo per questa citazione canora) che si riferisce ai complimenti di cattivo gusto destinati a una donna per strada, o in altro luogo pubblico. In Francia, nel 2018, Macron ha approvato la legge contro gli “insulti da strada” arrivando a prevedere multe salate e, in taluni casi, un percorso di riabilitazione civica obbligatorio. La tesi di fondo femminile è: non sono un mero corpo, non c’è consenso della destinataria delle parole nell’udirle. Certo, non siamo solo un corpo. Ma siamo anche un corpo, fatto in un certo modo e non per caso. Non intendo scomodare i grandi padri della biologia ma le forme femminili - anche nella specie umana - rimandano alla sessualità, alla fertilità. Così come quelle maschili. Anche noi donne apprezziamo, eccome. Figuriamoci se queste forme si accompagnano anche alla bellezza (“canonica”, perché rispondente a determinati parametri culturali in un dato momento storico; “individuale”, ovvero vissuta come tale dalla sensibilità e dai modelli del singolo). Veniamo al consenso nell’ascolto di tali parole. Non intendo promuovere l’idea per cui le parole non siano importanti, ritengo infatti che queste possano essere armi estremamente acuminate. E fare male, molto male. Ma come facciamo con ciò a far diventare un fischio di apprezzamento, o il “Bambola!” un reato da sanzionare? Penso alle frasi dell’attrice Sofia Vergara che dichiara di essere preoccupata per quando non riceverà più fischi per strada, o alla nostra Alba Parietti che - non troppo tempo fa - con la schiettezza che la contraddistingue dichiara: “provateci voi a 54 anni!”, compiaciuta dei fischi e delle parole di un gruppo di ragazzotti sul volo Ciampino-Ibiza. Il tutto senza consenso, ovviamente. Qui emerge l’eterogeneità del mondo femminile nella reazione al tema. C’è chi vive male il fischio, mi chiedo quante siano; c’è “chi vive per il fischio” ovvero donne narcisiste e insicure che si sentono “confermate” nel loro valore solo attraverso l’approvazione maschile. Ce ne sono tante (troppe!) e non vanno condannate, ma aiutate. Poi, ci sono quelle a mio avviso “equilibrate” (sempre troppo poche!) che possono essere contente di un fischio pur non ritenendo se stesse strumento di gratificazione maschile e che, se il fischio occasionale non è gradito, sono capaci di ignorarlo. Come si fa con una cosa volgare. Non possiamo confondere il cattivo gusto con un reato. Piuttosto, infischiamocene del fischio.
Da adnkronos.com il 31 marzo 2021. "Er Faina mi fa pena, mi dispiace che non riesca a elaborare un ragionamento. Una donna non può essere ridotta ad un paio di gambe, non siamo più delle bestie". Tommaso Zorzi, vincitore del Gf Vip, dal proprio profilo Instagram stigmatizza così le parole di Er Faina, personaggio balzato tra le tendenze di Twitter per le proprie 'esternazioni' sul tema del catcalling e delle molestie. "Quello che mi dispiace è che lui sia seguito, questo lo rende pericoloso. Mi auguro che la gente possa capire", dice Zorzi su Instagram. Ma cosa ha spinto Er Faina tra le tendenze di Twitter? Seguito su Instagram da oltre 1 milione di persone, Er Faina -che sul social si presenta come comico e si definisce 'La Voce Di Chi Non Ha Voce- ha in sostanza derubricato a 'normale tecnica di rimorchio' gli atteggiamenti che vengono riassunti con il termine "catcalling", usato per indicare apprezzamenti inappropriati che per strada vengono rivolti alle donne e che sono in tutto e per tutto una forma di molestia. Il tema, nei giorni scorsi, era già stato affrontato da Aurora Ramazzotti.
Da "oggi.it" il 7 aprile 2021. OGGI, in edicola da domani, ospita la risposta che Michelle Hunziker ha voluto dare a una lettrice sul caso di «cat calling» (molestie per strada) denunciato dalla figlia Aurora. «Credo sia giusto prendere posizione di fronte a questo fenomeno, e dire chiaro e forte che non è né spiritoso né divertente, solo irrispettoso e volgare. Bisogna farlo soprattutto pensando alle ragazzine più giovani, alle più timide, che rischiano di esserne umiliate e impaurite». Spiega Michelle: «Non mi piace chi prova a spacciare il cat calling per un omaggio un po’… ruspante: penso che un uomo intelligente abbia frecce migliori al proprio arco per esprimere apprezzamento…Mi ha fatto molto piacere che Aurora abbia reagito con decisione: il senso della giustizia l’ha spinta a usare la sua consapevolezza e i suoi strumenti per mandare un segnale che può dare coraggio a chi ha un carattere meno forte del suo, e che forse farà riflettere chi non è tanto abituato farlo». Sul caso denunciato da Aurora Ramazzotti, OGGI, in edicola da domani, ha raccolto il parere di molte donne dello spettacolo. Tra le tante, Alba Parietti: «È giusta la polemica di Aurora… chiedere giustizia ancora oggi è come uscire disarmati davanti al plotone d’esecuzione e sì, lo ammetto, io non me la sono sentita… Però non esageriamo al contrario: un uomo non deve camminare muto e con gli occhi bassi, io non mi sento offesa da un fischio, mi fa sorridere». Martina Colombari: «Io, a 46 anni, tiro dritto e non me la prendo, ma capisco che può creare disagio… Piuttosto considero molesto l’atteggiamento di chi ci prova con me anche se sa che sono sposata, ho un figlio e non mostro interesse nei suoi confronti». Manuela Arcuri: «A me ha sempre spaventato il fischio o il commento per strada. Da ragazzina di più ma anche adesso mi fa sentire in ansia». Giulia Arena, attrice anche nel «Paradiso delle Signore»: «Mi sembra un modo goffo di mostrare la “criniera” e sentirsi autogratificati perché nella nostra cultura c’è ancora l’idea dell’uomo che così esprime virilità». E se Samanta Togni racconta: «Sono stata vittima di questi comportamenti e mi sono sentita offesa, anzi, indignata. Io spesso reagisco, non gliele mando a dire!», altre, come Iva Zanicchi si complimentano con Aurora perché «il complimento volgare va stigmatizzato» ma avvertono: «In generale, mi pare si stia esagerando, stiamo andando verso un mondo sterilizzato in cui un fischio passa per un’offesa mortale: se ne fa una questione di Stato, non si può più dire niente!». E Donatella Rettore ironizza: «Io mi domando seriamente dove sono finiti gli uomini che fanno i complimenti».
Maria Elena Barnabi per "cosmopolitan.com" l'8 aprile 2021. Care lettrici di Cosmopolitan, mi presento. Sono nata negli Anni Settanta, sono stata adolescente negli Anni Ottanta, ho iniziato l’Università nel 1991 (sì, mettevo i jeans a vita alta) quando probabilmente nessuna di voi manco era nata. Negli anni Duemila iniziavo la mia sfolgorante carriera nel mondo dell’editoria dei femminili. Insomma quando qualcuna di voi andava all’asilo nido, io avevo già smesso di bere non solo le varie vodka aromatizzate, ma anche alcune marche di champagne perché mi davano bruciori di stomaco. Tutto questo per dire che sì, sono più vecchia di voi. Non proprio vecchia tipo nonna, neanche tipo mamma (mio figlio ha 10 anni). Più vecchia tipo zia, ecco. E con la voglia amorevole della zia di passare antiche saggezze nate da esperienze dolorose ancorché necessarie (supportate da anni sul lettino a fare analisi) a diventare la donna che sono, mi accingo a dire la mia sul cat calling. Che in sostanza si può risolvere così: quando la piantiamo di lamentarci solo sui social e cominciamo a metterci la faccia anche nella vita vera?
Colpirne uno per educarne cento. Un bel vaffanculo detto al momento giusto, al tipo giusto e con il tono giusto fa più di mille storie instagram, credete alla zia. Del resto il “colpirne uno per educarne cento”, come diceva Mao Tse Tung, sta alla base della più grande rivoluzione culturale mai attuata nel mondo occidentale. Dico questo perché nei commenti che ho letto a corollario dei vari articoli, pezzi e storie instagram comparsi sull’argomento di recente, conseguenza della denuncia fatta da Aurora Ramazzotti (ha detto su ig “mi fate schifo” a quelli che le fischiavano per strada mentre lei correva, e si è scatenata la polemica), ho letto moltissime testimonianze di ragazze che si dicevano mortificate e umiliate dalle molestie di strada, in seguito alle quali erano state costrette a “cambiare strada”, “far finta di niente” eccetera. Ieri è anche uscito un articolo di Selvaggia Lucarelli che racconta della sua sofferenza di adolescente formosa, presa di mira dai commenti volgari delle reclute della caserma vicino casa sua ogni volta che doveva prendere la corriera. Del resto cosa può fare se non cambiare strada una quindicenne quando ci sono 30 ragazzi che additano le sue tette?
Non siamo tutte quindicenni. Il punto è che, a leggere i commenti sui social e nella blogosfera, sembra che siamo tutte quindicenni impacciate. Addirittura ho letto di una collega che dice di aver insegnato alle sue figlie femmine a “non mantenere lo sguardo”, perché, immagino, sarebbe atto di superbia o provocazione verso il maschio che fa cat calling. Questi commenti mi fanno andare il sangue al cervello. Ci professiamo femministe, poi insegniamo alle ragazze ad abbassare lo sguardo? Le mie nonne (che come tutte le donne della società agricola lombarda di 100 anni fa erano le vere capofamiglia, figurarsi se abbassavano lo sguardo davanti a un maschio) si sarebbero scandalizzate a sentire queste parole. Ci lamentiamo sui social del maschio arrogante e predatore, e quando ce lo troviamo davanti arretriamo o cambiamo strada? Ma che fine hanno fatto gli insegnamenti delle femministe che ci hanno cresciute, noi nate quarant’anni fa? Dove sta l’autoaffermazione delle donne? Ho una notizia: i maschi vanno affrontati e rimessi al loro posto. A muso duro. Sui social e nella vita vera, ogni giorno, senza farne passare una. Ovviamente non sto parlando di quelle forme di cat calling che sono molestie fisiche (inseguimenti, palpeggianti e altro: l’unica cosa da fare in questi casi è scappare e denunciare appena possibile), ma di quel cat calling più comune e diffuso, quello che a quanto pare il maschio italico fatica a catalogare come molestia: il commento volgare, lo sguardo insistente, l’approccio indesiderato.
Come rispondere al cat calling. Se uno ti urla una frase volgare per strada hai due alternative: far finta di niente e tirare dritta (che ti frega poi di un deficiente) oppure fermarti, girarti e ribattere (perché alla fine, poi, delle parole di quel deficiente un po' ti frega). Novanta su cento se ne andrà con la coda tra le gambe. I bulli non si aspettano la rivolta degli schiavi. Se c’è un gruppo di ragazzi su un marciapiede, è bellissimo passare in mezzo a loro e piantargli gli occhi nelle pupille. In genere non hanno mai il coraggio di fiatare. Se fiatano, basta controbattere con una battuta ugualmente volgare. Certo costa un po’ di fatica e di coraggio: di fronte ai bulli è normale avere paura. E se poi questi si arrabbiano? E se ti tirano un ceffone? E se poi ti violentano? In genere l’effetto sorpresa è paralizzante per tutti. E poi ci sono tanti piccoli accorgimenti per trovare il coraggio di controbattere la prima volta: farlo davanti a un sacco di gente, di giorno, con un’amica, mentre si porta in giro il cane. L’importante è farlo. Il misto di eccitazione, paura e onnipotenza che si prova è un friccico bellissimo di cui poi fatichi a fare a meno. Ricordo la mia prima volta, ero in seconda media e un bullo mi prese in giro per le tette, o qualcosa del genere. Gli risposi che aveva il cazzo piccolo e quello mi disse la classica frase da bullo: «Barnabi, ti aspetto fuori». In cima alle scale, cercai di rimandare il più possibile la mia condanna, ma insomma quando il bidello stava ormai spegnendo le luci della scuola, mi feci forza e uscii. Me ne diede un sacco, ma inspiegabilmente riuscii a dargli tanti calci negli stinchi. Ero piccola e veloce. Finimmo pari. Da quel giorno ebbi la certezza che sapevo difendermi. Crescendo mi resi conto che non potevo più fare a botte con i maschi: loro erano diventati più forti di me. Ma rimasi convinta di potermi sempre far valere. Come giustamente ha ricordato l'influencer e sex columnist Carlotta Vagnoli in un video su instagram visto quasi 1 milione e 500mila volte, il cat calling è una dimostrazione di potere del maschio sulla donna, che con i complimenti e il desiderio sessuale non c’entra nulla. In questi casi i bulli sono un po’ come i cani: hanno solo bisogno di capire chi è il padrone. E il padrone possiamo essere noi.
Da today.it il 31 marzo 2021. Damiano Coccia – youtuber romano da 1,1 milione di follower noto come Er Faina - ha affidato a svariate storie Instagram il proprio punto di vista sul dibattito riguardante il cosiddetto catcalling, ovvero la pratica di riservare per strada apprezzamenti e avances sgradite, anche con termini sessisti, soprattutto alle donne. In queste ore la questione trova ampio spazio in rete dopo che Aurora Ramazzotti ha lamentato di esserne spesso vittima, dicendosi schifata da chi è avvezzo al discutibile costume. Così Er Faina ha detto la sua: “Io posso capire se uno viene, ti insulta, ti rompe il ca*… Ma che c’è un manuale di rimorchio? Uno passa, vede due belle gambe… dici “Ah fantastica”. Mica t’ho detto ‘affanc*** brutto cess*”, ha affermato non prima di aver postato un riferimento proprio a quanto affermato dalla figlia di Eros e Michelle Hunziker. E ancora: “Il catcalling? Per due fischi? Io non so dove andremo a finire. Se qualcuno viene ti tocca, posso capire. Ma se uno fischia e ti dice ‘ah bella’…”. Poi la precisazione: “Ovviamente questo discorso vale per i ragazzi. Perché se a una ragazzi di 16 anni gli si affianca uno 60 e le dice ‘bella’ sono io che gli tiro uno scarpa...”, ha aggiunto lo youtuber che, in seguito, ha lamentato di essere stato destinatario di accuse e ingiurie da parte di chi non ha condiviso il suo pensiero. “Qualcuno mi ha detto che sono pericoloso, manco facessi parte del cartello di Pablo Escobar…”, ha detto ancora, allegando screenshot degli insulti ricevuti: “Io non posso dire quello che ho detto mentre loro politicamente corretti possono dirmi di tutto e di più… This is Italia”, ha chiosato.
Roberta Scorranese per il “Corriere della Sera” il 2 aprile 2021. È amareggiata? «Molto. Non mi aspettavo commenti così offensivi, specie da parte di donne». In un video diffuso sui social lei ha denunciato il cosiddetto «cat calling», quel fenomeno - purtroppo molto comune - per cui le donne vengono fischiate per strada e apostrofate con commenti sessisti. «Mi è sembrato giusto farlo perché tante donne non hanno la forza di reagire a quella che ormai è una prassi considerata normale. Ma quelli che fischiano, o che dicono di peggio, non sanno che cosa si prova. Paura, umiliazione». Aurora Ramazzotti lo ha detto chiaramente nel video, con quella spontaneità che veste abitualmente sui social network: «Possibile che nel 2021 succeda ancora il fenomeno del cat calling ? Appena mi tolgo la giacca sportiva perché sto correndo e fa caldo devo sentire fischi, commenti sessisti e altre schifezze. Mi fa schifo e se sei una persona che lo fa, mi fai schifo». E le risposte alle frasi della conduttrice ventiquattrenne, figlia di Eros Ramazzotti e Michelle Hunziker, sono state da brivido. Dalla più gentile («Ma chi ti vede?»), fino a scendere giù, nel fondo del repertorio degli «hater», che la prendono di mira da anni. In una delle «storie» che lei ha pubblicato su Instagram ammette che stavolta fa più male del solito.
«Intanto perché a intervenire sono state anche le donne. E poi perché alcuni commenti lasciano intendere che il cat calling "te lo devi meritare", che non sono abbastanza bella per un fischio per strada o un commento sessista».
Come se questa forma di molestia fosse un premio.
«Sì, lo trovo assurdo. Grazie all'attività di mia madre (Hunziker guida da anni la Fondazione Doppia Difesa assieme a Giulia Bongiorno, ndr ) sono cresciuta con una certa consapevolezza e so bene che ci sono delle donne che evitano persino di prendere i mezzi pubblici per paura delle molestie. Ci sono quelle che si rigirano le chiavi in mano mentre attraversano un parcheggio isolato di sera. Come si fa a rispondere che il cat calling richiede certi requisiti?».
Confondere la molestia con un apprezzamento gentile è molto comune?
«Sembrerebbe. Io penso di saper distinguere una frase gentile, un complimento, da una forma di molestia verbale. Certo, ci sono molestie molto più pesanti, per non parlare delle aggressioni e della violenza fisica, però io agli uomini dico: mettetevi nei panni di una donna che sta camminando da sola per strada o sta correndo in un parco deserto. Come pensate che possa reagire quando voi fischiate e richiamate la sua attenzione come se fosse un cane? Ci sono donne che hanno smesso di vestire come vogliono per non attirare sguardi imbarazzanti».
Se ne parla poco, perché?
«Temo che sia una prassi così normalizzata da risultare antipatico - per paradosso - un intervento come il mio». La risposta tipica, in questi casi, è: «Ora non vi si può più nemmeno fare un complimento».
Come replicare?
«Il complimento lo riconosci. Intanto perché non ti viene rivolto mentre sei da sola, per strada e stai facendo altro. Ti viene rivolto in altre situazioni, quando si entra in contatto con rispetto e si capisce che la donna si trova a proprio agio. Ma sa che cosa mi ha ferito di più?».
Che cosa?
«Che in tanti abbiano legato questo mio sfogo alla foto nella quale facevo vedere la mia pelle imperfetta, quella che ho diffuso qualche tempo fa. Il discorso è stato più o meno questo: prima si lamenta della pelle brutta e poi si lamenta se le fanno un complimento. Vuol dire non aver capito nulla, non aver colto né il primo né il secondo messaggio. Addirittura quando ho postato la foto con l'acne hanno detto che lo stavo facendo per farmi pubblicità».
Sua madre è stata vittima di stalking. Come si cresce con questa ombra persecutoria accanto?
«Si finisce per non essere mai da sole, ma sempre accompagnate da qualcuno».
Pensa che in questa fase sia necessario l'appoggio di quegli uomini che rispettano le donne e che non si riconoscono nella categoria dei «cat caller»?
«Importantissimo. La condanna da parte loro diventa un cambio di passo. Abbiamo bisogno degli uomini, non solo in questa battaglia ma anche in tante altre. Per esempio, quella per la parità salariale. Eppure anche io, che sono un'ottimista, di fronte a questa sfida mi deprimo. Cambiamo argomento».
· Il Metoo.
Dagospia il 21 dicembre 2021. Da “La Zanzara - Radio24”.
D: Signora Reade, lei ha detto di essere stata molestata sessualmente da Joe Biden, attuale presidente degli Stati Uniti d’America
Sì, ero parte del suo staff, ho lavorato per Joe Biden nel suo staff del Senato dal 1992 al 1993 e, quando ho lavorato lì, mi ha aggredito sessualmente.
D: Quando è successo esattamente
Nel 1993, mi è stato chiesto di portargli la borsa della palestra e quando l’ho incontrato a Capitol Hill, mi ha spinto contro il muro e mi ha infilato le dita dentro, senza il mio permesso.
D: E’ successo solo una volta?
Mi molestava sessualmente (“sexual harrassment”), nel senso che mi metteva le mani sulle spalla e nei capelli, ma la violenza è avvenuta solo una volta, quando mi ha spinto contro il muro, mi ha baciato, aveva le mani dentro la mia camicia e sotto la mia gonna
D: Lei ha detto di essere stata penetrata con le dita, cosa accadde concretamente?
Sì, gli stavo porgendo la borsa della palestra, ha iniziato a baciarmi, chiedendomi di andare da qualche altra parte, ha detto che voleva scoparmi e poi ha messo le dita dentro di me. Ho cercato di allontanarmi da lui, ed ero scossa perché è stato tutto all'improvviso, non me l'aspettavo. Ed era il mio capo, aveva l'età di mio padre. E non volevo.
D: La cosa è finita con quell’episodio?
Sì. E quello che è accaduto dopo è stato emotivamente forte per me perché avevo tanta paura. Sapevo che, dicendogli di no, la mia carriera sarebbe finita.
D: Ed è quello che è successo?
Sì, dopo mi ha detto: e dai, pensavo ti piacessi. Poi ha agitato un dito, me lo ha puntato contro e mi ha detto: tu non sei niente per me, non sei niente.
D: Perché non l’ha denunciato subito, ma solo dopo la sua candidatura alla presidenza? Questo lascia perplessi…
Per una serie di ragioni. Ho provato a farmi avanti nel 1993. Ho fatto una denuncia per molestie sessuali all’interno dello staff di Biden, ma un membro dello stesso staff mi disse: "Ti distruggeremo, cazzo".
Avevo vent’anni, mi hanno messo a tacere. Poi quando altre sette donne si sono fatte avanti nel 2019, prima che Joe Biden fosse candidato ufficialmente alla Presidenza, mi sono fatta avanti anch’io, pensando che il movimento ‘Me Too’ mi avrebbe aiutato
D: E invece?
No, loro stanno con i Democratici, con l’élite democratica
D: Lei ha votato per Trump alle ultime elezioni?
No, non sono mai stata una Repubblicana, sono sempre stata per i Democratici in tutta la mia vita da adulta. Ho lavorato per i Democratici, con Panetta e poi con Joe Biden. Ero una Democratica.
Quando ho raccontato la verità su Biden loro hanno vissuto questa cosa come un tradimento. E hanno tentato di distruggere la mia vita
D: Ripeto. Personalmente ho dei dubbi sulle denunce fatte tanti anni dopo i fatti. Lo stesso Biden ha chiesto scusa per alcuni atteggiamenti verso le donne
Biden non mi ha mai chiesto scusa e non è mai stato indagato. Le sue scuse non hanno nulla a che fare con lo stupro. E comunque ho provato a denunciare nel 1993 e sono stata bloccata. Ho seguito il protocollo interno per gli uffici, ci sono dei files, dei documenti, ma Joe Biden non li renderà mai noti
D: Perché all’epoca non andò dalla polizia?
Mia madre mi ha pregato di andare alla polizia, ma avevo troppa paura. Avevo paura di quello che sarebbe successo se fossi andata in Polizia, perché succedono brutte cose alle donne che cercano di farsi avanti. Quindi ho cercato di stare attenta e sono passata prima attraverso il protocollo.
D: Cosa c’è di nuovo oggi, si potrebbe riaprire il caso contro Biden?
Sì, potrebbe esserci un'indagine del Congresso, perché ora è emersa la corruzione di Cuomo e che Cuomo aveva parlato con Biden, lo staff di Cuomo avrebbero chiesto a Biden consigli su come distruggere le vittime di molestie, ora è stato tutto reso pubblico dal procuratore generale. Quindi, se i Repubblicani vinceranno, potrebbe esserci un'indagine del Congresso
D: Oltre al suo racconto che prove ci sono?
L’ho detto all'epoca dei fatti, c'è la denuncia per molestie sessuali che ho presentato ed è abbastanza per giustificare un'indagine. Non so quali saranno gli esiti, ovviamente, finché non ci sarà l’indagine, ma penso che permetterebbe ad altre donne di farsi avanti. E so che oltre alle sette che si sono fatte avanti, ce ne sono altre due che hanno paura di farsi avanti
D: Dunque lei considera Biden un molestatore seriale?
Secondo me Joe Biden è un predatore. Per la mia esperienza con lui. È la mia opinione. Ma ciò che è più preoccupante è che il Partito Democratico sta proteggendo i predatori: Clinton, Epstein, Cuomo, Biden.
E incolpano i Repubblicani di tutto, e anche i Repubblicani hanno i loro problemi, come Trump. Ma quello che sta succedendo con i Democratici è che sventolano la bandiera del "Me Too", che è ipocrita perché protegge l'élite
D: Però si tratta sempre della sua parola contro quella del Presidente, per fatti avvenuti tanti anni fa…Non c’è nulla di accertato
Ascoltate bene. Io volevo davvero, ero molto seria sulla mia carriera quando avevo vent'anni…volevo lavorare con Joe Biden e lo vedevo con rispetto.
È stato scioccante vedere la mia vita distrutta...ed è stata distrutta... la mia carriera, non una, non due, ma ha distrutto la mia vita altre volte quando ho cercato di parlare.
Mi hanno chiamato “agente russo”, perché avevo detto pubblicamente che sostenevo la leadership russa di Vladimir Putin e non sostenevo la xenofobia. E ho detto che doveva esserci equilibrio nel mondo. E hanno usato questa contro di me, ma molto semplicemente non è vero: non sono un agente russo, sono un’americana che lavorava per il Governo americano, e che ci credeva (Piange, ndr)
D: Come considera Joe Biden come uomo?
Penso che sia un predatore bugiardo, un misogino, che si è dimostrato una specie di razzista che si nasconde dietro le sue risorse e i suoi soldi.
Non so perché lo sostengano, a questo punto è l’ombra di un uomo e ha problemi nel tenere in ordine il suo cervello. In ogni caso secondo me non credo che debba essere consentito a un predatore sessuale, a qualcuno che ha aggredito sessualmente qualcuno, di essere il leader del Paese
D: Lei davvero pensa che possa essere incriminato?
Non si tratta di incriminare Joe Biden. Si tratta di non avere stivali a schiacciare la gola. Le donne devono poter parlare quando succede loro qualcosa senza che la loro carriera sia rovinata.
Ciò che proprio non va è che quell'aggressione è avvenuta, è stato un episodio isolato, traumatico. Ma rimetterci la mia carriera solo perché ho detto la verità, ecco questa è un’infamia.
D: Ogni tanto lei ripensa alle dita di Biden dentro di lei?
Oh, questa è una buona domanda. Perché, per molto tempo, ho cercato di non pensarci affatto. E poi, quando mi sono fatta avanti e l'ho raccontato, ho ricominciato ad avere gli incubi. Incubi con lui che mi afferra. E mi costringe.
E ricordo il dolore delle mie ginocchia, di quando mi aprì le gambe con il ginocchio contro le mie rotule. E quindi, sì, ho ancora gli incubi. E di recente mi hanno minacciato via mail di spedirmi in prigione. Mi accusano di essere una spia russa. E questo è spaventoso, perché, sai, molta gente può pensare che io sia una traditrice
D: Grazie, signora Reade. Ci può ripetere bene in conclusione quello che avvenne nel 1993 nei corridoi del parlamento americano?
Lui mi metteva le mani sulle spalle, mi massaggiava le spalle, mi metteva le mani nei miei capelli. Una cosa molto strana, era il mio capo e non avevo mai parlato con lui...
Un giorno mentre gli riportavo una borsa nei corridoi di Capitol Hill, all’improvviso mi ha spinto contro un muro, con il ginocchio mi ha allargato le gambe…è successo tutto all’improvviso…diceva che voleva scoparmi, di andare in un posto privato, mi ha infilato le mani sotto la camicetta e sotto la gonna…mi ha messo un dito dentro la vagina. Io non lo volevo, non lo volevo, ero molto spaventata e ho cercato di liberarmi
D: Continui…
“Quello stesso dito me lo ha puntato contro, quando l’ho rifiutato, e mi ha detto: tu non sei niente per me, non sei niente. E in quel momento il mondo si è chiuso dietro di me, sapevo che stava andando tutto a rotoli e che la mia carriera sarebbe finita.
Non è stato solo l’assalto a essere orribile, è stato il tutto. Mi ricordo il freddo del muro, il suo odore, sapeva di lavasecco. L'ultima cosa che mi ricordo è che mi ha cinto le spalle col braccio dicendomi "va tutto bene", e poi se n’è andato via senza nemmeno guardare indietro. Io mi sono seduta sulle scale, tremavo e le mie gambe non reggevano.
Ero molto spaventata. Quando sono arrivata a casa mia madre mi ha detto di andare dalla polizia ma io non volevo, ero troppo spaventata. E’ stata una delle cose peggiori che sono successe nella mia vita
Da “il Messaggero” il 17 Dicembre 2021. Il breve rientro nel reboot di Sex and the City' non ha portato fortuna a Chris Noth: l'attore è stato accusato da due donne di averle stuprate. Zoe, che oggi ha 40 anni, e Lily di 31 hanno detto che è stato proprio lo show a far scattare la molla che, separatamente e a mesi di distanza l'una dall'altra, le ha portate a contattare l'Hollywood Reporter con le accuse al vero Mr. Big. Rivederlo sul piccolo schermo, hanno detto Zoe e Lily (entrambi nomi di fantasia), ha riportato a galla memorie dolorose delle violenze subite rispettivamente a Los Angeles nel 2004 e a New York nel 2015. Noth respinge categoricamente le accuse, affermando che si tratta di falsità.
Estratto dell'articolo di Anna Lombardi per "la Repubblica" il 22 dicembre 2021. Che il Mister Big della serie tv Sex and The City non fosse certo un santo, Carrie e le sue amiche lo hanno sempre saputo. Ma le gravi accuse di violenza sessuale avanzate contro l'attore Chris Noth che da sempre lo interpreta, hanno lasciato sgomente le star dell'iconica serie appena tornata sul piccolo schermo dopo 17 anni col titolo And Just Like That . «Siamo profondamente rattristate dalle accuse contro di lui. Sosteniamo le donne che hanno condiviso le loro dolorose esperienze. Farlo non dev'essere stato facile e le lodiamo per questo», hanno dunque scritto condividendo lo stesso messaggio nelle storie dei loro rispettivi profili Instagram le protagoniste della saga: Sarah Jessica Parker, la Carrie per sei lunghe stagioni innamorata di Big, poi sposato in uno dei film successivi, salvo vederlo morire nella prima puntata della nuova saga; Cynthia Nixon, nella fiction l'avvocatessa Miranda Hobbes, ma nella realtà la candidata dem che nel 2018 perse la sfida contro l'ex governatore di New York Andrew Cuomo, poi costretto a dimettersi travolto da una serie di accuse di molestie; e infine Kristin Davis che veste i panni della raffinata Charlotte. Noth, 67 anni, aveva smentito le accuse da lui definite «categoricamente false», pur ammettendo di aver fatto sì, sesso con quelle signore (...) Impegnato nella serie The Equalizer prodotta da Cbs , dove indossava i panni di un ex direttore della Cia. Come ormai accade in questi casi - colpevole o innocente che sia - a Cbs non hanno perso tempo: lo hanno licenziato. E pure l'agenzia A3 Artist che lo rappresentava lo ha mollato. L'attore ha perso altri contratti importanti: quello da 12 milioni di dollari per una pubblicità di tequila. E quello con Peloton: la cyclette su cui pedala poco prima di morire in And Just Like That, per compensare i danni provocati dalla sua uscita di scena (le loro azioni crollate dell'11 per cento dopo la messa in onda) lo avevano coinvolto in uno spot dove si scopriva che non era morto ma scappato con un'avvenente allenatrice. Diavolo di un Big. Tutt' altro che un santo, nella fiction come nella realtà.
Mr Big (Chris Noth) di «Sex and the City» accusato di violenza sessuale. Maria Volpe su Il Corriere della Sera il il 16 dicembre 2021. L’attore che interpreta l’eterno amore di Carrie (Sarah Jessica Parker) avrebbe aggredito, anni fa, due donne che non si conoscono. Noth: «Accuse del tutto false». Il celebre Mr. Big di «Sex and The City», l’attore Chris Noth, è stato accusato da Zoe, ora 40enne, e Lily, ora 31enne, di averle aggredite sessualmente. Una notizia shock all’indomani del ritorno della celebre serie, che ora si intitola «And Just Like That» che vede tra i protagonisti proprio lui, Mister Big, eterno amore di Carrie (Sarah Jessica Parker). Le due donne che lo accusano, non si conoscono e hanno parlato separatamente, a distanza di mesi, con il sito The Hollywood Reporter, riferendo che proprio il ritorno della serie ha risvegliato in loro terribili e «dolorosi ricordi» di eventi che - dicono - si sarebbero verificati rispettivamente a Los Angeles nel 2004 e a New York nel 2015.
Protette per la privacy
Per proteggere la loro privacy, The Hollywood Reporter utilizza per entrambe degli pseudonimi. Lily, ora giornalista, ha contattato THR ad agosto. «Non sono sicura di come affrontare questo tipo di storia e di come si possano trovare le altre vittime», ha scritto in una e-mail. Il sito ha invece sentito Zoe in ottobre. Lavora ancora nell’industria dello spettacolo e teme le ripercussioni se la sua identità fosse nota. Ma «vedere che stava riprendendo il suo ruolo in Sex and the City ha fatto scattare qualcosa in me», ha dichiarato. «Per così tanti anni, l’ho seppellito». Ma ora ha deciso che era ora di «provare a rendere pubblico chi è» Chris Noth.
La difesa di Mr. Big
Contattato per un commento, Noth ha inviato una dichiarazione: «Le accuse contro di me, fatte da due persone che ho incontrato anni fa, anche decenni fa, sono categoricamente false. Queste storie potrebbero essere di 30 anni fa o 30 giorni fa, ma “no” significa sempre “no” e questa è una linea che non ho superato». L’attore sottolinea: «Gli incontri sono stati consensuali. È difficile non mettere in discussione il tempismo di uscita di queste storie — aggiunge l’attore, 67 anni — Non so per certo perché stanno emergendo ora, ma so questo: non ho aggredito queste donne».
"Sex & the City", l'attore Noth sotto accusa per due stupri. Redazione il 17 Dicembre 2021 su Il Giornale. Un altro big travolto da uno scandalo sessuale. Un altro big travolto da uno scandalo sessuale. Denunciato da Zoe, che oggi ha 40 anni, e Lily, che adesso ne ha 31. Affermano entrambe di essere state aggredite sessualmente dall'attore Chris Noth, il celebre Mr. Big di «Sex and The City», che rigetta le accuse, come in un copione già scritto. Le due donne - che non si conoscono e hanno parlato separatamente, a distanza di mesi, con il sito The Hollywood Reporter che riporta la notizia - riferiscono che il successo sulla stampa del sequel della serie di Hbo Max «Sex and the City And Just Like That», in cui Noth riprende il ruolo di Mr. Big, ha rievocato in loro «dolorosi ricordi» di eventi che dicono si siano verificati rispettivamente a Los Angeles nel 2004 e a New York nel 2015. Per proteggere la loro privacy, The Hollywood Reporter utilizza per entrambe degli pseudonimi.
Lily, ora giornalista, ha contattato THR ad agosto. «Non sono sicura di come affrontare questo tipo di storia e di come si possano trovare le altre vittime», ha scritto in una e-mail. Il sito ha invece sentito Zoe in ottobre. Lavora ancora nell'industria dello spettacolo e teme le ripercussioni se la sua identità fosse nota. Ma «vedere che stava riprendendo il suo ruolo in Sex and the City ha fatto scattare qualcosa in me», dice. «Per così tanti anni, l'ho seppellito». Ha deciso che era ora di «provare a rendere pubblico chi è» Chris Noth.
Contattato per un commento, Noth ha inviato una dichiarazione: «Le accuse contro di me fatte da due persone che ho incontrato anni fa, anche decenni fa, sono categoricamente false. Queste storie potrebbero essere di 30 anni fa o 30 giorni fa, ma no significa sempre no e questa è una linea che non ho superato». L'attore sottolinea: «Gli incontri sono stati consensuali. È difficile non mettere in discussione il tempismo di uscita di queste storie - aggiunge mettendo totalmente in discussione le denunce - Non so per certo perché stanno emergendo ora, ma so questo: non ho aggredito queste donne».
Dagotraduzione da Variety il 21 dicembre 2021. In questo racconto in prima persona, Blake Stuerman, 30 anni, descrive in dettaglio le sue esperienze nei suoi quattro anni con il regista Bryan Singer, che è diventato famoso dirigendo "I soliti sospetti" nel 1995 e poi diversi blockbuster, tra cui "X-Men", “Superman Returns” e, più recentemente, “Bohemian Rhapsody” nel 2018. Stuerman ha incontrato Singer nel 2009 a New York City quando aveva 18 anni, ed ha iniziato una relazione sessuale con lui poco dopo; Singer aveva 43 anni. Il loro tempo insieme è finito dopo che Stuerman è stato licenziato come assistente di Singer nel giugno 2013 nel film "X-Men: Days of Future Past", uscito l'anno successivo. Stuerman crede che la sua relazione con Singer sia stata violenta e traumatica. Dice di essere stato ulteriormente traumatizzato dall'essere stato testimone di un incidente nel 2012 in cui Singer avrebbe aggredito qualcuno. Variety ha confermato parti del racconto di Stuerman sulla sua vita con Singer attraverso documenti, fotografie, e-mail e messaggi di testo forniti da Stuerman e parlando con persone nelle orbite di Stuerman e Singer al momento di questi eventi. In totale, Variety ha intervistato 20 persone per questa storia, 18 delle quali hanno parlato con Variety in base a un accordo di anonimato al fine di proteggere le loro posizioni all'interno dell'industria o per timore di rappresaglie da parte di Singer, così come i genitori di Stuerman. L'accusa di aggressione di Stuerman è stata confermata da qualcuno che era presente. Quando è stato fornito un riassunto dettagliato di ciò che ha scritto Stuerman, l'avvocato di Singer, Andrew Brettler, ha risposto con una lettera di quattro pagine in cui ha definito le accuse di Stuerman "non corroborate, provocatorie e altamente diffamatorie" e che Stuerman "ha semplicemente un'ascia da macinare" contro Singer. Ma Brettler non ha contestato - né ha commentato - le accuse secondo cui Singer ha avuto rapporti sessuali con Stuerman a partire dall'età di 18 anni. Inoltre, non ha contestato o commentato l'affermazione secondo cui Singer ha aggredito qualcuno e Stuerman ne è stato testimone. La risposta di Singer è inclusa alla fine del pezzo. Singer è stato oggetto di polemiche per gran parte della sua carriera, a partire dalle accuse di cattiva condotta che coinvolgevano minori sul set del film del 1998 "Apt Pupil", esplose dopo che è stato accusato di aver stuprato un minore in una causa civile nel 2014 (poi ritratta). Nel 2019, Singer ha risolto una causa per 150.000 dollari in cui si sosteneva che avesse violentato un ragazzo di 17 anni nel 2003 (ha negato le accuse). Singer non è mai stato arrestato o accusato di un crimine correlato a queste accuse e ha negato tutte le accuse di cattiva condotta sessuale. Anche le sue abitudini professionali sono state oggetto di esame e alla fine del 2017 è stato licenziato da "Bohemian Rhapsody" dopo aver causato quello che l'Hollywood Reporter ha definito «caos sul set». Da allora non ha diretto nessun film. - Adam B. Vary e Kate Aurthur
Ho compiuto 18 anni nel marzo del 2009. Pochi giorni dopo il mio compleanno, la mia vita sarebbe cambiata per sempre.
Stavo lavorando a New York come assistente scenografo quando sono stato presentato a Bryan Singer. Bryan aveva sentito parlare di me tramite Gary Goddard, un suo amico, che stava producendo due degli spettacoli a cui stavo lavorando. Ero magro, selvaggiamente precoce e non dimostravo più di 15 anni. La definizione da manuale di un ragazzo.
La prima sera che ho incontrato Bryan, sono stato invitato a cena tardi al Nobu 57. Gary mi ha chiamato, dicendomi di incontrare lui e i suoi amici per cena. Gli amici di Gary erano venuti in città per l'inaugurazione dei suoi spettacoli. Ha detto che il loro elicottero era appena atterrato ed erano in rotta. Mi ha seguito pochi minuti dopo per assicurarsi che stessi arrivando. Ho dovuto cercare su Google cosa fosse Nobu 57.
Dopo essere arrivato al ristorante, sono stato scortato a un grande tavolo di uomini. Erano passate le 23 e la sala da pranzo era quasi vuota. C'era solo un posto libero accanto a Gary. Bryan mi guardava dall'altra parte del tavolo mentre Gary spiegava con calma che Bryan era un famoso regista che aveva realizzato "X-Men" e "Superman Returns". Non avevo mai sentito parlare di lui prima, ma quei film mi erano ovviamente molto familiari. Ho armeggiato con le bacchette quando Bryan mi ha chiesto degli spettacoli a cui stavo lavorando e cosa volevo fare della mia carriera. Ogni volta che veniva servito un nuovo piatto di sashimi, l'assistente di Bryan mi diceva quanto fosse costoso. Ho dovuto dire a Gary che non potevo permettermi di dividere questo. Lo ha condiviso con il tavolo e tutti hanno riso. Era la prima volta che mi trovavo vicino alla vera ricchezza.
Bryan ci ha invitato tutti nella sua ampia suite d'albergo. Ha chiesto di vedere la mia patente di guida perché non riusciva a credere che avessi effettivamente 18 anni. Ero abituato alle persone che mi chiedevano quanti anni avessi perché sembravo così giovane. Si stava facendo piuttosto tardi e dovevo prendere la metropolitana per tornare a casa. Bryan era chiaramente deluso dal fatto che dovessi andarmene e mi ha offerto da bere. Mi ha detto che se fossi rimasto, il suo autista mi avrebbe portato a casa. Ho rifiutato. Ha insistito per darmi i soldi per un taxi e mi ha invitato a passare la settimana con lui e i suoi amici.
Stavo subaffittando una piccola stanza in un appartamento nell'Upper West Side. Ho preso la metropolitana ovunque. Non potevo permettermi di prendere un taxi anche a pochi isolati. All'improvviso mi sono ritrovato a girare per tutta la città in un corteo di automobili. In un pomeriggio piovoso, siamo entrati in una galleria d'arte dove Bryan ha perso casualmente più di 10.000 dollari su un autoritratto di John Waters perché lo trovava divertente.
Ad ogni pasto Bryan diceva: «Sono seduto qui. Blake è seduto accanto a me. Il resto di voi lo capisce». Alla maggior parte delle cene, Bryan beveva qualcosa in un bicchiere da martini. Non avevo mai bevuto un sorso di alcol o fatto uso di droghe prima di incontrarlo. Una sera a cena, mi ha chiesto perché non bevevo. Provalo. Va bene. Sei al sicuro. Ho ceduto e ho bevuto un sorso del suo drink. Mi ha bruciato la gola. Ha insistito che avessi il resto. E poi ne ha ordinato un altro.
Dopo cena ci ha invitato tutti nella sua suite d'albergo. Un leggendario attore teatrale e cinematografico è passato di lì mentre la serata si faceva tardi. Il gruppo ha lasciato la sua suite un po' alla volta finché non mi sono ritrovato solo con Bryan.
Avevo appena 18 anni, solo in una suite d'albergo con un uomo ricco e famoso che mi stava dedicando tutta la sua attenzione, ed ero ubriaco per la prima volta nella mia vita. Il mio petto si stringe ora solo a pensarci. Puoi immaginare cosa è successo dopo. Non sapevo di poter dire di no. Non sapevo che l'alcol stesse influenzando la mia capacità decisionale.
Il giorno dopo, mi ha chiesto se mi sarebbe piaciuto vedere Los Angeles. Non ero mai stato lì, e si stava offrendo di portarmi con sé sul suo aereo. Mi ha detto che avrei dovuto lavorare nel cinema, che è quello che sono "destinato a fare". Sentivo che mi capiva; Ho sempre saputo che dovevo raccontare storie. Bryan mi ha detto che se ero serio riguardo al mio futuro, dovevo trasferirmi a Los Angeles.
Così ho fatto. È stato allora che ho saputo che aveva la reputazione di amare gli uomini dall'aspetto molto giovane.
Gli uomini più anziani portavano gruppi di ragazzi, come me, a casa di Bryan. Ci si aspettava che questi uomini avessero già controllato questi ragazzi per assicurarsi che fossero legali. Veniva fuori per un po', si assicurava che tutti bevessero, e poi sceglieva uno, due o più chi gli piaceva e li vedevamo un'ora o tre dopo. Ero spesso uno di loro.
Volevo pensare di essere speciale, diverso da tutti gli altri. Ho fatto tutto il possibile per mettermi alla prova. Ho lavorato duramente e assicurato lavoro a contratto presso varie aziende e studi. Bryan mi ha detto che avevo talento. Mi stava facendo da mentore. Ero stato catturato dalla promessa di lavorare nel cinema. Mi sono trasferito in tutto il paese da solo. Ha detto che era quello che dovevo fare. Finché non faceva del male a nessuno, pensavo, andava bene. Voglio dire, ero stato un partecipante consenziente, giusto?
In questo periodo, Bryan è passato da ricco a fanculo, fanculo, fanculo ricco. Guadagnava decine di milioni all'anno, a volte milioni al mese, grazie allo show televisivo "House", su cui aveva un credito come produttore esecutivo. Sembrava considerarsi intoccabile. E ho pensato di essere così incredibilmente fortunato ad avere un uomo così talentuoso e potente come mio mentore. Mi ha invitato a set, sessioni di post-produzione, letture di sceneggiature, incontri di sviluppo, festival cinematografici, feste e cene. Pagava i pasti ed era estremamente generoso: mi ha persino portato a cena con Sir Elton John. Ha anche iniziato ad aspettarsi sesso più frequentemente.
Mi invitava a guardare film fino a tardi ogni sera. L'ha chiamata la "Scuola di cinema di Bryan Singer". Di solito eravamo solo noi due, ma a volte altri si univano e poi se ne andavano nel momento in cui il film finiva. Poi ci si aspettava che facessimo sesso o, per lo meno, che mi masturbassi con lui. Le notti in cui non riusciva ad addormentarsi, mi leggeva David Sedaris. Si sarebbe molto frustrato se mi fossi addormentato prima che avesse finito.
Per molto tempo, anche fino a pochi anni fa, avrei difeso Bryan con veemenza. Non è come quello che senti! È molto generoso! No, non è mai stato inappropriato con me! Se fosse così orribile, pensi che sarei suo amico?
Non volevo essere un altro dei ragazzi di Bryan che è stato usato e scartato. Volevo raccontare storie, è quello che devo fare. È quello che mi ha detto che avrei dovuto fare. Ho visto come poteva fare o distruggere una carriera per un capriccio. Poteva trasformare i suoi amici in milionari perché ne aveva voglia. È quello che continuava a promettere di fare per me.
Man mano che ci avvicinavamo, si aspettava ancora di più. Se non trovava un ragazzo al bar quella sera, dovevo essere io il ragazzo. Se avessi opposto anche solo un po' di resistenza, si sarebbe arrabbiato. Perché buttare via il mio futuro? Se volevo andarmene sarei stato il benvenuto, ma non mi sarebbe stato permesso di tornare. Mi scriveva sul sesso: "Ragazzo cum yeahhhhhhhh!"
Nell'autunno del 2012, un piccolo gruppo di noi era seduto nel patio sul retro della casa di Bryan. Era mezzanotte passata e Bryan era già svenuto nella sua stanza. Sul lato opposto della proprietà, la festa infuriava ancora. Il battito del basso era implacabile.
Non avrei mai potuto prevedere cosa sarebbe successo dopo, è successo tutto così in fretta. Ho sentito un urlo forte venire verso di me. Quando mi sono girato, ho visto Bryan che ci stava caricando urlando molto arrabbiato. Ha aggredito violentemente uno degli ospiti vicino a me. Ho preso Bryan e l'ho riportato in casa. I suoi occhi erano selvaggi e pieni di rabbia. Non l'avevo mai visto così prima. Siamo andati in camera sua e lui ha sbattuto la porta. Ho trovato una lampada in frantumi sul pavimento e ho cominciato a raccogliere i pezzi.
«Ti ammazzo cazzo se mi lasci». Quelle sono state le sue parole esatte. Non avevo mai assistito o sperimentato violenza fisica prima di incontrare Bryan.
Mi sono reso conto di essere intrappolato da solo in una stanza con un uomo violentemente ubriaco. Il terrore è arrivato rapidamente. Che cosa era successo? Ho fatto del mio meglio per calmarlo. Ho scelto le mie parole il più attentamente possibile. Se avessi detto qualcosa si sarebbe arrabbiato? Non volevo scoprirlo.
La stanza era buia e il rumore della piscina era diventato ancora più forte. Gli impediva di dormire. Si stava arrabbiando di nuovo. Se avessi dovuto gridare aiuto, nessuno mi avrebbe sentito.
Ho iniziato a inviare messaggi frenetici alle persone che stavano ancora festeggiando, dicendo loro di spegnere tutto. Continuava a dirmi di mettere via il telefono, il suo tono diventava sempre più aggressivo. Ho nascosto la luce del mio telefono dietro un bordo del piumino. Ho continuato a inviare messaggi nel modo più discreto possibile. Li ho implorati di dire a tutti di andare a dormire o di andarsene. Non era uno scherzo. I miei messaggi erano disperati. Ero disperato.
Erano quasi le 6 del mattino quando sono riuscito a spegnere tutto. È stato allora che finalmente si è addormentato. Da quel momento in poi, ho vissuto nella paura che Bryan seguisse le sue minacce.
Se Bryan avesse scoperto che ero uscito con qualcuno senza il suo permesso, senza invitarlo a partecipare, mi avrebbe rimproverato e mi avrebbe fatto penzolare il futuro davanti. Non mi è stato permesso di uscire con qualcuno. Non mi era permesso fare sesso con persone di mia scelta. Mi controllava.
Bryan apprezza la lealtà sopra ogni altra cosa, quindi sono diventato rapidamente un membro integrante della sua banda. Mi ha incluso in progetti che stava sviluppando e realizzando, come "Jack the Giant Slayer" del 2013 e mi ha dato un posto al tavolo. Ogni buona idea che ho avuto è stata una sua idea. Almeno gli piacevano le mie idee. Avevo solo bisogno di lavorare per lui per un anno o due, e poi potevo scappare. Potevo andare a lavorare per qualcun altro. Ancora un po', pensavo. Ora ero formalmente sul libro paga. Avevo una carta di credito. Avevamo essenzialmente vissuto insieme per mesi a questo punto, trascorrendo ogni momento insieme. Non avevo avuto una vita al di fuori di Bryan. I pochissimi amici che ho avuto avevano smesso di parlarmi perché non avevo il tempo di vederli.
Durante la produzione di "X-Men: Days of Future Past" nella primavera del 2013 a Montreal, l'abuso mentale ed emotivo di Bryan mi provocava spesso attacchi di panico. Un attacco di panico è stato così grave che sono svenuto per l'iperventilazione e sono stato portato in ambulanza al pronto soccorso. Ero stato così esausto di non riuscire a dormire più di tre o quattro ore a notte che una volta mi sono addormentato seduto in posizione eretta, a metà boccone, con una forchetta in bocca a cena.
Durante la produzione usciva quasi tutte le sere. Mi aspettavo di essere al suo fianco. Non sapevo che non fosse normale. Quando gli ho chiesto se andava bene se rimanevo sobrio, ha detto: «Non è divertente per me».
Poiché è diventato più irregolare e sotto pressione durante le riprese, sono stata la sua principale fonte di sollievo. È stata tutta colpa mia. Se non si è fatto scopare ieri sera? È stata colpa mia. Se ha pisciato a letto per aver bevuto troppo? In qualche modo, è stata colpa mia. Se è caduto in una pozzanghera, è stata colpa mia. Il sesso tra noi era diventato molto meno frequente, il che, col senno di poi, probabilmente si stava aggiungendo al suo comportamento nei miei confronti.
Bryan faceva aspettare gli attori e la troupe mentre lavorava per tornare sobrio la mattina. Inventavamo delle scuse per guadagnare più tempo. Quando arrivavano chiamate per dirci che erano pronti, si scagliava contro di me. Una mattina, non potevo sopportare molto di più di quello che mi stava dicendo. Il mio corpo non poteva sopportare molto di più. Gli ho detto che era un alcolizzato e aveva bisogno di aiuto. È andato su tutte le furie e ha gridato di rimando: «Lo so che sono un fottuto alcolizzato! Hai appena fatto una cazzata, amico. Hai solo fatto una cazzata. VAI FUORI DAL CAZZO!».
Mi sono nascosto in una roulotte all'estremità del campo base per il resto della giornata. Mi sono sentito male allo stomaco. Ora la mia carriera era finita.
Qualcuno della produzione ha bussato alla porta ed è entrato e mi ha detto che succede. È normale. Dagli solo qualche ora e si calmerà. Ho detto che non sapevo se potevo continuare a farlo. Il loro tono è cambiato. Mi è stato chiesto cosa fosse necessario per andare avanti. Sono soldi? Vuoi più soldi? Questo è facile. Ho detto che dovevo pensarci. Mi ha fatto guadagnare un giorno e mezzo di pausa, che mi ha permesso di dormire un po'. Bryan si è calmato e ho deciso di restare. Non è passato molto tempo prima che tornasse allo stesso modo.
Una domenica dell'estate del 2013, mentre continuava la produzione di "Days of Future Past", ho dormito troppo per sbaglio. Quel giorno non stavamo lavorando, ma dovevamo fare il brunch. Sono stato svegliato dalla sicurezza che entrava nel mio appartamento. Quando hanno confermato che ero vivo, mi è stato detto che dovevo fare i bagagli. Mi stavano rimandando a Los Angeles. Avevo meno di due ore per uscire.
Per assicurarsi che tu sia leale e che non te ne andrai, Bryan ti dà un assaggio del non avere nulla. Ti insegna una lezione. La tua carta di credito è bloccata e devi pagare per tornare a casa. È come una pausa. Spaventa le persone e le fa capire cosa perderanno. Mi è stato detto di stare calmo e aspettare qualche giorno. Lascia che esploda.
Ma avevo finito. Sono tornato a Los Angeles e non sapevo nemmeno chi fossi. Non avevo amici che non fossero anche suoi amici. Non sapevo di chi potevo fidarmi. Non sapevo nemmeno con chi potevo parlare. Ero stato avvertito che se me ne fossi andato, sarei stato fuori. Volevo così tanto finire il film o, almeno, arrivare alla fine delle riprese, ma a quel punto sapevo che nulla sarebbe cambiato.
Ho manifestato i miei sentimenti ed è stato stipulato un accordo di separazione, che prevedeva un pagamento finale a cinque cifre basso. Non sono stato incluso nei titoli di coda di "Days of Future Past". Mi è stato detto che era semplicemente «una svista».
Mi è stato detto che ho fatto tutto questo per me stesso e non avevo nessun altro da incolpare. Ero convinto di aver fatto una cazzata e di non aver lavorato abbastanza. Pensavo di aver sprecato la mia unica possibilità di raccontare storie. Tutta la mia autostima era legata a ciò che facevo e a chi conoscevo. Adesso non ero niente.
Poco prima dell'uscita di "Days of Future Past" nel 2014, Bryan è stato accusato pubblicamente di aggressione sessuale e stupro. Dato che ero nella sua orbita da così tanto tempo, la mia vita è stata analizzata, hackerata e venduta ai tabloid. Ero stato avvertito di non dire nulla. Incapace di difendermi pubblicamente e imbarazzato di essere stato licenziato, mi sono completamente ritirato e sono caduto in una grave depressione.
Ho dovuto trasferirmi a casa. I miei genitori mi hanno visto lottare per alzarmi dal letto ogni giorno per quasi due anni. Hanno guardato mentre affrontavo ripetutamente l'abuso di alcol e la dipendenza dai farmaci ansiolitici. Ho iniziato a vedere un terapeuta settimanalmente. Anche dopo anni di terapia, credo ancora istintivamente che tutto ciò che è andato storto sia stata colpa mia. Mi scuso così tanto che spesso mi viene chiesto per cosa mi sto scusando. Ho pensato a tutti quelli che sono venuti prima di me: in che condizioni erano? Si scopre che dipendenza, depressione grave, disturbo da stress post-traumatico e ansia sono tutti molto comuni tra quelli di noi che hanno sperimentato l'ira di Bryan.
Gli studi hanno dimostrato che le vittime di abusi, in particolare quelli emotivi, spesso difendono il loro aggressore per un discreto periodo di tempo anche dopo la fine della relazione. Fino a qualche anno fa difendevo ancora Bryan in privato. Se qualcuno tirava fuori le voci sul suo presunto comportamento, le negavo. È stato solo quando ho iniziato a ricevere un trattamento specifico per l'abuso e il disturbo da stress post-traumatico che ho accettato ciò che era realmente accaduto.
Sono vittima di abusi da parte di un uomo molto potente, molto ricco e molto malato. Sono una vittima di Bryan Singer.
Nel 2019, Bryan è stato nuovamente accusato di violenza sessuale e stupro, questa volta in una storia pubblicata da The Atlantic. Leggendo il pezzo, ho visto me stesso nelle lotte che hanno cambiato la vita che le vittime hanno vissuto a causa delle loro presunte aggressioni.
Anche se è improbabile che Bryan possa mai fare un altro film, starà bene. Ha più soldi di quanti ne sappia fare.
Scelgo di tornare nel settore alle mie condizioni. Non difenderò gli abusatori. Non permetterò a me stesso di essere abusato.
Ma è possibile una carriera a Hollywood in questi termini?
Voglio solo raccontare storie. È quello che devo fare.
Finalmente sono pronto a dire la mia.
I cent’anni di Miss America, icona in crisi nell’era MeToo. Anna Lombardi su La Repubblica il 14 dicembre 2021. Sopravvissuto alle critiche di femministe e di gruppi per i diritti degli afroamericani, il concorso di bellezza è stato travolto dagli scandali. Miss America compie 100 anni: e li dimostra tutti. Il concorso di bellezza più famoso del mondo è in crisi. Lacerato da scandali e mutamenti di costume. Nato nel 1921 in quella Sin city, la città del peccato, che era allora Atlantic City, in un Paese dove le donne avevano ottenuto il diritto di voto da appena un anno, è stato a lungo il grande sogno delle ragazze americane.
L'ultima censura: non si può parlare degli errori del #MeToo. Roberto Vivaldelli per ilgiornale.it il 7 dicembre 2021. Guai a parlare male del #MeToo. Un dibattito organizzato da diverse settimane sul libro della filosofa Sabine Prokhoris, critica del movimento MeToo, è stato cancellato all'ultimo minuto da un'università francese. È accaduto lo scorso sabato, come riporta Marianne. "#MeToo: irragionevolezza collettiva, panico sessuale": questo era il titolo del dibattito che si sarebbe dovuto tenere sabato scorso in un anfiteatro della facoltà di Necker. Una discussione organizzata dallo psicoanalista Pierre Marie e dalla sua associazione, Psychanalyse en extension, attorno al libro della filosofa Sabine Prokhoris, Le Mirage #MeToo. Un tema evidentemente scomodo per l'università francese che ha deciso, all'ultimo minuto, di non concedere la sala dove tutto era stato organizzato da settimane. Una cancellazione considerata una "censura" da Sabine Prokhoris e dagli altri partecipanti: l'esperto psichiatra della Corte di Cassazione Paul Bensussan, l'avvocato penalista Sophie Obadia e François Rastier. L'Università francese si è difesa affermando che la conferenza non era stata autorizzata dall'amministrazione. Cédric Lemogne, preside della facoltà di Medicina, spiega di aver "appreso di questa conferenza solo all'ultimo momento". Qualsiasi evento che si tiene nei locali della Facoltà, qualunque sia il tema, afferma, "deve essere autorizzato dall'amministrazione". Ma il problema non è solo la forma, ma - soprattutto - la sostanza dell'incontro. Che il consiglio dell'università, da ciò che afferma Lemogne, non avrebbe mai autorizzato: "Il nostro istituto, come tutte le università, ha avviato da diversi anni una politica di prevenzione contro la violenza di ogni tipo, e principalmente contro la violenza sessuale. Il titolo di questo dibattito è privo di ogni sfumatura, e sembra incompatibile con questo processo" spiega Lemogne. E ancora: "Vogliamo che i nostri studenti si possano fidare dell'università se dovessero essere vittime di violenza. Non si tratta di censurare un dibattito, ma abbiamo ritenuto che permettere che si tenesse questa conferenza di cui non sapevamo nulla potesse costituire un messaggio ambiguo". Ma i partecipanti alla conferenza non ci stanno e si ribellano all'università piegata dall'ideologia woke, sempre più penetrante, anche in Europa, soprattutto negli atenei. "Questa decisione arbitraria non sorprende nessuno" riporta Marianne. "La dice lunga, tuttavia, sull'intimidazione esercitata dai gruppi militanti e sull'impossibilità di condurre dibattiti intellettuali nell'Università francese di oggi", protestano in un messaggio comune. Per Sabine Prokhoris, filosofa e critica del movimento #MeToo, non ci sono dubbi: "È una vera censura" racconta, sottolineando che avrebbe voluto dibattere sulle conseguenze della "rivoluzione purificatrice del #MeToo". Contattati da Marianne, anche gli altri partecipanti spiegano di volere solo una cosa, che dovrebbe essere garantita e stimolata in tutte le università: il confronto. "Si tratta solo di discutere, di parlare. Sarei venuto a difendere l'equilibrio giudiziario e la necessità del contraddittorio" afferma l'avvocato penalista Sophie Obadia. Gli organizzatori , a questo punto, dovranno trovare un luogo alternativo per recuperare questo interessante dibattito. Che purtroppo sarà sicuramente fuori dalle università, dove regna il pensiero unico.
Paola De Carolis per il “Corriere della Sera” il 12 dicembre 2021. Boris Johnson si è concesso il congedo paternità, ma mentre il premier si gode assieme alla moglie Carrie e al piccolo Wilfred l'arrivo della figlia nata giovedì, i problemi per il partito conservatore continuano: la nuova crisi, d'immagine, più che altro, visto che il diretto interessato ha ormai cessato di essere un deputato, riguarda Andrew Griffiths, dimessosi nel 2018 per aver mandato a diverse donne messaggi violenti ed espliciti. Circa duemila sms di natura sessuale, stando a quanto è emerso in tribunale. Grazie alle pressioni di due giornalisti, che per un anno si sono battuti per vie legali affinché si potessero conoscere gli intimi dettagli della causa, si apprende ora che Griffiths violentò ripetutamente la moglie nell'arco di un matrimonio brutale durante il quale arrivò a spingerla a terra durante la gravidanza. Vittima per diversi anni di un uomo possessivo e feroce, Kate Griffiths si è ricostruita una vita. Non solo ha divorziato: quando l'ex marito ha cercato di ricandidarsi in parlamento, è scesa in campo contro di lui. Il partito conservatore ha scelto lei e la signora ha, di fatto, rimpiazzato il marito a Westminster per il seggio di Burton upon Trent, nello Staffordshire. Considerando i precedenti dell'uomo, la donna gli ha quindi limitato l'accesso al figlio. La questione sarebbe morta lì, forse, se Griffiths non avesse fatto ricorso ai tribunali per ottenere di vedere il bambino più spesso. Kate Griffiths ha quindi optato di rinunciare all'anonimato cui hanno diritto le vittime di abusi sessuali e chiesto che i trascorsi del marito fossero resi pubblici. Una decisione coraggiosa, che in tanti hanno accolto con ammirazione: come Rosie Duffield, deputata laburista, lei stessa vittima di violenza domestica. «È una donna incredibilmente forte, non ho parole», ha detto. Anche la giudice preposta al caso ha voluto rendere omaggio alla deputata, sottolineando che «non è l'unica donna a essersi innamorata di un uomo e ad aver sopportato trattamenti umilianti e mortificanti. Mi sembra che Andrew Griffiths non abbia mai neanche preso in considerazione che la moglie non volesse prestarsi» alle sue attività sessuali. Griffiths, ha aggiunto, «è un uomo che tuttora non sembra riconoscere che il suo comportamento corrisponde ad abuso». Era solito violentare la moglie mentre dormiva, picchiarla, stringerle il collo con le mani, definirla agli amici «grassa e pigra». Se Kate Griffiths ha deciso, per il momento, di non denunciare l'ex marito alla polizia, è più che probabile che per l'ex deputato si profilino ulteriori guai giudiziari. Charlotte Proudman, l'avvocata che ha difeso la signora Griffiths, ha messo a fuoco alcuni punti cruciali della vicenda con un articolo sul Guardian: Kate non ha lasciato prima il marito perché lui le ha fatto pensare che nessuno le avrebbe creduto. Lui era un deputato, lei una casalinga. Il partito conservatore, inoltre, ha chiuso un occhio. Lo ha sospeso, per poi richiamarlo in servizio quando c'è stato bisogno dei voti in parlamento. Successivamente l'inchiesta interna lo ha assolto completamente di ogni misfatto.
Cristina Marconi per “il Messaggero” il 16 luglio 2018. Quanto può ancora peggiorare l' estate di Theresa May, premier britannica alle prese con una strenua difesa della sua proposta di soft Brexit contro gli attacchi del fronte euroscettico dei Tories? La domanda se l' è posta The Guardian e effettivamente la situazione, a parte il fatto che per ora la May è ancora in sella, continua a peggiorare. La polvere sollevata dal passaggio del presidente statunitense Donald Trump nel Regno Unito non ha ancora finito di posarsi e già la premier se l' è dovuta vedere con un nuovo problema, ossia il fatto che il suo ex capo di gabinetto e ministro per le piccole imprese, Andrew Griffiths, di 47 anni, abbia dovuto fare un passo indietro per aver mandato duemila messaggi estremamente espliciti a due ragazze della sua circoscrizione, portando il numero di dimissioni nel governo a quattro nel giro di una settimana. Griffiths si è scusato, ma i precedenti degli scandali sessuali di Westminster dove ministri sono stati costretti a dimettersi per aver messo una mano sul ginocchio di una donna rende la sua posizione indifendibile. Tuttavia l'attenzione della May e' tutta sulla Brexit, su cui Trump le avrebbe dato un consiglio molto singolare, da lei disatteso con grande delusione dell'inquilino della Casa Bianca. «Mi disse che avrei dovuto fare causa all' Unione europea. Non andare al negoziato, ma fargli causa», ha riferito la premier durante uno dei programmi politici della domenica mattina, con quella che a tutti è apparsa come una piccola vendetta per il trattamento ricevuto sull' intervista al Sun in cui Trump ha criticato la May e elogiato l'ex ministro degli Esteri Boris Johnson. Il quale, a una sola settimana dalle dimissioni, sta per riprendere il suo lavoro di editorialista del Daily Telegraph, quotidiano conservatore dalle cui pagine potrà continuare ad essere una spina nel fianco per la premier, la quale deve vedersela con critiche da destra e da sinistra sulla sua piattaforma Brexit: da una parte perché renderebbe il Regno Unito uno «stato vassallo» della Ue, costretto a seguirne le regole senza poter decidere niente, dall' altra perché seppur morbido, rappresenta comunque una forma di Brexit.
LA DIFESA
E proprio su quest' ultimo punto la May ha voluto insistere con i suoi detrattori: «Il mio messaggio al paese questo fine settimana è semplice: non dobbiamo perdere di vista il premio finale. Se non lo facciamo rischiamo che non ci sia nessuna Brexit e basta». Con i sondaggi che danno un vantaggio notevole, di 4 punti, al Labour rispetto ai Tories, e una miracolosa rinascita di Ukip, all' 8% dopo che era praticamente scomparso, la May sa di avere un argomento forte dalla sua parte tra i conservatori, ossia che una sfida alla sua leadership aprirebbe le porte a Jeremy Corbyn, il quale deve vedersela con una base sempre più contraria alla Brexit, visto che gli «hard Brexiteers» fanno molto rumore, ma non hanno una maggioranza. Prima o poi la posizione del partito potrebbe farsi più esplicita in materia di Europa, riaprendo i giochi. L' ex commissario europeo e esponente del New Labour Peter Mandelson ha definito la Brexit nei termini della May una «umiliazione nazionale», ma la premier ha fatto presente come sia l' unico compromesso possibile per tenere insieme tutte le esigenze emerse dal voto del 2016. Perché lei è debole per ragioni strutturali, non per mancanze personali, e questo lo sanno tutti.
Abusi su minore, nuotatore francese Agnel confessa. ANSA il 13 dicembre 2021. L'ex olimpionico di nuoto francese, Yannick Agnel, sotto inchiesta da sabato per stupro e violenze su una minorenne, "ha confessato i fatti contestati", ha annunciato la procuratrice della Repubblica di Mulhouse, nell'est della Francia, Edwige Roux-Morizot. Agnel ha detto di non aver avuto "la sensazione che ci fosse costrizione", secondo la procuratrice, ma "se i fatti si configurano come stupro o violenza sessuale, è perché esiste un'importante differenza di età fra la vittima, Naome Horter, figlia del suo allenatore di allora, Lionel Horter, che aveva 13 anni all'epoca dei fatti, nel 2016, e il nuotatore, che ne aveva 24. (ANSA).
Irene Soave per il “Corriere della Sera” l'11 dicembre 2021. Franceinfo, la radio dov'era opinionista, ha sospeso il suo contratto «finché ci sarà chiarezza». La Federazione nazionale di nuoto pesa le parole in una nota: «Non abbiamo competenze per pronunciarci». Sui social del «Mon Club d'e-Sports», il club di e-sport che lui stesso ha fondato, tre anni fa, non c'è per lui una riga di sostegno né di biasimo. La Francia è incredula di fronte all'arresto di Yannick Agnel: il miglior nuotatore che il Paese abbia mandato alle Olimpiadi, due ori olimpici, tre mondiali e tre europei, è ora accusato di avere violentato la figlia del suo ex allenatore, Lionel Horter, quando lei aveva appena tredici anni. Alto due metri, 50 di piede, soprannominato «lo Squalo» per la sua ferocia in vasca, il campione è stato arrestato giovedì, a Parigi. La denuncia è stata depositata quest' estate, ha fatto sapere la procuratrice Edwige Roux-Morizot, e nelle scorse settimane sono stati sentiti diversi compagni di squadra e giovani nuotatori che Agnel allenava. Nelle prime ore dopo l'arresto, la notizia che circolava era che la presunta vittima di Agnel fosse un ragazzino: il capo di imputazione è «violenza sessuale su un minore». La notizia che a denunciarlo sia stata invece una ragazza, oggi appena maggiorenne, è stata rivelata ieri dal quotidiano sportivo «L'Equipe». I fatti che si contestano ad Agnel risalgono al 2016: proprio in quel periodo Agnel, che oggi ha 29 anni, veniva cacciato senza spiegazioni note dal Mulhouse Olympic Natation, il club di nuoto alsaziano dove allenava giovanissimi campioni, tra cui la sua supposta vittima. Il presidente del club era il suo allenatore, Horter. Il declino di Agnel, iniziato l'anno precedente per una pleurite, era inesorabile, e ad agosto 2016, dopo una delusione alle Olimpiadi di Rio, il campione si sarebbe ritirato dal nuoto per sempre. Ma alcune vicende relative a quei mesi restano da chiarire. Il club Mulhouse Olympic Natation, allora presieduto dall'allenatore di Agnel e già sulla strada di campioni come Laure Manaudou (che detestò i suoi mesi a Mulhouse), è stato commissariato nel 2020 per frode fiscale, malversazione e ottenimento illecito di fondi pubblici: sotto accusa c'è la malagestione da parte della famiglia Horter, dinastia storica del nuoto francese, che è stata condannata a erogare a Yannick Agnel lo stipendio del suo ultimo anno da allenatore di giovani, 60mila euro mai saldati. Per ora però è la breve parabola agonistica del campione che sembra concludersi nel disdoro: «lo Squalo», che in patria era stato un eroe sportivo anche per essere l'unico rimasto fedele al costume classico, al posto delle tute tech dei suoi avversari, ora è definito sui media solo un «ancien nageur», «ex» (ma anche «vecchio») nuotatore. E il soprannome da predatore ha assunto un'ombra sinistra.
Giordano Stabile per “la Stampa” il 14 novembre 2021. Una prima condanna, certo limitata, quasi simbolica, ma destinata a restare nella storia della Tunisia. L'ha ottenuta il movimento globale, #MeToo in un Paese arabo, fra i più evoluti, ma dove maschilismo e patriarcato dominano ancora. Un deputato condannato a un anno di carcere per «aggressione sessuale», la vittima, studentessa liceale, che l'ha spuntata sui pregiudizi, in una causa che la vedeva opposta a un uomo, potente. Il parlamentare è Zouhair Makhlouf, del partito Qalb Tunis, cioè «Cuore della Tunisia». Ha cominciato a seguire e molestare una giovane donna, allora diciasettenne nel 2019. Una persecuzione che è culminata con l'esibizione di un atto sessuale davanti alla vittima, all'interno della sua auto. Ma la ragazza non si è limitata a subire. Ha tirato fuori il suo telefonino e ha fotografato il molestatore, poi l'ha denunciato. In questi due anni il caso è diventato la bandiera del movimento #MeToo. Makhluouf si è prima schermato dietro l'immunità parlamentare. Il presidente Kais Saied ha però «congelato» le immunità dei deputati e il processo ha potuto cominciare. In un primo tempo l'accusa è stata derubricata ad «atti indecenti» ma la sollevazione delle tunisine, con manifestazioni massicce davanti al tribunale e al Parlamento, ha convinto i giudici a ripristinare «l'aggressione sessuale», che nel nuovo codice approvato nel 2017 prevede fino a un anno di carcere. La difesa ha allora obiettato che l'imputato soffriva di diabete e in quel momento doveva urinare in una bottiglia e per questo si era sbottonato i pantaloni. Una linea che non ha convinto i giudici. Le attiviste del #MeToo, riunite davanti alla corte di Nabeul, a Sud di Tunisi, hanno festeggiato al canto «il mio corpo non è uno spazio pubblico». Una vittoria. Che segue quella della riforma del codice della famiglia, ora il più avanzato nel mondo arabo e che ha stabilito la parità fra donne e uomini per quanto riguarda divorzio, affidamento dei figli ed eredità. Sono forse questi i frutti migliori del processo di apertura cominciato con la rivoluzione dei gelsomini del 2011. Il presidente Saied ha anche nominato per la prima volta una donna come primo ministro, Najla Bouden Ramadhane. Non tutti i gelsomini però sono fioriti. Il colpo di mano di Saied, che a luglio ha sospeso il parlamento e ha arrogato a sé anche il potere legislativo e giudiziario, è una ferita alla nascente democrazia. Anche la condanna a Makhluouf, per quanto inappuntabile, va a colpire uno dei suoi avversari, il fondatore del partito Qalb Tunis, il miliardario e mogul dei media Nabil Karoui, avversario di Saied alle presidenziali e adesso in fuga all'estero. L'alto oppositore principale, il leader del partito islamista Ennahda, Rached Ghannochi, è sotto tiro e forse sarà costretto a dimettersi. Anche i sindacati, bastione della Tunisia laica e protagonisti assieme a Ennahda della cacciata dell'ex raiss Ben Ali, sono sul piede di guerra contro Saied e hanno annunciato uno sciopero generale dopo l'uccisione di un manifestante a Sfax. In un clima cupo per la crisi economica e istituzionale, le vittorie delle donne sono l'unico raggio di sole.
Leonardo Martinelli per “la Stampa” il 13 novembre 2021. Una giovane donna di 31 anni, soldatessa, si è presentata al commissariato dell'ottavo arrondissement, la mattina del 2 luglio scorso. Scossa, disperata: la notte precedente era stata vittima di uno stupro. Dove? Nel palazzo presidenziale, all'Eliseo. E alla fine di una festa alla quale aveva partecipato anche Emmanuel Macron. Una storia triste e davvero imbarazzante, tanto che in questi mesi niente era trapelato, nonostante un'inchiesta giudiziaria fosse stata subito avviata. È ancora in corso, forse uno scandalo in vista. La sera del primo luglio un ricevimento si era tenuto negli splendidi giardini dell'Eliseo. Alla festa, alcuni giovani soldati, tra cui la donna al centro della storia, che viveva e lavorava all'Eliseo. Macron arrivò per il brindisi di rito nei giardini. E la festa continuò a lungo, anche la notte. Gli invitati si trasferirono nei locali di rue de l'Elysée, adibiti allo Stato maggiore personale del Presidente, dove vengono trattati i dossier sensibili, relativi a crisi internazionali. È lì che la donna dice di essere stata violentata da un collega, un altro militare, apparentemente un superiore. I due si conoscevano, distaccati entrambi all'Eliseo, dove vivevano. Un'inchiesta è stata aperta e il sospetto violentatore si trova nello status di "testimone assistito", che è intermedio rispetto a quello di indagato. Solo ieri la brutta storia è stata segnalata dal quotidiano Libération e un portavoce dell'Eliseo ha dovuto commentare: «Non appena i fatti sono stati portati all'attenzione delle autorità - ha ricordato -, sono state adottate delle misure, tra sui l'ascolto e il sostegno della vittima e il trasferimento immediato della persona accusata lontano dall'Eliseo». Pure la donna non si trova più nel palazzo presidenziale.
Da corriere.it il 16 settembre 2021. Non ha trattenuto le lacrime, Simone Biles, nella sua audizione davanti la commissione Giustizia del Senato sulle negligenze dell’Fbi nell’indagine sulle accuse di abusi sessuali contro l’ex medico della nazionale, Larry Nassar. La star mondiale della ginnastica ha parlato di un «intero sistema che ha permesso e perpetuato» gli abusi sessuali commessi da Nassar. E le sue accuse sono state sostenute da altre tre ginnaste, Mckayla Maroney, Maggie Nichols e Aly Raisman. Il medico della nazionale è stato condannato nel 2018 a una pena compresa tra i 40 e i 175 anni di carcere per abusi sessuali su più di 150 ginnaste. Ma ora sotto processo sono i funzionari e le strutture federali che avrebbero dovuto impedire le violenze o comunque interromperle e punirne prima l’autore. Una prima denuncia fu presentata nel 2015, durante l’audizione di mercoledì al Senato è stata esaminata la gestione delle indagini da parte dell’Fbi. Tra i testimoni sono previsti anche il direttore del Bureau, Christopher Wray, e l’ispettore generale del dipartimento di Giustizia, Michael Horowitz. In un rapporto di luglio, Horowitz ha affermato che diverse violazioni dei protocolli hanno portato a mesi di ritardo e che mentre l’indagine era in stallo l’ex medico ha abusato di decine di altre vittime. I funzionari dell’Fbi «non hanno risposto alle accuse con la serietà e l’urgenza che avrebbero meritato e richiesto — si legge nel dossier —. Hanno commesso numerosi errori e violato molteplici regole del Bureau». «Hanno permesso a un molestatore di minori di rimanere libero per più di un anno e questa inazione ha consentito a Nassar di continuare con i suoi abusi», ha aggiunto la medaglia d’argento nel volteggio a Londra 2012 Mckayla Maroney, ascoltata in Senato: «Che senso ha denunciare un abuso se gli agenti dell’Fbi seppelliscono quel rapporto in un cassetto?». «Sembra davvero che l’Fbi abbia chiuso gli occhi su di noi», ha sottolineato invece Biles: «Deve essere inviato il messaggio che se permetti a un predatore di danneggiare dei minori, le conseguenze saranno rapide e gravi».
Francesca Pierantozzi per "Il Messaggero" il 7 ottobre 2021. Non solo gli uomini: anche le donne possono odiare e far male - alle donne. Lo ha fatto sapere a tutti via Twitter Lisa De Vanna, 37 anni, l'ex centravanti della Fiorentina femminile e soprattutto delle Matildas, le nazionali australiane. È stato un tweet della collega star americana Megan Rapinoe sulle denunce di abusi sessuali nel mondo del calcio femminile Usa a farle tirare fuori quello che aveva dentro da almeno vent'anni, da quando, nemmeno diciassettenne, appena arrivata in nazionale, uscì dallo spogliatoio strisciando per terra e urlando. Alcune compagne di squadra avevano abusato di lei. «Pensavano fosse divertente», racconta oggi «dicevano che in fondo lo volevo anche io. Io avevo 17 anni, ero una ragazzina di Perth, non sapevo niente, non capivo niente, me la feci sotto. È successo altre volte». A Rapinoe, che il 30 settembre aveva puntato il dito contro «gli uomini che difendono uomini che abusano delle donne» De Vanna aveva risposto che ci sono anche «donne che proteggono le donne che maltrattano le donne», sollevando il coperchio su anni di abusi e violenze subite mentre era con le Matildas. E non era la sola. In un'intervista al Sydney Daily Telegraph, la calciatrice - 150 partite e 47 gol in 15 anni con la maglia della nazionale, esclusa dalla lista delle convocate alle Olimpiadi di Tokyo - ha raccontato le tante volte che ha dovuto far fronte ad aggressioni, violenze fisiche o psicologiche da parte delle compagne di squadra: «Pensavano che il problema fossi io e per questo ero isolata, messa a dormire in una stanza a parte». Ha raccontato del primo episodio, avvenuto nelle docce: «Mi afferrarono alle spalle, mi tirarono giù, erano più d'una...». «Sono stata molestata sessualmente? Sì. Sono stata vittima d'intimidazione? Sì? Messa al bando? Sì. Ho visto cose che mi hanno fatto stare male? Sì»: De Vanna punta il dito contro l'omertà e le istituzioni che preferiscono voltare lo sguardo altrove. In un'intervista rilasciata a News Ltd, la giocatrice, che ormai si è ritirata dal calcio, racconta di aver visto «problemi di comportamento a tutti i livelli durante gli anni, da parte di uomini e donne. Le ragazze che arrivano oggi devono essere coraggiose, così come devono esserlo le ragazze che hanno subito le violenze e che devono sapere di non essere sole». Dopo De Vanna, altre due ex calciatrici delle Matildas, Rhali Dobson e Elissia Carnavas hanno dichiarato di aver subito aggressioni nella squadra quando era più giovani. Dobson ha evocato «manipolazioni psicologiche a fini sessuali» da parte di compagne di squadra più grandi. La Federcalcio australiana ha detto di aver incontrato in questi giorni De Vanna per «discutere delle sue denunce», ha ricordato la «tolleranza zero per chiunque non rispetti le regole e i valori dello sport». «Se Lisa sceglierà di presentare una regolare denuncia attraverso i canali ufficiali allora potremo avviare un'inchiesta anche noi e agire di conseguenza», si legge in un comunicato. «In qualsiasi organizzazione sportiva, in qualsiasi ambiente, il bullismo, le violenze, i comportamenti non professionali mi fanno diventare pazza. Ero troppo giovane, e anche in quanto giocatrice non avevo strumenti per affrontare il problema, ma sono cose che continuano a succedere, a tutti i livelli: è arrivato il momento di parlarne», ha detto ancora De Vanna, che invece parla della sua stagione alla Fiorentina (nel 2019, interrotta poi dal Covid) come «una delle sue più belle esperienze sportive». Dopo l'America, dove le numerose denunce di aggressioni hanno portato alle dimissioni di diversi allenatori e anche di Lisa Baird, commissaria della Lega calcio Femminile, la NWSL, una rivolta è scoppiata anche in Venezuela, dove Denya Castellanos, attaccante dell'Atletico Madrid, ha preso la guida di un #metoo del calcio femminile.
Caso Peng, tennista smentisce denunce di violenza sessuale il 20 giugno 2021. (ANSA) - Peng Shuai ha negato di aver mai accusato qualcuno di averla aggredita sessualmente, assicurando di essere sempre stata nella sua casa di Pechino senza che i suoi movimenti fossero limitati. La tennista cinese ha affrontato per la prima volta la questione di persona da quando è scomparsa dalla vista del pubblico all'inizio di novembre dopo che un post sul suo account Weibo verificato aveva accusato l'ex vicepremier Zhang Gaoli di abusi sessuali. Peng ha parlato in una breve intervista avuta ieri con il quotidiano di Singapore in lingua cinese Lianhe Zaobao, a un evento a Shanghai della Federazione internazionale di sci fondo. Peng ha anche aggiunto che l'e-mail inviata a Steve Simon, presidente della Women's Tennis Association (Wta, l'associazione del circuito professionistico femminile), per rassicurarlo sul suo stato era stata fatta "interamente di mia spontanea volontà".
Alla domanda sulle accuse fatte su Weibo (il Twitter cinese), cancellate dai censori di Internet del Great Firewall in pochi minuti, la tennista ha replicato: "In primo luogo, vorrei sottolineare un punto molto importante: non ho mai detto né scritto nulla che accusasse qualcuno di avermi aggredito sessualmente. Mi piace sottolineare questo punto molto chiaramente".
Peng, che nelle immagini indossa una maglietta rossa, pantaloni neri, scarpe da ginnastica bianche e un piumino scuro con la scritta "Cina", ha negato di essere sotto sorveglianza. Alla domanda specifica, infatti, ha risposto dopo una breve esitazione: "Perché dovrebbe essere così? Sono sempre stata molto libera". Ha aggiunto di aver scritto la versione cinese dell'e-mail alla Wta "interamente di mia spontanea volontà", ma il network statale Cgtn ne aveva pubblicato una versione tradotta in inglese ritenendo di non avere una sufficiente padronanza della lingua. "Ciò che è stato diffuso dalla Cgtn non era diverso da quello che intendevo trasmettere al presidente Simon", ha aggiunto.
Sulla videochiamata avuta con il capo del Comitato olimpico internazionale Thomas Bach, Peng ha confermato di averla tenuta "da casa mia a Pechino", aggiungendo di essergli grata per aver mostrato preoccupazione. Bach, tuttavia, era finito nella bufera delle critiche internazionali per non aver chiesto garanzie sulla sorte e lo stato della tennista durante il colloquio. Sempre ieri, prima che si diffondesse l'intervista del Lianhe Zaobao, una giornalista del Global Times, Chen Qingqing, aveva twittato un filmato (e una foto) non verificato ricevuto da un "amico" della durata di pochi secondi in cui Peng sembra parlare con l'icona del basket cinese Yao Ming, ex star dell'Nba. Nella foto, invece, l'ex numero uno del ranking mondiale di doppio è in posa con Yao, altre due figure sportive cinesi di primo piano, quali la campionessa olimpica di vela Xu Lijia e la star del ping-pong in pensione Wang Liqin. Peng, 35 anni, campionessa di doppio di Wimbledon e Open di Francia, è finita al centro di una tempesta mediatica globale dopo che il suo lungo post di denuncia è stato pubblicato su Weibo, accusando ldi abusi l'ex vicepremier Zhang Gaoli, 75 anni. La sua successiva scomparsa dal pubblico ha suscitato una diffusa preoccupazione internazionale, mobilitando anche Onu e Casa Bianca.
Caso Peng, la Wta rinnova i timori sulla sua condizione. (ANSA il 20 giugno 2021) - La Women's Tennis Association (Wta), l'associazione del circuito professionistico del tennis femminile, rinnova i suoi timori sulla vicenda di Peng Shuai, a dispetto della sua ultima apparizione in un'intervista al quotidiano di Singapore Lianhe Zaobao, in cui ha negato di aver accusato chiunque di aggressione sessuale. "Queste apparizioni non alleviano o affrontano le significative preoccupazioni della Wta sul suo benessere e sulla sua capacità di comunicare senza censura o coercizione", ha detto l'organizzazione in una nota, ribadendo di volere ancora un'indagine "completa, equa e trasparente, e senza censura". "Rimaniamo fermi nella nostra richiesta di un'indagine completa, equa e trasparente, senza censura, sulla sua accusa di violenza sessuale, che è la questione che ha dato origine alla nostra.preoccupazione iniziale", ha affermato la Wta in una nota. "È stato bello vedere di nuovo Peng Shuai in un ambiente pubblico e speriamo certamente che stia bene", ma "come abbiamo costantemente affermato, queste apparizioni non alleviano o affrontano le preoccupazioni significative della Wta sul suo benessere e sulla sua capacità di comunicare senza censura o coercizione", ha aggiunto l'associazione. La Cina, che non ha commentato direttamente il post iniziale di denuncia di Peng, ha criticato la scelta della Wta di sospendere i tornei in Cina e a Hong Kong, opponendosi "alla politicizzazione dello sport". Peng, 35 anni, ha a inizio novembre postato la sua denuncia di abusi sessuali su Weibo, il Twitter in mandarino, contro l'ex vicepremier Zhang Gaoli, 75 anni, sparendo dalla dalla vista pubblica per quasi tre settimane. Nell'intervista di domenica allo Lianhe Zaobao, quotidiano in lingua cinese di Singapore, Peng ha affrontato la questione in pubblico, ritrattando le accuse e definendo il post "questione privata", su cui "le persone hanno avuto molti fraintendimenti", senza però approfondire.
Giulia Zonca per "la Stampa" il 6 dicembre 2021. Le accuse della tennista Peng Shuai non entreranno probabilmente mai in un tribunale e lo sport va in crisi perché non ha la forza di gestire un caso che non si può costruire, non si riesce a valutare, ma non deve per forza essere così. Se esistesse un'organizzazione anti abusi indipendente, le conseguenze delle accuse degli atleti non sarebbero più in mano a un singolo stato o a una specifica federazione e ci sono 172 pagine su cui costruire un'unità vittime speciali. Senza stare in un telefilm. La Fifa ha commissionato uno studio approfondito e si propone di contribuire alla creazione di questa entità già nel 2022, con il proposito di non farne parte. La necessità di un organo nuovo nasce da una esperienza diretta. Caso ragazze del calcio haitiano contro la federazione, le voci hanno iniziato a girare durante la pandemia e proprio come per Peng Shuai si è partiti da sfoghi social raccolti dai giornali. Con il Covid era impossibile mandare investigatori. I post sono spariti, le testimonianze hanno continuato a camminare e la Fifa da Zurigo ha organizzato un panel a distanza. Si sono appoggiati alle Nazioni Unite che avevano una agente in zona e a sua volta lei ha coinvolto una psicologa e un avvocato dell'Unicef. Insieme hanno costruito un dossier, passato poi nelle mani di Mario Gallavotti, avvocato, uomo chiave nella presidenza Infantino, spesso accusato di avere troppo potere e promotore dell'unità anti abusi. «Ci siamo ritrovati davanti a un'arbitra che aveva rifiutato volgari avances ed era stata estromessa e da lei siamo arrivati a tante giovani molestate, erano braccate». Trentaquattro dichiarazioni firmate, 14 con la denuncia contro l'allora capo del pallone ad Haiti Yves Jean-Bart, un signore radiato a vita dal calcio che non ha mai dovuto rendere conto alla giustizia ordinaria e vive libero a Santo Domingo. Per lo meno lontano da cariche che gli danno l'occasione di devastare vite. Da un contesto tanto truce sono emersi alcuni punti chiave: serve una rete locale per raccogliere informazioni, è l'unico modo di aprire un canale legale alternativo in Paesi che non hanno alcuna intenzione di garantire processi equi. Quella rete deve essere autonoma e «se il calcio ricco e organizzato si è trovato in una giungla di problemi, figurarsi che succede con altre discipline». Lo studio, commissionato a una società di Los Angeles specializzata in diritto sportivo, la Butler international, porta percentuali di vari sondaggi fatti in diverse nazioni, i dati non sono omologhi, toccano realtà differenti, ma danno l'idea che i casi conosciuti siano un nulla rispetto al sommerso. Il giro di pedofili scoperto in Argentina nel 2018, il 56 per cento delle donne tesserate per un qualsiasi sport in Turchia che dicono di aver subito violenza fisica o psicologica, i 3000 fascicoli aperti in situazioni dove a gestire l'attività sportiva era la chiesa cattolica. Non si omette nulla eppure resta difficile arrivare a statistiche che diano una reale foto e la sproporzione tra le denunce e i giudizi è avvilente. Per l'eclatante condanna contro l'ex medico della ginnastica Usa ci sono voluti quasi 30 anni e più di 500 adolescenti maltrattate. Nel 2019 la procura afghana ha aperto un provvedimento contro il capo della federcalcio e lo ha pure subito fatto cadere mentre la commissione etica della Fifa lo ha squalificato a vita. Altro caso passato da Gallavotti «e nemmeno io conosco i nomi delle ragazze, cinque di loro sono dovute scappare, prima del ritorno dei talebani, oggi sono in Svizzera. Possiamo garantire l'anonimato, possiamo forzare indagini che governi e istituzioni reticenti si rifiutano di affrontare, ma per farlo ovunque ci sia qualcuno tanto coraggiosa o coraggioso da farsi sentire serve un'unità che lavori come fa la Wada contro il doping. Più snella, meno costosa, ma altrettanto competente e sopra le parti». Nel report si parla di «fondi agili», di filantropi, di raccolte annuali, di budget da stanziare a seconda delle necessità. Sembra tutto molto precario, ma le possibilità ci sono e la struttura ha bisogno di essere riconosciuta, certo, però non approvata da tutti: il suo lavoro diventerebbe legge con il sostegno di molti stati e delle federazioni più grosse, del Comitato olimpico che almeno si leverebbe l'imbarazzo vissuto in questi giorni davanti a Peng Shuai. La proposta ha già incassato l'appoggio del Consiglio Europeo, i trattati internazionali utili non sono da inventare, solo da assimilare. Nel report si parla di inchieste in posti dove regna l'omertà, ma nell'Occidente democratico è difficile persino sentire denunce e purtroppo non perché non ci sono violenze. Sapere che esiste un'unità con gli strumenti e le professionalità per trattare circostanze tanto infelici aiuterebbe. Da quelle percentuali, impossibili da maneggiare, non esce un quadro completo, ma il disagio è evidente, preme dietro un non detto che fa paura.
Peng Shuai e il diario proibito della tennista sparita: «Ero nel panico, ho ceduto al sesso con il vice premier». Peng Shuai su il Corriere della Sera il 6 Dicembre 2021. Il mese scorso la cinese ha rivelato sui social, in un post subito rimosso, di aver subito un’aggressione sessuale da parte di un alto funzionario. Da allora è scomparsa dalla scena pubblica. Il mese scorso, la celebre tennista cinese Peng Shuai ha rivelato sui social di aver subito un’aggressione sessuale da parte di un alto funzionario del governo. Subito dopo, è scomparsa dalla scena pubblica. Il suo post, su Weibo, è stato subito rimosso, ma non prima che diversi seguaci ne avessero già catturato la schermata. Ecco la traduzione completa del post di Peng Shuai.«Non è facile parlarne, ma voglio che venga fuori. Fino a che punto mi sento ipocrita. Confesso di non essere una brava ragazza, anzi, sono una cattiva, una pessima ragazza. Circa tre anni fa tu, vice premier Zhang Gaoli, sei andato in pensione e hai chiesto al dottor Liu, del Tianjin Tennis Centre, di contattarmi per fissare una partita di tennis con me, al Kangming Hotel di Pechino. Dopo aver giocato a tennis la mattina, tu e tua moglie Kang Jie mi avete condotto a casa vostra. Poi tu mi hai portato in una stanza e, proprio come a Tianjin più di dieci anni fa, mi hai detto che volevi fare sesso con me. Ero molto spaventata quel pomeriggio, non mi aspettavo che la cosa potesse accadere così, con una guardia fuori della porta, perché era impossibile far credere che tua moglie avrebbe acconsentito a una cosa del genere. Avevamo fatto sesso una volta, sette anni prima, e poi tu eri andato a Pechino per partecipare alla commissione permanente del partito comunista. Da molto tempo avevo sepolto la nostra storia nel mio cuore, visto che non avevi intenzione di accollarti nessuna responsabilità. Ma allora, perché sei venuto a cercarmi nuovamente, per portarmi a casa tua e costringermi a fare sesso con te? Non ho nessuna prova, ed è stato impossibile conservare qualunque traccia dell’accaduto. Quel pomeriggio, sulle prime ti ho detto di no e sono scoppiata a piangere. Ho cenato con te e tua moglie, Kang Jie. Hai continuato a parlare e a dire tante cose, per scacciare i pensieri dalla mia mente. Dopo cena, hai detto che non mi avevi mai dimenticata in quei sette anni, e che avrei dovuto essere carina con te, e via dicendo… Mi sentivo invadere dal panico, ma ho ceduto. Sì, abbiamo fatto sesso. Da quel giorno, ho sentito di nuovo sbocciare l’amore per te (...).
LA STORIA
Cina, il primo caso di Me Too nel cuore del potere di Pechino
Anche a rischio della vita, voglio dire la verità su di te. La sera del 30 ottobre 2021 abbiamo litigato. Tu hai detto che saremmo andati a casa tua il pomeriggio del 2 novembre per chiarire ogni cosa. Oggi, a mezzogiorno, mi hai chiamato per dirmi che sei molto occupato e che ci sentiremo più avanti. E sei «sparito» nuovamente, come avevi fatto sette anni fa. Hai detto che non c’era nessun impegno tra di noi. Avevi sempre paura che avrei portato con me un registratore, per raccogliere prove. Non ho nulla per provare quanto è accaduto, né audio, né video, solo l’esperienza reale della mia vita stravolta.
Ma anche se rischio di disintegrarmi, come un uovo scagliato contro una roccia, sono pronta a dire la verità sul tuo conto. Negherai o passerai al contrattacco. Io sono una cattiva ragazza che non merita di diventare madre. Tu sei padre di un figlio e di una figlia. Dopo tutto quello che hai fatto in questa vita, saprai guardarli in faccia con la coscienza tranquilla?
Cina, è sparita la tennista Peng Shuai: aveva accusato di stupro l’ex vicepremier Zhang Gaoli. Guido Santevecchi su Il Corriere della Sera il 14 Novembre 2021. Il 2 novembre, con un post sul social Weibo, aveva raccontato lo stupro del politico, al tempo uno dei 7 uomini più potenti del partito, che poi la aveva obbligata a una relazione. Da allora, la campionessa 35enne è svanita nel nulla. Un caso #MeToo tocca il cuore del potere cinese. La bomba è stata lanciata da Peng Shuai, 35 anni, campionessa di tennis e nel 2014 numero 1 della classifica mondiale di doppio femminile, dopo aver vinto a Wimbledon e Parigi. Una gloria nazionale. Il 2 novembre la tennista ha pubblicato un post sul social Weibo accusando l’ex vicepremier ed ex membro del Comitato permanente del Politburo comunista Zhang Gaoli, oggi pensionato settantacinquenne, di averla costretta in passato a una relazione e di averla violentata. Un gesto disperato quello di Peng, perché dare dello stupratore a un politico che era stato tra i sette più potenti nella nomenklatura può portare a conseguenze «spiacevoli». Dal 2 novembre, la campionessa è sparita. E ora su Twitter, bloccato in Cina, è partito l’hashtag #WhereIsPengShuai: «Dov’è Peng? Sono preoccupata, dateci notizie», commenta l’americana Chris Evert, che negli Anni 70 ha trionfato in 18 Grand Slam. La Wta (Women’s Tennis Association) chiede un’inchiesta sul caso e la fine della censura. L’accusa di Peng Shuai non è verificata né verificabile. Lo ammette anche lei quando scrive di non avere le prove. «So che dato il tuo potere non hai paura di me, Zhang Gaoli, ma anche se sono sola, come un uovo che si scontra con una roccia, come una falena che si lancia verso una fiamma, dirò la verità su di te», ha detto nel post. Secondo Peng, la storia iniziò nel 2007, quando Zhang era capo del Partito a Tianjin, grande città portuale a Est di Pechino. Peng era tesserata per il tennis club di Tianjin e un pomeriggio il politico la convocò per una partita. «Ero molto spaventata, ma non mi aspettavo che lui si comportasse in quel modo». Peng aggiunge: «Sono una cattiva ragazza», perché dopo quel pomeriggio si piegò ad una relazione con il potente. Nel 2013 Zhang Gaoli fu eletto tra i sette membri del Comitato permanente del Politburo. Peng continuò la sua carriera, vincendo una ventina di tornei internazionali tra cui spiccano Wimbledon 2013 e Roland-Garros 2014. In quegli anni, Zhang troncò i contatti e nel post lei gli rinfaccia anche di averla usata come passatempo quando era a Tianjin e di essersi nascosto dopo essere stato chiamato a Zhongnanhai, la cittadella del potere a Pechino. Una storia complessa, che sarebbe ripresa nel 2018 quando lui fu pensionato. Peng sostiene che ci fu stupro: «Non volevo, entrai nel panico e piansi tutto il tempo», ha scritto. Il post è stato cancellato dal web nel giro di mezz’ora, il 2 novembre, ma qualcuno aveva fatto in tempo a copiarlo e far circolare lo screenshot. La censura ha fermato sul web le ricerche dei nomi della giocatrice e del politico, anche la parola tennis (wangqiu in mandarino) è stata fuori rete per ore. La legge del silenzio: è questo il punto più inquietante.
Dagotraduzione dal Daily Mail il 12 novembre 2021. La settimana scorsa aveva denunciato sul suo account Weibo, l’equivalente cinese di Facebook, di essere stata abusata dall’ex vicepremier Zhang Gaoli. Da allora di Peng Shuai, 35 anni, tennista cinese, non si hanno più notizie. Anche se la Cina è già stata scossa dagli scandali del #Metoo, la denuncia di Peng Shuai è stata la prima a coinvolgere un membro di alto rango del Partito Comunista. Il suo post è stato subito cancellato insieme a tutti i contenuti recenti di Shuai, e, sul social network, la parola tennis (wangqiu) è stata censurata. Durante una conferenza stampa il 3 novembre, un portavoce del ministero degli Esteri di Pechino ha rifiutato di rispondere, dicendo seccamente: «Non ne ho sentito parlare e non è una questione diplomatica». Zhang è stato vicepremier e ha fatto parte del comitato permanente di sette membri del Politburo del partito al governo. Nel post di Pengu Shuai, la tennista aveva rivelato che lei e Zhang, che è sposato, hanno avuto una relazione nel 2011, dopo essersi incontrati nella città portuale di Tianjin. Il post descriveva in dettaglio come Peng sia andata a letto con Zhang una volta quell’anno, e una seconda prima che fosse promosso al Bureau e tagliasse ogni legame con lei. Ma ha poi riallacciato i rapporti nel 2018, dopo il suo ritiro dalla politica, invitando Peng a cena con sua moglie, dopo di che l’avrebbe spinta a fare sesso. Peng ha ricordato di aver “pianto” e rifiutato le avances di Zhang, prima di cedere. La relazione, definita da Peng “sgradevole”, è durata altri tre anni. Nel post Peng ha ammesso di non aver «nessuna prova» che la relazione abbia mai avuto luogo perché Zhang ha insistito per mantenerla segreta. Non è chiaro il motivo per cui Peng abbia deciso di rivelare la relazione ora, anche se il suo post chiudeva così:; «Hai detto che non hai paura. E come un uovo lanciato contro una roccia, o una falena contro una fiamma, dirò la verità con te». Il ministero degli Esteri cinese ha negato di essere a conoscenza della questione e Zhang non ha risposto alle richieste di commento. Lv Pin, un'attivista cinese per i diritti delle donne, ha twittato poco dopo il post di Peng: «Loro [il PCC] sono sempre stati marci e decadenti. Hanno sempre sfruttato le donne, solo che è stato fatto dietro tende nere».
«La sua rivelazione è molto importante, perché permette alle persone di avere un assaggio della vita reale dei più alti leader cinesi, del loro eccessivo abuso di potere, della corruzione e della loro paura dietro una facciata morale avvolta dal potere».
Giulia Zonca per “La Stampa” il 4 novembre 2021. Come una falena alla fiamma. Peng Shuai sa che il suo nome si brucerà nell'attimo esatto in cui pubblicherà il post con le accuse di molestie sessuali e lo fa comunque. La tennista non è la prima che denuncia un uomo potente in Cina, ma è l'unica che ha avuto il coraggio di accusare un pezzo grosso del partito comunista, un pezzo di governo, un ex vice primo ministro: Zhang Gaoli. Un tassello chiave del Politburo, quel monolite che è il regime di Pechino. Lei è la tennista bandiera, nel doppio è arrivata al primo posto della classifica Atp, un onore che nessun'altra sua connazionale ha vissuto. Ha vinto Wimbledon nel 2013 e il Roland Garros nel 2014, in singolo ha raggiunto la semifinale degli Us Open, vertice che solo tre donne cinesi hanno condiviso. Tutto ciò negli anni in cui Zhang era al massimo della carriera politica. I due si sono conosciuti prima e si sono frequentati in qualche contorto modo, che lei non spiega, tra il 2007 e il 2012. L'ombra di angoscia si è allungata tre anni fa quando lui l'ha invitata a casa sua a giocare a tennis, con la moglie. In quel pomeriggio Zhang l'avrebbe costretta a dei rapporti sessuali, l'avrebbe minacciata e convinta a riprendere una relazione malata con lui. Un incubo descritto così da Peng Shuai: «Non ero d'accordo e non ho fatto che piangere. So di non riuscire a spiegare e di non avere prove, ma è successo e lo voglio dire. Un uomo importante come lei, signor vice primo ministro Zhang Gaoli non ha paura, ma anche se sono solo io, un uovo contro una roccia, una falena intorno al fuoco che corteggia l'autodistrudizione, la denuncerò lo stesso». Le parole sono comparse su Weibo, il social più diffuso in Cina, e sono anche state eliminate dopo pochi minuti. Sparite eppure moltiplicate. Le foto di quel messaggio hanno continuato a circolare mentre a ogni ricerca Peng Shuai perde visibilità. Prima si sono bloccati i suoi profili, poi il suo nome si è smaterializzato ed è rimasto legato solo a risultati ormai datati e adesso persino la parola tennis si è bloccata. Via la sua identità e via il suo universo, ma non il coraggio. Dopo 16 titoli vinti in doppio, Peng Shuai si è sganciata dal sistema cinese, un affronto e una conquista. Ha rifiutato il tecnico assegnato dalla federazione, ha ottenuto il diritto di fare pubblicità e di tenersi gli introiti che di solito gli atleti devono girare al partito, ufficialmente per finanziare lo sport. Non solo, la maggioranza dei successi li ha firmati con Hsieh Su-wei, ragazza di Taiwan e insieme le due tenniste rappresentano anche un legame tra luoghi che vivono di cicliche tensioni. Come quelle di questi giorni. La denuncia quindi arriva da una donna considerata indipendente, una figura anomala che ora acquista forza in quei movimenti femministi perseguitati dal partito comunista. Di lei non si hanno più notizia, di certo dopo la fase cancellazione inizierà la denigrazione. Già ieri sera, oltre ai numerosi messaggi di sostegno, su account intenti a promuoversi come neutrali, circolavano penosi dubbi sull'intera carriera. Oltre alle foto di un suo traumatico ritiro agli Us Open, mentre esce dal campo in carrozzina. Sarà infangata, umiliata e purtroppo sarà in pericolo, ma quel post, subito copiato da decine di utenti e poi rimbalzato in milioni di copie resta un uovo tirato contro l'intera struttura retta da Xi Jinping. Il presidente alimenta la censura, indebolisce la libertà di espressione, stringe le viti di un autoritarismo che copre ogni abuso. E coprirà anche questo, di qualunque grado sia. Però quell'uovo stavolta lo hanno visto tutti.
Wta minaccia di lasciare Cina, chiarezza su tennista Peng. (ANSA il 18 novembre 2021) - Il tennis professionistico femminile minaccia di lasciare la Cina in assenza di chiarimenti sulla vicenda della star Peng Shuai. "Siamo pienamente preparati a ritirare le nostre attività e ad affrontare tutte le complicazioni che ne seguiranno - ha affermato Steve Simon, numero uno della Wta, l'associazione che gestisce il circuito femminile a livello mondiale, parlando alla CNN -. Perché le accuse di stupro sono più importante degli affari". Peng, 35 anni, ha accusato sui social media a inizio novembre l'ex vicepremier Zhang Gaoli di averla costretta a una relazione sessuale tre anni fa, prima di farne la sua amante. Simon, che si è spinto oltre rispetto alla richiesta di un'indagine indipendente per far luce sul caso, ha detto al network di Atlanta che la Wta ha in programma dieci eventi in Cina per il 2022 per un valore di decine di milioni di dollari, ma che era disposto a ritirarli. "Siamo a un bivio nel nostro rapporto con la Cina e la nostra attività laggiù", ha osservato, aggiungendo che la Wta deve chiedere giustizia e non può scendere a compromessi: "le donne devono essere rispettate e non censurate". La Cina è stata al centro dell'aggressiva espansione dell'associazione del tennis professionistico femminile nell'ultimo decennio, ospitando nove tornei nella stagione 2019, l'ultima prima dell'interruzione della pandemia di Covid-19, con un montepremi totale di 30,4 milioni di dollari. Allo stesso tempo, la Cina è sotto pressione su una serie di questioni relative ai diritti umani, nel mezzo delle crescenti richieste di boicottaggio delle Olimpiadi invernali di Pechino 2022. La posizione della Wta su Peng, se dovesse essere confermata, andrebbe molto oltre rispetto ad altre organizzazioni sportive che hanno lottato per bilanciare le richieste di tifosi e giocatori di opporsi alle violazioni dei diritti umani con la loro dipendenza dal mercato cinese. Peng ha postato il 2 novembre sul suo account Weibo, il Twitter in mandarino, il post con le accuse, oscurato in pochissimo tempo. Da allora, la star cinese, ex numero uno del ranking mondiale per il doppio grazie alle vittorie di Wimbledon e Parigi, non ha più comunicato col mondo esterno né si è presentata in pubblico, mentre Zhang Gaoli, componente del Comitato permanete del Politburo del Pcc dal 2013 al 2018, non ha mai reagito alle accuse.Mercoledì, il canale in lingua inglese Cgtn, parte della statale Cctv, ha svelato uno screenshot di un'email attribuita a Peng che sarebbe stata mandata alla Wta. Alla CNN, Simon ha ribadito i suoi dubbi sull'autenticità del messaggio in cui la campionessa definisce "false" le sue accuse contro Zhang. "Non credo affatto sia la verità", ha rincarato, descrivendo l'email una "messa in scena. Se è stata costretta a scriverla, se qualcuno l'ha scritta per lei, non lo sappiamo, ma finché non le parleremo di persona non saremo rassicurati", ha concluso Simon.
Guido Santevecchi per il corriere.it il 18 novembre 2021. Dal 2 novembre, della campionessa cinese di tennis Peng Shuai resta solo uno screenshot, inseguito e cancellato sul web dalla censura di Pechino, con la sua accusa di violenza sessuale al signor Zhang Gaoli, settantacinquenne ex vicepremier ed ex membro del Politburo del partito comunista. Di fronte alla preoccupazione, alle richieste di notizie e di un’indagine trasparente avanzate dalla Wta (Women’s Tennis Association) e sostenute da molti colleghi stranieri e da chi le vuole bene, ieri il canale internazionale della tv cinese ha risposto con un altro screenshot. La copia di una email che Peng avrebbe mandato al presidente della WTA per dire di stare bene, di non essere sottoposta a restrizioni, di avere solo bisogno di riposo e per smentirsi: non avrebbe subito aggressioni. Il messaggio chiede all’Associazione delle tenniste di smettere di occuparsi della vicenda e afferma che «le notizie pubblicate, compresa quella sulla violenza sessuale, non sono vere». Il testo risulta poco credibile: se la stella che trionfò a Wimbledon e al Roland Garros fosse davvero libera, perché non compare in pubblico? Il destinatario dell’email, il presidente della Wta Steve Simon, dice che la dichiarazione pubblicata dalla tv cinese CGTN «accresce la mia preoccupazione sulla sua sicurezza, è difficile credere che Peng Shuali abbia davvero scritto l’email». Il dirigente internazionale conclude: «Peng deve poter parlare liberamente, dev’essere ascoltata, le sue accuse meritano un’inchiesta». In Cina il nome di Peng è stato oscurato sui social network, le ricerche sono bloccate. Dal 2 novembre è fermo il suo profilo su Weibo, sul quale aveva postato il suo atto d’accusa drammatico contro il potente politico, ammettendo di non avere prove della relazione e della violenza ma di voler andare avanti con la denuncia «anche a costo di finire come un uovo che si scontra con una roccia». Su Twitter (censurato per i cinesi) circola l’hashtag #WhereIsPengShuai. Alla campagna internazionale si sono unite ieri la stella giapponese Naomi Osaka e la mitica Billie Jean King; Novak Djokovic si è detto «scioccato» dalla vicenda e dal buio che la circonda. L’email attribuita a Peng Shuai è stata tirata fuori dalla CGTN, l’emittente in lingua inglese della tv statale di Pechino. I cinesi comuni non la guardano e il resto della stampa di Pechino non ha dato alcuna notizia su questa storia. Tace ed è inavvicinabile anche l’ex potente politico accusato da Peng della violenza (è in pensione dal 2018). I portavoce del ministero degli Esteri cinese, alle domande dei corrispondenti stranieri hanno risposto di «non essere informati del caso e che comunque non è una faccenda diplomatica». Il solito sistema del potere: il silenzio è la soluzione migliore per un problema imbarazzante. E se non basta, si può sempre aggiungere la disinformazione.
Cecilia Attanasio Ghezzi per "la Stampa" il 18 Novembre 2021. «Che fine ha fatto Peng Shuai?» Come una pallina da tennis, questa preoccupazione rimbalza tra gli atleti e le atlete di tutto il mondo. Ma nel divenire hashtag il suo rumore si fa sempre più sordo. Ultima, ma solo in ordine di tempo, l'ex numero uno Naomi Osaka, si dice «sotto choc» per la sua scomparsa. Ma prima c'erano stati Novak Djokovic, Chris Evert e Martina Navratilov e le federazioni internazionali dell'Atp e della Wta. E prima ancora le femministe cinesi che ne hanno fatto una campagna da proiettare sugli edifici di ogni angolo della Cina: «Che fine ha fatto Peng Shuai?», «Pretendiamo il suo ritorno», «Peng Shuai siamo al tuo fianco». Quattordicesima al mondo come massimo risultato nel ranking Wta del singolare, ex numero uno di doppio e già vincitrice di due titoli del Grande, il 2 novembre scorso Peng Shuai aveva pubblicato un lungo post personale su Weibo, un social cinese paragonabile al nostro Twitter. Raccontava di essere stata stuprata e costretta ad intrattenere una relazione segreta da Zhang Gaoli, vicepremier dal 2013 al 2018, all'epoca uno dei sette uomini più potenti della Cina e oggi in pensione. «Non ho registrazioni, non ho video, ho solo la mia storia». «So bene che tu, alto ufficiale Zhang Gaoli, non hai paura. Ma anche se è come scagliare un uovo su una montagna o come una falena che si lancia verso la fiamma, non posso fare a meno di raccontare la verità su di noi». Nessuno aveva mai osato accusare un politico così alto in grado. I due si sarebbero conosciuti e amati prima che lui diventasse vice premier, poi Zhao si sarebbe negato per tutta la durata del suo mandato fino a quando, andato in pensione nel 2018, non l'avrebbe ricontattata tramite la federazione di tennis per giocare un doppio con sua moglie. In quell'occasione l'avrebbe portata in camera sua dove lei l'avrebbe rifiutato, «senza riuscire a smettere di piangere». L'avrebbe poi costretta a una relazione segreta e malata, lasciandola umiliare da sua moglie in sua assenza. «Mi sentivo uno zombie, fingevo ogni giorno di essere una persona diversa. Non sapevo come ero arrivata a questo punto, e non avevo il coraggio di morire». Il suo, è il grido di una vittima di violenza e di abusi psicologici. Per questo suona ancora più assordante il silenzio che ne è seguito. Il post, censurato in poche decine di minuti, ha continuato a circolare online come screenshot, ma il suo nome, quello del politico e, per qualche ora, persino la parola tennis, impossibili da cercare sui motori di ricerca cinesi. Poi più nulla. Il portavoce del ministero degli Esteri ha negato di essere a conoscenza della situazione, l'account Weibo di Peng risulta attivo ma rifiuta commenti e messaggi diretti, e nessuno è più riuscito a mettersi in contatto con lei. È l'ennesimo tentativo di #metoo cinese, che vive solo - e brevemente - sui social. Il fenomeno purtroppo è talmente radicato nella cultura cinese, che si evita persino di affrontarlo. Secondo un rapporto delle Nazioni Unite del 2013, circa la metà degli uomini cinesi ha usato violenza psicologica o fisica sulla propria compagna. Numeri non troppo differenti da quelli di altre parti del mondo, certo. Ma particolarmente grave è che in Cina il 72 per cento degli uomini che hanno abusato di una donna non abbia subito nessuna conseguenza legale. Oggi le donne guadagnano in media il 40 per cento in meno degli uomini e faticano ad arrivare a ruoli di potere. C'è una sola donna tra i 25 membri del politburo e la moglie del Presidente, Peng Liyuan, ha dovuto abbandonare la sua carriera di cantante di successo per non far ombra al marito. Inoltre, come nell'epoca imperiale, a un uomo di potere non basta una sola moglie. Le concubine di oggi si chiamano ernai, letteralmente «seconda donna», e sono molte più di quanto si pensi. Il 60 per cento dei funzionari ne mantiene «almeno» una, secondo una ricerca dell'Università del popolo. «Gli uomini con più potere sono quelli che sanno controllare fisicamente ed emotivamente le proprie donne. Il massimo è privarle della loro libertà e poi abbandonarle», scrive la professoressa di antropologia culturale Zheng Tiantian. Peng Shuai ha avuto il coraggio di rompere il silenzio. Non sappiamo con che conseguenze.
Luigi Guelpa per “il Giornale” il 18 novembre 2021. Martina Navratilova e Chris Evert sono pronte a partire per Pechino, mentre Novak Djokovic chiede prove tangibili, ma in realtà è tutto il mondo, non solo sportivo, a porsi la stessa domanda: che fine ha fatto Peng Shuai? La sorte dell'ex campionessa cinese di tennis sta assumendo i contorni di un vero e proprio giallo. É scomparsa ormai da due settimane e se la sua storia fosse una serie tv qualcuno potrebbe sperare in un lieto fine, ma essendoci di mezzo Pechino può davvero accadere di tutto e il suo contrario. Lo scorso 2 novembre l'atleta denunciò di essere stata violentata dall'ex vicepremier Zhang Gaoli, uno dei politici più influenti del Paese. In un lungo post su Weibo, la versione cinese di Twitter, Peng aveva parlato di abusi e di una relazione insana che si trascinava da una decina d'anni, mentre lui era sposato. Peng raccontava di essere stata costretta ad avere rapporti sessuali anche in casa di Zhang, durante un invito a cena alla presenza della moglie. Nella confessione la tennista aveva manifestato rabbia e disgusto. Neppure mezz' ora dopo, il post di Peng veniva eliminato da Weibo, così come gli screenshot e i post sui social in cui era stato discusso l'argomento. Il profilo di Peng è regolarmente attivo, ma è stata interdetta la possibilità di lasciare commenti, così come è bloccata la ricerca del suo nome. Weibo ha oscurato persino il profilo di Naomi Osaka, fuoriclasse giapponese della racchetta, una delle prime a chiedere di far luce sulla scomparsa e sulle accuse della collega. Sì, perché proprio da quel 2 novembre dell'ex numero uno al mondo di doppio non si hanno più notizie. Ieri, a sorpresa, una mail attribuita a Peng è stata diffusa dal canale televisivo CcTv e inviata alla WTA, l'organizzazione internazionale del tennis femminile. Il testo non ha fatto altro che aumentare le preoccupazioni per la sorte e la sicurezza dell'atleta cinese. Peng, o chi ha scritto per lei, sostiene di star bene, ma soprattutto smentisce l'accaduto: «L'informazione, soprattutto per quanto riguarda l'accusa di violenza sessuale, è falsa. Non sono né scomparsa e neppure in pericolo. Sto solo riposando a casa, è tutto a posto. Vi chiedo di voler diffondere questa notizia». Il presidente della WTA, Steve Simon, dubita delle informazioni provenienti dalla Cina. «Faccio molta fatica a credere che abbia veramente scritto la mail che abbiamo ricevuto. Necessitiamo di una prova riscontrabile e indipendente che lei sia al sicuro. Ho cercato più volte di contattarla in varie maniere, ma senza fortuna». Per tutta risposta il governo cinese si è espresso sulla questione con le parole, apparse cariche di imbarazzo, di Wang Wenbin, portavoce di Xi Jinping: «Non ne ho sentito parlare, ma questa non è una questione diplomatica». La WTA e la sua controparte maschile, l'ATP avevano già invitato la Cina a indagare sulle accuse di Peng, e molti tra i colleghi e le colleghe del circuito hanno espresso il loro sostegno all'ex tennista cinese sui social attraverso l'hashtag #WhereIsPengShuai. «Serve un'indagine approfondita al più presto» dichiara da Torino, dove è impegnato nelle Atp finals, Novak Djokovic. «Stiamo facendo fronte comune tra tennisti. La Cina non può cavarsela con una lettera. Vogliamo vederla, quantomeno in video». Ancora più agguerrite due celebri colleghe di Peng, Martina Navratilova e Chris Evert, disposte anche a «viaggiare fino a Pechino per sincerarci sulle sue condizioni di salute».
Da tgcom24.mediaset.it il 20 novembre 2021. Le ultime foto apparse sui social media della star del tennis cinese Peng Shuai rappresentano il "suo stato attuale". Così su Twitter Hu Xijin, direttore del Global Times. Della tennista cinese non si avevano più notizie dal 2 novembre dopo l'accusa di abusi sessuali contro l'ex vicepremier Zhang Gaoli. "Nei giorni scorsi, è rimasta a casa sua e non voleva essere disturbata. Si presenterà in pubblico e presto parteciperà ad alcune attività", ha aggiunto Hu. Al momento non è possibile verificare le affermazioni di Hu, né a quando risalgano le foto. Le immagini sono comparse dopo che la Wta ha minacciato di lasciare la Cina in assenza di chiarimenti su Pebg Shuai e, inoltre, a condividere le foto è stato un account Twitter etichettato dal social network come "media affiliato allo Stato cinese".
Le foto di Peng Shuai
Sono tre le foto apparse su Twitter: una mostra la giocatrice sorridente con un gatto in braccio in quella che sembra essere la sua casa. Sullo sfondo sono visibili peluche, un trofeo, una bandiera cinese e accrediti. Un'altra istantanea mostra un selfie di Peng Shuai con una figurina di Kung Fu Panda, film d'animazione per bambini. Sullo sfondo appare una cornice con un'immagine di Winnie the Pooh. Le foto sono accompagnate da una didascalia in inglese che spiega come le immagini siano state postate privatamente dalla giocatrice su Wechat per augurare "buon fine settimana" ai suoi contatti.
Guido Santevecchi per il “Corriere della Sera” il 21 novembre 2021. Tre foto della campionessa che posa tra animaletti di peluche e il suo gatto, «scoperte» e diffuse venerdì da un cronista della tv statale cinese. E ieri sera due video di Peng Shuai a cena in un ristorante, con il suo allenatore (il quale informa che «è sabato»). Questi brevi filmati sono stati pubblicati da Hu Xijin, direttore del Global Times , quotidiano in inglese del Partito. Nessuna spiegazione su come siano spuntate le immagini. Il tutto lanciato via Twitter (oscurato in Cina), perché è questo al momento il campo della partita sulla sorte della stella del tennis messa a tacere dal 2 novembre, dopo che aveva sostenuto con un drammatico messaggio sul web di essere stata violentata, anni fa, da un ex membro del Politburo comunista. È il terreno del social network occidentale che a Pechino hanno scelto per giocare con la libertà della giovane donna e per proteggere (con il silenzio ufficiale) il politico in pensione ma evidentemente sempre potente Zhang Gaoli, che fino al 2018 era stato vicepremier e uno dei sette del Comitato permanente del Politburo, il cuore del Partito-Stato. Peng nel suo post, subito cancellato dalla censura, aveva raccontato di aver avuto una relazione con l'anziano mandarino, e che poi lui l'aveva costretta a un rapporto contro la sua volontà. La giocatrice ha ammesso di non avere prove, ma la censura, la scomparsa, ora la diffusione di foto e video per rassicurare gli stranieri tradiscono l'incertezza del potere cinese: il caso di Peng Shuai, che nel 2014 era stata N°1 del mondo vincendo Wimbledon e Roland Garros, è diventato una faccenda internazionale, a meno di tre mesi dalle Olimpiadi invernali di Pechino. Per rompere il muro di gomma costruito intorno a questo #MeToo in salsa mandarina si è coalizzato un fiume di proteste e pressioni mondiali. La Wta (Women's tennis association), minaccia di ritirarsi dal circuito cinese dei tornei «perché questa vicenda vale più degli affari»; stelle come Serena Williams e Naomi Osaka spingono la campagna perché Peng sia ascoltata in pubblico e rilanciano a milioni di follower su Twitter la protesta con l'hashtag #WhereIsPeng. Novak Djokovic appoggia l'ipotesi di boicottaggio tennistico: «Sarebbe strano andare a giocare in Cina senza che la questione fosse risolta». Roger Federer e Rafa Nadal dicono che «tutta la famiglia del tennis si è riunita attorno a lei». L'Onu, con l'Alto commissariato per i diritti umani, invoca «un'inchiesta trasparente sull'accusa di violenza sessuale». La Casa Bianca vuole dal governo cinese «la prova indipendente e verificabile» di dove si trovi Peng. Gli Stati Uniti hanno già in mente un boicottaggio diplomatico dei Giochi a Pechino, a causa delle violazioni dei diritti umani, e la vicenda di Peng potrebbe dare la motivazione finale. Subito dopo la presa di posizione di Washington, venerdì sono arrivate le foto di Peng «a casa che si riposa». Poi i due videoclip al ristorante, con la donna sempre muta. Ma fino a quando Peng Shuai non sarà libera (davvero) di raccontare la storia, questo caso non smetterà di turbare i sogni olimpici del potere cinese. Dick Pound, membro del Cio, avvocato e portavoce per l'etica sportiva, dice che la faccenda può sfuggire di mano e il Comitato olimpico potrebbe essere spinto a prendere una posizione dura su Pechino 2022.
Dagotraduzione dal Guardian il 22 novembre 2021. Il Comitato Olimpico Internazionale è stato accusato di aver intrapreso una “acrobazia pubblicitaria” sul benessere della tennista cinese Peng Shuai dopo la videochiamata che si è svolta ieri tra la campionessa e il presidente durante la quale avrebbe annunciato di essere «salva» e di «stare bene». Peng, che da ormai tre settimane non era stata più vista in pubblico dopo aver accusato l’ex vice presidente del Partito Comunista di averla aggredita sessualmente, è apparsa a una cena con gli amici sabato e a un torneo di tennis per bambini a Pechino domenica, come mostrano le foto e i video pubblicati dai giornalisti dei media statali cinesi e dagli organizzatori del torneo. Ma le assicurazioni hanno fatto ben poco per placare le preoccupazioni dei gruppi per i diritti umani e della WTA, la Women’s Tennis Association. «È stato bello vedere Peng Shuai nei video recenti, ma non alleviano o affrontano la preoccupazione della WTA per il suo benessere e la sua capacità di comunicare senza censura o coercizione» ha detto un portavoce dell’Associazione. «Questo video non cambia la nostra richiesta di un’indagine completa, equa e trasparente, senza censura, sulla sua accusa di violenza sessuale, che è la questione che ha dato origine alla nostra preoccupazione iniziale». Dopo la videochiamata di 30 minuti, alla quale hanno partecipato il presidente del Cio, Thomas bach, il rappresentante per la Cina Li Lingwei e il presidente della commissione degli atleti, Emma Terho, il Cio ha affermato che Peng era «salva e stava bene» ma vorrebbe «che la sua privacy fosse rispettata». «Ecco perché preferisce trascorrere il suo tempo con amici e familiari in questo momento» ha detto. «Ma continuerà a essere coinvolta nel tennis, lo sport che ama così tanto». Nikki Dryden, avvocato per i diritti umani ed ex nuotatore olimpico per il Canada, ha etichettato la gestione del caso Peng da parte del Cio come un «esercizio mediatico» progettato per alleviare le crescenti minacce di boicottaggio diplomatico mentre la Cina si prepara ad ospitare i Giochi invernali, a febbraio. Il CIO ha evitato di essere coinvolto nella situazione dei diritti umani del paese, su cui pesa il trattamento della minoranza musulmana uigura e la sua repressione politica a Hong Kong. «Sono così sollevato che sia viva, ma l'esecuzione di questo video è davvero preoccupante dal punto di vista della salvaguardia», ha detto Dryden. «Mi sembra molto politico che Bach svolto questa chiamata con il presidente della commissione degli atleti – e questo è probabilmente in qualche modo appropriato – e il membro del CIO dalla Cina. Non è affatto una chiamata di salvaguardia. Il tennis avrebbe dovuto essere in grado di ricevere quella chiamata, avrebbe dovuto essere un ufficiale di protezione a ricevere quella chiamata, non una trovata pubblicitaria». «Niente nel comunicato stampa del CIO mi fa sentire a mio agio sul fatto che sia al sicuro, che senta di non essere oggetto di ritorsioni o costrizione. Hanno preso il controllo di questo perché sono così preoccupati della narrativa intorno a Pechino [Olimpiadi invernali] che non volevano che qualcosa andasse storto in questo». Elaine Pearson, la direttrice australiana di Human Rights Watch, ha criticato il CIO per aver preso parte al video. «Francamente, è vergognoso vedere il CIO partecipare a questa farsa del governo cinese che tutto va bene ed è normale per Peng Shuai. Chiaramente non lo è, altrimenti perché il governo cinese dovrebbe censurare Peng Shuai da Internet in Cina e non permetterle di parlare liberamente ai media o al pubblico». L'attivista per i diritti umani Craig Foster, un ex calciatore internazionale australiano, ha affermato che laddove la WTA aveva dimostrato forza e ferma determinazione minacciando di ritirare i tornei dalla Cina, il CIO aveva «posto considerazioni politiche e commerciali davanti a trasparenza, responsabilità e giustizia». Ha detto: «La conversazione organizzata dal CIO con Peng Shuai non potrebbe essere più sorda in termini di diritti e protezioni delle donne e nel trattare con una sopravvissuta a un'aggressione sessuale». «Il concetto che una conversazione con Thomas Bach sia una risoluzione soddisfacente di una questione molto seria o che rappresenti una risposta adeguata alle accuse di abusi sessuale da parte di un’atleta che includono la censura e la probabile coercizione da parte di un membro del CIO, è emblematico del fallimento del concetto di Olimpiadi». Il 2 novembre, Peng ha scritto sui social media cinesi che l'ex vicepremier Zhang Gaoli l'aveva costretta a fare sesso e in seguito hanno avuto una relazione consensuale on-off. Il post è stato rapidamente cancellato e l'argomento è stato bloccato dalla discussione su Internet e pesantemente censurato in Cina. Né Zhang né il governo cinese hanno commentato le accuse di Peng. Il ministro degli Esteri francese ha chiesto domenica alle autorità cinesi di far parlare pubblicamente Peng. «Mi aspetto solo una cosa: che parli», ha detto Jean-Yves Le Drian alla televisione LCI, aggiungendo che potrebbero esserci conseguenze diplomatiche non specificate se la Cina non chiarisse la situazione. Il suo ufficio non ha risposto immediatamente a una richiesta di commento sulla dichiarazione del CIO. Gli Stati Uniti e la Gran Bretagna hanno anche chiesto alla Cina di fornire prove del luogo in cui si trova Peng. Giocatori di tennis attuali ed ex, tra cui Naomi Osaka, Serena Williams e Billie Jean King , si sono uniti alle chiamate cercando di confermare che fosse al sicuro, usando l'hashtag dei social media #WhereIsPengShuai? Il numero 1 mondiale di singolare maschile Novak Djokovic ha detto che sarebbe strano organizzare tornei in Cina a meno che la situazione "orribile" non fosse risolta.
Erminia Voccia per "il Messaggero" il 22 novembre 2021. «Sto bene e sono al sicuro». È stata Peng Shuai in persona, stavolta, a tentare di tranquillizzare il presidente del Comitato Olimpico Internazionale, Thomas Bach, provando disinnescare le tensioni internazionali causate dalla sua strana scomparsa. Domenica 21 novembre, durante una videochiamata durata 30 minuti, la star cinese del tennis mondiale è apparsa serena e con il viso rilassato davanti ai rappresentanti del Cio. Li ha ringraziati per essersi preoccupati per lei e ha spiegato di trovarsi a casa sua a Pechino. Nel comunicato ufficiale del Cio si legge che l'atleta vorrebbe un po' di privacy e che in questo momento preferisce trascorrere il tempo con gli affetti più cari. Non ha intenzione di lasciare il tennis, lo sport che ama così tanto. «Sono sollevata, le condizioni di salute di Peng erano la nostra preoccupazione principale. Le ho offerto il nostro supporto e le ho garantito che sarò a sua disposizione in qualsiasi momento voglia mettersi in contatto con me, un gesto di aiuto che mi pare abbia molto apprezzato», ha dichiarato l'ex hockeista Emma Terho, presidente della Commissione Atleti del Cio. Bach ha chiesto alla tennista di cenare insieme a gennaio, quando si recherà nella capitale cinese poco prima dell'inizio dei Giochi invernali. Un appuntamento sportivo che tanti attivisti pro diritti umani vorrebbero fosse boicottato. Peng ha accettato con piacere l'invito, ha spiegato il Cio. Le foto e poi i video diffusi negli ultimi giorni dai media cinesi non erano serviti a calmare i timori sulle sorti dell'atleta, sparita per quasi 3 settimane dopo aver accusato di violenza sessuale il 75enne Zhang Gaoli, ex vice premier ormai in pensione. In un video di 25 secondi, postato sui social da Hu Xijin, caporedattore del giornale cinese Global Times, si vede Peng sorridente in tuta da ginnastica e coda di cavallo. Saluta i bambini e autografa palline da tennis giganti per i piccoli fan riuniti a Pechino in occasione delle finali di un torneo di tennis giovanile, il Fila Kids Junior Tennis Challenger. Il Global Times è la voce del Partito Comunista Cinese, ne esprime il punto di vista, ma si rivolge alla platea internazionale. Anche le foto pubblicate su WeChat dall'organizzazione del torneo, China Open, mostrano Peng in tribuna. Sabato 20 novembre, invece, la donna sarebbe stata a cena in un noto ristorante del centro di Pechino, stando a un altro video postato da Hu Xijin. «Erano in 7 al tavolo, hanno ordinato noodles e germogli di bambù e si sono accomodati nell'area privata», ha raccontato a Reuters il gestore del ristorante, Zhou Hongmei. «Non hanno ordinato molto. Forse hanno parlato più che mangiato», ha precisato il ristoratore. Tutti comportamenti apparsi poco spontanei e ritenuti non sufficienti dalla Wta, l'associazione mondiale delle professioniste, a sciogliere i dubbi sulla coincidenza temporale tra la sparizione di Peng e l'accusa bomba di stupro lanciata a inizio mese, il caso più grave di #MeToo che la Repubblica Popolare abbia mai dovuto gestire. La Federazione Internazionale del Tennis (Itf) aveva affermato che non si sarebbe mai stancata di chiedere notizie. Il Ministro degli Esteri francese, Jean-Yves Le Drian, aveva minacciato non meglio precisate conseguenze per i rapporti diplomatici tra Parigi e Pechino se non ci fosse stato un chiarimento sulla vicenda. La Francia si univa a Stati Uniti e Regno Unito, già mobilitati a difesa della sportiva che ha ricoperto di onori la nazione cinese. Venerdì scorso, ancora i media locali avevano diffuso alcune bizzarre immagini della tennista a casa sua. Impossibile non pensare a un deliberato e goffo tentativo di depistaggio, ipotesi che la videochiamata ora vorrebbe allontanare.
Da corriere.it il 22 novembre 2021. La star del tennis cinese Peng Shuai ha parlato in videoconferenza per trenta minuti con Thomas Bach, il presidente del Comitato olimpico internazionale (Cio), rassicurandolo sulle sue condizioni («sto bene e sono al sicuro»), dopo giorni di preoccupazione per la sua scomparsa a seguito delle denunce di abusi sessuali nei confronti dell'ex vicepremier di Pechino, Zang Ghaoli. Lo riferisce una nota del Cio. Al presidente Bach, riporta Sky News, la tennista ha chiesto anche il «rispetto della privacy». «Posso confermare che sta bene, che era la nostra maggiore preoccupazione», la dichiarazione di Emma Terho, a capo della commissione degli atleti, che ha a sua volta partecipato alla call, assieme al cinese Li Lingwei, membro del Comitato olimpico. «Si trova nella sua casa di Pechino — racconta il comunicato —. È per questo che per adesso preferisce passare il tempo con gli amici e la famiglia. Nonostante ciò, continuerà a essere coinvolta nel tennis, lo sport che ama così tanto». Oggi Peng Shuai è anche apparsa in pubblico a un torneo giovanile a Pechino. Ma già nelle scorse ore i media cinesi avevano diffuso immagini e video che testimonierebbero il ritorno in pubblico di Peng. Una serie di testimonianze che non avevano però convinto del tutto, con i tennisti più forti del mondo che si erano mobilitati per chiedere «Where is Peng Shuai?», «Dov'è Peng Shuai?» e la Wta (l'associazione tennis donne) che aveva minacciato di sospendere i tornei in Cina in assenza di notizie certe.
(ANSA il 2 dicembre 2021) - Continua a destare preoccupazione e reazioni internazionali il caso della star del tennis cinese Peng Shuai, sparita per giorni dopo aver denunciato sui social gli abusi sessuali subiti da un alto papavero del partito comunista ritenuto molto vicino al presidente Ji Xin Ping. La Women's Tennis Association (Wta), l'associazione che rappresenta le giocatrici professioniste di tennis di tutto il mondo, ha deciso di sospendere tutti i tornei in Cina. Lo ha annunciato il presidente Steven Simon dopo aver manifestato nei giorni scorsi insoddisfazione per le rassicurazioni giunte da Pechino sulla sorte della tennista 35enne, compresa la sua videoconferenza con il presidente del Comitato olimpico internazionale (Cio), Thomas Bach. Proprio ieri l'Ue aveva espresso "solidarietà" all'ex numero uno di doppio femminile chiedendo al governo di Pechino rassicurazioni e prove sul fatto che fosse "libera e non minacciata". L'Ue ha anche esortato le autorità cinesi a condurre un'indagine completa, equa e trasparente sulle sue accuse di violenza sessuale". La tennista è scomparsa per settimane dalla scena pubblica dopo che a inizio novembre aveva denunciato su Weibo, il Twitter cinese, di aver subito abusi sessuali da parte dell'ex vice premier Zhang Gaoli, di 40 anni più anziano di lei. Mai il 'Me Too' era giunto così vicino ai vertici del potere di Pechino. Le accuse erano sparite dopo poche ore sotto la tenaglia della censura di Stato, lasciando però inevitabili tracce sul web: migliaia di utenti avevano già condiviso il racconto, scatenando proteste e indignazione a livello globale per lo scandalo e il successivo oscuramento. A dirsi preoccupati per la sorte della tennista erano stati fan e colleghi illustri del circuito, da Naomi Osaka a Novak Djokovic e Roger Federer, mentre i giornali sportivi di mezzo mondo, dall'Equipe a Marca, le avevano dedicato la prima pagina con l'hashtag 'Dov'è Peng Shuai?'. Un allarme rilanciato dall'Onu e dai governi occidentali, fino all'appello del presidente Usa Joe Biden. Il 21 novembre, in una videochiamata di mezz'ora con il presidente del Cio Thomas Bach Peng Shuai era riapparsa assicurando: "Sto bene e sono al sicuro". Il Comitato in una nota aveva precisato che l'atleta "si trovava nella sua casa a Pechino" ma preferiva fosse rispettata la sua "privacy". Notizie che avevano rassicurato pochi. Ora la decisione della Wta. "In tutta coscienza non vedo come le nostre atlete possano competere quando Peng Shuai non è autorizzata a comunicare liberamente e ha subito pressioni per ritrattare le accuse di molestie sessuale", ha detto Simon
(ANSA-AFP il 2 dicembre 2021) - Il numero uno del tennis mondiale, Novak Djokovic, si è detto ieri sera d'accordo con la decisione della WTA di sospendere tutti i tornei in Cina a seguito del caso della tennista Peng Shuai. "Appoggio pienamente la posizione della WTA perché non abbiamo abbastanza informazioni su Peng Shuai e sulla sua salute", ha detto Djokovic a margine della Coppa Davis. "La sua salute è della massima importanza per il mondo del tennis - ha proseguito -. Non si tratta solo di lei, potrebbe essere chiunque, un giocatore o una giocatrice, una cosa del genere non deve accadere".
(ANSA il 2 dicembre 2021) - I media di Pechino contro la Wta, l'associazione del tennnis professionistico femminile mondiale, per lo stop a tutti i tornei in Cina e Hong Kong dopo il caso della star di casa Peng Shuai. "La Wta sta costringendo Peng Shuai a sostenere l'attacco dell'Occidente al sistema cinese, privando la libertà di espressione di Peng Shuai e chiedendo che la descrizione della sua situazione attuale soddisfi le loro aspettative", ha scritto su Twitter Hu Xijin, direttore del Global Times. La Wta si era detta insoddisfatta delle rassicurazioni di Pechino su Peng, autrice di una denuncia di abusi sessuali contro l'ex vice premier Zhang Gaoli.
Vittorio Macioce per "il Giornale" il 7 dicembre 2021. La paura arriva quando si spengono i riflettori. Non si sa dove sia Peng Shuai ma il tempo non è dalla sua parte. Il governo di Pechino sta risolvendo la storia della tennista «sconsiderata» a modo suo. La nasconde e attende che il clamore internazionale lasci, giorno dopo giorno, il posto al silenzio. È vero che il tennis femminile sospenderà i tornei in Cina, ma la Federazione internazionale ha già detto che non intende allinearsi. La denuncia di violenza sessuale va verificata e non è abbastanza per rinunciare ai soldi di un mercato così grande. È più semplice trovare un compromesso. Lo show deve andare avanti. Il colpo più forte lo batte Washington. Gli Stati Uniti boicottano le olimpiadi invernali di Pechino del prossimo anno. È una mossa diplomatica. Gli atleti ci saranno, ma senza la delegazione ufficiale politica. La Cina non rispetta i diritti umani. È stato recuperato il testo della lunga lettera di denuncia contro Zhang Gaoli, l'ex vicepresidente della Cina. Era apparsa su Weibo e poi subito cancellata dalla censura. A volte nascondere la realtà fa più chiasso di quanto ci si aspetti. La lettera di Peng Shuai svela le ferite di una donna fragile, vittima di un uomo di potere. È il 2 novembre e Peng Shuai racconta tutto. «Non è facile parlarne, ma voglio che venga fuori. Non so dirti fino a che punto mi sento ipocrita. Confesso di non essere una brava ragazza, anzi, sono una cattiva, una pessima ragazza. Dopo aver giocato a tennis la mattina, tu e tua moglie mi avete condotto a casa vostra. Poi mi hai portato in una stanza e, proprio come a Tianjin più di dieci anni fa, mi hai detto che volevi fare sesso con me. Non mi aspettavo che la cosa potesse accadere così, con una guardia fuori della porta. Non pensavo che tua moglie avrebbe acconsentito a una cosa del genere. Anche a rischio della vita voglio dire la verità su dite». Per Pechino questo è lo sfogo di una ragazza inaffidabile. È la parola con cui si prenderanno cura di lei. Lo hanno già fatto capire. Peng Shuai è malata e va recuperata. Si chiama rieducazione.
Carlo Nicolato per “Libero quotidiano” il 12 dicembre 2021. Peng Shuai non ha mai denunciato di sua spontanea volontà le violenze subite dall'alto politico cinese Zhang Gaoli. Anzi è piuttosto probabile che la nota tennista quelle violenze non le abbia mai subite, ma in quanto ex amante di uno degli uomini più potenti della Cina sia finita in un ingranaggio di lotte intestine al partito comunista, giochi di potere di cui noi lontani occidentali abbiamo ben poca contezza. Una cosa è sicura, niente in Cina capita per caso, secondo il dissidente Wei Jingsheng, ex membro del Pcc, autore della Quinta modernizzazione e padre di una Cina democratica mai palesatasi, neanche il C vid è nato per caso, ma è stato deliberatamente diffuso durante i Giochi militari internazionali tenutisi a Wuhan nell'ottobre del 2019. Wei Jingsheng è ora convinto che tutta la storia di Peng Shuai sia una montatura nel quale l'Occidente stesso ha avuto un suo involontario ruolo anche se a Pechino forse ci si aspettava una reazione meno energica. Nel Partito comunista, racconta l'oppositore in un articolo pubblicato da Asianews, tutti sapevano che Peng Shuai era stata l'amante dell'ex vicepremier Zhang Gaoli e lo stesso racconto della tennista, cioè il post originale su Weibo poi rimosso, lo conferma. La Shuai peraltro non si limita ad accusare il suo ex amante di violenza, ma fa un racconto articolato nel quale a un certo punto la tennista, costretta dalle circostanze, si ritrova in una stanza da sola con lui e una guardia fuori «perché era impossibile far credere che tua moglie avrebbe acconsentito a una cosa del genere». «Quel pomeriggio» prosegue «sulle prime ti ho detto di no e sono scoppiata a piangere... Dopo cena, hai detto che non mi avevi mai dimenticata in quei sette anni, e che avrei dovuto essere carina conte, e via dicendo... Mi sentivo invadere dal panico, ma ho ceduto. Sì, abbiamo fatto sesso». La Shuai dice di non avere le prove di quello che è successo ma che poi «da quel giorno, ho sentito di nuovo sbocciare l'amore per te», come dieci anni prima. Poi un presunto litigio e lui che si nega di nuovo, «e sei sparito nuovamente, come avevi fatto sette anni fa. Hai detto che non c'era nessun impegno tra di noi». Anche senza voler essere maliziosi il racconto fa acqua da tutte le parti, ma diventa ancora più surreale quando la tennista fa presente che lui aveva sempre paura che l'amante avrebbe portato con sé un registratore «per raccogliere prove», come se fosse quello il nodo di tutta la questione. Il messaggio decisivo però arriva nel finale e non è una ripicca morale da amante ferito come sembrerebbe, ma un avvertimento politico: «Tu sei padre di un figlio e di una figlia. Dopo tutto quello che hai fatto in questa vita, saprai guardarli in faccia con la coscienza tranquilla?». Tutto questo però avrebbe certamente meno senso se non si fa caso all'ordine cronologico delle accuse di Peng Shuai e dei fatti che seguono. L'incontro tra i due risalirebbe infatti alla fine di ottobre, il post della tennista rimosso dopo pochi minuti dalla censura, ma rimasto abbastanza perché fosse notato, è del 2 novembre. Una settimana dopo, tra l'8 e il 12 novembre si è tenuto il 6° Plenum del Comitato centrale del Partito comunista cinese (Pcc) che il più importante del ciclo di sette sessioni plenarie del Comitato tra un Congresso di partito e l'altro: rappresenta infatti l'ultima possibilità di dibattito prima che vengano prese le grandi decisioni al Congresso dell'anno successivo (il settimo Plenum serve invece a definirne l'agenda). Secondo Wei Jingsheng, nonostante le apparenze, Xi Jinping è arrivato al Plenum molto più debole di quanto non apparisse e soprattutto senza il sostegno necessario per una "terza risoluzione storica" di rottura che creasse una nuova tabella di marcia per il futuro come avrebbe voluto. Ne è risultata alla fine infatti una "risoluzione storica" che non è né carne né pesce, che imita le precedenti di Mao Zedong e di Deng Xiaoping ma non ci assomiglia. Per Xi l'operazione di è dimostrata una sconfitta, anche se all'esterno è stato detto ovviamente tutto il contrario (e i media occidentali l'hanno bevuta), dovuta principalmente alla fazione dell'ultranovantenne ex presidente Jiang Zemin, il cui uomo di punta è proprio il nostro Zhang Gaoli, secondo Jingsheng «l'unico uomo forte e sano» del gruppo. Far crollare la sua credibilità prima del Plenum era dunque una priorità per Xi. Avrebbe potuto accusarlo di corruzione, come si fa di solito, ma Zhang è molto potente e il presidente non aveva molto tempo a disposizione. Per cui si è giocata la carta dello scandalo sessuale utilizzando la vecchia e famosa amante. Fin troppo famosa però perché la cosa rimanesse nella cerchia del potere cinese e senza conseguenze esterne. Ne è venuto fuori un pasticcio in cui Xi ha dimostrato di essere solo una sbiadita fotocopia di ciò a cui ambisce.
Torino, gemelle accusano di violenza i mariti con denunce fotocopia. Ma i magistrati non credono a nessuna delle due. Federica Cravero La Repubblica il 26 ottobre 2021. A destare sospetto è stata la dinamica degli episodi descritti dalle due donne: era pressoché identica. Aveva denunciato il marito da cui si era separata per maltrattamenti e violenza sessuale e per un anno e mezzo non gli ha fatto vedere la figlia. La donna, una quarantenne di origine romena, aveva raccontato ai carabinieri delle amanti di lui e delle percosse che lei riceveva quando lui tornava scontroso da casa dell'amante. Aveva ripetuto le ingiurie e le minacce subite.
Da “Ansa” il 26 ottobre 2021. L'Università degli Studi Aldo Moro di Bari ha sospeso per cinque anni dal servizio il docente di diritto privato del dipartimento di Giurisprudenza Fabrizio Volpe, 47 anni, a processo per concussione, tentata concussione e violenza sessuale aggravata nei confronti di una studentessa. Il procedimento disciplinare nei confronti del professore è stato avviato nell'aprile 2019, dopo la richiesta di rinvio a giudizio. Nel processo penale, che inizierà il 2 dicembre dinanzi al Tribunale di Bari, l'Università costituita parte civile. I fatti contestati al docente risalgono agli anni 2011-2015. Il professor Volpe, stando alle indagini coordinate dal procuratore Roberto Rossi e dal sostituto Marco D'Agostino, avrebbe chiesto, minacciando la presunta vittima, prestazioni sessuali e anche denaro per superare gli esami. Il rettore, Stefano Bronzini, ha ritenuto la sospensione per la durata di cinque anni "la misura più idonea a salvaguardare l'interesse pubblico dell'Università per preservare la propria credibilità e autorevolezza". La sospensione, è precisato nel provvedimento, "perderà efficacia se per i fatti contestati in sede penale al professor Volpe sarà pronunciata sentenza di proscioglimento o di assoluzione anche non definitiva e, in ogni caso, decorso il termine di cinque anni, sempre che non intervenga sentenza di condanna definitiva". Al docente, per tutta la durata della sospensione dal servizio, sarà comunque corrisposta una indennità pari al 50% della retribuzione, oltre agli assegni familiari.
Stefano Montefiori per il "Corriere della Sera" il 21 ottobre 2021. «Benzema è stato insistente, voleva a tutti i costi che io incontrassi questa persona. Non mi ha parlato di soldi, ma in cambio della distruzione del video quella gente non si aspettava certo biglietti per lo stadio. Benzema non ha voluto aiutarmi, mi diceva "stai attento, l'Euro sta arrivando..."». Ma all'Euro 2016 poi non hanno partecipato né Mathieu Valbuena né Karim Benzema. Il primo, vittima del ricatto, non ha messo più piede in nazionale, e il secondo ha atteso sei anni prima di essere riconvocato nei Bleus, pochi mesi fa. Il campione del Real Madrid Karim Benzema, 33 anni, che vive un momento di grazia ed è tra i candidati al Pallone d'Oro 2021, è sotto processo da ieri a Versailles per il caso del sextape dell'ex compagno di squadra Mathieu Valbuena. Benzema cercò di aiutare Valbuena, come lui sostiene, o stava piuttosto dalla parte di chi ricattava il giocatore, minacciando di rendere pubblico il video di una relazione sessuale tra Valbuena e la sua compagna? Dall'esito del processo dipende la futura carriera di Benzema, che rischia cinque anni di carcere e 75 mila euro di multa assieme ad altri quattro co-imputati. Il caso comincia nell'estate 2014, quando Mathieu Valbuena, all'epoca in forza all'Olympique de Marseille, cambia telefonino. Non ha voglia di occuparsi personalmente del trasferimento dei dati, e chiede di farlo a Axel Angot, una specie di tuttofare che gravita nel mondo del calcio marsigliese. Durante l'operazione Angot, che ha molti debiti, trova un video a sfondo sessuale di Valbuena, e pensa di cogliere l'occasione per migliorare la sua situazione finanziaria. Contando sulla «generosità di Valbuena», dirà più tardi durante gli interrogatori, spera di ricavare «almeno 25 mila euro». Angot copia il video su un hard disk esterno e poi contatta Karim Zenati, pregiudicato, amico d'infanzia e protetto del campione Karim Benzema. Zenati spera che Benzema convinca Valbuena a pagare, ma quest' ultimo presenta subito denuncia alla polizia, che mette sotto controllo i telefoni. Il 6 ottobre 2015, nel corso del ritiro prima della partita Francia-Armenia, Benzema parla a Valbuena. Spiega al compagno di squadra che può presentargli «un uomo di fiducia» in grado di aiutarlo a gestire la situazione. «Attento Math, è gente molto pericolosa», Benzema dice a Valbuena. Poi Benzema telefona all'amico di infanzia Zenati: «Valbuena non ci prende sul serio», gli dice, mettendosi quindi dalla parte dei ricattatori. Benzema e Zenati ridono di Valbuena, Benzema dice che «lo prenderanno a pomodori». Per Zenati «se non vuole il nostro aiuto se la vedrà con i piranhas». Il processo di Versailles rende più fragile la riappacificazione tra Benzema e l'équipe de France e indebolisce la sua immagine in vista del Pallone d'Oro (29 novembre). Il campione non si è presentato in tribunale, i suoi avvocati hanno evocato ragioni professionali: martedì Benzema ha giocato in Champions League in Ucraina con il Real Madrid contro lo Shaktar Donetsk (vittoria 5 a 0) e ora prepara il Clásico di domenica prossima contro il Barcellona. La sentenza entro venerdì.
Da leggo.it il 19 ottobre 2021. Aveva atteggiamenti inappropriati con le colleghe praticanti che poi venivano assunte e promosse, per questo motivo è stato licenziato dall'editore il direttore del tabloid tedesco Bild, Julian Reichelt. A dare la notizia è la stessa azienda Axel Springer in una nota in cui spiega di aver esonerato dalle sue funzioni con effetto immediato l'ormai ex numero uno del giornale. La decisione è arrivata dopo alcune rivelazioni apparse sul New York Times in cui si parlava di comportamenti inappropriati del direttore con delle colleghe. Diverse donne lo hanno accusato di abusi sessuali, accuse che gli erano già costate un primo procedimento disciplinare nella primavera scorsa. La situazione sembrava essere rientrata ma dopo l'articolo del Times la decisione è stata presa. Reichelt era stato accusato di aver abusato del suo ruolo avviando relazioni con colleghe che poi avrebbero avuto favoritismi sul lavoro. Una di loro aveva anche raccontato di essere stata invitata in un albergo e pagata in cambio del suo silenzio. L'azienda ha giustificato l'allontanamento parlando di un atteggiamento non consono spiegando che il direttore non era in grado di separare le sue vicende personali da quelle lavorative.
Molesta la sposa nel giorno delle nozze, testimone finisce a processo. L'uomo è stato rinviato a giudizio con l’accusa di atti sessuali in seguito alla denuncia degli sposi. All'epoca dei fatti, lo scorso maggio, era diventato virale un video che ritraeva lo sposo aggredire il suo testimone. Il Dubbio il 19 ottobre 2021. È stato rinviato a giudizio con l’accusa di atti sessuali sulla sposa, un 26enne residente a Corigliano d’Otranto (Lecce), scelto dallo sposo come testimone. Il procedimento scaturisce dalla denuncia presentata dalla coppia. L’episodio al centro del processo sarebbe avvenuto il 29 maggio scorso in una sala ricevimento della provincia di Lecce. Secondo l’accusa, il 26enne avrebbe raggiunto la sposa al bar e le avrebbe palpato il seno. L’udienza preliminare si è svolta oggi davanti al gup del tribunale di Lecce, Michele Toriello, al quale il pubblico ministero Luigi Mastroianni ha chiesto il rinvio a giudizio. Il gup ha ammesso la costituzione di parte civile della sposa che ha chiesto il risarcimento dei danni quantificati in 50mila euro. Il difensore dell’imputato, Walter Gravante del foro di Lecce, ha chiesto e ottenuto l’ammissione al rito abbreviato condizionato, sia all’ascolto di due testimoni che alla produzione di alcuni video e documenti. «Il primo video è quello in cui si vede il testimone di nozze, imputato, aggredito selvaggiamente dallo sposo», spiega a LaPresse il penalista facendo riferimento al breve filmato che diventò virale sui social nell’immediatezza dei fatti. «Il testimone ha riportato la frattura di alcune vertebre con prognosi di 30 giorni, stando al primo referto medico», prosegue l’avvocato Gravante. «Il secondo video è quello in cui parla il titolare del ristorante ed esclude l’episodio contestato», va avanti. «Ci sono, poi, i messaggi tra la sposa e la moglie del testimone e la denuncia per lesioni aggravate presentata dallo stesso testimone nei confronti dello sposo», conclude. Prima udienza il prossimo 10 dicembre.
Da fanpage.it il 22 ottobre 2021. "Mentre ero girata di schiena si mise dietro le mie spalle appoggiando le sue parti intime su di me, e con le sue mani mi afferrò il seno, palpeggiandomelo". Ora deve rispondere di violenza sessuale, G.C., 26 anni, di Corigliano d’Otranto accusato di aver molestato la sposa che poco prima aveva promesso amore eterno proprio all’amico, di cui era testimone. I fatti risalgono allo scorso 29 maggio a Specchia (in Salento). La festa nuziale era degenerata in rissa fino all'arrivo dei carabinieri. Calci, pugni, grida, il tutto ripreso da uno smartphone con le immagini che fanno il giro dei social.
Violenza sessuale al matrimonio, si va a processo
Ora sarà un processo a stabilire se il 26enne è colpevole di violenza sessuale. Lo ha stabilito questa mattina, il giudice Michele Toriello che, al termine dell’udienza preliminare per discutere la richiesta di rinvio a giudizio, ha accolto l’istanza del ragazzo di essere giudicato col rito abbreviato condizionato dall’ascolto di due testi e dalla documentazione prodotta dall’avvocato difensore Walter Gravante. La prima udienza è stata fissata al 10 dicembre.
Il racconto della sposa
Grazie alle testimonianze fornite dai diretti interessati, le forze dell'ordine hanno ricostruito quanto accaduto quel giorno in un ristorante del comune salentino. Il 26enne avrebbe cinto il dorso della sposa con le braccia, e poi allungato le mani più volte sul suo seno. A raccontarlo è stata la stessa sposa: "Durante il pranzo nuziale, sono andata vicino al bancone per chiamare mio marito. Una volta arrivata al bancone il testimone, che già da tanto tempo stava lì a bere, mentre ero girata di schiena si mise dietro le mie spalle appoggiando le sue parti intime su di me, e con le sue mani mi afferrò il seno, palpeggiandomelo, a tal punto che non riuscivo a liberarmi nonostante io gli dicessi di togliersi. Mi lasciò solo nel momento in cui arrivò mio marito, facendo finta che non fosse successo nulla. Dopo tutto ciò, io e mio marito siamo tornati al nostro tavolo per aspettare la torta, mentre lui è rimasto lì a continuare a bere".
Claudio Tadicini per corriere.it l'11 dicembre 2021. Condannato per violenza sessuale ad un anno e otto mesi di reclusione: è la pena inflitta al testimone di nozze che, nel maggio 2021, palpeggiò la sposa durante il pranzo nuziale, facendo scoppiare il parapiglia in un ristorante del comune del Capo di Leuca, dov’era in corso il ricevimento. L’imputato, un ventiseienne di Corigliano d’Otranto, G.C. le sue iniziali, è stato condannato al termine del processo dal giudice leccese Michele Toriello, che nei giorni scorsi aveva accolto l’istanza di rito abbreviato, condizionato dall’ascolto di due testimoni e dall’acquisizione della documentazione prodotta dall’avvocato Walter Gravante, difensore del testimone. Il giovane, inoltre, dovrà risarcire marito e moglie in sede civile. In un’intervista la donna disse: «Altro che scuse, ho avuto solo minacce».
La ricostruzione
I fatti si verificarono a Specchia, in provincia di Lecce, dove una coppia di novelli sposi denunciò il testimone di lui, accusato di avere palpeggiato più volte il seno della sposa ed essersi strusciato addosso alla donna, scatenando poi una scazzottata che - iniziata dentro al ristorante – proseguì in strada, diventando presto virale dopo essere stata immortalata con un cellulare. Alla rissa tra testimone e sposo, iniziata quando tutti i commensali avevano terminato il pranzo nuziale e si trovavano al bar del locale per consumare un drink, presto si aggiunsero anche altre persone e terminò solo all’arrivo dei carabinieri, che riuscirono a riportare la calma non senza difficoltà. Lo stesso testimone di nozze, a sua volta, nei mesi scorsi ha denunciato per lesioni gravi lo sposo, il fratello e il padre dell’uomo, per averlo aggredito – a suo dire – perché si rifiutava di bere, procurandogli ferite guaribili in 30 giorni alla colonna vertebrale. Ad essere aggredito sarebbe stato anche il fratello dell’imputato, pure lui costretto a ricorrere alle cure del pronto soccorso, dopo avere ricevuto una bottigliata in testa. Su questo fronte, però, le indagini sono ancora in corso.
(ANSA il 15 ottobre 2021) - Un'altra donna fa causa per abusi sessuali all'83/enne attore afro-americano Bill Cosby, il 'Papa' d'America', dopo che in giugno la corte suprema della Pennsylvania ha ribaltato una condanna di due anni prima per irregolarità procedurali. A denunciarlo ora è la 57/enne artista di Los Angeles Lili Bernard, che lo accusa di averla drogata e stuprata in una stanza d'albergo di Atlantic City quando aveva 26 anni, dopo averle promesso di farle da mentore nel suo popolare show tv. La donna ha spiegato di essersi fatta avanti in parte per la recente scarcerazione di Cosby, prima che scadesse la finestra di due anni prevista dallo stato del New Jersey per denunciare vecchi abusi.
Dagospia il 9 ottobre 2021. IL SEXGATE DI CRISTIANO RONALDO: IL GIUDICE USA CHIEDE DI RESPINGERE L’ACCUSA DI VIOLENZA SESSUALE NEI CONFRONTI DI CR7 PER IRREGOLARITÀ – L’EX MODELLA KATHRYN MAYORGA AVEVA CHIESTO AL CALCIATORE UN RISARCIMENTO FINO A 200 MILIONI DI DOLLARI. LA DONNA HA RACCONTATO DI ESSERE STATA SODOMIZZATA CON LA FORZA DA CR7 (“RONALDO ENTRO' IN BAGNO CON IL SUO PENE CHE PENDEVA DAI PANTALONCINI. MI IMPLORO' DI SUCCHIARGLIELO”, POI... ) – CR7 HA SEMPRE NEGATO LO STUPRO
Da blitzquotidiano.it il 9 ottobre 2021. La denuncia nei confronti di Cristiano Ronaldo presentata dall’ex modella Kathryn Mayorga, che lo accusa di una violenza sessuale nel 2009, in un hotel di Las Vegas, deve essere respinta per irregolarità: è quanto ha chiesto il giudice incaricato nell’ambito della causa civile davanti alla corte federale del Nevada, causa in cui la donna, che oggi ha 37 anni, chiede al calciatore un risarcimento fino a 200 milioni di dollari. Per il magistrato Daniel Albregts l’accusa è in parte basata su documenti piratati di ‘Football leaks’ che non avrebbero dovuto essere in possesso della donna. Così il giudice accusa l’avvocato di Mayorga, Leslie Stovall, di aver agito in “malafede”. “L’archiviazione del caso di Mayorga a causa del comportamento scorretto del suo avvocato è grave. Ma purtroppo è l’unica sanzione appropriata per garantire l’integrità del processo giudiziario”, scrive Albregts. Infatti anche se Mayorga cambiasse legale, “la corte non sarebbe in grado di dire quanto del caso si basi solo sui suoi ricordi o se siano stati influenzati dai documenti di Football Leaks”. Ronaldo ha sempre negato le accuse di stupro, sostenendo di aver avuto una relazione “completamente consenziente”. La giustizia americana aveva annunciato nel luglio 2019 che queste accuse non potevano “essere provate oltre ogni ragionevole dubbio”, rinunciando quindi a perseguirlo. Nel giugno 2009 Mayorga aveva chiamato la polizia di Las Vegas per denunciare uno stupro, ma si era rifiutata di rivelare l’identità del presunto aggressore. Il caso era quindi stato chiuso. Nel 2010 era stata organizzata una transazione privata con i rappresentanti di Ronaldo: 375 mila dollari in cambio di assoluta riservatezza sui presunti fatti e sull’accordo, e la rinuncia ad ogni causa. Ma per gli attuali avvocati di Mayorga questo contratto è nullo a causa del disturbo psicologico che affliggeva la donna in quel momento e delle pressioni (di cui non c’è prova secondo il giudice Albregts) esercitate contro di lei. Di qui la richiesta fino a 200 milioni di dollari. Nell’agosto 2018 Mayorga aveva ripreso i contatti con la polizia di Las Vegas e chiesto la riapertura del suo caso, accusando pubblicamente Ronaldo per la prima volta.
Non è l'arena, Annamaria Bernardini De Pace: "Molestia sessuale a 12 anni". Una confessione sconvolgente. Libero Quotidiano il 07 ottobre 2021. A Non è l'arena di parla ancora di abusi sessuali e stupri. Dal caso che vede sotto inchiesta Ciro Grillo, figlio di Beppe Grillo, fino alla violenza di gruppo di 4 ragazzi napoletani su due turiste a Tempio Pausania, Massimo Giletti arriva al dramma privato di Annamaria Bernardini De Pace. Avvocato di grido, saggista, opinionista in tv, la De Pace racconta la propria esperienza: "Io ho subito una molestia pesante quando avevo 12 anni. Operata, ferita, con i punti, l'anestesista è venuto di me e ha cercato... ha fatto delle molestie, gravissime. Io mi sono messa a urlare, sono arrivate le suore, è stato denunciato, ha subito un processo ed è stato anche condannato. Questo è successo sessant'anni fa". "Cosa scatta nella mente di una ragazza che subisce uno stupro?", chiede Giletti. "L'orrore, una ragazza nell'età in cui sta sognando la coppia, l'amore, le carezze subire questa cosa significa sporcare fortemente il cuore. Non più tardi di 2 settimane fa, ho conosciuto una ragazza sedicenne. Sua mamma voleva fare denuncia di stupro ma approfondendo il racconto di questa ragazza si è capito che voleva fortemente il rapporto, però il ragazzo incapace, probabilmente incapace dei preliminari, le ha fatto male. Lei voleva smettere per il dolore e ha raccontato poi tutto alla madre. Per lei lo stupro era dovuto al dolore non alla mancanza di consenso, quindi la denuncia non c'è stata".
Dayane Mello stuprata al reality? "Ecco chi le ha impedito di lasciare il programma": una bomba in famiglia. Francesco Fredella su Libero Quotidiano il 27 ottobre 2021. Vi ricordate quello che è successo a Dayane Mello lo scorso anno? La morte improvvisa di suo fratello, avvenuta in Brasile a causa di un incidente stradale, ha lasciato tutti senza fiato. Ora, però, emerge un nuovo dettaglio legato alla scelta della modella, che decise di rimanere nella casa più spiata d'Italia generando un certo stupore. Durante il programma Bianco e Nero, andato in onda ieri sera 26 ottobre su Live Now, l’autore Gabriele Parpiglia è tornato sulla vicenda con nuovi retroscena. A convincere Dayane a non abbandonare la casa sarebbe stato l'altro suo fratello, che si chiama Juliano. Parpiglia, poi, ha detto che la modella in realtà, dopo aver ricevuto la notizia della morte di Lucas, avrebbe voluto abbandonare la casa. Ora, però, Dayane Mello è finita nel vortice del programma A Fazenda, dove è scoppiata la polemica per un presunto stupro che la giovane avrebbe subito proprio all'interno della casa. Non sono mancate critiche da parte della rete, che si è schierata subito a sua difesa. Dayane si trovava in uno stato di confusione e soltanto dopo un po' di giorni ha capito la gravità della situazione vissuta. Sempre secondo le ultime indiscrezioni, anche in questo caso, sarebbe stato suo fratello Juliano ad impedirle di lasciare la casa della Fazenda. Parpiglia ha raccontato che la Mello avrebbe minacciato e bloccato tutti i giornalisti italiani che si erano mossi per difenderla. Una situazione abbastanza strana, che ormai potrebbe essere sfuggita di mano.
Da "iene.mediaset.it" il 6 ottobre 2021. Il cantante Nego do Borel, superstar in Brasile, è indagato per il presunto stupro di Dayane Mello mentre era ubriaca durante il reality la Fazenda trasmesso dalla seconda rete più importante del Paese. La modella, molto famosa anche in Italia, non ricorda, non ha visto le immagini mentre lo show continua e lei non può abbandonarlo se non pagando una costosa penale. Con Roberta Rei siamo andati in Brasile per capire se possiamo aiutarla e ci siamo messi sulle tracce di Nego
Dayane Mello molestata in diretta tv? Andiamo in Brasile per aiutarla. Le Iene News il 07 ottobre 2021. Dayane Mello sarebbe stata vittima di uno stupro durante il reality show la Fazenda da parte di Nego do Borel. La modella, molto famosa anche in Italia, non ricorda nulla e non è uscita dallo show: con Roberta Rei siamo andati in Brasile per aiutarla e cercare il cantante, ora espulso dal reality e indagato dalla polizia. Dayane non ricorda, non ha visto le immagini, è ancora dentro il reality. Noi abbiano provato ad aiutarla volando in Brasile con Roberta Rei. La terribile storia di cui sarebbe stata vittima è quella dello stupro che avrebbe subito in diretta durante il reality show la Fazenda tramesso da Record Tv, la seconda tv brasiliana da parte del cantante Nego do Borel, una superstar nel suo Paese, ora espulso dal reality e indagato dalla polizia. Dayane Mello, modella molto famosa in Italia è invece ancora dentro al reality e, secondo quanto ci racconta il suo avvocato, non può uscirne se non pagando una costosa penale. Non ricorda niente delle molestie, o peggio, che avrebbe subito mentre era incosciente dopo aver bevuto troppo. Non ha potuto vedere nemmeno alcune delle immagini di quanto avvenuto che sono state trasmesse in diretta tv. Per questo siamo andati in Brasile con Roberta Rei, per cercare di aiutarla. E ci siamo messi anche sulle tracce di Nego do Borel, rintracciandolo e seguendolo grazie alle sue storie su Instagram.
Elodie per Dayane Mello: “Non dobbiamo mai sentirci in colpa”. Le Iene News il 07 ottobre 2021. Elodie parla per Dayane Mello, che avrebbe subito uno stupro durante un reality show, e per tutte le donne: “Io sono libera di cambiare idea fino all’ultimo e dire: non mi va più”. “Molti uomini vogliono dominarci, controllarci o difenderci come se fossimo una loro proprietà. Io non voglio essere difesa voglio essere compresa, non voglio essere giudicata voglio essere ascoltata”. “Non dobbiamo mai sentirci in colpa. Non dobbiamo proteggere gli uomini perché gli uomini non sono i nostri figli e quando sbagliano è giusto che paghino”. Elodie, prima delle 10 nuove conduttrici de Le Iene, lo dice in diretta dopo il servizio su Dayane Mello, “alle mie amiche perché non devo e non posso spiegare niente a nessuno”. La storia, terribile, è quella della modella Dayane Mello che sarebbe stata vittima di uno stupro durante un reality show, come vi abbiamo raccontato con Roberta Rei. “Se quell’uomo ha davvero fatto sesso con una donna che non poteva intendere e volere perché era sotto effetto di alcol, deve pagare”, prosegue. “E Dayane deve essere trattare come una vittima perché lo è. Mi fa incazzare vedere una ragazza che non può dire no”. “Io sono libera di cambiare idea fino all’ultimo e dire: non mi va più”. “Molti uomini vogliono dominarci, controllarci o difenderci come se fossimo una loro proprietà”, continua. “Io non voglio essere difesa voglio essere compresa, non voglio essere giudicata voglio essere ascoltata”.
Dayane Mello e gli abusi sessuali, Nego do Borel scomparso: "Ritrovato, in condizioni disperate". Libero Quotidiano l'08 ottobre 2021. "In condizioni disastrose". Il caso Dayane Mello, la modella brasiliana famosissima in Italia per aver partecipato al Grande Fratello Vip, si arricchisce di un nuovo drammatico tassello. Dayane sarebbe stata vittima di un vero e proprio abuso sessuale sul set de La Fazenda, reality brasiliano corrispettivo della nostra La Fattoria. Protagonista della molestia, definibile un vero e proprio stupro, il cantante Nego do Borel, squalificato tra mille imbarazzi per aver approfittato sessualmente della Mello una sera in cui la modella era visibilmente incapace di intendere e di volere a causa del troppo alcool ingerito. Fuori dallo show, Nego ha respinto ogni accusa arrivando a minacciare di togliersi la vita per la vergogna. Qualche giorno fa ha fatto perdere le proprie tracce e solo nelle ultime ore è stato ritrovato vivo in una camera di un motel, sotto l'effetto di sonniferi. A denunciarle la scomparsa era stata la madre Roseli Viana, che alla polizia aveva detto come il figlio si trovasse in un profondo stato depressivo. Nego do Borel è stato ritrovato a Nord di Rio de Janeiro: per evitare l'assedio della stampa brasiliana, si era come detto imbottito di sonniferi in un disperato tentativo di dimenticare lo scandalo, almeno per qualche giorno. L'attenzione di tutti però è soprattutto per la Mello, ancora in gara a La Fazenda a causa, pare di una penale molto consistente in caso di abbandono volontario. "Quello che le è successo è folle - ha accusato intervistato da Le Iene l'avvocato della modella -. Se noi possiamo tirarla fuori da lì? Non è possibile: nel contratto c’è una penale che dovrebbe pagare se esce dal programma. Ed è molto costosa. È come se fosse in prigione. Dayane non ha visto nessun video, non ha una percezione reale di quanto accaduto, noi però abbiamo il dovere di raccontarle cosa abbiamo visto, perché lei non ricorda. Una donna prova paura a parlare di quanto ha passato, possono volerci anni prima che comprenda ed elaborare quello che è accaduto".
Francesca Pierantozzi per "Il Messaggero" il 7 ottobre 2021. Non solo gli uomini: anche le donne possono odiare e far male - alle donne. Lo ha fatto sapere a tutti via Twitter Lisa De Vanna, 37 anni, l'ex centravanti della Fiorentina femminile e soprattutto delle Matildas, le nazionali australiane. È stato un tweet della collega star americana Megan Rapinoe sulle denunce di abusi sessuali nel mondo del calcio femminile Usa a farle tirare fuori quello che aveva dentro da almeno vent'anni, da quando, nemmeno diciassettenne, appena arrivata in nazionale, uscì dallo spogliatoio strisciando per terra e urlando. Alcune compagne di squadra avevano abusato di lei. «Pensavano fosse divertente», racconta oggi «dicevano che in fondo lo volevo anche io. Io avevo 17 anni, ero una ragazzina di Perth, non sapevo niente, non capivo niente, me la feci sotto. È successo altre volte». A Rapinoe, che il 30 settembre aveva puntato il dito contro «gli uomini che difendono uomini che abusano delle donne» De Vanna aveva risposto che ci sono anche «donne che proteggono le donne che maltrattano le donne», sollevando il coperchio su anni di abusi e violenze subite mentre era con le Matildas. E non era la sola. In un'intervista al Sydney Daily Telegraph, la calciatrice - 150 partite e 47 gol in 15 anni con la maglia della nazionale, esclusa dalla lista delle convocate alle Olimpiadi di Tokyo - ha raccontato le tante volte che ha dovuto far fronte ad aggressioni, violenze fisiche o psicologiche da parte delle compagne di squadra: «Pensavano che il problema fossi io e per questo ero isolata, messa a dormire in una stanza a parte». Ha raccontato del primo episodio, avvenuto nelle docce: «Mi afferrarono alle spalle, mi tirarono giù, erano più d'una...». «Sono stata molestata sessualmente? Sì. Sono stata vittima d'intimidazione? Sì? Messa al bando? Sì. Ho visto cose che mi hanno fatto stare male? Sì»: De Vanna punta il dito contro l'omertà e le istituzioni che preferiscono voltare lo sguardo altrove. In un'intervista rilasciata a News Ltd, la giocatrice, che ormai si è ritirata dal calcio, racconta di aver visto «problemi di comportamento a tutti i livelli durante gli anni, da parte di uomini e donne. Le ragazze che arrivano oggi devono essere coraggiose, così come devono esserlo le ragazze che hanno subito le violenze e che devono sapere di non essere sole». Dopo De Vanna, altre due ex calciatrici delle Matildas, Rhali Dobson e Elissia Carnavas hanno dichiarato di aver subito aggressioni nella squadra quando era più giovani. Dobson ha evocato «manipolazioni psicologiche a fini sessuali» da parte di compagne di squadra più grandi. La Federcalcio australiana ha detto di aver incontrato in questi giorni De Vanna per «discutere delle sue denunce», ha ricordato la «tolleranza zero per chiunque non rispetti le regole e i valori dello sport». «Se Lisa sceglierà di presentare una regolare denuncia attraverso i canali ufficiali allora potremo avviare un'inchiesta anche noi e agire di conseguenza», si legge in un comunicato. «In qualsiasi organizzazione sportiva, in qualsiasi ambiente, il bullismo, le violenze, i comportamenti non professionali mi fanno diventare pazza. Ero troppo giovane, e anche in quanto giocatrice non avevo strumenti per affrontare il problema, ma sono cose che continuano a succedere, a tutti i livelli: è arrivato il momento di parlarne», ha detto ancora De Vanna, che invece parla della sua stagione alla Fiorentina (nel 2019, interrotta poi dal Covid) come «una delle sue più belle esperienze sportive». Dopo l'America, dove le numerose denunce di aggressioni hanno portato alle dimissioni di diversi allenatori e anche di Lisa Baird, commissaria della Lega calcio Femminile, la NWSL, una rivolta è scoppiata anche in Venezuela, dove Denya Castellanos, attaccante dell'Atletico Madrid, ha preso la guida di un #metoo del calcio femminile.
Dagotraduzione da Dnyuz l'8 settembre 2021. Alla vigilia del mese della moda, sei donne, tutte ex modelle, sono arrivate a Parigi da tutto il mondo, non per sfilare sulle passerelle, ma per essere intervistate dall'unità di protezione dell'infanzia della polizia parigina. Le loro testimonianze, che saranno ascoltate il 7 settembre, includono accuse di stupro e cattiva condotta sessuale contro Gérald Marie, che per tre decenni è stato uno degli uomini più potenti dell'industria della moda. Ex direttore europeo dell'Elite Model Management, un matrimonio finito con Linda Evangelista e una casa a Ibiza, il signor Marie ha a lungo negato le accuse che sono montate contro di lui nel corso degli anni da almeno 24 donne. Ora, tuttavia, un anno dopo che i pubblici ministeri in Francia hanno aperto un'indagine sui presunti incidenti, che si dice siano avvenuti negli anni '80 e '90, è emerso un coro di voci nuove e di alto profilo per sostenere gli accusatori del signor Marie - e chiedere una regolamentazione del lavoro più solida per proteggere modelli giovani e spesso vulnerabili che vivono lontano da casa e da qualsiasi supervisione. «Basta, sto con Carré e gli altri sopravvissuti di Gérald Marie mentre vengono a Parigi per testimoniare contro il loro aggressore», ha detto Carla Bruni, una delle modelle più famose degli anni '90 ed ex first lady di Francia. Si riferiva a Carré Sutton, un'ex top model americana che guida il gruppo di donne che testimonieranno a Parigi. «Nessuna industria è immune dagli abusi sessuali», ha continuato la signora Bruni. «C'è così tanto lavoro da fare in Francia e nel mondo per garantire che le donne siano protette dalla violenza sessuale sul lavoro». Helena Christensen ha detto di essere stata con queste «donne coraggiose fino in fondo». Paulina Porizkova ha aggiunto che nei primi giorni della sua carriera, alle giovani modelle è stato insegnato a considerare «le molestie sessuali come un complimento». «Come modelle, non siamo stati pagate per il nostro talento», ha detto Porizkova. «Noi affittavamo il nostro corpo e il nostro viso. Il tuo corpo non era tuo». Ha applaudito le donne che avevano viaggiato a Parigi e che avrebbero, ha detto, «rivissuto alcuni ricordi dolorosi per difendere un'industria migliore e le donne che non sono state in grado di farsi avanti». La signora Bruni, la signora Christensen e la signora Porizkova hanno deciso di parlare su sollecitazione della Model Alliance, un gruppo senza scopo di lucro che difende i lavoratori della moda. L'organizzazione ha offerto risorse agli accusatori del signor Marie, inclusi incontri settimanali di Zoom in cui le donne hanno avuto accesso a consulenza legale. Il gruppo ha inoltre esercitato pressioni sull'industria affinché segua il suo programma RESPECT, una serie di standard completi e legalmente vincolanti sviluppati con il contributo di oltre 100 modelli per disciplinare il comportamento, i diritti, il pagamento e il ricorso, nonché un elenco dettagliato di conseguenze e processi nei casi di violazioni. Finora, tuttavia, le richieste ai conglomerati dell'industria della moda e ai boss di iscriversi – incluso l'attuale amministratore delegato dell'Elite World Group Julia Haart – sono andate a vuoto. «Miriamo a chiedere giustizia per i sopravvissuti, ma vogliamo anche un'industria della moda più sicura ed equa con una reale responsabilità», ha affermato Sara Ziff, fondatrice e direttrice esecutiva di Model Alliance. La signora Ziff ha anche lavorato a stretto contatto con la signora Sutton quando ha intentato una causa a New York il mese scorso ai sensi del Child Victims Act dello stato, che consente agli accusatori di abusi sessuali di intentare azioni legali contro i loro presunti aggressori, indipendentemente da quando si sono verificati gli incidenti segnalati. «Nonostante i movimenti #MeToo e #TimesUp, l'industria della moda è in gran parte sfuggita a qualsiasi serio controllo che costringa le persone in posizioni di potere a cambiare il modo in cui fanno affari», ha detto la signora Ziff. «Potrebbero esserci state cause legali e accordi e, a volte, regolamentazioni volontarie, ma non abbiamo ancora visto cambiamenti strutturali significativi che possano far rispettare legalmente gli standard e ritenere responsabili i cattivi attori o le istituzioni». Alle sue parole ha fatto eco la modella Karen Elson, che ha lanciato appelli per riformare il sistema delle agenzie abbandonandolo pubblicamente e rappresentandosi da sola dal 2017, e che ha esortato le aziende ad aderire al programma RESPECT. Così come l'attrice e modella Milla Jovovich, la cui figlia, Ever Anderson, 13 anni, sta intraprendendo una carriera simile a quella di sua madre. «Non ho mai subito gli abusi di cui molti altri hanno parlato», ha detto la signora Jovovich. «Come modella e madre con una figlia in arrivo in questo settore, ho visto come le istituzioni e i facilitatori proteggano gli autori di abusi e li isolino dalle conseguenze delle loro azioni. Quell'abuso è durato abbastanza a lungo». In Francia, ci sono state critiche alle autorità di polizia locali per la gestione delle indagini sulle aggressioni sessuali che coinvolgono minori dopo che diversi casi di alto profilo non sono stati perseguiti. La signora Sutton, un tempo volto di Calvin Klein e Guess, che ha sfilato con il nome di Carré Otis, ha detto che spera che la sua causa a New York e le testimonianze di alcuni degli accusatori del signor Marie a Parigi questa settimana incoraggino altre vittime a venire avanti e aprire la porta a ulteriori indagini penali. «Carré è stata violentata e trafficata da adolescente 30 anni fa, e so che abusi simili si verificano ancora oggi nel settore perché riceviamo notizie dai modelli attuali tramite la nostra linea di assistenza», ha detto la signora Ziff. «Si tratta dell'industria della moda, ma potrebbe anche avere implicazioni più ampie sul modo in cui pensiamo al lavoro delle donne. Se non possiamo ottenere protezioni contro il traffico sessuale di minori per alcune delle donne più privilegiate e visibili al mondo, allora più in generale che cosa potremmo fare?»
Dagotraduzione da PageSix il 4 settembre 2021. Il leggendario fotografo di moda Bruce Weber ha trovato un accordo per mettere fine alla causa intentatagli da un gruppo di modelli che lo accusano di averli aggrediti sessualmente. Il fotografo, 75 anni, avrebbe cercato un approccio sessuale con gli uomini durante le sessioni fotografiche mentre fingeva di aiutarli con quelli che chiamava «esercizi di respirazione» e che loro hanno presto soprannominato «Brucified». Weber, che ha lavorato con testate come Vogue, ha negato le accuse. «Ho passato la mia carriera a catturare lo spirito umano attraverso le fotografie e sono fiducioso che, a tempo debito, la verità prevarrà». L’accordo non prevede nessuna ammissione di colpa di Weber, ma pone fine a una causa intentata congiuntamente dai modelli Josh Ardolf, Anthony Baldwin, Jacob Madden e Jnana Van Oijen. L’importo della transazione extragiudiziale non è stato reso noto. Il mese scorso Weber ha risolto un’altra causa simile da parte del modello Jason Boyce. Dopo le accuse, la direttrice di Vogue ha dichiarato di voler sospendere il suo rapporto con il fotografo. Ma il caso contro Weber non è stato esente da problemi. Nel giugno 2020 l’avvocato Lisa Bloom è stata condannata a pagare a Weber 28.000 dollari in spese legali perché il suo cliente, Boyce, si è rifiutato di rispondere ad alcune domande durante la sua deposizione. Un altro giudice ha respinto la causa di Kruegere contro Weber perché l’uomo aveva ricordi confusi. Mentre una fonte vicina a Weber ci ha detto: «Bruce ha scelto di lasciarsi questa faccenda alle spalle e andare avanti con la sua vita».
"Nirvana famosi per i genitali del bimbo". Francesca Galici il 27 Agosto 2021 su Il Giornale. Il giudice non ha deciso se ammettere la causa di Spencer Elden contro i Nirvana per la copertina di Nevermind, ma il legale crede nella possibile vittoria. Non si placano le polemiche sulla copertina dell'album Nevermind dei Nirvana, dopo che il protagonista ha deciso di fare causa alla band a distanza di 30 anni per "sfruttamento della pornografia infantile". Spencer Elden all'epoca era un neonato e nell'immagine entrata di diritto nell'iconografia musicale, nuota in una piscina tutto nudo. I suoi genitali non sono stati in alcun modo oscurati ma, anzi, come sostiene Maggie Mabie, avvocato dello studio Marsh Law Firm di New York, "la copertina di Nevermind era parte di una strategia studiata per vendere dischi, una tattica di marketing". Il legale difensore sostiene che i Nirvana "erano del tutto consapevoli quando l’hanno pianificata" e quindi, anche per questo motivo, "quella foto ha portato alla vendita di così tante copie dell’album". Spencer Elden ora ha 30 anni e per quella foto i suoi genitori hanno ricevuto 200 dollari, senza nemmeno un contratto che li impegnasse come ricopensa per l'utilizzo dell'immagine come cover di un album che ha venduto oltre 30 milioni di copie e che tutt'oggi è uno dei più amati. "Penso che il punto focale dell'immagine siano i genitali del bambino. E penso anche che prima che questo album fosse pubblicato, i Nirvana erano una band grunge del tutto sconosciuta", ha dichiarato Maggie Mabie. Per tutti questi motivi, il legale dello studio Marsh Law Firm di New York, uno dei più apprezzati per i casi di pedopornografia e reati sessuali sui minori, è convinta che l'istanza presentata da Spencer Elden non solo venga accolta dal giudice per la discussione ma che ci siano anche buoni margini per una vittoria. Mabie sostiene che "si trattò di sfruttamento sessuale di un bambino di 4 mesi che ha poi speso la sua vita cercando di fare i conti con quanto avvenuto nel suo passato". A essere chiamati in causa, oltre ai componenti dei Nirvana in vita e a Courtney Love, come esecutrice dell’eredità di Kurt Cobain, sono anche il fotografo Kirk Weddle, l'art director Robert Fisher e la casa discografica Geffen. La copertina si trova esposta al Museum of Modern Art e nacque da un'idea di Kurt Cobain. Come ha spiegato Robert Fisher tempo fa, "Kurt aveva pensato alla foto di un neonato appena partorito in acqua. Prima di Internet dovevi andare in libreria e cercare nei libri sui parti ma nessuna delle foto che avevamo visionato poteva adattarsi alla copertina. Allora pensammo di fotografare un bambino sott'acqua". Era il 1991, la banconota col dollaro è stata aggiunta in post produzione, "il lavoro di ideazione della foto fu del tutto organico, un elemento dopo l'altro, senza troppe discussioni o riflessioni approfondite". La corte deciderà prossimamente come affrontare il caso ma non manca chi sottolinea una certa incoerenza nel comportamento di Spencer Elden, che in più riprese non si è tirato indietro per le celebrazioni di quell'album e sfoggia anche un tatuaggio con la scritta Nevermind sul petto. L'avvocato, però, a queste accuse ribatte: "Ha sempre espresso sentimenti contrastanti rispetto a questo episodio in cui venne trascinato inconsapevole a soli 4 mesi. E il motivo per il quale ha presentato una denuncia soltanto ora è perché quando sei stato vittima di questo tipo di abusi della tua immagine ci vuole molto tempo affinché tu comprenda davvero come sei stato danneggiato". Sulle strategie legali, Maggie Mabie mantiene il massimo riserbo ma ci tiene a sottolineare che "quando il focus di una foto sono i genitali di un bambino è da considerarsi pornografia infantile. E in California, per esempio, anche i genitali o le aree pubiche parzialmente rivestite possono essere considerati pornografia infantile. Hanno posizionato la fotocamera in modo tale che i suoi genitali ne risultassero ingranditi e hanno reso il punto focale dell’immagine proprio i suoi genitali".
Francesca Galici. Giornalista per lavoro e per passione. Sono una sarda trapiantata in Lombardia. Amo il silenzio.
Dal “Corriere della Sera” il 20 agosto 2021. La star della musica r&b R. Kelly è un predatore che ha attirato ragazze e ragazzi con la sua fama e li ha dominati fisicamente, sessualmente e psicologicamente: questa l'accusa formulata da un pubblico ministero del tribunale di Brooklyn, a New York, contro l'artista. È iniziato ieri il processo che prevede le testimonianze di diverse presunte vittime contro il cantante, 54 anni, la cui carriera è stata interrotta a causa di queste accuse. Jerhonda Pace, la prima testimone, ha detto che aveva 16 anni ed era vergine quando aveva ricevuto l'invito dell'artista, di cui era fan, nella sua villa: «Mi ha chiesto di togliermi i vestiti e dire a tutti che avevo 19 anni». L'assistente procuratore Maria Cruz Melendez, mentre illustrava le prove, ha detto: «Questo caso riguarda un predatore». Secondo l'accusa, il cantante era solito invitare alcuni suoi fan a volte a casa o in studio, dove poi «li dominava e controllava». Ma l'avvocato della star, Nicole Blank Becker, ha parlato di «un pasticcio di bugie», invitando i giurati a «non dare per scontato che tutti dicano la verità».
Dagotraduzione dal Daily Mail il 31 agosto 2021. Secondo l’ultimo testimone che è stato ascoltato al processo contro R. Kelly, il cantante, che nel suo garage aveva fatto installare un ring, vi teneva sotto una donna a disposizione per i suoi desideri sessuali. In tribunale l’uomo, che ha usato lo pseudonimo di Louis testimoniare, ha raccontato di essere stato lui stesso vittima del musicista. Aveva conosciuto R. Kelly una sera del 2006 in cui era di turno al McDonald’s di Chicago. Kelly gli aveva passato il suo numero di telefono, e poi lo aveva invitato a una festa a casa sua. Quando si era presentato con i genitori – all’epoca aveva 17 anni – lo aveva preso da parte per dirgli che «forse sarebbe meglio se venissi alle feste da solo». Così un giorno Louis ha lo ha incontrato a casa sua. Kelly lo ha portato in garage, dove c’erano una palestra e un ring da boxe. «Mi ha chiesto cosa fossi disposto a fare per la musica» ha raccontato al giudice, e poi gli ha praticato sesso orale. Un’altra volta, insieme a una terza persona, Kelly «ha schioccato le dita» e da sotto il ring «è uscita una donna». «Si è avvicinata» e ha fatto sesso orale ad entrambi. Una mattina, dopo una notte di alcol, si è svegliato da solo con l’imputato senza ricordare cosa fosse successo. Louis ha raccontato poi che il cantante gli aveva chiesto di «mantenere tra me e lui» quello che era successo perché ormai «noi siamo una famiglia, siamo fratelli». Kelly voleva che lo chiamasse «papà», come hanno raccontato anche le altre testimoni. Louis non è tra le presunte vittime identificate nell’atto di accusa, ma è il primo testimone maschio a parlare con la giuria. La sua testimonianza è arrivata durante la terza settimana del processo. Finora i pubblici ministeri hanno presentato testimonianze scottanti che descrivono oltre due decenni di abusi fisici, sessuali ed emotivi da parte di R. Kelly. Il cantante ha negato tutte le accusa. Rischia dai 10 anni all’ergastolo se condannato per tutti i capi d’accusa: racket, sfruttamento di minori, rapimento, corruzione e lavoro forzato.
Da adnkronos.com il 28 settembre 2021. È stato condannato per abusi e sfruttamento sessuale il cantante R. Kelly. La giuria di sette uomini e cinque donne ha stabilito che la star di R&B, famosa soprattutto per la canzone "I believe I can fly" del 1996, è colpevole al termine di un processo in cui è stato descritto come un predatore di giovani donne e ragazze afroamericane. Ora rischia l'ergastolo. Il 54enne cantante è stato infatti accusato di aver guidato per oltre due decenni un'organizzazione criminale a Chicago che reclutava le donne sottoponendole ad abusi sessuali e psicologici. Diverse vittime hanno testimoniato durante il processo di essere state sottoposte a questi abusi anche quando erano minorenni. Il cantante R&B è stato dichiarato colpevole di una lunga lista di reati, tra i quali abusi sessuali, abusi sessuali di minori, sfruttamento sessuale e racket. Comunque bisognerà aspettare il prossimo 4 maggio per la decisione del giudice sulla sentenza. Robert Sylvester Kelly, 13 anni fa era stato assolto da un tribunale dell'Illinois dalle accuse di pedopornografia. Le nuove accuse contro di lui sono emerse in un documentario del 2019, Surviving R Kelly, in cui si denunciava come un entourage di sostenitori per anni aveva protetto il cantante mettendo a tacere le vittime. Mesi dopo l'uscita del film, nel luglio del 2016, il cantante veniva arrestato accusato dalla magistratura federale di racket e di violazione del Mann Act, che proibisce lo sfruttamento sessuale.
Bob Dylan citato in giudizio per una presunta violenza del 1965 su una minorenne. La leggenda della musica Usa è accusato da una donna che a quasi sessant'anni di distanza denuncia di aver subito gravi danni psicologici. Il portavoce del cantautore nega tutto. La Repubblica il 17 agosto 2021. Bob Dylan è stato citato in giudizio in un tribunale di New York da una donna che afferma che la leggenda del rock e del folk statunitense abusò sessualmente di lei quasi 60 anni fa, nel 1965, quando lei aveva 12 anni. Nella causa J.C. sostiene che la violenza avvenne per un periodo di sei settimane tra aprile e maggio 1965. Il presunto abuso avrebbe avuto luogo nell'appartamento di proprietà di Dylan nel famoso Chelsea Hotel di New York. In una dichiarazione a USA Today, il portavoce di Dylan afferma che "l'affermazione della ricorrente è falsa". L'accusatrice, che ora vive a Greenwich, nel Connecticut, afferma che Dylan le ha causato "gravi danni psicologici e traumi emotivi". La causa è stata intentata un giorno prima della chiusura della finestra per la presentazione di reclami ai sensi del Child Victims Act dello Stato di New York. L'atto consente alle vittime di abusi di citare in giudizio i loro presunti aggressori indipendentemente dai tempi di prescrizione.
Da "corriere.it" il 17 agosto 2021. Citato in giudizio. A oltre mezzo secolo dai fatti, Bob Dylan, il leggendario cantautore e premio Nobel per la letteratura Bob Dylan è stato citato in tribunale in una causa nella quale viene accusato di aver imbottito di droga e alcol una dodicenne e di averne abusato diverse volte, alcune anche nel suo appartamento al Chelsea Hotel, nel 1965. Lo riportano i media Usa. L’azione legale contro l’81enne star è stata promossa davanti alla corte suprema di Manhattan dalla presunta vittima, una donna ora di 68 anni identificata solo con le iniziali (J.C.), che sostiene di aver subito effetti emotivi permanenti e di essere ricorsa a cure mediche. La causa è stata depositata alla vigilia della scadenza dei termini previsti da una legge dello stato di New York, che consente alle vittime di abusi durante l’infanzia di costituirsi in giudizio contro i loro aggressori a prescindere da quanto vecchi sono i fatti denunciati. Un portavoce del cantautore ha replicato che «questa accusa vecchia di 56 anni è falsa e sarà vigorosamente contestata». Vincitore del Premio Nobel per la Letteratura nel 2016 per «aver creato nuove espressioni poetiche nella grande tradizione della canzone americana», Bob Dylan è considerato il più grande cantautore di tutti i tempi. Tra le sue canzoni più famose ci sono «Blowin ‘in the Wind», «The Times They Are a-Changin’», o anche «Like A Rolling Stone». L’artista ottantenne ha colpito per la prima volta la scena folk di New York nei primi anni ‘60 e ha venduto oltre 125 milioni di album in tutto il mondo.
Paolo Mastrolilli per “la Stampa” il 18 agosto 2021. Bob Dylan? Che violenta una ragazzina di 12 anni, quando stava con Joan Baez ed era lanciato verso il successo planetario? Lui nega persino di esserci stato, nel luogo dove sarebbe avvenuto il fattaccio, ma la causa ormai è stata presentata e trascina il «menestrello del Minnesota», premio Pulitzer e premio Nobel per la letteratura, nel tritacarne del movimento #MeToo. Almeno fino a prova contraria. Il procedimento è stato avviato venerdì scorso presso la Manhattan Supreme Court di New York dagli avvocati Daniel Isaacs e Peter Gleason, a nome di una donna identificata solo con le iniziali J.C., che oggi ha 68 anni e vive a Greenwich, in Connecticut. I fatti risalgono al periodo tra aprile e maggio del 1965, e sarebbero avvenuti nell'Hotel Chelsea, famosa e famigerata residenza di molti artisti, dove nel 1978 sarebbe poi morta anche Nancy Spungen, fidanzata del bassista dei Sex Pistols Sid Vicious. Secondo l'accusa, «durante il corso di sei settimane il cantante aveva fatto amicizia e stabilito una connessione emotiva» con la sua vittima. Gli avvocati di J.C. sostengono che Dylan aveva preso di mira la loro cliente per «abbassare le sue inibizioni, con l'obiettivo di abusarne sessualmente, cosa che egli aveva fatto, aggiungendo la fornitura di droghe, alcool e le minacce di violenza fisica, lasciandola emotivamente ferita e psicologicamente danneggiata fino ad oggi». Le tredici pagine di documenti legali, pubblicati dal giornale Usa Today, affermano che Bob aveva usato la sua fama di musicista per «adescare J.C. allo scopo di conquistare la sua fiducia e ottenere il controllo su di lei». Quindi ne aveva abusato sessualmente, «in certe occasioni» nel suo appartamento all'Hotel Chelsea. Lei aveva sofferto «seri e severi problemi mentali, angoscia, umiliazione, imbarazzo, così come perdite di natura economica». Perciò chiede insieme la punizione giudiziaria di Dylan e la compensazione monetaria, anche perché i danni fisici subiti l'hanno costretta a cure mediche molto costose. Alla Cnn, che cercava dettagli più chiari sulle accuse, l'avvocato Isaacs ha risposto che «la causa parla da sola. Proveremo tutte le accuse in tribunale. Il procedimento è stato presentato dopo molte ricerche e verifiche, e non c'è dubbio che lei sia stata sua vittima all'Hotel Chelsea». La causa è stata avviata il giorno prima della scadenza del New York Child Victims Act, una legge varata nel 2019 proprio per concedere alle vittime di simili abusi una finestra di tempo per portare i loro aggressori davanti ai giudici, anche se i reati sarebbero ormai in prescrizione. Un portavoce di Dylan ha detto a Usa Today che «questa accusa vecchia di 56 anni non è vera, e ci difenderemo vigorosamente». I fan di Bob si sono subito mobilitati per smontare il procedimento, andando a guardare il calendario dei suoi impegni all'epoca delle presunte molestie. Così hanno scoperto che tra marzo e aprile del 1965 era con la fidanzata Joan Baez in Gran Bretagna, dove aveva concluso il tour con un concerto tenuto alla Royal Albert Hall il 10 maggio. Se le cose stanno effettivamente così, Dylan non sarebbe stato neppure presente a New York, durante il periodo delle violenze contro la minorenne J.C. Ai suoi avvocati quindi basterebbe dimostrare che tra aprile e maggio del 1965 era in un altro continente, e quindi di sicuro non poteva ospitare la sua vittima all'Hotel Chelsea per molestarla. Il clima creato dal movimento #MeToo ha però cambiato la dinamica di questi procedimenti, anche perché spesso in passato le donne che denunciavano abusi non venivano neppure ascoltate. Perciò Bob dovrà fare molta attenzione ai dettagli della sua difesa, per dimostrare la propria innocenza.
Michela Marzano per “la Stampa” il 18 agosto 2021. Era il 1965, pochi mesi prima dell'uscita di Like a Rolling Stone, una delle più belle canzoni di tutti i tempi. Era il 1965 e, se le accuse di JC (che aveva allora 12 anni) dovessero essere confermate, Bob Dylan, utilizzando alcool e droghe, molestava sessualmente una bambina. Certo, non sta a noi pronunciarci sulla veridicità o meno della denuncia depositata venerdì scorso dalla donna presso la Corte Suprema di New York - il portavoce di Dylan ha già fatto sapere alla BBC che si tratta di «un'accusa vecchia di 56 anni, falsa e che sarà rigorosamente contestata». Ma anche se non conosciamo i fatti, possiamo comunque interrogarci su una serie di questioni etiche che solleva questa brutta storia. Il fatto che le violenze risalirebbero al 1965 le rende meno gravi? Si può applicare la prescrizione a crimini come le molestie sessuali o la pedofilia? Ha senso lasciar correre perché l'accusato cambiò per sempre il corso della musica e, nel 2016, venne insignito del premio Nobel? Perché ci sono voluti così tanti anni prima che la donna rivelasse di essere stata stuprata? Proviamo a partire dal contesto. Negli anni Sessanta e Settanta, infatti, ci fu chi legittimò la pedofila in nome della liberazione sessuale. Anche grandi figure intellettuali dell'epoca si lasciarono andare a dichiarazioni che oggi farebbero venire la pelle d'oca a chiunque. Come le parole di una petizione, pubblicata sul quotidiano francese Le Monde - e firmata tra gli altri da Sartre, Althusser, Aragon, Deleuze e Sollers - in cui si chiedeva di abbassare la maggior età sessuale a 12 anni, e si avallava l'idea secondo cui la pedofilia fosse «una cultura volta a spezzare la tirannia borghese che fa degli amanti dei bambini dei mostri». Oggi, nessuno più si sognerebbe di affermare cose di questo genere. Ormai sono note le conseguenze terribili degli abusi sui più piccoli e sulle più piccole; abbiamo quasi tutti consapevolezza di cosa significhi, per un bambino o una bambina, abbandonarsi fiduciosi agli adulti e sentirsi traditi; conosciamo i sensi di colpa che ci si porta dentro quando si è stati abusati e la convinzione di essere all'origine di ogni male; sappiamo che l'identità personale si sbriciola e che il corpo perde i propri confini trasformandosi in un campo di battaglia. Prima no. Prima, lo scandalo era considerato un vezzo borghese. Prima, non si immaginava che una bambina violentata potesse «rotolare come una pietra» e ci si illudeva che il tempo cancellasse tutto. E quindi? Basta il contesto a giustificare molestie e pedofilia? E poi, di nuovo, perché JC denuncia Dylan solo adesso? Chiunque abbia subito una violenza sessuale sa che ci possono volere anni prima di rielaborare il trauma subito, trovare le parole giuste per raccontare il dolore, togliersi dalla testa l'idea di essere colpevole e iniziare a ricostruirsi. Poco importa, allora, se il criminale è un grande intellettuale o un brillante scrittore o un idolo della musica o un premio Nobel. Ci sono crimini imperdonabili e imprescrittibili, come scrive Vladimir Janckélévitch spiegando che gli esseri umani sono «irrimediabilmente precari» e, per questo, «infinitamente preziosi». Crimini che il tempo non cancella e non ripara, anche se di anni ne sono passati tantissimi, a volte troppi, e sembra assurdo tirar fuori dagli armadi scheletri di un'altra epoca. Tanto più che il contesto, se può spiegare determinati atteggiamenti e far capire all'interno di quale mondo una persona possa aver agito, non per questo giustifica o scusa. Soprattutto quando ci si trova di fronte a chi, abusando del proprio ruolo, della propria funzione, della propria aurea o del proprio potere, calpesta la fragilità di chi, infinitamente prezioso, dovrebbe essere protetto. How many roads must a man walk down, before you call him a man? «Quante strade deve percorrere un uomo per poter essere chiamato uomo?» cantava Bob Dylan, prima di chiedersi quante volte ci si può girare facendo finta di non vedere, e quante orecchie si dovrebbero avere per sentire piangere qualcuno. Parole bellissime di una canzone bellissima, come tante altre scritte e cantate da Dylan, e per le quali il leggendario cantautore meritava senz' altro un Nobel. Ma quante menzogne si possono raccontare prima che la verità venga a galla? Quante volte ancora dobbiamo assistere allo scempio della violenza sessuale e della pedofilia prima che sorgano dubbi sulla colpevolezza degli aguzzini? The answer is blowing in the wind, «la risposta se ne va nel vento». Anche perché, ammesso e non concesso che JC non menta - sarà la magistratura a stabilirlo - resta il dilemma della possibile separazione tra «autore» e «opera». Così come restano la rabbia, il dolore e l'impotenza di tutte coloro e tutti coloro che, proprio perché sono stati vittime di mostri sacri tanti anni fa, decidono di continuare a tacere.
Dagotraduzione dal Daily Mail l'8 settembre 2021. L’attore di film per adulti Ron Jeremy ha sfruttato la sua celebrità per incontrare e isolare le donne che ha violentato e aggredito sessualmente, usando le stesse tattiche per anni. È quanto hanno testimoniato al Gran Giurì le 21 donne che lo hanno denunciato per abusi. Una delle donne, identificata come Jane Doe 8, ha raccontato di aver incontrato Jeremy nel 2013 in un bar di West Hollywood e di aver detto all’amica che era con lei: «Non sarebbe divertente se ricevessimo una sua foto con un autografo?». Pochi minuti dopo Jeremy l’avrebbe aggredita sessualmente in bagno. Jane Doe 7 ha ricordato che era eccitata all’idea di conoscere una celebrità poco prima che si presentasse alla porta della sua stanza d’albergo. Ma qualche minuto dopo l’ha violentata. Ron Jeremy, 68 anni, si è dichiarato non colpevole delle 34 accuse di violenza sessuale formalizzate dal Gran Giurì, tra cui 12 per stupro. È stato arrestato nel 2020 e da allora è in prigione. Soprannominato “The Hedhehog”, Jeremy è stato a lungo uno degli artisti più noti e prolifici dell’industria del porno ed è arrivato al grande pubblico con i reality show, le apparizioni pubblice e i video musicali. Per i collezionisti di autografi e i malati di selfie, è diventato presto una vera calamita, ed è così che molte delle donne che lo accusano lo hanno incontrato. Una donna oggi 33enne, ma che all’epoca aveva 15 anni, ha raccontato di essersi avvicinata a lui durante un rave a Santa Clarita, in California. «Non sapevo chi fosse, ma tutti mi dicevano che era famoso ed ero entusiasta di incontrare una celebrità» ha detto la Jane Doe numero 5. Lui l’ha invitata nel backstage per farle vedere qualcosa di «interessante», poi l’ha presa in braccio, e ha messo la mano sotto la gonna e l’ha molestata. I luoghi delle violenze emersi dai racconti sono spesso gli stessi: il ristorante dove era solito mangiare e dove aveva il permesso di usare il bagno dei dipendenti, e il suo appartamento, descritto come sporco e infestato dagli animali. In particolare attirava le donne al Rainbow Bar and Grill sulla Sunset Strip di West Hollywood, e con la scusa di mostrare loro la cucina dove il ristorante preparava le sue famose pizze, o il bagno esclusivo a cui aveva accesso, le portava nello spazio angusto, chiudeva la porta e le stuprava. Diverse donne hanno raccontato anche che Jeremy le costringeva a descrivere la loro esperienza su un tovagliolo di carta e a volte dava loro dei soldi. Secondo i pubblici ministeri tentavi di tutelarsi e di ottenere prove di un rapporto consensuale. Una donna ha raccontato di aver incontrato Jeremy al Sunset Strip e di aver scattato una foto con lui, nonostante il fidanzato e il fratello l’avessero avvisata di starne lontano. Dopo averla violentata in bagno, le ha tirato 100 dollari: «Mi ha lanciato dei soldi dal nulla». Un’ora dopo la donna era alla polizia per denunciare la violenza, ma è stata una delle poche a farlo subito. «È una celebrità come attore porno, pensavo che nessuno mi avrebbe mai creduta, volevo solo uscire da lì e dimenticare tutto» ha detto Jane Doe 7. In difesa di Jeremy s’è schierato però Eliot Preschutti, a lungo gestore del famoso rock bar Rainbow Bar & Grill sulla Sunset Strip: «È vero, è un palpeggiatore, ma non uno stupratore». Preschutti ha raccontato che Jeremy andava nel suo bar quattro sere alla settimana: «Ho visto tutta la gente che gli veniva incontro, la gente che gli si accalcava intorno. Lo conosco molto più della maggior parte delle persone e anche se non posso parlare per nessuna delle situazioni di cui è accusato, credo che sia solo un altro tentativo di abbatterlo. Non sono il suo migliore amico, ma ho avuto ore e ore di conversazione con lui, dalle sette alle otto ore, quattro volte alla settimana, e ho osservato il suo comportamento. L’ho visto in azione: semplicemente non ha bisogno di violentare le donne. Ci sono un sacco di donne che si mettono a sua disposizione».
Dagotraduzione dal Guardian il 26 agosto 2021. Un gran giurì ha incriminato l’attore di film per adulti Ron Jeremy accusandolo di oltre 30 reati di aggressione sessuale che hanno coinvolto 21 donne e ragazze. Ieri, alla corte superiore di Los Angeles, Jeremy, 68 anni, si è dichiarato non colpevole di tutte le accuse, compresi i 12 stupri che gli sono stati addebitati. Le accuse riguardano un periodo che va dal 1996 al 2019, con vittime di età compresa tra i 15 e i 51 anni. I pubblici ministeri di Los Angeles hanno utilizzato, per questo caso, la stessa strategia impiegata nel caso di Harvey Weinstein: i procedimenti segreti del gran giurì per ottenere un atto d’accusa che sostituisse le accuse originali, consentendo loro di saltare un’udienza preliminare pubblica sulle prove e procedere al processo. L'avvocato difensore Stuart Goldfarb ha dichiarato in una e-mail che la «posizione di Jeremy è la stessa di quando è stata presentata la denuncia penale. È innocente da tutte le accuse». Jeremy è in carcere e il giudice ha fissato la cauzione a 6,6 milioni di dollari. Tra le violenze sessuali contestate a Jeremy, c’è quella su una donna durante un servizio fotografico (1996), su una 19enne in discoteca (2003), su una 17enne in casa (2008) e su una 15enne (2004). A ottobre si svolgerà l’udienza preliminare. Ron Jeremy è stato per decenni tra gli attori più noti e prolifici dell’industria pornografica, e ha partecipato a oltre cento film negli anni 70.
Dagotraduzione da Xbiz il 14 agosto 2021. L'udienza preliminare del processo a Los Angeles contro Ron Jeremy è stata rinviata un’altra volta, al 25 ottobre. L’ex star del porno è accusato di 35 capi di imputazione, da parte di 23 presunte vittime. Se condannato, rischia dai 330 anni all’ergastolo, da scontare nella prigione di Stato dove è rinchiuso da giugno 2020. L’avvocato di Jeremy, Stuart Goldfarb, e il procuratore distrettuale Paul Thompson avevano concordato a marzo di svolgere oggi l’udienza preliminare, ma poche settimane fa Goldfarb ha presentato una richiesta per un’altra proroga. Goldfarb infatti ha insistito per oltre un anno sul fatto di non potersi preparare adeguatamente per l'udienza preliminare senza avere accesso ai nomi e agli indirizzi delle 23 vittime e degli oltre 50 testimoni che l'ufficio del procuratore distrettuale intende produrre. I casi di aggressione sessuale hanno regole speciali progettate per proteggere la sicurezza delle vittime; la difesa chiede che queste regole speciali siano allentate per identificare le persone dietro le accuse di aggressione al fine di rispondere ad esse. Goldfarb ha presentato un appello per ottenere queste informazioni, ma non è stato accolto. Jeremy è stato arrestato e accusato la prima volta il 22 giugno 2020. Quella settimana è stato chiamato in giudizio e si è dichiarato «non colpevole». La sua cauzione è stata fissata a 6,6 milioni di dollari e da quella data è rimasto in carcere. Durante un'udienza di fine agosto 2020, il vice procuratore distrettuale Thompson della divisione crimini sessuali ha aggiunto altre 20 accuse alle otto originarie. Il 28 ottobre 2020, l'ufficio del procuratore distrettuale ha presentato sette ulteriori accuse di violenza sessuale che hanno coinvolto sei vittime aggiuntive e che riguardano il periodo dal 1996 al 2020. Il caso contro Jeremy è stato quindi modificato per aggiungere i capi d’imputazione: 11 capi di imputazione per stupro forzato, 8 conteggi di percosse sessuali per costrizione, 6 conteggi di copulazione orale forzata, 5 capi di imputazione per penetrazione forzata da parte di un corpo estraneo e 1 conteggio ciascuno di sodomia, aggressione con l'intento di commettere stupro, aggressione con l'intento di commettere una penetrazione digitale forzata, penetrazione di un oggetto estraneo su una vittima priva di sensi o addormentata e condotta oscena con una ragazza di 15 anni. Ron Jeremy, nato a New York nel 1953, è stato per anni uno dei pornodivi più quotati. Ha girato migliaia di film a luci rossi, tra cui “Cicciolina e Moana ai Mondiali” di Mario Bianchi nel 1990. Nel film, interpreta la parte di Diego Armando Maradona. Insieme a lui altre due pornostar tra le più note: il nostro Rocco Siffredi e l’americano Sean Michaels, che con tante di treccine alla Ruud Gullit, intrecciano un triangolo amoroso con Cicciolina e Moana Pozzi. Era così famoso che in Finlandia veniva distribuito un rum con il marchio “Ron de Jeremy”. Dopo l’arresto della star, l’azienda ha rinominato tutti i prodotti della serie in “Hell or High Water”.
Giuseppe Guastella per il "Corriere della Sera" l'11 agosto 2021. Novembre-dicembre 2017. Una lettera anonima arriva a Giuseppe Guzzetti, presidente della Fondazione Cariplo di Milano fino al 2019. Dice che il vice presidente Carlo Sangalli «aveva avuto rapporti non commendevoli» e «boccacceschi» con una dipendente della Confcommercio di cui lo stesso Sangalli è presidente da anni. L'inedito episodio si colloca nella vicenda delle presunte molestie sessuali riferite da Giovanna Venturini a carico di Sangalli, di cui è stata segretaria, che ha generato un procedimento penale in cui la stessa Venturini e l'ex direttore generale di Confcommercio Francesco Rivolta sono accusati di estorsione ai danni di Sangalli. A parlarne è Guzzetti testimoniando nel corso di un incidente probatorio chiesto dalle difese degli imputati. L'anonimo arriva 5 anni dopo che Venturini ha registrato un video in cui, dandogli del «lei», chiede a Sangalli di smetterla con le sue «attenzioni», che però la signora non denuncerà ufficialmente. Venturini ottenne il trasferimento alla segreteria di Rivolta, ma quando negli anni successivi le voci sulla vicenda presero a girare nei corridoi romani di Confcommercio, la donna si sentì emarginata e vittima di mobbing. Nel 2017 si confidò con i familiari. «Ero preoccupato per gli aspetti della Fondazione Cariplo», spiega Guzzetti il cui unico interesse era tutelare il «buon nome» della stessa Fondazione evitando che «fosse trascinata nello scandalo». Al gup di Roma Alessandro Arturi, dichiara che chiamò Sangalli: «In un primo tempo ha negato, ha detto "Non è vero niente, è una maldicenza", adducendo anche il suo aspetto etico, cattolico. Dice: "Vuoi che io commetta questi atti? Io ho famiglia, tu mi conosci"». Di fronte alle sue perplessità, Sangalli ammette che qualcosa c'è stato, ma «che era la signora che lo provocava, che era una procace». Guzzetti lo ammonisce: «Carluccio, occhio di non trascinare la Fondazione Cariplo in una vicenda di questo genere». Passa qualche settimana e Sangalli lo richiama per dirgli che la vicenda si sta complicando e la famiglia Venturini minaccia una denuncia e vuole che lui si dimetta, dice di essere «in grande difficoltà» e di voler «trovare una soluzione». Chiede a Guzzetti di intercedere con Rivolta, che ritiene l'unico che possa fare da mediatore. I tre sono amici da decenni, da quando erano esponenti di rilievo della Dc lombarda. Tempo dopo, continua Guzzetti, si rivedono: «Mi dice: "Guarda, finalmente abbiamo trovato una soluzione. Io ho convenuto di corrispondere una somma. Poi siccome loro dicono che io non posso fare più il presidente della Confcommercio ho anche dato a Rivolta una lettera di dimissioni, lascerò in data però da concordare con me"». Il pagamento di 216 mila euro avviene a gennaio 2018 con una donazione di fronte a un notaio. Le dimissioni non arriveranno mai. Guzzetti ricorda tre momenti in cui Sangalli gli chiese ancora di intervenire su Rivolta perché non formalizzasse la lettera di dimissioni che gli aveva affidato. La prima, perché erano vicine le elezioni politiche e le dimissioni avrebbero potuto generare complicazioni; la seconda, prima di una manifestazione di Confcommercio; la terza, quando si creò la possibilità per Sangalli di essere eletto alla presidenza di Unioncamere, cosa che avvenne a luglio 2018. Nella denuncia per estorsione, depositata nel novembre 2018, Sangalli afferma di aver capito solo successivamente che Rivolta (difeso dagli avvocati Claudia Ferri e Salvatore Scuto) non era stato un «amico e mediatore», ma il «regista occulto di una sorprendete macchinazione» seguita ai contrasti esplosi tra loro a settembre 2017, cioè un paio di mesi prima di rivolgersi a Guzzetti, secondo il racconto di quest' ultimo. Rispondendo all'avvocato Domenico Aiello, che assiste la parte civile Sangalli, l'ex banchiere dichiara di non aver mai chiesto aggiornamenti sulla questione né di aver commentato con Sangalli gli articoli usciti sulla vicenda a fine 2018. Interrogato nel dicembre 2018 dal pm Margherita Pinto, Sangalli non parla della relazione con la Venturini. Lo fa nel gennaio 2020 quando viene riconvocato dopo che la signora ha depositato il video: «Ci sono stati - mette a verbale - degli atti di intimità intorno al 2012-2013, consenzienti da parte di entrambi. Quando questa storia è finita, è terminata da parte di entrambi. Io non avevo intenzione di continuare nella maniera più assoluta». Spiega al pm di non averne parlato prima «perché non me lo ha chiesto e perché non la ritenevo una cosa rilevante. C'era stata questa simpatia perché lei era una donna esuberante che si proponeva ma se l'iniziativa c'è stata da una parte non era da parte mia». Ed il «lei»? «Mi dava del lei e questo non è cambiato neanche dopo la nostra intimità. Ciò dimostra che era una intimità fittizia nel senso che non era una cosa seria, ma solo fisica, senza coinvolgimento sentimentale». L'avvocato Paolo Gallinelli, che difende Venturini, ha chiesto con una memoria al giudice di prosciogliere la sua assistita per la «assoluta fragilità indiziaria» delle accuse dovuta all'inattendibilità della testimonianza della presunta vittima Sangalli.
L'accusa di molestie, la foto e il silenzio: così hanno incastrato il figlio della Regina. Francesca Rossi il 13 Agosto 2021 su Il Giornale. Virginia Giuffre ha accusato di pedofilia il principe Andrea. E se la Corona tace, la polizia inglese si dice pronta a collaborare. Se non è Harry a dare problemi, ci pensa il principe Andrea, ormai risucchiato nel buco nero dello scandalo Epstein. Stavolta, però, la ricchezza e il potere della royal family potrebbero non riuscire a salvare il figlio prediletto della sovrana. Virginia Giuffre, presunta vittima dell’imprenditore americano morto suicida in carcere nel 2019, ha denunciato il duca di York, muovendo contro di lui accuse ben precise e circostanziate che lo potrebbero incastrarlo una volta per tutte. Buckingham Palace tace di fronte a questo nuovo attacco alla monarchia, ma Sua Maestà potrebbe trovarsi presto davanti a un grosso scandalo. La royal family è a un bivio: aiutare il principe Andrea o salvare la Corona?
L’accusa di Virginia Giuffre. “[Il principe Andrea” abusò di me quando avevo 17 anni”, ha confessato Virginia Giuffre, aggiungendo: “Oggi il mio avvocato ha presentato una denuncia contro il principe Andrea per abusi sessuali su minori. Come spiega nel dettaglio la denuncia, sono stata ceduta a lui e ho subìto abusi sessuali da lui”. La Giuffre ha depositato la denuncia presso il tribunale di Manhattan, un’azione definitiva, pubblica, che avrà serie ripercussioni non solo sul principe Andrea ma, di riflesso, anche sulla royal family. Da anni la 38enne cerca di raccontare sui media la sua verità. Ora ha deciso di passare ai fatti, o, meglio, attraverso le aule del tribunale. La Giuffre rievoca con dovizia di particolari le violenze che avrebbe subìto. Tre in tutto, avvenute tra il 2001 e il 2002. La prima si sarebbe consumata il 10 marzo 2001 a Londra, nella casa di Ghislaine Maxwell, ovvero la donna che procacciava al “predatore” Epstein le sue vittime e che oggi è in carcere. La seconda sarebbe avvenuta a New York, a casa di Epstein, nel periodo della Pasqua 2001. Infine, la terza nell’isola di Little St. James (Isole Vergini) in un’altra residenza dell’imprenditore statunitense.
La difesa del principe Andrea. Nell’ormai tristemente celebre intervista alla Bbc del novembre 2019 il principe Andrea negò di aver avuto rapporti con la Giuffre. Addirittura sostenne di non conoscerla, ma ammise l’amicizia con Epstein. Peccato che i conti non tornino affatto. Il Daily Mail ricorda che esiste una foto in cui Virginia e Andrea sono ritratti uno accanto all’altra. Il principe addirittura abbraccia la giovane. Con loro posa anche la Maxwell. Non è finita: lo scatto risalirebbe al marzo 2001, quando sarebbe avvenuto lo stupro. Ed ecco che la difesa del duca di York crolla miseramente. Il figlio della Regina ha anche detto di non aver mai dormito nella casa di New York appartenuta a Jeffrey Epstein. Eppure a Pasqua del 2001 Andrea si è recato negli Stati Uniti. La prima notte ha dormito al consolato britannico, la seconda a Boston, la terza a quello che i giornali definiscono “un indirizzo privato”, ma che dalle ricostruzioni risulterebbe essere proprio la casa di Epstein. C’è pure la testimonianza di un agente di Scotland Yard, il quale sostiene che il principe Andrea sarebbe partito da New York in compagnia di Epstein e della Giuffre. Destinazione: Isole Vergini.
Il duca di York estradato negli Stati Uniti? Non è possibile. Il principe Andrea non gode dell’immunità diplomatica, privilegio riservato alla sovrana e al suo nucleo famigliare più stretto. Tuttavia l’estradizione non può essere contemplata nel caso del principe Andrea. Solo se quest’ultimo si recasse volontariamente negli Usa, il tribunale potrebbe costringerlo a testimoniare. Ipotesi che appare improbabile. C’è anche un altro motivo per cui il duca non rischia l’estradizione. Virginia Giuffre non ha intentato una causa penale, bensì civile. Al Daily Mail Edward Grange, esperto in materia, ha spiegato: “L’estradizione non può aver luogo finché il caso rimane all’interno della giurisdizione civile. Il principe Andrea sarebbe a rischio di estradizione solo se fosse accusato di un reato penale negli Stati Uniti che comporta una pena detentiva di 12 mesi o più. Anche in questo caso si potrebbe certo presentare richiesta di estradizione al Regno Unito, ma bisognerebbe riflettere attentamente sull’opportunità di un simile gesto” . Tradotto: non si rischia solo un incidente diplomatico tra Usa e UK, ma direttamente l’esplosione di una bomba politica.
La reazione della regina Elisabetta. Sua Maestà non si è mai esposta pubblicamente né a favore né contro il figlio. Al momento su Buckingham Palace regna il silenzio assoluto. Per la verità, dopo lo scandalo Epstein, lo status di Andrea nella royal family risulta abbastanza ambiguo. Perfino paradossale. La regina Elisabetta ha imposto al duca di York di ritirarsi a vita privata. Un esilio che potrebbe essere definitivo anche se Andrea riuscisse a dimostrare la sua estraneità ai fatti. Ormai la sua figura è compromessa e non più credibile al servizio della sovrana. Elisabetta II sa bene che l’unico modo per assicurare la sopravvivenza dell’istituzione monarchica è espellerne i membri impresentabili. Eppure non ha ancora tolto al suo secondogenito i titoli e i privilegi derivati dal suo ruolo a corte. Come spiegare questa contraddizione? I motivi possono essere due: nel primo scenario Elisabetta II vuole attendere la fine di questa brutta storia e, in base alla verità accertata dal tribunale, emettere la sua personale “sentenza”. Nel secondo scenario, invece, la sovrana sceglie di non agire contro il figlio in caso di un verdetto di colpevolezza, delegando quest’onere al principe Carlo, ma solo quando quest’ultimo sarà re. Un modo, forse, per non creare ulteriori crepe nella monarchia e all’interno della famiglia, benché pare che il principe di Galles sia disgustato dal comportamento di Andrea e deciso ad applicare una ferrea damnatio memoriae.
Il destino di Andrea. Cosa riserva la sorte al principe Andrea? Nulla di buono. Per prima cosa è necessario preparare una solida linea difensiva. Finora Andrea ha sempre evitato di collaborare con la giustizia, facendosi scudo dell’autorità dei Windsor. Ha schivato interrogatori e processi, ma ora, come afferma l’avvocato della Giuffre, David Boies, “Time’s up”. “Il tempo è scaduto”. Se il principe Andrea proverà di nuovo a nascondersi dietro alla Corona, per lui potrebbe arrivare una condanna “in absentia” e l’obbligo di un risarcimento milionario a Virginia Giuffre. Perfino Scotland Yard sta revisionando il suo caso. Il capo della polizia britannica, Cressida Dick, è stata molto chiara: "Nessuno è al di sopra della legge. Come conseguenza di ciò che sta accadendo ho chiesto al mio team di revisionare il materiale. Valuteremo di nuovo la nostra posizione”. Non si tratta, per il momento, di un'indagine ufficiale, ma di un semplice riesame dei documenti, che, però, non garantisce alcuna sicurezza al duca di York. La Dick è anche disposta a collaborare con l'Fbi e, a questo proposito, ha confermato: "Naturalmente siamo aperti alla collaborazione con le autorità oltreoceano, daremo assistenza, se ce la chiederanno, entro la legge, s’intende”. Il duca di York è solo. Gli è rimasta accanto solo Sarah Ferguson, convinta sostenitrice della sua innocenza. Ma non basta. Servono prove. Il destino di Andrea è nelle sue mani. Lo è sempre stato, ma forse non ha saputo crearsene uno buono.
Francesca Rossi. Sono nata a Roma, ma vivo a Latina. Sono laureata e specializzata in Lingue e Civiltà Orientali a La Sapienza di Roma (curriculum di lingua e letteratura araba). Ho vissuto in Egitto per approfondire lo studio della lingua araba. Per la casa editrice Genesis Publishing ho pubblicato due romanzi, "Livia e Laura", sull'assassinio della Baronessa di Carini e "Toussaint. Inganno a Mosca", la storia di una principessa araba detective. Ho un blog che affronta temi politici e culturali del mondo arabo su HuffingtonPost. Sono appassionata di archeologia, astronomia e dinastie reali nel mondo.
"Siamo entrambi dipendenti seriali dal sesso": il legame segreto fra Epstein e il figlio della Regina. Mariangela Garofano l'11 Agosto 2021 su Il Giornale. Il principe Andrea è stato denunciato formalmente da una vittima di Jeffrey Epstein per abusi sessuali. Ma cosa legava un principe di sangue blu a un finanziere sociopatico? Due anni e un giorno fa il milionario Jeffrey Epstein viene trovato impiccato nella sua cella del Metropolitan Correctional Center di Manhattan da due guardie. “Thomas e Noel trovarono Epstein privo di conoscenza” , si legge in “A convenient Death: The Dismise of Jeffrey Epstein", “impiccato alla sbarra del letto, con delle lenzuola di carta arancione". Nel libro, scritto da Alana Goodman e Daniel Shalper, i due autori cercano di far luce su una delle morti più misteriose degli ultimi anni. Epstein era un ricchissimo magnate amico dei più potenti uomini al mondo, tra cui il principe Andrea d’Inghilterra, oggi denunciato da una delle vittime di Jeffrey per abusi sessuali su minore.
Cosa non torna nella morte di Epstein. Accusato di aver portato avanti un traffico di prostituzione minorile indisturbato per anni, il perverso finanziere newyorkese viene arrestato a luglio 2019 e posto nel braccio 9-South, dove viene sorvegliato 24 ore su 24, perché considerato un soggetto a rischio suicidio. Ma ciò che rivelano gli autori nel libro mette in risalto come Epstein, un soggetto “sociopatico”, avesse tutto fuorché intenzione di togliersi la vita. “Il 9 agosto Jeffrey incontrò i suoi legali nella sala delle conferenze per discutere la strategia per il processo”, si legge nel libro. E ancora: “Era deciso a lottare, dava ordini ed era contento al pensiero di andare avanti”. I legali di Epstein avevano inoltre fissato un un nuovo appello per chiedere l’uscita su cauzione del loro cliente il lunedì successivo. Ma altri particolari significativi non tornano: il compagno di cella del milionario viene improvvisamente trasferito senza una motivazione in un’altra prigione la mattina del suo decesso. Le due guardie addette alla sorveglianza notturna di Epstein si addormentano proprio quella notte, svegliandosi quando ormai il prigioniero si era già tolto la vita. Infine, secondo l’autopsia commissionata dai familiari del defunto, il collo di Epstein presentava diverse ossa rotte, tipici segni di strangolamento. Il mistero sulla sua morte rimarrà molto probabilmente tale, ma una cosa appare chiara: Jeffrey Epstein conosceva i più intimi segreti di personaggi del calibro di Bill Clinton, Muʿammar Gheddafi e il principe Andrea.
L'amicizia con il principe Andrea. La lunga amicizia tra Jeffrey Epstein e il principe Andrea d'Inghilterra nasce grazie ad un altro personaggio chiave nella vita del milionario, Ghislaine Maxwell. Figlia del barone dell’editoria britannica Robert Maxwell, Ghislaine frequenta fin da giovanissima l’alta società internazionale, diventando intima amica di Andrea e volando da un ricevimento esclusivo all’altro. Sono i primi anni '90 quando Ghislaine presenta Andrea ad Epstein, assetato di potere e ansioso di stringere alleanze con i più influenti uomini del pianeta. Ma cosa lega un uomo d’affari senza scrupoli e uno degli esponenti della più potente famiglia reale al mondo? La risposta arriva direttamente da Epstein, che intervistato dal giornalista investigativo sotto mentite spoglie Ian Halperin, ha raccontato candidamente del suo rapporto con il principe. “Il principe Andrea è il mio più intimo amico . Lo chiamo Air Mails Andy perché viaggia in continuazione. È un vero mondano. Alcuni dei momenti più divertenti della mia vita li ho passati in sua compagnia”. Ma è soltanto in seguito che il ricco brizzolato confessa sornione cosa lo legava davvero al figlio della regina Elisabetta. “Siamo molto simili, entrambi dipendenti seriali dal sesso”, ammette in tono confidenziale Epstein nel libro di Halperin, dal titolo "Controversy: Sex, Lies and Dirty Money By The World's Powerful Elite". “È l’unica persona che io conosca più ossessionato dalle donne e dal sesso di me. Abbiamo condiviso le stesse donne e da ciò che mi hanno raccontato, è davvero un pervertito a letto. Gli piacciono cose troppo strane anche per me, che sono il re dei pervertiti!”. Il tono compiaciuto con cui il magnate rivela i suoi più intimi segreti ad Halperin, il quale li riporterà nel suo libro solo dopo la morte di Epstein, non lascia dubbi riguardo a cosa accomunava il vizioso principe allo “squalo” di Wall Street.
Le accuse di abusi sessuali contro il principe. Il legame tra il multi milionario, accusato di essere un predatore sessuale già nei primi anni 2000 e Andrea di York, finisce su tutti i tabloid quando una vittima del magnate rivela di essere stata una delle sue “schiave sessuali”, pronta a soddisfare ogni più sordido desiderio di Epstein e di essere stata “trafficata” a molti suoi amici, tra cui il principe Andrea. Ma la rivelazione più scioccante è che la donna, all’epoca dei fatti era minorenne. Virginia Giuffre, una ragazza dal passato difficile, viene adescata da Ghislaine Maxwell, complice nel traffico di minorenni di Epstein, con la scusa dell'offerta di un lavoro da massaggiatrice. La 36enne sostiene di aver intrattenuto rapporti sessuali con il principe di casa Windsor in diverse occasioni, la prima delle quali all’età di 17 anni, nella dimora londinese della Maxwell, costretta da quest'ultima e da Epstein. Spuntano testimonianze che narrano di party sfrenati nella villa caraibica di Epstein, a cui partecipava anche il principe, che avrebbe abusato di Virginia con la complicità degli altri invitati. L’immagine di Andrea si disfa sotto gli occhi di una royal family impotente, che questa volta non lo perdona, e a novembre 2019 lo costringe a ritirarsi dalla vita pubblica. Sebbene il duca ammetta di essere stato amico di Jeffrey Epstein, durante un’intervista per la Bbc nega categoricamente di aver mai conosciuto Virginia Giuffre. Una mossa infelice che viene vista come un goffo tentativo di scagionarsi dall’accusa di essere andato a letto con una ragazza che all’epoca aveva la stessa età delle figlie. La Giuffre non arretra di un passo e lunedì 8 agosto 2021 ha depositato una denuncia contro di lui per abusi sessuali, presso un tribunale di New York. A questo punto l’era dei festini a porte chiuse in giro per il mondo è finita e Andrea dovrà fornire la sua versione dei fatti in tribunale. “Lui sa cosa ha fatto, io so cosa ha fatto”, ha affermato la Giuffre, che conclude: “E' tempo che Andrea dica la verità”. E questa volta, a decidere chi dei due mente saranno gli inquirenti, dai quali “Andy Miles” sarà interrogato sotto giuramento.
Mariangela Garofano. Il giornalismo è la mia passione fin dai tempi dell’università. Per ilGiornale.it scrivo di cronaca e spettacoli. Recensisco romanzi per alcuni blog letterari da diversi anni. Da sempre appassionata di scrittura e libri, ho svolto il lavoro di correttore di bozze. Per amore della lettura, ho gestito anche una...
Anna Guaita per "il Messaggero" l'11 agosto 2021. Aveva solo 17 anni, ma i suoi sfruttatori l'avevano addestrata alle «arti erotiche» e la «mettevano a disposizione» dei vip di turno. Virginia Giuffrè Roberts adesso chiede i risarcimenti a uno di quei potenti che abusarono sessualmente di lei nell'arco di tre anni, fra il 2001 e il 2003. L'uomo contro cui punta un dito accusatore, e contro cui ha aperto una causa per danni presso il tribunale di New York, è lo stesso che chiama in causa oramai da due anni, il principe Andrea, duca di York, e terzogenito della regina Elisabetta d'Inghilterra. Nel passato Virginia ha testimoniato sotto giuramento contro Andrew, ma lui ha sempre risposto negando di averla incontrata e tantomeno di aver avuto con lei incontri sessuali. Tuttavia il principe è molto esposto nell'ambito dello scandalo dello sfruttamento minorile che faceva capo al pedofilo miliardario Jeffrey Epstein e alla sua amica Ghislaine Maxwell, e una foto di lui che mette il braccio intorno alla vita della teen-ager, nell'appartamento londinese di Ghislaine, inficia almeno parte dei suoi dinieghi.
L'INCHIESTA Epstein è morto suicida in prigione il 10 agosto del 2019, proprio due giorni dopo che la testimonianza di Virginia davanti al procuratore distrettuale Geoffrey Berman era trapelata, rivelando gli oscuri segreti del giro di festini rosa di cui tante giovani erano state vittime. Dopo la morte di Epstein, il procuratore Berman decise di continuare comunque l'inchiesta, per rispetto verso tutte le donne che «avevano avuto il coraggio di farsi avanti e testimoniare». Un anno dopo, Maxwell veniva arrestata e incriminata per traffico di minorenni a scopo di sfruttamento sessuale. Varie delle donne che furono intrappolate nel giro di prostituzione minorile di Epstein hanno insistito che era stata proprio lei a contattarle, ad arruolarle, addirittura ad «addestrarle» nell'arte del «massaggio erotico». Ghislaine le andava a pescare all'uscita della scuola, 14enni, 15enni, giovanissime, inesperte. E una volta che le aveva allenate, le consegnava a Epstein, che le usava per il proprio piacere o le prestava a qualche amico vip in visita nella sua villa nell'isola privata ai Caraibi, o nella magione di New York, o nell'appartamento di Londra. Una di queste ragazze era proprio Virginia Giuffrè, assunta a 15 anni quando lavorava come guardarobiera nella villa di Donald Trump a Miami. Oggi sposata, 38enne e madre di tre bambini, Virginia vive in Australia, ma non ha voluto tacere sugli abusi subiti da ragazzina: «Venti anni fa - si legge nella causa per danni che ha sporto a New York contro il reale britannico - la ricchezza, il potere, la posizione e le connessioni del principe Andrea gli consentirono di abusare di una ragazzina spaventata e vulnerabile che non aveva nessuno che la proteggeva. È ora che ne risponda». Lo scandalo per la corte dei Windsor è sicuramente grave, e deve pesare sulle spalle della regina che ha appena subito il dolore di perdere il consorte, il principe Filippo. Ma è bene ricordare che quando si terrà il processo contro Ghislaine Maxwell probabilmente altri vip vedranno il proprio nome tirato in ballo. Documentazioni raccolte dalla stampa Usa rivelano numerosi contatti fra Epstein e due ex presidenti, Bill Clinton e Donald Trump, oltre a vari esponenti di spicco della società Usa, incluso Bill Gates. Quest' ultimo infatti ha sentito il bisogno di mettere le braccia avanti pubblicamente, dichiarando che aveva avuto contatti con Epstein solo nella speranza che volesse partecipare alle iniziative di beneficenza: «Quando capii che non c'era un reale interesse, i nostri rapporti finirono», ha dichiarato Gates. Il fondatore di Microsoft ha finalizzato il divorzio dalla moglie Melinda proprio in questi giorni. Il divorzio era stato richiesto da Melinda, e fra le cause c'erano anche i rapporti di eccessiva amicizia fra il marito e il noto pedofilo.
Matteo Persivale per il "Corriere della Sera" l'11 agosto 2021. "Vergogna a chi pensa male", honi soit quo mal y pense, recita la scritta sullo stemma reale del Regno Unito, ma le sgangherate vicende personali dei Windsor delle ultime generazioni rendono il motto del cavalleresco Ordine della Giarrettiera tristemente obsoleto. Tra l’altro, siccome piove sul bagnato anche nei palazzi nobiliari, il destino dimostra d’avere un senso dello humour forse poco inglese ma sicuramente molto crudele: la legge americana che ha appena consentito a Virginia Giuffre, 38 anni, di fare causa al principe Andrea d’Inghilterra che avrebbe abusato di lei ventun anni fa, quand’era minorenne, e stata fortemente voluta dal governatore di New York Andrew Cuomo fresco dimissionario per evitare l’impeachment e a rischio d’incriminazioni penali per molestie sessuali (il Child Victims Act dello Stato di New York e stato convertito in legge da Cuomo due anni fa e di fatto estende i limiti della prescrizione, per permettere ai sopravvissuti di abusi sessuali quand’erano minorenni di fare causa anche a distanza di decenni). Andrea, 61 anni, era finito nei guai due anni fa per l’amicizia con il miliardario americano (poi morto in carcere apparentemente suicida) Jeffrey Epstein, e dopo le accuse di Giuffre aveva rilasciato un’intervista disastrosa nella quale diceva di non ricordare la sua accusatrice (ci sono fotografie che li ritraggono insieme). Poi lo scandalo era entrato in una fase di relativa quiete mediatica, ma come si e visto ieri i legali di Giuffre non avevano mai smesso di lavorare, e ora sostengono che il principe e i suoi rappresentanti abbiano in questi anni respinto numerose richieste di fornire «fatti, spiegazioni, e possibili per- corsi alternativi alla risoluzione della controversia». E ovvio che Andrea non potrebbe mai, per ovvi motivi, accettare un ipotetico accordo extragiudiziale, cioè una transazione che in cambio di denaro otterrebbe si la fine del procedimento civile ma apparirebbe, al di la dei tecnicismi, un’ammissione di colpevolezza politicamente insostenibile per lui e per la monarchia. Andrea nel 2019 ha lasciato ogni carica ufficiale ritirandosi di fatto a vita privata, pensionato prima dei 60 anni: scelta gia di per se clamorosa visto che suo padre Filippo, scomparso tre mesi fa a 99 anni, si chiamo fuori dagli impegni di Stato soltanto a 97 anni e mezzo. Ora pero finisce impelagato in una causa complicatissima che umilia ancora una volta i Windsor ma entusiasma gli esperti americani di diritto: due anni fa, a Londra, ci si domandava se Andrea potrebbe contare o no sull’immunità diplomatica (la questione e spinosa, la risposta non e certa ma e più sì che no, e se gli americani volessero un giorno incriminarlo si aprirebbe un caso diplomatico senza precedenti). E una causa civile in un tribunale di New York apre altri interrogativi. Andrea può semplicemente ignorare il procedimento? Restare nel Regno Unito senza mai presentarsi in aula a New York? E se andasse negli Stati Uniti avrebbe comunque lo status di diplomatico con annessa immunità (i capi di Stato ce l’hanno ma lui e ormai lontanissimo dalla linea di successione della Regina che passa da Carlo a William ai figli di William)? Di sicuro le avventure dei reali inglesi cosi ben narrate dal serial «The Crown» si stanno rapidamente avvicinando ai tristi casi di un altro telefilm, questa volta americano, il poliziesco Law & Order magari nella sottoserie «Special Victims Unit» che si concentra sui casi di reati sessuali. L’avvocato di Giuffre e David Boies, veterano di casi clamorosi con clienti variegati da Al Gore alle case produttrici di sigarette, Harvey Weinstein, il Dipartimento di Giustizia nella epocale causa dell’antitrust nel 2001, insomma di tutto un po’. Come sempre quando si tratta di reali inglesi, l’eco mediatica globale non aiuta Andrea profeticamente soprannominato « », Andy l’arrazzato, dai tabloid anni ’80, prima di Face- book e Twitter, quando vigeva ancora il «contratto invisi- bile» tra reali e media, il baratto tra soffiate su temi superficiali e silenzio sui temi davvero caldi, patto scellerato ora in frantumi di cui ha parlato Harry, altro principe «di scorta» finito non benissimo.
"Sono stata svenduta al figlio della Regina". Mariangela Garofano l'8 Agosto 2021 su Il Giornale. Nuovi guai si stanno per abbattere sul principe Andrea. Virginia Giuffre sostiene di essere stata venduta da Jeffrey Epstein. Scoppia il caos a corte. Il principe Andrea di York potrebbe tornare nell’occhio del ciclone a causa della sua “poco reale” amicizia con il pedofilo Jeffrey Epstein. Secondo quanto riportato dal Daily Mail, la sua principale accusatrice, Virginia Giuffre, sarebbe in procinto di intentare una causa “multi milionaria” contro il duca, scatenando un vero e proprio tornado sulla royal family. Parlando con il tabloid britannico, il legale della Giuffre, David Boies, ha affermato che la sua cliente è decisa a portare il principe in tribunale “per essere stata svenduta al duca per sesso da Jeffrey Epstein, quando aveva diciassette anni”. Boies ha dichiarato inoltre che nella causa saranno incluse le accuse di “abusi sessuali impropri e stress fisico ed emotivo per i danni ricevuti”. “Il tempo è scaduto” per il preferito di Elisabetta, ha affermato il legale della Giuffre, che da anni si batte affinché Andrea voli negli Stati Uniti per essere interrogato dall’Fbi sugli abusi commessi dall’amico Epstein e ammetta di aver intrattenuto con lei rapporti intimi quando era minorenne.
"Io costretta a un'orgia con il principe Andrea". Virginia Giuffre ha accusato il finanziere morto suicida e la sua complice Ghislaine Maxwell, di averla “svenduta” ad Andrea in diverse occasioni, e di essere stata la “schiava sessuale” del perverso magnate per anni, prima di fuggire e rifarsi una vita. Dal canto suo il duca di York ha sempre negato di aver conosciuto la donna, affermando di non “ricordarsi” di aver avuto rapporti sessuali con lei. Nel novembre 2019, nel tentativo di scagionarsi dalle accuse, il principe ha rilasciato un’intervista alla Bbc, senza ottenere l’effetto sperato. Quello che apparve in televisione era un Andrea sicuro di sé, per nulla pentito e, secondo il pubblico, senza un briciolo di empatia per le vittime di Epstein. La disastrosa intervista costrinse “Andy Randy” a ritirarsi dalla vita pubblica, ed evitare alla royal family ulteriori scandali. Ma il danno ormai era fatto e l’immagine di Andrea era compromessa. La notizia della causa contro il duca arriva come un fulmine a ciel sereno nella famiglia reale, già oscurata dall’allontanamento di Harry e Meghan. Andrea sarebbe costretto ad essere interrogato sotto giuramento riguardo alla sua vita privata e a fornire sms, email e lettere private agli inquirenti. Una fonte anonima raggiunta dal Daily Mail ha aggiunto: “Questo sarebbe devastante per Andrea. Se decidesse di combattere le sue deposizioni diventerebbero pubbliche. Se al contrario, decidesse di ignorare la causa, verrebbe considerato colpevole in absentia, cosa che si rivelerebbe disastrosa”. Secondo il New York Child Victims Act, Virginia Giuffre avrebbe tempo un’altra settimana per procedere con la causa contro Andrea, il quale dovrebbe decidere se presentarsi in tribunale oppure no. Nel caso in cui il duca dovesse ignorare la causa e non comparire in tribunale, il processo si terrebbe senza di lui e la corte potrebbe decidere per un giudizio di inadempienza.
Mariangela Garofano. Il giornalismo è la mia passione fin dai tempi dell’università. Per ilGiornale.it scrivo di cronaca e spettacoli. Recensisco romanzi per alcuni blog letterari da diversi anni. Da sempre appassionata di scrittura e libri, ho svolto il lavoro di correttore di bozze. Per amore della lettura, ho gestito anche una libreria a Bologna
Howard Rubin, l'orrore del braccio destro di George Soros nella cantina delle torture: "Come le ha sfondato il seno". Libero Quotidiano il 04 agosto 2021. Howard Rubin, conosciuto come “Howie” negli ambienti di Wall Street, andrà a processo il prossimo novembre dopo essere stato accusato da sei ragazze di violenze fisiche e sessuali. Ex braccio destro di George Soros, il ricco 66enne sembrava avere una vita pressoché perfetta: guadagni milionari, una casa nell’Upper East Side di New York e un’altra di fronte al mare negli Hamptons. Una moglie da 36 anni (che adesso però ha chiesto il divorzio), tre figli. Peccato per quel “vizietto” delle pratiche sadomasochistiche che lo hanno fatto finire a processo: nessuno sapeva che Rubin aveva un attico segreto a Madison Avenue, attrezzato per le sue perversioni sessuali, con tanto di attrezzo che immobilizza il corpo con braccia e gambe divaricate. Qui il manager avrebbe ricevuto le sue “prede”, donne giovani pagate 5mila dollari per alcuni “giochi fetish blandi” che in realtà sarebbero stati delle vere e proprie torture, con le donne legate, imbavagliate e picchiate, oltre che violentate. Le presunte vittime hanno chiesto 18 milioni di dollari di risarcimento. Nei documenti presentati in tribunale si legge che una delle donne sarebbe stata picchiata così duramente sul seno che una delle protesi mammarie si è capovolta, con il suo chirurgo plastico che si è rifiutato di operarla perché ridotta troppo male. Un’altra donna addirittura ha testimoniato che mentre era legata Rubin le ha detto “ti violenterò come ho fatto con mia figlia”.
L’ex braccio destro di Soros accusato di violenza sessuale. Roberto Vivaldelli su Inside Over il 5 agosto 2021. Bufera su Howard Rubin, ex braccio destro del magnate George Soros, accusato di violenza sessuale da sei donne. Il 66enne uomo d’affari anni aveva tutto ciò che un uomo potesse desiderare: ricchissimo, un matrimonio felice con tre figli, abitazioni nell’Upper East Side di New York e negli Hamptons, il tutto mentre si era guadagnato il rispetto dell’élite dedicandosi alla filantropia insieme alla ex moglie, Mary Henry. Come riporta il New York Post, dal 2015 al 2016 la coppia ha donato quasi 500.000 dollari in beneficenza, destinandoli a progetti filantropici come la New York Junior League e Hope for a Cure. L’uomo d’affari fra i più conosciuti a Wall Street, tuttavia, nascondeva alla moglie e a chi lo conosceva un segreto: possedeva un lussuoso attico nel centro di Manhattan dotato di poster di modelle di Playboy e, a quanto pare, di ogni sorta di accessorio per pratiche Bdsm. Una sorta di prigione sessuale dove portava le donne che ora lo accusano e vogliono da lui 18 milioni di dollari di risarcimento nell’ambito di un processo civile che si svolgerà a novembre.
L’ex braccio destro di Soros nei guai: accusato di violenza sessuale. Secondo la ricostruzione del New York Post, una delle ragazze è stata picchiata così duramente da Rubin che la sua protesi mammaria destra si è capovolta, tanto che il chirurgo plastico ha dichiarato di non essere in grado di operarla. Un’altra donna ha raccontato di essere stata violentata da Rubin, sostenendo che mentre era legata nella sua camera le disse: “Ti violenterò come violento mia figlia” prima di costringerla ad avere un rapporto sessuale. Howard Rubin avrebbe pagato le sue partner fino a 5000 dollari per ogni sessione di sesso Bdsm: tuttavia, secondo quanto dichiarano le sue presunte vittime, il finanziere sarebbe andato ben oltre quanto concordato. Fra le donne che lo accusano ci sono le modelle Emma Hopper e Amy Moore. I colleghi si dicono sorpresi delle accuse. “Pensavo fosse un bravo ragazzo. Era un ragazzo ebreo sbarazzino e assolutamente normale. Sono rimasto sorpreso di sentire che aveva quell’appartamento”, ha spiegato al New York Post un ex collega che ha lavorato con Rubin alla Soros Fund Management fondata dal finanziere George Soros. Altri, invece, parlano di una persona particolarmente irascibile e violenta anche sul posto di lavoro. “L’ho visto lanciare una sedia contro il suo computer” ha raccontato un ex collega al New York Post. “Disse di aver perso 50 milioni di dollari e lanciò la sedia. Poi tornò e la lanciò una seconda volta, ancora più forte”.
Chi è Howard “Howie” Rubin. “Howie”, come lo chiamano a Wall Street, è cresciuto in Massachusetts. Ha frequentato il Lafayette College e si è laureato in ingegneria chimica. Terminati gli studi, ha fatto da contatore di carte a Las Vegas, guadagnando migliaia e migliaia di dollari in poco tempo. Un’esperienza che forgerà tutta la sua successiva carriera di trader. Dopo essersi laureato ad Harvard, nel 1983 iniziò a lavorare per Salomon Brothers, dove diventò famoso nel mondo della finanza. Tutto sembrava filare liscio fino al 2017, quando piombarono su di lui le prime accuse di violenza sessuale da tre donne della Florida: Mia Lytell e Amy Moore, entrambe Playmate di Playboy, insieme alla ballerina Stephanie Caldwell. Secondo l’avvocato di Rubin, Edward McDonald, le donne firmarono dei rigidi accordi di non divulgazione, con sanzioni di almeno 500.000 dollari in caso di violazione, dove il sesso violento era ampiamente previsto. Ora la palla passa alla giustizia Usa, che dovrà decidere chi ha ragione fra le due parti.
Gabriele Rosana per "il Messaggero" il 3 agosto 2021. In Cina il movimento #MeToo non è finito. Accusato nelle scorse settimane sul web, Kris Wu, 30enne cantante, attore e modello sino-canadese con un patrimonio di oltre 50 milioni di follower online, è stato adesso arrestato dalla polizia del distretto di Chaoyang, nella capitale Pechino, per aver stuprato ripetutamente varie donne. Il suo profilo social è stato chiuso e gli sponsor che negli anni hanno associato i propri brand internazionali al volto della popstar - un esordio nel 2014 con la band coreana Exo, per poi intraprendere la carriera da solista - cominciano a ritirarsi.
ACCUSE SUI SOCIAL Le prime accuse contro Wu il vero nome è Wu Yifan, cittadino canadese ma originario del sud della Cina - hanno fatto capolino su Weibo, il social più usato nel gigante asiatico, una piattaforma di microblogging a cavallo tra Facebook e Twitter con più di mezzo miliardo di utenti attivi ogni mese. A decidere di uscire allo scoperto e parlare delle violenze a sfondo sessuale è stata una giovane donna, Du Meizhu, oggi 19enne ma all'epoca dei fatti minorenne. Du ha raccontato di un party a casa di Kris Wu, due anni fa, in presenza di vari membri dello staff della popstar e di altre ragazze. Studentessa di Scienze della Comunicazione, Du voleva incontrare il suo idolo per un'audizione e per tentare la strada nel mondo dello spettacolo: invitata nell'appartamento pechinese di Kris Wu, la giovane - nonostante i tentativi di lasciare la festa - racconta di esser stata spinta a bere alcolici e di essersi svegliata l'indomani nel letto del cantante. «Parlando con altre ragazze, ho saputo che quella era la loro tattica» per adescare giovani donne senza il loro consenso, ha riferito Du Meizhu, dopo esser stata contattata su Weibo da presunte vittime che avevano letto la sua confessione. Altre 24 ragazze, tra cui alcune minori, si sarebbero nel frattempo unite a lei denunciando le violenze sessuali da parte di Wu.
LA DIFESA La star del K-pop - il pop coreano - però, nega ogni accusa (ricordando che in Cina l'età del consenso è 14 anni), mentre i suoi legali annunciano querele. «Se fosse successo davvero mi sarei chiuso da solo dietro le sbarre», aveva scritto Wu sul social network prima che il suo profilo che aveva già cominciato a perdere seguaci - venisse chiuso dalla polizia. Tante le multinazionali e case di moda che avevano concluso importanti contratti pubblicitari con Kris Wu e che adesso hanno troncato i rapporti o sospeso le campagne: tra queste, Bulgari, Porsche, L'Oréal, Louis Vuitton e Tuborg. Tre le aziende collegate alla celebrità che hanno chiuso dopo l'esplosione del caso, mentre secondo alcune stime Wu potrebbe dover pagare 65 milioni di dollari in indennizzi alle sue controparti contrattuali. L'impatto dell'arresto s' è fatto sentire anche in Borsa: i prezzi delle azioni di società legate alla produzione della serie tv The Golden Hairpin hanno fatto registrare perdite ieri, alla chiusura dei listini di Hong Kong; mentre le pagine ufficiali dello sceneggiato hanno eliminato ogni riferimento a Kris Wu dai loro post online.
IL PARTITO SI SCHIERA L'arresto della popstar, in un Paese in cui a fatica si provano a smascherare violenze e ricatti a sfondo sessuale nel mondo dello spettacolo e tra le personalità più in vista, è presto diventato materia politica, tre anni dopo i primi episodi del #MeToo cinese. Mentre sul web prendeva piede la campagna di sensibilizzazione #GirlsHelpGirls, anche la stampa statale, fedele al Partito comunista al potere in Cina, si è schierata dalla parte delle accusatrici di Wu. «Non importa quanto sei famoso; chi viola la legge viene punito di conseguenza», ha scritto il Quotidiano del Popolo; parole a cui ha fatto eco lo stesso account ufficiale del Partito, su Weibo: «In Cina bisogna rispettare la nostra legge, che non fa torti ma neppure sconti». E per il Global Times, «adesso occorre riflettere sull'adorazione delle star che basano il loro successo sull'immagine costruita sui social anziché sul talento artistico».
Dagotraduzione dal Daily Mail il 27 luglio 2021. Il ricordo di quel giorno perseguita ancora Amy Jones. Incarcerata in una prigione femminile, credeva di essere al riparo dai predatori sessuali che fin dalla sua infanzia l’avevano afflitta. Ma la presenza che incombeva su di lei suggeriva altro. «Lo sguardo nei suoi occhi era spaventoso», dice Amy con voce calma ma decisa. «Mi ha guardato con disprezzo prima di lanciarsi in avanti e afferrarmi il seno con forza. Lo ha stretto e io ho gridato di dolore. Avevo il terrore che mi violentasse». La detenuta che ha aggredito sessualmente Amy - non possiamo identificarla legalmente, quindi la chiameremo J - è una donna transgender, con un certificato di riconoscimento di genere (GRC), e quindi indicata dal pronome femminile, ma con ancora genitali maschili. Amy era ben consapevole che J aveva ancora genitali maschili perché spesso intimidiva lei e le altre prigioniere dell'HMP Bronzefield ad Ashford, nel Middlesex, mostrandoli. Inoltre, J stava scontando una pena per una grave aggressione sessuale su un bambino ed era chiaramente un pericolo per le altre detenute. Eppure si era assicurata un ambito lavoro come addetta alle pulizie nella palestra della prigione dove lavorava anche Amy. Ed è stato mentre era nel blocco del bagno della palestra che, nel 2017, J l'ha aggredita. «Cosa pensavano gli ufficiali, lasciandole pulire i bagni in cui le donne sarebbero state svestite e sole? Perché c'era un molestatore sessuale su minori con un pene che puliva i bagni della palestra in una prigione femminile?». J aveva già affermato strenuamente il suo "diritto" di essere trattata esattamente come le altre donne prigioniere, anche se questo le terrorizzava chiaramente. «Quando J è andato a fare la doccia, la prigione ha messo un cartello sulla porta dicendo che nessun altro doveva entrare, perché sapevano che avrebbe potuto turbare le donne se l'avessero vista nuda, ma J si è opposto a questo e ha detto che era una violazione del i suoi diritti umani», dice Amy. «Ha detto: “Sono una donna e voglio fare la doccia con altre donne”. Poco prima di aggredirmi, è stata vista con la tenda della doccia aperta, i suoi genitali in piena vista delle altre donne». Amy, 38 anni, madre di una figlia, è una donna articolata; piccola di statura con folti capelli ramati e pelle bianco latte. Il giorno in cui ci incontriamo, in un bar, è stata scarcerata dopo aver scontato poco più della metà della sua condanna a nove anni iniziata per reati legati alla droga. È vestita elegantemente con una camicia nera e pantaloni color crema; arguta, intelligente per natura, ma anche molto arrabbiata. La ragione? Questo mese Amy ha appreso di aver fallito in una sfida di revisione giudiziaria alla politica del Ministero della Giustizia (MOJ) in relazione all'assegnazione di carceri femminili per transessuali ad alto rischio, compresi i reati sessuali come J. Amy ha anche intentato un'azione civile separata per danni contro Sodexo, la società che gestisce HMP Bronzefield, e il MOJ. Ha sostenuto, tramite i suoi avvocati, che la legge attualmente discrimina le donne detenute e che il governo non ha tenuto conto delle disposizioni dell'Equality Act che consentono determinate esenzioni per lo stesso sesso, consentendo a uomini e donne di utilizzare strutture separate in particolare circostanze delicate. Il caso, per il quale Amy non ha fornito prove, riguardava solo argomenti legali; né J ha affrontato alcuna indagine di polizia o accuse per la presunta aggressione. In una sentenza emessa via e-mail, Lord Justice Holroyde ha ammesso che Amy ha sollevato preoccupazioni reali e che «una parte sostanziale delle donne detenute è stata vittima di aggressioni sessuali e/o violenza domestica». Ha accettato che molti avrebbero potuto «soffrire di paura e ansia acuta se gli fosse stato richiesto di condividere l'alloggio e le strutture carcerarie con donne transgender con genitali maschili e condannate per reati sessuali e violenti contro le donne». Ha anche ammesso che le prove statistiche hanno mostrato che la percentuale di detenuti trans precedentemente condannati per reati sessuali era «sostanzialmente più alta» rispetto a detenuti uomini e donne non transgender. Tra il 2016 e il 2019, secondo la sentenza, sono state registrate 97 aggressioni sessuali nelle carceri femminili. Di queste, sembra che sette siano state commesse da prigionieri transgender senza GRC. Non è noto se siano state commesse da donne transgender con un GRC perché, a quanto pare, sono ignorate dalle cifre del governo. Ma il giudice ha detto che le statistiche «sono così basse di numero e così prive di dettagli da costituire una base non sicura per conclusioni generali». A marzo 2019, c'erano 34 donne transgender senza GRC assegnate a un carcere femminile. Si pensa che il numero di detenuti transgender con un certificato – come J – sia in cifre singole nell'intera popolazione carceraria. Prigionieri trans nati di sesso maschile sono stati autorizzati per la prima volta a richiedere un trasferimento nelle carceri femminili in Inghilterra e Galles nel 2016. Solo un anno dopo i rischi di questo tipo di politica sono stati chiariti quando uno stupratore condannato è stato trasferito nel carcere femminile HMP New Hall a Wakefield, West Yorkshire, e ha aggredito sessualmente due detenute. Karen White si è identificata come una donna ma era ancora legalmente un uomo e non aveva subito un intervento chirurgico. È stata incarcerata a vita nel 2018 da un giudice che l'ha bollata come predatrice «altamente manipolativa». Nonostante la storia di tali aggressioni, questo mese la corte ha deciso che, in definitiva, i diritti delle donne transessuali hanno prevalso sulle preoccupazioni delle detenute natali. Per Amy, a cui è stata data assistenza legale per perseguire il caso – di cui non ha beneficiato finanziariamente – la sentenza è profondamente ingiusta. Sostenendo che la legge deve essere cambiata, dice che l'equazione è semplice: «Se una donna trans provoca violenza contro le donne o reati sessuali contro donne o bambini, non dovrebbe essere in prigione con le donne». Le prigioniere transessuali erano già ospitate a Bronzefield quando Amy vi arrivò, subito dopo che la legge fu cambiata per ospitarle nelle carceri femminili. «È come mettere un drogato di crack in una casa di crack o un alcolizzato in un pub. Gli autori di reati sessuali non dovrebbero mai essere in prigione con le donne. La maggior parte delle donne ha subito abusi, violenze domestiche e stupri. E se qualcuno viene stuprato?». L'aggressione sessuale è avvenuta nei bagni della palestra, lasciati incustoditi e privi di telecamere. «Doveva essere il mio rifugio», dice Amy. «Mi sentivo così angosciata. La prigione è un posto orribile dove stare in qualsiasi circostanza, e questo ha reso le cose 100 volte peggiori».
Chiara Bruschi per "Il Messaggero" il 26 luglio 2021. Due terzi delle donne facenti parte delle forze armate britanniche hanno subito violenza sessuale, bullismo e molestie. Ovvero il 58% di quelle in servizio, percentuale che sale al 64% se si contano anche coloro che hanno lasciato la divisa. E l'esercito, dove a occupare le posizioni di potere sono principalmente gli uomini, ha fatto di tutto per non assicurare i responsabili alla giustizia, sminuire i reclami e le denunce delle vittime e nascondere l'accaduto. È il risultato sconvolgente del rapporto redatto dal Comitato sulle donne nelle forze armate, guidato dalla veterana Sarah Atherton membro del partito conservatore e parlamentare nella House of Commons. Quattromila le testimoni ascoltate durante l'inchiesta, alcune delle quali già in congedo. «Le storie che abbiamo raccolto dipingono un quadro difficile per le donne. Quando la vittima viene violentata nell'ambito militare spesso si trova a dover vivere e lavorare con il suo aguzzino, nella paura che raccontare l'accaduto possa rovinare per sempre la sua carriera», ha detto la deputata. Tra gli esempi «scioccanti», ci sono anche stupri di gruppo e richieste sessuali in cambio di promozione o avanzi di carriera. Alcune vittime hanno raccontato di essere state bullizzate per aver rifiutato le avances degli uomini. Altre hanno assistito alle aggressioni di gruppo subite dalle amiche ma si sono dette troppo spaventate per parlare. E per le soldatesse impegnate nelle zone di guerra l'ambiente diventa ancora più pericoloso. Rebecca è una delle soldatesse violentate che ha lasciato l'esercito, scrive la Bbc. Quando ha denunciato l'accaduto lo ha fatto non solo per ottenere giustizia ma anche per cambiare un sistema corrotto: «È un club di uomini e sai di essere in minoranza. Dicono che sei stata aggredita perché hai bevuto troppo. Dicono: questo è quello che sei e noi non ti crediamo». Sta continuando la sua battaglia con l'aiuto di una charity, il Centre for Military Justice, diretto da Emma Norton. Secondo quest'ultima chi ha il coraggio di formalizzare un reclamo va incontro alla fine della sua carriera e deve fare i conti con un cambiamento radicale nella propria vita. Sophia è stata un ufficiale della Royal Navy fino al 2017. È stata molestata e poi aggredita sessualmente dal suo capo ma i suoi tentativi di denuncia sono stati inutili, è stato come «andare contro un muro. L'esercito è un club per soli uomini», ha precisato, aggiungendo che un simile reclamo avvenuto sotto i loro occhi avrebbe rappresentato una «cattiva pubblicità per loro e per le loro carriere». Ha lasciato la marina militare e ha portato il suo aggressore in un tribunale civile. Una strada che il comitato responsabile dell'inchiesta ha inserito nelle conclusioni del rapporto, diretto al Ministero della Difesa. Togliere i casi di violenza e molestie sessuali dai tribunali militari e trasferirli in quelli civili dove la giustizia sembra essere molto più equa è infatti una delle soluzioni proposte: le condanne nell'ambito militare sono dalle 4 alle 6 volte inferiori rispetto al giudice civile. Insieme a questa raccomandazione, il comitato ha avanzato altre due richieste: che venga istituita un'autorità responsabile di gestire le accuse di bullismo, molestie e discriminazioni; e che alle donne vengano fornite uniformi e attrezzatura adeguate alla loro corporatura. Nel rapporto è infatti emerso che molte militari sono state mandate in combattimento con visiere e protezioni della misura sbagliata. Dettagli non da poco dal punto di vista della sicurezza e che avrebbe potuto costare loro la vita. Una grave mancanza, lamentano, che dimostra come il Ministero della Difesa non abbia ancora compiuto i passi necessari per migliorare l'accesso delle donne alla carriera militare. «Le soldatesse non stanno avendo giustizia. Ora ci è chiaro che i casi di violenza sessuale non possono essere giudicati dalla corte marziale - ha precisato la Atherton - Abbiamo ascoltato testimonianze di come gli ufficiali in alto grado abbiano nascosto le violenze e soprattutto i reclami per proteggere la loro stessa reputazione e carriera. Ci sono sicuramente anche altri ufficiali che vogliono fare la cosa giusta ma è evidente che il personale femminile è stato fortemente deluso da tutta la catena di comando». Uno scandalo che ricorda il MeToo del mondo del cinema. Con molte meno paillettes, ugualmente sconcertante.
Da liberoquotidiano.it il 24 luglio 2021. Si chiude con un maxi-risarcimento la brutta storia di molestie sessuali che ha coinvolto Joe Bastianich e il suo socio in affari Mario Batali. La star di Masterchef pagherà 600mila dollari di danni a 20 persone tra uomini e donne che hanno denunciato di aver subito abusi e molestie all'interno di tre celebri ristoranti newyorkesi di proprietà proprio di Bastianich e Batali. I fattacci si sono verificati in tre "templi" dell'alta cucina della Grande Mela, il Babbo, il Lupa e il Del Posto. A rivelare l'entità del risarcimento, spiega il Quotidiano nazionale, è stata la procuratrice generale dello Stato di New York Letitia James, che ha deciso sul patteggiamento. Il giudice ha tratteggiato un quadro fosco in un "ambiente di lavoro permeato da una cultura sessuale e fatto da ricatti e ritorsioni in violazione delle leggi cittadine e statali a difesa dei diritti umani". Tra i protagonisti degli abusi e delle angherie a sfondo sessuale uno dei manager dei ristoranti, che avrebbe chiesto ad alcune cameriere di rifarsi il seno per migliorare il loro aspetto fisico, mentre diversi camerieri avrebbero chiesto alle colleghe di inginocchiarsi davanti a loro. A pagare sarà anche la società di Batali e Bastianich, il colosso della ristorazione Batali&Bastianich Hospitality Group. Proprio a causa dello scandalo sessuale e mediatico, lo scorso aprile i due chef-imprenditori erano stati costretti a chiudere definitivamente il loro locale-simbolo il Del Posto a Manhattan.
Guido Santevecchi per il "Corriere della Sera" il 22 luglio 2021. Festa nella casa di Pechino di Kris Wu, famoso cantante e attore. Si beve molto. Tra le tante ragazze invitate una minorenne, stordita dall'alcol, si risveglia il mattino dopo nel letto di lui. Dopo qualche mese la studentessa denuncia la violenza sessuale, escono dall'ombra altre 24 accusatrici che raccontano di aver subito nel corso degli anni lo stesso trattamento finito in stupro. Violenze e ricatti sessuali nel mondo delle celebrità in Cina di solito sono ancora coperti da omertà, connivenze e dubbi dalla stampa statale e dalle autorità: sono le vittime che osano parlare a finire nei guai, isolate socialmente, a volte portate in giudizio per diffamazione. Decine di militanti femministe sono finite in carcere in passato. Questo caso sembra aver finalmente aperto la diga. Sul web è partito l'hashtag GirlsHelpGirls, che sembra potersi imporre come la versione mandarina di MeToo. Lui è Kris Wu, 30 anni e 50 milioni di follower, esordio come cantante in una band coreana, poi solista, attore e modello. La serie di denunce ha portato nel giro di due giorni alla condanna mediatica dell'idolo. Una dozzina di brand internazionali e cinesi che usavano il volto di Kris Wu hanno troncato i contratti pubblicitari: Porsche, Bulgari, L'Oréal, la birra Tuborg, il colosso dei video Tencent; Louis Vuitton, che ha solo sospeso la sua campagna pubblicitaria in via precauzionale, è stata criticata per non averla cancellata definitivamente. La punizione commerciale dovrebbe costare a Wu 500 milioni di yuan, 65 milioni di euro, scrive la stampa di Pechino. La prima accusatrice, Du Meizhu, che ora ha compiuto 19 anni, dice che era stata invitata alla festa dall'agente di Wu con la promessa di un aiuto per la sua aspirazione di fare l'attrice: «Era una trappola, mi hanno dato molto da bere... poi mi sono ritrovata nel suo letto. In seguito, parlando con altre ragazze, ho saputo che quella era la loro tattica». «Lo odio per quello che mi ha fatto, lo odio tanto che digrigno i denti nel sonno, odio anche me stessa, al punto che in questi mesi ho pensato al suicidio». Lui nega. «Non c'è stato sesso forzato! Non c'erano minorenni! Rilassatevi, se fosse successo mi chiuderei da solo dietro le sbarre», ha scritto in un post su Weibo, giocando sul fatto che in Cina l'età del consenso è a 14 anni. Il fiume dei commenti però lo condanna: «Non c'era consenso». E, soprattutto, lo scomunica la stampa statale. Il Global Times del Partito comunista titola sulla campagna #GirlsHelpGirls (l'hashtag è nato in inglese), osserva che «la giustizia deve fare luce», ma osserva che 25 ragazze non possono essersi inventate l'accusa di stupro. Il giornale coglie l'occasione per mettere in guardia contro lo star system alimentato dai social network: «Ora bisogna anche riflettere sull'adorazione delle star che fondano il loro successo sull'immagine costruita sui social network piuttosto che sul talento artistico». La notizia è stata commentata in un editoriale sul sito della Tv statale, quindi con il timbro del Partito: «Prima di diventare artista, bisogna comportarsi da esseri umani. Per l'uomo la virtù viene prima di tutto, l'artista ha una responsabilità sociale. La vicenda di Wu Yifan (questo il nome all'anagrafe di Kris, ndr ) non è più solo gossip, ma un grosso caso giudiziario che impegna le autorità competenti a indagare in quel mondo, perché di recente delle celebrità dello spettacolo hanno seminato una scia di immoralità, consumo di droghe, violenze, sfruttamento della prostituzione». Toni da crociata, ma meglio del silenzio omertoso.
Andrea Marinelli per corriere.it il 4 luglio 2021. La scarcerazione di Bill Cosby, condannato per violenza sessuale aggravata nel 2018 e liberato il 30 giugno dalla Corte Suprema della Pennsylvania per vizi procedurali, pesa sul bilancio del movimento #MeToo. Da quando è cominciato, esplodendo sui social nell’ottobre 2017, migliaia di uomini — e qualche donna — sono stati accusati di reati sessuali: oltre 200 persone hanno perso il lavoro a causa dei propri comportamenti — l’ultimo è stato nei giorni scorsi l’ex Ad di Teneo, Declan Kelly — ma se le condanne pubbliche sono state senza appello, quelle in tribunale sono state pochissime. Sette per la precisione, una delle quali, quella di Cosby per l’appunto, è stata poi annullata.
Chi sono i condannati? La popolarità del movimento ha avuto origine dalle accuse contro il potentissimo produttore cinematografico Harvey Weinstein, 69 anni, che il 24 febbraio del 2020 a New York è stato condannato a 23 anni di carcere per stupro e violenza sessuale nei confronti di un’aspirante attrice (nel 2013) e della sua assistente di produzione (nel 2006). Weinstein deve ancora affrontare 11 capi d’accusi a Los Angeles, mentre decine delle sue accusatrici hanno sottoscritto un accordo da 25 milioni di dollari. Uno dei casi più noti è quello di Larry Nassar, oggi 57 anni, ex dottore della nazionale americana di ginnastica che è stato denunciato per abusi da oltre 260 donne e ragazzine, alcune delle quali famosissime a livello globale: Nassar è stato condannato ad almeno 125 anni di carcere e non potrà uscire prima del 30 gennaio 2068, quando avrà 104 anni. Con il medico della nazionale americana è stato condannato anche William Strampel, ex preside della scuola di osteopatia della Michigan State University, dove Nasser lavorava: Strampel, 73 anni, era il supervisore di Nasser e ad agosto 2019 ha ricevuto una condanna a un anno per aver coperto le denunce e per aver fatto commenti sessuali ad alcune studentesse. È stato scarcerato a marzo 2020, dopo 8 mesi di galera. Un altro caso celebre è quello del fotografo francese Jean-Claude Arnault, oggi 74 anni, condannato a due anni di reclusione per stupro nel 2018 da un tribunale svedese. Arnault era stato accusato da 18 donne di stupri o molestie compiute nell’arco di 20 anni. A causa dello scandalo che lo ha coinvolto fu cancellato il premio Nobel per la Letteratura del 2018, assegnato l’anno successivo a Olga Tokarczuk. Secondo i media locali, Arnault avrebbe anche molestato la principessa Vittoria a un evento legato all’accademia svedese nel 2006, mentre in carcere – una prigione di massima sicurezza per sex offender – avrebbe ricevuto sanzioni disciplinari per aver fatto commenti sessisti sulle detenute. Una condanna pesantissima è stata ricevuta da Keith Raniere, 60 anni, leader della setta Nxivm: un tribunale federale di Brooklyn lo ha condannato a 120 anni di carcere per sfruttamento della prostituzione, sfruttamento sessuale di bambini, associazione a delinquere, lavori forzati e possesso di materiale pedopornografico. Insieme a Raniere è stata condannata anche l’ex attrice di Smallville Allison Mack, 38 anni, che si è dichiarata colpevole di aver reclutato donne per il leader della setta di cui faceva parte: il 30 giugno ha ricevuto una condanna a tre anni di carcere.
Gli altri casi. Il più importante è quello di Jeffrey Epstein, finanziere newyorkese e amico dei potenti — da Bill Gates a Bill Clinton, fino a Donald Trump — che il 10 agosto 2019, a 66 anni, si è suicidato in un carcere di New York dove era rinchiuso in attesa di processo per sfruttamento sessuale di minori. Epstein era già stato in prigione per 13 mesi in Florida, prima di essere rilasciato: con l’esplosione del #MeToo erano riemerse le accuse di 36 ragazze, alcune giovanissime, ed era tornato in carcere. In carcere è rinchiusa ancora Ghislaine Maxwell, ex fidanzata di Epstein per il quale procacciava ragazze minorenni. Ereditiera britannica, 59 anni, era fuggita al momento del mandato di arresto ed è stata fermata in New Hampshire il 2 luglio 2020. È detenuta senza cauzione — per evidente pericolo di fuga — nel carcere di Brooklyn, in attesa di due diversi processi in programma a novembre: uno per spergiuro e uno per sfruttamento sessuale. Rinchiuso in carcere senza cauzione dal luglio 2019 c’è anche il rapper R. Kelly, 54 anni, accusato di reati sessuali aggravati e di aver offerto tangenti a un funzionario del governo dell’Illinois affinché fornisse documenti falsi alla 15enne Aaliyah Haughton, prima che i due si sposassero. R. Kelly deve rispondere di 22 capi d’accusa per reati sessuali, traffico di esseri umani, associazione a delinquere, pedopornografia, rapimento, lavori forzati e ostruzione della giustizia. Numerosi, infine, i casi di accordo: da segnalare l’ultimo, quello da 2,2 milioni di dollari raggiunto il 30 giugno da James Franco, 43 anni, per chiudere una class action presentata da due studentesse. L’attore era accusato di aver obbligato i suoi studenti di cinema a girare scene esplicite di sesso davanti alla telecamera: Franco ha sempre negato le accuse, confermate da almeno cinque donne, ma ha accettato l’accordo che ora dovrà essere approvato dal giudice di Los Angeles.
Da "Il Giornale di Sicilia" il 30 giugno 2021. Bill Cosby esce di prigione. La Corte Suprema della Pennsylvania ha ribaltato la condanna per stupro dell’attore di 83enne che ha già scontato oltre due anni di reclusione. L’uscita dal carcere di Philadelphia dopo appena due anni di prigione è l’ultimo capitolo di quello che per tutti, prima delle accuse di stupro, era «Americàs Dad», il papà d’America. Si parla di un errore procedurale. Ottantatrè anni, condannato a dieci anni, in attesa di lasciare la prigione da un momento all’altro, Bill Cosby è famoso al grande pubblico soprattutto per la serie tv «I Robinson», da lui prodotta e ideata. Negli anni '80 fu la serie più seguita negli Stati Uniti. Tutti si erano appassionati alle disavventure del dottor Cliff Robinson e della sua ordinaria famiglia afroamericana. Dagli anni duemila però si era aperto un nuovo capitolo della vita del protagonista del famoso «Cosby Show»: più di cinquanta donne lo avevano accusato di stupro e abusi sessuali, reati che sarebbero cominciati fin dagli anni '60. Molte delle vittime raccontarono di essere state violentate dopo che l’attore e regista le aveva narcotizzate. Tre anni fa, dopo un primo processo concluso in un nulla di fatto, era arrivata la condanna, con una pena che va da tre a dieci anni. Lui non si era mai mostrato pentito, sostenendo invece di essere pronto a scontare tutta la pena in prigione. La scarcerazione non arriva perché Cosby non è stato ritenuto colpevole, ma per una questione tecnica: la Corte Suprema dello stato ha scoperto che l’ex attore aveva ottenuto da un procuratore la garanzia a non essere incriminato per le presunte molestie nei confronti dell’ex giocatrice di basket della nazionale canadese Andrea Constand, che nel 2005 diventò la principale accusatrice.
Giuseppe Sarcina per il "Corriere della Sera" l'1 luglio 2021. Bill Cosby torna in libertà. Ieri la Corte Suprema della Pennsylvania ha annullato la sentenza che il 26 aprile del 2018 lo aveva condannato per violenza sessuale aggravata, con una pena dai 3 ai 10 anni di carcere. La Corte, ultima istanza a livello statale ha accolto la richiesta degli avvocati di Cosby: il processo iniziato nel dicembre del 2015 dalla Procura di Montgomery County non è stato equo e corretto. Per due motivi. Primo: il sostituto procuratore Kevin Steele riaprì un'inchiesta che era stata chiusa dieci anni prima, con un accordo stragiudiziale e con la promessa dei magistrati di non incriminare l'attore. Secondo: il dibattimento in aula fu condizionato dalla testimonianza di altre vittime, estranee, però, al merito della causa. Cosby, 83 anni, una delle più popolari star di Hollywood negli anni Ottanta, in questi tre anni si è sempre proclamato innocente, rifiutando di partecipare ai programmi di recupero e quindi rinunciando alla possibilità di ottenere gli arresti domiciliari. I suoi guai giudiziari cominciano con la denuncia di Andrea Constand, un'ex impiegata dalla Temple University di Philadelphia. I fatti risalgono al 2004. Dagli atti del dibattimento emerge un ritratto di Cosby decisamente lontano dal «Signor Robinson», il buon padre di famiglia, attento e affettuoso, della celebre serie televisiva. Per anni l'attore, cantante, musicista, sceneggiatore e produttore dedicava le serate a organizzare cene e feste nella sua casa di Cheltenham Township, un sobborgo a Nord di Philadelphia. Cosby, sposato dal 1964, cinque figli, premiato nel 2002 con la presidenziale «Medal of Freedom», aveva commentato: «Sono sempre stato un incorreggibile playboy, ma non uno stupratore». Quella notte del 2004 preparò il campo per Andrea Constand, allora trentunenne, una conoscente che lavorava per la squadra di basket della Temple University. La donna sostiene di essere rimasta intrappolata: prima drogata e poi costretta a un rapporto sessuale. Cosby ha fatto mettere a verbale che sì, ci fu «un rapporto sessuale, ma con il pieno consenso» della giovane. Andrea denunciò subito l'aggressione. Lo showman rilasciò una lunga deposizione. Le parti raggiunsero un accordo rimasto riservato. E gli inquirenti garantirono a Cosby che non sarebbe stato perseguito. Senonché, dieci anni dopo, il sostituto procuratore Steele accolse la richiesta di avere copia del verbale, avanzata dai nuovi avvocati di Andrea Constand, che aveva deciso di uscire ancora allo scoperto. Steele fece riaprire il caso, violando, ha stabilito la Corte Suprema della Pennsylvania, l'intesa raggiunta da altri magistrati con l'imputato. Nel luglio del 2015 il documento finì sulla prima pagina del New York Times. A quel punto si fecero avanti altre 35 donne, con accuse di molestie sessuali più o meno pesanti nei confronti di Cosby. Sei di loro, tra le quali l'ex top model Janice Dickinson, accettarono di testimoniare in aula. I procuratori conclusero che Cosby fosse un predatore seriale. Ed è anche su questo aspetto che hanno fatto leva i difensori di Cosby: la giuria avrebbe dovuto giudicare solo i fatti denunciati da Constand, non uno schema di comportamento abituale (e criminale). Nel 2018 la condanna di Cosby fu la prima dell'era del movimento #MeToo. Oggi la sua scarcerazione sta già suscitando forti polemiche.
Micol Sarfatti per il "Corriere della Sera" il 17 giugno 2021. Una delle donne più ammirate di Francia non ha mai avuto una buona opinione di sé. Anne Sinclair, star tv, giornalista, scrittrice ed ex moglie del già presidente del Fondo Monetario Internazionale, e candidato all' Eliseo, Dominique Strauss-Kahn si confessa nell' intervista a Stefano Montefiori sulla copertina di 7, il magazine del Corriere da domani in edicola e su Digital Edition. Sinclair, in occasione dell'uscita dell'autobiografia Passé Composé, (Passato Prossimo), edita in Italia da Garzanti, ammette di essere sempre stata molto critica con sé stessa. «Per esempio non ho mai voluto riguardare una mia trasmissione, convinta che non mi sarebbe piaciuta», racconta. «Credo che dipenda anche dai rapporti non sempre semplici che ho avuto con mia madre. Era molto esigente, bisognava che io fossi perfetta ma non lo sono mai stata. Questo però mi ha dato molta voglia di battermi e di impegnarmi». Una dinamica ripetutasi anche nel matrimonio con Strauss-Kahn: «Ho sempre avuto questa difficoltà a dispiacere alle persone alle quali tengo, bastava che mia madre mi dicesse "stai male con i capelli così" e mi colpiva. Quindi, quando il mio marito di allora voleva andare a Washington per essere direttore del Fondo monetario internazionale, l'ho seguito anche se avrei preferito di no». Sinclair è rimasta al fianco di Strauss- Khan durante il processo per violenza sessuale che lo ha coinvolto nel 2011 a New York. Hanno divorziato nel 2013, oggi ha un nuovo compagno: Pierre Nora. «Dopo la vicenda Sofitel dovevo nascondermi per non farmi inseguire dai paparazzi. Poi un giorno quell' interesse morboso dei media è finito», conclude. «Sono tornata alla vita professionale. Alla famiglia, alla scrittura, all' amore». Poi un ricordo di Silvio Berlusconi: «Voleva a tutti costi strapparmi a Tf1 per portarmi alla Cinq, il canale che stava per lanciare in Francia. Mi invitò a pranzo vicino all' Arco di Trionfo a Parigi e fu una scena incredibile: al momento del dessert si mise in ginocchio, e fece tutto il giro del tavolo sempre in ginocchio per supplicarmi: "Le darò ciò che vuole! Una Ferrari? Le darò una Ferrari. Vuole dei milioni? Le darò i milioni". La sola volta in vita mia in cui ho avuto un uomo in ginocchio davanti a me». A seguire un intervento di Teresa Ciabatti. La scrittrice analizza come il caso di Strauss -Kahn sia stata la breccia che ha aperto la strada al movimento #MeToo , rompendo la rete di protezione. Poi riflette sulle difficoltà che affrontano le vittime per essere credute: «Le donne che hanno subito abusi sembrano non essere mai abbastanza credibili. Nessuna ha i requisiti della vittima: purezza, innocenza, camicette dal collo tondo, sguardo basso, niente trucco. È uno dei problemi nelle accuse di violenza sessuale: essere all'altezza del ruolo di vittima. Gli avvocati consigliano le assistite di adattare il tono di voce, piangere, magari menzionare figli e genitori, meglio se morti».
«Eccolo il cortocircuito ferocissimo - conclude Ciabatti - mentre la difesa degli uomini attacca l'attendibilità delle vittime, quella delle donne anziché rivendicare i fatti, pretendere di attenersi ai fatti, si piega al ricatto della rappresentazione, cercando di assecondare l'ideale di donna credibile dell'immaginario maschile».
Marina Valensise per “Il Messaggero” il 6 giugno 2021. Anne Sinclair è una star della tv famosa per i faccia a faccia con politici, artisti, intellettuali che ogni domenica sera dal 1984 al 1997 raccoglievano sei milioni di spettatori. È anche la nipote di Paul Rosenberg, il gallerista amico di Picasso e espatriato in America per sfuggire la persecuzione nazista. E soprattutto è stata la moglie di Dominique Strauss-Kahn, il direttore del Fondo Monetario Internazionale, candidato in pectore alle presidenziali del 2012, che ha visto precipitare da un giorno all'altro le sue ambizioni, quando, bloccato su un volo Air France in partenza per Parigi, è stato arrestato dalla polizia di New York e sbattuto a Rikers Island per la denuncia di una cameriera di colore che lo accusava di averla stuprata, poco prima, in una stanza del Sofitel. Ricorderete lo scandalo planetario, la muta di reporter in cerca di scoop, il sospetto di complotto. Quel giorno Anne Sinclair si vide crollare il mondo addosso. Vent'anni prima, conquistata da quel brillante universitario dagli occhi di brace, intelligentissimo e gran seduttore, patito di scacchi, giochi strategici, grandi viaggi, e padre di quattro figli, aveva lasciato il padre dei suoi due figli per convolare con lui. Quando poi DSK era diventato ministro del governo socialista di Lionel Jospin, aveva abbandonato il suo programma tv, per evitare il conflitto di interessi. E quando gli proposero la direzione del Fondo Monetario Internazionale, per compiacerlo e per evitare i sensi di colpa che lui abilissimamente instillava in lei, decise di seguirlo a Washington, rinunciando al suo lavoro per tuffarsi nella ristrutturazione della casa comprata a Georgetown e nella noia anonima della vita americana, che sarebbe saltata in aria per Nafissatou Diallo. Da allora, Anne Sinclair ha aspettato dieci anni per raccontare il dramma della sua vita e il perché fosse scritto nel suo destino. Lo ha fatto con un libro di memorie che respira la dolcezza della vecchiaia appagata. Redenta grazie all'amore senile e gioioso di Pierre Nora, grande editore e uomo di cultura, da nove anni suo compagno di vita, Anne Sinclair guarda con spassionato distacco il suo passato. Passato innanzitutto famigliare di figlia unica e viziata di un padre adorante e fiero e di una madre depressa, fredda, esigente e frustrata sino alla gelosia nei suoi confronti. Passato professionale della giornalista che scopre da bambina la passione per l'attualità, ascoltando alla radio le notizie della guerra d'Algeria, e della ragazza ostinata che con molta fortuna, tanto lavoro e non poco fascino s'avvia a diventare la gloria catodica nazionale da venerare come una santa. Infine, il passato coniugale che affronta con la pudicizia che merita il racconto della discesa agli inferi. Ci regala così un libro colorato e pieno di saggezza, da consigliare agli smaniosi della ribalta e ai tanti morti di fama che sebbene sia mutata la natura del giornalismo e dell'informazione, continuano a scambiare la notorietà per la credibilità, col rischio di precipitare nella depressione. In un capitolo da lei stessa definito «impossibile», rivela tutto quello che può rivelare una donna ferita, umiliata, fatta a pezzi dalla muta planetaria di reporter che assediavano il mostro stupratore del marito. «Non si lascia un uomo a terra», proclama fiera. E però, forte come una vittima redenta dall'amore, resiste alla tirannia della trasparenza, ammette di non scrivere tutto quello che ha vissuto (e infatti tace del processo conclusosi con un indennizzo), ma di scrivere solo la verità, e si dichiara ignara, respingendo le accuse di complicità, la brama di potere e l'ambizione mondana, sino alla catarsi di confessare le sue fragilità, come l'ansia, l'insicurezza, la dipendenza emotiva nei confronti dell'ex marito, al quale inconsciamente attribuiva lo stesso ruolo di sua madre, l'anaffettiva frustrata.
Stefano Montefiori per il "Corriere della Sera" il 27 maggio 2021. Il 14 maggio 2011 Dominique Strauss-Kahn, direttore del Fondo monetario internazionale e grande favorito per l'elezione presidenziale francese del 2012, viene fatto scendere dall' aereo Air France che sta per riportarlo da New York a Parigi, poi viene arrestato e incarcerato con l'accusa di avere violentato Nafissatou Diallo, cameriera all' albergo Sofitel. Nei giorni della battaglia giudiziaria, che si concluderà con una transazione finanziaria, il mondo assiste alla dimostrazione di dignità e forza di Anne Sinclair, star del giornalismo francese, che nel momento più grave resta accanto al marito pagandogli l'appartamento degli arresti domiciliari e mostrandosi al suo fianco in tribunale. Dieci anni dopo, ormai divorziata da Dominique Strauss-Kahn (detto DSK) e sposata con lo storico Pierre Nora, Anne Sinclair parla per la prima volta del rapporto che aveva con l' ex marito e dei giorni drammatici che hanno cambiato la storia di Francia (all' Eliseo andò poi François Hollande) e la sua vita. «È dipeso forse da lui, ma forse anche da me: ho riprodotto lo schema della dipendenza che mi legava a mia madre - ha detto Sinclair al settimanale Elle -. Stavo con lui nel terrore del disaccordo e nella paura di deluderlo. Ero soggiogata? Non so, in ogni caso si trattava di sottomissione e accettazione». Una confidenza sorprendente, per una donna di grande successo e dalla personalità forte come Anne Sinclair. Suo nonno Paul Rosenberg fu il più grande mercante d'arte del XX secolo, costretto perché ebreo a fuggire a New York dove lei nacque Anne Schwartz, nel 1948, prima di essere naturalizzata in Francia come Sinclair. Da bambina Picasso la teneva sulle ginocchia, da adulta Anne Sinclair è stata la star del giornalismo francese di qualità, raccogliendo negli anni Ottanta e Novanta fino a 12 milioni di spettatori ogni domenica sera per le celebri interviste con i protagonisti della politica, tra i quali un giovane Dominique Strauss-Kahn. A pochi giorni dall' uscita nelle librerie del libro di memorie Passé composé (Grasset), Sinclair vuole chiarire due cose importanti a proposito dei fatti del 2011: «Contrariamente a tutto quello che è stato detto, io non avevo voglia di andare all' Eliseo come première dame, e neanche lui del resto». Poi, «voglio che si capisca che non sapevo niente dei comportamenti di mio marito». L' anno successivo allo scandalo del Sofitel, il caso dell'hotel Carlton di Lille mostrò uno Strauss-Kahn ossessionato dal sesso e dai tradimenti ai danni della moglie. «Non ne sapevo nulla. So che è molto difficile da accettare, e se me lo raccontassero altri io stessa non ci crederei, eppure è così». DSK «aveva un potere di persuasione molto forte», fino al processo di Lille, quando fu costretto a raccontare in aula dei numerosi incontri libertini con molte ragazze che ignorava, così sosteneva, fossero prostitute. «Lì ho capito che era finita, bastava così», dice ora l'ex moglie. Sinclair non si pente di avere aiutato Strauss-Kahn a New York: «Non si lascia cadere un uomo quando è a terra. Mi spiace solo che tra noi non ci sia mai stato un chiarimento di fondo».
"Violentata e abbandonata incinta in strada". Novella Toloni il 21 Maggio 2021 su Il Giornale. Nel primo episodio della docu-serie "The Me You Can't See", la popstar ha rivelato di essere stata stuprata da un produttore musicale quando aveva 19 anni e di aver subito un crollo psicologico devastante. "Mi disse 'togliti i vestiti'. Io dissi di no e me ne andai. Mi disse che avrebbe dato fuoco a tutta la mia musica. Avevo 19 anni". Queste le prime parole della toccante confessione che Lady Gaga ha fatto nel corso della prima puntata di The Me You Can't See, la docu-serie americana sulla salute mentale creata dal principe Harry e Oprah Winfrey. La popstar di origini italiane è una delle protagoniste della serie trasmessa su Apple TV+, prodotta dalla multinazionale in collaborazione con il principe Harry e la giornalista statunitense. Nel primo episodio Lady Germanotta ha rievocato, tra le lacrime e lo sconforto, il trauma vissuto quindici anni fa quando, agli esordi della sua carriera musicale, subì abusi sessuali dal suo produttore musicale di allora "violentata e l'ha lasciata incinta in un angolo di strada". Abusi, violenze e prevaricazioni che l'hanno portata ad un dramma più profondo e privato fatto di episodi di autolesionismo. "Sono diventata insensibile - ha raccontato Lady Gaga nel video - Provavo dolore, poi niente, quindi stavo male per settimane. Sai perché non fa bene tagliarsi? Sai perché non è giusto buttarsi contro il muro? Sai perché non fa bene l’autolesionismo? Perché ti fa stare peggio. Solo dopo ho capito che era lo stesso dolore che ho provato quando la persona che mi ha violentata mi ha lasciata incinta in un angolo, fuori da casa dei miei genitori perché non stavo bene e continuavo a vomitare". La cantante e attrice - che presto uscirà nelle sale con il suo nuovo film House of Gucci, dove interpreta Patrizia Reggiani - ha raccontato di aver avuto un "devastante crollo psicologico" dopo le violenze subite e di essere piombata in uno stato di "totale paranoia" durato per diversi anni. "Mi hanno fatto così tante risonanze magnetiche in cui non trovavano nulla. Ma il tuo corpo ricorda tutto", ha confessato nella prima puntata del programma. Ad aiutarla nel suo percorso di ricostruzione è stata anche la psicanalisi: "Sono stata rinchiusa in uno studio di uno psichiatra per mesi poi tutto ha iniziato a cambiare lentamente. Adesso le cose vanno meglio". Lady Gaga scelse la musica, scrivendo "Til It Happens to You" brano del 2015, per raccontare per la prima volta il trauma della violenza e degli abusi. Oggi, nonostante siano passati diversi anni, il ricordo fa ancora male e le lacrime versate nella docu-serie parlano da sole.
Da "leggo.it" il 21 maggio 2021. Lady Gaga choc. La pop star americana ha rivelato di essere stata violentata a 19 anni da un produttore musicale che "l'ha lasciata incinta in un angolo" dopo mesi di abusi. La pop star e vincitrice dell'Oscar ha parlato tra le lacrime mentre rievocava il suo trauma durante un'apparizione in “The Me You Can't See” , una nuova docuserie sulla salute mentale interpretata e co-creata dal principe Harry e Oprah Winfrey . Nel primo episodio dello show, Gaga dice che era diventata autolesionista da quando era "molto giovane" e che molti dei suoi problemi derivavano da traumi che ha vissuto come aspirante musicista.
IL DRAMMATICO RACCONTO. “Avevo 19 anni e stavo muovendo i primi passi nel settore, e un produttore mi disse ‘togliti i vestiti’. Io dissi di no e me ne andai. Mi disse che avrebbe dato fuoco a tutta la mia musica", ha ricordato Lady Gaga nell’intervista parlando di un "dolore totale" lungo mesi: "Poi sono diventata insensibile. Successivamente ho capito che era lo stesso dolore che ho provato quando la persona che mi ha violentata mi ha lasciata incinta in un angolo, fuori da casa dei miei genitori perché non stavo bene e continuavo a vomitare. Perché avevo subito un abuso. Sono stata rinchiusa in uno studio per mesi". L’artista ha aggiunto di essere stata in preda a lungo di una totale crisi psicologica durata circa due anni: "Mi hanno fatto così tante risonanze magnetiche in cui non trovavano nulla. Ma il tuo corpo ricorda tutto", ha commentato ancora per poi rivelare di aver affrontato "un altro nemico, l’autolesionismo". "Sai perché non fa bene tagliarsi? Sai perché non è giusto buttarsi contro il muro? Sai perché non fa bene l’autolesionismo? Perché ti fa stare peggio. Pensi che ti sentirai meglio perché stai mostrando a qualcuno, ‘Guarda, sto soffrendo.’ Ma la verità è che non aiuta", il pensiero di Lady Gaga che ha spiegato, infine, la serenità di un presente frutto di un lungo lavoro su se stessa: "Tutto ha iniziato a cambiare lentamente. Adesso le cose vanno meglio".
R.Fra. per il "Corriere della Sera" il 18 maggio 2021. Dieci anni da incubo, fatti di abusi fisici, sessuali e psicologici. La vita di Mel B, star planetaria grazie al successo delle Spice Girls, assomigliava a un inferno: all'esterno si mostrava sfavillante per stile di vita - il successo, i soldi, i matrimoni (perché anche cambiarli è sinonimo di benessere) - e all'interno doveva soccombere alle continue sopraffazioni dell'uomo che in teoria doveva amarla, il produttore Stephen Belafonte con cui è stata sposata dal 2007 al 2017. Mel B ha raccontato al Guardian come la sua vita fosse diventata un castello di bugie mentre invece annunciava al mondo di non essere mai stata più felice che con Belafonte (che ha sempre negato le accuse). «Era mio dovere mentire perché nella mia mente non c'era via d'uscita. Vivi in un incubo, ma dici a tutti che va bene perché sei così imbarazzata, e piena di sensi di colpa, e preoccupata che nessuno ti creda». Mel B oggi ha 45 anni e tre figli con tre padri diversi. Per salvarsi è tornata a Leeds da sua madre. Se le cicatrici fisiche non hanno lasciato segni - si è anche fatta cancellare un tatuaggio dedicato al marito e si è impegnata in un video contro la violenza domestica - quelle psicologiche sono permanenti: «Quel tipo di traumi non si possono cancellare. Gli incubi? Prima era quasi ogni notte, ora sono due volte al mese».
Il "Me too" di Benedetta: "Ho chiesto alle donne di raccontarmi le molestie, in due ore mi hanno scritto in 83". Erica Manna su La Repubblica il 22 aprile 2021. Una 23enne di Genova dopo la violenza subita da un'amica ha deciso di scoperchiare il vaso di Pandora. Ad oggi le storie che ha raccolto sono più di 300, 21 firmate con nome e cognome. E la sua petizione su Change è già oltre le 12mila firme. Le è capitato, spesso. Fischi, frasi di apprezzamento urlate per strada: lei accelerava il passo. E poi sull'autobus: qualcuno che si avvicina troppo, che si struscia, e lei che cerca di convincersi che forse è un caso, il mezzo è affollato, si sta stretti. "Mi sono resa conto che avevo sempre cercato di rimuovere questi episodi.
Dagotraduzione dal Mailonline il 30 aprile 2021. Il premio televisivo Bafta ha sospeso il pluripremiato regista e attore britannico Noel Clarke dopo che 20 donne lo hanno accusato di molestie sessuali, palpeggiamenti e bullismo tra il 2004 e il 2019. Ritirato anche il premio che gli era stato consegnato qualche giorno fa alla Royal Albert Hall, durante la serata di premiazione. Una delle presunte vittime, che ha lavorato con Clarke tra il 2014 e il 2017, ha raccontato di aver subito palpeggiamenti durante un viaggio in ascensore. Inoltre, secondo diversi resoconti, Clarke ha mostrato ai suoi colleghi foto e video sessualmente espliciti. Altre donne hanno denunciato contatti fisici non desiderati, tra cui baci e carezze. Una in particolare, che da adolescente aveva recitato in Kidulthood, il film d'esordio di Clarke, ha detto che un giorno, verso l'inizio delle riprese, «mi ha messo la lingua in bocca» e in seguito l'avrebbe costantemente afferrata e avrebbe cercato di baciarla. La notizia, che è stata diffusa ieri sera poco prima che la tv inglese trasmettesse il nuovo crime Viewpoint in cui Clarke è protagonista, ha suscitato numerose polemiche. Secondo gli utenti lo spettacolo non andava trasmesso. Critiche sono arrivate anche per la decisione dei Bafta di premiare Clarke lo scorso 10 aprile: The Guardian ha infatti fatto sapere di aver informato delle accuse i responsabili ben 13 giorni prima la consegna dei premi. Intanto sui social è tornato a circolare un video del 2019 in cui l'attore usa il microfono come un pene durante un evento dedicato al Doctor Who. Clarke si è difeso dicendo che «in 20 anni di carriera ho messo l'inclusività e la diversità in prima linea nel mio lavoro e non ho mai avuto un reclamo contro di me. Se qualcuno che ha lavorato con me si è sentito a disagio o poco rispettato, mi scuso sinceramente. Nego con veemenza qualsiasi condotta sessuale scorretta o illecita e intendo difendermi da queste false accuse». L'attore e regista, 45 anni, sposato con l'ex truccatrice Iris Da Silva, tre figli, ha scritto e interpretato la trilogia cinematografica Kidulthood, Adulthood e Brotherhood, oltre ad aver partecipato a molti successi televisivi tra cui Doctor Who.
Usa, il biografo di Philip Roth accusato di molestie: stop al libro. La Repubblica il 22 aprile 2021. Diverse studentesse hanno accusato l'autore, Blake Bailey, di averle molestate o aggredite sessualmente. Fermate le consegne del volume sul grande scrittore americano scomparso tre anni fa. L'autore della biografia di Philip Roth, uno dei libri più attesi della scena letteraria Usa nel 2021, è accusato di molestie sessuali e la casa editrice ha deciso di sospenderne la promozione. Diverse donne hanno recentemente accusato l'autore, Blake Bailey, di averle molestate o aggredite sessualmente: le testimonianze contro Bailey, sono arrivate da ex studentesse dell'epoca in cui insegnava in un college di New Orleans negli anni '90. Tre donne hanno detto al quotidiano Times-Picayune, in Louisiana, di essere rimaste in contatto anche da adulte con Bailey, il quale avrebbe approfittato della fiducia stabilita per avviare avventure sessuali. Una di loro lo ha accusato di stupro. Altre testimonianze evocano comportamenti inappropriati sui social network. La sua agenzia, The Story Factory, ha confermato all'Afp "di aver smesso di rappresentarlo" subito dopo essere stata informata delle accuse contro Bailey, a partire da domenica. Ieri il suo editore, W. W. Norton, ha fatto sapere che le consegne del libro, intitolato semplicemente "Philip Roth: The Biography", pubblicato il 6 aprile, sarebbero state sospese. "Abbiamo deciso di sospendere le consegne e la promozione" della biografia, ha detto un portavoce dell'editore, che ha definito "gravi" le accuse, citate da diversi media americani. Ier il libro era ancora disponibile su Amazon e venduto nella categoria critica letteraria. Bailey, 57 anni, "ha negato categoricamente le accuse" contro di lui. La biografia del compianto Philip Roth, uno dei più grandi autori americani contemporanei, scomparso nel maggio 2018, è stata presentata come uno dei libri più attesi del 2021 e acclamata dalla critica americana. Il New York Times Book Review aveva in particolare qualificato il lavoro, di circa 900 pagine, come un "capolavoro narrativo". Già noto per i suoi lavori sugli scrittori John Cheever e Richard Yates, Blake Bailey aveva beneficiato della collaborazione di Philip Roth e di un accesso quasi illimitato ai suoi archivi personali.
Paolo Mastrolilli per "la Stampa" il 29 aprile 2021. Dunque finirà al macero, la biografia di Roth. Perché l'autore Blake Bailey, che tanto aveva indugiato sul complicato rapporto di Philip con le donne, è stato a sua volta accusato di averne molestate almeno due. Il che, senza nulla togliere alla gravità delle denunce, sta riaprendo la polemica sulla «cancel culture», ormai tracimata oltre la sacrosanta questione del movimento #MeToo. L' annuncio è stato fatto dalla W.W. Norton, casa editrice di Philip Roth: The Biography. La presidentessa Julia Reidhead ha detto che il libro «verrà messo fuori stampa in maniera permanente». Se vorrà, l'autore sarà libero di cercarsi un altro editore, ma non riceverà i compensi pattuiti, donati a organizzazioni che combattono gli abusi sessuali. Ciò perché «Norton dà ai suoi autori una piattaforma potente nello spazio civico. Con questo potere, viene la responsabilità di bilanciare i nostri impegni con gli scrittori, il riconoscimento del nostro ruolo pubblico, e la conoscenza del fallimento storico della nostra nazione nell' ascoltare adeguatamente e rispettare le voci delle donne e dei gruppi diversi». Bailey era stato scelto personalmente da Roth come suo biografo ufficiale, quando nel 2012 aveva licenziato l'amico Ross Miller. La missione che l'autore della Pastorale americana gli aveva affidato non era quella di farlo risplendere, ma piuttosto di renderlo interessante. Ciò aveva incluso svariate pagine dedicate alle relazioni con le donne, che avevano spinto il New York Times a titolare così la recensione della biografia: «La vita di un maestro della letteratura come playboy offeso». Offeso dalle ex mogli e fidanzate che lo tormentavano, dai loro figli, dal Rabbinical Council of America che lo accusava di antisemitismo, dai membri del Nobel Committe che gli avevano preferito Bob Dylan. Uscito il 6 aprile, il libro aveva attirato critiche e generato vendite. Norton ci puntava, tanto che aveva ordinato una stampa iniziale di 50.000 copie. A quel punto è emerso l'imprevisto, oppure l'incidente che la casa editrice doveva aspettarsi, essendone stata informata in anticipo. Due donne, tra cui Valentina Rice, avevano accusato Bailey di molestie sessuali, commesse quando insegnava inglese alla Lusher School della Louisiana. Reidhead ha ammesso di aver sottovalutato le denunce ricevute prima della pubblicazione, ma l'indagine condotta in seguito ha chiarito le colpe e resa necessaria la cancellazione del libro. L'avvocato dell'autore, Billy Gibbens, ha rimproverato a Norton di aver «preso la drastica decisione unilaterale di ritirare le copie della biografia sulla base di accuse false e infondate». Suzanne Nossel, capo di Pen America, ha commentato che capisce la necessità di «non premiare autori davanti a voci e rivelazioni orribili», però «pubblicare un libro dovrebbe significare che l'editore crede contenga qualcosa di edificante, elucidante e di valore. Ciò non dovrebbe essere visto come un appoggio delle idee, o della condotta personale dell'autore». Così torniamo alla polemica sulla «cancel culture», che ormai tormenta gli Usa e non riguarda solo #MeToo. Infatti, oltre ai libri di Woody Allen o Mark Halperin, ora è in dubbio anche quello di Mike Pence, screditato dal fatto di essere stato il vice di un presidente che ha incitato l'assalto al Congresso. In altre parole, se Bailey ha violato la legge merita di pagarne le conseguenze, ma questo è un motivo sufficiente per mandare al macero il suo libro? Il ruolo di Pence al fianco di Trump gli nega a prescindere il diritto di pubblicare le proprie idee? Il Primo emendamento della Costituzione risponde di no, ma quando gli effetti sono quelli del 6 gennaio, o la perpetuazione delle violenze contro le donne, non è giusto alzare le difese?
Catt. Soff. per “La Stampa” il 29 aprile 2021. Elisabetta Sgarbi, fondatrice e direttrice della Nave di Teseo, ha pubblicato in Italia l'autobiografia di Woody Allen, censurata negli Usa per l'accusa di molestie sessuali.
Come commenta la vicenda di Blake Bailey?
«Ci sono due ordini di considerazioni. La vicenda di Woody Allen si era conclusa con un non luogo a procedere. La giustizia americana aveva valutato le accuse e le aveva considerate non probanti. Quindi la vicenda di Woody Allen è frutto di una isteria, non certo di una vicenda giudiziaria. La domanda che mi ponevano era: se Woody Allen - che non è colpevole di nulla - fosse colpevole, pubblicherebbe lo stesso la sua autobiografia? La risposta allora e ora è: sì pubblicherei quel libro perché è un grande libro. E io devo giudicare il libro. Quanto alla vicenda della biografia di Philip Roth non posso che dire lo stesso. Se la biografia è valida, punirla perché l'autore si è macchiato di un reato lo trovo ingiusto. Semmai - giudiziariamente - va punito l'autore, non l'opera».
Sono precedenti pericolosi?
«E certo. Assurdo giudicare l'arte con criteri morali e giudiziari. E anche qualora un autore fosse colpevole di un crimine, la sua opera va giudicata alla luce di quello che è. E gli editori dovrebbero avere il diritto e il dovere - se l'opera lo merita, di pubblicarla. Arrivare al macero è assurdo. Direi che è un atto, questo sì, illegale, e immorale, forse».
Sarà la Nave di Teseo a pubblicare la biografia censurata?
«Mi pare che sia Einaudi a pubblicarla. Essendo Einaudi l'editore di Roth mi sembra naturale. Ma certamente la pubblicherei. Noi con la rivista Linus dedicheremo un numero a Philip Roth prossimamente».
Con il #Metoo gli americani stanno esagerando?
«Tanto più crescono l'immoralità e l' ignoranza, tanto più prosperano il moralismo e la censura».
Cosa pensa della «cancel culture»: è anch' essa una censura?
«Cancel e culture sono due termini che non possono stare insieme. La cultura è anzitutto rispetto della storia, di ogni storia. Anche le più dolorose. Cultura è memoria. La cancellazione è un processo complesso che avviene all' interno della cultura, ma non è una cancellazione, piuttosto un entrare in penombra di tratti di storia che possono riemergere grazie allo studio e all' intelligenza degli uomini».
Andrea Carugati per "la Stampa" il 24 novembre 2021. «Ci sono due tipi di dolore, quello che ti rende forte e quello inutile», diceva, mentre con espressione impietosita tira il collo a un cane ferito agonizzante sulla strada, nel primo episodio di House of Cards. Oggi Kevin Spacey, da tempo in disgrazia e definitivamente rinnegato da Hollywood, ha incontrato anche un altro tipo di dolore, quello economico. L'attore premio Oscar per «I Soliti Sospetti» e «American Beauty», deve infatti versare trentuno milioni di dollari a causa della «sua condotta indecente». Un verdetto figlio di oltre due anni di battaglie legali tra l'attore e la Media Rights Capital, produttrice della popolarissima House of Cards, lanciata da Netflix nel 2013 dove Spacey vestiva i panni di Frank Underwood, spregiudicato politico che riesce a diventare presidente degli Stati Uniti. La sentenza condanna l'attore - già in passato più volte accusato di molestie sessuali - per avere «ripetutamente rotto gli obblighi contrattuali, violando i codici di condotta sul sexual harassment». Spacey era stato uno dei primi ad essere coinvolto nell'onda lunga creata dallo scandalo Harvey Weinstein. Nel 2017, dopo le accuse nei suoi confronti da parte dell'attore Anthony Rapp che sosteneva di essere stato molestato da Spacey quando era ancora minorenne, anche un nutrito gruppo di giovani uomini della crew della serie lo aveva denunciato. Poco dopo era stato allontanato dal set. Mrc e Netflix avevano infatti interrotto le riprese e avviato un'inchiesta interna al termine della quale Spacey era stato sospeso dal suo ruolo di protagonista e dal team di produzione. Nell'arbitrato, divenuto pubblico ieri perché la Mrc si era rivolta alla Superior Court di Los Angeles per imporre il pagamento della somma all'attore, si legge che «Mrc ha subito danni milionari per via della condotta del divo, tra cui la necessità di riscrivere completamente la sceneggiatura e abbreviare la sesta stagione da tredici a otto episodi». Nell'arbitrato erano inclusi oltre un milione di dollari in spese legali. Secondo alcune fonti giornalistiche Spacey aveva creato un ambiente tossico sul set di House of Cards, facendo commenti volgari e mettendo le mani addosso a ragazzi dello staff, episodi che avevano reso necessario il suo allontanamento. Spacey, seppure mai ritenuto colpevole di molestie da parte di un tribunale, è stato uno condannato immediatamente dall'opinione pubblica e dalla comunità hollywoodiana, in cerca di riscatto dopo anni di compiacenza. Così come accaduto con Weinstein, il cui comportamento era un vero e proprio segreto di Pulcinella, anche le abitudini di Spacey erano note ai professionisti del settore, tanto che, ben prima che scoppiasse lo scandalo, in un episodio di Family Guy (I Griffin) l'autore Seth Mac Farlane aveva inserito una scena in cui un bambino seminudo correva dentro un supermercato gridando: «Aiuto, aiuto sono scappato da un ripostiglio in cui mi teneva chiuso Kevin Spacey». Prima complici silenziosi e poi inflessibili carnefici a Hollywood hanno letteralmente cancellato Spacey. Il regista Ridley Scott ha eliminato le sue scene nel film «Tutti i soldi del mondo» dove aveva la parte del petroliere John P. Getty, ruolo che poi è stato precipitosamente affidato a Christopher Plummer premiato con una nomination agli Academy Awards. Solo di recente, rompendo per la prima volta il tabù, l'italiano Franco Nero ha affidato a Kevin Spacey un ruolo nel suo nuovo film: «L'uomo che disegnò Dio». Spacey, che si è sempre dichiarato innocente, pur senza negare i rapporti con i giovani uomini che ha definito consensuali, aveva provato a rilanciare: «Tutta questa presunzione ha portato a un finale così insoddisfacente, e pensare che avrebbe potuto essere un addio memorabile». Un addio comunque memorabile c'è stato, vale oltre trenta milioni di dollari e sicuramente avrà fatto soffrire l'attore, cui senza tante remore hanno tirato il collo.
Massimo Gramellini per il "Corriere della Sera" il 14 aprile 2021. Pietro Castellitto, il Totti televisivo ma non solo, è un giovane dal talento imprevedibile. Perciò mi ha sorpreso che nell' intervista al Corriere se ne sia uscito con un'affermazione un po' banale: «Se Kevin Spacey mi mette una mano sulla coscia, gliela sposto. Non gli rovino la vita chiedendogli pure dei soldi». È il pensiero della stragrande maggioranza, e ogni volta mi stupisco che si cerchi di farlo passare per coraggioso e anticonformista, mentre è quanto di più pigro e conservatore si possa immaginare. Fa parte di una lista di frasi fatte: la ragazza molestata che indossava la minigonna e dunque «se l'è andata a cercare», l'attrice ribaltata sul divano «ma rimanere lì è stata una sua scelta», e via semplificando, però sempre con l'aria di sfidare l'opinione dominante, che invece è esattamente quella: non sui giornali, forse, ma nella vita vera. In chi denuncia una sopraffazione sessuale Pietro Castellitto sostiene di vedere «la volontà di potenza che sfrutta questa crociata morale per ingrassarsi». Non ho studiato Nietzsche quanto lui, ma mi sembra ci sia più superomismo in un personaggio potente, lesto ad approfittarsi della sottoposta o del sottoposto, che non in questi ultimi. Anche Castellitto incorre in un errore di prospettiva: giudicare la vittima invece del carnefice. Il problema non è spostare la mano di Kevin Spacey. Il problema è spostare l'attenzione dalla questione principale: che quella mano Kevin Spacey non la deve proprio mettere.
F. C. per "la Stampa" il 25 maggio 2021. Il ritorno in scena di Kevin Spacey ha la firma del regista e attore Franco Nero, da sempre spirito libero, fuori dal coro, capace di sfidare cacce alle streghe e ottuse ricadute dell'imperante «politically correct». Per il suo nuovo film, basato su un progetto a cui lavorava da tempo, titolo L' uomo che disegnò Dio, Nero, stavolta nella doppia veste di regista e interprete, ha ingaggiato Spacey messo al bando dopo le accuse di molestie sessuali ricevute dall' attore Anthony Rapp, dal figlio di Richard Dreyfuss e da diverse altre persone. La notizia, cui seguirà comunicato ufficiale di Spacey, ha fatto il giro del mondo e, già da ore il regista Luis Nero, in questo caso produttore, racconta di essere travolto da richieste di interviste da ogni parte del mondo: «Aspettiamo la dichiarazione di Kevin, ci sembra più corretto, è giusto che sia lui a parlare del nuovo impegno». Il protagonista del film, basato su una storia vera avvenuta a Torino tra gli Anni '50 e '60, è Emanuele, un insegnante dell'Accademia, che a un certo punto della sua esistenza perde la vista conservando, però, la straordinaria capacità di ritrarre le persone ascoltando la loro voce: «Non c' è niente di fantascientifico o fiabesco - precisa Luis Nero - tutto viene da un episodio reale». Al redivivo Kevin Spacey sarà affidata la parte di un «detective che indaga su un fatto della vita di Emanuele». Un ruolo, precisa Nero, che «a differenza di quanto è stato scritto, non c' entra niente con la pedofilia. Per me Spacey è un grandissimo attore, uno dei migliori della sua generazione». Qualcuno ha anche fatto sapere che del cast farà parte Vanessa Redgrave, moglie di Franco Nero: «Hanno detto che Vanessa faceva la detective, ma a 91 anni non mi sembra possa affrontare una prova del genere. Franco la vorrebbe nel film, ma è sua moglie e si preoccupa della sua salute. E poi non sappiamo se sarà possibile farla venire perché dopo la Brexit l'Inghilterra ha leggi più restrittive di quelle americane». Il film, ambientato a Torino e in altre zone del Piemonte (la lavorazione dovrebbe concludersi a inizio luglio) «contiene un messaggio sociale perché il personaggio interpretato da Franco insegna in una scuola di persone con disagi». Nel ruolo della direttrice dell'Istituto recita Stefania Rocca: «Si chiama Pola, sarà lei a presentare a Emanuele una mamma e una figlia scampate a una guerra. Con loro Emanuele riscopre la dolcezza dell'amore. La madre diventerà per lui una specie di figlia e la bambina una nipote».
Francesco Borgonovo per "la Verità" il 6 agosto 2021. Condividono il cognome d'arte, però non sono parenti. A legarli, tuttavia, c'è un sodalizio umano e professionale che dura da tempo, e che li ha portati a compiere scelte coraggiose, piuttosto inusuali per il cinema contemporaneo. Franco Nero e Louis Nero hanno da poco ultimato, a Torino, le riprese di L'uomo che disegnò Dio, che Franco dirige e interpreta e Louis produce. Ma si sono già rimessi al lavoro su un nuovo lungometraggio, intitolato Milarepa, diretto da Louis e interpretato da Franco (entrambi sono coaudiuvati da Antonio Bellantoni, che si occupa della comunicazione e della ricerca di investitori). «L'uomo che disegnò Dio», ci racconta Franco Nero, «è un film molto delicato che affronta la vita di un non vedente e il suo allontanamento dal mondo, finché l'introduzione di una ragazzina (che lui considera come sua nipote) non lo fa rinascere nuovamente e lo fa tornare ad amare la vita». Ad avvicinare questa produzione a Milarepa (di cui ancora si sta definendo il cast) è proprio il lavoro sulla ricerca, sul percorso umano e spirituale dei protagonisti «Entrambi i film cercano un senso alla vita», dice Louis Nero. «L'uomo che Disegnò Dio è la ricerca di un uomo solo che ritrova la felicità nell'aiutare gli altri. Mila, la protagonista di Milarepa, è una ragazzina che deve superare le sue paure ed i preconcetti del mondo che la circonda per abbracciare la sua ricerca personale, che la conduce verso un mondo migliore». Già affrontare tematiche così profonde è una scelta che va in senso contrario al flusso dominante. Ma non è l'unico gesto anticonformista compiuto dai due Nero. Ha suscitato scalpore il fatto che, ne L'uomo che disegnò Dio, il regista e il produttore abbiano voluto sul set (a fianco di Faye Dunaway, Stefania Rocca e Robert Davi), anche Kevin Spacey. La vicenda del divo è tristemente nota ai più: nel 2017, in pieno Metoo, il due volte premio Oscar fu accusato di aver molestato sessualmente numerosi uomini. In tribunale i vari procedimenti a suo carico sono stati archiviati, ma nel frattempo Spacey è stato sostanzialmente bandito da Hollywood. Allontanato dalla serie House of Cards, addirittura cancellato nel film All the Money in the World, per cui aveva già girato numerose scene. Per quattro anni, è stato l'oblio totale. Il reietto Spacey non doveva nemmeno essere nominato: in un lampo, l'hanno espulso dal tetto del mondo e gettato nell'Averno della correttezza politica. Poi, i due Nero l'hanno riportato di fronte alle cineprese, nel ruolo di un detective che indaga sugli abusi di minori. «Non ci siamo nemmeno posti il problema delle polemiche», spiega Louis Nero. «Kevin Spacey è un grandissimo attore, ho sempre sognato di lavorare con lui. Lui conosceva Franco e lo stimava, e non vedeva l'ora di tornare al lavorare, perché per un attore recitare è tutto. Sul set infatti è stato amabile, non si è perso un minuto delle riprese, era presente anche quando non recitava». Certo, fare i conti con la damnatio memoriae a cui Spacey è stato condannato non è cosa semplice, ma Louis e Franco non si fanno problemi. «Spacey non è mai stato giudicato colpevole, è uscito indenne dai processi, non ha alcun carico pendente», dichiara Louis Nero. «Sono certo che nel giro di tre o quattro anni tornerà ad essere uno dei più importanti attori di Hollywood. Perché ne sono certo? Perché ha una caratteristica che molti altri non hanno: è un genio della recitazione. È veramente un fuoriclasse e io l'ho sperimentato sul set. Non è il primo premio Oscar con cui ho lavorato, ma vederlo recitare era straordinario: sul set l'ho visto totalmente nel suo elemento. Non tutti gli attori sono così, nemmeno alcuni grandi». Franco Nero, dal canto suo, mette fine alle polemiche ancora prima che inizino: «Abbiamo scelto insieme al produttore Kevin Spacey perché semplicemente è un grande attore, perfetto per la nostra parte. Gli altri giudizi li lascio alle persone che hanno più competenza di me in fatto di censura». La battuta è tagliante, e molto efficace. L'ingombrante questione del politically correct, in fondo, Franco Nero sembra averla risolta con semplicità: «Basta comportarsi come ci si sente, essere veri, e rispettare tutti e non credo ci possano essere dei problemi», dice. Certo è però che a Hollywood i parametri, da qualche anno, sono cambiati. È diventato difficile, ad esempio, trovare pellicole con protagonisti maschili forti, come quelli che Franco Nero ha più volte interpretato nel corso della carriera, e può sorgere il sospetto che, alla fine, ci toccherà fare a meno di questi eroi. Ma l'attore resta ottimista: «Il cinema ha ancora molto da dare», spiega. «Ci sono grandi progetti in cantiere e grandi ruoli da fare. Semplicemente la figura dell'eroe sta cambiando con i tempi, si sta adattando, e questo non è sempre un male». Già, gli eroi stanno cambiando, così come cambia il modo di accostarsi ai film. E non è detto che, nel tumultuoso futuro che ci attende, non troveremo Franco Nero pure in una serie tv: «Non amo molto la televisione», dice. «Però quando c'è un progetto di qualità sono sempre attento alle proposte che mi fanno e soprattutto alla qualità della sceneggiatura. La sceneggiatura è fondamentale, sia che si tratti di tv che di cinema». Quanto a sceneggiature, quella di Milarepa (a proposito di cambiamenti nella figura dell'eroe) prevede che la protagonista sia donna. «Questo film avrà un grande cast, con almeno tre attori provenienti da quella che si chiama "A list", cioè la prima fascia di Hollywood», dice orgoglioso Louis Nero. «Credo che avere una donna nel ruolo principale, in questo tipo di ruolo poi, sia molto importante. In passato non era semplice trovare protagoniste femminili attorno a cui ruotassero gli altri personaggi, oggi invece le cose stanno cambiando». Per fortuna, qualcosa è cambiato anche rispetto ai tempi del Metoo: grazie ai due Nero possiamo, tra le altre cose, tornare a goderci uno dei più grandi attori della storia del cinema. Non sarà una rivoluzione, ma ci si accontenta
DAGONEWS DA dailymail.co.uk il 14 aprile 2021. Venerdì scorso l’influencer Justine Paradise, 24 anni, ha condiviso un video di 20 minuti su YouTube dove ha dichiarato che nel luglio 2019 lo YouTuber e pugile 24enne Jake Paul l'avrebbe costretta a praticare del sesso orale su di lui a casa sua in California. Paradise ha affermato nel suo video di aver firmato un accordo di non divulgazione prima di entrare nella casa di Paul, motivo per cui non ha rivelato l'episodio prima d’ora. L'avvocato di Paul afferma che lo YouTuber intende smentire "in modo aggressivo" le accuse, oltre che intraprendere azioni legali. La star dei social media ha affermato di essere stata presentata per la prima volta a Paul nel giugno 2019 dopo che un amico comune l'aveva invitata a casa sua, dopodiché hanno iniziato a inviarsi messaggi e uscire insieme nelle settimane seguenti.
Ha condiviso: “Uno di quei giorni, ero in studio - alcune persone stavano registrando lì - e Jake mi ha trascinata in questa piccola zona all'angolo dello studio e ha iniziato a baciarmi. Mi andava bene così. Pensavo fosse carino.” Paradise ha anche espresso che Paul l'ha presa per mano conducendola nella sua camera da letto e hanno iniziato a ballare e baciarsi fino a quando "non l'ha portata a letto".
Paradise ha detto: "Ho pensato che sarebbe stato bello baciarlo, perché pensavo che si sarebbe fermato se non avessi voluto fare nient'altro."
L'influencer - che ha 524 mila follower - ha detto che le cose hanno iniziato a intensificarsi nonostante lei abbia detto “no” e afferma che Paul era salito sopra di lei quando presumibilmente l'ha costretta a fare sesso orale.
Ha detto: “Non ha chiesto il consenso o altro. Non va bene. A nessun livello va bene così.”
Paradise ha affermato di aver cercato di mettersi in contatto con lui "per parlargli e dirgli:" Ehi, non ho acconsentito per questo. Mi ha fatto sentire così male ". "Non ho mai ricevuto scuse o cose del genere", ha aggiunto. "Mi sarebbe piaciuto ricevere delle scuse perché ha sbagliato e non lo volevo." Paradise ha concluso il suo video di 20 minuti dicendo che condividendo pubblicamente il video, spera che Paul "Si renda conto di quello che ha fatto e che non lo faccia più".
Da rollingstone.it il 13 aprile 2021. Dopo le precedenti cause per molestie sessuali, oggi per James Franco arriva una nuova accusa di pedofilia, dopo le voci girate qualche anno fa. A muoverla è Charlyne Yi, attrice 35enne diretta dall’attore e regista in The Disaster Artist (2017). Lanciata nel 2007 da Molto incinta, Yi ha usato il suo profilo Instagram per sganciare questa nuova bomba contro la star di 127 ore e il collega Seth Rogen, amico e produttore di The Disaster Artist. Ed è proprio da lì che parte l’attrice: «Quando ho cercato di rescindere il mio contratto e lasciare il set perché James Franco è un predatore sessuale, loro hanno provato a “comprarmi” offrendomi un ruolo più grande», dichiara nel suo post. «Mi sono messa a piangere e ho detto che era l’esatto opposto di quello che volevo, e che non mi sentivo tranquilla a lavorare con un cazzo di predatore sessuale. Loro hanno minimizzato la cosa, hanno replicato che era roba risalente all’anno prima, e che ora James era cambiato: tutto questo quando avevo sentito di nuovi abusi perpetrati su altre donne proprio in quella settimana». Ma la rivelazione choc deve ancora arrivare. «Seth Rogen era uno dei produttori del film, perciò sapeva benissimo perché me ne volessi andare», continua Yi. «Aveva anche girato uno sketch con Franco per il Saturday Night Live in cui autorizzava lo stesso Franco a molestare minorenni». «Franco ha una lunga storia di predatore sessuale nei confronti di minorenni», aggiunge l’attrice. «È la punta delle leggi corrotte che proteggono i predatori sessuali stabilite da uomini bianchi e violenti. Negare o far passare le vittime per pazze è la tattica usata dai molestatori e dai loro complici, e ha effetti molto gravi: coloro che hanno subìto una violenza perdono il senso della realtà e l’idea di potersi proteggere dal diventare di nuovo un bersaglio, sviluppano sindrome da stress post-traumatico o pensieri suicidi». «I predatori sessuali», scrive inoltre nel post l’attrice, «useranno l’empatia e diranno che cambieranno: tutto ciò per proteggere sé stessi e continuare a fare del male. I complici sono tossici tanto quanto loro. Sono disgustata dagli uomini bianchi che scelgono di mantenere il proprio potere invece di proteggere donne e minorenni dai predatori sessuali». Quelle di Charlyne Yi restano tutte accuse da verificare.
Salvo Toscano per il “Corriere della Sera” il 9 aprile 2021. Da sempre Marcello Grasso predica e mette in pratica l' efficacia del teatro come strumento terapeutico per i suoi pazienti. Ma il neuropsichiatra conosciuto a Palermo, non solo per la sua parentela illustre, è finito nei guai per una storia che in qualche modo si lega proprio a quell' attività teatrale portata in scena con i suoi pazienti. In particolare, al centro dell' inchiesta che ha condotto all'arresto del medico 69enne il 30 marzo scorso, c'è un costume da burlesque fatto indossare a una giovane donna che il medico curava nel suo studio. A quello avrebbe fatto seguito un «massaggio», un contatto fisico che la paziente ha ritenuto di natura non esattamente terapeutica, denunciando il professionista fratello dell' ex presidente del Senato ed ex Procuratore nazionale Antimafia. È scattata così l' inchiesta della Procura per violenza sessuale aggravata, con una telecamera piazzata nello studio del medico. Gli investigatori della Mobile ritengono di avere trovato riscontri per l' ordinanza di custodia cautelare in carcere firmata dal gip Clelia Maltese, che ha accolto la richiesta del pool antiviolenze coordinato dal procuratore aggiunto Laura Vaccaro. Il medico non si è avvalso della facoltà di non rispondere e ha offerto spiegazioni ai magistrati, riferisce il suo avvocato difensore Vincenzo Lo Re. Che contesta la misura della custodia cautelare in carcere, contro la quale l' altro ieri ha fatto ricorso al Tribunale della libertà. «C'è una severità inspiegabile nei suoi confronti - commenta Lo Re - visto che lo stesso pool che indaga su questi reati procedendo per situazioni simili che coinvolgevano professionisti ha chiesto soltanto gli arresti domiciliari». Lo Re sottolinea come Grasso abbia un'esperienza professionale quarantennale in strutture pubbliche (il medico ha lavorato a lungo nei servizi per le tossicodipendenze) e private e «non c'è mai stata una paziente che ha riferito fatti del genere e questa è una cosa che dovrebbe far riflettere». Gli inquirenti hanno fatto evidentemente altre valutazioni e l'ipotesi della violenza sessuale aggravata ha convinto il gip. Le intercettazioni nello studio hanno registrato un dialogo tra il medico e un'altra paziente che avrebbe corroborato il teorema degli investigatori. La difesa sta svolgendo a sua volta delle indagini sentendo altre donne in cura da Grasso, che hanno spiegato che i travestimenti con costumi teatrali facevano parte di un percorso terapeutico. Anche qualche costume un po' succinto, visto che uno spettacolo portato in scena aveva tratto ispirazione dalle «Mille e una notte». Si chiamava «Fiaba d'Oriente», lo aveva scritto lo stesso medico e lo avevano rappresentato in un bagno turco. E quei costumi da principesse e maragià erano tutti lì, conservati nello studio nel centro di Palermo. Il loro scopo sarebbe stato quello di lasciare che le pazienti vedessero se stesse in una veste diversa dall' ordinario (il medico le fotografava commentando poi con loro le fotografie). E il contatto fisico? Il neuropsichiatra avrebbe spiegato che si trattava di un massaggio terapeutico, una tecnica di rilassamento che per la difesa era stata concordata con la paziente. Ma per la donna invece quel contatto fu una violenza sessuale. Versione contestata dalla difesa, mentre Grasso resta recluso in carcere a Palermo.
Violenza sessuale, nuove accuse per il fratello di Piero Grasso: altra paziente racconta abusi. La Repubblica il 16 aprile 2021. Grasso è stato arrestato nei giorni scorsi sulla base delle accuse di una paziente. Ora le rivelazioni di una seconda donna che sostiene di aver subito violenza descrivendo episodi molto simili a quelli della prima vittima. Si complica la posizione del neuropsichiatra Marcello Grasso, 70 anni, fratello dell'ex presidente del Senato ed ex procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso, arrestato con l'accusa di violenza sessuale. La Procura di Palermo ha individuato un altro caso di presunti abusi per il quale il gip, accogliendo l'stanza dei pm, ha disposto una nuova ordinanza di custodia cautelare in carcere a carico del professionista. Il provvedimento gli è stato notificato. Grasso è stato arrestato nei giorni scorsi sulla base delle accuse di una paziente. Ora le rivelazioni di una seconda donna che sostiene di aver subito violenza descrivendo episodi molto simili a quelli della prima vittima. Nel corso dell'interrogatorio di garanzia a Grasso sono state fatte le nuove contestazioni. L'accusa nei confronti del medico è di "violenza sessuale aggravata". L'inchiesta è partita dalla denuncia della paziente e ruota attorno al metodo del neuropsichiatra che utilizza il teatro come terapia. La donna ha detto di avere indossato un costume di burlesque nello studio del medico dove sarebbero avvenuti gli abusi. Gli investigatori della squadra, dopo la denuncia, hanno anche piazzato una telecamera nello studio del professionista e stanno adesso convocando ex pazienti alla ricerca di riscontri.
Guai per il fratello di Grasso: "Un'altra violenza sessuale". Rosa Scognamiglio il 16 Aprile 2021 su Il Giornale. Il neuropsichiatra Marcello Grasso è stato arrestato con l'accusa di violenza sessuale. Due pazienti hanno denunciato i sospetti abusi nello studio medico del professionisti. Altri guai per il neuropsichiatra Marcello Grasso, 70 anni, fratello dell'ex presidente del Senato ed ex procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso. La Procura di Palermo ha registrato un altro caso di presunto abuso su una paziente per il quale il Gip, accogliendo la richiesta del pm incaricato del caso, ha emesso una nuova ordinanza di custodia cautelare in carcere a carico del professionista con l'accusa di violenza sessuale. Grasso era già stato arrestato nei giorni scorsi sulla base delle accuse rivoltegli da una paziente che sostiene di essere stata abusata dal 70enne.
Due casi di sospetto abuso sessuale. Marcello Grasso è finito in manette qualche giorno fa per via di un presunto caso di violenza sessuale. L'inchiesta è partita dalla segnalazione di una ex paziente che ha denunciato il noto neuropsichiatra per abusi sessuali durante le sedute terapeutiche di recitazione. La donna ha raccontato che, in una circostanza specifica, sarebbe stata invitata ad indossare un costume di burlesque nello studio del medico dove poi si sarebbe consumata la violenza. Gli investigatori della Squadra Mobile di Palermo, a seguito della denuncia, hanno piazzato una telecamera nello studio del professionista al fine di raccogliere riscontri. Contestualmente alla denuncia della prima vittima - o presunta tale - sarebbe spuntata anche la testimonianza di un'altra donna che avrebbe dichiarato di aver subito abusi sessuali dal medico con le stesse modalità della prima paziente. Per questo motivo, nella mattinata di venerdì 16 aprile, il Gip di Palermo ha emesso una nuova ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti del professionista. La misura gli è stata notificata questa mattina.
"Non violenza ma tecniche di relax". Durante l'interrogatorio in carcere, il neuropsichiatra si è difeso dalle pesantissime accuse sostenendo di "avere sempre utilizzato delle tecniche di rilassamento" con tutti i suoi pazienti. "Una tecnica utilizzata sia con uomini che con donne - ha precisato a La Repubblica Vincenzo Lo Re, legale di Marcello. Grasso - lo spiegheremo presto al tribunale della libertà, a cui ci siamo rivolti". Ci sono però delle intercettazioni sospette che andranno chiarite. In una di queste il medico parla con un suo paziente circa l'organizzazione di un incontro con una donna, anche lei in cura nello studio di via Pasquale Calvi. Il gip ha già chiesto chiarimenti al neuropsichiatra: "Lei organizzava incontri fra i pazienti?". Lui lo ha ammesso: "Non c'è niente di male".
ALL'INDICE. Dal "Corriere della Sera" l'1 aprile 2021. Eric Brion è stata la prima vittima del #MeToo francese. Il caso risale al 2012 quando lui, direttore di un canale tv, fa apprezzamenti sul seno della giornalista Sandra Muller. Nel 2017 la Muller lancia l'hashtag BalanceTonPorc indicando Brion come «porco molestatore». Lui la denuncia per diffamazione e dopo la vittoria in primo grado scrive «Balance ton père» in cui racconta il sollievo di poter guardare di nuovo negli occhi le sue figlie.
Stefano Montefiori per il "Corriere della Sera" l'1 aprile 2021. «Sono sollevata, la mia buona fede è stata riconosciuta», dice Sandra Muller, che è stata assolta ieri in Corte d'appello dall'accusa di diffamazione. In primo grado, la giornalista iniziatrice in Francia del movimento #BalanceTonPorc era stata condannata a pagare 5.000 euro di spese legali e a risarcire con 15 mila Eric Brion, il primo «porco molestatore» indicato alla vendetta pubblica. Ma ieri la Corte, pur riconoscendo che le accuse di Muller contro Brion erano eccessive, ha sottolineato che si inscrivevano «in un dibattito di interesse generale sulla liberazione della voce delle donne» e quindi ha assolto la donna. Le considerazioni globali sulla necessità di incoraggiare le donne a denunciare i soprusi e scoraggiare gli uomini a commetterli hanno prevalso sulla circostanza, non da poco, che Eric Brion non era affatto un Harvey Weinstein francese: non aveva rapporti di lavoro con Muller, non era il suo capo, non la toccò, fece un'unica - «pesante, volgare, stupida», ha ammesso subito - avance verbale, fu rifiutato e chiese scusa. Ma la vita di Eric Brion è andata in rovina lo stesso, quando, alle 14 e 06 del 13 ottobre 2017, Sandra Muller scrive il tweet che lancia l'hashtag #BalanceTonPorc, la versione francese del #MeToo americano, invitando tutte le donne a fare i nomi dei molestatori. E denuncia - sul social media, non in tribunale - la vecchia conoscenza che cinque anni prima, durante una cena a due a Cannes, le aveva detto «Hai un gran seno, sei il mio tipo, ti farò godere tutta la notte». Secondo Muller, Brion l'aveva «molestata sessualmente e ripetutamente, in un quadro professionale» con quelle parole seguite poi da sms insistenti. Secondo Brion invece, «l'unico sms che le ho mandato è stato la mattina dopo, per scusarmi. Non abbiamo mai lavorato insieme, non è mai stata una mia dipendente, ci conosciamo perché siamo nello stesso ambiente dei media (Brion all'epoca era patron della rete tv Equidia, ndr ) e lei mi chiedeva di abbonarmi alla sua testata online Lettre de l'audiovisuel . Non ho mai insistito, non l'ho mai tormentata, non ho mai violentato né molestato nessuno. Riconosco di avere pronunciato quelle parole, me ne vergogno. Era tardi la sera, avevo un po' bevuto, mi sono comportato male. Ma non tanto da meritare l'inferno». In pochi giorni Brion ha conosciuto la morte civile. La compagna (che non conosceva all'epoca della serata con Muller) lo ha lasciato, gli amici sono spariti, ha perso i contratti che stava negoziando per l'agenzia di consulenza appena fondata. Ha desiderato di morire davvero. Poi ha deciso di denunciare la sua accusatrice, «per guardare di nuovo le mie figlie senza vergogna». Dopo tre anni di battaglia legale, ieri sera Brion ha sottolineato che anche la sentenza di appello glielo riconosce: «Non sono un molestatore». Ma «Twitter è più forte della giustizia», almeno fino al ricorso in Cassazione.
Francesco De Remigis per “il Giornale” il 29 marzo 2021. Dispute sulle violenze sessuali in ambito accademico, in Francia sono trending topic da giorni. In tv, sui social, nei partiti. Ciononostante, la recente accusa di pedofilia rivolta al re dei filosofi francesi è stata accuratamente evitata, scrive il settimanale francese Valeurs Actuelles. Perché aprirebbe un vaso di Pandora, ed equivarrebbe a mettere in piedi un processo alle élites del '68. Il tema sollevato da un illustre collega di Michel Foucault, Guy Sorman, sembra infatti non aver diritto di cittadinanza Oltralpe, nonostante una legge sulla pedofilia in discussione nelle due rami del Parlamento. I giornali francesi sviano, glissano o soprassiedono sull' emergere del passato del filosofo. Trova invece spazio Oltremanica, dove il Sunday Times ieri ha sfoderato una firma inattaccabile, per storia e competenze, per raccontare il non-detto sulle attitudini di Foucault: è stato un intellò-pedofilo. E certo non il solo dell' epoca. Scrive Matthew Campbell, quel che in Francia si tace: «Ha abusato di ragazzini in Tunisia». Nel mirino del giornale britannico c' è il cosiddetto Sessantotto dei pedofili in polo e dolcevita, esponenti del progressismo francese già sfruculiati in passato dal tedesco Der Spiegel ed ora presi di mira dalla Perfida Albione. Più che un regolamento di conti, un dovere di verità. Campbell cita Sorman, il quale rimprovera a «Re-Foucault» una sorta di colonialismo sessuale, e a se stesso di non averlo sputtanato per tempo: «Faceva sesso con ragazzini in Tunisia, ho sbagliato a non denunciarlo all' epoca. I media parigini sapevano, ma non scrissero nulla». Un j' accuse su cui l' intellighenzia d' Oltralpe tace, per non indagare su passaggi scottanti che riguardano anche altri. L'élite della Ville Lumière è già sotto choc per le rivelazioni di Camille Kouchner, oggi 46 anni: il suo patrigno Olivier Duhamel, intellettuale 70enne, eurodeputato socialista dal '97 al 2004 e presidente della prestigiosa Fondation nationale des sciences politiques, avrebbe abusato del gemello di Camille quando loro avevano dai 13 ai 14 anni. Ora la bufera-Foucault. Sorman, 77 anni, racconta d' aver fatto visita al collega in una vacanza di Pasqua nel villaggio di Sidi Bou Saïd, vicino Tunisi, dove Foucault era di casa nel '69. I bambini gli «correvano dietro dicendo prendi me, prendi me. Avevano 8, 9, 10 anni, lui lanciava loro dei soldi e diceva vediamoci alle dieci di sera al solito posto». Il cimitero locale: «Faceva l' amore lì, sulle lapidi, con i ragazzini. La questione del consenso non fu mai nemmeno sollevata». Sorman afferma che il «re» non avrebbe avuto il coraggio di farlo in Francia, paragonandolo a Paul Gauguin, il quale dipingeva a Tahiti donne giovanissime con cui aveva rapporti, o ad Andre Gide, il romanziere che predava ragazzini in Africa. Professore dal '70 al 2000 a Sciences-Po (economia e filosofia politica), Sorman si rammarica dei suoi silenzi di fronte ad atti «ignobili» e «moralmente riprovevoli». Ma oggi come ieri è solo: i media francesi sapevano. «C' erano giornalisti in quel viaggio, testimoni ma nessuno ne ha scritto». Perché? «Foucault era il re dei filosofi, il nostro dio in Francia». Dolcevita, testa calva e occhiali, figlio di un chirurgo, è stato uno dei primi intellettuali-star del XX secolo, noto anche per aver firmato nel '77 una petizione per legalizzare il sesso con i 13enni. Morto nel 1984 a 57 anni, la sua biografia The Passion of Michel Foucault di James Miller (1993) descriveva già il suo interesse per indirizzi sadomaso in America. Al culmine della fama, diventato apertamente «omo», parlava di «possibili relazioni polimorfe, variegate, individualmente modulate». È morto di Aids, ma nelle sue «bio» nessuno menziona mai le sue abitudini sessuali in Tunisia. Coperte dagli stessi intellò, che ieri lo veneravano e oggi difendono se stessi e il mito sessantottino da cui sono sbocciati.
Dagospia il 29 marzo 2021. RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO Lettera firmata: Gentile direttore a proposito delle rivelazioni su il filosofo Foucault e i suoi "amori" consumati nel terzo mondo. Che dire di Gide quando nel suo diario racconta di aver avuto sette orgasmi (dico sette) in una sola notte e sempre con lo stesso ragazzino mercenario? E che dire dei bambini che facevano la fila davanti alla porta dell’antimodernista Pier Paolo Pasolini durante il suo viaggio in India? Gide lo ha scritto, di Pasolini si sapeva e gli intellettuali ignoravano. Erano altri tempi.
Stefano Montefiori per il "Corriere della Sera" il 24 marzo 2021. Il documentario che denuncia discriminazioni e molestie ai danni delle giornaliste sportive è andato in onda, sì, ma tagliato per proteggere (invano) uno dei volti più noti del calcio parlato francese, Pierre Ménès. Je ne suis pas une salope , «Non sono una str....», è la trasmissione diffusa domenica sera su Canal Plus nella quale la giornalista sportiva Marie Portolano ha voluto raccontare «le difficoltà che le donne incontrano a imporsi nel mondo del lavoro, in particolare nel mio, quello del giornalismo sportivo». L' idea le è venuta tre anni fa dopo avere visto Non sono una scimmia , un documentario sul razzismo nel calcio. «Ho pensato che sarebbe stato interessante fare la stessa cosa, ma parlando del sessismo nelle redazioni sportive». Portolano ha contattato decine di colleghe, che davanti alla telecamera le hanno raccontato una infinità di episodi: dalla frase «ora che sei incinta ingrasserai, hai il viso troppo tondo, mi sa che ti togliamo dal video», ai soliti commenti maschili, dai consigli di stile come «fallo vedere di più questo seno» ai pesanti apprezzamenti quotidiani su gambe e altro. Di diverso, rispetto ad altri ambienti di lavoro, c' è il pregiudizio ancora diffuso tra certi uomini (non la maggioranza, per fortuna) che nello sport e nel calcio in particolare le donne siano particolarmente meno brave e competenti. La celebre giornalista televisiva Nathalie Iannetta, conduttrice anni fa della trasmissione Le Journal du foot e poi consulente del presidente François Hollande per lo sport, racconta quel che le diceva il collega Thierry Gilardi che la affiancava nelle serate di coppe europee: «Se io faccio un errore in diretta, diranno che mi sono sbagliato, succede. Se l' errore lo fai tu, la gente penserà che è come pensavano, non sai niente. È ingiusto ma bisognerà che tu lavori il doppio». Niente di nuovo o di sconvolgente, purtroppo, ma il merito di Marie Portolano è di avere raccolto decine di testimonianze su piccole e grandi mancanze di rispetto: è il numero, la ripetizione all' infinito, che genera un clima spiacevole e un ambiente di lavoro malsano. «Non voglio generalizzare - afferma la giornalista -, non dico che tutti i colleghi maschi si comportino così. Ma spero che tutti, vedendo quante donne hanno deciso di parlarne a viso aperto, si pongano il problema. Quando vado a lavorare, non voglio più dovermi preoccupare di quelli che mi dicono che sono ingrassata o che ho un bel décolleté».
Fin qui, la programmazione di Je ne suis pas une salope suscitava poche polemiche: documentario utile e ben fatto. Ma il paradosso è che, come si è scoperto poi, la direzione di Canal Plus ha accettato di trasmetterlo tagliando due scene: quelle in cui il conduttore e opinionista star Pierre Ménès rivendica di avere sollevato la gonna alla stessa Marie Portolano davanti a tutti e dice «certo che lo rifarei», anche se lei si era sentita umiliata e aveva protestato, e l' altra in cui Ménès bacia sulla bocca la collega Isabelle Moreau, che non aveva affatto gradito. Dopo le proteste contro Canal Plus e altri video in cui Ménès bacia sulla bocca una seconda collega, Francesca Antoniotti, le scene tagliate sono andate in onda il giorno dopo sul canale C8 (stesso gruppo di Canal Plus , di proprietà di Vincent Bolloré), alla presenza dello stesso Ménès, che si è mostrato pentito ma non troppo. «Ormai non si può più dire o fare niente», è stata la linea di difesa, ormai consueta, mentre la portavoce del ministero dell' Interno avvisava con tempismo su Twitter che «baciare qualcuno di forza o a sorpresa è un' aggressione sessuale punita dalla legge con cinque anni di carcere».
Coach olistico, il racconto di Anna: “Mi ha toccato”. Le Iene News il 23 marzo 2021. Alberto Buzzo si presenta online come una sorta di psicoterapeuta e guida spirituale. Ma Anna ha raccontato a Veronica Ruggeri tutt’altra storia: “Ha iniziato a baciarmi sul collo, sul seno e là sotto. Mi diceva che avevo un blocco della paura”. “Aiuto le donne confuse e bloccate, senza una direzione precisa, a riprendere in mano la loro vita”. Alberto Buzzo si presenta così online. “Nella vita mi occupo di coaching olistico”, dice in uno dei tanti video con cui questo signore, che si presenta come una sorta di psicoterapeuta e guida spirituale, cerca clienti online. Ma una donna, che chiameremo Anna, ha raccontato a Veronica Ruggeri tutt’altra storia. Un giorno, racconta Anna, avrebbe ricevuto su Facebook un link “di una pagina che riguardava la liberazione emozionale”. “Non sapevo come risolvere tanti problemi che avevo in casa, quindi cercavo proprio questo. Lui mi ha detto di essere anche un fisioterapista, qualcuno che avesse la possibilità di sbloccarmi anche a livello muscolare”, ci racconta. Il costo della prima seduta? “90 minuti, 70 euro”, dice Anna. “Mi aspettavo uno studio, in realtà è un appartamento”, racconta la donna alla Iena. Lui avrebbe così iniziato a psicoanalizzarla e dopo mezz’ora l’avrebbe fatta salire al piano di sopra. “C’era un lettino per i massaggi. Mi dice ‘ se vuoi toglierti tutto c’è anche chi si toglie tutto’ io ho detto: no grazie”. Anna resta in intimo e si sdraia sul lettino. La prima seduta, racconta Anna, si sarebbe svolta esattamente come descritta nei video di presentazione. Ma al secondo incontro, racconta la donna, le cose sarebbero andate diversamente. “Mi distendo sul lettino, mi scrocchia il collo come da rito. Poi mi dice di girarmi a pancia in su e comincia a massaggiarmi la pancia. Va dentro con le mani”. Anna racconta alla Iena che l’uomo l’avrebbe penetrata con le mani: “Poi mi ha messo il braccio sul collo e mi diceva "stai ferma, devi far uscire il piacere"”. “Ero pietrificata. Pensavo come faccio ad andare via da qua. Lui ha cominciato a baciarmi ma avevo la bocca serrata, così ha cominciato a baciarmi sul collo, sul seno e là sotto. Mi diceva che avevo un blocco della paura. A un certo punto mi ha preso la mano e l’ha messa sul suo pene per farmi sentire che lui era eccitato. Mi sono messa a piangere, avevo le convulsioni. Lì si è fermato, e ha detto "ognuna di voi ha i propri tempi e per oggi basta"”. “È un abuso, è una violenza, non soltanto fisica ma psicologica”, dice Anna alla Iena. “Avevo pensato di andare dai carabinieri però è la mia parola contro la sua”. Così Anna decide di tornare da lui registrando tutto. Noi intanto siamo in collegamento e vicini, pronti a intervenire. E quando Anna descrive all’uomo cosa sarebbe successo la volta precedente, lui risponde dicendo che “sono tutte zone erogene per portarti a scoprire il tuo corpo perché nessuno l’ha mai fatto così. È la mia missione aiutare le persone e nel caso delle donne me ne sono accorto quando arrivavano da me tutte persone bloccate in quel punto”. “Non porto mai una persona dove non vuole esser condotta”, dice ad Anna. “Tu desideri quella cosa lì ma la tua mente la rifiuta per i tuoi tabù”. “Io ho solo rievocato quella memoria”, continua l’uomo, riferendosi a un episodio raccontato da Anna. “Quando avevo 13 anni ho vissuta una cosa simile con un fisioterapista”, ci ha spiegato Anna. “Non è stata una violenza e non so di chi tu stia parlando in questo momento”, dice Buzzo a Veronica Ruggeri che è andata a parlare con lui. “Non sono andato contro a nessuna volontà”. E quando la Iena gli dice che dovrebbe dire subito alle donne in cosa consisterebbe la sua pratica, risponde: “Se devo essere più esplicito ne sarò ben lieto”.
Matteo Persivale per il “Corriere della Sera” il 22 marzo 2021. «Questo è il fin di chi fa mal» cantano tutti i personaggi, riuniti, nel finale del secondo atto del «Don Giovanni» mozartiano per accompagnare la discesa agli inferi del Dissoluto punito per i suoi numerosi peccati. È buffo vedere adesso tanti Leporelli, Donne Elvire, Zerline e Masetti del mondo cultural-editoriale angloamericano unirsi in coro per consegnare l' anima di Roth alle fiamme eterne del #metoo: stanno per uscire in America due biografie (il 6 aprile «Philip Roth» di Blake Bailey, il 3 maggio «Philip Roth: A Counterlife» di Ira Nadel) e comincia il bombardamento. Sul Sunday Times londinese ecco il titolone «MeToo pronto a chiudere il caso sulla misoginia di Roth», e sullo stesso giornale - nelle recensioni - Claire Lowdon raddoppia con «Lo scrittore come maniaco sessuale arrabbiato». In generale, c'è consenso sulla qualità - altissima - del lavoro di Bailey: ottimo biografo di John Cheever (il suo capolavoro), di Richard Yates e Charles Jackson, Bailey riuscì a convincere Roth che «un Gentile dell' Oklahoma» potesse raccontare la vita di uno degli ebrei americani (del New Jersey) più famosi di sempre. Nadel definisce Roth «ossessionato dal sesso nella vita come lo era nei libri»; e poco importa che Bailey stesso abbia definito (post mortem) Roth come «la persona più corretta che ho conosciuto in vita mia», nel suo libro c'è materiale in abbondanza per chi ama grufolare tra le vite degli scrittori in cerca di materiale pruriginoso (Roth frequentava, quando viveva a Londra, case di tolleranza; disse «Dio, sono un fan dell' adulterio» prima di recarsi da una prostituta cinese; selezionava studentesse per i posti extra nei suoi seminari universitari - finivano regolarmente in overbooking - in base all' aspetto fisico). Roth, in vita, affrontò le accuse di misoginia con rassegnata esasperazione. È morto tre anni fa lasciando ai posteri l'ardua sentenza manzoniana sulla sua «vera gloria»; quanto alle accuse di presunto odio verso le donne, l' impressione è che tutto quello che aveva da dire sul tema ce l' abbia lasciato nella scena - esilarante - di «Inganno» (edito in Italia da Einaudi) in cui lo scrittore americano «Philip» viene orwellanamente processato per «discriminazione sessuale, misoginia, abuso delle donne, calunnia nei confronti delle donne, denigrazione delle donne, diffamazione delle donne e dongiovannismo sfrenato». Il divorzio infernale dall' attrice Claire Bloom fu funestato ulteriormente dal memoir di lei nel quale Roth emerge come un mostro di manipolazione e crudeltà, ritratto contestato da molti amici e che lui stesso - ferito - confutò in un saggio-requisitoria (in attesa di pubblicazione) che Bailey ha potuto consultare. Roth sapeva che non importava quante colleghe scrittrici - da Fay Weldon a Lisa Halliday a Zadie Smith che di lui, sul New Yorker , ha pubblicato un ricordo straordinario per bravura, sensibilità, e scarsa disponibilità a fare sconti al suo amico Philip - considerassero infondate le accuse di «discriminazione sessuale, etc» così sapientemente elencate in «Inganno»: su questo punto ci sarebbero sempre state polemiche. Roth lo prese come un dato di fatto, come l' evidente decisione dell' Accademia di non ritenerlo degno del Nobel (poco prima della sua morte assegnato a Bob Dylan, dopo la sua morte a Louise Gluck). Dagli anni 70 in poi - la prima cannonata la sparò Mary Allen che di Roth attaccò «l'enorme rabbia verso il genere femminile» - quella sul rapporto con le donne è stata una critica più o meno costante, sulla falsariga di Vivian Gornick che affondò così con un solo missile la duplice corazzata Bellow e quella Roth: «In Bellow la misoginia è gonfia di bile, in Roth è come lava che erutta da un vulcano», scrisse su Harpers. Alle polemiche Roth era abituato fin dall' inizio della carriera: nel 1959 il New Yorker pubblicò il suo racconto «Difensore della fede», più tardi incluso in «Goodbye Columbus», il suo primo libro. Esquire l'aveva rifiutato, William Shawn si prese il rischio e finì premiato da polemiche, insulti, rabbini furibondi, accuse di antisemitismo allo scrittore ragazzino e alla rivista che l' aveva lanciato. La prima di «Don Giovanni» a Vienna fu un insuccesso. L' imperatore, tramite l' autore del libretto Da Ponte, fece sapere a Mozart che «è opera divina ma non è pane per i denti dei viennesi». «Lasciamo loro il tempo di masticarlo», rispose Amadeus.
Marina Valensise per “Il Messaggero” il 22 marzo 2021. Il #MeToo, movimento planetario contro il maschio predatore sessuale, entra alla grande nella letteratura grazie a una sessantenne americana dall' acume sfolgorante. Ex adolescente in fuga, con esperienza di droga, abusi sessuali e prostituzione, Mary Gaitskill non è nuova a trattare temi tabù come i rapporti di dominio e sottomissione sadomaso o lo stupro visto senza vittimismo dalla parte di lei. In questo racconto uscito sul New Yorker e tradotto ora da Einaudi (purtroppo in un italiano un po' stopposo rispetto alla scioltezza dell' inglese) resta in equilibrio sul filo sottile che separa l' amicizia amorosa e la provocazione sessuale, l' innocuo flirtare e la violenza psicologica e morale, l' eccitazione che nasce dalla ricerca compulsiva di intimità tra sconosciuti e il livore prodotto dal risentimento che può distruggere la vita di una persona. La sua abilità consiste nel costruire una trama da una prospettiva aperta che alterna i piani narrativi, mettendo in scena ora un lui ora una lei che ripensano i loro comportamenti e quelli delle comparse che li circondano, e nel mantenere il giudizio in sospeso, senza decidere cosa è vero e cosa è falso, cosa è giusto o sbagliato. Il primo a comparire nei ricordi di lei è lui, il quarantenne inglese, editore a New York e figlio di un ricco banchiere. Quinslan M. Saunders rimorchia con una battuta gentile una signora a Central Park per il solo gusto di studiare il potenziale erotico di quell' ex bella donna cinquantenne e sola, che forse si farebbe picchiare volentieri, ma solo un po', perché «Questo è il piacere. E questo è il dolore». Subito dopo entra in scena la sua amica del cuore, Margot Berland, editor fortunata di Guarire la puttana interiore, che rivive la storiella del rimorchio per la quale aveva tanto riso, ma con un senso di colpa che la spinge all' introspezione autoaccusatoria. Cosa c' era da ridere? Cosa separa il piacere dal sopruso, la seduzione dall' inganno? Qui del resto ci aveva provato anche con lei che al primo colloqui era rimasta sconvolta quando lui le aveva chiesto quale fosse il suo punto forte, visto che evidentemente non lo era la voce. Lei poi aveva trovato lavoro altrove, ed era riuscita pure a soffiargli un libro. I due si erano rivisti e lui l' aveva invitata al ristorante: «Ora sì che la tua voce è più forte. Il tuo clitoride non le manda a dire», le aveva detto infilandole una mano tra le gambe. Ma lei per bloccarlo, gli aveva schiacciato il palmo della mano contro il naso, come sul muso di un cavallo. Ed era rimasta sorpresa dalla stupita obbedienza di lui, che le era parsa più fondata dell'allungare la mano. Strano però, ma solo in parte. Marito felice di una ventisettenne da schianto, un' argentina mezza coreana redattrice in una rivista di moda, e padre di una bambina iperdotata che una sera, infastidita dai suoi giochetti seduttivi, si mette a urlare prendendolo a pugni, Quin è tecnicamente un cascamorto, più che uno sciupafemmine. È uno che ci prova con tutte per il solo gusto di sentirsi vivo, entrando in intimità con la segretaria ambiziosa, assistendo nelle sue pene amorose la scrittrice esordiente, seguendo la nuova segretaria nel camerino di un negozio mentre si prova una maglietta e andando in estasi appena le sfiora il capezzolo. È uno che cerca di avvicinarsi a un limite, senza mai superarlo, e per questo riesce a darsi il ruolo di angelo custode, mentore, confidente, consigliere premuroso, pronto a mettersi in tasca rossetto e portafogli dell' amica del cuore, pur di vederla avvolta nell' aura di libertà mentre entra a un festa. Com' è possibile che un tipo simile passi per un violento, un predatore sessuale, e venga accusato dalle amiche di un tempo che ora sostengono di esserne state le vittime? A questo serve la letteratura, non a tranciare giudizi, ma a capire la vita vera attraverso la finzione.
Paolo Valentino per il "Corriere della Sera" il 18 marzo 2021. Da quando, tre anni fa, era arrivato alla guida della Volksbühne, uno dei teatri storici di Berlino, Klaus Dörr aveva rivoluzionato il cartellone, mandando in scena molte pièce femministe e mettendo sotto contratto registe e autrici fortemente concentrate su temi come i femminicidi, le discriminazioni contro le donne, la parità di genere. La sua reputazione era quella di un fautore delle donne. Ieri la maschera è caduta. Dörr è stato costretto a dimettersi da sovrintendente del teatro, travolto dalle gravissime accuse di dieci donne, tutte dipendenti della Volksbühne, che avrebbe molestato sessualmente in modo ripetuto e pesante. L' annuncio è stato dato da Klaus Lederer, senatore alla Cultura del Land Berlin, proprietario dell' istituzione. In una dichiarazione scritta, Dörr si è detto «dispiaciuto di aver ferito colleghe di lavoro con i miei comportamenti, parole o sguardi». A squarciare il velo su quanto succedeva dietro le quinte della Volksbühne è stata la Taz , il giornale che da sempre dà voce alla sinistra alternativa berlinese. In un' inchiesta dello scorso fine-settimana, il quotidiano ha raccolto le accuse delle dieci donne, che senza rivelare i loro nomi hanno deciso di parlare. A spingerle a questo passo è stata la lentezza con cui l' assessorato alla Cultura aveva reagito alle denunce presentate già in novembre al Themis, il consultorio fiduciario contro le molestie sessuali e la violenza sulle donne creato dopo il dibattito sul MeToo nel 2018. Le testimonianze alla Taz sono drammatiche. Le donne parlano di «vicinanza fisica, contatti stretti e intimi, osservazioni erotiche, pretese sessiste, battute allusive, richieste di indossare tacchi alti, sguardi bovini, occhi puntati sui seni, messaggi inappropriati». Non solo, Dörr sarebbe stato specialista in upskirting , cioè fotografare a sorpresa e senza il loro permesso le donne sotto la gonna con il cellulare. Inoltre, il sovrintendente le avrebbe discriminate in base all' età, creando un clima di lavoro «avvelenato». Lederer ha ammesso di aver ricevuto una lettera delle dieci donne già il 18 gennaio, a suo dire la prima volta in cui apprese di accuse concrete contro Dörr. Fino a quel momento, aveva sentito delle voci, ma che non costituivano per lui motivo di agire. Il 21 gennaio c' è stato un colloquio fra le dipendenti della Volksbühne, Lederer e un suo vice. Dörr è stato ascoltato per la prima volta ai primi di marzo: «Stiamo ancora valutando le sue dichiarazioni, la procedura non è ancora completata, violazioni della legge sulla parità di trattamento sono inaccettabili», ha detto Lederer, precisando che le dimissioni del sovrintendente sono la premessa per una credibile verifica delle singole accuse. Le verifiche riguardano anche la rilevanza penale di alcuni comportamenti. Ancora nel fine settimana, Dörr aveva respinto ogni addebito. Ma nel comunicato di lunedì ha cambiato tono, sia pure rimanendo ambiguo: «Mi dispiace di non essere riuscito a creare un clima aperto e sensibile alle discriminazioni, in grado di individuare per tempo i problemi e consentire alle colleghe di rivolgersi in modo confidenziale con le loro domande, lamentele e critiche ai posti demandati del nostro teatro». Dörr era sovrintendente ad interim della Volksbühne dal 2018, quando era stato chiamato in tutta fretta a gestire il teatro dopo il fiasco e la cacciata del suo predecessore, Chris Dercon, già direttore della Tate Gallery. Dercon aveva preso il posto del mitico regista Franz Castorf, ma era stato accolto dalle proteste della scena culturale berlinese, accusato di voler trasformare il tempio berlinese in una ribalta alla Broadway. Il teatro era stato anche occupato. Di suo, Dercon ci aveva messo una gestione economica velleitaria e disastrosa. Dörr sembrava aver trovato la quadra. Ma il suo Femwashing , la riscoperta dei temi delle donne per ragioni puramente commerciali, nascondeva un altro lato vergognoso e inconfessabile.
Flavio Pompetti per "Il Messaggero" il 4 marzo 2021. In ginocchio dopo lo scandalo per gli abusi sessuali ai danni di minori, e dissanguata dalla bancarotta, l'associazione dei Boy Scout statunitense è pronta a compiere un passo estremo: venderà all'asta l'intera collezione dei dipinti dei suoi giovani in divisa, eseguiti da Norman Rockwell. Il prolifico artista newyorkese ha avuto un sodalizio con l'associazione che ha accompagnato sessant'anni della sua carriera, da quando nel 1912 ricevette la richiesta di illustrare un libro sulle imprese montanare dei giovani esploratori con il cravattino verde. Da quel momento il rapporto non si è mai interrotto. I modelli dell'associazione hanno posato per lui nei tanti studi e nelle tante abitazioni che il pittore ha avuto negli anni nel Nord Est degli Stati Uniti. L'ultimo lavoro che ha come soggetto un adolescente in divisa kaki è una litografia del 1976, due anni prima della morte. Rockwell era divenuto nel tempo l'illustratore ufficiale dell'associazione: ha compilato interi calendari con i boy scout soggetto principale, e ha lavorato spesso su indicazione specifica del gruppo, che gli chiedeva di glorificare il concetto dell'appartenenza, come un rito di passaggio tra l'adolescenza e la maturità. La società sta al momento negoziando con il tribunale fallimentare, con la speranza che il giudice le permetta di chiudere pagina sulla vecchia struttura amministrativa e iniziare una nuova vita, cambiando almeno parzialmente nome. La parte più spinosa di questo passaggio sono le cause individuali e collettive intentate dagli ex membri che hanno subito molestie sessuali. Un'indagine interna commissionata dallo stesso gruppo dopo l'esplosione dello scandalo otto anni fa, scoprì l'evidenza di almeno 7.819 sospetti molestatori e di 12.254 vittime. Numeri enormi, che mostrano l'evidenza di una cultura della violazione sistematica, sulla quale la gerarchia deve perlomeno aver chiuso un occhio nel corso degli anni; ma che impallidiscono in confronto alle 92.000 denunce presentate nelle centrali di polizia e nei tribunali, e che attendono un dibattito in aula. Nell'incartamento fallimentare i legali hanno presentato l'offerta di costituire un fondo di più di 300 milioni di dollari per il risarcimento dei danni, e la proposta che il fondo sia finanziato con la vendita di oltre 60 illustrazioni di boy scout dipinte da Rockwell. Non è sicuro che la cifra possa essere raccolta con i proventi dell'asta, perché i pezzi riuniti nella collezione sono lavori secondari. Nove anni fa una sua tela dipinta nel 1951, dal titolo Saying Grace è stata venduta per 46 milioni di dollari, ma la quotazione di dipinti per cataloghi e poster è una frazione di quella cifra. I legali che rappresentano le vittime sono in ogni caso indignati dalla richiesta, perché temono che con essa l'associazione intenda porre un limite arbitrario ai risarcimenti. La ricchezza complessiva delle casse al momento dello scandalo era ben superiore, si avvicinava ai tre miliardi di dollari tra le proprietà immobiliari e quelle dei terreni dei campi estivi. Gli avvocati chiedono al giudice di rigettare la proposta, e mantenere aperto il tetto della responsabilità patrimoniale. La vicenda ha infine una nota di sinistra ironia. L'autorevole scrittrice Deborah Solomon ha ventilato l'ipotesi, nella biografia di Rockwell American Mirror pubblicata nel 2013, che il pittore sia stato un omosessuale non dichiarato, e che l'interesse per il soggetto dei giovani scout fosse un riflesso di una pedofilia latente, mai esplicitamente professata, che la famiglia ha sempre respinto con sdegno.
Dagospia il 4 marzo 2021. Estratto dal libro "Impunità di gregge" di Daniela Simonetti edito da Chiarelettere. "Chi abusa deve essere consapevole che ci saranno delle gravi conseguenze in seguito alle sue azioni criminali". Karl Wechselberger sarà ricordato per le sue inclinazioni perverse al limite della pedofilia, per le orecchie a sventola e l’espressione non particolarmente intelligente, e per essere stato un tempo amico di Alex Schwazer, il marciatore azzurro squalificato per doping fino al 2024. Un campione di equitazione, un istruttore, spesso capo équipe nelle competizioni internazionali di maggiore rilievo. Condannato per atti sessuali su minori a una pena di tre anni e otto mesi di reclusione, è stato arrestato la prima volta nel maggio del 2015, poi a ottobre del 2019 in virtù di una condanna definitiva. Nel 2016 è stato radiato dal Tribunale della Federazione italiana sport equestri (Fise), sentenza confermata anche dalla Corte federale d’appello, la quale ritiene fondati i motivi di incolpazione della Procura che aveva deferito Wechselberger per avere posto in essere più azioni preordinate ad abusare sessualmente della minore [omissis] nata il **/10/1999, sin dal giugno 2014 e aver consumato rapporti sessuali completi con la stessa dall’agosto. del 2014 al gennaio del 2015, nelle circostanze in cui la stessa gli era stata affidata per ragioni di istruzione e custodia, in quanto suo istruttore: per almeno tre volte alla settimana a Vipiteno, presso l’appartamento dello stesso istruttore, che si occupava di accompagnarla dal collegio ove la minore risiedeva, al circolo ove le impartiva le lezioni e riprenderla al ritorno; in due circostanze presso la stanza dell’albergo del centro ippico di Manerbio, dove la minore alloggiava in occasione di gare di equitazione ivi disputate, nel novembre del 2014 e nel gennaio del 2015; esercitato, nel medesimo periodo, sulla minore [omissis] una coercizione psicologica con connotati di vera e propria sopraffazione sulla volontà della stessa, tanto da indurla ad avere rapporti sessuali completi con lui e a intrattenere una vera e propria relazione sessuale. L’aria allampanata, la fama da campione, le frequentazioni con gente che conta lo hanno reso uno degli atleti e istruttori maggiormente ricercati, blanditi, coperti e omaggiati nella storia della Fise. È riuscito a trovare più di un posto al sole grazie ai suoi colleghi – almeno sei e mai sanzionati – che gli hanno permesso di lavorare nonostante la sentenza di radiazione e quasi fino all’arresto. Il Tribunale federale apre un fascicolo sugli «amici», poi archivia ma intima alla Procura federale di proseguire le indagini. Le indagini non sono mai proseguite o comunque non hanno avuto alcun esito. Nonostante sia già radiato in Italia, sono frequenti le sortite di Wechselberger in Austria dove la federazione, avvertita dei precedenti penali e della conseguente radiazione, fa spallucce e lo ospita in gara. Investita della vicenda anche la Fei, Federazione equestre internazionale. Il caso è da un paio d’anni all’attenzione del loro ufficio legale, che non ha mai dato alcuna risposta. Una lunga storia di disonore e opacità per tutto lo sport italiano. Nel 2013 il nome di Wechselberger fa capolino anche nell’inchiesta a carico di Schwazer, dalla quale esce indenne, sfuggendo all’accusa di connivenza. Resta negli archivi una incredibile intervista all’«Adige». Dai tabulati telefonici finiti negli atti giudiziari sono documentati contatti frequenti fra i due. Wechselberger risulta in possesso di una sim card intestata a un cuoco slovacco che all’epoca risiedeva in Germania. Come mai? «La carta», risponde, «l’ho trovata per terra davanti all’albergo di mio fratello a Vipiteno. Volevo restituirla ma poi si è rotto il mio cellulare e l’ho usata. Forse qui ho sbagliato. Ma ho scoperto solo dopo che era di uno slovacco, l’ho letto sui giornali». Wechselberger, classe 1970, originario della Val di Vizze, nato in Austria, cresciuto a Vipiteno, nel 2002 si classifica quinto in coppa del mondo a Mosca. Con la Nazionale azzurra, vince la coppa delle nazioni a Drammen, in Norvegia. Si aggiudica il Gran premio di Sofia. Mattatore del Gran premio di Wiesen nel 2004, nel 2006 e nel 2007. Nel 2012 diventa consigliere nel comitato provinciale Fise dell’Alto Adige. Nasce da una famiglia di agricoltori e piccoli albergatori. Il ragazzo si fa subito notare per il suo talento a cavallo, che va di pari passo con l’istinto di pedofilo e predatore: negli anni Novanta è uno dei pochi cavalieri di rilievo in Alto Adige, istruttore federale, vincitore di quasi tutti i concorsi della regione. Grazie a ottimi sponsor e alla rete di amicizie importanti che riesce a imbastire, ottiene budget sempre più cospicui e buoni cavalli per competere a livello nazionale e internazionale. In quegli anni accade l’incredibile: durante un concorso, una madre infuriata e disperata strappa il microfono allo speaker e accusa pubblicamente Wechselberger di essere un molestatore e un pervertito. Lui, già maggiorenne, aveva accalappiato la figlia, una bellissima ragazzina bionda, dai grandi occhi, poco sviluppata fisicamente e dall’aspetto ancora infantile. Questa ragazzina resta al suo fianco, presentata come la sua «fidanzata» mentre lui adocchia e insegue prede sempre più giovani. Tra la fine degli anni Novanta e l’inizio dei Duemila, diventa l’istruttore più in voga e ricercato nella provincia. La scuderia si popola di allievi ma soprattutto di allieve. Le ragazzine vengono invitate a cena da Wechselberger, una donna del suo entourage promette ai genitori che sarà lei a riaccompagnarle a casa. Invece si offre lui stesso di farlo, con l’obiettivo di tentare approcci sconvenienti durante l’interminabile viaggio. Lo scenario e il modus operandi sono sempre uguali, un copione consolidato: le ragazze arrivano in scuderia, lui le sfiora, sussurra complimenti su come sono state brave alla lezione, si prodiga nel far credere loro di essere dei talenti in erba. Poi tutti a cena ed è sempre lui a riportare a casa la preda di turno. Le case delle ragazze non sono vicine, 50-80 chilometri di distanza. Piano piano, alcune abbandonano la scuderia, ufficialmente per motivi famigliari o scolastici e le voci diventano sempre più insistenti. Wechselberger lascia correre e tutto fila liscio fino al 2004, quando scatta la prima inchiesta. L’ipotesi di reato è atti sessuali con minori ma il caso si conclude con un’archiviazione nel novembre del 2005. Qualcosa va storto: la vicenda emerge in seguito a un’informativa dei carabinieri del posto che ascoltano sedici testimonianze senza dare previa comunicazione al pm, rendendo necessario un sostanziale rinnovo dell’attività investigativa che non darà i frutti sperati. Nell’atto di archiviazione, il pm Donatella Marchesini definisce gravemente censurabile il comportamento della locale stazione dei carabinieri. Successivamente, l’ufficiale al quale erano state affidate le indagini viene trasferito. Si parla apertamente di insabbiamento. A una a una, le vittime rinunciano all’azione giudiziaria. Per Karl Wechselberger la vita riprende col vento in poppa. Il 27 ottobre 2012 accede al comitato provinciale altoatesino della Fise con la cordata di Elisabetta Ticcò, che viene nominata presidente e appena eletta dichiara: «In Alto Adige c’è molto da fare in tutte le discipline con particolare riguardo ai giovani che sono la nostra forza». Per Wechselberger comincia una nuova primavera. Responsabile della disciplina del salto ostacoli e – con una coerenza diabolica da parte di chi lo nomina – del settore giovanile. Gira con un’altra allieva minorenne. Le polemiche vengono zittite e ignorate, nessuno ferma la sua carriera criminale fino al 2015, quando un padre trova il coraggio di denunciarlo e di mandarlo in galera per aver abusato della sua bambina quindicenne. Il resto è storia. Si iniziano a scrivere sentenze pesanti che il mondo equestre non ha mai preso sul serio e sostanzialmente ha ignorato e aggirato. «La cosa che non si legge da nessuna parte» conferma una vittima, oggi donna consapevole, «è che una buona parte dei centri altoatesini si sono stretti intorno a Wechselberger quando già le accuse di molestie e abusi erano di dominio pubblico. Vari istruttori sono andati a casa sua, nessuno dei genitori ha ritirato le proprie figlie. La colpa era della ragazzina che lo aveva sedotto. Lo dicevano in pubblico, lo scrivevano sui social. Ma come mai un’intera regione sapeva e ha taciuto? Chi ha avuto il coraggio di votarlo come consigliere Fise e chi ha avuto l’ardire di portarselo nella propria squadra pur sapendo delle sue tendenze? Con quale coraggio è stato nominato responsabile del settore giovanile altoatesino? Chi lo ha messo nella posizione di tecnico e capo équipe giovanile riesce a dormire la notte sapendo che sfruttava queste occasioni per approfittare di adolescenti e bambine innocenti?». Ma, almeno, una di queste vittime mostra il coraggio e la forza di andare fino in fondo. Dopo Wechselberger, questa ragazzina si rivolge a un’istruttrice per continuare ad andare a cavallo. Soffre di crisi di panico e spesso le chiede di essere tenuta in braccio. Poco dopo, abbandona lo sport che ama. Il padre vuole dimenticare. Non ha mai rilasciato dichiarazioni pubbliche. Karl Wechselberger impugna la sentenza della Corte d’appello di Bolzano davanti alla Corte di cassazione che il 12 settembre 2019 rigetta l’impugnazione dando un quadro dei guasti psicologici inflitti alla ragazzina e descrivendo le condotte criminali devastanti di cui è stata vittima. La Corte suprema richiama le sentenze precedenti, ne avalla la legittimità e scrive:
I giudici hanno fatto riferimento, tra l’altro:
– all’approfittamento dell’ingenuità della minore, affabulata dall’aura iconica dell’imputato, fondata sui suoi successi sportivi;
– al perseguimento subdolo di personali scopi sessuali;
alla consumazione di ripetuti rapporti sessuali, impostati esclusivamente sul piacere personale dell’imputato;
– alla creazione di una realtà distorta, improntata su un’asserita quanto fallace «normalità» di relazioni sentimentali nel mondo dell’equitazione tra persone dal grande divario di età, con isolamento progressivo della minore;
– alla sottoposizione della p.o. [parte offesa, nda] a continue umiliazioni per la concomitante presenza della fidanzata dell’imputato;
– all’utilizzo della ragazza alla stregua di un oggetto sessuale;
– all’insensibilità rispetto al manifestato malessere della vittima, continuamente illusa con promesse amorose contestuali al mantenimento di interessi sessuali e sentimentali per altre persone, oltre che indotta a mantenere il segreto della relazione per puri calcoli personali;
– alla produzione di gravi danni psicologici a carico della p.o., privata di un’equilibrata crescita adolescenziale e pregiudicata nella valutazione dei rapporti sentimentali e sessuali.
Il Tribunale di sorveglianza di Bolzano con ordinanza del 5 novembre 2019 rigetta l’istanza di affidamento in prova ai sevizi sociali presentata dal legale di Wechselberger. Il 9 aprile 2020 la Corte di cassazione conferma la decisione.
Matteo Persivale per il "Corriere della Sera" il 3 marzo 2021. «Dopo lo show c'è l'after party / e dopo l' after party c' è l' atrio dell' albergo» cantava R. Kelly, mago del R&B da 75 milioni di copie vendute, da anni dentro e fuori i tribunali per una serie di accuse di molestie e violenze, e modello della campagna primavera/estate 2017 di Alexander Wang. L'after party è - o meglio era, nell' epoca pre Covid - una tradizione consolidata dopo i concerti e dopo le sfilate di moda serotine, e in quella vecchia campagna Wang (vecchia, sì: cinque anni sono un intero ciclo della moda, strano ma vero) Kelly appariva in discoteca, fotografato in bianco e nero con il flash, scatto finto amatoriale in realtà studiatissimo, il divo-dandy sul divano del privé con il sigarone acceso e la modella impellicciata al suo fianco. Rivedere adesso quelle fotografie fa un po' effetto, visto che tra le vittime imprevedibili di questo 2021 imprevedibile c' è anche l' after party. Le feste di per sé sono impensabili causa assembranti e Covid, ma soprattutto le foto fanno pensare perché lo stilista Alexander Wang è ora sotto accusa - soltanto sui social, non ci sono a oggi procedimenti civili né penali - proprio per fatti che sarebbero successi durante vari after party newyorchesi. Californiano di San Francisco, capelli lunghi sulle spalle, quasi sempre vestito di nero tra il minimale e l' hi-tech, Alexander Wang è diventato famoso a 24 anni vincendo il premio di Vogue per i giovani stilisti e bruciando le tappe canoniche di chi studia per arrivare alla moda che conta - passò una sola estate all' accademia St Martins e un rapido biennio, senza laurearsi, alla Parsons di New York - e adesso che ne ha solo 37, appena compiuti, la sua carriera vissuta sempre a tutta velocità per la prima volta si è fermata. Uno scandalo, partito settimane fa sui social e amplificato dal tam-tam digitale: accuse, ripetute, di avances non richieste, di palpeggiamenti e peggio, presunte bottigliette d' acqua «corrette» con sostanze psicotrope offerte a ragazzi conosciuti in discoteca, dal 2010 al 2019. Prima due, poi altri, all'inizio via TikTok poi su Instagram negli account @ShitModelMgmt e @Diet_Prada (che fanno le pulci a parte del mondo della moda, più mansueti invece con altri) e poi sui media tradizionali angloamericani, di moda e non di moda: Guardian , Business of Fashion, New York Times , Daily Mail . Undici accusatori, alla fine, secondo la rivista New York, si sono rivolti a un avvocato, Lisa Bloom. Wang, a differenza di altri accusati celebri che in passato facevano dei distinguo o definivano consensuali i contatti con gli accusatori, ha ribattuto con veemenza: «Accuse infondate e grottesche, amplificate scorrettamente da account social noti per diffondere materiale diffamatorio da fonti anonime o senza prove, e senza verifica dei fatti. Vedere queste bugie su di me perpetuarsi come verità è stato esasperante. Non ho mai avuto quei comportamenti atroci che sono stati descritti, e non mi comporterei mai in quel modo. Intendo andare a fondo di questa vicenda, e riterrò responsabile chiunque sia all' origine di queste affermazioni e della loro diffusione online». Gli amici famosi? Nessun commento da Zoë Kravitz, Bella Hadid, Kendall Jenner. Altre, in maniera allarmante per chi è familiare con la comunicazione digitale di questi anni, hanno «unfollowato» Wang, cioè non seguono più i suoi account di social media - Kylie Jenner, Nicki Minaj, Ashley Graham. Nulla da R. Kelly che peraltro - fu una scelta improvvida del bad-boy Wang, indipendente sempre e comunque - in questi casi non appare come l' alleato ideale.
Andrew Cuomo nel tritacarne del giustizialismo. Le accuse di molestie e il processo mediatico. Per ora l’unica vittima è l’ex Governatore di New York, Andrew Cuomo. Ecco la situazione giudiziaria. Daniele Zaccaria su Il Dubbio il 12 agosto 2021. Il crepuscolo politico di Andrew Cuomo sta tutto nella tragica dissolvenza incrociata tra l’eroe anti- pandemia adorato dai newyorkesi e il molestatore seriale emarginato dal suo partito. Un declino avvenuto in pochi mesi che si è consumato nel mesto messaggio di commiato rivolto ai suoi elettori con cui annuncia le dimissioni da governatore di New York: «Chiedo scusa e assumo le mie responsabilità, ho deciso di lasciare per le mie figlie». Denunciato da 11 donne che lo accusano di molestie sul luogo di lavoro, l’ex governatore non aveva nessuna intenzione di abbandonare la poltrona, fin dall’inizio ha denunciato «manovre politiche», dietro le inchieste, giurando di non aver mai passato il segno con le sue collaboratrici. Ma la bufera mediatica che si è abbattuta su di lui nel corso delle settimane è diventata insostenibile, con lo stesso presidente Joe Biden che gli ha chiesto di fare ufficialmente un passo indietro per non creare ulteriori imbarazzi ai democratici. La procuratrice generale di Letitia James ha pubblicato un nuovo rapporto che lo accusa di aver tenuto «comportamenti inappropriati» con alcune donne del suo staff. Per esempio la sua vecchia assistente Lindsey Boylan, alla quale avrebbe proposto «una partita di strip poker» a bordo del suo jet privato. O la collaboratrice Charlotte Bennet alla quale avrebbe chiesto se avesse mai avuto relazioni con uomini più anziani tentando di darle un bacio. Avrebbe tentato di baciare durante un matrimonio a cui erano invitati anche la conoscente Anna Ruch; i due sono anche stati fotografati e nelle immagini si vede l’ex governatore che appoggia una mano sulle spalle della donna, anche se lei lo ha denunciato per averle «toccato il fondoschiena». Tra le donne che lo hanno chiamato in causa c’è anche una poliziotta di servizio nel suo ufficio che sarebbe stata molestata in un ascensore: «Mi toccò il collo e la schiena, poi la pancia e il calcio della mia pistola», afferma l’agente di polizia. Denunce ritenute «inconsistenti» dai suoi avvocati ma che gli hanno alienato qualsiasi sostegno all’interno del partito, Nonostante i principali organi di informazione lo descrivano come una specie di maniaco, Cuomo per ora non è stato rinviato a giudizio ed è tecnicamente un presunto innocente. Almeno per il diritto penale, non per la vox populi e per il tritacarne mediatico che lo ha già condannato e impallinato prima del processo dall’ondata del metoo che mai era arrivata a colpire un politico così in vista. In attesa che la giustizia confermi o smonti le accuse, l’unica vittima sicura di tutto l’affaire è proprio Andrew Cuomo, costretto a terminare nella polvere la sua carriera politica. E dire che a inizio anno c’era anche chi parlava di lui come possibile candidato alla Casa Bianca. Ora sarà fortunato se gli americani si dimenticheranno di lui. C’è da dire che l’ex governatore ha gestito in modo catastrofico tutta la vicenda con dichiarazioni imbarazzanti, da autentico “boomer” come si dice oggi in gergo, che gli hanno praticamente scavato la fossa. «Non sono un molestatore, sono un uomo italo- americano che ha abbracciato e baciato in modo disinvolto», ha detto poche ore prima delle dimissioni sugli schermi di Fox news. Parole che in un sol colpo hanno fatto infuriare milioni di donne e milioni di italiani, equiparati a satiri dalla mano morta incapaci di trattenere i propri impulsi. Ma che non ne fanno un molestatore.
Francesco Semprini per "la Stampa" il 12 agosto 2021. Non solo i procedimenti giudiziari e l'annunciato esilio politico, ora Andrew Cuomo deve fare i conti con l'accanimento degli italiani. Certo il tentativo di spiegare la sua «affettuosità manifesta» sul posto di lavoro è stato piuttosto goffo, ma ad alcuni organi di informazione non è apparso vero coglierlo in fallo e assestargli il colpo del KO. Martedì l'ormai ex governatore di New York ha annunciato in diretta le sue dimissioni dopo le accuse di molestie sessuali avanzate da undici donne e un rapporto della procuratrice generale dello Stato, Letitia James, che sembrerebbe inchiodarlo alle sue responsabilità. «Date le circostanze, la cosa migliore che posso fare per aiutare è farmi da parte, per permettere al governo di tornare a governare», ha detto. Poi però si è avventurato in una spinosa interpretazione antropologica di alcuni dei gesti che gli vengono contestati, ad esempio il bacio sulla guancia, un braccio attorno al collo in posa per una foto e il «tesoro» detto per chiamare una collaboratrice. Ha così ammesso di essere stato sempre «troppo affettuoso con le persone» e che il suo senso dell'umorismo può essere stato «pesante e privo di tatto». «L'ho fatto per tutta la mia vita, è quello che sono da quando ho memoria di me stesso - ha aggiunto - nella mia mente non ho mai superato il limite con nessuno, ma non mi sono accorto che questo limite era stato ridisegnato». Ma è la chiosa che ha innescato il corto circuito: «Ci sono cambiamenti generazionali e culturali che non ho apprezzato appieno, e avrei dovuto». Probabilmente voleva intendere di non essere stato capace di adeguarsi ai cambiamenti che la cultura americana ha sviluppato rispetto a quella presunta italiana di decenni addietro. Andrew Cuomo è figlio di Mario Cuomo, storico governatore di New York ed esponente di spicco del partito democratico di origini campane, e di Matilda Raffa di origini siciliane. Le sue parole sono state così interpretate come un'accusa alle sue origini italiane per gli atteggiamenti inappropriati con le donne. A completare l'opera sono stati alcuni organi di informazione come Fox News, emittente di orientamento conservatore, che ha proposto un eloquente sottopancia a corredo dell'immagine del governatore: «Cuomo: non sono un pervertito, sono solo un italiano». La parafrasi - il termine italiano non è stato pronunciato dal governatore - ha scatenato l'offensiva sul web e sui social da parte di italiani, oriundi e simpatizzanti. Tra chi lo ha definito indegno di avere sangue tricolore e chi lo ha accusato di essere ignobile nel tentare di mascherare i suoi atteggiamenti da «predatore» come retaggi culturali. Per il 63enne democratico si tratta dell'affondo finale, costretto a uscire di scena con l'onta di aver tradito le sue origini. Sembrano lontanissimi i tempi del mito del «super Cuomo» costruito sulla brillante gestione dell'emergenza coronavirus. Lo stesso fratello Chris, volto noto di Cnn, lo ha caldeggiato nei giorni scorsi a dimettersi perché non sarebbe sopravvissuto alle ricadute del rapporto della procuratrice James. E così ieri a fare il suo esordio da governatrice ad interim è stata Kathy Hochul, che fra due settimane si insedierà ad Albany. Hochul, 62 anni, avvocatessa e già vice di Cuomo si è detta «pronta a guidare lo Stato di New York», dopo che aveva definito i comportamenti contestati al suo ex capo «disgustosi e fuorilegge».
ANDREW CUOMO SI DIMETTE IN DIRETTA TV. (ANSA il 10 agosto 2021) Andrew Cuomo ha annunciato le sue dimissioni in diretta tv. "Mi scuso profondamente se ho offeso qualcuno, sono stato troppo familiare con le persone, uomini e donne, ma non ho mai superato il limite con nessuno": così Andrew Cuomo si è rivolto in diretta tv ai newyorchesi, visibilmente scosso ma accusando il rapporto che lo accusa di molestie sessuali di "faziosità". "Quando c'è faziosità, attenzione, può colpire chiunque". "Accetto la piena responsabilità, sono scivolato, sono stato troppo familiare con i miei collaboratori". "Ma dietro alle accuse ci sono motivazioni politiche, e sono certo che i newyorchesi capiranno". Lo ha detto Andrew Cuomo tornando a difendersi in diretta tv. (ANSA).
Lo scandalo e le indagini sulle molestie: Cuomo si dimette. Orlando Sacchelli il 10 Agosto 2021 su Il Giornale. Il politico democratico ha annunciato in conferenza stampa le proprie dimissioni dopo essere stato accusato di aver molestato sessualmente 11 donne. Da giorni sulla graticola con l'accusa di aver molestato diverse donne, il governatore dello stato di New York Andrew Cuomo ha deciso di fare un passo di lato, rassegnando le proprie dimissioni. Parlando ai newyorchesi in un discorso trasmesso in diretta ha rigettato le accuse affermando che il rapporto della procuratrice generale Letitia James che lo accusa di aver molestato 11 donne è falso. Poi ha chiesto scusa alle donne "offese" e ha detto che si assume la responsabilità delle proprie azioni: "Ho agito totalmente senza pensare, ho agito in modo irrispettoso e insensibile verso alcune persone e io mi scuso". Cuomo è oggetto di una procedura di impeachment da parte dell'assemblea statale, che eviterà grazie alle dimissioni. Pur uscendo di scena, con le dimissioni, Cuomo si è difeso strenuamente: "Un'inchiesta basata su fatti non veri - ha detto il governatore -. Ho chiamato le persone tesoro, ho dato loro baci e abbracci, ma stavo scherzando. Ho preso piena responsabilità per il mio comportamento, il mio senso dell'humor può essere apparso insensibile a uomini e donne, ma io non ho mai fatto nella mia vita... non ho mai superato il confine con nessuno. Ci sono stati cambiamenti generazionali che io non ho considerato". L'avvocato Rita Glavin, che difende Cuomo, ha attaccato Jon Kim, uno degli investigatori dello staff della procura federale, sottolineando che "ha cercato per anni prove contro il governatore". Sotto accusa anche la stessa procuratrice generale. "L'obiettivo dell'inchiesta del suo ufficio - ha spiegato Glavin - era costruire un caso contro il governatore, non un'analisi onesta e indipendente delle accuse". Nel rapporto di 165 pagine presentato la scorsa settimana, sottolinea l'avvocato Glavin, dalla procuratrice generale ci sarebbero "pregiudizi" e non prove contro Cuomo. Glavin prosegue affermando che Cuomo era "totalmente lontano" dall'aver cercato una relazione con una delle sue accusatrici, Charlotte Bennett, a cui si era rivolto per un altro motivo: come persona che aveva subito un'aggressione sessuale, la sua esperienza poteva essere utile al governatore, per gestire un caso di violenza che aveva coinvolto un suo stretto familiare. Sessantaquattro anni a dicembre, figlio dell'ex governatore italoamericano Mario Cuomo, Andrew aveva seguito le orme del padre, divenendo un esponente di spicco del Partito democratico ed entrando nei "giri che contano" dopo aver sposato una delle figlie di Bob Kennedy: da ministro alla Casa e allo sviluppo urbano con Clinto alla Casa Bianca, a procuratore generale di New York, e infine governatore, entrato in carica il 1° gennaio 2011. Nell'ultimo periodo della presidenza Trump aveva duramente polemizzato con la Casa Bianca, specie nella gestione del coronavirus. Polemiche durissime, vere e proprie sfide personali, che per un certo periodo avevano posto Cuomo come l'alternativa (o il maggior oppositore) di Trump. Poi però la sua leadership si era sgonfiata, a causa di uno scandalo legato ai numeri taroccati sui morti per coronavirus nelle case di riposo per anziani. Un'altra brutta pagina che ha macchiato l'esperienza politica del governatore democratico, prima dello scandalo sessuale.
La reazione della Casa Bianca. "Questa è una vicenda di donne coraggiose che hanno raccontato la loro storia", afferma Jen Psaki, portavoce della Casa Bianca. La Psaki ha precisato che Joe Biden - che la scorsa settimana aveva detto che Cuomo avrebbe dovuto dimettersi - da allora non ha parlato con il governatore democratico e che la Casa Bianca non era stata avvisata in anticipo della sua decisione di dimettersi.
Orlando Sacchelli. Laureato in Scienze Politiche, ho scritto per La Nazione e altri quotidiani. Dal dicembre 2006 lavoro al sito internet de il Giornale. Ho fondato L'Arno.it, un sito per i toscani e per chi ama la Toscana.
(ANSA il 3 agosto 2021) Il governatore di New York, Andrew Cuomo, ha molestato sessualmente diverse donne e si è vendicato di un dipendente che aveva provato a denunciare la situazione. Lo ha dichiarato la procuratrice generale dello stato di New York, Letitia James dopo che Cuomo giorni fa è stato interrogato per ben undici ore dagli investigatori. La procuratrice, nel corso di una conferenza stampa, ha spiegato come tra le donne molestate ci sono un'attuale dipendente ed una ex dipendente statale. James ha accusato Cuomo anche di aver creato nei suoi uffici un ambiente di lavoro pervaso da un clima di paura e di intimidazione, oltre che ostile nei confronti di diversi membri dello staff. James ha quindi definito "eroiche" le donne, alcune giovani, che hanno avuto il coraggio di denunciare.
Dagotraduzione dal Daily Mail il 4 agosto 2021. Il governatore Andrew Cuomo è stato formalmente accusato di molestie sessuali su undici donne dal procuratore generale di New Yor, Letitia James. Cuomo è stato accusato per la prima volta di cattiva condotta sessuale l'anno scorso, ma nella conferenza stampa di martedì sono state tirate in ballo diverse nuove vittime e sono stati resi noti i nove precedenti accusatori di Cuomo - le cui testimonianze sono risultare convincenti agli investigatori. Il governatore ha negato furiosamente la scorrettezza e ha rifiutato di dimettersi, nonostante il presidente Biden abbia aggiunto la sua voce alle richieste di Cuomo di lasciare l’incarico. Qui diamo uno sguardo dettagliato alle donne le cui affermazioni hanno innescato la più grande crisi della carriera di Cuomo, al terzo mandato.
Poliziotto di Stato n. 1. Cuomo è accusato di aver molestato sessualmente una poliziotta di stato, indicato nel rapporto come Trooper N. Il governatore avrebbe voluto la soldatessa senza nome nella sua cerchia ristretta nonostante avesse completato solo due anni di addestramento. Si dice che abbia chiesto a un membro anziano della sua scorta di sicurezza di aggiungerla alla squadra anche se non soddisfaceva i requisiti standard. «Ah ah, hanno cambiato il minimo da 3 anni a 2 solo per te», ha detto il membro senior della sicurezza al soldato in un'e-mail, inclusa nel rapporto del procuratore. Una volta entrata nella sua squadra, l'ha presumibilmente molestata in diverse occasioni, una volta le ha passato la mano sullo stomaco dall'ombelico all'anca destra mentre teneva la porta aperta per lui durante un evento. «Mi sono sentita... completamente violata perché per me... questo è tra il mio petto e le mie parti intime», ha detto il soldato, secondo Business Insider. È anche accusato di averle «passato un dito sulla schiena» mentre erano in ascensore insieme dicendo "hey tu", e baciandola sulla guancia di fronte a un altro soldato. «Ricordo di essermi sentiti ghiacciare, - pensavo, oh, come faccio a dire di no educatamente. E ora sono sulla cattiva lista», ha detto la soldatessa. Cuomo avrebbe anche chiesto a lei di aiutarlo a trovare una ragazza e ha detto che voleva qualcuno a cui «piacesse il dolore», e le ha chiesto perché volesse sposarsi, dicendo che così «il tuo desiderio sessuale diminuisce». «Il soldato n. 1 ha trovato queste interazioni con il governatore non solo offensive e scomode, ma notevolmente diverse dal modo in cui il governatore ha interagito con i membri del PSU che erano uomini, e ha comunicato questi incidenti ai colleghi», si legge nel rapporto. Il poliziotto ha detto che temeva di subire ritorsioni se si fosse ribellata.
Impiegato dell'ente statale n. 2. Un medico afferma di essere stata molestata sessualmente mentre somministrava a Cuomo un test COVID-19. La dottoressa che ha somministrato un test per il COVID-19 a Cuomo è stata molestata sessualmente durante l'incidente. Il 17 maggio 2020 Cuomo ha detto al medico, davanti alle telecamere «che piacere vederti dottore, fai sembrare bello quel vestito». Il medico, che si è presentato in completo DPI, non ha risposto al suo commento. Il rapporto afferma anche che prima del test, Cuomo le ha chiesto di non tamponarlo così forte da «colpirgli il cervello». Lei ha risposto che sarebbe stata «gentile ma precisa» e lui ha detto «L'ho già sentito prima», che il dottore inteso come «riferito a qualcosa di natura sessuale». Il medico ha ritenuto che l'interazione fosse una molestia sessuale e gli investigatori hanno concordato.
Un altro "impiegato dell'ente statale" senza nome n. 3. La dipendente non identificata, citata come "Dipendente dell'entità statale n. 1", ha affermato di aver partecipato a un evento con Cuomo nel settembre 2019. Dopo aver tenuto un discorso, si dice che Cuomo abbia posato per delle foto con lei. Mentre la foto veniva scattata, le «afferrava il sedere». «La dipendente è rimasta scioccata e ne ha discusso con un certo numero di amici, familiari e colleghi», afferma il rapporto. Ha anche «memorizzato il tocco inappropriato del Governatore» contemporaneamente, ma il rapporto non dice come.
"Assistente Esecutiva Uno" n. 4. Cuomo è accusato di aver palpeggiato una assistente esecutiva, la cui identità rimane anonima, in occasione di un evento lo scorso novembre, dopo aver regolarmente messo in atto uno schema di condotta improprio iniziato alla fine del 2019. Il rapporto afferma che Cuomo ha ripetutamente molestato sessualmente "L’Assistente Esecutiva Uno" quando lavorava per lui sottoponendola ad «abbracci stretti e intimi», «baci sulle guance e sulla fronte», «almeno un bacio sulle labbra» e «toccandole il culo». Si riferiva a lei e a un’altra assistente come «mamme miste» e le chiedeva ripetutamente se avrebbe mai tradito suo marito. Il 31 dicembre 2019, Cuomo le ha chiesto di farsi un selfie mentre lavoravano insieme nel suo ufficio all'Executive Mansion. Mentre sollevava la telecamera, Cuomo «ha mosso la mano per afferrarle il sedere e ha iniziato a strofinarlo» per almeno cinque secondi, sostiene il rapporto. L'assistente «tremava così tanto durante questa interazione» che le foto risultavano sfocate - e Cuomo ha suggerito ai due di sedersi per farne un'altra, dice il documento. Quella foto, che mostra Cuomo che sorride mentre si siede su un divano con l'assistente, è inclusa nel rapporto. Il governatore le avrebbe quindi detto di inviare lo snap a un'altra aiutante, Alyssa McGrath - che ha anche accusato Cuomo di molestie sessuali - e ha detto «di non condividere la fotografia con nessun altro». La donna ha detto di non aver denunciato l'accaduto perché terrorizzata. Cuomo ha ammesso che lui e lo staff hanno scattato una foto insieme, ma ha detto che è stata un'idea sua, perché "non gli piace fare selfie". Nel novembre 2020, avrebbe tentato di toccarle il seno all'Executive Mansion di Albany. «Per oltre tre mesi, l'assistente esecutiva n. 1 ha tenuto per sé questo incidente a tentoni e ha pianificato di portarlo "nella tomba", ma si è trovata a diventare emotiva (in un modo visibile ai suoi colleghi)». Il governatore ha dichiarato, in una conferenza stampa del 3 marzo 2021, di non aver mai «toccato nessuno in modo inappropriato». Si è poi confidata con alcuni dei suoi colleghi, che a loro volta hanno riferito le sue accuse al personale dirigente della Camera esecutiva, afferma il rapporto. L'assistente è stato convocato nella villa con il pretesto di dover assistere Cuomo con un problema tecnico che riguardava il suo telefono, secondo quanto riportato dal Times Union a marzo. I due erano soli insieme al secondo piano della residenza quando Cuomo avrebbe chiuso la porta, ha raggiunto sotto la camicetta della donna e ha iniziato ad accarezzarla. «Ci metterai nei guai», ha detto la donna e Cuomo le ha risposto: «Non mi interessa», secondo il rapporto. Il governatore poi «ha fatto scivolare la mano sulla sua camicetta e l'ha afferrata per il seno, mettendole il seno sopra il reggiseno», afferma il rapporto. Una fonte a conoscenza dell'incidente ha riferito al quotidiano che la vittima aveva chiesto a Cuomo di fermarsi. Questa è stata presumibilmente l'unica volta che l'ha toccata; tutti gli altri casi hanno comportato un comportamento civettuolo.
Lindsey Boylan. Boylan, che è stata la prima accusatrice a parlare pubblicamente, ha affermato che Cuomo le ha fatto commenti inappropriati quando ha lavorato come capo dello staff per l'amministratore delegato dell'Empire State Development Corporation. Cuomo ha detto che la trovava attraente e che voleva giocare a strip poker. Ha anche detto che l'ha toccata fisicamente su varie parti del suo corpo, compresa la vita, le gambe e la schiena. Ha affermato che una volta denunciate le sue accuse, è stata vittima della sua squadra che ha condotto una campagna diffamatoria contro di lei mentre correva per la carica. Le presunte molestie sono avvenute tra il 2015 e il 2018. I rapporti pubblicati all'inizio di quest'anno hanno rivelato che il principale aiutante di Cuomo ha cercato di screditare Boylan e avrebbe chiamato almeno sei ex dipendenti in cerca di notizie su di lei.
Charlotte Bennett. Bennett ha lavorato brevemente per Cuomo come aiutante. Era una consulente per le politiche sanitarie nell'amministrazione del governatore di New York, assunta nella primavera del 2019 e rapidamente promossa a senior briefer e assistente esecutiva solo pochi mesi dopo. Il procuratore Letitia James ha confermato le sue accuse di molestie nei confronti di Cuomo. Tra le sue presunte osservazioni ci sono domande sul fatto che uscisse con uomini più anziani, chiedendole aiuto per trovare una ragazza e apparentemente interrogandola su un'aggressione sessuale che aveva subito. Bennett aveva una relazione amichevole con Cuomo grazie ai loro legami reciproci con la contea di Westchester e lo vedeva come un mentore. In un'intervista all'inizio di quest'anno, Bennett ha affermato che la sua prima conversazione imbarazzante con Cuomo è avvenuta il 15 maggio 2020. «Il governatore mi ha invitato a sollevare pesi con lui», ha scritto in un messaggio. «Mi ha sfidato a una gara di flessioni». Aveva detto ai suoi genitori quanto fosse stato sorpreso di apprendere che sollevava pesi e faceva boxe e che le aveva chiesto di fare flessioni in ufficio. In un'altra catena di testo ha detto che Cuomo «ha parlato della differenza di età nelle relazioni», definendo i suoi commenti «espliciti». Il rapporto includeva anche messaggi in cui Bennett dice a un confidente che era incredibilmente a disagio dopo un'interazione in ufficio. Bennett ha detto che stava «tremando» ed era «così sconvolta e così confusa». Nei messaggi a un altro aiutante, Bennett ha detto che Cuomo le ha ripetuto «più e più volte» che era stata «stuprata». Cuomo è stato anche registrato mentre cantava la famosa canzone d'amore degli anni '60 Do You Love Me?, dei Contours, a Bennett durante una telefonata nel 2019. Secondo il New York Post, Bennett ha avviato la telefonata dicendo: «Salve, governatore. Questa è Charlotte». Cuomo avrebbe risposto alla chiamata con «Sei pronto? Doo, doo, doo» e ha continuato a chiederle se conosceva la canzone. Cuomo avrebbe continuato a cantare: «Mi ami? Mi ami veramente? Mi ami? Ti importa?».
Virginia Limmiatis. Virginia Limmiatis ha lavorato per National Grid e indossava una t-shirt con il nome dell'azienda scritto sul petto quando dice di aver incontrato Cuomo. Lui ha fatto scorrere le sue «due dita sul suo petto, premendo su ciascuna delle lettere mentre lo faceva e leggendo il nome dell'azienda mentre procedeva». Il rapporto dice che poi «si è sporto in avanti, con il viso vicino alla sua guancia, e ha detto "Dirò che vedo un ragno sulla tua spalla" prima di sfiorarle l'area tra la spalla e il seno». «SM. Limmiatis si è fatta avanti in questa indagine dopo aver sentito il governatore dichiarare, durante la conferenza stampa del 3 marzo 2021, di non aver mai toccato nessuno in modo inappropriato». «Come ci ha testimoniato la signora Limmiatis, “Sta mentendo di nuovo. Mi ha toccato in modo inappropriato. Sono costretta a farmi avanti per dire la verità... Non sapevo come riferire quello che mi ha fatto in quel momento ed ero gravata dalla vergogna, ma non farmi avanti adesso mi avrebbe reso complice della sua menzogna, e io non lo farò».
Alyssa McGrath. McGrath, 35 anni, è stata la prima dipendente attuale ad accusare Cuomo e lavora come assistente esecutivo. «Nelle sue interazioni con un'altra assistente esecutiva, Alyssa McGrath, il Governatore ha fatto commenti inappropriati e si è impegnato in comportamenti molesti, tra cui: chiedere regolarmente informazioni sulla sua vita personale, compreso il suo stato civile e il divorzio; chiedere se la signora McGrath avrebbe detto all'assistente esecutivo n. 1 se avesse tradito suo marito - e se la stessa signora McGrath avesse pianificato di "mescolarsi" con gli uomini». Ha anche affermato che ha guardato la sua maglietta per complimentarsi con lei per la sua collana, le ha detto che è bellissima in italiano e l'ha baciata sulla fronte durante una festa di Natale in ufficio nel 2019. Il suo avvocato, Mariann Wang, ha detto martedì che McGrath e un altro accusatore che lei rappresenta, Virginia Limmiatis, sono stati sollevati. Le due donne «si sentono profondamente grate al team dell'AG per aver preso sul serio la questione e aver esaminato i loro rapporti in modo accurato». Wang ha continuato: «La misoginia e gli abusi di Cuomo non possono essere negati. Lo fa da anni, senza ripercussioni. Non dovrebbe essere responsabile del nostro governo e non dovrebbe essere in alcuna posizione di potere su nessun altro».
"Kaitlin". Kaitlin - il cui secondo nome non è pubblico - ha incontrato il governatore nel 2016 a un evento di raccolta fondi in cui sono stati fotografati insieme. In seguito, è stata assunta da lui in una posizione junior, ma le è stato dato uno stipendio di 120.000 solari - una cifra così alta che dice che è stata derisa nella sua intervista. Ana Liss. Liss, 35 anni, ha lavorato nella Camera esecutiva tra il 2013 e il 2015, durante i quali afferma che il governatore l'ha sottoposta a molestie sessuali che includevano l'essere chiamata «tesoro» e le ha messo una mano intorno alla vita. Le ha anche baciato le mani e la guancia, ha detto. Nonostante si senta a disagio, dice di non averli denunciati perché «nel suo ufficio le regole erano diverse». Ha aggiunto: "Era solo che dovresti vederlo come un complimento se il Governatore ti trova esteticamente abbastanza gradevole, se ti trova abbastanza interessante da porre domande del genere. «E così, anche se era strano, scomodo e tecnicamente non ammissibile in un tipico ambiente di lavoro, ero con questa mentalità che fosse la zona crepuscolare e... le regole tipiche non si applicassero».
Anna Ruch. Ruch è stata ospite a un matrimonio, nel 2019 quando lei dice che ha messo le mani su una parte della sua schiena che era esposta da un taglio nel suo vestito. Ha afferrato il suo polso per allontanarlo e lui ha risposto dicendo «wow, sei aggressiva», secondo il rapporto. Cuomo poi le ha afferrato il viso con entrambe le mani e le ha detto «posso baciarti?». È stato raffigurato mentre le baciava la guancia.
Karen Hinton. Karen Hinton, 62 anni, ha parlato al Washington Post di un incidente in cui Cuomo l'ha convocata nella sua stanza d'albergo «poco illuminata» e l'ha abbracciata dopo un evento di lavoro nel 2000. Non era tra le 11 donne su cui il procuratore generale ha basato il suo rapporto. Hinton ha detto che ha cercato di allontanarsi da Cuomo, ma che lui l'ha tirata indietro e l'ha trattenuta prima che lei indietreggiasse e scappasse dalla stanza. Peter Ajemian, direttore delle comunicazioni di Cuomo, ha dichiarato al Post che Hinton è un «noto antagonista del Governatore che sta tentando di approfittare di questo momento per ottenere punti a buon mercato con accuse inventate di 21 anni fa». «Tutte le donne hanno il diritto di farsi avanti e raccontare la loro storia, tuttavia, è anche responsabilità della stampa considerare l'automotivazione. Questo è avventato», ha aggiunto. In risposta, Hinton ha detto al Post che «attaccare l'accusatore è il classico copione di uomini potenti che cercano di proteggersi» mentre ha detto che guardare la conferenza stampa di scuse di Cuomo «mi ha fatto impazzire». «Pensavo davvero che il flirt non riguardasse il sesso», ha detto Hinton. «Si trattava di controllare la relazione». Al momento del presunto incontro nella stanza d'albergo, Cuomo sarebbe stato a capo del Dipartimento per l'edilizia abitativa e lo sviluppo urbano degli Stati Uniti e Hinton era un consulente. Il Post riporta che Hinton e Cuomo hanno un passato conflittuale e che hanno avuto una grande discussione prima che lei lasciasse l'agenzia nel 1999, rimanendo come consulente. Si era unita a Cuomo a Los Angeles per promuovere un programma HUD e in seguito aveva cenato nel suo hotel prima di ricevere una telefonata da lui che diceva: «Perché non vieni nella mia stanza e parliamo?». Hinton ha detto che ha pensato fosse insolito perché Cuomo le aveva chiesto di evitare di essere vista da Clarence Day, il capo della sua sicurezza di lunga data. «Ho fatto una pausa per un secondo», ha detto al Post per aver notato le luci basse nella stanza. «Perché le luci sono così basse? Non tiene mai le luci così basse». Hinton ha detto che si sono seduti su divani opposti e hanno parlato del loro lavoro all'HUD e che Cuomo le ha posto domande personali sulla sua vita e sul suo matrimonio, incluso se avrebbe lasciato suo marito. Afferma di essere diventata imbarazzata dopo aver parlato così tanto di se stessa e di essere andata via. «Mi alzo e dico: "Si sta facendo tardi, devo andare"» e ha descritto l'abbraccio che Cuomo le ha dato come "molto lungo, troppo lungo, troppo stretto, troppo intimo". «Mi tira indietro per un altro abbraccio intimo», ha detto. «Ho pensato che avrebbe potuto baciarmi, o fare altre cose, quindi mi sono allontanata di nuovo e me ne sono andata». Hinton ha detto al Post di aver visto la mossa come un «gioco di potere» per «manipolazione e controllo» e che la coppia non ha mai più discusso dell'incidente, sebbene siano rimasti in contatto. Ha elogiato pubblicamente Cuomo ed è stata critica, soprattutto quando ha lavorato come addetta stampa nel 2015 e nel 2016 per il sindaco di New York Bill de Blasio, con il quale il governatore ha un'intensa rivalità. Il Post ha parlato con due persone che hanno confermato che Hinton aveva parlato loro dell'incidente in hotel dopo che è successo.
Federico Rampini per “la Repubblica” il 14 marzo 2021. Era prevedibile, la sconfitta di Donald Trump trascina con sé una "caduta degli dèi" nel campo avverso. Eliminato il grande nemico, è iniziata la resa di conti dentro il Partito democratico. L' assedio al governatore di New York, Andrew Cuomo, è la storia più spettacolare: perché appartiene a una dinastia politico-mediatica (suo padre fu una star della sinistra, il fratello è un anchorman della Cnn), e perché ancora pochi mesi fa era idolatrato come il grande eroe di sinistra della lotta anti-covid. Ma sull' altra costa anche il governatore democratico della California Gavin Newsom è in difficoltà, esposto a un referendum popolare che lo vuole cacciare. Tutti e due sono finiti sotto accusa, prima di tutto, per una gestione tutt' altro che esemplare della pandemia. Ma Cuomo oltre a insabbiare i dati su una strage di anziani nelle case di cura, ha commesso un errore che è molto più grave nel contesto ideologico di oggi. Ha sottovalutato le accuse di ex collaboratrici sui suoi comportamenti allusivi o aggressivi. Si è illuso di potere reagire alle accuse chiedendo un'inchiesta regolare. Ha ignorato le nuove regole del gioco che valgono dalla nascita del movimento #MeToo. Per un politico della sua esperienza e sagacia, ha commesso un imperdonabile errore d' ingenuità, ha sottovalutato l'avversario. Su di lui si gioca infatti una battaglia per l'egemonia nel Partito democratico. La sinistra più radicale, che era uscita malconcia dal risultato elettorale di novembre - tanti seggi persi, e un presidente moderato - ha lanciato una controffensiva interna al partito e abbattere il centrista Cuomo sarebbe un trofeo ambito. La nuova sinistra non è quella del socialista Bernie Sanders, che non è riuscita a recuperare voti nella classe operaia. I nuovi movimenti che aspirano alla leadership sono quelli identitari legati a #MeToo e BlackLivesMatter. Biden spera di tenerli a bada offrendogli una manovra economica con un forte segno redistributivo, paragonabile alle riforme sociali di Lyndon Johnson (Great Society) e al New Deal di Franklin Roosevelt. Ma lo stesso Biden fatica a controllare le dinamiche di un partito sempre più eterogeneo. Il grosso delle truppe parlamentari, in particolare gli eletti che rappresentano il Midwest e l'America provinciale, sono moderati come lui. Ma sulle due fasce costiere, a New York come in California, domina la sinistra estrema delle università, del politically correct, della caccia alle streghe che scatena purghe nelle redazioni dei giornali, nei cataloghi delle case editrici. C' erano molte ragioni per sostituire Cuomo. Prima dello scandalo-covid, il malgoverno di New York era ben visibile da anni. Ma se cadrà sarà su un altro campo di battaglia.
Travolto dalle accuse. Perché si è dimesso Cuomo, il governatore dello Stato di New York in carica da 10 anni. Vittorio Ferla su Il Riformista l'11 Agosto 2021. Alla fine, Andrew M. Cuomo si dimette. Non sono bastati tre mandati come governatore di New York, né il credito accumulato nella lotta contro il coronavirus (e contro le mattane di Trump). Le accuse di molestie sessuali formulate da 11 donne e raccolte in una indagine dello stato di New York – insieme alla scoperta dei suoi tentativi di mettere a tacere, screditandola con la stampa, Lindsey Bolan, la prima delle sue accusatrici – sono state letali. «Sprecare energie in distrazioni è l’ultima cosa che il governo statale dovrebbe fare. E non posso esserne la causa», spiega Cuomo nel video in cui annuncia il passo indietro. «Date le circostanze, il modo migliore in cui posso aiutare ora è farmi da parte e lasciare che il governo torni a governare», conclude. Senza dubbio, una sconfitta schiacciante e disonorevole, ma una scelta necessaria per evitare l’impeachment che l’assemblea dello stato avrebbe avviato a breve e che lo avrebbe visto sicuramente capitolare. In questi mesi, Cuomo aveva cercato di difendersi dalle numerose accuse, negando di aver toccato le sue collaboratrici in modo improprio e giudicando l’accusa di molestie come una interpretazione errata di uno stile affettuoso e cameratesco. «Nella mia mente, non ho mai superato il limite con nessuno, ma non mi rendevo conto fino a che punto il confine fosse stato ridisegnato», spiega Cuomo. «Ci sono cambiamenti generazionali e culturali che non ho considerato fino in fondo e il mio comportamento non può avere scuse». La scelta di Cuomo è stata definitivamente presa dopo i suggerimenti del suo avvocato, Rita Glavin, e, soprattutto, costretta dall’isolamento politico in cui era precipitato: aveva perso il sostegno del presidente Biden, dei due senatori democratici dello stato e della maggior parte della delegazione del Congresso di New York. Allo stesso modo, ha pesato il clamoroso tonfo nei consensi. I sondaggi di questo mese della Quinnipiac University rivelano che il 70 percento degli elettori newyorchesi voleva le dimissioni del governatore, compreso il 57 percento dei democratici. Il 54% degli intervistati crede alle accuse delle donne molestate e ritiene Cuomo colpevole. «Penso che il governatore abbia fatto la cosa giusta», ha detto per esempio la senatrice Kirsten Gillibrand a Capitol Hill dopo il suo annuncio. «E voglio solo elogiare le donne coraggiose che si sono fatte avanti. Non è stata una cosa facile da fare». Il presidente della commissione giudiziaria dell’Assemblea di New York, Charles D. Lavine, ha dichiarato lunedì che potrebbero esserci motivi fondati per continuare l’iniziativa di impeachment contro Cuomo anche nel caso di dimissioni: in caso di impeachment, infatti, all’ormai ex governatore verrebbe negata ogni possibilità di ricoprire nuovamente la carica a New York. In ogni caso, le dimissioni saranno effettive tra 14 giorni. Per quella data sarà praticamente chiusa la carriera politica di questo vero e proprio “principe ereditario” di una importante dinastia politica americana. Andrew è infatti il figlio di Mario, già governatore di New York ai tempi di Ronald Reagan e faro della sinistra dell’East Coast. Cuomo sarà sostituito dalla vicegovernatrice Kathy Hochul che diventerà così la prima governatrice di New York e resterà in carica fino alla fine del mandato, nel novembre 2022. Vittorio Ferla
(ANSA l'11 agosto 2021) È stato Chris Cuomo a consigliare e a convincere il fratello Andrew a mollare e a dimettersi da governatore. Secondo il New York Times, il popolare anchor della Cnn ha parlato con il fratello maggiore al telefono spiegandogli che non sarebbe potuto comunque sopravvivere alle conseguenze legate alle accuse di molestie sessuali. Solo ieri, poco prima che il governatore gettasse la spugna annunciando le sue dimissioni i tv, il Washington Post aveva riferito che tra i pochi consiglieri rimasti al suo fianco dopo lo scandalo c'era ancora il fratello Chris. L'anchor della Cnn era finito già in mezzo alle polemiche a maggio, quando emerse che al tempo delle prime accuse di molestie sessuali (a marzo), aveva aiutato il fratello a mettere a punto una strategia per uscirne pulito attraverso una campagna di comunicazione creata ad arte. Una vicenda che ha sollevato dubbi sul ruolo dell'anchor e sulla trasparenza dell'emittente.
Viviana Mazza per il "Corriere della Sera" l'11 agosto 2021. Era inevitabile, eppure è successo così in fretta da sorprendere tutti. Dopo dieci anni al potere, il governatore di New York Andrew Cuomo si è dimesso ieri in diretta tv. La sua ascesa e caduta resteranno tra le più memorabili della politica americana e segnano la fine di una dinastia. All'inizio sembrava una conferenza stampa convocata per difendersi dalle accuse di molestie sessuali delle 11 donne intervistate nel rapporto della procuratrice Letitia James. Cuomo si è fatto precedere dall'avvocata che per 45 minuti ha demolito la credibilità di quelle donne. Poi ha preso lui la parola, negando le molestie ma scusandosi se ha offeso qualcuno («errori» dovuti a «cambiamenti generazionali e culturali» che gli sono sfuggiti). Dopodiché ha definito le accuse «politicamente motivate». Solo a questo punto il tono è cambiato: «La cosa migliore che posso fare è farmi da parte». Figlio del governatore Mario Cuomo, un faro della sinistra negli anni di Ronald Reagan, Andrew era il principe di una dinastia che per New York rappresenta ciò che i Kennedy sono per l'America (e lui, di Kennedy, ne aveva sposata una). Lascia a 63 anni senza poter realizzare il sogno di superare i tre mandati del padre toccando i quattro di Nelson Rockefeller - e di arrivare anche più in alto. Fa la fine, invece, del suo predecessore Eliot Spitzer, che si dimise nel 2008 per uno scandalo di prostitute. Ex funzionario dell'amministrazione Clinton, poi procuratore di New York, Cuomo si è visto respingere dalla classe politica in cui è cresciuto e che a lungo ha dominato in modo machiavellico, come osserva Ross Barkan nel suo libro Il Principe. Lo scandalo sessuale, iniziato con le accuse di Lindsey Boylan a dicembre, non può essere disgiunto da quello per la gestione della pandemia: per il primo rischiava l'incriminazione, per entrambi l'impeachment. Dopo essere stato per mesi elogiato come un eroe nazionale per la leadership nella battaglia contro il Covid e contrapposto a Trump, dopo essere apparso sulla Cnn in siparietti con il fratellino «anchorman» Chris e la madre Matilda cui aveva intitolato una legge per la protezione degli anziani, si è scoperto che il governatore aveva intenzionalmente fornito numeri falsi sui morti nelle case di cura: il 50% in meno, secondo un rapporto della stessa procuratrice James. A febbraio l'Fbi ha aperto un'indagine, mettendolo nei guai come non succedeva dai tempi in cui il suo consigliere Joe Percoco finì in prigione per corruzione. «Da New York - ricorda Ross Barkan - vengono le dinastie che ispirano e tormentano la nazione: i Roosevelt, i Rockefeller, i Trump». Trump, da presidente, sapeva che sarebbe sfuggito all'impeachment grazie al sostegno dei repubblicani, Cuomo sapeva di essere rimasto solo. Il presidente Joe Biden e la speaker della Camera Nancy Pelosi lo hanno invitato a dimettersi. Anche la fidata consigliera Melissa DeRosa domenica lo ha abbandonato. Gli amici gli ripetevano che la ritirata era preferibile all'umiliazione d'essere il primo governatore newyorchese sotto impeachment in oltre un secolo. Tra 14 giorni passerà le consegne alla sua vice, Kathy Hochul, una donna felice, ora, di essere stata dimenticata nelle memorie scritte dal suo capo sfruttando lo staff pagato dallo Stato. Cuomo non ha mai cercato veri alleati o amici, preferiva essere temuto anziché amato, vedeva la politica in modo transazionale, arrivando al punto di aiutare i repubblicani al Senato perché non si fidava dei progressisti del suo partito. Conquiste come i matrimoni gay, l'aumento del salario minimo, si alternano alle ombre. Tutto nelle ore buie della pandemia sembrava dimenticato. Ma i toni paterni allora rassicuranti stonano oggi, anche quando spiega di aver ascoltato per settimane le accuse di molestie seduto sul divano con le tre figlie ventenni: «Lo sguardo nei loro occhi, l'espressione sul loro viso mi hanno fatto male». La pandemia è stata per Cuomo il palcoscenico che l'11 settembre fu per Rudy Giuliani. «Il nemico è atterrato nello Stato di New York. Il Covid lanciò qui l'attacco. Veniva dall'Europa, non ne avevamo idea. Un'imboscata. Eravamo soli, era una guerra». Così il principe ha annunciato che non combatterà, sapendo di avere già perso, ma proclamandosi vincitore.
G.R. per "la Stampa" l'11 agosto 2021. Per capire Kathleen Courtney Hochul, Kathy in politica, che succederà ad Andrew Cuomo come prima donna governatrice dello Stato di New York, risalite le ultime 100 miglia del Canale di Erie, a nord, oltre Buffalo, acque color metallo che arrivano fino a Chicago e hanno reso ricche, prima di ferrovia e autostrade, agricoltura e industria locali. Là non dominano i democratici, come a New York città, han perso Obama e Clinton, Biden ha stentato, è terra di repubblicani, irlandesi, italiani, polacchi, poveri per generazioni, che detestano la viziosa Manhattan. Kathy Hochul, 63 anni il 27 agosto, conosce bene queste rive conservatrici, ha debuttato qui con il senatore Daniel Moynihan, leggendario intellettuale che ammoniva contro gli eccessi del welfare. All'università, Hochul partecipa al movimento contro l'apartheid in Sudafrica e i costi eccessivi della laurea, ma il mentore Moynihan le insegna a lavorare alle riforme, senza grilli per la testa. Cresciuta in una tradizionale famiglia irlandese, papà senza un cent arrivato a essere manager nelle Public Relations, mamma casalinga, Kathy Hochul non manca una riunione di donne, sindacato, attivisti, fa la spola tra Buffalo e New York, suadente, pronta a mediare, ad ascoltare. Cuomo, a differenza del padre Mario, governatore per tre volte dello Stato e filosofo cattolico adorato nel partito, ha stile rabbioso, le accuse delle donne, molestie sessuali e avances aggressive che lo costringono a, tardive, dimissioni, evocano violenza per tutti sul lavoro, anche i maschi sono insultati con bullismo, «mammoletta», «femminuccia». Quando, nel 2014, Cuomo le chiede di candidarsi da vicegovernatrice, Hochul è consapevole del clima tossico che il governatore impone e dello scarso peso della carica, ruolo cerimoniale che presiede comitati economici di consultazione, ma senza potere reale. Con il realismo di Erie District, Hochul però sa di aver in quel momento poche carte in mano. Aveva fatto un vero miracolo, farsi eleggere alla Camera, nel 2011, dai ruvidi agricoltori, strappando il seggio alla Camera ai veterani repubblicani, ma dura poco, già nel 2013 perderà contro Chris Collins, populista, poi trumpiano di ferro e travolto dagli scandali. Hochul accetta dunque l'incarico, ma si tiene lontana dal governatore e dalla sua corte di yesman e donne terrorizzate, con le calunnie pronte per chi, pian piano, supera il muro del silenzio. Nel 2020, quando l'epidemia Covid spazza New York, Cuomo appare ogni sera sulla rete Cnn, a far finta di litigare col fratello Chris, giornalista, che gli tira la volata «Hai chiamato mamma?», «Sono io il preferito», «No, io!», Joe Biden sembra in difficoltà nelle primarie democratiche e Trump si dice certo di rivincere. Cuomo sogna la Casa Bianca, cui suo padre rinunciò, ancora non si sa perché, nel 1992. L'occasione svanisce, ma in attesa del 2024, Cuomo pubblica un saggio di autoelogio per il contrasto alla pandemia, in realtà assai inefficace dapprima. Titolo «Crisi americana, lezioni di leadership», il saggio è scritto da ragazzi non pagati, il governatore incassa invece 5 milioni di dollari (4,27 milioni di euro) scalando la classifica best seller 2021. Ma le voci contro Cuomo si moltiplicano, i senatori di New York, e lo stesso Biden, ne chiedono le dimissioni, la ministra della Giustizia di NY Letitia James avvia l'impeachment. Tocca allo staff della Hochul, febbrilmente, scorrere le 279 pagine, una sola lode corriva potrebbe significare morte politica. Invece, a conferma del suo egocentrismo politico e dei rapporti freddi tra i due, Cuomo non la nomina mai, e Hochul è libera di schierarsi dalla parte delle donne. New York, che ha avuto senatori come Bob Kennedy e Hillary Clinton, sembra saper rinnovare la carica di governatore solo dopo gli scandali, Hochul, prima donna nominata per le vergognose dimissioni di Cuomo, nel 2008 David Paterson, primo nero in carica, ma solo dopo la storiaccia di prostitute che travolge Eliot Spitzer. Sconosciuta alla maggioranza degli elettori, Kathy Hochul resterà in carica fino al 2023, ma la corsa tra i democratici per darle filo da torcere alle primarie 2022 è in corso, da mesi, donne incluse stavolta. E Andrew Cuomo deve guardarsi dall'inchiesta di James che continua e dai tribunali che hanno in corso varie inchieste contro l'ex enfant prodige di New York.
Massimo Fini per Il Fattoquotidiano – Estratto l'11 agosto 2021. (Dopo il vaccino anti-Covid), la seconda intollerabile intransigenza è quella del cosiddetto #Metoo. Il reato di molestie sessuali è il solo, mi pare, che prevede un'immediata presunzione di colpevolezza invece della presunzione di innocenza che, dal punto di vista giuridico, è il caposaldo di ogni democrazia che voglia definirsi tale. Adesso sotto il torchio di #Metoo, ma è solo l'ultimo di moltissimi casi analoghi, c'è il governatore di New York, Andrew Cuomo, accusato di "comportamenti inopportuni" e pressioni da undici donne. Il presidente Joe Biden ne ha chiesto le immediate dimissioni e la stessa richiesta l'ha fatta in una conferenza stampa la procuratrice generale di NewYork, Letitia James, che è un pm non un giudice. Vogliamo almeno aspettare una sentenza? In questi casi, come ho già scritto, io consiglio una querela per diffamazione, perché secondo le regole del diritto è l'accusa a dover provare l'esistenza del reato, non la difesa del presunto colpevole a dover provare la propria innocenza. E poi le "molestie sessuali" hanno assunto contorni sempre più estesi e sempre meno definiti. Che cos' è infatti un "comportamento inopportuno"? Tutto può essere "inopportuno". Se io seduto sul mio divano abbraccio le spalle della donna che mi sta a fianco è un comportamento "inopportuno"? Se la guardo con troppa intensità è un comportamento "inopportuno"? Ma allora come faccio a farle capire che mi piace e che la desidero? Dovrò forse presentarle una richiesta scritta, come già si fa in America? In quanto a lei ha mille modi per farmi capire che la cosa non le va. Il primo, e il più eloquente, è alzarsi e prendere la porta di casa. Il direttore dell'Orchestra Reale di Amsterdam, l'italiano Daniele Gatti, nel 2018 è stato licenziato in tronco per "comportamenti inappropriati". Poi si sono aperte le cateratte che hanno investito, fra gli altri, Depardieu, poi assolto per "insufficienza di prove", Placido Domingo, Vittorio Grigolo e da ultimo Kevin Spacey eliminato brutalmente dal cast di un film di Ridley Scott, carriera finita. Al ministro gallese, Carl Sargeant, non è bastato dimettersi, investito da una campagna stampa si è suicidato a 46 anni. Fin dove vogliamo arrivare? Quando io ero giovane c'era tra noi ragazzi un codice non scritto. Faccio il solito esempio del ballo, "il ballo del mattone" come canta Rita Pavone. Se lei ti metteva il braccio sul petto voleva dire che era meglio lasciar perdere, se ti metteva la mano sulla spalla il segnale era neutro, se ti metteva il braccio attorno al collo era incoraggiante ma non aveva nulla di decisivo, sarebbero seguite altre schermaglie. Era l'eterno gioco della seduzione. Oggi pare che i sessi, o generi, chiamateli come vi pare, non siano più capaci di intendersi. E comincia a diventare sinistramente vera un'affermazione del solito Nietzsche: "L'amore? L'eterno odio tra i sessi".
Enrico Franceschini per "la Repubblica" l'11 agosto 2021. "Si fa campagna elettorale in poesia, si governa in prosa", diceva Mario Cuomo, con una battuta diventata un assioma della politica, non solo americana. Ma quale stile sarebbe più adatto, i versi o la narrativa, per descrivere il doppio scandalo di abusi sessuali che ieri ha accomunato suo figlio Andrew con il principe Andrea, sulle opposte sponde dell'Atlantico? A parte lo stesso nome di battesimo, i due non potrebbero essere più diversi: uno, il governatore di New York, celebrato come l'alternativa saggia a Donald Trump durante la prima fase della pandemia negli Stati Uniti e a lungo considerato, come del resto fu il padre (detto l'Amleto dell'Hudson per la sua indecisione a candidarsi), un potenziale aspirante alla Casa Bianca: l'altro, il terzogenito della regina Elisabetta, da sempre la pecora nera della famiglia reale britannica, invischiato in casi di corruzione, golpe falliti, relazioni inappropriate. Eppure le dimissioni di Cuomo junior dopo innumerevoli accuse di violenze sessuali e la citazione in giudizio negli Usa contro il duca di York da parte di Virginia Giuffré Roberts, la "schiava del sesso" del suo amico Jeffrey Epstein, il miliardario morto suicida in carcere, vedono entrambi cadere sotto la mannaia del #MeToo, la rivolta contro gli uomini potenti che si approfittano delle donne. Cuomo senior, scomparso nel 2015, resterebbe inorridito davanti al comportamento e alla sorte di Andrew. Simile orrore prova probabilmente Elisabetta II, di fronte alla voragine che si apre sotto i piedi del principe. Per i due Andrea vale la medesima massima, lirica e drammatica, dal Re Lear di Shakespeare: "Finché possiamo dire, "questo è il peggio", vuol dire che il peggio può ancora venire". E adesso è arrivato, a New York come a Londra.
Orlando Sacchelli per ilgiornale.it l'11 agosto 2021. È stato uno dei più strenui oppositori di Trump. Poi, quando non serviva più, i democratici gli hanno dato il benservito. I primi a scaricare Andrew Cuomo sono stati proprio loro, i compagni di partito. C'è chi lo ha fatto con più enfasi - vedi la pasionaria Alexandria Ocasio-Cortez - e chi, invece, semplicemente gli ha consigliato di farsi da parte (Biden). Alla fine per evitare l'impeachment Cuomo si è dimesso, annunciandolo ai newyorchesi in diretta tv. Erano mesi che Cuomo era sulla graticola, con l'accusa di molestie sessuali. Ma la sua caduta era iniziata prima, con lo scandalo, maldestramente occultato, sulla gestione delle case di riposo per anziani, e il numero di morti per Covid occultato. I suoi collaboratori avrebbero modificato il numero di vittime per coronavirus: si parla di circa 4mila persone, morte in ospedale ma contagiate nei ricoveri per anziani. Questo dato non sarebbe finito nel computo delle vittime nelle case di riposo. Per quale motivo? Come hanno amesso i collaboratori di Cuomo al fine di evitare un’inchiesta da parte del Dipartimento di Giustizia di Trump, in un momento in cui lo scontro tra il presidente e il governatore era a livelli altissimi. Di un altro aspetto bisogna tenere conto. Il Partito democratico è cambiato, non è più quello dei tempi di Clinton, o anche prima. Tra le nuove correnti c'è quella ultraliberal che si batte per le minoranze e strizza l'occhio al MeToo (il movimento femminista contro le molestie sessuali e la violenza sulle donne diffuso in modo virale a partire dall'ottobre 2017). Questa componente non poteva tollerare oltre i modi spicci e per certi versi arroganti di Cuomo. Stritolato uno dei protagonisti degli ultimi anni, i dem dovranno trovare un adeguato sostituto, in grado di tenere insieme i vari interessi forti che si erano stretti attorno a Cuomo: i grandi fondi finanziari, le società immobiliari e farmaceutiche, le banche, oltre alle minoranze in cerca di riscatto (vecchia anima della sinistra). Il mix tra il progressismo e il potere (economico) della Grande Mela è alla ricerca di un nuovo punto di equilibrio. Lo stesso discorso vale anche per gli Stati Uniti. Morto (politicamente) un Cuomo, se ne fa un altro...
La caduta di Cuomo. Orlando Sacchelli il 4 marzo 2021 su Il Giornale. Il governatore dello stato di New York, Andrew Cuomo, in un anno è passato dalle stelle alle stalle. Se dodici mesi fa molti lo vedevano come il possibile “salvatore” dei democratici, l’unico in grado di tenere in piedi il partito dell’asinello, oggi le accuse nei suoi confronti si moltiplicano, e non solo dai repubblicani. A metterlo nei guai i dati nascosti sui reali decessi per Covid nelle case di riposo (davvero una brutta storia), a cui si aggiungono alcune accuse di molestie sessuali (si tratterebbe solo di frasi) che gli hanno mosso due sue ex collaboratrici, Charlotte Bennett e Lindsey Boylan. Cuomo afferma che alcuni comportamenti con le donne che lo accusano sono stati “interpretati erroneamente” come avance “indesiderate” e si dice disposto a collaborare con un’indagine sulle molestie sessuali condotta dalla procuratrice generale dello Stato. Poi assicura di non aver mai toccato in modo inappropriato nessuno, ma riconosce di aver preso in giro le persone e di aver fatto battute sulle loro vite personali per cercare di essere spiritoso. “Ora capisco che le mie interazioni potrebbero essere state insensibili o troppo personali – ammette – e che alcuni dei miei commenti, data la mia posizione, hanno fatto sentire gli altri in modi che non avrei mai voluto. Riconosco che alcune delle cose che ho detto sono state interpretate erroneamente” e “mi dispiace davvero per questo”. Forte imbarazzo in casa dem. Silenzio da Kamala Harris a Nancy Pelosi, le due donne più in vista del partito democratico. Silenzio anche da Hillary Clinton e dalla senatrice Elizabeth Warren. Ha parlato invece il sindaco di New York, Bill de Blasio, chiedendo un’indagine sulle accuse nei confronti del governatore. E lo stesso fa la deputata Alexandria Ocasio Cortez, altri sette parlamentari nazionali e alcuni senatori dello stato di New York, tra cui Alessandra Biaggi, presidente della Commissione Etica e Governance: “Sei un mostro, te ne devi andare, subito”. Sessantatre anni, figlio dell’ex governatore Mario Cuomo (morto nel 2015), Andrew Cuomo aveva sposato la settima figlia di Bob Kennedy, Kerry, da cui ha avuto tre figlie. I due hanno divorziato nel 2005. Laureato in legge, ha alternato il lavoro di avvocato a quello di pubblico ministero. Ha collaborato con il padre, tra gli anni Ottanta e Novanta, occupandosi di senza tetto e politiche abitative. Dal 1997 al 2001 ha ricoperto l’incarico di segretario della Casa e allo Sviluppo Urbano nell’esecutivo di Bill Clinton. Procuratore generale di New York dal 1° gennaio 2007 al 31 dicembre 2010, dal 1° gennaio 2011 è governatore dello stato di New York.
Usa, altre due donne accusano Andrew Cuomo di molestie: il governatore dello Stato di New York sempre più nei guai. Anna Lombardi su La Repubblica l'8 marzo 2021. Dopo le ultime rivelazioni, anche alcuni colleghi di partito ne chiedono le dimissioni. Il governatore dello stato di New York Andrew Cuomo è sempre più isolato. Altre due donne hanno sostenuto di aver subito molestie da parte sua, o quanto meno di essere state oggetto di attenzioni “inopportune”. E ora anche i colleghi di partito, con la leader democratica del Senato locale Andrea Stewart-Cousins in testa, ne chiedono le dimissioni. A svelare altri atteggiamenti un po’ troppo intimi del tre volte potentissimo governatore, già nei guai per aver omesso l’effettivo numero di anziani morti di Covid nelle case di riposo, sono ora Ana Liss, 35 anni e Karen Hinton che di anni oggi ne ha 62. La prima ne ha parlato al Wall Street Journal svelando di essere stata inizialmente divertita dall’atteggiamento flirtante: ma di aver poi avuto l’impressione che lui la considerasse solo per “la gonna”. Chiedendole ripetutamente se avesse un fidanzato, chiamandola "tesoro" e baciandola sì, ma sulla mano: «Mi piacevano le sue politiche, il lavoro era interessante. Ma non mi prendeva sul serio». L’altra donna, invece, una ex portavoce di Cuomo, ha raccontato al Washington Post un episodio del 2000: quando il politico, all'epoca alla guida del dipartimento per l’urbanistica, durante un viaggio a Los Angeles la chiamò nella sua stanza d'albergo dopo un evento di lavoro e la abbraccio. Lei lo respinse e lui la strinse ancora più forte. I nuovi racconti si aggiungono a quelli di altre tre donne. Lindsey Boylan, 36 anni, già capo dell’ufficio economico dello stato (e ora in gara per la presidenza della circoscrizione di Manhattan) ha descritto per prima le attenzioni sgradite del governatore sul sito Medium.com: «Mi toccava la schiena e le gambe, una volta mi baciò senza consenso. Durante un volo propose “giochiamo a Strip Poker”. Nel suo ambiente le molestie sono tollerate e pretese: un modo per gratificarti. Chi parla, paga». Un racconto rafforzato da e Charlotte Bennett, 25 anni, ex assistente del politico: «Nei giorni dell’emergenza chiedeva in continuazione della mia vita privata, dicendo di essere aperto a una relazione con una donna giovane. Non mi toccò mai ma mi fece capire di voler venire a letto con me, mettendomi a disagio e facendomi temere per il mio lavoro». Cui poi si è aggiunta Anna Ruch, 33 anni lo ha accusato di aver tentato di baciarla a un matrimonio. E c’è anche la foto. In realtà lui le tiene soltanto le mani sulle guance pure se nella foto la ragazza è evidentemente esterrefatta. «Troverete centinaia di foto come quella, insiste il governatore. È un mio gesto, lo ripeto con donne, uomini, bambini. È il mio modo di salutare la gente. La tocco, ma mai in modo inappropriato», insiste Cuomo. Che ribadisce: «Mi scuso, ma non mi dimetto. No, nemmeno se altre donne dovessero farsi avanti. Posso aver agito in maniera involontariamente indelicata, ma non ho mai fatto nulla di inappropriato. Non ho mai avuto intenzione di ferire o offendere qualcuno. Nessuno mi ha mai detto che i miei comportamenti erano fastidiosi. Ho ancora da imparare e questa esperienza mi sta insegnando molto».
Cuomo, se il #MeToo vale sono contro Trump. Roberto Vivaldelli su Inside Over il 6 marzo 2021. C’è tutta l’ipocrisia tipica del mondo progressista nello scandalo Cuomo. Nelle ultime settimane, infatti, la popolarità di Andrew Cuomo, democratico governatore dello Stato di New York, per mesi elevato a statista dai dem e dai media liberal e dipinto come l’antagonista “responsabile e competente” dell’ex Presidente Donald Trump per via della sua gestione del Covid-19 durante i primi mesi di pandemia, è caduta a picco. La prima tegola sulla sua credibilità politica era arrivata poche settimane fa : come riportato da IlGiornale.it, il New York Post diffuse un filmato di una videoconferenza con esponenti democratici durante la quale Melissa DeRosa, principale assistente di Cuomo, ammise che i suoi uffici nascosero il vero numero dei morti da Covid-19 delle case di riposo – circa 13 mila anziché 9.000 – temendo strumentalizzazioni da parte dei repubblicani e dell’ex Presidente Usa Donald Trump. Temevamo, spiega De Rosa, che quei numeri sarebbero stati “usati contro di noi” dai procuratori federali e per favorire la campagna elettorale del tycoon. Nelle ultime ore un nuovo rapporto questa volta pubblicato dal New York Times inchioda il governatore democratico: secondo le testimonianze, riporta l’agenzia Nova, i dati dei morti per Covid nelle case di riposo sono stati alterati per proteggere Cuomo dalle ricadute politiche delle incaute misure di profilassi sanitaria assunte dal governatore nelle prime e più concitate fasi dell’emergenza pandemica. SI tratta di un’accusa significativa: sino a questo momento, infatti, Cuomo e i suoi principali collaboratori hanno affermato che i dati erano stati omessi perché rilevanti ai fini di una indagine federale.
Bugie, omissioni e accuse di molestie sessuali. Dalle bugie sui morti per Covid nelle Rsa newyorkesi alle accuse di molestie sessuali. Già, perché ad affossare definitivamente la figura di Andrew Cuomo ci sono le testimonianze di tre donne sue ex collaboratrici che si sono fatte avanti per accusarlo di molestie sessuali, provocando le richieste di dimissioni anche da parte di molti democratici. Lo stesso sindaco di New York, il democratico Bill de Blasio, ha definito “grottesco”, “perverso” e “terrificante” il comportamento che Cuomo avrebbe avuto con le tre donne che lo accusano. “Se queste accuse sono vere, non può più governare”, ha anche affermato ai giornalisti. Piccata la risposta di Cuomo, che nega di aver assunto atteggiamenti inappropriati con le donne che ora lo accusano di molestie sessuali: “Io non credo di aver mai fatto nella mia carriera politica qualcosa di cui i mi debba vergognare”, ha replicato alle accuse il governatore democratico. “Alcuni politici fanno sempre giochi politici – ha poi aggiunto – ma io non sono stato eletto dai politici, sono stato eletto dal popolo dello stato di New York”. La prima donna ad accusarlo è stata Lindsey Boylan – ex capo dello staff dell’agenzia statale per l’economia – che ha raccontato ai media di come il governatore l’abbia “toccata e baciata senza il suo consenso” durante un incontro privato.
L’ipocrisia dei democratici. De Blasio a parte, come nota Axios – testata non certo vicina ai repubblicani – la reazione (tardiva) dei democratici sullo scandalo Cuomo è stata tutto sommato piuttosto tiepida. Qualche condanna sì, ma esplicite richieste di dimissioni poche, quando il primo a pretenderle dovrebbe essere il presidente eletto Joe Biden. Molti democratici, infatti, ricorda Axios, hanno cavalcato l’onda del #MeToo e attaccato a suo tempo molto ferocemente l’ex Presidente Usa, Donald Trump, quando venne accusato di molestie sessuali formulate – tra gli altri – da Jessica Leeds e Rachel Crooks nel 2016 e poi dall’ex modella Amy Dorris. Le donne che accusano Cuomo sono forse meno credibili? Hillary Clinton, ad esempio, non ha proprio nulla da dire? Sul fronte della stampa più progressista, si registra un grande imbarazzo per lo scandalo che sta travolgendo il governatore. Molly Jong-Fast, caporedattrice del Daily Beast, una volta ha scritto un articolo circa la sua cotta per il governatore durante la pandemia. “All’improvviso, adoro il Governatore Cuomo, il suo rilassante accento del Queens, le sue storie su suo padre Mario”, ha scritto Jong-Fast nel marzo 2020. Ora è costretta a fare un’improbabile marcia indietro, giacché il suo ultimo pezzo di Jong-Fast è intitolato “‘La mia cotta per Cuomo si è rivelata essere la sindrome di Stoccolma”. Altri commentatori pro-dem, come il giornalista del New York Times Ben Smith, si sono addirittura messi a cancellare i vecchi tweet nei quali esaltava la figura politica di Andrew Cuomo.
DAGONEWS il 2 marzo 2021. Un video che mostra il governatore Andrew Cuomo che sfida una giornalista a "mangiare tutta la salsiccia" di fronte a lui alla New York State Fair 2016 è riemerso sui social media, scatenando l’indignazione del web dopo le accuse di molestie sessuali emerse contro il governatore. «Voglio vederti mangiare tutta la salsiccia» dice il governatore all'allora giornalista di NewsChannel 9 Beth Cefalu, mentre sua figlia Michaela siede in silenzio accanto a lui. «Non so se dovrei mangiare tutta la salsiccia di fronte a te, ma la mangerò sicuramente» risponde Cefalu scherzando. Cuomo quindi invita Cefalu - che si scatta un selfie con lui mentre alza il piatto - a sedersi al suo tavolo. «C'è troppa salsiccia in quella foto» dice Cuomo nello scambio imbarazzante, suscitando le risate degli altri commensali. Gli utenti hanno subito criticato Cuomo per le sue parole "inquietanti" e "imbarazzanti", ma è stata la stessa giornalista a difendere il governatore: «Non sono stata sotto pressione o molestata, eravamo due persone che si godevano l'unico evento - la fiera dello Stato di New York - che dà loro un po' più di libertà di essere informali - ha twittato Cefalu - È davvero triste che si sia stato trasformato in qualcosa di più». Il filmato è riemerso il giorno in cui Cuomo ha cercato di spiegare le accuse di molestie sessuali come "battute" che sono state interpretate erroneamente come "flirt indesiderati". Intanto dopo le accuse dell’ex membro del suo staff Lindsey Boylan, che sostiene che Cuomo l'abbia baciata sulle labbra senza preavviso, e di Charlotte Bennett, che sostiene che il governatore le abbia chiesto in via indiretta di andare a letto insieme, è emersa l’accusa di una terza donna: Anna Rouch, 33 anni, al "New York Times" ha raccontato che sarebbe stata oggetto di molestie da parte del governatore durante un matrimonio due anni fa.
Massimo Gaggi per corriere.it l'1 marzo 2021. Campane a morto per Andrew Cuomo, le cui dimissioni immediate vengono ormai chieste non solo dai repubblicani (per il caso dei dati nascosti sui morti da Covid nelle case di riposo), ma anche da molti democratici (per le accuse di molestie sessuali che gli vengono rivolte da due ex collaboratrici). Il governatore dello Stato di New York che un anno fa di questi tempi veniva invocato da molti progressisti come il leader capace, assai più di Biden, di battere Donald Trump alle presidenziali 2020, era già in caduta libera, come raccontato dal Corriere due settimane fa, per aver sottostimato (9.000 anziché 15 mila) il numero dei morti da coronavirus negli ospizi: numeri non dati — disse la sua assistente personale — temendo che venissero strumentalizzati da Trump contro i democratici. Quel caso aveva spinto molti democratici del Parlamento dello Stato a chiedere la revoca dei poteri straordinari per la pandemia a suo tempo conferiti a Cuomo. Del quale i repubblicani avevano, invece, chiesto l’impeachment. Ora i due casi a sfondo sessuale appena denunciati, anche se hanno contorni non del tutto definiti, stanno provocando una rivolta anti Cuomo nel suo stesso partito: il governatore è attaccato da almeno otto parlamentari nazionali (tra loro Alexandria Ocasio Cortez), dal sindaco di New York Bill De Blasio, e da molti senatori dello Stato, a partire dall’italoamericana Alessandra Biaggi, presidente della Commissione Etica e della Governance che già lo condanna: «Sei un mostro: te ne devi andare, subito». Il governatore cerca di difendersi negando gli abusi (baciata sulle labbra e invitata a giocare a strip-poker) denunciati da Lindsey Boylan, una ex assistente ora candidata alla guida amministrativa del distretto di Manhattan e ammettendo le conversazioni intime con Charlotte Bennett che, però, secondo lui erano paterne e non maliziose. Cuomo si mostra comunque rispettoso nei confronti delle donne che lo accusano e chiede di non essere giudicato (dalla politica e dall’opinione pubblica) fino a quando un’inchiesta non accerterà i fatti realmente accaduti.
Da ilmessaggero.it il 28 febbraio 2021. Nuovi guai per Andrew Cuomo. C'è un seconda donna, anche lei un'ex assistente del governatore di New York, che lo accusa di molestie sessuali, dicendo che il governatore ha fatto diverse domande sulla sua vita sessuale e l'ha fatta sentire «orribilmente a disagio e spaventata». Charlotte Bennett, che era una consulente per le politiche sanitarie e assistente esecutivo del governatore, ha fatto le accuse in un'intervista pubblicata dal New York Times. Bennett, 25 anni, ha detto al giornale che Cuomo le ha chiesto se avesse mai avuto una relazione con un uomo più anziano e se pensava che l'età facesse la differenza nelle relazioni. Il governatore avrebbe anche detto a Bennett al culmine della pandemia di Covid-19 che era solo e in cerca di una ragazza, che era aperto alle relazioni con donne sui vent'anni e le ha parlato della sua passata violenza sessuale in un modo che si sentiva come «qualcosa di un film dell'orrore». Bennett ha detto che Cuomo non l'ha mai toccata. Ma, ha detto al Times, «ho capito che il governatore voleva dormire con me... e mi chiedevo come avrei fatto a uscirne e ho pensato che fosse la fine del mio lavoro». In una dichiarazione Cuomo ha smentito tutto ed ha affermato che «la signora Bennett è stata un membro laborioso e stimato del nostro team durante il covid. Ha tutto il diritto di parlare». «Non ho mai nessun approccio nei confronti della signora Bennett né ho mai avuto intenzione di agire in alcun modo che fosse inappropriato», ha detto. «L'ultima cosa che avrei mai voluto era farle sentire le cose che vengono segnalate». Bennett ha detto che il suo disagio per la situazione è divampato nel tempo e ha deciso di parlare dopo aver visto un'altra ex aiutante di Cuomo, Lindsey Boylan, condividere la sua storia. Boylan, che ha lavorato come consigliere senior del governatore, ha detto che il più potente democratico di New York la toccava spesso in modo inappropriato, la metteva a disagio al lavoro e una volta l'ha baciata sulle labbra senza il suo consenso. L'ufficio di Cuomo ha definito le affermazioni «semplicemente false».
Dagotraduzione dal New York Post il 17 agosto 2021. Lunedì, Andrew Cuomo ha annunciato che entro il 27 settembre tutti gli operatori sanitari nello stato di New York devono essere vaccinati. L'annuncio è arrivato sei giorni dopo l’annuncio di Cuomo sulle sue dimissioni. Nel bel mezzo dei preparativi, ha imposto un mandato a 450.000 persone che entrerà in vigore un mese dopo la sua partenza dalla residenza del governatore. Cuomo è l'anatra più zoppa nella storia delle anatre zoppe. Ma non si comporta come tale. Dal punto di vista morale, non ha alcun diritto di stabilire regole unilaterali che entreranno in vigore 32 giorni dopo la sua fine. Ma soprattutto, non aveva alcun diritto di decidere unilateralmente che sarebbe rimasto governatore altre due settimane dopo le sue dimissioni. Robert Bentley, che si è dimesso da governatore dell'Alabama nel 2017 dopo un accordo che lo manlevasse, è uscito nel momento stesso in cui ha fatto il suo annuncio. Eric Greitens, che si è dimesso da governatore del Missouri nel 2018 nel bel mezzo di uno scandalo, si è dimesso martedì ed è uscito venerdì. Non il nostro Cuomo. Ha dato allo stato un preavviso di due settimane, come se fosse la nostra donna delle pulizie. Ma l'ha fatto? C’è qualcuno che ha visto una lettera formale di dimissioni di Cuomo con una firma in basso? Sicuramente un tale documento formale è legalmente necessario, data la natura dei poteri che Cuomo detiene come amministratore delegato dello stato di New York. Deve rinunciare al suo incarico per una questione di legge in modo che il seggio possa essere lasciato vacante prima che il suo successore, Kathy Hochul, presti giuramento. Le sue dimissioni dovrebbero entrare in vigore tra otto giorni. Dov'è la lettera? Potrebbe essere che Cuomo abbia uno schema da seguire? L'intera faccenda delle dimissioni potrebbe essere una specie di palloncino di prova - per vedere se le cose potrebbero cambiare così drasticamente a causa di circostanze impreviste che potrebbe avere motivo di revocare le sue dimissioni? David Paterson, a cui Cuomo è succeduto come governatore, lo ha detto la scorsa settimana: «È solo un po' sconcertante che volessero avere quella quantità di tempo... È sospetto, la metterò così». Questa idea ovviamente oltraggiosa potrebbe essere sembrata un po' meno oltraggiosa venerdì, quando il presidente dell'Assemblea Carl Heastie ha sospeso unilateralmente il procedimento di impeachment contro Cuomo. Una decisione presa perché le dimissioni di Cuomo avrebbero reso superflua qualsiasi indagine. Ma come l’avrà presa Cuomo, che quando non sembra psicopatico ha l’aria di delirare? Potrebbe pensare: «Bene, un proiettile è schivato. Forse ne eviterò ancora un po', e poi rimarrò nei paraggi». Di nuovo, proviamo a pensare come Cuomo. La marea si è definitivamente rivoltata contro di lui quando il presidente Biden ha detto che avrebbe dovuto dimettersi. Ora Biden è lui stesso in una crisi quasi senza precedenti dopo il disastro dell’Afghanistan. Se la prossima settimana Biden perde la fiducia del pubblico, Cuomo potrebbe credere di avere un buon motivo per restare…L'ordine di vaccinazione potrebbe essere il modo di Cuomo di provare a riaffermarsi come l'eroe del COVID che aveva finto essere l'anno scorso? Potrebbe pensare alle dimissioni di Al Franken dal Senato nel 2018 e a come i Democratici siano arrivati quasi immediatamente a pentirsi di aver insistito? Certo che potrebbe. Assolutamente potrebbe. E anche se così non fosse, anche se sa che se ne andrà tra una settimana, potrebbe passarla a prepararsi il terreno per le elezioni del prossimo anno? Certo che potrebbe. Assolutamente potrebbe. Greitens del Missouri, che ha lasciato il suo ufficio in disgrazia nel 2018, nel 2022 sarà candidato al Senato nel suo stato d'origine. Perché Greitens dovrebbe divertirsi? Cuomo è seduto su 18,5 milioni di dollari in contanti come contributo per la campagna. Li spenderà. Su se stesso. A volte. Potremmo aver chiuso con Andrew Cuomo, ma lui potrebbe non aver ancora finito con noi.
Monica Ricci Sargentini per il "Corriere della Sera" il 25 febbraio 2021. Un' accusa di molestie sessuali nel British Council di Roma. La notizia, pubblicata ieri dal Times , ha mandato in subbuglio la comunità britannica della capitale. L' episodio sarebbe avvenuto nel dicembre del 2018 durante una festa nell' abitazione di Paul Sellers, allora direttore dell' ente britannico in Italia, e di sua moglie Isadora, storica dell' arte. Una dipendente dell' ambasciata ha raccontato che il padrone di casa l' avrebbe palpeggiata e baciata contro la sua volontà. La donna, il giorno dopo, si è confidata con l'ambasciatrice Jill Morris che ha ordinato un'inchiesta interna, alla fine della quale Sellers ha lasciato il suo incarico. Nessuna denuncia è mai stata presentata in Italia e il caso non sarebbe divenuto di pubblico dominio se lo stesso Sellers non avesse intentato una causa di diffamazione contro il capo del Foreign Office, Dominic Raab e il British Council. Sotto accusa un'email scritta da Ken O' Flaherty, vice capo missione dell'ambasciata fino a un anno fa, il funzionario che era stato incaricato di fare luce sull' accaduto. Nella lettera il diplomatico riporta la versione della donna, identificata solo con le iniziali ZZ, la quale racconta di essere stata aggredita mentre si preparava, intorno alle 16.30, a lasciare la festa. «Quando ha salutato Paul, lui si è avvicinato e l'ha baciata sulle labbra. Le ha messo le mani sul petto e l'ha palpeggiata in modo abbastanza deliberato. Lei è rimasta scioccata e si è sentita violata». Il vice ambasciatore riferisce che il giorno dopo la collega si è lamentata con l' ambasciatrice, nonostante temesse di diventare oggetto di pettegolezzo e che la sua carriera potesse risentirne. «ZZ ritiene che Paul fosse "abbastanza ubriaco" - scrive O' Flaherty -. Prima era stato visto ballare con una stagista, aveva detto con orgoglio "Non bevo caffè" quando gli era stato offerto». L'email è ricca di particolari: «Paul beve regolarmente agli eventi sociali professionali: non l'ho mai visto perdere il controllo, ma mostra gli effetti dell'alcol e beveva più di molti altri colleghi». E poi ancora: «Paul Sellers ha mostrato un atteggiamento erratico e un comportamento emotivo anomalo nei suoi rapporti con lo staff dell'ambasciata negli ultimi mesi. Il che ha indotto l' ambasciatrice a chiedersi se ci potesse essere un qualche problema di altro genere». Sellers ha passato 22 anni al British Council, l'ente che dipende direttamente dal ministero degli Esteri e che si occupa di diffondere la cultura britannica nel mondo. Prima di arrivare a Roma, nel 2014, aveva avuto incarichi di alto livello in India e negli Emirati Arabi Uniti. Dalla seconda metà del 2019 si hanno poche notizie di lui. Sul suo profilo Facebook dice che vive a Chennai in India. Vincerà la causa? Per ora a Londra, un giudice dell' Alta Corte gli ha dato torto, non rilevando intenti diffamatori nell' email di O' Flaherty che ha semplicemente riportato la denuncia di una terza persona senza implicare che i sospetti fossero fondati. L'ambasciata britannica e il British Council di Roma non hanno voluto rilasciare dichiarazioni.
Abusi su ginnaste minorenni: suicida l’ex allenatore olimpico degli Usa. Giuseppe Sarcina su Il Corriere della Sera il 26/2/2021. Si è tolto la vita, poche ore dopo essere stato formalmente incriminato con 20 capi di accusa: traffico di esseri umani, molestie e aggressioni sessuali, racket e altro. John Geddert, 63 anni, sposato, tre figli, è stato l’allenatore delle ginnaste americane che hanno partecipato alle Olimpiadi del 2012 a Londra. Era stato anche proprietario e preparatore atletico del «Twistars», un club di Dimondale, un sobborgo di Lansing, capitale amministrativa del Michigan. Nel pomeriggio di ieri la Procuratrice generale dello Stato, Dana Nassel, aveva convocato una conferenza stampa per annunciare il rinvio a giudizio di Geddert, descritto come «un criminale seriale che ha colpito non meno di 50 vittime e tutte minorenni»: vessate, terrorizzate, aggredite sessualmente per dieci anni, dal 2008 al 2018. L’atto d’accusa protegge l’identità delle persone, ma si fa riferimento a un attacco sessuale «criminale» su una ragazzina di età compresa tra i 13 e i 16 anni, avvenuto nel gennaio del 2012. «Molte ragazze sono ancora traumatizzate, dopo anni, dal comportamento del loro allenatore», ha spiegato la magistrata. Gli inquirenti hanno raccolto un’ingente quantità di prove, dopo aver sequestrato «dodici scatole di materiale e un grande numero di apparecchiature elettroniche» nell’abitazione e nella palestra di Geddert. L’inchiesta è, di fatto, la diramazione del grande scandalo che turbò l’America nel 2018. Si scoprì che le ginnaste erano state perseguitate in modo sistematico per anni, proprio nel Michigan. Il perno di quella che ora appare come una rete di spietati predatori era Larry Nasser, 56 anni, docente di Osteopatia all’Università del Michigan. Nel 1986 entrò a far parte del team dell’Usa Gymnastics e nel 1996 diventò il coordinatore dello staff medico. Con questo incarico partecipò a quattro spedizioni olimpiche, ad Atlanta (1996), Sidney (2000), Pechino (2008) e Londra (2012). Nel gennaio del 2018 fu condannato fino a 125 anni di carcere per aver abusato sessualmente di 156 atlete giovanissime. Nell’aula della Corte a Lansing molte donne confermarono i fatti, con racconti raccapriccianti. Nel gruppo c’erano anche le ginnaste vincitrici di medaglie olimpiche, come Jordyn Wieber, McKayla Maroney, Jamie Dantzscher, Aly Raisman e l’ultima celebrità, Simone Biles, quattro ori e un bronzo ai Giochi di Rio de Janeiro in Brasile nel 2016. Secondo la Procura di Lansing, l’allenatore Geddert sapeva chiaramente che cosa facesse «il dottor Larry» nel suo ambulatorio. Non fece mai nulla per proteggere le sue ragazze: il lavoro degli inquirenti offre una spiegazione. Rachel Denhollander, una delle prime ginnaste a denunciare il dottor Nassar, ieri ha commentato: «La verità è che gli abusi compiuti da Geddert non sono mai stati un segreto. Avrebbero dovuto fermarlo decine di anni fa».
Da corriere.it il 16 settembre 2021. Non ha trattenuto le lacrime, Simone Biles, nella sua audizione davanti la commissione Giustizia del Senato sulle negligenze dell’Fbi nell’indagine sulle accuse di abusi sessuali contro l’ex medico della nazionale, Larry Nassar. La star mondiale della ginnastica ha parlato di un «intero sistema che ha permesso e perpetuato» gli abusi sessuali commessi da Nassar. E le sue accuse sono state sostenute da altre tre ginnaste, Mckayla Maroney, Maggie Nichols e Aly Raisman. Il medico della nazionale è stato condannato nel 2018 a una pena compresa tra i 40 e i 175 anni di carcere per abusi sessuali su più di 150 ginnaste. Ma ora sotto processo sono i funzionari e le strutture federali che avrebbero dovuto impedire le violenze o comunque interromperle e punirne prima l’autore. Una prima denuncia fu presentata nel 2015, durante l’audizione di mercoledì al Senato è stata esaminata la gestione delle indagini da parte dell’Fbi. Tra i testimoni sono previsti anche il direttore del Bureau, Christopher Wray, e l’ispettore generale del dipartimento di Giustizia, Michael Horowitz. In un rapporto di luglio, Horowitz ha affermato che diverse violazioni dei protocolli hanno portato a mesi di ritardo e che mentre l’indagine era in stallo l’ex medico ha abusato di decine di altre vittime. I funzionari dell’Fbi «non hanno risposto alle accuse con la serietà e l’urgenza che avrebbero meritato e richiesto — si legge nel dossier —. Hanno commesso numerosi errori e violato molteplici regole del Bureau». «Hanno permesso a un molestatore di minori di rimanere libero per più di un anno e questa inazione ha consentito a Nassar di continuare con i suoi abusi», ha aggiunto la medaglia d’argento nel volteggio a Londra 2012 Mckayla Maroney, ascoltata in Senato: «Che senso ha denunciare un abuso se gli agenti dell’Fbi seppelliscono quel rapporto in un cassetto?». «Sembra davvero che l’Fbi abbia chiuso gli occhi su di noi», ha sottolineato invece Biles: «Deve essere inviato il messaggio che se permetti a un predatore di danneggiare dei minori, le conseguenze saranno rapide e gravi».
Usa, suicida il coach olimpico Geddert: era accusato di abusi sessuali sulle ginnaste. Massimo Basile su La Repubblica il 25 febbraio 2021. Si è tolto la vita in un'area di sosta, poche ore dopo la conferenza stampa in cui la procura federale del Michigan ne ha annunciato l'incriminazione. Avrebbe dovuto rispondere di reati che potevano costargli l'ergastolo. New York - L’ex allenatore della nazionale americana olimpica di ginnastica femminile, John Geddert, si è ucciso. Il corpo è stato trovato dalla polizia nel pomeriggio, in un’area di sosta lungo la Intestate 96, l’arteria che va da Detroit a Grand Rapids, in Michigan. Tre ore prima il l’ex coach olimpico era stato formalmente incriminato di ventiquattro capi d’accusa che andavano dal traffico di esseri umani agli abusi sessuali. “Questa è una tragedia finita in tragedia, per tutte le persone coinvolte”, ha commentato la procuratrice federale del Michigan, Dana Nessel, che solo poche ore prima aveva fatto una conferenza stampa per annunciare l’incriminazione. Stavolta è bastato un comunicato: “Al mio ufficio è stato notificato il ritrovamento del corpo di John Geddert, che questo pomeriggio si è tolto la vita”, ha scritto la procuratrice. Geddert, 63 anni, sposato, tre figli, si sarebbe dovuto presentare nel pomeriggio davanti al giudice, per rispondere di reati che gli potevano costare l’ergastolo. Ma la sua storia era già finita da tempo, da quando era emerso il suo coinvolgimento in quello che è stato uno degli scandali più agghiaccianti dello sport americano: anni di violenze, stupri, abusi, minacce, a spese di aspiranti ginnaste o giovani atlete della nazionale femminile. Geddert, carismatico allenatore della squadra olimpica a Londra 2012 dopo essere entrato nel giro della federazione all’inizio degli anni Duemila, era stato utilizzato per 25 anni dal medico della nazionale, Larry Nassar, per avvicinare le ragazzine attratte dalla prospettiva di guadagnare borse di studio con la ginnastica, per risucchiarle in un inferno fatto di violenze. Il primo scandalo era scoppiato con la storia di Nassar, 57 anni, medico ufficiale della federazione, condannato nel 2016 a 60 anni per pedopornografia, ma con la prospettiva di altri 175 anni di carcere per gli abusi e gli stupri su più di 150 atlete, tra cui anche bambine di meno di dieci anni. Tra i 24 capi d’accusa che hanno riguardato Geddert, solo uno era legato direttamente al suo rapporto con Nassar, un particolare che lascia emergere un aspetto agghiacciante: c’era un altro inferno oltre a quello creato dal medico, e ha visto al centro l’allenatore più famoso della ginnastica femminile americana degli anni duemila. L’inchiesta era partita nel febbraio del 2018. Dalle testimonianze era emerso che nel 2012, Geddert aveva penetrato, con le dita, una ginnasta dall’età compresa tra i 13 e i 16 anni, un dato anagrafico sfumato per non consentire l’identificazione della vittima. Decine di ragazzine, traumatizzate, sono finite nel tunnel della bulimia, dell’anoressia, alcune sono cadute in depressione, altre hanno tentato di togliersi la vita. Al centro dei loro incubi c’era quest’uomo dai capelli bianchi, i modi gentili, i gesti d’affetto ripresi dalle televisioni di tutto il mondo, quando a bordo pedana abbracciava le sue atlete per consolarle dopo una prova incerta, o per complimentarsi per la perfezione dell’esercizio. Il luogo dell’”orco”, secondo l’accusa, era la palestra gestita da Geddert, a Dimondale, in Michigan, il Twistars Usa Gymnastic Club, dove lo stesso Nassar aveva abusato delle giovani atlete durante i lunghi stage di allenamento. Geddert, secondo l’accusa, aveva fatto finta di niente, per poi diventare lui stesso il carnefice. L’uno avrebbe finito per coprire l’altro. Durante i Mondiali del 2011 a Tokyo, mentre erano in macchina per un trasferimento, l’ex atleta olimpica McKayla Maroney aveva mostrato al coach come era stata toccata dal medico la sera prima. Geddert non aveva reagito. Il racconto della ginnasta verrà confermato dalle compagne, che erano in auto. La federazione americana aveva sospeso il coach nel gennaio 2018, dopo una serie di denunce di ex atlete che avevano parlato dei suoi atteggiamenti troppo morbosi. Geddert annunciò il ritiro dall’attività e la messa in vendita della palestra, passata di mano proprio nelle scorse settimane. I nuovi proprietari hanno cambiato il nome, per chiudere con il passato. Rachael Denhollander, la prima ad accusare pubblicamente Nassar di abusi sessuali, ha commentato la morte di Geddert con un messaggio dedicato alle vittime degli abusi: “Per favore, abbiate cura di voi, qui siete amate e protette”.
Da corriere.it il 23 febbraio 2021. L’attore Gérard Depardieu, 72 anni, è indagato per «stupro» e «violenza sessuale» nei confronti di una giovane attrice. I presunti reati risalirebbero all’agosto del 2018 e, secondo quanto riporta la stampa francese citando fonti giudiziarie, si sarebbero consumati nella casa parigina dell’attore. La presunta vittima ha ottenuto la scorsa estate la riapertura dell’indagine, che in un primo tempo era stata archiviata: aveva denunciato i fatti alla gendarmeria nell’agosto del 2018, spiegando di essere stata stuprata due volte nell’abitazione di Depardieu.
L’avvocato. L’avvocato dell’attore, Herve’ Temime, contattato da France Presse ha «deplorato» la fuga di notizie e ha affermato che il suo assistito «contesta totalmente i fatti di cui è accusato». Secondo una fonte ben informata, Depardieu è un amico della famiglia della donna, con la quale non avrebbe avuto nessuna relazione professionale. La giovane era riuscita a ottenere la riapertura dell’inchiesta lo scorso agosto costituendosi parte civile, il che ha consentito la nomina pressoché automatica di un magistrato che riavviasse le indagini.
Gerard Depardieu indagato per stupro: lo accusa un'attrice ventenne. Libero Quotidiano il 23 febbraio 2021. Gerard Depardieu è indagato per violenza sessuale e stupro, reati che avrebbe commesso nell’estate del 2018 ai danni di una giovane attrice di 20 anni. Lo si apprende da fonti giudiziarie. Stando all’accusa, i fatti risalirebbero a quasi tre anni fa, il 7 e il 13 agosto 2018, e sarebbero avvenuti nella casa parigina del popolare attore francese, una villa privata nel 6° arrondissement. La denuncia era arrivata subito, nell’agosto del 2018: la donna aveva spiegato alla gendarmeria di essere stata stuprata due volte nell’abitazione di Depardieu. In un primo tempo, però, l’indagine era stata archiviata: dopo un'istruttoria di nove mesi, la Procura della Repubblica di Parigi aveva fatto sapere che "le numerose indagini svolte" non avevano fatto emergere indizi sufficienti. La giovane è riuscita comunque a far riaprire l’inchiesta lo scorso agosto costituendosi parte civile, il che ha consentito la nomina praticamente automatica di un magistrato che riavviasse le indagini. L’avvocato dell’attore, Herve’ Temime, contattato da France Presse ha “deplorato” la fuga di notizie e ha affermato che il suo assistito “contesta totalmente i fatti di cui è accusato”. Stando a una fonte ben informata, inoltre, Depardieu è un amico della famiglia della donna, con la quale lui non avrebbe avuto nessuna relazione professionale.
DAGONEWS il 25 febbraio 2021. La star del cinema francese Gérard Depardieu è stato filmato mentre era impegnato in atti sessuali su una giovane attrice 22enne che dopo lo ha accusato di averla violentata all'interno della sua casa da 50 milioni di dollari a Parigi. Secondo fonti investigative citate dai media francesi, la vittima ha raccontato che era in uno stato di "diniego" quando è tornata a casa sua dopo la presunta aggressione e che è stata poi aggredita una seconda volta. Il filmato è stato recuperato da agenti di polizia giudiziaria che indagavano su una serie di presunti stupri compiuti dall'attore 72enne nell'agosto 2018. Lui ha ammesso di aver avuto una "relazione consensuale" con la giovane, che non può essere nominata per motivi legali, ma nega con veemenza qualsiasi stupro. I pubblici ministeri di Parigi hanno confermato che Dépardieu è stato accusato di "stupro" e "abuso sessuale". «Nell'agosto 2018 Depardieu stava dando consigli alla denunciante sulla sua carriera di attrice e lei è andata a trovarlo nella sua casa di Parigi. Ci sono molti messaggi di testo tra i due: erano in contatto regolare, discutevano di tutto. Il 7 agosto la denunciante ha affermato di essere stata violentata per la prima volta. Le riprese video nella casa dell’accusato li mostrano seduti a parlare, e poi è stato filmato un atto sessuale. «I due si sono diretti al piano di sopra in una camera da letto, uno dopo l'altro, ma non c'erano telecamere all'interno della camera da letto». La denunciante ha detto alla polizia di essere "confusa" su ciò che stava accadendo e "in stato di diniego" ed è tornata a casa di Dépardieu il 13 agosto, quando avrebbe avuto luogo un secondo stupro. «Sono passate due settimane dopo che ha raccontato a sua madre quello che era successo, e poi è andata alla polizia» ha detto la fonte dell'inchiesta. L'indagine originale è stata archiviata per mancanza di prove dai pubblici ministeri di Parigi il 4 giugno 2019. Ma la ragazza ha presentato una seconda denuncia nell'agosto 2020, che ha portato all'incriminazione di Dépardieu lo scorso dicembre.
Mario Manca per "vanityfair.it" il 25 febbraio 2021. Stupro e violenza sessuale. Sono questi i capi d’accusa che pendono sulla testa di Gérard Depardieu, il celebre attore francese finito nell’occhio del ciclone nell’agosto del 2018, quando un’attrice rimasta anonima, che Le Parisien all’epoca definì come «una giovane comica e ballerina ventenne», lo ha denunciato per essere stata violentata due volte da Depardieu nel suo appartamento di Parigi. La denuncia era di pochi giorni successiva alle presunte violenze che, secondo l’attrice, sarebbero avvenute il 7 e il 13 agosto du tre anni fa. Secondo Bfm TV i due si sarebbero incontrati quando Depardieu ha tenuto una master-class nella sua scuola, circostanza che li avrebbe portati a frequentarsi «per ripetizioni informali per una pièce teatrale», come ha scritto Le Parisien. L’attrice ha sporto denuncia per la prima volta con i dettagli del presunto stupro nell’agosto 2018 nella città di Aix-en-Provence: presa in carico dagli investigatori di Parigi, l’indagine è stata, però, archiviata nel 2019 per mancanza di prove. Le autorità hanno, a distanza di un anno, rivalutato e riaperto il caso nell’estate del 2020, portando le autorità a denunciare formalmente Depardieu. A darne la notizia oggi è stata Agence France-Presse, che ha citato fonti giudiziarie spiegando che l’incriminazione risale a due mesi fa. L’avvocato dell’attore, Hervè Temime, contattato sempre da France Presse, ha «deplorato» la fuga di notizie e ha affermato che il suo assistito, oggi 72enne, «contesta totalmente i fatti di cui è accusato». Secondo una fonte ben informata Depardieu sarebbe, infatti, un amico della famiglia della donna, con la quale non avrebbe avuto nessuna relazione professionale. Dall’inizio dell’indagine, l’attore si è sempre dichiarato innocente.
DAGONEWS il 20 febbraio 2021. A più di tre anni dall'inizio dell'era #MeToo a Hollywood, che ha inaugurato una stagione di cesoie verso chi si macchia di tutti i tipi di comportamento scorretto, dall'insensibilità razziale alle accuse di stupro, il numero di casi di cattiva condotta segnalati ha avuto un’impennata. Tuttavia, rimane una frustrante mancanza di coerenza per quanto riguarda la risposta di Hollywood. Il 2 febbraio, la CAA ha abbandonato Marilyn Manson dopo che l'attrice Evan Rachel Wood ha affermato che il rocker aveva abusato di lei durante la loro relazione. Il giorno dopo la sua etichetta discografica, la Loma Vista Recordings, ha chiuso i rapporti mentre continuano a fioccare accuse su Manson. Ma la CAA non ha riservato lo stesso trattamento a Shia LaBeouf dopo che la sua ex fidanzata e co-protagonista di Honey Boy, la cantante FKA Twigs, l'11 dicembre ha presentato una causa esplosiva contro l’attore, accusandolo di violenza sessuale ed aggressione. Solo dopo che il caso è stato sollevato martedì scorso, CAA lo ha messo in pausa. «La sfortunata verità è che non ci sono criteri per il modo in cui le aziende, gli studi, le etichette o le agenzie determinano le conseguenze sui presunti autori di abusi - afferma l'avvocato Bryan Freedman, che rappresenta Twigs - Peggio ancora, spesso tutto sembra dipendere meno dalla veridicità o dalla gravità delle affermazioni, ma piuttosto da altri fattori come la razza, il sesso e, in definitiva, il denaro. Quando ciò accade, tutti perdono». Nonostante i casi di inerzia, alcune entità di Hollywood stanno assumendo una posizione più proattiva quando si tratta di accuse, anche se gli accusati si dichiarono innocenti. Il 5 febbraio, VH1 ha interrotto la produzione del suo reality show “T.I. & Tiny: Friends & Family Hustle” alla luce delle affermazioni che il rapper-attore Tip "T.I." Harris e sua moglie, Tameka “Tiny” Harris, trafficavano, drogavano e costringevano le donne a fare sesso. La coppia ha negato le affermazioni. A ottobre, il regista Alexander Payne è stato fatto fuori dalla miniserie della HBO Landscapers, una mossa che è arrivata sulla scia di Rose McGowan che accusava il regista di stupro. Attualmente la CAA continua a rappresentare Payne. Negli ultimi anni, l'industria è diventata più disposta a mollare le star quando vengono accusate di aver utilizzato un linguaggio razzista. Eppure gli standard variano. Quando TMZ ha pubblicato un video del cantante Morgan Wallen che usa la parola “negro” verso gli amici, è stato fatto fuori da WME, la sua musica è stata rimossa da iHeartRadio e la sua etichetta, la Big Loud Records, ha detto che avrebbe "sospeso" il suo contratto. Ma quando TMZ ha scodellato un video di Justin Bieber che a 15 anni usava la parola negro durante uno scherzo razzista nel 2014, la pop star è rimasta nella CAA. In un altro caso, Megyn Kelly è stata mollata dalla CAA e dalla NBC News nel 2018 dopo aver suggerito che la blackface era accettabile ad Halloween quando era bambina, ma la NBC ha assunto Julianne Hough come co-conduttrice di America's Got Talent nel 2019 nonostante sia stata pubblicamente criticata per la blackface nel 2013. Adesso la bufera sta spazzando via Armie Hammer dopo alcune chat in cui dice di essere un cannibale. Cosa succederà in futuro? Ah saperlo…
Duhamel, scandalo pedofilia nella sinistra francese. L'inquietante sospetto sul suicidio della star del cinema Marie-France Pisier. Libero Quotidiano il 20 febbraio 2021. Anche un suicidio sospetto nello scandalo pedofilia che ha sconvolto i salotti di sinistra e il mondo dello spettacolo francesi. L'indagine sugli abusi inflitti dal celebre e rispettatissimo politologo ed europarlamentare progressista Olivier Duhamel al figliastro Victor, quando quest'ultimo aveva solo 13 anni, potrebbe gettare una luce sinistra anche sul suicidio di Marie-France Pisier, attrice-simbolo della Nouvelle Vague lanciata da François Truffaut e star di decine di film con maestri come André Techiné e Jacques Rivette, morta in circostanze mai del tutto chiarite nel 2011. Marie-France era la sorella di Evelyne, professoressa, intellettuale e donna di riferimento della sinistra francese dagli anni Sessanta in poi, madre di Julier, Victor e la sua gemella Camille, avuti da Bernard Kouchner, medico e futuro ministro socialista. Un intreccio di personalità clamorosamente ingombranti a Parigi e dintorni. È stata proprio Camille, con un libro devastante, a svelare gli abusi subiti dal fratello gemello da parte di Duhamel, con cui Evelyne si era risposata negli anni Ottanta. Nella Francia che conta le voci su Duhamel si rincorrevano da tempo, ma nessuno aveva mai osato portare le accuse alla luce del sole. Proprio Marie-France avrebbe tentato in ogni modo di convincere la sorella a rivelare la verità, ma il senso di vergogna ha sempre avuto la meglio. Per questo l'attrice, "furibonda, rompe con la sorella, vuole farla pagare al cognato. Marie-France svergogna Duhamel nell'ampio giro di conoscenze parigine, finché la notte dell'aprile 2011 viene ritrovata inerte nella piscina della sua villa in Costa Azzurra, la testa incastrata in una sedia", sottolinea il Corriere della Sera. Ed è stato Julien Kouchner, fratello di Victor e Camille, a riaprire ora la ferita intervistato da Le Parisien: "Non ho mai creduto che mia zia Marie-France si sia suicidata, anche se non so come è morta. La mia unica certezza è che questa storia l'ha uccisa".
Michelangelo Cocco per "il Messaggero" il 16 febbraio 2021. Le loro giocate sono state decisive per la qualificazione della squadra di volley femminile della Corea del sud a Tokyo 2021. Chi poteva immaginare che la carriera delle gemelle Lee fosse stata accompagnata da atti inqualificabili, che fanno a pugni con i valori olimpici di amicizia e rispetto? Eppure dal passato delle ventiquattrenni Lee Jae-yeong e Lee Da-yeong è emersa una scia di violenze, bullismo e soprusi ai danni delle loro compagne, che ieri ha indotto la federazione a squalificarle dalla squadra nazionale, allenata dall' italiano Stefano Lavarini. LA SOSPENSIONE Addio Olimpiadi, e sospensione a tempo indeterminato anche dal loro club professionistico, le Heungkuk Life Pink Spiders. La caduta della schiacciatrice Jae-yeong e della palleggiatrice Da-yeong era iniziata la settimana scorsa, con un post anonimo su Internet. Una loro ex compagna le aveva accusate di continue violenze, fisiche e verbali, contro altre giocatrici ai tempi del liceo. Una delle vittime delle gemelle Lee era stata perfino minacciata con un coltello. Altre malcapitate erano state percosse e umiliate. Nel fine settimana si era aggiunta la denuncia di un' altra ex compagna, che ha raccontato che le gemelle terribili costringevano le ragazze più giovani a lavare i loro indumenti, picchiandole e insultandole. In un primo momento, Jae-yeong e Da-yeong hanno provato a giustificarsi: «Si tratta di atti compiuti in passato, eravamo ancora immature». Ma il caso ha suscitato enorme scalpore, perché la pallavolo in Corea del sud è uno degli sport più popolari e perché le gemelle Lee sono o, forse meglio, erano delle star, popolarissime sui social e contese dagli show televisivi. Alla fine hanno dovuto ammettere le loro colpe e fare atto di pubblica contrizione. «Voglio andarle a trovare per chiedere scusa se mi perdoneranno - ha scritto su Instagram Da-yeong - Avrò tempo per imparare ad autocontrollarmi e per riflettere». Per la federazione la squalifica penalizzerà la nazionale, ma è stata un atto dovuto «per la gravità delle contestazioni».
LA PETIZIONE. Una petizione online ora chiede punizioni severe per le gemelle Lee e un' inchiesta approfondita del ministero della Cultura, dello sport e del turismo. L' appello ieri era stato già accolto da oltre 100 mila firmatari. Le rivelazioni sulle violenze perpetrate dalle gemelle Lee hanno spinto altri giovani a uscire allo scoperto, e sul banco degli accusati sono finiti anche due pallavolisti maschi, Song Myung-geun e Sim Kyoung-sub. Per oggi è prevista una riunione straordinaria della federazione volley, per capire come fronteggiare una situazione che si fa via via più imbarazzante. Il fatto è che quello delle gemelle Lee è tutt' altro che un caso isolato. Un' inchiesta della Commissione nazionale per i diritti umani ha rivelato che l' anno scorso il 14,7% dei 60 mila sportivi delle scuole elementari, medie e superiori del paese dell' Asia orientale ha dichiarato di aver subìto violenze fisiche. Tanto che il presidente della Repubblica, Moon Jae-in, recentemente ha dichiarato che «lo sport ha accresciuto l'orgoglio di molte persone, ma è anche finito al centro di problemi relativi ai diritti umani, tra cui violenze, anche sessuali».
IL SUICIDIO. L' anno scorso la triatleta ventiduenne Choi Suk-hyeon si suicidò dopo aver denunciato al comitato olimpico sudcoreano violenze e abusi da parte dei suoi allenatori e aver chiesto invano un' indagine. Nel 2019, la campionessa olimpica di pattinaggio Shim Suk-hee riuscì a far condannare a dieci anni di carcere il suo ex coach, che l' aveva violentata ripetutamente. Alla base di queste violenze ci sarebbe la competizione spietata - radicata in diverse società dell' Asia orientale - che si riflette in tutti gli ambiti, compreso quello sportivo. «Il 99% degli sport in Corea del sud viene sacrificato per l' 1% di vincitori di medaglie - ha spiegato al Korea Herald Chung Yong-chul, docente di psicologia sportiva dell' Università Sogang - Così, finché portano a casa medaglie o danno il massimo, allenatori e giocatori possono esercitare un potere enorme, e le loro violenze vengono giustificate». Secondo Chung, Jae-yeong e Da-yeong non sono due mele marce, e fino a quando il Paese non rinuncerà a quella che il professore definisce «meritocrazia delle medaglie», casi come quelli delle gemelle Lee continueranno a spuntare come funghi.
Vittima del regista: “Mi faceva recitare per il suo piacere”. Le Iene News il 17 febbraio 2021. Alessandro Di Sarno ci racconta la testimonianza di Gabriela, un’aspirante attrice moldava. “Sono capitata in una scuola di recitazione. Il regista mi faceva recitare parti non per lavoro, ma per il suo piacere personale", sostiene la ragazza. Sarebbe passato anche ai fatti. Così organizziamo un incontro tra lei e il regista, lui non sa che ci sono anche le nostre microcamere…“Sono capitata in una scuola di recitazione. Il regista mi faceva recitare parti non per lavoro, ma per il suo piacere personale". Inizia da queste parole il racconto di Gabriela. Lei è una ragazza moldava che vive in Italia. Il suo sogno è quello di diventare attrice, per questo si è trasferita a Roma per iniziare la sua carriera. Ma qui ha incontrato delle cattive sorprese. “Una di queste è stato un regista che ho conosciuto al Festival del cinema di Salerno”, sostiene Gabriela. Per vedere se la ragazza fosse adatta l'avrebbe messa alla prova. “Mi ha chiesto di guardare tutti gli uomini negli occhi e di sfidarli come se stessi cacciando. Voleva capire se fossi adatta alla parte”. Lei però non si sarebbe sentita di troncare i contatti sperando che quella fosse davvero un’opportunità. In base al racconto della ragazza l'atteggiamento del regista sarebbe andato peggiorando: “Per essere pronta alla parte dovevo reagire ai suoi commenti e a domande assurde in materia sessuale. Lo voleva in maniera diretta, più volte al giorno, ma non era per la parte”, sostiene l'aspirante attrice. In alcune occasioni dalle frasi sarebbe passato a un approccio fisico. Così Gabriela accetta la nostra proposta di incontrare una nuova volta questo regista per farci vedere di quello che sta parlando. A quell’incontro ci siamo anche noi con le nostre microcamere che registrano tutto. “Cerca di tirare fuori tutto il tuo erotismo”, le dice per interpretare una parte. “Quando sei stimolata tu dai qualcosa in più”. La fa sedere sulle sue gambe, le lecca una mano e la palpeggia sotto la maglietta. La situazione sembra degenerare: lui la tocca, la prende per la gola, le mette le dita in bocca. Finché ha una richiesta: “Togliti il reggiseno”. A questo punto il regista capisce che Gabriela non ci sta e abbandona il colpo. Qualche giorno dopo è il nostro Alessandro Di Sarno che lo chiama con la scusa di voler fare lungometraggi con lui. Così gli mostriamo le immagini del suo incontro con Gabriela. “È una grande stupidata che ho fatto", dice il regista che sembra sincero ammettendo quello che ha fatto. "Nello stesso periodo è capitato a due ragazze differenti, una lei e un’altra. Ho avuto problemi a casa e cercavo qualcosa che mi potesse aiutare".
DAGONEWS da dailymail.co.uk l'1 aprile 2021. Lo scorso mercoledì sera Mia Farrow ha pubblicato su Twitter una lunga dichiarazione sulla morte di tre dei suoi figli, affrontando quelle che ha definito "accuse feroci" sulla sua famiglia. La Farrow ha twittato una lunga lettera dopo che è emersa online una foto dell’attrice in compagnia di Hillary Clinton dove sembrava che sua figlia Tam, deceduta nel 2000, fosse stata rimossa digitalmente.
DA vanityfair.it l'1 aprile 2021. L'attrice americana, madre di 14 ragazzi (di cui 10 adottati), zittisce le «crudeli indiscrezioni» e racconta «lo straziante dolore» per la perdita di Tam, Lark e Thaddeus: «Tragedie indescrivibili». La versione di Mia Farrow. L’attrice americana, dopo le recenti speculazioni sulla morte dei suoi tre figli, ha deciso di raccontare la verità in un lungo messaggio su Twitter. «Come mamma di 14 ragazzi (dieci adottati e quattro biologici, ndr), la famiglia significa tutto per me», si legge. «Seppur io abbia scelto un lavoro che mi mette al centro dell’arena pubblica, molti dei miei figli preferiscono la privacy. Rispetto le loro scelte e per questo sono molto selettiva nei miei post social». Nonostante la premessa, Mia stavolta ha scelto di aprire capitoli davvero intimi della sua vita, facendo chiarezza una volta per tutte. «Poche famiglie sono perfette, qualsiasi genitore abbia perso un figlio sa che il dolore è spietato e incessante. Nonostante ciò, sono apparse online alcune crudeli indiscrezioni sui miei tre figli (Tam, Lark e Thaddeus), basate su falsità. Scrivo questo post per onorare il loro ricordo, i loro figli e tutte le famiglie che hanno attraversato un simile strazio». «La mia amata Tam (una bambina vietnamita nata cieca) se n’è andata a 17 anni a causa di un sovradosaggio accidentale di farmaci prescritti per la sua tremenda emicrania, e del suo disturbo cardiaco». La star di Hollywood, in passato sposata con Frank Sinatra e André Previn, nonché storica compagna di Woody Allen, ha spostato poi il focus su Lark, scomparsa nel 2008 a 35 anni: «È stata una donna straordinaria, una meravigliosa figlia, sorella e madre. È morta per complicazioni dovute all’HIV/AIDS». «Lo aveva contratto da un precedente partner», ha spiegato Mia. «Nonostante la sua malattia, ha avuto una vita fruttuosa e piena d’amore. Se n’è andata all’improvviso, il giorno di Natale, tra le braccia del suo compagno». Infine la drammatica vicenda di Thaddeus, morto suicida nel 2016: «Il mio coraggioso figlio aveva una vita felice con la sua fidanzata, tutti ci aspettavamo il matrimonio. La relazione però si è interrotta bruscamente e lui si è tolto la vita. Sono tragedie indescrivibili». L’attrice californiana, 76 anni appena compiuti, ha concluso il messaggio dicendo che «qualsiasi altra speculazione riguardo la morte dei suoi figli, disonora la loro vita e quella delle loro persone care». «Sono grata di essere madre di 14 ragazzi che mi hanno benedetto con 16 nipoti. È vero, in famiglia conosciamo la sofferenza, ma le nostre vite oggi sono piene di amore e gioia. Ognuno ha le proprie battaglie da combattere e i propri dolori con cui fare i conti. Vi mando i miei migliori auguri». Firmato Mia Farrow.
Il ritorno al cinema del regista con "Rifkin's Festival". Woody Allen e le accuse di violenze sessuali: un calvario lungo 30 anni. Antonio Lamorte su Il Riformista il 6 Maggio 2021. Woody Allen torna al cinema. Da oggi esce nelle sale italiane Rifkin’s Festival, protagonista un ex professore di cinema, alter ego del regista. Bruttino e colto, che accompagna la moglie al Festival di San Sebastian, nei Paesi Baschi in Spagna. E quindi un giovane e sedicente impegnato e bel regista. Guai. Una storia di amore, equivoci e velleità. Al momento non esce negli Stati Uniti, il regista ha detto che potrebbe andare in sala e in streaming, ma si può leggere su più di una testata di boicottaggio. E questo perché il regista americano è da anni al centro di una polemica senza fine sulla sua vita privata. Si tratta di quasi trent’anni di accuse di molestie e violenze sessuali e pedofilia. Una questione sanguinosa. Sull’onda del #metoo la storia è riemersa; attori hanno smesso di lavorare con Allen, piattaforme di pubblicare i suoi film, case editrici non hanno pubblicato la sua autobiografia. “Presumo che per il resto della mia vita un gran numero di persone penserà che sono stato un predatore – ha osservato il regista – Qualunque cosa dica suona egoistica e difensiva, quindi è meglio se vado a modo mio e lavoro”. E infatti non si è mai fermato. Ha sempre girato i suoi film, molti di successo, nonostante tutto. Ha già annunciato, nelle interviste di promozione a Rifkin’s Festival, che il prossimo film sarà un nuovo Match Point: uno dei cult della sua filmografia con Scarlett Johansson tra gli attori. Allen non è comunque mai stato incriminato. Questa storia è intricatissima.
LA FAMIGLIA – Vicenda labirintica e intricata a partire dai protagonisti, ovvero dalla struttura delle famiglie e dai rapporti personali. La relazione tra Woody Allen e Mia Farrow è cominciata nel 1980. Tredici volte insieme sul set. Non sono mai stati sposati, hanno vissuto in case separate nell’Upper East Side, New York. Farrow, attrice molto quotata soprattutto tra gli anni Settanta e Ottanta, era stata sposata con il cantante Frank Sinatra dal 1966 al 1968 e con il compositore e direttore d’orchestra André Previn dal 1970 al 1979. Con quest’ultimo aveva avuto tre figli biologici e quattro adottivi, tra cui Soon-Yi Previn. Dopo il divorzio da Previn ha adottato Moses Farrow. Quando già aveva una relazione con Allen, adottò Dylan Farrow. Dal regista ha avuto il figlio biologico Ronan Farrow. Allen ha infine adottato nel 1991 sia Dylan che Moses. Anche il regista aveva due matrimoni alle spalle.
IL CASO – La famiglia esplode quando Farrow, all’inizio del 1992, scopre la relazione di Allen con la figlia Soon Yi Previn, che aveva tra i 19 e i 22 anni – quando fu adottata in un orfanotrofio sudcoreano non era nota con precisione la sua data di nascita – e comunque più di trenta in meno rispetto al regista, 57enne. Si parlò di incesto, ma con imprecisione, non essendo la ragazza figlia biologica di Allen. I due comunque si sposarono nel 1997, adottarono due figlie, e Soon Yi Previn non ebbe più rapporti con né con Farrow né con il padre Previn. Cominciò così una lunga battaglia legale per l’affidamento di Moses, Dylan e Ronan, ovvero i figli adottivi che aveva riconosciuto Allen e il figlio biologico avuto dalla coppia. In questo contesto emerse l’accusa di molestia sessuale secondo la quale il 4 agosto 1992 Allen avrebbe abusato di Dylan. A denunciare la pediatra dei bambini, cui Dylan aveva raccontato le violenze. La piccola aveva sette anni. Le indagini della Clinica per gli abusi sessuali sui minori dell’Ospedale di Yale-New Haven e i servizi sociali infantili dello Stato di New York conclusero che non c’erano state delle molestie sessuali. L’indagine citava l’ambiente “disturbato” della famiglia che avrebbe influito su una bambina vulnerabile o l’influenza della madre. Su quel racconto nessun riscontro medico e giudiziario. A screditare in parte tale risultato Elliot Wilk, il giudice del processo per l’affido, che riconobbe la mancanza di prove sufficienti a sostegno dell’accusa di Dylan ma che assegnò a Farrow la custodia dei tre figli. Decisiva la testimonianza della psicologa infantile Susan Coates che aveva giudicato “inappropriato” l’atteggiamento del regista verso la bambina. Farrow diede a uno dei suoi figli, adottato negli anni Novanta, il nome del giudice e lo chiamò Thaddeus Wilk Farrow, che morì suicida nel 2016 a 27 anni.
LA LETTERA – Dodici anni dopo, su un blog del New York Times, Dylan Farrow ha fornito la sua versione dei fatti raccontando in una lettera che “quando avevo sette anni, Woody Allen mi prese per mano e mi portò in una piccola soffitta al primo piano di casa nostra, mi disse di stendermi e di giocare con il trenino di mio fratello. Quindi abusò sessualmente di me, e mi parlò mentre lo faceva, sussurrandomi che ero una brava bambina, che questo sarebbe stato il nostro segreto, e mi promise che saremmo andati insieme a Parigi e io sarei stata una grande attrice nei suoi film. Ricordo che fissai quel trenino girare in tondo lì in soffitta, e ancora oggi mi viene difficile guardare i trenini”. Una lettera che fu seccamente smentita dall’entourage di Allen e che descriveva gli abusi come consuetudinari: “Queste cose succedevano così spesso, così normalmente, in modo così abilmente nascosto da una madre che mi avrebbe protetta se avesse saputo, che pensavo che fosse normale. Pensavo che fosse quello il modo in cui i padri si comportavano con le proprie figlie. Ma quello che mi fece in soffitta fu diverso. Non potevo più tenere il segreto”. LA DIFESA – Woody Allen ha sempre respinto le accuse. La sua tesi: Mia Farrow ha spinto la figlia Dylan a raccontare gli abusi. Convincendola. “Non penso che lo inventi, non penso che stia mentendo. Ritengo che lo creda”, ha detto. Una vendetta per la sua relazione con Soon-Yi Previn. A sostegno del regista le parole di Moses Farrow, che successivamente si allontanò dalla madre, raccontando che quel giorno di quell’agosto 1992 in casa c’erano almeno sei o sette persone e che nessuno si accorse di nulla. Woody Allen ha continuato a girare i suoi film per anni. Il caso ha attirato di nuovo l’attenzione dopo l’esplosione dello scandalo e le accuse di molestie contro il produttore cinematografico Harvey Weinstein. Allen allora ha diffuso un comunicato nel quale sosteneva che “nonostante la famiglia Farrow stia usando cinicamente l’opportunità presentatale dal movimento Time’s Up per rinnovare questa accusa screditata, essa non è più vera che in passato. Non ho mai molestato mia figlia, come tutte le indagini conclusero un quarto di secolo fa”. Tra i maggiori animatori del #metoo, per una sorta di plot twist, Satchel Ronan Farrow, che non ha mai avuto un buon rapporto con il padre, per il New Yorker. È stato tra i primi a raccogliere le testimonianze delle attrici contro Weinstein. E ha rispolverato le accuse contro il padre. Diversi attori hanno allontanato il regista. Piattaforme non hanno distribuito il film Un giorno di pioggia a New York. La casa editrice Hachette Book – la stessa che aveva pubblicato Catch and Kill di Ronan Farrow proprio sullo scandalo #metoo – ha rinunciato a pubblicare l’autobiografia del regista – A propos of nothing in Italia è stato pubblicato da La Nava di Teseo con il titolo A proposito di niente. Proprio il figlio giornalista avrebbe fatto pressioni sulla casa per non pubblicare le memorie del padre. Accuse e colpi bassi e stilettate incrociate si susseguono da una parte all’altra della famiglia. Ronan Farrow, quando gli viene chiesto se è figlio di Sinatra – con il quale la madre ha intrattenuto rapporti fino alla morte di “The Voice” – e non di Allen, risponde: “Può darsi”.
NIENTE FINALE – A inizio 2021 è uscito Allen vs Farrow, un documentario in quattro puntate diretto da Kirby Dick e Amy Ziering. Una serie girata “in gran segreto” e prodotta da HBO, che ha accordi di produzione e affari con Ronan Farrow. Allen ha replicato: “Un attacco feroce infarcito di falsità”. Come ha ribadito nella sua prima intervista in 30 anni, registrata nel luglio 2020 e pubblicata a fine marzo 2021, ai microfoni di Cbs News: “Non penso che lo inventi, non penso che stia mentendo. Ritengo che lo creda” e facendo riferimento alla sua relazione con Soon-Yi Previn che “non avrebbero dato due bimbe a una persona che ritenevano un pedofilo”.
Antonio Lamorte. Giornalista professionista. Ha frequentato studiato e si è laureato in lingue. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Ha collaborato con l’agenzia di stampa AdnKronos. Ha scritto di sport, cultura, spettacoli.
S. N. per "la Stampa" il 30 marzo 2021. Il regista Woody Allen ha per l' ennesima volta negato le accuse di aver molestato la figlia adottiva dell' allora sua compagna Mia Farrow, Dylan, quando era bambina, definendole «assurde» e dichiarandosi «del tutto innocente». La Cbs ha mandato in onda un' intervista al regista, registrata nel luglio 2020, la prima che Allen ha rilasciato dopo 30 anni a una tv americana. L' intervista esce a quasi un mese dalla messa in onda della docuserie di Hbo «Allen vs Farrow», in cui Dylan Farrow rilancia le accuse nei confronti del regista, nonostante la giustizia si sia già pronunciata in favore di Allen. La Farrow ha accusato Allen di aver abusato sessualmente di lei nel 1992, quando aveva sette anni. Il regista ha sempre negato e nell' intervista rilasciata al giornalista della Cbs Lee Cowan, ha spiegato: «È così assurdo, eppure la macchia è rimasta e preferiscono ancora aggrapparsi, se non all' idea che ho molestato Dylan, alla possibilità che io l' abbia molestata». E ha aggiunto: «Niente di quello che ho fatto con Dylan in vita mia può essere interpretato in questo senso». Allen ha detto a Cowan riferendosi a Dylan: «Era una brava ragazza... credo che lo pensi. Non credo che si stia inventando tutto. Non sta mentendo. Sono convinto che ci creda». La carriera del regista è stata notevolmente danneggiata dalle accuse negli ultimi anni. Un editore ha deciso di annullare l' uscita della sua autobiografia, mentre Amazon ha ritirato l' uscita del suo film del 2018 Un giorno di pioggia a New York. Diversi attori hanno anche espresso pubblicamente rammarico per aver lavorato con Allen (tra questi Timothée Chalamet, Kate Winslet, Greta Gerwig, Colin Firth e molti altri). Alla domanda su questo durante l' intervista, il regista ha risposto: «Penso che siano stupidi. Hanno buone intenzioni, ma sono stupidi. Tutto quello che stanno facendo è perseguitare una persona perfettamente innocente».
Beatrice Pagan per "badtaste.it" l'1 marzo 2021. Dylan Farrow, prima della messa in onda sugli schermi americani del secondo episodio di Allen v Farrow, ha condiviso via Twitter la richiesta di provare ad affrontare quanto mostrato con empatia e comprensione. La puntata ha proposto un video che risale a quando aveva sette anni. Il filmato è stato girato il 5 agosto 1992 e ritrae la bambina mentre sostiene di essere stata abusata dal padre adottivo Woody Allen.
Su Twitter Dylan ha scritto: Sto scrivendo questo messaggio perché, per essere totalmente onesta, non sto dormendo e sono alle prese con l’ansia. L’episodio di stasera della docuserie Allen v. Farrow mostra un video che mostra quando ero una bambina di sette anni e parlo con mia madre degli abusi che ho subito.
La giovane ha proseguito sottolineando: Mia madre mi ha dato questo video quando sono diventata adulta per farne quello che volevo. Mi mostra come ero allora, una bambina giovane e vulnerabile. ‘La piccola Dylan’, che da allora ho sempre cercato di proteggere. Decidere di permettere che il video venga visto pubblicamente in questo modo non è stato semplice. Io stesso ho resistito evitando di vederlo fino a questo momento ed è rimasto a lungo chiuso in un armadio.
Dylan ha svelato: Ho quasi deciso di non offrirlo ai registi perché essere così vulnerabile in pubblico è per me assolutamente terrificante. La mia paura nel lasciar venire alla luce questo video è quella di mettere la piccola Dylan alle prese con i giudizi dell’opinione pubblica. La scrittrice sostiene che l’idea di dover sopportare i commenti rivolti al video di quando era bambina l’ha messa in crisi: Ma ho deciso di dare l’approvazione al fatto che lo condividessero nella speranza che la voce della piccola Dylan potesse aiutare altre persone che soffrono in silenzio a sentirsi ascoltate, capite e meno sole. E che la mia testimonianza possa inoltre aiutare genitori, parenti, amici, persone amate e il mondo in generale a capire come un bambino vittima di abusi potrebbe parlare e interpretare questi eventi orribili. C’è inoltre un terzo motivo. Personalmente ho, per decenni, allontanato la ‘Piccola Dylan’ come meccanismo di difesa. Quindi parte del mio obiettivo nel permetterle ora di parlare è inoltre quello di provare a trovare, e riuscirci, un qualche tipo di guarigione per me e la mia versione di quando ero bambina. Si tratta di un tentativo di essere finalmente completa, trovare pace e voltare pagina. Dylan Farrow ha inoltre ricordato da quando la notizia degli abusi è stata rivelata è stata al centro, insieme ai fratelli e alla madre, di commenti di ogni tipo, derisione e attacchi, situazione che l’ha portata a non pensare al passato come meccanismo di auto-difesa: L’ho nascosta in un armadio con quella videocassetta, nascosta, impaurita, triste e ferita. Se vedrete questo video, spero realmente che lo farete con empatia, compassione e una mente e un cuore aperti, e non lo userete come opportunità per attaccare, rifiutare, criticare, prendere in giro o ignorare ulteriormente la Piccola Dylan, e nel farlo far provare vergogna e silenziare milioni di bambini che hanno subito abusi e attualmente stanno soffrendo nel mondo. Questa è la parte più vulnerabile di chi sono. Woody Allen ha da anni respinto le accuse che gli sono state rivolte da parte della figlia adottiva e, dopo la messa in onda dell’episodio su HBO, non ha rilasciato commenti riguardanti il video mostrato per la prima volta.
Da "ilgazzettino.it" il 22 febbraio 2021. «Un attacco feroce infarcito di falsità». Questa la replica di Woody Allen alla docufiction "Allen contro Farrow" andata in onda sulla Hbo in cui viene ricostruite le presunte molestie e violenze sessuali nei confronti della figlia adottiva Dylan quando aveva sette anni. All'indomani della messa in onda l'attore e regisya e la moglie Soon-Yi Previn rompono il silenzio sulla nuova serie. I documentaristi Amy Ziering e Kirby Dick «non hanno alcun interesse nella verità», ha dichiarato la coppia all'Hollywood Reporter accusando gli autori di «aver collaborato con i Farrow e i loro facilitatori» mentre a Woody e Soon-Yi sono stati dato «solo pochi giorni» per offrire la loro versione. Nella prima di quattro puntate di un'ora, Dylan Farrow comincia a rievocare davanti alla macchina da presa le note accuse di incesto lanciate negli anni novanta contro Allen che era il compagno della madre quando lei era bambina.
La testimonianza della figlia Dylan. Dick e la Ziering costruiscono un quadro secondo cui il regista cominciò ad adescare Dylan fin da piccolissima. «Non importa quello che pensate di sapere: questa è solo la punta dell'iceberg», afferma lei, ormai donna di 35 anni. «Mi sentii in trappola. Mi diceva cose come: andremo a Parigi insieme. Sarai in tutti i miei film. E poi mi aggredì sessualmente. Mi concentrai a guardare i trenini di mio fratello. E poi... si fermò. Aveva finito. E scendemmo di sotto», prosegue evocando quanto, a suo dire, sarebbe successo nella soffitta della casa di Mia Farrow in Connecticut.
La replica. «Un attacco feroce infarcito di falsità». Così l'85enne Woody e Soon-Yi, che oggi ha 50 anni, hanno definito la nuova serie. «I documentaristi non hanno alcun interesse nella verità. Hanno passato anni collaborando furtivamente con i Farrow e i loro facilitatori». Allen e moglie sostengono di esser stati contattati meno di due mesi fa e che gli sono stati dati solo pochi giorni per rispondere: «Naturalmente si sono rifiutati», si legge nella dichiarazione che definisce «categoricamente false» le accuse e ricorda che «molteplici agenzie hanno indagato e scoperto che non c'è stato alcun abuso, a prescindere da quanto Dylan Farrow sia stata indotta a credere».
Il conflitto d'interesse. Woody e Soon-Yi insinuano poi un conflitto di interesse: «E triste, ma non ci deve sorprendere, che sia stato Hbo a mandare in onda il documentario visto che la rete ha un accordi di produzione e di affari con Ronan Farrow». L'unico figlio biologico di Allen e della Farrow, Ronan ha chiuso nel 2018 un accordo triennale con Hbo per produrre documentari investigativi. « Allen contro Farrow» non è tra questi, e il giornalista premio Pulitzer per l'inchiesta su Harvey Weinstein appare nella serie solo come testimone.
L'altro figlio adottivo che difende il papà. La Ziering e Dick hanno sostenuto di non aver mai avuto risposta da Woody, Soon Yi e da Moses, un altro figlio adottivo di Allen e della Farrow, che sta dalla parte del padre e accusa Mia di esser stata una pessima mamma. I documentaristi d'altra parte non hanno fatto mistero di aver operato una scelta di campo. Quasi troppo, secondo alcuni critici, che obiettano l'assenza di dettagli chiave tra cui il suicidio di due dei figli adottivi di Mia e la condanna per pedofilia del fratello dell'attrice, John Charles Viller-Farrow.
Paolo Travisi per "leggo.it" il 16 febbraio 2021. Negli anni Novanta, (1992) il celebre regista Woody Allen fu accusato di aver compiuto abusi sulla figlia Dylan, che Allen e la sua compagna, l'attrice Mia Farrow, avevano adottato. Accuse che provenivano proprio dalla presunta vittima e che hanno avviato un processo penale noto come Woody/Mia. Il regista di Manhattan è stato prosciolto dalle accuse, ma quella storia è finita al centro di un documentario, Allen vs Farrow, realizzato dalla HBO che dal 21 febbraio andrà in onda negli Stati Uniti, suddiviso in 4 puntate. Tutto ebbe inizio con la loro separazione nel 1992, anche se non erano sposati, in seguito alla scoperta da parte di Mia Farrow di alcune foto di nudo dell’allora 21enne, Soon-Yi Farrow Previn, scattate proprio da Allen. E durante quell'estate, Dylan, allora settenne, aveva accusato Woody, suo padre, di molestie. Il doc ripercorre il caso giudiziario, con materiali inediti della polizia, interviste, filmati casalinghi, documenti processuali e registrazioni audio mai ascoltate prima d’ora, gettando luce sulla storia e sulle accuse mosse da Mia Farrow, che per il suo ex-marito recitò come protagonista in 13 film. Nel trailer appare l'attrice che dice "non potevo crederci" e si sente la voce di Dylan, la figlia adottiva che dice "non importa quello che pensate di sapere: è solo la punta dell'iceberg", insomma, per chi ha già visto il documentario, sembra che l'opera sia sbilanciata in favore di Mia Farrow e della figlia Dylan, e non ci sia sufficiente spazio per tesi a favore di Woody Allen, ma su questo ci riserviamo il giudizio solo dopo averla potuta vedere. Ma le voci contenute nel documentario, realizzato in modo tradizionale, con interviste di stampo giornalistico sono molteplici, tra cui il figlio Satchel, (che ha cambiato il nome in Ronan dopo la rottura dei genitori), il giornalista che ha scritto gli articoli per il New Yorker che hanno sollevato il movimento MeToo e contribuito ad inchiodare il produttore Harvey Weinstein per i suoi reati sessuali. Non manca l’intervista all’avvocato dell’accusa, Frank Maco mentre, non sappiamo se sia stato interpellato o meno il legale di Woody Allen. Ma né Woody né l'attuale moglie Soon-Yi, figlia adottiva di Mia Farrow e dell'ex-marito di lei, André Previn, con cui il regista ha iniziato una relazione nei primi anni Novanta, hanno voluto partecipare alla serie, che rivaluta anche la sua intera opera filmica in considerazione di quelle accuse, anche se cadute. Dopo il caso MeToo, Hollywood ha iniziato a schierarsi e Woody Allen da molti suoi ex-colleghi è stato allontanato, tra cui Greta Gerwig, Colin Firth e Mira Sorvino che si sono impegnati a non lavorare più con lui, mentre Amazon ha rotto un accordo da 68 milioni di dollari dopo che il regista aveva definito l'inchiesta Weinstein, una "caccia alle streghe".
DAGONEWS il 28 febbraio 2021. Christina Engelhardt aveva solo 16 anni quando incontrò per la prima volta Woody Allen in un ristorante di New York. All'epoca era una studentessa bionda delle superiori con gli occhi verdi, una bellezza che le aveva fatto firmare alcuni contratti da modella e un sogno nel suo cuore di essere famosa. Ed è allora che incontrò Woody Allen, all’epoca 41enne, con cui ebbe una relazione durata 8 anni che divenne di ispirazione per il personaggio interpretato da Mariel Hemingway, che allora aveva 16 anni, in “Manhattan”. Ora Christina, 61enne divorziata a madre di due ragazze, dopo aver ricordato solo pochi anni fa con affetto e senza alcun rimpianto la sua relazione con Allen, ha deciso si sputtanarlo nel documentario di HBO “Farrow v. Allen” in cui dice di aver riflettuto sugli aspetti negativi di quella relazione. «Il film mi ha sempre ricordato come interpretava i personaggi nei suoi film e come giocava con me» dice Christina oggi. Perché dopo quel primo appuntamento al ristorante, afferma di aver continuato ad avere una relazione clandestina di otto anni con il regista di Hollywood, sotto il naso - e in effetti, dice, con la piena ma riluttante conoscenza - del suo partner di allora Mia Farrow. Ha raccontato che Allen all’epoca non fece mai riferimento alla loro differenza d’età (25 anni) e fin dall'inizio ha stabilito regole per cui non avrebbero discusso di lavoro e si sarebbero incontrati solo a casa sua visto che all’epoca era sposato con Mia Farrow. Ora, dopo aver rifiutato per anni di sentirsi vittima, Christina ricorda “la sua crudele relazione e come sia stata manipolata”: «Con la sua intelligenza mi faceva sentire un’adulta. Mi faceva domande ero entusiasta che volesse la mia opinione. Pensavo che tenesse alla mia mente oltre che al mio corpo. Ma non mi ha mai portato fuori a cena o a un appuntamento, nemmeno una volta». Secondo lei il fatto di narrare nei film relazione di giovani con uomini più maturi “rispecchia la sua inclinazione verso le giovani verso la vita reale”. «Non ho mai passato la notte con lui, non una volta. Era solo per un paio d'ore, sesso compreso. Un bicchiere di vino, una chiacchierata, una partita a scacchi e un po' di sesso». Allora adolescente dice che era ferita e confusa dalla natura segreta della loro relazione, dimostrata dal fatto che Allen non l'ha mai portata a mangiare fuori: «Gli ho dato un centinaio di opportunità per dire: "Ehi, andiamo a cena fuori" e penso che sia qui che entra in gioco la mia bassa autostima. Ho pensato che forse se fossi stata più interessante e realizzata, le cose sarebbero cambiate. Avevo solo 16 anni e mi sentivo lusingata che qualcuno di talento e spiritoso come Woody fosse interessato a me». Ci sono altri ricordi più tristi. Ricorda di essersi presentata, senza preavviso, al jazz club di New York dove Allen suonava una volta alla settimana: «Mi ha abbracciato come se fossi una buona amica. Non mi ha mai presentato come la sua ragazza». Da parte sua, Christina crede di essere rimasta coinvolta nel vortice sessuale di Allen perché ambiziosa e in soggezione nei suoi confronti: «I predatori vedono quella mancanza di fiducia nei giovani e ne approfittano. Pensavo di essere speciale per lui, ma ho finito per sentirmi come il suo giocattolo, ed è tutto quello che ero. Non era la persona che pensavo. Gli ho concesso il beneficio del dubbio perché pensavo fosse un genio». Quando ha visto Manhattan per la prima volta nel 1979, dice di aver pianto. La trama l'ha colta completamente di sorpresa: «Ho detto a Woody, più tardi," Wow mi assomiglia" e lui ha riso e ha detto: “Davvero?”. Mi sentivo come se avesse preso frammenti di me e li avesse inseriti nel film». Quattro anni dopo l’inizio relazione, in uno dei viaggi di Christina a New York, Allen presentò Christina a Farrow: «Mi ha presentato a Mia Farrow e ha detto: "Voglio che tu conosca la mia ragazza" e ricordo di aver pensato: "Non sono la tua ragazza". Allora ho capito che non ero niente [per lui] ma Mia era così gentile e meravigliosa.» La star del film del 1968 “Rosemary’s Baby” aveva 16 anni più di lei e le due donne sono finite per piacersi: «Eravamo le sue due ragazze preferite e lui era il regista in quella situazione. Penso che anche Mia fosse sotto il suo incantesimo. Se hai una relazione felice e sana, non devi coinvolgere una terza persona». L'ultima goccia per Christina è arrivata quando Allen ha rifiutato di aiutarla con la sua carriera di attrice. Ha lasciato gli Stati Uniti nel 1983 ed è andata a lavorare a Roma.
Articolo del 17 dicembre 2018 da “ilmessaggero.it”. Era il 1976 e Babi Christina Engelhardt aveva 16 anni. Fu lei a prendere l'iniziativa. Lasciò un biglietto sul tavolo di Woody Allen: «Dal momento che hai firmato abbastanza autografi eccoti il mio». C'era il numero di telefono e il regista, allora 41enne, la chiamò pochi giorni dopo. È il racconto, sull'Hollywood Reporter, di Babi Christina Engelhardt, ex modella che fra il 1976 e l'84 ebbe una relazione di otto anni con il regista newyorkese. Allora l'età della maturità sessuale era fissata a 17 anni ma Allen - racconta la donna - non chiese mai la sua età. «Però sapeva che andavo alle superiori», dice la Engelhardt che oggi ha 59 anni e che racconta di quella relazione sulla scia del movimento #Metoo, nato con lo scandalo Weinstein - lo scorso anno - e con le successive denunce a esponenti del mondo di Hollywood, una delle quali, pesantissima, coinvolse lo stesso Woody Allen, accusato dalla figlia adottiva Dylan Farrow di averla violentata. «È cambiato tutto ora, è come se improvvisamente gli altri si aspettassero da me di parlare male di lui». L'ex modella racconta che quello che fino a poco tempo prima era ancora il ricordo, dolce e melanconico, di una relazione positiva ma che ora, dopo il #Metoo, è diventato molto più scomodo. Il tempo, racconta la donna, ha modificato anche la percezione di quello che lei pensava fosse un non dichiarato monumento alla loro relazione: il film Manhattan, del 1979, che racconta della diciassettenne Tracy (interpretata da Mariel Hemingway che per questo ruolo fu nominata all'Oscar) che con entusiasmo decide di andare a letto con il personaggio interpretato da Allen, Isaac «Ike» Davis, di ben 42 anni. «Il film mi ricordava il perché ho sempre trovato così interessante quell'uomo. Il suo umorismo è magnetico». La relazione fra i due non era del tutto clandestina. L'articolo dell'Hollywood Reporter raccoglie anche le dichiarazioni di alcune persone che erano al corrente del rapporto fra i due, come il fotografo Andrew Unangst, e il fratello della donna, Mike, allora entusiasta della relazione fra la sorella e il suo regista preferito: «Avevo 12 anni ed ero un suo grande fan», dice l'uomo. La Engelhardt non si definisce vittima di quel rapporto: «Non voglio gettare fango su di lui, racconto una storia d'amore che mi ha fatto diventare chi sono. Non ho rimorsi», dice, anche se il divario di età e di potere fra i due potrebbero essere sufficienti per bollare come tossica quella relazione. Negli anni che seguirono la Engelhardt ebbe anche un rapporto artistico, del tutto professionale, con Federico Fellini. «Un giorno Allen telefonò a Fellini, a Roma, e risposi io. Mi disse: mi hai lasciato per Fellini? Meraviglioso!. Era scioccato che fossi in compagnia del suo mito». Oggi Christina Engelhardt è una donna divorziata, madre di due ragazze adolescenti, che vive in un bell'appartamento di Beverly Hills. «Non fraintendetemi, non ho raccontato questa storia per attaccarlo, ma per dare un punto di vista diverso anche al movimento #Metoo, per dare la mia prospettiva. Non voglio in alcun modo attaccare Woody Allen». Il regista ha negato un suo commento sulla vicenda.
Monica Ricci Sargentini per corriere.it il 16 febbraio 2021. Ha ricevuto le scuse del primo ministro australiano Scott Morrison l’ex addetta stampa del governo Brittany Higgins, che ha denunciato di essere stata stuprata due anni fa da un collega più anziano nell’ufficio della ministra della Difesa, Linda Reynolds, ma di essere stata convinta a non denunciare: «Non sarebbe dovuto succedere — ha detto il premier riferendosi a come è stata gestita la vicenda—, spero che questo episodio suoni a tutti come un campanello d’allarme». Per il movimento delle donne è l’ennesimo segnale di una cultura misogina fatta di commenti sessisti e bullismo nei confronti delle colleghe che ha spinto molte politiche fuori dalla coalizione di governo. Higgins ha raccontato, in un’intervista al sito web news.com.au , di aver subito violenza due anni fa quando aveva 24 anni ed era stata assunta da poche settimane come addetta stampa della ministra della Difesa. Dopo una serata passata con i colleghi in locale, uno di loro si era offerto di riaccompagnarla a casa. Ma l’uomo, più anziano di lei e molto stimato all’interno del partito Liberale, l’aveva invece portata nell’ufficio della ministra in Parlamento dove l’aveva violentata dopo che le si era addormentata su un divano. La ragazza, che ha ammesso di aver bevuto tanto quella sera, si sarebbe svegliata nel mezzo dello stupro chiedendo al suo assalitore di fermarsi. Cosa è successo dopo? La giovane ha detto di aver raccontato tutto alla ministra e ad altri membri del Parlamento, durante un incontro che si è incredibilmente tenuto nella stessa stanza in cui era avvenuto lo stupro, ma si era alla vigilia delle elezioni politiche e nessuno voleva rischiare uno scandalo in piena campagna elettorale. Così Higgins ha ritirato la denuncia che aveva presentato alla polizia: «Mi hanno fatto capire che avrei perso il lavoro — ha raccontato —, mi hanno voluto silenziare e penso che questo sia così sbagliato». Il governo, in un comunicato stampa, ha detto di «essere dispiaciuto che Higgins non si sia sentita appoggiata in questa vicenda». E anche la ministra Reynolds si è scusata pubblicamente. In Australia una donna su sei subisce violenza sessuale nel corso della sua vita, secondo le stime più recenti del Dipartimento di Statistica. Un dato in crescita negli ultimi dieci anni, forse anche perché è aumentato il numero di vittime che ha trovato il coraggio di denunciare.
Titti Beneduce per corriere.it il 5 febbraio 2021. Un anno fa, a Napoli, non si parlava d’altro: il caso del professore dell’Accademia di Belle arti accusato di abusi su un’allieva teneva banco su siti, televisioni, giornali. Un anno dopo (nel frattempo lui, sottoposto a un formidabile stress, si è dimesso) arriva la conferma di quello che i suoi avvocati hanno sempre sostenuto: non c’è stata alcuna violenza, si trattava di un rapporto tra persone adulte consenzienti. Quell’accusa di violenza sessuale nei confronti del professor Stefano Incerti (56 anni, regista e sceneggiatore pluripremiato) è stata archiviata. Per questo oggi, per la prima volta, il Corriere del Mezzogiorno fa il suo nome. Va detto che, approfondendo altre denunce sporte da studentesse dopo il clamore mediatico, il pm Cristina Curatoli, che indaga con il coordinamento dell’aggiunto Raffaello Falcone, ha ritenuto che Incerti si sia reso responsabile di violenza nei confronti di un’altra studentessa: l’avrebbe palpeggiata all’uscita di un’aula dopo una lezione; si tratta di un episodio che risale al 2015. Ad un altro docente, Salvatore Crimaldi, di 60 anni, viene mossa un’analoga contestazione nei confronti di un’altra allieva; l’avrebbe palpeggiata mentre realizzava un disegno durante la lezione di Arte. Ad entrambi è stato notificato nelle scorse ore un avviso di chiusura delle indagini preliminari. Gli avvocati Lucilla Longone e Maurizio Sica, che assistono Incerti, ritengono di riuscire, documenti alla mano, a dimostrare l’insussistenza delle accuse anche in questo caso.
«Additato come un mostro». Archiviata l’accusa che gli pesava addosso come un macigno, Incerti finalmente parla: «L’anno scorso ho subìto un attacco personale senza precedenti attraverso i social e la televisione. Sono stato additato come il mostro dell’Accademia. Il forte stress psicologico mi ha addirittura costretto a dimettermi, ingiustamente. Oggi si è finalmente scritta la verità: tutte quelle accuse di molestie verso le mie studentesse e di favori sessuali in cambio di esami, artatamente proposte e riproposte dai media, erano assolutamente infondate; così come si è rivelata falsa quella più grave e pesante di violenza sessuale. Quest’accusa pesantissima, più volte richiamata per screditare il mio lavoro, è stata definitivamente archiviata, grazie al lavoro dei miei difensori e della magistratura. Adesso che le indagini sono finalmente chiuse ed ho provato che di quelle tante accuse nessuna era vera, dimostrerò l’infondatezza anche di quest’ultimo episodio, riprendendomi finalmente la mia dignità di uomo, professore e regista». Un episodio, come detto, che risale al 2015, che tra breve sarà prescritto e a proposito del quale, secondo la difesa, a Incerti la Procura non ha dato la possibilità di riferire. Nei prossimi giorni gli avvocati torneranno alla carica per consegnare agli inquirenti documenti che, a loro avviso, potrebbero evitare il rinvio a giudizio.
Il clamore mediatico. Si sgonfia, dunque, il caso che tra febbraio e marzo dello scorso anno avvelenò l’Accademia di Belle arti: contro il professor Incerti furono organizzate manifestazioni di protesta e petizioni, furono affissi striscioni e proclamati scioperi. Tuttavia la studentessa che aveva denunciato la presunta violenza non in Procura, ma alla Consulta degli studenti, all’allora direttore Giuseppe Gaeta aveva ammesso che con Stefano Incerti intratteneva una relazione. Gaeta emise un richiamo formale nei confronti del docente, chiedendogli di avere un atteggiamento più adeguato e di evitare comunicazioni improprie con gli allievi. Dopo l’avvio dell’inchiesta e il clamore mediatico durato per settimane, gli avvocati difensori del docente esibirono in Procura numerosi messaggi di testo e audio, corredati da immagini e filmati, dai quali si evinceva appunto che tra il professore e la studentessa esisteva una relazione affettiva consolidata e che ciascuno dei due contattava l’altro per chiedere di incontrarsi. Solo in un secondo momento la giovane ritenne di avere subito atti di violenza.
Stefano Montefiori per il “Corriere della Sera” il 22 febbraio 2021. Il 5 gennaio scorso, quando cominciano a trapelare le rivelazioni imminenti del libro “La familia grande” destinato a rovinare vita e carriera del grande politologo - e pedofilo incestuoso - Olivier Duhamel, un uomo posta su Facebook l'icona dello champagne, la frase sibillina «Alla tua salute», e una splendida foto della madre, morta in circostanze poco chiare quasi dieci anni prima. Marie-France Pisier, l'attrice scoperta e amata da François Truffaut e poi protagonista di decine di film girati tra gli altri da André Téchiné e Jacques Rivette, è arrivata alla vittoria, sia pure postuma: fu l'unica a battersi perché il segreto di famiglia venisse infranto e tutti conoscessero gli abusi sessuali commessi dal cognato, Olivier Duhamel. Adesso, dopo lo scandalo provocato dal libro di Camille Kouchner, Duhamel vive nascosto e abbandonato, protetto dalla provvidenziale mascherina anti-Covid quando raramente si avventura fuori casa per accompagnare il cane, nel Quartiere Latino. Marie-France Pisier ha vinto, alla fine, e tornano i dubbi su quella strana morte del 24 aprile 2011, che portò la giustizia a interessarsi una prima volta alla «familia grande». Una famiglia per decenni al centro della vita sociale, politica e culturale della Francia, nella quale ministri, deputati, scrittori e grandi imprenditori ruotavano intorno alle due sorelle Pisier. Nate in Vietnam da un alto funzionario dell'Indocina francese e una militante femminista, rinchiuse da bambine per qualche mese in un campo di concentramento giapponese, Évelyne e la più piccola Marie-France sono sempre state diverse, e legatissime. Évelyne è una delle prime donne a ottenere la cattedra di diritto pubblico, alterna insegnamento e impegno politico a sinistra, tra Parigi e l'Avana dove per quattro anni vive una relazione con Fidel Castro. Marie-France è l'artista della famiglia, per qualche tempo fidanzata con Daniel Cohn-Bendit che dopo Maggio 68 farà scappare in Lussemburgo accompagnandolo con la sua decapottabile MG. Nel 1970 Évelyne sposa il medico e futuro ministro Bernard Kouchner, dal quale avrà tre figli: Julien e i gemelli Camille e «Victor». Tre anni dopo il divorzio, nel 1987 Évelyne si risposa con Olivier Duhamel, che promette di salvarla dalla depressione e di essere un nuovo padre per i suoi figli. Nel 1988 Duhamel comincia ad abusare di «Victor», allora tredicenne. Le violenze durano anni, il ragazzo si confida con la gemella Camille ma trova il coraggio di informare la madre Évelyne solo nel 2008. La donna preferisce il silenzio. Marie-France invece è furibonda, rompe con la sorella, vuole farla pagare al cognato. Marie-France Pisier svergogna Duhamel nell'ampio giro di conoscenze parigine, finché la notte dell'aprile 2011 viene ritrovata inerte nella piscina della sua villa in Costa Azzurra, la testa incastrata in una sedia. L'inchiesta, all'epoca, evoca il suicidio. Ma Julien Kouchner, fratello di «Victor» e Camille, non ci sta. «Non ho mai creduto che mia zia Marie-France si sia suicidata - dice ora al Parisien -, anche se non so come è morta. La mia unica certezza è che questa storia l'ha uccisa».
Anais Ginori per "la Repubblica" il 10 febbraio 2021. Si dimette Frédéric Mion, direttore della prestigiosa università parigina Sciences Po. È l' onda lunga dello scandalo provocato dal libro di Camille Kouchner, figlia dell' ex ministro, che ha accusato di incesto il patrigno, il costituzionalista Olivier Duhamel che fino a qualche settimana fa era alla guida della Fondazione di Sciences Po. Nel libro La familia grande Kouchner racconta gli abusi sul fratello gemello, avvenuti negli anni Ottanta, quando il ragazzo aveva 13 anni. Secondo l' avvocata e autrice della denuncia, le accuse di incesto che pesavano su Duhamel erano note da tempo a molte persone nell' entourage della famiglia e nei circoli politici parigini. Il costituzionalista a inizio di gennaio ha lasciato l' incarico alla prestigiosa università parigina e la presidenza del club della nomenclatura Le Siècle, rifiutandosi finora di commentare o rispondere alle accuse, mentre il ministro per l' Istruzione superiore Frédérique Vidal ha ordinato un' ispezione a Science Po per determinare se ci siano state omissioni e responsabilità. A gennaio, subito dopo le rivelazioni del libro di Kouchner, Mion aveva ammesso di essere stato informato di "voci" sui fatti di incesto nei quali era coinvolto Duhamel. Era stata nel 2018 l' ex ministra socialista Aurélie Filippetti a informarlo. Il direttore di Sciences aveva però sostenuto di avere ricevuto una smentita dall' avvocato del costituzionalista, decidendo di archiviare il tutto. Anche il prefetto Marc Guillaume, già nel gabinetto dell' ex premier Edouard Philippe, ha dovuto ammettere di essere stato informato. Con un effetto domino, lo scandalo Duhamel sta facendo tremare molti potenti che lo conoscevano e che avrebbero ignorato le denunce nel suo entourage. Le dimissioni di Mion fanno precipitare Sciences Po in un nuovo terremoto. La scuola di rue Saint-Guillaume, aveva già perso nel 2012 l' allora direttore Richard Descoings, morto in una stanza d' albergo a New York, lasciando un' eredità controversa di modernizzazione e apertura dell' università ma anche di spese folli ed eccessi. Mion, 51 anni, era stato nominato nel 2013 per ridare stabilità a Sciences Po. Nel 2018 era stato confermato per un secondo mandato che sarebbe dovuto finire l' anno prossimo. L' addio dell' alto funzionario, che parla perfettamente italiano, è stato accelerato dall' indagine interna chiesta dal governo. «Il rapporto - dice lo stesso Mion - evidenzia errori di giudizio da parte mia nel trattare le accuse nel 2018 e incoerenze nel modo in cui mi sono espresso su questo caso. Me ne assumo la piena responsabilità». La corsa alla successione è aperta. Non si esclude una persona esterna a Sciences Po, anche di livello internazionale. Tra i nomi di "casa" che invece circolano c' è anche quello di Enrico Letta, che dal 2015 guida la scuola di Affari Internazionali, o del professore francese di Economia Yann Algan. È ancora prematuro per fare previsioni e capire quale sarà la soluzione decisa per risolvere la grave crisi di governance.
(ANSA il 4 febbraio 2021) Anche l'attore francese Richard Berry finisce nella bufera delle accuse di incesto, nel suo caso ad opera della figlia maggiore che lo accusa di stupro. Dopo il libro di Camille Kouchner che ha accusato il patrigno, il notissimo politologo Olivier Duhamel, di violenze sessuali su suo fratello gemello quando aveva 14 anni - negli anni Ottanta - l'ondata di denunce per incesto rimaste spesso sepolte per anni stanno invadendo i social. Un'inchiesta sui fatti è stata aperta dal 25 gennaio, dopo la denuncia di Coline Berry, 45 anni, per "stupri e violenze sessuali su minore di 15 anni". Figlia dell'attore e dell'attrice Catherine Hiegel, la donna non è stata ancora interrogata dalla polizia. Berry - protagonista di molti film ("Il rompiballe", "Quella strada chiamata paradiso") nega in blocco le accuse: "smentisco con tutte le mie forze e senza alcuna ambiguità queste immonde accuse", ha detto fin dal primo momento. Nega con decisione anche la compagna di Berry all'epoca dei presunti fatti, la cantante americana Jeane Manson, che parla di "regolamento di conti familiare". Coline Berry ribatte definendo la sua denuncia "un atto grave, pensato e ponderato". In un post su Instagram, afferma di essere stata "baciata sulla bocca con la lingua" dal padre e di aver "dovuto partecipare ai suoi giochi sessuali in un contesto di violenze coniugali ben note". (ANSA).
Da liberoquotidiano.it il 2 febbraio 2021. Una confessione mai fatta prima. Alexandria Ocasio-Cortez, la deputata democratica più intransigente, ha raccontato su Instagram: "Ho subito un’aggressione sessuale e non ne ho parlato con molte persone nella mia vita ma quando subisci un trauma affiorano quelli passati". Nel filmato in cui rievoca il dolore, la Cortez si lascia andare e piange. "Le persone ci dicono di andare avanti, che non è un grosso problema, che dovremmo dimenticare quello che è successo, dicendoci persino che dovremmo scusarci. Queste sono le stesse tattiche che usano gli aggressori. Sono una sopravvissuta a una violenza sessuale e non l'ho detto a molte persone nella mia vita. Ma quando subiamo un trauma, il trauma si accumula". Da qui la decisione di aiutare chi ha passato quello che ha passato lei: "Non lascerò che accada di nuovo a me. Non lascerò che accada di nuovo alle altre persone". Poi un altro ricordo: l'assalto al Capitol Hill da parte dei sostenitori di Donald Trump. Questi hanno varcato le porte del Campidoglio americano durante la riunione per accertare la vittoria di Joe Biden, sorprendendo anche la Cortez. Per paura la giovane si è chiusa in bagno , mentre un uomo prendeva a pugni la porta urlando: "Lei dov’è? Lei dov’è?" A quel punto, spiega, "ho pensato che tutto fosse finito, ho pensato che sarei morta". Il filmato apparso sui social è arrivato in concomitanza con la polemica contro i parlamentari repubblicani, accusati dalla deputata di essere indirettamente responsabili dell’assalto al Congresso. "Mi hai quasi fatto uccidere tre settimane fa" ha gridato anche la scorsa settimana al senatore del Texas Ted Cruz. Accuse pesantissime ma sulle quali non ha alcuna intenzione di fare marcia indietro. "Non diventerò una vittima di nuovo, non lascerò che questo mi succeda ancora. Queste sono le tattiche che usano i maltrattanti con le loro vittime".
Dagotraduzione dal DailyMail il 19 maggio 2021. Ashley Walters, 37 anni, già assistente personale di Marilyn Manson, ha citato in giudizio il suo ex capo per violenza sessuale, percosse e molestie. Si aggiunge così alla lunga lista di donne - sono almeno 16 - che hanno accusato la star. Secondo il racconto della donna, gli abusi sono iniziati subito dopo il loro primo incontro, nel 2010. Manson ha cercato subito di aggredirla sessualmente, e tre mesi dopo le ha offerto di diventare la sua assistente. Nei 12 mesi in cui lo ha assistito, Walters ha spiegato di aver vissuto in un costante stato di paura per via del carattere violento della star, che l'ha costretta a lavorare anche 48 ore di seguito quando abusava di cocaina, le lanciava addosso i piatti e la spingeva contro il muro. Manson non è stato tenero neanche con l'ex moglie Evan Rachel Wood, 33 anni, e con l'ex compagna Esmé Bianco, che lo ha denunciato. Una volta ha inviato a Walters una foto della schiena di Bianco, dilaniata dalle frustate, con il messaggio: «Vedi cosa succede?». Inoltre Manson avrebbe costretto lei e altre sue collaboratrici a vestirsi con uniformi naziste in modo da lasciargli una «garanzia» che non avrebbe mai parlato di lui.
Marilyn Manson accusato via social di molestie, lo sceriffo di Los Angeles apre fascicolo. Elena Del Mastro su Il Riformista il 19 Febbraio 2021. “Il nome è Brian Warner. Ha cominciato ad adescarmi che ero ancora teenager e per anni ha orrendamente abusato di me”. Con queste parole l’attrice Evan Rachel Wood giorni fa su Instagram denunciò di aver subito molestie sessuali da parte di Merilyn Manson, alias appunto di Brian Warner. Così lo sceriffo della contea di Los Angeles ha aperto un fascicolo per vederci chiaro sulla vicenda. Le pesanti accuse social dell’attrice con cui ha avuto una relazione a partire dal 2007 al 2010, iniziata quando aveva 19 anni, sono immediatamente costate al cantante: la sua etichetta discografica lo ha infatti subito mollato. Ora le indagini ufficiali. L’attrice ha rivelato contemporaneamente sui social e in un’intervista a Variety che il cantante l’ha “adescata quando ero un’adolescente e ha mostruosamente abusato di me per anni. Mi ha fatto il lavaggio del cervello, mi ha manipolata per sottomettermi a lui”. L’attrice della serie tv Westworld ha aggiunto quindi di “accusare quest’uomo pericoloso e l’industria che l’ha sempre difeso e protetto, prima che possa rovinare altre vite. Sono dalla parte delle vittime che non vogliono più restare in silenzio”. Secondo quanto dichiarato dalle autorità si indaga in particolare su episodi avvenuti tra il 2009 e 2011 quando il cantante viveva a West West Hollywood. Anche la senatrice della California Susan Rubio ha chiesto all’FBI di indagare sulle accuse. Una vicenda tutta da chiarire. L’attrice, che iniziò la relazione con Manson quando quest’ultimo aveva 36 anni, disse nel 2016 di esser stata stuprata “da un ragazzo con cui stavo e, ancora, in un’altra occasione dal padrone di un bar. La prima volta non ero sicura che fosse stupro, dal momento che si trattava del mio partner e l’ho capito troppo tardi. E chi mi avrebbe creduto? La seconda volta ho pensato che fosse colpa mia, che avrei dovuto lottare di più, ma ho avuto paura”. Ma il cantante, oggi 52enne, ha risposto su Instagram alle accuse, negandole fermamente: “Naturalmente la mia arte e la mia vita sono state a lungo oggetto di controversia, ma queste recenti affermazioni su di me sono orribili distorsioni della realtà. Le mie relazioni intime sono sempre state del tutto consensuali con partner che la pensano allo stesso modo. Indipendentemente da come e perché altri scelgono di travisare il passato, questa è la verità”, ha scritto in un post su Instagram.
Da repubblica.it l'1 maggio 2021. Esmé Bianco, l’attrice inglese che nella pluripremiata serie televisiva Il Trono di Spade vestiva i panni di Ros, ha denunciato la rockstar americana Marilyn Manson per aggressione sessuale e percosse, costringendola con droghe, violenza e minacce. Manson è stato denunciato, assieme al suo ex manager Toni Ciulla, davanti alla corte distrettuale di Los Angeles, anche per aver infranto le leggi sul ‘traffico di persone’ per aver portato l’attrice da Londra a Los Angeles, sulla base di promesse di lavoro, un video musicale e un film, che non sono mai stati messi in produzione. Manson e i suoi legali hanno rigettato le accuse, frutto, dice il cantante, “di una orribile distorsione della realtà”. Manson all’inizio dell’anno era già stato accusato di comportamenti violenti da Evan Rachel Wood: la star di Westworld, per anni fidanzata di Manson, aveva pubblicamente accusato il musicista di aver subito da lui per anni violenze domestiche e abusi sessuali, accuse rigettate dal cantante ma che gli hanno causato il 'licenziamento' da parte sia della sua etichetta discografica, Loma Vista, che della sua agenzia manageriale, la CAA. La causa intentata da Esmé Bianco non è la prima azione legale contro Manson, accusato da altre quattro donne di comportamenti violenti e abusivi in interviste o in post su Instagram: già nel 2018, come riporta l’Hollywood Reporter, il musicista era stato accusato di abusi sessuali, ma i giudici avevano deciso di non procedere per mancanza di prove.
Da "corriere.it" l'1 febbraio 2021. Evan Rachel Wood, attrice e cantante, ha affermato che Marilyn Manson è la persona a cui si è riferita negli anni in cui ha parlato di essere una sopravvissuta alla violenza domestica. La relazione tra Wood e Manson è diventata pubblica nel 2007 quando lei aveva 19 anni e lui 38. Fidanzati nel 2010, si sono lasciati nello stesso anno. In un post su Instagram lunedì mattina e in una dichiarazione a «Vanity Fair», Wood ha dichiarato: «Il nome del mio aggressore è Brian Warner, noto anche al mondo come Marilyn Manson. Ha cominciato a usarmi violenza quando ero adolescente e ha abusato di me in modo orribile per anni. Sono stata sottoposta al lavaggio del cervello e manipolata fino alla sottomissione. Ho smesso di vivere nella paura di ritorsioni, calunnie o ricatti. Sono qui per smascherare quest’uomo pericoloso e chiamare a raccolta le molte industrie che gli hanno permesso, prima che rovini altre vite. Sono con le tante vittime che non staranno più zitte». Wood ha iniziato a parlare di essere sopravvissuta a stupro e violenza domestica in un articolo di «Rolling Stone» nel 2016 e ha concentrato il suo attivismo su questi temi. Nel 2019, Wood ha creato il Phoenix Act, un disegno di legge che estende il termine di prescrizione sulla violenza domestica da tre a cinque anni. Il governatore della California Gavin Newsom ha firmato il disegno di legge nell’ottobre del 2019 ed è entrato in vigore nel gennaio 2020. Wood ha testimoniato dinanzi al Senato della California, sostenendo che il suo aggressore le aveva nascosto la sua dipendenza da droga e alcol e «ha avuto attacchi di gelosia, estrema che spesso lo portava a distruggere la nostra casa, a mettermi alle strette in una stanza e a minacciarmi». «Ho raccolto il coraggio di andarmene diverse volte, ma lui chiamava casa mia incessantemente e minacciava di uccidersi», raccontò Wood all’epoca. «In un’occasione, sono tornata per cercare di disinnescare la situazione, mi ha messo all’angolo nella nostra camera da letto e mi ha chiesto di inginocchiarmi. Poi mi ha legato mani e piedi. Una volta che non potevo più muovermi, mi ha picchiato e ha scioccato parti sensibili del mio corpo con un dispositivo di tortura chiamato «violet wand». Il dolore era straziante. Mi sentivo come se avessi lasciato il mio corpo e una parte di me fosse morta quel giorno». In autunno, Wood ha raccontato a «Variety»: «Quando ho iniziato a fare l’attivista, mi sono davvero chiesta: da dove comincio? Quindi il luogo da cui di solito inizio, perché sento che farò il meglio, sono i luoghi di cui ho esperienza diretta. Penso che sia per questo che ho fatto così tanto sulla violenza domestica e sulle aggressioni sessuali». A causa dei commenti pubblici di Wood, che ha ridotto i tempi di questi presunti incidenti, i giornalisti e il pubblico si sono chiesti se fosse la persona di cui parlava Wood. «Perché nessuno parla del “Fantasy” di Marilyn Manson sull’uccisione di Evan Rachel Wood?» riportava un titolo di «Glamour» nel marzo 2018 — il pezzo sottolineava che in un’intervista del 2009 Manson aveva detto di Wood: «Ogni giorno ho fantasie sullo spaccarle il cranio con una mazza». E lo scorso autunno, Manson ha troncato un’intervista con la rivista musicale britannica «Metal Hammer» quando il giornalista ha fatto il nome di Wood. Successivamente, Manson ha rilasciato una lunga dichiarazione, negando qualsiasi illecito.
Da "rollingstone.it" il 9 febbraio 2021. Continuano ad arrivare accuse verso Marilyn Manson dalle fonti più disparate. Stavolta è una fotografa ad aver raccontato che una volta la star “ha costretto le fan a spogliarsi” come gioco sessuale dopo uno show. Erica Von Stein sostiene che Brian Hugh Warner – vero nome di Manson – ha anche riempito di alcol le ragazze prima di ordinare loro di togliersi le magliette. Parlando al The Mirror, la fotografa ha detto di essere stata scelta da una folla di ammiratrici dagli assistenti dell’artista e accompagnata al suo tour bus. “Ha detto che voleva vedere chi aveva le tette e il culo migliori. Tutte erano un po’ sorprese, ma lui era divertito. Era circondato da altri amici e si comportava in modo prepotente. In quel momento credo che nessuno avrebbe avuto il coraggio di dirgli di no”, ha dichiarato. L’episodio sarebbe avvenuto dopo un’esibizione al SECC di Glasgow. Il Mirror ha poi raccolto la testimonianza di altre due donne che erano sul tour bus: “Le ragazze sono state costrette a spogliarsi mentre erano ubriache. È stato un abuso di potere” hanno dichiarato. Accuse che arrivano nei confronti di Manson una settimana dopo che l’attrice Evan Rachel Wood e altre quattro donne lo avevano accusato di abusi e manipolazione psicologica. A rincarare la dose, anche suoi ex collaboratori o colleghi, tra cui Trent Reznor dei Nine Inch Nails e Wes Borland dei Limp Bizkit, hanno sostenuto la tesi delle ragazze che lo accusano. Dal canto suo, la star ha negato tutto attraverso un post su Instagram: “Le mie relazioni intime sono sempre state del tutto consensuali con partner che la pensano nel mio stesso modo. Indipendentemente da come e perché altri scelgono di travisare il passato, questa è la verità”. Il musicista, però, nel frattempo è stato abbandonato dalla sua etichetta discografica, la Loma Vista, e dal suo manager Tony Ciulla da quando sono emerse le prime accuse. Inoltre è stato anche escluso da alcuni progetti televisivi dove l’artista appariva: American Gods e l’antologia Creepshow.
DAGONEWS il 2 febbraio 2021. Non solo Evan Rachel Wood. Dopo le accuse lanciate dall’ex fidanzata, altre quattro donne si sono fatte avanti per denunciare le violenze subite da Marilyn Manson. La modella Ashley Lindsay Morgan ha raccontato che Manson le fece comprare cimeli nazisti per lui anche se lei è ebrea. La fotografa Ashley Walters ha rivelato che Manson era un violento e che lui l’ha "offerta" per "rapporti sessuali con i suoi collaboratori". La modella Sarah McNeilly ha raccontato che lui l'ha “attirata e conquistata con un bombardamento d'amore”, ma poi è diventato violento. In un’occasione l'ha scaraventata contro un muro, minacciata di picchiarla con una mazza da baseball e l'ha chiusa in una stanza. Una quarta donna, un’artista di nome Gabriella, ha raccontato che Manson l’ha costretta a drogarsi con lui mentre l’ex pornostar Jenna Jameson ha detto che Manson fantasticava di bruciarla viva e “amava morderla” mentre facevano sesso.
Alisa Toaff per "adnkronos.com" il 2 febbraio 2021. Dopo la rivelazione choc di Evan Rachel Wood che ieri su Instagram ha deciso di confessare i presunti ''mostruosi abusi'' che dice di aver subito dal suo ex fidanzato, il famoso cantante Marilyn Manson, scatenando l'indignazione di tantissime donne, famose e non, che sul profilo dell'attrice hanno voluto condividere le loro storie di violenze (poi ripostate dalla Wood sulle sue storie di Instagram), arriva finalmente la replica della star: ''Naturalmente, la mia arte e la mia vita hanno sempre attirato le controversie come calamite, ma queste recenti accuse sono un’orribile distorsione della realtà'', scrive Manson su Instagram. "Le mie relazioni intime sono sempre state del tutto consensuali e condivise con donne che avevano la stessa mentalità -prosegue il cantante- indipendentemente da come e perché gli altri scelgono di travisare il passato, questa è la verità''. Tra i commenti a sostegno della Wood spicca quello di un'altra ex fiamma di Manson, l'attrice e cantante Rose McGowan, fervida sostenitrice del movimento MeToo, che sul suo profilo Instagram scrive: "Sono profondamente dispiaciuta per coloro che hanno subito gli abusi e le torture mentali di Marilyn Manson. Quando dico che Hollywood è un culto, intendo che l'industria dell'intrattenimento, inclusa l'industria musicale, è un culto che protegge il marciume che c'è in alto. La loro è una malattia che deve essere fermata -denuncia l'attrice- Sono con Evan Rachel Wood e tutti coloro che si sono fatti avanti o si faranno avanti. E per favore, non tirare fuori la domanda: 'perché ci hanno messo così tanto tempo per farsi avanti che fa vergognare le vittime/sopravvissute e impedisce loro farsi avanti. E a tutti coloro che hanno coperto i mostri dico: vergognatevi!". Intanto Evan Rachel Wood, attraverso un altro post su Instagram, fa sapere che sul caso c'è in corso un'indagine dell'Fbi partita da un'interrogazione della senatrice della California Susan Rubio che scrive: "Le presunte vittime hanno indicato Marilyn Manson, noto anche come Brian Hugh Warner, come colui che ha perpetrato gli abusi -si legge nella lettera datata 21 gennaio 2021- Ho chiesto al Dipartimento di Giustizia di organizzare al più presto un incontro con le vittime e di indagare su queste accuse''. Anche la nota casa discografica Loma Vista ha deciso di prendere le distanze da Manson attraverso un post sui suoi canali social: "Alla luce delle accuse di abusi da parte di Evan Rachel Wood e altre donne contro Marilyn Manson la Loma Vista interrompe qualsiasi attività di promozione del suo album con effetto immediato -scrive la casa discografica- Considerati i preoccupanti sviluppi della vicenda, abbiamo anche deciso di non collaborare più con Marilyn Manson su progetti futuri''.
Daniel Kreps per "rollingstone.it" l'11 febbraio 2021. Dopo Evan Rachel Wood e Corey Feldman, anche l’attrice di Game of Thrones Esmé Bianco ha accusato Marilyn Manson di aver abusato di lei psicologicamente e fisicamente. L’attrice ne ha parlato al magazine The Cut: le violenze sarebbero avvenute nei mesi in cui hanno vissuto insieme, nel 2011. Bianco parla di tagli e bruciature che le hanno lasciato diverse cicatrici. In particolare, ha raccontato di essere stata colpita al torace da un coltello: «Ricordo di essere rimasta immobile, di non aver combattuto», ha detto. «È stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Avevo perso ogni speranza e sicurezza». Bianco è cresciuta ascoltando la musica di Manson. L’ha incontrato per la prima volta nel 2009, era stata scelta per partecipare a uno dei suoi video e conosceva la moglie Dita Von Teese attraverso la scena burlesque. La relazione col musicista non inizierà prima di due anni, dopo il divorzio tra i due. Nel 2011 Bianco era tornata negli Stati Uniti per partecipare a Phantasmagoria, il film di Manson ispirato alle opere di Lewis Carrol, e il suo visto era direttamente collegato al progetto. Qualche mese dopo, mentre l’attrice cercava di allontanarsi da lui, viveva nella paura che Manson potesse reagire cancellandolo. In questo periodo, mentre abitavano insieme (hanno convissuto per un mese), è andato in onda il primo episodio di Game of Thrones, in cui Bianco interpreta una prostituta. L’attrice dice che Manson faceva vedere la scena a tutti i suoi ospiti per umiliarla. «Inventavo scuse per lui», ha raccontato a The Cut. «Ero in modalità sopravvivenza, il mio cervello mi aveva insegnato a farmi piccola e accettare tutto». Il racconto di Bianco non è molto diverso da quello delle altre accusatrici del musicista. Manson era dispotico, diceva alle donne che frequentava come voleva che si vestissero, quando dormire, cosa mangiare. «In sostanza ero una prigioniera», ha detto Bianco. «Apparivo e scomparivo a suo piacimento. Controllava anche le persone con cui potevo parlare. Chiamavo la mia famiglia nascosta nell’armadio». Il “punto di rottura” è arrivato quando il musicista l’ha inseguita impugnando un’ascia. L’assistente di Manson dell’epoca ha confermato l’incidente a The Cut. In quell’occasione Bianco ha avuto un attacco di panico e poco dopo ha lasciato il musicista. L’ha fatto con una mail che ha inviato nell’estate del 2011. Nonostante siano passati quasi dieci anni, Bianco dice di soffrire ancora di stress post-traumatico. Nel 2019 ha incontrato Evan Rachel Wood e hanno iniziato a sostenere il Phoenix Act, la legge che allunga a cinque anni la prescrizione per i reati di violenza domestica. Come Wood, Bianco ha raccontato al senato della California degli abusi subiti, ma non ha fatto il nome di Manson. La legge è stata approvata nel 2010. «Il nome del mio abusatore è Brian Warner, conosciuto nel mondo come Marilyn Manson», ha scritto Evan Rachel Wood su Instagram qualche giorno fa, il primo di molti racconti di abusi e violenze. «Mi ha adescato quando ero una teenager e ha abusato di me per anni. Mi aveva fatto il lavaggio del cervello, manipolato per sottomettermi. Sono stanca di vivere nella paura di una ritorsione o di un ricatto. Sono qui per smascherare quest’uomo così pericoloso e accusare le aziende che gli hanno permesso di rovinare delle vite. Sono vicina tutte le vittime, ora non staranno più in silenzio». La scorsa settimana Manson ha risposto alle accuse, poi la sua etichetta Loma Vista ha deciso di interrompere ogni collaborazione. Lo stesso è successo con AMC Networks e con lo storico manager Tony Ciulla.
Da "Ansa" il 3 febbraio 2021. Marilyn Manson all'indice: l'etichetta discografica Loma Vista che aveva distribuito i suoi ultimi album lo ha messo alla porta dopo che l'attrice di "Westworld" Evan Rachel Wood lo ha accusato di "orrendi" atti di violenza domestica. "Alla luce delle accuse della Wood e di altre donne smetteremo di promuovere il suo ultimo album e non avremo più rapporti con lui in futuro", ha detto un portavoce all'Hollywood Reporter. L'annuncio fa seguito a un post della Wood su Instagram in cui l'attrice ha raccontato che Manson ha abusato di lei per anni dopo averla "adescata" quando era ancora teen-ager: "Esco allo scoperto per mettere in guardia le molte industrie che lavorano con lui prima che rovini altre vite". Dopo l'attrice, candidata a un Golden Globe per "Westworld" nel 2017 e prima ancora, nel 2003, per "Thirteen", altre quattro donne si sono fatte avanti per accusare il cantante di "Tainted Love" di simili violenze e abusi. Dopo di loro, l'ex pornostar Jenna Jameson ha rivelato di aver mollato Manson perche' l'aveva morsa durante un rapporto sessuale e fantasticava di bruciarla viva. Intanto anche Rose McGowan, la star di "Charmed" protagonista dello scandalo Harvey Weinstein, si è unita nelle dichiarazioni di appoggio: "Sto con Evan e con le altre donne coraggiose che si sono fatte avanti", ha detto l'attrice che alla fine degli anni Novanta ha avuto una relazione di due anni con il cantante: "Ci vuole tempo per riprendersi dagli abusi. Che la verità venga a galla". Quanto a Manson, ha postato un messaggio su Instagram definendo le accuse contro di lui "orribili distorsioni della realtà". Il cantante - vero nome Brian Warner - ha detto che le sue relazioni intime sono sempre state "interamente consensuali con partner che la pensavano allo stesso modo".
Luca Ceccotti per cinema.everyeye.it il 5 febbraio 2021. A pochi giorni dalle pesantissime accuse mosse da Evan Rachel Wood (Westwood) ai danni dell'ex-compagno Marilyn Manson (vero nome Brian Hugh Warner), accompagnate da altre denunce di donne che lo hanno accusato di "abusi orribili", anche l'ex-amico e collaboratore di Manson, Trent Reznor, ha deciso di denunciarlo pubblicamente. In una dichiarazioni pubblicata su Pitchfork, il compositore Premio Oscar e leader dei Nine Inch Nails ha ricordato con disgusto un aneddoto riemerso recentemente e recuperato dal libro di memorie di Manson del 1998, in cui si affermava che il duo (Warner e Reznor) avesse aggredito sessualmente una donna praticamente incosciente.
Ha spiegato Reznor: "Ho parlato nel corso degli anni della mia avversione per Manson come persona, tanto da aver tagliato ogni legame con lui ormai quasi 25 anni fa. Come dissi all'epoca, quel passaggio del libro di memorie di Manson è pura invenzione. Già al tempo rimasi infuriato e offeso e lo sono ancora oggi". "Sto elaborando le notizie di lunedì su Marilyn Manson. A tutti coloro che hanno espresso preoccupazione per me, apprezzo la vostra gentilezza, ma sappiate che i dettagli che sono stati resi pubblici non corrispondono alla mia esperienza personale durante i nostri sette anni insieme, come coppia. Se così fosse stato, non lo avrei sposato nel dicembre 2005. Dopo dodici mesi andai via a causa dell'infedeltà e della tossicodipendenza", ha dichiarato di recente Dita von Teese, ex-moglie di Manson.
Da "rockol.it" il 5 febbraio 2021. Dopo che l'attrice statunitense Evan Rachel Wood ha accusato di molestie sessuali Marilyn Manson, successivamente denunciato anche da altre donne e scaricato pure dall'etichetta per la quale ha pubblicato i suoi ultimi due dischi, Phoebe Bridgers è intervenuta sul caso che ha per protagonista Brian Warner - questo il vero nome del cantante. Attraverso una serie di post pubblicati su Twitter la cantautrice statunitense ha raccontato di quando ha fatto visita a casa di Marilyn Manson e il Reverendo le ha parlato di una “stanza degli stupri”. “Quando ero adolescente sono stata a casa di Marilyn Manson insieme ad alcuni amici”, ha scritto la voce di “Motion sickness” all’inizio del suo tweet, riportato più avanti. Ha aggiunto: “Ero una sua grande fan. Ha fatto riferimento a una stanza della sua casa come la "stanza degli stupri". Ho pensato che avesse un pessimo senso dell’umorismo da confraternita. Ho smesso di essere sua fan. Sto dalla parte di chi si è fatto avanti”. In un altro messaggio, pubblicato sempre su Twitter, Phoebe Bridgers ha dichiarato: “L’etichetta discografica sapeva, il management sapeva, la band sapeva. Prendere le distanze adesso, fingendo d’essere scioccati e inorriditi è patetico”. Le dichiarazioni della cantautrice di “Punisher” fanno seguito al post condiviso ieri su Instagram dall’ex moglie di Marilyn Manson - il quale ha negato ogni accusa, sostenendo che "queste recenti accuse contro di me sono orribili distorsioni della realtà”. La nota ballerina di burlesque Dita Von Teese, che è stata legata in matrimonio con Brian Warner dal 2005 a 2007, ha fatto sapere che “i dettagli resi pubblici non corrispondono alla mia esperienza personale, durante i sette anni di relazione con lui”. Ha continuato: “Se ciò fosse successo, non l’avrei sposato nel dicembre del 2005. L’ho lasciato dopo poco più di dodici mesi a causa dei suoi tradimenti e della sua dipendenza dalle droghe”. Tra coloro che sono intervenuti sul caso, si sono espressi anche Wes Borland e Trent Reznor, che ha preso le distanze da Marilyn Manson. Il chitarrista dei Limp Bizkit, che è stato membro della band di Manson per meno di un anno nel 2008, sul Reverendo ha detto: “Marilyn Manson... sono stato nella band per nove mesi. Non è un bravo ragazzo. E ogni singola cosa che la gente ha detto di lui è fottutamente vera”.
Da "rainews.it" il 17 giugno 2021. Secondo la Bbc, il produttore cinematografico Harvey Weinstein può essere estradato in California per affrontare ulteriori accuse di violenza sessuale. Lo ha stabilito un giudice di New York. L'ex magnate e produttore di Hollywood sta scontando dallo scorso anno una pena detentiva di 23 anni a New York, dopo la sentenza di condanna per stupro e aggressione sessuale. I suoi legali avevano chiesto con forza che il loro assistito restasse a New York per ricevere cure mediche adeguate, ma la richiesta è stata respinta e ora vorrebbero impugnare la sentenza. Weinstein non sta bene ed è "controllato da vicino", dicono. Ieri, il giudice della corte della contea di Erie, Kenneth Case, ha respinto le argomentazioni degli avvocati di Weinstein secondo cui i pubblici ministeri di Los Angeles non avrebbero presentato documenti in modo appropriato. L'ex produttore, 69 anni, simbolo dello scandalo "Me Too" e figura tra le più potenti di Hollywood, ha sempre negato ogni accusa e sempre detto di avere avuto solo relazioni consensuali. Ora dovrebbe essere trasferito in California - dove tutto è cominciato - e dove entro la metà di luglio, Covid permettendo, Weinstein dovrà affrontare un processo con ben 11 capi d'accusa, tra cui le aggressioni sessuali su cinque donne avvenute a Los Angeles tra il 2004 e il 2013. L'avvocato difensore Mark Werksman ha dichiarato: "Siamo delusi dalla sentenza del giudice". Werksman ha affermato che la sua squadra ha presentato una petizione per impedire il trasporto di Weinstein "fino a quando non potrà ricevere le cure mediche di cui ha bisogno a New York". In programma ci sarebbero due interventi chirurgici proprio a New York a seguito di una serie di problemi di salute che non sono stati resi ancora pubblici. Tra le patologie i suoi avvocati avevano dichiarato anche la sopraggiunta cecità.
Cinzia Romani per "il Giornale" il 17 giugno 2021. Il caso Harvey Weinstein, che ha fatto tremare Hollywood, dando luogo al movimento #MeToo, è venuto alla luce grazie a due giornaliste investigative del New York Times. E adesso il loro lavoro diventa un film, diretto dalla tedesca Maria Schrader. Era il 2019 quando le reporter Jodi Kantor e Megan Twohey si misero sulle tracce del produttore e dei suoi abusi sessuali, ai danni di parecchie stelle e stelline del Sunset Boulevard. Dalla mole di quei dati è nato anche un libro, She said («L' ha detto lei», frase difensiva preferita da Weinstein), divenuto ben presto un bestseller e portatore del Premio Pulitzer alle autrici. Ora quel titolo si trasforma in un film, prodotto dalla Universal Pictures: set aperto ad agosto. La regia è affidata a Maria Schrader, nota per la sua serie Netflix Unhortodox, grazie alla quale ha ricevuto un Emmy Award l'anno scorso. A sottolineare l'importanza del progetto, c' è Carey Mullighan nel ruolo principale, quale accusatrice del produttore portato alla sbarra, tra l'altro, dalla sua ex-amante Asia Argento. Di Carey Mulighan ricordiamo il dramma vittoriano Suffragette, dove l'attrice recitava insieme a Meryl Streep. E mentre in America si svigorisce il movimento #MeToo, anche per la crescente insofferenza globale verso il politicamente corretto, che vuole le donne vittime, pur se consenzienti - la scaltra Gwyneth Paltrow, che vende online candele al profumo della sua vagina, deve l'immeritato Oscar per Shakespeare in Love proprio ai suoi traffici con Weinstein, ex-potente «deus ex machina» della Miramax - , giova ricordare la vicenda del producer. Condannato nel 2020 a 23 anni di carcere, Weinstein ha fatto ricorso, ottenendo un nuovo avvio del processo a suo carico presso la corte di New York. Mentre a Los Angeles, sul suo capo pendono altre procedure per lo stesso motivo: sarebbero un centinaio le donne molestate dal tycoon. Nel frattempo, molti documentari e serie televisive si sono cimentati con lo scandalo Weinstein: dal film The Assistant alla serie The Morning Show. She said, però, è il primo lungometraggio sulla vicenda e farà discutere, anche per le difficoltà giuridiche da aggirare prima del ciak.
Dagospia il 27 gennaio 2021. NON CERCAVANO GIUSTIZIA, VOLEVANO I SOLDI - L'83% DELLE MOLESTATE DA WEINSTEIN E' DISPOSTA A CHIUDERE LA CAUSA INCASSANDO SUBITO I SOLDI DEL RISARCIMENTO
Da cdt.ch il 27 gennaio 2021. La giudice che sovrintende alla bancarotta della Weinstein Company ha dato luce verde a un piano che prevede 17 milioni di dollari di risarcimento per le vittime delle molestie sessuali dell’ex produttore Harvey Weinstein. «La giudice Mary Walrath ha approvato il piano dei risarcimenti», ha detto l’avvocato Paul Zumbro alla CNN spiegando che adesso «c’è un meccanismo in piedi che consentirà alle vittime di ricevere il compenso che loro spetta senza doversi sottoporre alle difficoltà e le incertezze di un procedimento giudiziario». Qualche settimana fa una quarantina delle accusatrici di Weinstein avevano accettato l’accordo in base al quale i 17 milioni di dollari saranno ripartiti sulla base di un sistema di punti. L’intesa include altri 8,4 milioni di dollari per debiti non legati alle molestie e una clausola che esonera da eventuali future pretese i membri del board della Weinstein Company tra cui Bob, il fratello ed ex socio di Harvey.
Da ilgiorno.it il 5 aprile 2021. Harvey Weinstein, l'ex re di Hollywood, presenta ricorso contro la sua condanna per stupro e chiede un nuovo processo. Weinstein è stato condannato lo scorso anno a 23 anni di carcere. Lo riportano i media americani. Il produttore americano, un anno fa era stato condannato per violenza sessuale dalla Corte Suprema dello Stato di New York. Dopo essere stato per anni il produttore più potente di Hollyvood era stato accusato da diverse attrici fra cui anche l'italiana Asia Argento. La procura distrettuale di New York aveva basato il caso sulle accuse di Miriam Haley e Jessica Mann. Fra le attrici che avevano accusato il procuratore anche Annabella Sciorra.
DAGONEWS il 12 aprile 2021. Harvey Weinstein è stato accusato di stupro da un gran giurì a Los Angeles. Secondo un rapporto l'accusa sarebbe arrivata un paio di settimane fa e dovrebbe ulteriormente facilitare il trasferimento da New York del produttore cinematografico, dove sta già scontando una condanna a 23 anni per stupro e violenza sessuale. Il causa a Los Angeles contro Weinstein, 69 anni, è stata ritardata a causa della pandemia di coronavirus ma secondo quanto riferito l'ufficio del procuratore distrettuale non ha voluto aspettare oltre per procedere. Weinstein deve affrontare in California 11 capi d’accusa per stupri e violenze sessuali avvenuti tra il 2004 e il 2013. Se condannato, l'ex magnate di Hollywood rischierebbe fino a 140 anni di carcere. Weinstein, sta attualmente scontando la sua pena presso la struttura correttiva di Wende vicino a Buffalo, una prigione di massima sicurezza. Attraverso il suo avvocato, ha respinto tutte le accuse contro di lui. All'inizio di questo mese, Weinstein ha presentato appello, sostenendo di non aver avuto un processo equo e che gli incidenti erano "indiscutibilmente consensuali" e che molte delle donne che hanno testimoniato al suo processo pensano semplicemente che sia "odioso". I suoi avvocati hanno presentato un ricorso di 166 pagine a Manhattan il 5 aprile, in cui hanno affermato che il giudice ha ammesso troppe testimonianze basandosi sulla reputazione e il carattere di Weinstein.
Quel processo pruriginoso ad Asia Argento nel salotto di Vespa. Francesca Spasiano su Il Dubbio il 27 gennaio 2021. L’affare metoo manda in tilt il salottino assetato di “verità”: la testa di Asia per il riscatto di tutte le donne «perbene» – le vittime vere. «Lei – chiede Vespa – che rapporto ha con il sesso?» Siamo nel salotto di Bruno Vespa, Rai 1, ieri sera. All’ordine del giorno la crisi politica e la fantapolitica del dopo Conte dimissionario. Ospite in tarda serata l’ex magistrato Luca Palamara che assieme al giornalista Alessandro Sallusti presenta il libro-intervista “Il Sistema. Potere, politica, affari: storia segreta della magistratura italiana”. A seguire, l’ultima fascia: un ritratto di Asia Argento, che si presta in carne e ossa alle curiosità di Serena Bortone, conduttrice televisiva, e Concita Borrelli, giornalista. A metà dell’intervista, Bruno Vespa domanda: «E il sesso? Che ruolo ha avuto nella sua vita?». Lei, Asia, sgrana gli occhi e tace per un istante. Ma a scandalizzare l’attrice non è l’impudenza del conduttore – si suppone. È più probabile, a giudicare dalla reazione, che il suo sconcerto dipenda dal fatto che parlando di «sesso» Vespa intendesse parlare degli abusi e delle violenze denunciati con il movimento #metoo. «In questo caso non lo definirei sesso», protesta l’ospite. Poi la parola passa a Serena Bortone: «Mi ha molto colpito del libro il rapporto con sua madre, che però la picchiava?», sottolinea la giornalista accennando un tono dubitativo. Asia Argento protesta ancora una volta: «Non vorrei soffermarmi su questo». Siamo solo all’inizio di una lunga e incalzante udienza televisiva, che si trascina per oltre mezz’ora. L’occasione per gettare Asia Argento nella fossa dei leoni – come lei stessa contesta con la dovuta ironia – è la presentazione del suo ultimo libro: “Anatomia di un cuore selvaggio” (Piemme editore), un racconto autobiografico. «Perché lei è così bulimica nel parlare della sua vita?», domanda Concita Borrelli. «Bulimica», dice, ma «con affetto». E poi si appella al più modesto dei ragionamenti: se parli di te stessa pubblicamente, ho il diritto di criticarti. E di non crederti, che nel caso di Asia Argento – a dire la verità – è l’ultimo dei problemi. O almeno la questione di minore interesse. Perché ogni volta che la figlia d’arte per eccellenza si offre a un titolo di giornale strillato, di fronte a sé, Asia, ha sempre qualcuno che fa dell’onestà un precetto morale di basso catechismo. Era successo più di tre anni fa, quando il movimento metoo si era trasformato in una sorta di caccia alle streghe, un boomerang che era costato mesi di gogna a colei che in Italia quel movimento lo aveva importato: Asia Argento. Per ripercorrere l’intera vicenda non è sufficiente una pagina di giornale. Basti perciò ricordare l’obiezione che la tribuna di pubblico e social aveva mosso all’attrice: se i fatti stavano così come raccontava, perché ci aveva messo più di vent’anni a denunciare gli abusi del produttore Harvey Weinstein? Da qui parte anche Concita Borrelli, e non importa quante volte Asia Argento abbia spiegato le sue ragioni: «Non c’è prescrizione per il risveglio di una coscienza vittima di stupro», ribadisce l’attrice. Eppure, passato il clamore mediatico per quelle violenze e i ricatti messi “a sistema” dietro le quinte di Hollywood, restano le indiscrezioni – il gossip – sulla vita sessuale delle donne finite in quella spirale. Restano le ramanzine delle guardiane del femminismo 2.0 che non rinunciano mai a separare i buoni dai cattivi: da una parte chi favorisce la causa, dall’altra chi inquina “le prove” contro gli abusi del “patriarcato” mandando in malora – a loro dire – anni di lotte per l’emancipazione. Per la stessa ragione, l’affare metoo e il caso Weinstein mandano in tilt il salottino di Porta a Porta: la testa di Asia per il riscatto di tutte le donne “perbene” – le vittime vere. Che dovrebbe significare che ci sono anche le vittime false, quelle che lo sappiamo: sotto sotto «se la vanno a cercare». Oppure, nel caso di Asia Argento – secondo l’accusa – quelle che cavalcano l’ondata di indignazione per farsi notare. Il prezzo è fissato: alcune donne si “vendono” per il successo. Poco più tardi, Concita Borrelli parla di «scambio sessuale»: l’usanza che secondo l’esperta starebbe alla base del più grande scandalo che ha travolto il mondo dello spettacolo negli ultimi anni. Dove vuole andare a parare? Non è dato sapere. Così Bruno Vespa tenta il soccorso tra le rimostranze dei convitati. Ma noi crediamo alla bontà della giornalista che di certo non ha confuso un abuso con una transazione: anche se bisogna ammettere che un secondo di zapping sarebbe bastato per travisare.
Csm, molestie sulla pm Sinatra, un testimone racconta: "Lei si sentì tradita da Creazzo, era sconvolta". Conchita Sannino su La Repubblica il 22 aprile 2021. Cominciato il processo che vede la magistrata incolpata per dei messaggi con Palamara. Sotto processo anche il procuratore presunto molestatore, che ha sempre negato. “Mi confidó tutto. La dottoressa Sinatra mi raccontó che, dopo una cena di lavoro, era stata oggetto di un approccio fisico, intrusivo, da parte del dottor Creazzo, un collega che lei stimava. E dal quale, con quel gesto, si sentì improvvidamente tradita e umiliata. Ne fu sconvolta”. É cominciato con il racconto di un testimone, che ha confermato le molestie subite dalla pm Alessia Sinatra, il processo - dinanzi alla Sezione disciplinare del Csm - a carico della stessa toga, sostituto procuratore a Palermo.
Luca Fazzo per “il Giornale” il 16 gennaio 2021. E adesso nel caso Palamara fa irruzione il #Metoo: la questione planetaria del sesso arrembante, delle molestie, del potere usato a fini di conquista. Perché, come era statisticamente inevitabile, nell'oceano di chat intercettate sul telefono dell'ex presidente dell'Associazione nazionale magistrati, saltano fuori anche faccende che hanno poco a che fare con le nomine e le correnti. E investono la correttezza dei rapporti umani. Col risultato che nel mirino del Consiglio superiore della magistratura finiscono i protagonisti di una storia - per larghi aspetti ancora oscura - di presunte avances in ascensore: sono il presunto molestatore e la presunta molestata, entrambi nomi di spicco di Unicost, la stessa corrente di Luca Palamara. Lei è Alessia Sinatra, bionda e tosta pm di Palermo, una vita di inchieste in prima linea e di impegno nella corrente di centro delle toghe. Lui è un nome ancora più importante: Giuseppe Creazzo, procuratore della Repubblica a Firenze che ha condotto le indagini contro l'ex premier Matteo Renzi. Che nel periodo radiografato dall'inchiesta era in corsa per diventare capo della Procura di Roma, in quello scontro feroce tra correnti che alla fine ha portato all' incriminazione di Palamara. Sconfitto da Michele Prestipino, Creazzo non si è arreso e ha fatto ricorso al Tar, che non si è ancora pronunciato. Il trojan della Guardia di finanza racconta in diretta quella faida. Ma il 23 maggio intercetta anche un messaggio della Sinatra a Palamara: «Giurami che il porco cade subito». Il contesto dice chiaramente che il riferimento è a Creazzo: «il porco di Firenze», lo definisce ancora la Sinatra, e poi ancora «porco mille volte», «essere immondo e schifoso». Così quando la Procura di Perugia, che ha condotto l'inchiesta su Palamara, gira tutte le chat alla Procura generale della Cassazione perché valuti i procedimenti disciplinari contro i magistrati coinvolti, nell'elenco finisce anche la Sinatra, per le espressioni violente usate contro Creazzo. La Procura generale della Cassazione a settembre convoca la Sinatra e la interroga. E lei non si rimangia niente, anzi: «Ho reso le più ampie e complete spiegazioni liberatorie», racconta ieri la pm siciliana al Giornale. La cosa, dunque, non finisce lì. Il seguito è ancora avvolto dal segreto, ma qualcosa si riesce a ricostruire. Perché un fascicolo che ricostruisce tutta la vicenda approda sul tavolo della Prima commissione del Consiglio superiore della magistratura. È la commissione che si occupa di trasferire i magistrati incompatibili con la funzione che ricoprono o il territorio in cui operano. Il fascicolo contiene il provvedimento di archiviazione di un procedimento penale aperto proprio a carico di Creazzo, il procuratore capo di Firenze. L'inchiesta su Creazzo, secondo quanto è dato capire, nasce proprio dalle intercettazioni della Sinatra. In quel fascicolo si spiega anche da dove scaturisce la sequela di insulti riservati dalla pm. Si parla di un incontro in ascensore durante il quale Creazzo avrebbe manifestato un trasporto decisamente inammissibile verso una giovane e bella collega. Perché il fascicolo a carico di Creazzo viene archiviato? Due ipotesi: o l'accusa si è rivelata inconsistente, o la presunta vittima ha scelto di non sporgere querela. Ma l'archiviazione dell'indagine penale non chiude la pratica davanti al Csm. Perché, querela o non querela, se i fatti sono avvenuti non si può fare finta di niente. Così la Prima commissione dovrà indagare, capire cosa è accaduto davvero, e decidere chi dei due magistrati sia incompatibile con la sua funzione. A meno che la Procura generale della Cassazione giochi d'anticipo, e ne metta uno o due sotto procedimento disciplinare.
La pm: molestie dal procuratore. Ma a finire sotto processo è lei. Alessia Sinatra si rivolse all'ex capo dell'Anm e ora si sfoga: "Vittima di violenza due volte". Liana Milella su La Repubblica il 4/2/2021. "Mi sento violata per la seconda volta. Non si può fare questo alla vittima di una violenza sessuale. Non lo auguro a nessuno. La mia amarezza è sconfinata. Ma domattina vado in udienza lo stesso". Bisogna cominciare da questo sfogo per raccontare l'ennesimo e incredibile capitolo dell'affaire Palamara. Lei è Alessia Sinatra, pm antimafia a Palermo. Alta. Bionda. Sempre elegante. Toga di Unicost. Il 23 maggio 2019, al telefono con il suo amico Luca Palamara, parla del "porco di Firenze ". E giù invettive, "giurami che il porco cade subito". E ancora: "Essere immondo e schifoso". Di più, "porco mille volte". Visto il contesto - il 26 maggio la commissione per gli incarichi direttivi del Csm deve scegliere il procuratore di Roma - si capisce subito che il "porco" è il capo della procura di Firenze Giuseppe Creazzo. Anche lui di Unicost. Quello a cui Palamara si è rivolto contestando una fuga di notizie da Perugia che lo manda a processo per corruzione. Ma quella chat, stavolta, svela un retroscena privatissimo - un episodio di "violenza sessuale " come lo definisce la vittima che però non lo ha denunciato - che ha un epilogo imprevisto, si trasforma in una "nuova violenza" come Sinatra dice a Repubblica. Perché sulla sua testa adesso pende una "incolpazione" disciplinare. La procura generale della Cassazione ha preso in mano la chat, ha convocata la pm a settembre, le ha chiesto perché parlava di un "porco" e perché invitava l'allora potente Palamara a non promuoverlo procuratore di Roma. Lei racconta tutto. La violenza subita - tuttora e senza incertezze la definisce così - in un corridoio di un albergo di Roma, l'hotel Isa di via Cicerone, quando lei e Creazzo erano lì nel 2015 per un convegno. Racconta di averne parlato subito con persone amiche. Ne indica i nomi. Palamara, anche lui di Unicost, era tra queste. Dice che non ha presentato una denuncia "per tutelare l'istituzione, ma è stata la decisione più difficile e sofferta della mia vita professionale". Attende fiduciosa che la procura generale comprenda e archivi tutto. Non finisce così. Ieri il suo avvocato Mario Serio, un ex Csm, ha ricevuto le tre pagine che aprono il procedimento disciplinare. Non ci sono dettagli pruriginosi, ma un'accusa precisa: Sinatra sarebbe colpevole "per aver tenuto un comportamento gravemente scorretto nei confronti di Creazzo in quanto coinvolgeva Palamara in una missione per condizionare negativamente il Csm". Insomma, quando Sinatra dice a Palamara "giurami che il porco cade subito" gli starebbe chiedendo di alterare il voto per Roma. Ma c'è un'altra frase che sconvolge la pm. Il passaggio in cui è scritto che lei parlava così a Palamara "per soddisfare la necessità di una giustizia riparativa, per ottenere una rivincita morale sul soggetto che nel 2015 aveva posto in essere una condotta abusante e in violazione della sua sfera di libertà sessuale". Sinatra adesso dice: "Mi sono sentita violata per la seconda volta, un trattamento da non riservare mai a nessuna vittima. Mi si sta negando di esprimere la mia sofferenza". Un sentimento che diventerà più forte quando dovrà sedersi davanti ai giudici della disciplinare che vorranno conoscere i particolari. Una violenza che "per senso istituzionale " non ha voluto denunciare. Tant'è che solo dopo la deposizione in Cassazione la storia arriva alla procura di Roma che, in assenza di una querela presentata entro sei mesi dal fatto, non può che archiviare. Adesso lei si augura che anche altre chat con Palamara, "un amico al quale sin da subito ho confidato il mio dolore", siano state recuperate. Il suo linguaggio era aggressivo? "Sono una donna violata, è naturale che parlando di quella persona le mie emozioni vengano sollecitate. Stavo male a incontrarlo, a volte però l'ho anche salutato, ma tutti avevano capito che c'era stato un allontanamento ". Creazzo nega tutto. Per lui non c'è un'azione disciplinare. C'è solo un fascicolo davanti alla prima commissione, quella che si occupa dei trasferimenti per incompatibilità ambientale. Ma poiché si può trasferire una toga solo se ha commesso un atto che compromette il suo lavoro nell'ufficio dove lavora, è improbabile che la storia possa avere conseguenze.
Luca Palamara, la chat con la pm Alessia Sinatra: "Giurami che il porco cade subito, essere immondo e schifoso". Libero Quotidiano il 04 febbraio 2021. “Mi sento violata per la seconda volta”: a parlare è Alessia Sinatra, pm antimafia a Palermo, e un’altra delle protagoniste dell’affaire Palamara. Per capire meglio di cosa si parla, bisogna fare un salto indietro al 23 maggio 2019. Quel giorno, la Sinatra scrive al suo amico Luca Palamara, parlando del “porco di Firenze”, con tanto di invettive: “Giurami che il porco cade subito. Essere immondo e schifoso, porco mille volte”. Il riferimento è al capo della procura di Firenze Giuseppe Creazzo, in lizza per la procura di Roma. La chat in questione rivela un retroscena molto privato, un episodio di violenza sessuale, come lo ha definito la vittima, che però non lo ha mai denunciato. Sulla testa della Sinatra pende adesso una “incolpazione” disciplinare. La procura generale della Cassazione, infatti, ha analizzato la chat, ha convocato la pm a settembre e le ha chiesto perché parlava di un “porco”, pregando Palamara di non promuoverlo procuratore di Roma. Lei allora ha raccontato tutto: la violenza subita in un hotel di Roma nel 2015. Ha spiegato anche il motivo per cui all’epoca decise di non presentare una denuncia: “Per tutelare l’istituzione, ma è stata la decisione più difficile e sofferta della mia vita professionale”. A quel punto, la Sinatra si aspetta che la procura archivi tutto. E invece non va così. Si apre, anzi, un procedimento disciplinare: Alessia Sinatra sarebbe colpevole “per aver tenuto un comportamento gravemente scorretto nei confronti di Creazzo in quanto coinvolgeva Palamara in una missione per condizionare negativamente il Csm". Dunque, quando la pm scriveva a Palamara, “giurami che il porco cade subito”, in realtà – secondo gli inquirenti – gli stava chiedendo di alterare il voto per Roma. A sconvolgere la Sinatra è il passaggio in cui è scritto che lei parlava così “per ottenere una rivincita morale sul soggetto che nel 2015 aveva posto in essere una condotta abusante e in violazione della sua sfera di libertà sessuale”. “Mi sono sentita violata per la seconda volta, un trattamento da non riservare mai a nessuna vittima. Mi si sta negando di esprimere la mia sofferenza”, si è sfogata la donna con Repubblica. Creazzo intanto ha negato tutto.
Il caso Sinatra-Creazzo. “Creazzo è un porco”, ma a finire sotto processo è la pm che accusava di molestie il procuratore capo di Firenze. Carmine Di Niro su Il Riformista il 4 Febbraio 2021. Giudizio disciplinare per Giuseppe Creazzo ma anche per la sua accusatrice, Alessia Sinatra. È la richiesta arrivata dalla Procura generale della Cassazione guidata da Giovanni Salvi. La vicenda riguarda le accuse di molestie sessuali rivolte dal pm di Palermo Sinatra nei confronti del procuratore capo di Firenze Creazzo: un caso risalente al 2015 ed emerso da alcune chat della pm di Palermo con l’ex presidente dell’Anm Luca Palamara, recentemente radiato dal Csm dopo un processo lampo. “Giurami che il porco cade subito”, scrisse la Sinatra, ex vicepresidente dell’Anm ed esponente di primo piano di Unicost in Sicilia, il 23 maggio dello scorso anno a Luca Palamara, l’ex zar delle nomine al Csm ed ex presidente dell’Anm. Il porco, come si capirà nei messaggi successivi, era Giuseppe Creazzo, l’attuale procuratore di Firenze, anch’egli toga di Unicost. L’azione disciplinare nei confronti di Creazzo è stata richiesta “a seguito delle accuse specificamente a lui rivolte dalla dr.ssa Sinatra in sede di interrogatorio disciplinare”, si legge in una nota firmata da Salvi. Quanto alla stessa pm di Palermo, l’azione disciplinare nei suoi confronti nasce invece “non certo per aver denunciato i fatti”, precisa l’ufficio del pg, ma per “l’uso improprio di quei fatti, al fine di ricercare una privata ‘giustizia’, come dalla stessa dottoressa rappresentato. Valuterà la Sezione disciplinare se ciò costituisca condotta scorretta e se, in tal caso, essa possa considerarsi giustificata dagli aspetti personali coinvolti”. Il procedimento contro il sostituto della Dda di Palermo viene accolto con “amarezza e sorpresa” dall’ex consigliere del Csm Mario Serio, difensore della Sinatra. “La procura generale sembra considerare che la partita possa ritenersi chiusa in pareggio con due distinte incolpazioni“, spiega infatti Serio, che evidenzia come si tratti di “posizioni totalmente e sideralmente distanti l’una dall’altra e amareggia che si dica che la dottoressa Sinatra abbia inteso perpetrare una sorta di giustizia privata”. La Sinatra “non ha mai sostenuto questa tesi. Ha solo detto che si trattava di un privato colloquio nel quale risaltava la propria amarezza e il proprio rammarico” e per quanto riguarda i messaggi con Palamara “non ha mai inteso interferire con l’attività del Csm, né avrebbe potuto farlo, parlando con un estraneo al Consiglio superiore, una persona con cui aveva grande confidenza e una delle prime a cui nel passato aveva comunicato l’episodio”. Lo stesso Palamara è intervenuto sulla vicenda, sottolineando all’AdnKronos come pur essendo “l’interlocutore della chat con la Sinatra nella vicenda Creazzo non sia mai stato ascoltato come testimone”.
Liana Milella per "la Repubblica" il 4 febbraio 2021. «Mi sento violata per la seconda volta. Non si può fare questo alla vittima di una violenza sessuale. Non lo auguro a nessuno. La mia amarezza è sconfinata. Ma domattina vado in udienza lo stesso». Bisogna cominciare da questo sfogo per raccontare l'ennesimo e incredibile capitolo dell'affaire Palamara. Lei è Alessia Sinatra, pm antimafia a Palermo. Alta. Bionda. Sempre elegante. Toga di Unicost. Il 23 maggio 2019, al telefono con il suo amico Luca Palamara, parla del «porco di Firenze». E giù invettive, «giurami che il porco cade subito». E ancora: «Essere immondo e schifoso». Di più, «porco mille volte». Visto il contesto - il 26 maggio la commissione per gli incarichi direttivi del Csm deve scegliere il procuratore di Roma - si capisce subito che il "porco" è il capo della procura di Firenze Giuseppe Creazzo. Anche lui di Unicost. Quello a cui Palamara si è rivolto contestando una fuga di notizie da Perugia che lo manda a processo per corruzione. Ma quella chat, stavolta, svela un retroscena privatissimo - un episodio di «violenza sessuale » come lo definisce la vittima che però non lo ha denunciato - che ha un epilogo imprevisto, si trasforma in una «nuova violenza» come Sinatra dice a Repubblica. Perché sulla sua testa adesso pende una "incolpazione" disciplinare. La procura generale della Cassazione ha preso in mano la chat, ha convocato la pm a settembre, le ha chiesto perché parlava di un "porco" e perché invitava l'allora potente Palamara a non promuoverlo procuratore di Roma. Lei racconta tutto. La violenza subita - tuttora e senza incertezze la definisce così - in un corridoio di un albergo di Roma, l'hotel Isa di via Cicerone, quando lei e Creazzo erano lì nel 2015 per un convegno. Racconta di averne parlato subito con persone amiche. Ne indica i nomi. Palamara, anche lui di Unicost, era tra queste. Dice che non ha presentato una denuncia «per tutelare l'istituzione, ma è stata la decisione più difficile e sofferta della mia vita professionale». Attende fiduciosa che la procura generale comprenda e archivi tutto. Non finisce così. Ieri il suo avvocato Mario Serio, un ex Csm, ha ricevuto le tre pagine che aprono il procedimento disciplinare. Non ci sono dettagli pruriginosi, ma un'accusa precisa: Sinatra sarebbe colpevole «per aver tenuto un comportamento gravemente scorretto nei confronti di Creazzo in quanto coinvolgeva Palamara in una missione per condizionare negativamente il Csm». Insomma, quando Sinatra dice a Palamara «giurami che il porco cade subito» gli starebbe chiedendo di alterare il voto per Roma. Ma c'è un'altra frase che sconvolge la pm. Il passaggio in cui è scritto che lei parlava così a Palamara «per soddisfare la necessità di una giustizia riparativa, per ottenere una rivincita morale sul soggetto che nel 2015 aveva posto in essere una condotta abusante e in violazione della sua sfera di libertà sessuale». Sinatra adesso dice: «Mi sono sentita violata per la seconda volta, un trattamento da non riservare mai a nessuna vittima. Mi si sta negando di esprimere la mia sofferenza». Un sentimento che diventerà più forte quando dovrà sedersi davanti ai giudici della disciplinare che vorranno conoscere i particolari. Una violenza che «per senso istituzionale» non ha voluto denunciare. Tant'è che solo dopo la deposizione in Cassazione la storia arriva alla procura di Roma che, in assenza di una querela presentata entro sei mesi dal fatto, non può che archiviare. Adesso lei si augura che anche altre chat con Palamara, «un amico al quale sin da subito ho confidato il mio dolore», siano state recuperate. Il suo linguaggio era aggressivo «Sono una donna violata, è naturale che parlando di quella persona le mie emozioni vengano sollecitate. Stavo male a incontrarlo, a volte però l'ho anche salutato, ma tutti avevano capito che c'era stato un allontanamento». Creazzo nega tutto. Per lui non c'è un'azione disciplinare. C'è solo un fascicolo davanti alla prima commissione, quella che si occupa dei trasferimenti per incompatibilità ambientale. Ma poiché si può trasferire una toga solo se ha commesso un atto che compromette il suo lavoro nell'ufficio dove lavora, è improbabile che la storia possa avere conseguenze.
(ANSA il 5 febbraio 2021) "I fatti sono stati chiaramente e nettamente denunciati e da essi è nato anche un procedimento penale archiviato sull'unico presupposto che si trattasse di ipotesi delittuosa solo perseguibile a querela e che non ricorressero le condizioni per la procedibilità d'ufficio". Lo sottolinea l'ex consigliere del Csm Mario Serio, legale di Alessia Sinatra, la pm di Palermo che accusa il procuratore di Firenze Giuseppe Creazzo di molestie sessuali. Sia per il procuratore (che nega tutto) sia per la pm la procura generale della Cassazione ha chiesto il giudizio disciplinare davanti al Csm. La ragione dell'intervento del professore Serio, "uno stupefacente commento di stampa" ,che "aggrava le non lenite sofferenze" della sua assistita e in cui , "come spesso accade nelle occasioni in cui la libertà sessuale di una donna è violata, quest'ultima diviene oggetto di sospetti , riserve o addirittura scherno". In quel commento "si rimprovera apertamente Alessia Sinatra di non aver denunciato il fatto così contribuendo allo svilimento della magistratura cui appartiene e indirettamente incoraggiando l'omertà nelle ipotesi di violenza sessuale. Tutto questo è non soltanto frutto di inadeguata informazione - lamenta Serio- ma soprattutto indice dell'incapacità di leggere l'animo , la psicologia, la sensibilità di una donna violata, la quale non solo ha denunciato i fatti nell'occasione appropriata, ma ha ha ampiamente chiarito le ragioni dell'iniziale resistenza emotiva a denunciare, ben consapevole del muro di incredulità che come i fatti odierni purtroppo dimostrano si sarebbe potuto ergere nei suoi confronti anche nell'istituzione in cui opera". "Alessia Sinatra è un simbolo per la magistratura che agisce a difesa dei più deboli e avrebbe immaginato che laddove avesse versato in condizioni di fragilità la solidarietà si sarebbe levata alta e onorevole. Attende con fiducia che questo presto accada. Ed è questa l'unica rivincita che si attende. Non pertanto giustizia privata: l'unica giustizia concepibile per Alessia Sinatra è quella che si celebra giorno dopo giorno nelle aule di giustizia in Italia", sottolinea ancora il suo difensore, riferendosi all'accusa che le viene mossa nel giudizio disciplinare, a cui "con animo provato ma forte della verità, dovrà auspicabilmente tra breve sottoporsi" L'avvocato precisa infine che il teste che la procura generale della Cassazione "dopo averne disposto la citazione ha rinunciato a sentire su circostanze di indiscutibile rilevanza è uno stimato professionista assolutamente estraneo all'ambiente giudiziario". Una sottolineatura per smentire che si tratti di Luca Palamara, come ipotizzato da un quotidiano.
Liana Milella e Luca Serranò per “la Repubblica” il 5 febbraio 2021. «Mi hanno fregato, comunque vada a finire ne esco a pezzi. Ma se il Csm mi darà ragione non escludo una denuncia per calunnia ». Non parla con la stampa, ma inevitabilmente si sfoga con i colleghi Giuseppe Creazzo, il capo della procura di Firenze finito sotto la scure disciplinare del Pg della Cassazione Giovanni Salvi. Perché nel 2015, in un corridoio dell' hotel Isa di via Cicerone a Roma, avrebbe tentato un approccio pesante con la collega di Palermo Alessia Sinatra fino ad aprirle la pelliccia. Lei lo respinge, si precipita in camera, chiama subito Luca Palamara, amico e compagno di Unicost, e gli racconta tutto. Definisce Creazzo, di Unicost pure lui, un «porco», come farà il 23 maggio 2019 via chat invitando lo stesso Palamara a non votarlo per la procura di Roma. E finisce sotto processo disciplinare. Creazzo nega tutto. Affida al procuratore di Siena Salvatore Vitello la sua difesa. Si ritiene vittima di un «complotto». Alla Sinatra non fa sconti: «Parliamo di una donna di cinquanta anni. Un magistrato che si occupava di fasce deboli. Perché non ha fatto denuncia? Perché non è mai successo nulla di quello che dice». Eppure in quell' albergo c' era anche la sorella di lei che sentì le grida in corridoio. E poi i suoi racconti agli amici. Tant' è che Palamara nel suo libro sul "Sistema" scrive: «Io posso dire che Alessia mi aveva confidato, con una ricchezza di particolari tale che è difficile pensare che se lo sia inventato, di aver subito pesanti a vances da Creazzo». Ma il procuratore di Firenze, autore delle inchieste sui genitori di Renzi e su Renzi stesso, vede solo accuse infondate. Dice che i colleghi gli stanno dimostrando «la più ampia solidarietà». A più di uno ha confidato i suoi dubbi, l' idea di essere finito in un giro più grande di lui. Ragiona sui fatti: «Se quello che dice lei fosse vero Palamara lo avrebbe usato contro di me. E invece nelle famose cene sul destino della procura di Roma non se ne parlava». Con i colleghi rivede il film della sua carriera: «Faccio il magistrato da 40 anni, e mai un' ombra. L' inchiesta di Perugia ha dimostrato che faccio il mio dovere seriamente». Ma la sua paura è che, comunque vada, sarà difficilissimo riprendersi. Continua a ripetere «sono nel tritacarne». E ieri mattina lo ha lasciato di stucco che fosse il Pg Salvi in persona, cosa mai accaduta, ad annunciare alla stampa la sua messa in stato di accusa. Dall' altra parte Sinatra conferma tutto, Creazzo fu l' artefice della violenza, lei non denunciò «per non compromettere le istituzioni », l' azione disciplinare contro una vittima è «del tutto inaccettabile ».
E il procuratore Creazzo finì nel tritacarne mediatico. Giovanni M. Jacobazzi su Il Dubbio il 6 febbraio 2021. Il magistrato incolpato (con la collega che ne ha fatto il nome) alla vigilia dei ricorsi sulla Procura di Roma. Il processo mediatico, ed i suoi nefasti e deleteri effetti, irrompe nel mondo delle toghe, rendendo il clima incandescente. Il giorno dopo la pubblicazione della notizia che la Procura generale della Cassazione ha chiesto per Giuseppe Creazzo, il procuratore di Firenze, il giudizio a seguito delle accuse formulate nei suoi confronti dalla dottoressa Alessia Sinatra, sostituto presso la Dda di Palermo, si è creato grande sconcerto ed imbarazzo nel Palazzo di Giustizia del capoluogo toscano. La decisione del procuratore generale Giovanni Salvi di diramare un comunicato stampa con i dettagli della vicenda, se da un lato è apprezzabile in un’ottica di trasparenza, dall’altro ha determinato un deficit di legittimazione esterna da parte del capo della Procura, attualmente impegnato in molte indagini delicate. Chi ha sentito in queste ore Creazzo riferisce di aver colto nelle parole del procuratore “grandissima amarezza” per quanto accaduto. Il magistrato, infatti, è accusato di aver fatto delle avances alla pm antimafia di Palermo Alessia Sinatra, anche lei a giudizio disciplinare, durante un convegno a Roma nel dicembre del 2015. La dottoressa Sinatra si era sfogata con Luca Palamara con alcuni messaggi che poi erano finiti su tutti i giornali. «La mia sofferenza voleva e doveva restare privata. Desidero soltanto un po’ di rispetto ed il silenzio», aveva detto la pm siciliana, stigmatizzando il fatto che comunicazioni riservate fossero state poi utilizzate per delle contestazioni disciplinari. Creazzo è anche in attesa della decisione del Tar del Lazio sul ricorso presentato lo scorso anno contro la nomina del procuratore di Roma Michele Prestipino. La pronuncia dovrebbe essere nota entro i prossimi giorni. Certamente il procuratore non immaginava che sarebbe arrivata in un momento simile che sembra essere il secondo capitolo della “battaglia” per la Procura di Roma iniziata a maggio del 2019. Creazzo, comunque, ha in corso anche la domanda per occupare il posto di procuratore generale a Catanzaro, posto lasciato libero lo scorso anno da Otello Lupacchini, trasferito a Torino ed ora sotto disciplinare a Palazzo dei Marescialli per alcune affermazioni nei confronti del procuratore Nicola Gratteri. Anche la presidente del Tribunale di Firenze Marilena Rizzo, sempre a causa delle chat con Palamara, è finita sotto procedimento disciplinare con l’accusa di aver violato i “doveri di correttezza, leale comportamento, equilibrio e riserbo” suggerendo nomine di magistrati a lei vicini. A Firenze, come detto, si stanno conducendo indagini delicate, ad iniziare da quella sulla Fondazione Open. Ma è sulla fuga di notizie sul procedimento di Perugia a carico di Palamara che si rischia di non arrivare in tempo. Il calendario incombe. Ci sono ancora un paio di mesi per poter svolgere accertamenti sui nomi che Palamara avrebbe fatto, il condizionale è d’obbligo, quando è stato sentito dai pm fiorentini nelle scorse settimane. Dopo due anni, infatti, i dati non saranno più disponibili. rendendo impossibile qualsiasi verifica. L’articolo 132 del Codice in materia di protezione dei dati personali prevede che il traffico telefonico venga conservato per un periodo di 24 mesi. Dopo scatta la cancellazione di tutti i dati. Se la Procura di Firenze, "travolta" dalle chat di Palamara, vuole capire chi divulgò prima del tempo le intercettazioni effettuate nei confronti dell’ex presidente dell’Anm deve fare presto. In questo gioco di specchi, la verità rischia di restare fuori.
Luca Palamara rivela: "Non solo Alessia Sinatra. Avances e molestie di molti magistrati". Libero Quotidiano il 05 febbraio 2021. Quello della pm Alessia Sinatra, che ha accusato il magistrato Giuseppe Creazzo di averla molestata a Roma nel 2015, pare non essere un caso isolato. La vicenda è venuta fuori dopo un'intervista della pm a Repubblica: "Mi sono sentita violentata un'altra volta", ha detto riferendosi a un atto di incolpazione pendente sulla sua testa. La Procura generale della Cassazione, infatti, ha esercitato l'azione disciplinare nei suoi confronti. Azione partita dopo che la Guardia di Finanza ha intercettato una chat - risalente al maggio del 2019 - in cui la donna scrive a Luca Palamara, facendo una richiesta ben precisa su Creazzo: "Giurami che il porco cade subito. Essere immondo e schifoso, porco mille volte". In quel periodo infatti Creazzo, a capo della procura di Firenze, era in lizza per la procura di Roma. L'atto di incolpazione, quindi, è arrivato perché la Sinatra sarebbe colpevole di "aver tenuto un comportamento gravemente scorretto nei confronti di Creazzo, in quanto coinvolgeva Palamara in una missione per condizionare negativamente il Csm". La pm, quindi, avrebbe pregato Palamara di non promuovere Creazzo procuratore di Roma. Lei, poi, ha confessato di non aver mai denunciato la violenza "per tutelare l’istituzione, ma è stata la decisione più difficile e sofferta della mia vita professionale". Intanto il Procuratore generale della Cassazione, Giovanni Salvi, ha fatto sapere che l'atto di incolpazione è arrivato anche a Creazzo, che a quanto pare l'ha ricevuto senza dirlo in giro. Palamara, testimone diretto della vicenda, ha dichiarato di non essere stato sentito dalla Procura generale. L'ex pm di Roma, tra l'altro, avrebbe potuto raccontare anche qualcosa in più. "A me è capitato spesso di raccogliere confidenze di colleghe, cancelliere, avvocate e pure giornaliste, ma anche di colleghi, su avances anche spinte ricevute da magistrati in posizioni apicali - ha spiegato nel libro Il Sistema -. In questi casi ho sempre cercato di sminuirne la portata, non perché ne sottovalutassi la gravità, ma per tutelare il buon nome della categoria. Non ho mai denunciato, mi sono limitato a dare consigli di buon senso, come quelli di evitare di trovarsi da sole in determinate stanze e rifiutare inviti a cena".
Non solo il caso Sinatra. Le toghe molestatrici rimangono impunite. Palamara: spesso le colleghe mi hanno raccontato di aver subito avances da giudici. Luca Fazzo, Venerdì 05/02/2021 su Il Giornale. Bisogna andare indietro di vent'anni, a un presidente di Cassazione finito sotto accusa perché palpava qualunque cancelliera gli capitasse a tiro, per trovare un «faro» acceso dal Consiglio superiore della magistratura sulle molestie sessuali negli uffici giudiziari. Ma erano altri tempi, il #Metoo era di là da venire. Ora il tema riesplode grazie al caso Palamara: ieri il Procuratore generale della Cassazione, Giovanni Salvi, annuncia di avere messo sotto procedimento disciplinare il procuratore della Repubblica di Firenze, Giuseppe Creazzo. Un notabile della magistratura italiana, un pezzo pesante di Unicost, la corrente di centro delle toghe, uomo di grandi relazioni e di grandi ambizioni. Che un giorno di dicembre del 2015 a Roma partecipa a un convegno, all'Hotel Isa in via Cicerone. Si parla di giustizia, di diritti, di temi nobili. Ma Creazzo, in una pausa, prende l'ascensore. Ci si trova a tu per tu con una collega di toga e di corrente: Alessia Sinatra, bella e bionda pm siciliana. E le mette le mani addosso. Mercoledì pomeriggio, Salvi fa partire l'atto di incolpazione per Creazzo, il quale lo riceve ma non lo dice in giro. Il problema è che un atto di incolpazione arriva anche alla vittima, la Sinatra. Che va su tutte le furie e ne parla con i giornalisti, «mi sono sentita violentata un'altra volta», dice. Che colpa ha la Sinatra? Essersi confidata con Palamara, dando del «porco» e dell'«essere immondo» a Creazzo, in una chat intercettata dalla Guardia di finanza. Ieri Salvi, di fronte agli articoli che riportano lo sfogo della Sinatra, cerca di metterci una pezza spiegando che anche il molestatore è sotto procedimento disciplinare. Una sorta di par condicio, del tutto inconsueta, nel campo delle aggressioni sessuali: è la prima volta che accusata e accusatore vengono trattati allo stesso modo. Salvi spiega che «è stato chiesto il giudizio anche della dottoressa Sinatra non certo per avere denunciato i fatti: la contestazione è infatti relativa all'uso improprio di quei fatti, al fine di ricercare una privata giustizia"». Parlandone con Palamara, secondo il pg della Cassazione, la Sinatra non si stava solo confidando: voleva vendicarsi impedendo che Creazzo ottenesse la carica di procuratore della Repubblica a Roma. «Giurami che il porco cade subito», chiede effettivamente la pm siciliana a Palamara. Dal punto di vista della Sinatra poteva essere un intervento a fin di bene, per impedire che Creazzo portasse i suoi metodi anche nella Procura di Roma; per la Cassazione, gli insulti a Creazzo sembrano diventare invece parte integrante delle manovre di Palamara intorno alla nomina del nuovo procuratore della Capitale. A valutare se lo sfogo della Sinatra «costituisca condotta scorretta e se, in tal caso, essa possa considerarsi giustificata dagli aspetti personali coinvolti» sarà ora il Csm; che dovrà anche occuparsi della sorte di Creazzo. L'aspetto singolare è che a queste conclusioni la procura generale è arrivata senza sentire il testimone più diretto della vicenda, ovvero Luca Palamara. Il quale oltre che delle confidenze della Sinatra avrebbe potuto dire qualcosa su una piaga ben più diffusa: «A me - spiega nel libro Il Sistema - è capitato spesso di raccogliere confidenze di colleghe, cancelliere, avvocate e pure giornaliste ma anche di colleghi, perché l'omosessualità non è più un tabù neppure nelle aule dei tribunali riguardo a fatti spiacevoli, avance anche spinte ricevute da magistrati in posizioni apicali. In questi casi ho sempre cercato di sminuirne la portata, non perché ne sottovalutassi la gravità, ma per tutelare il buon nome della categoria. Non ho mai denunciato, mi sono limitato a dare consigli di buon senso, come quelli di evitare di trovarsi da sole in determinate stanze e rifiutare inviti a cena».
Leonardo Martinelli per “La Stampa” il 18 gennaio 2021. «Avevo cinque anni - si legge in un tweet -. È bastata una sera perché il fratello di mia madre stravolgesse il mio candore. Ormai in un secondo avevo 100 anni». E un altro tweet: «È successo varie volte tra i miei sei e otto anni. Ma ho capito che ero una vittima solo ai 40». Tutti questi messaggi e molti altri (oltre 6 mila fino a sabato) sono stati postati con l'hashtag #MeTooInceste. Alle prime due parole, che caratterizzarono la valanga di denunce di violenze sessuali e sessiste, scatenata tre anni fa dall'affaire Harvey Weinstein, si è aggiunto «inceste», che in francese significa incesto. Cosa sta succedendo? Tutto è iniziato lo scorso 7 gennaio, quando Camille Kouchner ha pubblicato il libro autobiografico «La familia grande», edito da Seuil. Lei è figlia di Bernard Kouchner, fondatore di Medici senza frontiere e poi ministro di Nicolas Sarkozy. Ma quando Camille aveva 8 anni, la madre, Evelyne Pisier, nota costituzionalista (e icona della sinistra: da giovane era andata all'Avana, diventando amante di Fidel Castro per quattro anni) si separò dal marito, andando a vivere con Olivier Duhamel, assieme ai tre figli. Duhamel, politologo star a Parigi, diventò una sorta di padre premuroso per i piccoli. Ma, quando Camille e il fratello gemello avevano 13 anni, l'uomo cominciò la sera a frequentare il letto del ragazzo, toccandolo e imponendo rapporti orali («Ti insegno come si fa - gli diceva -, non c'è niente di male, lo fanno tutti»). Poi passava da Camille per darle la buona notte e raccomandarle di togliere le mutandine («Così respira»). Tutto, comunque, rimaneva un segreto tra di loro. Finché nel 2008 i due fratelli lo raccontarono alla madre, nel frattempo caduta nell'alcool e nella depressione. Lei continuò a difendere il marito («Mi dispiace - disse -, ma non c'è stata sodomia, la fellatio è una cosa diversa»). La sorella di Evelyne, l'attrice Marie-France Pisier, fu l'unica a difendere i ragazzi e morirà più tardi, probabilmente suicida. La storia cominciò a circolare ma prevalse l'omertà, finché Camille, che è avvocata, ha deciso di scrivere il libro (sua madre è morta nel 2017). Dal 7 gennaio scorso Duhamel è sparito dalla circolazione. Si è puntato il dito contro le derive libertarie di una certa gauche parigina e sessantottina, che aveva sdoganato l'incesto tra gli anni Settanta e Ottanta. Ma in realtà l'ondata delle testimonianze su Twitter dimostra che è un male diffuso nella società francese e a tutti i livelli. Secondo un sondaggio recente, fra il 5 e il 10% delle persone interpellate sarebbe stato vittima di violenze sessuali nell'infanzia, nell'80% dei casi in famiglia. Sempre su Twitter, Anne-Cécile Mailfert, presidente della Fondazione delle donne, si è detta «senza parole» dinanzi «al coraggio delle persone che testimoniano» sulla rete. Si è rivolta ad Adrien Taquet, sottosegretario alla protezione dell'infanzia, con questa domanda: «A quando una legge?». Nel 2018 la normativa è stata già modificata portando a trent'anni il periodo in cui i reati sessuali sui minori non possono essere prescritti. Ma ora in tanti chiedono che mai scatti la prescrizione. Nel caso di Duhamel è stata aperta un'inchiesta giudiziaria preliminare, ma i fatti risalgono a più di trent'anni fa.
S.Mon. per il "Corriere della Sera" il 13 gennaio 2021. La rete francese LCI ha deciso di interrompere la collaborazione con il celebre intellettuale Alain Finkielkraut, 71 anni, che da cinque mesi aveva uno spazio settimanale nella trasmissione «24H Pujadas». Nell' ultima puntata, lunedì scorso, Finkielkraut ha affrontato il caso di Olivier Duhamel, il politologo che oltre trent' anni fa ha commesso atti di pedofilia incestuosa ai danni del figliastro «Victor» Kouchner, allora 13-14enne. Finkielkraut ha parlato di un' azione «molto grave, per la quale non ci sono scuse». Ma poi ha denunciato il clima di «linciaggio» contro Duhamel, e si è lamentato del fatto che «quando si pone la questione del consenso o della reciprocità si viene subito sommersi dalle critiche». Pujadas gli ha fatto notare che non poteva esserci consenso perché «Victor» era un 14enne, un bambino, ma Finkielkraut ha insistito: «E allora? Parliamo di un adolescente, non di un bambino, non è la stessa cosa». Anni fa Finkielkraut aveva suscitato polemiche simili difendendo Roman Polanski e evocando il possibile consenso della sua vittima 13enne.
Marina Valensise per “il Messaggero” il 17 gennaio 2021. Camille Kouchner ha aspettato trent' anni per trovare il coraggio di liberarsi di un segreto che le ha causato sensi di colpa, problemi di asma e di fiducia in se stessa, tormentandola a lungo per essere stata complice, col suo silenzio, di un reato. L'ha fatto in un memoir che a ogni pagina sembra avvertire il lettore: «Ogni riferimento ai fatti reali è intenzionale, e risponde a un dovere morale». È il racconto in prima persona dell' incesto subito dal fratello gemello a tredici anni da parte del patrigno. Un uomo tenerissimo, innamorato pazzo di quella costituzionalista sua collega d' università di dieci anni più vecchia, e dei tre figli di lei, nati dal suo primo matrimonio, che egli considerava la sua vita e trattava come un padre amorevole, portandoli a giocare a tennis la domenica, addestrandoli al poker, svezzandoli alla politica, e regalando loro magnifiche vacanze d' estate nella sua villa a Sanary sur Mer, fra decine di ministri e intellettuali amici, bagni nudi in piscina, partite di bocce, gare di scarabeo, tavolate infinite e lenti al chiaro di luna. L' autrice col nome che porta - quello del padre Bernard Kouchner, fondatore di Medici senza frontiere e ideatore dell' intervento umanitario, quando era il ministro più popolare di Francia - poteva fare pure fare a meno di ricorrere alla menzogna romanzesca, cambiando il nome ai fratelli e condannando il patrigno all'anonimato. Da quando il libro è uscito non si fa altro che parlare di lui, Olivier Duhamel, il politologo bellâtre dal passato di rivoluzionario, il costituzionalista scravattato che ogni giorno sproloquia alla radio e in tv, l' amico influente di François Hollande e di Emmnuel Macron costretto adesso a trincerarsi dietro un laconico no comment, dopo essersi dovuto dimettere dalla presidenza della Fondazione nazionale di Sciences Politiques e da quella del Siècle, il circolo più esclusivo di Parigi. La sua figliastra è implacabile nel descriverne la leggerezza melliflua con cui, dopo essersi infilato nel letto del gemello mettendogli il pene in mano, e forse in bocca («ti insegno io come si fa, non c' è niente di male, lo fanno tutti») passava da lei per darle la buona notte, raccomandandole di togliersi le mutande per dormire, «perché deve respirare». Ma ancora più spietata è nel dipingere la madre Evelyne, alias Evelyine Pisier, la giurista libertaria nata a Saigon nel 1941, che rinnega il padre nazionalista per seguire a Nizza la madre femminista, parte per Cuba a vent' anni e per quattro diventa l' amante di Fidel Castro, vince una cattedra di diritto pubblico a trenta, e a quaranta, mentre sta per lasciare Kouchner, chiede ai figli di ascoltarne le telefonate per proteggerla. Fragile e dogmatica, refrattaria ai sentimenti e ideologicamente settaria, la mère Pisier nella catena di omertà è l' anello debole. «Il giorno in cui mia nonna si è suicidata, mia madre ha voluto uccidere me», spiega la figlia per raccontare la discesa agli inferi di quella donna emancipata, ma incapace di affrontare il dolore, senza cedere all' alcool e alla depressione. Di fronte al figlio gemello, che solo vent' anni più tardi trova la forza di confessarle l'incesto, la madre minimizza «mi dispiace, ma non c'è stata sodomia, la fellatio è una cosa diversa»; poi giustifica il marito, che intanto si inventa una storia d'amore; quindi litiga con sua sorella che le chiede di lasciare il pedofilo; e alla fine, quando la sorella viene trovata morta, sul fondo di una piscina sotto una sedia di ferro, si rivolta contro i suoi stessi figli accusandoli di aver spiattellato tutto, durante l'inchiesta giudiziaria. «Mia madre credo sia morta di dispiacere», ammette oggi Camille Kouchner, che non a caso ha dedicato il suo libro alla zia Marie France, l’unica che abbia cercato di proteggerla.
Roberto Vivaldelli per "ilgiornale.it" il 13 gennaio 2021. Lo scandalo abusi scuote l'élite francese di sinistra. Camille Kouchner è la figlia 45enne dell'ex ministro e fondatore di Medici Senza Frontiere Bernard Kouchner e della scrittrice Évelyne Pisier, morta nel 2017. Per larga parte della sua adolescenza ha vissuto con il secondo marito di quest'ultima, il celebre politologo di sinistra Olivier Duhamel, docente presso Sciences Po, l'Istituto di studi politici di Parigi, la culla dell'élite politica-mediatica-economica di Francia. "La Familia grande" è il titolo del racconto biografico firmato da Camille Kouchner, che accusa suo patrigno Duhamel di incesto e di aver abusato per diversi anni del suo gemello quando erano 13enni, alla fine degli anni 80'. Come riportato dall'Agi, Il libro, edito da Le Seuil, è uscito in libreria il 7 gennaio, ma sulla base di alcuni stralci pubblicati nei giorni precedenti sulla stampa d'Oltralpe, dopo 24 ore il procuratore di Parigi, Remy Heitz, ha deciso di aprire un'indagine per" stupri e aggressioni sessuali" a carico di Duhamel, che all'epoca dei fatti "aveva autorità su minore di meno di 15 anni", ha sottolineato il comunicato della procura. "Avevo 14 anni e ho lasciato fare. Avevo 14 anni, sapevo e non ho detto nulla", ha scritto la figlia del fondatore di Medici Senza Frontiere nel suo libro-scandalo, raccontando che le aggressioni sessuali subite dal fratello - Victor nella sua opera - sono andate avanti per anni e "molta gente era al corrente dei fatti". Era stato lui stesso a raccontare alla sorella che di sera il patrigno andava a trovarlo in camera da letto. Le clamorose rivelazioni contenute nel libro di Camille Kouchner hanno portato il patrigno a dimettersi da tutti gli incarichi alla Sciences Po. "Essendo oggetto di attacchi personali e desideroso di tutelare le istituzioni nelle quali lavoro, lascio i miei incarichi" ha scritto su Twitter il noto politologo, esperto di diritto costituzionale, che dirige anche un programma, 'Mediapolis', sulla radio Europe 1.
"Tutti sapevano degli abusi". Come riporta Repubblica, il direttore di Sciences Po, Frédéric Mion, ha definito la vicenda "terribile, inaudita, spaventosa". Ma Camille Kouchner non era l'unica, evidentemente, ad essere a conoscenza degli abusi commessi in passato da Olivier Duhamel che prima di dimettersi dal prestigioso ateneo, era diventato nel 2016 presidente della fondazione dell'università e dal gennaio scorso guidava l'esclusivo circolo LeSiècle. Mion ha spiegato di aver "appreso dalla stampa queste gravi accuse" salvo poi ammettere di essere stato informato anni fa. Voci, spiega Mion, "che mi erano state categoricamente smentite" citando un incontro con l'avvocato Jean Veil, amico intimo di Duhamel. "Ho mancato di discernimento" ammette Mion, respingendo però le richieste di dimissioni avanzate da alcuni gruppi di studenti. "Non ho mai partecipato alla costruzione del silenzio" sottolinea.
S.Mon. per il "Corriere della Sera" il 13 gennaio 2021. La rete francese LCI ha deciso di interrompere la collaborazione con il celebre intellettuale Alain Finkielkraut, 71 anni, che da cinque mesi aveva uno spazio settimanale nella trasmissione «24H Pujadas». Nell' ultima puntata, lunedì scorso, Finkielkraut ha affrontato il caso di Olivier Duhamel, il politologo che oltre trent' anni fa ha commesso atti di pedofilia incestuosa ai danni del figliastro «Victor» Kouchner, allora 13-14enne. Finkielkraut ha parlato di un' azione «molto grave, per la quale non ci sono scuse». Ma poi ha denunciato il clima di «linciaggio» contro Duhamel, e si è lamentato del fatto che «quando si pone la questione del consenso o della reciprocità si viene subito sommersi dalle critiche». Pujadas gli ha fatto notare che non poteva esserci consenso perché «Victor» era un 14enne, un bambino, ma Finkielkraut ha insistito: «E allora? Parliamo di un adolescente, non di un bambino, non è la stessa cosa». Anni fa Finkielkraut aveva suscitato polemiche simili difendendo Roman Polanski e evocando il possibile consenso della sua vittima 13enne.
Roberto Vivaldelli per "ilgiornale.it" il 13 gennaio 2021. Lo scandalo abusi scuote l'élite francese di sinistra. Camille Kouchner è la figlia 45enne dell'ex ministro e fondatore di Medici Senza Frontiere Bernard Kouchner e della scrittrice Évelyne Pisier, morta nel 2017. Per larga parte della sua adolescenza ha vissuto con il secondo marito di quest'ultima, il celebre politologo di sinistra Olivier Duhamel, docente presso Sciences Po, l'Istituto di studi politici di Parigi, la culla dell'élite politica-mediatica-economica di Francia. "La Familia grande" è il titolo del racconto biografico firmato da Camille Kouchner, che accusa suo patrigno Duhamel di incesto e di aver abusato per diversi anni del suo gemello quando erano 13enni, alla fine degli anni 80'. Come riportato dall'Agi, Il libro, edito da Le Seuil, è uscito in libreria il 7 gennaio, ma sulla base di alcuni stralci pubblicati nei giorni precedenti sulla stampa d'Oltralpe, dopo 24 ore il procuratore di Parigi, Remy Heitz, ha deciso di aprire un'indagine per" stupri e aggressioni sessuali" a carico di Duhamel, che all'epoca dei fatti "aveva autorità su minore di meno di 15 anni", ha sottolineato il comunicato della procura. "Avevo 14 anni e ho lasciato fare. Avevo 14 anni, sapevo e non ho detto nulla", ha scritto la figlia del fondatore di Medici Senza Frontiere nel suo libro-scandalo, raccontando che le aggressioni sessuali subite dal fratello - Victor nella sua opera - sono andate avanti per anni e "molta gente era al corrente dei fatti". Era stato lui stesso a raccontare alla sorella che di sera il patrigno andava a trovarlo in camera da letto. Le clamorose rivelazioni contenute nel libro di Camille Kouchner hanno portato il patrigno a dimettersi da tutti gli incarichi alla Sciences Po. "Essendo oggetto di attacchi personali e desideroso di tutelare le istituzioni nelle quali lavoro, lascio i miei incarichi" ha scritto su Twitter il noto politologo, esperto di diritto costituzionale, che dirige anche un programma, 'Mediapolis', sulla radio Europe 1.
"Tutti sapevano degli abusi". Come riporta Repubblica, il direttore di Sciences Po, Frédéric Mion, ha definito la vicenda "terribile, inaudita, spaventosa". Ma Camille Kouchner non era l'unica, evidentemente, ad essere a conoscenza degli abusi commessi in passato da Olivier Duhamel che prima di dimettersi dal prestigioso ateneo, era diventato nel 2016 presidente della fondazione dell'università e dal gennaio scorso guidava l'esclusivo circolo LeSiècle. Mion ha spiegato di aver "appreso dalla stampa queste gravi accuse" salvo poi ammettere di essere stato informato anni fa. Voci, spiega Mion, "che mi erano state categoricamente smentite" citando un incontro con l'avvocato Jean Veil, amico intimo di Duhamel. "Ho mancato di discernimento" ammette Mion, respingendo però le richieste di dimissioni avanzate da alcuni gruppi di studenti. "Non ho mai partecipato alla costruzione del silenzio" sottolinea.
Francesca Pierantozzi per "il Messaggero" il 14 aprile 2021. La sua testimonianza è stata l' ultima, la più «difficile», ha detto una fonte giudiziaria all' agenzia France Presse: il costituzionalista e politologo Olivier Duhamel, ex direttore della Fondazione nazionale di Scienze politiche, docente universitario e intellettuale della gauche post-sessantottina, ha ammesso «con difficoltà» davanti agli agenti di aver abusato del figliastro Victor (il nome è di copertura), oggi 45enne, figlio della moglie Evelyne Pisier e dell'ex ministro Bernard Kouchner. Ha ammesso l'incesto. Da quando è esploso l'affaire, a inizio gennaio, Duhamel si è rifugiato nel silenzio, sparito da Parigi, via dalle tv e le radio dove da anni commentava la politica, il diritto e l' attualità, via dalla prestigiosa Fondazione che gestisce la facoltà di Sciences Po, via dall'esclusivo club Le Siècle. Ha trovato rifugio, secondo alcuni, proprio nella villa di Sanary, in Provenza, al centro del libro che ha fatto esplodere tutto: "La familia grande" di Camille Kouchner, la sorella gemella di Victor, la vittima. È stata lei a rompere un'omertà durata decenni, dalla fine degli anni Ottanta, quando Victor aveva 14 anni e il patrigno, adorato dai ragazzi, abusò di lui, per almeno due anni, in camera sua, nell' appartamento in cui abitavano sulla rive gauche. Spesso dopo passava a dare la buonanotte a Camille, per lunghi anni «pietrificata nel silenzio e dal senso di colpa». «Tutti sapevano» ha scritto Camille. Tanti hanno scelto di ritirarsi dalla scena, non solo dentro la famiglia, ma anche nella famiglia più grande quella appunto degli amici, dei complici intellettuali o politici, fatta di scrittori, avvocati, gente di potere, quasi sempre di sinistra: si è dimessa l' ex ministra della Giustizia Elizabeth Guigou, che dirigeva la commissione parlamentare sull' incesto, si è dimesso il direttore di Sciences Po, Frédéric Mion, ha lasciato le sue funzioni accademiche e universitarie Marc Guillaume, ex segretario generale del governo. Tanti sono stati ascoltati come testimoni dopo l'apertura dell' inchiesta per «violenze e aggressioni sessuali da parte di persona con autorità su minore di 15 anni». Ha parlato Victor, che per la prima volta ha sporto denuncia, hanno parlato Camille e suo padre, Bernard Kouchner (che era stato messo al corrente anni dopo), hanno parlato anche il fratello e la sorella di Camille e Victor, figli adottivi di Olivier Duhamel e Evelyne Pisier. Duhamel, 69 anni ha riconosciuto le «aggressioni sessuali», non gli stupri. I fatti sono ormai prescritti. Duhamel è dunque uscito libero dall' interrogatorio. Non c' è stato nessun fermo, non ci sarà nessun processo. È stata comunque aperta un' inchiesta, sia per dare la parola alla vittima, sia per verificare che non ce ne siano state altre. Il figlio adottivo, che ha espresso solidarietà al fratello, ha detto di non aver mai subito violenze in casa. Victor era stato interrogato una prima volta nel 2011, poco dopo la morte della zia, l' attrice Marie-France Pisier, trovata morta suicida legata a una sedia in fondo a una piscina. Anche lei sapeva. Era stata l'unica della famiglia a volere che l'affare fosse rivelato, invano aveva cercato di convincere la sorella a denunciare, aveva lasciato lettere e e-mail. All'epoca Victor aveva ammesso le violenze, ma non aveva voluto denunciare. Il libro di Camille Kouchner ha avuto un effetto dirompente, rilanciando anche il dibattitto sull' età del consenso sessuale: l'Assemblée Nationale si appresta a votare una legge che fisserà a 15 anni l' età al di sotto della quale nessun giovane può essere considerato consenziente a un rapporto sessuale con un adulto.
Da nssmag.com il 30 dicembre 2020. Nelle ultime ore, TikTok prima e Instagram poi sono diventati il safe space nel quale diversi modelli, addetti ai lavori, semplici studenti e commessi hanno avuto modo di raccontare i loro incontri, tutt'altro che piacevoli, con Alexander Wang. Per tutti infatti il racconto andava in un'unica direzione: sono stati in molti, in particolare modelli sia uomini che trans, ad accusare il designer americano di molestie sessuali. La nuova ondata di accuse nei confronti del designer, non nuovo a questo tipo di insinuazioni, è partita da TikTok, dove il modello Owen Mooney ha raccontato la propria esperienza risalente al 2017: in un club di New York pieno di gente Wang avrebbe infatti palpeggiato e molestato Mooney, il quale ha riconosciuto immediatamente l'autore delle molestie. Sebbene nel primo video Mooney non faccia esplicitamente il nome di Wang, preferendo invece l'espressione "really famous fashion designer", nei commenti moltissimi hanno intuito che si trattasse di Wang, tanto che in un successivo video è stato lo stesso Mooney a confermare l'identità dell'assalitore. Il modello ha continuato dicendo: "Alexander Wang è un grande predatore sessuale, e ci sono tantissime altre persone a cui ha fatto ciò che ha fatto a me. Per questo, è arrivato il momento che venga denunciato". Dopo aver repostato il video di Mooney, @shitmodelmgmt, ironica pagina Instagram dedicata alla narrazione delle gioie e dei dolori dell'essere un modello, che si propone anche come un safe space in cui testimoniare insidie e delusioni di questa industria, si è trovata sommersa dai racconti di altre persone, modelli e non, che hanno avuto esperienze simili con Wang. Se per Mooney la molestia si era fermata al palpeggiamento, negli episodi raccontati a @shitmodelmgmt emerge un pattern ben più grave e definito nel comportamento di Wang, che in base a quanto hanno raccontato le sue presunte vittime, era costituito da droghe - spesso somministrate all'insaputa della vittima - e rapporti intimi non consensuali con vittime a volte persino incoscienti, indipendentemente se fossero gay o no. @shitmodelmgmt chiede ai propri follower di defolloware le pagine IG ufficiali collegate ad Alexander Wang, @alexwangny e @alexanderwangny, dove in ogni caso è stata tolta l'opzione per commentare i Post, chiedendo più in generale di boicottare il brand e di continuare a raccontare la "verità" su Wang. Mentre si attende ancora una dichiarazione o quanto meno una reazione da parte di Wang, questa ondata di accuse ha acceso i riflettori su un fenomeno, quello delle molestie su modelli uomini e trans, raramente trattato dai media tradizionali o da quelli di settore, una questione che anche in quel grande momento di unità collettiva che fu il #MeToo non trovò mai veramente spazio. In ogni caso, va sottolineato come l'industria della moda abbia sempre avuto parecchie difficoltà nell'affrontare questioni spinose come le molestie sessuali. Se in alcuni casi i presunti colpevoli sono spariti dalle copertine dei magazine e dagli shooting più importanti, come ad esempio Bruce Weber, altri continuano a lavorare indisturbati, nascondendo sotto al tappeto racconti e accuse degli addetti ai lavori, fregiandosi di una certa protezione tipica dell'industria, che, soprattutto nel caso di gravi accuse, occorrerebbe rompere.
· Le Violenze di Genere: Maschicidi e femminicidi.
Ammazza la moglie e si costituisce: fermato. Sono 100 i femminicidi. Redazione il 27 Dicembre 2021 su Il Giornale. "L'ho gettata dal ponte, basta, non ce la facevo più". Angelo Bernardone, 74 anni, ex metalmeccanico dell'area industriale della Val di Sangro, ha ucciso la moglie Maria Rita Conese, 72 anni. «L'ho gettata dal ponte, basta, non ce la facevo più». Angelo Bernardone, 74 anni, ex metalmeccanico dell'area industriale della Val di Sangro, ha ucciso la moglie Maria Rita Conese, 72 anni, buttandola in un fiumiciattolo, un rigagnolo forse gonfiato dalle piogge di queste ore, dall'altezza di 10 metri sulla provinciale che da Casalbordino porta ad Atessa, paese originario della donna. La donna era gravemente malata di Alzheimer. L'ha uccisa e poi è andato direttamente in caserma a confessare.
Costernato il sindaco Filippo Marinucci: «Forse un gesto disperato, di impeto: in paese Bernardone era conosciuto come una brava persona. Siamo davvero colpiti, nulla avrebbe fatto presagire questa tragedia». L'uomo in caserma è stato poi arrestato con l'accusa di omicidio volontario: secondo una prima ricostruzione avrebbe fatto tutto da solo, al culmine di una ulteriore discussione aggravata dalle condizioni alterate della donna che aveva chiesto al marito di andare al cimitero di Atessa per trovare i genitori lì sepolti.
La donna è stata trovata già morta nell'acqua e a nulla sono valsi i soccorsi dei carabinieri di Casalbordino. Inutile anche l'intervento di un elicottero. Sul caso e sul luogo della tragedia immediato l'intervento della procura di Vasto con il pm Michele Pecoraro che nelle prossime ore formalizzerà il fascicolo con i capi di imputazione, anche dopo la autopsia della donna che è già stata disposta dal magistrato. Sembra comunque scontato in queste ore il suo trasferimento in carcere.
È l'ennesimo caso di femminicidio, il secondo delle feste natalizie dopo quello di Amelia (Terni), dove un ottantenne medico in pensione la notte della vigilia di Natale ha ucciso la moglie, ex maestra, anche lei gravemente malata. Secondo i dati del Viminale si tratta del 100esimo caso di omicidio di donna in ambito familiare del 2021.
"Venite, uccide mamma". Padre in carcere 6 anni. Stefano Vladovich il 27 Dicembre 2021 su Il Giornale. Condanna confermata per il 40enne indiano. Decisiva la denuncia del figlio ai carabinieri. Picchiata e violentata in piena notte. Calci, schiaffi, pugni e minacce persino con un'ascia. Da anni una casalinga di 35 anni della bassa reggiana subisce vessazioni d'ogni genere. Fino a quando il figlio di 12 anni chiede aiuto al 112. Quando i carabinieri di Novellara, Reggio Emilia, arrivano sul posto sentono delle urla agghiaccianti.
È lo stesso bambino ad aprire la porta in lacrime. «La sta ammazzando di botte, fermatelo». I militari lo bloccano e l'arrestano in flagranza di reato mentre l'orco, un cittadino indiano di 40 anni, prova a difendersi. «È mia moglie, non deve dormire». Scatta una prima denuncia, viene aperto un fascicolo secondo il «codice rosso», la nuova legge che tutela donne e soggetti deboli avviando indagini immediate.
Coordinati da un paio di magistrati, i carabinieri del posto sottopongono la donna e il ragazzino al regime di protezione. L'uomo, intanto, viene messo agli arresti domiciliari nell'abitazione di alcuni connazionali in attesa della decisione del gip. I carabinieri di Novellara mandano l'informativa al reparto operativo di Reggio e da questo in Procura. L'episodio, dell'agosto 2019, è solo l'ultimo di una lunga serie di vessazioni fisiche che la poveretta subisce da almeno sei anni, spesso davanti al figlio a dir poco terrorizzato, anche lui picchiato senza motivo.
Un padre-padrone, lo definiscono gli stessi investigatori, che cercano di capire il perché di tanta violenza. Nemmeno la donna, affidata ai servizi sociali, riesce a spiegare i motivi per cui il marito la picchia. «Quando mi trova a letto, anche di notte, mi sveglia dandomi una scarica di botte. Non vuole che dorma». Non solo. L'uomo la violenta sistematicamente anche davanti al figlio. L'indagato, un operaio, parla poco e davanti al gip accenna a vaghe giustificazioni, tanto che viene rinviato a giudizio. Una storia inquietante che porta il 40enne alla sbarra. Le accuse sono pesanti: maltrattamenti in famiglia aggravati dall'averli commessi davanti a un minore, lesioni personali, violenza sessuale. In primo grado viene condannato a sei anni di reclusione con decreto di espulsione dal territorio nazionale a fine pena. Perde anche la tutela del figlio, affidato in maniera esclusiva alla madre.
L'uomo ricorre in appello. È convinto di essere nel giusto, lui: «Con mia moglie sono io che comando, da noi è così che funziona una famiglia». A novembre, nel processo di secondo grado, viene confermata la prima sentenza. La condanna diventa esecutiva e alla vigilia di Natale lo straniero finisce in carcere. Dovrà trascorrere ancora 5 anni, 11 mesi e 23 giorni di reclusione dietro le sbarre, poi verrà espulso dall'Italia dove non potrà più tornare. La donna è in una struttura protetta e il figlio, oggi 14enne, con l'aiuto dei servizi sociali sta superando i traumi subiti.
Una storia drammatica, come tante altre. Sono centinaia i procedimenti aperti dopo l'approvazione della legge che difende le vittime di reati commessi in ambito familiare, tutti coordinati da un pool di magistrati che lavora con investigatori qualificati. Spesso, però, tra l'apertura dei fascicoli d'indagine, i rapporti degli assistenti sociali, le decisioni dei giudici (a volte divisi fra Tribunale dei minori e Tribunale ordinario) passano mesi e i provvedimenti tardano ad arrivare. «In questo caso è stata fondamentale la flagranza di reato - commentano gli inquirenti - che ci ha permesso di fermare l'indagato allontanandolo dalla moglie e dal figlio». Stefano Vladovich
La denuncia della D.i.Re. Violenza contro le donne, la denuncia: “Vittime anche dei giudici”. Roberta Caiano su Il Riformista il 23 Settembre 2021. «Nelle ultime due settimane in Italia si sono consumati ben otto femminicidi e molte delle vittime subivano violenza maschile da diversi anni. Nella maggior parte dei casi si tratta di maltrattamenti – riporta l’agenzia Dire – che avvengono tra le mura domestiche», una violenza che, come sottolineato dalla D.i.Re, Donne in rete contro la violenza, non viene adeguatamente riconosciuta. Anzi oltre il danno spesso c’è anche la beffa: la violenza fisica e psicologica subita viene in più occasioni accompagnata dalla cosiddetta vittimizzazione secondaria, ossia la condizione di sofferenza della vittima che, a causa di procedimenti giudiziari contraddittori soprattutto in materia di affidamento dei figli, è scoraggiata a sporgere denuncia.
«Il 74,1% delle avvocate dichiara che l’alienazione parentale (Pas) o altri comportamenti manipolatori da parte della madre sono citati nelle relazioni delle Ctu, consulenze tecniche d’ufficio, che nel 94% dei casi non pongono domande in merito alla violenza subito e/o assistita. Ma nella totalità dei casi il/la giudice, acquisita la relazione del/la Ctu, assume nel proprio provvedimento (definitivo o interlocutorio) i suggerimenti proposti dal/la Ctu, senza sottoporre la relazione peritale ad alcun giudizio critico». È quanto emerge dall’indagine curata da Titti Carrano, Elena Biaggioni e Paola Sdao e dalle avvocate Ethel Carri e Maria Cristina Cavaliere della rete D.i.Re, presentata ieri in occasione del digital talk ‘Il (non) riconoscimento della violenza domestica nei tribunali civili e per i minorenni”, al quale hanno partecipato Marta Cartabia, ministra della Giustizia che a causa di impegni istituzionali ha dato il suo contributo con una lettera di saluti, Elena Bonetti, ministra per le Pari Opportunità e la Famiglia, Valeria Valente, senatrice e presidente della Commissione d’inchiesta sul femminicidio, Carla Garlatti, Garante per l’Infanzia, Monica Valletti, magistrata e Gianmarco Gazzi, presidente del Consiglio Nazionale dell’Ordine degli assistenti sociali.
«Le decisioni prese dai tribunali civili e per i minorenni provocano la vittimizzazione secondaria delle donne che subiscono violenza di genere. Un passo in avanti è stato compiuto: la violenza domestica sarà riconosciuta come tale dalla legge che ridisegnerà la giustizia civile. Non si parlerà, dunque, più di conflitto bensì di violenza. Questa è una conquista importante ma non basta. La riforma della giustizia darà i propri frutti solo se i magistrati saranno adeguatamente formati sui processi che riguardano la violenza subita dalle donne». Questo il monito lanciato da Antonella Veltri, presidente D.i.Re, Donne in rete contro la violenza. «Anziché ottenere giustizia- ha aggiunto- le donne diventano vittime per una seconda volta quando emerge il tema dell’affidamento dei figli, spesso invocato dai padri maltrattanti nonostante il rifiuto dei bambini. Il sistema di antiviolenza italiano ha molte falle. Navighiamo a vista. Il Piano nazionale di antiviolenza è scaduto da più di un anno. La politica- conclude- deve assumersi le proprie responsabilità altrimenti avrà sulla coscienza le donne che continueranno a subire violenza anche nei tribunali a causa di provvedimenti controversi che le rendono vittime per la seconda volta». Roberta Caiano
Il caso a Benevento. Il caso del marito che costrinse la moglie a un rapporto, e le analogie con lo stupro in blue jeans del 1999. Tiziana Maiolo su Il Riformista il 23 Dicembre 2021. Se i magistrati cessassero di credersi psicologi e sociologi. Se i giornalisti e i commentatori di editoriali leggessero ordinanze e sentenze prima di trarre conclusioni ed emettere giudizi. Se infine ogni uomo capisse che il “no” di una donna non è un “forse”, ma proprio un no. Se tutto ciò accadesse, la notizia di Benevento non avrebbe meritato una riga in cronaca e soprattutto nessuno dei tanti editoriali virtuosi al profumo di Me Too. Quel che è accaduto sulla stampa negli ultimi tre giorni, mi ha ricordato un episodio analogo di tanti anni fa, nel 1999, la storia dello “stupro in blue-jeans”.
Piccolo riassunto dell’episodio di oggi per i più distratti, quelli che non hanno letto il 19 scorso il Fatto quotidiano e l’incredibile novità di vederlo schierato –udite, udite- contro un Pubblico ministero. Una donna pm, per la precisione, di Benevento, la dottoressa Flavia Felaco, la quale, nel giudicare le denunce penali parallele di due coniugi in fase di separazione piuttosto turbolenta, ha chiesto al gip di archiviare tutto. Lui denuncia la moglie per sottrazione di minori (lei se ne è andata con i figli), lei a sua volta dice di aver subito violenza, e «parla di pressione esercitata dal marito che la faceva sentire obbligata ad avere rapporti sessuali con lui». Il problema nasce da un evidente fraintendimento tra coniugi. È la contraddizione uomo-donna, antica come il mondo. Perché il maschio non accetta il rifiuto, ma anche perché trova comodo pensare che un “sì” iniziale valga anche successivamente, e addirittura che quel “sì” pronunciato sull’altare o davanti al sindaco diventi anche un impegno sessuale per la vita. Magari anche tra coniugi ottantenni, se lui si è procurato la pillolina blu. Non è così, e ogni donna lo sa. E a volte si sente in dovere di accondiscendere alla richiesta di lui.
Quel che non è chiaro è perché la pm, che evidentemente dopo aver sentito le parti in causa, si era convinta di una “sostanziale pariteticità” nella situazione di conflitto tra i due, abbia sentito il bisogno di fare la sociologa e la psicologa. E quindi di scrivere, nella richiesta di archiviazione, che è «comune» negli uomini ritrovarsi a «dover vincere quel minimo di resistenza che ogni donna, nel corso di una relazione stabile e duratura, nella stanchezza delle incombenze quotidiane, tende a esercitare quando un marito tenta un approccio sessuale». Apriti cielo. Queste parole sono state interpretate, con giudizi a volte violenti, come l’ottocentesca ritrosia delle fanciulle che lasciavano cadere un fazzolettino profumato, facevano smorfiette dicendo “no, no” con quella piccola resistenza che era in realtà un invito all’uomo ad andare avanti.
Ora, qualcuno fornito di buon senso può pensare che una donna, pure in toga ma sempre donna, possa aver scritto la frase infelice della dottoressa Felaco con quell’intenzione? Molto, molto difficile. Può aver valutato in modo erroneo la situazione tra i due coniugi in conflitto tra loro. Ma noi che cosa sappiamo di questo caso specifico? Che cosa ne sanno tutti coloro, donne e uomini, che si ergono sempre a “dar buoni consigli” magari perché non possono più “dare il cattivo esempio”?
Ecco perché questa storia mi ricorda tanto quella del 1999, su cui mi ero documentata, quella che portò alcune mie colleghe deputate del Polo delle libertà a manifestare in blue-jeans davanti a Montecitorio, cosa che io rifiutai di fare, perché avevo letto le carte. Nella sentenza di assoluzione di un istruttore di guida accusato di violenza da una ragazza cui aveva dato lezione, si affermava, tra l’altro, che, oltre alla totale assenza (documentata) di prova dello stupro, la ragazza indossava dei jeans particolarmente attillati difficili da sfilare, se non spontaneamente, all’interno di un’auto piuttosto piccola. Un’altra frase infelice e stupida. Che è finita, insieme alle foto delle mie colleghe in jeans, all’attenzione della Cnn, del NYT e del Washington Post. La storia si ripete nei suoi errori. Dei magistrati, della stampa e a volte anche della politica.
Tiziana Maiolo. Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.
Benevento, il pm scagiona l'ex marito violento: "Quel coltello alla gola era uno scherzo". Conchita Sannino su La Repubblica il 19 Dicembre 2021. L'avvocato della donna a Repubblica: "Così facciamo passi indietro..." “Siamo di fronte ad una vicenda che sembra vanificare anni di battaglia contro la violenza sulle donne e sui più fragili, soprattutto tra le mura domestiche” . L’avvocato Michele Sarno è il difensore della donna che a Benevento, avendo lasciato il coniuge per il clima “di prevaricazione” in cui viveva immersa, ha visto bocciare “la propria richiesta di giustizia”, poiché il pubblico ministero ha chiesto l’archiviazione delle accuse a carico del marito.
Da huffingtonpost.it il 20 giugno 2021. Fa discutere suscitando polemiche la motivazione con la quale un pm della Procura di Benevento ha chiesto l’archiviazione della denuncia di una donna per violenza da parte del marito. Agli atti c’è la sua considerazione che a volte l’uomo deve “vincere quel minimo di resistenza che ogni donna, nel corso di una relazione stabile e duratura, nella stanchezza delle incombenze quotidiane, tende a esercitare quando un marito tenta un approccio sessuale”. Nelle motivazioni - riportate dal Fatto Quotidiano - i presunti atti violenti denunciati dalla donna sono ritenuti “fatti carnali che devono essere ridimensionati nella loro portata” anche perché commessi “in una fase del rapporto coniugale in cui” lei “ha messo seriamente in discussione la relazione, meditando la separazione”. La Procura di Benevento, guidata da Aldo Policastro, con una nota, tiene a sottolineare: “da noi nessuna sottovalutazione del seppur minimo approccio costrittivo nei rapporti interpersonali tra uomo e donna”. E si evidenzia che l’opposizione all’archiviazione presentata dalla donna “è all’esame dell’ufficio” che, viene sottolineato, ”è assolutamente estraneo alla prassi e agli orientamenti di tutto l’ufficio ogni e qualsiasi sottovalutazione del seppur minimo approccio costrittivo nei rapporti interpersonali tra uomo e donna e in generale in quelli che involgano la liberta in generale e quella sessuale in particolare”. E a testimonianza di ciò si riporta l’impegno di tutto l’ufficio in tema di violenza di genere con la costituzione, fin dal 2017, e la quotidiana operatività dello Spazio ascolto per le vittime vulnerabili e di violenza di genere e del Tavolo tecnico interistituzionale che ha già varato protocolli comuni e di rete, direttive condivise tra ben 27 enti partecipanti, corsi di formazione per operatori e polizia giudiziaria insieme alle Università operanti sul territorio, momenti di confronto e di approfondimenti sulla violenza di genere con la cittadinanza e le scuole del territorio e facilitato l’adozione dei percorsi rosa negli ospedali del territori”. Sconcertata è la deputata di Italia Viva, Silvia Fregolent, per la quale “le motivazioni della richiesta di archiviazione a Benevento, da parte del pubblico ministero, sulla denuncia di una donna nei confronti del marito per violenza sono francamente allucinanti”. “Se il fatto non sussiste venga detto chiaramente mentre minimizzare significa non solo offendere la dignità delle donne ma mettere a rischio la vita delle persone. È stato appurato che moltissimi femminicidi, addirittura uno su sette, potevano essere evitati se le denunce fossero state prese sul serio. Qui siamo di fronte a giudizi da parte del pm che riportano il paese ai tempi del delitto d’onore”, conclude la parlamentare.
Conchita Sannino per “la Repubblica” il 21 dicembre 2021. «No, non me lo sarei mai aspettato. Quando il mio legale mi ha spiegato che un magistrato scagionava il mio ex, con l'immagine dell'uomo che deve vincere le resistenze della donna per ottenere un rapporto sessuale, mi sono sentita ferita di nuovo. Ammetto: mi ha scioccata sapere che quelle parole venivano da una pm donna». Audrey Ubeda è la 38enne che ha denunciato l'ex compagno, G. P., per violenza sessuale e maltrattamenti alla procura di Benevento. La titolare del fascicolo ha chiesto l'archiviazione, smontando l'accusa di stupro con un'interpretazione che ha aperto un caso. Assistita dall'avvocato Michele Sarno, Audrey accetta di incontrare Repubblica in luogo protetto. Oggi vive in un Centro antiviolenza con i suoi bambini.
Signora Ubeda, non teme per la sua incolumità?
«No, non ho motivo per nascondermi non devo vergognarmi. Anzi stamane sarò in tv, a Mattino Cinque ». Dice Sarno: «Siamo fiduciosi che la nostra opposizione sarà accolta e saluto con favore il comunicato del procuratore Policastro che denota equilibrio e sensibilità».
Che vita aveva prima di conoscere il compagno?
«Sono nata a Mulhouse, in Francia, padre spagnolo, ma mia madre è campana, quindi l'Italia è mia casa. Aono laureata in Economia, lavoravo per un'azienda che si occupava di pannelli pubblicitari. Da quando ho conosciuto G., lui non è mai riuscito a trovare un lavoro stabile. E tutti i problemi venivano da lì: all'inizio eravamo in Francia e portavo io la casa avanti».
Poi, la crisi?
«Sono trascorsi una decina d'anni in tutto. Quando siamo venuti in Italia, come voleva lui, abitavamo in un paesino dell'Avellinese, con sua madre a pochi metri».
È in questo clima che maturano le violenze?
«Sì. Sono diversi gli episodi. Io non potevo di dire di no alle sue richieste sessuali. Si faceva aggressivo, decideva lui come e dove e mi costringeva».
Sicura di aver fornito elementi utili a provare lo stupro?
«Certo, ho accumulato rabbia e umiliazioni, e credo d'essere una donna formata: so quel che dico. Se parlo di violenza è perché la mia volontà non contava. Ero un oggetto nelle sue mani».
Riesce a spiegare?
«Mi svegliava nel cuore della notte, levandomi gli indumenti intimi, e mi costringeva ad avere rapporti, anche se con noi dormiva il piccolo. Dicevo: no e no. Ma non potevo fare scenate».
Il suo ex alludeva anche al femminicidio, in alcune occasioni?
«Sì, spesso. Il caso più eclatante due anni fa. Lui che prende il coltello, me lo avvicina alla gola e indicando il tg che parlava dei femminicidi, mi dice: un giorno parleranno di noi. Mia madre era presente: scioccata. Dopo un po' venne a vivere con noi».
Lei un giorno abbandona casa e porta via i bambini. Come ha fatto?
«Ho seguito alla lettera le indicazioni dei carabinieri: tieni un profilo basso, non reagire, non provocare, fino al giorno in cui mi trovarono posto in un Centro antiviolenza».
Era il 24 maggio scorso .
«Sangue freddo, doveva sembrare un giorno come gli altri. I miei figli di 10 e 7 anni a scuola. I carabinieri mi fanno una convocazione ad hoc. Io preparo la valigia in un quarto d'ora e vado in caserma. Da lì, con i militari, andiamo a prendere a scuola i piccoli. E non siamo più tornati».
E lui?
«Mi fa una ventina di telefonate, io non rispondo. Ma la forza me l'hanno data i bambini: anche loro hanno subìto maltrattamenti. Il padre li batteva con la cintura dei pantaloni, stanco di sentirli giocare».
La pm parla di eccesso di mezzi di correzione.
«Perché è successo solo due o tre volte? Per me una era già troppa».
Tra 48 ore , Audrey, lei compie 39 anni, Pentita di aver denunciato?
«No, anzi. Ci credo ancora nella giustizia. E capisco, dopo quello che è accaduto, che questa battaglia va combattuta a testa alta, tutti insieme»
Perchè il 25 novembre è la Giornata del Femminicidio: la storia delle sorelle Mirabal. Luciana De Luca su Il Quotidiano del Sud il 25 Novembre 2021. NEL 1999 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite dichiarò ufficialmente il 25 novembre Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Quel giorno, infatti, sono state uccise le tre sorelle Mirabal. Patria, Minerva e Maria Teresa, meglio conosciute come “Las Mariposas” (le Farfalle), crebbero nell’ambiente della ricca borghesia della Repubblica Dominicana e dopo aver combattuto per la libertà ed essersi opposte alla dittatura di Rafael Trujillo, vennero violentate, seviziate e uccise per ordine dello stesso dittatore. Era il 25 novembre del 1960. Quel giorno Minerva e Maria Teresa decisero di far visita ai loro mariti in carcere, Manolo Tavarez Justo e Leandro Guzman, le accompagnò anche Patria. Fu proprio durante il tragitto che le sorelle rimasero vittima di un’imboscata organizzata dai servizi segreti di Trujillo che poi gettarono il veicolo su cui viaggiavano da una scogliera nel tentativo di simulare un incidente. Nessuno vi credette e progressivamente Trujillo perse sempre più potere fino a che non venne assassinato nel 1961. L’uccisione delle tre sorelle Mirabal scosse le coscienze e “Las Mariposas” divennero un simbolo di forza e resistenza. Le sorelle sfidarono senza paura il regime fin da quando Minerva, nel 1949, durante la festa di San Cristobal, organizzata a Salcedo dallo stesso Trujillo, dichiarò le proprie idee politiche davanti alla folla di ricchi sostenitori del dittatore. Solo Bélgica Adela (Dedé), la quarta sorella Mirabel si salvò. Non era con loro il giorno in cui vennero assassinate: trascorse la sua vita a testimoniare la violenza del regime di Trujillo, le persecuzioni di cui fu vittima tutta la sua famiglia e a prendersi cura dei sei nipoti rimasti orfani. Nel 1981, nel primo incontro femminista latinoamericano e caraibico svoltosi a Bogotà, in Colombia, venne deciso di celebrare il 25 novembre come la Giornata internazionale della violenza contro le donne, in memoria delle sorelle Mirabal.
Le pene previste dalla legge. Femminicidi, il codice rosso non funziona perché scoraggia le vittime. Alberto Cisterna su Il Riformista il 2 Dicembre 2021. Secondo l’Istat solo il 10% delle donne che subiscono violenza o atti di persecuzione denunciano i propri aguzzini. Secondo l’associazione D.i. Re – Donne in rete contro la violenza – questa percentuale può essere innalzata sino al 27%. Sempre poche. Sempre in troppe soccombono e in tante muoiono in spirali ininterrotte di sopraffazione. Non si riesce a venirne a capo. Il ministro Cartabia ha annunciato un nuovo round legislativo. Una nuova stretta probabilmente. E se il problema fosse proprio il Codice rosso? E se alla base di questa indifesa omertà vi fosse proprio la terribile gravità delle sanzioni che l’ordinamento prevede a carico di stalker, violenti, abusatori? Non è un terreno, questo, in cui si possono tollerare provocazioni o polemiche strumentali, tuttavia bisogna pur tentare di comprendere perché – a dispetto di un profluvio di pene, di misure di prevenzione, di diffide, di manette e quant’altro dispensato in questi anni a piene mani dalla politica, sino alla legge 69 del 2019 (il Codice rosso appunto) – la situazione non migliori. Anzi, presenti evidenti segnali di peggioramento. Una spiegazione, forse, si può cercare proprio nell’estrema gravità delle conseguenze che una denuncia può comportare per il nemico che si annida, tante volte, tra le mura domestiche. La crisi delle relazioni affettive, la fine delle vite in comune, i figli, le nuove esistenze, gli allontanamenti, le fughe coinvolgono persone che si sono amate, si sono scelte, hanno attraversato insieme deserti e si sono dissetate in oasi sempre più rade e asciutte. Non è facile denunciare. Non è facile entrare in un posto di polizia o in una procura e mettere a nudo la propria sofferenza e, in parte, anche i propri fallimenti. L’esperienza insegna che tante volte si ha pudore a dire di aver sbagliato uomo, di aver mal giudicato un compagno, di essersi messo accanto un violento. A questa ritrosia si aggiunge la difficoltà – tutta femminile, tutta umana, tutta misericordiosa – di sopportare l’idea delle manette, del processo, del carcere per chi si è amato, e talvolta tanto. Ecco la scure punitiva che tanto esalta i seguaci della forca giudiziaria si erge essa stessa a freno. Tanto più la reazione dello Stato è dura e inflessibile, di altrettanto cresce il timore di “rovinare” per sempre chi pur si è amato e con cui una parte della vita è pur trascorsa insieme. Molte volte gli uomini neri sono persone fragili, sconnesse, se non malate, le donne lo sanno. Paranoici o mitomani come i tanti che si incontrano tutti i giorni e dappertutto; quelli che imprecano agli alimenti, all’allontanamento da casa, a una vita immiserita da una nuova povertà, alle ex mogli e alle ex compagne che tentano di ricostruirsi un’esistenza. Lo sanno tutti dove covano l’odio e il risentimento, spesso passano per le aule di giustizia chiamate a dirimere conflitti e contrasti. Altre volte fuori in esistenze più precarie. Ma un dubbio si staglia inquietante: se lo Stato appresta patiboli punitivi non sembra ragionevole mettere in piedi un sistema che alle donne, alle vittime assegni inevitabilmente il ruolo del boia. È la trappola che il legislatore, suggestionato o anche solo emozionato da tanto orrore, ha un po’ alla volta approntato per le donne. Le ha spinte innanzi a un’alternativa cinica e feroce: mettere le manette ai polsi di chi si è amato con il cuore gonfio di tristezza e sofferenza oppure tacere e, troppe volte, morire. Mitigare, graduare, proporzionare, curare, allentare, aiutare. Declinare l’umanità in norme possibili, non mettere le vittime con le spalle al muro e chieder loro di premere il grilletto. Alberto Cisterna
Quei 247 femminicidi dall’inizio dell’anno vogliono giustizia. Paola Carella su Culturaidentità il 24 Novembre 2021. Patria, Minerva e Maria Teresa Mirabal stuprate, torturate, massacrate a colpi di bastone, strangolate e infine gettate in un precipizio da agenti del servizio d’informazione militare. Era il 25 Novembre 1960, a Ojo de Agua nella Repubblica Dominicana. Trentanove anni dopo, il 17 dicembre 1999, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, con la risoluzione 54/134, dichiarava il 25 novembre, Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne in loro memoria. I dati sono preoccupanti: nonostante le manifestazioni, i dibattiti, le panchine rosse, gli spot, i confronti e i convegni non bastano a sradicare questo fenomeno dilagante che affonda le proprie radici in una sorta di subcultura in cui la donna ha un ruolo inferiore rispetto all’uomo. Un retaggio culturale che vede le stesse donne incapaci di riconoscere una qualsiasi forma di violenza fisica e psicologica. Dall’inizio di quest’anno in Italia sono stati registrati 247 omicidi: nel 72% dei casi l’autore è il marito o l’ex marito; in 1 caso su 2 ha usato un’arma da taglio. “Per educare alla non violenza è necessario lavorare fin dall’infanzia sulla creazione di relazioni positive e paritarie – spiega Paola Radaelli, presidente di Unione Nazionale Vittime – è importante creare occasioni di confronto per gli adolescenti per educare alla non violenza. Il lavoro di sensibilizzazione e prevenzione deve passare attraverso la consapevolezza di sé stessi e del proprio rapporto con gli altri. È necessario fin dall’infanzia sviluppare la capacità di costruire relazioni sane, in cui vengano abbattuti gli stereotipi culturali che sottendono a una disparità di genere nella società”. Dobbiamo riconoscere i meccanismi che stanno alla base della violenza perché questo sta alla base di una lotta concreta e reale e bisogna farlo a scuola, attraverso una educazione sentimentale, considerando che da una ricerca fatta da IPSOS per WEWORLD 3 persone su dieci non considerano violenza dare uno schiaffo alla partner se lei ha flirtato con un altro, e il 20% di loro condivide questo pensiero. Ancora, un italiano su tre non considera violenza forzare la partner a un rapporto sessuale se lei non ne ha voglia; lo pensano circa quattro uomini e tre donne su dieci. Ma le donne non soltanto devono essere sostenute quando denunciano devono anche essere supportate economicamente quando decidono di denunciare la violenza domestica, per favorire percorsi di autonomia e di emancipazione:” Occorre ancora lavorare molto sull’impianto normativo, anche se l’Italia dal 2009 si è dotata della legge Antistalking e del Codice Rosso, è necessario predisporre un maggior numero di risorse – dichiara Alessandro Continello, avvocato e vicepresidente UNAVI – il reddito di libertà, legge finanziata con soli 3 milioni di euro, coprirà al massimo 625 richieste, mentre le donne presso i centri antiviolenza in tutto il Paese sono circa 50.000, quindi molto insufficiente”. Stabilire fondi per la formazione degli operatori, delle forze dell’ordine, magistrati e sanitari, così come corsi di formazione sul linguaggio dei media per evitare la vittimizzazione secondaria sono ulteriori misure che uno Stato di Diritto non può ignorare.
103 femminicidi da inizio anno, uno ogni tre giorni. Redazione Rai News Bruxelles il 18 Novembre 2021. Sono 103 i femminicidi da inizio anno, al 14 novembre, secondo i dati del Viminale. In pratica uno ogni tre giorni. Dal 1 gennaio delle 103 vittime donne 87 sono state uccise in ambito familiare, di queste 60 hanno trovato la morte per mano del partner/ex partner. Analizzando gli omicidi in generale si è registrato un lieve decremento nel 2021 (-2%) visto che sono passati da 265 a 252: si registra un lieve aumento delle vittime donne, passate da 100 a 103 (+3%).
Francia, la denuncia della campionessa olimpica di judo: "Picchiata dal mio compagno, ma lui è stato prosciolto. Doveva ammazzarmi?". Margaux Pinot, oro a Tokyo con la squadra mista transalpina, ha pubblicato la foto del volto tumefatto. L'accusa verso l'allenatore, con cui convive. L'uomo è stato prima arrestato e poi rilasciato per insufficienza di prove. La Repubblica il 2 dicembre 2021. La campionessa olimpica di judo francese Margaux Pinot ha denunciato di aver subito violenza domestica dal compagno e allenatore Alain Schmitt, accusato di averla presa a pugni e di aver tentato di strangolarla nel corso di una lite nel fine settimana a Parigi. L'uomo, hanno riferito i media, è stato arrestato, ma ha negato ogni accusa definendola "falsa al 100%" e ha accusato Pinot di avere iniziato la lite. È stato prosciolto e liberato da un tribunale: secondo il giudice non ci sarebbero "sufficienti prove di colpevolezza" per procedere. La sportiva di 27 anni ha reagito, poco dopo l'udienza, pubblicando sui social media una fotografia del proprio volto gonfio e tumefatto, segnato da tagli e cicatrici. Ha scritto: "Quanto vale la loro difesa diffamatoria contro le mie ferite e il sangue sparso sul pavimento del mio appartamento? Cosa mancava? La morte alla fine, forse? Probabilmente è stato il judo a salvarmi. E il mio pensiero va anche a chi non può dire lo stesso". La campionessa, sempre online, aveva raccontato di essere "stata vittima di un'aggressione dal compagno e allenatore. Sono stata insultata, presa a pugni, la mia testa è stata sbattuta a terra più volte. Poi mi ha strangolata". La donna si era rifiugiata dai vicini di casa, che avevano chiamato la polizia. La procura ha annunciato che presenterà ricorso contro la decisione del giudice. Dal mondo del judo francese sono arrivati messaggi di sostegno per Pinot, mentre il presidente della federazione, Stéphane Nomis, si è detto scioccato dalla decisione del tribunale. In carriera Pinot ha vinto una medaglia d'oro alle Olimpiadi di Tokyo 2020 e un bronzo ai mondiali 2019.
La violenza sulle donne. L’uomo che non accetta la resa, Carmen ce lo ha insegnato. Otello Lupacchini su Il Riformista il 26 Novembre 2021. Anche se, stando alle statistiche, circa il 35% delle donne nel mondo ha subito una violenza, non v’è alcun dubbio che la violenza, in un modo o nell’altro, riguardi quasi tutte le donne: ci sono le botte, gli stupri, gli omicidi, ma c’è pure la sopraffazione psicologica, subdola, strisciante, che demolisce e uccide quanto un colpo di pistola; e ci sono altresì il ricatto economico, la privazione di denaro per costringere alla dipendenza, la discriminazione di genere. Chiunque si sia occupato, peraltro, di violenza maschile sulle donne sa bene che il fenomeno ha radici culturali profonde: oggi come ieri, la matrice della violenza contro le donne può essere rintracciata nella disuguaglianza dei rapporti tra uomini e donne e non è, dunque, un caso, che la stessa Dichiarazione adottata dall’Assemblea Generale dell’Onu parli della violenza di genere come di «uno dei meccanismi sociali cruciali per mezzo dei quali le donne sono costrette in una posizione subordinata rispetto agli uomini». Il movente «passionale o del possesso», stando ai dati del Secondo Rapporto Eures sul femminicidio, continua a essere il più frequente: nel dossier si rileva che «Generalmente è la reazione dell’uomo alla decisione della donna di interrompere/chiudere un legame, più o meno formalizzato, o comunque di non volerlo ricostruire». È tutt’altro che bizzarro, dunque, concentrare il fuoco dell’attenzione sulla Carmen di Georges Bizet e sulla omonima novella di Prosper Mérimée, da cui la prima fu tratta nel 1875, e farne l’oggetto di una riflessione sul femminicidio: Carmen è la prima eroina dell’opera lirica a essere assassinata sulla scena, anche se lo si potrebbe dimenticare, stanti gli omicidi di primedonne, come Desdemona, Salomé e Lulu, che seguono la sua scia. Quella di Carmen è stata spesso interpretata come una sventurata storia d’amore tra due mondi allo stesso livello, i cui destini casualmente si scontrano. Leggere, tuttavia, l’opera in quest’ottica equivale a ignorare le strutture sotterranee del potere sociale che le danno forma, poiché mentre il soggetto può apparire ripugnante, la Carmen è, di fatto, solo una delle molteplici proiezioni fantastiche che sottintendevano i concetti di razza, di classe sociale e gender, nel secolo XIX: al centro della vicenda c’è una battaglia, quella tra i sessi, e, sin dall’inizio, la donna è individuata come il nemico. Più che esplicita l’epigrafe al testo della novella di Mériméé, estratta da un passo del greco Pàlamida, su ciò di cui parla la vicenda: «Ogni donna è amara come il fiele, ma ognuna ha due buoni momenti, uno nel letto e l’altro nella tomba». Lo stesso campo di battaglia, il territorio che ossessiona soprattutto la scrittura di Mériméé, non è altro che il corpo della donna, poiché lungo l’evolversi della storia si presenta costantemente il problema di chi lo possiederà. La Carmen dell’opera lirica è certamente «addomesticata e contenuta», come promesso da Ludovic Halévy, autore del libretto con Henri Meilhac, rispetto allo stesso personaggio della novella di Mérimée: le attività criminali, per esempio il furto, sono omesse; Carmen, inoltre, non è più il capo dei contrabbandieri, ma obbedisce semplicemente all’autorità di Dancaïre; e se la Carmen della novella è anche una guaritrice che rischia la propria incolumità per salvare gli altri e la sua intelligenza si mostra nel suo modo diretto di conversare, il personaggio che emerge nell’opera agisce quasi esclusivamente seguendo il modello della femme fatale: la sessualità molto enfatizzata nella novella, costituisce praticamente la sua sola caratteristica per i primi due atti dell’opera. Il suo fascino, non di meno, è il fascino di Satana, di fronte al quale Don Josè è senza difese, dunque costui non può essere giudicato responsabile delle sue azioni. E quando Carmen gli dice che dovrebbe lasciarla, perché lei sarà la causa della sua impiccagione, lui non è in grado di separarsene, perché lei lo ha stregato. Ucciderla, quindi, diventa un atto finale di disperazione, l’atto necessario per ristabilire ordine e controllo. Insomma, Don José deve essere compatito e Carmen biasimata. Non è affatto logico, però, che Carmen meriti di essere stigmatizzata: le si attribuiscono caratteristiche che in altre circostanze sarebbero state degne di lode e, invero, autenticamente maschili. Il crimine per cui la donna è arrestata, lo sfregiare il volto di un’altra donna, non sarebbe stato inteso come tale se commesso da un maschio. L’onore e l’integrità di Carmen sono messi in discussione dalle altre donne, che l’accusano di essere una prostituta: come un qualsiasi uomo, francese o spagnolo, Carmen reagisce con forza e si difende prontamente con la sua arma. Dopo l’arresto, per poter fuggire, Carmen usa la tecnica di stabilire un legame, parlando la stessa lingua di chi l’ha catturata. La percezione di aver costituito un legame, di aver contratto un debito con Don José per averla lasciata fuggire, la porta all’inizio a pagarlo con una moneta a lei congeniale. Per Don José, tuttavia, il mezzo preferito di scambio è il possesso, non la libertà. Qui sta il fraintendimento tra i due. Carmen pensa che ciò che ha concesso liberamente per ripagare quanto considera un obbligo, la liberi dall’obbligo stesso. Don José, al contrario, considera il suo comportamento come segno del fatto che ora egli possiede Carmen e che la donna sia in debito verso di lui per sempre. Nonostante il tempo trascorso dalla pubblicazione della Carmen di Mérimée, dal debutto della Carmen di Bizet e dei ben venticinque secoli che ci separano da Pàlamida, da allora, nulla sembra sia cambiato, se alla luce degli studi condotti sulla violenza di genere sarebbe riduttivo pensare che tutto sia legato alla corporeità, là dove, purtroppo, la violenza si annida nelle relazioni, nell’idea del possesso degli uomini nei confronti delle donne, nella loro incapacità di gestire abbandoni e sconfitte. Comprensibile, dunque, che la convenzione di Istanbul, all’art. 14, preveda l’introduzione nelle scuole di ogni ordine e grado di una forma di educazione all’affettività e che il Consiglio d’Europa abbia formulato l’ulteriore invito di tenere conto delle trasformazioni sociali e passare, quindi, dall’educazione sessuale a quella sentimentale, che la contempla al suo interno. Forse è questa l’unica alternativa all’uso esclusivo e spesso meramente propagandistico dello strumento repressivo penale, atteso il fallimento della prevenzione che è, purtroppo, sotto gli occhi di tutti.
Otello Lupacchini. Giusfilosofo e magistrato in pensione
Femminicidi, davvero è un problema di gelosia? Storia (e casi) di un assurdo logico-giuridico. La27Ora su Il Corriere della Sera il 25 Novembre 2021. La gelosia — dice la Cassazione a proposito del femminicidio — è una circostanza aggravante, il suo posto è fra i motivi futili o abietti del movente. È riprovevole e pericoloso che l’autore del reato scelga, in sostanza, di uccidere la donna per «l’insubordinazione dimostrata e per l’offesa arrecata al suo malinteso senso d’orgoglio e di possesso». E, per essere più chiari, anche il codice penale (art.90) stabilisce che gli stati emotivi e passionali — rabbia, gelosia, paura, sorpresa — non escludono né diminuiscono l’imputabilità. Concetti ripetuti da anni. Eppure è ancora molto diffusa l’idea che essere «accecati dalla gelosia» sia invece un’attenuante. E la cosa stupefacente è che non è raro incappare in giudici e sentenze che fanno esattamente questo: depotenziano la condotta dell’assassino indicando il movente nella gelosia o in un raptus di rabbia improvviso, senza tener conto delle violenze precedenti e senza mettere assieme tutti i tasselli del puzzle della violenza (denunce, segnalazioni, confidenze ad amici e parenti...). Quando dieci anni fa abbiamo dato inizio alla nostra inchiesta sulla violenza domestica e presto ci siamo messe a contare le donne uccise nel nostro Paese — una dopo l’altra, ciascuna con la sua piccola grande storia — noi de @La27esimaOra (il blog al femminile del Corriere della Sera divenuto in poco tempo un laboratorio di linguaggi aperto a tutti) avevamo individuato quel tema — la gelosia che non è gelosia, l’amore malato che non è amore — come il tema-chiave della violenza di genere, dagli insulti verbali, alla botte, fino all’annientamento. Adesso, per la prima volta, la Commissione d’inchiesta parlamentare conferma che l’argomento è ancora presente, urgente, irrisolto fra gli operatori del diritto. Lo fa con la relazione appena approvata sulla «risposta giudiziaria ai femminicidi»: un lavoro imponente per studiare ogni singolo atto processuale di tutti i casi di morte degli anni 2017-2018 (furono 197), con la collaborazione incrociata di avvocati, magistrati, consulenti. I pm, per esempio, contestarono l’aggravante in 40 casi; il giudice la escluse in 17 sentenze. Scrive la Commissione: «L’inchiesta ha rilevato che, in gran parte delle sentenze di primo e secondo grado, la gelosia non solo in alcuni casi non è stata qualificata nei termini indicati dalla Cassazione come “motivo futile” ma, al contrario, ha inciso a favore dell’imputato in modo assai rilevante perché ritenuta un sentimento che legittima l’applicazione delle attenuanti generiche». La relazione sottolinea come «in una sentenza riguardante un uomo che aveva ucciso la moglie dopo aver scoperto che intratteneva una relazione con un’altra persona, si dice che l’imputato aveva avuto “l’impulso di uccidere a cui non ha resistito” e che questo escluderebbe la possibilità di applicare l’aggravante dei futili motivi, poiché era mosso dalla gelosia, come stato emotivo e passionale». Il comportamento dell’uomo «pur impetuoso ed efferato» diventa dunque «di tipo reattivo». Cioè: lui reagisce «al rifiuto — o al vissuto come provocatorio — della moglie», reagisce al suo «no» riguardo «alle richieste di tornare insieme e di avere, quella mattina, un rapporto sessuale». Con queste argomentazioni e con questo uso della parola, rileva la Commissione, «l’uccisione, anche crudele, della propria compagna non è mai frutto di una preordinata deliberazione, ma è sempre o la reazione alla condotta della vittima che, dunque, ne diventa corresponsabile perché se si fosse comportata diversamente la sua morte non sarebbe avvenuta, oppure è dovuta a una natura incontenibile dell’autore per la sua virilità ferita che, così, inconsapevolmente depotenzia la condotta e ne fa un atto a lui non del tutto riconducibile. La conseguenza è che, in molte sentenze, proprio la ricostruzione del femminicidio non come atto di volontà, ma come esito non voluto di un sentimento e di un impulso, ha una ricaduta sulle pene applicate». L’analisi porta a una conclusione, semplice, che sarebbe bello fosse anche definitiva: «Ritenere la gelosia un motivo per ridimensionare la pena costituisce un’inversione logico-giuridica che non trova spazio in nessun altro reato». La gelosia «viene contraddittoriamente recuperata per legittimare gli argomenti usati dagli imputati, che si descrivono come traditi e abbandonati dalla donna che hanno ucciso (quasi sempre dopo anni di violenze), con il rischio di universalizzare pregiudizi e generare un’aspettativa di tolleranza sociale rispetto alla violenza in palese violazione dell’articolo 12 della Convenzione di Istanbul». Riusciremo a ripartire da questo punto fermo, condiviso, scritto? Un femminicidio non ha niente a che fare con la gelosia, con un raptus, con il blackout di un momento. Non ha niente a che fare con l’amore, con un eccesso d’amore. È il punto di arrivo di un’oscurità che sta — da anni, secoli — dentro i corpi, dentro la società, le culture, le parole alle quali apparteniamo ma che possiamo cambiare.
Nell'anno della pandemia meno omicidi ma più femminicidi e i reati informatici. Agnese Ananasso su La Repubblica il 10 aprile 2021. I dati sulla diffusione del crimine diffusi dalla Polizia che oggi festeggia il 169esimo anniversario della fondazione. Nell'ultimo anno in Italia sono diminuiti gli omicidi ma cresciuti i femminicidi. Si sono moltiplicati i reati informatici, in particolare la pedopornografia e il revenge porn. Nel giorno del 169esimo anniversario della fondazione della Polizia di Stato, sono questi alcuni dei dati diramati sull'attività svolta nell'anno della pandemia dal personale della Pubblica sicurezza. E anche quest'anno, a causa delle restrizioni imposte dalla pandemia le celebrazioni si svolgono all'insegna della sobrietà. Questa mattina, il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese, accompagnata dal capo della Polizia, Lamberto Giannini depone una corona d’alloro al Sacrario dei Caduti presso la Scuola superiore di polizia. Subito dopo la rassegna dello schieramento e la lettura del messaggio del Presidente Sergio Mattarella, il ministro dell’Interno consegna la medaglia d’oro al merito civile, conferita dal presidente alla Bandiera della Polizia di Stato. Mai come ora, in questo anno di pandemia, la Polizia di Stato ha avuto un ruolo fondamentale, dando il proprio contributo sia in termini di sicurezza che di servizio sanitario.
Servizio sanitario. Nell'ultimo anno il servizio sanitario è stato molto impegnato nelle attività legate alla pandemia. In particolare sono stati distribuiti, su tutto il territorio nazionale, per le esigenze della Polizia, 15.684.250 tra dispositivi di protezione individuali (dalle mascherine ai sovrascarpe) e materiale igienico sanitario. Sono stati attivati dei servizi di supporto psicologico e informativo per fronteggiare la fase emergenziale ed è stato dato sostegno alle attività del Policlinico militare Celio di Roma, con l’invio presso il reparto di terapia intensiva, di 2 medici specialisti in anestesia e rianimazione. Il personale della Polizia ha fornito aiuto sanitario a 360 gradi, dall'esecuzione di esami diagnostici ai tamponi, dal monitoraggio dell'andamento pandemico alla gestione delle quarantene degli operatori.
Sanzioni anti-covid. Nel corso dell'ultimo anno sono state controllate quasi 38 milioni di persone nell'ambito delle verifiche sulle restrizioni anti-Covid, quasi 500mila sono state sanzionate e 5.600 sono state denunciate per false dichiarazioni o autocertificazioni, quasi 4000 per essersi allontanate dalla propria dimora nonostante i divieti. Sono stati controllati anche 9 milioni e 600mila esercizi commerciali, di cui quasi 19mila sanzionati, 2.600 denunciati e circa 3.800 chiusi temporaneamente.
Ordine pubblico. Nel 2020 gli agenti sono stati impegnati dalle attività connesse all’emergenza, sia in funzione di controllo al rispetto delle misure finalizzate al contenimento del contagio del virus, sia di gestione di iniziative di piazza, anche a carattere estemporaneo, in segno di protesta contro i provvedimenti governativi. Per le globali esigenze di ordine pubblico è stata disposta la movimentazione in ambito nazionale di 542.645 unità di rinforzo, di cui 517.132 dei reparti mobili. Complessivamente si sono registrate 11.378 manifestazioni di forte interesse per l’ordine pubblico, di cui 5.881 su temi politici, 3.555 a carattere sindacale-occupazionale, 268 studentesche, 563 sulle problematiche dell’immigrazione, 547 a tutela dell’ambiente, 67 a carattere antimilitarista e 497 su altre tematiche. Nel corso di 331 eventi si sono verificate turbative dell’ordine pubblico: 87 persone sono state arrestate e 3.718 denunciate in stato di libertà, mentre 182 poliziotti hanno riportato lesioni varie.
Delitti e femminicidi. Come già rilevato all'inaugurazione dell'anno giudiziario, nel 2020 si registra una riduzione dei reati rispetto al 2019: anche a causa della pandemia, si sono ridotti sensibilmente i reati contro il patrimonio e la persona, come furti, rapine e ricettazione, lesioni, percosse e violenze sessuali. Mentre i delitti informatici registrano un trend in aumento. Diminuiscono gli omicidi ma non i femminicidi, che fanno registrare, anzi, un aumento: resta invariato il dato delle donne uccise da partner o ex partner. Sono stati infatti 275 gli omicidi commessi, di cui 113 a danno delle donne (nel 2019 erano 111) e 144 in ambito familiare o affettivo. Tra questi ultimi 99 vittime erano di sesso femminile, 67 sono commessi da partner o ex partner.
Reati telematici. Tra i reati in aumento sono quelli legati a Internet. Il Centro nazionale per il contrasto della pedopornografia on line (Cncpo) ha coordinato 3.243 attività d’indagine che hanno consentito di indagare 1.261 soggetti. Sono stati analizzati i contenuti di 34.120 siti web, di cui 2.446 inseriti nella black list per inibirne l’accesso dal territorio italiano. Frequente l'adescamento online, con 401 eventi trattati e un allarmante incremento di vittime d’età compresa tra 0-9 anni; 118 sono stati i minori denunciati all’Autorità Giudiziaria per condotte delittuose riconducibili al fenomeno del cyberbullismo e 412 i casi complessivamente trattati. Per quanto riguarda il contrasto dei reati contro la persona perpetrati sulla Rete, sono stati trattati 1.772 casi, arrestate 10 persone e indagati 378 soggetti responsabili di aver commesso estorsioni a sfondo sessuale, stalking, molestie, minacce e ingiurie. Per ciò che riguarda il reato di diffamazione online sono stati trattati 2.227 casi e indagate 901 persone. Risulta in costante aumento l’attività di contrasto al revenge porn, con 126 casi e 59 indagati. Molta attenzione è stata data anche al contrasto dei reati d’incitamento all’odio, soprattutto per gli atti intimidatori contro i giornalisti. Si registra la continua crescita delle truffe on line: sono state ricevute e trattate oltre 93.300 segnalazioni che hanno consentito di indagare 3.860 persone. Sono inoltre stati gestiti 509 attacchi a sistemi informatici di strutture nazionali di rilievo strategico, 69 richieste di cooperazione nel circuito High tech crime emergency e avviato 103 indagini con 105 persone indagate. Intensa l’attività di prevenzione con la diramazione di 83.416 alert. In materia di cyberterrorismo sono state denunciate 18 persone, di cui una tratta in arresto. Sono stati, altresì, visionati 37.081 spazi web, per individuare contenuti di propaganda islamica, in 85 casi sono stati rilevati contenuti illeciti. Particolare attenzione è stata rivolta al fenomeno della disinformazione, amplificato dall’emergenza Covid-19, che ha visto la proliferazione delle fake news, a fronte delle quali sono stati predisposti 137 specifici alert.
Giusi Fasano per il “Corriere della Sera” il 22 novembre 2021. Hanno subito tutto in silenzio e in solitudine, fino alla fine. Magari si erano rassegnate a quella vita, forse avevano semplicemente paura di parlarne, o forse non avevano alcuna fiducia nell'aiuto del mondo e del sistema Giustizia. Non lo sapremo mai, perché sono tutte morte. Quello che sappiamo è che non soltanto non avevano denunciato di subire violenza ma non ne avevano nemmeno mai fatto parola con nessuno. Stiamo parlando del 63% delle donne uccise negli anni 2017-2018: nessuna di loro (e sono 123) aveva mai confidato a qualcuno di essere in difficoltà, di temere per la propria vita, di subire maltrattamenti. Mai una denuncia, appunto. Fondotinta per coprire i lividi, sorrisi per nascondere paura e tristezza e avanti così, fino all'ultimo battito di cuore. Quel 63% è uno dei dati più sorprendenti della relazione appena approvata dalla Commissione parlamentare d'inchiesta sul femminicidio presieduta dalla senatrice Valeria Valente.
La «fotografia»
I commissari, aiutati da molti consulenti, scattano una fotografia ad alta definizione agli uomini che uccidono le donne e a tutto quello che avviene prima, dopo, attorno ai meri fatti di cronaca. Ma soprattutto, fanno il punto sulla risposta giudiziaria ai femminicidi nel nostro Paese: la relazione fra autori e vittime del reato, le indagini della polizia giudiziaria, quelle degli uffici delle procure, il sistema di protezione delle vittime (giudiziario, sociale, delle reti del territorio), eventuali denunce precedenti, i giudizi penali e le sentenze... Si scopre così che, nei due anni considerati, soltanto il 15% delle donne uccise (circa 1 su 7) aveva denunciato l'uomo che poi le avrebbe ammazzate, il rimanente 85% o aveva subito in silenzio o ne aveva accennato a persone a loro vicine. Per questa indagine la Commissione ha chiesto alle Corti d'Appello, e ha studiato, tutti i fascicoli processuali degli omicidi di donne avvenuti nel 2017 e 2018. Totale: 273. Ma quando si può parlare di femminicidio? Si è presa in prestito la risoluzione del Parlamento europeo del 28 novembre 2019 secondo cui si definisce così la «morte violenta dipesa da motivi di genere» oppure (ha aggiunto la Commissione) per i casi «in cui l'uomo ha ucciso le figlie della donna con l'unica finalità di punire lei». Al netto degli omicidi volontari diversi, quindi, i casi di femminicidio sono stati 216, ma siccome per 19 procedimenti il presunto autore è stato assolto, il numero scende a 197.
Gli orfani
Sono - erano - 197 donne che avevano figli, spesso molto piccoli e già spettatori di una violenza cieca: se ne sono andate lasciando 169 orfani e quasi la metà di loro aveva assistito a scene violente prima che la madre fosse uccisa, per non parlare di quei 29 sopravvissuti (il 17,2% e in gran parte minorenni) che invece hanno visto la madre morire. Dagli interventi della polizia giudiziaria emergono «criticità», come le chiama il dossier della Commissione, che sembravano sepolte da tempo. Per esempio il fatto che «nei centri più piccoli in cui dovrebbe essere proprio il fattore della conoscenza personale ad aiutare nella lettura della violenza e del rischio», alcune delle donne uccise hanno chiesto aiuto alle forze dell'ordine «rappresentando la paura e la difficoltà di denunciare o la presenza di armi» e «sono state dissuase dal farlo», sono «state rassicurate e rimandate a casa». Di più: «in alcuni dei casi considerati le forze di polizia, non distinguendo tra violenza domestica e lite familiare, nonostante il tangibile terrore della donna, si sono limitate a "calmare gli animi"(come si legge testualmente nelle annotazioni di servizio)». Ai pubblici ministeri la Commissione rimprovera, diciamo così, «una difficoltà a riconoscere la violenza nelle relazioni intime» e una «non adeguata conoscenza dei fattori di rischio». Sentenze e linguaggio Fra i consulenti voluti dalla Commissione c'erano anche i magistrati Paola Di Nicola Travaglini, Fabio Roia e Maria Monteleone. E soprattutto loro hanno messo a fuoco il passaggio sul linguaggio usato nelle sentenze e nelle archiviazioni. «Spesso - dice la relazione - la pregressa condotta violenta dell'uomo viene definita "relazione burrascosa, tumultuosa, turbolenta, instabile...", anche a fronte di precedenti denunce della vittima per gravi maltrattamenti.(...) Molte sentenze non assumono un'analisi di genere e tale mancata prospettiva rappresenta un limite. Ad esempio, le vittime di femminicidio vengono spesso chiamate per nome, gli imputati per cognome, così generando una discriminazione, anche linguistica e simbolica, non giuridicamente giustificabile; le vittime di femminicidio non sono descritte rispetto al loro contesto sociale e/o professionale, ma indicate come madri, mogli e figlie, cioè rispetto al loro ruolo familiare; quando svolgono attività di prostituzione vengono chiamate prostitute e non con nome e cognome, così vittimizzandole e stigmatizzandole». L'inchiesta si chiude con una lista dei sogni, cioè possibili «correttivi delle norme vigenti». Uno fra i tanti: l'obbligo di applicare il braccialetto elettronico se si decide una misura diversa dal carcere.
Femminicidi, la strage delle donne non si ferma: sono 38 dall'inizio dell'anno, due a settimana. Lorenza Pleuteri su La Repubblica il 7 maggio 2021. Alcune delle vittime di femminicidio uccise dall'inizio del 2021. Vittime dai 2 ai 91 anni. Lombardia, Puglia, Emilia-Romagna e Piemonte guidano la triste classifica delle regioni con il più alto numero di donne uccise: 5 ciascuna da gennaio. Laura, strangolata a Bolzano e buttata nell'Adige, assieme al marito Peter. Victoria, accoltellata davanti ai suoi bimbi, in un paesino in provincia di Venezia. Lorenza e Carolina, madre e figlia, massacrate vicino a Taranto. Ilenia, Piera, Clara. Poi Licia, Barbara, Dorina. E le altre. Tutte le altre. Due vittime di genere femminile alla settimana, in media, senza tregua. Nei primi quattro mesi dell'anno sono state uccise 34 donne quasi tutte ammazzate da mariti ed ex, compagni e fidanzati, familiari, conoscenti. Altre 4 sono state massacrate nei primi giorni di maggio facendo salire a 38 il "parziale" dell'anno. La più piccola aveva 2 anni, la meno giovane 91 anni. E all'elenco delle vittime di omicidio volontario va aggiunta Sharon, 18 mesi appena, morta in un ospedale bergamasco per le conseguenze di maltrattamenti domestici (reato classificato diversamente e per questo non incluso nelle liste ufficiali dei casi dolosi). Sempre da gennaio ad aprile 2021 sono stati ammazzati anche 46 uomini, dal marito di Laura fino a Paolo, anche lui aggredito con la moglie nella bassa Padana. Rispetto allo stesso periodo 2020, quando scoppiò l'emergenza covid e scattò il lockdown totale, il numero globale degli omicidi volontari è diminuito ed è in linea con il trend discendenti degli ultimi anni, come documentano dagli analisti della Direzione centrale della polizia criminale. Le vittime contate dai ricercatori nei primi quattro mesi del 2021 sono state 80 in tutto, nello stesso arco temporale del 2020 furono 86 (6 in meno, pari al -7,0 per cento). La componente femminile rilevata nella parte iniziale dell'anno si assesta al 42,5 per cento, sotto la soglia del quasi 50 per cento (47,7) toccata tra gennaio e aprile 2020. Sempre tante, troppe donne. Il bilancio di sangue versato, comunque inaccettabile, appare però un po' meno pesante rispetto al primo quadrimestre dell'anno sorso (41 donne uccise allora e 34 quest'anno, pari al - 17,1 per cento). Per gli uomini si registra invece un leggero aumento delle violenze estreme e letali, altrettanto gravi (da 45 a 46 morti ammazzati, + 2,2 per cento). In ambito familiare e affettivo sono stati commessi complessivamente 52 degli 80 omicidi accertati, 5 in più che nel 2020 (+10,6 per cento). Anche nei contesti domestici e negli scenari di relazione si registra una contrazione delle vittime di genere femminile (da 36 a 31, con una riduzione del - 13,9 per cento). Le mani assassine restano in prevalenza quelle di partner ed ex partner (23 presunti autori nel primo quadrimestre 2020, 22 in quello 2021, con un calo del 4,3 per cento da un anno all'altro). Le regioni con le abitanti più colpite dall’inizio dell’anno al 7 maggio risultano Lombardia, Puglia, Emilia-Romagna e Piemonte con 5 vittime ciascuna. Nelle province di Milano e Monza-Brianza le vittime di omicidio sono state tutte genere femminile, 3, contro zero uomini. Uno stillicidio che non si ferma. In Piemonte, che nel 2020 ha rappresentato un caso e in particolare per i femminicidi-suicidi, si è aggiunto il caso torinese: una guardia giurata ha ucciso la moglie con cinque colpi di pistola. Anche l'Emilia Romagna era a 4, alla fine del primo quadrimestre 2021. Il 2 maggio il "parziale" regionale è salito a 5, con il ritrovamento dei resti martoriati di Emma Pezemo, fatta a pezzi e gettata in cassonetto della spazzatura di Bologna. Altri due femminicidi si sono registrati il 5 maggio in Campania.
I nomi delle vittime del 2021.
ANGELA D'ARGENIO 07-05-2021 48 anni Torino Torino
ANTONIETTA FICUCIELLO 05-05-2021 83 anni Avellino Avellino
YLENIA LOMBARDO 05-05-2021 33 anni San Paolo Bel Sito Napoli
EMMA PEZEMO 02-05-2021 31 anni Bologna Bologna
VINCENZA CIMITILE 26-04-2021 56 anni Brusciano Napoli
TINA BOERO 19-04-2021 80 anni Rocchetta Nervina Imperia
ELENA RALUCA SERBAN 18-04-2021 32 anni Aosta Aosta
ANNA PETRONELLI 15-04-2021 81 anni Cerignola Foggia
LAURA AMIDEI 14-04-2021 68 anni Vignola Modena
BARBARA CASTELLANI 14-04-2021 42 anni Fiumicino Roma
ANNAMARIA ASCOLESE 21-04-2021 50 anni Marino Roma
MANUELA FIORUCCI 12-04-2021 65 anni Roma Roma
LILIANA HEIDEMPERGHER 11-04-2021 70 anni Rivarolo Canavese Torino
ROSARIA VALOVATTO 11-04-2021 79 anni Rivarolo Canavese Torino
LUCIA IORI 08-04-2021 59 anni Gazoldo degli Ippoliti Mantova
CAROLINA BRUNO 15-03-2021 65 anni Massafra Taranto
LORENZA ADDOLORATA CARANO 15-03-2021 91 anni Massafra Taranto
ORNELLA PINTO 13-03-2021 40 anni Napoli Napoli
EDITH ANZAGHI 07-03-2021 2 anni Cisliano Milano
SONIA DI MAGGIO 01-02-2021 29 anni Specchia Gallone Lecce
SANDRA MILENA GARCIA RIOS 04-02-2021 41 anni Catania Catania
ILENIA FABBRI 07-02-2021 40 anni Faenza Ravenna
LULIETA HESHTA 07-02-2021 47 anni San Giuliano Milanese Milano
PIERA NAPOLI 07-02-2021 32 anni Palermo Palermo
LIDIA PESCHECHERA 17-02-2021 49 anni Pavia Pavia
ANTONIA RATTIN 18-02-2021 79 anni Rosà Vicenza
CLARA CECCARELLI 19-02-2021 69 anni Genova Genova
DEBORAH SALTORI 22-02-2021 42 anni Cortesano Trento
ROSSELLA PLACATI 22-02-2021 50 anni Bondeno Ferrara
ALBERTA PAOLA STURANO 22-03-2021 75 anni Ferrara Ferrara
GIUSEPPINA MOISO 23-03-2021 81 anni Saluzzo Cuneo
ROBERTA SIRAGUSA 24-01-2021 17 anni Caccamo Palermo
TIZIANA GENTILE 26-01-2021 48 anni Orta Nova Foggia
TEODORA CASASANTA 29-01-2021 39 anni Carmagnola Torino
SOCCORSA RASCHITELLI 15-01-2021 90 anni Sesto San Giovanni Milano
VICTORIA OSAGIE 16-01-2021 41 anni Concordia Sagittaria Venezia
SHARON BARNI 11-01-2021 18 mesi Bergamo Bergamo
LAURA PERSELLI 04-01-2021 68 anni Bolzano Bolzano
«Io, vittima di violenza: ho denunciato mio marito 12 volte, poi sono fuggita». Maristella De Michele su CorriereTv il 16 ottobre 2021. La drammatica intervista a Giorgia (nome di fantasia), una donna vittima di violenza domestica.
Femminicidi, il magistrato Roia: “Solo il 12% delle donne uccise aveva denunciato. Sensibilizzare procure e questure”. Lamorgese: “Ora nuove misure”. Il Fatto Quotidiano il 24 settembre 2021. Si è tenuto alla Camera il convegno 'Femminicidi: prospettive normative'. Secondo il ministro dell'Interno, è necessario in particolare £ripensare le misure di prevenzione personale, con una estensione mirata dell’arresto obbligatorio in flagranza, l’introduzione di una specifica disciplina del fermo di indiziati di delitto". Fico: "Maschilismo tossico, necessario agire per rimuovere le condizioni economiche, sociali e culturali che rendono le donne vulnerabili". Sensibilizzare le procure e le questure italiane sul tema femminicidi, invitandole a chiedere le misure di prevenzione. Lo ha detto al ministro Lamorgese il presidente della Sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Milano, vittime di violenze sessuali, Fabio Roia, partecipando al convegno ‘Femminicidi: prospettive normative’, tenutosi alla Camera e organizzato dal Commissario per il Coordinamento delle iniziative di solidarietà per le vittime dei reati di tipo mafioso e dei reati intenzionali violenti, prefetto Marcello Cardona. “Oggi il mio Tribunale produce il 30% di misure di prevenzione, con una serie di prescrizioni che vengono cucite in relazione alla tipologia di pericolosità del soggetto”, ha precisato. “Un dato di tendenza, che emerge dallo studio dei femminicidi che la Commissione sta facendo, analizzando tre anni di carte processuali di donne che sono state uccise nell’ambito di relazioni domestiche dal compagno o dal proprio ex, ci dice che solo il 12% delle donne uccise aveva denunciato, l’88% non crede nella denuncia o non denuncia”. Secondo Roia il tema va affrontato su tre piani, cioè “la gestione della prevenzione, del reato e il sostegno delle vittime”. Fra questi pone l’accento soprattutto sul primo, che a suo avviso è complesso perché “la vera battaglia è andare a intercettare questi reati che sono terribili”. “Quello che affrontiamo oggi è un crimine odioso, avvertito come una piaga sociale” ed è “un crimine che possiamo combattere solo se lavoriamo insieme con una comunione di analisi, di intenti e di azioni”, ha commentato la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese, che ha preso parte allo stesso convegno. “Episodi delittuosi riconducibili alla violenza sulle donne continuano a verificarsi prepotentemente, nel mese di settembre c’è stato davvero un aumento incredibile”, ha aggiunto. Nel periodo 1 gennaio-19 settembre 2021 – indicano i dati del Dipartimento della Pubblica sicurezza – sono stati registrati 206 omicidi, con 86 vittime donne (+1 rispetto allo stesso periodo del 2020), di cui 73 uccise in ambito familiare/affettivo, di queste, 52 hanno trovato la morte per mano del partner/ex partner. Nel 2020 gli omicidi volontari ai danni di donne sono stati 116, cinque in più rispetto al 2019. La ministra sottolinea, in particolare un’emergenza; “Le vittime – rileva – non sempre denunciano. Tante volte tendono a giustificare i comportamenti aggressivi del partner. Non bisogna minimizzare il fenomeno, il ricorso al componimento dei dissidi è spesso controproducente e fa sì che le forze di polizia non possano intervenire. E sui modi per gestire questa problematica, spiega: “Abbiamo dato indicazioni alle questure per favorire l’emersione degli episodi di violenza. Bisogna convincere le donne che è sempre meglio rivolgersi alle forze di polizia. C’è l’esigenza di ripensare le misure di prevenzione personale, con una estensione mirata dell’arresto obbligatorio in flagranza, l’introduzione di una specifica disciplina del fermo di indiziati di delitto”. La tutela delle vittime “Potrebbe anche avvalersi di un indennizzo da parte dello Stato che sia più sostanzioso, e su cui si può pensare a un intervento migliorativo”, aggiunge. “Si tratta di ipotesi normative che come Ministero dell’Interno abbiamo predisposto e che verranno mandate alla Ministra della Giustizia e a quella delle Pari opportunità. Io considero di molta importanza gli interventi nelle scuole perché poi i giovani d’oggi saranno gli uomini di domani, e se non iniziamo ora in maniera sempre convinta purtroppo credo che è un fenomeno che ci ritroveremo”. Sul tema si esprime anche il presidente della Camera Raffaele Fico, secondo il quale un “maschilismo tossico”, alimentato da “stereotipi e pregiudizi” è “l’humus che alimenta le discriminazioni e la violenza ai danni delle donne”. E, aggiunge, “Occorre chiedersi se ed in quale misura sia necessario un ulteriore intervento del Legislatore”. Ammette infatti che “sicuramente questo quadro normativo in vigore è suscettibile di ulteriore integrazione e di miglioramenti. E richiede soprattutto che tutte le potenzialità degli strumenti introdotti siano effettivamente utilizzate. Occorre, ad esempio, assicurare un’adeguata formazione di tutti gli operatori competenti. Come occorre valutare l’adeguatezza degli indennizzi previsti per le vittime di violenza”. Però, non basta. “Sarebbe illusorio in questo come in altri ambiti, affidare al solo intervento legislativo, ed in particolare al rafforzamento degli istituti di diritto penale o processuale, il contrasto alla violenza di genere. Sono invece convinto che occorra prioritariamente condurre un’azione volta a rimuovere le condizioni economiche, sociali e culturali che rendono le donne vulnerabili. Nel nostro Paese scontiamo un gravissimo ritardo culturale che investe purtroppo anche le relazioni familiari e sentimentali come quelle in ambito professionale. Per troppi uomini la donna continua a essere un oggetto, una proprietà. Nella nostra società permangono tracce pericolose di maschilismo tossico. Sono questi i germi della violenza”.
Barbara Costa per Dagospia il 22 settembre 2021. Luca Fanotto, il sindaco di Lignano Sabbiadoro, ha pienamente ragione: quella maglietta ritraente il volto di una donna in piena estasi BDSM non c’entra assolutamente nulla con la violenza in sé, men che mai con la violenza contro le donne. Io capisco che in certa informazione è moda, è politicamente corretto, vi fa sentire belli e bravi e puliti e superiori fare la parte del giudice sovrano, che separa il buono dal cattivo, che vede o tutto bianco o tutto nero, e però, associare, mischiare un gioco erotico con la violenza, addirittura il femminicidio, e no, stavolta avete proprio toppato. In vendita in un raduno di motociclisti c’è questa maglietta, che ognuno è libero di giudicare bella, brutta, e di comprare o meno, di indossare o meno, e però, fermi a metterci in mezzo la violenza sulle donne. Non è con paternalistiche righe che fermate le mani sulle donne – e sono le donne che devono ribellarsi, il doppio, il triplo di quello che già fanno, e non dal primo schiaffo, ma dalla prima parola offensiva, non dando il minimo credito, alibi, scusa a chi gliele dice, e tra molte donne è ora che si capisca, che ogni atteggiamento da crocerossine va annullato, perché non serve, è inutile, gli si ritorce contro. Detto questo, il BDSM c’entra nulla, nulla, nulla, con la violenza sulla donna. Il mondo BDSM, variegatissimo e raffinatissimo, è fatto di sesso tra due o più persone, di qualsiasi sessualità e orientamento, e persone adulte e consapevoli che hanno il feticismo di provare piacere tramite giochi vessatori anche umilianti, anche domanti, che li portano in un crescendo di godimento fino a un climax che può essere orgasmico ma anche no e comunque è mentale. È il sesso che due adulti scelgono, che contrattano con password e gesti di intesa, in quanto ogni pratica BDSM è guidata dallo schiavo e mai dal padrone, il quale fa ciò che lo schiavo vuole in un gioco di ruoli stabilito in parità e attraente entrambi. Quindi una donna padrona di sé, libera e assenziente che, nel sesso, dal suo partner, vuole essere domata fino al silenzio, delegando di sua iniziativa le misure di uno scambio sessuale sadomaso, mi dite che cavolo c’entra con le donne violentate, ferite, uccise, e donne spesso inascoltate e indifese dall’autorità, dalla società? E non provateci, nemmeno a pensarlo, che una maglietta, una immagine, istighi a commettere alcunché. Ognuno risponde per sé e di quello che pensa e fa. Oppure volete dirmi che non esiste più, non vale più la responsabilità individuale? Uno vede una foto e che fa, violenta?!? Ma vogliamo essere donne e uomini con cervello acceso e attivo e attenti e coscienti di vivere in questo presente? Specie chi fa informazione?
Emanuela Minucci per “la Stampa” il 22 settembre 2021. La scritta «Silence» suona più eloquente che mai sopra al volto della donna imbrigliata come una bestia da domare. Eppure qualcuno l'avrà pure comprata questa T-shirt che inneggia senza pudore al bondage e alla sopraffazione sulle donne. Era in vendita proprio in queste settimane di femminicidi quasi quotidiani, insieme con altre «magliette parlanti» destinate al pubblico del «Bikerfest», la manifestazione internazionale per i motociclisti che si è chiusa giorni fa a Lignano Sabbiadoro. Accanto a questo rivoltante messaggio anche altre immagini, non meno condannabili e denunciate dalla Rete delle Consigliere di Parità che ha espresso il proprio «dissenso e disgusto» per l'accaduto. «Queste immagini», si legge in una nota, «accompagnata da una foto scattata alla manifestazione, continuano a nutrire stereotipi sbagliati inneggiando alla violenza, nello specifico quella sulle donne, utilizzando il monito "silence" come simbolo di ludica trasgressione quando, al contrario, rappresenta una gravissima piaga sociale da combattere in qualunque modo venga veicolata, incoraggiata ed esibita». Il sindaco di Lignano Sabbiadoro, Luca Fanotto, preoccupato di vedere infangata l'immagine di un evento giunto alla 25ª edizione, ha dichiarato: «Credo che certe pratiche possano e debbano rimanere nell'ambito del gusto e della sfera personali, qualunque sia l'orientamento sessuale dei soggetti. La violenza in generale non è tollerabile e quella sulle donne costituisce un problema drammatico. Ma non mescoliamo inclinazioni del tutto legate alla propria idea di intimità con una manifestazione pluriennale improntata anche all'impegno civile». E ha continuato nella sua (discutibile) difesa d'ufficio: «Voglio inoltre ricordare che l'ultima edizione del Bikerfest ha compreso al suo interno anche eventi a tutela proprio delle pari opportunità».
La violenza contro le donne non sembra conoscere tregua. Il dramma dei femminicidi e il conflitto infinito tra i sessi. Lea Melandri su Il Riformista il 10 Settembre 2021. “Dramma femminicidi, la scia di sangue non si ferma: in 4 giorni due donne uccise e una terza in fin di vita” (La Repubblica 8/9/21). Dalla Sicilia, dove un uomo ha accoltellato a morte la moglie e poi ha tentato il suicidio, alla Sardegna, dove un 42enne ha sparato alla compagna ferendola gravemente e si è impiccato, la violenza maschile contro donne, che fino a poco tempo prima forse avevano amato, non sembra conoscere tregua. Eppure è di questo misto perverso di amore e odio, che si allarga dall’ambito domestico alla grande scena pubblica – come nella tragica situazione delle donne afghane -, che è difficile parlare. Il fatto che spesso l’aggressore rivolga l’arma contro se stesso non può non interrogarci su un rapporto tra i sessi che, nella sua durata millenaria, ha conservato i tratti di una guerra infinita, sia pure mai dichiarata. Il corpo che lo ha generato, da cui ha ricevuto cure, sostegno, piacere sessuale, in quel prolungamento dell’infanzia che è quasi sempre la vita amorosa adulta, non può essere visto alla stregua di un qualsiasi nemico. Nel passaggio dall’inermità e dalla dipendenza, che caratterizzano l’infanzia di ogni figlio rispetto alla madre, alla posizione di potere e di dominio di un padre, di un fratello, di un marito, e di una comunità storica di uomini, passano sentimenti contraddittori, ambigui, dove la protezione si trasforma facilmente in controllo, la tenerezza in rabbia e sfruttamento, l’appartenenza intima in appropriazione della vita dell’altro. Della “virilità”, e soprattutto del “virilismo” come costruzione sociale dell’immaginario politico, che tanto peso ha avuto nella storia dell’umanità, poco si parla e ancora meno dei legami che ci sono sempre stati tra la barbarie che passa tuttora all’interno delle case e quella che affligge da sempre le strade del mondo. Fermare l’attenzione sulle donne, viste quasi esclusivamente nella posizione di vittime o eroine di una disperata resistenza, è il modo più rassicurante per allontanarle da esperienze comuni, per non doversi riconoscere in una “normalità” che assomma ai tratti di una “servitù volontaria” quelli di una apparente emancipazione dai ruoli tradizionali. Tacere sugli uomini e sulla violenza con cui si sono per millenni accaniti contro la metà femminile del genere umano e sui loro simili, è un modo per non affrontare la particolarità di un dominio che ha, a suo fondamento, la separazione tra natura e cultura, tra sessualità e politica, tra vita superiore e inferiore, tra il potere che struttura le istituzioni della sfera pubblica e quello che «opera nell’oscurità dei corpi» (Pierre Bourdieu). Della violenza maschile contro le donne – ha scritto Stefano Ciccone – si parla spesso come una minaccia che viene dall’esterno, opera di culture arretrate o di una patologia individuale. Non è un caso che, soprattutto sui social, le donne afghane tornino ad essere al centro di una contrapposizione che rischia di mettere di nuovo in ombra quella “scia di sangue” che purtroppo avvicina, nella relazione tra i sessi, contesti culturali e politici diversi, una di quelle “permanenze” che sopravvivono ai cambiamenti epocali della storia. Illuminanti, a questo proposito, le parole di Virginia Woolf a proposito della «congiura sociale» che trasforma il privato fratello in un «maschio mostruoso, dalla voce prepotente, dal pugno duro, puerilmente intento a tracciare cerchi di gesso sulla superficie della terra (…) adorno come un selvaggio di piume che assapora il dubbio piacere del potere e del dominio, mentre noi, le “sue” donne, siamo chiuse a chiave tra le pareti domestiche senza spazio alcuno nelle molte società di cui la sua società si compone». Considerare la violenza manifesta, il femminicidio e lo stupro, come un fenomeno estremo, è un modo facile per lasciare in ombra quei modelli culturali, più o meno consapevoli, che strutturano ruoli e comportamenti di uomini e donne, e che raramente perciò vengono chiamati in causa e analizzati. Più efficace, per prevenirla, sarebbe indagarne le radici profonde, a partire da quelle che armano la mano dell’aggressore, farne l’occasione per rimettere in discussione modelli stereotipati di genere, di socialità, di relazione tra i sessi, dati come “naturali”. Interessante, ma anche discutibile, a questo proposito, è il successo che ha avuto il concetto di “mascolinità tossica”. Ne scrive ampiamente su Il Tascabile il sociologo della comunicazione Manolo Farci. «In questi usi non è importante cosa davvero significhi l’etichetta di mascolinità tossica, è il suo valore evocativo che conta. Menzionarla mobilita un universo morale di appartenenza e permette alle persone di sentirsi parte di un progetto sociale più ampio, il cui obiettivo è chiaro e inequivocabile: sradicare quello che c’è di avvelenato negli uomini. Non a caso, specialmente nel contesto degli Stati Uniti, il concetto è ampiamente promosso in ambito pedagogico». Da tempo stanno nascendo anche in Italia, sia pure con notevole ritardo rispetto ad altri paesi, in Europa e in America, gruppi, centri di ascolto e trattamento psicologico per uomini attori di violenza. Ma non mancano critiche a quella che, affidata a professionisti, rischia di essere una pratica che, medicalizzando e psicologizzando la violenza, finisce per ignorarne le basi culturali, il nesso con le strutture politiche ed economiche che la alimentano. È sempre Farci a sottolineare i limiti del “politicamente corretto”: «Non tenere conto della natura contestuale entro cui si inquadrano le prassi maschili, vuol dire credere che tali prassi siano determinate da tratti universali e che, di conseguenza, il modo migliore per combattere l’oppressione di genere sia invitare gli uomini a mettere in discussione e correggere le proprie condotte private (…) si rischia, come avverte la studiosa femminista Carol Harrington, di coinvolgere gli uomini in una lotta meramente individualista, che mette in secondo piano l’analisi dei privilegi istituzionali e strutturali per ridursi ad un progetto di trasformazione personale, di scoperta di sé». Si tratta della preoccupazione condivisibile a non ridurre le pratiche di contrasto al sessismo, come fondamento della civiltà che abbiamo ereditato, a una sorta di “confessionale maschile”. Ma altrettanto discutibile è separare i necessari cambiamenti che riguardano la soggettività, quella violenza simbolica che passa invisibile attraverso le vie della comunicazione e della conoscenza, dalle istituzioni, dai saperi e dai poteri su cui si regge da millenni il patriarcato. È questa la lezione di un femminismo che già negli anni Settanta parlava di “modificazione di sé e del mondo”, e che oggi ritrova, nella rete globale Non Una Di Meno, la sua “sfida estrema”: la messa in discussione di tutte le forme di dominio, a partire da quella che ha deciso del destino di uomini e donne. Lea Melandri
Filippo Facci per “Libero Quotidiano” l'8 settembre 2021. Riecco Repubblica col suo «Osservatorio femminicidi». Ma quando la finirete di raccontare balle? Quando avrete il coraggio di dire ai vostri figli - è un'altra domanda - che il loro genitore dice bugie e racconta che in Italia c'è una «emergenza femminicidi» per come la descrivete voi? Nessuna misoginia o negazionismo: è che i problemi vanno delineati nella loro gravità esatta e non distorta, non omissiva. Per esempio, basandoci sui dati Eures e Istat:
1) Più un Paese è evoluto e più ammazzano anche le donne: tra i paesi limitrofi con meno «femminicidi» ci sono quelli del Nordafrica, perché lo status di inferiorità preserva la femmina, come pure nel Sud Italia;
2) Nel nostro Paese gli omicidi hanno nel complesso tassi più bassi d'Europa: ma ogni ricerca evidenzia che un omicidio su due è stato commesso in famiglia, dove le donne hanno la peggio, ma dove - parentesi - si tace pure che sei infanticidi su dieci sono opera delle madri;
3) improvvisare osservatori e legiferare solo su stalkeraggi finiti malissimo (laddove una prevenzione totale è impossibile) equivale a enumerare solo i «casi isolati» che restano isolati e fanno rimuovere l'indicibile, ossia che il problema (soprattutto per le donne) si chiama fa-mi-li-ci-dio. Muovetevi nel diritto di famiglia, anziché rendere terrorizzante anche solo ritrovarsi in un ascensore con una donna.
Da lastampa.it il 23 settembre 2021. Assolta per legittima difesa. La Corte d'Appello di Torino ha confermato la sentenza di primo grado per Silvia Rossetto, cinquantenne, che il 2 settembre 2018, in un appartamento dei palazzoni di via Juvarra a Nichelino, uccise il compagno Giuseppe Marcon, 65 anni, con una coltellata al cuore. Al culmine dell'ennesima lite, l'uomo, ubriaco, le aveva puntato un coltello alla gola. Lei ne aveva afferrato un altro da un cassetto della cucina. I giudici di primo grado, nelle motivazioni della sentenza avevano ricostruito così i fatti: «La donna ha vissuto un fortissimo trauma: era stata aggredita dal compagno ed era già in una condizione di grave angoscia. Si è difesa perciò con una coltellata mortale». Il sostituto pg Nicoletta Quaglino aveva presentato ricorso in Appello parlando di un eccesso colposo di legittima difesa. Rossetto, che come il marito soffriva di problemi psichiatrici, era già stata più volte aggredita da Marcon. «La picchia sempre, la insulta» aveva raccontato la madre della donna ai carabinieri. Proprio quel giorno, Rossetto aveva chiamato la mamma, «Aiutami, aiutami», perché contattasse le forze dell'ordine. In primo grado, il pubblico ministero Enzo Bucarelli aveva chiesto per Rossetto, difesa dall'avvocato Sergio Bersano, una condanna a 9 anni.
R. In. per "il Messaggero" il 23 settembre 2021. Un sms all'amante, l'ultimo inviato prima di morire, trasforma quello che sembrava un decesso naturale in una inchiesta della Procura di Torino. Con la vedova della vittima indagata per omicidio. Sembra la trama di un film ed invece è una storia vera quella su cui il pm Paolo Cappelli ha aperto un fascicolo. Riesumato il cadavere dell'uomo, un cinquantenne, i primi riscontri dell'autopsia avrebbero evidenziato lesioni compatibili con una morte violenta, ma restano ancora molti dubbi da chiarire dal momento che l'uomo soffriva di un tumore la cavo orale. «Se domani mi trovano morto è stata mia moglie, chiama la polizia» è il messaggio che, poche ore prima di morire, il 50enne ha inviato all'amante che vive in Puglia. Quasi un testamento. Ed effettivamente Ettore Treglia il giorno dopo era morto.
L'ACCUSATRICE La donna, appreso del decesso, si è presentata dai carabinieri che hanno così iniziato a ipotizzare uno scenario ben diverso rispetto a quello che si era presentato fino a quel momento. La moglie, difesa dall'avvocato Alberto De Sanctis, si dice innocente ma le indagini proseguono, anche perché alcune testimonianze parlano di frequenti litigi tra marito e moglie fra le mura domestiche.
DA Facebook: A volte buono. A volte stronzo
"Non vedrai più tuo figlio,
Ti Denuncio,
Ti mando in Galera,
Ti mando a vivere per strada,
Non vali niente come padre,
Se non mi dai quello che mi devi tuo figlio lo vedi con il binocolo"
Anche questa è VIOLENZA. È quella che centinaia di padri separati devono vivere ogni giorno. Ma nessuno ne parla. Perché non è socialmente accettabile che una donna, una madre, una moglie, sia violenta. I "mostri" sono sempre i padri. Non è così. Spesso, i padri separati devono subire ogni tipo di abuso e violenza ( giudiziaria e non) semplicemente perché si è uomini. E nel 95% dei casi, ancora prima di entrare in aula, c'è già una CONDANNA.
COME SI CHIAMA LA VIOLENZA DELLE DONNE SULL'UOMO? Ivo Iannozzi per “Il Messaggero” il 19 settembre 2021. Non voleva accettare l'idea che l'uomo, un italiano di 50 anni di Anzio, volesse interrompere la loro relazione. Tanto che al culmine dell'ennesimo litigio la convivente, una cittadina cubana di 38 anni da tanti anni in Italia, gli aveva gettato del liquido infiammabile sul corpo appiccando poi il fuoco. Per questo motivo, dopo un mese di indagini, due giorni fa la donna è stata arrestata dalla polizia con l'accusa di lesioni aggravate. I fatti risalgono al 18 agosto scorso. Dopo essere stato aggredito dalla convivente, che lo aveva attirato in una stanza, cosparso di alcol etilico e dato alle fiamme con un accendino, la vittima era riuscita in qualche modo a spegnere le fiamme e a recarsi al pronto soccorso dell'ospedale Riuniti di Anzio e Nettuno accompagnato dalla stessa donna, dove gli avevano riscontrato ustioni di primo e secondo grado alle braccia, al volto e al torace. Ai medici del pronto soccorso non aveva però raccontato come erano andati realmente i fatti, limitandosi a spiegare che quelle ustioni se le era procurate in casa a causa dell'esplosione della caldaia. La gravità delle ferite aveva consigliato i sanitari del Riuniti a trasferirlo d'urgenza al reparto Grandi ustionati dell'ospedale romano Sant'Eugenio. Dove, qualche ora dopo il ricovero, ha rivisto la versione dei fatti: a cospargergli il corpo di liquido infiammabile e ad appiccare il fuoco era stata la compagna cubana trentottenne. Nella denuncia, la vittima ha anche raccontato i particolari di un rapporto burrascoso, contrassegnato da continue liti avvenute anche davanti ai due figli minorenni che la donna aveva avuto da una precedente relazione. Una convivenza diventata impossibile da sopportare, che aveva spinto il cinquantenne a prendere la decisione di lasciare la donna. In seguito alla denuncia della vittima, sono quindi scattate le indagini degli agenti del Commissariato di polizia di Anzio coordinate dalla Procura della Repubblica di Velletri. Un mese di accertamenti accurati, considerata la delicata situazione, durante i quali gli investigatori hanno ascoltato i parenti della vittima e gli amici della coppia. Dalle loro deposizioni è emerso un quadro sconcertante, segnato da litigi continui e minacce da parte della donna. Dopo l'aggressione del 18 agosto, la donna aveva addirittura minacciato anche un fratello del convivente, che aveva sospettato della donna, avvertendolo che gli avrebbe fatto fare la stessa fine. Gli investigatori hanno anche accertato che nelle ultime settimane la cubana aveva allacciato un rapporto con un altro uomo. Raccolti tutti gli elementi, il pubblico ministero Giovanni Taglialatela, titolare delle indagini, ha chiesto al Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Velletri la misura cautelare in carcere che è stata eseguita due giorni fa dagli stessi agenti del Commissariato di polizia di Anzio. La donna cubana è stata quindi arrestata con l'accusa di lesioni aggravate e trasferita al carcere romano di Rebibbia a disposizione dell'autorità giudiziaria.
COME SI CHIAMA LA VIOLENZA DELLE DONNE SULLE DONNE? Luigi Ippolito per il "Corriere della Sera" il 15 ottobre 2021. Una deputata folle di gelosia che minaccia di sfregiare con l'acido la rivale in amore: e che per questo adesso rischia il carcere. Succede a Londra, dove Claudia Webbe, 56 anni, eletta a Westminster nelle file del partito laburista, è stata riconosciuta colpevole di molestie nei confronti di Michelle Merritt, 59 anni, amica di vecchia data del suo compagno, Lester Thomas, 55enne. La pena verrà stabilita il 4 novembre e potrebbe comportare la reclusione della deputata: che in questo caso perderebbe il seggio. Una fine poco degna per una militante di sinistra che si è sempre descritta come femminista e socialista e che era annoverata tra i fedelissimi di Jeremy Corbyn, l'ex leader del Labour noto per le sue posizioni intransigenti. Ma Claudia ha sottoposto Michelle a diciotto mesi di persecuzioni telefoniche, con chiamate durante le quali le urlava di «stare fuori dalla mia relazione», le diceva che «dovrebbe essere colpita con l'acido» e minacciava pure di far arrivare presunte foto nude della sua rivale alla famiglia di lei. Il motivo di tutta questa furia è che quindici anni fa Michelle aveva avuto una relazione con Lester: dopo di che, i due erano rimasti buoni amici, tanto che si vedevano ogni due settimane. Il che è bastato a far andare fuori di testa Claudia. Che ora, a causa del suo comportamento, è stata già sospesa dal partito, anche se lei si è rifiutata finora di rinunciare al seggio in Parlamento. In tribunale, la deputata si è difesa in maniera bizzarra, con spiegazioni che «non contengono una sola nota di verità», secondo il giudice Paul Goldspring. Claudia ha provato a sostenere che le chiamate minacciose erano state fatte durante liti con Lester: e in effetti una volta i vicini avevano allertato la polizia a causa delle urla. Ma poi l'uomo ha sempre mostrato solidarietà con la sua compagna, anche se non ha testimoniato in aula. Durante i due giorni del procedimento, Michelle ha raccontato in lacrime di come era rimasta «choccata e terrorizzata» per essere stata minacciata da un personaggio pubblico, che le aveva dato della «zoccola» che «dovrebbe essere trattata con l'acido». Per questo si era rivolta alla polizia, che aveva ammonito Claudia a non fare ulteriori chiamate: ma la deputata le aveva telefonato altre sedici volte, spesso restando in silenzio all'altro capo del filo. La Webbe aveva iniziato la sua carriera politica come assistente di Ken Livingstone, il sindaco laburista di Londra che è stato poi cacciato dal partito per antisemitismo: ma che Claudia aveva sempre difeso a spada tratta. Poi era entrata nell'orbita di Corbyn ed era stata nominata alla direzione nazionale del Labour grazie all'appoggio di Momentum, l'ala di estrema sinistra. Da lì il salto in Parlamento, anche se la sua selezione a candidata aveva sollevato molte perplessità perché puzzava di favoritismo. Ma adesso, di fronte alla condanna, anche il Labour le ha chiesto di dimettersi immediatamente da deputata.
Da leggo.it il 31 ottobre 2021. Ha ucciso il convivente a coltellate, ma forse Wanda Grignani non ha agito d'impeto come si era pensato in un primo momento durante le prime ricostruzioni del delitto avvenuto ieri sera a Trapani. La vittima è Cristian Favar, 45 anni, appartenente a una famiglia di ristoratori molto conosciuta. Ora emerge che con due post su Facebook ieri alle 23.36 e alle 23.38, Vanda Grignani aveva scritto qualche ora prima del delitto che avrebbe fatto «qualcosa che non avrei mai pensato, vi amo. Perdonatemi». «Scusate vi voglio bene a tutti mi manca la mia famiglia sono sola questo essere mi ha portato all'esasperazione. La polizia e i carabinieri di Trapani sembrano che vadano d'accordo con lui». E ancora: «Ho chiesto aiuto questo mi ha distrutto. La polizia e carabinieri di Trapani difendono lui. Va bene sono stanca. Non ho più niente da perdere perdonatemi». Vanda Grignani, arrestata dai carabinieri, avrebbe subito confessato il delitto. La vittima, con precedenti penali per droga e omicidio colposo, aveva l'obbligo di rientrare in casa alle 23. Ieri sera sarebbe rincasato in ritardo; sarebbe nata, per questo motivo, una violenta lite con la donna che, impugnando un coltello, ha sferrato un fendente al petto uccidendolo sul colpo. La donna si trova adesso rinchiusa al «Pagliarelli» di Palermo.
L'annuncio choc sui social. Poi ammazza il convivente. Rosa Scognamiglio il 31 Ottobre 2021 su Il Giornale. Vanda Grignani è accusata di aver ucciso il suo convivente. Qualche ora prima dell'omicidio si era sfogata sui social: "Farò qualcosa di terribile". Aveva annunciato sui social che avrebbe fatto "qualcosa di terribile" e ha mantenuto la promessa. Quando il compagno è rincasato, nella tarda serata di sabato, lo ha pugnalato al petto con un coltello da cucina. Vanda Grignani, 35enne di Trapani, ha ucciso il suo convivente, Cristian Favara, 45enne con precedenti penali per droga e omicidio colposo. Rintracciata dai carabinieri, la donna ha confessato immediatamente il delitto. Ora è in carcere con l'ipotesi di reato per omicidio volontario.
L'annuncio choc sui social
Sembrava lo sfogo di una donna arrabbiata, evidentemente provata e fuori di sé. Per certo, nessuno avrebbe mai immaginato che quelle parole intrise di collera preannunciassero un terribile omicidio. "Questo essere di merda mi ha portato all'esasperazione. - scrive Vanda su Facebook - La polizia e i carabinieri di Trapani sembra che vadano d'accordo con lui. Stasera farò qualcosa che non avrei mai pensato di fare". Poi chiede scusa agli amici per ciò che commetterà appena un'ora dopo aver pubblicato il post: "Scusate, vi voglio bene a tutti ma mi manca la mia famiglia, sono sola. Vi amo, perdonatemi".
L'omicidio
Stando a quanto si apprende dal Corriere della Sera, il delitto si sarebbe consumato in un appartamento a due passi dalla cattedrale di Trapani. Vanda avrebbe atteso il compagno, che aveva l'obbligo di tornare a casa entro le 23 per via di alcuni guai con la giustizia, armata delle peggiori intenzioni. Quando Cristian Favara è rincasato, attorno alla mezzanotte, tra i due sarebbe nato un battibecco. Su tutte le furie, la donna avrebbe poi afferrato un coltello da cucina per colpire al petto il convivente: un fendente mortale. La 35enne ha confessato subito dopo il fermo. Ora è reclusa nel carcere Pagliarelli di Palermo con l'ipotesi di reato per omicidio volontario.
Chi è la vittima
Cristian Favara era molto conosciuto a Trapani poiché figlio di alcuni ristoratori storici della città. Il 45enne aveva precedenti penali per droga e omicidio colposo. Per il secondo reato aveva incassato una pena a 7 anni di reclusione. Stando a quanto si apprende da fonti a vario titolo, l'uomo era stato accusato di aver ceduto la droga a un dipendente morto di overdose.
Rosa Scognamiglio. Nata a Napoli nel 1985 e cresciuta a Portici, città di mare e papaveri rossi alle pendici del Vesuvio. Ho conseguito la laurea in Lingue e Letterature Straniere nel 2009 e dal 2010 sono giornalista pubblicista. Otto anni fa, mi sono trasferita in Lombardia dove vivo tutt'oggi. Ho pubblicato due romanzi e un racconto illustrato per bambini. Nell'estate del 2019, sono approdata alla redazione de IlGiornale.it, quasi per caso. Ho due grandi amori: i Nirvana e il caffè. E un chiodo fisso...La pizza! Di "rosa" ho solo il nome, il resto è storia di cronaca nera.
"Farò qualcosa che non avrei mai pensato, non ho più niente da perdere". “Ho chiesto aiuto ma i carabinieri stanno dalla parte sua”, accoltella a morte il convivente: aveva annunciato l’omicidio su Facebook. Antonio Lamorte su Il Riformista il 31 Ottobre 2021. Un omicidio annunciato, su Facebook, in un paio di post dal tono tra il disperato e il delirante. È successo a Trapani, la notte scorsa, in pieno centro storico, a due passi dalla Cattedrale. Una donna ha accoltellato a morte il convivente, un uomo di 45 anni. Forse perché provata da un rapporto logoro, preoccupata dalle situazioni che aveva attorno, disillusa da quello che viveva ogni giorno. La donna è stata ora trasferita nel carcere Pagliarelli di Palermo. Le indagini faranno il loro corso ma la ricostruzione al momento sembra essere confermata anche dal racconto della stessa protagonista. Vanda Grignani, 36 anni, aveva scritto due post sui social ieri notte, poco prima della mezzanotte, intorno alle 23:38. Entrambi con grammatica e ortografia incerti. Il primo: “Scusate vi voglio bene a tutti mi manca la mia famiglia sono sola questo essere mj ha portato all’ esasperazione la polizia e carabinieri di trapani sembrano ke vadano d accordo con lui stasera farò qualcosa ke non avrei mai pensato vi amo xdonatemi”. Il secondo: “O chiesto aiuto questo pezzo di merda mi ha distrutto la polizia e carabinieri di trapani difendono lui ok va bene sono stanca o xso tutti non o più niente da xdete xdonatemj”. Quindi nonostante i suoi appelli non sarebbe stata ascoltata. Alcuni avevano commentato consigliandole di calmarsi ma quel “non ho più niente da perdere” non era solo uno sfogo. E “questo pezzo di m…” era lui: Cristian Favara, 45 anni, suo convivente. Piuttosto conosciuto a Trapani perché figlio della proprietaria di una frequentata e rinomata trattoria. Lui stesso ne aveva gestita una. E quindi era stato condannato per reati legati alla droga: a 7 anni e 6 mesi per in primo grado in un processo per omicidio colposo dopo la morte per overdose di un tossicodipendente. Aveva l’obbligo di rientrare alle 23:00 per via dei domiciliari presso l’appartamento in pieno centro storico. E invece ritardava, scrive Il Corriere della Sera, portando forse all’esasperazione la compagna. Quando è tornato è scoppiata la lite. La donna avrebbe impugnato un coltello e colpito l’uomo diverse volte: un colpo fatale poco sotto la clavicola. Niente da fare per i sanitari del 118. Fermata la donna dopo le ammissioni ai carabinieri del reparto operativo guidato dal tenente colonnello Andrea Pagliaro. È stata allora trasferita in carcere. Più volte i carabinieri avevano raccolto segnalazioni sul suo conto ma non avevano mai riscontrato reati.
Antonio Lamorte. Giornalista professionista. Ha frequentato studiato e si è laureato in lingue. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Ha collaborato con l’agenzia di stampa AdnKronos. Ha scritto di sport, cultura, spettacoli.
Claudia Guasco per “il Messaggero” l'1 novembre 2021. Il suo appartamento nel centro storico di Trapani, proprio alle spalle della cattedrale, era soffocante e pieno di fantasmi. Sabato sera tra quelle mura Vanda Grignani, 36 anni, si sentiva in trappola: un compagno ai domiciliari che tardava a rientrare, violando la prescrizione dei giudici, quella relazione tormentata che l'aveva allontanata dalla famiglia d'origine di cui sentiva la mancanza, una sensazione di solitudine che l'accompagnava da mesi. Era tutto nella sua testa e all'improvviso ha preso forma quando, dopo le 23, il quarantaseienne Cristian Favara è tornato a casa. La lite, una delle tante che costellava la loro vita di coppia, è stata furiosa, finché lei ha afferrato un coltello e glielo ha conficcato nel petto. Poi ha chiamato i carabinieri e ha confessato un omicidio che aveva annunciato ai quattro venti in due messaggi sui social. Ottenendo ben settanta consigli saggi come «conta fino a dieci», oppure «stati tranquilla, con la rabbia non si risolve niente». Dal suo profilo Facebook emergono schegge di angoscia, disperazione e richieste d'aiuto che gli investigatori valuteranno insieme alle testimonianze raccolte tra parenti e amici per stabilire il movente di un delitto che, forse, poteva essere scongiurato. I due post di Vanda, infatti, non lasciavano molto spazio alla fantasia. Il primo è delle 23.36: «Scusate vi voglio bene a tutti, mi manca la mia famiglia sono sola questo mi ha portato all'esasperazione. La polizia e carabinieri di Trapani sembra che vadano d'accordo con lui, stasera farò qualcosa che non avrei mai pensato vi amo perdonatemi». Due minuti dopo il secondo scritto, altrettanto disperato: «Ho chiesto aiuto, questo mi ha distrutto polizia e carabinieri difendono lui, ok va bene sono stanca ho perso tutti non ho più niente da perdere perdonatemi». Agli amici paiono farneticazioni, la zia Sara le scrive: «Stai calma bella, sei brava in farti male ascolta che non si conclude niente». Poi lancia un appello: «Dovete aiutarla, per favore, sono sua zia fatemi sapere». Ma prima che qualcuno potesse intervenire Cristian Favara torna a casa. Figlio della proprietaria del celebre ristornate trapanese Bettina, e anche lui per un po' di tempo gestore di un locale, era agli arresti domiciliari con il braccialetto elettronico e con la misura restrittiva di rincasare entro le 23: dallo scorso marzo aveva chiesto di trasferire nell'appartamento di Vanda il domicilio nel quale scontare la pena. Da quel momento è stato un continuo chiamare, da parte di entrambi, la polizia e i carabinieri perché i due litigavano quasi tutti i giorni. Cristian aveva precedenti penali per droga e omicidio colposo, l'accusa era legata alla morte per overdose di un tossicodipendente. Secondo gli inquirenti a cedere la sostanza letale sarebbe stato proprio lui e per questo è stato condannato in primo grado a sette anni e sei mesi di reclusione. Alla relazione tra Vanda e Cristian si era opposta la famiglia di lei, che di fronte al bivio ha scelto il suo compagno. Questa frattura le ha causato una forte sofferenza, che riversava sui social dove postava poesie di Alda Merini e frasi con cui sfogava il suo senso di abbandono: «Le persone che aiutano sempre gli altri sono quelle che si ritrovano da sole quando hanno bisogno di una mano». La relazione con Cristian era sempre al limite, tanto che quando si è sparsa la notizia dell'omicidio gli amici hanno pensato che la vittima fosse lei: «Riposa in pace Vanda, spero che adesso lassù ritrovi la serenità che ti mancava», scrive Roby. E quando si è capito che a impugnare il coltello è stata lei, alcuni l'hanno giustificata: «Vanda e viva si trova in carcere perché ha ucciso il suo convivente. Purtroppo per farlo significa che era stanchissima ed è stata costretta». Dopo l'interrogatorio davanti ai carabinieri su delega della Procura di Trapani, la donna è stata rinchiusa nel carcere Pagliarelli, a Palermo.
S.G. per "il Messaggero" il 12 ottobre 2021. Per fare a pezzi il corpo dell'ex compagno aveva anche comprato una specie di sega elettrica. Ma poi l'arrivo dei carabinieri l'aveva interrotta. Ieri Lalla Halima Najah-El Idrisi, 49 anni, è stata condannata a 23 anni di carcere per omicidio volontario e tentato occultamento di cadavere. L'uomo era stato avvelenato con una dose massiccia di benzodiazepine, che avevano avuto un effetto letale sul cuore della vittima, dopo l'assunzione eccessiva di whisky e birre. Kadmiri Adill, marocchino come la donna, 34 anni, era stato trovato dai militari nell'appartamento di Vigne Nuove il 31 gennaio del 2019, era adagiato su una sedia a rotelle e avvolto in alcune coperte e nascosto in due buste di cellophane. A dare l'allarme era stato un amico della coppia, l'uomo in stato confusionale aveva raccontato ai carabinieri che la donna gli aveva offerto 2mila euro per sbarazzarsi del corpo, che lo aveva minacciato, impedendogli di uscire dall'appartamento dove si era consumato il delitto, temendo che potesse denunciare i fatti. La morte dell'uomo era rimasta un giallo per un mese. Sul cadavere, il medico legale aveva riscontrato alcuni ematomi. Ma nessuna ferita che potesse spiegarne la morte. Così, sebbene il fascicolo fosse stato aperto subito per omicidio e la donna avesse dovuto rispondere per tutta la notte alle domande degli inquirenti, alla fine non era stata arrestata e la morte di Adill sembrava destinata a rimanere senza un colpevole. Anche se i sospetti, sin dall'inizio si erano concentrati sulla donna. Fino all'esito dell'autopsia, che aveva rivelato le cause del decesso. E così, un mese dopo, era scattato il provvedimento di fermo. Le indagini condotte dal pm Eleonora Fini, avevano ricostruito la dinamica dell'omicidio. All'uomo, che in passato aveva avuto atteggiamenti violenti nei confronti della compagna, era stato notificato anche un divieto di allontanamento. Ed era stata proprio la pm Fini, dopo una denuncia per maltrattamenti, a carico dell'uomo, ad occuparsi della coppia, che aveva un figlio di un anno e mezzo. Ma Nadil e la donna avevano continuato a frequentarsi. La dinamica era sempre la stessa: lui beveva e diventava violento. Nel palazzo lo sapevano tutti: «Litigavano sempre, gridavano», avevano raccontato i vicini. All'esito dell'autopsia, non ci sono stati dubbi, Lalla Halima aveva anche la disponibilità dei farmaci, visto che l'anziana madre, che viveva nello stesso appartamento ne faceva uso. Secondo la ricostruzione della procura, che la Corte d'Assise ha condiviso, la donna, esasperata dalle vessazioni dell'ex compagno, aveva pianificato tutto, anche come liberarsi del cadavere. Per questo si era rivolta all'amico nigeriano. In casa i carabinieri, al momento della perquisizione, avevano trovato anche una smerigliatrice smontata, che l'imputata non sarebbe riuscita ad assemblarla. I due non avrebbero però trovato un accordo sul prezzo. Per questo l'uomo, dopo avere lasciato l'appartamento, avrebbe chiamato i carabinieri. Un mese di indagini per ricostruire l dinamica dell'omicidio. Intanto Lalla Halima era volata in Marocco. Ma i carabinieri sapevano che sarebbe rientrata. Per questo l'hanno attesa a Ciampino.
Filippo Facci per "Libero quotidiano" il 25 novembre 2021. L'Italia è il paese sviluppato dove le donne corrono il minor rischio di essere uccise, anche perché il tasso di omicidi è tra i più bassi del mondo. I paesi dell'ex Unione sovietica e gli Stati Uniti hanno tassi quadrupli, e l'Italia è al 32esimo posto, l'ultimo. Il nostro Paese mantiene anche il livello più basso di omicidi di donne da parte di partner (li chiamano femminicidi) e lo manteneva anche negli anni precedenti, ma negli ultimi anni il calo dei femminicidi è stato meno forte del calo di altri reati, e questo - solo questo - giustifica una perdurante campagna emergenziale. Si consideri che il dato comprende gli extracomunitari che hanno tassi tre volte più alti. Paesi con un tasso di femminicidi più bassi del nostro sono quelli arabi e nordafricani, dove certa cultura le preserva; come regola generale, più un Paese è evoluto è più gli omicidi di uomini e donne tendono a equivalersi. In Svizzera uomini e donne corrono lo stesso rischio, in Kosovo per ogni donna uccisa ammazzano cinque uomini. L'Italia è nella media europea: 37 donne ogni 100 uomini. A non essere in calo ma costante, da noi, è la violenza sui figli o sul genitore maschio (addirittura in crescita) ma nessuno ne parla. Fonti: archivio denunce del ministero dell'Interno, dati Istat e Unodc (United Nations Office on Drugs and Crime), femminicidioitalia.info, lavoce.info.
Simona Lorenzetti per corriere.it il 25 novembre 2021. Alex Pompa, il giovane di 20 anni che ha ucciso il padre Giuseppe per difendere la madre dall’ennesima aggressione, è stato assolto dall’accusa di omicidio volontario. Così ha deciso la Corte d’Assise di Torino, presieduta dal giudice Alessandra Salvadori: «Il fatto non costituisce reato».
«Voglio solo andare a casa»
«È tutto così strano, non ho avuto ancora il tempo per metabolizzare, voglio solo andare a casa, è stata una giornata intensa, pesante, solo a casa saprò metabolizzare». Sono le prime parole di Alex Pompa. Che ha aggiunto: «Ci tengo a ringraziare questa Corte».
La madre: «La prima cosa che faremo ora? Abbracciarci»
«Siamo contentissimi, finalmente, ce lo meritiamo, grazie a tutti». Così tra le lacrime la mamma di Alex, Maria, alla lettura della sentenza che ha assolto il figlio dall’accusa di aver ucciso il padre. «La prima cosa che faremo ora? abbracciarci», ha aggiunto.
Il fratello: «Abbiamo visto l’inferno, Alex ci ha salvato la vita»
«Noi ci abbiamo sempre creduto, sappiamo quello che abbiamo vissuto, abbiamo visto l’inferno e la morte in faccia e quando diciamo che Alex ci ha salvato la vita è perché è così». Sono le parole di Loris, il fratello di Alex. «Ringraziamo questa Corte che ci ha creduto - ha aggiunto - la chiave di tutto stava negli audio, sentendoli con le minacce di morte, i vari insulti a mia madre, allora si capisce tutto».
L’avvocato: «Alex inizia a vivere oggi»
E ancora l’avvocato, Claudio Strata che per Alex aveva chiesto piena assoluzione invocando la legittima difesa: «Inizia a vivere oggi». «Questa assoluzione è la cosa più giusta, speravo in una sentenza giusta e credo questa lo sia. Ci ho creduto dal primo giorno, da quando ho sentito i primi due o tre audio e il racconto di Alex. Non ho mai avuto un dubbio, la speranza di arrivare a questo risultato non ci ha mai abbandonato».
Il tweet di Azzolina
In serata anche il tweet dell'ex ministra Lucia Azzolina che nel 2010 si era espressa a favore dell'esame di maturità per il giovane. «Una terribile storia di violenza domestica che si chiude con l'assoluzione - scrive la parlamentare del Movimento 5 stelle. «Nell'estate del 2020 Alex Pompa aveva fatto la maturità, adesso spero possa continuare a studiare. Auguro a lui e alla sua famiglia buona vita». Ad ascoltare il verdetto in aula c’erano anche l’ex preside dell’istituto alberghiero di Pinerolo, Rinaldo Merlona, e l’imprenditore veneto Paola Fassa. Una figura quest’ultima, rimasta fino a oggi nell’ombra ma che rappresenta per Alex e la sua famiglia una sorta di «angelo custode»: dopo aver letto sui giornali la storia del 18enne, ha deciso di offrirgli assistenza legale. La sentenza è arrivata al termine di una lunga camera di consiglio nel corso della quale i giudici hanno analizzato gli atti di un processo controverso, in cui a parlare non sono state solo le prove ma anche le emozioni. Emozioni come quelle di mamma Maria, sempre rimasta accanto al figlio: «La sua condanna Alex l’ha già scontata crescendo con un padre violento».
Il pm aveva chiesto condanna a 14 anni
Il pubblico ministero Alessandro Aghemo aveva chiesto una condanna a 14 anni. Una pena che teneva conto di un’unica circostanza attenuante: la perizia psichiatrica che indica l’imputato seminfermo di mente. «Sono costretto a chiedere 14 anni applicando la riduzione della seminfermità, ritenendo le attenuanti generiche equivalenti all’aggravante di aver ucciso un congiunto. Ma invito la Corte a tenere presente anche un altro elemento: la provocazione subita», aveva spiegato il magistrato. Il pm aveva anche sottolineato che la vittima «era una persona problematica e ossessionata dalla gelosia. Sì, era un uomo che aveva bisogno di cure. Ma non era una persona che meritava di morire. E quella sera non c’era una minaccia reale. Alex ha ucciso rappresentandosi una minaccia insussistente».
La difesa
Non così per la difesa del giovane. L’avvocato Claudio Strata, che insieme alla collega Giancarla Bissattini assiste il ragazzo, ha sempre sostenuto la legittima difesa: «Alex ha detto molto chiaramente che avrebbe preferito morire lui piuttosto che il padre. Ma quello che è accaduto non è colpa sua, non è possibile muovergli alcun rimprovero. Prendetevela con chiunque, ma non con Alex. Non ha colpa neanche di quanto accaduto negli anni precedenti». Il delitto è avvenuto la notte del 30 aprile 2020, al culmine di una lite. Quel giorno Giuseppe, 52 anni, accoglie la moglie al rientro dal lavoro con urla e insulti. Nel pomeriggio l’uomo si era presentato al supermercato dove lei lavorava e aveva notato che un collega le aveva messo una mano sulla spalla. Un gesto innocuo, ma tanto era bastato per scatenare la sua ira. Una rabbia in quel frangente soppressa per evitare scenate in pubblico, ma che esplode poi la sera nell’alloggio di via De Amici a Collegno. Al suo arrivo, Maria viene investita dalla gelosia ossessiva del marito. La cena scorre poi apparentemente tranquilla. Ma intorno alle 21.30 la situazione degenera. Giuseppe chiama il fratello Michele e per 37 minuti si sfoga additando la moglie di essere una poco di buono. «Era fuori di sé, sembrava un indemoniato» racconterà poi Loris, il fratello maggiore di Alex. Maria si chiude in bagno. Loris scrive allo zio: «Aiutaci, devi intervenire. Lui ascolta solo te, qui rischiamo la vita». Sono le 22.26. Lo zio non interviene. E in quei minuti si consuma il delitto. Alex corre in cucina. «Lui stava andando a prendere i coltelli, io ho solo pensato a precederlo», racconterà il 18enne. Alex si scaglia contro il padre: lo colpisce 34 volte, usando sei coltelli diversi. Quando capisce che l’uomo è morto, chiama i carabinieri. Il fratello Loris assiste all’omicidio: «Non ricordo, sono rimasto paralizzato dalla paura». Fin da subito emerge che Giuseppe era un marito ossessivo, geloso fino allo sfinimento. Era un padre padrone che con il passare degli anni aveva iniziato a considerare i propri figli «un ostacolo». L’uomo non perdeva occasione per umiliare e svilire Maria. E quando diventava aggressivo e violento, Alex e Loris si mettevano in mezzo per difendere la madre. Alex, soprattutto. «Mio marito odiava il mio sorriso», testimonierà poi Maria. E ci sono anche gli audio choc che l’avvocato Strata fa ascoltare in aula. Novecento pagine di trascrizioni e 250 file audio — registrati tra la fine del 2018 e l’inizio del 2020, per un totale di 9 ore e 47 minuti — depositati per ricostruire l’escalation di violenza della vittima. Una violenza che segna Alex nel profondo, come scriveranno gli esperti nella loro consulenza psichiatrica: «Soffre di un disturbo post traumatico da stress». Testimonianze, racconti e sentimenti sui cui i giudici hanno a lungo meditato. Fino a giungere al verdetto di oggi.
Anticipazione da “Oggi” l'8 dicembre 2021. Maria Cotoia, 53 anni, la moglie di Giuseppe Pompa, l’uomo ucciso da suo figlio Alex, 20, per il quale l’accusa ha chiesto 14 anni di carcere per omicidio volontario e invece la Corte d’Assise ha deciso di assolverlo, racconta in esclusiva a OGGI, in edicola da domani, gli agghiaccianti dettagli della vita d’inferno a cui la tragedia ha posto fine. Mentre Alex dichiara «Tornassi indietro, preferirei morire io», la madre rivela: «Mio marito era un uomo impossibile, feroce, pieno di rabbia verso di me, verso i miei figli e verso il mondo. Bastava una sciocchezza a farlo infuriare, quella sera era furibondo perché spiandomi aveva visto che un collega mi aveva appoggiato la mano sulla spalla. Mi fa male quando mi dicono “perché non lo hai denunciato?”. È una domanda che può fare solo chi non ha mai vissuto all’inferno. Se lo avessi denunciato saremmo morti tutti. Ce lo urlava ogni giorno: “Se chiamate la Polizia, prima che arrivino vi ho già ammazzato”». Poi racconta: «Mi torturava: non potevo far nulla senza di lui, nemmeno andare da mia madre o da mia sorella. Veniva con me dal medico di base: io ci andavo anche per chiedere aiuto. Volevo gli consigliasse una visita psichiatrica ma non potevo mai parlare perché c’era lui». E ancora: «Una volta l’altro nostro figlio, Loris, gli ha detto: “Papà andiamo dallo psicologo, facciamo qualcosa. Io non ce la faccio più, sono così stanco che non ho più voglia di vivere, vorrei buttarmi dalla finestra”. E lui ha risposto: “Dai, fallo. Io sono contento così tutti capiranno che è colpa di tua madre”». Violenze per tutti, documentati da audio. Racconta Loris a OGGI: «Li facevamo perché Giuseppe (suo padre, ndr) nella sua follia premeditava l’omicidio. Lui ai compleanni e alle feste comandate obbligava noi e soprattutto mia madre a fare foto sorridenti insieme, abbracciati, a mandargli messaggi di auguri con i cuoricini, cose tenere che potessero dimostrare che tutto andava bene, così se un domani ci avesse ammazzato, avrebbe mostrato i messaggi sostenendo che eravamo una famiglia normale; “guardate qui” avrebbe detto. È arrivato a usare i nostri telefoni per mandarsi da solo quei messaggi. Era come se pianificasse. Sapevamo che prima o poi ci avrebbe ucciso e speravamo che gli inquirenti potessero trovare i nostri telefoni con gli audio che lo smascheravano». E la madre: «Quando ho sentito gli audio in aula sono stata malissimo: come ho fatto a resistere, a sopportare anche schiaffi e pugni? A sopportare che appena gli passava la crisi pretendesse effusioni e intimità, se no ricominciava? Alex usava il mio fondotinta per coprire i lividi sul viso. Una pena infinita vedere i suoi sforzi per nascondere quello che subiva e per tentare di avere una vita normale fuori di casa anche impegnandosi tanto a scuola».
(ANSA il 24 novembre 2021) - E' stato impiccato stamani in Iran Arman Abdolali, il 25enne arrestato quando aveva 17 anni per l'omicidio della fidanzata, nonostante gli appelli di ong e attivisti contro l'esecuzione della condanna. Lo riporta Al Arabiya citando l'agenzia semi-ufficiale Tasnim. Abdolali si trovava in carcere dal 2016 dopo aver confessato l'omicidio di Ghazaleh Shakour. Amnesty International aveva denunciato che la sua confessione era stata ottenuta "sotto tortura". Un mese fa l'organizzazione internazionale aveva sottolineato in una nota che il suo processo "era stato segnato da gravi violazioni". Il giovane è stato impiccato nella prigione di Rajaishahr vicino Teheran, dopo che l'esecuzione è stata rinviata per la terza volta a metà ottobre. Il via libera alla condanna è stato dato dopo che la famiglia della ragazza uccisa, il cui cadavere non è mai stato trovato, ha rifiutato di perdonarlo.
Impiccato Arman Abdolali, l’uomo che visse sei volte. Sergio D'Elia su Il Riformista il 26 Novembre 2021. Arman Abdolali era ancora piccolo al momento del fatto per il quale è stato condannato a morte. Arman è diventato grande nella prigione di Rajai Shahr a Karaj, a ovest di Teheran dove, in un anno, ha superato sei prove di impiccagione. Sono state prove crudeli e inumane, forme terribili di tortura dell’anima quelle di essere trascinato all’improvviso fuori dalla propria cella, portato in una stanza di isolamento in attesa di essere impiccato e, poi, all’ultimo momento, riportato nel braccio della morte. Per la gioia dei compagni di sventura che lo hanno rivisto vivo. Per il tormento del condannato nell’angosciante attesa di un’altra prova o di un altro finale di partita.
La sua esecuzione era stata programmata già due volte, nel gennaio 2020 e nel luglio 2021, ma è stata interrotta in entrambi i casi dopo una protesta internazionale. Poi altre due volte, alla metà di ottobre e i primi di novembre, gli era stato tolto il cappio al collo grazie a un appello urgente mosso dalle Nazioni Unite. Era stato trasferito di nuovo nell’anticamera del patibolo il 21 novembre scorso. Lì aveva atteso tre giorni e due notti, poi era ritornato in sezione. Per sei volte sull’orlo del precipizio mortale, per sei volte Arman è “rinato”. La sera tardi del 23 novembre, per la settima volta, lo hanno condotto di nuovo nella sezione di isolamento, nella stanza davanti alla forca. Sarebbe stata l’ultima prova di impiccagione dell’uomo che ha vissuto sei volte, quella che avrebbe segnato la fine della storia di Arman e della sua lenta agonia. La rappresentazione teatrale della legge del taglione avrebbe assicurato l’ultimo spettacolo: biglietto di sola entrata per l’attore principale, nessuna via d’uscita, nessuna replica, nessun ritorno alla vita del condannato a morte. Arman non è più salito in sezione dai suoi compagni di pena. Arman è salito sul patibolo il giorno dopo, alle prime luci dell’alba. Con gli occhi bendati, lo hanno portato sotto la forca, una corda gli ha cinto il collo, un calcio allo sgabello sferrato dal boia gli ha tolto l’appoggio sotto i piedi e anche la vita. Arman Abdolali era nato il 9 marzo 1996 e aveva 17 anni al momento della scomparsa della sua ragazza nel 2013. Il corpo non è mai stato ritrovato. È stato condannato lo stesso per omicidio. Arman aveva già fatto l’esperienza della cella di isolamento quando è stato arrestato. Per 74 giorni è stato privato di tutto: della luce, del sonno e dell’amore materno che meriterebbe ancora un ragazzo della sua età. Anche prima di morire, solo come un cane, gli è stata tolta la luce, il sonno e l’amore materno. I suoi genitori sono stati privati del diritto sacrosanto e del senso minimo di umana pietà di un’ultima visita al figlio in attesa di esecuzione. Nella cella di isolamento, dove era stato deprivato di tutto e aveva subito di tutto, aveva confessato l’omicidio. Sulla base della confessione, senza tener conto che era minorenne e che non era mai stato trovato un corpo, senza un giusto processo è stato condannato a morte, alla qisas, a una “ritorsione in natura”. Nel campo dei delitti e delle pene coraniche, dei torti arrecati dal reo e dei diritti maturati dalla vittima, la qisas islamica prevede proprio questo: una “restituzione dello stesso tipo”, una punizione analoga al delitto, la legge del taglione, il prezzo del sangue: chi sbaglia paga, una vita per una vita, chi ha ucciso dev’essere ucciso. Non sappiamo se Arman abbia ucciso davvero la sua ragazza. Quel che sappiamo è che aveva meno di 18 anni al momento del fatto e condannarlo a morte è una violazione grave del diritto internazionale, del Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici e della Convenzione Onu sui Diritti del Fanciullo. L’Iran ha firmato sia l’una che l’altra carta, ma evidentemente le considera carta straccia. Difatti, la Repubblica islamica è uno dei pochi paesi al mondo che ancora applica la pena di morte per i minori di 18 anni ed è responsabile di oltre il 70% di tutte le esecuzioni di minorenni negli ultimi 30 anni. Arman Abdolali è il secondo minorenne a essere giustiziato quest’anno. L’anno scorso ne ha impiccati otto. Il regime dei mullah è rimasto praticamente il solo a violare questo diritto umano universale, la sacra consuetudine di non uccidere persone troppo giovani per capire il male di uccidere. E la civilissima Europa dei diritti umani, dell’abolizione della pena di morte e della pena fino alla morte, non ha mosso un dito per Arman e i ragazzi come lui condannati per fatti avvenuti quando erano troppo giovani d’età. Anzi, l’Europa tollera questi crimini contro l’umanità, blandisce e legittima un regime che continua a praticare la tortura dell’isolamento, a infliggere l’agonia dell’attesa all’ombra della forca e la pena fuori dal tempo e fuori dal mondo di un cappio che si stringe intorno al collo. Sergio D'Elia
Prato, 72enne uccide la moglie con un fucile da caccia e poi si toglie la vita. L’uomo avrebbe sparato al petto della coniuge 76enne. La scoperta dopo l’allarme lanciato dai parenti che non riuscivano più a mettersi in contatto. Giorgio Bernardini su Il Corriere della Sera il 5 dicembre 2021. Un uomo di 72 anni si è ucciso dopo aver sparato un colpo d’arma da fuoco alla moglie di 76 anni mentre si trovavano sul divano del salotto del loro appartamento al quinto piano di un condominio in via Filzi, poco fuori dal centro storico di Prato. I coniugi sono stati trovati senza vita questa mattina dai vigili del fuoco che hanno fatto irruzione nell’abitazione dopo che i parenti avevano lanciato l’allarme all’alba spiegando di non riuscire a raggiungerli telefonicamente. Tuttavia, una volta arrivati sul posto i carabinieri, sono cominciate le indagini che hanno permesso di appurare che l’omicidio suicidio sarebbe avvenuto ieri, sabato, poco dopo l’ora di pranzo, quando i vicini hanno sentito due colpi sordi. Per sparare, l’uomo, avrebbe utilizzato un fucile da caccia regolarmente detenuto. Il condominio in cui è avvenuto il fatto è lo stesso in cui nel marzo 2021 bruciò un garage di proprietà dell’uomo. Secondo alcuni dei famigliari delle vittime intervenuti sul posto lo stato depressivo del 72enne che ha sparato era conclamato: l’umo era seguito da uno psichiatra che – sempre stando a quanto hanno riferito alcuni dei famigliari – avrebbe seguito il paziente per uno stato d’ansia legato alla preoccupazione di dover rifondere i danni causati da quell’incendio ad alcuni condomini. Nella casa della coppia sono stati trovati quattro fucili: quello che ha sparato è stato sottoposto a sequestro dai carabinieri assieme ai bossoli dei due colpi. Sul caso indaga il sostituto procuratore di turno Valentina Cosci.
Prato, uccide la moglie con il fucile e poi si toglie la vita. L'uomo avrebbe sparato alla moglie mentre dormiva sul divano. La Repubblica il 5 dicembre 2021. Un uomo di 72 anni ha sparato alla moglie con una carabina da caccia, regolarmente detenuta, e poi ha rivolto l'arma verso se stesso aprendo il fuoco. I due coniugi sono stati trovati morti ieri intorno all'ora di pranzo nella loro abitazione in via Filizi, a Prato, dai vigili del fuoco chiamati dai familiari che non riuscivano a mettersi in contatto con moglie e marito. Sul posto sono arrivati i carabinieri che hanno ricostruito la dinamica dell'omicidio-suicidio. Secondo quanto emerso dai rilievi, l'uomo avrebbe sparato alla moglie, di 77 anni, mentre dormiva sul divano. Pare fosse entrato in uno stato di ansia e depressione dopo che a marzo dello scorso anno un incendio scoppiato nel loro garage aveva costretto i condomini a lasciare il palazzo per diverse settimane. L'uomo avrebbe dovuto risarcirli e lì sarebbero cominciate le difficoltà economiche.
E' il terzo in pochi giorni tra Reggio Emilia e Modena. Strage femminicidi, donna uccisa a coltellate in un parco, fermato l’ex compagno. Giovanni Pisano su Il Riformista il 20 Novembre 2021. Una donna di 34 anni è stata uccisa a coltellate sabato mattina, intorno alle 9, in un parco di Reggio Emilia. La vittima si chiamava Juana Cecilia Hazana Loayza, aveva origini peruviane ma viveva nella città emiliana da anni. E’ stata ritrovata con una ferita d’arma da taglio al collo e, stando a una prima ricostruzione del medico legale, sarebbe stata uccisa tra ieri sera e la notte. Le indagini sono coordinate dalla procura di Reggio Emilia, che procede per omicidio, e sono condotte dai carabinieri che nelle scorse ore hanno fermato un sospettato, l’ex compagno della donna, portato in caserma per approfondimenti. La dinamica dell’omicidio è ancora in fase di ricostruzione con gli investigatori che in queste ore stanno ricostruendo le ultime ore di vita della donna, raccogliendo anche le testimonianze di familiari e amici. A lanciare l’allarme una persona che vive in un condominio poco distante dal parco. L’uomo ha prima notato un cellulare vibrare, poi poco distante il cadavere della stessa, ritrovato riverso, con accanto un coltello, sequestrato dalla Scientifica giunta sul posto insieme al pm di turno Maria Rita Pantani. Qualcuno stava infatti chiamano la 34enne forse preoccupato perché non aveva più notizie. Il corpo è stato ritrovato poco dopo le 9 di questa mattina in zona Mirabello, un’area residenziale della città, a ridosso di una recinzione che delimita il confine tra il parco e un condominio. La strage delle donne ammazzate. Dall’inizio del 2021 sono 56 le vittime di femminicidio in Italia. Uccise da chi diceva di amarle, per un ‘No’, per un rifiuto, perché non si accetta la fine di una relazione. Uccise da compagni, mariti, fidanzati. Lo scorso 17 novembre a Sassuolo, in provincia di Modena, Nabil Dhahari 38 anni, ha ucciso la sua ex compagna, Elisa Mulas, di 43 anni, che lo aveva già denunciato in precedenza. Nella strage, l’uomo ha ucciso anche la madre di Elisa Mulas, Simonetta Ferrara, di 64 anni e i figli della coppia di 2 e 5 anni. L’uomo, dopo la strage, si è tolto la vita. Il giorno dopo, il 18 novembre, a Montese, sempre in provincia di Modena, una donna è stata uccisa dal marito, a coltellate. L’uomo, 71 anni, dopo aver ammazzato la moglie ha provato a togliersi la vita, con lo stesso coltello, utilizzato per l’omicidio.
Giovanni Pisano. Napoletano doc (ma con origini australiane e sannnite), sono un aspirante giornalista: mi occupo principalmente di cronaca, sport e salute.
Da ilmessaggero.it il 25 novembre 2021. Nuovi particolari inquietanti emergono sul delitto di Reggio Emilia. Mirko Genco, reo confesso dell'assassinio di Juana Cecilia Loayza, ha registrato con il suo cellulare gli ultimi 53 minuti di vita della donna che ha ucciso e che è accusato di aver anche violentato. È quanto emerge dagli atti sull'uomo, fermato sabato dai carabinieri di Reggio Emilia, ex compagno della 34enne peruviana che in passato aveva perseguitato. Dalla registrazione, conclusa alle 3.05, ci sono riscontri al racconto fatto nella confessione. Genco l'ha registrata da quando l'ha raggiunta in un locale: «Volevo tenere la sua voce per ricordo perché quello sarebbe stato l'ultimo giorno in cui l'avrei vista perché sua madre non voleva che ci vedessimo», ha detto.
La convalida dell'arresto
«Nessun programma è mai stato predisposto e nessuna presa in carico del soggetto c'è mai stata». Lo sottolinea nella richiesta di convalida del fermo di Mirko Genco, accusato dell'omicidio della ex Juana Cecilia Loayza, la pm della Procura di Reggio Emilia Maria Rita Pantani, in riferimento al percorso che l'indagato avrebbe dovuto seguire da quando era di nuovo libero in seguito al patteggiamento a due anni per stalking, con la condizionale subordinata alla rieducazione. L'unico 'contattò avuto con il responsabile di un centro a Parma, in cui avrebbe dovuto seguire il percorso, era stato il 16 novembre, quindi quattro giorni prima del delitto. Al primo, invece, fissato il giorno della revoca dei domiciliari, cioè il 4 novembre, non si era presentato.
Niccolò Zancan per “La Stampa” il 21 novembre 2021. Ma cosa doveva fare più di così, Juana Cecilia Hazana, per avere salva la vita? Aveva denunciato quel ragazzo tre volte. Aveva chiesto aiuto. Aveva chiamato la polizia dopo l'ennesimo agguato, quando lui era entrato in casa con uno stratagemma e l'aveva minacciata con un coltello. E quel ragazzo urlava, piangeva, diceva che si sarebbe ammazzato. È stato arrestato il 4 settembre, condannato per stalking il 3 novembre. Tutti sapevano tutto. Ma non è bastato. Per l'ennesima volta lo Stato ha perso la sua battaglia contro un maschio assassino. Eccola, così, la vittima numero 103 dell'anno terrificante 2021: Juana Cecilia Hazana, 34 anni, origini peruviane, una vita in Italia, madre di un bambino piccolo, di mestiere badante. Accoltellata, anzi quasi sgozzata, in un parco pubblico, a pochi passi dal suo alloggio, esattamente da quella persona che aveva minacciato di farlo. Lui si chiama Mirko Genco, 24 anni, di Parma, piazzista a domicilio di telefonia. I carabinieri lo hanno fermato ieri al lavoro. Alle cinque di pomeriggio ha confessato. Anche lui associando alla ricostruzione dei fatti le solite parole senza senso: «Mi sono messo nei guai per amore». Fa impressione, adesso, un dettaglio biografico: l'assassino di Juana Cecilia Hazana è il figlio di Alessia Della Pia, uccisa a sua volta dall'ex convivente nel 2015. Quasi tutti i femminicidi sono delitti annunciati, questo di Reggio Emilia è un caso estremo. «Quella povera donna era perseguitata. Avevano avuto una storia di qualche mese. Da quando lei lo aveva lasciato, non viveva più. Ci trovavamo il ragazzo sulle scale, in cantina, dietro la siepe. Un incubo. Al punto che avevamo avvisato l'amministratore perché scrivesse a tutti i condomini di non aprirgli la porta», dice la signora Viola Pataccini. Lo sapevano i vicini casa, lo sapevano i giudici, lo sapevano i poliziotti, lo sapevano tutti a Reggio Emilia: quelle urla e quelle persecuzioni erano pubbliche. Erano arrivate tre volanti, con sei agenti, per portarlo via di peso. Ecco il titolo del Resto del Carlino del 4 settembre: «Continuava a tormentare la sua ex. Arrestato». E dopo l'arresto, ecco il divieto di avvicinamento, che Mirko Genco aveva subito violato. Quindi i domiciliari come misura cautelare: l'obbligo di stare in casa. Sembrava l'unico modo, e sembrava funzionare. I due fascicoli per stalking erano confluiti in un procedimento penale. La causa affidata al pm Piera Cristina Giannusa, al giudice Donatella Bove, all'avvocatessa Alessandra Bonini. Ma accade questo: Mirko Genco patteggia la pena. Il cosiddetto «codice rosso» entrato in vigore nel 2019, proprio per tutelare le vittime di questo genere di reati, gli permette il patteggiamento a una condizione: dovrà seguire un percorso di riabilitazione psicologica. E che cosa dice il codice? Che la pena, in quel caso, è sospesa. Fine delle misure cautelari: niente più domiciliari. Condannato a due anni da una giustizia solerte, altrettanto in fretta Mirko Genco si ritrova libero a norma di legge. È questo il paradosso. «Aveva fatto due colloqui con la psicologa», dice adesso l'avvocatessa Bonini. «Ma questa bruttissima storia si è conclusa nel modo peggiore». La condanna risale a due settimane fa. La sera di venerdì 19 novembre, Mirko Genco raggiunge l'ex fidanzata Juana Cecilia Hazana in un locale messicano di Reggio Emilia, si chiama «Hot Chili». Qui ormai ci sono soltanto le sue parole, assurde e senza possibilità di contraddittorio, rese durante la confessione: «Io e Juana ci siamo allontanati a piedi, lungo la strada ci siamo abbracciati. Poi lei, all'altezza del parco della Polveriera, mi ha detto una cosa molto brutta, allora io l'ho spinta a terra e l'ho colpita con dei pugni». «E il coltello?», hanno domandato gli investigatori. «Ho preso le sue chiavi e sono salito a casa, ho trovato quel coltello sul tavolo della cucina, sono tornato giù e». Difficile credere a questa ricostruzione. Poi, ancora, quelle parole senza senso: «Ero innamorato, volevo tornare con lei». No, quello che si vede adesso è il fallimento dell'intero sistema giudiziario italiano, si vede la mancata protezione di una donna in pericolo e si vede anche il filo teso di una violenza annunciata e persino tramandata come una nemesi. Ieri alle nove, una signora che abita vicino al parco della Polveriera ha visto fra le foglie un telefono che trillava e vibrava. Era la vita che chiamava. Era una anziana madre in pena. Era il pianto di un figlio di un anno e mezzo. Il telefono non smetteva di suonare. Pochi metri oltre c'era il cadavere di Juana Cecilia Hazana.
Michela Marzano per “La Stampa” il 25 novembre 2021. La prima volta che il mio ex-marito mi ha dato uno schiaffo, non ho reagito. Non me l’aspettavo, eravamo in strada, cosa avrei potuto dire o fare? Che cosa avrebbero pensato i passanti? Tanto più che alcune ore dopo, quando lui mi ha spiegato che il modo in cui avevo sorriso all’impiegato della banca era stato inopportuno, sfacciato e allusivo, gli ho dato ragione: dovevo fare attenzione a come mi comportavo con gli altri uomini, era una questione di rispetto nei suoi confronti. Come ho potuto non capire che era solo l’inizio di una storia impastata di violenza? Quando mi sono trasferita in Francia e ho iniziato a lavorare, ho detto al mio ex-marito che volevo aprire un conto corrente a mio nome. Lui mi ha spiegato che era assurdo, eravamo una famiglia, che bisogno c’era di intestarmi un conto? Ho insistito, e lui mi ha strattonato, facendomi cadere a terra. Ma poi, ancora una volta, ho pensato che avesse ragione lui: quello che è mio è tuo, eravamo una carne sola, che mi era venuto in mente? Aveva ragione lui: ero troppo indipendente, troppo sfacciata, troppo individualista. Mi aveva portato a Parigi e accolto a casa sua, come potevo essere così ingrata? Anche se, la sera, lui beveva troppo, gridava che ero una puttana, cos’è questa storia che vuoi andare a cena fuori con una tua amica? All’epoca, non stavo bene. Avevo interrotto la psicoterapia che stavo seguendo in Italia, ma il mio sintomo non era affatto scomparso: controllavo il cibo, quando mangiavo vomitavo, mi sentivo sempre in colpa; inadatta, incapace, indecisa, inutile. Avevo vinto un concorso in università, ma non valevo nulla. Era questo che pensavo. E lui, in fondo, mi amava. Anche se, quando decisi di ricominciare l’analisi, l’unica cosa che lui disse fu: «Preferisco vederti morta che pensare che tu possa lasciarmi». Qualche mese dopo, uscendo un pomeriggio dallo studio della mia psicanalista, decisi di non rientrare. E anche se mi ritrovai senza niente, dovetti chiedere aiuto ai servizi sociali e per un po’, oltre al mio lavoro in università, fui costretta a passare molte notti in bianco traducendo dall’inglese al francese documenti giuridici per pagarmi sia l’affitto sia l’analisi, da lui non tornai mai più. È l’analisi, in fondo, che mi ha salvato la vita. E che mi ha permesso di credere di nuovo in me stessa e nel mio valore. E che mi ha fatto capire che nessuna persona merita di essere umiliata, controllata e molestata. Non è normale essere trattata a parolacce. Non è normale essere insultata e picchiata. Non è normale abbandonarsi a chi, dicendo di amarti, cerca solo di utilizzarti e manipolarti. So che il mio ex-marito, nel frattempo, è tornato in Italia. So che si risposato e che è pure diventato padre. E talvolta penso alla donna che ho incrociato molto rapidamente a casa sua quando, scortata da un amico, andai a recuperare alcuni libri. Lui la chiamava “stella”, esattamente come aveva sempre chiamato me. «Mi prepari un caffè», le disse a un certo punto. Poi: «Ora puoi andare nell’altra stanza». Poi: «Mettiti la gonna ché, appena finisco, ti porto fuori». E intanto verificava che il mio nome fosse scritto sulla prima pagina dei libri che volevo recuperare: se non c’era scritto nulla, il libro era suo, come fai a provare il contrario? Penso a questa donna, e mi si stringe il cuore. Può andare a cena fuori con un’amica, oppure le è vietato? Ha un conto in banca a nome suo, oppure ha rinunciato? Come le si rivolge il mio ex? La insulta? La picchia? Può darsi che la nascita dei figli lo abbia fatto cambiare. Può darsi pure che lei lo assecondi sempre e non lo faccia innervosire. Nella vita, tutto è possibile. Anche se non accade praticamente mai che la nascita di un figlio faccia cessare la violenza. E quando una donna asseconda un uomo violento, allora rinuncia alla propria libertà. E rinunciare alla libertà significa poi rinunciare anche alla propria dignità. Il dramma delle violenze contro le donne, è spesso legato alla fragilità estrema di chi la violenza l’ha subita da bambina, quando non è stata riconosciuta per quello che era e ha iniziato ad adattarsi, pensando di non valere nulla. Il dramma delle violenze è che si perpetuano di generazione in generazione, e spesso passano di madre in figlia. E se nessuno ci permette di avere accesso alla consapevolezza del nostro valore, allora è impossibile anche solo percepire la violenza della gelosia, del possesso e delle umiliazioni, che sono sempre il passo che precede la violenza fisica e, talvolta, il femminicidio. C’è chi pensa che le “vere vittime” siano altre, quelle donne che si ritrovano in ospedale con un braccio rotto o gli occhi pesti. Ma la violenza inizia prima. La violenza è già lì quando si viene azzittite, o chiuse a chiave in una stanza solo perché si vuole stare accanto a un figlio piccolo che di notte piange, o insultate perché «tu non capisci nulla», «non vali un cazzo», «senza di me sei persa». La violenza è bastarda. Si insinua nelle pieghe delle nostre fragilità e ci distrugge. Ci impedisce di credere in noi stesse e di ricominciare tutto da capo. Ci colpevolizza e ci fa sentire responsabili di ciò che viviamo. E poi esplode. Prima o poi, la bastarda esplode sempre. E allora è troppo tardi. E nemmeno le leggi più severe nei confronti degli uomini violenti possono salvare quelle donne che, illudendosi che un giorno o l’altro lui cambi, restano, accettano, subiscono, non denunciano. Sono condannate a morte, anche se non lo sanno. E pure se sopravvivono, muoiono dentro.
Simona Lorenzetti per "corriere.it" il 12 novembre 2021. Non lo ha mai denunciato. Per paura, ma anche perché pensava che con il tempo lui sarebbe cambiato e che le botte prima o poi cessassero. «Devo redimerlo, lasciatelo stare», ha detto la donna agli agenti che due giorni fa si sono presentati a casa della coppia per notificare al compagno, un ventottenne muratore italiano, una misura cautelare che lo obbligava a lasciare immediatamente l’alloggio e a non avvicinarsi mai più a lei. A salvare la giovane è stato il «codice rosso», che ha permesso agli uomini della polizia municipale della Procura di Torino di intervenire nonostante la reticenza della vittima e il suo rifiuto di sporgere denuncia contro il proprio fidanzato. La coppia viveva nel quartiere Madonna di Campagna e a portare alla luce le violenze domestiche sono stati i vicini di casa, che sentivano i violenti litigi e soprattutto udivano, impotenti, i pianti e le urla della ragazza quando lui la picchiava. Piu volte lo hanno affrontato, invitandolo a smettere. E numerose sono state le occasioni in cui preoccupati che la situazione degenerasse hanno chiamato le forze dell’ordine. Ma gli interventi degli agenti si sono rivelati inutili, perché la donna si è sempre rifiutata di formalizzare la querela: temeva ritorsioni da parte del fidanzato e credeva di potercela fare da sola. Ad agosto, poi, la giovane è stata costretta a rivolgersi al pronto soccorso, perché l’uomo le aveva spaccato uno zigomo. E così la vicenda è approdata sulle scrivanie del procuratore aggiunto Cesare Parodi e della sostituta Antonella Barbera, che hanno affidato l’indagine alla polizia municipale. Nelle settimane successive, gli investigatori hanno quindi raccolto le testimonianze dei vicini, del padrone di casa e del medico che aveva medicato i lividi sul volto della donna dopo l’ennesimo pestaggio. È emersa una situazione familiare drammatica. La coppia conviveva da circa un anno e mezzo e all’uomo bastava anche un banale motivo, come una cena mal cucinata, per aggredire la compagna: botte, insulti, umiliazioni. Non solo, gli accertamenti hanno portato alla luce che il muratore si era fatto prestare dalla ragazza duemila euro, mentre in altre occasioni l’avrebbe derubata facendo sparire dalla casa denaro e piccoli monili di valore. Soldi e oggetti mai restituiti e che molto probabilmente il ventottenne usava per acquistare droga e alcool. Il quadro indiziario ha permesso al magistrato di chiedere al giudice delle indagini preliminari di firmare una misura cautelare nei confronti dell’uomo, che ora è accusato di maltrattamenti in famiglia. Il provvedimento è stato eseguito nei giorni scorsi. Quando gli agenti hanno bussato alla porta dell’alloggio, la ragazza ha provato ancora una volta a «proteggere» il compagno. «Non voglio che abbia altri problemi. Posso redimerlo», ha spiegato agli agenti cercando di fare da scudo all’uomo. Un comportamento molto probabilmente dettato dalla paura che lui potesse in qualche modo vendicarsi. Ma per ordine del Tribunale l’uomo, difeso dall’avvocato Stefano Bertoletti, non potrà tornare a vivere in quella casa e non potrà avvicinarsi alla vittima. E qualora violasse l’ordinanza, rischierebbe di essere arrestato. La ragazza, invece, è stata affidata ai servizi sociali perché possa intraprendere un percorso psicologico che l’aiuti a superare la drammatica esperienza che l’ha segnata. Nelle prossime settimane verrà sentita dal magistrato, che cercherà di ricostruire i dettagli delle violenze.
Da tgcom24.mediaset.it il 12 novembre 2021. "Un uomo realmente turbato e sconvolto dall'azione compiuta", che dette l'allarme e non tentò la fuga. Lo scrive la corte d'appello di Firenze nelle motivazioni della sentenza che ha ridotto, grazie alle attenuanti, da 30 a 16 anni la pena per femminicidio a un 32enne. Il delitto avvenne il 24 novembre 2018 in un ostello fiorentino dopo una lite tra l'uomo, del Myanmar, e la compagna, una 21enne cinese. "Un pentimento vero non come quelli visti nelle aule di tribunale" - "Occorre valorizzare il profilo psicologico del comportamento" dell'imputato nell'immediatezza del fatto, reazione che "vale molto più di tanti pentimenti e richieste di perdono sbandierate in udienza a distanza di giorni se non mesi", scrivono i magistrati nel motivare la sentenza emessa il 15 settembre. E' stata così accolta una delle istanze avanzate dal difensore del 32enne, l'avvocato Francesco Stefani: i giudici di secondo grado avevano concesso all'uomo le attenuanti generiche in ragione dell'atteggiamento tenuto nelle fasi immediatamente successive all'omicidio. Quasi dimezzando così la pena inflitta in primo grado quando l'uomo, con rito abbreviato, il 9 luglio 2020 era stato condannato dal gup a 30 anni. Secondo quanto rilevato dalla corte d'assise d'appello il 32enne, dopo aver strangolato la compagna nel corso di una lite nella camera che occupavano nell'ostello, non tentò di scappare. Resosi conto di quanto aveva fatto, si era subito recato alla reception per dare l'allarme, poi, dopo aver spiegato agli addetti dell'ostello di aver strangolato la 21enne, si era seduto sulle scale mettendosi a piangere in attesa dell'arrivo della polizia. La corte ha invece respinto la richiesta della difesa di riconoscere la circostanza attenuante della provocazione, in base alla quale l'uomo avrebbe commesso il delitto in reazione a presunti continui soprusi che, si sottolinea ancora nella sentenza, troverebbero riscontro solo nelle affermazioni dello stesso imputato. L'avvocato Stefani, pur dicendosi soddisfatto per la diminuzione della pena, ha annunciato ricorso in Cassazione.
Uccide la moglie a fucilate. Ira dei figli: che hai fatto? Stefano Vladovich il 5 Novembre 2021 su Il Giornale. La donna, 77enne, era a letto dopo un intervento al ginocchio. L'uomo trovato in stato confusionale.
Roma. «Chiama la polizia, l'ho uccisa». Quando la badante entra in casa Piunti, il signor Mauro è seduto come sempre sul divano. «Teneva spesso il fucile in mano, lo puliva, gli cambiava posto. Non mi sembrava una cosa strana».
Poi l'uomo, 79 anni, si alza e va in camera da letto, dalla moglie. Elena Di Maulo, 77 anni, da poco è stata operata a un ginocchio e da qualche settimana, a causa anche di problemi al cuore, è allettata.
Una situazione insopportabile per Mauro, affetto da un principio di Alzheimer e in cura con forti antidepressivi. Alle 13,30 di ieri si alza, carica la doppietta Benelli ed esplode un colpo. Un colpo solo che uccide all'istante la donna.
Tragedia in un villino di via Giulio Minervini 30, a Saline di Ostia Antica, dove un fabbro in pensione uccide la moglie malata esplodendo un colpo calibro 12 da un'arma regolarmente registrata. «Qui siamo tutti cacciatori» spiegano, sconvolti, al bar del borgo alle porte di Ostia.
Sono gli agenti di polizia del X Distretto Ostia a disarmare l'omicida ancora seduto in salotto e portarlo in commissariato per l'interrogatorio sottraendolo all'ira dei due figli. Sul letto la poveretta immersa in un lago di sangue.
Inutile ogni tentativo di soccorrerla: per il medico legale il proiettile, entrato sotto un'ascella, avrebbe colpito organi vitali provocando una morte istantanea. Lo sparo è stato sentito dai figli Valentino e Danilo che abitano al piano superiore della palazzina.
Davanti al pm Eleonora Fini e al dirigente di polizia Antonino Mendolia, Piunti confessa. Un racconto a tratti confusionale il suo, tanto che viene ricoverato in ospedale prima di finire in carcere.
Un uomo dal carattere autoritario per il vicequestore del X Distretto Mendolia, anche se non risultano interventi in passato per liti o altro in famiglia. Piunti è accusato di omicidio volontario aggravato perché avvenuto in un ambito familiare. Una coppia benvoluta dalla comunità delle antiche saline.
«Un lavoratore instancabile» raccontano i residenti. L'uomo, che girava ancora con un vecchio furgone rosso, aveva una piccola ditta di infissi in alluminio. Attività messa in piedi con mille sacrifici e che da qualche anno era passata nelle mani dei figli. Una persona, però, dal carattere irascibile. «Ho un bel ricordo di lui - racconta Federico Ruffo, giornalista conduttore di Mi Manda Rai Tre -. Abita nella strada accanto a quella dei miei e quando ci incontravamo ci fermavamo a chiacchierare. È un grande dolore per me».
Mauro ed Elena erano assidui frequentatori della vicina parrocchia Santa Maria del Buon Consiglio.
«Si mettevano sempre a disposizione di tutti» raccontano i parrocchiani. La vittima, nonostante fosse immobilizzata a letto, non soffriva di malattie terminali, o comunque non era in condizioni disperate, tali da pensare di farla finita. Cosa sia scattato nella mente dell'assassino è ancora da chiarire. Stefano Vladovich
L’uomo si è presentato agli agenti con l'arma ancora in mano. Uccide la moglie in casa a fucilate, è il 55esimo femminicidio del 2021. Redazione su Il Riformista il 4 Novembre 2021. Ennesimo femminicidio a sangue freddo, il 55esimo del 2021. In un appartamento in via Giulio Minervini, a Ostia Antica una donna di 77 anni, Elena Di Maulo, è stata uccisa dal marito di 79, Mauro Piunti, a colpi di fucile. L’uomo non si è nascosto all’arrivo degli agenti, ma si è presentato loro con il fucile ancora nelle mani. Per lui è scattato il fermo. Nel primo pomeriggio di giovedì la polizia ha rinvenuto il corpo dopo la segnalazione di alcuni vicini di casa che avevano udito colpi d’arma da fuoco. Inutili purtroppo i soccorsi. Sul posto gli investigatori del commissariato di Ostia stanno ancora svolgendo una serie di accertamenti per ricostruire la vicenda. Dai primi accertamenti, come riporta Il Corriere, della polizia è emerso che a scoprire il corpo della donna è stata un’assistente domiciliare che da qualche tempo aiutava la vittima per i postumi di un intervento chirurgico al ginocchio che la costringeva a letto: è proprio lì è stata uccisa con un colpo di fucile a un fianco, mentre un’altra rosa di palline è stata trovata sulla parete sempre della camera da letto. La donna ha anche trovato il marito della vittima seduto sul divano in salotto, ancora col fucile accanto.
Il fratello confessa: "Ho ucciso Lucrezia". Diana Alfieri il 17 Ottobre 2021 su Il Giornale. Il ragazzo ha fatto ritrovare il cadavere della 37enne scomparsa venerdì. Movente ignoto. Un omicidio. In famiglia. Il fratello che uccide la sorella. Una storia orribile. Eppure è proprio questa la verità dietro un delitto che, fino a ieri, era un giallo. Risolto in poche ore. A Nicolosi, nel catanese, è stato trovato il corpo di Lucrezia Di Prima (nella foto), 37 anni, scomparsa due giorni fa a San Giovanni La Punta (Catania). Ieri è stato il fratello ad autoaccusarsi, indicando ai carabinieri dove si trovava il corpo della sorella. Sul posto del ritrovamento, nelle zone di campagna del paese etneo, con i militari dell'Arma sono arrivati il medico legale e il magistrato della Procura di Catania per accertate le cause del decesso. Intanto, si fanno largo le prime ipotesi su modalità e movente dell'omicidio. Il fratello avrebbe agito al culmine di un raptus durante una lite, forse per ragioni di interesse economico. Questa, almeno, una delle possibili piste. Lucrezia Di Mauro, 37 anni, era scomparsa da San Giovanni La Punta due giorni fa. Fuga volontaria o qualcosa ben più terribile? Il cadavere della donna è stato ritrovato dai carabinieri nelle campagne di Nicolosi. La svolta è arrivata dalla confessione del fratello della vittima che ai militari dell'Arma, che lo ha sentito più volte, ha detto che la sorella era morta e l'avrebbe uccisa lui, al momento senza fornire dettagli su dinamica e movente. Le indagini erano state avviate dai carabinieri dopo la denuncia di scomparsa della donna presentata ieri dai familiari. Gli investigatori hanno trovato il cadavere nel luogo indicato dal fratello con ferite di arma da taglio. Non è certo che il delitto sia stato commesso nello stesso posto. L'arma non è stata trovata. «Purtroppo una tragica notizia ha scritto sui social, Nino Bellia, sindaco di San Giovanni la Punta . Lucrezia è stata ritrovata priva di vita. Sono vicino al dolore immane dei familiari, a nome mio e di tutta la comunità puntese». Il fratello della vittima pare soffrisse di crisi depressive. I suoi compaesani lo descrivono come un «tipo introverso», ma comunque «incapace di fare del male a qualcuno». Tanto più alla sorella alla quale era legatissimo. Un rapporto di amore che si è trasformato in odio per ragioni ancora sconosciute. Diana Alfieri
Un altro femminicidio in Kenya, uccisa la maratoneta Muthoni. Sospettato il fidanzato. L’omicidio di Edith Muthoni è avvenuto nello stesso giorno dell’assassinio di Agnes Tirop. Due atlete del Kenya vittima, secondo gli inquirenti, della violenza dei loro compagni. Due delitti nel giro di poche ore. Muthoni, colpita alla testa, aveva una profonda ferita alla nuca ed è deceduta per la violenza del trauma subito. Il fidanzato è il principale sospettato ed è già sotto custodia della polizia. A cura di Maurizio De Santis su Fanpage.it il 15/10/2021.
L’omicidio di Edith Muthoni è avvenuto nello stesso giorno dell’assassinio di Agnes Tirop. Due atlete del Kenya vittima, secondo gli inquirenti, della violenza dei loro compagni. Due delitti nel giro di poche ore. Muthoni, colpita alla testa, aveva una profonda ferita alla nuca ed è deceduta per la violenza del trauma subito. Il fidanzato è il principale sospettato ed è già sotto custodia della polizia.
Una lite domestica sfociata in omicidio brutale. Un'espressione molto forte utilizzata dalle autorità della contea di Kerugoya, in Kenya, che rende bene l'idea delle condizioni in cui è stato ritrovato il corpo della maratoneta Edith Muthoni (27 anni, nella foto in apertura) morta nello stesso giorno di Agnes Tirop (25 anni, accoltellata sotto casa). Due atlete dello stesso Paese africano vittime della violenza dei loro compagni di vita che le hanno colpite a morte. Una profonda ferita alla nuca, provocata da un colpo infertole dal fidanzato, è stata la causa del trauma fatale della podista arrivata in fin di vita all'ospedale. Poco dopo, nonostante il tentativo dei medici di salvarla, il cuore ha smesso di battere.
Il fidanzato è il principale sospettato ed è già sotto custodia della polizia. Sarebbe stato proprio lui a condurre gli agenti sul luogo era avvenuto il delitto. Le indagini sono scattate dopo la segnalazione fatta dal direttore del nosocomio subito dopo l'arrivo di Muthoni in condizioni critiche. A fornire alcuni dettagli sulla vicenda è stata la sorella dell'atleta che ai media locali ha raccontato della relazione iniziata tre anni fa e finita malissimo per un telefono. Sarebbe stata questa la scintilla che avrebbe provocato l'alterco e poi il gesto folle del fidanzato. Muthoni era molto nota in Kenya per i risultati e tempi a corredo delle maratone locali e, in particolare, per l'attività di scouting svolta per la comunità del Kenya Wildlife Service (Kws). Un caso di femminicidio, il secondo nel giro di poche ore.
Il Paese ha seguito con attenzione anche l'evoluzione delle indagini sull'omicidio di Tirop: la svolta è arrivata con l'arresto del marito avvenuto a Changamwe (Mombasa, sempre in Kenya). L'uomo è stato fermato mentre era alla guida della sua auto e portato in carcere. Tirop, due bronzi mondiali, conosciuta come una delle atlete di punta, era reduce dalle Olimpiadi di Tokyo 2020 faceva parte della selezione kenyota alle Olimpiadi di Tokyo 2020 dove aveva sfiorato il podio nella gara dei 5.000 metri.
Marco Bonarrigo per corriere.it il 13 ottobre 2021. Il 12 settembre scorso aveva stabilito il nuovo primato mondiale dei 10 mila metri su strada (in una gara senza “lepri” maschili), mancando di un solo secondo (30’01”) la barriera dei 30 minuti netti. Il 13 ottobre Agnes Jebet Tirop, 25 anni, keniana, è stata trovata morta, trafitta da numerose coltellate, nella sua casa di Iten, in quella Rift Valley keniota dove abitano e si allenano i più forti maratoneti del mondo. Secondo le prime informazioni ad averla uccisa sarebbe stato il marito, dopo un litigio che aveva allarmato i vicini: l’uomo, che era anche il suo allenatore, sarebbe stato già arrestato. Come moltissimi fondisti africani, Agnes aveva un procuratore italiano: l’ex azzurro Gianni Demadonna. «Una tragedia immane - spiega Demadonna - di cui abbiamo notizie solo parziali. So che lei e il marito avevano litigato un paio di mesi fa e Agnes si era trasferita per allenarsi al centro federale di Iten. Cosa possa essere successo davvero non lo so, so che Agnes era un talento enorme». Kirop era considerata una grandissima promessa fin da ragazzina: nel 2015 fu la più giovane atleta di sempre a vincere (assieme a Zola Budd, trent’anni prima) il titolo mondiale assoluto di cross country. Nel 2017 a Londra e nel 2019 a Doha conquistò per due volte consecutive la medaglia di bronzo mondiale nei 10 mila metri arrivando poi quarta lo scorso agosto ai Giochi di Tokyo sui 5 mila metri. La tragedia della Kirop fa riaffiorare quella di Samuel Wanjiru, keniano, oro olimpico in maratona a Pechino 2008, anche lui morto in circostanze misteriose nel 2011 dopo una lite familiare.
Tamburrino è stato condannato all'ergastolo, la lettera della figlia. Il femminicidio di Norina, la cattura del boss e i figli costretti a vivere sotto protezione: “Ci hai marchiati a vita”. Giovanni Pisano su Il Riformista il 14 Ottobre 2021. In alto a sinistra Salvatore Tamburrino, in basso Marco Di Lauro. Al centro Norina Matuozzo. Non solo hanno dovuto assistere all’omicidio della madre, Norina Matuozzo, 33 anni, uccisa con tre colpi d’arma da fuoco dal marito perché aveva deciso di lasciarlo, stanca dell’ennesimo tradimento. Ma sono anche stati costretti a entrare nel programma di protezione lasciando la loro città e i loro affetti perché il loro papà, Salvatore Tamburrino, 43 anni, dopo il femminicidio avvenuto il 2 marzo 2019 nell’abitazione dei nonni materni a Melito, comune a nord di Napoli, ha deciso di costituirsi alle forze dell’ordine dando il là a quelle “fibrillazioni“, così ribattezzate dall’allora questore di Napoli Antonio De Iesu, che portarono poche ore dopo alla cattura di Marco Di Lauro, quarto figlio del super boss Paolo Di Lauro, latitante da quasi 14 anni. In sostanza Tamburrino, affiliato al clan e facente parte della cerchia ristretta di persone che curavano la latitanza di Di Lauro jr, avrebbe fornito informazioni decisive per arrivare alla cattura di “F4”. Di conseguenza dopo essere passato a collaborare con la giustizia, sono entrati nel programma di protezione anche i suoi figli (e i nonni materni), che oggi hanno 16 e 9 anni. Mercoledì 13 ottobre Tamburrino è stato condannato dalla prima sezione della Corte di Assise di Appello di Napoli all’ergastolo per l’omicidio di Norina, ammazzata nell’abitazione dei suoi genitori dove si era trasferita insieme ai figli dopo la separazione. Era sabato e si era recato lì per parlare armato di pistola, poi la tragedia e la fuga. Anche in primo grado, il 3 marzo 2020, Tamburrino era stato condannato all’ergastolo al termine di un processo celebrato con il rito abbreviato per omicidio volontario, aggravato dalla premeditazione, dal vincolo sentimentale con la vittima, dalla presenza di figli minori e dai maltrattamenti. Durissime le parole della figlia 16enne che, attraverso la pagina social “Giustizia per Norina Matuozzo” (che negli ultimi due anni ha tenuto vivo il ricordo della 33enne uccisa dal marito), ha pubblicato una lettera che ripercorre il calvario vissuto da quel maledetto 2 marzo 2019. “Nonostante siano passati più di 2 anni e mezzo dall’evento che più mi ha segnata, trovo ancora assurdo il fatto di dover continuare a fare conti con la persona, o per meglio dire, la fonte del marchio nero che sarà per sempre riconducibile alla mia persona. La cosa più logica per ogni essere razionale che rientra nei canoni di “normalità morale” (cosa che tu, Salvatore, non hai), dopo aver commesso un atto di questo genere, sarebbe, semplicemente e come minimo, vivere la propria condanna tenendo la testa bassa, così come tu, Salvatore, hai sempre imposto di tenere quella di chi, più di tutti, avrebbe dovuta tenerla sempre alta. Tu hai deciso di non fare alcuno sconto di pena alla mia mamma, e allora non meriti neanche tu di averli. C’è una cosa su cui pongo spesso la mia attenzione: il sole oltrepassa, ogni giorno, il muro della notte per riprendersi la luce. Ecco, io l’ho fatto.
E ora che tu, Salvatore, sei nel buio, sei proprio sicuro di riuscire a trovare la luce?
Ho continuato ad avere fiducia nella giustizia ed oggi dico, con molta fierezza: Ergastolo per Salvatore Tamburrino”.
Sulla sentenza si è espressa anche Elda Matuozzo, sorella di Norina: “Abbiamo trovato una corte giusta, perché questo è stato un processo per un femminicidio dove non era giusto che l’imputato facesse valere il suo stato di collaboratore. E’ stata dura, ci siamo battuti molto per evitarlo. Quando è stata letta la sentenza, ho rivolto lo sguardo verso la foto di mia sorella e le ho detto: ‘hanno dato il giusto valore alla tua perdita, valevi tanto come persona e anche lo Stato te lo ha riconosciuto. Comunque – conclude Elda – diventerà questa una vittoria a 360 gradi quando tutti i femminicidi saranno puniti con il massimo della pena”.
Giovanni Pisano. Napoletano doc (ma con origini australiane e sannnite), sono un aspirante giornalista: mi occupo principalmente di cronaca, sport e salute.
Femminicidio a Manduria, la ricostruzione della brutalità. La lite appena alzati poi la brutale aggressione con la lama. Nazareno Dinoi su La Voce di Manduria mercoledì 13 ottobre 2021. L’allarme ieri mattina è scattato intorno alle 9,30. Manduria non si aspettava e sicuramente non meritava questo orrendo delitto, il più odioso forse che fa allungare il triste e doloroso elenco di donne uccise dai propri mari, compagni, conoscenti, amici. Così ieri è cominciata la tragedia che macchierà la cittadina di un altro infamante fatto di cronaca. «Venite in via Manfredi Ina casa, ho ucciso la mia compagna». È stato lui stesso a telefonare ai carabinieri piombati all’indirizzo che l’uomo ha dettato con lucidità. Un piccolo appartamento al primo piano delle palazzine di edilizia popolare del rione Barco a Manduria. Pietro Dimitri, 75 anni, ha poi atteso l’arrivo dei militari della locale stazione carabinieri a cui ha aperto la porta facendoli accomodare. «È lì per terra», ha detto al primo in divisa indicando la stanza da letto dove il corpo di Giuseppa Loredana Dinoi, 71 anni, giaceva sul pavimento parallelamente al letto e immerso nel suo stesso sangue. Un’altra scia rossa e lucida conduceva nella stanza vicino dove il settantacinquenne si era disteso, anche lui coperto di sangue che gli usciva da numerose ferite da taglio che si era procurate con la stessa arma usata per uccidere la sua compagna. Un femminicidio con tentativo di suicidio come se ne sentono tanti in ogni parte del mondo e dove le scene sembrano tutte uguali. L’umile abitazione si è ben presto animata di investigatori e soccorritori del 118. I sanitari, una volta accertato il decesso della donna, si sono dedicati all’uomo che continuava a perdere sangue da una miriade di micro ferite da taglio su entrambe le braccia e uno più profondo sul collo all’altezza della carotide che non era stata intaccata. Aveva invece compiuto bene l’opera sulla sua convivente, raggiunta da numerosi fendenti, almeno una ventina, su diverse parti del corpo con particolare accanimento su collo e volto. L’arma, un taglierino di grandi dimensioni di quelli usati dai tappezzieri, era ancora vicino a lui, per terra, vicino ad un divano. Le indagini sono iniziate subito con gli investigatori del nucleo operativo radiomobile della compagnia carabinieri di Manduria e con gli specialisti della sezione scientifica del comando provinciale di Taranto che hanno cristallizzato la scena del crimine. Dalla prima ricostruzione fatta dai carabinieri che hanno raccolto la versione dell’omicida, pare che tra i due appena alzati sarebbe iniziata una lite che man mano è degenerata sino al tragico epilogo. Sull’origine dell’animata discussione non ci sono certezze. L’uomo avrebbe accennato a presunte incomprensioni che duravano da tempo sino alla volontà di lei andarsene e lasciarlo solo. Sarebbe stata questa volontà della donna a far scattare l’aggressione brutale e violenta. I due indossavano ancora il pigiama per cui la lite sarebbe scoppiata abbastanza presto. Il medico dell’ufficio legale della Asl, Fernando Greco che ha effettuato la visita necroscopica sul corpo della vittima, ha evidenziato delle profonde ferite all’avambraccio sinistro, segno evidente che la donna ha cercato di difendersi facendosi scudo con le braccia dai colpi di lama impugnata dal suo assassino. Più d’una invece le ferite mortali tutte alla gola. Nessuno nel condominio ha sentito urla o rumori. Il pubblico ministero Remo Epifani, dopo la sutura delle ferite eseguita dai medici del pronto soccorso dell’ospedale Marianna Giannuzzi, ha disposto l’arresto dell’uomo che è stato poi trasferito nel carcere di Taranto. Difeso dall’avvocato Dario Blandamura, deve rispondere di omicidio volontario. Il titolare dell’inchiesta ieri non aveva ancora deciso se chiedere o meno l’autopsia. Nazareno Dinoi
I personaggi di questa tristissima pagina di cronaca manduriana. Una lunga e contrastata relazione tra i due finita nel peggiore dei modi. Nazareno Dinoi su La Voce di Manduria mercoledì 13 ottobre 2021. Una lunga e contrastata relazione tra i due finita nel peggiore dei modi. Lui, ex imprenditore, titolare di una impresa edile con discreti successi intorno agli anni Ottanta; lei pensionata ed ex titolare di una lavanderia sempre a Manduria. Pietro Dimitri, sposato e separato, padre di tre figli, due maschi e una donna, Giuseppa Loredana Dinoi, la sua vittima, nubile, che ha vissuto sempre con l’anziana madre. Poi, con la morte della sua mamma, la decisione di rendersi indipendente acquistando con i risparmi di una vita il piccolo appartamento delle case popolari del rione Barco. Un modesto alloggio di poche stanze al primo piano delle palazzine a schiera di Via Manfredi dove di tanto in tanto ospitava l’amico di una vita. Un vissuto molto travagliato quello dell’ex imprenditore caduto in disgrazia per la sua vicinanza con gli ambienti della malavita locale che lo hanno coinvolto in episodi criminali. Ha fatto così conoscenza del carcere dove è finito per reati associativi estorsivi e rapina. Agli inizi degli anni Novanta venne poi accusato di reati di mafia contro cui si è sempre dichiarato innocente dicendosi vittima di un errore giudiziario. Una decina di anni fa è stato lui stesso a far parlare i giornali per un caso di omonimia con un esponente della sacra corona unita che aveva le sue stesse generalità. Così, chiarito l’errore giudiziario, Dimitri ha avanzato una richiesta di risarcimento attribuendo il suo fallimento lavorativo alla mancanza di commesse dovute al marchio di mafioso appiccicato ingiustamente dalla giustizia. La causa intentata si concluse con il riconoscimento a suo favore di alcune migliaia di euro. Una vita turbolenta la sua con rapporti complicati con tutti i parenti per cui viveva da solo, spesso senza un letto dove dormire. Recentemente alternava l’ospitalità della sua storica compagna con la permanenza in macchina dove ha trascorso diverse notti. In questo periodo la settantunenne uccisa, evidentemente impietosita dalle condizioni di indigenza dell’ex imprenditore, aveva deciso di dargli ospitalità nel suo appartamento popolare. Una scelta costatale la vita nella maniera peggiore che si potesse ipotizzare. La famiglia di lei, numerosa e onorabilissima, è molto conosciuta in città. Dieci figli tutti sposati, tranne lei, rimasti in nove con la morte del primogenito ed ora in otto con la terribile fine di Pina, come la chiamavano in famiglia ed anche i suoi numerosi clienti della lavanderia di via Per Uggiano. Dopo la decisione di andare a vivere da sola e con la morte della madre, Pina aveva cercato di rifarsi una vita tessendo nuove amicizie con gli inquilini della palazzina di via Manfredi. Nessuno di loro ieri ha sentito le sue urla, perché avrà pur gridato quando ha visto l’uomo che per tanti anni aveva amato e che ora la stava uccidendo con quella lunga e spaventosa lama tagliente. Le ferite all’avambraccio che il medico legale ha definito «di difesa», dimostrerebbero che la donna ha avuto il tempo di capire cosa le stesse accadendo ed avrà urlato, forse proprio per chiedere aiuto. Urla che si sono spente in gola quando la lama ha raggiunto la parte più profonda.
L'uomo ha lamentato vessazioni da parte della compagna che ha poi ucciso tagliandole la gola. Nazareno Dinoi su La Voce di Manduria venerdì 15 ottobre 2021. Confuso e dispiaciuto per non essere riuscito ad uccidersi. Ma anche deciso nel giustificare l’orribile gesto con le presunte vessazioni di cui sarebbe stato vittima da parte della donna che ha ucciso. Ha risposto a tutte le domande del gip, ieri, Pietro Dimitri, 75 anni, l’omicida manduriano reo confesso che martedì mattina ha tagliato la gola alla sua compagna, Giuseppa Loredana Dinoi di 71 anni, tentando poi di togliersi la vita con la stessa arma, un grosso taglierino dalla lama lunga 13 centimetri. Nel corso dell’udienza di convalida dell'arresto, confermata dalla gip al termine dell'udienza, l’indagato che era assistito dall’avvocato Dario Blandamura, ha raccontato momento per momento l’accaduto dicendosi sì dispiaciuto di quanto accaduto, ma soprattutto di non essere riuscito ad uccidersi a sua volta. Al momento del fermo aveva diversi tagli poco profondi alle braccia e al collo. Inoltre, come lui stesso ieri ha ricordato, avrebbe anche ingerito una decina di compresse di natura non definita. In quanto al motivo dell’orrendo gesto, l’uomo l’avrebbe attribuito all’esplosione di rabbia repressa da tempo dovuta a comportamenti vessatori della sua compagna che lo avrebbe torturato psicologicamente e che spesso lo avrebbe cacciato da casa costringendolo a dormire in macchina. L’indagato avrebbe fatto intendere che alla base delle continue liti ci sarebbe il comportamento della donna che non gradiva le frequentazioni che l’uomo aveva conservato con i quattro figli dopo la burrascosa separazione dalla moglie. Dimitri ha detto di aver conosciuto la sua vittima quando era ancora una ventenne e che il loro rapporto, con alti e bassi, durava da allora. Il settantacinquenne che ha risposto a tutte e domande poste dalla gip Rita Romano e dal pubblico ministero Remo Epifani, collegati con lui in videoconferenza, sarebbe apparso confuso e disorientato ammettendo di essere affetto da una forma irresistibile di attrazione per il gioco che lo avrebbe portato sul lastrico e che era anche questa alla base delle discussioni con la sua compagna. A proposito della presunta ludopatia, Dimitri avrebbe ricordato anche un precedente ricovero in una struttura psichiatrica di Lecce. Facile a questo punto pensare ad una strategia difensiva che porterebbe dritto verso la richiesta dell’infermità mentale del femminicida. Al termine dell’udienza, la gip Romano ha confermato l’arresto riservandosi di decidere sul tipo di misura da adottare. Il pm ha chiesto la conferma del provvedimento cautelare in carcere, mentre la difesa quella domiciliare con il braccialetto. Intanto sabato mattina il pubblico ministero affiderà l’incarico per l’autopsia che si terrà in giornata per consentire i funerali che con molta probabilità si terranno il giorno dopo, domenica 17. La perizia dovrà accertare le cause della morte e stabilire quali e quanti colpi inferti sulla vittima sono stati mortali. La prima visita necroscopica eseguita dal medico dell’ufficio igiene della Asl di Manduria, Fernando Greco, ha evidenziato diffuse ferite da taglio in diverse parti del corpo con particolare accanimento sulla parte destra e sinistra del collo e del volto. Intanto i sette fratelli della vittima hanno incaricato l’avvocato Lorenzo Bullo che li rappresenterà con un proprio consulente di parte nel corso dell’esame autoptico. I familiari dell’ex imprenditrice morta (in passato ha gestito una lavanderia a Manduria), si sono detti già pronti a costituirsi parte civile e a battersi con tutte le loro forze per la condanna di Dimitri. Nazareno Dinoi
Più di cinquanta fendenti per uccidere Pina. L'orrendo esito dell'autopsia sulla donna uccisa a Manduria dal suo compagno. La Voce di Manduria martedì 19 ottobre 2021. Si è conclusa iri sera l’autopsia sul corpo della povera Pina Dinoi, barbaramente uccisa nella sua casa di via Manfredi a Manduria per mano dell’uomo con cui conviveva e che frequentava da una vita. Il risultato dell’esame è sconvolgente. Più di cinquanta tagli, quasi tutti al collo, hanno ucciso Giuseppa Loredana Dinoi, la settantunenne manduriana che martedì scorso è stata ferita mortalmente dal suo compagno, Pietro Dimitri, 75 anni, reo confesso, detenuto in carcere con l’accusa di omicidio volontario con l’aggravante della crudeltà. Il medico legale Massimo Sarcinella che ieri ha eseguito l’autopsia su incarico del pubblico ministero Remo Epifani, ha contato più di cinquanta ferite su tutto il corpo della donna. Molte erano di difesa, agli avambracci e alle gambe con le quali la donna ha cercato di respingere l’uomo e di pararsi dalla lama del grosso taglierino industriale di quelli usati nei laboratori di tappezzeria. Come una furia, poi, il settantacinquenne si è accanito sul collo della sua vittima con numerosi fendenti. Uno in particolare, quello mortale, le ha reciso di netto la carotide destra. Altri particolari dell’autopsia che lasciano senza parole, descrivono tagli inferti anche dopo la morte della donna. All’esame autoptico hanno preso parte i medici legali delle parti interessate, Massimo Brunetti per i parenti della vittima e Angelo D’Elia per l’omicida. Il dottore Sarcinella ha inoltre prelevato le parti anatomiche necessarie per l’esame tossicologico il cui esiti si conoscerà nei prossimi giorni. La pubblica accusa che contesta al femminicida reo confesso l'omicidio volontario aggravato dalla crudeltà e dalla sua convivenza con la vittima (in assenza di attenuanti la pena prevista è l'ergastolo). Dopo aver martoriato il corpo della sua compagna Dimitri ha cercato a sua volta di uccidersi con dei tagli poco profondi sulle braccia e sul collo e con l'ingestione di medicinali che assumeva regolarmente. L'arma utilizzata, una lama lunga 13 centimetri e larga 3, è stata trovata nella casa dell'orrore vicino al divano dove l'uomo ferito ha atteso l'arrivo dei carabinieri che lui stesso aveva chiamato: «sono Pierino Dimitri, venite in via Manfredi case popolari, ho ammazzato la mia compagna», ha detto al centralino della caserma carabinieri di Manduria. Domani i funerali chiuderanno la prima fase della brutta storia poi tutto nelle mani dei magistrati. Per volontà dei suoi parenti, la cerimonia religiosa si terrà in forma privata nella chiesa della parrocchia di San Giovanni Bosco. Si terranno domani i funerali di Giuseppina Loredana Dinoi, da tutti conosciuta come Pina. Per volontà dei suoi parenti, la cerimonia religiosa si terrà in forma privata nella chiesa della parrocchia di San Giovanni Bosco e ad officiarla sarà don Dario De Stefano. La terribile vicenda che ha lasciato incredula l’intera comunità e che ha travalicato anche i confini regionali proprio per la sua crudeltà, avrà ora il suo percorso giudiziaria con un processo che vedrà alla sbarra il femminicida reo confesso che rischia il carcere a vita. Saranno tristi protagonisti i familiari dei due protagonisti. I sette fratelli e sorelle della vittima hanno già dato mandato all’avvocato Lorenzo Bullo la cura della costituzione di parte civile. I quattro figli dell’omicida hanno invece dato incarico per la difesa all’avvocato Dario Blandamura. L’elemento che farà la differenza ai fini della pena (strategia difensiva a parte che a questo punto potrebbe puntare sull’infermità mentale dell’imputato), sarà la premeditazione dell’omicidio che all’omicida potrà costare il carcere a vita.
Femminicidio nel Bresciano. Uccide la ex e avverte i vicini: “Chiamate i carabinieri, l’ho ammazzata a martellate”. Redazione su Il Riformista il 20 Ottobre 2021. Ha ucciso a martellate la sua ex in strada, poi ha chiamato i carabinieri per annunciare tutto. La vittima si chiamava Elena Casanova, 49 anni, mentre l’ex compagno, Ezio Galesi, coetaneo, è stato arrestato sul posto. L’ennesimo femminicidio è successo a Castegnato, in provincia di Brescia. A lanciare l’allarme sono stati i vicini di casa della donna. “Chiamate i carabinieri, l’ho uccisa a martellate”. Così Ezio Galesi, parlando in dialetto bresciano, si è rivolto ai vicini di casa della ex dopo averla uccisa in strada a Castegnato. La coppia, secondo quanto ricostruisce l’Ansa, non stava più insieme da un anno e la donna, operaia all’Iveco in città e madre di una ragazza di 17 anni avuta dal primo matrimonio, è morta sul colpo a pochi metri dalla sua auto appena parcheggiata.
Brescia, 49enne uccisa in strada a martellate dall'ex fidanzato. Redazione Tgcom24 il 20 ottobre 2021. Una donna di 49 anni, Elena Casanova, è stata uccisa a martellate in strada dall'ex fidanzato, Ezio Galesi (59). E' successo a Castegnato, in provincia di Brescia. "Chiamate i carabinieri, l'ho uccisa a martellate", avrebbe urlato l'omicida ai vicini di casa, che hanno dato l'allarme. Galesi è stato arrestato. Il femminicidio è avvenuto fuori dall'abitazione della donna, che da 15 anni abitava in paese e che era impegnata in campagne ambientaliste con comitati locali. La casa della vittima è una villetta a schiera che si affaccia su alcuni campi agricoli, in una zona non troppo illuminata. Secondo la ricostruzione dei carabinieri, Galesi, separato e padre di due figli già grandi, ha seguito la ex fidanzata e quando lei ha parcheggiato ha prima infranto con un martello il finestrino della vettura e poi ha colpito ripetutamente la donna, morta sul colpo. A lanciare l'allarme sono stati i vicini di casa che hanno sentito le urla e sono poi stati avvisati dallo stesso assassino, che ha infine atteso in strada l'arrivo dei carabinieri e ha consegnato il martello. La coppia pare che da un anno non stesse più insieme, e che Elena Casanova, operaia alla Iveco a Brescia, avesse iniziato una nuova relazione.
Lilina Golia per il "Corriere della Sera" il 22 ottobre 2021. Tormentata per mesi con messaggi di minacce, intimidazioni e scritte sui muri. Ma Elena Casanova non aveva mai pensato di sporgere denuncia nei confronti del suo ex compagno. Non pensava che lui l'avrebbe ammazzata per strada a Castegnato, nel Bresciano. Invece, forse, per Ezio Galesi, operaio cinquantanovenne con il quale aveva avuto una relazione fino a un anno fa, era diventato un chiodo fisso, vendicarsi perché lei aveva interrotto la loro storia. «In quel momento volevo ucciderla», ha dichiarato nel breve interrogatorio reso al pm, Carlo Pappalardo, subito dopo essere stato arrestato dai carabinieri. «Perché tanta violenza? Perché c'erano dei sentimenti. Anzi, no, ritratto tutto. Non voglio rispondere a questa domanda. È stato un raptus». Meno di mezz'ora per dare spiegazioni sommarie e controverse. Mercoledì sera, intorno all'ora di cena, ha scatenato la sua furia contro Elena Casanova, operaia di 49 anni, massacrata a martellate. L'ha sorpresa per strada mentre rincasava in auto. L'ha prima insultata, poi ha infranto il finestrino con il martello, l'ha trascinata fuori dall'abitacolo e ha preso a colpirla alla testa. Lei ha fatto solo in tempo a chiedergli «perché?». Le urla dalla strada hanno fatto irruzione nelle case lì intorno. «L'ho uccisa, chiama i carabinieri» ha detto Ezio Galesi a chi si era precipitato in strada per cercare di salvare Elena. «Ho fatto quello che dovevo fare», poi si è acceso una sigaretta. La tragedia nella tragedia si consuma quando in via Fiorita si trovano a passare la figlia diciassettenne della donna e l'ex marito che rincasavano con le pizze. L'uomo vede Galesi a braccia conserte davanti a un corpo a terra. Intuisce il dramma e, per proteggere la ragazza, cambia strada e la porta via. «Papà, hanno ucciso Elena» urla un ragazzo dalla strada, «ma che scherzo è questo?», risponde una voce dalla finestra. «L'ho colpita più volte alla testa», ha raccontato Galesi qualche ora dopo al pm al quale ha confessato anche di aver bucato le gomme dell'auto della donna. Ma non ha parlato di quelle scritte, che in molti hanno attribuito a lui, comparse sui muri vicino a casa di Elena. «Goditela mille euro», frase che farebbe riferimento a un presunto debito della donna nei confronti di Galesi che aveva svolto alcuni lavori di giardinaggio. Debito che, forse, era stato saldato in parte e che, forse, è stato solo il pretesto per perseguitarla e punirla per averlo lasciato. Ieri mattina a Castegnato era come se quelle martellate feroci avessero colpito l'intera comunità. «Siamo disorientati - dice il sindaco, Gianluca Cominassi - lui abitava vicino al comune e lo incrociavo sempre. Ogni tanto dava una mano per le feste in paese. Aveva avuto anche una militanza politica con i 5 Stelle. Lei aveva fatto parte della Protezione Civile ed era impegnata con gruppi ambientalisti. Ora dobbiamo trovare il modo più adatto per sostenere i familiari di Elena e l'intera comunità». Intanto in via Fiorita, sul marciapiede dove è stata uccisa Elena, in tanti lasciano dei fiori e si fanno il segno della croce.
Lilina Golia per corriere.it il 21 ottobre 2021. «In quel momento la volevo uccidere. Perché tanta violenza? Perché c’erano dei sentimenti, anzi no, ritratto e non voglio rispondere a questa domanda. È stato un raptus». Così Ezio Galesi nell’interrogatorio sostenuto questa notte davanti al pubblico ministero di Brescia Carlo Pappalardo, nel quale ha ammesso l’omicidio dell’ex compagna Elena Casanova, 49enne uccisa a colpi di martello.
Una deposizione confusa
La confusione o forse il timore di aggravare la sua posizione. Poche parole controverse quelle di Ezio Galesi. Mercoledì sera aveva aspettato Elena Casanova con un grosso martello in mano. Nella penombra di via Fiorita a Castegnato, dove vive la donna, mamma di una ragazza di 17 anni. «L’avevo incrociata ieri in un negozio e poi sono andato ad aspettarla sotto casa», ha dichiarato ancora al pm Pappalardo. Quando lei è arrivata in auto, l’ha prima insultata e poi ha infranto il finestrino con il martello, con il quale, subito dopo, ha preso a colpirla. Quando i vicini si sono affacciati, sentendo le urla, ormai era troppo tardi e proprio Galesi ha detto a uno di loro di chiamare i carabinieri.
Un piccolo debito, o la gelosia, la causa della furia omicida
La loro relazione era finita da circa un anno, ma l’uomo non si dava pace e, forse, la sua rabbia era cresciuta quando aveva saputo che la donna, operaia all’Iveco, aveva iniziato un nuovo capitolo della sua vita al fianco di un altro compagno. Ma pare che a scatenare la sua furia sia stata una questione economica, un debito di poche centinaia di euro, saldato solo parzialmente dalla donna. «L’avevo detto che l’avrei uccisa e l’ho fatto», ha urlato in mezzo alla strada, subito dopo aver colpito Elena Casanova e abbandonato il martello insanguinato a fianco dell’auto.
La scritta sul muro
«Goditela mille euro». Questa la scritta che appare sul muro a poca distanza dall’abitazione di Elena Casanova e che sarebbe stata fatta dall’ex fidanzato Ezio Galesi, che ieri sera l’ha uccisa a martellate in strada a Castegnato nel Bresciano. La scritta si riferirebbe al presunto debito che la donna aveva nei confronti dell’uomo per alcuni lavori di giardinaggio svolti a casa nel periodo del lockdown. L’uomo nel corso dell’interrogatorio non ha parlato di queste scritte, ma ha invece ammesso di aver tagliato a gennaio le gomme dell’auto alla ex che non lo aveva mai denunciato.
Da "repubblica.it" il 21 settembre 2021. La vendetta è riuscita ma è costata cara a chi l’ha messa in pratica, una moglie, che dopo aver scoperto il marito in compagnia dell’amante gli ha distrutto la costosissima Maserati che l’uomo custodiva in garage. È successo nella notte tra mercoledì e giovedì a Biella, dove la coppia abita. La donna era partita per un viaggio di lavoro lasciando casa libera al marito che ha subito invitato l’amante. Il ritorno anticipato della consorte, però, ha fatto precipitare la situazione. La signora, di fronte alla manifesta infedeltà del coniuge, ha cominciato a distruggere tutto quello che ha trovato sulla sua strada: quadri, soprammobili, mobili di casa, tanto che l’amante - spaventata - si è chiusa in bagno temendo di diventare il bersaglio della donna. La moglie tradita, invece, è scesa in garage dove il marito custodiva una preziosa Maserati da quasi 200mila euro e ha cominciato a infierire su carrozzeria, vetri, sedili e ruote, usando qualunque oggetto le passasse per le mani. Alla fine del suo intervento l’auto era completamente distrutta. La donna se ne è poi andata lasciando in casa amante e marito il quale però, una volta scoperto il danno all’auto, si è presentato alla polizia per sporgere denuncia contro la moglie. Il danno, calcolando anche i mobili e gli arredi rovinati in casa, ammonta a circa 300mila euro, un conto che l'uomo potrebbe presentare alla moglie con una richiesta di risarcimento insieme alla denuncia per danneggiamento.
L'uomo è stato arrestato. “Papà picchia la mamma”, figli di 8 e 11 anni corrono in caserma e salvano la donna. Vito Califano su Il Riformista il 7 Ottobre 2021. Di nascosto, a soli 8 e 11 anni, sono corsi in caserma. Non sopportavano evidentemente più le violenze del padre ai danni della madre. Calci, pugni e altre percosse. È successo a Ribera, in provincia di Agrigento. I bambini hanno praticamente denunciato ai carabinieri il padre, che è stato arrestato. La coppia si era separata da un anno. L’uomo ha 38 anni, fa l’operaio. È denunciato con l’accusa di maltrattamenti in famiglia, lesioni aggravate e violazione di domicilio. Avrebbe infatti forzato il cancello di ingresso, rompendo la catena, per introdursi all’interno dell’abitazione della donna. E a quel punto sarebbero partite le violenze raccontate dai bambini ai militari. Mentre i piccoli, una femmina di 8 anni e un maschio di 11 anni, correvano in caserma la donna era riuscita a liberarsi dalla furia del marito. Era scappata. L’uomo provando a inseguirla scavalcando il cancello si è ferito a una mano con una lancia acuminata dello stesso cancello. Si è accanito anche contro l’automobile della moglie prima di recarsi all’ospedale di Ribera, dove il personale medico non lo ha fatto entrare al Pronto Soccorso perché il “Fratelli Parlapiano” è centro covid. In preda a un raptus il 38enne sarebbe salito a bordo dell’auto e dopo una breve rincorsa si sarebbe scagliato contro il portone d’ingresso del pronto soccorso. Dopo si sarebbe diretto verso la vicina guardia medica. Si sarebbe anche lì accanito a pugni contro i vetri perché i sanitari non gli aprivano. È stato infine medicato al “San Giovanni di Dio” di Agrigento. Stando a quanto scrive Agrigento Notizie non era la prima volta che l’uomo aggrediva l’ex moglie. È quanto ha ricostruito l’indagine sulla base anche di varie testimonianze. La donna, dopo l’aggressione, è stata ritrovata con il volto tumefatto e il naso sanguinante. L’intervento dei militari è stato immediato. I carabinieri hanno messo al sicuro la donna e i piccoli, disponendone il trasferimento in ambulanza all’ospedale di Sciacca dove i medici hanno curato e dichiarato guaribile la madre in 10 giorni. L’uomo è stato portato al carcere di Trapani. Dopo l’interrogatorio di garanzia il gip ha convalidato la custodia cautelare in carcere.
Vito Califano. Giornalista. Ha studiato Scienze della Comunicazione. Specializzazione in editoria. Scrive principalmente di cronaca, spettacoli e sport occasionalmente. Appassionato di televisione e teatro.
Omicidio Carmen De Giorgi, la barista: «È stato un finimondo horror, quello è uscito per ammazzare». La testimonianza: «Ha iniziato ad accoltellare tutte le donne e Carmen non ce l’ha fatta, io sopravvissuta per caso, mi sono chiusa in bagno». Massimiliano Nerozzi su Il Corriere della Sera il 5 ottobre 2021.
Chiara Ammendola per fanpage.it il 5 ottobre 2021. Una donna, Carmen De Giorgi, è stata uccisa a coltellate la scorsa notte in un bar nel Torinese. A colpirla mortalmente un uomo armato che si è poi scagliato contro altre due giovani donne, ferendole in maniera non grave. L'omicidio si è consumato in un bar di Luserna San Giovanni, nel Torinese, dove i carabinieri hanno poi arrestato l'assassino: il 34enne Hounaifi Mehdi.
L'assassino è stato arrestato dai carabinieri
L'allarme è scattato la scorsa notte intorno all'1.30 quando è stato chiesto l'intervento del 112 nei pressi del bar Primavera, in via I Maggio, a Luserna San Giovanni, in provincia di Torino. È qui che l'assassino, brandendo un'arma bianca, si è scagliato contro la vittima, che ha colpito più volte uccidendola. Sul posto sono giunti i carabinieri di Pinerolo che hanno immediatamente arrestato l'uomo: non è ancora chiaro se l'omicida conoscesse la sua vittima. I militari stanno indagando per ricostruire l'accaduto ma stando a quanto raccontato da due testimoni che hanno assistito all'omicidio, l'assassino avrebbe aggredito la vittima dopo il rifiuto di quest'ultima alle sue avances.
La vittima lascia un figlio adolescente
L'assassino, Hounaifi Mehdi, è un uomo di 34 anni di nazionalità marocchina: secondo quanto ricostruito finora sembra che fosse seduto al bar allo stesso tavolo della vittima, la 44enne Carmen De Giorgi, che lavorava nella fabbrica di acque minerali Sparea e aveva una figlia adolescente. L'assassino dopo l'omicidio è uscito dal bar forse per tentare una fuga bloccata dopo soli 100 metri dai carabinieri di Pinerolo allertati da alcuni testimoni: i militari lo hanno arrestato e portato in caserma per essere interrogato. Al momento si trova in carcere in attesa di essere interrogato dagli inquirenti così come le due amiche della vittima che sono ora ricoverate in ospedale.
Rifiuta le avances, poi il marocchino la uccide a coltellate. Samuele Finetti il 5 Ottobre 2021 su Il Giornale. Carmen De Giorgi, 44 anni, è stata accoltellata a morte da Hounafi Medhi, 34enne di origini magrebine Ferite due amiche sedute allo stesse tavolo. Carmen e Hounafi si conoscevano. Erano seduti insieme in un bar con altre due donne. Una serata tra amici, sfociata improvvisamente nel sangue. Forse delle avances rifiutate, secondo le prime ipotesi degli inquirenti. Era circa l'1.30 di questa notte quando Hounafi Medhi, 34enne disoccupato marocchino - con regolare permesso di soggiorno - ha accoltellato a morte Carmen De Giorgi, 44 anni, colpendola più volte alla schiena. Dopo averla uccisa, Medhi non si è fermato e si è scagliato contro le due amiche - di 29 e 44 anni - che sedevano allo stesso tavolo e le ha ferite in modo fortunatamente non grave mentre cercavano di difendere la vittima. L'omicidio è avvenuto all'interno di un bar di Luserna San Giovanni, poco più di settemila abitanti a una cinquantina di chilometri a sud-ovest di Torino. Il magrebino è fuggito dal locale ed è stato fermato dai carabinieri della compagnia di Pinerolo mentre vagava lungo le strade del paesino. I militari, allertati dagli altri clienti del bar, hanno già ritrovato e sequestrato l'arma del delitto, un coltello con lama di circa 30 centimetri. Secondo quanto riferito da una testimone, mentre colpiva la vittima con i suoi fendenti, il magrebino avrebbe urlato: "Tanto sono marocchino, Allah mi protegge". Carmen De Giorgi lascia una figlia adolescente.
Samuele Finetti. Nato in Brianza nel 1995. Due grandi passioni: la Storia, specie quella dell’Italia contemporanea, che ho coltivato all’Università Statale di Milano, dove mi sono laureato con una tesi sulla strage dipiazza Fontana. E poi il giornalismo, con una frase sempre in mente: «Voglio poter fare, soltanto, una cronaca di fatti e di parole veri». Ostinatamente prezzoliniano Samuele Finetti
Antonio Giamo per “La Stampa” il 6 ottobre 2021. Hanno lasciato una rosa rossa davanti alla porta del bar, sprangata e con i sigilli. Una rosa per una donna ammazzata senza un perché da un uomo che neanche conosceva. Lui aveva offerto da bere a lei e alle sue amiche. Loro hanno ringraziato. Poi lui s'è fatto avanti con Carmen. Si sono detti due parole. Il tempo di tornare a sedersi con le altre ragazze e lui l'ha vigliaccamente accoltellata. Alla schiena. Una due, tre volte, chissà. Carmen De Giorgi aveva 44 anni, faceva l'operaia in un'azienda che imbottiglia acqua minerale. Era mamma di una bambina appena adolescente. Carmen è morta praticamente subito. E il suo nome adesso finisce nell'elenco delle donne ammazzate dagli uomini. È un femminicidio, sì. Per mano di una persona che andava in giro con un coltello in tasca: un coltello da cucina con la lama lunga così. Un uomo che non ha accettato quello che tutti adesso sospettano: un banalissimo «no» alle sue avances. Ecco, questa storia va raccontata partendo da qui, e da questo bar che si chiama Primavera. Che è un buon posto di ritrovo per la gente di Luserna San Giovanni: 8 mila abitanti, diventato famoso per le sue cave di pietra. Paese della provincia torinese, della val Pellice. Case basse pochi stabili moderni, una lunga strada che taglia in due l'abitato. Si chiama via Primo maggio. Il bar Primavera è lì, accanto alle poste. E l'altra sera, all'una e mezza passata era ancora aperto. Tre tavoli occupati. Nel primo c'era Carmen con le sue due amiche. Si chiamano Simona Davit e Loriana Aiello. In un altro un ragazzo di origini marocchine. Da solo. Filma con il cellulare le ragazze che ridono e scherzano, davanti a un caffè. Non parla con nessuno, ride pure lui. Forse per farsi notare. Quando gli avventori di un terzo tavolo - uomini - se ne vanno lui prende coraggio e ordina da bere per le donne. Poi si alza, scambia qualche parola con Carmen, ma lei torna a sedersi quasi subito. Cosa si siano detti non si sa. Quel che è certo è che quando il bar si svuota lui decide di avventarsi contro tutte le donne. Tira fuori la lama e la pianta nella schiena di lei. Quante volte lo dirà l'autopsia. La dinamica in questa storia è importante, e va raccontata per capire. Loriana e Simona si gettano sull'amica, cercando di difenderla da quell'uomo che infierisce. Si feriscono, lo spingono via, chissà. Poi lui molla la presa, lascia cadere il coltello. Se ne va. E arrivano i soccorsi. Il resto è noto. Carmen non ce la fa. Sulle tracce di lui si mettono i carabinieri. In un posto così, dove tutti conoscono tutti, dove un viso nuovo lo inquadrano appena entra in paese, la latitanza dura un amen. Lo arrestano: non fa resistenza. Il suo nome è Hounafi Mehdi, ha 34 anni, arrivato dal Marocco sei anni fa: documenti tutti in regola, ma senza un'occupazione stabile. Da poco - dicono - era stato lasciato a casa dall'impresa dove lavorava come imbianchino. Si conoscevano Carmen e il suo assassino. «Assolutamente no» dicono in paese. Magari buongiorno e buonasera, per strada, se lo saranno anche detto. Di più, no. «Guardi, secondo me si è trattato di un gesto di odio nei confronti delle donne occidentali» azzarda una spiegazione sociologica Maria Aiello, l'ex proprietaria del bar Primavera, ora gestito da sua figlia Anna Chiara. «Mi hanno detto che quel tipo ha detto "Allah mi protegge" prima di aggredire alle spalle le ragazze. Pensi che mia figlia ha provato a rifugiarsi nel bagno quando quello è impazzito». Forse, però, la spiegazione è più banale, ed è una storia fotocopia a mille altre. Nelle quali basta un rifiuto, oppure un addio a far scattare la voglia di vendetta. L'offesa che va lavata con il sangue. Ne sono convinti anche i carabinieri: forse si conoscevano, si erano già visti, in giro, magari avevano anche parlato: «Ma tra loro non c'era mai stato niente». E questa è la pietra tombale su tutti i si dice, sulle voci che come sempre, in casi come questo, s'inseguono e alimentano per nulla. Restano le immagini di Carmen sui suoi social. È allegra, fa festa con gli amici. Nasconde, ma neanche troppo il dolore di essere una mamma sola. Poi pubblica un'immagine che strazia il cuore: Carmen abbracciata alla sua bambina ormai grande. Sua figlia. Le hanno detto che la mamma non c'era più quando ormai stava albeggiando.
Dramma nel Viterbese, comunità sconvolta. “Correte, papà ha ucciso mamma”: omicidio-suicidio davanti alla figlia. Redazione su Il Riformista il 26 Settembre 2021. “Correte, papà ha ucciso mamma”. E’ la telefonata disperata di una delle due figlie di Anna Cupelloni, la 57enne di Nepi, ma residente a Castel Sant’Elia (Viterbo), vittima dell’ennesimo femminicidio. La donna è stata uccisa sabato sera, poco dopo le 20, dal marito armato di un fucile da caccia. L’uomo, Ciriaco Pigliaru, 64enne di origini sarde, si è poi tolto la vita con la stessa arma. La coppia, secondo una prima ricostruzione dei carabinieri che indagano sull’accaduto, si stava separando anche se non erano emerse particolari frizioni negli ultimi tempi. Ieri sera, sabato 25 settembre, la tragedia davanti agli occhi impotenti della figlia che ha subito allertato le forze dell’ordine. Il 64enne, dopo essere rientrato nella casa familiare che aveva abbandonato da qualche tempo, ha esploso un colpo di fucile verso la moglie, uccidendola, prima di farla finita. Secondo quanto apprende l’agenzia AGI, sono in corso indagini per risalire a chi ha fornito all’uomo l’arma del delitto, visto che non deteneva armi. Un omicidio-suicidio che ha sconvolto la comunità di Castel Sant’Elia. “Non ce lo saremmo mai aspettato, conoscendolo sapevo che c’erano dei problemi nella coppia, ma non avrei mai immaginato questo” afferma una residente. “Un dramma che ci coinvolge: la morte improvvisa dei coniugi, Ciriaco e Anna, qualcosa di tragico per tutta la nostra comunità”. Così in un post su Facebook Vincenzo Girolami, sindaco di Castel Sant’Elia. “Le parole sono strette, soprattutto nei momenti come questi. Esprimiamo il nostro cordoglio alle figlie, Valentina e Valeria, e a tutti gli altri familiari”, aggiunge.
Spara e uccide la moglie sotto gli occhi della figlia: poi si suicida con il fucile. Tiziana Paolocci il 27 Settembre 2021 su Il Giornale. Anna e Ciriaco erano in fase di separazione. Sotto choc la ragazza presente alla tragedia. Ha ucciso la moglie davanti agli occhi della figlia, poi si è sparato un colpo per cancellare tutto. Omicidio suicidio in provincia di Viterbo, dove in queste ore non si parla d'altro. La tragedia di sabato sera ha sconvolto gli abitanti di Castel Sant'Elia, un piccolo centro a poca distanza da Civita Castellana. Ci si chiede cosa sia passato nella mente di Ciriaco Pigliaru, agricoltore di origine sarde di 66 anni che ha sparato al petto con un fucile a Anna Cupelloni, 58 anni, originaria di Nepi, prima di suicidarsi e lo ha fatto davanti a una delle due figlie. La coppia era sposata da diversi anni ed era in fase di separazione, ma come raccontano alcuni conoscenti, in passato non c'erano state liti così violente da far presagire quello che invece è accaduto sabato all'ora di cena. L'uomo da qualche tempo viveva in un'altra abitazione, ma continuava a lavorare con Anna nella tabaccheria che avevano aperto qualche anno fa a Nepi. Lui era giunto a Castel Sant'Elia dalla Sardegna quando era bambino insieme ai genitori e nel tempo, con il padre e il fratello, aveva dato vita a un allevamento di pecore che era arrivato a contare anche 1.500 capi. Poi aveva incontrato Anna, originaria di Nepi e si erano sposati. Dal matrimonio era nata Valentina, oggi 31enne e laureata in economia e commercio, e Valeria, di 27 anni, ingegnere. Quattro anni fa avevano venduto l'allevamento e l'azienda agricola e avevano aperto una tabaccheria a Nepi. Ma tra i due il rapporto aveva iniziato a scricchiolare. Così, preso atto che le cose non andavano più, avevano avviato e pratiche per la separazione e lui era andato a vivere in un'altra casa. Non è chiaro cosa possa essere accaduto sabato, perché la ragazza che ha assistito all'omicidio suicidio è ancora sotto choc e non è riuscita a parlare con gli investigatori. Ma il padre ha atteso alle 8.15 che la moglie tornasse a casa dalla tabaccheria e l'ha sorpresa in giardino davanti alla figlia più grande. L'ha affronta sparandole con il fucile calibro 12, poi ha rivolto l'arma contro sé stesso e ha premuto il grilletto mirando alla gola. «Correte papà ha ucciso mamma e poi si è suicidato», ha detto al centralino del 112 la ragazza, ora è ricoverata in ospedale sotto choc. A occuparsi delle indagini i carabinieri della compagnia di Civita Castellana, che potranno solo capire il movente perché la dinamica è ormai chiara. Meno lo è chi abbia prestato il fucile a Ciriaco o come sia riuscito a venirne in possesso, perché non risulta avesse alcuna licenza per detenere l'arma. «Non ce lo saremmo mai aspettati - ha raccontato una conoscente - conoscendolo sapevo che c'erano dei problemi nella coppia, ma non avrei mai immaginato questo». «Erano persone semplici - ha aggiunto un commerciante del paese - sempre gentili e nessuno li aveva mai sentiti discutere. Non è possibile che la situazione sia degenerata all'improvviso». Cordoglio è stato espresso anche dal primo cittadino di Castel Sant'Elia. «Un dramma che ci coinvolge: la morte improvvisa dei coniugi, Ciriaco e Anna, qualcosa di tragico per tutta la nostra comunità - ha commentato in un post su Facebook il sindaco Vincenzo Girolami -. Le parole sono strette, soprattutto nei momenti come questi. Esprimiamo il nostro cordoglio alle figlie, Valentina e Valeria, e a tutti gli altri familiari». Tiziana Paolocci
Alessio Ribaudo per il "Corriere della Sera" il 20 settembre 2021. Una girandola di emozioni miste a stupore: compiere 60 anni e vedersi arrivare a mezzogiorno il padre con il quale i rapporti si erano interrotti una trentina d'anni prima in modo burrascoso. Lui non aveva mai digerito la relazione e, poi, il suo matrimonio con Galdino Nicoletti, 84 anni, suo ex socio in un supermercato, vedovo con tre figli. Però Dorjana Cerqueni era andata dritta per la sua strada e la coppia aveva avuto un figlio. Venerdì, saputo che Stellio, 88 anni, si trovava davanti al cancello di casa, non ha esitato ed è andata a riceverlo ma i dissapori sono riemersi. Certo non avrebbe mai immaginato che lui arrivasse a estrarre una pistola 38 «Special», legalmente detenuta, e spararle prima al petto e, poi, alla testa. Quindi si è puntato l'arma e l'ha fatta finita. In casa a Sarmeola Rubano, nel Padovano, c'erano il marito e il figlio Paolo. Lui, sentiti i due spari, è corso verso la sessantenne riversa a terra ma per lei non c'è stato niente da fare. Paolo ha quindi assistito al suicidio di Stellio. Scena vista pure testimoni oculari che sono stati già sentiti dagli inquirenti. Stellio viveva a Molfalcone nel Goriziano, e si era fatto portare da Mario, tassista di fiducia. «In auto era tranquillo», ha spiegato. In auto ha lasciato un diario in cui elenca i presunti torti ricevuti dalla figlia. È tra queste pagine che carabinieri e pm stanno cercando di capire se, oltre ai vecchi rancori, ce ne fossero di nuovi. La pista più accreditata è che Stellio non sopportasse l'idea che la sua eredità finisse alla figlia. Negli ultimi mesi, aveva scoperto una patologia grave e pensava di essere agli sgoccioli e lo aveva raccontato alla sindaca di Monfalcone, Anna Maria Cisin: «Non sto bene, ho una malattia e non finirò l'anno». Era preoccupato pure per Rosetta, 57 anni, che aveva sposato nel 2016. «È fragile», diceva. «Venerdì a Padova doveva subire un'operazione - ha detto la moglie - la mattina mi ha salutato ed ero certa che fosse diretto in clinica. Invece, qualche ora dopo, ho saputo. Non mi parlava mai di Dorjana e non so perché abbia fatto una cosa del genere. Mi dispiace tanto per quella povera donna e per la sua famiglia».
DA Facebook: A volte buono. A volte stronzo
"Non vedrai più tuo figlio,
Ti Denuncio,
Ti mando in Galera,
Ti mando a vivere per strada,
Non vali niente come padre,
Se non mi dai quello che mi devi tuo figlio lo vedi con il binocolo"
Anche questa è VIOLENZA. È quella che centinaia di padri separati devono vivere ogni giorno. Ma nessuno ne parla. Perché non è socialmente accettabile che una donna, una madre, una moglie, sia violenta. I "mostri" sono sempre i padri. Non è così. Spesso, i padri separati devono subire ogni tipo di abuso e violenza (giudiziaria e non) semplicemente perché si è uomini. E nel 95% dei casi, ancora prima di entrare in aula, c'è già una CONDANNA.
Maria Cafagna per "fanpage.it" il 17 settembre 2021. C’è un posto speciale nel mio cuore per tutti quelli e tutte quelle che urlano alla dittatura del politicamente corretto, che sostengono che non si può più dire niente e che usano la loro voce per denunciare la deriva illiberale del dibattito pubblico. Leggo spesso e con attenzione i loro articoli e i loro post anche perché queste idee vengono portate avanti con prose brillanti e spesso divertenti, però poi mi chiedo: chissà dove vivono? Il 16 settembre durante la trasmissione Lo Sportello di Forum, la giornalista Barbara Palombelli introduce come di consueto il caso di puntata, un litigio tra moglie e marito. Inizia così: “Come sapete, negli ultimi sette giorni ci sono stati sette delitti, sette donne uccise presumibilmente da sette uomini”. Le parole sono importanti e allora iniziamo a chiamarli con i loro nomi, questi delitti hanno un nome, si chiamano femminicidi, e hanno un nome perché sono omicidi che hanno delle caratteristiche precise: sono maturate all’interno di un contesto affettivo o relazionare e sono perpetrati da uomini verso le donne che si sono rifiutate o si sono opposte a un tentativo di coercizione e possesso. Inoltre, le vittime degli ultimi femminicidi sono state certamente uccise da uomini, basterebbe dare un’occhiata alle cronache che ricostruiscono quanto accaduto. Per cui già l’incipit dà al pubblico un’informazione parziale e non corretta. Ma facciamoci del male e andiamo avanti. Palombelli continua: “A volte è lecito domandarsi se questi uomini erano completamente fuori di testa oppure c’è stato un comportamento esasperante, aggressivo anche dall’altra parte? È una domanda, dobbiamo farcela per forza perché in questa sede, in un tribunale, dobbiamo esaminare tutte le ipotesi”. Partiamo da un fatto, cioè che Barbara Palombelli ha accostato le tragiche statistiche sui femminicidi a una domanda come questa. Tutto ciò è avvenuto. Non solo quindi il ragionamento partiva da un presupposto parziale e incorretto, ma era anche seguito da un ragionamento non sono incorretto ma addirittura pericoloso. Se è lecito domandarsi se chi commette un femminicidio è fuori di testa, sarebbe giusto ricordare che tra il 1 e il 24 novembre 2020, sono ventidue i femminicidi commessi con armi legalmente detenute. Non solo, la stragrande maggioranza dei femminicidi avviene al culmine di aggressioni fisiche, verbali o atteggiamenti persecutori e non sono frutto di quella che viene comunemente detta “legittima difesa”. Un uomo che uccide una donna non lo fa perché perde la testa, la maggior parte dei femminicidi sono premeditati e tragedie annunciate, per usare un’espressione cara alla tv del pomeriggio. È il caso di Vanessa Zappalà, uccisa qualche settimana fa ad Aci Trezza dal suo ex compagno denunciato per maltrattamenti, o è il caso di Sonia Lattari, una delle vittime a cui Palombelli si riferiva, uccisa dal marito dopo litigi e botte. Ma, e provo imbarazzo solo a scrivere l’ovvio, nessun tipo di atteggiamento esasperante, nessun tradimento, nessuno sgarbo può giustificare la violenza fisica e verbale contro una donna, o contro qualsiasi essere umano. Con quale coraggio, su una rete nazionale e con un pubblico di milioni di persone, si possono fare affermazioni del genere? Non ci sarebbe bisogno nemmeno di scomodare lo spettro di ricevere una sanzione o di doversi scusare (anche se, una scusa e una rettifica sarebbero doverose): certe cose non andrebbero proprio dette soprattutto dopo una settimana che ha fatto registrare un femminicidio al giorno. In questi giorni è uscito il primo libro di Carlotta Vagnoli intitolato “Maledetta Sfortuna – Vedere, riconoscere e rifiutare la violenza di genere”, l’ultimo dei tanti lavori che in questi ultimi anni stanno cercando di costruire una consapevolezza maggiore attorno al tema della violenza di genere. Anche la televisione generalista sta cercando di raccontare sotto una diversa prospettiva i femminicidi, si veda per esempio il caso di Senio Bonini che sta dedicando ampio spazio ad Agorà Extra e al lavoro fatto da Matilde D’Errico con Sopravvissute e con Amore Criminale. La strada da fare è ancora tanta, però. Ha fatto discutere la partecipazione di Tommaso Eletti, ex concorrente di Temptation Island, al Grande Fratello Vip 6. Prima di partecipare al programma prodotto da Maria De Filippi, Eletti era un perfetto sconosciuto, la sua fama è quindi dovuta a ciò che ha fatto durante il suo “viaggio nei sentimenti”. Tommaso Eletti, come sottolineato da Selvaggia Lucarelli, ha avuto verso la sua ex compagna comportamenti di gelosia ossessiva e di possessività morbosa ed è proprio grazie a questi atteggiamenti che si è guadagnato la partecipazione a un altro reality e quindi più popolarità e quindi più introiti. Durante la scorsa stagione televisiva, in tre popolari fiction Rai come Mina Settembre, Che Dio ci aiuti 6 e Le indagini di Lolita Lobosco, sono andate raccontare tre diverse storie di false denunce di stupro. Secondo quanto riporta l’Istat, la percentuale di false denunce si attesta tra il 6 e il 12% del totale. Sono cresciuta anche io in una cultura misogina e patriarcale che mi ha insegnato a minimizzare qualsiasi eccesso di rabbia e gelosia da parte di un uomo e ho provato sulla mia pelle cosa vuol dire. Sono cresciuta anche in un ambiente in cui la televisione rappresenta la principale se non l’unica fonte di informazione e di intrattenimento. Altri tempi, ora c’è la rete, ma non possiamo solo affidamento al web: qualche giorno fa Radio Deejay è entrata nell’occhio del ciclone per aver condiviso un video in cui un gruppo di tifosi urlava improperi contro una donna che stava tagliando l’erba di un campo di calcio prima della partita. Il post chiedeva se si trattasse di molestia o di goliardia. Dopo molte polemiche sono arrivate le scuse del direttore Linus ma non la rimozione del video o del post in questione. Insomma, anche oggi basta mettere il naso fuori da Twitter per capire che non solo non c’è nessuna dittatura del politicamente corretto, ma che davanti a un episodio di violenza contro le donne la reazione è sempre quella: chiedersi quanto e se ce la siamo andate a cercare.
Dagospia il 17 settembre 2021. "Le parole usate dalla giornalista Barbara Palombelli per provare a 'spiegare' la drammatica ondata di femminicidi che sta insanguinando il nostro Paese sono inaccettabili e frutto di una visione del fenomeno profondamente sbagliata e superficiale. Anni di lavoro e studio, ad esempio nella commissione Femminicidio del Senato, vengono così mortificati da parte di chi, come giornalista, ha un ruolo delicatissimo nell'influenzare l'opinione pubblica. In quelle poche parole sono racchiusi i peggiori stereotipi che banalizzano e distorcono l'approccio culturale e giuridico alla violenza di genere. Per questo motivo abbiamo ritenuto di segnalare l'episodio all'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni. All'indignazione di molti devono anche far seguito le azioni concrete, non per mettere qualcuno all'indice ma per far funzionare al meglio i presìdi di garanzia delle nostre istituzioni". Così una nota le senatrici Danila De Lucia, Cinzia Leone, Alessandra Maiorino, Susy Matrisciano e il senatore Gianluca Perilli, componenti M5S nella commissione Femminicidio del Senato.
Da “Adnkronos” il 17 settembre 2021. "No, non è lecito chiedersi se una donna abbia meritato di morire per mano di un uomo. La causa dei femminicidi è una sola: l'idea di possesso verso le donne che spinge gli uomini alla violenza. Punto e basta. Gravissime le parole di #palombelli, pronunciate per giunta in tv". Lo scrive su Twitter Laura Boldrini, deputata del Pd.
Barbara Palombelli, il caso è politico. Laura Boldrini: "Parole non lecite", sbarca tutto in Parlamento. Libero Quotidiano il 17 settembre 2021. Non poteva mancare Laura Boldrini nel coro di critiche nei confronti di Barbara Palombelli per le sue frasi pronunciate a Forum sui casi di femminicidio: "A volte è lecito domandarsi se questi uomini erano completamente fuori di testa oppure c’è stato un comportamento esasperante, aggressivo anche dall’altra parte?". "No - ribatte la deputata del Pd, ex presidente della Camera -, non è lecito chiedersi se una donna abbia meritato di morire per mano di un uomo. La causa dei femminicidi è una sola: l'idea di possesso verso le donne che spinge gli uomini alla violenza. Punto e basta". Su Twitter la Boldrini definisce "gravissime" le parole della Palombelli, "pronunciate per giunta in tv". Tra le pochissime personalità accorse a difendere la Palombelli c'è Maria Giovanna Maglie, "Quale bufera? Quante balle politically correct! Fai un programma in cui si finge di celebrare un processo e introduci l'argomento del 'aveva perso la testa' o 'lei lo aveva provocato', che usano ahime i giornali e che si usa nei processi". E non si tratta di "scusarla" per una frase magari uscita male o fraintendibile, "è di più, proprio non vedo il problema, lo vedo completamente montato - conclude l'opinionista, spesso ospite a Stasera Italia -. Molto rumore per nulla ma ognuno è libero". Unanime invece la condanna delle politiche. "Sostenere che un femminicidio possa essere l'effetto del comportamento della vittima, fa precipitare in un abisso culturale e umano che mina la lotta contro la violenza di genere. Le parole della Palombelli sono profondamente sbagliate e oltremodo gravi", scrive su Twitter la presidente dei senatori del Pd Simona Malpezzi. "Parole di gravità inaudita, pronunciate da una donna, una nota giornalista e conduttrice, durante una trasmissione televisiva nazionale - recita una nota dell'intergruppo della Camera per le donne, i diritti e le pari opportunità. Secondo le deputate, "sette femminicidi in sette giorni è la fotografia del Paese. E ancora Barbara Palombelli prova a chiedere se esista una giustificazione additabile al comportamento esasperante delle donne? Non è accettabile. Non si possono diffondere pregiudizi maschilisti tossici che finiscono nel trasformarsi in alibi di un fenomeno che alibi non può averne".
“Cara Palombelli, ho pubblicato le foto del mio volto insanguinato per dar voce alle vittime di femminicidio che ora non possono più parlare". Monia Melis su La Repubblica il 18 settembre 2021. L'intervista a una donna sopravvissuta a violenze e maltrattamenti, in risposta alle parole della conduttrice: "Frasi del genere, peggio se dette in tv, scoraggiano dal denunciare e dal chiedere aiuto". Metà volto con i ricci che incorniciano un occhio pesto e lividi ovunque: sopra il labbro, sul naso. La foto è di Patrizia Cadau, 49 anni, consigliera comunale a Oristano. L'ha postata su Facebook in risposta alla frase shock sui femminicidi ("Bisogna chiedersi se questi uomini erano completamente fuori di testa oppure c'è stato un comportamento esasperante anche da parte delle donne") di Barbara Palombelli.
La cultura che uccide le donne. Chiara Valerio su La Repubblica il 17 settembre 2021. Il fatto è questo. La giornalista e conduttrice Barbara Palombelli, in diretta tv, nel programma Forum, riportando il macabro dato di sette femminicidi in sette giorni ha detto "è lecito domandarsi se questi uomini erano completamente fuori di testa, completamente obnubilati o c'è stato un comportamento esasperante, aggressivo anche dall'altra parte?". A questa domanda sulle domande è possibile rispondere, secondo me, solo con due versi di Giorgio
Caproni: "Le domande sbagliate, le risposte tutte sassate". Femminicidi, Barbara Palombelli a Forum: "Chiedersi se le donne hanno avuto un comportamento esasperante". Dopo la bufera: "Frase estrapolata, non sono stata capita". Oriana Liso su La Repubblica il 17 settembre 2021. È polemica per la frase della giornalista durante la sua trasmissione. L'ira sui social: "Vergognati". Ma lei replica: "Anche in un’aula televisiva si ha il dovere di guardare la realtà da tutte le angolazioni". "Non è giustificabile in alcun modo il femminicidio, voglio essere chiara, non intendevo dire quello che è stato compreso. Qualcuno ha pensato che fossi quella persona lì, ma non sono quella persona lì, anche questo deve essere chiaro". Con queste parole, scandite durante lo "spot" di lancio di "Stasera Italia" su rete4, Barbara Palombelli ha provato a rispondere alla tempesta che l'ha investita dopo quella frase pronunciata durante "Forum" riguardo il tema, purtroppo attualissimo, dei femminicidi.
Barbara Palombelli, Karina Cascella di Uomini e donne durissima: "Perché questa signora parla così". Libero Quotidiano il 17 settembre 2021. Anche Karina Cascella, ex protagonista di Uomini e donne ed opinionista (non confermata da questa stagione) dei vari talk pomeridiani e serali di Barbara D'Urso su Canale 5, si sfoga e colpisce duro Barbara Palombelli. La giornalista e conduttrice di Rete 4 a Forum ha pronunciato frasi piuttosto controverse sul femminicidio: "A volte è lecito domandarsi se questi uomini erano completamente fuori di testa oppure c’è stato un comportamento esasperante, aggressivo anche dall’altra parte?". Il discorso della Palombelli era relativo a normali liti familiari, ma il collegamento esplicito con i casi di femminicidio che stanno sconvolgendo l'Italia da Nord a Sud (sette in una sola settimana) è apparso a molti forzato e fuori luogo. "Forse la signora in questione non ha mai subìto violenze in casa da parte di un uomo, per questo parla così", spiega la Cascella, nota Influencer su Instagram. "Beh io si. Mia madre si. Le mie sorelle si. E non eravamo per niente aggressive o esasperanti". Una confessione dolorosa che non può far comprendere la rabbia polemica della Cascella nei confronti della moglie di Francesco Rutelli. "Come si può giustificare un omicidio o una violenza? Spiegatemelo perché ormai credo che alcune persone abbiano perso i sensi", conclude Karina. Tra i tanti commenti critici piovuti sulla testa della Palombelli, anche quello di Laura Boldrini, deputata del Pd ed ex presidente della Camera: "No, non è lecito chiedersi se una donna abbia meritato di morire per mano di un uomo. La causa dei femminicidi è una sola: l'idea di possesso verso le donne che spinge gli uomini alla violenza. Punto e basta". Le parole della Palombelli sono "gravissime, pronunciate per giunta in tv".
Barbara Palombelli, Fiorella Mannoia esplode: "Ci siamo rotte le p***e, se ti stuprano te la sei cercata". Libero Quotidiano il 17 settembre 2021. Tutte contro Barbara Palombelli, anche Fiorella Mannoia. La conduttrice Mediaset questa sera sarà ospite di Gianluigi Nuzzi a Quarto grado, su Rete 4, per difendersi dalla pioggia di critiche arrivatale per una frase sul femminicidio, di sicuro infelice, pronunciata a Forum: "A volte è lecito domandarsi se questi uomini erano completamente fuori di testa oppure c’è stato un comportamento esasperante, aggressivo anche dall’altra parte?". "Se ti stuprano forse te la sei cercata, se ti ammazzano forse te la sei cercata - commenta su Twitter la Mannoia, amareggiata -. Mi sono rotta le p***e di queste frasi. Mi rivolgo agli uomini: ribellatevi a chi vi disegna come dei primati che non riescono a tenere a freno gli intinti, fatelo voi perché NOI SIAMO STANCHE! BASTA!". Secondo Selvaggia Lucarelli, caustica come sempre, rispetto all'uscita a Forum "era perfino meglio il monologo di Sanremo". Ma il caso Palombelli è diventato ben presto politico. Per Laura Boldrini, deputata Pd ed ex presidente della Camera, "non è lecito chiedersi se una donna abbia meritato di morire per mano di un uomo. La causa dei femminicidi è una sola: l'idea di possesso verso le donne che spinge gli uomini alla violenza. Punto e basta". "Le parole usate dalla giornalista Barbara Palombelli per provare a 'spiegare' la drammatica ondata di femminicidi che sta insanguinando il nostro Paese sono inaccettabili e frutto di una visione del fenomeno profondamente sbagliata e superficiale - scrivono le senatrici De Lucia, Leone, Maiorino, Matrisciano e il senatore Perilli, membri M5s della Commissione Femminicidio di Palazzo Madama -. Anni di lavoro e studio, ad esempio nella commissione Femminicidio del Senato, vengono così mortificati da parte di chi, come giornalista, ha un ruolo delicatissimo nell'influenzare l'opinione pubblica. In quelle poche parole sono racchiusi i peggiori stereotipi che banalizzano e distorcono l'approccio culturale e giuridico alla violenza di genere. Per questo motivo abbiamo ritenuto di segnalare l'episodio all'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni. All'indignazione di molti devono anche far seguito le azioni concrete, non per mettere qualcuno all'indice ma per far funzionare al meglio i presìdi di garanzia delle nostre istituzioni".
Giorgia Meloni su Barbara Palombelli: "Parole che lasciano basiti, spero solo una cosa". Libero Quotidiano il 17 settembre 2021. "Le parole di Barbara Palombelli, per come le ho lette dalle agenzie, chiaramente lasciano basiti. Francamente la conosco da qualche anno e sono portata a ritenere che non volesse dire quello che ha detto e che sia semplicemente un concetto mal espresso. Conosciamo la piaga del femminicidio in Italia, sappiamo che è una piaga che non si riesce a debellare. Fratelli d'Italia ha presentato una serie di proposte in tal senso. Penso si sia espressa male, escludo che qualcuno dotato di senno possa davvero pensarla così". Lo ha detto Giorgia Meloni, leader di Fratelli d'Italia a margine dell'incontro con cittadini e commercianti a Subaugusta a Roma.
Aurora Ramazzotti contro Barbara Palombelli: "Questa è la cultura dello stupro". Una brutale rampogna. Libero Quotidiano il 17 settembre 2021. "Questa è cultura dello stupro". Aurora Ramazzotti rovescia su Barbara Palombelli la peggiore delle accuse, soprattutto se mossa dal mondo femminile. Le parole della conduttrice di Forum sul femminicidio pronunciate davanti alle telecamere stanno scatenando da ore una ondata di proteste unanimi e bipartisan con pochissimi precedenti (e altrettanto rare eccezioni). "A volte è lecito anche domandarsi se questi uomini erano completamente fuori di testa, completamente obnubilati oppure c’è stato anche un comportamento esasperante e aggressivo anche dall’altra parte?", è l'interrogativo posto dalla Palombelli, legando il tema del dibattimento, un litigio familiare, al dramma delle donne uccise dai loro compagni, una piaga molto italiana che ha registrato ben 7 casi nella sola ultima settimana. "Mi fa paura pensare che la narrativa dello strumento di comunicazione più potente sia ancora così retrograda. Come si fa anche solo ad alludere al fatto che potrebbe essere colpa della vittima?", è la dura critica di Aurora Ramazzotti su Instagram. Quindi la influencer, figlia di Michelle Hunziker ed Eros Ramazzotti, aggiunge il carico: "Quando parliamo di cultura dello stupro è esattamente questo quello che intendiamo.. "La cultura dello stupro è talmente intrinseca nella nostra società da avere uno spazio anche nella nostra televisione. Non normalizziamola". A difesa della Palombelli poche voci: Maria Giovanna Maglie, Giampiero Mughini. E Mario Adinolfi, leader del Popolo della Famiglia che all'agenzia Adnkronos spiega: "Barbara Palombelli ha ragione e ha detto una cosa ovvia. Quando ti si presenta davanti un fenomeno preoccupante ne indaghi le cause e le dinamiche, non capisco lo scandalo. Il racconto mozzato in cui non si vogliono studiare le dinamiche è un racconto privo di intelligenza delle cose. Ovviamente la vittima rimane vittima e il carnefice rimane carnefice, non si cancella certo l'elemento criminale. Ma di fronte ad un fenomeno che assurge a dimensione sociale, io voglio capire qual è l'innesco dei comportamenti violenti". "Io credo che ci sia una continua insistenza su questo tema della guerra dei sessi, anche nella virilizzazione della donna per cui la donna deve diventare sempre più 'uomo', ed è chiaro che questo crei delle tensioni ed è inevitabile che le crei. In alcuni casi, queste tensioni arrivano all'orrore dell'omicidio, del quale ovviamente resta l'orrore. Ma studiare le dinamiche che portano a questo è assolutamente necessario".
Selvaggia Lucarelli per il “Fatto quotidiano” il 18 settembre 2021. Eravamo rimasti a Sanremo, al suo monologo raccapricciante, a Tenco che giocava con le pistole e al padre che la voleva con la collana di perle, convinti che quella sera, nei fiori dell'Ariston, ci fosse un polline allucinogeno. E invece no. Barbara Palombelli è nella sua fase global warming, sta alzando sensibilmente la temperatura delle scempiaggini dette in tv, scatenando tempeste violentissime e alterando il clima del dibattito. L'ultima perla l'ha partorita a Forum, lo storico programma in cui si simulano processi: "Negli ultimi sette giorni sono state uccise sette donne. A volte è lecito domandarsi: questi uomini erano completamente fuori di testa o c'è stato un comportamento anche esasperante o aggressivo dall'altra parte? In un tribunale queste domande bisogna farsele". Prima di passare a considerazioni più generali, mi chiedo intanto come sia possibile che anche in assenza di sensibilità rispetto a certe tematiche, una donna che fa tv da qualche decennio e non la suora eremita sul Monviso, non comprenda che pronunciare una frase così, detta così, con quelle parole lì, nella scala dei suicidi perfetti sia seconda solo alla stricnina nel caffè. Come è possibile che nessuno l'abbia fermata, che un cameraman non abbia finto un infarto, che un autore non le si sia lanciato addosso urlando "bomba!", che dopo aver detto quello che ha detto non abbia realizzato e si sia messa a gattonare sul soffitto per crearsi l'alibi della possessione demoniaca. No, niente. È andata dritta, sicura di aver fatto una riflessione banale, "Fuori piove", "Che brava Bebe Vio", "Chissà dove saremmo ora senza Mario Draghi!", cose così. Ed è in questo contesto di devastante inconsapevolezza che si consuma la vicenda. Secondo Barbara Palombelli dunque, i sette femminicidi dell'ultima settimana impongono una domanda. Che in effetti potrebbe essere: "Quando la smetteranno di ammazzare le donne?". Invece la domanda è: "Gli uomini sono fuori di testa o ci sono anche donne che li esasperano?". Grande assente, la terza opzione: gli uomini uccidono le donne per senso del controllo, del possesso, per incapacità di accettare il rifiuto, perché sono figli di una cultura patriarcale e non sanno gestire la minaccia della perdita? No, secondo la Palombelli quando uccidono, gli uomini o sono matti o sono vittime di compagne sfinenti. In entrambi i casi, l'uomo agisce mosso da una forza superiore, quella della follia che straccia la razionalità o quella della moglie che straccia le palle. Dopo il fiume di critiche ricevute e di lezioni su cosa sia il victim blaming, Barbara Palombelli ha scritto un post su Facebook: "La violenza familiare, l'incomprensione che acceca e rende assassini richiedono indagini accurate e ci pongono di fronte a tanti interrogativi. Stabilire ruoli ed emettere condanne senza conoscere i fatti si può fare nei comizi o sulle pagine dei social, non in tribunale. E anche in un'aula televisiva si ha il dovere di guardare la realtà da tutte le angolazioni". Alcuni avvocati, tra cui Anna Maria Bernardini De Pace ne hanno preso le difese, ricordando che esiste il principio della provocazione, che esistono le attenuanti generiche, che il contesto in cui si svolge il delitto ha un suo peso. Certo. Se non fosse così, tutti gli omicidi varrebbero un ergastolo. I problemi nel discorso della Palombelli però sono molteplici: il primo è che i suoi riferimenti ai femminicidi degli ultimi giorni è infelice e non pertinente, perché alcune di queste donne sono state uccise a seguito della decisione di separarsi (una, Ada Rotini, il giorno della prima udienza), dopo aver subito stalking o addirittura a seguito di aggressione sessuale, il che rende poco credibile la tesi dell'uomo esasperato e della donna aggressiva. Erano le donne a essere esasperate e a subire l'aggressività dell'uomo, al limite. Il secondo problema è che proprio perché "le cose vanno viste da varie angolazioni e non bisogna assegnare ruoli senza conoscere i fatti", dice la Palombelli, sarebbe stato più corretto affermare che anche quando avviene un fatto efferato come l'omicidio, bisogna ricostruire le dinamiche del rapporto tra vittima e assassino, contestualizzare il delitto, comprenderne il movente e stabilire eventuali aggravanti e attenuanti. I ruoli li assegna proprio la Palombelli quando attinge a piene mani dall'immaginario sessista per cui sì, magari l'uomo ha esagerato però la donna certe volte "ti ci porta", "provoca", "è una rompicoglioni" o, appunto, "esaspera". Insomma, un po' se l'è cercata. In effetti le due donne ammazzate perché avevano deciso di separarsi sarebbero potute rimanere con i mariti, anziché esasperarli con questa decisione aggressiva di riprendersi il loro diritto alla felicità. E chissà quanto deve essersela cercata Chiara Ugolini, ammazzata dal vicino di casa con tanto di straccio intriso di candeggina in bocca. Doveva averlo esasperato parecchio, il povero vicino. Forse gli aveva macchiato i jeans con la candeggina. Aggressiva e pure maldestra. Insomma, per quanto sia apprezzabile la difesa d'ufficio di chi per mestiere o buona abitudine (che è anche la mia) difende allo sfinimento lo Stato di diritto, esiste anche il dovere di usare le parole giuste. Soprattutto in tv. Soprattutto quando si scomodano argomenti su cui c'è ancora tanto lavoro da fare, quando ci sono complesse rivoluzioni culturali in atto, che richiedono sensibilità, attenzione e il totale abbandono di stereotipi pericolosi. La Palombelli ha detto cose sbagliate, facendo riferimenti sbagliati, usando parole sbagliate. E questo sì, è esasperante, ma vorrei tranquillizzarla: ho comunque intenzione di lasciarla in vita.
Michela Murgia per “la Stampa” il 18 settembre 2021. Che lievità, che liberazione dev' essere stata per molti degli spettatori di Forum poter sentire finalmente scandita a voce alta da Barbara Palombelli la convinzione che la colpa della morte delle donne sia delle donne stesse. Che apertura di polmoni avrà loro regalato ricevere comodamente a casa la conferma televisiva che la pretesa di libertà delle loro compagne sia innervosente, la loro parola snervante e le loro decisioni un atto di insopportabile insubordinazione. Barbara Palombelli, affermando che i femminicidi sono colpa delle donne esasperanti, ha offerto a molti l'occasione di sentirsi finalmente capiti come poveracci stremati, vilipesi e sminuiti nel loro ruolo, continuamente infragilito da donne arroganti che insistono a voler decidere per se stesse. Ci sarebbe quasi da dire grazie a Palombelli, perché il suo scriteriato victim blaming - è così che si chiama il meccanismo retorico che scarica sulle vittime la colpa della violenza che subiscono - ha reso visibile il pensiero che da anni continua a guidare la narrazione italiana della violenza sulle donne, dallo stupro al femminicidio, passando per tutte le sfumature di botte fisiche e psicologiche che si possono ricevere da un uomo fuori e dentro le mura domestiche. Non c'è alcun problema culturale, nessun maschilismo da affrontare. Anzi, è colpa loro, delle donne che hanno provocato. L'ha stuprata, è brutto, certo, ma lei com' era vestita? L'ha picchiata, è brutto, mammamia, ma lei che cosa gli ha detto per provocarlo? L'ha uccisa, orribile, ma a che punto di esasperazione doveva essere, povero cristo, per ammazzare la donna che amava? Maledette femmine che seducono, irritano, esasperano. Se stessero zitte, docili e modeste non succederebbe nulla: nessun pover' uomo si innervosirebbe e nessuna donna si farebbe male. È anche così, con la minaccia di morte e violenza, che il patriarcato impone le sue leggi alle donne più decise a sottrarsene. Nelle scorse ore, nella pretesa indignazione generale, è stato facile prendersela con Palombelli, così si può ipocritamente far finta che non sia quello il racconto nazionale che quotidianamente si fa della violenza di genere in Italia. Quel racconto viaggia in modo più o meno esplicito su tutti i media, che a ogni donna uccisa per movente patriarcale rafforzano il pregiudizio che gli uomini siano eterni irresponsabili dei loro gesti, mai agenti, sempre re-agenti. Hanno poco da scandalizzarsi di Palombelli i giornali che continuano a titolare «L'ha uccisa perché lei voleva lasciarlo», descrivendo ogni femminicidio come la reazione a un'ingiustizia emotiva. Tutti i giorni sui giornali e nei notiziari si prende la decisione pigra e colpevole di raccontare le donne morte dal punto di vista degli assassini, con le loro scuse e i loro alibi, il loro contesto e le opinioni dei loro parenti, che guarda caso sempre ci dicono quali brave persone fossero gli omicidi, che gran lavoratori, che gentili ragazzi che salutavano sempre. Ogni giorno la violenza di genere viene raccontata come un affare di famiglia, l'estremizzazione di un conflitto di coppia, e non come la conseguenza della persistente cultura del possesso che impone alla donna di comportarsi come funzione, invece che come persona. Questa scelta narrativa, di cui Palombelli è solo l'interprete più scalcagnatamente esplicita, è scellerata e gravida di conseguenze terribili per le donne, eppure viene presa tutti i giorni a ogni livello della comunicazione. L'unica consolazione che possiamo darci è considerare che dieci anni fa non si sarebbe sollevato alcun polverone per quelle dichiarazioni, ma la speranza è che quella polvere seppellisca ogni testata, ogni trasmissione, ogni notiziario dove ancora si insinua che le donne siano responsabili della loro mattanza.
Il femminicidio è reato, non attrito di coppia. Michela Murgia su L'Espresso il 27 settembre 2021. La cultura del possesso che conduce gli uomini a uccidere le donne va trattata come una criminalità. Forse disorganizzata ma sistemica. «È chi minaccia, non chi viene minacciato, che deve vedere ridotta la sua libertà di movimento». Quando da questa pagina qualche settimana fa avevo lanciato la provocazione di assegnare la scorta alle donne che denunciano per minacce gli ex partner, proprio come avviene per gli imprenditori o i giornalisti minacciati dalla criminalità, le obiezioni che ho ricevuto da parte delle altre femministe vertevano sulla focalizzazione del soggetto dell’eventuale provvedimento. La logica di queste obiezioni è ferrea: vedersi assegnare la scorta non è solo una protezione, ma anche la certificazione di uno stato di pericolo che cambia completamente la qualità della vita di chi la subisce. Dichiarare alle istituzioni che si è un bersaglio e farsi trattare come tale è indubbiamente utile sul piano della salvezza fisica, come ben sa chi con la scorta ci convive da anni, ma ha anche il non piccolo effetto collaterale di cristallizzare la condizione di potenziale vittima, imponendo l’allerta costante e consentendo l’attivazione di un dispositivo di controllo dei movimenti che agisce sulla vita della persona minacciata, ricordandole in ogni momento, proprio mentre cercava di liberarsi da uno stato di oppressione, che non è più pienamente padrona di sé. A dispetto dei pochi mitomani che ambiscono alla scorta come status symbol, nessunə sanə di mente può desiderare una cosa simile nella sua esistenza, a meno che l’alternativa non sia la morte. Proporre che la possibilità di una protezione di Stato venga estesa alle donne minacciate non era dunque l’augurio di una prassi di controllo, ma l’invito - rivolto alla ministra della giustizia Marta Cartabia e che qui rinnovo - a prendere sul serio sul piano istituzionale il fenomeno della violenza patriarcale, di cui i femminicidi sono la punta dell’iceberg. La cultura del possesso che conduce gli uomini a uccidere le donne di cui perdono il controllo va trattata come una criminalità, forse disorganizzata, ma non per questo non sistemica. Lo stato dell’arte è purtroppo opposto: i meccanismi di legge, pur apparentemente presenti, non innescano una reale protezione della vita delle donne che vi ricorrono e in queste condizioni invitare a denunciare a qualunque costo può implicare solo l’aumento del rischio di farsi ammazzare prima. A fronte di svariate decine di omicidi di genere perpetrati con le stesse coordinate di metodo tutti gli anni, indignarsi ogni volta come se l’ultimo fosse il primo appare sempre più ipocrita. Come ha dimostrato chiaramente il caso Palombelli nei giorni scorsi, il vero punto da affrontare istituzionalmente è che la violenza all’interno delle relazioni tra i generi è ancora percepita e trattata come parte del conflitto di coppia, persino da chi pretende di occuparsene dalla parte delle donne. Non un vero e proprio reato, dunque, ma un attrito affettivo in cui le persone coinvolte partecipano in regime di concorso di colpa. Secondo questa lettura entrambi i partner sono vittime, una di violenza e l’altro di esasperazione, ed è la ragione per cui una donna che oggi si reca ripetutamente dalle forze dell’ordine a denunciare una minaccia rischia a ogni giro di dover ripetere che il suo ex compagno «non ha perso il controllo di sé, ha perso il controllo di me». Difficile risponderle che lo Stato prende sul serio le violenze di genere, se è vero quello che Antonio Padellaro ha scritto sul Fatto Quotidiano in merito alla riforma della giustizia che porterà il nome della ministra Cartabia. Secondo la sua ricostruzione, nella riforma atti come il revenge porn e la violenza sessuale di gruppo rientreranno nella categoria del reato tenue (con pena minima fino a due anni) e potranno essere risolti con l’istituto del concordato, che permette un accordo tra imputato e pubblica accusa sulla pena da comminare. Si potrebbe obiettare che per l’omicidio la tenuità del reato non esiste, ma significherebbe non aver capito che la questione di genere è culturale, prima che giuridica: la mentalità che considera “concordabile” l’abuso fisico e morale di una donna è la stessa che considera interpretabili le circostanze di un femminicidio, sottovalutando sistematicamente i segnali che lo annunciano.
L’arma legale del femminicidio. Ogni giorno ci sono omicidi, minacce di morte o reati da parte di chi possiede una pistola ottenuta facilmente con regolare licenza. Ma solo un numero resta costante: quello delle donne ammazzate. Giorgio Beretta: «È necessario togliere le armi da fuoco dalle mani dei potenziali assassini». Rita Rapisardi su L'Espresso il 27 settembre 2021. Ottantacinque donne uccise dall’inizio dell’anno, cinquantuno quelle uccise da mariti, partner o ex. Sono questi i numeri dei femminicidi in Italia. Undici solo nell’ultimo mese. Sono Dorjana Cerqueni, 60 anni, ammazzata con un colpo di pistola dal padre. Alessandra Zorzin, 21 anni, uccisa a colpi di pistola da una guardia giurata. Rita Amenze, 31 anni, freddata con quattro colpi dal marito. E Vanessa Zappalà, 31 anni, uccisa un mese fa, tra la folla ad Acitrezza, raggiunta da diversi colpi d’arma da fuoco sparati dall’ex fidanzato, denunciato per stalking e già agli arresti domiciliari. L’ultima sabato: Anna Cupelloni, 57 anni, si stava separando dal marito; lui l’ha uccisa con un fucile da caccia. L’arma del femminicidio è sempre più un’arma da fuoco legalmente detenuta. Sono pistole che abitano nelle case e di cui si conosce l’esistenza. Secondo l’OPAL, Osservatorio permanente sulle Armi Leggere e Politiche di Sicurezza e Difesa, nel 2020 a fronte di 93 omicidi di donne, 23 sono stati commessi da legali detentori di armi o con armi da loro detenute. Si tratta di un omicidio su quattro. Un dato impressionante se messo in rapporto al numero di chi possiede una licenza per armi: meno del 10% degli italiani. Numeri calcolati dall’associazione perché non esistono registri ufficiali. Manca infatti un censimento delle licenze e delle armi legalmente detenute (le stime delle licenze, compreso il nulla osta, variano dai 3 ai 4 milioni e quelle delle armi regolarmente detenute da 8 a 12 milioni), che faccia emergere anche quelle ereditate o da collezione, che sono funzionanti, ma spesso senza licenza, e i dati relativi a omicidi e armi utilizzate. L’unico numero disponibile è una tabella che la polizia pubblica ogni anno, nel rapporto sugli omicidi del Dipartimento della Pubblica sicurezza: si parla di 1.266.476 licenze per il 2020. Considerando che ogni famiglia italiana è composta in media da 2-3 individui, il Censis ha calcolato che ci sono quasi 4-5 milioni di italiani, tra cui oltre 700.000 minori, che hanno un’arma a portata di mano e che, per gioco, per sbaglio, o con intenzioni delinquenti od omicide potrebbero sparare e uccidere. «È necessario, fin da subito, togliere dalla mani dei potenziali assassini, quelle armi che poi usano per uccidere. Armi che nella gran parte dei casi detengono legalmente con la complicità, va detto chiaro, di norme che ne permettono il facile accesso», commenta Giorgio Beretta, analista dell’Opal. «Questi delitti non suscitano più attenzione: una sorta di assuefazione avvolge gli omicidi con armi. Nel triennio 2017-19 sono stati almeno 131 gli omicidi perpetrati con armi regolarmente detenute, a fronte di 91 omicidi di tipo mafioso e 37 omicidi per furto o rapina. In altre parole, oggi in Italia è più facile essere uccisi da un legale detentore di armi che dalla mafia o dai rapinatori». Anche se il numero degli omicidi cala di anno in anno, e l’Italia risulta essere uno dei paesi più sicuri d’Europa, chi ha un’arma ha molte più probabilità di uccidere di chi non ne possiede. Non passa giorno un in cui non vi siano omicidi, tentati omicidi, minacce di morte o un reati da parte di chi detiene armi con regolare licenza. E in tutto questo solo un numero resta costante: è quello delle donne uccise.
Licenze facili e possibili arsenali. Ottenere una licenza per porto d’armi non è troppo difficile: basta essere esenti da malattie nervose e psichiche, non essere alcolista o tossicodipendente noto, e aver superato un breve esame di maneggio delle armi, inoltre la Questura controlla che non ci siano precedenti penali. Dal punto di vista medico, tutto si basa sul “certificato anamnestico”, di fatto un’autocertificazione controfirmata dal medico curante e una visita presso l’Asl, simile a quella per ottenere la patente di guida, in cui si valutano vista e udito. Nessuna visita specialistica, esame tossicologico o valutazione psichiatrica. Luca Traini, autore del raid razzista di Macerata, che ha ferito sei persone, ha impiegato 18 giorni per avere una licenza di tiro sportivo. «Persino per diventare carrellista serve un esame tossicologico, ma non per chi detiene un’arma», commenta Beretta. Sono due le tipologie di licenza più richieste e insieme fanno il 95% del totale: quella per uso caccia e quella per uso sportivo. Esistono altri tre tipi di licenze: quella da difesa personale, difficile da ottenere, riguarda le persone che hanno ricevuto minacce o svolgono lavori rischiosi (gioiellieri, avvocati penalisti, ecc.), quella per le guardie giurate, circa 50mila quelle distribuite e, infine, la licenza nulla osta, quella per cui l’arma deve rimanere in casa e non si può mai uscire con essa, al massimo al poligono, dopo aver fatto richiesta alla questura per ottenere un permesso. Le licenze per uso sportivo, venatorio o un semplice nulla osta, permettono potenzialmente, di disporre di un arsenale: revolver o pistole semiautomatiche con caricatori fino a 20 colpi, dodici armi cosiddette “sportive” - tra cui rientrano i famigerati fucili semiautomatici AR-15, i più usati nelle stragi in America, i fucili da cecchini “sniper” e alcuni tipi di fucili a pompa - con un numero illimitato di caricatori da 10 colpi e un numero illimitato di fucili da caccia, più 200 munizioni per armi comuni e 1.500 munizioni da caccia. «C’è chi lamenta leggi restrittive, ma quali? Sono fatte apposta per favorire la vendita di armi. Perchè chi ha la licenza di caccia può possedere pistole con cui non può andare a caccia? È assurdo che si possa avere un fucile semiautomatico con un semplice nulla osta. E le tasse? Due marche da bollo da 16 euro per ottenere una licenza per cinque anni», commenta Beretta. «Quando analizziamo insieme questi dati scopriamo che ci sono più licenze in circolazione per uso sportivo rispetto a chi l’uso sportivo lo pratica davvero. Questo vuol dire che la licenza è un escamotage», spiega Daniele Tissone, alla guida del Silp, il sindacato di Polizia della Cgil. Oggi esistono in Italia più di 400mila “tiratori fantasma” (su circa 580mila detentori di licenza), che non praticano alcuna disciplina, totalmente ignoti alle strutture sportive. «I controlli devono parlarsi tra loro, manca comunicazione tra soggetto che opera il rilascio e controllo di chi ha l’arma, o che non dovrebbe averla. I certificati medici valgono cinque anni quindi intervenire prima non si può. Come Silp siamo contro la proliferazione delle armi al contrario di qualche politico che la ritiene un bene». Nel 2015, dopo l’attentato al Bataclan, il “decreto antiterrorismo” approvato dal governo Renzi, su proposta dei vertici europei, aveva introdotto forti limitazioni, riducendo a sei il numero di “armi sportive” da possedere. Restrizioni poi cancellate nel 2018, con le modifiche volute dalla Lega, appoggiata dal M5S, e dal leader Matteo Salvini che nello stesso anno, all’Hit Show, una fiera di armi e caccia, aveva siglato un accordo con il Comitato Direttiva 477 (oggi Unarmi), una lobby pro-armi, per ridurre gli effetti della direttiva europea. Per cui le armi sportive sono passate da sei a 12, e non c’è nessun obbligo di avvisare i propri conviventi maggiorenni di possedere armi. Spesso le donne uccise non sapevano neanche ci fosse un’arma in casa, e quando lo sanno, questo rende ancora più difficile denunciare.
La proposta del Pd. A risolvere una parte di queste problematiche ci pensa una legge portata alla Camera da Walter Verini, deputato Pd e componente delle commissioni Giustizia e Antimafia, con firme di deputati Pd, M5s, Iv e Leu. Presentata nell’aprile 2018, la proposta è tornata nel dibattito pubblico dopo la sparatoria di Voghera, in cui l’assessore della Lega Massimo Adriatici ha ucciso un 39enne di origine marocchina, Youns El Boussettaoui, e l’operazione di polizia contro un gruppo no-vax su Telegram. Tra “I guerrieri”, così registrati sul social, è stato arrestato, tra gli altri, Stefano Morandini, detentore di regolare licenza per uso sportivo, che annunciava l’uso di armi, lacrimogeni, molotov e di un drone esplosivo da fare cadere sulla Camera. Il testo del progetto di legge, composto da quattro articoli, prevede che sia una commissione medica a rilasciare un certificato di idoneità psicofisica alla richiesta e al rinnovo del porto d'armi, con revoca per "segni anche iniziali di disturbi psico-comportamentali". Inoltre sarebbe aggiunto l’obbligo di comunicazione ai familiari. Nei casi di femminicidio questo è importante, molte donne uccise non sapevano che il partner o ex possedeva un’arma. «La ratio è meno armi ci sono in giro, più sicurezza c’è. Questa proposta può essere un deterrente alla loro diffusione. I controlli saranno fatti da commissioni multidisciplinari, in cui ci siano più specializzazioni mediche, ogni anno: vogliamo avere le massime garanzie possibili, chi ha un’arma deve essere nel suo equilibrio», commenta Verini. «In relazione ai femminicidi prevede un’importante norma: comunicando a familiari, congiunti, anche ex mogli o compagne, di sapere se il loro precedente partner è in possesso di un’arma o la richiede. Un gran contributo per le donne colpite dai propri “padroni”». Il testo che dovrà essere discusso e quindi andare incontro a modifiche, è considerato troppo debole da alcune associazioni, visto che la comunicazione non riguarda le armi per uso sportivo, una delle licenze più diffuse. Il Ministero dell’Interno ha promesso una banca dati che si potrebbe incrociare con altre informazioni già in possesso, come le denunce per stalking, e permettere di avvertire le donne del pericolo. Lo stesso vale per le armi delle ex forze dell’ordine o delle guardie giurate, spesso non restituite, rimangono in una zona grigia.
Le Grandi Domande di Barbara Palombelli. Beatrice Dondi su L'Espresso il 17 settembre 2021. Il femminicidio secondo la giornalista di Rete 4: frutto di rabbia o colpa delle donne? Ci sono domande che dobbiamo farci per forza, dice Barbara Palombelli dal suo Forum, microfono stretto nella mano destra, sguardo fermo in camera. E se lo dice una giornalista fresca di Premiolino ci sarà da fidarsi. Così ieri dall'autorevole studio del Tribunale delle liti condominiali di Rete 4, Palombelli introduce il tema femminicidio. E si interroga: «Oggi parliamo della rabbia tra marito e moglie. Questa settimana ci sono state sette donne uccise presumibilmente da sette uomini. Allora a volte è lecito domandarsi: questi uomini erano completamente fuori di testa, completamente obnubilati oppure c'è stato anche un comportamento esasperante aggressivo anche dall'altra parte? È una domanda, dobbiamo farcela per forza». A questo punto lo spettatore ha vacillato, non sapendo in tutta onestà da quale risposta cominciare per provare ad arginare lo sgomento. Gli uomini che ammazzano le donne sono in preda a un raptus o le donne se la sono cercata? Il quesito aleggia, mentre si pensa a queste famiglie in cui si litiga (“rabbia) parecchio e alla fine, a furia di tirare la corda, il maschio esplode. Facile. D'altronde per Barbara Palombelli il tema è caldo. Basti ricordare, nel vicino marzo, il suo imperdibile monologo dal palco di Sanremo. In cui, dopo aver snocciolato la sua intera biografia come ragazza ribelle che sfrecciava persino in motorino, chiosava con passione «Donne non vi dovete fermare, non fatevi togliere il fiato e la dignità, tanto ai mariti non andremo mai bene e cercheranno sempre di metterci le mani addosso: dobbiamo osare, facciamo rumore». E alla luce di quanto detto a Forum sorgerebbe spontanea l'ennesima domanda: ma se osiamo e facciamo rumore non è che poi esasperiamo i mariti con tutte le conseguenze che ne derivano? Ma forse è meglio non chiedere, che altrimenti si rischia che la Palombelli risponda.
"Non sono quella persona lì": Barbara Palombelli risponde agli attacchi. Francesca Galici il 17 Settembre 2021 su Il Giornale. Barbara Palombelli risponde agli attacchi ricevuti a seguito di una sua frase sul femminicidio estrapolata da una causa in corso a "Forum". Nelle ultime 24 ore, Barbara Palombelli è stata al centro dell'attenzione mediatica e politica per una frase detta durante lo Sportello di Forum, lo spin-off del programma di Canale5 che va in onda il pomeriggio su Rete4. Numerose le critiche piovute addosso alla giornalista da parte del mondo politico e culturale italiano, tantissimi gli attacchi subiti sui social. "Negli ultimi sette giorni ci sono state sette donne uccise presumibilmente da sette uomini. A volte è lecito anche domandarsi: questi uomini erano completamente fuori di testa, completamente obnubilati oppure c’è stato anche un comportamento esasperante e aggressivo anche dall’altra parte? È una domanda che dobbiamo farci per forza, soprattutto in questa sede, in tribunale bisogna esaminare tutte le ipotesi", ha detto Barbara Palombelli durante la discussione di una causa. Già nel pomeriggio, la giornalista e conduttrice si era difesa dagli attacchi con un commento lasciato sui social: "La violenza familiare, il crescendo di aggressività che prende il posto dell'amore, l'incomprensione che acceca e rende assassini richiedono indagini accurate e ci pongono di fronte a tanti interrogativi. Quando un uomo o una donna (ieri a forum era la protagonista donna ad esercitare violenza sul coniuge) non controllano la rabbia dobbiamo interrogarci. Stabilire ruoli ed emettere condanne senza conoscere i fatti si può fare nei comizi o sulle pagine dei social, non in tribunale. E anche in un'aula televisiva si ha il dovere di guardare la realtà da tutte le angolazioni". Durante il promo di Stasera Italia, il programma che conduce su Rete4 ogni giorno a partire dalle 20.30, ha aggiunto: "Oggi è successa una cosa terribile, è stata estrapolata una frase da una causa di Forum di ieri pomeriggio ed è stata utilizzata per una valanga di attacchi, una cosa che mi ha attraversato da tutte le parti. Sono stata accusata di essere complice dei femminicidi, di assolvere gli uomini che usano violenza sulle donne. Questo tradisce tutta la mia vita, dedicata a contrastare la violenza sulle donne e sui bambini". Così ha esordito Barbara Palombelli, aprendo anche una parentesi nella sua vita personale, parlando dei figli adottati e salvati dalle violenze. "Nel lavoro ho sempre difeso le donne, questo è quanto di più falso possa esistere. Non esiste nessuna rabbia, nessun comportamento che possa giustificare il femminicidio o la violenza sulle donne. Questo per me è chiarissimo e dev'essere chiaro anche per voi", ha proseguito Barbara Palombelli. La conduttrice, quindi, si è scusata: "Chiedo scusa se non era chiaro abbastanza. Chiedo scusa all'azienda e a tutti coloro che hanno creduto che io fossi quella persona lì. Non sono quella persona lì, sono sempre io". Intervenendo successivamente a Quarto Grado, il programma di Gianluigi Nuzzi in onda su Rete4, Barbara Palombelli ha nuovamente spiegato la sua posizione, ribadendo i suoi trascorsi in difesa delle donne e dei bambini, come dimostra l'adozione di tre figli. Quindi, ha spiegato che quelle frasi andrebbero contestualizzate all'interno del più ampio discorso fatto durante la causa trattata in quel momento a Forum, dove è stato mostrato "come si disinnesca la rabbia. Abbiamo avuto un'esperta che ci ha spiegato i vari gradi. Ma nessuna rabbia può giustificare l'omicidio". Quindi, ha ribadito "che non esiste giustificazione per il femminicidio. Affianco a questo però dobbiamo fare tutti un passo avanti per andare a capire come disinnescare dal primo momento. Il mio intento era, ed è, quello di prevenire e di capire il primo gesto. L'escalation, il comportamento di qualcuno che può poi degenerare. Allora lì ci vuole lo psicologo, ci vuole sostegno. Perché dobbiamo assolutamente prevenire, perché non accada mai più". Barbara Palombelli ha sottolineato la necessitò di fare un passo avanti, "domandarci come disinnescare questa rabbia repressa, questa aggressività, prima che diventi omicidio. Dobbiamo insegnare alle nostre figlie che il primo gesto di quell'uomo va interpretato e decodificato. Va portato dallo psicologo, curato. Al primo gesto, alla prima parolaccia, al primo vaffa, al primo schiaffo. Questo è prevenire i comportamenti, non esasperarli, quindi curarli". Quindi Barbara Palombelli si è ulteriormente scusata, difendendosi e definendo falsità gli attacchi mediatici, in ragione della sua storia professionale.
Francesca Galici. Giornalista per lavoro e per passione. Sono una sarda trapiantata in Lombardia. Amo il silenzio.
Barbara Palombelli, a Quarto Grado la stoccata dopo la bufera sul femminicidio: "Ho abbastanza coraggio per andare avanti". Libero Quotidiano il 18 settembre 2021. Le parole di Barbara Palombelli sul femminicidio hanno sollevato un vero e proprio polverone. La conduttrice di Forum e Stasera Italia aveva detto: "È lecito domandarsi: questi uomini erano completamente fuori di testa, completamente obnubilati, oppure c’è stato anche un comportamento esasperante, esagerato, anche dall’altra parte? È una domanda che dobbiamo farci". Un'uscita che ha scatenato la bufera al punto che la Palombelli è stata costretta a chiedere scusa nella puntata di venerdì 17 settembre di Quarto Grado: "Chiedo scusa se qualcuno sentendo solo quella frase ha capito che io sono passata dall’altra parte, cioè a giustificare i femminicidi. Non c’è niente di più lontano da me, dalla mia storia, da quello che ho scritto e detto nella mia vita professionale. Quello era un altro discorso che si inseriva in una storia di rabbia particolare nella causa di Forum. Forum è un tribunale ed ha una sua autonomia". E ancora: "Chi vedrà la puntata dall’inizio alla fine capirà. Io voglio ribadire che non c’è nessuna giustificazione al femminicidio. Dobbiamo fare un grande passo in avanti e capire come disinnescare tutto dal primo momento. Il mio intento è quello di prevenire, di capire dal primo gesto, l’escalation, il comportamento di qualcuno che, poi, può degenerare. Dobbiamo prevenire, parlarne perché non accada più. Poi la conclusione, una frecciata a chi ha puntato il dito contro di lei: "Dobbiamo insegnare alle nostre figlie, alle nostre ragazze che il primo gesto di quell’uomo va interpretato, decodificato, portato dallo psicologo, curato. Tutta la mia vita è all’insegna di questo. Se qualcuno ha pensato di montare una tempesta mediatica per cambiare la mia biografia io sono qua ho abbastanza coraggio per andare avanti e difendermi. Ma è falsità. Chiedo scusa a tutti coloro che hanno pensato che, seppure per mezza giornata, possa essere complice di qualcuno che compie un delitto del genere. Non c’è niente di più lontano da me. Lo voglio dire categoricamente".
Barbara Palombelli? Pietro Senaldi: "Peggio il pene in prima pagina del Fatto che le parole sul femminicidio". Libero Quotidiano il 17 settembre 2021. Pietro Senaldi, condirettore di Libero, dedica il suo video editoriale di oggi a Barbara Palombelli che a Forum ha detto, una frase infelice a proposito dei femminicidi e per questo viene linciata sui social. "È il caso del giorno" sottolinea Senaldi raccontando cosa ha detto: "Ha detto che in un'aula di tribunale nel valutare un femminicidio bisogna considerare anche l'atteggiamento della vittima che potrebbe essere esasperante o aggressivo". Commenta il direttore: "È chiaro che è una frase forte anche sbagliata perché poi la morte cancella tutto anche i comportamenti della vittima. È normale che la Palombelli sia stata lapidata". "Lei ha provato a mettere una toppa", fa notare Senaldi leggendo quanto ha replicato la giornalista: "stabilire ruoli ed emettere condanne senza conoscere i fatti si può fare nei comizi e sulle pagine dei social non in tribunale. E anche in un'aula televisiva (lei lo ha detto a Forum) si ha il dovere di guardare la realtà da tutte le angolazioni". "Nella sua giustificazione", puntualizza Senaldi, "si spiega chiaramente che la Palombelli ha dismesso i panni della giornalista e opinionista per vestire quelli dell'avvocato di parte e allora un omicidio ha le attenuanti". Senaldi, a scanso di equivoci, ripete che "è una frase sbagliata: la morte è un evento drammatico che cancella qualsiasi cosa e emette una condanna assoluta e definitiva per chi la provoca, ma", aggiunge il direttore, "anche il peggiore dei criminali ha diritto a una difesa e a una valutazione delle sue attenuanti". "Per quanto possa essere infelice l'uscita di Barbara Palombelli", incalza Senaldi, "è senz'altro meno infelice della vignetta che compare sulla prima pagina del Fatto Quotidiano: un membro maschile con la didascalia 'L'origine della fine del mondo'". Tuona Senaldi: "Questo è un modo di trattare il problema e il dramma dei femminicidi piuttosto generalizzante e che non porta a nessuna soluzione e neanche a una diminuzione. Porta solo", conclude il direttore, "a una esasperazione del conflitto uomini-donne quando mai ci fosse".
Maria Giovanna Maglie al fianco della Palombelli per la frase sul femminicidio: "Ma quale bufera? Quante balle..." Libero Quotidiano il 17 settembre 2021. Le recenti dichiarazioni di Barbara Palombelli su femminicidi e violenza sulle donne hanno scatenato il caos sui social. E non solo. E' difficile trovare una sola persona che la difenda. Tra i pochissimi a schierarsi dalla sua parte c'è però Maria Giovanna Maglie. La bufera è scoppiata dopo la puntata di Forum del 16 settembre, quando la conduttrice, per introdurre il nuovo caso, ha detto: "A volte è lecito anche domandarsi se questi uomini erano completamente fuori di testa, completamente obnubilati oppure se c’è stato un comportamento esasperante e aggressivo anche dall’altra parte". Una domanda, quella posta dalla Palombelli, che ha suscitato l'indignazione generale. A pensarla diversamente, però, è la Maglie, che su Twitter ha scritto: "Quale bufera? Quante balle politically correct! Fai un programma in cui si finge di celebrare un processo e introduci l'argomento del 'aveva perso la testa' o 'lei lo aveva provocato', che usano ahime i giornali e che si usa nei processi". Secondo la giornalista, insomma, non c'è motivo di scandalizzarsi, visto che la questione posta dalla Palombelli non sarebbe affatto una novità. Ai commenti indignati di chi la accusa di giustificare la conduttrice di Forum, la Maglie ha risposto: "Non è che la scuso, è di più, proprio non vedo il problema, lo vedo completamente montato". E ancora: "Molto rumore per nulla ma ognuno è libero".
Facebook. Luciano Priori Friggi il 21 settembre 2021. Dunque, da questa foto si dovrebbe dedurre che siamo, anzi eravamo come i talebani ... sentite, sentite. Il mio amico FB RdA, un tradizionalista in ambito religioso, scrive: "Foto storica ... raffigurante due venditrici di uova e pollame nella piazza cittadina, ai primi del Novecento; visto che periodicamente tornano le polemiche e le paure sul velo musulmano (o sul velo delle suore), recentemente anche a causa dell'emergenza profughi dall'Afghanistan, si noti come, anche in Italia e in Europa, ancora nel Novecento e almeno fino agli anni '60-'70, le donne avessero il capo coperto da veli, foulard o semplici cappelli, e ciò perchè era un tratto comune e antico, tolto solo dalla modernità che cancella tutto..."
IL MIO COMMENTO: Posto Botticelli, La Primavera, e scrivo: "Ma no, non bisogna dire cose che non esistono. Un conto sono le usanze, soprattutto di tipo utilitaristico. Portare un fazzolettone in testa aveva lo scopo di proteggersi dal freddo e dal caldo, perché era gente che lavorava duro, all'aria aperta. Un conto proibire tutto ciò che è naturale, perché lo dice non si sa chi. Cari miei vi manca un concetto fondamentale nel vostro immaginario, "choice", scelta, libertà. Nel nostro Rinascimento i papi riempivano le chiese e i palazzi di nudi. L'unico che provò a mettere ordine "morale", mandando ragazzini nelle case a scovare dipinti osceni, ecc., fu Savonarola a Firenze, giustamente messo al rogo per iniziativa dei frati francescani. Basta sciocchezze per cortesia."
RISPOSTA di RdA: "Infatti il Rinascimento, umanista e antropocentrico, fu una pagina oscura della Chiesa, salvato solo dalla bellezza dell'arte (comunque problematica in quanto ha introdotto nuovi canoni e rotto con la tradizione)".
MIA RISPOSTA: "ma che obiezione è? e tradizione di che? L'Occidente si è smarcato dall'Oriente teocratico (ora M.O.) e liberticida, rappresentato dall'impero persiano, 2500 anni fa. Se non capite questo tornate a scuola e leggete Erodoto. O, per i costumi pre-Rinascimento, date un'occhiata a Boccaccio, che racconta il quotidiano. Lo stesso cristianesimo romano dopo l'anno Mille si stacca da Costantinopoli e riprende il cammino della libertà antica, nonostante sia in competizione col potere politico (leggete Dante). Il cattolicesimo romano post-Mille, se siete aggiornati con gli studi più accreditati, ha poco o nulla a che fare, a parte certi riti e alcuni richiami generali, con il cristianesimo delle origini, che era un tentativo di riforma dell'ebraismo, e in gran parte anche con la "svolta" di Paolo, che lo occidentalizza quanto basta per staccarlo dal M.O. e dell'ebraismo. Il cattolicesimo romano post-Mille è un'altra religione. Leggete, studiate e non raccontate cose che non esistono."
Michela Marzano per "la Stampa" il 21 settembre 2021. Quanto vale la vita di una donna? Basta introdurre misure repressive sempre nuove per salvare una vittima? Da quando, nel 2013, fu ratificata la Convenzione di Istanbul, sono state tante le leggi approvate dal Parlamento per contrastare le violenze domestiche, i maltrattamenti, lo stalking, la diffusione illecita di immagini e video, i matrimoni forzati e i femminicidi. Norme molteplici e complesse che hanno via via modificato non solo il Codice penale, ma anche il Codice di procedura penale, aumentando le pene, costruendo nuove fattispecie di reati e introducendo corsie preferenziali per le denunce di stalking e le indagini preliminari. Ma allora com’è che, nel nostro Paese, le violenze e i femminicidi non diminuiscono? Ha ragione Michela Murgia quando scrive che “non trattiamo le denunce di stalking con gli stessi strumenti con i quali affrontiamo persecuzioni di altra natura”? Fa bene Antonio Padellaro ad attaccare la ministra Cartabia perché, in seguito alla sua riforma, uno stalker potrà essere assolto invocando il “reato tenue”? Sono ovviamente d’accordo con molte delle critiche di Murgia e Padellaro: di fronte alla quantità spaventosa di femminicidi – sette negli ultimi dieci giorni – non possiamo non arrabbiarci, non invocare pene sempre maggiori oppure anche l’intervento del Comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica che agisce nei casi di minacce da parte della criminalità organizzata. Ma sono pure profondamente convinta che molte leggi approvate negli ultimi anni siano giuste, e che ciò che manca sia soprattutto una loro corretta applicazione. Quanti sono, d’altronde, gli uomini denunciati cui viene davvero impedito di avvicinarsi ai luoghi frequentati dalle vittime? Quanti di questi uomini sono realmente controllati attraverso l’uso dei braccialetti elettronici? Quanti soldi arrivano ai Centri antiviolenza? Quanti membri delle forze dell’ordine hanno seguito corsi di formazione e di sensibilizzazione? Se non si proteggono adeguatamente le vittime e non si agisce a livello culturale, possiamo anche continuare ad approvare nuove norme punitive, ma non cambierà mai niente. Nulla riporta in vita una donna ammazzata. Esattamente come nulla ripaga del dolore e delle umiliazioni subite coloro che, per anni, non sono state ascoltate o accudite o accompagnate o liberate. La violenza che alcuni uomini fanno subire alle donne non potrà essere efficacemente contrastata finché si continuerà a sottovalutarne le radici, le cause e le diramazioni. Non basta infatti invocare la permanenza del patriarcato o la brutalità del maschio per capire quanto accade ogni giorno in tante case e in tante famiglie. Ormai abbiamo bisogno di analisi più articolate e di categorie leggermente diverse. Anche semplicemente perché gli uomini violenti sono spesso persone fortemente disturbate, persona da curare e accompagnare prima che commettano l’irreparabile. Insicuri e incapaci di sapere chi sono veramente, questi uomini si convincono pian piano che le responsabili di ogni loro fallimento siano le donne. Narcisisticamente fratturati, odiano tutte coloro che non riescono a ripararli. Frustrati e insoddisfatti, covano rabbia e violenza. Che riversano poi contro le donne, anche se poi, dopo averle distrutte, non resta loro altro che suicidarsi. Il dramma delle violenze contro le donne inizia molto presto. Ha radici nell’infanzia e nell’adolescenza e non è certo la paura della pena che può salvare le donne dalla furia dei propri persecutori. Fino a quando non si affronteranno in maniera seria la questione della presa in carico degli uomini maltrattanti e il tema della prevenzione, non si riuscirà a fermare nessuno di questi assassini né, tantomeno, a evitare che la violenza venga trasmessa da una generazione all’altra.
Giampiero Mughini per Dagospia il 17 settembre 2021. Caro Dago, a mio giudizio Barbara Palombelli ha avuto molto coraggio - lei donna - durante una trasmissione collettiva da lei condotta a “porsi delle domande” quanto alle atrocità di cui leggiamo ogni giorno di uomini che maneggiano revolver e coltelli contro donne di cui erano stati gli amanti o i mariti, ovvero di cercare delle spiegazioni che vadano oltre la fin troppo facile rappresentazione degli uomini come di un genere inesorabilmente portato alla violenza contro le donne, allo stupro, al femminicidio. Ignaro come sono di quel che accade sui social, non conosco l’entità delle offese che stanno arrecando a Barbara. Conoscendola da quando era una teen-ager, escludo che lei abbia sbagliato una sola virgola nell’apprestare il suo ragionamento. Mi colpisce il messaggio che mi ha mandato Ruggero, un mio caro amico che da 35 anni lavora negli ospedali, il quale mi ha raccontato di una ragazza minorenne arrivata al pronto soccorso dopo che il suo fidanzato l’aveva accoltellata alla guancia. “Non ci sono parole per descrivere il suo stato emotivo e il nostro che l’abbiamo soccorsa” mi ha scritto Ruggero nel dissentire da quel che aveva ascoltato da Barbara. E dunque gli uomini o per lo meno potenzialmente la loro grande maggioranza sono nient’altro che delle bestie prontissime a risolvere a colpi di revolver o di coltelli quel difficile romanzo che è il rapporto tra uomini e donne e tanto più in un ambito familiare? Non so voi, a me una spiegazione siffatta sembra primitiva. E non perché non reputi molto peggio che delle bestie - molto, molto peggio - quanti adoperano il coltello e il revolver. (A dire il vero reputo peggio delle bestie pure quanti sfiorano anche con un mignolo una donna che non sia consenziente.) Detto questo io penso che ciascuna storia per quanto atroce, e dunque i suoi protagonisti, vadano ogni volta studiati come un caso a sé. E che quella storia vada studiata come un romanzo a sé, non certo per attenuare colpe e crimini, ma per capire di che pasta siamo fatti noi esseri umani. Mi direte “Che cambia, una volta che la vittima - sempre una donna - è lì trafitta e assassinata?”. Non cambia molto, no. Ma non sta a noi esseri umani ogni volta cercare di capire al meglio la dinamica e il perché di ciò che accade nel mondo, tutt’attorno a noi? Che è cosa più importante e più meritevole che non sbandierare post factum il drappo del Bene. Se conosci il Male e le sue dinamiche, lo affronti meglio, lo giudichi meglio, lo pari meglio, lo punisci meglio. O forse no, mi direte che non ci sono sfumature di giudizio possibili quando un uomo infligge non so quante coltellate alla donna con cui aveva vissuto e si sta separando. Non lo so, non lo so davvero. E di non saperlo fino in fondo lo sento come una mia umana responsabilità.
Dall’account facebook di Barbara Palombelli il 18 settembre 2021. Sono stata vittima di una diffamazione senza precedenti. Il mio nome, accostato alla istigazione e alla giustificazione della violenza sulle donne. Tutti coloro che si sono resi protagonisti di questa palese falsità ne risponderanno in tribunale. Non posso accettare una simile aggressione completamente ingiustificata e superficiale. Aspetto le scuse dai rappresentanti delle istituzioni che non si sono documentati sui fatti prima di emettere sentenze via web. Continuerò a porre domande - anche scomode - perché è il mio mestiere. Ma non accetterò diffamazioni, da qualunque parte siano arrivate. La diffamazione è un reato e io credo nella giustizia.
Dagospia il 22 settembre 2021. Da "Radio Capital". “Penso che le parole della collega Palombelli sui femminicidi siano parole sbagliate e ingiuste che possono in qualche modo fuorviare rispetto al problema. Ci sono i carnefici e ci sono le vittime, non dimentichiamocene mai” così la giornalista Lilli Gruber a “The Breakfast Club” su Radio Capital. “Sulla Palombelli non mi esprimo. Usare la violenza è un reato anche se non sempre denunciato e perseguito come dovrebbe essere, non ha nulla a che vedere con le relazioni affettive. Mai la violenza può essere tollerata”.
Dagospia il 20 settembre 2021. Riceviamo e pubblichiamo: Caro Dago, come sai non frequento salotti televisivi o social, continuo a leggere i giornali però trovo indecente il trattamento riservato a Barbara Palombelli negli ultimi giorni. La conosco da 25 anni e dire che ha giustificato con le sue parole i femminicidi è falso. Barbara si pone delle domande, forse non le ha formulate bene, può succedere anche a una giornalista seria che passa gran parte della sua giornata davanti allo schermo. Ha chiesto scusa, che vogliono ancora gli odiatori seriali? Una di loro ha dichiarato pubblicamente "Io sto con Hamas" credendo di fare un favore al popolo palestinese, in realtà è solo odio per Israele. Nessuno sembra scandalizzarsi. Poi scrive un lungo articolo contro Barbara Palombelli su un giornale nazionale. Due pesi due misure? Difendo Barbara perché la sua vita privata dimostra quanto sia stata sempre attenta alla violenza subita non solo dalle donne ma da ogni essere umano. Carmen Llera Moravia
Da “la Repubblica” il 20 settembre 2021. Caro Merlo, dopo l'assurda frase di Barbara Palombelli che in qualche modo giustifica i femminicidi, mi augurerei che, scuse dell'interessata a parte, la conduttrice venisse da Mediaset temporaneamente sospesa dal video. In caso contrario penserei a una connivenza dell'ente televisivo. Calogero Barranco
Risposta di Francesco Merlo. Non mi piacciono i furori punitivi. Barbara Palombelli ha sbagliato ma ha chiesto scusa: «Chiedo scusa se qualcuno sentendo quella frase ha pensato che potessi essere complice di chi commette un delitto, ma il mio era un discorso diverso. Sono sempre stata in prima linea contro la violenza sulle donne. Lo dice la mia storia personale, ho portato anche a casa mia figli oggetto di violenza. Essere messa tra le persone che giustificano la violenza mi ha provocato grande malessere Non esiste alcuna giustificazione a un femminicidio». Con Barbara eravamo vicini di tavolo al Corriere della Sera, era brava e aveva successo. Non la frequento da tanti anni, ma credo di conoscerla. C'è più lei nella sofferta frase di scuse che nella frase shock.
Estratto dell'articolo di Vittorio Feltri per "Libero quotidiano" il 20 settembre 2021. […] I femminicidi sono forme di abiezione imperdonabile, ciò nonostante prima di giudicare gli assassini bisognerebbe esaminare con distacco quanto succedeva nella famiglia in cui è avvenuto il fatto di sangue. Con la sua frase Barbara Palombelli non intendeva giustificare i femminicidi, semplicemente invitava a comprendere le cause scatenanti delle aggressioni mortali in discussione. […] Quando c'è un litigio, a prescindere dalle conseguenze, si è sempre in due a provocarlo e prima di emettere sentenze di condanna bisogna esaminare i motivi che hanno scatenato la furia omicida. Questo non significa assolvere l'assassino, ci mancherebbe, ma semplicemente si tratta di capire perché tra certi uomini e certe donne scoppiano liti che sfociano nell'irreparabile. Ovvio che chi uccide ha sempre torto, ma è altrettanto ovvio che è indispensabile accogliere le motivazioni che lo hanno spinto ad armarsi la mano di coltello o pistola. […]
Barbara Palombelli, "ci vediamo in tribunale": dopo il linciaggio passa al contrattacco, chi trema. Libero Quotidiano il 18 settembre 2021. Ora basta. Barbara Palombelli, dopo le scuse per la frase infelice sul femminicidio, passa al contrattacco. E minaccia querele. In molti, infatti, hanno puntato il dito contro di lei, spesso con toni oggettivamente inaccettabili. Si pensi, per esempio, alla solita Selvaggia Lucarelli che ha parlato di lei come "donne che ri-uccidono le donne". Per onor di cronaca, ricordiamo la frase uscita male nel corso di Forum alla Palombelli e che ha sollevato il polverone: "Come sapete, negli ultimi sette giorni ci sono stati sette delitti, sette donne uccise presumibilmente da sette uomini. A volte è lecito domandarsi se questi uomini erano completamente fuori di testa oppure c’è stato un comportamento esasperante, aggressivo anche dall’altra parte? È una domanda, dobbiamo farcela per forza perché in questa sede, in un tribunale, dobbiamo esaminare tutte le ipotesi". Dunque, la conduttrice aveva precisato: "Chiedo scusa se qualcuno sentendo solo quella frase ha capito che io sono passata dall’altra parte, cioè a giustificare i femminicidi". E ovviamente non era sua intenzione, nemmeno lontana, quella di giustificare i femminicidi. Come detto ora, nella mattinata di sabato 18 settembre, la Palomba ha però sbottato. E su Facebook ha scritto quanto segue: "Sono stata vittima di una diffamazione senza precedenti. Il mio nome, accostato alla istigazione e alla giustificazione della violenza sulle donne - ha premesso, in modo molto duro -. Tutti coloro che si sono resi protagonisti di questa palese falsità ne risponderanno in tribunale. Non posso accettare una simile aggressione completamente ingiustificata e superficiale. Aspetto le scuse dei rappresentanti delle istituzioni che non si sono documentati sui fatti prima di emettere sentenze via web. Continuerò a porre domande – anche scomode – perché è il mio mestiere. Ma non accetterò diffamazioni, da qualunque parte siano arrivate. La diffamazione è un reato e io credo nella giustizia". Insomma, il più classico dei "ci vediamo in tribunale".
Pensiero unico. Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Il pensiero unico (dal francese pensée unique) descrive, con accezione negativa, l'assenza di differenziazione nell’ambito delle concezioni e delle idee politiche, economiche e sociali.
Storia. «Che cos'è il pensiero unico? È la trasposizione in termini ideologici, che si pretendono universali, degli interessi di un insieme di forze economiche, e specificamente di quelle del capitale internazionale.» Il termine fu coniato nel gennaio del 1995 in un editoriale di Le Monde diplomatique da Ignacio Ramonet, direttore responsabile di "Le Monde diplomatique" e membro onorario di Attac. Egli lo intende come «il concetto del primato dell'economia sulla politica, tanto più forte in quanto un marxismo distratto non lo contesterebbe».
Critiche. La critica al pensiero unico intende puntualizzare la crescente riduzione del dibattito politico a temi imposti dall'alto e troppo spesso dati per scontati e non contestabili da parte della cultura dominante. Ad esempio è molto noto l'argomento populistico There Is No Alternative (non c'è alternativa) di Margaret Thatcher ex primo ministro del Regno Unito, spesso riassunto in acronimo come TINA ed ampiamente adottato da altri politici (per esempio Gerhard Schröder, ex primo ministro della Germania, tradusse l'argomentazione in tedesco: "Es gibt keine Alternativen"). Fra gli assiomi del neo liberismo, che la critica al pensiero unico tende a contestare, si possono citare indicativamente:
L'economia di stampo liberista (e la crescita illimitata) come scienza che governa la società. La politica e tutte le altre scelte culturali tendono ad essere assoggettate al potere economico.
Il mercato come parametro principale che determina il successo o l'insuccesso di ogni attività umana in generale.
Servizi, istruzione, sanità, ambiente e welfare affidati in gran parte all'iniziativa privata ed alla legge di mercato.
Pensiero unico come pseudoscienza. Alcuni autori hanno sintetizzato la concezione del pensiero unico in campo economico come di una ideologia vuota, edificata al solo scopo di difendere gli interessi degli ultramilionari.
“Basta fondamentalismi e pensiero unico, la verità non esiste senza il dialogo”. L’inedito di Bergoglio: le certezze assolute sono il rifugio di chi ha paura. La Repubblica il 13 marzo 2014. SALTA all’occhio il fatto che nel corso della storia si siano moltiplicati — e continuino a moltiplicarsi anche oggi — i fondamentalismi. In sostanza si tratta di sistemi di pensiero e di condotta assolutamente imbalsamati, che servono da rifugio. Il fondamentalismo si organizza a partire dalla rigidità di un pensiero unico, all’interno del quale la persona si protegge dalle istanze destabilizzanti (e dalle crisi) in cambio di un certo quietismo esistenziale. Il fondamentalismo non ammette sfumature o ripensamenti, semplicemente perché ha paura e — in concreto — ha paura della verità. Chi si rifugia nel fondamentalismo è una persona che ha paura di mettersi in cammino per cercare la verità. Già «possiede» la verità, già l’ha acquisita e strumentalizzata come mezzo di difesa; perciò vive ogni discussione come un’aggressione personale. La nostra relazione con la verità non è statica, poiché la Somma Verità è infinita e può sempre essere conosciuta maggiormente; è sempre possibile immergersi di più nelle sue profondità. Ai cristiani, l’apostolo Pietro chiede di essere pronti a «rendere ragione» della loro speranza; vuol dire che la verità su cui fondiamo l’esistenza deve aprirsi al dialogo, alle difficoltà che altri ci mostrano o che le circostanze ci pongono. La verità è sempre «ragionevole», anche qualora io non lo sia, e la sfida consiste nel mantenersi aperti al punto di vista dell’altro, senza fare delle nostre convinzioni una totalità immobile. Dialogo non significa relativismo, ma «logos» che si condivide, ragione che si offre nell’amore, per costruire insieme una realtà ogni volta più liberatrice. In questo circolo virtuoso, il dialogo svela la verità e la verità si nutre di dialogo. L’ascolto attento, il silenzio rispettoso, l’empatia sincera, l’autentico metterci a disposizione dello straniero e dell’altro, sono virtù essenziali da coltivare e trasmettere nel mondo di oggi. Dio stesso ci invita al dialogo, ci chiama e ci convoca attraverso la sua Parola, quella Parola che ha abbandonato ogni nido e riparo per farsi uomo. Così appaiono tre dimensioni dialogiche, intimamente connesse: una tra la persona e Dio — quella che i cristiani chiamano preghiera — , una degli esseri umani tra loro, e una terza, di dialogo con noi stessi. Attraverso queste tre dimensioni la verità cresce, si consolida, si dilata nel tempo. […] A questo punto dobbiamo chiederci: che cosa intendiamo per verità? Cercare la verità è diverso dal trovare formule per possederla e manipolarla a proprio piacimento. Il cammino della ricerca impegna la totalità della persona e dell’esistenza. È un cammino che fondamentalmente implica umiltà. Con la piena convinzione che nessuno basta a sé stesso e che è disumanizzante usare gli altri come mezzi per bastare a sé stessi, la ricerca della verità intraprende questo laborioso cammino, spesso artigianale, di un cuore umile che non accetta di saziare la sua sete con acque stagnanti. Il «possesso» della verità di tipo fondamentalista manca di umiltà: pretende di imporsi sugli altri con un gesto che, in sé e per sé, risulta autodifensivo. La ricerca della verità non placa la sete che suscita. La coscienza della «saggia ignoranza» ci fa ricominciare continuamente il cammino. Una «saggia ignoranza» che, con l’esperienza della vita, diventerà «dotta». Possiamo affermare senza timore che la verità non la si ha, non la si possiede: la si incontra. Per poter essere desiderata, deve cessare di essere quella che si può possedere. La verità si apre, si svela a chi — a sua volta — si apre a lei. La parola verità, precisamente nella sua accezione greca di aletheia, indica ciò che si manifesta, ciò che si svela, ciò che si palesa attraverso un’apparizione miracolosa e gratuita. L’accezione ebraica, al contrario, con il termine emet, unisce il senso del vero a quello di certo, saldo, che non mente né inganna. La verità, quindi, ha una duplice connotazione: è la manifestazione dell’essenza delle cose e delle persone, che nell’aprire la loro intimità ci regalano la certezza della loro autenticità, la prova affidabile che ci invita a credere in loro. Tale certezza è umile, poiché semplicemente «lascia essere» l’altro nella sua manifestazione, e non lo sottomette alle nostre esigenze o imposizioni. Questa è la prima giustizia che dobbiamo agli altri e a noi stessi: accettare la verità di quel che siamo, dire la verità di ciò che pensiamo. Inoltre, è un atto d’amore. Non si costruisce niente mettendo a tacere o negando la verità. La nostra dolorosa storia politica ha preteso molte volte di imbavagliarla. Molto spesso l’uso di eufemismi verbali ci ha anestetizzati o addormentati di fronte a lei. È, però, giunto il momento di ricongiungere, di gemellare la verità che deve essere proclamata profeticamente con una giustizia autenticamente ristabilita. La giustizia sorge solo quando si chiamano con il loro nome le circostanze in cui ci siamo ingannati e traditi nel nostro destino storico. E facendo questo, compiamo uno dei principali servizi di responsabilità per le prossime generazioni. La verità non s’incontra mai da sola. Insieme a lei ci sono la bontà e la bellezza. O, per meglio dire, la Verità è buona e bella. «Una verità non del tutto buona nasconde sempre una bontà non vera», diceva un pensatore argentino. Insisto: le tre cose vanno insieme e non è possibile cercare né trovare l’una senza le altre. Una realtà ben diversa dal semplice «possesso della verità» rivendicato dai fondamentalismi: questi ultimi prendono per valide le formule in sé e per sé, svuotate di bontà e bellezza, e cercano di imporsi agli altri con aggressività e violenza, facendo il male e cospirando contro la vita stessa.
Dall'inizio dell'anno 50 croci rosa. "Numeri peggiorati dopo i lockdown". Patricia Tagliaferri il 14 Settembre 2021 su Il Giornale. Tre vittime in sette giorni, per la psicologa Slepoj la pandemia ha reso più fragili i freni sociali: "C'è sempre più insofferenza". Due vittime in un solo giorno, tre nell'ultima settimana. Gli ennesimi femminicidi di un elenco che non smette di allungarsi. Un'escalation sempre più drammatica e fuori controllo. Storie di mogli uccise da mariti, ex mariti o compagni. Da uomini con cui avevano condiviso la vita o parte di essa, fatto figli e progetti. Delitti avvenuti per gelosia, per l'incapacità di accettare la fine di una relazione, per un raptus improvviso, per un rifiuto. Per mille e più motivi destinati a finire nei manuali di psicologia. Ma intanto la strage continua e le leggi sembrano non bastare ad arginare la violenza. Cinquanta femminicidi dall'inizio dell'anno è un numero impressionante, anche se statisticamente in calo rispetto alle 83 donne uccise nello stesso periodo del 2020. Dei 186 omicidi avvenuti in Italia dal primo gennaio al 5 settembre di quest'anno, 76 vittime sono state donne, una media di un femminicidio ogni tre giorni. E quasi tutte hanno trovato la morte in ambito familiare o affettivo, incluse le 47 uccise dal partner o dall'ex. Sono i numeri dell'ultimo report del Servizio analisi criminale, da aggiornare con le 3 vittime di questa settimana. Ma l'emergenza femminicidi non è solo italiana. Nel 2019 in Europa sono state uccise 1.421 donne, una media di quattro al giorno, una ogni sei ore: 285 in Francia, 276 in Germania, 126 in Spagna e 111 nel nostro Paese. Ma prendendo in considerazione il numero di abitanti, la maglia nera spetta alla Lettonia, dove le donne vittime di omicidi volontari sono 4,06 ogni 100mila abitanti. I dati estrapolati dal database di Eurostat, e aggiornati a due anni fa, confermano che i tassi di omicidi femminili più elevati si registrano nei Paesi dell'Europa orientale e meridionale. Il fenomeno viene messo a fuoco anche nell'ultimo report dell'Istat sulla criminalità e gli omicidi nel nostro Paese. Nel 2020, l'anno della pandemia, i delitti sono diminuiti, ma sono aumentati i femminicidi. Nel primo semestre dello scorso anno «gli assassini di donne sono stati pari al 45% del totale degli omicidi, contro il 35% dei primi sei mesi del 2019, e hanno raggiunto il 50% durante il lockdown». C'è dunque un collegamento tra la permanenza forzata in casa e comunque lo stravolgimento della quotidianità dovuto all'emergenza sanitaria e l'esplosione della violenza tra le mura domestiche? «Per fare un'affermazione così netta servirebbe un esame comparativo delle casistiche degli anni passati - spiega la psicologa Vera Slepoj - sicuramente c'è stato un forte peggioramento e mi inquieta il fatto che non ci sia nessuna sensibilità politica e istituzionale di fronte a questo stillicidio». Per la Slepoj è fuori discussione che il Covid abbia portato un grande cambiamento nella condizione sociale. «C'è la sensazione di non avere più punti di riferimento - c'è una maggiore insofferenza e intolleranza. Si creano dei corto circuiti che portano ad avere una sorta di incapacità di tenere sotto controllo le impulsività e sono aumentati i soggetti che non hanno l'attrezzatura emotiva in grado di gestirla. La pandemia ha reso più fragili i comportamenti sociali in generale. Il soggetto non è più in grado di controllare l'emotività e dentro questo aspetto c'è anche l'omicidio: si uccide per l'incapacità di gestire razionalmente i diritti degli altri». La pandemia ha fatto perdere «il senso della collettività». «C'è sempre più insofferenza - spiega la psicologa - e incapacità di tollerare le regole. L'ansia per il futuro può essere uno dei motivi scatenanti, ma in genere tutti i tipi di angoscia possono creare un corto circuito legato al cambiamento. C'è questo desiderio di dominare l'altro sottomettendolo o di punire il partner per la capacità di aver fatto una scelta autonoma». Patricia Tagliaferri
Da leggo.it il 17 settembre 2021. Tragedia nel padovano, i corpi di due persone, padre e figlia, sono stati trovati poco dopo le 12.30 di oggi all'esterno di una casa in via Palù 72 a Sarmeola di Rubano, alla periferia della città. La donna avrebbe cercato di fuggire dopo una lite, ma il padre l'ha rincorsa e uccisa a colpi di pistola davanti al cancello dell'abitazione. Poi ha rivolto l'arma verso se stesso e si è tolto la vita. Entrambi i cadaveri sono stati trovati sulla strada da alcuni parenti che stavano andando nella casa per festeggiare il compleanno. Sulla tragica vicenda stanno indagando i carabinieri. Vi sono forse rancori e dissapori familari, legati anche ad attività economiche, alla radice dell'omicidio-suicidio che si è consumato stamani, intorno alle ore 13.00 a Sarmeola di Rubano (Padova). Giunto a Sarmeola da Monfalcone in auto, forse accompagnato da qualcuno, dopo aver fatto uscire in strada la figlia l'anziano padre ha esploso contro di lei due colpi di pistola, uccidendola, poi si è tolto la vita sparandosi un colpo al petto Secondo quanto raccolto tra i familiari dai Carabinieri della stazione locale, assieme alla Sezione operativa della Compagnia e del Nucleo investigativo del comando provinciale di Padova, Stelvio e Doriana Cerqueni non si vedevano e non avevano rapporti da lungo tempo. Cerqueni gestiva in passato un supermercato a Cividale del Friuli (Udine) con un socio all'incirca della sua età, che in seguito una trentina di anni fa sposò la figlia. Il genero era rimasto vedovo, con tre figli, e con Doriana ne ha avuto un altro. La donna a Rubano gestiva un mobilificio. Al momento del delitto, in casa con lei c'era uno dei figli del marito, di 50 anni. L'arma rinvenuta sul luogo del doppio delitto, è stata sottoposta a sequestro. Le due salme sono state portate all'obitorio dell'ospedale civile di Padova, a disposizione dell'autorità giudiziaria.
Vicenza, uccisa in casa a 21 anni a colpi di pistola: il presunto assassino si è ucciso. La vittima, Alessandra Zorzin, 21 anni. La Repubblica il 15 settembre 2021. L'omicidio è avvenuto nella sua abitazione a Montecchio Maggiore. L'uomo si era dato alla fuga. È il secondo femminicidio nel Vicentino in 5 giorni. Si è tolto la vita l'uomo ritenuto responsabile dell'omicidio di Alessandra Zorzin. In serata si è ucciso utilizzando la pistola ritenuta essere anche l'arma del delitto. Si chiamava Marco Turrin, 38enne padovano, residente a Vigodarzene e guardia giurata, quindi in possesso della pistola per motivi di lavoro. Il delitto era avvenuto intorno alle 12. Alessandra Zorzin, 21 anni, parrucchiera di professione e mamma di una bambina di soli due anni, era stata uccisa con un colpo di pistola nella casa sua a Montecchio Maggiore, nel Vicentino. L'assassino era scappato a bordo di un'auto nera, identificato grazie ai racconti dei vicini che lo avevano visto parcheggiare l'auto nel piazzale davanti all'abitazione della vittima e poi allontanarsi dopo lo sparo. Su Turrin si era da subito concentrata l'attenzione dei Carabinieri, che sin dalle prime battute avevano acquisito nei suoi confronti numerosi indizi. Immediatamente erano scattate le ricerche del sospettato, che nel frattempo aveva fatto perdere le sue tracce, allontanandosi a bordo della propria auto. Nel corso della giornata era stato più volte individuato il suo passaggio nella provincia e in altre limitrofe, senza però che le numerose pattuglie dispiegate riuscissero a intercettarlo. In serata, l'autovettura è stata localizzata nuovamente in provincia, nella zona di Creazzo. Di lì a breve l'auto è stata intercettata nella zona di Vicenza Ovest da due pattuglie dei Carabinieri e della Polizia di Stato, che stava attivamente collaborando nelle ricerche. Alla vista delle pattuglie Turrin, sentendosi ormai in trappola, si è sparato all'interno dell'autovettura. Immediatamente soccorso, nonostante i tentativi di rianimazione del personale sanitario, è deceduto poco dopo, verso le 20,30.
Il corpo trovato dal marito. In tarda mattinata a scoprire il corpo senza vita della donna era stato il marito, rientrato in casa di corsa perché avvisato dai vicini che avevano sentito le urla di un litigio e poi un colpo secco. Al momento del delitto Alessandra Zorzin era sola in casa perché la bambina era all'asilo e il marito a pranzo dai suoi. Secondo i racconti dei condomini e le indagini sul luogo del delitto, sarebbe stata la stessa Alessandra ad aprire la porta all'assassino che altre volte era stato visto entrare in quella casa.
Tra i due sarebbe scoppiata una discussione. Poi un rumore secco. I vicini avevano visto l'uomo scappare, avevano quindi provato a suonare il campanello più e più volte senza nessuna risposta e a quel punto avevano chiamato il marito che era pranzo a casa dei suoi genitori.
Sette femminicidi in 10 giorni. La scorsa settimana, sempre nel Vicentino, c'era stato un altro femminicidio a Noventa Vicentina: vittima una donna di 33 anni, Rita Amenze, uccisa a colpi di pistola nel parcheggio della ditta per la quale lavorava dal suo ex marito, poi arrestato. E, ancora, sempre in Veneto pochi giorni prima quello di Chiara Ugolini, ammazzata sempre da un uomo, un vicino di casa. Solo negli ultimi dieci giorni sono sette le donne uccise. E sul report del Viminale sulla violenza sulle donne si apprende che dei 199 delitti commessi da gennaio a oggi, 83 sono femminicidi, di cui 70 uccise in ambito familiare o affettivo e di queste 50 hanno trovato la morte per mano del partner o di un ex marito o compagno.
Alessandra Zorzin, chi era la giovane mamma uccisa a 21 anni a colpi di pistola. Veronica Ortolano il 15/09/2021 su Notizie.it. Alessandra Zorzin era una parrucchiera ed una giovane mamma di 21 anni. Ad ucciderla con un colpo di pistola al volto è stato un uomo sui 40 anni. L’ennesimo femminicidio. L’ennesimo omicidio nel quale perde la vita una giovane donna. Senza motivo. Alessandra aveva soli 21 anni. Una vita davanti con la sua piccola bimba di soli due anni. E invece, è morta, uccisa a Montecchio Maggiore, nel Vicentino, con un colpo di pistola al volto. Nella sua ultima immagine del profilo su Facebook appare sorridente, con in braccio sua figlia. Foto del profilo aggiornata solo due giorni fa. Poi la tragedia. Alessandra Zorzin faceva la parrucchiera. Moltissime le foto con la sua bambina se si visitano i suoi social. Era una bellissima ragazza, di lei spiccava in particolar modo il sorriso. Sotto choc l’intera comunità locale. Il sindaco di Montecchio, Gianfranco Trapula, ha detto in merito alla faccenda che: “È un fatto che ci lascia senza parole. Non conoscevo personalmente Alessandra, stiamo pensando al dramma che vivrà la bambina piccola e tutta la famiglia. È un atto veramente incomprensibile. Prima di uccidere una persona ci sono tante cose che si sono possono fare”. A trovarla morta, suo marito che nel primo pomeriggio di oggi, mercoledì 15 settembre, l’ha vista nel suo letto in una pozza di sangue e con una ferita procurata da un proiettile che le aveva sfigurato il viso. Ad avvisarlo sono stati i loro vicini, che avevano sentito la ragazza litigare con un uomo, e poi avevano sentito uno sparo. Fortunatamente, la loro bambina era a scuola ed Alessandra era rimasta da sola in casa. Alessandra e suo marito si era trasferiti da poco più di un anno nella frazione di Valdimolino. Ancora sconosciute le cause della morte della 21enne. Tutto ciò che si sa sul killer è che, dopo averla uccisa, è scappato via a bordo di una Lancia Y scura. Al momento è ancora ricercato. Le ricerche si stanno concentrando nelle zone del Garda, dove sarebbe stato avvistato. Stando alle indiscrezioni, si tratterebbe di un uomo sui 40 anni del padovano, in possesso dell’arma del delitto per motivi di lavoro. Si tratterebbe di una guardia giurata, che conosceva Alessandra, anche se da poco tempo. Addirittura alcuni vicini lo avrebbero visto scappare a seguito dello sparo, dichiarando che non era la prima volta che entrava a casa di Alessandra.
Benedetta Centin per “corrieredelveneto.corriere.it” il 17 settembre 2021. Una discussione, accesa dalla gelosia e poi il colpo di pistola, come una sorta di esecuzione. La ragazza era seduta su un angolo del letto e l’arma è stata puntata sulla sua guancia: con ogni probabilità aveva deciso che quell’amicizia doveva finire lì.
L’intimidazione e lo sparo. Così sarebbe morta Alessandra Zorzin, la 21enne di Montecchio Maggiore vittima del padovano Marco Turrin che mercoledì le ha tolto la vita. Era arrivato a casa sua, nella contrada di Valdimolino, all’ora di pranzo. L’ultima di una serie di visite che non erano passate inosservate ai vicini di casa. Avrebbe appoggiato la canna della pistola alla guancia della vittima, a contatto con la pelle. Alessandra ha avuto paura di non poter più riabbracciare la sua amata bimba di due anni e mezzo. Forse «Ale», come la chiamavano i più, aveva sperato fosse solo un’intimidazione da parte della guardia giurata con cui aveva legato da alcuni mesi. Una terribile minaccia. Ma il 38enne di Vigodarzere ha aperto il fuoco sulla giovane donna di cui era evidentemente ossessionato, al punto da rubarle il telefono prima di inforcare la porta dell’appartamento e uscire in strada.
Lo smartphone passato al setaccio. In fuga dal luogo dell’omicidio, Turrin, che si è tolto la vita in serata, braccato da carabinieri e polizia, deve aver passato al setaccio messaggi e foto dello smartphone della 21enne. Per capire con chi si sentiva. Per sondare ogni aspetto della sua vita privata di cui lui voleva a tutti i costi farne parte ed avere evidentemente un ruolo privilegiato. Ma quel telefono che anche per gli investigatori potrebbe contenere elementi preziosi per le indagini non si trova. L’omicida deve essersene disfatto durante la fuga, così come avrebbe fatto con il suo cellulare, forse temendo che i militari che gli stavano dando la caccia potessero individuare la sua posizione con la geolocalizzazione. Il 38enne ha passato ore a scappare per non finire in trappola, anche oltre la provincia di Vicenza. I dispositivi elettronici installati lungo le strade hanno individuato la targa della sua utilitaria scura anche sul Garda e a Modena. Quindi, in serata, è rientrato in provincia di Vicenza.
La stessa pistola. Intercettato a Creazzo, una volta a Vicenza Ovest, in prossimità del casello dell’autostrada A4, vistosi braccato dalle pattuglie, ha fermato la corsae ha rivolto verso se stesso la pistola usata per freddare la ventunenne. Una semiautomatica Glock. Il bossolo 9x21 trovato nella camera da letto corrisponde a quello rinvenuto nell’abitacolo. In ogni caso erano due le armi che deteneva Turrin, una personale, che ha usato mercoledì e che ora si trova sotto sequestro, e una seconda per lavoro, una Beretta. I sigilli sono scattati anche per l’appartamento in cui si è consumata la tragedia, quello che i militari della scientifica hanno passato al setaccio. Nelle stanze era tutto in ordine. E anche l’assenza di segni evidenti di colluttazione sul corpo della giovane fa ipotizzare che tra i due ci sia stata solo una discussione, dai toni accesi, come udito anche dai vicini.
«Non ti preoccupare, è solo un amico». La certezza che la vittima non sia stata anche aggredita si avrà però solo con l’autopsia già disposta dalla procura che ha aperto un’inchiesta per fare luce sul delitto. Il compagno della vittima, Marco Ghiotto, tornitore di 28 anni, non riesce a darsi pace. Lui che l’assassino lo aveva incontrato solo pochi mesi prima, all’esterno di casa, non riesce a capacitarsi di quanto accaduto. Allora la mamma di sua figlia, conosciuta alcuni anni fa sui social, gli aveva detto: «Non ti preoccupare, è solo un amico».
Filippo Stella per "il Messaggero" il 16 settembre 2021. Ha aperto lei stessa la porta al suo assassino, ignara che quella persona potesse essere capace di tanta violenza. E invece l'omicida le ha puntato contro una pistola, sparandole in pieno volto, per poi darsi alla fuga e suicidarsi. Un altro femminicidio, il secondo in pochi giorni, in provincia di Vicenza. Stavolta a morire è una ragazza di appena 21 anni: Alessandra Zorzin viveva a Valdimolino, una frazione di Montecchio Maggiore. Era una giovane mamma, lascia una bimba di appena 2 anni e il marito Marco Ghiotto. A ucciderla è stato Marco Turrin, quarantenne di Vigodarzere (Padova), che lavorava come guardia giurata.
UNA VITA FELICE Era una vita felice, quella di Alessandra, un'esistenza che procedeva ogni giorno al fianco di quella bambina che adorava. A testimoniarlo una foto pubblicata sul suo profilo Facebook solo pochi giorni fa: un selfie che la ritrae in auto, con la figlioletta seduta sul seggiolino. Un quadro familiare apparentemente sereno, sul quale ieri, alle 13, si è abbattuta la tragedia. Con analogie inquietanti con la morte avvenuta cinque giorni fa a Noventa Vicentina di Rita Amenze, massacrata a colpi di pistola dal marito. Perché anche in questo caso l'assassino dopo aver sparato è fuggito, dando il via a una caccia all'uomo durata fino al tramonto quando Marco Turrin è stato trovato in fin di vita nella sua auto a Ponte Molino, alle porte di Vicenza. Si è sparato con la stessa arma con la quale ha ucciso Alessandra, la sua pistola di servizio. Ricoverato in ospedale, è morto un'ora dopo.
I VICINI Valdimolino è un angolo di verde sulle colline sopra Montecchio Maggiore, affacciate sul colle dove Shakespeare ha localizzato il castello dei Montecchi e la vicenda di Giulietta e Romeo. Ma qui, oggi, non c'è nulla di romantico. È l'ora di pranzo quando di fronte all'abitazione della famiglia arriva una Lancia Y dalla quale scende un uomo che suona il campanello. I vicini hanno visto più volte quella persona entrare in casa, forse per un'amicizia - a quanto pare recente - che probabilmente lui credeva potesse diventare qualcosa di più. E sono proprio gli abitanti della contrada a fornire i primi dettagli dell'accaduto. Ad un certo punto, tra Marco e Alessandra scoppia un litigio, nell'aria riecheggiano delle urla, poi un rumore secco, improvviso, che sembra uno sparo. Quindi, il silenzio.
L'ALLARME I vicini si insospettiscono e mentre l'uomo risale sulla sua auto per allontanarsi, si avvicinano all'abitazione, cercano di capire cosa sia successo, suonano il campanello. Dall'interno, però, nessuna risposta. Alessandra è già a terra, probabilmente senza vita: un unico colpo l'ha raggiunta in pieno volto. A questo punto la preoccupazione e l'apprensione si trasformano in allarme, i vicini chiamano il marito della donna, che sta pranzando dai genitori; la figlioletta è alla scuola materna. All'arrivo del marito, la scoperta: Alessandra è distesa sul letto, ormai priva di vita. Nel frattempo, l'omicida inizia la sua fuga in auto, macinando chilometri al volante, lontano da quel luogo in cui ha compiuto l'inimmaginabile. Ma i dispositivi di controllo elettronico stradali rilevano la targa dapprima a Peschiera, nella zona del lago di Garda, e poi nel Bolognese.
LE RICERCHE I carabinieri gli danno una caccia serrata, con le cautele del caso dal momento che si tratta di una persona armata e in evidente stato confusionale. Può essere pericoloso, e fino a tarda sera non vengono diffuse le generalità e le immagini del fuggiasco omicida. Durante la sua fuga avrebbe potuto incrociare casualmente chiunque e magari provocare altri drammi. D'altra parte Turrin non è nuovo a episodi che hanno avuto a che fare con l'uso delle armi. Quindici anni fa, alla periferia di Padova, una sera si era appartato in auto con la fidanzata dell'epoca e per motivi mai chiariti dalla sua arma di servizio era partito un colpo che gli aveva trapassato la coscia. Un segnale, forse, di una pericolosa confidenza eccessiva con le armi, che pure ha continuato a detenere in virtù del suo lavoro di guardia giurata. Uno strumento di morte che la follia lo ha spinto a usare contro una giovane mamma di 21 anni.
Da "ilmessaggero.it" il 17 settembre 2021. Sono le 21.57 di una serata che stravolge per sempre la vita della famiglia Turrin. Al civico 18 di via don Lorenzo Milani di Vigodarzere (Padova) il parcheggio buio viene illuminato all’improvviso da un lampeggiante blu. È la macchina da cui scendono tre carabinieri per comunicare al signor Adriano quello che un padre non dovrebbe e vorrebbe mai sentirsi dire. La morte del figlio. Marco Turrin, guardia giurata di 39 anni, è morto suicida dopo aver ammazzato con un colpo di pistola la mamma ventunenne Alessandra Zorzin, 21 anni, madre di una bimba di 2, a Montecchio Maggiore (Vicenza). Tre militari scendono, mascherina e sguardo cupo, per poi suonare il campanello. «Carabinieri, dovremmo entrare». Ad attenderli c’è un anziano padre in lacrime, sconvolto, che ha già capito tutto. A lui devono dare formalmente la notizia del decesso di Marco e a lui dovranno chiedere cosa può essere scattato nella testa del figlio. Saranno trentacinque minuti lunghissimi, mentre nel cortile del condominio un gruppetto di vicini si raduna senza bisogno di parlare. Testa bassa, cagnolini al guinzaglio e tante domande senza risposta. «Siamo distrutti e chiedo perdono anche all'altra famiglia - ha detto Adriano Turrin - Mio figlio era un ragazzo tranquillo, lavorava alla Civis e al mattino era uscito come sempre di casa lavato e profumato. Non aveva dato segni di nervosismo. Frequentava questa ragazza da diversi mesi, almeno sei o sette. Lo sapevamo e non era un mistero. Non era venuta qui a casa a Vigodarzere ma sapevamo bene dell'esistenza di questa ragazza e quando ho letto su internet della tragedia ho fatto subito il collegamento con mio figlio». Il silenzio si è impadronito del quartiere di Vigodarzere già alle otto di sera, quando la notizia della tragedia di Montecchio Maggiore rimbalza ormai su tutti i siti web e i telegiornali. Nel grande condominio di via don Milani, dove Turrin abita con il papà Adriano e la sorella, i vicini non si danno pace ed escono di casa per condividere lo sgomento. Al citofono si fa forza di rispondere un’amica della famiglia Turrin. È lei a proteggere un padre stravolto dal dolore. «Non è il momento, non è il momento» ripete senza voler aggiungere altro davanti a un fatto così terribile e improvviso. Poche parole, ma colme di angoscia, le tira fuori invece un uomo di mezza età che alle dieci di sera porta a spasso il cane. «Marco l’ho visto crescere fin da quando era bambino, è sempre stato una persona gentile e tranquilla. Era tornato a vivere qui dopo un po’ di anni fuori, è un dolore enorme anche per noi». «Sapevo che Marco era una guardia giurata - racconta un ex carabiniere, abbracciando la compagna per tranquillizzarla - Amava il suo lavoro e con noi era sempre tranquillo e gentile. Vedo sempre anche suo padre con il cagnolino, non ci sono davvero parole». Verso le 20.30 Marco Turrin si è tolto la vita, sparandosi con la pistola che aveva utilizzato per commettere il delitto. Sull’uomo si era da subito concentrata l’attenzione dei carabinieri, che sin dalle prime battute avevano acquisito nei suoi confronti numerosi indizi. Immediatamente erano scattate le ricerche del sospettato, che nel frattempo aveva fatto perdere le sue tracce. Nel corso della giornata era stato più volte individuato il suo passaggio in auto in provincia di Vicenza, ma anche nel Veronese e in Emilia Romagna, senza però che le numerose pattuglie riuscissero ad intercettarlo. In serata, l’auto è stata rilevata nella zona di Creazzo, nel Vicentino. Di lì a breve la vettura è stata intercettata nella zona di Vicenza Ovest da carabinieri e polizia. A quel punto Turrin è crollato, vedendo e pattuglie, sentendosi ormai in trappola, si è sparato. Immediatamente soccorso, nonostante i tentativi di rianimazione del personale sanitario, è morto poco dopo. Questa è la cronaca, ora restano tante domande. Già nella notte i carabinieri hanno iniziato a cercare le risposte.
Due femminicidi in poche ore, 42 dall'inizio del 2021. Il dramma di Sonia Lattari, uccisa a coltellate dal marito: “Ieri sera non è tornata a casa”. Giovanni Pisano su Il Riformista il 13 Settembre 2021. Non era rientrata a casa ieri sera. E’ bastato questo dettaglio a scatenare la furia omicida di Giuseppe Servidio, il 52enne che nel primo pomeriggio di lunedì 13 settembre ha ucciso a coltellate la moglie, Sonia Lattari, 42 anni, nell’abitazione dove vivevano a Fagnano Castello, in provincia di Cosenza. L’ennesimo femminicidio, il secondo di oggi dopo quello di Brescia, il 42esimo dall’inizio dell’anno. Una lite finita nel sangue con il 52enne camionista che ha impugnato un coltello da cucina colpendo ripetutamente la moglie, in particolare all’altezza dell’addome. La donna ha provato a difendersi disperatamente ma non c’è stato nulla da fare. Resosi conto della gravità della situazione, ha telefonato i carabinieri avvertendoli di quanto accaduto. Sul posto oltra ai militari dell’Arma, sono giunti anche i sanitari del 118 che però hanno solo potuto costatare il decesso della donna. L’uomo, che ha riportato delle ferite superficiali agli arti superiori che si è procurato nel corso della colluttazione con la vittima, è in stato di fermo nella caserma dei carabinieri di San Marco Argentano in attesa dell’interrogatorio da parte del magistrato di turno della Procura di Cosenza. Agli investigatori ha spiegato l’origine del litigio: “Mia moglie ieri sera non è tornata a casa“. E’ bastato questo a scatenare la gelosia e la violenza culminata con l’ennesimo uxoricidio. Servidio, chiamato “il corsicano” perché originario di Ajaccio, in Corsica, era ritornato nel piccolo comune calabrese dopo diversi mesi trascorsi all’estero per lavoro. Secondo quanto accertato, al settore Servizi sociali del Comune di Fagnano Castello non erano mai pervenute segnalazioni riguardo liti tra Servidio e la moglie. La coppia ha due figli, di 20 e 16 anni. Non è chiaro se i due fossero presenti in casa al momento dell’omicidio. Nel Bresciano, a Agnosine, il primo femminicidio della giornata. La vittima è Giuseppina Di Luca, 46 anni, madre di due figli grandi, uccisa dall’ex marito Paolo Vecchia, 52 anni, un mese dopo la separazione. Una violenza efferata quella che l’uomo ha scatenato contro l’ex compagna: il 52enne l’avrebbe aspettata sulle scale della palazzina, dove si era trasferita, e qui l’avrebbe accoltellata con numerosi colpi per poi costituirsi alla stazione dei carabinieri di Sabbio Chiese. Dopo l’omicidio, Vecchia è stato arrestato in quasi flagranza per omicidio: sono state inoltre recuperate le armi verosimilmente usate per commettere il delitto, un coltello a serramanico e un pugnale.
Giovanni Pisano. Napoletano doc (ma con origini australiane e sannnite), sono un aspirante giornalista: mi occupo principalmente di cronaca, sport e salute.
Orrore a Cosenza: massacrata dal marito. Samuele Finetti il 13 Settembre 2021 su Il Giornale. Sonia Lattari, 43 anni, è stata accoltellata a morte al termine di una lite. La coppia ha due figli. È stato l'omicida a chiamare i soccorsi. Un altro femminicidio, il secondo in poche ore, il sesto in una settimana. L'ultima vittima è Sonia Lattari, 43enne cosentina, uccisa a coltellate dal marito Giuseppe Servidio, 52 anni, nel pomeriggio. Anche in questo caso, è un coltello l'arma con cui è stato consumato il delitto. La coppia, che ha due figli già maggiorenni, viveva in un appartamento nel centro di Fagnano Castello. Pare che i rapporti tra i due fossero tesi da tempo: dopo pranzo è scoppiata l'ennesima lite, forse per motivi di gelosia, e Servidio si è scagliato sulla moglie impugnando un coltello e colpendola all'addome più volte. L'intervento dell'elisoccorso è stato inutile. A chiamare i soccorsi è stato lo stesso omicida, che ora si trova in stato di fermo presso la caserma locale dei Carabinieri. La coppia era rientrata qualche anno fa in Italia dopo aver vissuto per qualche tempo in Corsica per ragioni di lavoro.
Samuele Finetti. Nato in Brianza nel 1995. Due grandi passioni: la Storia, specie quella dell’Italia contemporanea, che ho coltivato all’Università Statale di Milano, dove mi sono laureato con una tesi sulla strage di piazza Fontana. E poi il giornalismo, con una frase sempre in mente: «Voglio poter fare,
Il delitto nel primo pomeriggio a Torre Annunziata. Uccisa in casa a colpi di pistola, era una badante: fermato un uomo per il femminicidio. Antonio Lamorte su Il Riformista il 15 Dicembre 2021. Femminicidio a Torre Annunziata, in provincia di Napoli, nel primo pomeriggio. Un uomo ha ucciso a colpi d’arma da fuoco una donna. Ancora da chiarire e da accertare la dinamica e il movente dell’accaduto. Sul caso indagano i Carabinieri della sezione radiomobile della compagnia locale.
Il delitto si è consumato presso un’abitazione in via Gambardella. I militari hanno fatto sapere che un 81enne del posto, per motivi ancora in corso di accertamento, avrebbe esploso dei colpi d’arma da fuoco nei confronti di una donna. La vittima ha 67 anni e ha origini ucraine.
A quanto risulta finora la donna era la badante della sorella dell81enne. È morta sul colpo, non ci sarebbe stato niente da fare per lei. L’uomo stato messo in stato di fermo. Non ha opposto alcuna resistenza nei confronti dei militari intervenuti in via Gambardella. Non è stato specificato se l’arma fosse legalmente detenuta o meno. Sul posto è intervenuto il pubblico ministero di turno della Procura di Torre Annunziata.
Solo sabato scorso, a Misterbianco in provincia di Catania, è stata uccisa con un colpo di pistola la 27enne Giovanna “Genny” Cantarero. Una sorta di esecuzione: la donna è stata vittima di un agguato in strada all’uscita dal panificio dove lavorava. Il 30enne sospettato del delitto è stato trovato morto in un casolare abbandonato del rione Campo di Mare a Catania. Secondo le prime ricostruzioni l’uomo aveva avuto una relazione definita burrascosa con la vittima e si era reso irreperibile la notte del delitto.
A Quartu Sant’Elena invece è stata uccisa due giorni fa a coltellate nella sua abitazione, nella città metropolitana di Cagliari, la 50enne Mihaela Kleics, di origini rumene. Per quest’altro delitto è stato fermato un 56enne che sarebbe stato il compagno della donna massacrata in casa. L’uomo avrebbe tentato il suicidio prima di essere rintracciato dai Carabinieri nelle campagne di Castiadas.
“Anche il 2021 è stato un anno di incessanti violenze contro le donne. Un femminicidio ogni tre giorni è aberrante e inaccettabile, tanto più che le donne subiscono violenza specialmente tra le mura di casa, là dove dovrebbero sentirsi più sicure”, aveva dichiarato proprio oggi la Presidente del Senato, Elisabetta Casellati, incontrando i giornalisti parlamentari per gli auguri di fine anno.
“Certamente è un problema da affrontare sul piano economico, e su questo terreno l’entrata in vigore della legge per la parità di salario uomo-donna (a parità di titoli e mansioni) può aiutare a ribaltare una condizione di diseguaglianza non più sostenibile. Ma c’è soprattutto un tema culturale che non può essere sottovalutato. Lo dimostra in maniera plastica l’incresciosa molestia subita proprio da una vostra collega durante una diretta allo stadio lo scorso 27 novembre – il caso era quello di Greta Beccaglia, alla fine della partita Empoli-Fiorentina – Un gesto tanto più grave perché passato nell’indifferenza collettiva dei presenti che testimonia quanto ancora radicata sia la concezione della ‘donna oggetto’. E che ci offende doppiamente, come professioniste e come donne”.
Antonio Lamorte. Giornalista professionista. Ha frequentato studiato e si è laureato in lingue. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Ha collaborato con l’agenzia di stampa AdnKronos. Ha scritto di sport, cultura, spettacoli.
Riccardo Lo Verso per corriere.it il 14 dicembre 2021. È stato trovato morto in un casolare abbandonato del Villaggio Campo di mare, a Catania, l’uomo sospettato di avere assassinato Giovanna «Jenny» Cantarero. Si tratta di Sebastiano Spampinato, 30 anni, sposato. L’ipotesi privilegiata è che si sia suicidato con un’arma da fuoco. I carabinieri lo braccavano dalla sera di sabato scorso, quando la ventisettenne è stata uccisa a colpi di pistola. È sempre stato l’unico sospettato per via di una relazione tra i due definita “burrascosa”. L’assassino ha atteso che Jenny uscisse intorno alle 21,30 dal panificio di Lineri, frazione di Misterbianco, dove la vittima lavorava. Ha fatto ripetutamente fuoco con una pistola da distanza ravvicinata. Alcuni colpi hanno raggiunto la ragazza al volto, sfigurandolo. La vittima era in compagnia di un’amica e collega. Aspettava l’arrivo della madre per un passaggio in macchina. Sull’asfalto è rimasto il corpo della donna e il sacchetto con il pane. Jenny stava tornado a casa dove ad attenderla c’era una figlia di 4 anni.
Ipotesi suicidio
Il padre della bimba, con cui la relazione era finita da tempo, non è l’uomo trovato morto martedì mattina. I carabinieri del Comando provinciale sono certi che Spampinato fino a lunedì pomeriggio fosse vivo. Era braccato, ormai sarebbe stata questione di ore e lo avrebbero arrestato. Invece l’uomo avrebbe scelto di farla finita. Sul posto stanno lavorando il medico legale e i carabinieri della Scientifica. Ma è l’ipotesi del suicidio la più convincente.
Il precedente
L’epilogo della vicenda è un ulteriore tassello che rende la storia di Jenny molto simile a quella di Vanessa Zappalà, assassinata una sera di agosto sul lungomare di Aci Trezza dall’ex fidanzato. Le due ragazze avevano la stessa età, entrambe lavoravano in un panificio ed entrambe sono state vittime della barbarie degli uomini. Tony Sciuto, così si chiamava l’assassino di Vanessa, decise di impiccarsi in un casolare di campagna. Spampinato quasi certamente ha fatto la stessa cosa, usando la pistola con cui ha ucciso Giovanna, vittima dell’ennesimo femminicidio.
Donna uccisa a coltellate nel letto: il compagno fugge ma viene fermato. Redazione il 14 Dicembre 2021 su Il Giornale. L'uomo alla vista dei militari ha cercato di togliersi la vita. Una donna romena di cinquant'anni è stata uccisa ieri nella sua abitazione, al numero 150 di via della Musica, a Quartu Sant'Elena, città metropolitana di Cagliari. E poco dopo è stato fermato il compagno, che alla vista dei militari avrebbe tentato il suicidio infliggendosi delle coltellate. L'uomo è stato trasferito in ospedale e nei suoi confronti nelle prossime ore potrebbe scattare il fermo di polizia giudiziaria per l'omicidio della romena. Il cadavere di Mihaela Kleics è stato scoperto intorno alle 13 dopo che la sorella da tre giorni non riusciva a mettersi in contatto con lei. Aveva chiesto aiuto ai carabinieri, che sono intervenuti insieme ai vigili del fuoco e hanno sfondato la porta, trovando il cadavere nella sua camera. La vittima era vestita e il corpo giaceva sul letto, raggiunto da diverse coltellate. Sul posto, insieme ai carabinieri di Quartu, gli specialisti del Ris e il pm di turno Nicoletta Mari. Subito è scattata la caccia al compagno, un sardo d 50 anni, che poche ore dopo è stato rintracciato. Già nelle scorse settimane le forze dell'ordine erano intervenute in quella abitazione per sedare diverse liti. A chiamarli i vicini di casa allarmati per le urla. «Li abbiamo sentiti litigare - raccontano -. Lui urlava: ti ammazzo, ti ammazzo, mentre lei lo invitava ad andarsene». Anche sabato scorso erano state chiamate le forze dell'ordine, mentre in passato i medici avevano medicato la donna, picchiata al termine dell'ennesima discussione.
Trovato morto in un casolare il presunto assassino di Jenny. Redazione il 15 Dicembre 2021 su Il Giornale. Suicida Sebastiano Spampinato, sposato e padre di due figli. Con la vittima "una burrascosa relazione". I carabinieri lo braccavano da cinque giorni, da quando, venerdì scorso, aveva ammazzato a colpi di pistola Giovanna Cantarero: prima di spararle, per farla girare, l'aveva chiamato con il suo diminutivo: «Jenny». Lo hanno trovato nel cortile di un casolare abbandonato del villaggio Campo di Mare, a Vaccarizzo, alla periferia di Catania, suicida con la stessa arma con cui ha tolto la vita alla ragazza con la quale aveva, nonostante fosse sposato, quella che viene definita da amici e conoscenti «una relazione burrascosa». Sebastiano Spampinato aveva aspettato che Jenny uscisse, in compagnia di un'amica e collega, dal panificio di Lineri, frazione di Misterbianco, dove lavorava, il volto nascosto da un casco integrale, per spararle a bruciapelo, tre colpi, due dei quali l'avevano sfigurata. Lei stava aspettando l'auto della madre per tornare a casa, ad aspettarla invece c'era Sebastiano. Jenny aveva 27 anni e una figlia di 4.
Sebastiano Spampinato, 30 anni, lavorava in un centro scommesse di Gravina di Catania, ultras del Catania calcio con qualche frequentazione con ambienti criminali dei quartieri catanesi, ma dicono più un «vanto» che un collegamento «serio» anche se pare avesse qualche piccolo precedente per truffa. Era figlio di Lorenzo Spampinato, assassinato a Torino una ventina di anni, e aveva una lontana parentela con Santo Mazzei, 'u carcagnusu, boss dei corleonesi. Come detto, era sposato e padre di due figli di 11 e 7 anni. Qualche tempo fa aveva avuto una relazione con Jenny, furiosa e violenta.
Dopo il delitto era fuggito in sella alla sua moto, ed era stato inquadrato da una telecamera un pò distante dal bar panificio dinanzi al quale è avvenuto l'omicidio, filmato visto e rivisto decine di volte dai carabinieri del comando provinciale. E da quel momento sono iniziate lunghissime giornate di ricerche e perquisizioni nei luoghi che il giovane poteva avere utilizzato per nascondersi. Fino al tragico ritrovamento di ieri: è stato un uomo di passaggio che stava andando a raccogliete telline a notare dinanzi l'uscio della casa il corpo esanime del giovane. Invece di consegnarsi alle forze dell'ordine, l'uomo ha deciso di farla finita. Nel casolare abbandonato del villaggio Campo di mare, a Vaccarizzo, dov'è stato trovato il suo cadavere oltre al medico legale, per tutta la mattina hanno lavorato anche i carabinieri della Scientifica che hanno effettuato i rilievi del caso. Non si sa ancora perchè Spampinato si trovasse nel casolare, che non apparteneva alla sua famiglia. I proprietari non sapevano che l'uomo si stesse nascondendo lì. La Procura di Catania ha disposto l'autopsia sul corpo dell'uomo, che fornirà elementi utili a determinarne con certezza le cause della morte.
Il caso di Jenny Cantarero somiglia moltissimo per le modalità, l'omicidio-suicidio, e per la zona in cui si è consumata, la vicenda di Vanessa Zappalà, 26 anni, uccisa il 22 agosto scorso ad Aci Trezza, sempre provincia di Catania dall'ex fidanzato, Antonino Sciuto, 38 anni, che fu trovato il giorno dopo impiccato in un casolare nelle campagne di Trecastagni. Un tragico spartito che conosce solo repliche.
La sorella non la sentiva da giorni. Orrore in casa, donna uccisa a coltellate e trovata dopo giorni: è caccia al compagno. Redazione su Il Riformista il 13 Dicembre 2021. Un altro femminicidio si aggiunge al triste dato di quest’anno, che ha registrato oltre 105 vittime. Una donna di 50 anni di origine romena è stata uccisa con numerose coltellate nella sua abitazione al terzo piano di una palazzina a Quartu Sant’Elena, in provincia di Cagliari. Non è ancora chiaro a quando risale il delitto. La donna è stata trovata stesa e vestita sul letto nella sua camera da letto. Gli inquirenti non hanno notato alcun segno di effrazione sulla porta di ingresso né hanno trovato l’appartamento in disordine. I militari, assieme ai vigili del fuoco, hanno dovuto infatti forzare la porta d’ingresso per entrare nella casa. Questa mattina, il corpo della donna è stato trovato in un lago di sangue sono stati dai carabinieri della compagnia di Quartu, dopo una segnalazione della sorella della donna che dalla Romania non riusciva più a contattarla. “Ci ha chiamato la sorella che non riusciva a contattarla da tre giorni – ha raccontato il capitano dei carabinieri della compagnia di Quartu, Michele Cerri – abbiamo aperto la porta con i vigili del fuoco e trovato il cadavere”. Gli inquirenti ora sono alla ricerca di un uomo, un sardo, con cui la donna viveva da diversi mesi. Come raccontato ai carabinieri dagli inquilini dello stabile, tra i due erano frequenti discussioni e litigi, tanto che in alcuni casi sono state chiamate le forze dell’ordine. I militari sono ora al lavoro per ricostruire le ultime ore di vita della donna.
Stefano Montefiori per il "Corriere della Sera" il 14 dicembre 2021. Il proprietario e fondatore dell'«oasi di serenità» di Saint Adrien è sotto processo, accusato di omicidio. La sentenza è attesa per venerdì 17 dicembre ma in ogni caso il sogno di tutta una vita del 72enne Daniel Malgouyres è ormai in frantumi, e un brutto colpo lo prende anche quella idea di una campagna francese sana, incontaminata, rifugio idilliaco lontano dalle cattiverie e dagli arrivismi parigini. La sera del 5 ottobre 2017 i poliziotti accorsi nella magnifica proprietà di quattro ettari vicino a Montpellier tra palme, pini e mandorli, meta di migliaia di turisti e vincitrice nel 2013 del titolo di «giardino preferito dei francesi», si sono trovati davanti questa scena: Daniel Malgouyres a torso nudo, sporco di sangue dalla testa ai piedi; sua moglie Françoise in stato di choc dopo essere stata presa a pugni da uno dei due banditi entrati nella proprietà, poi fuggito. Al primo piano, il cadavere dell'altro bandito, ucciso con un colpo di fucile da caccia sparato a meno di 10 centimetri da Daniel Malgouyres, che invocava la legittima difesa. Il giorno seguente gli investigatori ritrovano il passamontagna del rapinatore scappato, Richard Bruno, che grazie alle tracce di Dna verrà arrestato 12 giorni più tardi a Perpignan. L'uomo dà una nuova versione di quella serata drammatica: il colpo è stato architettato dal padrone di casa Daniel Malgouyres, che aveva assoldato i due criminali per fare paura alla moglie (tradita, minacciava il divorzio) e allo stesso tempo mettere le mani su 100 mila euro in contanti nascosti nella cassaforte di cui solo lei conosceva la combinazione. Questo scenario alla «Fargo» di Montpellier non ha retto, secondo l'accusa, perché Malgouyres ha perso la testa e ha finito per sparare al bandito che lui stesso aveva chiamato in casa. Nelle udienze al tribunale di Montpellier che stanno appassionando la Francia lui si dice innocente, ma la moglie Françoise lo accusa: i rapinatori quella sera stranamente picchiavano solo lei, lui non è stato toccato. Daniel aveva una relazione con Yolanda, la guida venezuelana, ma era terrorizzato da un possibile divorzio che gli sarebbe costato almeno metà del giardino di Saint Adrien. Un luogo incantevole, progettato e curato per decenni da Daniel con l'aiuto della moglie, poi diventata un ostacolo. I tanti francesi che hanno visitato il giardino più volte ripreso dalle tv non lo sapevano, ma hanno calpestato centinaia di migliaia di euro in contanti. Nascosti da Daniel Malgouyres in vasi sepolti sotto le palme e le siepi mediterranee, lontano dalle pretese della moglie e del fisco.
Il progetto sventato dai carabinieri. Assolda sicario per uccidere ex moglie e suocera: 30mila euro per il piano criminale. Redazione su Il Riformista il 13 Dicembre 2021. Era pronto a spendere 30mila euro, 10mila come anticipo e 20mila a ‘giochi fatti’, per assoldare un sicario per uccidere ex moglie e suocera. Era questo il piano diabolico, da film thriller, ideato da un 50enne italiano di origini emiliane, ma residente da tempo in val di Magra, in provincia di Massa e Carrara. Secondo quanto emerso dalle indagini condotte dai carabinieri di Sarzana (La Spezia) e coordinate dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di La Spezia, il 50enne aveva progettato di eliminare moglie e suocera in un colpo solo. Un piano che probabilmente era stato pensato tempo addietro ma che aveva ricevuto uno ‘sprint’ recente e rischiava di trasformarsi in realtà. Nel corso delle indagini i carabinieri di Sarzana hanno trovato riscontro ai propositi dell’uomo, che attraverso una ricostruzione dettagliata di ogni movimento delle due donne ne aveva pianificato la tragica fine, e ne hanno documentato tutte le azioni preparatorie poste in essere. I militari sono così riusciti a bloccare il piano, ormai in fase avanzata, di fare fuori le due donne con un “lavoretto pulito”. Il 50ennne impiegato aziendale è stato fermato nel tardo pomeriggio di domenica 12 dicembre, arrestato mentre stava compiendo l’ultima azione che avrebbe segnato la fine delle due ignare vittime: il 50enne della val di Magra avrebbe dovuto infatti incontrare il sicario per consegnargli la prima tranche del denaro promesso ma invece ha trovato i militari dell’Arma. L’uomo è stato quindi l’accompagnamento presso la casa circondariale della Spezia, con l’autorità giudiziaria che ne ha disposto l’arresto con l’accusa di duplice tentato omicidio. Quanto al movente, al momento la pista più battuta sarebbe quella di motivi economici dietro il doppio tentato omicidio.
Femminicidi, uccide la moglie a coltellate: "La maltrattava, purtroppo lei non lo aveva voluto denunciare". Alessia Candito su La Repubblica il 13 settembre 2021. L'assassinio a Fagnano Castello, nel Cosentino. Il procuratore Spagnulo: "Un appello alle donne, andate dai carabinieri quando per la prima volta il partner diventa violento". Una decina di coltellate. È morta così Sonia Lattari, 43enne di Fagnano Castello e madre di due figli, massacrata nel pomeriggio dal marito 52enne, Giuseppe Servidio. Poco dopo pranzo, i vicini hanno sentito le urla, gli insulti, le disperate richieste d’aiuto della donna. Succedeva spesso. Da tempo fra i due coniugi i rapporti erano tesi e Sonia Lattari subiva i maltrattamenti del marito. Ma oggi pomeriggio, quando hanno sentito le grida disperate di Teresa, la figlia ventenne della coppia, i vicini hanno subito capito che si trattava di qualcosa di grave, probabilmente irreparabile, e subito hanno chiamato i soccorsi. Rientrata a casa, la ragazza ha trovato la madre ferita a morte, in un lago di sangue. Terrorizzata ha urlato per chiedere aiuto, i carabinieri sono arrivati subito, ma non hanno potuto far altro che chiamare l’Elisoccorso, atterrato quando per Sonia Lattari non c’era più nulla da fare. Vicino a lei il coltello da cucina con cui è stata massacrata, di Giuseppe Servidio nessuna traccia. Lo hanno poco dopo trovato i carabinieri, non lontano da casa, con i vestiti ancora sporchi di sangue. Fermato e portato in caserma, è stato immediatamente sottoposto a interrogatorio dal pm di Cosenza. Secondo quanto filtra, con il magistrato ha tentato di giustificarsi. Avrebbe perso – ha sostenuto – il lume della ragione nel corso di una discussione iniziata perché la donna era rientrata tardi la sera prima e la cosa non gli era andata giù. C'era un coltello da cucina lì e lo ha afferrato. Una versione che non sembra aver convinto gli inquirenti. “La violenza è la risposta brutale a quella che certi individui percepiscono come perdita di legittimazione – dice il procuratore capo, Mario Spagnuolo – Già in passato avevamo ricevuto una segnalazione e i carabinieri erano intervenuti per un episodio di maltrattamenti ma la vittima aveva deciso di non denunciare. Per questo voglio fare un appello a tutte le donne. Quando il partner diventa violento ha già passato il punto di non ritorno. Bisogna tagliare e denunciare”.
Giuseppina uccisa dall'ex. E Sonia colpita a morte dopo una lite con il marito. Antonio Borrelli il 14 Settembre 2021 su Il Giornale. I femminicidi nel Bresciano e nel Cosentino. Dal 2020 boom di chiamate al numero anti abusi. In un'altra giornata drammatica la geografia dei femminicidi tocca le punte estreme dell'Italia, con due violenze mortali nel Bresciano e nel Cosentino. Il lunedì dell'orrore comincia all'alba: ad Agnosine, piccolo paese della Valsabbia, sono circa le 7 quando Giuseppina Di Luca, operaia di 46 anni, viene trafitta a morte sulle scale di casa dall'ex marito 52enne, Paolo Vecchia. La violenza si consuma nel centro nevralgico del paesino bresciano di 1.600 anime: l'abitazione si trova a due passi dal municipio e a cento metri dalla parrocchia di San Vigilio. Sotto la palazzina c'è un bar, un tabacchi, un'edicola e vari servizi. Giuseppina si era trasferita lì da poco, insieme alla figlia minore di 21 anni, per cominciare una nuova vita nel paese in cui lavorava. Dall'inizio di agosto la coppia - sposata da 26 anni e con due figlie - non viveva più insieme e si stava separando ufficialmente. Un mese: tanto è trascorso dalla separazione all'efferato omicidio della donna.
Secondo le testimonianze raccolte, Paolo Vecchia avrebbe atteso Giuseppina fuori dall'abitazione dove si era trasferita per poi colpirla sulle scale con una decina di coltellate. I fendenti sono letali: la donna muore sul colpo. Dopo il femminicidio, il 52enne si costituisce nella caserma dei carabinieri del vicino paese di residenza, Sabbio Chiese, dicendo: «Ho ucciso mia moglie». Poi indica agli inquirenti il coltello e il pugnale usati per uccidere la donna. Eppure, nel primo interrogatorio, Vecchia si avvale della facoltà di non rispondere. In paese da quasi 24 ore non si parla d'altro che di quella violenza inaudita. «Siamo tutti sconvolti - dice il sindaco di Agnosine Giorgio Bontempi, tra i primi ad accorrere al terzo piano della palazzina di Giuseppina -, fatichiamo a trovare una spiegazione per l'accaduto. Non c'era stato alcun sentore, almeno fuori le mura domestiche. Ma la vicenda si è conclusa nel peggior modo possibile».
Ma mentre la notizia dell'assassinio ancora rimbalzava di casa in casa, poche ore dopo un'altra violenza scuote l'Italia intera. Questa volta arriva da Fagnano Castello, piccolo centro del Cosentino, ma la dinamica è terribilmente simile. Nel pomeriggio di ieri, dopo l'ennesimo litigio, il 52enne Giuseppe Servidio sferza una coltellata dopo l'altra contro la moglie, Sonia Lattari, di 43 anni. Ancora una volta, pare che i rapporti tra i due fossero tesi da tempo. Secondo le prime ricostruzioni, prima l'uomo inveisce contro la moglie cominciando poi a colpirla ripetutamente. Le urla disperate e l'allarme lanciato dai due figli portano carabinieri e soccorritori subito sul posto. Ma anche in questo caso è troppo tardi: Sonia era già morta. Servidio, che da qualche anno era rientrato con la moglie nel paese d'origine dalla Corsica, è stato arrestato. Con gli ultimi tre assassinii nell'ultima settimana, da inizio anno il numero dei femminicidi in Italia arriva a quota 50. Solo a livello statistico, l'ultimo report del Servizio analisi criminale, presso la Direzione centrale della Polizia criminale, rileva il calo dell'8% rispetto allo stesso periodo del 2020 (83 femminicidi), in cui complessivamente si è registrato il 5% di omicidi in meno. Ma nel 2020 le chiamate al 1522 (il numero di pubblica utilità contro la violenza e lo stalking) sono aumentate del 79,5% rispetto all'anno precedente, sia per telefono che via chat. E il boom si è registrato proprio a partire da fine marzo 2020, in corrispondenza del lockdown scattato per la pandemia. L'ennesimo indicatore di un fenomeno sempre più allarmante.
Antonio Borrelli. Giornalista professionista dal 2017, lavoro per l’emittente tv Teletutto e collaboro con il Giornale, il Mattino e Giornale di Brescia. Nel 2017 mi laureo in Scienze linguistiche, letterarie e della traduzione all’Università La Sapienza di Roma con una tesi sul Linguaggio della comunicazione pubblica nell’Early Modern England. Sempre con sguardo attento ai fenomeni sociali e mediatici e agli scenari internazionali, dal 2013 curo i seminari didattici del laboratorio di giornalismo internazionale della prof.ssa Marina Brancato all’Università di Napoli l’Orientale. Tra le principali inchieste curate ricordo la scoperta del pomodoro San Marzano venduto come Dop ma importato dalla Cina e lo scandalo degli inquilini abusivi alla Reggia di Caserta. Ho realizzato reportage negli Usa, in Turchia, in Marocco e in Europa. Per InsideOver sono invece stato inviato a Sarajevo e come giornalista embedded in Kosovo. Tra gli studi sui media ho scritto La rappresentazione mediatica della strage di Castel Volturno, mentre per la collana Fuori dal Coro del Giornale ho pubblicato Il fantasma di Putin e Benvenuti in Neoborbonia.
Da leggo.it l'11 settembre 2021. Fa a pezzi la madre e sparge i resti nella zona di Montagna Spaccata a Pianura, nel napoletano. Eduardo Chiarolanza ha subito confessato l'omicidio di Eleonora Di Vicino, 85 anni. Dopo il ritrovamento dei resti della donna le indagini si sono subito concentrate sul 59enne disoccupato che ha ammesso le sue colpe spiegando però di non aver pianificato nulla. Chiarolanza nella sua pagina Facebook spesso ironizzava sulle madri cattive. L'analisi condotta sui social mostra che parlava spesso inglese e interagiva con persone straniere. Nei suoi post c'erano spesso riferimenti a madri poco affettuose, ma si tratta di frasi sconnesse, post contraddittori, che secondo gli inquirenti non possono essere ricollegati in modo così lineare al suo gesto. L'uomo, che soffre di disturbi psichiatrici, poche ore dopo il delitto ha ammesso quello che ha fatto: ha spiegato di aver ucciso la madre, di aver fatto a pezzi il cadavere e di aver nascosto alcuni resti in un borsone nero abbandonato tra la vegetazione della zona nella periferia Nord Ovest di Napoli. All'appello mancano però ancora gli arti, il tronco e la testa. Accusato di omicidio volontario e occultamento di cadavere ha trascorso la prima notte in carcere, guardato a vista dalle guardie di Polizia Penitenziaria per evitare possibili atti di autolesionismo. Ora è in attesa dell'interrogatorio di garanzia davanti al giudice per le indagini preliminari.
La donna di 84 anni era scomparsa da qualche giorno. Fatta a pezzi e abbandonata in un borsone sul ciglio della strada, il figlio confessa: “L’ho uccisa io”. Elena Del Mastro su Il Riformista il 9 Settembre 2021. Prima l’allarme per la scomparsa Eleonora Di Vicino, 83enne, poi il macabro ritrovamento di una borsa grande per la spesa contenente resti umani. E infine l’agghiacciante confessione del figlio, 57enne con problemi psichici che ha fatto a pezzi la mamma. Il dramma si è consumato a Pianura, quartiere della periferia ovest di Napoli. Un ennesimo femminicidio, l’ennesimo dramma familiare. Per tutto il giorno i carabinieri hanno portato avanti le indagini che all’inizio sembravano per l’allontanamento da casa di un’80enne. Come ricostruito da Repubblica, qualche giorno fa una sua conoscente, dirigente scolastica del quartiere, ne aveva segnalato la scomparsa. Gli investigatori hanno iniziato a interrogare il figlio della donna che vive insieme a lei. All’inizio ha negato, poi nel corso della giornata, tartassato dai carabinieri e dal pm di turno della Procura di Napoli, il figlio avrebbe ammesso di aver ucciso la mamma a casa in contrada Pisani per poi farla a pezzi e abbandonarla sul ciglio della strada che collega Marano e Pianura. Il delitto sarebbe avvenuto nella casa in cui madre e figlio vivevano, nella zona di contrada Pisani. Dalle prime verifiche compiute dai militari del reparto scientifico sarebbero arrivate conferme: nell’appartamenti ci sarebbero tracce di sangue. Così sono partite le ricerche che hanno portato al macabro ritrovamento in via Marano Pianura. La Scientifica dell’Arma si è messa subito a lavoro e le ricerche sono proseguite anche nelle campagne circostanti. Si cercano ovunque anche altri resti della donna che era stata lasciata lì già da qualche giorno, gettata in una curva tra le sterpaglie. Animali randagi potrebbero aver sparpagliato ciò che resta della donna. L’ipotesi è che quel corpo possa essere stato smembrato in più borsoni. Il riserbo è stato massimo e per ore non era chiaro cosa contenessero quei borsoni. Ma quando sul posto è arrivato il furgone della mortuaria del Comune di Napoli, è stato evidente che dentro quel bustone della spesa c’era un corpo umano. Gli specialisti dell’Arma dovranno verificare se si tratta effettivamente del corpo dell’ottuagenaria scomparsa.
Elena Del Mastro. Laureata in Filosofia, classe 1990, è appassionata di politica e tecnologia. È innamorata di Napoli di cui cerca di raccontare le mille sfaccettature, raccontando le storie delle persone, cercando di rimanere distante dagli stereotipi.
Ancora tanti i punti oscuri della vicenda. Fatta a pezzi dal figlio e abbandonata in buste della spesa: l’orribile fine di Eleonora, trovati solo alcuni resti. Ciro Cuozzo su Il Riformista il 10 Settembre 2021. L’ha uccisa nella propria abitazione, ha fatto a pezzi il corpo, distribuendolo in grossi sacchi neri riposti in più borsoni della spesa prima di sbarazzarsene. Orrore a Pianura, periferia ovest di Napoli, dove Eduardo Chiarolanza, 59 anni, ha confessato il macabro omicidio dell’anziana madre, Eleonora Di Vicino, 85 anni, avvenuto nei giorni scorsi in una data ancora poco precisa. Solo ieri, al termine di una giornata convulsa e dalle informazioni – filtrate dalla procura di Napoli – praticamente nulle, i carabinieri hanno trovato parti del corpo della donna in un borsone lasciato sul ciglio della strada in via Marano-Pianura, all’altezza di una curva dove non ci sono abitazioni. Portate via da un furgone della mortuaria, nelle prossime ore la Scientifica confermerà o meno se si tratta del corpo della donna. L’allarme è scattato dopo le segnalazioni di alcuni conoscenti, tra cui una dirigente scolastica che conosceva sia la donna scomparsa che la sorella (professoressa in passato di religione). Preoccupati perché non riuscivano a mettersi in contatto da ore, o probabilmente da giorni (neanche questo è poco chiaro), hanno lanciato l’allarme. Secondo quanto ricostruito dalla procura, guidata da Giovanni Melillo, e dai carabinieri del Comando Provinciale di Napoli, Chiarolanza avrebbe ucciso la madre nei giorni scorsi nella loro abitazione, che si trova in una traversa di via Montagna Spaccata (zona Masseria), per poi disfarsi del corpo smembrandolo, riponendolo in più borsoni della spesa e abbandonandolo probabilmente in più punti. Interrogato dal magistrato di turno, Chiarolanza ha confessato l’omicidio ed è stato sottoposto a fermo in attesa della convalida da parte del Gip. Non è ancora chiaro, tuttavia, dove si trovano le altre parti del cadavere della povera donna. Non si esclude l’ipotesi che a infierire sul corpo dell’85enne possano essere stati animali randagi presenti nella zona. Secondo quanto raccontato da alcuni conoscenti, pare che l’uomo soffrisse di problemi di natura psichica (ma anche su questo non c’è alcuna conferma ufficiale). Era disoccupato da qualche anno e viveva con l’anziana madre. La borsa della spesa dove sono stati rinvenuti alcuni pezzi del corpo dell’85enne potrebbe dunque non essere l’unica abbandonata in strada. Ma al momento la Procura mantiene il massimo riserbo su una vicenda che ha scosso non poco l’intera comunità.
Ciro Cuozzo. Giornalista professionista, nato a Napoli il 28 luglio 1987, ho iniziato a scrivere di sport prima di passare, dal 2015, a occuparmi principalmente di cronaca. Laureato in Scienze della Comunicazione al Suor Orsola Benincasa, ho frequentato la scuola di giornalismo e, nel frattempo, collaborato con diverse testate. Dopo le esperienze a Sky Sport e Mediaset, sono passato a Retenews24 e poi a VocediNapoli.it. Dall'ottobre del 2019 collaboro con la redazione del Riformista.
Da leggo.it il 14 settembre 2021. Altre parti del corpo, tra cui la testa, di Eleonora Di Vicino, la donna di 85 anni nei giorni scorsi uccisa e fatta a pezzi nel quartiere Pianura a Napoli dal figlio Eduardo Chiarolanza sono state trovate dai carabinieri grazie a un drone. La zona del ritrovamento è la stessa ai confini tra il quartiere Pianura di Napoli e il limitrofo comune di Quarto in cui lo scorso 9 settembre venne rinvenuta una busta contenente resti che poi gli accertamenti medici confermarono essere umani. Chiarolanza venne sottoposto a fermo dai militari dell'arma e dai magistrati della Procura il giorno dopo il primo macabro ritrovamento e lo scorso weekend il gip ha convalidato il provvedimento disponendo il carcere per l'uomo. Le ricerche, da quel 9 settembre, in realtà non si sono mai fermate come non si sono fermate le attività investigative che ora mirano a fare piena luce sullo stato di salute mentale dell'uomo, sul movente e anche sulle ragioni che tempo fa hanno spinto il fratello di Eduardo a lasciare l'abitazione di famiglia.
Decisivo l'utilizzo di un drone. Mamma fatta a pezzi, ritrovata la testa e altre parti del corpo. Il figlio: “Non l’ho uccisa, era già morta”. Giovanni Pisano su Il Riformista il 14 Settembre 2021. Grazie a un drone sono state ritrovate altre parti del corpo, tra cui la testa, di Eleonora Di Vicino, la donna di 85 anni fatta a pezzi dal figlio, Eduardo Chiarolanza, 59 anni, e abbandonata in buste della spesa per le strade del quartiere napoletano di Pianura. Dopo aver ritrovato alcuni resti lo scorso 9 settembre in una curva di via Marano-Pianura, nelle scorse ore i carabinieri hanno trovato la testa della donna, morta nella sua abitazione in una traversa di via Montagna Spaccata, e altre parti del corpo. Non è ancora chiaro dove sarebbe avvenuto il secondo macabro ritrovamento. La Procura – così come riferisce l’Ansa – fa sapere di aver ritrovato altre parti del corpo nella stessa zona del 9 settembre scorso. Tuttavia la zona indicata, compresa tra il quartiere di Pianura e il comune di Quarto, si trova da tutt’altra parte rispetto al tratto che collega Pianura con Marano (via Marano-Pianura). Quindi non è da escludere che gli ultimi resti della donna, tra cui la testa, potrebbero essere stati ritrovati nelle campagne di Contrada Pisani, frazione del quartiere pianurese al confine con il comune di Quarto. Chiarolanza è attualmente in carcere con l’accusa di omicidio ma, stando a quanto emerso, ha solo confessato di aver fatto a pezzi la mamma senza, tuttavia, averla uccisa perché sarebbe “morta per cause naturali”. Sarà ora l’autopsia disposta dagli investigatori napoletani a far luce su quanto accaduto. Le ricerche, coordinate dalla Procura di Napoli e condotte dai carabinieri, non si sono mai fermate come non si sono fermate le attività investigative che ora mirano a fare piena luce sullo stato di salute mentale dell’uomo, sul movente e anche sulle ragioni che tempo fa hanno spinto il fratello di Eduardo a lasciare l’abitazione di famiglia. Proprio l’altro figlio, che non vive a Napoli, ha lanciato l’allarme sulla scomparsa della madre di cui non aveva notizie da qualche giorno. E’ stato lui a chiamare i carabinieri dopo essere rientrato a Pianura e aver trovato tracce di sangue nell’abitazione. Al vaglio anche i prelievi bancomat effettuati nei giorni precedenti l’omicidio da Chiarolanza, disoccupato da diversi anni e già affetto da problemi di natura psichica in passato. L’uomo, secondo quanto emerso, veniva aiutato proprio dall’anziana madre attraverso la pensione che percepiva.
Giovanni Pisano. Napoletano doc (ma con origini australiane e sannnite), sono un aspirante giornalista: mi occupo principalmente di cronaca, sport e salute.
Il delitto nel quartiere Carrassi a Bari. Massacrata a coltellate all’addome e al torace, 81enne uccisa in casa: è caccia al killer. Vito Califano su Il Riformista il 14 Settembre 2021. Coltellate all’addome e al torace: un massacro, quello che si sono trovati davanti agli occhi soccorritori e forze dell’ordine nel quartiere Carrassi, a Bari. Vittima una donna di 81 anni, Anna Lucia Lupelli, ritrovata senza vita nella sua abitazione. Sul posto sono intervenuti i soccorritori e le forze dell’ordine, entrati con l’aiuto dei vigili del fuoco. Sul posto anche gli agenti della Squadra Mobile di Bari con la Polizia scientifica, il pm di turno Claudio Pinto e il medico legale Francesco Introna. La donna, a quanto emerge dalle prime informazioni, viveva da sola. A dare l’allarme, chiedendo l’intervento delle forze dell’ordine, alcuni famigliari che non avevano notizie e non riuscivano a sentire l’81enne ormai da giorni. I rilievi sul luogo del delitto sono ancora in corso. Gli uomini della squadra mobile stanno verificando che non manchino oggetti o altri beni nell’abitazione. L’ipotesi più accreditata, secondo quanto scrive l’Ansa al momento, è quella del furto o della rapina finiti male. A quanto sembra dalle prime rilevazioni le ferite sembrerebbero avere dimensioni diverse, e quindi potrebbero essere state causate da armi da taglio diverse. Almeno cinque o sei le coltellate che hanno raggiunto la vittima al torace e all’addome. Gli accertamenti, che saranno condotti dall’Istituto di Medicina Legale del Policlinico di Bari, dovranno stabilire se la donna sia stata uccida da un coltello da cucina o da un coltellino. Domani l’esame esterno del cadavere. In seguito potrebbe essere disposta l’autopsia. Non è ancora stato stabilito se il delitto si sia consumato oggi e se sia avvenuto precedentemente, anche un paio di giorni fa. Al momento non è stata esclusa alcuna pista. Sul caso indaga la Squadra Mobile di Bari con la Polizia scientifica per i rilievi tecnici.
Vito Califano. Giornalista. Ha studiato Scienze della Comunicazione. Specializzazione in editoria. Scrive principalmente di cronaca, spettacoli e sport occasionalmente. Appassionato di televisione e teatro.
Riccardo Lo Verso per "corriere.it" il 9 settembre 2021. Una raffica di coltellate, circa una decina dal primo esame. Quella mortale ha colpito Ada Rotini alla gola. Aveva 46 anni ed era originaria di Avola, nel Siracusano. Ad ucciderla il marito, Filippo Asero, di un anno più grande di lei, che poi si è conficcato la lama nell’addome ed ora versa in gravi condizioni all’ospedale «Cannizzaro» di Catania. I due, separati da tempo, ieri mattina dovevano andare in Comune, a Bronte, per mettere nero su bianco — e in maniera consensuale — la fine del loro matrimonio. Doveva essere un nuovo inizio per la donna, è stata invece la sua fine.
Il precedente. I contorni della vicenda sono ancora da chiarire. Di sicuro è la storia dell’ennesimo femminicidio, il secondo avvenuto di recente in provincia di Catania. Due settimane fa Antonio Sciuto aveva scaricato la sua follia omicida contro l’ex compagna, la ventiseienne Vanessa Zappalà, assassinandola a colpi di pistola mentre lei passeggiava sul lungomare di Aci Trezza con gli amici. Un intero caricatore di pistola calibro 7.65 non le ha lasciato scampo. È l’epilogo delle due vicende però ad essere diverso. Sciuto si era impiccato in un vecchio casolare di campagna di proprietà dello zio, mentre Asero è ora piantonato dai carabinieri nel reparto di Rianimazione dell’ospedale. Lotta fra la vita e la morte, ma forse se la caverà.
La dinamica. Ada Rotini per vivere faceva la badante. Si prendeva cura di un anziano che abita vicino alla vecchia casa coniugale, dove la donna ieri mattina era andata, in compagnia dell’uomo, per raccogliere i suoi effetti personali. Ultima tappa di una relazione, con il marito, che era naufragata. Asero l’ha affrontata in strada con un coltello da cucina. Il vecchietto ha tentato di salvarla, frapponendo il suo corpo fra vittima e carnefice ed è stato ferito al braccio: «Continuava a colpirla», ha dichiarato disperato. Per ricostruire l’esatta dinamica dell’omicidio potrebbero essere utili le immagini della telecamera di un’abitazione vicina, che inquadra proprio il punto esatto della strada dove è avvenuta l’aggressione mortale. La donna che abita in quella casa con il marito ha raccontato di avere sentito delle urla femminili. Pensava che fossero le mamme che richiamavano i figli. I carabinieri hanno acquisito la registrazione che potrebbe custodire le immagini degli ultimi istanti di vita di Ada Rotini. Una quindicina di anni fa Asero si era scrollato di dosso la pesantissima accusa di essere stato un killer della mafia. In primo grado era stato condannato all’ergastolo per l’omicidio di Sergio Gardani, freddato a colpi di pistola il 10 dicembre del 2001 mentre rientrava a casa. Il delitto fu inquadrato nella lotta fratricida all’interno del clan mafioso Montagno-Bozzone per spartirsi i soldi delle estorsioni e del traffico di droga. Alcuni giorni dopo l’esecuzione Asero fu arrestato. In appello, però, cadde l’accusa che aveva nel racconto di un minorenne la prova chiave. Il ragazzino aveva detto di aver sentito pronunciare da uno degli uomini del commando la frase «spara Parracia», un chiaro invito a fare fuoco. «Parracia» è il soprannome con cui è conosciuto Asero a Bronte, piccolo centro alle pendici dell’Etna e noto per la produzione di pistacchi. Così Asero fu assolto con la più piena delle formule per non avere commesso il fatto, evitando il fine pena mai. L’uomo non si era rassegnato alla separazione. Nei suoi profili Facebook, ne aveva almeno tre attivi, postava in maniera ossessiva foto con la moglie insieme (spesso abbracciati), accompagnate dai cuoricini e dalla scritta «ti amo». Fino a pochi giorni fa continuava a pubblicare sui social immagini di una vita felice che esisteva soltanto nei suoi ricordi, come se nulla fosse. E ancora una volta la scritta «Ti Amo». Nella foto copertina della pagina un’immagine del giorno del loro matrimonio, con le mani e le fedi nuziali. Ora sull’uomo pende l’accusa di omicidio. Ha scaricato la sua ferocia sulla madre dei suoi due figli, che ha reso orfani, nel giorno in cui dovevano firmare una separazione consensuale. La Procura di Catania sta per firmare una richiesta di misura cautelare nei suoi confronti.
Il dramma nel cagliaritano. Uccide la moglie a coltellate, poi chiama i carabinieri: “L’ho uccisa io”. Elena Del Mastro su Il Riformista il 9 Settembre 2021. L’ondata di femminicidi nelle ultime ore sembra inarrestabile. Ancora una vittima, una donna, uccisa da mano armata di un uomo, ancora una volta un compagno di vita. Angelica Salis, 60 anni, è stata uccisa con almeno 10 coltellate alla gola, al collo e al petto. Caduta a terra esanime l’uomo l’ha colpita ancora al fianco. A brandire la lama era suo marito, Paolo Randaccio, un pensionato di 67 anni. È successo a Quartucciu, nella periferia di Cagliari. L’ha colpita e poi ha chiamato il 112: “Venite in via Sarcidano, ho fatto una pazzia”, ha detto al telefono l’uomo. Quando i carabinieri sono arrivati nell’appartamento la scena era agghiacciante. La donna era riversa sul pavimento in una pozza di sangue. Per Angelica non c’era già più nulla da fare. “L’ho uccisa io”, ha detto l’uomo in evidente stato confusionale. Il femminicidio sarebbe avvenuto al termine di una lite. Da quanto si apprende la donna da tempo soffriva di depressione. L’uomo è stato fermato per omicidio volontario e adesso si trova nella caserma dei carabinieri di Quartu. La tragedia sarebbe scattata dopo l’ennesima lite tra i due coniugi. I vicini di casa hanno confermato i litigi, sempre per problemi di convivenza da alcuni mesi. Poi nel pomeriggio la situazione è diventata insostenibile: Angelica avrebbe provato a scappare ma l’uomo l’avrebbe fermata gettandole una sedia addosso. Poi la pioggia di coltellate. Sarà effettuata domattina nell’istituto di medicina legale del Policlinico di Monserrato, nel cagliaritano, l’autopsia di Angelica Salis. Fatale per la donna, che pare soffrisse di una grave forma di depressione, una coltellata, fra le tante ricevute, che ha provocato una larga ferita alla gola. Angelica lascia tre figli, due femmine e un maschio. A Quartucciu, comune dell’hinteland di Cagliari, tutto il quartiere si è radunato davanti al civico 34 di via Sarcidano. Incredulità, dolore, desiderio di capire cosa sia scattato nella testa dell’uomo che, dopo aver colpito la moglie, ha chiamato i carabinieri per autodenunciarsi. Nessuno ha voglia di parlare, ma un po’ tutti ricordano Angelica come una donna tranquilla, che raramente usciva di casa e che purtroppo da anni lottava contro una depressione piuttosto seria.
Elena Del Mastro. Laureata in Filosofia, classe 1990, è appassionata di politica e tecnologia. È innamorata di Napoli di cui cerca di raccontare le mille sfaccettature, raccontando le storie delle persone, cercando di rimanere distante dagli stereotipi.
Chiara Ammendola per "fanpage.it" il 10 settembre 2021. Sono almeno sei le coltellate che Paolo Randaccio, 67 anni, ha inferto alla moglie, Angelica Salis, morta dissanguata nell'appartamento di Quartucciu, in provincia di Cagliari, dove vivevano da tempo. L'ha uccisa dopo l'ennesima lite nata tra le mura di casa al civico 34 di via Sarcidano, dove Angelica, 60 anni, subiva da tempo le violenze fisiche e psicologiche del marito. È stato lui a chiamare i carabinieri e confessare al telefono quanto aveva appena fatto: "Sono a casa, venite: ho ucciso mia moglie". Secondo un primo esame esterno effettuato sul luogo dell'omicidio dal medico legale Roberto Demontis, la donna sarebbe stata colta alla sprovvista dal marito che l'ha aggredita in cucina: Angelica non avrebbe fatto nemmeno in tempo a difendersi. Le coltellate e poi la morte sopraggiunta poco dopo. Quando i carabinieri sono giunti con i soccorritori del 118 nell'appartamento dei due hanno trovato la donna ormai morta in una pozza di sangue. Accanto a lei il marito che è stato immediatamente fermato e portato in caserma prima di essere trasferito nel carcere di Uta dove si trova tutt'ora: non ha opposto resistenza, ha atteso sull'uscio di casa l'arrivo dei militari e si è fatto arrestare. Tra oggi e domani dovrebbe essere interrogato dal magistrato di turno, Nicola Giua Marassi. Intanto presso il Policlinico di Monserrato si terrà l'autopsia sul corpo di Angelica necessaria a chiarire le cause del decesso: fatale secondo una prima ipotesi sarebbe stata la coltellata che il marito le ha sferrato al collo. Intanto i carabinieri stanno tentando di ricostruire i dettagli dell'ennesimo femminicidio che si registra a poche ore dal tentato omicidio di una donna, poco distante a Sassari, che si trova ora in ospedale dopo essere stata aggredita dal marito poi morto suicida. Ed è ascoltando le testimonianze dei vicini che i militari hanno scoperto che mercoledì sera, a poche ore dall'omicidio, Angelica al termine dell'ennesima lite col marito era uscita di casa correndo, probabilmente per sfuggire alla furia del marito e, scalza, aveva raggiunto il bar vicino chiedendo aiuto e raccontando ai presenti di essere stata picchiata. Nessuno, sembra, è intervenuto. Qualcuno racconta di una donna piuttosto confusa alla quale era difficile dare credito. "Litigavano come tutti", aggiunge qualche vicino. E invece la storia di Angelica non è quella di un litigio, ma quello di un omicidio.
Da tgcom24.mediaset.it il 10 settembre 2021. Una nigeriana sulla trentina è stata uccisa a colpi d'arma da fuoco a Noventa Vicentina. A compiere il delitto sarebbe stato il marito, italiano, con il quale la vittima si trovava nel parcheggio dell'azienda per cui lavorava. Dopo averla uccisa, l'uomo è fuggito in auto facendo perdere le tracce ed è ricercato dai carabinieri, con il supporto della polizia, in tutta la provincia vicentina e lungo la rete autostradale. Si è trattato di un vero e proprio agguato: appena scesa dalla sua auto la vittima, che si apprestava a iniziare il turno di lavoro, è stata affrontata dall'uomo e colpita da quattro proiettili esplosi in rapida sequenza, davanti a numerosi colleghi. Mentre il cadavere della donna scivolava a terra tra due auto, l'assassino è salito a bordo di una Jeep grigia ed è fuggito. L'omicidio è avvenuto davanti agli occhi di numerose colleghe che stavano per prendere servizio. Non si conoscono al momento le motivazioni alla base del delitto.
Rintracciato vicino casa. Uccide la moglie e scappa, arrestato il marito di Rita: era già stato condannato per botte alla ex. Redazione su Il Riformista l'11 Settembre 2021. È finita la fuga di Pierangelo Pellizzari, il 61enne accusato di aver ucciso la moglie nel vicentino, a Noventa Vicentina. I carabinieri lo hanno fermato in una abitazione di Villaga, a poca distanza dalla casa di via Quargente dove l’uomo risiedeva con la moglie Rita Amenze. Secondo quanto riporta l’Ansa il 61enne, che probabilmente aveva trascorso la notte in un casolare della zona, ha tentato di intrufolarsi nella sua abitazione da una finestra che si affaccia sul pollaio di casa. Sentiti rumori sospetti, i carabinieri sono entrati e hanno sorpreso l’uomo, arrestandolo. Pellizzari ha ucciso la moglie Rita, con cui era sposato dal 2018, alle sette del mattino di venerdì. Il 61enne disoccupato le ha teso un agguato nel parcheggio dell’azienda in cui lavorava la donna: quando l’ha vista arrivare è uscito alla scoperto da dietro un albero e, pistola in mano, le ha sparato almeno 4 colpi di pistola, tre dei quali l’hanno colpita tra volto e spalle, uccidendola sul colpo. Pellizzari ha mundi sparato un colpo in aria per garantirsi la fuga, scappando a bordo di una jeep grigia. Immediatamente sono partite le ricerche delle forze dell’ordine, concluse col ferro arrivato oggi poco dopo le 14. Alle spalle il 61enne aveva anche una condanna per le violenze inflitte a una ex fidanzata, quattro mesi per lesioni e minacce. Ma questo Rita, 31enne rifugiata, non lo sapeva. Si era fidata di Pierangelo e l’aveva sposato, andando a vivere con lui prima in Val Liona e poi a Villaga. La situazione tra i due era precipitata, tra continue liti, quando Rita gli aveva comunicato l’intenzione di voler portare in Italia i suoi tre figli, ancora in Nigeria. Rita se n’era quindi andata di casa lasciandolo solo, circa due mesi fa, trovando ospitalità da alcuni conoscenti. Pellizzari è stato trasferito in caserma a Vicenza per l’interrogatorio. Gli investigatori, spiega l’Ansa, stanno anche vagliando i frame di un video che ritrarrebbe l’assassino mentre prende il caffè in un bar poco prima di compiere l’omicidio. L’arma utilizzata per uccide Rita, Pellizzari non poteva averla: nel 2008 i carabinieri del paese avevano inviato una relazione in Questura per i suoi atteggiamenti violenti e si era proceduto alla revoca del porto d’armi.
Rita Amenze, arrestato l'ex marito Pierangelo Pellizzari dopo un'intera notte di fuga: follia, dove l'hanno ritrovato. Libero Quotidiano l'11 settembre 2021. È stato arrestato Pierangelo Pellizzari, l'uomo che nella mattina del 10 settembre ha ucciso la 31enne Rita Amenze a colpi d'arma da fuoco a Noventa Vicentina. Il 61enne è stato trovato dai Carabinieri che lo avevano cercato per tutta la notte. Pellizzari infatti si era dato alla fuga dopo aver compiuto intorno alle 7 nel parcheggio della Meneghello Funghi, azienda presso la quale lavorava la vittima, l'omicidio dell'ex compagna. I due hanno discusso per alcuni istanti, al termine dei quali il killer ha estratto una pistola e ha aperto il fuoco, uccidendola sul colpo di fronte ad alcune colleghe. Per trovare l'uomo è scattata in tutta la provincia vicentina una caccia finita nei pressi della sua abitazione. Intanto sul luogo del delitto era già arrivato il magistrato di turno e il medico legale che hanno eseguito i primi accertamenti sulla dinamica. Secondo gli inquirenti si sarebbe trattato di un agguato: appena scesa dall'auto la vittima, che stava per iniziare il turno di lavoro, è stata avvicinata dall'ex marito che, dopo una breve discussione, l'ha colpita con quattro proiettili in rapida sequenza. I due si erano sposati nel 2019 e trasferiti da Val Liona a Villaga in località Quargente. La donna aveva una figlia in Nigeria e aveva intenzione di portarla in Italia. Pellizzari era già stato condannato per violenze ai danni dell'ex. Così come non poteva avere l'arma con cui ha ucciso Amenze. Nel 2008 i carabinieri del paese avevano inviato una relazione in Questura per i suoi atteggiamenti violenti e si era proceduto alla revoca del porto d’armi.
Da open.online l'11 settembre 2021. Rita Amenze aveva 30 anni. Quattro anni fa, lasciava la Nigeria per cercare condizioni lavorative migliori. Aveva trovato un’occupazione a Noventa Vicentina, piccolo comune di 9mila abitanti. Qui viveva insieme a Pierangelo Pellizzari, 61 anni, disoccupato e con una condanna nel casellario giudiziale proprio per le violenze inflitte alla ex. Quattro mesi per minacce e lesioni. Nel 2018, l’uomo e Amenze, rifugiata, si erano sposati. Ieri mattina, 10 settembre, Pellizzari l’ha uccisa con quattro colpi di pistola nel petto, fuori dall’azienda dove Amenze era assunta. È il sesto femminicidio che si consuma in Italia nell’ultima settimana. Era già qualche mese che i due non condividevano più la stessa casa: Amenze era andata via poiché le liti continue erano diventate insostenibili. Alla base del conflitto la volontà di lei di far arrivare in Italia i suoi suoi tre figli, rimasti in Nigeria. Quello che Eugenio Gonzato, sindaco di Villaga – comune di residenza di Pellizzari -, definisce «un uomo un po’ sopra le righe», è in fuga e ritenuto dagli inquirenti «armato e pericoloso». Dopo l’agguato, è fuggito prima a bordo della sua Jeep grigia, poi ha cambiato mezzo e si è allontanato con la Vespa e, infine, ha fatto perdere le sue tracce nelle campagne a piedi. L’arma da fuoco con la quale ha ucciso Amenze, in realtà Pellizzari non poteva averla: nel 2008 i carabinieri del paese avevano inviato una relazione in Questura per i suoi atteggiamenti violenti e si era proceduto alla revoca del porto d’armi, L’uomo faceva la spola tra casa e Comune, dove riceveva i sussidi che gli consentivano di mantenersi. Qualche volta riusciva a trovare impieghi occasionali come operaio edile. Capelli lunghi, orecchino pendente con una croce d’oro e un carattere spesso prepotente che gli avventori dei bar del paese ricordano bene.
Da leggo.it l'11 settembre 2021. L'ex fidanzata di Pierangelo Pellizzari, l'uomo sospettato di aver ucciso la compagna Rita Amenze prima di fuggire e far perdere le sue tracce, ha parlato di una persona molto violenta. «Ho paura perché si tratta di una persona cattiva, un assassino libero», ha spiegato a Quarto Grado. Le autorità sono sulle tracce dell'uomo che avrebbe ucciso la donna nel parcheggio di un'azienda a Noventa Vicentina probabilmente perché non accettava la fine della loro relazione. Dopo il delitto, infatti, ha fatto perdere le sue tracce e ora l'allerta è massima, visto che si ha motivo di sospettare che sia un soggetto molto pericoloso. A confermarlo è proprio l'ex compagna di origini romene, intervenuta telefonicamente a Quarto grado. L'ex ha spiegato di averlo denunciato ben due volte e di avere ancora paura di lui: «La prima volta mi ha picchiata, quando gli ho detto che la nostra storia era finita. In un'altra occasione mi ha aspettato in garage, mentre io andavo a lavorare e mi ha picchiata ancora. Sono stata fortunata perché non ho subito quello che ha fatto alla moglie».
Giuseppe Scarpa per il Messaggero il 12 settembre 2021.
L'INCHIESTA Prima di uccidere ha bevuto un caffè al bar. È tranquillo al bancone, le telecamere del locale immortalano la scena. Poi, con la stessa calma, si dirige nel parcheggio dell'azienda dove lavora l'ex. Lei esce, lui impugna la pistola e spara. Quattro colpi. La donna è riversa in terra. Muore all'istante. Proiettili che hanno devastato il volto della donna, rendendolo una maschera di sangue, e trapassato la sua schiena, per non permetterle di scappare. Infine la fuga del killer, durata un giorno e mezzo. Pierangelo Pellizzari, 61 anni, l'uomo che venerdì ha assassinato nel vicentino, Rita Amenze, 31enne di origini nigeriane, è stato arrestato ieri pomeriggio dentro un pollaio.
LA VICENDA L'uomo l'aveva uccisa nel parcheggio dell'impresa dove Rita lavorava, la MF di Noventa Vicentina, specializzata nella commercializzazione di funghi. L'errore di Pellizzari è stato quello, dopo una notte trascorsa in un casolare vicino, di voler tornare nella casa coniugale a Villaga, da cui la donna si era allontanata una settimana fa proprio per i contrasti con il marito. Lui, disoccupato e sfaccendato, già noto alle forze dell'ordine e con il porto d'armi revocato dal 2008, ha cercato di forzare una finestra che si affaccia su un pollaio che sta in cortile ma è stato circondato e bloccato dai militari, appostati da ore. Non aveva l'arma del delitto, di cui si è probabilmente disfatto subito dopo la fuga. Nelle stesse ore i vigili del fuoco erano impegnati a dragare il canale di via Quargente nell'ipotesi che l'omicida si fosse tolto la vita, circostanza presa in considerazione dopo la sua sparizione con l'auto di famiglia, una Jeep grigia. I particolari che trapelano dagli investigatori delineano l'immagine di un assassino freddo e lucido, che si sarebbe pure fermato tranquillamente a prendere un caffè al bar (ripreso dalle telecamere) prima di togliere la vita alla moglie davanti gli occhi atterriti delle sue colleghe. Una calma che non ha perso neppure negli attimi concitati del delitto: mentre Rita era agonizzante ha riposto l'arma nella giacca, non prima di aver sparato un ultimo colpo d'avvertimento in aria per evitare che qualcuno si avvicinasse e tentasse di inseguirlo. «Quando sono uscito dall'azienda per le urla delle dipendenti - racconta il titolare della MF me lo sono trovata di fronte. Mi ha puntato la pistola, poi si è girato e se ne è andato come se nulla fosse accaduto». Sul movente pochi i dubbi dei Carabinieri: Rita aveva confidato alle amiche che l'uomo la picchiava spesso, anche se non aveva mai voluto sporgere denuncia. È la stessa ragione per la quale Pellizzari era finito nei guai con la giustizia, denunciato da una convivente precedente.
Giuseppe Scarpa per “il Messaggero” l'8 settembre 2021. Emanuele Impellizzeri, 38 anni, domenica pomeriggio entra di nascosto a casa di Chiara Ugolini, 27 anni. Dal terrazzo, come un ladro. Un appartamento al secondo piano in una palazzina a Calmasino di Bardolino (Verona), una zona collinare sopra il lago di Garda. Impellizzeri vive al piano terra, nello stesso piccolo condominio. All'improvviso l'uomo si trova di fronte la ragazza. Lei è sola, il compagno con cui vive, Daniel Bongiovanni, il quel momento non è con lei. «Un raptus», ha detto agli investigatori il 38enne accusato di omicidio volontario aggravato. L'avrebbe spinta con violenza. Anche se, solo l'autopsia, potrà ricostruire con precisione la dinamica.
LA SPINTA. La 27enne sarebbe caduta a terra, avrebbe battuto violentemente la testa. Poi sarebbe morta. Il motivo per cui Impellizzari, che ha precedenti per reati contro il patrimonio (una condanna per rapina) ed è in affidamento in prova ai servizi sociali, si sia introdotto in casa della vittima non è chiaro. L'uomo è uscito di carcere a giugno. Lo stesso 38enne esclude l'ipotesi sessuale. Ovvero un tentativo di violenza. Ma i carabinieri vogliono approfondire. La pista seguita dagli investigatori porta per adesso, visto anche il passato dell'assassino, ad un tentativo di furto. Non si esclude anche il rancore: la 27enne, pochi giorni fa, sarebbe intervenuta a difesa della compagna dell'uomo, dopo una lite furibonda tra i due.
IL RITROVAMENTO. Chiara Ugolini è riversa sul pavimento di casa quando il compagno la trova. La 27enne è a pancia in giù, con una piccola chiazza di sangue vicino alla fronte. Da una prima ispezione del cadavere non compaiono segni evidenti di ferite provocate da armi da taglio o da fuoco. Daniel Bongiovanni era subito rincasato, preoccupato, perché la compagna non gli rispondeva al telefono. Era in ritardo al lavoro. Commessa nel negozio di abbigliamento del suocero. Nel frattempo Impellizzari a bordo della sua moto è già lontano. A tutta velocità pensa di seminare gli investigatori. I carabinieri sono già sulle sue tracce. Convocano tutti i residenti del piccolo condominio. All'appello, guarda caso, manca proprio lui. È irrintracciabile. I sospetti si concentrano sull'uomo. I militari dell'Arma allertano i colleghi della polizia stradale. Il 38enne molto probabilmente stava andando in Sicilia, dov' è nato, a Catania. Fermato alle 23 di domenica sull'autostrada A1 all'altezza di Firenze dalle forze dell'ordine ammette quello che ha fatto. «L'ho spinta» dice. «È stato un raptus», prosegue. «Non volevo che succedesse». Chiara Ugolini, 27 anni, però, è morta. E poco importa se lui non «voleva». La procura di Verona, il pubblico ministero è Eugenia Bertini, dispone lo stato di fermo in attesa che il gip convalidi l'arresto già oggi.
CHI ERA CHIARA UGOLINI. La ventisettenne era una sportiva. Una ragazza appassionata di pallavolo sin dall'infanzia, militava nel Palazzolo Volley, squadra veronese di prima divisione. Sul profilo Facebook del club compare una scritta con accanto un cuore «Ciao Chiara». Sotto, tantissimi i commenti commossi. La vittima dell'efferato omicidio era anche allenatrice nelle giovanili della stessa formazione: «Una preghiera per Chiara, sentite condoglianze e un abbraccio alla famiglia», dicono i colleghi. La giovane lavorava in una boutique di abbigliamento a Garda, sul lago, di proprietà del padre del fidanzato. Si era laureata a Padova nel 2020, come dimostrano le numerose istantanee pubblicate dalla stessa 27enne sul suo profilo Instagram dove viene ritratta sorridente in compagnia degli amici. Chiara Ugolini si era trasferita di recente a Calmasino per vivere insieme al fidanzato: era originaria di Fumane dove abita la sua famiglia. La donna aveva un fratello mentre il padre aveva lavorato a lungo in un'azienda scaligera nel settore enologico mentre la mamma è impiegata in un mobilificio della Valpolicella. La sua famiglia la piange disperata. I genitori, il fidanzato. Uccisa, molto probabilmente, per un tentativo di furto andato male. Giuseppe Scarpa
Michela Allegri per "Il Messaggero" l'8 settembre 2021. Aveva uno straccio imbevuto di candeggina conficcato dentro la bocca, che potrebbe avere provocato un'emorragia agli organi interni. Il sospetto della Procura è che l'aggressore di Chiara Ugolini, la ventisettenne veronese che abitava con il fidanzato in un appartamento a Calmasino, sul Lago di Garda, volesse abusare di lei e le abbia infilato in gola lo strofinaccio, nel tentativo di zittirla. A ucciderla, tre giorni fa mentre era sola, sarebbe stato il vicino di casa, Emanuele Impellizzeri, 38 anni, pregiudicato, che adesso si trova in carcere con l'accusa di omicidio volontario aggravato. Quando domenica gli agenti della Polstrada l'hanno sorpreso sulla A1 nei pressi di Firenze e lo hanno fermato mentre era in sella a una moto, il trentottenne aveva dei graffi sul collo: probabilmente Chiara ha lottato con l'aggressore e ha cercato di difendersi dall'agguato a sfondo sessuale. A stabilire le cause della morte, comunque, sarà l'autopsia, che verrà eseguita oggi. Ma i primi risultati degli accertamenti portano gli inquirenti a dubitare della versione fornita dall'indagato domenica sera, al momento del fermo.
LE DICHIARAZIONI «Volevo sparire», ha detto Impellizzeri quando è stato bloccato in autostrada. Poi, ha raccontato agli investigatori di avere avuto «un raptus». Secondo la ricostruzione della Procura sarebbe entrato di nascosto in casa della vittima, passando da un terrazzino, dopo averla vista mentre si stava cambiando. L'indagato ha detto di avere spinto Chiara, che si era spaventata per esserselo trovato di fronte. E ha sostenuto che la giovane sia morta a causa di una violenta caduta. Sul corpo della vittima non ci sono segni di abusi e di violenza, ma il fatto che avesse in bocca uno straccio imbevuto di una sostanza simile alla candeggina porta gli inquirenti a sospettare che Impellizzeri volesse violentare la ragazza e che le sue azioni siano state ben studiate. Potrebbe essere stata proprio la sostanza corrosiva la causa del decesso, visto che Chiara non sembra essere stata picchiata, o colpita con un oggetto contundente. Sul caso stanno lavorando i carabinieri del Nucleo investigativo di Verona, guidati dal colonnello Stefano Mazzanti.
L'INTERROGATORIO Oggi, nel carcere fiorentino di Sollicciano, è previsto anche l'interrogatorio dell'indagato. Il trentottenne di origini siciliane lavorava in una carrozzeria di Calmasino e stava scontando una pena per due rapine risalenti al 2006. Già condannato per reati contro il patrimonio e resistenza a pubblico ufficiale, era in affidamento in prova ai servizi sociali nell'abitazione a piano terra della palazzina a tre piani nella quale viveva anche la vittima. Impellizzeri ha una bambina di 7 anni e una compagna che, dopo la scoperta dell'omicidio, ha deciso di troncare la relazione.
LA DEDICA Intanto ieri su Instagram il fidanzato di Chiara, Daniel Bongiovanni, ha ricordato la compagna. I due si sarebbero dovuti sposare e stavano organizzando un viaggio alle Maldive. «Tu sei e resterai per sempre la mia metà, la parte che mi completa, la mia ragione di vivere. Abbiamo passato mille avventure, ma era solo l'inizio, avevamo migliaia di progetti insieme rimasti in sospeso - ha scritto il ragazzo sotto ad alcune foto in compagnia di Chiara -. Ma non ti preoccupare amore mio, ti porterò per sempre con me, dentro al mio cuore. Gireremo tutto il mondo insieme e so che tu sarai sempre al mio fianco per tutta la vita. Ti amo Chiara, ti amerò per sempre e questo non cambierà mai e tu lo sai». Domenica è Bongiovanni a dare l'allarme. Si è preoccupato perché Chiara non era rientrata al lavoro - nella gelateria gestita dal padre del fidanzato - ed è tornato a casa. Ha trovato il corpo della giovane senza vita, accasciato in terra.
Chiara uccisa dal vicino: aveva in bocca uno straccio imbevuto di candeggina. Tiziana Paolocci l'8 Settembre 2021 su Il Giornale. Uno straccio imbevuto di candeggina o di un'altra sostanza spinto in bocca per non farla gridare. Uno straccio imbevuto di candeggina o di un'altra sostanza spinto in bocca per non farla gridare. Chiara Ugolini, la bellissima allenatrice di volley 27enne trovata uccisa nel suo appartamento nel Comune di Calmasino di Bardolino, dove viveva con il suo ragazzo, non aveva nessun segno di contusione evidente ma aveva la bocca piena di sangue. Quella sostanza potrebbe averle distrutto gli organi interni. Questo accanimento e questa premeditazione farebbe traballare le parole di Emanuele Impellizeri, il vicino di casa di 38 anni arrestato ieri per il delitto mentre cercava di raggiungere Firenze. L'uomo, finito in manette, ha raccontato di essere stato sorpreso sul balcone di casa di Chiara e di averla spinta in un raptus, senza avere l'intenzione di ucciderla. Ma ci sono diversi particolari che non convincono gli investigatori. C'è il sospetto che il fiorentino di Sollicciano possa aver tentato di abusare della vittima. Ed è il movente che continuano a cercare senza sosta i carabinieri del Comando Provinciale di Verona. Sembra escluso ormai quello economico, il furto, così come quello da ricondurre a liti condominiali, che non ci sarebbero mai state e nessuno le avrebbe mai sentite. Forse un dissapore, perché tempo prima Chiara aveva difeso la compagna dell'uomo in una discussione. Quando è stato bloccato dai militari Impellizzeri aveva graffi al volto, ed è evidente che la vittima abbia cercato in ogni modo di difendersi. Ugolini stava scontando una condanna per due rapine risalenti al 2006 e per questo era in prova ai servizi sociali. Sentito in carcere ha ammesso che domenica pomeriggio avrebbe trovato in casa la ragazza, dopo essersi introdotto dal terrazzino. Ma perché era lì? Sarà l'autopsia, in programma per oggi a chiarire come è morta Chiara, che pensava al matrimonio, a un viaggio da fare presto alle Maldive, al volley che amava tanto. Il fidanzato, Daniel Bongiovanni, la ricorda con poche parole: «Tu sei e resterai per sempre la mia metà, la parte che mi completa, la mia ragione di vivere». «Abbiamo passato mille avventure, ma era solo l'inizio, avevamo migliaia di progetti insieme rimasti in sospeso - scrive -. Ma non ti preoccupare amore mio, ti porterò per sempre con me, dentro al mio cuore. Gireremo tutto il mondo insieme e so che tu sarai sempre al mio fianco per tutta la vita. Ti amo Chiara, ti amerò per sempre e questo non cambierà mai e tu lo sai». Tiziana Paolocci
Omicidio Chiara Ugolini, lo zio: «Mia nipote aveva paura di quell’uomo». L’addio del fidanzato: «Girerò il mondo e sarai nel mio cuore. Ti amerò per sempre». Angiola Petronio su Il Corriere della Sera l'8 settembre 2021. «Il vero angelo è morto». Elio ha la voce ferma. Bassa, ma ferma. Quando parla guarda un punto indefinito. Sembra cercare negli occhi della sua mente Chiara. «Ho cinque nipoti, lei è la più piccola», dice. Elio è lo zio materno di Chiara Ugolini. Era un ragazzo, quando Chiara è nata. Lui che è il più piccolo in quello stuolo di tre sorelle. Elio che martedì ha fatto quello che non avrebbe mai voluto fare. Il capofamiglia. Di una famiglia amputata. A proteggere sua sorella Oriana, la mamma di Chiara. Il cognato Luigi e Andrea, il fratello di Chiara. Si faceva avanti, Elio sul vialetto di casa della famiglia Ugolini. In quella villetta incastonata tra i vigneti della Valpolicella, a Fumane, dove Chiara è cresciuta e dove martedì si era incassato anche il dolore. Quello che lunedì rigurgitava dalle frasi che suo padre Luigi ripeteva a chi andava a trovare lui e Oriana. «Me l’hanno uccisa», diceva Luigi riferendosi a quella figlia di 27 anni ammazzata da quello che era un vicino nella palazzina di tre piani a Calmasino, dov’era andata da qualche mese a vivere con il fidanzato Daniel.
Il post del fidanzato. Daniel che il suo dolore lo ha sviscerato su Instagram, rivolgendosi direttamente a Chiara: «Tu sei e resterai per sempre la mia metà, la parte che mi completa, la mia ragione di vivere. Abbiamo passato mille avventure, ma era solo l’inizio, avevamo migliaia di progetti insieme rimasti in sospeso. Ma non ti preoccupare amore mio, ti porterò per sempre con me, dentro al mio cuore. Gireremo tutto il mondo insieme e so che tu sarai sempre al mio fianco per tutta la vita. Ti amo Chiara, ti amerò per sempre e questo non cambierà mai e tu lo sai». Martedì in quella casa di Fumane dove Chiara è cresciuta, piena di piante e con la veranda, c’era silenzio. Quello che ammantava tutta la strada. Il silenzio del rispetto per il lutto di una famiglia conosciuta e benvoluta in tutto il paese. È andato in quella villetta, martedì Daniele Zivelonghi, il sindaco di Fumane. Oriana, la mamma di Chiara - che lavora nella mensa scolastica del paese - le si è aggrappata al collo. E lui stringeva tra le mani la fascia tricolore, ambasciatrice del dolore di una comunità Con Elio che quel dolore lo proteggeva, facendosi avanti lui. «Era una ragazza impossibile da non amare», racconta di Chiara. «Tutti noi l’abbiamo vista crescere...».
«Chiara era una persona onesta, sempre sorridente». Si ferma Elio. Cerca le parole. Le trova. «Chiara non ha mai dato un problema. Non ha mai creato una preoccupazione ai suoi genitori. Non ha mai fatto del male a nessuno. E non è un modo di dire». L’unica frase che Elio dice guardandoti negli occhi. Per cercare di spiegare che davvero «non è un modo di dire». «Era una persona onesta, sempre sorridente. Amava la vita. So che possono sembrare frasi fatte, ma lei era davvero così. Un mio amico quando ha saputo di quello che era successo mi ha scritto “non ho parole che non siano banali”. È vero...».
La rabbia: «Se fai una cosa del genere sei un cane». Ma Elio al dolore non lascia la vittoria della sopraffazione. E le parole le scandisce ragionandole, quando parla di quello che è successo a Chiara. «Lei sapeva che quell’uomo aveva dei precedenti. Aveva paura e lo teneva a distanza. Non gli dava confidenza. Se proprio lo incrociava mentre entrava o usciva da casa era un “buongiorno” o “buonasera”, niente di più. E lui l’ha ammazzata. È una bestia, un mostro. Uno che le ha messo uno straccio intriso di ammoniaca in bocca. Non c’è definizione per un essere simile. Se fai una cosa del genere sei un cane». Nessuna rabbia, Elio. Ma la lucidità dettata dal tormento. «Io non perdono, scrivilo pure. La nostra famiglia non perdona. E non mi interessa che qualcuno possa pensare che sia sbagliato. Io non lo voglio vedere mai più libero».
Chiara Ugolini, l’autopsia: «Traumi interni, uccisa con crudeltà». Laura Tedesco su Il Corriere della Sera il 9 settembre 2021. L’omicidio di Verona: Chiara Ugolini, 27 anni, colpita con violenza da Emanuele Impellizzeri, che le ha tappato la bocca con uno straccio per impedirle di urlare. Smentita la confessione dell’omicida, che ora si è chiuso nel silenzio. Non le ha soltanto dato una «spinta» facendola «cadere a terra» come ha confessato dopo la cattura. Chiara Ugolini è stata colpita più volte e con violenza dal vicino di casa Emanuele Impellizzeri, che le ha lesionato gli organi interni e si è servito della candeggina per tapparle la bocca e impedirle di urlare aiuto. A quattro giorni dall’omicidio della 27enne veronese nella cucina del suo appartamento a Calmasino di Bardolino, la confessione resa domenica notte dal 38enne bloccato dalla Stradale lungo la A1 mentre fuggiva in moto, è stata smentita ieri in serata dai primi risultati dall’autopsia.
I traumi. È emerso infatti che la vittima ha lottato con tutte le sue forze, cercando a lungo di resistere strenuamente all’aggressione a sfondo sessuale da parte del pluripregiudicato sotto misura cautelare che abitava al piano di sotto e si era intrufolato in casa da una delle finestre di servizio della scala del condominio. Fisico atletico da pallavolista, la giovane commessa però si è infine dovuta arrendere alla furia del suo aggressore. Numerosi sono i traumi agli organi interni rilevati sul corpo di Chiara, con segni di percosse alla nuca, all’addome, al torace. Tra i due c’è stata una colluttazione prolungata, ma risulterà decisivo stabilire il ruolo della candeggina: soltanto analisi più approfondite potranno dimostrare se il 38enne, oltre a chiudere la bocca a Chiara con quello straccio imbevuto di liquido corrosivo trovato vicino al suo corpo dai soccorritori, gliel’abbia anche fatta ingerire in maggiore quantità con danni potenzialmente devastanti.
Il silenzio del vicino. Intanto dal carcere di Sollicciano l’uomo si è chiuso nel silenzio avvalendosi della facoltà di non rispondere davanti al gip Angela Fantechi, che ha convalidato il fermo e disposto la misura cautelare in cella: nell’ordinanza il magistrato fiorentino gli contesta di aver «agito con crudeltà e per motivi abbietti», sottolineando il pericolo di fuga, la gravità del fatto, la personalità violenta, la sfilza di precedenti. «Il mio assistito — spiega l’avvocato difensore, Mattia Guidato — non vuole sottrarsi alle sue responsabilità, ma è ancora sconvolto. Nei prossimi giorni comunque parlerà con i magistrati di Verona, ha la disponibilità a collaborare».
Chiara Ugolini, eseguita l'autopsia: molti traumi interni ma nessuno ne spiega la morte. La Repubblica l'8 settembre 2021. Da appurare anche l'entità dei danni causati dalla candeggina, messa sullo straccio usato dal killer e ingerita dalla ragazza. L'autopsia durata 4 ore sul corpo di Chiara Ugolini non ha permesso di determinare con esattezza la causa della morte della giovane, per l'omicidio della quale è in arresto Emanuele Impellizzeri, suo vicino di casa. E' quanto apprende l'Ansa da fonti vicine all'inchiesta. L'esame autoptico ha riscontrato diversi traumi interni, alla nuca, al torace, all'addome, segno di una colluttazione violenta con l'aggressore, ma nessuna lesione che da sola spieghi la causa del decesso. Da approfondire, infine l'entità dei danni causati dalla candeggina, messa sullo straccio usato dal killer, che Chiara è stata costretta ad ingerire. La 27enne di Calmasino (Verona), paesino che si affaccia sul Lago di Garda, è stata uccisa domenica da un vicino di casa. L'autopsia dovrebbe fare luce sulla dinamica dei fatti visto che il vicino di casa ritenuto responsabile dell'omicidio, fermato mentre si stava dando alla fuga nei pressi del casello di Impruneta dalla polizia stradale di Firenze, al momento si è rifiutato di collaborare non rispondendo alle domande del gip. Nessuna ipotesi è al momento scartata, fanno sapere fonti investigative veronesi, anche se al momento quella più accreditata potrebbe essere di una aggressione a sfondo sessuale. Aggressione alla quale la 27enne avrebbe tentato di ribellarsi con tutte le sue forze.
"Traumi interni", su Chiara un'aggressione sessuale. Il Giornale il 9 Settembre 2021. L'esito dell'autopsia non ha chiarito la causa del decesso, resta in cella il killer Impellizzeri. L'autopsia durata quattro ore sul corpo di Chiara Ugolini non ha permesso di determinare con esattezza la causa della morte. L'esame autoptico ha riscontrato diversi traumi interni, alla nuca, al torace, all'addome, segno di una colluttazione violenta con l'aggressore, Emanuele Impellizzeri, suo vicino di casa, ma nessuna lesione che da sola spieghi la causa del decesso. Da approfondire, l'entità dei danni causati dalla candeggina, messa sullo straccio usato dal killer, che Chiara è stata costretta ad ingerire. Impellizzeri si trova recluso nel carcere di Sollicciano. È accusato di omicidio aggravato, secondo le accuse della procura di Verona, dall'aver agito per «motivi abietti» e con «crudeltà». Nella misura cautelare in carcere, confermata dal gip del tribunale di Firenze Angela Fantechi, il giudice ha tenuto conto anche dei precedenti penali del presunto assassino, nonché del concreto pericolo di fuga. Fuga che Impellizzeri aveva già iniziato quando nella serata di domenica è stato fermato dalla polizia stradale di Firenze sull'A1 mentre in moto si stava dirigendo verso Sud. Dopo la convalida del fermo di ieri, gli atti arriveranno al tribunale di Verona, che dovrà confermare la misura cautelare. Chiara, 27 anni, è stata trovata uccisa nel suo appartamento a Calmasino di Bardolino (Verona). La ragazza presentava un'unica fuoriuscita di sangue dalla bocca, compatibile con l'ipotesi di un'emorragia interna e di una spinta che l'avrebbe fatta cadere a terra, come detto dal killer, 38 anni. Intanto, sulla base degli accertamenti svolti dai carabinieri, emerge che l'uomo si sarebbe introdotto nell'appartamento da una delle finestre di servizio della scala del condominio, che dà accesso al terrazzino dell'appartamento della vittima. L'aggressore non si sarebbe dunque introdotto nell'alloggio arrampicandosi dal suo balcone, come ipotizzato in un primo momento. All'interno della casa la ragazza ha sorpreso Impellizzeri e ne è nata una colluttazione, culminata con l'aggressione mortale in cucina. I carabinieri continuano a indagare per arrivare a scoprire anche il movente. Sembra escluso ormai quello economico, il furto, così come quello da ricondurre a liti condominiali. Sembra farsi strada il movente dell'aggressione a scopo sessuale. Quando è stato fermato, oltre a essere sporco di sangue, Impellizzeri presentava graffi al volto, segni evidenti della colluttazione.
L'assassino di Chiara si impicca in cella prima dell'interrogatorio. Tiziana Paolocci il 28 Settembre 2021 su Il Giornale. Emanuele Impellizzeri era recluso nel carcere di Verona. Il movente resta così un mistero. È uscito di scena lasciando dietro di sé molti interrogativi. E lo ha fatto a poche ore dall'interrogatorio in cui avrebbe dovuto spiegare perché, meno di un mese fa, ha ucciso Chiara Ugolini. Emanuele Impellizzeri, una vita puntellata da problemi con la giustizia, ieri si è tolto la vita in carcere a Verona, dove era recluso per l'omicidio della sua vicina di casa. Era stato trasferito a Montorio dall'istituto di pena di Sollicciano, dove era finito 23 giorni fa, quando i carabinieri avevano interrotto il suo tentativo di fuga. Ma il killer di origini catanesi, sposato e padre di una bambina di 7 anni, alle 5.30 di ieri si è impiccato. Il trentottenne era stato bloccato dalla polstrada il 6 settembre, mentre percorreva l'A1 su una Yamaha R1, sperando di sfuggire alle sue responsabilità. Impellizzeri, che abitava e lavorava in una carrozzeria a Calmasino di Bardolino, era incastrato in un matrimonio che stava finendo e aveva precedenti per rapina, reati contro il patrimonio e resistenza a pubblico ufficiale, tanto che era in affidamento ai servizi sociali. Quella maledetta domenica è entrato a casa della 27enne Chiara Ugolini dal balcone. La giovane, con una passione grande per la pallavolo, laureata un anno fa a Padova in Scienze Politiche, aveva fatto il turno di mattina a Garda nel negozio di abbigliamento del fidanzato, Daniel Bongiovanni. Poi era rincasata per riposarsi un po'. Lei e il compagno presto si sarebbero trasferiti a Lazise, dove stavano ristrutturando un appartamento. Lui non vedendola tornare per il turno di sera si è preoccupato. Ha provato e riprovato a chiamarla, poi alle 20 ha fatto ritorno nella loro abitazione e l'ha trovata morta. Poco prima Impellizzeri l'aveva sorpresa, entrando dal balcone. Non si sa cosa sia scattato nella mente del killer. L'ha brutalmente aggredita. Chiara ha cercato di ribellarsi, come più tardi hanno dimostrato i graffi sulle braccia di lui. Ma l'uomo l'ha spinta a terra, facendole perdere i sensi, le ha fatto ingoiare della candeggina e le ha messo in bocca lo straccio imbevuto dello stesso liquido, dopo averle sferrato alcuni pugni all'addome. Lei era in biancheria intima e forse questo ha fatto scattare un raptus sessuale nella mente dell'assassino. «Ho sentito l'impulso di entrare in casa», ha detto Impellizzeri agli investigatori che l'hanno arrestato. Il movente non era stato del tutto chiarito, però, e ora l'assassino non parlerà più. Tiziana Paolocci
Chiara Ugolini, il biglietto del killer morto suicida: “Non sopporto il peso del rimorso, chiedo scusa”. Cecilia Lidya Casadei il 28/09/2021 su Notizie.it. Chiara Ugolini, il biglietto di addio del killer morto suicida: "Chiedo scusa a tutti, ho commesso un grave gesto". Chiara Ugolini, il biglietto di addio del killer morto suicida. Prima di togliersi la vita l’uomo, accusato di aver ucciso la 27enne lo scorso 5 settembre 2021, ha lasciato un messaggio per la famiglia della vittima. “Non sopporto il peso del rimorso per il grave gesto che ho commesso, chiedo scusa ai familiari di Chiara”, questo il contenuto del biglietto scritto da Emanuele Impellizzeri, impiccatosi in cella presso il carcere di Verona. Il 38enne senza vita è stato rinvenuto ieri mattina alle ore 5.30, poche ore prima del previsto interrogatorio sull’omicidio Ugolini. Prima di suicidarsi, Impellizzeri avrebbe atteso il passaggio dell’agente di turno nella notte. “Mi vergogno per quello che ho fatto. Chiedo scusa ai familiari di Chiara. Chiedo scusa a mia figlia ed alla mia compagna. Scusatemi tutti”, ha scritto il killer. Era finito in manette lo scorso 6 settembre 2021, fermato dalla Polizia lungo l’Autostrada del Sole nei pressi di Firenze, a bordo della sua moto il giorno dopo aver compiuto l’omicidio della Ugolini. “Ho perso la testa, sono andato lì. Non ho resistito”, aveva dichiarato a bruciapelo, secondo gli inquirenti l’uomo avrebbe tentato di violentarla prima di ucciderla. Quel giorno, lui si trovava a casa ai domiciliari, scontava una condanna per due rapine e l’obbligo di non uscire né di sera né nei giorni festivi.
L'omicidio di Chiara Ugolini. Emanuele Impellizzeri si toglie la vita in carcere: perché non era monitorato? Angela Stella su Il Riformista il 28 Settembre 2021. Si è impiccato in carcere a Verona, all’alba di ieri, Emanuele Impellizzeri, 38 anni, arrestato con l’accusa di avere ucciso il 5 settembre scorso Chiara Ugolini, 27 anni, nell’appartamento che la ragazza condivideva con il compagno a Calmasino di Bardolino (Verona). Proprio ieri Impellizzeri sarebbe dovuto essere sottoposto a interrogatorio. L’uomo, una compagna e una figlia, di origini catanesi e vicino di casa di Chiara Ugolini, era stato arrestato il 6 settembre lungo l’autostrada del Sole nei pressi di Firenze, dopo essere fuggito in sella alla propria motocicletta. Negli ultimi giorni era stato trasferito dal carcere fiorentino di Sollicciano a quello veronese di Montorio, dove è stato trovato impiccato in cella. A riferire il tragico suicidio il segretario nazionale della Uilpa Polizia Penitenziaria, Gennarino De Fazio. La notizia è stata confermata poi all’Ansa dall’avvocato d’ufficio dell’uomo, Mattia Guidato che spiega al Riformista: «Non credo che il suo senso di prostrazione legato all’arresto possa essere legato all’evento suicidiario. Io ho visto il mio assistito sabato. La situazione era quella che era, ossia una detenzione per una accusa molto grave. Ma non avrei mai pensato che potesse compiere un tal gesto. Abbiamo parlato dell’interrogatorio, concordato con la Procura, che ci sarebbe stato a breve e durante il quale avrebbe risposto. È chiaro che è difficile indagare la coscienza di una persona che compie un tal gesto». E conclude: «Impellizzeri è stato dipinto come un uomo dal passato delinquenziale. La verità è che aveva commesso due rapine nel 2006. Da allora solo una guida in stato di ebbrezza. Ma si è trovato a dover scontare solo nel 2021, per problemi burocratici, una condanna del 2006. Lui nel frattempo aveva cambiato stile di vita ma forse questa condanna tardiva ha influito sul suo stato d’animo». Come è possibile che sia avvenuto l’ennesimo suicidio di un uomo in custodia dello Stato? Un uomo che evidentemente aveva bisogno di essere vigilato, che durante la confessione dell’aggressione aveva detto «Ho rovinato tutto, ho perso la mia famiglia»? All’avvocato a Sollicciano era stato detto che il detenuto aveva avuto il colloquio con lo psicologo ma forse non è stato deciso di sottoporlo a vigilanza stretta. Mentre non si conoscono le ragioni della sua presenza in infermeria come ci spiega Gennarino di Fazio: «Da quanto abbiamo potuto apprendere era nel reparto infermeria, a regime aperto, non sottoposto a particolare sorveglianza. Penso che il tutto sia collegato alla situazione oggettiva delle carceri. Anche coloro che devono disporre una sorveglianza h24 devono fare i conti con l’organico disponibile, spesso impegnato su più fronti anche oltre l’orario previsto dal contratto di lavoro. Il sistema purtroppo è allo sfascio e al di là dei proclami continuano a non arrivare atti concreti da parte del Governo». Solo due giorni prima, nella notte tra sabato e domenica, si era impiccato nella cella del carcere di Ivrea Alexandro Riccio l’uomo che a gennaio scorso aveva ucciso la moglie e il figlio di 5 anni. L’uomo aveva tentato il suicidio subito dopo l’omicidio buttandosi dalla finestra dell’appartamento di Carmagnola dove viveva con la sua famiglia. Aveva più volte confidato anche all’equipe di psicologici del carcere le sue intenzioni di farla finita. Per questo la procura di Ivrea ha aperto un’inchiesta per chiarire le circostanze del suicidio dell’uomo. Angela Stella
Sgozzata prima di separarsi. Lui tenta il suicidio: salvato. Valentina Raffa il 9 Settembre 2021 su Il Giornale. Il legame durato 11 mesi, l'omicidio prima della udienza. Un anziano tenta di difenderla: è ferito. Sono trascorse solo poche ore dal femminicidio di Chiara Ugolini a Verona e due settimane da quello di Vanessa Zappalà ad Aci Trezza, nel Catanese, che settembre si tinge nuovamente di rosso. È ancora la Sicilia lo scenario di un amore traviato, quello di Filippo Asero, 47 anni, per la moglie Ada Rotini, 46 anni, originaria di Noto, residente a Bronte (Catania). Per lei quella di ieri doveva essere una giornata di riconquista. Della sua libertà, della sua vita. Doveva recarsi all'udienza di separazione col marito con cui era stata sposata soltanto 11 mesi fatti di continue liti, ma lui non voleva separarsi. Ada non c'è mai arrivata. Lui l'ha uccisa con una coltellata alla gola. Asero non riusciva a voltare pagina, non digeriva che Ada si sentisse felice lontana da lui e così ha deciso di farsi trovare armato di coltello all'appuntamento in via Boscia 14, una stradina dell'antico quartiere di San Vito nei pressi dell'omonimo convento, in quella casa in cui avevano vissuto insieme. Ada voleva portare con sé gli ultimi effetti personali e potrebbe essere questo ad avere innescato l'ira del marito che le ha sferrato una coltellata dritto in gola. L'anziano a cui Ada faceva da badante proprio in via Boscia era con lei. Chissà, magari, Ada si sentiva più protetta. E lui ha cercato di salvarla, ma è rimasto ferito a un braccio e si trova ricoverato nell'ospedale di Bronte. Mentre Ada moriva in una pozza di sangue, Asero ha rivolto il coltello contro di sè, trafiggendosi all'altezza dell'addome. All'arrivo delle ambulanze per Ada non c'era nulla da fare, mentre l'assassino è stato trasportato d'urgenza all'ospedale Cannizzaro di Catania, dove è stato sottoposto a un delicato intervento chirurgico. Resta ricoverato in ospedale piantonato. «Abbiamo sentito urla di donna e siamo usciti fuori a guardare» dicono alcuni vicini. Le indagini sull'ennesimo femminicidio di questo infausto 2021 sono state affidate ai carabinieri e tra i primi ad accorrere è stato proprio un militare dell'Arma libero dal servizio. Asero è noto alle forze dell'ordine perché il 10 dicembre 2001 era stato arrestato dai carabinieri per l'omicidio di Sergio Gardani, 32 anni, in un agguato a Bronte. Un omicidio che, secondo l'accusa, era maturato nell'ambito di una lotta interna a un clan locale per il controllo delle estorsioni e del traffico di sostanze stupefacenti. Asero era stato condannato all'ergastolo il 28 ottobre 2003 in primo grado, ma era stato poi assolto con formula piena per non avere commesso il fatto. Intanto emergono nuovi particolari sul tentato femminicidio di Piera Muresu, avvenuto martedì sera a Sennori (Sassari), e il suicidio del compagno Adriano Piroddu, 42 anni, che le ha sparato due colpi di pistola tra il collo e una scapola dopo una lite avvenuta in campagna, dove i due avevano deciso di fare una passeggiata. Poi lui l'ha lasciata, ferita, nei pressi della sua abitazione e lei è riuscita a trascinarsi fino al campo sportivo «Basilio Canu» per chiedere aiuto. Piroddu si è impiccato nel suo garage. Piera, nella notte tra martedì e ieri, è stata sottoposta a un delicato intervento all'ospedale Santissima Annunziata di Sassari, dove è ricoverata. Valentina Raffa
Riccardo Lo Verso per corriere.it il 23 agosto 2021. Femminicidio nella notte ad Aci Trezza, frazione di Aci Castello, in provincia di Catania. La vittima è Vanessa Zappalà, 26 anni, uccisa a colpi di pistola mentre passeggiava con gli amici. A fare fuoco, così raccontano i testimoni, sarebbe stato l’ex fidanzato, che non si era rassegnato alla fine della loro relazione. L’uomo, Antonino Sciuto, 38 anni, è stato — poi — ritrovato (nel pomeriggio di lunedì) impiccato in un casolare in contrada Trigona, nelle campagne di Trecastagni. Da ieri sera era in fuga dopo avere ucciso l’ex compagna.
La denuncia per stalking. La ragazza, che lavorava in un panificio a Trecastagni, lo aveva denunciato per stalking. La Procura di Catania aveva chiesto e ottenuto dal giudice per le indagini preliminari che fosse posto agli arresti domiciliari. Attualmente aveva il divieto di avvicinamento alla ragazza.
Lei vuole chiarire, lui spara. Ed invece nella notte, così raccontano gli amici della vittima, l’ex compagno ha esploso diversi colpi di pistola, uno dei quali ha raggiunto Vanessa alla testa. L’uomo viveva e lavorava a San Giovanni La Punta, paese della cintura dell’Etna, dove vendeva automobili. E al volante di un’auto che ieri notte, intorno alle tre, era arrivato ad Aci Trezza. Vanessa gli sarebbe andata incontro per un chiarimento e lui avrebbe iniziato a sparare.
Ferita anche un’amica. Un colpo di pistola ha anche ferito di striscio un’altra ragazza alla spalla. «Quante volte ti mandavo messaggi, “stai attenta Vane ho paura” — scrive un’amica su Facebook — e tu “tranquilla non mi fa niente è solo geloso. Facevi solo casa e lavoro, una ragazza tranquilla”». Un’altra amica, dopo l’ennesima lite con l’ex fidanzato, racconta in un post di averla messa in guardia: «Stai attenta che si apposta sotto casa nostra».
Il femminicidio di Aci Trezza. Vanessa uccisa mentre passeggiava con gli amici, trovato impiccato l’ex fidanzato stalker. Redazione su Il Riformista il 23 Agosto 2021. E’ stato trovato senza vita Antonino Sciuto, il 38enne ritenuto il maggior indiziato dell’omicidio dell’ex fidanzata Vanessa Zappalà, 26 anni, avvenuto la scorsa notte ad Aci Trezza. Nel pomeriggio di lunedì 23 agosto i carabinieri del comando provinciale di Catania lo hanno trovato impiccato in una campagna di proprietà della famiglia a Trecastagni, paese alle pendici dell’Etna, dopo aver individuato la sua auto, una Fiat 500, posteggiata nelle vicinanze. Sciuto era già stato arrestato lo scorso giugno per maltrattamenti in famiglia e atti persecutori dopo la denuncia dell’ex fidanzata. Il giudice gli aveva imposto il divieto di avvicinamento alla ragazza. Vanessa è stata uccisa intorno alle 3 di notte sul lungomare di Aci Trezza. Stava passeggiando con alcuni amici in strada, poco distante dal porticciolo, quando è stata ammazzata a colpi d’arma da fuoco. A indirizzare i carabinieri sulle tracce dell’ex fidanzato sono stati gli amici presenti al momento dell’omicidio che hanno raccontato ai militari di aver visto il ragazzo avvicinarsi, litigare con Vanessa e poi puntare l’arma verso di lei esplodendo più colpi, tra cui quello fatale che ha raggiunto la 26enne alla testa. Nell’agguato costato la vita alla giovane 26enne anche un’altra ragazza che faceva parte della comitiva sarebbe rimasta ferita, raggiunta di striscio da un colpo alla schiena. Le sue amiche l’avevano messa in guardia: “Vanessa stai attenta, ho paura”, “Guarda che si apposta sotto casa”. Ma lei si sentiva tranquilla: “Non mi fa niente è solo geloso”. La giovane vittima, che lavorava in un panificio di Trecastagni, già in passato aveva denunciato l’ex fidanzato per stalking. Per quel reato la Procura di Catania aveva chiesto e ottenuto dal Gip che fosse posto agli arresti domiciliari e attualmente era sottoposto al divieto di avvicinamento. I carabinieri e la polizia erano impegnati sin dalla mattinata nella caccia all’uomo. Istituti numerosi posti di blocco a San Giovanni La Punta, dove l’uomo viveva e lavorava in una concessionaria d’auto, ma anche nei paesi circostanti. L’identità di Sciuto era stata resa nota dagli stessi militari che hanno diffuso due foto: una con barba corta e l’altra con barba lunga, per favorire la sua cattura attraverso segnalazioni al 112. Tutte le operazioni sono state coordinate e autorizzate dalla Procura di Catania.
Il padre di Vanessa Zappalà: «L'ex Antonino Sciuto duplicò le chiavi di casa per spiarci dal sottotetto e la pedinava con un Gps». Felice Cavallaro su Il Corriere della Sera il 23 agosto 2021. Aci Trezza, l’omicidio della 26enne di Trecastagni uccisa a colpi di pistola dall’ex fidanzato Antonino Sciuto. Il padre di Vanessa Zappalà: «Venne arrestato, il giorno dopo era già in giro... Lei era prigioniera in casa per paura di incrociarlo». Sul pendio della più bella terrazza dell’Etna, come chiamano Trecastagni, echeggia la disperazione di una madre che non si rassegna all’idea di avere perduto la figlia, uccisa da un ex fidanzato, un balordo in fuga con la pistola del delitto, prima di farla finita: «S’impicco? Ora ‘u Signuri c’avi a pinsari». Si danna Antonia Lanzafame che, avvertita nella notte, dalla villetta in pieno centro, ha svegliato il marito separato nella casa lì a due passi dove Vanessa Zappalà doveva rientrare dopo la passeggiata notturna tra i faraglioni di Aci Trezza. «Non torna più nostra figlia...». È la stessa disperazione di questo padre cinquantenne, i calli alle mani di chi impasta cemento, il cuore grande anche con il ragazzotto che non gli piaceva ma che per rendere felice sua figlia l’anno scorso accolse in casa, ospitandolo per una convivenza culminata in litigi continui. E da questi litigi bisogna partire per capire come si è arrivati alla doppia tragedia finale, nonostante le denunce di stalking, i pedinamenti e l’arresto di uno psicopatico convinto di essere uno 007 pronto a spiare le vite degli altri con acrobatici stratagemmi.
Seguiva e spiava sua figlia Vanessa?
«Quando dopo botte e parolacce mia figlia l’ha mollato, quando io gli ho tolto le chiavi di casa, ha cominciato ad appostarsi per ore sotto le finestre o davanti al panificio dove Vanessa lavorava».
Per questo lo avete denunciato?
«Dopo la frattura di dicembre, dopo un inverno passato da Vanessa prigioniera in casa per paura di incontrarlo, dopo mille minacce, abbiamo dovuto mettere nero su bianco. Perché abbiamo scoperto che con un duplicato delle chiavi la sera si intrufolava nel sottotetto di casa mia, una sorta di ripostiglio, e dalla canna del camino ascoltava le nostre chiacchiere».
Come s’è difeso?
«Balbettando: “Mi hanno detto che tua figlia ha un altro”. Lei non ha nessuno, ma tu non sei il suo fidanzato. “Tua figlia è menomata”. L’ho cacciato, ma aveva il piano B».
Ha continuato a controllarvi?
«Con una diavoleria elettronica. Con dei Gps, delle scatolette nere piazzate sotto la macchina di Vanessa e sotto la mia. Come hanno scoperto i carabinieri quando finalmente, chiamati da mia figlia, lo hanno arrestato».
Si è sentito protetto dai carabinieri?
«Il maresciallo, un sant’uomo, dà il suo cellulare a mia figlia: “Chiamami in ogni momento, notte e giorno, se c’è bisogno”. Un padre di famiglia. Prontissimi sempre tutti i carabinieri, ma forse dovevamo fare noi tutti di più, anche protestando per le leggi balorde di questo Paese, per la disattenzione finale...».
Che cosa non ha funzionato, secondo lei?
«Trovano un pazzo di catena che spia dal camino o con i Gps, un violento che picchiava la ragazza, sempre coperta da foulard e mascariata di fard, e che fanno? Dopo una notte in caserma, il 7 giugno, un martedì, e una di interrogatorio, arriva il giudice e lo manda a casa con gli “arresti domiciliari”. Inutili. Perché tre giorni dopo, il sabato, era il 13 giugno, ce lo ritroviamo tra i piedi, ma con un provvedimento altrettanto inutile: l’obbligo di non avvicinarsi a mia figlia per 200 metri. È questa l’Italia che vogliamo? Davvero pensano che da 200 metri non si possa fare male? Oppure che un pazzo come questo non possa armarsi e sparare da tre metri? Se lo consideravano malato dovevano rinchiuderlo in una comunità e curarlo. Non lasciarlo praticamente libero di fare tutto».
Da metà giugno le minacce si erano affievolite?
«Per due mesi non lo abbiamo più visto. Ma 15 giorni di pace c’erano stati anche mentre si appollaiava nel sottotetto. Si sarà placato, speravo. E forse nelle ultime settimane lo ha sperato anche Vanessa che, fino a prima di Ferragosto, continuava a vivere da reclusa, con il terrore di incrociarlo. Com’è poi accaduto in questa notte che resterà l’incubo anche per i figli dell’assassino».
Aveva figli?
«Un maschietto di 10 anni e una bimba di 5. Dal primo matrimonio. E mia figlia che l’anno scorso li faceva giocare, comprando loro regalini, quando non aveva capito di avere a che fare con un pazzo...».
Uccide ex e si suicida. Il presidente dei Gip: il collega non ha colpe. Il giudice Nunzio Sarpietro: "Anche se lui fosse stato agli arresti domiciliari sarebbe potuto evadere e commettere lo stesso il delitto". La Repubblica il 24 agosto 2021. "Non mi sento di contestare alcuna colpa al collega, ha agito secondo legge: nel fascicolo c'erano anche elementi contrastanti di cui ha tenuto conto, come un primo riavvicinamento tra i due. E anche se lui fosse stato agli arresti domiciliari sarebbe potuto evadere e commettere lo stesso il delitto". Così il presidente dell'ufficio del Gip di Catania, Nunzio Sarpietro, sulle polemiche sulla scarcerazione di Antonio Sciuto, il 38enne che ha ucciso con sette colpi di pistola alla testa la sua ex fidanzata, Vanessa Zappalà, di 26 anni. "E' difficile controllare tutti gli stalker - continua Sarpietro - noi emettiamo come ufficio 5-6 ordinanze restrittive a settimana ed è complicato disporre la carcerazione perché occorrono elementi gravi e, comunque, non si può fare fronte ai fatti imponderabili". Il capo dell'ufficio etneo del Giudice per le indagini preliminari ripropone una sua ipotesi di intervento: "un braccialetto elettronico 'out' per l'indagato che segnali la sua presenza e, contemporaneamente, un dispositivo per la vittima che emetta segnali acustici e luminosi quando lo stalker viola la distanza impostagli dal provvedimento di non avvicinamento". "Occorrerebbero dei centri di riabilitazione con l'obbligo di frequentazione per monitorare gli stalker e tentare, nei limiti del possibile, di recuperarli dai loro disturbi alcuni dei quali legati a problemi culturali e caratteriali. Bisogna provarci, anche perché non sono pochi", afferma invece il procuratore di Catania, Carmelo Zuccaro, titolare dell'inchiesta sul femminicido di Vanessa Zappalà.
Da iene.mediaset.it il 6 febbraio 2021. Filippo Roma e Marco Occhipinti hanno pizzicato il giudice Nunzio Sarpietro, gup del caso Gregoretti che dovrà decidere se mandare a processo il leader della Lega Matteo Salvini, a mangiare in un ristorante subito dopo aver sentito l’allora premier Giuseppe Conte. Peccato che quel giorno Roma fosse in zona arancione e i ristoranti chiusi al pubblico sia a pranzo che a cena! Come si è giustificato? Scopritelo con noi stasera dalle 21.10 su Italia1. Le restrizioni e le norme di contenimento del coronavirus valgono per tutti? Una domanda dovuta, visto quello che hanno scoperto i nostri Filippo Roma e Marco Occhipinti! È il 28 gennaio: il giudice Nunzio Sarpietro arriva a Roma per sentire l’allora premier Giuseppe Conte sul “caso Gregoretti”. Chiamato a decidere su uno dei casi giudiziari più discussi della politica italiana, nonostante il pm Andrea Bonomo abbia per due volte chiesto l'archiviazione del caso, il gup Sarpietro ha deciso invece di sentire il premier e tutti i ministri coinvolti. Il 28 gennaio, in piena crisi di governo, Sarpietro arriva nella Capitale per interrogare l’allora presidente del Consiglio, Giuseppe Conte. Il giudice trascorre la mattinata a Palazzo Chigi e dopo aver sentito il premier improvvisa una conferenza stampa ripresa da tutti i tg. Poco dopo attraversa il centro della città fino ad arrivare in via Valenziani, in zona Porta Pia. Lì il giudice infrange il dpcm in vigore, pranzando in un ristorante che sarebbe dovuto essere inaccessibile al pubblico come quelli di quasi tutto il territorio nazionale! In quei giorni infatti 15 regioni italiane erano in zona rossa o arancione e i ristoranti erano quindi chiusi al pubblico oltre che a cena anche a pranzo. E il Lazio era tra quelle. Il giudice però entra per pranzare in uno dei ristoranti di pesce più rinomati di Roma: Chinappi. Il locale dovrebbe essere chiuso al pubblico, come prescrivono le norme di contenimento del coronavirus. Eppure i nostri Filippo Roma e Marco Occhipinti lo vedono entrare lì, e allora entrano per chiedergli spiegazioni mentre è attovagliato e con il bicchiere pieno di champagne: come si sarà giustificato Nunzio Sarpietro? Per scoprirlo non perdetevi il servizio in onda questa sera dalle 21.10 su Italia1.
Da "le Iene" il 6 febbraio 2021.
Giudice: “Guardi io sono qua con mia figlia…”
Iena: “Stare con la figlia le permette di non rispettare la legge?”
Giudice: “L’unico posto in cui potevo stare con lei in un momento tranquillo e non è minimamente, non c’è niente guardi…”
Iena: “Non è grave che un uomo di legge sia il primo a non rispettare la legge?”
Giudice: “No non è un rispetto della legge e se c’è una contravvenzione la pago…”
Iena: “Lei in questo momento sta rispettando la legge oppure no?”
Giudice: “Io in questo momento sto violando un regolamento che è un elemento ulteriore. Di cose gravi ce ne sono ben altre. Ritengo che sia super sicuro e che sia una situazione in cui non ci sia assolutamente niente di particolarmente grave”
Iena: “Un comportamento del genere secondo lei è rispettoso verso verso quei ristoranti che rimangono chiusi e quei cittadini che rinunciano ad andare al ristorante?”
Giudice: “Ho sbagliato lo ammetto, confesso, ma questo non porta nessun tipo di problema su come uno fa il magistrato mi creda. Ho fatto la violazione, ok? Tutto qua. Hanno fatto questa cortesia perché c’è mia figlia, ma non credo che sia niente di drammatico, dai!"
Giudice: “Guardi c’è solo un goccino di vino e tre piatti freddi” (polpo)
Ristoratore: “Ha mangiato una spigola al sale, un po’ di polpo e un po’ di crudi, gamberi gobetti, palamide, poi i gamberi rossi e gli scampi. Tutti e tre così. Lo spaghettino alle telline l’ha mangiato solo la figlia. Poi uno champagne. Il conto finale? 200 euro”
Ristoratore: “Lo sai come mi hanno prenotato? Come promessa di matrimonio. La figlia si sta a sposa questo, che ne so io. Poi me faranno pure la multa sicuro sono 4 mila euro capito? Per 200 euro."
Lockdown e norme anti covid valgono per tutti? È il 28 gennaio: il giudice Nunzio Sarpietro arriva a Roma per sentire l’allora premier Giuseppe Conte sul “caso Gregoretti” e infrange il dpcm in vigore, pranzando in un ristorante che sarebbe dovuto essere inaccessibile al pubblico come quelli di quasi tutto il territorio nazionale. In quei giorni 15 regioni italiane erano in zona rossa e arancione e i ristoranti erano quindi chiusi al pubblico oltre che a cena anche a pranzo. Il servizio di Filippo Roma e Marco Occhipinti, in onda domani, martedì 16 febbraio, in prima serata su Italia 1. Chiamato a decidere su uno dei casi giudiziari più discussi della politica italiana, nonostante il pm Andrea Bonomo abbia per due volte chiesto l'archiviazione del caso, il Gup Sarpietro ha deciso invece di sentire tutti i ministri coinvolti. Ad ottobre presso il Tribunale di Catania è stata la volta dell’ex ministro dell’Interno Matteo Salvini e che al momento è indagato per sequestro di persona. A dicembre invece ha ascoltato gli ex ministri Danilo Toninelli ed Elisabetta Trenta. Venerdì prossimo sentirà i nuovi ministri del Governo Draghi Luigi di Maio e Luciana Lamorgese, mentre il 28 Gennaio, in piena crisi di Governo in corso, è arrivato nella Capitale per interrogare l’allora Presidente del Consiglio dei Ministri, Giuseppe Conte. Il giudice trascorre la mattinata a Palazzo Chigi e dopo aver sentito il Premier improvvisa una conferenza stampa ripresa da tutti i tg. Poco dopo attraversa il centro della città, passa per le strade più note della capitale fino ad arrivare in via Valenziani, in zona Porta Pia, ed entra per pranzare in uno dei ristoranti di pesce più rinomati di Roma: Chinappi, che dovrebbe essere chiuso al pubblico, a pranzo e a cena, come da dpcm. Il giudice - alla vista dell’inviato della trasmissione - appare evidentemente in imbarazzo e tenta di giustificarsi spiegando che si trova in quel ristorante a pranzo perché era l’unico modo per passare del tempo in compagnia della figlia. Filippo Roma allora gli chiede se quello è un buon motivo per violare un decreto in vigore, se è rispettoso nei confronti dei tanti cittadini che non possono farlo e verso tutti gli esercizi che devono stare chiusi per osservare le regole. Il giudice dichiara, in un primo momento, di non trovare il proprio un comportamento grave, poi quando la Iena lo incalza ammette la violazione, “non di una legge, ma di un regolamento”, ma sostiene non si tratti di nulla di drammatico, di tenere comunque un comportamento sicuro e si dice che è disposto a pagare una sanzione. Però provando ancora a giustificarsi dichiara: “Guardi c’è solo un goccino di vino e tre piatti freddi” (polpo verace, ndr), sottolineando la frugalità del suo pranzo. Ma è possibile che uno dei ristoranti di pesce più rinomati della capitale apra apposta e rischi una multa per tre antipasti di polpo e un bicchiere di vino, si chiede Filippo Roma incredulo. Il ristoratore smentisce il giudice descrivendo il menù scelto dai tre commensali ben più ricco da quello dichiarato dal giudice: antipasti di polpo, dei piatti di pesce crudo con gamberi, scampi e palamide, degli spaghetti alle telline, cavallo di battaglia del ristorante, e una spigola al sale, il tutto innaffiato da una bottiglia di pregiato champagne. Per quale occasione tutte queste prelibatezze? Il ristoratore racconta si tratterebbe della promessa di matrimonio della figlia del giudice che siede lì al tavolo accompagnata dal fidanzato. A seguire lo scambio di battute tra l’inviato della trasmissione, il giudice Sarpietro e il ristoratore Stefano Chinappi:
Iena: Giudice! Se proprio lei con i ristoranti chiusi in tutta Italia, in piena pandemia, in pieno lockdown, sta al ristorante a mangiare…
Giudice: Guardi io sono qua con mia figlia.
Iena: Ho capito, ma stare con la figlia le permette di non rispettare la legge?
Giudice:...l’unico posto in cui potevo stare con lei in un momento tranquillo. E non è minimamente, non c’è niente guardi…
Iena: Non c’è problema, per legge i ristoranti sono chiusi e il giudice sta al ristorante e dice non c’è problema.
Giudice: Eh va beh, lei vuole mettere il commento, lo metta come vuole, io devo vedere mia figlia e non avevo altro da fare.
Iena: Quanti altri italiani vorrebbero andare a pranzo o a cena con la figlia nelle zone arancioni e non possono?
Giudice: Guardi lei mi dice una cosa, io sono in zona rossa in Sicilia, non vado a pranzo fuori da una vita e sono un povero disgraziato che non riesce a vedere tantissimi amici che tra l’altro ho perso con la pandemia.
Iena: Quindi sa quant’è importante rispettare le normative anti covid. Perché lei non la rispetta?
Giudice: Infatti lo sto rispettando qua con…
Iena: E certo! Lo sta rispettando ma mangiando al ristorante a Roma, in zona arancione, dove in teoria i ristoranti per legge dovrebbero essere chiusi!
Giudice: Va bene mi sono meritato qualche premio particolare? No?
Iena: Non è grave che un uomo di legge sia il primo a non rispettare la legge?
Giudice: No non è un rispetto della legge e se c’è una contravvenzione, se mi fa una contravvenzione, la pago, era previsto anche così.
Iena: E non gliela posso fare perché non sono un vigile.
Giudice: Eh chiama un vigile e me la fa fare.
Iena: Sì al di là della contravvenzione però un comportamento del genere secondo lei è rispettoso verso quei cittadini che invece la legge la stanno rispettando? Verso quei ristoranti che rimangono chiusi e quei cittadini che quindi rinunciano ad andare al ristorante?
Giudice: Guardi, non è che posso trovarle delle scuse o delle giustificazioni particolari, è una situazione in cui, ripeto, per vedere mia figlia e tutto qua, poi per il resto se ho sbagliato ho sbagliato lo ammetto, confesso, ma questo non porta nessun tipo di problema su come uno fa il magistrato, mi creda.
Iena: Lei in questo momento sta rispettando la legge oppure no? Me lo dica.
Giudice: Io in questo momento sto violando un regolamento che è un elemento ulteriore e successivo e questa violazione del regolamento è una cosa che può essere considerata non condivisibile ma di cose gravi ce ne sono ben altre.
Iena: Sì ho capito però se il regolamento dice che per non prendersi il covid è meglio che i ristoranti siano chiusi questo suo comportamento è un comportamento sicuro oppure no?
Giudice: Il mio in questo momento ritengo che sia super sicuro e che sia una situazione in cui non ci sia assolutamente niente di particolarmente grave. Non è che le sto dicendo “sono qua ho rispettato”, ho fatto la violazione, ok? Tutto qua.
Iena: Tutto qua. Va beh, scusi ma il ristorante l’hanno aperto solo per lei?
Giudice: Beh adesso non lo so, probabilmente hanno fatto questa cortesia perché c’è mia figlia, hanno aperto e basta, ma non per me, una cortesia che hanno fatto, ma non credo che sia niente di drammatico, dai!
Adesso Filippo Roma si rivolge al ristoratore:
Iena: Buongiorno, lei è il proprietario? È un ristoratore cortese, complimenti!
Ristoratore: Eh non… ho fatto sedere tre persone perché qua è insostenibile andare avanti.
Iena: Io la capisco, io la capisco!
Ristoratore: Non si può andare avanti, per tre persone, guarda qua, c’è distanza e tutto, seguiamo le regole però… fino a un certo punto.
Iena: Le regole non le sta seguendo, se quella è la regola.
Ristoratore: No, le stiamo seguendo le regole, perché è un anno che stiamo…nessuno lo mette in dubbio, ma per tre persone come lei vede…
Iena: Ho capito, non è neanche una persona qualunque, parliamo di un giudice.
Ristoratore: Che caspita ne so io!
Iena: E’ il giudice del caso Gregoretti. Magari lei ha chiuso un occhio perchè è un personaggio importante questo qua?
Ristoratore: No no no, ‘che sono tutti uguali.
Di nuovo l’inviato al giudice Sarpietro:
Iena: Almeno qui il pesce è buono?
Giudice: Quello che ho mangiato finora è buono.
Iena: Che ha preso?
Giudice: Del polipo fatto molto bene.
Iena: Più buono questo o quello siciliano?
Giudice: Beh no, quello siciliano è altrettanto buono, qui credo sia un ottimo pesce.
Iena: Primo?
Giudice: No no, niente primo, sono proprio tre piattini così, molti freddi e solo per stare mezz’oretta con mia figlia, basta.
Iena: La lasciamo a sua figlia.
Giudice: No no, niente, guardi, c’è un goccino di vino e tre piatti freddi, insomma.
Ma il proprietario del ristorante si lascia andare ad uno sfogo che sembrerebbe far pensare ad altro.
Ristoratore: Allora? Mi avete massacrato? Che poi mi faranno pure la multa sicuro sono 4mila euro capito? Per 200 euro.
E, il menù consumato al tavolo, secondo il ristoratore sarebbe ben più ricco:
Ristoratore: Ha mangiato una spigola al sale, un po’ di polpo e un po’ di crudi.
Iena: Tipo crudi, quali?
Ristoratore: Gamberi gobetti, palamide, poi ha mangiato i gamberi rossi e gli scampi.
Iena: Ammazza che super piatto! La figlia che ha mangiato invece?
Ristoratore: Tutti e tre hanno mangiato così e poi lo spaghettino alle telline l’ha mangiato solo la figlia.
Iena: Che vino ha preso il giudice?
Ristoratore: Uno champagne
Iena: E quanto è stato il conto finale?
Ristoratore: 200 euro.
Il padrone di casa spiega anche quale occasione speciale starebbero festeggiando i tre commensali:
Ristoratore: Lo sai come mi hanno prenotato? Come promessa di matrimonio! La figlia si sta sposando penso, che ne so io, tre persone, le ho messe dentro… hai capito? E il padre è uscito dal palazzo Chigi e ha detto “va beh vengo pure io” per conoscere la promessa di matrimonio, per fare queste cose. Stiamo in difficoltà capito? Poi voi l’avete seguito da palazzo Chigi.
Iena: Eh beh si.
Ristoratore: Va beh, ora ve ne andate? perché questo sta… se no se non ve ne andate…
Filippo Roma cerca di capire se il giudice Sarpietro sia o meno pentito di questo pranzo clandestino.
Iena: Mentre tutti gli italiani a pranzo in zona arancione e rossa non possono andare nei ristoranti invece il giudice si fa i piattini e i brindisi con il vino.
Giudice: E va bene, sarò distrutto dall’opinione pubblica, cosa vuole che le dica, che è così, è andata così, basta.
Iena: Ci promette che d’ora in poi si atterrà ai regolamenti?
Giudice: Guardi io le prometto di continuare ad essere quel giudice serio che sono sempre stato, tutto qua.
Le auguriamo buon proseguimento e buon appetito!
Giudice: Anche a lei, buona giornata.
Iena: Arrivederci.
Giudice: Arrivederci.
E infine raccoglie lo sfogo del ristoratore:
Ristoratore: Io ho sbagliato però guardi noi abbiamo dallo spazzino al Presidente della Repubblica dove gli mandiamo il pesce. Per me sono tutti uguali, l’importante è che si va avanti, non si fanno più i soldi di prima. Sono tre persone e io per 200euro ho rischiato, rischio, perché adesso, 200 euro, sono soldi veri per pagare i miei dipendenti.
Iena: In bocca al lupo per tutto. Arrivederci.
Ristoratore: Arrivederci.
Monica Serra per “La Stampa” il 25 agosto 2021. «Il vero problema è il basso livello di specializzazione dei giudici sulla violenza di genere». Va dritto al punto il presidente della sezione misure di prevenzione del Tribunale di Milano, Fabio Roia, consulente della Commissione parlamentare sul femminicidio, da sempre in prima linea e che, per il suo impegno, nel 2018 ha ricevuto l'Ambrogino d'oro dal Comune di Milano.
Quella di Vanessa è l'ennesima «tragedia annunciata». Si poteva evitare?
«Non ho letto le carte ma sicuramente c'è stata un'erronea valutazione di rischio a cui era esposta la vittima. E' un'operazione difficile e diversa da quella che si compie per tutti gli altri reati».
Quali sono le differenze?
«L'uomo violento è un manipolatore, che minimizza e si trasforma, si presenta bene a polizia e magistrati e può trarre in inganno: per valutarlo non si possono adottare i classici parametri».
Per esempio?
«I precedenti penali: molti uomini violenti non ne hanno ma non significa che siano meno pericolosi».
Che cosa intende per basso livello di specializzazione?
«Le competenze necessarie spaziano dalla criminologia alla psicologia. Il tasso di specializzazione è dell'80% nelle procure, solo del 20 tra i giudici».
Quali sono i parametri per valutare i rischi?
«Sono raccolti nel protocollo Sara plus del Piano nazionale antiviolenza, come il crescendo dei comportamenti violenti, i casi in cui la vittima è incinta. Poi serve empatia e propensione a occuparsi della materia».
Il Codice rosso è sufficiente?
«E' una buona legge che ha introdotto l'obbligo di tempestività delle procure e il principio di trattamento degli uomini violenti che, per ottenere l'estinzione della pena, devono seguire percorsi in centri specializzati che abbattono il rischio di recidiva».
Funziona?
«A Milano sì, di recente il Tribunale ha firmato un protocollo con l'Ats che controlla questi centri. Nel resto d'Italia meno: in alcune zone mancano istituti specializzati»
Cosa si può migliorare?
«Alcune norme su cui sta lavorando la Commissione parlamentare. Come l'arresto in flagranza che oggi non è consentito se l'uomo viola il divieto di avvicinamento. Proprio come è successo nel caso di Vanessa: se la polizia avesse avuto il tempo di intervenire, la procura avrebbe dovuto chiedere l'aggravamento della misura al gip, perdendo del tempo fondamentale».
Riccardo Lo Verso per il "Corriere della Sera" il 25 agosto 2021. «Se so che hai qualcuno ti piglio a colpi di pistola, prima a te e poi a lui», aveva urlato Antonino Sciuto a Vanessa. Era la vigilia dello scorso Natale. Una lunga scia di episodi ha preceduto il femminicidio di Aci Trezza. Per mesi Vanessa, assassinata con sette colpi di pistola alla testa domenica notte, è stata minacciata di morte, pedinata e picchiata. Nonostante la vittima avesse denunciato e fatto arrestare il suo ex, Sciuto era rimasto in libertà. «Con le leggi giuste — dice il padre di Vanessa — si sarebbe potuto evitare l’omicidio di mia figlia, ma anche quelli che ci sono stati e quelli che verranno dopo. Quelli come Sciuto li devono chiudere e recuperare perché hanno dei problemi. Il suo suicidio? Si è tolto dai piedi e non può fare più danni».
Il giudice. L’8 giugno scorso Vanessa chiamò i carabinieri. Era stata seguita da Sciuto fino alla casa di Trecastagni. Fu arrestato in flagranza di reato. La Procura di Catania aveva chiesto i domiciliari, ma il giudice per le indagini preliminari gli impose il solo divieto di avvicinamento alla vittima. La «prescrizione» che obbligava Sciuto a «mantenersi ad almeno 300 metri di distanza» da Vanessa è rimasta lettera morta. Non poteva proteggerla dalla furia del suo carnefice. E adesso è polemica sul provvedimento del giudice Filippo Castronovo. Ma in sua «difesa» interviene Nunzio Sarpietro, presidente della sezione gip del tribunale di Catania: «Non mi sento di contestare alcuna colpa al collega, ha agito secondo legge: nel fascicolo c’erano anche elementi contrastanti di cui ha tenuto conto, come un primo riavvicinamento tra i due». Poi una frase destinata ad alimentare le polemiche: «Anche se lui fosse stato ai domiciliari sarebbe potuto evadere e commettere lo stesso il delitto. È difficile controllare tutti gli stalker , noi emettiamo come ufficio 5-6 ordinanze restrittive a settimana ed è complicato disporre la carcerazione perché occorrono elementi gravi e, comunque, non si può fare fronte ai fatti imponderabili».
La procura. Di «decisione opinabile ma rispettabile, come lo era d’altra parte la nostra richiesta» parla il procuratore Carmelo Zuccaro, che allontana ogni sospetto di scontro fra gli uffici. Per entrambi i magistrati c’è una evidente falla nel sistema. Secondo il capo dei pm «occorrerebbero dei centri di riabilitazione con l’obbligo di frequentazione per monitorare gli stalker e tentare di recuperarli». Sarpietro propone l’utilizzo di «un braccialetto elettronico per l’indagato che segnali la sua presenza e un dispositivo per la vittima che emetta segnali acustici e luminosi quando lo stalker viola la distanza impostagli». Di umiliazioni Vanessa ne aveva subite tante, troppe. L’11 aprile si trovava in un bar a Pedara assieme a tre cugine. Era il giorno del suo compleanno, il ventiseiesimo, l’ultimo che festeggerà. Nel locale entrò Sciuto. «Mi sputa in faccia, urla femmina puttana, divertiti che poi mi diverto io — ricostruiva Vanessa nella denuncia —, con il telefonino mi ha rotto gli occhiali». Lei aveva provato a concedergli «un’altra possibilità perché diceva che sarebbe diventato un uomo migliore». Era una bugia. Riprese subito a picchiarla: «Mi ha provocato lividi con calci e pugni in diverse parti del corpo».
La vittima. Vanessa viveva nel terrore e chiedeva un provvedimento urgente per fermare il suo ex. Il pericolo di reiterazione del reato era stato considerato «concreto e reale» dal giudice che aveva convalidato l’arresto. Allo «stato» però, così scriveva nell’ordinanza di custodia cautelare, si poteva fare affidamento sullo «spontaneo rispetto delle prescrizioni dell’indagato non gravato da precedenti recenti e specifici». Domenica notte Sciuto ha superato la soglia limite di 300 metri e ha ucciso Vanessa.
“La donna non riesce a tenere una condotta univoca”. Omicidio Vanessa Zappalà, se persino il giudice pensa che un po’ di colpa sia della donna. Tiziana Maiolo su Il Riformista il 27 Agosto 2021. Sentir dire, oltre a tutto dalla bocca di un giudice, dopo l’omicidio di Vanessa Zappalà, la numero 41 di quest’anno, che “la donna non riesce a tenere una condotta univoca” nei confronti del maschio predatore, quello che poi la violenta oppure arriva a ucciderla, riporta lontana la memoria, a quel famoso “Processo per stupro” del 1979. A triste disperante dimostrazione che quarant’ anni non sono bastati. Non sono stati sufficienti alle donne per riuscire a difendere il proprio corpo e la propria dignità. Non sono bastati per gli uomini a far proprio il problema che li riguarda in prima persona, tutti quanti. Perché i predatori sono maschi, e non c’è guerra in cui il corpo violato delle donne non sia il trofeo esibito dai vincitori. E non c’è violenza di gruppo in cui non si senta dire –ancora, ancora!- che “lei ci stava”. E ci tocca anche avere nelle orecchie, e subito dopo nella mente e nel corpo la voce di un giudice che invita La Donna, cioè tutte le donne, tutte noi a “tenere una condotta univoca”. Vanessa Zappalà era una giovane donna di 26 anni. Quale sia stata la sua condotta di vita, lo possiamo immaginare. Normale. Non sappiamo se indossasse la minigonna, ossessione dei maschi degli anni settanta, sicuro indizio di leggerezza sessuale da parte di chi la indossava. Evocata come strumento del diavolo da tronfi avvocati maschi in ogni processo per molestie o violenza sessuale, come attenuante per lo stupratore. Poco sappiamo anche della relazione sentimentale tra Vanessa e il suo ex fidanzato-assassino, che le ha dato e si è dato la morte, la pena che non è neppure prevista dal codice. C’è solo un macabro ritornello che insegue la donna che non ama più: se non sei più mia, non potrai essere di nessun altro. E’ più che possesso, è oscuro retropensiero che ci porta d’un tratto un pezzo di Afghanistan, quello dei Talebani, sull’uscio di casa. “Io sono mia” gridavamo nelle strade e nelle piazze negli anni settanta, indicando con il gesto dei due pollici e indici uniti in alto, la nostra libertà sessuale. Non volevamo essere di nessun altro, neppure di chi ci amava. Vanessa aveva un po’ litigato e un po’ perdonato, come facciamo tutte noi donne, davanti al predatore che si mostrava pentito. Manipolatore, in realtà. Ma le denunce della ragazza erano “univoche”, parlavano per lei. E avrebbero meritato maggior ascolto. Diversa sensibilità, più che altro. Perché il problema qui e oggi non è più quello dell’aumento delle pene. Intanto perché mai, nella storia del mondo intero, qualcuno è andato a consultare il codice penale prima di commettere un reato, in particolare i delitti più gravi come lo stupro e il femminicidio. Mai l’inasprimento delle condanne ha dissuaso qualcuno dal commettere delitti. E poi anche perché di questo tipo di comportamenti devianti si occupano solo le donne. Lo vediamo ogni volta, fin dal 1996 quando la violenza sessuale divenne finalmente reato contro la persona e non più contro “la morale” (orrore!), fino al recente Codice Rosso di due anni fa, sono sempre le donne, per fortuna ormai numerose in Parlamento, le protagoniste di ogni riforma sui propri diritti. Sono loro a essere ferite, sono loro a cercare le soluzioni. Con tutte le contraddizioni del caso, perché anche ogni aumento di pena è una ferita. Se si stesse parlando della normale vita quotidiana dei tribunali, dovremmo dire che nel caso di Vanessa, la legge è stata applicata. Arresti domiciliari per lo stalker, poi attenuati dal gip con il divieto di avvicinamento alla vittima. Ma non siamo in una situazione di normalità, siamo nella prevedibilità, con alta percentuale, che quel predatore ossessionato dal “o mia o di nessun altro”, attuerà un femminicidio, cioè ucciderà l’oggetto della propria possessività. Da gennaio a questo agosto, ogni mese quattro e cinque e sei donne uccise fino a 41 con Vanessa, in una vera guerra dei sessi, dove non ci sono più sentimenti, ma l’annullamento di persone tramite l’appropriazione totale del loro corpo: me lo prendo come bambola rotta quando lo violento, lo distruggo quando non lo voglio più, perché dalla sua bocca è uscito un NO. Vede, giudice Sarpietro, lei che aveva espresso tanta ammirazione nei confronti dell’ex premier Conte, lei che si è fatto beccare con il piccolo privilegio di far aprire un ristorante chiuso in zona arancione, lei che ha detto la famosa frase sulla carenza di condotta univoca non di Vanessa, ma “della Donna”, cioè di tutte noi. Lei dimostra, come ogni giorno tanti uomini, come tanti magistrati, come tanti legislatori, che tutto sommato dei diritti delle donne non le importa niente. Per lei è solo burocrazia, il suo collega gip ha applicato la norma. Ci sono leggi speciali, procuratori speciali, carceri speciali, spazzacorrotti e ossessioni varie con cui è stato rimpinzato fino a esplodere il nostro codice penale. Siamo intercettati in Italia più che negli interi Stati Uniti. Le conferenze-stampa sul pericolo-mafia che c’è e anche su quello che non c’è, del procuratore Gratteri inondano giornali, tv e social. Alcuni ossessionati ancora indagano su una trattativa che non c’è mai stata, né trent’anni fa né negli anni successivi. E altri, ancora ossessionati dai processi bis e ter, vogliono sapere che cosa faceva Berlusconi la notte. Ma per i diritti delle donne non c’è mai tempo. Vengono presi alla leggera, come se non corresse il sangue più che per i delitti di mafia. Ancora ricordo quel deputato che gridò in aula “ma chi ve l’ha chiesto?”, mentre noi, per arrivare a una votazione importante che spazzava via il concetto di “morale” dalla violenza sui nostri corpi, avevamo detto che avremmo rinunciato all’intervento orale, e presentato quello scritto. Più che una battuta volgare, quella frase mostrava il disinteresse dell’uomo. E allora, visto che, pur lasciando l’ultima parola ai magistrati, forse il Parlamento potrà dire la sua sulle priorità di indagine, per quest’anno si scelga il femminicidio come precedenza assoluta. E i magistrati si impegnino a allontanare davvero i predatori dalle loro vittime. Fisicamente. Si usi il carcere, che non ci piace, o un altro luogo di isolamento, una comunità, o il domicilio con braccialetto elettronico, ma si tengano lontani i persecutori dalle loro prede. Almeno questo ci è dovuto, perché quella drammatica contabilità delle vittime di quest’anno si fermi a 41. Mentre ci diamo da fare per liberare le donne afghane dai loro burka, per favore liberiamoci anche dai nostri.
Tiziana Maiolo. Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.
Il giudice ha sbagliato: l’omicida di Vanessa poteva essere fermato col bracciale elettronico. Lo spiega al “Dubbio”, la senatrice Valeria Valente, presidente della commissione “Violenza di genere. «L’omicida di Vanessa doveva avere il braccialetto elettronico». Giacomo Puletti su Il Dubbio il 27 agosto 2021. «Ho il dovere di smentire quanto leggo rispetto all’omicidio di Vanessa, quando si dice che non si poteva utilizzare il braccialetto elettronico. Nel 2019, con la modifica dell’articolo 282 ter comma 1 del codice di procedura penale, abbiamo esteso l’uso del braccialetto anche alla misura cautelare del divieto di avvicinamento, quindi anche nel caso in questione. Quanto affermato è gravissimo». Sono parole che pesano come pietre quelle che pronuncia la presidente della commissione parlamentare sulla violenza di genere, Valeria Valente, quando spiega che il presunto assassino della povera Vanessa Zappalà poteva essere “controllato” usando un semplice braccialetto elettronico. Era stato il capo dell’ufficio Gip di Catania in persona, il dottor Nunzio Sarpietro, a spiegare a Repubblica che «il braccialetto si può mettere solo agli arrestati domiciliari». Ma la verità, come spiega Valente al Dubbio, è un’altra.
Senatrice Valente, qual è stata la sua reazione di fronte all’omicidio di Vanessa Zappalà?
Innanzitutto ho il dovere di smentire quanto leggo rispetto all’omicidio di Vanessa, quando si dice che non si poteva utilizzare il braccialetto elettronico. ( «Oggi il braccialetto elettronico si può mettere solo agli arresti domiciliari», ha detto Nunzio Sarpietro, presidente dell’Ufficio gip di Catania, ndr). Nel 2019, con la modifica dell’articolo 282 ter comma 1 del codice di procedura penale abbiamo esteso l’uso del braccialetto anche alla misura cautelare del divieto di avvicinamento, quindi anche nel caso in questione. Quanto affermato è gravissimo.
Si riferisce all’intervista a Repubblica in cui in sostanza il gip ha spiegato che non c’era nulla da fare se non quello che ha fatto.
Non posso pensare che un giudice possa credere che non c’era nulla da fare. Se si parla di labilità psichica stiamo condannando le donne e non è accettabile. Dire che è stata concessa la misura più tenue perché si erano chiariti è aberrante perché tutti sanno quante volte situazione che sembrano chiarite poi degenerano di nuovo, spesso in peggio. Bisogna leggere le violenze in maniera corretta ed essere adeguatamente formati per applicare le norme che ci sono. La prima sfida da vincere è questa, la seconda è quella di migliorare il sistema.
Da cosa è stato causato secondo lei il cortocircuito?
Mi permetto di dire che in molti casi una grande criticità è la mancata specializzazione degli operatori. Proporrò alla commissione di acquisire gli atti del procedimento per capire bene la dinamica del fatto. Non sono ancora in grado di dire dove sia stato il cortocircuito ma è quello che voglio capire. Una donna che denuncia non può morire, è una sconfitta di tutti noi. Abbiamo fallito tutti: istituzione giudiziarie e politiche.
Con quali conseguenze?
Non applicare le norme esistenti è una gravissima ragione che potrebbe spingere tante altre donne a non denunciare, sapendo quali sono i rischi. Noi dobbiamo proteggere le donne che denunciano e se non siamo in grado di farlo allora è un fallimento. Nel caso di specie c’erano norme che non sono state utilizzate. Ma ripeto che per capire dove è stato fatto l’errore devo guardare le carte.
Torniamo sulla specializzazione dei gip, quanto è grave il problema e cosa servirebbe per risolverlo?
Sul tema della specializzazione degli operatori del sistema giustizia siamo ancora molto indietro. La questione diventa particolarmente critica per i gip. C’è in ogni caso una questione culturale che investe il tema giustizia. Ricordiamo sempre a noi stessi che le misure cautelari nel sistema della violenze noi le abbiamo mutuate dal codice antimafia e sono legate a una valutazione della pericolosità sociale del soggetto. Di fronte a ciò facciamo una scelta molto forte, limitando la libertà personale del soggetto prima dell’esito del processo e la motiviamo pensando che la tutela della vittima prevalga rispetto alla sua libertà.
Le norme esistenti sono sufficienti a proteggere le donne?
Il sistema normativo è robusto e serio. Ma si può sempre fare di più e meglio tant’è che io stessa ho presentato diversi progetti di legge, penso a quelli contro le molestie sessuali nei rapporti di lavoro, penso anche ad alcune proposte di modifica al codice rosso, nel quale abbiamo istituito il reato di violazione delle misure di protezione. Nella riforma del processo penale è stata aggiunta inoltre la possibilità di arresto in flagranza per chi viola le misure di protezione e abbiamo proposto il fermo nella quasi flagranza.
Cerchiamo di spiegare, in cosa consiste?
Molto spesso capita che il poliziotto non trovi l’autore della violenza ma un quadro già molto esplicito e in quel caso secondo noi si deve andare a prendere e fermare per 24/ 48 ore per capire come e se mettere sotto protezione la donna. Per fare questo ci vogliono operatori specializzati. Il tema centrale resta quello della formazione e della specializzazione e di formare una cultura priva di pregiudizi che porti a credere alle donne senza indugio.
Cosa risponde a chi dice che in casi come questo basterebbe arrestare lo stalker o il molestatore così da tagliare il problema alla radice?
Chiunque pensa di volere tutti in galera sbaglia, perché agire solo sul fronte repressivo non aiuta e non ha aiutato. Il tema che non riusciamo ad aggredire è il cambio di rotta culturale. Non dobbiamo più girarci dall’altra parte. Gli uomini che usano violenza non si sentono ancora giudicati anche se, ovviamente, dobbiamo continuare con la strada del recupero degli uomini maltrattanti.
Caso Vanessa, il gip lo ammette: «La legge sul braccialetto elettronico c’era: io frainteso». Nunzio Sarpietro, il capo dell’ufficio gip di Catania, che si è occupato del caso di Vanessa Zappalà, vittima di stalking da parte dell’ex fidanzato che poi l’ha uccisa e si è suicidato, chiarisce la sua posizione. Giacomo Puletti su Il Dubbio il 28 agosto 2021. Nunzio Sarpietro è il capo dell’ufficio gip di Catania, quello che si è occupato del caso di Vanessa Zappalà, vittima di stalking da parte dell’ex fidanzato che poi l’ha uccisa e si è suicidato. Giudice Sarpietro, in riferimento al caso di Vanessa Zappalà lei ha detto che il braccialetto elettronico si può dare solo in caso di arresti domiciliari, ma non è così. Può chiarire?
Le dico subito che qui a Catania abbiamo provato a fare alcuni esperimenti e a dare il braccialetto, ma i braccialetti non ci sono: questo è il problema. La norma dice espressamente che si possono applicare «nella misura in cui la polizia giudiziaria ne abbia la disponibilità» e disponibilità non c’era. Il problema è stato questo: anche se il collega avesse adottato questo provvedimento di fatto non sarebbe mai stato applicato.
Eppure nell’intervista concessa a Repubblica dice un’altra cosa.
Repubblica ha spezzettato l’intervista e il problema, con le interviste, è sempre questo. Avevo detto che c’era una fase, prima della riforma, in cui si poteva dare solo agli arresti domiciliari. Poi la norma è stata cambiata ma a oggi è inapplicabile perché non c’è disponibilità di braccialetti elettronici. Il problema non è solo in Sicilia ma dappertutto.
Se il suo collega avesse avuto disponibilità avrebbe preso questo provvedimento?
Certamente sì. Lo stesso collega, le posso assicurare, provò a darli in due o tre occasioni precedenti ma non fu possibile perché non c’erano. L’intervista di Repubblica è rimasta monca perché ora si può dare ma di fatto non esiste. Già i braccialetti “da interno”, quelli da domiciliari, sono in numero molto limitato in tutta Italia. È un problema di disponibilità materiale, se li avessimo ne avremmo applicati cento o duecento. Sono questioni tecniche che non vengono attenzionate.
In quell’intervista lei ha anche detto che è stato fatto di tutto per salvare la vita a Vanessa. Se la sente di ribadirlo?
Dico che si poteva fare di più per salvare la vita a Vanessa. Ma se non abbiamo il materiale tecnico è impossibile. Faccio un appello al Ministero affinché possa finalmente fornire i braccialetti per consentire di monitorare con più attenzione il fenomeno. Il braccialetto che attualmente non abbiamo dovrebbe essere collegato con un secondo braccialetto che viene dato alla vittima. Un solo braccialetto, quello per il maltrattatore, funziona solo se c’è un altro terminale collegato alla vittima che la avvisa quando il maltrattatore è a una certa distanza. A quel punto la vittima può allontanarsi o chiamare i carabinieri. Ma mancano entrambi.
Insomma lei smentisce l’intervista. Perché non ha chiesto la rettifica?
Quando le interviste non vengono riportate per intero purtroppo la gente non capisce quello che si vuole dire. L’intervista era molto più lunga e articolata. Non ho chiesto la rettifica perché in questi casi o non viene riportata o viene riportata con un piccolo richiamo che non chiarisce la vicenda. Sono felice di poter rettificare con questa intervista al Dubbio e insisto nel dire che se avessimo avuto altri strumenti qualcosa per salvare la vita di Vanessa si poteva fare, chiaramente con il punto interrogativo dell’imprevedibilità. Se avesse avuto il braccialetto o fosse stato agli arresti domiciliari sarebbe stato comunque difficile contenerlo, ma certo con il doppio braccialetto a vittima e maltrattatore questa vicenda poteva finire diversamente.
Così il resto d’Europa usa il braccialetto elettronico sugli stalker ma anche sulla vittima. Tecnicamente si parla di “tracciamento di prossimità”, ed è lo scenario in cui la potenziale vittima di aggressione venga dotata di un dispositivo in grado di rilevare la presenza dell’aggressore – dotato di braccialetto elettronico - nelle vicinanze e di generare immediatamente un allarme verso il Centro di Monitoraggio. Damiano Aliprandi su Il Dubbio il 28 agosto 2021. È vero che il braccialetto elettronico per misura anti stalker è stato introdotto nel 2019, ma serve a ben poco se la potenziale vittima non è dotata di un dispositivo per rilevare la presenza dell’aggressore. Il 9 agosto del 2019 è stata varata le legge che ha recato modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere. In questa occasione è stata introdotto la possibilità di fare ricorso all’utilizzo del braccialetto elettronico anche nel caso di stalking. Inquadriamo la questione. Lo stalking è una serie di atteggiamenti tenuti da un individuo che affligge un’altra persona, perseguitandola ed ingenerandole stati di ansia e paura, che possono arrivare a comprometterne il normale svolgimento della quotidianità. Il fenomeno è anche chiamato: “sindrome del molestatore assillante”. E’ reato di stalking se la vittima riceve continuamente telefonate e sms insistenti, e- mail ingiuriose o minacciose, se è inseguita o aggredita verbalmente e/ o fisicamente, se nota appostamenti fuori casa, se vengono diffusi a sua insaputa foto o il numero di telefono, se viene violato l’account della posta personale o di un social network, se vengono danneggiati la macchina o il motorino, se riceve regali o ordini non desiderati, se trova frasi “amorose” o ingiuriose a lei destinata su muri o manifesti davanti casa. A seconda il profilo patologico, lo stalking può arrivare anche ad uccidere. Ritorniamo alla legge del 2019 dove viene contemplato l’utilizzo del dispositivo elettronico anti stalking. Più precisamente, al comma 1 dell’articolo 282- ter del codice di procedura penale, per rendere ancor più efficace la misura cautelare del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, sono aggiunte le seguenti parole: «anche disponendo l’applicazione delle particolari modalità di controllo previste dall’articolo 275- bis». Il riferimento è, appunto, al braccialetto elettronico. Con questa misura cautelare l’autorità giudiziaria vieta all’indagato o imputato di avvicinarsi alla vittima, impedendogli di visitare i posti che normalmente la persona offesa frequenta. Così, ad esempio, se la vittima di stalking frequenta la palestra, il giudice ordinerà allo stalker di mantenere le distanze anche da quel luogo. In caso di trasgressione del divieto, la misura può essere sostituita con una maggiormente afflittiva come, ad esempio, gli arresti domiciliari. Ma la potenziale vittima è protetta al 100 percento? No, perché teoricamente il potenziale aggressore può avvicinarsi a lei, pedinandola in altri luoghi dove il divieto non c’è e il braccialetto elettronico non servirebbe a nulla. In sostanza, rimane un semplice monitoraggio con tracciamento. È lo scenario in cui il provvedimento dell’Autorità Giudiziaria impone di monitorare il soggetto all’interno di uno o più luoghi predefiniti ( es. il proprio domicilio) secondo le modalità e negli orari stabiliti dalla stessa Autorità Giudiziaria e, contestualmente, di tracciarne gli spostamenti generando un allarme qualora il soggetto acceda a determinate ‘ zone di esclusione’. Ma se va altrove, riuscendo per vie indirette ad attirare la vittima in un luogo non escluso dal giudice, il braccialetto non servirà a nulla. Che fare dunque? In altri Paesi, come ad esempio la Spagna, funziona in maniera decisamente più efficace. Ed è, in fondo, lo scenario dipinto da Fastweb, l’azienda che ha stipulato il contratto con il ministero dell’Interno per il triennio 2018- 2021, riguardante la fornitura dei braccialetti elettronici. Principalmente usati per la misura deflattiva delle carceri. Come dovrebbe funzionare il dispositivo elettronico per prevenire seriamente lo stalking? Tecnicamente si parla di “tracciamento di prossimità”, ed è lo scenario in cui la potenziale vittima di aggressione venga dotata di un dispositivo in grado di rilevare la presenza dell’aggressore – dotato di braccialetto elettronico – nelle vicinanze e di generare immediatamente un allarme verso il Centro di Monitoraggio. I dispositivi permettono di tracciare costantemente la posizione del molestatore e notificano immediatamente al Centro di controllo la violazione di una delle zone di sicurezza attorno alla vittima. In questo modo esisterebbe, quindi, inoltre la possibilità di contattare la persona in regime interdittivo per verificarne le intenzioni e dissuaderla. La vittima dello stalker, d’altro canto, è dotata di un dispositivo portatile nel quale è presente un bottone di allarme che attiva anche la chiamata diretta con l’operatore. Tale dispositivo può essere chiamato dall’operatore stesso. Solo in questo modo si può per davvero mettere in sicurezza la potenziale vittima. In Spagna, dove tale scenario è già in uso dal 2009, a fronte di una crescita costante delle denunce per violenza domestica, la diminuzione degli omicidi legati alla violenza di genere nella Comunità Autonoma di Madrid è stato pari al 33,33% ( da sei a quattro) rispetto all’andamento nazionale che ha registrato un calo del 18,75%. Dal 2009 sono stati confermati i successi della prima sperimentazione: nessuna delle vittime sottoposta a controllo elettronico è stata nuovamente oggetto di violenza.
Norme esistenti ma non applicate, mancanza di braccialetti elettronici, incapacità dello Stato di proteggere un suo cittadino in pericolo: tutto ciò che non torna nel caso di Aci Trezza. Giacomo Puletti su Il Dubbio il 28 agosto 2021. In estrema sintesi: all’ex fidanzato, stalker, il gip dispone il divieto di avvicinamento, ma senza braccialetto elettronico perché, dice il capo del suo ufficio, «si può dare solo in caso di arresti domiciliari». Soltanto dopo si scopre che invece il provvedimento del braccialetto elettronico si poteva adottare eccome, dato che è previsto dalla legge 69/2019 che ha modificato l’articolo 282 ter comma 2 del codice di procedura penale, come ha spiegato Valeria Valente, senatrice Pd e presidente della commissione parlamentare contro le violenze di genere su queste colonne. Il risultato è che Vanessa Zappalà è stata uccisa, il suo stalker, Antonino Sciuto, si è suicidato e due morti, forse, potevano essere evitate semplicemente applicando le norme in vigore. La storia che ha sconvolto la piccola frazione di Aci Trezza, celebre per i racconti di Giovanni Verga e dei suoi Malavoglia, questa volta non ha a che fare con famiglie sfortunate e lupini, ma con un’amministrazione della giustizia che spesso fa acqua da tutte le parti e con uno Stato che non riesce a proteggere un suo cittadino in pericolo. Andando con ordine, tutto nasce dalla denuncia di Vanessa, che trova il coraggio di andare in Questura e rendere pubbliche quelle molestie dell’ex fidanzato che ormai erano diventate quotidiane. L’uomo viene accusato di stalking, il gip dispone il divieto di avvicinamento ma è tutto inutile. Nella notte tra domenica e lunedì la raggiunge sul lungomare, dove la ragazza stava passeggiando con alcune amiche, la afferra per i capelli e le spara sette colpi di pistola calibro 7,65. Altri 28 proiettili verranno ritrovati nell’auto dell’uomo, che a neanche ventiquattr’ore dall’omicidio si impicca in un casolare di campagna. Una tragedia dopo la quale si scatenano le fazioni più diverse. Il padre della vittima è netto: «Con le leggi giuste – denuncia – si sarebbe potuto evitare l’omicidio di mia figlia, ma anche quelli che ci sono stati e quelli che verranno dopo, perché ancora ce ne saranno». Secondo le amiche della ragazza Antonino era un «padre padrone» che la voleva solo per lui, mentre Marisa Scavo, procuratrice aggiunta a Catania, spiega a La Sicilia che «non aumentare il minimo della pena a due anni per il reato di stalking è un limite enorme, perché ci impedisce di effettuare il fermo nei casi in cui non c’è flagranza». Ma dopo pochi giorni il focus si sposta su un altro tema, e cioè sulla possibilità che allo stalker potesse essere applicato un braccialetto elettronico per tenerlo sotto controllo ed evitare così che potesse avvicinarsi alla vittima. La miccia è accesa da Nunzio Sarpietro, capo dell’ufficio gip di Catania, che in un’intervista a Repubblica spiega che «quel provvedimento si può adottare solo in caso di arresti domiciliari». Falso, perché la legge 69/2019 recante “disposizioni in tema di violenza domestica e di genere” è chiara e «modifica la misura cautelare del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa per consentire al giudice di garantire il rispetto della misura coercitiva attraverso procedure di controllo mediante mezzi elettronici o altri strumenti tecnici (c.d. braccialetto elettronico)». Inequivocabile. Ora il giudice Sarpietro dice che l’intervista è stata tagliata male e che il problema è che i braccialetti non ci sono, e quindi anche volendo non potrebbero essere utilizzati. Ma tra gli addetti ai lavori l’errore del gip viene definito «inconcepibile», come spiega una fonte giudizaria che preferisce restare anonima. «È un caso sorprendente perché di quella legge si parlò molto. Quando entrò in vigore la legge sullo stalking nel primo mese ci furono mille arresti – commenta – Sono norme di cui si discute molto e non posso credere che l’errore del gip di Catania si possa ripetere in altri uffici giudiziari». Eppure, di passi avanti in tema di legislazione a difesa delle vittime di maltrattamenti e violenze ne sono stati fatti, se è vero che proprio la stessa legge 69/2019 inserisce il delitto di maltrattamenti contro familiari e conviventi «nell’elenco dei delitti che consentono nei confronti degli indiziati l’applicazione di misure di prevenzione, tra le quali è inserita la misura del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona da proteggere». Cioè esattamente quanto deciso nei confronti di Antonino Sciuto, senza risultati. «Quando si arresta in flagranza e in poche ore si deve decidere cosa fare, ad esempio se decidere per gli arresti domiciliari e il carcere, e allo stesso tempo il reo inizia piangere, diventa un agnellino e dice che vuole bene alla ex ragazza, spesso si incappa nello stesso errore che ha fatto il gip di Catania nel momento in cui ha deciso di lasciarlo fuori piuttosto che metterlo dentro – commenta la nostra fonte – Mettere tutti in carcere non è di certo la soluzione, ma dall’altro lato si rischia di sottovalutare il rischio per la vittima». Di certo c’è anche un problema di mancanza di braccialetti elettronici, tema diventato centrale nel dibattito durante le rivolte in carcere in piena epidemia di coronavirus, e averne di più a disposizione permetterebbe sia di svuotare in parte i penitenziari, già sovraffollati, sia di controllare con maggiore attenzione gli accusati di maltrattamenti. E se è vero che «bisogna conoscere, per deliberare», potremmo dire che bisogna conoscere, per applicare le misure cautelari. Pena la perdita, forse evitabile, di vite umane.
«Le norme per contrastare lo stalking ci sono. Il resto è solo giustizialismo». Parla l'avvocato Valerio Spigarelli. «Abbiamo la legge sullo stalking e norme riformate successivamente, tutto sta a farle funzionare». Giacomo Puletti su Il Dubbio il 27 agosto 2021. Valerio Spigarelli, avvocato già presidente dell’Unione camere penali italiane, sulla richiesta di provvedimenti più severi nei casi di stalking e violenza per prevenire i femminicidi, spiega che «è una noiosa demagogia degli adoratori delle manette che non si fanno scrupolo a dire che tutto va male ma poi se si chiede loro di quantificare il dilagare del fenomeno sulla base di dati statistici dal punto di vista criminologico non rispondono perché non ce l’hanno». Sui casi di uomini che uccidono le donne, magari dopo una relazione finita male, commenta: «Ormai si parla di femminicidio per tutti gli omicidi di donne, ma il rischio è di leggere i numeri in una particolare maniera mentre si dovrebbero paragonare sempre con le tendenze del passato».
Avvocato Spigarelli, pensa che le leggi attualmente in vigore bastino a contrastare il fenomeno dei femminicidio, da ultimo quello di Vanessa?
Quando ci troviamo di fronte a questo fenomeno, ancor prima di vedere i numeri, si tira fuori subito il discorso riguardo a ipotetiche norme insufficienti, mettendo in discussione un apparato normativo che tutto sommato è piuttosto nuovo e funziona. I reati contro la persona in Italia sono decisamente in calo e siamo un pese tranquillo. È vero che un numero significavo di reati maturano in contesti familiari e di solito ci troviamo di fronte a un uomo che uccide una donna e da qui la dicitura di femminicidio, ma abbiamo la legge sullo stalking e norme riformate successivamente, tutto sta a farle funzionare.
Eppure di femminicidi si parla ormai quasi ogni giorno, c’è una commissione parlamentare sul tema e i casi di cronaca aumentano.
C’è una percentuale di casi che maturano in famiglie apparentemente normali, dove ad esempio non ci sono casi di stalking. In questi casi sono delitti difficili da prevenire, in contesti del genere ciò che non funziona non è l’armamentario penale, che è più che sufficiente, quanto il fatto che non ci sia un’adeguata verifica da parte dei servizi sociali. Dove c’è degrado sociale paradossalmente è più facile intervenire.
C’è troppa attenzione insomma sui femmicidi?
Ormai si parla di femminicidio per tutti gli omicidi di donne, ma il rischio è di leggere i numeri in una particolare maniera mentre si dovrebbero paragonare sempre con le tendenze del passato. Viviamo in una società dove ci sono larghe sacche di comportamenti arcaici ma è la società stessa che deve guarire, è difficile che possa guarire attraverso modifiche al codice penale.
Non nego che le donne rischino di subire violenze, eppure, a commento di uno degli episodi di questo genere, ho sentito invocare pene più severe e non si sa quali misure cautelari ma ovviamente non ci sono altre opzioni se non quella di introdurre l’ennesimo automatismo cautelare. Stalking? Tutti in galera. È una maniera aberrante di affrontare queste faccende ma purtroppo è quella più consona al legislatore almeno negli ultimi vent’anni.
Non è d’accordo quindi con Travaglio, che commentando il caso di Vanessa ha attaccato la riforma della custodia cautelare i referendum sulla giustizia.
Travaglio è un disco rotto anche un po’ noioso. Non hanno deciso i politici che la custodia cautelare sia l’estrema ratio, come dice lui. L’ha deciso la Costituzione. Prima di una condanna dovresti andare in carcere se ci sono pericoli gravissimi ma questo avviene in qualunque paese civile. Andare contro al gip che ha deciso soltanto per il divieto di avvicinamento è offensivo, perché immagino che stia vivendo un dramma. Gli elementi che aveva a disposizione evidentemente non erano tali da prevedere un pericolo gravissimo, tant’è che neanche la procura aveva chiesto la custodia cautelare in carcere.
Pensa che il pensiero di Travaglio sia maggioritario nel paese?
È una noiosa demagogia degli adoratori delle manette che non si fanno scrupolo a dire che tutto va male ma poi se si chiede loro di quantificare il dilagare del fenomeno sulla base di dati statistici dal punto di vista criminologico non rispondono perché non ce l’hanno. Quando si fece la prima riforma dei reati di violenza sessuale negli ultimi vent’anni al governo c’erano Maroni e Berlusconi. Nello stesso giorno Maroni fece una relazione sull’ordine pubblico in Italia in cui disse che le violenze sessuali erano in calo, se ne prese il merito, ma il governo pubblicò un decreto legge fondato su una situazione di straordinaria necessità e urgenza dicendo che il fenomeno delle violenze sessuali stava dialogando. Una contraddizione assoluta.
Fu solo un episodio o è un atteggiamento diventato quasi normale, assecondando quindi il desiderio di giustizialismo certamente presente in una parte dell’opinione pubblica?
È ciò che si ripete da un sacco di tempo per un certo tipo di reati tra i quali metterei anche le violenze mafiose e altri, sui quali impera sempre questo modo di ragionare: ci sono tre quattro casi di cronaca e subito si grida all’allarme. I femminicidi sono aberranti, intendiamoci, ma prima di dire che le leggi sono imbelli e che non abbiamo norme per contrastarli dovremmo guardare ai numeri.
Non si può sempre dire che il sistema ha fallito, si dovrebbe valutare anche le volte in cui il sistema giudiziario e ciò che gli sta attorno hanno evitato una violenza. C’è demagogia informativa attorno a questo tipo di reati e ciò inquina un po’ il discorso rendendo gli attori della politica non particolarmente razionali nell’affrontare questi temi.
Da "leggo.it" il 26 agosto 2021. Vanessa Zappalà era terrorizzata dall'ex Antonio Sciuto. L'uomo la perseguitava da tempo fino a quando non l'ha raggiunta sul lungomare di Acitrezza dove l'ha uccisa con 7 colpi di pistola prima di togliersi la vita impiccandosi. Da quando si erano lasciati Sciuto non la voleva lasciare in pace e la 26enne catanese aveva più volte detto ad amici e familiari di esserne spaventata. Da mesi chiedeva aiuto, anche con due denunce per stalking, da mesi scappava dalle minacce e dagli inseguimenti del suo ex. Aveva persino deciso di prendere nota di quanto era costretta a subite e su un bloc-notes appuntava quello che succedeva: «Dopo la denuncia ai carabinieri continua a seguirmi. Sono in ansia, ho paura», è uno dei tanti pensieri raccolti dalla 26enne, come riporta il quotidiano La Repubblica. Sciuto era sottoposto a un divieto di avvicinamento ed era stato arrestato e messo agli arresti domiciliari. Da allora, spiega il padre della vittima, era sparito e avevano avuto l'illusione che si fosse finalmente allontanato e arreso: «Evidentemente nei due mesi successivi ha maturato la decisione di uccidere mia figlia e di uccidersi». «Quell’uomo aveva pianificato tutto, ne sono sicuro, continuava ad essere accecato dalla gelosia. Abbiamo scoperto che aveva piazzato un Gps sotto l’auto di Vanessa. E, poi, era riuscito a intrufolarsi nel giardino di casa nostra, per sentire cosa dicevamo, attraverso un tubo», ha continuato il padre che ora chiede, una volta per tutte, che venga fatta giustizia.
Ida Artiaco per "fanpage.it" il 26 agosto 2021. Vanessa Zappalà aveva paura di Antonio Sciuto. Mesi prima che l'ex fidanzato la uccidesse a colpi di pistola sul lungomare di Aci Trezza, a pochi passi da Catania, prima di togliersi la vita impiccandosi, aveva sporto denuncia per stalking. Le minacce, gli insulti e gli inseguimenti a cui lui, accecato dalla gelosia, la sottoponeva erano diventati per lei motivo di ansia e paura. Per questo, la 26enne aveva trovato nel luogotenente Corrado Macrì, comandante della stazione dei carabinieri di Trecastagni, che aveva raccolto la sua denuncia, un vero e proprio angelo custode. "È come se avessi perso una sorella minore. La morte di Vanessa mi ha lasciato un vuoto enorme", ha detto il militare, 48 anni, come riporta Il Corriere della Sera. È stato lui, che rispondeva a tutte le sue chiamate, a darle dei consigli per non essere sconfitta dalla paura. "Non uscire da sola e non frequentare posti isolati", le ripeteva sempre il carabiniere, che aveva accolto i suoi sfoghi prima ancora della sua denuncia. E conosceva la vicenda nei minimi dettagli, anche quello che la 26enne aveva appuntato sui bloc-notes, dove riportava data e ora delle minacce e degli avvistamenti di Antonio. Era stato proprio Macrì ad arrestare Sciuto lo scorso giugno al termine di un breve inseguimento per le vie del paese, dopo che la ragazza lo aveva allertato dicendo di aver visto l'ex appostato sotto casa sua. Dopo tre giorni ai domiciliari, tuttavia, il giudice per le indagini preliminari gli impose il solo divieto di avvicinamento. L'uomo sembrava essersi placato, ma domenica notte ha raggiunto Vanessa, che stava passeggiando con alcuni amici sul lungomare di Acitrezza, l'ha afferrata per i capelli, nonostante lei gli avesse detto che avrebbe chiamato Macrì, e l'ha colpita con sette colpi di pistola. Agli uomini che lavorano con lui, il luogotenente ha raccontato il dolore che ancora prova per non avere potuto salvare "una sorella minore". Intanto, c'è attesa a Trecastagni per il funerale di Vanessa, che si svolgerà domani, venerdì 27 giugno alle 19 nel Santuario dei Santi Martiri Alfio, Filadelfo e Cirino. Il sindaco aveva già dichiarato il lutto cittadino.
Vanessa Zappalà, il carabiniere che aveva raccolto le denunce: «Era diventata una sorella ma non ho potuto salvarla». Riccardo Lo Verso su Il Corriere della Sera il 26 agosto 2021. Catania, il carabiniere che aveva raccolto le denunce della ragazza uccisa da Antonino Sciuto: «La sua morte mi ha lasciato un vuoto enorme».
«È come se avessi perso una sorella minore. La morte di Vanessa mi ha lasciato un vuoto enorme». Chi vive e lavora al fianco del luogotenente Corrado Marcì gli ha sentito ripetere queste parole più volte dopo la terribile notte di Aci Trezza. Vanessa Zappalà domenica scorsa è stata assassinata con sette colpi di pistola dall’ex compagno Antonino Sciuto, che poi si è impiccato. Dalle pieghe dell’ennesimo femminicidio emerge la storia del rapporto fra Vanessa e il comandante della stazione di Trecastagni, il paese dove viveva la vittima. Un rapporto che ha consentito alla ragazza di resistere nella tempesta della paura, ma che non poteva bastare per salvarla.
Le telefonate. Vanessa chiamava e Marcì rispondeva al cellulare, a tutte le ore del giorno. La linea era sempre aperta e diretta, senza passaggi intermedi o centralinisti a fare da filtro, così come prevede il protocollo per il «codice rosso». A volte Vanessa al telefono con il carabiniere non riusciva a trattenere le lacrime. «Un sant’uomo, un padre di famiglia», così lo descrive Carmelo, il papà di Vanessa che oggi potrà pregare sulla bara della figlia. La Procura non ha ritenuto necessaria l’autopsia e ha ordinato la restituzione della salma. I funerali saranno celebrati domani, alle 19, nel Santuario dei Santi Martiri Alfio, Filadelfo e Cirino a Trescastagni. Il luogotenente Macrì ha raccolto la fragilità di una giovane donna costretta a difendersi da un uomo violento e al contempo la sua forza e la voglia di resistere. Per gli abitanti di un piccolo comune come Trecastagni il comandante della stazione dei carabinieri è un punto di riferimento. Per Vanessa era qualcosa di più, era un fratello maggiore. Il militare che ha 48 anni, dieci dei quali trascorsi a Tremestieri, le dava i consigli per tentare di proteggersi da uno psicopatico che giurava di amarla ed invece si è trasformato in carnefice.
Come possiamo proteggere davvero le donne che denunciano le violenze?
Dal 2012 ad oggi, 1048 donne uccise: la Spoon River della 27esimaora
«Non uscire da sola»
Ai suoi consigli Vanessa si era attenuta anche la notte in cui è stata uccisa. «Non uscire da sola e non frequentare posti isolati», le ripeteva sempre il carabiniere. Non è un caso che quando Sciuto l’ha presa per i capelli e le ha scaricato contro sette colpi di pistola, Vanessa stesse passeggiando con gli amici al porticciolo di Aci Trezza. Marcì ha raccolto la denuncia di Vanessa, lo sfogo che va oltre la carta bollata, ha verificato la sua attendibilità. Per primo si è reso conto dell’incubo in cui era piombata, guardando i video del telefonino con cui la donna aveva filmato l’ex durante gli appostamenti e il bloc notes in cui annotava orari e strade dove erano avvenuti. È stato il comandante Macrì ad arrestarlo lo scorso giugno, quando Vanessa lo aveva visto sgommare sotto casa in macchina.
«Ero terrorizzata, sono scesa in garage, ho parcheggiato l’auto e nel frattempo ho chiamato il comandante», raccontava Vanessa nella denuncia. Il luogotenente non perse tempo. Nei cinque minuti di tragitto che li speravano restarono in linea. Per Marcì era un modo per essere certo che non stesse accadendo nulla di grave e nel frattempo lei gli forniva le indicazioni sull’auto di Sciuto. Fu così che il carabiniere riuscì ad arrestarlo al termine di un breve inseguimento per le vie del paese. Dopo tre giorni ai domiciliari il giudice per le indagini preliminari gli impose il solo divieto di avvicinamento.
Le ultime parole. Per un periodo Marcì è stato un angelo custode per Vanessa che, dopo la denuncia, come raccontano le cugine Deborah ed Emanuela, «aveva preso coraggio ed era tornata a uscire». Il peggio sembrava passato. Sciuto si era defilato. Sembrava, appunto. Perché domenica notte ha messo in atto il suo folle piano. «Vattene via perché chiamo il maresciallo»: le ultime parole di Vanessa prima di morire. Questa volta il carabiniere non l’ha potuta proteggere. E oggi agli uomini che lavorano con lui racconta il dolore che prova per non avere potuto salvare «una sorella minore».
TALEBANI D’ITALIA Vanessa è la trentottesima vittima di femminicidio. La 26enne di Aci Trezza è stata ammazzata in strada con tre colpi di pistola. L’ex fidanzato della giovane uccisa è stato trovato impiccato. Sara Volandri su Il Dubbio il 24 agosto 2021. Contesti umani, sociali e politici completamente differenti ma uniti dal filo nero dell’odio per le donne. Dall’Afghanistan all’Italia, la fobia per la libertà e l’indipendenza femminile prende corpo nella violenza cieca e brutale contro “l’altra metà del cielo”, che molti maschi vorrebbero vedere sepolta in terra. E spesso ci riescono. A Kabul la nuova dittatura teocratica dei talebani è una mannaia che si sta abbattendo sui diritti, sui corpi e sul futuro di qualsiasi donna; frustate e bastonate se non indossano il velo, allontanate dalle scuole, dai posti di lavoro, e persino assassinate se hanno l’ardire di rifiutare la legge del padrone. I nuovi signori dell’Afghanistan dicono di essere cambiati, che ci sarà spazio per le donne, ma nessuno gli crede, in particolare non gli credono le afghane, letteralmente terrorizzate dalla stretta integralista che i talebani stanno preparando. Sono centinaia le segnalazioni di abusi nei confronti delle donne che in questi giorni provengono dal paese dell’Asia centrale finito in mano ai fanatici, In molte si sono rimesse il Burqa e sperano di passare inosservate, altre sono state violentate e frustate, altre ancora uccise a sangue freddo.
Il delitto di Aci Trezza. Come è accaduto, alle nostre latitudini, a Vanessa Zappalà, la 26enne assassinata con diversi colpi di arma da fuoco mentre passeggiava in compagnia di amici sul lungomare di Aci Trezza, in provincia di Catania. La polizia ha poi ritrovato ex fidanzato Antonino Sciuto (che aveva precedenti per stalking e atti persecutori) in un terreno agricolo dello zio. Si è tolto la vita impiccandosi: i suoi conoscenti affermano che non ha digerito l’ultima decisione di Vanessa, che lo aveva lasciato il mese scorso. In Afghanistan avrebbe avuto la legge dalla sua parte, in Italia fortunatamente c’è lo Stato di diritto anche se il fatto che una donna sia libera di scegliere il proprio partner o di restare single a suo piacimento è qualcosa che manda fuori di testa migliaia di uomini. Che spesso si trasformano in aguzzini violenti e puerili, incapaci di incassare il rifiuto, di fare i conti con i fallimenti sentimentali, convinti che la loro partner sia una proprietà privata, che il “tradimento” sia un’onta da mondare con il sangue, come accadeva nei tempi bui del delitto d’onore o quando l’adulterio era un reato penale. Nel solo mese di agosto in Italia sono state quattro le donne assassinate dai loro compagni, 38 dall’inizio del 2021. lo scorso anno le cifre erano ancora più inquietanti con 112 omicidi, uno ogni tre giorni.
Le altre vittime di femminicidio. Oltre a Vanessa Zappala, Marylin Pera (39 anni) è stata uccisa a Pavia con decine di coltellate mentre si trovava nel bagno di casa, Silvia Manenti (48 anni) di Monterotondo Marittimo ha invece perso la vita con un solo colpo di coltello alla gola da parte del marito, mentre Shegushe Paeshti, 54enne di origini albanesi, è stata strangolata dal consorte a Cazzago San Martino ( Brescia) che poi si è suicidato, La dinamica è quasi sempre la stessa; mariti, ex mariti, a volte persino padri, che pensano di vivere in un eterno medioevo e di avere diritto di vita e di morte sulle “loro donne”. Una piaga che attraversa tutte le culture e tutte le classi sociali che politica non sembra avere i mezzi per debellare. Le campagne contro la violenza sulle donne promesse in questi anni dai governi e dalle stesse Nazioni Uniti non riescono a sradicare questa cultura selvaggia e patriarcale e gli arsenali giuridici messi in campo, con politiche che puntano sull’inasprimento delle pene introducendo l’aggravante di femminicidio non hanno dato alcun risultato tangibile e non funzionano come deterrente. I talebani di Occidente non rivendicano nessuna legge coranica e nessuno Stato religioso che metta le donne in un angolo, non c’è alcuna ideologia da sbandierare e nessun codice “morale” per cui battersi, il dominio maschile sul “sesso debole”, l’idea di poter disporre a piacimento del corpo delle donne è semplicemente una condizione psicologica naturale, probabilmente un residuo di un’epoca che appartiene a un passato che non passa e che continua a insanguinare il presente.
Vanessa Zappalà è solo l'ultimo caso. Da Victoria a Vanessa, quali sono i 38 femminicidi del 2021: tutte le vittime della strage italiana. Redazione su Il Riformista il 23 Agosto 2021. Quello di Vanessa Zappalà, la 26enne uccisa per strada ad Aci Trezza, è solo il caso più recente di una lista già troppo lunga. Ma di femminicidi in Italia da inizio anno ve ne sono stati ben 38. Storie di ‘amori malati’, anche se di amore in queste vicende non c’è traccia: donne uccise per gelosia, per un rifiuto, da chi magari non accettava la fine di una relazione. Questi i casi che da gennaio ad oggi hanno spezzato 38 vite, raccolti da Lapresse.
16 gennaio – Victoria Osagie, 34 anni, è stata uccisa dal marito, all’interno della propria casa, aConcordia Sagittaria, in provincia di Venezia.
24 gennaio – Roberta Siragusa aveva 17 anni. Il suo cadavere, parzialmente carbonizzato è stato ritrovato a Caccamo, in provincia di Palermo, all’interno di un burrone. La procura di Termini Imerese, al termine di un lungo interrogatorio, ha disposto il fermo del fidanzato 19enne.
29 gennaio – Nella notte tra il 28 e il 29 gennaio, Teodora Casasanta, 39 anni, e il figlio Ludovico, 5 anni, sono stati uccisi dal 39enne, marito e padre delle due vittime. Entrambi sono stati uccisi con numerose coltellate.
1 febbraio – Sonia Di Maggio, aveva 29 anni, è stata uccisa a Minervino di Lecce. La vittima si trovava in strada, nella frazione di Specchia Gallone, insieme al fidanzato quando all’improvviso è stata aggredita dall’ex compagno della giovane.
7 febbraio – Ha perso la vita Luljeta Hestha, 47 anni, originaria dell’Albania, da 10 anni in Italia: 5 ferite di arma da taglio. È morta all’ospedale Humanitas di Rozzano, in provincia di Milano. Perla sua morte, la procura di Lodi ha fermato il convivente, un connazionale di 43 anni. Nella stessa giornata, a Palermo, è stata uccisa Piera Napoli, cantante di 32 anni, madre di 3 figli. Il marito, 37 anni, ha confessato l’omicidio: Piera gli aveva annunciato di non amarlo più. E sempre il 7 febbraio, a Faenza, Ylenia Fabbri, 46 anni, è stata sgozzata poco prima dell’alba. Qualche giorno più tardi, le forze dell’ordine hanno fermato l’ex marito.
17 febbraio – Lidia Peschechera, 49 anni, è stata uccisa all’interno della sua casa a Ticinello, Pavia. L’allarme è stato lanciato dall’ex marito. Il cadavere di Lidia è stato ritrovato nella vasca da bagno. Nelle ore seguenti, le forze dell’ordine hanno fermato un ragazzo di 28 anni, ex convivente della vittima.
19 febbraio – Clara Ceccarelli, 69 anni, si sentiva minacciata dall’ex al punto da pagarsi i funerali.È stata uccisa con trenta coltellate nel suo negozio, nel centro storico di Genova.
22 febbraio – In 24 ore, due le donne che perdono la vita. Sono Deborah Sartori, uccisa nella notte in località Maso Saracini a Cortesano, frazione di Trento. A ucciderla, l’ex marito Lorenzo Cattoni, 39 anni, che l’ha colpita più volte con un’ascia in una zona di campagna dove stava lavorando. L’altra vittima è Rossella Placati, 50 anni, il cui cadavere è stato ritrovato nella propria abitazione a Borgo San Giovanni a Bondeno, in provincia di Ferrara. Per la sua morte è stato fermato il compagno che, in un primo momento, si era recato dalle forze dell’ordine per denunciare il ritrovamento del corpo. La sua ricostruzione dei fatti, secondo il magistrato, è stata ‘contraddittoria e lacunosa’. Al termine dell’interrogatorio, l’uomo è stato fermato.
14 marzo – A Napoli, con 12 coltellate al torace viene uccisa Ornella Pinto, 40 anni da compiere a maggio. A colpirla, ripetutamente, il suo compagno, Giuseppe Iacomino, 43 anni, che, dopo averla aggredita, è fuggito in auto. Si è costituito alla stazione dei carabinieri di Montegabbione, Terni. Ai militari dell’Arma, l’uomo ha detto di aver ucciso Ornella.
18 aprile – A Pova del Grappa, in provincia di Vicenza, Gezim Alla, 51 anni, viene colpita più volte con un martello dal marito. È stato egli stesso ad avvertire i soccorsi. Il delitto è avvenuto davanti agli occhi dei figli: un bambino di 9 anni e una ragazzina di 13 anni. Nello stesso giorno, ad Aosta, Elena Raluca Serban, 32 anni, viene trovata sgozzata nella sua casa. Tre giorni dopo, viene arrestato Gabriel Falloni, 36 anni, originario di Sorso in provincia di Sassari.
19 aprile – A Rocchetta Nervina, in provincia di Imperia, Tina Boero, 80 anni, viene uccisa dal marito, Fulvio Sartori, 81 anni. L’uomo uccide anche il loro cane, poi tenta invano il suicidio.
21 aprile – A Marino, in provincia di Roma, muore Annamaria Ascolese, 5 giorni dopo essere stata colpita dai proiettili esplosi dall’arma di ordinanza del marito, ex vicebrigadiere dei carabinieri che, dopo averla ferita si suicida.
1 maggio – A Novellara, in provincia di Reggio Emilia, muore Saman Abbas, ragazza di origini pakistane, in Italia con la famiglia dal 2016. Secondo le ipotesi degli inquirenti, la ragazza è stata uccisa con la complicità dei parenti per essersi opposta ai dettami delle loro tradizioni, tra cui le nozze combinate alle quali lei si era ribellata. Successivamente il corpo senza vita sarebbe stato occultato. Nella stessa giornata, a Portoferraio, Isola d’Elba, viene ritrovata senza vita Silvia Del Signore, 59 anni. A ucciderla sarebbe stato il marito, 45 anni, con una serie di violente percosse.
2 maggio – Emma Elsie Michelle Pezemo, 31 anni, originaria del Camerun, è stata trovata morta il 2 maggio 2021 a Bologna: il suo corpo era stato fatto a pezzi e raccolto in alcuni sacchi prima di essere gettato in un cassonetto. Il compagno, Jacques Honoré Ngouenet, connazionale di 43 anni, era stato trovato impiccato nella sua abitazione.
5 maggio – A San Paolo Bel Sito, provincia di Napoli, viene trovata senza vita Ylenia Lombardo, 33 anni. Nelle ore successive, i carabinieri arrestano un 36enne, conoscente della vittima. Secondo le ricostruzioni, la donna avrebbe lamentato la presenza di un ‘corteggiatore’ insistente.
7 maggio – A Torino, perde la vita Angela Dargenio, 48 anni, uccisa con colpi di pistola, arma d’ordinanza dell’ex marito, Massimo Bianchi, 50anni, guardia giurata. I due erano separati da poco, ma l’uomo non accettava la fine della loro storia.
12 maggio – A Rho, in provincia di Milano, viene trovata senza vita Tunde Blessing, 25 anni, originaria della Nigeria, incinta. Qualche giorno più tardi, viene fermato con l’accusa di omicidio l’ex compagno della vittima: è un ghanese di 35 anni.
28 maggio – Ad Altopascio, in provincia di Lucca, Maria Carmina Fontana, 50 anni, conosciuta come Carmela, viene uccisa a coltellate dal marito 54enne, al culmine di una lite scoppiata per futili motivi.
29 maggio – A Roma, Perera Priyadarshawie Donashantini Liyanage Badda, 40 anni, originaria dello Sri Lanka, è stata uccisa a coltellate dall’ex compagno.
2 giugno – A Spresiano, in provincia di Treviso, Bruna Mariotto, 50 anni, è stata uccisa dal suocero Lino Baseotto, 80 anni, con il fucile da caccia. L’uomo si è suicidato.
12 giugno – A Castelnuovo Magra, in provincia di La Spezia, Alessandra Piga, 25 anni, viene uccisa a coltellate dall’ex compagno, Yassin Erroum, 30 anni, nordafricano. L’uomo è stato arrestato con l’accusa di omicidio volontario. I due avevano un figlio di un anno e mezzo.
13 giugno – A Ventimiglia, in provincia di Imperia, Sharon Micheletti, 30 anni, è stata uccisa dall’ex compagno Antonio Vicari, 65 anni.
19 giugno – Ad Arese, in provincia di Milano, perde la vita Silvia Susana Villegas Guzman, 48 anni, di origini messicane. A ucciderla è stato il marito, un connazionale di 41 anni.
27 giugno – A Valsamoggia, in provincia di Bologna, viene uccisa Chiara Gualzetti, 15 anni. Le forze dell’ordine fermano un 16enne che confessa l’omicidio.
3 luglio – A Livorno viene trovata senza vita Ginetta Giolli, 62 anni, con una profonda ferita alla testa. Il giorno dopo, il marito, un marocchino di 55 anni, ricercato dalla polizia, si consegna in questura.
16 luglio – A Somma Vesuviana, in provincia di Napoli, muore Vincenza Tortora, 63 anni, uccisa dal marito 70enne con un coltello, al culmine di una lite.
29 luglio – A Roma, Lorenza Monica Vallejo Mejia, 44 anni, è stata uccisa dal compagno Orlando Gonzalez Arbelaez, 68 anni.
11 agosto – A Vigevano, in provincia di Pavia, Marylin Pera, 39 anni, è stata trovata senza vita, uccisa a coltellate. Il compagno, 59 anni, con il quale aveva iniziato una relazione da poco più di due settimane, si costituisce.
12 agosto – A Monterotondo Marittimo, in provincia di Grosseto, muore Silvia Manetti, 46 anni, uccisa dal compagno, 48 anni che telefona al 112, confessando l’omicidio. Nello stesso giorno, viene ritrovata senza vita Shegushe Paeshti, 54 anni. La donna, di origini albanesi, è stata strangolata dal marito che poi si è suicidato.
23 agosto – Ad Aci Trezza, frazione di Aci Castello in provincia di Catania, Vanessa Zappalà, 26 anni, è stata colpita a morte da diversi colpi di pistola mentre passeggiava nel paesino con alcuni amici.
Dagotraduzione dal Daily Mail il 23 agosto 2021. Scarlett Bareham, 19 anni, di Bedhampton, nel Regno Unito, dovrà rispondere di violenza sessuale per aver schiaffeggiato il sedere di un uomo senza il suo consenso e davanti alla sua ragazza durante una serata fuori. L'adolescente era in discoteca con le amiche Hannah Phillips, 19 anni e Fiona Hoyle, 19 anni, nell'area Guildhall Walk di Portsmouth, che ospita numerosi locali notturni, alla fine dell'estate scorsa. Al magistrato di Portsmouth è stato raccontato che quando la fidanzata dell’uomo si è lamentata del gesto, è stata brutalmente attaccata da Bareham e dalle sue amiche, che l’hanno presa a calci e pugni. Bareham e le amiche non hanno motivato il loro gesto. Sono state rilasciate su cauzione e dovrebbero comparire all'udienza di appello e preparazione al processo il 20 settembre.
Dramma familiare nel Milanese. Uccide moglie e figlia 15enne, poi si spara dopo aver chiamato il 118: “Ora mi tolgo la vita”. Redazione su Il Riformista il 22 Agosto 2021. Una famiglia distrutta dal gesto folle di un padre. “Ho ucciso mia moglie e mia figlia, ora mi tolgo la vita”, questa era stata la telefonata fatta al 118 da S.S., italiano di 70 anni: ma una volta giunti nella sua abitazione di Carpiano, piccolo comune dell’hinterland sud di Milano, i carabinieri della Compagnia di San Donato Milanese hanno trovato tre corpi senza vita. Sul posto c’erano infatti i cadaveri del 70enne, della moglie 41enne di origini filippine e della figlia della coppia, di soli 15 anni. Secondo i carabinieri intervenuti sul luogo della tragedia vi sono pochi dubbi sulla ricostruzione: si tratterebbe infatti di un doppio omicidio, commesso dal 70enne, che si è poi suicidato con una pistola detenuta irregolarmente. Oltre ai carabinieri di San Donato sono giunti sul luogo anche quelli del Nucleo Investigativo di Milano e il magistrato di turno della Procura della Repubblica di Lodi, competente per le indagini. Secondo quanto riferisce il Corriere della Sera, l’autore dell’omicidio-suicidio avrebbe anche lasciato un testo per ‘motivare’ il suo gesto: nel biglietto il 70enne avrebbe scritto che era stufo della moglie e che la figlia sarebbe stata “troppo piccola” per rimanere senza genitori. La famiglia, stando a prime indagini, attraversava un periodo di difficoltà economiche: l’uomo che ha ucciso moglie e figlia non riusciva a trovare lavoro da diversi mesi. Il 70enne, con vecchi precedenti per porto d’arma abusiva, sarebbe stato afflitto da problemi di depressione, anche se non accertati da specialisti o servizi sociali. Parole durissime sono stati pronunciate sul caso dal procuratore della Repubblica di Lodi Domenico Chiaro, che guida le indagini su quanto accaduto a Carpiano: una tragedia che per Chiaro “è il miglior modo per essere ricordati come colossali vigliacchi. Non esistono problemi così insormontabili da giustificare il suicidio e l’omicidio”.
"Amori malati", 4 vittime in poche ore: due femminicidi e un omicidio-suicidio. Stefano Vladovich il 13 Agosto 2021 su Il Giornale. Sgozza lei e si costituisce, strangola la moglie e poi si impicca. Blocca l'auto in mezzo a un vigneto, le taglia la gola. Uccide la compagna dopo aver trascorso la serata a cena fuori, a Suvereto, Piombino, Nicola Stefanini, 48 anni, operaio in un'impresa edile. La uccide e subito dopo confessa, al telefono con il 112: «Non so dove sono, venite a prendermi». Quando arrivano i carabinieri del comando provinciale di Grosseto, a Campetroso, lungo la strada regionale 398, in piena Maremma, la donna è ancora seduta accanto al guidatore, corpo reclinato in avanti, in un mare di sangue. Sul tappetino l'arma del delitto, un coltello a serramanico. L'assassino in lacrime. Vittima Silvia Manetti, 46 anni, vedova e con due figli di 14 e 10 anni. «Mi sopporti da tre anni, auguri» scrive l'omicida sui social in occasione del loro anniversario, il 10 agosto scorso, postando una foto assieme a lei circondata da cuoricini e teschi. Succede tutto verso la mezzanotte di ieri tra Follonica e Monterotondo Marittima, dove i due vivevano da qualche tempo. Originario di Volterra lui, di Altopascio, Lucca, lei. Una storia e soprattutto, una relazione complicata la loro. Dopo la morte del marito la vittima dell'ennesimo femminicidio, tre in 24 ore, prova a ricostruirsi una vita trasferendosi nell'entroterra grossetano con Nicola, anche lui nuovo del posto. Il lavoro come lavapiatti in un locale del paese, i ragazzi da crescere e la speranza di ricominciare. Ma le cose non girano per il verso giusto. Con Nicola, in passato titolare di una paninoteca, i battibecchi sono all'ordine del giorno. Un carattere irascibile il suo: quando i militari arrivano sul posto e lo fanno salire in auto, Stefanini fa il diavolo a quattro sfondando a testate il vetro della macchina di servizio. Serviranno cinque carabinieri per calmarlo fino all'arrivo in caserma, a Massa Marittima, dove viene visitato e sedato dai medici del 118. Non è chiaro cosa abbia fatto scattare la furia omicida. Certo è che la poveretta non è riuscita nemmeno a difendersi: un solo fendente le recide la carotide. Il pm della Procura di Grosseto che coordina le indagini, Anna Pensabene, viste le sue condizioni non lo ha ancora interrogato. Preferisce attendere l'esito dell'autopsia, che sarà eseguita stamattina. Per il momento Stefanini è stato arrestato, in virtù della confessione oltre che delle evidenze (coltello e vestiti macchiati di sangue), per omicidio volontario. Sotto choc la cittadina del grossetano, che ha proclamato una giornata di lutto cittadino. Scatta la gara di solidarietà fra amici e parenti della vittima per aiutare i ragazzi rimasti orfani. Poche ore dopo e a Cazzago San Martino, Calino (Brescia) in un appartamento vengono trovati due cadaveri, moglie e marito di 56 e 57 anni di origini albanesi. Per gli inquirenti è omicidio - suicidio: lui la strangola a morte poi si impicca. La coppia ha tre figli, in questi giorni fuori per le vacanze. A lanciare l'allarme sono proprio i ragazzi preoccupati che i genitori non rispondono al telefono dalla sera prima. Quando i vigili del fuoco sfondano la porta si trovano davanti una scena straziante. In casa una lettera dell'uomo che spiega i motivi del gesto. Alla base, la gelosia nei confronti della donna. Delitti che seguono a poca distanza da quello scoperto mercoledì a Vigevano. Marco De Frenza, 59 anni pluripregiudicato, uccide la nuova compagna, Marylin Pera, 39 anni, a coltellate. Poi resta accanto al cadavere per più di 24 ore. I due era assieme appena da due settimane. Stefano Vladovich
Antonio Calitri per “il Messaggero” il 13 agosto 2021. Uomini che uccidono le donne a coltellate e poi confessano. Dopo il caso di Vigevano avvenuto due giorni fa dove un uomo ha ucciso la convivente a coltellate e dopo 24 ore si è andato a denunciare, nella notte di ieri un caso con una dinamica dai molti punti comuni è avvenuto a Monterotondo Marittima in provincia di Grosseto. Qui Nicola Stefanini, operaio di 48 anni, dopo aver festeggiato l’anniversario del fidanzamento con Silvia Manetti, 46enne vedova e madre di due figli di 10 e 14 anni, sulla via del ritorno all'abitazione in cui erano andati a convivere da poco tempo, ha ucciso la compagna con una profonda coltellata alla gola. È stato lui stesso ha chiamare il 112 venti minuti dopo la mezzanotte di ieri e a confessare l'omicidio ripetendo più volte «l'ho ammazzata» senza fornire altre informazioni. Così i militari della Compagnia di Follonica hanno dovuto prima localizzare la chiamata per poter individuare il luogo del delitto, poi hanno trovato l'automobile sul bordo della statale 398, in una zona agricola appartata dove c'era l'uomo ancora sporco di sangue al posto di guida e la donna ferita mortalmente, seduta al posto del passeggero e con il coltello a serramanico utilizzato per colpirla, ancora tra le sue gambe. L'uomo, in stato confusionale, non ha dato spiegazioni né fornito un movente per il gesto ma quando ha incominciato a rendersi conto della situazione ha opposto resistenza all'arresto e una volta in macchina, ha incominciato ad andare in escandescenza arrivando a sfondare il vetro dell'auto dei militari e per farlo calmare sono stati chiamati i medici del 118 che hanno dovuto somministrargli un calmante. Così il magistrato di turno che è intervenuto, il pm Anna Pensabene ha valutato che il soggetto non era in condizioni di sostenere l'interrogatorio e lo sentirà appena sarà in condizioni. Intanto dalle prime ricostruzioni si è saputo che tra i due non c'erano tensioni, né sono state trovate denunce per violenze o maltrattamenti a carico del presunto omicida. I due, lui di Volterra in provincia di Pisa, lei di Altopascio in provincia di Lucca, erano a Monterotondo Marittima per motivi di lavoro, lui come operaio di un'azienda del luogo, lei in un locale della cittadina e da poco, con il consolidarsi della relazione, erano andati a vivere insieme. E proprio mercoledì sera erano andati a cena in un ristorante dei dintorni a festeggiare il loro primo anniversario. Poi, sulla strada del ritorno, la tragedia.
Da "ilmessaggero.it" l'8 agosto 2021. Stava lavando un piatto in cucina, nell'abitazione di Prizzi (Palermo), quando è stato colpito alla testa con una bottiglia di vetro birra piena. L'hanno trovato riverso per terra, in una pozza di sangue. «L'ho ucciso io», confesserà poi la compagna. Romina Soragni, 36 anni, è stata arrestata con l'accusa di omicidio. La vittima, Giuseppe Vincenzo Canzoneri, 51 anni, e la donna si erano conosciuti su Facebook.
Lo ha conosciuto su Facebook: il viaggio da Rovigo a Palermo. Lei è di Giacciano con Baruchella, in provincia di Rovigo. Aveva deciso di seguire il suo nuovo compagno prima a Palermo, poi a Prizzi. Il loro rapporto fin dall'inizio sarebbe stato segnato da conflitti, anche per colpa dell'abuso di alcool. Tant'è che la donna era stata seguita fino a qualche mese fa dai medici dell'Asp di Lercara Friddi ma da diverse settimane non si era più recata nell'ambulatorio. Più volte erano arrivate segnalazioni ai carabinieri per le risse tra i due. La donna per un periodo era andata via da Prizzi facendo ritorno in Veneto. Ma il compagno era andato a riprenderla. Tornati insieme, la situazione non sarebbe cambiata: tra i due sempre conflitti e liti fino a quella di ieri sera.
«L'ho ucciso io». «L'ho ucciso io », ha confessato al poliziotto che l'ha fermata mentre vagava in stato di choc per le strade di Prizzi. Aveva ancora le scarpe sporche di sangue. Sono stati avvertiti i carabinieri che sono entrati nell'abitazione dei due, in via Pagliarelli. Qui i militari dell'Arma hanno trovato il cadavere dell'uomo coperto di sangue, con accanto diversi cocci di vetro di bottiglia. Sull'omicidio stanno indagando i carabinieri della stazione di Prizzi e quelli del nucleo operativo della compagnia di Lercara Friddi. I militari hanno ascoltato la donna per tutta la notte. A coordinare l'inchiesta è il pm di Termini Imerese, Chiara Salerno. Gli inquirenti stanno cercando di capire cosa abbia fatto la donna dopo aver colpito il compagno.
Le indagini. Un buco di almeno tre ore rispetto a quando è stata fermata e che tassello dopo tassello i militari di Prizzi stanno cercando di ricostruire. Vincenzo Giuseppe Canzoneri e Romina Soragni erano entrambi disoccupati e in più occasioni sono stati controllati dai carabinieri e segnalati per ubriachezza molesta. La vittima percepiva il reddito di cittadinanza.
Adelaide Pierucci per "il Messaggero" il 29 luglio 2021. Pensava che anche per lui fosse amore invece era solo interesse. Una 54enne romana innamorata di un cittadino ghanese più giovane di 25 anni ha scoperto l'inganno solo dopo il matrimonio. Dal giorno delle nozze, celebrate tre anni fa, lo sposo ha messo da parte le attenzioni e ha iniziato coi pestaggi e le mortificazioni: «Sei vecchia, mi devi mantenere. Perché pensi che ti abbia sposato. Sei più anziana di mia madre». Nell'ultima aggressione sul pianerottolo di casa, a Tor Vergata, qualche settimana, fa la donna ha riportato la frattura di due costole. Per il marito manesco, Omar P., 27 anni, ora è scattato l'arresto. Nella misura cautelare, richiesta dal pm Eleonora Fini, ed eseguita l'altra sera dai carabinieri, si contestano i reati di maltrattamenti in famiglia, le lesioni aggravate, violenza sessuale e l'accesso abusivo a un sistema informatico. Non solo botte, l'imposizione di parlarle da inginocchiata, e intimità estorte, per ricattare meglio la consorte, impiegata in un call center, si era appropriato delle password usate da lei per accedere al sistema informatico aziendale fino a farla licenziare per le sue continue intrusioni. Il giovane pretendeva una paga per il suo ruolo da marito, costringendo se necessario anche la suocera a sborsare soldi. Umiliava lei e il figlio senza motivo. La donna si è decisa a denunciare solo quando era stata lasciata agonizzante sul pianerottolo. In ospedale le fratture sono state ritenute guaribili non prima di un mese. Lei ha raccontato le sevizie: «Mi costringeva a mantenerlo, a dargli una paghetta giornaliera», ha ricordato la donna. «In un momento di disperazione ho tentato di tagliarmi le vene, non mi ha soccorso». «Vuoi ucciderti? Mi prendo l'eredità», le rispose l'uomo.
Da Romatoday.it il 24 luglio 2021. Un amore senza età, una relazione fra due anziani che dal sentimento si è tramutata in gelosia una volta che l'uomo, di 81 anni, ha deciso di interrompere la relazione con la sua fidanzata, una 78enne. Un "addio" che la pensionata non ha accettato, cominciando a perseguitare il suo amore per settimane sino sotto casa, dove poi lo ha accoltellato provando a darsi alla fuga. I fatti sono accaduti alle prime ore di venerdì mattina ad Ostia con l'uomo trasportato in ospedale e la sua "vecchia fiamma" finita in commissariato. L'aggressione "over80" è avvenuta intorno alle 8:30 di stamattina quando la 78enne si è presentata sotto casa dell'uomo, in zona via Capo Spartivento, per un ennesimo incontro chiarificatore, per convincere il suo fidanzato a tornare con lei. L'uomo però non ne vuole sapere, la decisione presa un mese fa di mettere fine alla loro storia è irrevocabile. Ma lei non ci sta, prova a convincerlo sino a quando impugna un coltello da cucina e si scaglia contro l'81enne, ferendolo con la lama al torace. Impaurita la donna prova a scappare mentre l'ex viene preso in carico dall'ambulanza del 118 che lo trasporta all'ospedale Grassi di Ostia dove è stato refertato con 15 giorni di prognosi. Sul posto arrivano gli agenti del Commissariato Lido di polizia che ricostruiti i fatti trovano l'anziana poco distante.
Estratto dell’articolo di Moira Di Mario per ilmessaggero.it il 24 luglio 2021. Una coppia di anziani aveva ritrovato l’amore. Ma lei, 78 anni, era molto gelosa, tanto che il compagno, 81enne, non sopportava più la relazione. La donna non voleva proprio perdere quell’uomo che rappresentava la sua ragione di vita. Così ieri mattina si è presentata sotto casa dell’ex fidanzato e quando l’ha incontrato gli ha sferrato una coltellata ad un braccio. È successo in via Alessandro Piola Caselli, nel centro di Ostia. L’uomo aveva lasciato la donna, esasperato dalle sue scenate di gelosia. Era oppresso dalle continue domande della compagna che, sebbene non vivesse con il fidanzato, non gli consentiva nemmeno di uscire ogni tanto con i suoi amici per andare al bar e giocare a carte. Pretendeva di stare sempre con lui. Se poi a passeggio mano nella mano con il suo uomo, si accorgeva che lui incrociava appena lo sguardo di un’altra donna, magari più giovane, allora erano sfuriate anche in mezzo alla strada. «Lo vedi che ho ragione – gridava la 78enne – non ti piaccio più. Pensi solo a fare il cascamorto con le altre».
Il calvario. A nulla servivano le rassicurazioni dell’anziano. «Ma chi vuoi che mi prenda alla mia età – la tranquillizzava – voglio bene solo a te», le diceva per calmarla. Lui in realtà avrebbe voluto fare una vita tranquilla, godersi la pensione dopo anni di lavoro e sacrifici. Qualche viaggio, qualche ultima “zingarata” tanto per alleggerire l’età e ricordare i bei tempi andati. Da quando però era nata la relazione, era iniziato un calvario. La compagna gli prendeva il telefonino per verificare le telefonate e i messaggi. «Guardi WhatsApp – protestava l’81enne – ma nemmeno lo so usare». Passava al setaccio gli scontrini e le ricevute. «Pensi che abbia una relazione con il panettiere sotto casa?» chiedeva prendendola in giro per stemperare la tensione, ottenendo però la reazione opposta. «Sei andato al bar con un’altra – gli gridava esibendo lo scontrino – qui c’è una consumazione per due persone». L’ossessione e la possessività della donna erano diventate un incubo per il poveretto che l’aveva lasciata da qualche settimana. Una perdita che lei aveva vissuto come un affronto e alla quale non si rassegnava. Così nelle ultime settimane lo tartassava al telefono per ottenere un incontro chiarificatore che però lui continuava a rifiutare. Ostinata e testarda come un’adolescente, si presentava anche sotto casa dell’anziano e si attaccava al citofono pur di convincerlo a scendere e a parlare con lei, senza però ottenere alcuna risposta. Fino a ieri mattina, quando l’81enne ha ceduto all’ennesima richiesta. L’appuntamento era sotto casa di lui. La donna si è presentata con un coltello nascosto nella borsetta e quando l’ex fidanzato ha rifiutato di riprendere la relazione perché stufo delle scenate di gelosia, lei ha tirato fuori l’arma gli ha sferrato un colpo al braccio, provocandogli una ferita di due centimetri. L’anziana ha poi cercato di fuggire, ma è stata bloccata dai poliziotti del Commissariato Lido. Il pensionato è stato invece soccorso dal 118 e portato al pronto soccorso dell’ospedale Grassi dove è stato medicato.
Femminicidio a Taranto, i retroscena. Dopo aver accoltellato la moglie ha tentato il suicidio: ricostruite le ultime ore nella villetta di via Boiardo. Maristella Massari su La Gazzetta del Mezzogiorno il 23 Luglio 2021. È ancora ricoverato in ospedale il pensionato di 75 anni che nel tardo pomeriggio di ieri avrebbe accoltellato a morte la moglie di 71 anni e avrebbe poi tentato di togliersi la vita. Le ferite che Cosimo Marseglia si è provocato all'addome, secondo i medici, guariranno in 20 giorni. Nel frattempo l'uomo è stato trasferito nel reparto di Psichiatria dove viene piantonato dai militari che lo hanno arrestato con l'accusa di omicidio. La dinamica dell’accaduto è ancora tutta da chiarire. Il femminicidio sarebbe avvenuto dopo le 19 quando è scattato l’allarme alle forze dell’ordine. Sul posto, una villetta in via Boiardo, una piccola traversa della più nota e trafficata via Unità D’Italia, sono arrivate le pattuglie del comando provinciale dell’Arma dei carabinieri. Le indagini sono affidate agli investigatori del Reparto operativo, al comando del tenente colonnello Roberto Spinola. Da una prima ricostruzione dei militari, Marseglia avrebbe impugnato un coltello da cucina e avrebbe colpito diverse volte la moglie inerme. La donna, Maria Greco, non ha avuto scampo. È morta per le gravissime lesioni riportate. Poi l’uxoricida, preso dalla disperazione, avrebbe provato a togliersi la vita con la stessa arma. Ma quando sul posto sono arrivati i soccorsi era ancora vivo. È stato condotto in Codice Rosso al Pronto soccorso del SS. Annunziata dove è stato ricoverato vigile e cosciente. Il lavoro dei militari è coordinato dalla procura di Taranto. Il titolare dell’inchiesta è il sostituto procuratore di turno Enrico Bruschi.
I vicini di casa descrivono marito e moglie come due persone tranquille. Lui, pensionato ex Ilva. Lei casalinga, era una donna molto riservata e usciva poco da casa. A trovare il cadavere e a chiamare i soccorsi è stato il figlio della coppia.
Il femminicidio a Taranto. Accoltella a morte la moglie e tenta il suicidio: pensionato trovato in pozza di sangue. Vito Califano su Il Riformista il 23 Luglio 2021. È stato ritrovato riverso a terra, sanguinante, sofferente per diverse coltellate ma ancora vivo. Poco prima avrebbe colpito la moglie uccidendola per poi rivolgere il coltello verso se stesso. O almeno questa è la versione fornita al momento dagli inquirenti. È successo a Taranto, in località Salinella, in via Boiardo. Un omicidio-suicidio riuscito soltanto in parte. Un delitto, quello consumato ieri pomeriggio, che ha sconvolto la comunità. Protagonista un uomo di 75 anni e la moglie di 71 anni. Ancora tutto da chiarire il movente del tragico omicidio. Il 75enne si chiama Cosimo Marseglia, ex operaio, pensionato, dell’ex Ilva di Taranto, incensurato. Diversi i fendenti scagliati alla moglie, Maria Greco, casalinga, che non ce l’ha fatta. Non hanno potuto fare niente per lei i soccorsi. Diversi i tagli trovati sul corpo dell’uomo. Quando sono arrivati i soccorsi presso l’appartamento il 75enne era riverso sul pavimento sanguinante. È stato ricoverato presso l’Ospedale Santissima Annunziata di Taranto dove stato trasportato in Codice Rosso. Al momento l’uomo non è in pericolo di vita, è vigile e cosciente. È piantonato dai carabinieri in attesa degli esiti finali degli accertamenti di polizia giudiziaria che stanno cercando di ricostruire la vicenda. Le indagini sono coordinate dal sostituto procuratore di turno Enrico Bruschi. Il Corriere di Taranto non esclude che l’uomo sia stato colto da un improvviso raptus. Al momento la ricostruzione rimanda al femminicidio o al limite all’omicidio-suicidio fallito.
Vito Califano. Giornalista. Ha studiato Scienze della Comunicazione. Specializzazione in editoria. Scrive principalmente di cronaca, spettacoli e sport occasionalmente. Appassionato di televisione e teatro.
La tragedia familiare nell'alessandrino. “L’ho ucciso, ero stufa delle sue violenze”, 60enne confessa di aver sedato e strangolato il marito. Vito Califano su Il Riformista il 12 Luglio 2021. È stata lei stessa a chiamare il 112. Ha chiamato i Carabinieri e ha raccontato che a strangolare il marito era stata lei stessa. È successo a Borghetto Borbera, in provincia di Alessandria. I militari che sono intervenuti sul posto hanno trovato un uomo morto con evidenti segni di strangolamento. La donna è stata sottoposta a fermo di indiziato di delitto e tradotta nel carcere Lorusso e Cutugno di Torino. L’uomo, Luciano Giacobone, aveva 64 anni. Sul suo corpo nei prossimi giorni sarà condotta un’autopsia. La moglie, Agostina Barbieri, ha 60 anni. La coppia aveva avuto un figlio, 27 anni, che non era in casa quando si sono consumati i fatti. La donna è stata interrogata nella notte. Ha raccontato di aver sedato l’uomo e di averlo strangolato. Il movente: i continui maltrattamenti e le costanti violenze che lei e il figlio, e anche la suocera, avevano subito e sopportato nel corso degli anni. La 60enne ha chiamato i carabinieri di Novi Ligure intorno alle 19:30. Sul posto sono intervenuti i Carabinieri con la Sezione Investigazioni Scientifiche del Nucleo investigativo del Reparto Operativo di Alessandria. Si sarebbe assunta tutta la responsabilità del delitto e avrebbe raccontato di aver utilizzato dei lacci da scarpe. A fornire la ricostruzione dei fatti all’Ansa gli avvocati Silvia Nativi, referente per il centro provinciale antiviolenza Me.dea, e Franco Nativi, che assistono la donna. “Persona a modo – ha detto Silvia Nativi – Agostina è molto conosciuta, così come accade sempre nelle piccole comunità, come è Borghetto, con i suoi circa 1.200 abitanti. Incensurata, grande lavoratrice, chiederemo per lei una misura alternativa al carcere”. La coppia era sposata dal 1990, la relazione andava avanti invece da 45 anni. Sia lei che lui erano in pensione. Lui era un ex camionista. Torinotoday ha scritto che nel primo pomeriggio l’uomo era andato all’Ospedale di Alessandria per farsi medicare in seguito a una lite con la consorte. Sarebbero volati colpi e bottigliate. Era presente anche il figlio in quei momenti, poi sarebbe uscito. Dopo esser stato al Pronto Soccorso, l’uomo è tornato a casa e alcune ore si è consumata la tragedia familiare.
Vito Califano. Giornalista. Ha studiato Scienze della Comunicazione. Specializzazione in editoria. Scrive principalmente di cronaca, spettacoli e sport occasionalmente. Appassionato di televisione e teatro.
Floriana Rullo per il "Corriere della Sera" il 7 luglio 2021. Violentata solo per vendetta. Per punirla perché lei aveva avuto il coraggio di denunciarlo, dopo un tentato furto nella sua abitazione. A rendere ancora più drammatica la storia il fatto che la vittima è una donna di 91 anni, ancora autosufficiente e perfettamente lucida che, nonostante l'età, viveva da sola nella sua villetta alla periferia est di Asti. Una casa con giardino acquistata con i risparmi di una vita in cui la donna da qualche anno, da quando era rimasta vedova, aveva deciso di continuare a vivere in solitudine. Una decisione di cui era a conoscenza Euro Seferovic, 19 anni, che risiede nel campo nomadi astigiano e ha un passato di reati contro il patrimonio. Per lui rubare in quell' abitazione era un colpo facile da mettere a segno. Per questo aveva tentato di entrare nell' abitazione per portare via i monili che la donna custodiva. Ma da quel primo tentativo il 19enne non solo era tornato a mani vuote, ma la vittima era anche riuscita a riconoscerlo e denunciarlo. Così il giovane ha deciso di vendicarsi. Il 20 maggio scorso è tornato in quella casa. Dopo essere entrato dal giardino e aver sfondato la porta finestra con una grossa ascia ha assalito la donna alle spalle mentre lei era in cucina. Prima le ha strappato gli orecchini, regalo di fidanzamento del marito deceduto, poi le ha sfilato la fede nuziale. Infine, non contento di tanta brutalità, l'ha spinta nella camera da letto dove l'ha violentata. Prima di fuggire si è poi ripulito le mani in carte e documenti. Uno sbaglio che gli è stato fatale: le sue impronte, insieme con l'analisi del liquido seminale hanno reso possibile la sua identificazione. Era stata proprio la donna, una volta rimasta sola, a chiedere aiuto alle forze dell'ordine. «Sono stata violentata» ha raccontato sotto choc alla polizia. Spaventata è stata subito accompagnata al Pronto soccorso dell'ospedale di Asti dove, dopo la visita dei medici, gli agenti hanno raccolto la sua testimonianza. Le immagini delle telecamere di sorveglianza posizionate in tutto il quartiere astigiano hanno fatto il resto. Tra i frame c' erano anche quelli del tentativo di fuga dell'anziana per sottrarsi al giovane, che poi la afferra alle spalle e la riporta dentro casa. Gabriele Fiz, il pubblico ministero della Procura astigiana che sta coordinato le indagini, ha chiesto e ottenuto l'arresto per Euro Seferovic. Il giovane, accusato di furto e violenza sessuale, è stato trasferito nel carcere delle Vallette nella sezione «sex offender». La 91enne, che per fortuna non ha riportato gravi lesioni fisiche, ha lasciato la sua villetta. «Non tornerò mai più in quella casa» ha detto scossa agli agenti che la consolavano.
La 91enne denuncia il ladro rom, lui la stupra "per sfregio". Rosa Scognamiglio il 6 Luglio 2021 su Il Giornale. Il rom aveva rapinato l'anziana un anno prima dello stupro. "Si è trattato di un gesto di sfregio", ha spiegato il capo della Mobile. L'ha rapinata e poi stuprata "per sfregio" un anno dopo un tentativo di furto andato a vuoto. Un vero e proprio piano criminale quello architettato da Euro Seferovic, 19enne rom, ai danni di un'anziana di 91 anni piemontese. Il ragazzo, residente nel campo nomade di via Guerra, ad Asti, è stato arrestato nella mattinata di lunedì 5 luglio e condotto in carcere a Torino: dovrà rispondere dei reati di rapina e violenza sessuale.
La rapina choc. Stando a quanto riferisce il portale lavocediasti.it, i fatti risalgono alla sera dello scorso 20 maggio. Il rom si è introdotto dal giardino nell'abitazione della 91enne sfondando la porta finestra con una grossa ascia. Senza indugiare, una volta dentro la casa, ha raggiunto l'anziana per aggredirla e sottrarle gli ori che indossava: la fede e un paio di orecchini. Inibita la vittima con le minacce, ha poi tentato di raccattare qualche banconota dai cassetti ma invano. A quel punto, è scattata la furia.
L'orrore sul corpo dell'anziana. Il 19enne ha trascinato l'anziana in camera da letto afferrandola per un braccio. Quindi l'ha svestita e gettata sul letto intimandole il silenzio. Dopo essersi assicurato di averla immobilizzata, l'ha stuprata "con inaudita violenza", scrive il giornale astigliano. Lo ha fatto per ben 30 minuti salvo poi darsi alla fuga col bottino. Sotto choc per l'aggressione subita, la 91enne ha lanciato l'allarme al 112. Non appena gli agenti della Mobile sono giunti sul luogo della segnalazione hanno potuto constatare quanto accaduto provvedendo a richiedere l'intervento del 118 per l'anziana vittima.
Le indagini e la cattura. Grazie al contributo della polizia scientifica è stato possibile risalire all'identità dell'aggressore. I tecnici hanno definito il profilo del ragazzo lavorando sulle tracce di liquido seminale rinvenute sul ventre dell'anziana. Da lì, la scoperta choc: si trattava dello stesso rom che, un anno prima, aveva tentato di rapinare la 91enne. Rintracciato nel campo nomade di via Guerra, ad Asti, il 19enne è stato condotto in carcere a Torino. "Ieri è stato arrestato e condotto al carcere Le Vallette di Torino, dove si trova anche un reparto di sex offender", ha spiegato Federico Mastorci capo della squadra mobile di Asti che rimarca: "Si è trattato di un gesto di sfregio, particolarmente violento nei confronti della signora". Le indagini sono state condotte dalla squadra mobile terza sezione reati contro il Patrimonio e la Pubblica Amministrazione, con il coordinamento della procura e del pm Gabriele Fiz. Ieri l'ordinanza di arresto emessa dal gip, Giorgio Morando.
Rosa Scognamiglio. Nata a Napoli nel 1985 e cresciuta a Portici, città di mare e papaveri rossi alle pendici del Vesuvio. Ho conseguito la laurea in Lingue e Letterature Straniere nel 2009 e dal 2010 sono giornalista pubblicista. Otto anni fa, mi sono trasferita in Lombardia dove vivo tutt'oggi. Ho pubblicato due romanzi e un racconto illustrato per bambini. Nell'estate del 2019, sono approdata alla redazione de IlGiornale.it, quasi per cas..
(ANSA il 5 luglio 2021) - Aveva denunciato atti persecutori da parte dell'ex marito, che, in un'occasione, avrebbe anche commissionato un'aggressione ai suoi danni. I fatti erano stati denunciati nel marzo scorso da una donna di San Giorgio, in provincia di Pavia, che si era presentata ai carabinieri denunciando di avere subito atti persecutori da parte dell'ex marito, da circa un anno e che l'uomo l'aveva più volte minacciata. Aveva aggiunto che, poche ore prima della denuncia, era stata aggredita, per conto dell'ex, da uno sconosciuto in una via del centro abitato di Ottobiano, sempre nel Pavese. I militari, con indagini tecniche, hanno scoperto, però, che la donna aveva inventato le accuse nei confronti dell'ex consorte, attivando un'utenza cellulare per realizzare un falso profilo Facebook con il quale simulava minacce e atti persecutori. I militari di San Giorgio Lomellina hanno analizzato i software da lei utilizzati scoprendo le origini delle minacce mentre, visionando le telecamere del Comune di Ottobiano, hanno provato che non aveva mai subito aggressioni da parte di sconosciuti. La donna è stata segnalata alla Procura di Pavia per simulazione di reato.
Dagotraduzione da NbcNews il 2 luglio 2021. Il più grande caso di abusi sessuali su minori nella storia degli Stati Uniti, quello che ha coinvolto i Boy Scouts of America, si sta chiudendo con un risarcimento milionario. Le 84.000 persone che hanno fatto causa all’organizzazione saranno risarcite con 850 milioni di dollari complessivi. L'anno scorso i Boy Scouts of America hanno dichiarato bancarotta perché hanno dovuto affrontare crescenti costi legali per difendersi dalle accuse di abusi sessuali dei ragazzi. Ken Rothweiler, un avvocato di Eisenberg Rothweiler a Filadelfia, che rappresenta il gruppo più numeroso di richiedenti - più di 16.800 persone - afferma che questo accordo è un inizio. I diritti assicurativi degli ultimi 40 anni saranno affidati a un fondo fiduciario che il gruppo dei sopravvissuti controllerà e che potrebbe ammontare a miliardi in più per le vittime. «Sono lieto che sia la BSA che i loro consigli locali si siano fatti avanti per essere i primi a risarcire i sopravvissuti», ha detto Rothweiler in una dichiarazione giovedì. «Ora negozieremo con gli assicuratori e le organizzazioni di sponsorizzazione e noleggio che hanno miliardi di dollari di esposizione legale, di cui una parte sostanziale è necessaria per risarcire equamente i sopravvissuti». Rothweiler afferma che la maggior parte dei suoi clienti ha tra i 60 e i 70 anni e l'abuso è avvenuto mentre erano adolescenti. «Come ex boy scout sopravvissuto ad abusi sessuali, sono contento che i boy scout si stiano assumendo la responsabilità dell'abuso che è capitato a me e ad altri con cui abbiamo dovuto convivere per decenni», ha detto una vittima di 65 anni che vive nell'area di New York. «Questo riconoscimento da parte dei Boy Scout avvierà il processo di guarigione per molti di noi che hanno sofferto». L'accordo è stato dettagliato nei documenti del tribunale depositati giovedì. I boy scout hanno definito l'accordo un passo significativo. «Questo accordo aiuterà i consigli locali a dare i loro contributi al Trust senza ulteriore drenaggio dei loro beni e consentirà loro di andare avanti con l'organizzazione nazionale verso l'uscita dalla bancarotta», ha affermato il gruppo in una nota giovedì. «C'è ancora molto da fare per ottenere l'approvazione dalla Corte per sollecitare i sopravvissuti a votare per il Piano di riorganizzazione modificato della BSA. Tuttavia, con questo incoraggiante e significativo passo avanti, la BSA è impegnata con tutto il cuore a lavorare per una risoluzione globale. La nostra intenzione è quella di cercare conferma del Piano quest'estate e uscire dalla bancarotta alla fine dell'anno». L'anno scorso, quando l'organizzazione ha presentato istanza di protezione dalla bancarotta, un portavoce dell'organizzazione ha affermato che aveva due obiettivi chiave: «risarcire equamente le vittime che sono state danneggiate durante il loro periodo nello scoutismo e continuare a svolgere la sua missione negli anni a venire». «Siamo devastati dal numero di vite colpite dagli abusi perpetrati nello scoutismo e commossi dal coraggio di coloro che si sono fatti avanti», hanno detto in precedenza i boy scout. «Siamo dispiaciuti di non poter annullare il loro dolore». La leadership dei boy scout ha insistito sul fatto che lo scoutismo «è più sicuro ora che mai» e il 90 percento delle rivendicazioni contro l'organizzazione «è avvenuto più di 30 anni fa». «Dalla formazione obbligatoria sulla protezione dei giovani e ai controlli dei precedenti per tutti i volontari e il personale, alle politiche che vietano l'interazione individuale tra giovani e adulti e richiedono che qualsiasi sospetto abuso sia segnalato alle forze dell'ordine, i nostri volontari e dipendenti prendono molto sul serio la protezione dei giovani e fanno la loro parte per aiutare a mantenere i bambini al sicuro», hanno scritto in una dichiarazione alla "Famiglia scout" l'anno scorso.
L'ipotesi di omicidio premeditato sul delitto di Monteveglio. “Una voce interiore mi ha detto di uccidere”, la confessione del 16enne sull’omicidio di Chiara Gualzetti. Vito Califano su Il Riformista il 29 Giugno 2021. Chiara Gualzetti è stata uccisa, finita a coltellate a 15 anni, e il suo corpo è stato abbandonato e trovato nelle campagne di Monteveglio, in provincia di Bologna. Un amico della ragazza, sottoposto a fermo nella notte, anche lui giovanissimo, 16 anni, ha confessato. “Ho agito per una spinta superiore, una sorta di voce interiore che mi ha detto di uccidere”, avrebbe spiegato. Il cadavere della ragazza è stato trovato nel Parco Regionale dell’Abbazia di Monteveglio, dopo un giorno circa di ricerche, ieri pomeriggio, dietro un cespuglio dai volontari. La confessione del 16enne è stata raccolta dagli inquirenti coordinati dalla procuratrice Silvia Marzocchi e dal pm Simone Purgato. “Sento un demone che mi parla da molti anni”, avrebbe raccontato secondo Il Corriere della Sera. La Repubblica scrive che il ragazzo avrebbe raccontato che Chiara gli aveva confidato il desiderio di morire e un interesse sentimentale non corrisposto. Tutte affermazioni al vaglio della Procura per i minorenni di Bologna che intanto ha ipotizzato l’accusa di omicidio aggravato dalla premeditazione e dal fatto che la vittima aveva meno di 18 anni. Il 16enne avrebbe secondo l’ipotesi pianificato il delitto, dando appuntamento alla ragazza, domenica scorsa, con l’intenzione di ucciderla e portando con sé un coltello che è stato ritrovato a casa sua, pulito, e sequestrato. Sequestrati anche i telefoni per ricostruire il rapporto tra i due. Il 16enne avrebbe cancellato alcune chat prima di essere rintracciato dai carabinieri. Il fermo è stato eseguito intorno alle 4:30 dai militari del Nucleo Operativo della compagnia di Borgo Panigale e dai Carabinieri del Nucleo Investigativo del comando provinciale di Bologna. È stato trasferito in un Centro di Giustizia per minori. A lui gli investigatori sono arrivati dopo aver scoperto si trattasse dell’ultima persona a incontrare la 15enne. Il ragazzo avrebbe ricostruito con lucidità il delitto dicendo di aver agito da solo. I due ragazzi si conoscevano, si frequentavano da qualche tempo ma non avrebbero intrattenuto rapporti sentimentali. Il movente è confuso, oscuro, descritto come una spinta interiore e superiore che lo avrebbe spinto all’efferato delitto. Il 16enne era seguito da una psicologa. La Procura dei Minorenni sta valutando se sottoporlo a una perizia psichiatrica. Nessuno dei due era seguito dai servizi sociali. Disposta l’autopsia sul corpo della ragazza.
Vito Califano. Giornalista. Ha studiato Scienze della Comunicazione. Specializzazione in editoria. Scrive principalmente di cronaca, spettacoli e sport occasionalmente. Appassionato di televisione e teatro.
(ANSA il 29 giugno 2021) Ha detto di aver agito da solo. Ha dato appuntamento a Chiara Gualzetti, l'ha portata ai margini del bosco nel parco dell'Abbazia di Monteveglio e lì l'ha uccisa, domenica scorsa. In quel punto, parzialmente nascosto da un cespuglio, il cadavere è rimasto per un giorno, quando è stato trovato ieri pomeriggio dai volontari attivati dai genitori. Il racconto del sedicenne fermato con l'accusa dell'omicidio della sedicenne sarà riscontrato in ogni suo punto dai carabinieri e dalla Procura per i minorenni di Bologna. Sarà disposta l'autopsia per verificare i tempi e le modalità del delitto, compiuto a coltellate. E sono stati sequestrati i telefoni per ricostruire i rapporti tra i due, i messaggi che si sono scambiati. L'indagato ha cancellato alcune chat prima di essere rintracciato dai militari. Al sedicenne, che risiede nello stesso Comune di Valsamoggia, gli investigatori sono arrivati in quanto ultima persona che aveva incontrato la giovane, allontanatasi da casa domenica senza rientrare. La Procura chiederà la convalida del fermo e la custodia cautelare in carcere. Non risulta che alcuno dei due ragazzi fosse seguito dai servizi sociali.
(ANSA il 29 giugno 2021) Il coltello usato per uccidere Chiara Gualzetti a Monteveglio è stato trovato in casa del ragazzo indagato dai carabinieri. Sarebbe stato lo stesso giovane a dire di averlo utilizzato. Il coltello aveva i denti sporchi di sangue: è stato sequestrato e saranno disposte analisi sul sangue e sulle impronte digitali, per cercare riscontri alla confessione dell'indagato.
Claudia Guasco per "il Messaggero" il 29 giugno 2021. Il piccolo mondo di Chiara è musica, passeggiate nel parco dell'Abbazia di Monteveglio, la compagnia di arcieri che mette in scena rievocazioni storiche. Foto gioiose truccata da gatto e dichiarazioni di sfida al mondo: «Non mostrarti mai fragile davanti ai lupi, saranno sempre pronti a colpirti», scriveva sul suo profilo Instagram Chiara Gualzetti, sedici anni ancora da compiere. La sua scomparsa ha mobilitato tutto il paese, il suo corpo martoriato trovato in un dirupo è stato un pugno per tutta la comunità. A casa di papà Vincenzo e mamma Giusi arrivano amici e parenti, nel cortile davanti all' abitazione nei pressi della collina abbracciano i genitori cercando di dare loro un po' di conforto. Vincenzo Gualzetti non ha nemmeno la forza di parlare: «Non me la sento, ho bisogno di stare un attimo tranquillo». Cercavano Chiara da domenica pomeriggio, chiedendo rinforzi via social. Francesca Pacelli, la zia della ragazzina, ha rilanciato l'appello della mamma: «Mia figlia è uscita stamattina da casa e non è più tornata. Era vestita con maglietta e pantaloncini neri. Per cortesia, se qualcuno l'avesse vista o la vedesse mi scriva. Grazie». Alle tre parte il primo allarme: «Arrivata preallerta attivazione ricerca scomparsa. Si chiede disponibilità volontari per un primo turno. Area ricerca piuttosto scoscesa nel parco Abbazia». Nessuno immaginava che la vita semplice di Chiara finisse così. Le foto che pubblicava erano lo specchio di una quindicenne amante degli animali, delle gite con l'amica del cuore nei boschi e nelle campagne vicino casa. E della musica. Ha frequentato l'istituto comprensivo Bazzano Monteveglio, scuola a vocazione artistica, con i compagni ha partecipato a un laboratorio teatrale sulle difficoltà dell'adolescenza. A quindici anni dava forma a quelle ombre con parole a volte cupe, da cui emergono sensibilità e la fragilità del cristallo: «Mi dicono che ho un bel corpo, mi dicono che sono intelligente e bella. E va sempre a finire che quando lo dicono, lo dicono per approfittarsi del mio corpo e della mia intelligenza. Oppure spariscono perché si stancano di provare a usare il mio corpo e si stancano della mia intelligenza», scriveva qualche mese fa. All'inizio del 2020 Chiara raccontava di una sua ingenuità, di «errori», di una forza che non riusciva a trovare per affrontare chi, sono le sue parole, la tormentava «da anni con le prese in giro». Ma basta voltare pagina per ritrovare Chiara gioiosa e pronta a spiccare il volo: «Sposteremo il mondo e io mi fido di te». Proprio attraverso i social gli investigatori hanno ricostruito amicizie e frequentazioni, concentrando i sospetti su un suo coetaneo. Lei scriveva «amami come fosse l'ultimo giorno», ma non era amore. Di Chiara restano le foto con la compagnia degli arcieri, sorridente con l'arco e un abito d' epoca. «Questa è stata la mia prima manifestazione con gli arcieri del Melograno. È stata fantastica, con tutti i miei amici arcieri e i bimbi che venivano a tirare e ogni volta sono tutti carinissimi. Spero che arriveranno altri arcieri col passare del tempo. Così la nostra famiglia si allargherà ancora e sarà ancora più bella». Anche i genitori raccontano la figlia, seguendola nelle tappe più importanti della sua vita. Il filmino del saggio di ginnastica ritmica, le candeline del compleanno, la festa con il volto truccato da gatto. Chiaretta, era il suo nome su Instagram. «Arciera del Melograno. Amo la musica. Mi affeziono facilmente e sono un gran disastro», il ritratto che dipingeva di sé. A Monteveglio ancora nessuno crede che Chiara non ci sia più. Tra gli abitanti c' è Barbara, che dà voce a un dolore condiviso: «In una comunità così piccola, i figli sono i figli di tutti. Oggi abbiamo perso una figlia, uno dei nostri ragazzi. Non ci sono parole per tutto questo».
Chiara Gualzetti, il padre Vincenzo: "Conosco l'assassino di mia figlia. Non ha demoni, è solo un alibi". Libero Quotidiano il 30 giugno 2021. Vincenzo Gualzetti, il papà di Chiara, la ragazzina di neanche sedici anni uccisa da un coetaneo a Monteveglio, in provincia di Bologna, è un uomo distrutto e teme che oltre al dolore enorme per la perdita della figlia, non avrà giustizia. "Conosco l'assassino di mia figlia e non ha demoni. Lo conosco il ragazzo, perché ha fatto uno stage con me come elettricista e non ha mai dimostrato quei demoni che racconta di avere. Forse sarà uno dei primi alibi che sta cercando di crearsi. Io non vorrei che mia figlia fosse morta per niente e che non abbia giustizia", si sfoga. Spera che il minore fermato con l'accusa di omicidio premeditato paghi per il terribile delitto che ha commesso e che non ci siano "sconti di pena" per quei "demoni" di cui lui che ci ha lavorato insieme, non ha mai visto traccia. Ma sa che la perizia psichiatrica che la procura per i minorenni di Bologna potrebbe richiedere potrebbe riconoscere che è "incapace di intendere e volere". E in questo caso potrebbe non essere processato, evitare il carcere e tornare libero in tempi brevi. "Sentivo il demone dentro di me, sono uscito di casa con un coltello per ucciderla", ha detto il giovane che ha confessato ai carabinieri di Borgo Panigale e al magistrato della procura per i minorenni Simone Purgato di aver ammazzato Chiara. Nel lungo interrogatorio il sedicenne ha anche raccontato di alcune frasi ‘ambigue’ della vittima, così come dell’infatuazione della ragazza nei suoi confronti. Ora deve rispondere di omicidio premeditato. “Diceva che voleva morire, lei era infatuata di me ma a me non piaceva”, ha raccontato dopo il fermo. Frammenti di un racconto confuso: “Durante il lungo interrogatorio ha detto che lui era a conoscenza delle frasi pronunciate da lei come ‘voglio morire’ - affermazione non si sa quanto reale o pronunciata per attirare l’attenzione - così come ha affermato che Chiara era infatuata di lui, elemento confermato da alcuni amici”, spiegano in procura. Al momento “il movente è al vaglio, non è chiaro”. "Faremo una perizia nei confronti del ragazzo fermato che ha una personalità particolare. Bisogna vedere quanto c’è di costruito nel dire che sentiva ‘voci superiori’ che gli hanno detto di uccidere. Questo accenno suggerisce un approfondimento", spiegano fonti della procura per i minorenni di Bologna.
Cla. Gua. per "il Messaggero" il 30 giugno 2021. Vincenzo Gualzetti, il papà di Chiara, ha spalancato le porte all' assassino di sua figlia. A. ha frequentato la sua casa e ha svolto un periodo di tirocinio nella ditta che realizza illuminazione led. «Lo conosco, il ragazzo, ha fatto uno stage con me. Non ha mai dimostrato demoni né spiriti, sarà forse uno dei primi alibi che si sta creando. Io non vorrei che mia figlia fosse morta per niente e che non abbia giustizia». La casetta gialla della famiglia Gualzetti, ai piedi della salita che porta all' Abbazia di Monteveglio, è un via vai di amici e parenti. Nel cortile abbracciano la mamma Giusi, maestra all' asilo, e il padre in lacrime, che non si dà pace: «Mi auguro che paghi per quello che ha fatto. Se il ragazzo fosse riconosciuto incapace di intendere e volere potrebbe non essere processato e tornare libero dopo non molto tempo».
«AMATA DA TUTTI» Ma adesso l'unica cosa che conta per Vincenzo è afferrare per sempre il ricordo di Chiara e dire a tutti com' era la sua bambina. «Voglio raccontare la sua vita, i suoi sorrisi. Era una ragazzina solare, tranquilla, tutti le volevano bene. Era una persona semplice, amava la musica, gli animali, il tiro con l'arco, aveva tante amiche». E ottimi voto a scuola. Il padre mostra orgoglioso l'ultima pagella, «nella vita era una vincente». Era anche figlia unica e il vuoto, nella casetta gialla con i muri un po' scrostati e le persiane storte, è abissale. Vincenzo indica l'abitazione. «Volevo sistemarla per lei, sarebbe stata la sua eredità, ora a chi la lascio? Magari faccio un centro per i giovani, un ritrovo intitolato a suo nome per ricordarla anche quando noi non ci saremo più». Monteveglio è piccola e tutti si conoscono, «noi non temevamo che Chiara andasse in giro da sola in paese. Diciassette anni fa ho lasciato Napoli con mia moglie perché mia figlia nascesse qui, volevo crescesse in un posto sicuro per il suo futuro e ora non mi rimane niente: lei non ha più futuro e io non ho nessun futuro senza di lei». Ieri nel piccolo centro tra le campagne bolognesi l'atmosfera era sospesa, poche persone in giro, i più piccoli a casa. Una bambina sale di corsa le scale del centro ricreativo, con un libro sotto al braccio. Il ricordo degli abitanti torna indietro di tre anni, a settembre 2018, quando in un comune vicino Giuseppe Balboni, 16 anni, è stato ucciso da un coetaneo con due colpi di pistola al volto e il suo corpo è stato gettato in un pozzo, dove è stato trovato una decina di giorni dopo. Allora era una brutta storia di soldi e di droga, oggi quella di una ragazzina che non ha capito in tempo che doveva scappare da chi le faceva del male. A Monteveglio adesso nessuno ha molta voglia di fermarsi, ma tutti conservano nel cuore un ricordo speciale di Chiara. «Veniva qui, comperava le sue riviste e faceva sempre due chiacchiere. Era una brava ragazza», riferisce l'edicolante. Un' amica di Chiara arriva a casa Gualzetti con la nonna, per portare conforto ai genitori. «Non avrei mai immaginato potesse succedere una cosa simile - commenta scossa – L’ho vista l'ultima volta venerdì in pullman». Tiziana Tiengo, la dirigente scolastica dell'Istituto alberghiero Vigorelli, la scuola frequentata da Chiara, è di fronte a un'impresa difficile e dolorosa: «Siamo sconvolti, tutti quanti, e stiamo cercando di trovare il modo giusto per parlare con i suoi compagni, con la sua classe. Nei prossimi giorni faremo un incontro con una psicologa per aiutarli e affrontare insieme questa terribile tragedia».
FIACCOLATA La ragazzina, spiega la preside, era benvoluta da tutti. «Secondo i suoi insegnanti Chiara aveva delle buone relazioni con i compagni e andava bene a scuola. Aveva frequentato il secondo anno nella sede in Valsamoggia ed era uscita con la media dell'otto. Avendo scelto l'indirizzo di accoglienza turistica, dal prossimo anno si sarebbe trasferita nella sede di Casalecchio di Reno. Con lei non ci sono mai stati problemi, era una ragazza serena». Questa sera, per ricordarla, ci sarà una fiaccolata, «sarà un momento per onorare Chiara ma anche l'occasione per abbracciare la famiglia e stringersi intorno a loro come comunità in un momento così straziante», dice il sindaco Daniele Ruscigno. Il papà Vincenzo trova anche la forza di ringraziare: «Un pensiero a tutti per la vicinanza e agli inquirenti per quello che hanno fatto».
Val.Err. per "il Messaggero" il 30 giugno 2021. Riccardo Zerbetto, neuropsichiatra infantile, esperto in dipendenze affettive, fa una premessa che ritiene doverosa: «Il fatto di volere comprendere una motivazione, per quanto astrusa, non significa giustificare. Siamo di fronte a un fatto di sangue così assurdo, che è normale interrogarsi. Anche se le risposte non possono mai essere soddisfacenti. Davanti alla morte niente e nessuno può dare la giustificazione». Ma poi lo psichiatra aggiunge: «Una motivazione per arrivare a un gesto simile, così estremo, dal punto di vista psichiatrico, c' è. È un impulso, anche se sappiamo che il ragazzo è uscito di casa con il coltello, per questo la premeditazione non si esclude».
Come è possibile che un ragazzo che non ha precedenti di violenza arrivi a tanto e uccida una coetanea che manifestava affetto per lui. Non è il consueto cliché dell'omo respinto.
«Dai pochi elementi emersi nella prima fase delle indagini è possibile prendere in considerazione alcuni aspetti che potrebbero avere avuto un peso. Questo ragazzo ha visto insediare la sua primogenitura da altri due fratellastri e da tre compagni che si sono aggiunti e da tre compagni della mamma. Una circostanza che certo non giustifica l'omicidio, ma che potrebbe avere reso il suo equilibrio affettivo instabile».
Nel suo profilo social si ritraeva, come molti coetanei, compiaciuto della propria immagine.
«I selfie evidenziano un aspetto narcisista. Si ritrae con un addome tartarugato del quale si compiace. E forse in questa dinamica entra in gioco Chiara. Riguarda la polarità di Narciso ed Eco, con la fanciulla che finisce tragicamente (perché Narciso la respinge ndr). E questo ricorda Chiara che ha bisogno di conferme e affetto. Apprezzata per il suo fisico e la sua intelligenza, ma non appagata, come se volesse di più. Risulta che fosse lei invaghita di questo ragazzo. Questo amore non corrisposto, per lei, è stata una delusione e non sappiamo quanto, nella relazione intima tra questi ragazzi, lui si sia sentito inadeguato a corrispondere un sentimento che non provava. E questo può essere insostenibile per una psicologia immatura».
Andrea diceva di sentire delle voci.
«Qui subentra un altro elemento. È il diavolo, una voce, che gli fa compiere questo atto orribile. L' immaginario, già confuso del ragazzo, è stato inquinato dalla serie Lucifer. Una storia nella quale compare il figlio di Satana che, però, in qualche modo, aiuta a sgominare i criminali, quindi una situazione ambivalente. Da un lato è il demonio ad agire, dall' altro Lucifer ha anche un compito positivo a cui assolvere. Una mente con dei tratti di ambivalenza probabilmente ha fatto una gran confusione. E così il ragazzo è quasi venuto incontro a quella che poteva essere stata una richiesta di Chiara. Questo non giustifica il gesto. Siamo di fronte allo sgomento. Qualcosa che rimane comunque misterioso».
C' è un malessere generazionale?
«Più in generale, c' è un fenomeno, come sappiamo dalla cronaca, abbastanza diffuso tra i giovani. Flirtare con il vietato e l'impossibile, giocare con la morte. Una situazione che ripropone il tema dell'ordalia, della sfida estrema, come nella roulette russa. Il piacere di provare il brivido della morte per assaporare la vita. Ed è una vita che spesso sfugge a questi ragazzi che ricevono molto. Oggi hanno più mezzi che ragioni per vivere in un vuoto semantico, come di fronte a un mondo che teoricamente promette tutto ma, come diceva Kierkegaard, l'angoscia sorge nel tentativo di cercare una direzione e un senso. La fragilità emotiva lascia vulnerabili».
Per un genitore è difficile capire.
«Non c' è una risposta facile. E comunque non possiamo eludere la domanda.
È come se l'umanità avesse perso la bussola per la traiettoria di senso, che ci aiuta a offrire una direzione di vita ai ragazzi. Di fronte alla mancanza di risposte, resta l'importanza di non eludere la domanda».
Da ansa.it il 30 giugno 2021. Fermo convalidato e disposta la custodia cautelare in carcere per il giovane indagato per l'omicidio di Chiara Gualzetti, uccisa a Monteveglio, nel parco dell'Abbazia e ritrovata cadavere lunedì. Lo ha deciso il Gip del tribunale per i minorenni di Bologna, accogliendo le richieste della Procura, all'esito dell'udienza. Il giudice ha anche confermato l'aggravante della premeditazione. Chiara è stata "colpita ripetutamente" dall'amico sedicenne con una serie di fendenti "portati sia di punta che di taglio" con un coltello da cucina. È questa la ricostruzione della Procura per i minorenni di Bologna che con il pm Simone Purgato contesta al giovane l'omicidio volontario premeditato. L'aggravante deriva dal fatto, secondo l'accusa, che l'azione è stata concertata nei giorni precedenti e che l'indagato ha portato con sé un coltello. Tutto sarebbe successo, secondo l'imputazione provvisoria e in attesa dell'autopsia, intorno alle 10 di domenica 27 giugno. Davanti al Gip del tribunale di Bologna il sedicenne indagato per l'omicidio premeditato di Chiara Gualzetti ha ribadito le dichiarazioni fatte nell'interrogatorio davanti agli inquirenti, nelle quali aveva confessato il delitto. È quanto si apprende sull'udienza per il delitto di Monteveglio. È uscita dal tribunale per i minorenni di Bologna coprendosi il volto con un foglio di carta e non ha parlato con i cronisti e gli operatori tv. La madre del giovanissimo indagato per l'omicidio della sedicenne è rimasta in silenzio, al suo fianco il legale che ha ribadito la volontà di non dire nulla. Insieme a loro altre due persone. Terminata l'udienza di convalida, hanno lasciato il palazzo di giustizia minorile in via del Pratello, dirigendosi verso il centro della città. "Sono ancora in una bolla", aveva detto prima di entrare. "Sicuramente Chiara si fidava di lui. È praticamente un amico di famiglia. Un ragazzo che ha fissato un appuntamento, come mi raccontava il padre ieri sera, è andata a prenderla a casa. Quale migliore condizione di serenità per un genitore sapere che la figlia va a fare un giro accompagnata da un amico. Se questa è la premessa nessun genitore potrebbe mai immaginare un epilogo di questo tipo. È disumano immaginare una cosa del genere. Non è un comportamento umano". Lo ha detto l'avvocato Giovanni Annunziata, che assiste la famiglia Gualzetti. "È un atto che non può essere assolutamente commentato, se non con il capo di imputazione. Per fortuna il capo di imputazione ripercorre in modo preciso la condotta dell'indagato - ha aggiunto il legale - Ci sono delle aggravanti rassicuranti per le persone danneggiate, in questo caso i genitori". L'avvocato Annunziata ha proseguito sottolineando che "non si tratta di un colpo di pistola, di una azione che ha una durata diversa da un atto singolo, e la cosa più significativa è anche la condotta successiva, aver cancellato i messaggi, aver cercato di normalizzare una vicenda che va qualificata come un atto di disumana ferocia. La cosa necessaria è fare giustizia rispetto ad una bambina di 15 anni che per ragioni incomprensibili non ha avuto il diritto di vivere", ha detto, sottolineando di non ritenere superflua una perizia psichiatrica. "Perché se questa può essere un'alternativa difensiva è meglio affrontare subito il tema e sbrogliare il campo da dubbi. Non credo che sia controproducente anzi può darsi che con una perizia psichiatrica si evitino vie di fuga difensive che possono spostare l'asse dell'attenzione investigativa su aspetti che ritengo siano assolutamente irrilevanti. La rilevanza di questa vicenda è legata alla ferocia e all'efferatezza". Sul corpo di Chiara l'autopsia sarà eseguita domani, primo luglio. A Monteveglio è lutto cittadino e stasera una fiaccolata ricorderà la ragazza.
I verbali choc del killer: "Avevo già provato ad ammazzare Chiara". Tiziana Paolocci l'1 Luglio 2021 su Il Giornale. Il giovane arrestato: "Alcuni giorni fa l'impulso. Poi ho desistito perché c'erano altre persone". «Avevo già provato l'impulso fortissimo di uccidere Chiara pochi giorni fa, ma avevo desistito, visto che erano presenti altre persone. Ho fatto davvero fatica a trattenermi, ma quell'idea mi è rimasta in testa perché avevo promesso al demone di agire sul serio, sperando mi lasciasse in pace per un po'». Chiara Gualzetti già una volta si era salvata senza saperlo dalla furia dell'amico, che gli piaceva tanto e che, giocando sull'attrazione che lei provava, domenica l'ha attirata in trappola e l'ha finita a coltellate a Monteveglio, a un chilometro Valsamoggia, dove la vittima viveva. Ai carabinieri ha raccontato che quel pensiero non l'aveva abbandonato. «Se morissi non mancherei a nessuno», gli scriveva lei per metterlo alla prova, sperando di sentirsi dire il contrario. Lui, il classico «bello e maledetto» come lo vedevano in molti, aveva fatto perdere la testa all'amica, che spesso cercava per fare due chiacchiere, quando aspettava il pullman lì a Monteveglio. Ma sentiva di volerla uccidere. Ai carabinieri di Bologna Borgo Panigale, coordinati dal capitano Riccardo Angeletti, ha detto che aveva «sete di sangue» e a spingerlo era «quell'entità che poteva vedere e sentire già dall'età di 12 anni». «Domenica ucciderò una ragazza», aveva annunciato a un parente, senza essere preso sul serio. Invece alle 9 di domenica è andato da Chiara. «Abbiamo parlato dieci minuti, poi l'ho convinta a salire sulla collina - ha confessato con freddezza - e lì l'ho invitata a girarsi, fingendo che avessi un regalo e volessi farle una sorpresa. Le ho dato un paio di coltellate, tenendole la mano sulla bocca per non farla urlare. Ma lei ha iniziato a singhiozzare. Allora l'ho presa a calci in faccia fino a quando non è morta. Ricordo che non voleva morire e mi sono stupito di quanto fosse resistente il corpo umano». «Ho ucciso Chiara», ha poi scritto a un'amica lunedì, mentre la famiglia della 15enne e tutta Valsamoggia e Monteveglio la cercavano senza sosta. Ma quei messaggi, che ha poi cancellato, erano già stati letti dagli investigatori, ai quali papà Vincenzo aveva fornito la password Instagram della figlia. Chiara ha provato inutilmente a salvarsi, come dimostra la ciocca di capelli del carnefice che stringeva nella mano. Ieri il gip del tribunale dei Minorenni ha convalidato il fermo del sedicenne, che dovrà rispondere di omicidio premeditato. «Sono ancora in una bolla, sono spaventata e confusa. Non ho parole per quanto avvenuto», ha detto ieri la mamma dell'indagato uscendo dal carcere del Pratello. Poi ha nascosto il volto con un foglio di carta, per celare gli occhi lucidi. I genitori di Chiara, invece, non hanno più lacrime. Domani verrà effettuata l'autopsia e Giovanni Annunziata, l'avvocato della famiglia Gualzetti ha chiesto che partecipi un medico legale e un anatomopatologo oltre ai periti del pm per dimostrare la «ferocia e l'efferatezza del killer». Il legale non si opporrà alla perizia psichiatrica sull'arrestato, perché la premeditazione è evidente. «Dalla ricostruzione degli eventi - sottolinea Annunziata - una persona che ha la lucidità di cancellare le chat, tornare a casa, rispondere al cellulare come se nulla fosse accaduto è poco compatibile con la follia». Tiziana Paolocci
Chiara Gualzetti, l’assassino: “Non moriva, ero stupito di quanto fosse resistente il corpo umano”. Debora Faravelli l'01/07/2021 su Notizie.it. Seppur colpita più volte con un coltello, Chiara Gualzetti ha resistito per tempo ai colpi del suo assassino: il racconto dell'amico che l'ha uccisa. L’amico di Chiara Gualzetti che ha confessato di averla uccisa ha raccontato nuovi particolari dell’omicidio, facendo leva in particolare sul suo stupore per il fatto che “non moriva e resisteva”. Queste le parole che il ragazzo avrebbe pronunciato durante l’interrogatorio: “Ricordo che la colpivo ma non moriva e mi sono stupito di quanto fosse resistente il corpo umano”. Nonostante l’avesse già colpita più volte con il coltello che si era portato da casa (dettaglio che lo ha fatto indagare per omicidio premeditato) e con calci, “ricordo che non moriva”. Nel nuovo interrogatorio il giovane ha ribadito di aver agito dopo aver sentito delle voci demoniache interiori tra cui quella di Samael, l’angelo del giudizio con cui “parlo da molto tempo” e che “ho anche visto, un uomo di fuoco”. Intanto il giudice che ha confermato il fermo ha accolto la richiesta della Procura e lo ha convalidato perché quel ragazzo potrebbe uccidere ancora. La famiglia di Chiara si è inoltre affidata ad un legale, Giovanni Annunziata, che premette di non credere alla presunta follia del ragazzo e che ha chiesto per lui una condanna proporzionata. Vale a dire giusta, come chiede la stessa madre della vittima che durante la fiaccolata in memoria della figlia si è così espressa: “Mi affido alla giustizia, e la voglio”.
Chiara Gualzetti colpita ripetutamente con un coltello: spunta un video prima dell’omicidio. Debora Faravelli l'01/07/2021 su Notizie.it. La magistratura ha a disposizione il video che precede l'omicidio di Chiara Gualzetti e che mostra gli ultimi istanti di vita della ragazza. Emergono nuovi particolari sull’omicidio di Chiara Gualzetti, la 16enne scomparsa e trovata morta dopo essere stata uccisa da un coetaneo: la Procura ha nelle mani il video che precede l’uccisione, con la giovane e il killer che si dirigono verso il parco dell’Abbazia. Chiara e l’amico sono stati immortalati insieme la mattina di domenica 27 giugno 2021. Le immagini, registrate dall’impianto di videosorveglianza della casa della vittima a Monteveglio, mostrano la ragazza tranquilla, a dimostrazione che si fidava del ragazzo. Nel filmato si vede lei che esce di casa, lui che cammina davanti e Chiara che lo segue a pochi passi di distanza. Entrambi si verso il parco dove è poi avvenuto il ritrovamento del cadavere. Intanto, in attesa dell’autopsia, dalla Procura per i minorenni di Bologna emerge che la vittima sia stata colpita ripetutamente dall’amico sedicenne con una serie di fendenti “portati sia di punta che di taglio” con un coltello da cucina. Il pm Simone Purgato ha così ricostruito la vicenda contestando al giovane l’omicidio volontario premeditato. L’aggravante deriva dal fatto, secondo l’accusa, che l’azione sia stata concertata nei giorni precedenti e che l’indagato abbia portato con sé un coltello.
Chiara Gualzetti, l’amico ossessionato da Lucifer: “Le ho dato dei calci alla testa”. Debora Faravelli il 30/06/2021 |su Notizie.it. L'amico di Chiara Gualzetti, unico indagato per il suo omicidio, ha ammesso di averla accoltellata e di averle dato dei calci alla testa. Continuano ad emergere nuovi elementi sul caso di Chiara Gualzetti, la 16enne scomparsa e poi trovata uccisa in un campo ai piedi dell’Abbazia di Monteveglio. L’autore del delitto, un coetaneo, ha raccontato alcuni particolari di quanto successo. Fermato e indagato con l’accusa di omicidio premeditato, il giovane ha spiegato i motivi che l’hanno spinto ad ammazzare la ragazza. “Me l’ha ordinato una voce superiore”, avrebbe detto durante la sua confessione facendo riferimento a Samael, l’angelo del giudizio, con il quale ha detto di parlare da anni. “L’ho anche visto; un uomo alto, di fuoco, come quello di Lucifer”, ha affermato riferendosi alla serie tv da cui è parso ossessionato. Dopo aver sentito queste voci interiori, ha continuato, ha dunque scritto a Chiara chiedendole di vedersi. Una volta insieme, lui l’avrebbe colpita più volte al collo e al torace con un coltello preso da casa sua fino a quanto la ragazza non è caduta a terra. “Le ho dato dei calci in testa”, ha aggiunto. Quando è stato fermato e ha confessato, il ragazzo ha descritto Chiara come una persona “depressa” e “fastidiosa”, probabilmente innamorata di lui che però non contraccambiava il sentimento. “Mi infastidiva perché si era invaghita di me”, ha infatti spiegato agli inquirenti. Attualmente il giovane si trova detenuto nel carcere minorile Pietro Siciliani di Bologna in attesa dell’udienza di convalida.
Niccolò Zancan per "la Stampa" il 30 giugno 2021. «Chiara voleva stare con me, ma io non la sopportavo più, mi infastidiva e l'ho uccisa. In quel momento Samael, il demonio, mi possedeva. Lo vedevo, mi chiamava: sentivo le voci. Ero posseduto proprio come Lucifer della serie di Netflix». Monteveglio è sui Colli Bolognesi. A venti chilometri da Zocca. Dove passava quella ragazza amata da Vasco Rossi, la protagonista di Albachiara. Chiara Gualzetti tirava con l'arco, giocava a ping-pong, abbracciava il suo cane in tutte le fotografie, cantava e andava al doposcuola per aiutare i bambini più piccoli di lei. Fra un mese avrebbe compiuto sedici anni. Era malinconica, si sentiva usata. Bravissima a scuola. Aveva conosciuto il ragazzo che si credeva Lucifero un anno fa. Lui abitava con la madre in un paese vicino. Si scrivevano su una chat, dove parlavano anche di morte. Ogni tanto si vedevano, dandosi appuntamento alla fermata della corriera. Come Lucifero sia entrato dentro la testa di un ragazzo problematico e poi dalla sua testa dentro questo paesaggio di ciliegi e bar troppo assolati, di colline dolci e silenzi e lapidi per i martiri della Resistenza, è qualcosa che adesso non si riesce nemmeno a immaginare. Ma così ha detto il ragazzo, nella confessione resa davanti ai carabinieri e alla procuratrice per i minorenni: «Io mi ispiro a Lucifer». Ha 17 anni. È scheletrico, con gli addominali scolpiti. Ha capelli corti e un ciuffo tinto di rosso, di biondo e certe volte di blu. È accusato di omicidio premeditato. Domenica mattina alle 10 aveva appuntamento con Chiara. La telecamera piazzata sulla casa della famiglia Gualzetti li inquadra mentre stanno discutendo. Poi non si vedono più. Vanno per i sentieri che salgono verso l'Abbazia di Monteveglio, dove lei verrà trovata assassinata a metà di lunedì pomeriggio. Lui si era portato un coltello da casa. Dopo averla uccisa, ha cancellato le ultime chat. A casa aveva ancora i vestiti sporchi di sangue. Ma all'inizio aveva provato a mentire. Poi, ai carabinieri agli ordini del capitano Riccardo Angeletti, comandante del nucleo operativo della compagnia di Borgo Panigale, ha spiegato ogni cosa con tono monocorde. Ha consegnato le scarpe calzate quel giorno. Indicato il coltello lavato e riposto. E poi li ha portati nel punto esatto in cui ha lanciato il telefono di Chiara Gualzetti nel fiume. «Ho avuto quel ragazzo nella mia classe, qualche anno fa. Aveva sofferto molto la separazione dei genitori. Si tagliava le braccia con il temperino, aveva attacchi di rabbia e non voleva studiare». La professoressa è seduta al Bar Gelateria Cinquecento di Castello di Serravalle: «L'ho perso di vista, ma certo avrebbe avuto bisogno di molte cure. Non dovevano lasciarlo così solo». La titolare del bar si chiama Patrizia Bonetti: «Era qui venerdì pomeriggio. Non gli ho mai visto bere una birra, non l'ho mai visto fumare. Prendeva una Coca-cola e si metteva a giocare al biliardino con un amico di Monteombraro. L' unico amico che aveva». Nel perimetro di queste borgate, sopra e sotto i colli, il ragazzo che si credeva Lucifero e Chiara Gualzetti si scrivevano di cose che sapevano soltanto loro. Ma la loro non era un'amicizia segreta. Lui aveva abbandonato la scuola, i servizi sociali lo seguivano per le condizioni di estrema povertà della sua famiglia. Aveva fatto alcuni incontri con uno psicologo. «Quattro o cinque sedute», dice un investigatore. Frequentava un centro diurno e cercava di imparare il lavoro da elettricista. Era stato proprio il padre di Chiara Gualzetti a offrirgli quella possibilità. «Per un mese l'ho portato sul mio furgone. Un mese intero, a bordo, con me. E mai, mai, mai l'ho visto fare cose strane. Non ha mai parlato di spiriti né di demoni. Ha concluso lo stage, così come hanno fatto molti altri ragazzi». I genitori di Chiara Gualzetti, Giusi e Vincenzo, stanno dietro al cancello di una casa improvvisamente vuota. Lui piange e mostra i graffi sui polpacci: «Sono andata a cercarla subito, appena mia moglie mi ha chiamato. Erano le 11 di domenica mattina e già la stavamo cercando per i sentieri e nei boschi. Abbiamo fatto tutto quello dovevamo fare Voglio ringraziare i volontari che si sono uniti a noi». Dice, a questo punto, ancora una volta «grazie» e si copre gli occhi. La moglie lo sgrida: «Devi parlare di Chiara, solo di Chiara. Non di altre persone, soltanto di Chiara». E lui torna ancora al cancello: «Chiara era una ragazza bravissima, aveva una pagella d' oro nonostante la Dad. Era fiera di essere arciera nella compagnia del Melograno. Era». Chiara Gualzetti aveva incontrato una persona con gravi sofferenze psichiche ma non lo sapeva. Nessuno dei due ne era consapevole, probabilmente, così come non se ne erano accorte le persone di questi paesi sui colli bolognesi. Nessuno conosce la vita degli altri. Nemmeno nei posti piccoli. Il giudice ha già chiesto una perizia psichiatrica per il ragazzo. «Capiamo il dolore che sta provando la famiglia di Chiara Gualzetti, ma anche la famiglia del mio assistito è distrutta, per questa tragedia serve la massima cautela», dice l'avvocatessa Tanja Fonzari. Lucifero. Il diavolo per spiegare le coltellate e le mani al collo. «È stata una confessione apatica», dice un investigatore che ha assistito all' interrogatorio. «Il ragazzo non ha detto nulla per cercare di difendersi. Non sembrava uno che voleva fare il pazzo, sembrava un ragazzo squilibrato». Sul movente del delitto, il capitano dei carabinieri, Riccardo Angeletti, usa queste parole: «Le indagini sono ancora in corso, ci sono diverse ipotesi. Perché il ragazzo ha dichiarato di sentirsi in preda a una presenza demoniaca che lo spingeva a compiere atti sempre più violenti contro le persone. Ma ha anche dichiarato di essere infastidito dalle avance della povera ragazza». Chiara Gualzetti, quindici anni, quasi sedici. Sui social «Chiaretta» e «Bimba05». A parlare di mazzi di fiori, di gentilezza, di bambine cresciute e di stanzette soffocanti, di ansia e di dolore, a parlare di lei: «Io mi affeziono facilmente».
Valentina Errante Claudia Guasco per "il Messaggero" il 30 giugno 2021. Il diavolo gli parlava. Era rimasto stravolto dalla serie Netflix Lucifer. Da quando l'aveva vista, ha detto, una voce lo tormentava. E gli diceva di fare del male agli altri. Ma fino a domenica, quando è uscito con un coltello da cucina per uccidere Chiara, A., 16 appena compiuti, non aveva mai fatto male a nessuno. Eppure quell' impulso per lui era sempre più forte. Poi è tornato, ha messo i suoi vestiti sporchi di sangue a lavare, ha riposto il coltello da cucina nel totem dal quale lo aveva preso e ha continuato la sua giornata. In casa i carabinieri, durante la perquisizione di ieri notte, hanno trovato anche il telefono di Chiara. Ora è confuso. Ma lo era anche prima. Cupo, silenzioso. Si era chiuso in se stesso. Spesso era insofferente. Adesso, invece, è disperato e sta provando a rendersi conto di quello che è accaduto: «Mi dispiace per Chiara e per la sua famiglia», ha detto ieri al suo avvocato, Tanja Fonzari, che è andata a trovarlo nel carcere minorile Pietro Siciliani di Bologna. Avrebbe fatto l'elettricista. Frequentava un istituto tecnico che lo portava a svolgere nelle aziende alcuni stage. Ed è così che aveva incontrato Chiara. Era entrato in casa sua, con un apprendistato presso l'azienda del padre. E nessuno sospettava che sarebbe stato l'inizio della fine. Aveva un aspetto normale. Un ragazzo come tanti. Ma più tenebroso. Chiara lo aveva notato, gli era piaciuto sin dall' inizio, hanno raccontato le amiche. I suoi genitori conoscevano la famiglia. Ma l'impulso di essere cattivo con gli altri, di punirli, nell' ultimo periodo era diventato più forte. L' astio nei confronti degli altri, l'aveva spinto a comportamenti strani. A essere scortese. A fare dispetti. Come un bambino offeso. E così, A. era finito nello studio di uno psicologo. Forse, finalmente, qualcuno a cui potere dire tutto senza vergogna. Senza fingere di essere diverso. E senza doversi mostrare al meglio. Come sui social. Dove, come tanti adolescenti, appare al meglio e mostra i suoi 16 anni e gli addominali scolpiti. I capelli decolorati, la collana al collo su uno sfondo di desolata provincia o dentro casa. Le frasi, banali sono forse quelle che si scambiava anche in chat con Chiara che gli confessava le sue paure, mentre lui rispondeva con una sicurezza che non aveva. Di certo, la sua, non era una famiglia ordinaria. Un papà assente, almeno secondo gli inquirenti, che però, presto sarà convocato dai carabinieri. E due fratellastri, nati da due compagni diversi della mamma, che cercava di dare amore a tutti i suoi tre figli in uguale misura. La madre di A. non si capacita per ciò che è successo e si dispera: ha visto uscire il figlio domenica mattina, nel pomeriggio si è trovata i carabinieri che perquisivano l'appartamento trovando le prove dell'omicidio. Anche avere dei desideri e alimentarli, qualche volta, per A. diventava difficile. O almeno così sembra. Poco più di un mese fa lo scriveva su Instagram. Sotto quelle foto che lo ritraevano con i muscoli dell'addome in bella vista. «La vita è bella. Bisogna combattere per volere ciò che si vuole…anche se spesso è meglio aspettare». E ancora: «Vorrei sentirti e solo chiederti…se mi stai pensando, perché io non smetto mai di farlo». Due giorni fa, ancora prima della confessione, o quando quel sedicenne aveva appena cominciato a parlare nella caserma dei carabinieri, qualcuno già sapeva, perché ha commentato da un profilo finto, con tanto di like a margine: «Monnezza, confessa e poi galera. Ti sacrifico io al male. Hai i giorni contati».
(ANSA l'1 luglio 2021) Senza scrupoli, senza freni inibitori e privo di ravvedimento. Così il Gip del tribunale per i minorenni Luigi Martello descrive il sedicenne indagato per l'omicidio della coetanea e amica Chiara Gualzetti, assassinata il 27 giugno a Monteveglio (Bologna). Nel motivare l'applicazione della custodia in carcere per il rischio di reiterazione del reato, il gip sottolinea appunto la "mancanza di scrupoli, di freni inibitori, di motivazioni e segnali di resipiscenza" come emerge "dal tenore dei messaggi vocali inviati a un'amica subito dopo i fatti". (ANSA).
Dopo il delitto vocale a un'amica, "ho ucciso Chiara". (ANSA l'1 luglio 2021) Dopo l'omicidio di Chiara Gualzetti il sedicenne indagato ha mandato messaggi vocali "dal tenore inequivoco" a un'altra amica "cui raccontava quello che aveva commesso". E' quanto ricostruisce il Gip del tribunale per i Minorenni di Bologna, nell'ordinanza con cui convalida il fermo e dispone la custodia in carcere per il ragazzo. (ANSA).
Sedicenne uccisa: Gip, indagato capace di intendere. (ANSA l'1 luglio 2021) Il sedicenne fermato per l'omicidio di Chiara Gualzetti, "al momento appare capace di intendere e di volere" soprattutto rispetto "a un reato il cui concetto illecito è di immediata percezione". Lo sottolinea il Gip del tribunale per i minorenni. "E ciò anche nel caso di eventuali problemi psicologici, quali in effetti e precedentemente ai fatti già occasionalmente emersi", precisa il Gip. Il giudice parla di "vita regolare costantemente condotta" di "ambiente familiare sostanzialmente adeguato", "studi positivamente frequentati" e dei "lucidi e freddi tentativi di nascondere le tracce del delitto e di negare le responsabilità".
Sedicenne uccisa: Gip, estrema violenza e determinazione. (ANSA l'1 luglio 2021) "Estrema violenza e determinazione" e soprattutto "incapacità di autocontrollo". Due elementi che rendono particolarmente elevato, secondo il Gip del tribunale per i minorenni di Bologna, il rischio di reiterazione del reato per il sedicenne indagato per l'omicidio di Chiara Gualzetti, a Monteveglio (Bologna). Il giudice sottolinea l'inconsistenza delle motivazioni del gesto e comunque l'assenza di ragioni di contrasto con la vittima. Parla di "estrema violenza e determinazione dimostrate durante tutto il corso dell'aggressione, che ha avuto una durata significativa e ha visto il giovane colpire ripetutamente con coltellate al collo, al petto e alla gola la vittima e infine colpirla anche con calci".
Sedicenne uccisa: indagato ha tentato di depistare. (ANSA l'1 luglio 2021) Per il Gip il fermo dell'amico accusato dell'omicidio di Chiara Gualzetti è da convalidare dal momento che sussiste il pericolo di fuga. E questo non solo per la gravità del fatto, ma soprattutto perché inizialmente l'indagato ha tentato di depistare, negando ogni responsabilità, dicendo che la ragazza aveva un successivo appuntamento con una altro giovane, nascondendo i vestiti, lavando le scarpe sporche di sangue e il coltello, cancellando immagini e messaggi dal cellulare. Il sedicenne si è poi deciso ad ammettere di aver ucciso l'amica solo a fronte di elementi di accusa "di eccezionale rilevanza". Nella decisione conta anche la personalità "incline a seguire i propri impulsi emotivi".
Sedicenne uccisa: in un video l'abbraccio con il killer. (ANSA l'1 luglio 2021) Chiara Gualzetti e l'amico -che poi confesserà di averla uccisa- che si abbracciano, domenica mattina fermi davanti a casa della sedicenne di Monteveglio (Bologna). Sono le immagini, mostrate dal Tg1 e riprese da una telecamera di sorveglianza, che mostrano l'incontro tra i due giovanissimi. La ragazza a un certo punto corre verso il cancello di casa, probabilmente per dire ai genitori che tornerà presto e poi esce dall'inquadratura avviandosi insieme all'amico, che poi meno di un chilometro più su, verso la collina, l'avrebbe assassinata a botte e con una serie di coltellate, abbandonando il cadavere su un cespuglio.
L'abbraccio di Chiara Gualzetti con l'amico che l'ha uccisa nell'ultimo video che ritrae la 16enne. La Repubblica il 2 luglio 2021. Sono le immagini mostrate in esclusiva dal Tg1 e provengono dall'impianto di videosorveglianza della casa della vittima nel Bolognese. Il video è agli atti dell'inchiesta e dimostrerebbe che la vittima si fidasse dell'amico. Chiara e il suo assassino compaiono insieme in un video che risale a domenica mattina, abbracciati forse per l'ultima volta prima che l'amico si accanisse sulla 16enne. Sono le immagini mostrate in esclusiva dal Tg1 e provengono dall'impianto di videosorveglianza della casa della vittima nel Bolognese. Il video è agli atti dell'inchiesta e dimostrerebbe che Chiara Gualzetti si fidasse del ragazzo che l'ha uccisa. Nelle immagini la giovane vittima esce da casa e segue l'amico a pochi passi di distanza. Si dirigono insieme verso il parco dell'Abbanzia, è l'ultimo video di Chiara viva. La morte di Chiara, in attesa delle risposte definitive che potrà fornire solo l'autopsia fissata per questo pomeriggio, secondo gli inquirenti risale attorno alle 10 del 27 giugno. Poco prima, come riportano le immagini delle telecamere di sorveglianza, la ragazzina corre verso il cancello di casa, probabilmente per dire ai genitori che tornerà presto e poi esce dall'inquadratura allontanandosi insieme all'amico, che meno di un chilometro più su, verso la collina, l'avrebbe assassinata.
Claudia Guasco per "il Messaggero" l'1 luglio 2021. Il pensiero di uccidere Chiara gli ronzava nella testa da tempo. Ripetuto, insistente, tanto da renderne partecipe una persona a lui vicina: «Questa qui mi ha scocciato, ora l'ammazzo». Per Chiara Gualzetti, che il 29 luglio avrebbe compiuto 16 anni, è stata una condanna a morte. Arrivata domenica scorsa, prima dell'ora di pranzo. C' è un video, ripreso dalla telecamera di sicurezza della casa della famiglia Gualzetti, che riprende gli ultimi passi della ragazzina. Le ha dato appuntamento e cammina davanti a lei sulla strada che porta alla collina, pantaloncini neri e maglietta rossa. Pochi minuti dopo la ammazzerà, con una ferocia che anche gli investigatori faticano a descrivere. L'ha accoltellata al collo e al petto, ma poiché Chiara non moriva l' ha presa a calci e uccisa di botte. Stretta tra le mani di lei, nel primo sopralluogo, il medico legale ha trovato una ciocca dei capelli biondi dell'assassino. Il segno che Chiara ha tentato di difendersi, senza riuscirci: «Non c' è stata colluttazione tra i due», spiegano gli inquirenti. Soltanto l'aggressione del sedicenne che lei ha tentato di respingere: prima le coltellate, poi i colpi in testa. «Un atto feroce e disumano», afferma Giovanni Annunziata, il legale dei Gualzetti, che non crede all' ipotesi del gesto di un pazzo, ai suoi racconti di un presunto «demone» che lo avrebbe spinto alla violenza. «Non c' è follia - ribadisce - Dalla ricostruzione degli eventi una persona che ha la lucidità di cancellare le chat, di tornare a casa e di rispondere al cellulare come se nulla fosse accaduto è poco compatibile con la pazzia». Nel capo di imputazione firmato dal pm del Tribunale dei minori Simone Prugato si legge che Chiara è stata «colpita ripetutamente con una serie di colpi portati sia di punta che di taglio», con un «coltello da cucina». Con l'aggravante della premeditazione, «concertando l'azione nei giorni precedenti e partendo da casa la mattina del delitto portando con sé il coltello». Il sedicenne ha ribadito la confessione già fatta nell' interrogatorio davanti agli inquirenti insistendo, secondo quanto si è appreso, sulla presenza demoniaca che lo avrebbe spinto a colpire. Il gip ha convalidato il fermo - contro cui la difesa sta valutando il ricorso - e ha disposto la custodia cautelare in carcere, come chiesto dalla Procura dei minori guidata da Silvia Marzocchi, confermando anche la premeditazione. Nell'interrogatorio di garanzia A. ha confermato di essersi presentato a casa di Chiara con il coltello, di averla portata nel bosco e aggredita. Sul movente restano dubbi. Ci sono le sue parole confuse, irrazionali, il «fastidio» che diceva di provare per il fatto che lei avesse una cotta per lui, non ricambiata. E poi quelle «presenze demoniache» che anche ieri ha ripetuto di sentirsi rimbombare nel cervello e il desiderio di morire della ragazzina che, sostiene, in qualche modo avrebbe esaudito. Un groviglio di mezze ammissioni, follia su cui indagherà una perizia psichiatrica e frasi che emergono qua e là e potrebbero essere la verità più semplice e sconcertante: «Sono stufo dell'insistenza di Chiara». Lei, come tante adolescenti fragili in cerca di appoggio e consolazione, si sfogava scrivendogli: «La vita fa schifo, vorrei farla finita». E A. rispondeva: «Ti aiuto io». Salvo ricondurre tutto, nell' interrogatorio, a una forza misteriosa: «Io sentivo delle voci dentro. Voci che mi dicevano di fare cose sempre più cattive», ha raccontato. «Come nella serie di Netflix, Lucifer». Eppure tanto caos interiore al momento dell'omicidio non emerge, tant' è che indica con chiarezza il punto in cui ha cercato di far sparire il cellulare di Chiara dopo averla uccisa. L' ha gettato nel torrente che passa sotto casa sua, una delle tante frazioni nella pianura del bolognese. Il cellulare di Chiara è stato acquisito agli atti e il suo contenuto sarà analizzato dai periti come telefonino, tablet e pc sequestrati a casa del sedicenne. Ieri la Procura ha conferito l'incarico per l'autopsia sul corpo di Chiara, che si svolgerà domani. È così martoriato che i pm non hanno permesso ai genitori di vederlo.
C.Gu. per "il Messaggero" l'1 luglio 2021. L'ultima volta che ha visto suo figlio era domenica. Dopo avere ucciso Chiara, A. è tornato a casa, si è cambiato la maglietta e i pantaloni sporchi di sangue, ha pulito il coltello e l' ha rimesso nel cassetto della cucina. Poi è andato a Bologna, dove è stato fermato dai carabinieri di Borgo Panigale. Ieri mattina, poco dopo mezzogiorno, la madre del sedicenne accusato di omicidio volontario aggravato dalla premeditazione è entrata al centro di giustizia minorile del Pratello, dove il figlio è stato interrogato dal gip. «Sono ancora in una bolla», ha detto camminando con passo svelto. «Non so come sta mio figlio». La risposta arriva dal suo avvocato, Tanja Franzoni: «Sta male, comincia a rendersi conto di quello che è successo, a capire quale sarà il suo futuro. È scosso, profondamente dispiaciuto per la famiglia di Chiara e per la sua». LE MINACCE Un paio di ore dopo la madre di A. esce senza dire una parola, coprendosi il viso con un foglio. «È distrutta», afferma chi le sta accanto. A casa ha due figli da proteggere e in queste ore sulla pagina Instagram del figlio arrivano insulti e minacce di morte. «Ma che razza di genitori ha quel delinquente assassino! Nella zona si sa che razza di persone sono i tuoi genitori ma una cosa così non doveva nascere, sei nato nel nome di satana, muori in galera tu e i tuoi demoni», scrive uno. «Hai spezzato la vita a una ragazza e anche a tutti quelli che la conoscevano. Compreso me. Non ti auguro nulla, non serve a niente. Lei non torna. Però, perché c' è sempre un però. Non farti vedere in giro. Ora hai tempo per pensare a quello che hai fatto», sottoscrive un altro. «Assassino malefico mi auguro che lo stesso demone che ti ha suggerito di uccidere, ti suggerisca di impiccarti», scrive una giovane. «Finché non sarà fatta giustizia non ci fermeremo, la devi pagare. Non farti trovare bastardo perché finisce male», promette chi sostiene di essere cugino della vittima. Espressioni violente ben diverse dai toni fermi ma misurati dei genitori di Chiara. Che ribadiscono: «Ci conforta pensare che una persona indagata per reati così gravi rimanga in custodia cautelare in carcere. Ci tranquillizza, ma l'obiettivo è una sentenza di condanna proporzionata all' efferatezza e alla ferocia del gesto». Fino a due giorni fa sul profilo di A. le foto a petto nudo e addominali in vista venivano commentate solo dal suo migliore amico, che era anche lo stesso che scattava le immagini. Il sedicenne è una persona solitaria, non è tipo da compagnia numerosa. Frequentava un bar e un circolo del paese, ha lasciato la scuola, passava il tempo su Tik Tok. Stava sempre insieme a un altro ragazzo, raccontano gli abitanti della frazione, e sui social condensava la sua filosofia di vita: «Bisogna combattere per volere ciò che si vuole. Anche se spesso è meglio aspettare». Lui era l'ombra, Chiara la luce. «Be yourself», sii te stessa, scriveva su Instagram. Combatteva per diventare grande, per superare paure e insicurezze. Replicando anche alle cattiverie e al bullismo: in un post dell'anno scorso, dopo aver pubblicato delle offese ricevute, Chiara attacca: «Da piccola ero una persona ingenua. Ho fatto tanti errori nella vita, lo so. Probabilmente non ho ancora una reputazione e in compenso ho tanti nemici. Però sto cercando di farmi una vita. Sono stata stupida. Ma ciò non vuole dire che possano continuare a rovinarmi. So che può essere divertente prendere in giro chi è più debole. Ma giocare con la vita degli altri è pericoloso, soprattutto se si gioca con una persona come me. Perché sto affrontando i problemi della vita, ma non mi sento abbastanza forte per continuare ad affrontare voi che mi tormentate da anni con le prese in giro».
Giusi Fasano per corriere.it l'1 luglio 2021. Il ragazzo confessa con il tono di chi è un po’ seccato da tutte quelle domande. Racconta gli ultimi istanti di vita di Chiara. «Ricordo che non moriva e mi sono stupito di quanto fosse resistente il corpo umano», dice. Lei era già caduta a terra dopo le coltellate, lui la stava prendendo a calci e, appunto, «ricordo che non moriva». Chiara Gualzetti aveva 15 anni, il suo assassino ha pochi mesi più di lei. La descrizione di quei momenti è del primo interrogatorio, lunedì sera. Ieri quel ragazzo che narra se stesso come posseduto da «una voce che sento dentro», ne ha sostenuto un altro davanti al giudice che ha convalidato il fermo deciso dalla procura per i minorenni guidata da Silvia Marzocchi. Anche stavolta ha raccontato delle sue figure demoniache, soprattutto Samael, l’angelo del giudizio con cui «parlo da molto tempo» e che «ho anche visto, un uomo di fuoco».
Il nuovo interrogatorio. Un’ora di domande e risposte per confermare quel che aveva già detto e per mostrarsi meno sprezzante della prima volta. Per dire almeno un «mi dispiace per Chiara, sono confuso» e per incrociare gli occhi di sua madre, cosa possibile perché ai minorenni è garantita la presenza di un genitore durante l’interrogatorio. Lei, prima di incontrarlo, riesce a dire soltanto «sono come in una bolla». «Mio figlio non ha mai fatto del male a nessuno, stavamo cercando di risolvere il problema degli scatti di rabbia» ha rivelato invece agli inquirenti. Sua sorella dice che «è spezzata in due dal dolore» e che la loro assenza alla fiaccolata di ieri sera (per le vie di Monteveglio e fino al luogo del delitto) non è indifferenza, piuttosto una forma di rispetto per i genitori della ragazza e per la loro sofferenza.
Il video delle telecamere. Il padre e la madre di Chiara, Vincenzo e Giusi, erano in prima fila mentre la luce del giorno se ne andava per lasciare posto a quella di fiaccole e candele, tanti piccoli punti di luce per illuminare il ricordo di una ragazzina che ha commesso l’errore di voler bene alla persona sbagliata, di sentire il cuore in tumulto ogni volta che lo vedeva. Si è fidata, Chiara. «Ci vediamo alle 9.30, stiamo fuori una mezz’oretta a chiacchierare e poi ti riporto a casa» aveva proposto lui con un messaggio in chat. L’appuntamento era per domenica mattina. E lei non vedeva l’ora di incontrarlo. Suo padre guarda e riguarda il video di pochi secondi che una telecamera di sicurezza piazzata davanti a casa sua ha ripreso mentre qui due ragazzini salivano verso i campi e il bosco dove poi è stata trovata. Sono le ultime immagini di Chiara. «Voltati, ho un regalo per te» le ha detto lui quando si sono fermati. Lei si è voltata e lui ha preso il coltello dallo zainetto. Nelle mani le hanno trovato capelli biondi, come quelli di lui.
La confessione. Quando ha capito che non l’avrebbe fatta franca, ai carabinieri della Compagnia di Bologna Borgo Panigale e al comandante Riccardo Angeletti che gli elencavano gli indizi raccolti contro di lui, ha detto: «Lo sapevo che prima o poi sareste arrivati a me». Il fermo firmato poco dopo descrive la confessione come «ricostruzione inoppugnabile per coerenza interna e riscontri esterni», ne parla come una storia «a dir poco raccapricciante, sia per i numerosi dettagli macabri e cruenti sia per la freddezza del racconto sia per il movente, che può apparire sotto certi aspetti incredibile e sotto altri estremamente inquietante». Il giudice che ha confermato il fermo ha accolto la richiesta della procura: lo ha convalidato perché quel ragazzo potrebbe uccidere ancora. La famiglia di Chiara da ieri si è affidata a un legale, Giovanni Annunziata, che premette di non credere alla presunta follia del ragazzo e chiede per lui una «condanna proporzionata». Proporzionata, cioè giusta, come chiede la madre di Chiara che alla luce delle fiaccole ieri sera ha detto: «Mi affido alla Giustizia, e la voglio».
Chiara Gualzetti, fiume di persone alla fiaccolata: "Ha sempre avuto voglia di vivere". Libero Quotidiano l'01 luglio 2021. Una fiaccolata per ricordare Chiara Gualzetti e chiedere giustizia. A Monteveglio, in provincia di Bologna, in tantissimi hanno voluto ricordare la ragazzina di 16 anni ancora da compiere, uccisa domenica mattina da un coetaneo che ha confessato l'omicidio. La giovane è stata ricordata da Martina, una ragazza che dava ripetizioni a Chiara sin da quando era bambina e che la conosceva molto bene. "Era diventata la mia sorellina, da piccola era un personaggio da cartone animato, con lei la figuraccia era assicurata", racconta la giovane aspirante insegnante. "Un mostro ce l'ha portata via, non riesco a spiegarmi un gesto tanto brutale proprio a Chiara: lei era una bomba, di lei si potrebbe dire qualsiasi cosa ma non che non volesse vivere", ha aggiunto. "Chiara ha sempre provato a vivere, nonostante i bulli, nonostante il lockdown, nonostante spesso si sentisse diversa. Chiara ha sempre avuto voglia di vivere", ha concluso Martina.
Chiara è morta in pochi secondi, uccisa da due fendenti mortali. Giuseppe Baldessarro su La Repubblica il 2 luglio 2021. L'autopsia rivela che la ragazza, 16 anni, non si è quasi accorta che l'amico la stava uccidendo. Si è accanito sul corpo anche quando era già privo di vita. L'assassino di Chiara Gualzetti, la ragazza uccisa domenica mattina a Monteveglio (Valsamoggia), ha infierito e dopo averla uccisa a coltellate prendendola a calci in testa. Sono particolari raccapriccianti quelli emersi dall'autopsia che si è svolta ieri all'ospedale Sant'Orsola di Bologna. Secondo gli accertamenti dei medici legali, a cui hanno preso parte anche i consulenti della famiglia, la ragazzina è morta quasi subito con due colpi mortali inferti al petto in rapida successione.
Chiara Gualzetti, l’autopsia: uccisa da due coltellate al torace. Debora Faravelli il 03/07/2021 su Notizie.it. Chiara Gualzetti è morta a causa di due coltellate al torace: l'autopsia ha rilevato anche i segni dei calci ricevuti mentre tentava di difendersi. L’autopsia sul corpo di Chiara Gualzetti ha fatto emergere che ad uccidere la giovane sono state due coltellate frontali inferte al torace che, avendo provocato lesioni polmonari, hanno causato una morte pressoché istantanea. Una serie di fendenti, sferrati al petto e al collo con un coltello da cucina, e diversi calci: sono questi i dettagli dell’aggressione subita dalla giovane nel parco di Monteveglio (Bologna) che non le ha lasciato scampo. Oltre ai due colpi mortali, il medico legale ha infatti rilevato anche la presenza dei segni dei calci lasciati dall’amico sul corpo di Chiara. Un dettaglio che confermerebbe la dinamica confessata dall’autore materiale del delitto e che non lascia spazio a dubbi riguardo all’intenzione di uccidere. Il giovane ha infatti raccontato di aver infierito sul corpo della ragazza perché “ricordo che non moriva e mi sono stupito di quanto fosse resistente il corpo umano”. I risultati dell’esame autoptico hanno permesso di fornire una ricostruzione dell’accaduto più fedele alla realtà. Colpita al collo mentre era di spalle, Chiara si sarebbe girata e sarebbe stata raggiunta da altre coltellate. Nel tentativo di difendersi (fatto suggerito dalla presenza di capelli del ragazzo nelle sue mani) è stata nuovamente colpita e presa a calci anche una volta caduta a terra. Ora gli accertamenti adesso proseguiranno per stabilire in quanto tempo è sopraggiunto il decesso.
Valentina Errante e Claudia Guasco per “Il Messaggero” il 2 luglio 2021. «Ho ucciso Chiara. Le ho dato un calcio in testa così forte che mi sono rotto un piede». Monteveglio, domenica mattina. A. ha appena compiuto la missione che progettava da tempo: eliminare l'amica che aveva una cotta per lui, un amore adolescenziale che, ha raccontato il sedicenne nei due interrogatori, «mi infastidiva». E mentre con una mano si preoccupava di cancellare le tracce, con l'altra manda alla migliore amica della vittima il messaggio con cui firma la sua prima confessione. Ribadita poi davanti al gip Luigi Martello che nell'ordinanza convalida il fermo. «Esiste l'esigenza cautelare di evitare la commissione di reati della stessa indole», considerata «la mancanza di scrupoli, di freni inibitori, di motivazioni e di segnali di resipiscenza che emergono dal tenore dei messaggi vocali inviati a un'amica subito dopo i fatti». Nel provvedimento il giudice indica anche il pericolo di fuga, «non solo per l'assoluta gravità del reato di omicidio, ma soprattutto per l'iniziale negazione di ogni responsabilità». A. ha inventato che Chiara «aveva un successivo appuntamento con un altro giovane, ha occultato i vestiti, lavato le scarpe e il coltello, distrutto il cellulare della vittima, cancellato immagini e messaggi dal proprio telefono». Solo di fronte a elementi di accusa «di eccezionale rilevanza ha ammesso di aver ucciso l'amica». La personalità di A. «appare incline a seguire i propri impulsi emotivi» e il gip elenca i «gravi indizi di colpevolezza» nei suoi confronti: le immagini della telecamera di sorveglianza in cui i due si abbracciano e «si allontanano insieme», il coltello trovato in cucina e i vestiti ancora sporchi di sangue, «il recupero della cover del cellulare della vittima, il tenore inequivoco dei messaggi vocali inviati in cui raccontava quello che aveva commesso». Per il giudice il ragazzo «al momento appare capace di intendere e di volere», consapevolezza che emerge dalle dichiarazioni degli amici e dai «lucidi e freddi tentativi di nascondere le tracce del delitto e di negare le proprie responsabilità». I «demoni» e le voci che lo avrebbero spinto a uccidere saranno tema di una perizia psichiatrica, ora per lui, secondo il gip, «l'unica misura idonea» è il carcere, alla luce della «inconsistenza delle motivazioni» che hanno innescato l'omicidio e «comunque l'assenza di ragioni di contrasto con la vittima». Ma anche per «l'estrema violenza e la determinazione dimostrate durante tutto il corso dell'aggressione, che ha avuto una durata significativa e ha visto il giovane colpire ripetutamente con coltellate al collo, al petto e alla gola la vittima e infine colpirla anche con calci». È soprattutto «l'incapacità di autocontrollo del ragazzo che rende particolarmente elevata la pericolosità attinente al rischio di reiterazione del reato».
Da tgcom24.mediaset.it il 2 luglio 2021. "Io mi affido alla giustizia, ho fede nella giustizia e la voglio per mia figlia". Sono le parole pronunciate da Giusi, la madre della 16enne Chiara Gualzetti, alle centinaia di persone commosse che hanno partecipato alla fiaccolata a Monteveglio, nel Bolognese, in ricordo della figlia uccisa. "Questa è depressa... L'ho fatto. Me l'ha detto lui. Lei mi urtava i nervi". Il 16enne reo confesso dell'omicidio di Chiara Gualzetti aveva mandato alcuni messaggi a un'amica, pochi minuti dopo il delitto. "L'ho presa a calci in testa, mi sa che mi sono rotto un piede. Ho fatto delle foto", diceva ancora negli audio inviati mentre era ancora nel parco dell'Abbazia di Monteveglio, domenica mattina. La ragazza che ha ricevuto quei testi, scrive la "Repubblica", inizialmente resta sconcertata, non capisce di cosa stia parlando. Solo dopo la scomparsa di Chiara avrebbe raccontato di quegli audio ai genitori, per poi andare dai carabinieri. Quei vocali sono stati mandati poco dopo le 10 di domenica mattina e si vanno ad aggiungere agli altri messaggi, di cui già gli inquirenti hanno dato notizia, quelli in cui il ragazzo scrive: "Domenica farò fuori una ragazza, già stavo per perdere il controllo, allora ho dovuto fare un patto con lui (il demonio ndr) e almeno ho un po' colmato la sua sete".
Giusi Fasano per il “Corriere della Sera”. «Lei li ha visti i filmati?». Sì, li ha visti tutt’Italia. «Nel primo ci sono loro due che salgono. Quando Chiara si gira due volte verso casa è con me che sta parlando. Le stavo dicendo di non fare tardi, che doveva portare fuori il cane. Nel secondo video, quando viene verso il cancello saltellando, è per infilare nella cassetta della posta un foglietto che aveva in mano e non voleva portarsi appresso. Li ho visti andare via assieme...». Giusi Fortunato, 56 anni, si sta consumando gli occhi su quelle immagini. Nella sua casa di Monteveglio (Bologna) entra ed esce gente che prova a dirle parole di consolazione «ma Chiara non c'è più, e non c'è nient'altro da dire». Lei guarda e riguarda quei brevi video girati dalla telecamera di sicurezza di casa sua e le sembra di vedere un'altra Chiara, dice. Anche se quella scena l'ha vista succedere dal vivo, domenica scorsa alle 9,30. Pochi minuti dopo sua figlia Chiara Gualzetti, 15 anni, era morta, uccisa a coltellate e calci dal sedicenne in maglietta rossa del video.
Avete passato un giorno e mezzo con il cuore in gola a cercarla e a sperare...
«Mi crede se le dico che sto ancora aspettando che torni a casa? Forse sto impazzendo. Mi ritrovo a pensare che da un momento all'altro tornerà, mi prenderà un po' in giro come faceva sempre e si metterà a giocare con il cane».
Sono i percorsi di difesa della mente davanti a un dolore così grande.
«È una sofferenza insopportabile. Io ho sempre avuto l'incubo di perderla perché sono sempre stata molto ansiosa. Lei era la mia unica figlia, adorata. Sapeva che non doveva mai spegnere il cellulare, che mi arrabbiavo se non rispondeva a un WhatsApp».
Quando ha cominciato a preoccuparsi?
«Quella mattina doveva tornare dopo una mezz’oretta. Tardava e ho provato a chiamarla. Niente. Telefono spento. Le ho mandato un WhatsApp, ho visto che non l'ha ricevuto e in quel preciso istante mi sono svuotata».
Era un senso di sgomento.
«Credo di sì, non mi è montata quella rabbia dentro che mi prendeva quando faceva tardi o non rispondeva. Perché lei il cellulare non lo spegneva mai. Non era normale che fosse spento».
E a quel punto...
«Ho provato a chiamare Enzo (Vincenzo, padre di Chiara e compagno di Giusi dal 2004, ndr) ma era sempre al telefono per lavoro. Volevo il numero del ragazzo con il quale si era allontanata che con Enzo aveva fatto uno stage. Mi sono messa a cercare il numero della mamma del ragazzo ma fra una cosa e l'altra prima di averlo ci ho messo un'ora. Intanto sono uscita a cercarla. Urlavo il suo nome come una dannata per il parco dove poi l'hanno trovata».
Cos'ha pensato in quella prima ora di ricerca inutile?
«Pensavo si fossero appartati, nascosti, magari per darsi bacetti, cose da ragazzini. Erano già usciti assieme qualche volta: un gelato, due chiacchiere sulla panchina... un filarino da adolescenti. Ho pensato che forse non stavano badando al tempo che passava. Intanto cercavo la madre che aveva il telefono spento. Poi finalmente ha risposto e lì sono morta».
Cosa le ha detto?
«Le ho chiesto: mi dai il numero di tuo figlio perché Chiara è uscita con lui e non torna. E lei: mio figlio è qua con me. Sono morta, appunto. Me lo ha passato e gli ho detto: abbi pazienza: sei andato via con lei, tu sei tornato a casa e mia figlia no. Dov'è? Mi ha risposto che si doveva incontrare con uno conosciuto su Internet e mi ha detto anche verso quale sentiero era andata. Bugie. Ma in quel momento non lo potevo sapere. Però non mi era piaciuto niente di quelle parole, di quella voce, di quel racconto. Avevo una sensazione strana...».
È andata a controllare il sentiero indicato da lui?
«Certo. Portava a un parcheggio. Me lo sono fatto urlando il nome di mia figlia, ma più urlavo più mi convincevo che non era possibile. Mi guidava il mio istinto di mamma. Quando è arrivato Enzo gli ho detto: andiamo a casa sua (del ragazzo, ndr) e facciamoci dire dov'è. Ma lui mi ha detto: andiamo dai carabinieri. Posso dire una cosa?».
Certo.
«Mi sarei aspettata che la mamma di lui mi dicesse: ti aiuto, ti porto mio figlio e vediamo di cercare Chiara. La conosceva, anche, perché si erano viste dagli Arcieri del Melograno, dove Chiara si allenava a tirare con l'arco e dove andava anche lei. E invece si è pure scocciata quando i carabinieri hanno convocato suo figlio, è passata davanti ad Enzo senza salutarlo, senza chiedergli: come va? l'avete trovata?».
Quel ragazzo dice di sentire «una voce dentro», evoca figure demoniache...
«Sulle indagini ho già detto quello che dovevo: credo nella giustizia e la voglio per Chiara. Lei a me non ha mai detto niente su eventuali stranezze di lui, sennò non le avrei mai permesso di vederlo. Noi ci siamo affidati all'avvocato Giovanni Annunziata e, come dice lui, ci aspettiamo una condanna giusta».
Torniamo a lunedì pomeriggio, quando hanno trovato Chiara.
«Enzo era andato con lo squadrone di ricerca. Io ero a casa, avevo passato tutta la notte con gli occhi spalancati ad aspettare il rumore del cancelletto. Sognavo quel rumore: che si aprisse e che lei tornasse a casa, finalmente. Ho visto mia sorella schizzare fuori all'improvviso, c'era confusione. Ho sentito: "L'hanno trovata, è morta" e non ricordo più niente, mi dicono che ho dato i numeri».
È il tempo dei funerali.
«Sono fissati per mercoledì alle 17. Io ho paura dei funerali, ho paura di realizzare che davvero lei non c'è più. Le metteremo l'abito medievale degli Arcieri del Melograno; a lei piaceva molto indossarlo quando si facevano le rievocazioni storiche. Poi non so cosa succederà, se impazzisco, se muoio... I miei pensieri le parlano in continuazione: dove sei bambina mia? Perché non torni? Chissà, magari mi risponde. Magari fra poco sento il rumore del cancelletto e la vedo arrivare».
Velletri, ex carabiniere 72enne uccide la moglie e si suicida lanciandosi dal balcone. Redazione Tgcom24 il 2 ottobre 2021. Un ex carabiniere 72enne, Paolo Iannello, è morto dopo essersi lanciato dal terzo piano di casa sua a Velletri, alle porte di Roma: quando le forze dell'ordine sono entrate nell'abitazione, hanno trovato la moglie dell'uomo, la 70enne Lucia Massimo, uccisa a coltellate. Si tratta quindi di un omicidio-suicidio. L'uomo, soccorso dal 118, è stato caricato agonizzante su un'ambulanza ma è morto durante il tragitto verso l'ospedale. La segnalazione è partita dai vicini, dopo che l'uomo si è lanciato nel vuoto. Una volta entrati nell'appartamento i militari hanno trovato il corpo senza vita della moglie, sul quale sono state trovate diverse ferite causa probabilmente dei colpi inferti con degli oggetti contundenti. I militari indagano ora per ricostruire l'esatta dinamica che ha portato alla morte la donna. L'ennesima vittima della furia omicida del proprio marito.
Ex militare uccide la moglie. Poi si lancia dal terzo piano. Tiziana Paolocci il 3 Ottobre 2021 su Il Giornale. Omicidio-suicidio: l'uomo era un carabiniere in pensione. Sul corpo della donna numerose ferite. Si è lanciato nel vuoto in pieno giorno. Paolo Ianniello non ce la faceva più a sostenere il peso della sua esistenza, ma prima di andarsene ha ucciso la moglie. L'omicidio-suicidio ieri ha sconvolto Velletri, splendida località dei Castelli Romani. È avvenuto poco dopo le 10 quando alcuni testimoni hanno visto l'uomo, 72 anni, ex carabiniere in pensione, scavalcare lo stipite della finestra e finire sull'asfalto. Poco prima la vittima aveva aperto la finestra al terzo piano della sua abitazione in via Matteotti e si era lasciato cadere. Immediato l'allarme dato dai vicini di casa, che si sono precipitati in strada per capire cosa stesse accadendo. Quando i sanitari del 118 sono giunti sul posto hanno provato a rianimare Paolo. Poi la folle corsa dell'ambulanza verso l'ospedale, ma era già troppo tardi e l'anziano è morto poco dopo essere arrivato in pronto soccorso. I carabinieri della compagnia di Velletri e del Nucleo investigativo di Frascati, nel frattempo, sono saliti al terzo piano, per effettuare i rilievi di rito e per capire se in casa del 72enne ci fosse qualcuno che potesse dare un senso a quel suicidio. Ma lì hanno trovato un'agghiacciante sorpresa. Davanti all'ingresso di casa, alla fine di un piccolo corridoio, a terra c'era il cadavere di Lucia Masimo, 70 anni, la moglie dell'ex carabiniere. Era stata massacrata con un martello o un cacciavite o forse un vaso di ceramica che è stato ritrovato rotto sul pavimento. L'arma usata non è ancora stata accertata, ma di colpi la poveretta ne ha ricevuti molti. Secondo i militari, però, non stava cercando di fuggire verso la porta per guadagnare una via di uscita da quella follia. Probabilmente è stata sorpresa dall'uomo, con cui aveva condiviso una vita e con cui aveva messo al mondo cinque figli. I vicini di casa e i figli hanno raccontato che tra i due non c'erano contrasti o liti violente. Nessuno li sentiva mai discutere. «Erano brave persone - racconta un barista - sembra che tutto tra loro andasse bene. Lui sembrava un po' triste, ma chi non ha problemi?» Invece da tempo la malattia dell'anima si era impadronita di Paolo. L'uomo era caduto in un profondo stato depressivo ed era in cura da uno psicologo. La moglie per tanto tempo aveva lottato contro un male brutto ma alla fine era guarita. Lui, invece, forse logorato anche da questo periodo era caduto ancora di più in quello stato depressivo. Nell'appartamento la scientifica e i militari, coordinati dalla Procura della Repubblica di Velletri, hanno eseguito i rilievi di rito e hanno sequestrato gli oggetti che il marito potrebbe aver utilizzato per massacrare la donna. A questo punto resta solo da stabilire la dinamica del delitto e ci si interroga per capire se, prima di ieri, ci fosse qualche segnale evidente che potesse preannunciare l'imminente tragedia. «Esprimo cordoglio a nome della città di Velletri per i drammatici fatti accaduti questa mattina - ha dichiarato il sindaco Olrando Pocci -. Due morti che gravano sulla nostra comunità attonita per il dolore. Le responsabilità, oltre l'evidente femminicidio, saranno definite dalla magistratura. Le prime notizie fanno emergere un quadro di sofferenza e di malattia che probabilmente avremmo dovuto proteggere con maggiore impegno da parte di tutte le istituzioni». Tiziana Paolocci
Milvana Citter per corrieredelveneto.corriere.it il 28 giugno 2021. Fabrizio Biscaro ha provato per un giorno intero a calmare «l’impulso a uccidere» che gli bruciava dentro. Ma quel desiderio covava potente chissà da quanto, per questo la sera prima ha comprato il coltello. Una lama con la quale non solo ha brutalmente spento la vita di Elisa ma l’ha anche oltraggiata tagliandole l’orecchio destro mentre era agonizzante e spiegando poi agli inquirenti: «L’ho preso come un trofeo. Volevo qualcosa che me la ricordasse» ha detto il 34enne di Farra di Soligo, difeso dall’avvocato Rosa Parenti, durante gli interrogatori dei giorni scorsi. Oggi Biscaro è recluso nel carcere di Santa Bona con l’accusa dell’omicidio volontario premeditato di Elisa Campeol, 35enne di Pieve di Soligo uccisa a coltellate mercoledì sul greto del Piave a Moriago della Battaglia nel Trevigiano, ma in futuro potrebbe essere trasferito in una struttura di salute mentale specializzati. A deciderlo saranno anche le consulenze degli psichiatri che dovranno stabilire se il modus operandi e il taglio di una parte del corpo della vittima sono riconducibili a una connotazione sessuale. Non è chiaro infatti cosa sarebbe successo se Biscaro non fosse stato interrotto mentre faceva scempio del corpo di Elisa da due escursionisti che gli hanno gridato di smetterla. Intanto di certo c’è che il sostituto procuratore Gabriella Cama ha deciso di contestare a Biscaro anche la premeditazione dell’omicidio visto che l’uomo, poche ore prima del delitto, ha comprato il coltello con il quale ha commesso il delitto.
La ricostruzione dei fatti. I carabinieri del nucleo investigativo hanno ricostruito le 24 ore precedenti il delitto. L’uomo ha iniziato il lavoro in un’azienda della zona alle 7 ma alle 7.30 se n’era già andato. «Sono salito sulla mia auto e sono andato in giro. Ogni tanto, quando sentivo che la rabbia era troppo forte, mi fermavo e guardavo dei video musicali sul telefonino per calmarmi». Alle 13.30 è tornato a casa per pranzare con i suoi, senza lasciar trapelare nulla del terribile travaglio che lo affliggeva. Poi è sparito, mettendosi in viaggio con la sua Volkswagen Golf per cercare l’obiettivo che, come lui stesso ha ammesso: «Ho scelto a caso perché dovevo fare male a qualcuno». Ha prelevato alcune centinaia di euro a un bancomat, con i quali ha acquistato in un bar di Follina oltre una cinquantina di tagliandi dell’Enalotto e del Superenalotto. Poi è andato in un centro commerciale di Valdobbiadene e ha comprato alcuni generi alimentari e il coltello che gli sarebbe servito per uccidere. Quindi ha imboccato la Feltrina e ha guidato fino a Fiera di Primiero, in Trentino. Ha passato la notte in auto. Al mattino quell’impulso era ancora lì, ancora più forte. È tornato indietro. Ha raggiunto l’Isola dei morti a Moriago.
L’aggressione. C’erano alcune persone nel parcheggio: «Ho aspettato che se ne andassero. Poi mi sono incamminato nella vegetazione fino a quando ho visto la sagoma della ragazza». Elisa prendeva il sole distesa sul lettino, prona. Non l’ha neanche sentito arrivare. Biscaro ha preso il coltello e le ha sferrato un primo colpo al fianco. La donna è caduta dal lettino, ha provato a difendersi ma il 34enne le è salito sopra, l’ha bloccata e ha continuato a colpirla ripetutamente, così violentemente da rimanere lui stesso ferito dalla lama. Lei ha urlato finché ne ha avuto la forza, mentre lui sfogava il suo impulso una coltellata dopo l’altra. Fino a quando da lontano ha sentito le urla di due uomini: «Cosa fai, smettila!». E lì che ha deciso di prendersi il trofeo: «Ho visto l’orecchio e l’ho tagliato». Poi è scappato e ha riposto il coltello e l’orecchio in un sacchetto di plastica, dentro lo zaino. Lo stesso che avrebbe poi consegnato ai carabinieri: «Dopo averla uccisa non ricordo bene cos’è successo, solo che mi sono trovato davanti alla caserma e mi sono costituito».
"L'amore non è violenza". Giuliana Danzè, la cantante mostra il volto tumefatto dalle violenze: picchiata dal compagno. Redazione su Il Riformista il 26 Giugno 2021. La denuncia arriva in un video in cui mostra il suo volto tumefatto, i lividi su braccia e gambe. Giuliana Danzè, 26enne cantante originaria di Benevento, nota al pubblico per le sue partecipazioni ai programmi tv “All together now 2” e l’edizione francese di “The Voice”, ha utilizzato i social per raccontare la violenza subita da parte del compagno. “Oggi voglio metterci la faccia – dice Giuliana – per denunciare pubblicamente quanto mi è accaduto. L’amore non è violenza, ricordate che l’amore è sostegno reciproco. Ricordate che non è mai colpa vostra, io non mi sento in colpa, non ho nemmeno paura, che mi spaccassero la faccia un’altra volta”. “Lotterò affinché nessuna persona si senta come me. La violenza, psicologia e fisica non dovrebbe esistere per nessuno. Se la mia denuncia può essere una forza per qualcuno, che arrivi il più lontano possibile. Un uomo dopo aver toccato una donna smette di essere un uomo”, ha aggiunto l’artista campana.
Giuliana nel ringraziare tutte le persone che le sono state vicino e gli operatori sanitari dell’ospedale San Pio di Benevento, dove è stata curata, spera che il suo coraggio “sia di ispirazione. Sto guarendo velocemente perché dentro di me ho una forza che va oltre ogni logica e ogni legge. Amatevi, rispettatevi e non abbiate paura: io tornerò più forte di prima, piena di amore e di voglia di vivere e tornerò a cantare e a vivere la musica ancora con più passione. Ricordate che chi resta in silenzio è complice, chi non parla è complice. Siate forti. A tutte le donne: credete in voi stesse e non abbiate paura”. Redazione
Morena Izzo per "il Messaggero" il 16 giugno 2021. Metti una sera a cena con un insolito finale e quattro protagonisti: due fratelli e due ragazze, adescate in rete su un sito di incontri. L' appuntamento a casa dei due e poi la rapina, le botte e le minacce di morte. «Siamo le nipoti di un potentissimo boss di Bari. Dacci il cellulare e non provare a fermarci». L' incontro per uno dei due malcapitati fratelli trentenni, si è concluso al pronto soccorso del Cristo Re, con un trauma al volto causato dalle botte ricevute dalle due. Per le giovani, invece, L.M. di 32 anni e D.F. di 21 anni, sono scattate le manette per rapina aggravata. E' accaduto nella zona di Casal Lumbroso, dove vivono i fratelli caduti nella rete organizzata dalle due. Avevano risposto ad un annuncio che le giovani avevano lasciato su un sito di incontri e così si erano dati un appuntamento. Si sono visti in un locale in centro e poi la decisione di concludere la serata a casa dei due fratelli. L' incontro si è trasformato in un incubo. Dopo l'aggressione le giovani sono passate alla rapina, rubando lo smartphone e poi alle minacce di morte, facendo credere di essere parenti di un boss di Bari. Un potentissimo boss che avrebbe potuto anche ucciderli, se non le avessero assecondate. Non hanno preso soldi, ma solo l' iPhone di una delle due vittime. Le due, che effettivamente sono pugliesi, ma vivono a Roma e non hanno alcun impiego, sono riuscite ad intimorire i due. Sono così scappate. I malcapitati, però, hanno chiamato la polizia e provato a rincorrerle. L' arrivo della polizia che era già in zona ha consentito di bloccarle immediatamente. Sul posto è subito arrivata una pattuglia della sezione volanti, diretta da Massimo Improta e di quella del commissariato di Primavalle, diretto da Tiziana Lorenzo, che hanno bloccato le due rapinatrici in flagranza. Quando gli agenti sono arrivati sul posto, le hanno sorprese mentre scappavano a piedi lungo via del Casal Lumbroso. Una volta bloccate hanno finto anche con i poliziotti di appartenere ad una delle famiglie criminali più pericolose della Puglia, millantando una parentela con il boss di Bari. «Voi non sapete a quale famiglia apparteniamo», gli avrebbero detto. Avevano ancora il cellulare sottratto ad uno dei giovani, riconsegnato alla vittima. Per lui è stato necessario ricorrere alle cure mediche presso l'ospedale Cristo Re, dove gli è stato riscontrato un trauma al volto, mentre per le due rapinatrici pugliesi sono scattate le manette. L' accusa è quella di rapina aggravata. Entrambe verranno sottoposte a rito direttissimo per la convalida dell'arresto.
In cella per l'omicidio del marito: "Ho coperto mia figlia, aveva un rapporto con lui". Francesca Bernasconi il 17 Giugno 2021 su Il Giornale. Nel 2010 Montserrat Gimeno venne accusata per l'omicidio del marito e condannata a 20 anni di carcere. La lettera della donna, recapitata al ilGiornale.it, rivela: "Sono innocente, ho coperto mia figlia" . Era l'8 agosto del 2010, una domenica. Due imbianchini, come raccontato anche da Altaveu, vennero chiamati al quinto piano del numero 40 di via Fiter i Rossell, ad Andorra, per dei lavori. Ad un certo punto, la proprietaria dell'appartamento chiese loro di spostare una borsa pesante, ma i due uomini si resero conto di qualcosa di strano: il pacco conteneva un cadavere. La polizia avrebbe scoperto così l'omicidio consumatosi undici anni fa, per cui la moglie della vittima, Montserrat Gimeno, è stata condannata a una pena di 20 anni di carcere. Ma ora, la donna si professa innocente e svela, in una lettera inviata a ilGiornale.it, uno scenario diverso da quello contenuto nelle carte dei processi e delle sentenze.
L'omicidio. José Alfonso Gimenez aveva 41 anni, quando venne ritrovato morto. Aveva deciso di restare per qualche tempo ancora a casa, per aiutare la moglie reduce di un intervento alla spalla, ma era probabilmente convinto a lasciarla. Secondo i racconti fatti all'epoca dai giornali che seguirono il processo, "l'opposizione alla separazione e la vendetta sono stati i due elementi principali" che avrebbero spinto Montserrat Gimeno ad agire. Prima, la donna avrebbe colpito il marito sulla testa, con un manubrio con cui effettuava alcuni esercizi di riabilitazione, e poi gli avrebbe inferto decine di coltellate, alcune delle quali recisero la giugulare, portando alla morte. La sentenza di condanna, riportata da Altaveu, ricorda che il cadavere era stato avvolto "con un totale di sei sacchetti di plastica nera distribuiti tre a tre, tre dalla testa alla vita e tre dai piedi alla vita, uniti al centro e rinforzati ai lati con nastro adesivo". Dopo aver avvolto in questo modo il corpo del marito, si legge nel testo della sentenza, "l'imputato trasferì il pacco su un carrello pieghevole in alluminio a forma di L, a base quadrata e situato nella sala da pranzo" e nascosto in mezzo ad altre borse. Il giorno dopo, la donna chiamò due imbianchini perché effettuassero dei lavori e chiese loro, stando alla sentenza visionata da ilGiornale.it, un aiuto "per trasportare due borse, una grande e una piccola che si trovavano su un carrello, nel bagagliaio del suo veicolo", specificando di fare attenzione al contenuto, presentato come una scultura di cartapesta a forma di persona. A causa del peso della borsa, uno dei lavoratori decise di trascinarla a terra, notando "una macchia di liquido rosso che ha sporcato il pavimento" e poco dopo del liquido dello stesso colore iniziò ad uscire dal sacco. Per questo, sospettando un cadavere, una volta usciti dalla casa, i due imbianchini si recarono in un punto di polizia a sporgere denuncia. Quando le forze dell'ordine entrarono nell'appartamento, trovarono "il corpo senza vita del marito, che mostrava segni di estrema violenza", raccontarono al tempo i Diari d'Andorra. In una delle stanze, inoltre, giaceva anche la donna, 52 anni, che aveva ingerito dei farmaci, forse nel tentativo di suicidarsi. L'uomo era morto, mentre la moglie venne trasportata in ospedale e poi accusata dell'omicidio del marito. La donna venne ritenuta colpevole e condannata a 20 anni di carcere e all'espulsione dal principato di Andorra per i successivi 20 anni. Ma ora, dopo 10 anni passati in galera, Montserrat Gimeno ha raccontato un'altra verità, dichiarando di non aver ucciso il marito e chiedendo che il suo caso venga riaperto. "Nonostante la mia innocenza, ho accettato la sentenza a 20 anni di carcere per un omicidio che non ho commesso, col solo scopo di coprire il crimine di mia figlia", scrive la donna in una lettera arrivata a ilGiornale.it e il cui contenuto è stato confermato anche dal legale che segue la sua causa. Nella missiva inviata dalla donna condannata vengono elencati una serie di motivi per i quali sarebbe stato impossibile per lei uccidere il marito: innanzitutto, spiega, "non potevo usare il braccio sinistro per una recente operazione chirurgica" e, inoltre, "mio marito era molto più forte di me", dato che praticava arti marziali e boxe. Non solo. I giudici non avrebbero preso in considerazione alcuni elementi importanti: per esempio, "nel corso del processo non sono emerse evidenze del fatto che avevo organizzato il crimine", così come sembra non sia stato appurato se i resti biologici presenti sul corpo della vittima e sulla scena del crimine appartenessero alla condannata o meno. Inoltre, "non venne effettuato nessun esame con lo scopo di verificare se mia figlia avesse graffi o colpi compatibili con la lotta che è stata dimostrata aver avuto luogo prima della morte". Infine, "non è stata fatta alcuna indagine con lo scopo di identificare una terza persona presente sulla scena del crimine, nonostante ci fosse un'evidenza".
La richiesta di revisione. Montserrat Gimeno si trova in carcere da 10 anni, pur definendosi innocente: ha dichiarato di aver inizialmente accettato la sentenza di condanna per coprire il crimine che avrebbe commesso sua figlia. Ma "ogni cosa è cambiata radicalmente dopo 10 anni di carcere", rivela la donna, quando ha chiesto l'aiuto di un avvocato "e lui mi ha informato che mia figlia e mio marito avevano una relazione incestuosa senza che io ne fossi a conoscenza". Il legale, sentito da ilGiornale.it, ha confermato di essere stato contattato dalla signora Gimeno: "Dopo aver studiato il suo fascicolo l'abbiamo informata che, con tutta probabilità, sua figlia ha avuto un rapporto sessuale incestuoso con suo padre", ha dichiarato l'avvocato. Ma riguardo all'omicidio, aggiunge, "anche la figlia della signora Gimeno ha il diritto di beneficiare della presunzione di innocenza". A quel punto, la donna ha deciso di chiedere la revisione del processo, in quanto "non sussistono nel procedimento penale elementi atti a dimostrare che la signora Gimeno sia l'autore del reato", spiega l'avvocato, e "ci sono state importanti indagini che non sono state prese in considerazione per chiarire i fatti". Per questo, a gennaio del 2021, la donna ha presentato ricorso in Cassazione, precisando di non essere l'autore dell'omicidio e sostenendo che il caso dovesse essere riaperto, dato che non sarebbe stato rispettato il diritto alla presunzione di innocenza. Successivamente, esaurite le possibilità nei confronti delle autorità giudiziarie di Andorra, a inizio 2021 la Gimeno ha depositato una dichiarazione davanti alla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo (CEDU). Il giudice però ha respinto le richieste della donna: "Non emerge alcuna apparenza di violazione dei diritti e delle libertà sanciti dalla Convenzione", si legge nel testo della sentenza, che precisa anche la mancanza dei criteri di ammissibilità. Respinta quindi anche la richiesta effettuata alla CEDU, che conserverà il fascicolo solamente per un anno, dopodiché verrà distrutto. Alla luce delle considerazioni raccolte dalla difesa, precisa il legale, "la Gimeno vuole essere nuovamente giudicata e beneficiare di un procedimento paritario". E chiede la riapertura del processo.
Francesca Bernasconi. Nata nel 1991 a Varese, vivo tra il Varesotto e Rozzano. Mi sono laureata in lettere moderne e in scienze della comunicazione. Arrivata al Giornale.it nel 2018, mi occupo soprattutto di cronaca, ma mi interesso di un po' di tutto: da politica e esteri, a tecnologia e scienza.
Litiga con il marito e lo uccide il marito versandogli addosso acqua bollente e 3 chili di zucchero. Il Fatto Quotidiano il 16 giugno 2021. Avevano litigato e poi, quando lui si è messo a dormire, lei gli ha versato addosso dell'acqua bollente mischiata con 3 kg di zucchero. Un mix letale che non ha lasciato scampo al marito con cui era legata da 38 anni. Un litigio come tanti, chissà quante volte sarà capitato a Corinna e Michael in 38 anni di vita insieme. Ma questa volta le cose sono andate diversamente: lei, mentre l’uomo dormiva, gli ha versato addosso dell’acqua bollente mischiata con 3 chili di zucchero, uccidendolo. Siamo nella contea di Cheshire, nel Regno Unito. La notizia, riportata tra gli altri dal Sun, sta facendo il giro delle testate britanniche, e non solo. A colpire è, in particolare modo, il “gesto crudele e doloroso”, così come lo ha definito l’ispettore capo Paul Hughes, del Cheshire Constabulary. L’episodio è avvenuto il 13 luglio scorso e ora, al termine del processo a suo carico, Corinna (59 anni) è stata ritenuta definitivamente colpevole dell’omicidio del marito 81enne. “Penso di averlo ucciso”, aveva detto a un vicino subito dopo essere scappata da casa propria. Michael è stato quindi portato d’urgenza in ospedale con il 36% del corpo ustionato, tuttavia per lui non c’è stato nulla da fare ed è morto il 18 agosto 2020. In seguito all’incidente, Corinna venne inizialmente accusata di lesioni personali gravi, poco dopo la morte di suo marito è stata invece accusata formalmente di omicidio. Jayne Morris del Crown Prosecution Service (CPS) ha affermato che le sue azioni sono state deliberate e considerate. La donna è stata giudicata colpevole ieri 15 giugno e sarà condannata ufficialmente il 9 luglio.
Biagio Chiariello per "fanpage.it" il 14 giugno 2021. Una donna è sospettata di aver ucciso il marito, prima di tagliargli il pene e friggerlo. Come riporta The Sun, Dayane Cristina Rodrigues Machado, 33 anni, è stata arrestata lunedì 7 giugno nella città brasiliana di Sao Goncalo, nello Stato di Rio de Janeiro. La polizia è stata chiamata nel quartiere di Santa Catarina e secondo quanto riferito ha trovato il corpo del marito – noto solo come Andre – senza vita, nudo e mutilato. La moglie è accusata di averlo evirato e di aver cucinato il pene in una padella con olio di soia verso le 4 del mattino. È stata accusata di omicidio e profanazione di cadavere e la polizia ha sequestrato un coltello da cucina sulla scena del delitto. La coppia stava insieme da 10 anni, ma era separata da due e continuava a vedersi a intermittenza. Andre e Dayana hanno un figlio di 8 anni e una figlia di 5 e gestivano insieme una pizzeria. Stando a quanto riportato dai media brasiliani, la coppia è andata in uno snack bar la sera del delitto e ha avuto una discussione. L'avvocato della donna, Carla Policarpo, ha detto che il marito l'avrebbe minacciata e lei lo ha ucciso per legittima difesa. Ma la sorella di Andre, Adriana Santos, afferma che la moglie ha ucciso suo fratello per vendicarsi di un suo presunto tradimento. Pare che Dayane Machado avesse denunciato l'uomo alla polizia in un'occasione e la coppia litigava costantemente. "Andre non ha accettato la fine della relazione e ha detto che se lei non poteva stare con lui, non poteva stare con nessuno", ha aggiunto Policarpo. Ha detto che la sua cliente è "turbata" per quello che è successo. L'indagine è in corso.
Ventimiglia, uccide la ex compagna e si toglie la vita. La Repubblica il 13 giugno 2021. Dopo il delitto, l'uomo ha cercato di colpire anche un amico della vittima, poi si è suicidato. Secondo femminicidio in Liguria in appena 24 ore. Sharon Micheletti, 30 anni, è stata uccisa dall'ex compagno, il sessantacinquenne Antonio Vicari, che poi si è tolto la vita. L'omicidio-suicidio è avvenuto a Ventimiglia poco dopo le 17. La prima ricostruzione è basata sulle testimonianze raccolte sul posto. La donna era a bordo di una Citroen guidata da un amico. Questi ha accostato la vettura al marciapiede, è sceso ed è entrato in un bar a comprare le sigarette. Vicari, sopraggiunto in scooter, si è avvicinato a piedi all'auto, con Sharon seduta sul lato passeggero, e l'ha uccisa con almeno tre colpi di pistola esplosi attraverso il finestrino. A quel punto, con l'arma in pugno, Vicari si è diretto verso il bar in cui era l'amico della vittima. Quest'ultimo, hanno riferito dei testimoni, ha cercato di nascondersi per fuggire dal retro ma nel frattempo la titolare del locale, avendo visto l'uomo armato, ha chiuso la porta a vetri del bar: "Non mi uccidere, io non c'entro niente", gli ha gridato mentre quello cercava di entrare. Vicari ha quindi desistito ed è scappato verso il vicino fiume Roja, dove si è ucciso. L'uomo era stato in carcere per molestie contro la prima moglie, era tornato libero a marzo e aveva iniziato a molestare la seconda ex, che lo aveva denunciato. Ieri, sull'altra riviera, a Levante, una donna di 25 anni residente a Castelnuovo Magra (La Spezia), è stata uccisa dall'ex compagno in una villetta a pochi chilometri da Sarzana. La vittima è stata sgozzata dopo un litigio al quale hanno assistito il figlioletto di due anni e un'amica che si sono rifugiati in bagno quando l'uomo, un cittadino maghrebino di 29 anni, ha preso il coltello. L'assassino ha poi ha aggredito tre carabinieri intervenuti ma è stato bloccato e arrestato.
Le indagini sul delitto in strada a Ventimiglia. Uccisa in strada dall’ex compagno fissato con le armi, Sharon aveva denunciato le minacce. Vito Califano su Il Riformista il 14 Giugno 2021. Era detenuta illegalmente l’automatica calibro 7.65 con la quale Antonio Vicari ha esploso i colpi che hanno uccio Sharon Micheletti, sua ex compagna, in strada, ieri pomeriggio. L’omicidio a Ventimiglia, in provincia di Imperia, Liguria. Dopo, il 65enne, ha raggiunto l’argine del fiume Roja e si è tolto la vita con un colpo alla testa. I carabinieri stanno cercando di capire dove l’uomo si era procurato l’arma dell’omicidio e se quelle con le quali l’uomo si fotografava fossero reali o repliche.
Scatti scovati sul profilo Facebook di Vicari, che per le armi da fuoco doveva avere una vera e propria passione. Il 65enne era tornato libero a marzo. Era stato in carcere per molestie contro la prima moglie. La relazione con Sharon Micheletti era finita da cinque anni, proprio dall’arresto. Aveva continuato a scriverle lettere, in una l’aveva minacciata di morte se non fosse rimasta con lui fino a quando non fosse tornato in libertà. Micheletti lo aveva denunciato almeno tre volte, secondo quanto riportato da Il Secolo XIX. La prima nel 2017, la seconda lo scorso aprile e quindi a maggio. Tutte denunce per minacce, mai per stalking. “Le denunce presentate nel 2021, così come descritte, sembravano fatti isolati – ha detto il procuratore Alberto Lari – Non sembrava emergere che fosse perseguitata. Tanto è vero, che gli atti dei carabinieri non parlavano di stalking. Non c’erano elementi che potevano far presagire un’evoluzione simile”. E invece ieri, intorno alle 17:00, Vicari ha visto passare l’ex compagna in auto con il suo fidanzato. È salito sullo scooter e ha raggiunto l’auto. Il ragazzo di Sharon era sceso a comprare le sigarette. Vicari avrebbe raggiunto l’automobile e quindi sparato all’ex, seduta al lato passeggero. Tre colpi. Secondo quanto riportato dal Corriere della Sera il 65enne si sarebbe quindi diretto verso il bar dov’era entrato il ragazzo. La titolare avrebbe fatto in tempo a chiudere la porta e a gridare: “Non mi uccidere, io non c’entro niente”. A quel punto Vicari si sarebbe diretto verso il fiume, a poche decine dal luogo del delitto, e si sarebbe tolto la vita. L’uomo non avrebbe quindi mai accettato la fine della relazione, secondo documenti al vaglio degli inquirenti. I militari stanno cercando di capire quanto il delitto fosse annunciato. Il pm Paola Marrali dovrebbe affidare oggi l’incarico sull’autopsia. Si indaga sull’arma del delitto e su quelle delle foto, che i carabinieri non hanno trovato nell’appartamento dove viveva l’uomo. “Pensa bene che anche quando dormi io sono lì molto vicino, figurati quando sei con l’amante, non c’è posto che puoi nasconderti”, uno degli ultimi post pubblicati dall’uomo sui social network. A Castelnuovo Magra, La Spezia, sempre ieri un altro femminicidio. Il secondo in 24 ore in Liguria. Una donna di 25 anni sarebbe stata uccisa dall’ex compagno in una villetta a pochi chilometri da Sarzana. La donna sarebbe stata sgozzata con un coltello. L’uomo, 29 anni, avrebbe aggredito e ferito con un coltello i carabinieri che lo hanno arrestato.
Vito Califano. Giornalista. Ha studiato Scienze della Comunicazione. Specializzazione in editoria. Scrive principalmente di cronaca, spettacoli e sport occasionalmente. Appassionato di televisione e teatro.
Da huffingtonpost.it il 14 giugno 2021. “Ciao figlio mio, spero di rivederti al più presto t.v.b. kri” (6 maggio); “Bene abbiamo preso una strada senza via di uscita” (31 maggio); “Pensa bene, che anche quando dormi io sono lì vicino, figurati quando sei con l’amante, non c’è posto che puoi nasconderti” (2 giugno). Sono soltanto alcuni dei messaggi che ha scritto sul proprio profilo Facebook nelle ultime settimane Antonio Vicari, l’uomo di 64 anni che ieri ha ucciso a Ventimiglia a colpi di arma da fuoco l’ex compagna Sharon Micheletti di 30 anni. Vicari si è poi tolto la vita. Sul social in passato aveva postato anche due foto che lo ritraggono in una in posa mente imbraccia un fucile mitragliatore e nell’altra mentre prende la mira con una pistola in pugno. Da tempo l’uomo perseguitava la donna, che nel marzo scorso aveva presentato una denuncia per minacce nei suoi confronti. Vicari, tra l’altro, era anche finito in carcere per una serie di molestie nei confronti della ex moglie e poco dopo essere uscito dal carcere aveva iniziato a molestare anche Sharon. Il primo messaggio, che sembra quasi essere un annuncio, è riferito al figlio Cristian, morto a 17 anni, nel 2001, dopo essere caduto da un dirupo ad Airole, mentre si trovava con degli amici. Ieri l’epilogo. Antonio è seduto in un bar in via Tenda, quando una Citroen condotta da un amico di Sharon e con la trentenne seduta sul lato passeggero, si accosta al marciapiede. L’uomo scende dall’auto ed entra nel bar Azzurro per acquistare un pacchetto di sigarette. A quel punto Antonio si avvicina all’auto e dal finestrino del lato guida esplode più colpi, parrebbe tre, contro la donna, che viene ferita mortalmente alla testa. Si reca poi nel vicino bar, dov’era entrato l’uomo in compagnia di Sharon, ma trovando la porta chiusa dalla titolare, desiste, si allontana e nel vicino greto del fiume si uccide.
Filippo M. Capra per "fanpage.it" il 13 giugno 2021. Prima la violenta lite in auto, poi l'accoltellamento e la fuga, mentre il marito cercava di rincorrerla prima di stramazzare al suolo e perdere i sensi. Questa, secondo l'accusa, la ricostruzione di quanto è avvenuto ieri pomeriggio, sabato 12 giugno, a Milano, in via Amantea. Sul luogo, nella periferia ovest di Milano, i carabinieri hanno trovato il 54enne agonizzante, allertando immediatamente i soccorsi. E mentre gli operatori sanitari lo trasferivano al pronto soccorso del San Carlo, i militari hanno fermato una donna, la moglie, con i vestiti sporchi di sangue e una ferita sulla mano, qualche metro distante. Portata in caserma, è stata ascoltata e arrestata con l'accusa di omicidio.
Roberto raggiunto da quattro coltellate è morto in ospedale. Roberto, questo il nome della vittima, un dipendente di un supermercato incensurato, è morto in ospedale a causa delle ferite riportate. Sul suo corpo i medici hanno trovato profonde ferite da taglio anche all'altezza della gola. In totale, sarebbero stati quattro i fendenti che l'hanno raggiunto. Svenuto sull'asfalto all'angolo con via Quinto Romano, è stato trovato in una pozza di sangue. In serata la donna è stata interrogata dal pubblico ministero di turno, Francesca Gentilini e si è avvalsa della facoltà di non rispondere. I carabinieri arrivati a Baggio, quartiere in cui si è consumata la tragedia, hanno raccolto la testimonianza dei presenti. Questi hanno riferito del violento litigio in auto, seguito dall'aggressione con il coltello da cucina da parte della donna, poi datasi alla fuga. Sempre loro avrebbero riferito del tentativo del marito di inseguirla prima di svenire.
Francesco Rigatelli per "il Messaggero" il 15 giugno 2021. Omicidio volontario con l'aggravante della premeditazione. È questa la richiesta della pm Francesca Gentili al giudice per le indagini preliminari Sara Cipolla a carico di Lucia Finetti, 52 anni, la donna che sabato pomeriggio ha ucciso con quattro coltellate il marito, Roberto Iannello, 55 anni, dopo una lite in auto nella zona di Baggio a Milano.
INSEGNA ESOTERISMO La moglie era stata trovata dai carabinieri con i vestiti sporchi di sangue e una ferita alla mano a neanche un chilometro dalla loro Seat Marbella verde e non si era dimostrata molto collaborativa né con i militari né con la pm. In attesa di vedere come andrà l'interrogatorio di garanzia, emergono alcuni elementi sulla vita della donna. Teneva videolezioni online Lucia Finetti, un corso per l' Unitre su arte, mistero e cultura nell' esoterismo occidentale, da cui emergeva la sua passione per i tarocchi. Carte a parte, la sua vita soprattutto negli ultimi mesi era costellata da frequenti discussioni con il marito. In particolare, il motivo delle liti era la separazione dei due, che però non arrivava. La discussione di sabato, in un dopo pranzo afoso, è finita come non doveva: quattro colpi, di cui due inferti alla giugulare, rivelatisi letali per il marito. L' uomo, nel tentativo di rincorrerla, era uscito dall' auto, ma era stramazzato al suolo poco dopo. I passanti erano rimasti increduli davanti a una scena così disperata e violenta. La scientifica ha repertato le tracce di sangue dentro e fuori dall'auto, analizzato i campioni ritrovati nell' abitacolo e le numerose buste nel bagagliaio e nei prossimi giorni consegnerà i risultati delle indagini. L' ipotesi era che, al culmine della lite in auto, il marito avesse aggredito la moglie minacciandola con un coltello. Lei, approfittando di un momento di distrazione di lui, sarebbe riuscita a strappargli l'arma e lo avrebbe ferito ripetutamente, riuscendo così ad uscire dall' abitacolo per darsi alla fuga. Ora invece l' attenzione si è concentrata sull' arma del delitto, quel coltello da cucina che di solito non si trova in auto e che ha portato gli investigatori a ipotizzare una premeditazione, forse addirittura la provocazione di una lite da parte della donna in un luogo pubblico, in pieno giorno e con dei testimoni di passaggio in zona. L' altro aspetto che ha messo più di un dubbio sulla versione iniziale sono state le quattro coltellate, non una, non due, non tre. Forse la reazione incontrollata alle minacce di lui, ma anche lo sfogo per tanti anni di insofferenza.
LE TESTIMONIANZE Prenderebbero così nuova luce i racconti degli abitanti di Baggio. Qualcuno ricorda infatti un clacson che suonava ininterrottamente per chiedere aiuto e una passante racconta di aver esortato l'uomo a resistere, anche quando ormai non rispondeva più. A nulla sono serviti i soccorsi arrivati subito e la corsa disperata in ambulanza al vicino Ospedale San Carlo. La perdita di sangue era troppo grave, come si è visto dall' enorme macchia rosso scuro lasciata sull' asfalto in via Amantea. Dirimente sarà anche il risultato dell'autopsia, che oltre ai rilievi della scientifica, darà il quadro di questo omicidio pre-estivo, stranamente automobilistico e poco domestico. Si vedrà così se oltre a essere aggravato, perché la vittima è il marito, sarà davvero premeditato, come il coltello da cucina e le numerose coltellate sembrano suggerire agli inquirenti. A carico di Iannello, dipendente della catena di supermercati Carrefour, non risultano denunce sporte per maltrattamenti. L' uomo era incensurato, non aveva mai avuto problemi con la giustizia, così come la moglie. Almeno fino allo scorso weekend.
La tragedia a Castiglione torinese. Spara alla moglie e al cane, poi si toglie la vita: figlio scopre i cadaveri dei genitori. Vito Califano su Il Riformista il 11 Giugno 2021. Avrebbe sparato alla moglie e al cane e poi si sarebbe tolto la vita. È successo a Castiglione Torinese, in provincia di Torino. Poco prima delle 22:00 i carabinieri hanno trovato in un’abitazione il cadavere di un 70enne, proprietario dell’immobile e della moglie, di due anni più anziana. Sul posto i militari del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Torino e della Compagnia di Chivasso. La pista più accreditata al momento è dunque quella di omicidio-suicidio. La pistola di piccolo calibro che Carlo Marengo ha utilizzato era regolarmente denunciata. La moglie, Rachele Oliviero, è stata ferita con un colpo alla testa. Secondo quanto riporta La Stampa, la donna sarebbe stata colpita nel sonno, dopo che si era addormentata su una sedia in cucina. Quindi è toccato al cane, un golden retriver. Sarebbero stati quattro i colpi esplosi in tutto dall’uomo. A scoprire i corpi dei due il figlio della coppia, preoccupato perché i genitori non rispondevano al telefono. Una volta entrato in casa e visti i cadaveri, ha chiamato il 118 che non ha potuto fare altro che constatare il decesso. I militati della Compagnia di Chivasso hanno interpretato subito la scena come un omicidio-suicidio. Sul posto anche il sostituto procuratore di Ivrea Lea Lamonaca. Tutti da chiarire i motivi che hanno scatenato la tragedia. Non sarebbero stati trovati biglietti sul luogo del delitto a spiegare le cause del gesto. La coppia di anziani viveva al civico 12 di via San Grato. Al piano inferiore. A quello superiore il fratello di Carlo, che non ha avvisato, non essendosi accorto presumibilmente del delitto. La comunità di Castiglione, comune di circa 6mila 500 abitanti, è sconvolta.
Vito Califano. Giornalista. Ha studiato Scienze della Comunicazione. Specializzazione in editoria. Scrive principalmente di cronaca, spettacoli e sport occasionalmente. Appassionato di televisione e teatro.
Storie Italiane, l'orrore subito in tribunale da Gessica Notaro: "Sorrisini e battute dell'avvocato", dopo essere stata sfregiata. Libero Quotidiano l'08 giugno 2021. Gessica Notaro è diventata suo malgrado un personaggio pubblico, dopo un terribile fatto di cronaca di cui è stata vittima. Da quell'episodio ha però trovato la forza per diventare un simbolo: ospite di Eleonora Daniele a Storie Italiane su Rai1, la donna ha presentato il suo libro, 'Nata sotto una buona stella', in cui ha raccontato la terribile esperienza vissuta e la battaglia giudiziaria con il suo ex compagno, che l'aveva aggredita e sfregiata in volto con l'acido. Da allora Notaro porta avanti una battaglia in difesa delle donne vittime di violenza. Dopo il bruttissimo episodio, Gessica ha vissuto dei momenti molto difficili, anche all'interno delle aule di tribunale: "Quando mi trovavo lì, in primo grado, mi sono ritrovata davanti a sorrisini e alle battute di uno dei legali del mio ex e il giudice lo riprese 'avvocato in questo processo non c'è niente da ridere' e io dissi che mi sembrava inutile essere nel banco degli imputati. Lui si offese e si tolse la tonaca, poi il giudice lo richiamò all'ordine e lui si calmò". L'ex compagno è poi stato condannato a 15 anni e 5 mesi: "Lui nega, non prova empatia, non ha sensi di colpa. Lui sa benissimo ciò che ha fatto ma non se ne è pentito". E ovviamente Notaro non lo perdonerà mai, dato che l'uomo non prova alcun tipo di pentimento: "Quando sarà lo perdonerò solo dentro di me, a lui non devo dire niente".
Camilla Mozzetti per "il Messaggero" il 7 giugno 2021. Accecato da un impeto d' ira - anche se i carabinieri stanno ancora indagando per cristallizzare il movente e la dinamica - si è scagliato prima contro la madre che molto probabilmente gli aveva detto, ancora una volta, di cambiare vita. L'ha colpita con un pezzo di legno strappato da un mobile e poi l'ha trafitta alla schiena con la gamba di legno levata via da una sedia. Nel tentativo di darsi alla fuga, sulle scale, ha incontrato la vicina che, turbata dalle urla e dai rumori, era uscita dalla porta e stava salendo al secondo piano. Anche lei è stata aggredita barbaramente sempre con un pezzo di legno tirato via, stavolta, da una cassapanca che era nell' androne del palazzo. Tragedia ieri a Trevignano Romano, pochi metri dalle sponde del lago di Bracciano, in provincia di Roma. Un 34enne, Andrea Bocchini, con precedenti di spaccio, assuntore di cocaina e da qualche tempo in cura al Sert, il Servizio per le tossicodipendenze, è accusato dell'omicidio della madre, Graziella Marzioli 65 anni e della vicina, Emanuela Senese, 76 anni. I carabinieri del Nucleo Investigativo di Ostia, che insieme ai militari della compagnia di Bracciano, hanno effettuato i rilievi e hanno in mano le indagini parlano di «un brutale ed efferato duplice omicidio come pochi se ne sono visti finora». Tutto inizia poco dopo le 13 quando il 34enne è in casa con la madre. Secondo la ricostruzione degli inquirenti, scoppia l'ennesima discussione molto probabilmente per i problemi che l'uomo aveva da tempo: nessun lavoro stabile, una dipendenza dalla cocaina difficile da combattere. Avrebbe dovuto incontrare oggi il suo avvocato per discutere una recente denuncia per spaccio ma dovrà rispondere anche di duplice omicidio volontario. È stata questione di minuti, raccontano alcuni vicini: «Abbiamo sentito le grida e poi dei tonfi». L' uomo ha divelto alcuni pezzi di legno dai mobili che erano in casa e con tutta la forza che aveva in corpo ha aggredito la madre. Poi è toccato alla vicina, la signora Emanuela con cui Graziella era amica da una vita: più di trent' anni trascorsi insieme nello stesso palazzo a far crescere i propri figli. Da anni entrambe erano rimaste vedove e si facevano compagnia. Quando anche la signora Emanuela sente le urla e capisce che è Andrea, esce di casa e prova a salire nell' appartamento ma nell' androne incontra l'uomo che intanto stava scappando. Non ci sono telecamere che abbiano ripreso la scena ma gli inquirenti non hanno dubbi: colpisce a morte anche lei con un altro pezzo di legno. «Quando sono entrato nell' androne e ho visto quel corpo - dice un residente - non ho avuto il coraggio di salire, ho chiamato subito i soccorsi». Sul posto arrivano i carabinieri e parte la caccia all' uomo che si conclude celermente. Bocchini infatti prova a scappare a bordo di un'utilitaria rubata a una donna e imbocca la strada verso Bracciano ma si scontra per l'alta velocità con altri due veicoli e colpisce - fortunatamente senza conseguenze - anche un ciclista. Non si arrende, abbandona l'auto e punta ai campi liberandosi nel frattempo degli indumenti sporchi di sangue. I militari lo hanno raggiunto ma lui prova anche a gettarsi nel lago. Viene fermato, portato in ospedale e sottoposto a un Tso - un Trattamento sanitario obbligatorio - le sue condizioni tuttavia sono buone e già oggi sarà trasferito in carcere. A procedere è la Procura di Civitavecchia che a breve disporrà l'autopsia sui corpi delle due donne e, molto probabilmente, una perizia psichiatrica per l'uomo. Sulla strada, intanto, vicino all' ingresso transennato del palazzo i residenti si guardano e si abbracciano. C' è anche Alessandro, il figlio della signora Emanuela, arrivato dalla vicina Anguillara: «Se in casa ci fossi stato anche io, mia madre ora sarebbe viva. Potevo accettare di perderla per l'età o per le malattie, ma non per questo, non lo potrò mai perdonare», dice con gli occhi rigati dalle lacrime. Chi conosce Andrea Bocchini da anni parla di un giovane «problematico ma non aggressivo». «Usciva al mattino con il suo cane, lo vedevo in strada, molto silenzioso, ogni tanto sentivano le urla contro la madre ma non avremmo mai pensato che potesse accadere tutto questo». In un'auto sotto alla pioggia c' è anche la sorella dell'uomo. Piange e si dispera. Qualcuno a bassa voce sussurra: «La tragedia non si è ancora conclusa».
"Mi sono sbarazzata del corpo": scoperta choc in valigia. Rosa Scognamiglio il 5 Giugno 2021 su Il Giornale. Il cadavere di un uomo è stato ritrovato all'interno di una valigia in strada a Roma. La fidanzata avrebbe ammesso di "essersi sbarazzata del corpo". Il cadavere di un uomo è stato ritrovato all'interno di una valigia in strada a Roma, nei pressi di piazza Federico Sacco, al quartiere Pietralta. Trattasi di Luca De Maglie, 37 anni, con precedenti penali per spaccio di droga. Gli agenti della squadra Mobile capitolina hanno già intercettato la fidanzata della vittima che avrebbe ammesso di essersi sbarazzata del corpo. "Era morto da giorni, l'ho messo io nel borsone", ha dichiarato la donna.
Il ritrovamento choc. Stando a quanto si apprende da fonti a vario titolo, a ritrovare il cadavere sarebbe stato un passante che, pressappoco alle ore 7 di questa mattina, transitava in piazza Federico Sacco. L'anziano avrebbe notato la testa della vittima sbucare dall'apertura di una valigia da cui fuoriusciva anche del sangue. Allarmato dalla circostanza, ha allertato immediatamente il 112. Sul posto è quindi intervenuta una volante della squadra Mobile di Roma che ha accertato la presenza del cadavere all'interno del borsone sigillato con del nastro adesivo e sormontato da sacchi neri. Tutt'attorno era una pozza di sangue. Seguendo la scia purpurea sull'asfalto, i poliziotti sono giunti all'abitazione di una donna che, stando a quanto rivela Adnkronos, pare fosse la fidanzata della vittima.
"Mi sono sbarazzata del corpo". La donna, di cui non sono note le generalità, avrebbe confessato agli agenti di essersi sbarazzata del corpo. "Era morto da giorni, mi sono sbarazzata del corpo", ha dichiarato. La vittima risponderebbe al nome di Luca De Maglie, 37 anni, con precedenti penali. Secondo quanto apprende l'agenzia stampa AGI, l'ipotesi al momento privilegiata dagli investigatori, è che l'uomo sia morto per una overdose. A quel punto la compagna, una 39enne, avrebbe occultato il cadavere. "Il corpo era sotto casa - ragiona un investigatore - La dinamica è strana, se avesse voluto sbarazzarsi del cadavere e non farlo trovare, non l'avrebbe lasciato a pochi passi dall'abitazione". Ad indagare sul caso i poliziotti della Squadra Mobile di Roma. Le indagini sono ancora in corso; non si esclude nessuna ipotesi.
Rosa Scognamiglio. Nata a Napoli nel 1985 e cresciuta a Portici, città di mare e papaveri rossi alle pendici del Vesuvio. Ho conseguito la laurea in Lingue e Letterature Straniere nel 2009 e dal 2010 sono giornalista pubblicista. Otto anni fa, mi sono trasferita in Lombardia dove vivo tutt'oggi. Ho pubblicato due romanzi e un racconto illustrato per bambini. Nell'estate del 2019, sono approdata alla redazione de IlGiornale.it, quasi per caso. Ho due grandi amori: i Nirvana e il caffè. E un chiodo fisso...La pizza! Di "rosa" ho solo il nome, il resto è storia di cronaca nera.
Dagospia il 6 giugno 2021. Alessia Marani Camilla Mozzetti per “il Messaggero”. «Avevo paura che non mi facessero più rivedere mio figlio, per questo ho subito pensato di nascondere il cadavere di Luca nella valigia e di farlo sparire almeno fino al giorno di visita nella casa famiglia dove si trova il mio bambino». Alma Reale, 39 anni, pronuncia frasi sconnesse, è ancora agitata di fronte agli agenti della Squadra Mobile e del IV Distretto che la interrogano per ore. Alle 2 di notte tra venerdì e sabato, la donna, ha trascinato il trolley con dentro il corpo del compagno, Luca De Maglie, 37 anni - presumibilmente stroncato da una overdose - fuori dall' appartamento di via Bellardi fino a piazza Federico Sacco, a Pietralata, periferia Est di Roma. Lo ha abbandonato lì, accanto a un'auto in sosta e poi è tornata a casa come se niente fosse, tentando di cancellare le tracce e l'odore nauseabondo del corpo in putrefazione con la candeggina. A dare l'allarme poco prima delle 7 di ieri mattina è un autista della linea 111 dell'Atac che fa capolinea proprio sullo slargo. Aveva osservato quello «strano bustone nero avvolto dallo scotch per pacchi e da una tenda» dentro al trolley già quando aveva iniziato il turno alle 4.45, ma poi quando ha cominciato ad albeggiare ha distinto la forma di una testa e di un braccio e, spaventato, ha chiamato la polizia. Sul posto gli agenti delle Volanti, di Sant' Ippolito e anche quelli della polizia Scientifica che hanno isolato il luogo e avviato le indagini. Hanno notato alcune tracce di sangue lungo la strada fino al marciapiede che conduce in via Bellardi. Spuntano le rotelle rotte del trolley, poi il manico spezzato. La scia conduce al civico 12 tra i palazzi in cortina dell'Ater. Poi, però si interrompe al secondo piano dove l'aria si fa acre per l'odore di candeggina. Gli agenti lo seguono fino al quinto piano. Nel palazzo qualcuno dice di avere sentito nella notte molto trambusto dalla casa di Alma. I poliziotti bussano alla sua porta e la conducono nei loro uffici. Ma cosa è successo? Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, De Maglie, vari precedenti per droga e reati contro il patrimonio alle spalle, sarebbe morto alcuni giorni prima per una overdose da inalazione di crack, eroina e oppiacei e la donna, invece di chiamare i soccorsi, se ne sarebbe sbarazzata occultandolo nella valigia. La sera dell'8 aprile Alma era stata denunciata dai carabinieri della stazione Santa Maria del Soccorso per abbandono di minore: si era dimenticata il figlioletto di 2 anni nella Fiat Panda parcheggiata a pochi metri da casa. E, considerati i suoi problemi di tossicodipendenza, il bambino era stato affidato temporaneamente ai servizi sociali. «Giovedì dovevo rivederlo ma se la polizia avesse scoperto il cadavere in casa o indagato per la droga - ha spiegato la 39enne - temevo che mi sarebbe stato portato via per sempre». Il decesso di De Maglie, stando ad un primo riscontro del medico legale, dovrebbe risalire a qualche giorno fa. Domenica scorsa l'ultima lite della coppia. Alma avrebbe anche colpito il compagno con una bottiglia. Non era la prima discussione violenta, come confermano anche alcuni vicini: tre settimane fa gli agenti di San Basilio erano dovuti intervenire per riportare la calma tra i due ed era stato attivato il cosiddetto codice Eva a tutela delle donne vittime di maltrattamenti. La donna ha raccontato di essere rientrata a casa lunedì sera e di averlo trovato morto. Sul corpo del 37enne, le cui condizioni di salute erano debilitate, non sarebbero state trovate lesioni evidenti e compatibili con un omicidio. Tuttavia sarà l'autopsia disposta dal pm Francesco Basentini a chiarire l' esatta dinamica, il giorno e l'orario della morte. Resta da capire se Alma abbia fatto tutto da sola. Perché non convince fino in fondo il fatto che lei, minuta e mingherlina, possa essersi caricata un peso di quasi cento chili, il doppio di lei, per oltre duecento metri. Un percorso lungo il quale non esistono telecamere, né testimoni, al momento, che avrebbero riferito di averla vista in azione. La donna è stata denunciata a piede libero per occultamento di cadavere.
Da ilGiornale il 29 maggio 2021. Una lite familiare finita nel sangue. Un altro femminicidio. L'ennesimo. È accusato di aver ucciso la moglie 51enne al termine di una lite colpendola con un coltello. È successo ieri ad Altopascio, in provincia di Lucca. Il presunto omicida - secondo quanto anticipato dal «Corriere dell'Umbria» -, sarebbe il marito della vittima: un uomo di 54 anni, che è già stato arrestato dai carabinieri. Quando sul posto sono arrivati i soccorsi inviati dal 118, per la donna non c'era già più nulla da fare. In casa, al momento dei fatti, non sarebbero state presenti altre persone. La coppia, da quello che si è appreso, ha due figli e due nipotine. Secondo quanto riporta «La Gazzetta di Lucca» l'omicidio è avvenuto all'interno di un appartamento di un palazzo in via Enrico Fermi. Sono stati i carabinieri ad intervenire sul posto chiamati pare da alcune persone allarmate dalle grida. Il presunto assassino sarebbe stato trovato con il coltello ancora insanguinato in pugno. È stato tratto in arresto con l'accusa di omicidio volontario aggravato ed è stato portato nella stazione dei carabinieri di Altopascio dove è stato sottoposto ad interrogatorio alla presenza del magistrato. Sul posto una pattuglia della polizia municipale di Altopascio, quattro auto dei carabinieri e un furgone della stazione mobile, l'automedica del 118 Campo di Marte. Secondo le prime informazioni fornite, l'uomo avrebbe agito dopo una lite tra coniugi, mentre erano soli in casa. Un'azione fulminea arrivata dopo dei momenti di tensione legati alla discussione che la coppia aveva avuto poco prima. Non è da escludere la premeditazione visto che l'uomo, prima di colpire la donna, ha fatto uscire i due figli di casa, probabilmente per non farli assistere alla scena. La coppia ha due figli, un ragazzo e una ragazza, a sua volta madre di due bambine le quali a quanto pare si trovavano nel giardino al momento dell'omicidio. Non avrebbero dunque assistito all'aggressione che è costata la vita alla donna. Sconvolti i familiari e gli amici della vittima: «Non meritava di fare questa fine».
Da repubblica.it il 29 maggio 2021. Ha ucciso la moglie in strada colpendola più di dieci volte con un coltello. È accaduto nel primo pomeriggio davanti a un bar a via Greppi, in zona Portuense a Roma. I due avrebbero cominciato a litigare quando l'uomo ha tirato fuori il coltello, colpendola. Due fendenti fatali hanno raggiunto al petto la donna, una 40enne dello Sri-Lanka. Numerosi passanti sono subito accorsi sul posto e hanno fermato il 49enne, connazionale. L'intervento della polizia è stato immediato, l'uomo è stato fermato ancora con il coltello in mano. Lei però, trasportata in codice rosso all'ospedale San Camillo, è deceduta poco dopo, troppo gravi le ferite. L'uomo è stato arrestato per omicidio. Sul posto la scientifica che ha sequestrato l'arma. Da chiarire i motivi del femminicidio.
Uccide la moglie con 10 coltellate: "La amo". Valentina Dardari il 29 Maggio 2021 su Il Giornale. La donna, 40 anni, è deceduta a causa delle gravi ferite riportate. L’uomo è stato trattenuto dai passanti fino all’arrivo delle forze dell’ordine. Un altro femminicidio, questa volta a Roma, in mezzo alla strada, dove un marito ha ucciso la moglie a coltellate, davanti ai passanti. L’omicidio è avvenuto nel primo pomeriggio di oggi, verso le 14.30 di sabato 29 maggio, in via Greppi, all'altezza del civico 90, in zona San Paolo, mentre la donna stava uscendo da un supermercato.
Prima il litigio poi il raptus omicida verso la moglie. La donna, di circa 40 anni originaria dello Sri-Lanka, è stata raggiunta dal marito, un 49enne suo connazionale, che le ha inferto una decina di coltellate, delle quali almeno due gravissime, una diretta al petto e l’altra al braccio. Secondo quanto ricostruito, prima tra i due coniugi ci sarebbe stato un litigio per motivi passionali, subito dopo l’uomo avrebbe estratto un coltello e si sarebbe scagliato contro la moglie. La donna è stata quindi soccorsa e trasportata in condizioni disperate all’ospedale San Camillo.
Fatale la coltellata al petto. Come si legge in una nota della Direzione Sanitaria dell'Azienda Ospedaliera San Camillo-Forlanini: “La donna di circa 40 anni trasportata dal 118, alla presenza delle forze dell'ordine, nel primo pomeriggio di oggi presso l'azienda Ospedaliera San Camillo-Forlanini è deceduta a causa delle numerose e gravissime ferite da taglio riportate". Fatale sarebbe stata la coltellata al petto. L’ospedale ha spiegato inoltre che “la donna è stata immediatamente presa in carico dai medici del trauma team (rianimatori dell'Uosd Shock e Trauma e chirurghi generali), ma nonostante le cure repentine ha avuto un arresto cardiaco. D'urgenza è stata trasferita in sala operatoria e sottoposta ad intervento chirurgico multidisciplinare. Purtroppo le ferite risultavano gravissime e nonostante gli sforzi terapeutici dell'équipe curante la paziente è deceduta. La salma è stata posta a disposizione della autorità giudiziaria".
L'uomo è stato arrestato. L’uomo è stato bloccato dai passanti che avevano assistito alla scena in attesa che arrivassero le forze dell’ordine. Quando è arrivata la polizia l’assassino aveva ancora il coltello in mano."Io amo mia moglie, io amo mia moglie" ha detto il 49enne ai poliziotti che lo hanno quindi portato nel commissariato San Paolo dove è stato poi arrestato con l'accusa di omicidio. Entrambi, vittima e carnefice, sarebbero originari dello Sri Lanka. La zona è stata transennata e la polizia scientifica sta svolgendo tutti i rilievi del caso. Gli agenti del commissariato San Paolo hanno sequestrato il coltello utilizzato dal marito per compiere l'omicidio della moglie. Anche gli indumenti dell'uomo sono stati posti sotto sequestro e saranno esaminati sempre dagli uomini della Polizia Scientifica. Sul luogo del delitto è intervenuto anche il pubblico ministero di turno della procura di Roma. Ancora da chiarire i motivi del folle gesto costato la vita alla 40enne.
Valentina Dardari. Sono nata a Milano il 6 marzo del 1979. Sono cresciuta nel capoluogo lombardo dove vivo tuttora. A maggio del 2018 ho realizzato il mio sogno e ho iniziato a scrivere per Il Giornale.it occupandomi di Cronaca. Amo tutti gli animali, tanto che sono vegetariana, e ho una gatta, Minou, di 19 anni.
P.Sa. per il "Corriere della Sera" il 25 maggio 2021. Si era autodefinito il «Don Giovanni del Kishu» in un'autobiografia che - titolo letterale - raccontava la storia di un uomo che aveva «dato tre miliardi di yen a 4 mila donne». Tre miliardi di yen, cioè 23 milioni di euro. Per il nababbo che era Kosuke Nozaki, imprenditore con interessi nella vendita di alcol e immobili, neanche troppo. Ma a lui interessava di più il valore filosofico espresso da un personalissimo «Tao del sesso» che gli faceva dire come «unirsi con tante donne allunga la vita». Kosuke ha vissuto a lungo. Ma non quanto probabilmente si aspettasse: si è infatti spento a 77 anni, nel 2018, per un avvelenamento da overdose che soltanto adesso ha una spiegazione: la polizia dopo lunghe indagini ha infatti arrestato la sua ultima consorte, Saki Sudo, 25 anni, di professione pornostar (piuttosto conosciuta in Giappone). La Procura di Wakayama, nell' ovest del Sol Levante, ha fatto sapere che nei confronti di Saki Sudo ha soltanto «prove circostanziali» e che la vedova del magnate «non ha confessato». Tuttavia, quel che è emerso (ma sembra curioso che siano passati tre anni dai fatti) è questo: Saki avrebbe fatto ricerche online su sostanze stimolanti che, prese in eccesso, possono risultare letali. Ma dal momento che sul corpo dell'uomo non sono state trovate tracce di iniezioni, gli inquirenti hanno concluso che la giovane consorte, rimasta sola in casa, abbia convinto (o costretto) il marito ad assumere le droghe. Il motivo? Beh, il movente è l'aspetto più chiaro di questa vicenda, visto che Kosuke è morto a soli quattro mesi dal matrimonio, lasciando alla sposina una bella fortuna. E dire che in molti lo avevano messo in guardia contro quel matrimonio così incongruo. «Io sono fatto in questo modo - spiegava Kosuke - Il mio sogno è avere donne giovani e belle. Non c' è nulla di male». Nato in una famiglia povera, il futuro possidente aveva cominciato vendendo profilattici porta a porta. I guadagni così ottenuti li aveva utilizzati per dare prestiti fuori dal circuito bancario e così era nata la sua fortuna. Senza figli, diverse mogli, il 77enne riusciva a divertirsi anche nelle disgrazie. Più volte raggirato dalle ragazze che si portava in casa (dietro la promessa di un cospicuo compenso) e che se ne andavano di soppiatto con soldi e gioielli rubati all' anziano amante, il Don Giovanni del Kishu (così si chiama l' area di Wakayama) non si scomponeva: «Per me si tratta di bazzecole, carta straccia. Mi interessa di più l'esperienza di vita di cui ho goduto». Saki Sudo, se le accuse saranno dimostrate, ha portato «l'esperienza» ai limiti valicati i quali non c' è ritorno. Ma chissà, dicono che Kosuke sia stato trovato con un sorriso ancora sul volto.
Caterina Galloni per blitzquotidiano.it il 25 maggio 2021. A Tanabe, Giappone, Saki Sudo, 25 anni, è stata accusata di aver avvelenato e ucciso nel 2018 il marito, il magnate Kosuke Nozaki di 77 anni, che nell’autobiografia “Don Giovanni di Wakayama” si vantava di essere andato a letto con 4.000 donne. Nozaki, che aveva fatto fortuna attraverso il settore immobiliare, l’agricoltura e i prestiti di denaro, si era sposato con Sudo nel febbraio 2018 e secondo il sito di notizie Tokyo Reporter, è morto pochi mesi dopo. Saki Sudo, la pornostar giapponese accusata di aver ucciso il magnate Kosuke Nozaki: gli amici del 77enne erano contrari a questo matrimonio Nozaki non aveva voluto ascoltare i consigli di chi lo circondava, secondo i quali l’ex pornostar lo aveva sposato solo per i suoi soldi. Nella sua autobiografia aveva scritto:”Mi dispiace per il 99% delle persone che desiderano che questo matrimonio vada in pezzi, ma ho la certezza che sarò felice”. Nel libro, spiega che fare sesso frequentemente è il segreto per rimanere giovani e che desiderava morire e andare in paradiso mentre era in azione. “Faccio sesso tre volte al giorno e non ho bisogno del Viagra. So che fare così tanto sesso può causare la mia morte, ma se morirò facendo sesso e andrò in paradiso, mi va bene”. Ma la polizia sostiene che Sudo abbia avvelenato il marito. Secondo i media giapponesi, la donna aveva fatto diverse ricerche su Internet riguardanti “farmaci stimolanti” e veleni. Sudo è stata arrestata a Tokyo il mese scorso in seguito a un’irruzione della polizia nella sua abitazione. È stata riportata in aereo a Wakayama, dove aveva vissuto con il marito ed è stata accusata di omicidio. Sembra che la vedova abbia trovato morto l’anziano marito nella loro casa di Tanabe nel maggio 2018. Chi era il magnate Kosuke Nozaki: il 77enne era soprannominato il “Don Giovanni di Wakayama”. Nozaki si era vantato di aver portato a letto 4.000 donne e nel 2016 aveva scritto il libro “Don Giovanni di Wakayama”. “Il motivo per cui guadagno è uscire con donne attraenti”. Quando ha fatto la domanda di matrimonio a Sudo, secondo quanto riferito, le avrebbe detto: ”Ti piacerebbe essere la mia ultima donna?” Sembra che poco dopo il decesso, Sudo si è nominata presidente della società del valore di un milione di dollari del defunto marito. Dopo il funerale, secondo alcune notizie, voleva scappare dal Giappone ma le restrizioni di viaggio a causa della pandemia, avrebbero fatto naufragare i suoi piani.
Luigi Benelli per corriereadriatico.it il 22 maggio 2021. Lei è troppo focosa, vorrebbe fare sesso col compagno, ma lui non ne ha voglia. E il caso finisce davanti al giudice di pace con la donna accusata di percosse. E’ il singolare caso di una thailandese di 38 anni che in preda ai bollenti spiriti avrebbe voluto consumare un rapporto con il compagno, 40enne pesarese. Ma complice la stanchezza e poca voglia, lui non l’ha accolta e lei è andata su tutte le furie. Secondo la querela lei non aveva gradito il rifiuto e in un primo momento ha stretto il compagno con le mani sulla vita provocando dei graffi con le unghie. Piccole lesioni dovute alla forte pressione per tentare di convincerlo con le cattive. Lui ha cercato di divincolarsi perché il rapporto troppo focoso stava degenerando. Ne è nato un litigio e lui voleva andare a chiamare le forze dell’ordine. Lei per tutta risposta ha iniziato a mettergli le mani addosso e sui fianchi affinché non potesse raggiungere il telefono. I rapporti sono diventati tesissimi, tanto che i due si sono lasciati, e lui l’ha querelata. Ieri mattina il caso è finito davanti al giudice di pace con la 38enne accusata di percosse. La donna è difesa dall’avvocato Alessandro Pagnini del foro di Pesaro. L’obiettivo è arrivare a una conciliazione per definire il caso. Il reato è di per sé punibile con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a euro 309. Il processo è stato rinviato a luglio. Una storia che ricorda un intervento della Polizia perché una donna pesarese di 40 anni pretendeva sesso quattro volte al giorno dal compagno marocchino di 50 anni. Al suo rifiuto, la donna lo avrebbe regolarmente insultato e umiliato provocando la reazione dell’uomo l’aveva spinta. Così lui si era rivolto ai carabinieri per raccontare tutto e sporgere querela per le molestie ricevute e lei alla polizia per i maltrattamenti subiti.
Russia, donna ammazza il marito soffocandolo con le natiche: "Mi alzo se chiedi scusa". Libero Quotidiano il 19 maggio 2021. Una storia che ha dell'assurdo quella accaduta ai confini della Russia dove una donna ha ucciso il marito soffocandolo con le sue natiche. La signora, tale T. O., sarebbe sotto processo in relazione alla morte del marito al culmine di una lite domestica. A rendere surreale la vicenda - spiega il Giornale - la modalità con cui la 45enne ha agito. La donna, dal peso di più di cento chili, avrebbe infatti causato la morte del compagno A., soffocandolo con le natiche mentre l'uomo era sul letto. Il tutto - è la ricostruzione di fatti - al termine di una lite caratterizzata da parecchio alcol. La donna si sarebbe messa con il proprio corpo sul volto del marito che non è riuscito più a muoversi. Ad assistere alla scena la figlia dei due che ha immediatamente chiamato i vicini i quali, però, non avrebbero prestato soccorso minimizzando la vicenda. Solo successivamente sono giunti sul posto i soccorsi necessari, ma era troppo tardi: i medici non hanno potuto far altro che constatare il decesso dell'uomo. "Asfissia a causa del blocco del sistema respiratorio", è l'esito dell'autopsia che rivela come il volto dell'uomo era "incuneato nel materasso". E infatti il medico legale parla di soffocamento "a morte con le natiche". A dare una sua versione dell'accaduto è la donna agli inquirenti. A loro la 45enne ha spiegato che il compagno aveva bevuto molto e aveva cominciato a urlare prima di svenire. La giustizia russa non le ha creduto e la donna ha già ricevuto una condanna per "omicidio per negligenza", non volontario comunque. La donna è così stata condannata a 18 mesi di lavori correttivi e al pagamento di circa 3mila euro per "danni morali". Ma non è escluso che per lei la sua situazione giudiziaria potrebbe aggravarsi per nuovi elementi di indagine che dimostrerebbero anche il "movente" del soffocamento. T., dopo essersi seduta col fondoschiena sul volto del marito, gli avrebbe detto che l'avrebbe liberato solo se le avesse chiesto scusa. Circostanza che però non è stata verificata.
Da leggo.it il 19 maggio 2021. «Stai zitta o ti ammazzo, sono egiziano e vuoto dentro, non ho sentimenti». Con queste parole, un 23enne ha minacciato una 35enne, prima di stringerle il collo fino a farle perdere i sensi e stuprarla per due volte, in pieno centro a Milano. La violenza è avvenuta qualche mese fa in una piazzetta isolata del centro di Milano, a poca distanza da piazza Gae Aulenti. La minaccia testuale è riportata da Il Giorno, che ha seguito l'iter processuale che ha portato alla condanna di Ahmed Eltaras, che dopo aver stuprato una 35enne, lasciandola priva di sensi, si è allontanato in monopattino. Solo all'alba, la donna si era ripresa e in stato confusionale aveva denunciato l'accaduto a una volante della polizia, prima di essere accompagnata alla clinica Mangiagalli, dove oltre ai lividi alle gambe, al viso e al collo, era stata riscontrata la violenza sessuale subita poche ore prima. L'egiziano Ahmed Eltaras è stato condannato a due anni col rito abbreviato, ma non andrà in carcere. Nelle motivazioni del gup Aurelio Barazzetta, infatti, è stato considerato che il 23enne è incensurato, pentito delle sue azioni e disposto sia a intraprendere un percorso di riabilitazione che a donare una somma di denaro al fondo vittime vulnerabili. La pena resta quindi sospesa, anche se l'uomo aveva sostenuto che la sua vittima fosse consenziente e che avesse passato la serata con lui e altri due amici. Alla fine, però, gli inquirenti hanno ritenuto credibile l'accusa della vittima, nonostante alcune piccole incongruenze che sono state attribuite all'alterazione emotiva per l'accaduto e per l'assunzione di alcol e stupefacenti.
Ucciso per difendere la mamma, confessa l’assassino di Mirko Farci: è l’ex compagno della donna. Debora Faravelli il 12/05/2021 su Notizie.it. Il killer del ragazzo di 19 anni ucciso per difendere la mamma ha confessato di aver commesso l'omicidio ed è stato trasferito in carcere. Masih Shahid, l’uomo che ha ucciso un ragazzo di 19 anni che era intervenuto per difendere la mamma, anch’ella colpita, ha confessato l’omicidio e tentato di giustificarsi adducendo di essere stato a sua volta colpito dal giovane. L’omicida, un 29enne di origini pakistane, era stato fermato dalle forze dell’ordine che era fuggito dal suo appartamento di Tortolì. Queste ultime lo avevano condotto in caserma non senza momenti di tensione: all’arrivo del killer si era infatti radunata una folla che ha tentato di aggredirlo. Un vero e proprio tentativo di linciaggio in cui sono rimasti feriti anche alcuni Carabinieri. Interrogato dal sostituto procuratore di Lanusei Giovanna Pina Morra alla presenza del suo legale, l’uomo ha confessato di aver ucciso Mirko Farci e di aver colpito l’ex compagna Paola Piras, attualmente ricoverata in prognosi riservata dopo un delicato intervento chiurugico. Durante il suo racconto Masih Shahid ha provato a giustificarsi cercando di attenuare, in parte, le sue responsabilità. Ha infatti spiegato che, una volta introdottosi nell’apartamento arrampicandosi e rompendo il vetro di una finestra, il figlio della donna lo avrebbe colpito con un vaso di fiori. Un gesto che, secondo gli inquirenti, non giustifica comunque la sua furia omicida che lo ha portato ad accoltellare il giovane più volte e martoriare il corpo della madre. Al termine dell’interrogatorio l’uomo è stato condotto nel carcere di San Daniele in attesa di essere giudicato per omicidio volontario e tentato omicidio. Intanto gli inquirenti sono al lavoro per chiarire la dinamica dell’accaduto e identificare il movente che sta dietro il delitto e l’aggressione alla donna. Per ora hanno trovato il coltello usato da Masih Shahid per colpire il giovane e la mamma. Si tratta di un coltello da cucina che appartiene alla famiglia di Paola Piras ma non è chiaro se l’uomo l’abbia preso dalla cucina della donna una volta introdottosi nell’appartamento o nella pizzeria al piano terra gestita dalla sorella della vittima. Il pubblico ministero Giovanna Pina Morra ha inoltre disposto l’autopsia sul corpo di Mirko che fornirà ulteriori dettagli sulle modalità dell’uccisione. Secondo le prime ricostruzioni il 29enne si sarebbe recato a casa della donna per motivi ancora da chiarire. Qui avrebbe iniziato ad aggredirla davanti agli occhi del figlio che, nel tentativo di difenderla, è stato da lui freddato e ucciso con numerose coltellate. La donna, colpita ai reni, al volto, alla trachea e all’addome, è stata ricoverata in gravi condizioni all’ospedale Nostra Signora della Marcere di Lanusei. Nel frattempo l’ex compagno ha tentato la fuga per poi essere fermato nei pressi di un supermercato.
Da ilmessaggero.it il 7 maggio 2021. Torino, una guardia giurata ha ucciso oggi la moglie in casa sparandole alcuni colpi di pistola. Il femminicidio è avvenuto nell'appartamento della coppia, in corso Novara 4, nel quartiere Barriera di Milano, periferia nord del capoluogo piemontese. L'uomo, di 50 anni, è già stato fermato dalla polizia. Da una primissima ricostruzione degli investigatori, il vigilante 50enne avrebbe impugnato la pistola al culmine di una lite con la moglie, sparando i 5 colpi verso la consorte da distanza ravvicinata.
L'allarme dai vicini. Contro la donna l'uomo avrebbe esploso almeno 5 colpi. A dare l'allarme sarebbero stati alcuni vicini.
Si stavano separando. La vittima del femminicidio di Torino aveva 48 anni. Si era separata dal marito da alcuni mesi, secondo quanto si è appreso sul posto, ma l'uomo era rimasto a vivere nello stesso condominio per restare vicino ai figli, di 25 e 16 anni. «L'avevo vista dieci minuti prima - racconta in lacrime un'amica, parrucchiera in un negozio vicino -, l'avevo salutata mentre rientrava a casa con le borse della spesa. Poi ho sentito i colpi di pistola. Il femminicidio è avvenuto in palazzo di corso Novara 87, nella parte nord della città, non lontano dal Cimitero Monumentale.
Da vigilante a killer: uccide la moglie. Nadia Muratore l'8 Maggio 2021 su Il Giornale. L'assassino è una guardia giurata: ha atteso la donna e l'ha freddata con 8 colpi. L'ha attesa sul pianerottolo, davanti alla porta del suo appartamento e quando l'ex moglie è arrivata dal lavoro e con le borse della spesa in mano, le ha sparato otto colpi di pistola, dei quali cinque sono andati a segno. Senza un ripensamento, né una parola ha solo premuto il grilletto, Massimo Bianco - 50 anni, originario di Brindisi ma da anni residente a Torino dove lavora come guardia giurata -, poi è passato davanti al corpo di Angela D'Argenio, 48 anni, originaria di Manduria nel Tarantino ed è tornato nel suo appartamento, al piano di sopra, dove è rimasto fino a quando gli agenti della Polizia di Stato lo hanno arrestato con l'accusa di omicidio. Prima della raffica di colpi, sparati con la pistola - una Smith&Wesson semiautomatica - detenuta legalmente (era l'arma che l'uomo aveva per lavoro di guardia giurata), una donna che abita nello stesso condominio di via Novara ha sentito i toni accessi di una lite tra i due. Sposati da quasi trent'anni, Angela a dicembre dell'anno scorso, aveva deciso di porre fine al loro matrimonio, ed infatti lui si era trasferito, affittando un alloggio al piano superiore dello stesso condominio. Un modo per non allontanarsi del tutto da lei e anche, aveva detto Massimo agli amici, per stare più vicino al figlio minore di 16 anni che abitava con la mamma. La coppia aveva anche una figlia più grande, di 25 anni, già sposata e che li aveva resi nonni pochi mesi fa. Massimo però non aveva accettato di buon grado la decisione dell'ex moglie e le discussioni tra di loro, erano pressoché quotidiane. Nonostante gli otto colpi sparati a bruciapelo, quando in corso Novara, sono arrivati i soccorsi, attivati dai condomini, Angela respirava ancora ma è morta pochi attimi dopo essere stata ricoverata al pronto soccorso dell'ospedale. «Sapevo che Massimo non si rassegnava alla fine del suo matrimonio - racconta una amica di Angela -. Lei mi raccontava che spesso l'attendeva sull'uscio di casa ed ogni motivo era buono per innescare una discussione o per entrare nell'appartamento, con la scusa di vedere il figlio. Angela, però non sembrava aver paura di lui, e non ha mai pensato ad una sua reazione violenta. Io invece ero terrorizzata: più volte le avevo detto di fare attenzione, perché comunque Massimo aveva sempre la sua pistola di ordinanza».
Femminicidio a Torino, anche l'omicida è di Manduria. I ricordi dei parenti di Angela. "Lei non aveva paura del marito". La coppia dopo il matrimonio si era trasferita da Manduria in Piemonte per lavoro. Nazareno Dinoi su La Voce di Manduria domenica il 09 maggio 2021. «Mi diceva di non aver paura perché con lei il marito non era stato mai violento e che non le avrebbe mai fatto del male». Quanto si sbagliava Angela Dargenio quando assicurava questo ad un suo cugino qualche settimana prima che quell'uomo «non violento» le scaricasse addosso la Smith & Wesson uccidendola sul pianerottolo di casa a Torino. Giuseppe Agnusdei, uno dei tanti parenti della vittima di femminicidio, ricorda quelle parole con un profondo senso di angoscia. «Ogni mattina ci mandavamo il buongiorno con WhatsApp e il suo ultimo buongiorno cuginone mi è arrivato proprio venerdì», ricorda il cugino che qualche mese fa, parlando con lei della separazione dal marito, si era preoccupato che non ci fossero tensioni tra i due. «Non ti preoccupare cugì, lui abita nel mio stesso palazzo ma è una persona tranquilla», aveva detto la donna. «Comunque se hai bisogno di qualsiasi cosa chiamami che faccio intervenire i miei nipoti che vivono a Torino», aveva insistito Agnusdei prima di chiudere la telefonata. «Forse avrei dovuto insistere - dice oggi - ma mi sembrava molto serena e convinta di quello che diceva», ripete Agnusdei che non è l'unico a Manduria ad aver mantenuto rapporti a distanza con la parente che appena sposata aveva deciso con il marito, Massimo Bianco, anche lui manduriano, di trasferirsi a Torino per lavoro dove avevano cresciuto i loro due figli, Eleonora di 26 anni e un altro di sedici anni. A Manduria vivono molti parenti, la madre, due sorelle e un fratello di lei e numerosi cugini; solo qualche cugino e due cognati lui che ha perso entrambi i genitori e due fratelli morti prematuramente. I suoi ex amici lo ricordano tutti come un «tipo introverso che tendeva ad isolarsi ma molto buono». «Sicuramente non uno che avrebbe potuto fare una cosa simile», dichiara uno che lo ha conosciuto bene quando faceva il muratore a Manduria. Lavoro che ha fatto anche a Torino nei primi anni del suo trasferimento prima di trovare il posto come guardia giurata nell'istituto di vigilanza che da poco lo aveva messo in cassa integrazione. La separazione dalla moglie non l'avrebbe presa bene ma il loro rapporto, forte anche della presenza dei due figli, era apparentemente tranquillo. Per non disperdere la famiglia, il vigilante aveva deciso di abitare in un appartamento situato al quinto piano della stessa palazzina dove su un altro piano abitava anche la figlia Eleonora con il suo compagno e un figlio molto piccolo. Il sedicenne, invece, viveva con la madre. Sul movente del folle gesto ci sono solo ipotesi. Nel suo interrogatorio avvenuto negli uffici della questura torinese subito dopo l'omicidio, l'uomo, frastornato e in lacrime, avrebbe fatto accenno a un altro uomo e avrebbe parlato anche di discussioni avute con l'ex moglie relative ai soldi di mantenimento per i figli. Naturalmente niente potrà mai giustificare il delitto consumato sul pianerottolo di quel condominio dove il 50enne ha atteso l'arrivo della moglie che era andata a fare la spesa. Quando è arrivata, la donna ha preso l'ascensore sino al terzo piano dove all'uscita ha trovato il suo ex che l'ha freddata con cinque colpi della pistola d'ordinanza. «Marcisca in prigione per il male che ha fatto, che muoia da solo» - ha detto la figlia Eleonora uscendo dalla questura di Torino dove era stata portata per le formalità di rito. Nazareno Dinoi
Carmen Fusco per “il Mattino” il 7 maggio 2021. Suo marito la maltrattava e lei decise di mettere fine a un incubo denunciandolo e facendolo finire in carcere. Il destino però ha messo lungo la strada della sua breve vita un altro uomo violento dal quale questa volta non è riuscita a difendersi. Ylenia Lombardo, 33 anni, è morta per mano di Andrea Napolitano,36 anni, in cura presso un centro di igiene mentale: l'uomo, residente a San Paolo Bel Sito, prima l'ha picchiata e poi le ha dato fuoco. Il suo corpo è diventato un tizzone, carbonizzato dalla vita in su. Adesso lui è accusato di omicidio aggravato ed incendio e lei ha allungato il lungo e triste elenco dei femminicidi, dei delitti commessi da chi si trasforma da principe a mostro e colpisce fino ad annientare la persona che di lui si fidava. È successo così anche alla giovane donna: l'assassino non ha avuto bisogno di forzare la serratura perché la porta di casa l'ha aperta lei. Il suo carnefice lo conosceva bene e, forse, tra i due c'era anche un legame sentimentale. È successo tutto nel pomeriggio di mercoledì in un modesto appartamentino al piano terra di un edificio antico a San Paolo Bel Sito, piccolo comune del napoletano. Due camere prese in affitto in un luogo nel quale aveva deciso di trasferirsi dopo la fine del suo matrimonio, la tomba di Ylenia Lombardo, originaria di Pago del Vallo di Lauro in Irpinia e mamma di una bambina di 11 anni affidata ai nonni che vivono a Viterbo e dalla quale sarebbe voluta tornare proprio oggi. Nuovi amici, nuove frequentazioni, qualche lavoro saltuario come badante e collaboratrice domestica. Era così da poco più di un anno e lo è stato fino a due giorni fa, fino a quando, per motivi ancora da chiarire, quel basso di via Ferdinando Scala, a pochi metri dal municipio, non si è trasformato in un inferno. Il suo assassino sarebbe arrivato in bicicletta. Lo faceva spesso, nessuno se ne sarebbe meravigliato. Cosa sia successo in quelle quattro mura i carabinieri della compagnia di Nola lo stanno accertando attraverso le indagini coordinate dalla Procura di Nola diretta da Laura Triassi. I due potrebbero aver litigato e da lì sarebbe scattata la miccia della violenza. Ylenia avrebbe cercato anche di difendersi ma ha avuto la peggio. Ad accorgersi della tragedia sono stati alcuni ragazzi, attirati dal fumo proveniente dalla casa della vittima. La porta era chiusa ed hanno dovuto sfondarla, ma Ylenia era già morta. Hanno dato l'allarme e in pochi minuti sono arrivati carabinieri e vigili del fuoco. All'inizio si è pensato ad un incendio fortuito, ad una fatalità ma ci è voluto davvero pochissimo a capire cosa fosse davvero successo dentro quelle quattro mura. Il sangue, i graffi e la stanza sottosopra hanno subito alimentato più che un sospetto. Immediata la ricerca di telecamere lungo la strada per cercare elementi utili o meglio ancora il volto dell'assassino sulle cui tracce si erano già messi i carabinieri. Poi, però, nel tardo pomeriggio l'uomo che ha ucciso Ylenia Lombardo si è costituito, assistito dall'avvocato Gavino Rescigno. «L'ho accompagnato io in caserma. Quando è venuto da me mi è bastato guardarlo per capire tutto. Aveva il volto graffiato ed era sotto choc. Gli ho chiesto: cosa hai fatto? E lui è scoppiato a piangere, giurando che non voleva uccidere Ylenia - racconta ancora scosso Manolo Cafarelli, il presidente del consiglio comunale di San Paolo Bel Sito che conosceva bene Andrea Napolitano e che soprattutto era al corrente dei problemi psicologici dell'uomo, tanto da aver cercato più volte di aiutarlo - Andrea è imperdonabile ed io sono vicino alla famiglia della vittima, ma aveva grandissimi problemi di disagio psicologico tanto da aver tentato anche il suicidio. Mi ha detto che si era innamorato della donna, ma anche che si sentiva usato. Voleva uscire da una morsa ma lo ha fatto nel modo peggiore. La verità è che il destino si è accanito su due persone fragili, entrambe bisognose di aiuto». A San Paolo Bel Sito intanto sono tutti sgomenti. «Andrea ed Ylenia li abbiamo visti più di una volta insieme», raccontano i vicini di casa. «Oggi - dice un'anziana donna - Ylenia sarebbe andata da sua figlia, a Viterbo. Era contenta e mi ha detto che prima di preparare i bagagli aveva dei panni da stirare. È stata l'ultima volta che l'ho vista viva». Cordoglio e commozione anche dal sindaco Raffaele Barone: «La morte di Ylenia ha rattristato la nostra comunità che è sotto choc per quello che si presenta come un atto molto forte». Andrea Napolitano, intanto, è stato trasferito in carcere ed è in attesa di essere interrogato mentre il cadavere di Ylenia sarà sottoposto all'autopsia prima di essere restituito ai familiari ed alla sua figlioletta che l'aspettava a Viterbo e che invece ora potrà dirle solo addio
Da Ciro Grillo alla ragazza di Trapani: donne stuprate vittime due volte. Sofia Dinolfo il 3 Maggio 2021 su Il Giornale. Secondo il presidente nazionale dell'Osservatorio Violenza e Suicidio, Stefano Callipo, "I veri danni non sono visibili immediatamente ma possono manifestarsi anche dopo anni". Il problema legato alle donne vittime di abusi sessuali nelle ultime settimane sta echeggiando sempre di più dopo le vicende giudiziarie legate a Ciro Grillo. Quest’ultimo, figlio dell’ex comico e fondatore del Movimento 5 Stelle Beppe Grillo, è indagato assieme ad altri tre ragazzi per il reato di violenza sessuale di gruppo nei confronti della 19enne e studentessa S.J. Non solo: a far sollevare polemiche è anche il caso dello stupro di gruppo consumatosi a Campobello di Mazara in provincia di Trapani nei confronti di una 18enne. Il fatto è accaduto a febbraio e nei giorni scorsi, dopo l’accusa da parte della procura di Marsala per il reato di violenza sessuale di gruppo aggravata, per due degli aguzzini si sono aperte le porte del carcere, mentre per altri due sono stati disposti gli arresti domiciliari. A sollevare clamore l’inaspettato gesto del padre della vittima: si è presentato ai carabinieri della locale stazione accusando la figlia di essersi inventata tutto e, al contrario, ha difeso gli stupratori. Quali sono i meccanismi che si possono innescare nel momento in cui la vittima di stupro sporge denuncia? Come affrontarli? Ne parliamo a IlGiornale.it con il presidente dell’Osservatorio Violenza e Suicidio, Stefano Callipo, che è anche psicologo clinico, giuridico e psicoterapeuta.
Dottore iniziamo col caso che vede coinvolto Ciro Grillo. Perché secondo lei la studentessa ha denunciato di essere stuprata dopo otto giorni?
"Il fatto che una vittima di stupro in genere non presenti la denuncia immediatamente dopo la violenza subìta è un fatto non raro. Ciò può essere dovuto a diversi fattori. Consideriamo che lo stupro è un tipo di violenza molto cruento e feroce e le reazioni da parte della vittima nella prima fase possono essere derealizzative, come stati di shock, incredulità, paura, rabbia, perdita di controllo, reazioni in cui non ha ancora piena coscienza di ciò che ha da poco subìto. Si tratta di un meccanismo di difesa volto a proteggerci. Una seconda fase, che può durare anche anni, può essere caratterizzata da sentimenti come la vergogna, sensi di colpa, disperazione e vulnerabilità. Altri fattori per i quali non si denuncia possono essere il timore di non essere creduti e molte altre variabili. Nella fattispecie del caso del figlio di Grillo non possiamo esprimerci poiché la magistratura sta svolgendo il suo lavoro e noi possiamo pronunciarci soltanto per ipotesi".
Come si concretizzano i sensi di colpa che spingono le vittime a denunciare con ritardo rispetto all’abuso subito?
"Subire un abuso significa vivere un’esperienza dal dolore talmente indicibile che può modificare persino l’assetto di vita della vittima. I sensi di colpa possono essere fortemente emotigeni e, se si è giovani, i danni possono essere ancora più pervasivi. I sensi di colpa possono modificare e talvolta stravolgere completamente il proprio assetto comportamentale e in altri casi persino esistenziale, nel senso che si può arrivare persino ad assumere condotte suicidiarie. I danni di uno stupro spesso non sono visibili nella loro interezza nell’hic et nunc, ma possono manifestarsi persino a distanza di anni. La loro valutazione nell’immediato è quasi sempre una valutazione parziale, proprio per questo motivo".
Come aiutare le vittime a superare questo blocco e quindi denunciare?
"La vittima di abuso ha bisogno di un supporto immediato per iniziare una psicoterapia che agisca su due livelli, nel ‘qui’ e ‘ora’ e alla ‘distanza’. Soprattutto se si tratta di un soggetto in età evolutiva. Il ‘blocco’ può essere affrontato e gestito soltanto con l’aiuto di un professionista. Far sentire la persona accolta, non giudicata, accogliere i suoi vissuti emotivi incondizionatamente da parte dei familiari può essergli d’aiuto. Arrivare a denunciare significa aver già elaborato una parte del dolore e aver raggiunto una consapevolezza dell’accaduto. Da soli è difficile. La denuncia è importante, perché permette non soltanto di salvare se stessi ma anche di essere messi in sicurezza, e ancora di evitare che gli stupratori possano mietere altre vittime. Nell’abito di un’azione preventiva bisognerebbe diffondere la cultura della denuncia, poiché con essa non si salva soltanto la propria vita ma anche quella di molte altre donne".
"Chi non denuncia subito non è meno vittima"
La difesa di Ciro Grillo ha nominato un medico legale per indagare sulle reali condizioni psicofisiche della ragazza quella notte e nei giorni a seguire. Potrebbe esserci il rischio che la 19enne da vittima venga trasformata in colpevole dentro al tribunale come accaduto in altri casi?
"Nel caso di Grillo non ritengo sia giusto pronunciarsi, poiché è compito della magistratura far luce sull’accaduto, i processi si fanno nelle aule dei tribunali, e le procure svolgono egregiamente il loro compito".
Il video che immortala le immagini di quella notte dentro la villa di Ciro Grillo sta facendo il giro di diversi cellulari oltre a quello dei legali. Ci sono gli estremi per un illecito legato a revenge porn?
"È opportuno non pronunciarsi su questo. Lasciamo la procura svolgere le indagini".
La diffusione a più persone di quelle immagini unitamente alla nomina di un medico legale che indaghi sulla ragazza quanto può compromettere la serenità della 19enne? Potrebbe fare dei passi indietro?
"Nell’ipotesi che la ragazza sia una vittima i danni possono essere indicibili. Significherebbe rivivere traumi non ancora elaborati e vivere una seconda vittimizzazione. Un tormento emotivo pericoloso. Occupandomi di rischio suicidario, sia come professionista sia come presidente nazionale dell’Osservatorio Violenza e Suicidio, ho sempre sostenuto che il dolore mentale può essere più forte e insopportabile di quello fisico. Nell’ipotesi avanzata in questo caso il dolore mentale verrebbe esacerbato ancora di più".
Non solo il caso di S.J. che viene indagata dal consulente di Grillo ma anche quello della giovane di Trapani che viene accusata dal padre di essersi inventata tutto. Quali sono i danni che la vittima può subire quando viene sminuita la gravità dello stupro subito?
"Ragionando sempre per ipotesi, nel non sentirsi creduti, come nel caso di Trapani oppure nel caso di S.J., ma anche per le tante donne che hanno subìto la stessa condizione, mi preoccupano gli effetti che si possono generare. Mi riferisco al victim blaming: si tratta di un meccanismo che davanti a una violenza feroce di genere porta le persone ad attribuire una certa colpa dell’accaduto alla vittima. A volte sminuendo l’accaduto stesso con frasi del tipo 'aveva la minigonna, quindi se l’è cercata'”.
Perché il padre della ragazza siciliana, di fronte all’evidenza dei fatti accertati dalla procura, dà torto alla figlia e difende gli stupratori? Come si può interpretare questo atteggiamento?
"Non conoscendo la realtà dei fatti dello specifico caso non posso rispondere alla domanda. Posso però dire che a volte un genitore può negare a se stesso l’atrocità dell’accaduto sulla propria figlia, come se la sua mente non lo accettasse. Si tratterebbe di un meccanismo di difesa che avrebbe effetti devastanti sulla figlia".
Vicende di questo tipo possono scoraggiare altre vittime alla denuncia? O al contrario possono rafforzare lo spirito di far giustizia contro gli aggressori?
"Dobbiamo sempre considerare gli effetti che ogni notizia mediatica, soprattutto relativa a una violenza o ancor di più di uno stupro può generare sulle vittime. Vicende di questo tipo incluse".
In che modo cercate di riabilitare le vittime di violenza, ma anche di un processo mediatico, verso il ritorno alla normalità?
"Non è un percorso facile per la vittima. Essa deve essere messa immediatamente in sicurezza e avviata a un percorso di psicoterapia, di psicotraumatologia e isolata da eventi traumatici che possano portarla a rivivere ciò che ha subìto, come per esempio notizie mediatiche che potrebbero produrre il victim blaming o una seconda vittimizzazione".
Una donna vittima di violenza sessuale può anche pensare al suicidio?
"Purtroppo sì, esiste una forte correlazione tra una violenza sessuale subìta e il suicidio. Donne vittime di un’aggressione di tipo sessuale hanno una probabilità pari a 3/4 volte maggiore di tentare un suicidio rispetto ad altre donne. Inoltre le vittime di stupro hanno circa il 13% di probabilità in più di tentare il suicidio. Gli effetti della violenza sessuale su una donna possono inoltre portare la vittima ad avere depressione, disturbi della condotta alimentale, disturbi fobici, attacchi di panico, disturbi psicosomatici e disturbo post traumatico da stress. Importante è saper cogliere in tempo i primi segnali e agire tempestivamente".
Campobello di Mazara, violentata dagli amici, il padre li difende: "Mia figlia era ubriaca". Salvo Palazzolo su La Repubblica il 30 aprile 2021. Lei, 18enne, ha raccontato subito ai carabinieri quanto accaduto e ieri in quattro sono stati arrestati. Ma il genitore si è presentato in caserma dopo la denuncia della ragazza e ha detto: "Quelli sono dei bravi ragazzi". Campobello di Mazara - Il giorno dopo le violenze — in due hanno abusato di lei, mentre altri tre guardavano e ridevano — la ragazza non ha avuto dubbi sul da farsi. Si è presentata alla stazione dei carabinieri di Campobello di Mazara per denunciare quelli che dicevano essere suoi amici. «Mi hanno telefonato, invitandomi a una festa: “Ci sono anche altre persone”.
Denuncia uno stupro, le parole atroci del padre: “Era ubriaca, quelli sono bravi ragazzi”. Le Iene News il 30 aprile 2021. Parole atroci da parte del padre di una 18enne che ha denunciato di essere stata violentata, dopo essere finita in una trappola crudele a Campobello di Mazara (Trapani), da quattro ragazzi che credeva amici e che sono appena finiti agli arresti. “Mia figlia vi ha raccontato dei fatti non veri, era ubriaca e quindi non era in grado di capire ciò che stava accadendo”. I quattro arrestati per lo stupro di sua figlia? “Sono bravi ragazzi”. Lasciano senza parole, ed è un eufemismo, le parole dette ai carabinieri di Campobello di Mazara (Trapani), dal padre della diciottenne che aveva denunciato di essere stata violentata da quattro ragazzi, che considerava amici e che sono stati arrestati ieri, 29 aprile (due sono in carcere, due ai domiciliari) con l'accusa di violenza sessuale di gruppo aggravata. Le parole, le “giustificazioni” dei presunti stupratori da parte del padre di chi avrebbe subito un’atroce violenza sessuale sembrano davvero allucinanti al di là dell’esito giudiziario della vicenda. Noi non possiamo far altro che gridare tutti insieme il nostro “No” e continuare le nostre battaglie contro qualsiasi forma di abuso sessuale, riproponendovi anche qui sopra il servizio della nostra Nadia su Anna Maria, violentata dal branco e ripudiata dal suo paese perché aveva denunciato e fatto arrestare gli aggressori. I quattro di Campobello di Mazara avrebbero attirato la ragazza in una trappola con il finto invito a una festa. L’avrebbero portata in una casa di campagna, dove non c’era nessuno. Il gruppo inizia a bere e ascolta musica. La 18enne dopo un po’ capisce che non sta arrivando nessun altro e chiede di essere riaccompagnata a casa. Inizia presto l’orrore. Con la violenza di gruppo.
Da "leggo.it" il 30 aprile 2021. Gli abusi choc, una 18enne stuprata dal branco di quattro giovanissimi, la denuncia a tutti e quattro il giorno dopo, ma non è finita qua: ad aggiungere carne al fuoco sul caso della ragazza violentata nel trapanese, ci pensa il padre della vittima. Davanti ai carabinieri di Campobello di Mazara infatti, l’uomo avrebbe minimizzato l’entità delle accuse della figlia ai quattro giovani, che sono stati arrestati con l’accusa di violenza sessuale di gruppo aggravata. Ai militari, il papà della 18enne avrebbe detto che «mia figlia vi ha raccontato dei fatti non veri. Era ubriaca, non era in grado di capire cosa stava accadendo». Quanto ai quattro presunti stupratori, «sono bravi ragazzi, le ferite che mia figlia ha sulle braccia sono dovute al fatto che i suoi amici tentavano di riportarla a casa. Ma lei era ubriaca e faceva resistenza». Parole scioccanti, raccontate oggi da Repubblica sulle pagine locali. Intanto i carabinieri continuano le loro indagini per stabilire cosa accadde davvero in quella notte tra il 6 e il 7 febbraio.
Violentata dal branco, ha solo 18 anni. L'hanno attirata in un tranello fingendo di invitarla ad una festa. E lei si è fidata e li ha seguiti. Inizia così la drammatica storia della diciottenne violentata dal branco nel trapanese: quattro ragazzi di cui si fidava che hanno abusato di lei e non si sono fermati neppure davanti alle urla e alle lacrime della loro vittima. Ieri i carabinieri li hanno arrestati: per due è stato disposto il carcere, per altri due i domiciliari. Un altro giovane sarebbe coinvolto: non avrebbe partecipato alla violenza, ma, secondo gli inquirenti, non sarebbe intervenuto per fermarla.
Attirata con la scusa di una festa. I fatti risalgono alla notte tra il 6 e il 7 febbraio e accadono a Triscina, una frazione di Castelvetrano, comune del trapanese noto per aver dato i natali al boss latitante Matteo Messina Denaro. La vittima ha compiuto 18anni da pochi giorni, quando, con la scusa di una festa, nonostante il coprifuoco imposto dalle norme anti Covid, viene invitata in una villetta. I quattro la vanno a prendere in auto attorno alle 18. Arrivati nell'abitazione la vittima si accorge che alla festa l'unica invitata è lei. All'inizio tutto sembra normale. Il gruppo beve della vodka, ascolta musica.
«Ripetuti atti sessuali». Alle 21.30 la vittima viene informata che in realtà le altre ragazze che avrebbero dovuto partecipare alla festa non sarebbero arrivate e chiede di essere riaccompagnata a casa. Va al bagno al piano superiore e all'uscita davanti alla porta trova uno dei ragazzi che la porta in camera da letto. I due hanno un rapporto consensuale. A un tratto però il giovane chiama il cugino e gli altri amici che sono rimasti al piano di sotto. L'orrore inizia. La vittima viene costretta a subire «ripetuti atti sessuali» . «Il ragazzo ha chiamato gli amici. Lui mi ha bloccato. non riuscivo a divincolarmi dalla presa - dirà poi la 18enne ai carabinieri - Ho iniziato a gridare a squarciagola disperatamente perdendo anche la voce».
La denuncia il giorno dopo gli abusi. Ancora sotto choc, viene riaccompagnata a casa. Grazie ad un'amica e alla famiglia il giorno dopo ha il coraggio di denunciare gli stupratori, tutti giovanissimi, tutti di Campobello di Mazara, nel trapanese. Gli investigatori sequestrano i loro cellulari e il Ris dei carabinieri, già a febbraio, fa i rilievi nella villetta. «Attendiamo ancora una relazione dettagliata su quanto abbiamo trovato nei cellulari - dice il comandante dei carabinieri della compagnia di Mazara del Vallo Domenico Testa - In questi mesi le indagini non si sono mai fermate. Abbiamo sentito a sommarie informazioni tante persone che fanno parte della rete relazionale della ragazza, e anche gli indagati. Abbiamo utilizzato nelle indagini anche delle attività tecniche che ci hanno consentito di raccogliere un quadro indiziario chiaro che ha consentito al gip di emettere i provvedimenti cautelari». Oggi i quattro giovani arrestati verranno sentiti dal gip.
Ragazza denuncia gli amici per stupro. Il padre prima difende gli accusati ma poi si ricrede. L’intercettazione: “In galera finiamo”. Manuela Modica il 30 aprile 2021 su Il Fatto Quotidiano. “È verosimile pensare che in un primo momento l’uomo avesse creduto ai ragazzi, salvo poi ricredersi una volta parlato con più attenzione con la figlia”, scrive il gip nell'ordinanza con cui ha disposto gli arresti. Versioni contradditorie degli indagati e il tentativo di mettersi d'accordo su cosa dire. Si è presentato dai carabinieri di Campobello di Mazara, lo scorso 8 febbraio, con i quattro ragazzi accusati della violenza della figlia per dire che “sono bravi ragazzi” e che la figlia era effettivamente “ubriaca” e le ferite alle braccia gliele avevano provocate nel tentativo di riportarla a casa. È andato in caserma per scagionarli nonostante la figlia li avesse denunciati quella stessa mattina di violenza sessuale. Ma poi si è ricreduto, parlando più approfonditamente con la ragazza e da quel momento sostenendola nella sua denuncia. Un momento di ingenuità? È l’ipotesi più accreditata dal giudice per le indagini preliminari Riccardo Alcamo che riporta l’accaduto nell’ordinanza in cui chiede la custodia in carcere per i due cugini Eros e Francesco Biondo, 23 e 24 anni e i domiciliari per Giuseppe Titone e Dario Caltagirone, 20 e 21 anni. “È verosimile pensare che in un primo momento l’uomo avesse creduto ai ragazzi, salvo poi ricredersi una volta parlato con più attenzione con la figlia”, scrive il gip. “Tu con me hai parlato poco curuzzu meu (cuoricino mio) mentre sei cresciuta, ma non perché io non ti ho voluta sentire, perché tu non ti sei voluta confidare”, così infatti si rivolge a un certo punto il padre alla figlia. Dopo la denuncia, infatti, partono le intercettazioni, che svelano molti particolari. Intanto il supporto della famiglia alla ragazza vittima della violenza, primo tra tutti quello del fratello che la accompagna in caserma assieme ad un’amica. Poi anche quello del padre, che in un primo momento però agisce in modo contraddittorio. Lui racconta tutto: la notte vedono la figlia rientrare, si accorgono che è ubriaca, la ragazza è turbata, va in cucina e con un coltello tenta di ferirsi, la bloccano in tempo. La ragazza si chiude in stanza, il giorno dopo parla prima con un’amica, poi con il fratello, infine con i genitori. Tutti le consigliano di denunciare, così l’8 mattina Giulia (nome di finzione) va in caserma. Senza voce. Così parla la ragazza di Campobello di Mazara quando racconta per la prima volta ai carabinieri cosa ha subito quella notte tra il 6 e il 7 febbraio scorso. Giulia quella notte ha gridato per fermare i ragazzi che la stavano violentando. Ha la voce compromessa, lividi alle braccia, all’addome, alla guancia destra, e graffi. Mentre è in caserma il padre chiama uno dei ragazzi che era con lei, Giuseppe Titone, che conosce sin dalla nascita, si dà appuntamento per incontrarlo. All’appuntamento vanno tutti e quattro (ma quella sera c’era anche un quinto ragazzo minorenne), lo convincono che la ragazza era solo ubriaca, lui si era accorto pure dell’ebbrezza della figlia e – conoscendo almeno uno di loro da sempre – si è fidato. Ha chiamato prima, una telefonata fatta alle 19 in caserma, poi su invito dei carabinieri si è presentato mezz’ora dopo con i ragazzi: “Bravi ragazzi”, così li definisce. Sono però temuti da Giulia, non tutti, due di loro, e lo scrive in uno degli sms che invia a Titone. “Ho paura che dopo che la pagano fanno qualcosa”, scrive la ragazza e spiegherà poi agli inquirenti che a casa, il 13 febbraio, sono arrivati due uomini, il padre di Eros e un altro uomo non identificato, per parlare con il padre. La sera del 6 febbraio è raccontata nei particolari da Giulia con la voce roca. Una sera tra amici e amiche in una casa estiva di Tre Fontane, di Eros Biondo, lì sono arrivati e in attesa che arrivassero tutti hanno iniziato a bere: birre e vodka. Le altre ragazze non si sono mai presentate però, così che Giulia si è ritrovata sola con 5 ragazzi, con uno dei quali aveva un’amicizia di lungo corso. La ragazza si ubriaca, sale al piano di sopra dove c’è il bagno. Quando esce, Titone la aspetta fuori e la bacia, poi consumano un rapporto consenziente in una delle stanze da letto. A un certo punto del rapporto però il ragazzo chiama gli altri, per salire e avere un rapporto di gruppo, lei dice che non vuole, Titone li chiama lo stesso, esce dalla stanza ed entrano i Biondo. Lei è costretta a subire la violenza, grida, piange, cerca di divincolarsi. Sul pianerottolo ci sono gli altri che ascoltano e ridono. Questa è la versione della ragazza. I ragazzi danno, invece, versioni diverse e contraddittorie, dicono che le altre ragazze, per esempio, c’erano ma poi le indagini svelano che non è così. Nel frattempo vengono ascoltati dagli investigatori: “Non è così che si fa comunque, ci dovevamo “incocciare” intanto al bar tutti e quattro, la ragionavamo giusta e poi gli dicevamo tutte cose a memoria, tutti quanti… così tutti in galera ce ne andiamo”, così parla Francesco Biondo col cugino Eros. I due cugini sono preoccupati per i rilievi degli investigatori in casa: “Ci sono i letti tutti disfatti, tutte cose sburrate”, dice Eros. “Ora con le lenzuola vedono tutte cose”, dice Francesco, ed Eros ribatte: “L’autopsia fanno”. “In galera siamo”, riflette Francesco, e continua: “A quelli che ammazzano i cristiani non ci fanno nulla, toh!, il giorno dopo li lasciano, minchia, io non lo so, e noi per la prima cosa che stiamo facendo, la prima cosa…”. E ancora più in là nelle conversazioni, Francesco ammette: “Io appena si è messa a piangere l’ho capito, ho detto, questa dai Carabinieri va, che ti ho detto tannu (al momento) che era tutta esaurita… Peppe si, si, va boh… picciò, io me le sento le cose, picciò…”. Le conversazioni tra i cugini sono tante e ne rivelano il modo di pensare, perlomeno discutibile, così infatti parla Francesco riferendosi a un’altra ragazza: “Madonna pensando a lei m’attissa (mi eccito, ndr) ma perché? Madre che gran culo che ha cugì, docu lo sai cosa farei? La violentassimo. Andrei io a parlare con gli sbirri arriveremo la… “Colonnello, come fa a non violentare una ragazza di questa con quel gran culo colonné?”. Mentre Eros a un certo punto riferisce al cugino di una conversazione avuta con la madre di uno degli altri ragazzi: “Tuo figlio era con noi… le ho detto me la volete mettere tutti nel culo a me? Gli ho detto vabé, se mi arrestano prima o poi dovrò uscire e mi vendico”. Riguardo al fratello di Giulia, poi, Francesco si sfoga: “All’ultimo qualche coltellata ci dobbiamo andare a mettere… e finiamo vero in galera… coglioni… domani invece ci dobbiamo andare a parlare con suo fratello invece che cazzo me ne fotte a me dei carabinieri? Ci andiamo fino a casa che fa? .. gli diciamo. Come cazzo ti chiami… gli diciamo vedi che tua sorella a noi ci diceva mentre che ballavamo, voglio scoparti, di qua, di là. Gli diciamo noi maschi siamo all’ultima cucì e poi ci “chiantiamo” due timpuluna (schiaffi, ndr), due siamo…”.
Da ilfattoquotidiano.it l'1 maggio 2021. “Se io dico no e grido tutto, loro non devono toccarmi”, così risponde alla madre la ragazza che ha denunciato i suoi aggressori a Campobello di Mazara. Dopo la violenza, si difende, un po’ da tutti, stavolta con la madre mentre si spiega anche con quel padre che lo stesso giorno in cui è andata a denunciare, è andato in caserma pure lui per dire che sua figlia era “ubriaca”, che quelli erano solo “bravi ragazzi”. Quattro ventenni arrestati su richiesta della procura di Marsala, due sono andati in carcere, i due cugini Francesco ed Eros Biondo, due ai domiciliari, Giuseppe Titone e Dario Caltagirone. Un momento di confusione quello del padre, forse nato anche da un clima di pressione nato dagli eventi. Di certo la difesa dei ragazzi da parte del padre di Giulia (nome di finzione), non dura a lungo, l’uomo si ricrede e spalleggia la figlia. Ma i momenti in cui Giulia dovrà chiarire e difendersi non saranno pochi. Uno di questo è con i suoi genitori, che pure la sostengono da subito. Ma non mancano le titubanze, specie in un clima come quello di Campobello di Mazara, un comune di quasi 12mila anime, noto per fatti di intimidazioni mafiose, e dove da qualche tempo si sono concentrate le ricerche del latitante Matteo Messina Denaro. Nessuno dei coinvolti nella vicenda ha precedenti penali, neanche i genitori, ma il clima intorno alla famiglia si appesantisce. Ne è prova anche una conversazione tra madre, padre e figlia, mentre sono in macchina. Una conversazione intercettata dai carabinieri e riportata nell’ordinanza di arresto firmata dal gip Riccardo Alcamo. La mamma teme le accuse alla figlia, e quei timori provocano la reazione di Giulia. Una reazione che mostra una ragazza, appena 18enne, che deve difendersi da tutti, ma che non arretra. Così, infatti, riporta ai genitori: “Ma loro stessi me lo hanno detto… “Tu ragazza sola vai con due che non conosci?”- La mamma ribatte: “Ah, queste parole tutti le dicono…”. Il Padre …ma è normale “curù”. E più avanti nella conversazione la mamma di Giulia lo dice con chiarezza: “Mia figlia ha sbagliato: com’è che tu sali con tre ragazzi da sola… e questo tutti…”. Ma Giulia non arretra: “Non è quello il problema”. La madre insiste: “Mia figlia ha sbagliato com’è che tu sali con tre ragazzi da sola… e questo tutti…”. Lei ripete: “Non è quello il problema”. La mamma: “No, quello è il problema proprio”, ma la figlia non è d’accordo: “No, no, quello è un piccolo problema”. “Piccolo?”, chiede la mamma di Giulia. E la ragazza è ferma: “Allora che fa’… che fa’ anche se… anche se eravamo tutti amici, loro non possono infrangere la legge… non la possono infrangere… lo vuoi capire… Non possono comportarsi così con me, lo vuoi capire o no? Ma a me… mi violentano… se io dico no e grido e tutto… loro non devono toccarmi… tu mi parli ancora perché sei salita… perché sei salita… anche se eravamo tra amici, perché… “. “Giulia, tu lo sai cosa dice ora l’avvocato di questi ragazzi? – chiede la mamma -. Dice “la ragazza è salita da sola, con il suo piacere” secondo “quando c’è il fatto tutti ubriachi” nessuno lo sa… finita la storia… la ragazza pure ubriaca… qua la legge pure guarda l’altra… l’altra parte di questa violenza…”. A questo punto è il papà che difende la figlia: “Però una cosa è fare una festicciola di compleanno… una cosa è passare alla violenza “. “Esattamente”, aggiunge la ragazza. Giulia mostrerà via via titubanze, anche l’intenzione di ritrattare la versione su alcuni di loro, ma quando tornerà a parlare con i pm la sua versione sarà anche più dettagliata. Gli inquirenti, durante, il secondo interrogatorio, le mostreranno anche delle immagini. Mostrano lei sdraiata, vestita, sul letto, con uno dei ragazzi sdraiato accanto a lei. “La ragazza rimane interdetta alla vista delle foto”, scrive il gip. “Non ho alcun ricordo di quei momenti”, dichiara Giulia. E continua: “Né ricordo chi mi abbia portato in quelle stanze, non sapevo nemmeno che avessero fatto delle fotografie. Provo paura al pensiero che possano aver fatto delle fotografie. Adesso sono più convinta all’idea di denunciarli. Non so nemmeno se sia avvenuto prima o dopo la violenza, non lo ricordo. Sono scioccata”. Oltra le foto però c’è ben altro: altri ragazzi rimasti sotto erano a tratti della serata in diretta su Facebook, dall’altro lato era collegata una ragazza, che a un certo punto ha sentito le urla di Giulia e lo ha riferito agli inquirenti. La testimonianza di un’altra ragazza entra così nella storia a sostenere la versione di Giulia.
"Imploravo di smettere, loro ridevano", il racconto choc della 18enne stuprata dal branco. Valentina Dardari il 29 Aprile 2021 su Il Giornale. Un racconto terrificante quello fatto dalla ragazza ai carabinieri al momento della denuncia. Quattro giovani sono stati fermati. Un racconto terrificante quello fatto da una ragazza di 18 anni ai carabinieri al momento della denuncia. La giovane sarebbe stata attirata in una abitazione con la scusa di una festa e invece alla fine avrebbe subito uno stupro di branco.
Fermati 4 giovani per violenza sessuale. Come riportato da Leggo, dopo che la giovane ha trovato il coraggio di andare dalle forze dell’ordine per denunciare tutto quanto avvenuto, quattro ragazzi di età compresa tra i 20 e i 24 anni sono stati fermati con l’accusa di violenza sessuale. Per due di loro si sono aperte le porte del carcere, mentre per gli altri due sono stati concessi gli arresti domiciliari. Il fatto è avvenuto in una casa di Tre Fontane, a Campobello di Mazara, comune in provincia di Trapani. A porre in arresto i ragazzi sono stati i carabinieri della Compagnia di Mazara del Vallo.
Il racconto ai carabinieri. Lo scorso 8 febbraio la ragazza si è presentata in caserma per denunciare la violenza e raccontare che era stata invitata a una festa in casa di amici, dove però aveva subito uno stupro di gruppo. Nell’abitazione dovevano essere presenti sia ragazzi che ragazze, in realtà, quando la 18enne è arrivata, non vi erano altri invitati, ma solo i quattro giovani poi arrestati dai militari. Dopo aver ballato e bevuto, la ragazza si sarebbe appartata in una camera al piano superiore della casa con uno di loro, dove avrebbe avuto un rapporto sessuale. Poi il ragazzo avrebbe però chiamato gli altri amici. A quel punto la 18enne ha raccontato ai carabinieri di aver iniziato a urlare e di aver cercato di ribellarsi. Secondo il racconto della vittima, i quattro ragazzi sarebbero però riusciti a trattenerla e a violentarla, procurandole anche alcuni lividi e contusioni su tutto il corpo.
Ridevano mentre lei li implorava di fermarsi. Addirittura, mentre la 18enne piangeva, urlava e chiedeva disperatamente ai suoi aguzzini di fermarsi, loro ridevano. Immediate sono partite le indagini da parte dei militari della compagnia di Mazaro del Vallo, che hanno disposto le intercettazioni sia telefoniche che ambientali. Il giudice per le indagini preliminari ha quindi disposto gli arresti per i quattro indagati. Il fermo sarebbe stato deciso per l’esistenza del pericolo di inquinamento probatorio e “l'alta probabilità di reiterazione del reato per la pericolosità sociale e la personalità” dei ragazzi coinvolti.
"Fuggiva dallo stupro", condannati per l'orrore su Martina. Un ennesimo caso di violenza di gruppo ai danni di una ragazza. Solo ieri, la Corte di Appello di Firenze ha condannato a 3 anni di carcere, per tentata violenza sessuale di gruppo, i due imputati giovani nel processo bis di secondo grado sul caso della morte di Martina Russo, La ragazza stava cercando di scappare dai suoi aguzzini quando è precipitata nel vuoto da un balcone dell’albergo di Maiorca, dove si trovava in vacanza in Spagna.
Da leggo.it il 25 aprile 2021. Cinque calciatori accusati di stupro da una ventenne di Verona, città in cui adesso i tifosi chiedono di sospendere i giocatori in attesa che la giustizia faccia il proprio corso. Non attendono neppure la data del 5 maggio, quando in contraddittorio, davanti al gip Paola Vacca, saranno esaminati sei filmati presi dai cellulari, i tifosi della Virtus Verona per emettere il loro giudizio sui cinque calciatori professionisti accusati di violenza sessuale nei confronti di una studentessa universitaria 20enne. I fatti risalgono al gennaio 2020 e sarebbero avvenuti in un appartamento di Verona: secondo quanto denunciato dalla ragazza, un compagno di istituto l'ha attirata in un appartamento con una scusa e qui si è trovata davanti ad altri quattro compagni di squadra della Virtus, società di serie C. Con la scusa di un gioco di carte alcolico, la vittima, sostiene il pm Elisabetta Labate, sarebbe stata fatta ubriacare e poi violentata a turno dai cinque. Opposta la versione fornita dai calciatori, tra i 21 e i 28 anni, nel corso della prima udienza preliminare: si sarebbe trattato di sesso consenziente, senza nessuna violenza e senza l'uso di alcol, al massimo qualche birra e gin e lemon. Il fatto ha destato molto clamore a Verona e il popolo del pallone si è schierato con la vittima. «Siamo scioccati, indignati e molto arrabbiati di apprendere dai mass media che cinque giocatori della Virtus Verona siano indagati per un presunto stupro ai danni di una ragazza» scrive, in una nota sulla propria pagina Facebook, il gruppo Virtus Verona Rude Firm 1921, tifoseria organizzata della squadra. La Virtus Verona e i suoi supporter, spiegano, «da sempre di vantare con orgoglio la difesa dei diritti umani, sempre schierati contro ogni razzismo, discriminazione, violenza sulle donne e sempre dalla parte di tutte quelle categorie di persone meno tutelate e rispettate. Come tifosi Virtussini - rincarano - chiediamo pertanto alla società chiarimenti e l'immediata sospensione da tutte le attività sportive dei giocatori coinvolti nella vicenda, che rientrino ancora nella rosa della squadra, fino a che non venga fatta chiarezza da parte della magistratura». Non sono solo i fan a volere che non vi siano sospetti di contiguità tra gli accusato e la squadra. La Virtus Verona precisa che quanto avvenuto è «una vicenda di natura privata, avvenuta al di fuori del contesto sportivo e per la quale la giustizia sta facendo il suo corso». La società, prosegue la nota, una volta venuta a conoscenza delle accuse, «ha mostrato da subito sensibilità e attenzione limitandosi contestualmente a quanto strettamente di competenza, riponendo massima fiducia nella magistratura, ritenuta l'unica in grado di giudicare». Ancora più esplicito Francesco Ghirelli, Presidente della Lega Pro: «La vicenda - sottolinea - mi turba come dirigente sportivo e come uomo di famiglia». Ammette che non avrebbe mai voluto apprendere «una simile notizia, da dirigente perché vengono messi in discussione valori come il rispetto dell'altro, che noi professiamo anche fuori dal campo». E aggiunge che «c'è al contempo un risvolto umano: penso anche alle famiglie della giovane donna e dei calciatori, ai loro amici, alla loro rete sociale, al Presidente della Virtus e al club. Penso al turbamento e all'angoscia che stanno provando - conclude - sentimenti che al di là del percorso processuale segneranno per sempre la loro esistenza».
L'alcool, poi lo stupro di gruppo: "Sono stati i calciatori della Virtus". Rosa Scognamiglio il 24 Aprile 2021 su Il Giornale. Una studentessa di 20 anni ha accusato 5 calciatori della Virtus Verona di violenza sessuale di gruppo. Il club veneto prende le distanze dalla vicenda. Una studentessa universitaria di 20 anni ha accusato 5 calciatori della Virtus Verona di violenza sessuale di gruppo. La società Virtus Verona è estranea ai fatti mentre i 5 professionisti indagati potrebbero finire verosimilmente a processo. Sulla vicenda è intervenuto anche il presidente della Lega Pro, Francesco Ghirelli, che ha espresso solidarietà nei confronti della vittima e dei vertici della Virtus.
L'accusa. Stando a quanto si apprende da laRepubblica.it, i fatti risalirebbero al 2020. La 20enne avrebbe raccontato alla polizia di essere stata vittima dell'abuso di gruppo concertato da 5 giovani calciatori della Virtus Verona dopo "essere stata indotta a bere a dismisura". I professionisti indagati, tutti in età compresa tra i 20 e i 23 anni, sostengono invece che i rapporti fossero consenzienti. Secondo la versione fornita dalla ragazza agli inquirenti, quattro degli atleti coinvolti nella vicenda avrebbero dato seguito allo stupro mentre uno avrebbe ripreso la scena con lo smartphone. A seguito dell'udienza preliminare, fissata per i prossimi giorni, si valuterà la possibilità di avviare un processo per "violenza sessuale di gruppo". Tre dei calciatori coinvolti hanno cambiato casacca mentre due militerebbero ancora tra le file della squadra rossoblù. La società Virtus Verona è estranea ai fatti.
L'ira dei tifosi. Dura la presa di posizione dei tifosi della Virtus Verona che condannano la presunta violenza. "Siamo scioccati, indignati e molto arrabbiati di apprendere dai mass media che cinque giocatori della Virtus Verona siano indagati per un presunto stupro ai danni di una ragazza, avvenuto nel gennaio 2020", scrive in una nota diffusa sui social il gruppo Virtus Verona Rude Firm 1921. "La Virtus Verona e la sua tifoseria organizzata - prosegue il post - da sempre vantano con orgoglio la difesa dei diritti umani, sempre schierati contro ogni razzismo, discriminazione, violenza sulle donne e sempre dalla parte di tutte quelle categorie di persone meno tutelate e rispettate. Come tifosi Virtussini chiediamo pertanto alla società chiarimenti e l'immediata sospensione da tutte le attività sportive dei giocatori coinvolti nella vicenda, che rientrino ancora nella rosa della squadra, fino a che non venga fatta chiarezza da parte della magistratura. Chi ama il calcio, odia la violenza sulle donne e chi la copre".
23.04.2021 Siamo scioccati, indignati e molto arrabbiati di apprendere dai mass media, che cinque giocatori della Virtus...Pubblicato da Virtus Verona Rude Firm 1921 su Venerdì 23 aprile 2021
La società: "Il rispetto è il nostro valore". Prendono le distanze dalla vicenda anche i vertici della società. "Una vicenda di natura privata, avvenuta al di fuori del contesto sportivo e per la quale la giustizia sta facendo il suo corso. La Virtusvecomp Verona - scrive il club veneto in una nota - una volta venutane a conoscenza, ha mostrato da subito sensibilità e attenzione limitandosi contestualmente a quanto strettamente di competenza, riponendo massima fiducia nella magistratura, ritenuta l'unica in grado di giudicare. La Virtusvecomp vanta una storia centenaria, fatta di calcio ma soprattutto di solidarietà, impegno sociale e massimo rispetto nei confronti di tutti. Da tanti anni concentra la propria attività tra sport ed inclusione ed ha sempre avuto, tra i suoi valori fondanti, proprio il rispetto verso l'altro chiunque esso sia: uomo, donna, bianco, nero, ricco, povero. Il nostro modo di vivere l'inclusione ha a che fare con la quotidianità; con la volontà di prenderci cura degli altri, fermamente convinti che tutti abbiano diritto ad essere aiutati e rispettati. Crediamo che le uniche cose che contano davvero siano umanità, sensibilità ed onestà. La cura e il rispetto dell'altro, ancor prima di essere un dovere morale, sono parte del nostro Dna". La società veronese conclude precisando che "sono stati già attivati gli organi legali di fiducia al fine di vedere tutelata la propria immagine di Società modello, riconosciuta tale a livello locale, nazionale ed internazionale".
Presidente Lega Pro: "Vicenda mi turba". Sulla vicenda è intervenuto anche Francesco Ghirella, presidente della Lega Pro, che non ha mancato di esprime solidarietà nei confronti dei vertici societari della Virtus: "La vicenda di presunta violenza sessuale che vede imputati cinque calciatori e che coinvolgerebbe una giovane ragazza mi turba come dirigente sportivo e come uomo di famiglia. - scrive Ghirelli in una nota - Chiaramente la giustizia deve fare il suo corso, è opportuno salvaguardare il profilo processuale. Tuttavia non avrei voluto mai apprendere una simile notizia, da dirigente perché vengono messi in discussione valori come il rispetto dell'altro, che noi professiamo anche fuori dal campo. C'è al contempo un risvolto umano, penso anche alle famiglie della giovane donna e dei calciatori, ai loro amici, alla loro rete sociale, al Presidente della Virtus e al club. Penso al turbamento e all'angoscia che stanno provando, sentimenti che al di là del percorso processuale segneranno per sempre la loro esistenza".
Giuseppe Scarpa per “il Messaggero” il 23 aprile 2021. Paola, 12 anni, (il nome è di fantasia) ciondola in avanti con il busto. Il gesto sembra quasi meccanico. È seduta su un prato verde. Frastornata. La maglietta in parte strappata e sollevata. I graffi sul viso, sulla pancia. I lividi sui fianchi. Intanto la faccia si gonfia per i pugni, i calci che le hanno sferrato alcune ragazzine, sempre minorenni, più grandi della vittima. Tre bulle che l' hanno malmenata fino a lasciarla sfinita. Annichilita. Sono i primi di aprile. L' ennesimo atto di violenza tra giovanissimi esplode a Roma nord. Una l' aggredisce per prima: la spinge, poi un pugno, infine l' afferra per i capelli. Così la piccola rotola in terra. Immediatamente accorrono altri ragazzini. Si forma un cerchio. Ad arrivare subito è un' adolescente. All' inizio sembra voler dividere le contendenti. Ma non è così. Mentre Paola è riversa si inchina su di lei e comincia a colpirla con violenza. La 12enne non capisce più da dove arrivino le botte. Sono in due. Ecco che una terza ragazzina interviene e, mentre cerca di toglierla dalle grinfie dell' amica, sferra anche lei un paio di schiaffi. Intorno si sentono le urla. Le grida. Alle fine le bulle, una su tutte, la prima che l' ha picchiata, vengono trascinate via di peso da altre persone. La 12enne si mette seduta. Una gamba distesa l' altra piegata in avanti. È l' immagine della prostrazione. Dal video si vedono tutti gli altri minorenni con in mano uno smartphone che riprendono euforici la scena. Lo sguardo di Paola è fisso verso un punto imprecisato, si solleva i capelli, mentre intorno a lei si sentono i commenti dei ragazzini che hanno assistito passivi al pestaggio. Ma l' umiliazione della giovane vittima non è terminata. Su Instagram partono le dirette, le reazioni degli utenti al video che inizia a macinare condivisioni e like. In una diretta, una delle ragazze che ha picchiato la piccola si vanta, ride: «Guarda le bombe che le ho dato». Il tutto accade in un arco di tempo brevissimo. Mentre la prepotente rivendica sul web ciò che ha fatto, Paola è al pronto soccorso. Poco prima la madre è andata a prenderla al parco. Incredula e spaventata soccorre la figlia. Non crede ai suoi occhi. La 12enne, infatti, è vulnerabile. Ha delle disabilità che la rendono fragile, delicata. Chi l' ha picchiata probabilmente lo sapeva. Sono ragazze del quartiere o della stessa scuola. Il genitore consapevole della condizione della piccola la porta nell' ospedale in cui è seguita. I medici capiscono subito la gravità. Sottopongono la 12enne ad una serie di esami per verificare che non abbia subito traumi che potrebbero causare serie complicazioni data la sua situazione. Per fortuna questa ipotesi è esclusa. Ma ciò non significa che la piccina non abbia subito gravi lesioni. E infatti i medici la dimettono con 21 giorni di prognosi, una trauma cranico e altre visite a cui si dovrà sottoporre per diverso tempo. Tra cui una oggi. La piccola, intanto, si chiude in sé stessa. Scoraggiata per ciò che è successo quasi non parla. Il padre e la madre sono abbattuti. Mai avrebbero pensato che una vicenda del genere potesse toccare la figlia. Una ragazzina con tante amiche. Una ballerina di danze latino americane. All' inizio non sanno cosa fare. Parlare con i genitori di chi ha aggredito la piccola? Denunciare? Decidono di sporgere una querela. Ecco allora che si rivolgono al Centro Nazionale Contro il Bullismo - Bulli Stop. L' associazione ascolta la storia e decide di affidare il caso all' avvocato Eugenio Pini, penalista esperto in materia e che assiste per il centro le vittime di violenza. Lunedì alla procura dei minori verrà presentata una dettagliata denuncia per lesioni volontarie e stalking, a cui verrà allegato il video in cui Paola viene picchiata. «Pensiamo che una vicenda di questa gravità debba essere rimessa alla giustizia - spiegano il padre e la madre della 12enne - Perché è questo ciò che vogliamo, proteggere la nostra piccina».
Alessia Marani per "il Messaggero" il 26 aprile 2021. Identificati gli autori del pestaggio della dodicenne disabile di Roma, picchiata il 2 aprile scorso nel parco Lambertenghi al Nuovo Salario, una scena di violenza cieca, ripresa in diretta su Instagram e postata sui social. Si tratta di una ventina di minorenni, oltre la metà femmine, un branco di età compresa tra i 12 e i 15 anni, prevalentemente studenti delle scuole medie, alcuni con precedenti. Tra loro la tredicenne che per prima ha colpito Paola (è un nome di fantasia), la vittima, dando il là all'aggressione fomentata da uno stuolo di ragazzini che, nel frattempo, tra urla e risate, incitava e inveiva contro la dodicenne sbattuta a terra e con la maglietta strappata. In quattro si sono scagliati su di lei, tre ragazzine e un maschietto, poi altri si sono avvicinati, chi ha dato un colpo, chi un calcio. Trenta secondi di ferocia e follia dei bulli cristallizzati nel video girato con il telefonino e finito sotto la lente dei carabinieri della compagnia di Montesacro. Una delle bulle in un altro video commentava con un'amica: «Hai visto che bombe che gli ho dato». Gli autori sono stati denunciati per lesioni che, visto il referto - la prognosi è stata innalzata da 21 a 37 giorni - e considerate le integrazioni dei periti, potrebbero essere riqualificate come gravissime. Spetterà ora alla Procura minorile che, dopo la denuncia del Centro Nazionale Contro il Bullismo - Bulli Stop, sulla vicenda ha aperto un'inchiesta, chiedere le misure cautelari più idonee e al Tribunale decidere. Tutte le posizioni sono al vaglio, i ragazzi saranno sentiti. Non trattandosi di soggetti imputabili per l'età, è prevedibile che il giudice, eventualmente, opti per provvedimenti che mirino innanzitutto a fare comprendere ai ragazzi il disvalore morale e sociale della loro condotta. Per chi ha partecipato al pestaggio non è esclusa la messa in comunità con un percorso di reinserimento attraverso l'applicazione ai lavori socialmente utili, magari svolgendo volontariato presso strutture che si occupano di disabili. Interpellata dal Messaggero, la madre di una delle ragazzine che ha preso parte al pestaggio, si è detta sconvolta, ha chiesto scusa per la figlia, dispiaciuta oltretutto perché «ha una sorella disabile». Per i ragazzi la denuncia costituirà comunque una menzione che, in situazioni di recidiva, aggraverà qualsiasi provvedimento nei loro confronti. «In questo periodo di isolamento e flessione dei ragazzi su se stessi assistiamo a un crescendo di fenomeni di bullismo e soprattutto di cyberbullismo - afferma l'avvocato Mariarosaria Della Corte, vicepresidente dell'Osservatorio nazionale sulla famiglia, le politiche sociali e la sicurezza -, si stima che il 61% dei ragazzi tra i 13 e i 23 anni ne sia stato vittima e, dato allarmante, la percentuale delle vittime principali di cyberbullismo è rappresentata da ragazze tra gli 11 e i 17 anni. Considerando che i ragazzi sono punibili dopo i 16 anni, al di sotto c'è tutta un'area grigia su cui è urgente intervenire con percorsi rieducativi ad hoc per evitare che diventino dei veri criminali. Questi ragazzi vanno seguiti dagli assistenti sociali e dagli psicologici, va compreso il grado di corresponsabilità delle famiglie, dalle quali possono essere allontanati per un certo periodo di tempo». L'Osservatorio nell'ultimo anno ha censito il proliferare nel dark internet di chat pericolose ma anche di App con domande e risposte anonime, come Tellonym, che favoriscono il cyberbullismo, realtà spesso sconosciute ai genitori. Poco importa che le piattaforme social, anche le più note, siano formalmente non accessibili ai minori. «Tuttavia recentemente - continua Della Corte - c'è stato il pronunciamento di un giudice che ha imposto a un minore il divieto di utilizzare i social per venti giorni. In questo caso non solo i genitori sono stati obbligati a vegliare sul figlio, ma è stata monitorata la connessione internet del ragazzo con il tracciamento degli indirizzi Ip. Ove non c'è un comportamento responsabile vanno individuati dei correttivi, se non intervengono le famiglie deve farlo il giudice». Proprio la scorsa settimana il prefetto di Roma Matteo Piantedosi, alla luce delle continue maxi-risse tra giovanissimi in città favorite dai social, aveva attivato un tavolo con il Tribunale dei minorenni in cui fare convogliare tutte gli elementi info-investigativi raccolti in modo da poter predsporre strumenti di correzione e rieducazione anche nell'ambito dei nuclei familiari. Sull'episodio della dodicenne picchiata era intervenuta anche la titolare del dicastero per la disabilità Erika Stefani: «Si deve agire sul fronte della prevenzione, con azioni specifiche e investendo in sensibilizzazione e cultura... coinvolgendo anche i soggetti territoriali capaci di essere sentinelle del disagio».
Giuseppe Scarpa per “il Messaggero” il 24 aprile 2021. «Mia figlia, disabile di 12 anni, è stata malmenata da tre bulle per qualche like su Instagram. Quando il branco la picchiava altri ragazzini euforici riprendevano la scena e trasmettevano tutto in diretta social. Questa è la più amara delle verità». La madre di Paola, 12 anni, (il nome è di fantasia) è incredula. Arrabbiata. Anche se la solidarietà che sta incassando in queste ore le solleva il morale. «Non siamo sole», ammette. Tra le prime a chiamare la donna due ministre sensibili a queste tematiche: la titolare del dicastero per le Disabilità, Erika Stefani e la collega Mara Carfagna, per il Sud e la Coesione Territoriale. «Non esistono giustificazioni né attenuanti a quanto è successo», sottolinea Stefani. Carfagna si è sincerata delle condizioni di salute della piccola e a breve incontrerà madre e figlia. La vittima, però, a distanza di tre settimane dal pestaggio porta ancora addosso le ferite di ciò che è accaduto. Ieri, dopo l'ennesima visita in ospedale, i medici hanno aggiornato i giorni di prognosi: dai 21 iniziali sono arrivati a un totale di 37. Paola dovrà sottoporsi ancora a diverse sedute di fisioterapia prima di riprendersi. Intanto corre parallela l'indagine. Il caso della 12enne bullizzata è arrivata alla procura dei minori. I carabinieri della compagnia di Montesacro hanno depositato ieri una dettagliata informativa in cui viene descritto, in modo minuzioso, ciò che è accaduto il due aprile in un parco a Roma nord e hanno indicato il reato di lesioni aggravate in concorso. I militari hanno già identificato le tre responsabili dell'aggressione.
Cosa è accaduto il 2 aprile a suo figlia?
«Alle 17 e 17 minuti mia figlia mi telefona e mi dice mamma mi vieni a prendere? Esco di casa in auto e mi dirigo verso il parco. Durante il tragitto Paola mi richiama nuovamente: sbrigati e poi chiude la conversazione. Capisco che qualcosa non sta andando per il verso giusto».
A questo punto cosa succede?
«C'era traffico, ero spaventatissima. In realtà saranno passati pochi minuti ma mi sembrava di non arrivare mai. Mentre ero al volante mi dicevo mio Dio ma cosa accade. Poi finalmente sono lì. E assisto a una scena che non saprei descrivere: la mia Paola, una bambina di 12 anni con delle disabilità, con la maglia strappata, in parte sollevata, con il viso gonfio, sorretta a fatica da un'amica. Ero sconvolta».
Paola le ha detto qualche cosa?
«Ci siamo guardate negli occhi. Io mi sono levata la felpa che indossavo e l'ho messa a lei. Era quasi nuda nel busto. Gliel'ho infilata piano. Per un attimo ho avuto paura a mettergliela, conosco bene le sue fragilità. So quali sono i suoi punti deboli e speravo che non l'avessero colpita in certe parti. Mia figlia sarebbe perfino potuta morire».
A questo punto andate in ospedale?
«Sì, immediatamente. Mi dirigo nell'ospedale che ha in cura la mia piccola. Perché penso che in caso di lesioni gravi sappiano intervenire subito. Nel frattempo succede qualche cosa che mi lascia basita».
Che cosa?
«Il telefonino di mia figlia squilla senza sosta. Amici e conoscenti la chiamano. Il video del pestaggio era andato in diretta sui social. Qualcuno le telefona perché vuole sincerarsi della sua situazione. Molti altri no, vogliono sapere dettagli solo per continuare a spettegolare. Il punto è che Paola non ricordava nulla. Quindi ero ancora più spaventata».
Una sorta di blackout ?
«Lei ha un vuoto di memoria. Oggi fa fatica a ricordare quello che è accaduto dal momento del pestaggio sino all'arrivo in ospedale. Proseguo con il racconto».
Prego...
«Finalmente arriviamo al pronto soccorso. I medici escludono traumi che le possano aver causato danni irreparabili. Ma comunque alla fine stabiliscono 37 giorni di prognosi (21 il 2 aprile e altri 15 in una successiva visita ) che sono tantissimi. Inoltre per un lungo periodo dovremo andare a fare dei controlli».
Perché hanno picchiato in quel modo sua figlia?
«Questa risposta la dovrà fornire la magistratura, la procura, i carabinieri. Di certo Paola non conosceva le ragazze che l'hanno malmenata. Con loro aveva delle amicizie in comune. Questo sì. Per quello che ho potuto capire si è trattato di una esibizione di forza ostentata via social. Hanno fatto la diretta su Instagram mentre la picchiavano. Decine di ragazzi, si vede dal video, hanno il cellulare in mano e riprendono. Infine poche ore dopo il pestaggio una delle bulle si vanta con le amiche sempre sullo stesso social».
Cosa si aspetta adesso?
«Da un lato giustizia. Mia figlia poteva morire date le sue patologie. Dall'altro spero che Paola recuperi completamente. Lei ha fatto dei miracoli per arrivare alla condizione di salute psico fisica in cui si trova ora. Nessuno può rovinare anni di sacrifici. Un'ultima cosa. All'inizio ci siamo sentiti soli, poi siamo stati presi per mano dal Centro Nazionale contro il Bullismo - Bulli Stop, dalla presidente Giovanna Pini e dall'avvocato dell'associazione Eugenio Pini, abbiamo trovato sostegno e la forza di denunciare».
Gemma, da vittima a poliziotta a Londra: "Ho fatto arrestare il mio stupratore". Romina Marceca su La Repubblica il 22 aprile 2021. "Andai in caserma 3 mesi dopo gli abusi. Lui mi minacciava: era il patrigno della mia migliore amica". Sei mesi fa la scoperta del profilo Facebook dell'uomo che abusò di lei. "Alle donne dico: denunciate quando arriva il vostro tempo". Gemma per quindici anni ha custodito nel silenzio tutto il suo dolore. "È arrivato il momento di liberarmi del mio passato. E l'unico modo per farlo è raccontare finalmente la mia storia a viso aperto". Gemma a 16 anni è stata una delle vittime di Luciano Scibilia, il bidello pedofilo di Monterosi, in provincia di Viterbo, che nel 2006 venne accusato da circa venti minorenni.
Andrea Priante per il “Corriere della Sera” il 23 aprile 2021. «Avrei voluto prenderla io quella coltellata». Alice è in camera sua, in una palazzina elegante a dieci minuti dal centro di Verona. Il nome è di fantasia, perché ha solo 17 anni e perché - come dicono mamma e papà - «anche adesso va protetta». È per difendere lei che, sabato, è intervenuto Michele Dal Forno, il rider di 21 anni che stava consegnando delle pizze e che l'ha notata mentre discuteva con due minorenni. «Le ho chiesto se stesse bene, mi ha risposto di sì ma si capiva che era preoccupata», ha raccontato. Uno dei ragazzini, appena 16 anni, si è avvicinato con le mani in tasca. «Ha tirato fuori il coltello e con un colpo mi ha tagliato la faccia». Una ferita che dalla bocca arriva all'orecchio sinistro. «I medici dicono che la cicatrice rimarrà ma che la chirurgia può fare grandi cose. Lo spero tanto...». Su internet è partita una raccolta fondi: in 24 ore, quasi 40 mila euro. Intanto Alice e la sua famiglia osservano in disparte ciò che sta capitando. Sono sconvolti. «Il ragazzo che ha dato la coltellata era stato un mio compagno di scuola - ha spiegato alla polizia - e avevo deciso di troncare ogni rapporto. Quando si è avvicinato al fattorino, che conoscevo di vista, ho detto a tutti di lasciar perdere. Poi è partito il colpo: credevo gli avesse dato un pugno e invece c'era tutto quel sangue che usciva dal viso». Il sedicenne è fuggito ma i poliziotti l'hanno cercato per ore, fino ad arrestarlo coi complimenti del questore. A coordinare l'intervento è stata la dirigente delle Volanti, Vanessa Pellegrino: «Ciò che ha fatto quel 21enne è importante e va ringraziato: la sicurezza di una città passa anche attraverso il senso civico dei suoi abitanti e la collaborazione tra cittadini e forze dell'ordine. L'indifferenza non fa che favorire la criminalità». Restano alcuni dettagli da ricostruire. Lo scorso anno il minore si era rifatto vivo con l'ex compagna di scuola; subito i genitori si erano preoccupati, intuendone la pericolosità, e avevano fatto partire una segnalazione. A quel punto era di nuovo sparito. Fino a sabato, quando con l'amico si è presentato di fronte ad Alice, non è chiaro con quali intenzioni. Di certo, però, in tasca nascondeva il coltello. «Mia figlia è sotto choc - racconta la mamma - trascorre le giornate a letto, non va a scuola, ha smesso anche di mangiare. Siamo molto preoccupati, cerchiamo di starle vicino». La ragazza ha mandato un messaggio a Michele per dirgli che le dispiace tantissimo per ciò che gli è successo. E anche ora ripete ai genitori che avrebbe preferito prendersela lei, quella coltellata. «Deve ricominciare a vivere - riflette il padre - e dev'essere una vita non pervasa da terrore e intimidazione». La famiglia vorrebbe incontrare il rider, appena si calmeranno le acque. «Diremo direttamente a lui ciò che pensiamo e del nostro dolore. In questo momento - prosegue il papà - voglio sappia che siamo solidali e vicini ai suoi genitori, profondamente costernati per ciò che ha dovuto subire. Sono cose che non dovrebbero capitare. Purtroppo, questa è la nostra società: sempre più egoista. Ma è bello che ci sia ancora qualcuno che si interessa degli altri».
"Dopo lo sfregio al volto, mi ha chiamato solo Salvini. Sinistra in silenzio". Elena Barlozzari il 22 Aprile 2021 su Il Giornale. Parla Michele Dal Forno, il rider pugnalato in faccia da un minorenne: "Non mi sento un eroe, ho solo cercato di difendere una ragazza". Si è beccato una pugnalata in faccia e ancora non riesce a realizzare. Michele Dal Forno, 21 anni, stava consegnando le pizze nella sua città, in zona Ponte Crencano, a Verona, quando si è trovato di fronte a un bivio: girarsi dall’altra parte oppure aiutare una ragazza in difficoltà. "Non potevo far finta di nulla, se le fosse successo qualcosa di brutto non me lo sarei potuto perdonare", dice oggi a ilGiornale.it. Così Michele è intervenuto. Le conseguenze di quella decisione sono una ferita che gli arriva dal naso alla tempia. Sì, perché uno dei due minorenni con cui stava litigando la malcapitata, un sedicenne di origini albanesi, già noto alle forze dell’ordine, ha reagito alla sua intrusione pugnalandolo al viso.
Come stai?
"Benino dai, diciamo che ho visto giorni migliori, ma bisogna andare avanti…"
Che effetto ti fa guardati allo specchio?
"È impegnativo, penso a chi ero e a come sono adesso... mi fa impressione. Fatico a riconoscermi."
Cosa rappresenta per te quella ferita?
"È il segno evidente che c’è qualcosa che non va nella nostra società".
A cosa ti riferisci?
"Che non è normale che un ragazzino con almeno due denunce alle spalle se ne vada in giro armato per la città. Dove sono le famiglie? E le istituzioni?"
Raccontami di sabato scorso…
"Erano più o meno le otto e mezza di sera. Stavo tornando al motorino quando ho visto una scena che non mi piaceva affatto: c’era questa ragazza, che conosco di vista, accerchiata da due ragazzini. Litigavano. Lei aveva un’aria spaventata, così mi sono avvicinato e ho semplicemente chiesto cosa stesse succedendo…"
Poi?
"Uno dei due aveva le mani in tasca, è arrivato a un metro da me e mi ha sferrato un fendente: un colpo secco. Lì per lì credevo fosse un pugno, mai avrei pensato a una coltellata in faccia."
Quando hai capito che era una pugnalata?
"Poco dopo, quando ho sentito scendere il sangue a fiotti."
Cosa dice il referto?
"Un mese di prognosi e non so quanti punti di sutura sulla faccia, ho provato a contarli: solo quelli esterni sono almeno trenta. Il coltello è arrivato fino all’osso, tranciandomi un pezzo di narice."
Cosa ti aspetta ora?
"Il percorso di guarigione è lungo, ci vorranno delle sedute di laser e forse anche un intervento di chirurgia ricostruttiva… insomma, dovrò affrontare parecchie spese e non so neppure se alla fine tornerò quello di prima."
Sul web c’è una raccolta fondi…
"Sì, l’ha organizzata il mio datore di lavoro, al quale sono profondamente riconoscente, così come ringrazio tutti quelli che sinora hanno aderito."
Oggi hai parlato anche con Matteo Salvini, cosa vi siete detti?
"Gli ho raccontato come sono andate le cose e abbiamo ragionato insieme sulla follia di quello che mi è accaduto."
Ti hanno chiamato anche i leader di altri schieramenti?
"No."
Secondo te come mai non si sono fatti vivi?
"Forse perché il mio aggressore è di origine albanese..."
E allora?
"Se fosse stato il contrario, la vittima straniera e l’aggressore italiano, avrebbero chiamato in tanti. Mi dispiace dirlo ma è così."
Tu hai chiesto che la tua foto venisse diffusa, come mai?
"Per far conoscere la realtà."
Hai rimpianti?
"No, la mia famiglia mi ha insegnato a non girarmi mai dall’altra parte se c’è qualcuno in difficoltà. Certo, se dovessi ritrovarmi in una situazione simile adesso, la affronterei in modo diverso, con più consapevolezza."
Qualcuno ti definisce un eroe…
"Non mi sento un eroe, sono una persona normale, con la faccia sfregiata e l’orgoglio di aver aiutato una ragazza in pericolo."
Daniela Mastromattei per “Libero quotidiano” il 12 aprile 2021. Ci sono parole che scaldano il cuore, che strappano un sorriso e sono un inno alla gioia, ma ci sono parole che feriscono come una lama affilata, che toccano l' animo nel profondo. Parole violente che lasciano il segno. Parole che uccidono, che mettono in dubbio ogni cosa, che innescano vortici pericolosi di rabbia, aggressività, risentimento, disistima e conflitti inarrestabili. Direbbe Freud: «Con le parole un uomo può rendere felice un altro o spingerlo alla disperazione...». Così è: le parole sono frecce, reti sufficientemente grandi da catturare il mondo e abbracciare i cieli, ma a volte sono come proiettili, per usare il linguaggio degli psicoterapeuti. E rischiano di far finire un amore. Frasi pronunciate per gioco («sembri un' oca», «ma come sei sguaiata») o per spirito di provocazione («lascia stare faccio io, tu non sei in grado») che mettono in dubbio la dignità e le capacità dell' altro. O dal retrogusto amaro («ma come ti sei vestita», «ti vedo un po' ingrassata...», «perché hai tagliato i capelli che sembri un maschiaccio, così sei poco femminile e seducente») che colpiscono l' aspetto fisico e la sicurezza dell' altra persona. Punzecchiature particolarmente amate, dicono gli esperti, dai narcisisti sempre pronti a denigrare chiunque, pure la dolce metà se necessario, per sentirsi superiori.
LE OFFESE. «Non conosco nulla al mondo che abbia tanto potere quanto la parola. A volte ne scrivo una, e la guardo, fino a quando non comincia a splendere», raccontava Emily Dickinson. E quando non splende ed è cupa e sprezzante può accadere che uno dei genitori si senta dire dall' altro: «Tuo figlio non è buono a nulla, ha preso tutto da te». Qui l' offesa è ancor più grave perché investe la persona, ma coinvolge anche il frutto dell' amore e il rapporto intimo e sessuale. Difficile da mandar giù. «Può capitare che si usino espressioni forti per cercare una riconnessione col partner; dietro certe frasi a volte si nascondono emozioni che vanno dalla paura al dolore o alla disperazione», spiega a Libero la psicologa Emma Cosma. Che aggiunge: «A volte si va a provocare involontariamente uno scossone per avere una reazione, ma è pericoloso, potrebbe trasformarsi in un terremoto dai risvolti inaspettati. Va bene litigare in modo sano, ma sono le aggressioni verbali che rischiano di minare le fondamenta della coppia, anche quelle dalle intese più solide». E se il rapporto interpersonale è complesso lo è pure quello con se stessi. «Quando lui (o lei) dice "è tutta colpa tua", in realtà nasconde una difficoltà a guardarsi dentro; è più facile colpevolizzare l' altro che fare autocritica», spiega la psicoterapeuta. Terribile, per esempio, sentirsi dire «il mio ex diceva o faceva»: è una frase irrispettosa che mette l' altro in una condizione di confronto. L' ex da quel momento in poi sarà un fantasma che apparirà e scomparirà e poi riapparirà di nuovo. E così all' infinito. «A livello emozionale fa più male all' uomo che alla donna. In lui potrebbe scatenare una gelosia incontrollabile, nella donna invece una sottile competizione basata sul voler dimostrare di essere migliore. Per entrambi la sensazione di inadeguatezza è forte», sottolinea la Cosma.
DINAMICHE GIÀ VISTE. Quanti danni ha provocato l' infelice critica «sei proprio come tua madre». Chi la pronuncia potrebbe provare frustrazione, rabbia e intolleranza a dinamiche già osservate nella suocera. Per chi la subisce, soprattutto se ha da sempre un rapporto conflittuale con il genitore chiamato in causa, dal quale ha cercato per tutta la vita di prenderne le distanze per creare una propria identità, il paragone è deleterio perché va a riaprire vecchie ferite. Da dove arrivano così tante frasi offensive quando si ama? «Sono tante le motivazioni. Per affermare un potere, per competizione, per sentirsi più forti e meglio del partner o perché ci si sente superiori o perché non si accetta l' altro e quindi lo si svaluta», risponde la Cosma. «Come uscirne? Con una riflessione profonda su se stessi che permetta di accettarsi per quello che si è; perché più ci si vuol bene e più aumenta la capacità di amare gli altri». Stiamo parlando di sentimenti che prevedono generosità, rispetto, fiducia, stima e accettazione; tra innamorati insulti e paragoni ripetuti ogni giorno sono delle vere e proprie forme di maltrattamento. Se scegli un partner è perché lo desideri così com' è, con tutti i suoi limiti. Ma se vivi nella speranza o nell' attesa di vederlo cambiare, e nel frattempo lo punzecchi con battute sarcastiche, non è quello giusto. Non sempre si è d' accordo su tutto e le critiche costruttive non hanno mai fatto male a nessuno. Ma la discussione deve essere mantenuta sui toni gentili ed educati, se si trascende una volta, il rischio che diventi una brutta abitudine è alto. E basta poco per far crollare la fiducia. Mai pronunciare «lo sapevo che di te non mi dovevo fidare». È come dire «non ho mai creduto in te fino in fondo, una parte di me sapeva che eri una persona inaffidabile». Frasi di questo tipo minano intesa e complicità e fanno saltare la coppia. «Le parole sono pietre», direbbe Carlo Levi. E ancor prima il saggio drammaturgo Publilio Siro: «Mi sono spesso pentito di aver parlato, mai di aver taciuto».
Torino, assolto da stupro perché la vittima "non urlò": ma per la Cassazione il processo è da rifare. Sarah Martinenghi su La Repubblica il 6 aprile 2021. La Suprema corta ha accolto il ricorso della procura generale, il caso coinvolse istruttore della Croce Rossa. Era stata un'assoluzione clamorosa quella di Massimo Raccuia, soccorritore ed istruttore del 118: l'accusa era quella di aver violentato una collega, in una piccola stanza dell'ospedale Gradenigo di Torino utilizzata dai volontari nelle pause di riposo. In primo grado la donna non era stata giudicata attendibile, perché secondo i giudici "aveva detto basta, ma non aveva urlato", non aveva "tradito emotività". Una sentenza che aveva fatto discutere: il giudice aveva addirittura stabilito di trasmettere gli atti in procura per procedere contro la vittima per calunnia. In appello il processo aveva preso una piega completamente diversa: la donna, assistita dall'avvocato Virginia Iorio, era stata riascoltata, aveva confermato tutto e questa volta era stata ritenuta pienamente credibile. Per i giudici non c'erano dubbi che la violenza sessuale fosse stata commessa e da lei subita. Tuttavia Raccuia, difeso dagli avvocati Vittorio Rossini e Cosimo Maggiore, era stato di nuovo assolto: questa volta a salvarlo era stata la tesi della corte sulla "non procedibilità" del reato. Mancava cioè la querela, la volontaria non aveva sporto subito denuncia, quindi lui non era (di nuovo) condannabile. Il sostituto procuratore generale Elena Daloiso, che aveva sostenuto in aula l'accusa contro Raccuia, aveva fatto ricorso per Cassazione. Aveva puntato sul ruolo di "superiore" che Raccuia ricopriva all'interno della Croce Rossa. Nonostante si trattasse di un volontario, un ordine di servizio gli affidava un incarico di organizzazione del lavoro degli altri colleghi, era una sorta di coordinatore regionale, quindi la vittima era, di fatto, una sua sottoposta. E non aveva fatto subito denuncia anche perché timorosa di questa sua situazione, scegliendo poi di sporgerla successivamente: una querela tardiva secondo i giudici del secondo grado. Gli Ermellini hanno invece dato ragione alla procura generale: il processo d'appello è ora da rifare, la querela non è stata ritenuta necessaria e quindi il reato è stato giudicato, in questo caso, procedibile d'ufficio. Il fascicolo è tornato a Torino dove sarà assegnato ai giudici di secondo grado di un'altra sezione rispetto a quelli che si erano già espressi. La violenza sessuale sarebbe avvenuta nel 2011. Raccuia era in realtà accusato di aver compiuto atti sessuali anche su un'altra giovane collega, una ragazza di soli 19 anni: nemmeno lei aveva sporto denuncia contro di lui. In primo grado il pm Marco Sanini aveva chiesto la sua condanna a dieci anni di carcere.
Dante con Paolo e Francesca: in fondo all’Inferno chi commette femminicidio. L’iniziativa multimediale del Corriere, con Aldo Cazzullo: 20 video per un viaggio nell’Aldilà. Uno dei versi più famosi ha ispirato Venditti e Jovanotti: «Amor che a nullo amato amar perdona» - Aldo Cazzullo /CorriereTv il 29/3/2021. Nel V Canto dell’Inferno, Dante giunge con Virgilio nel secondo girone, dove sono puniti i Lussuriosi. È il tema del sesto video con cui Aldo Cazzullo ci conduce a ripercorrere la discesa agli Inferi. Il progetto, su Corriere.it, prevede 20 video, un contributo al giorno, weekend esclusi (su «7» abbiamo presentato la mappa completa del viaggio, leggi qui). Oltrepassato Minosse — gran conoscitor de le peccata — il Sommo Poeta incontra per la prima volta dei veri dannati puniti nel loro cerchio. Due anime escono dalla schiera dei morti per amore. Sono Paolo e Francesca, ed è lei a parlare (mentre lui si limita a piangere): «Amor, ch’ al cor gentil ratto s’apprende, Prese costui della bella persona Che mi fu tolta e il modo ancor m’offende. Amor, che a nullo amato amar perdona, Mi prese del costui piacer sì forte Che, come vedi, ancor non m’abbandona». Narra del loro infelice amore clandestino (lui era il fratello dell’uomo che Francesca aveva sposato per un patto tra le due potenti famiglie di Ravenna e Rimini) e ricorda come: «Amor condusse noi a una morte Caina attende chi a vita ci spense». L’ultimo verso è meno noto ma importante, spiega Cazzullo, perché l’assassino, il responsabile del più famoso femminicidio nella storia della letteratura finirà nella «Caina», il punto più brutto di tutto l’Inferno, «dove sono puniti i traditori dei parenti, Caino appunto». E secondo Dante in fondo all’Inferno c’è il ghiaccio, simbolo dell’odio e della disperazione. Ed è lì che vanno a finire coloro che fanno del male alle donne: «Perché la violenza contro le donne non è un problema delle donne soltanto — avverte Cazzullo — è un problema di noi uomini. Siamo noi uomini che dobbiamo cambiare e far cambiare i violenti». Dante nella sua modernità «si era posto anche questo problema: punire coloro che fanno del male alle donne».
Antonio Grizzuti per “La Verità” il 29 marzo 2021. Non se ne parla, oppure se ne parla pochissimo, ma la violenza sugli uomini esiste eccome. E discuterne non equivale certo a negare o sminuire il gravissimo problema della violenza sulle donne e il femminicidio. Tutt'altro, significa affermare con forza il concetto della parità di genere, che spesso viene invece brandito come una clava per ragioni di natura ideologica. Tracciare i contorni di questo fenomeno non è affatto semplice. Specie in Italia, infatti, le statistiche scarseggiano oppure sono obsolete. Lo studio più autorevole in merito alla violenza sui maschi, e forse anche quello più citato, è quello realizzato dall'Istat e risale addirittura a febbraio del 2018. Nel rapporto intitolato «Le molestie e i ricatti sessuali sul luogo di lavoro», per la prima volta l'istituto di statistica rivolgeva i quesiti sulle molestie anche ai cittadini di sesso maschile tra i 14 e i 65 anni, segno che fino ad allora questa problematica era stata pressoché totalmente ignorata. Risultato: ben 3,7 milioni di uomini hanno subito molestie nel corso della loro vita, dei quali 1,27 milioni negli ultimi tre anni, e 610.000 nei 12 mesi precedenti (le interviste sono state effettuate tra il 2015 e il 2016). La casistica maggiormente ricorrente riguarda le molestie verbali (8,2%), seguite dal pedinamento (6,8%), le molestie con contatto fisico (3,6%), gli atti di esibizionismo (3,5%), le telefonate oscene (2,5%) e le molestie tramite social network (2,2%). Complessivamente, le donne si sono rivelate responsabili del 23,7% degli abusi subiti dagli uomini. Se si entra nel dettaglio, è la stessa Istat a definire «non trascurabile» la percentuale di autrici delle molestie: il 48,1% in caso di molestie tramite reti sociali, 36,7% di telefonate oscene, 34,6% dei casi nei quali gli uomini sono stati costretti a vedere immagini sessuali oppure materiale pornografico e il 24,8% di molestie fisiche. Riguardo al luogo nel quale si sono verificati i fatti, al primo posto ci sono i luoghi di divertimento (discoteca, pub, ristorante, bar, cinema e teatro) con il 29,2%, seguiti dalla strada (14,2%) e dai mezzi pubblici (12,7%). Un'altra ricerca citata frequentemente risale addirittura al 2012 ed è stata elaborata da un gruppo di ricercatori guidati dal professor Giuseppe Pasquale Macrì dell'università di Siena. Nel loro lavoro, gli studiosi hanno somministrato un questionario di 68 domande a 1.058 soggetti di sesso maschile tra i 18 e 70 anni. A differenza del successivo rapporto formulato dall'Istat, i quesiti del team di Macrì sono tutti incentrati sulla violenza da parte delle donne sugli uomini, con domande del tipo: «È capitato che una donna abbia minacciato di colpirti fisicamente?», oppure: «È capitato che una donna ti abbia disprezzato o deriso per un tuo difetto sessuale, o perché insoddisfatta di una tua prestazione?»; e ancora: «È capitato che una tua partner ti abbia criticato sgradevolmente perché non riesci a guadagnare abbastanza?». Nel caso della violenza fisica, quattro risposte hanno raccolto una percentuale superiore al 50%: la minaccia di esercitare violenza fisica, la messa in atto della violenza stessa (graffi, morsi, capelli strappati), il lancio di oggetti e le percosse. Parlando di violenza sessuale, invece, le casistiche riguardano soprattutto l'umiliazione relativa alla scarsa resa nei rapporti intimi, oppure la derisione per un difetto fisico. Ma il tipo di abusi più diffusi, spiegano i ricercatori, riguarda la sfera psicologica ed economica. Si va dalle critiche per un impiego mal remunerato, alle critiche e alle offese in pubblico, alla sincerità e fedeltà messa costantemente in dubbio, fino a veri e propri pedinamenti. Una percentuale piuttosto elevata riguarda la famiglia di origine dell'uomo: nel 72,4% dei casi la partner ha criticato i parenti, pur sapendo che questo avrebbe ferito il compagno, mentre nel 68,8% dei casi la donna ha messo in atto impedimenti o limitazioni agli incontri con i figli o la famiglia d'origine. La letteratura scientifica internazionale offre qualche spunto in più. Uno studio pubblicato nel 2015 sul Journal of forensic and legal medicine ha esaminato tutti i certificati medici dei centri antiviolenza, scoprendo che l'11% delle vittime erano maschi. Un'altra ricerca, pubblicata nel 2016 sul Journal of research in nursing, ha invece paragonato 19 studi scientifici sul tema, individuando alcuni punti chiave: un numero significativo di uomini ha subito violenza domestica; gli uomini fanno più fatica a rivelare e denunciare le violenze domestiche; le barriere imposte dalla società rendono più arduo il supporto nei confronti di vittime di sesso maschile. L'anno scorso, infine, un altro articolo apparso sulla rivista medica tedesca Deutsches Ärzteblatt ha paragonato altri studi sulla problematica, stabilendo i tassi di incidenza per la violenza fisica (tra il 3,4% e il 20,3%), quella psicologica (7,3%-37%) e sessuale (0,2%-7%). Numeri di fronte la società civile non può continuare a fare finta di nulla.
Antonio Grizzuti per “La Verità” il 29 marzo 2021. Patrizia Montalenti è il presidente del Centro antiviolenza (Cav) per le persone vittime di violenza domestica e stalking Ankyra, unico in Italia a occuparsi quasi esclusivamente di casi di violenza sui maschi.
Come nasce l'idea di fondare Ankyra?
«Dalla convinzione che preciso dovere di una società debba essere prevenire e condannare la violenza relazionale a prescindere dal genere e dall'orientamento sessuale di autori e vittime. La violenza domestica è una tipologia di maltrattamento che coinvolge tutti i membri della famiglia. Mettendo al centro la persona, la mission di Ankyra è accogliere e sostenere la vittima attraverso un percorso di accoglienza, valutazione del rischio, monitoraggio, assistenza medica, psicoterapica e legale, offrendo una risposta concreta per il recupero della propria dignità e benessere personale».
Seguite tanti casi?
«A oggi, il Centro ha accolto 670 vittime».
Tantissime. Eppure, parlare di violenza sui maschi è ancora un tabù. Perché gli uomini fanno fatica a denunciare?
«Esistono diversi fattori, tra i quali la difficoltà a riconoscersi nel ruolo di vittima (lo stereotipo dell'uomo virile) e a raccontare ad altri il proprio disagio, la minimizzazione della violenza in particolare se rivolta a se stesso, e il timore di non essere creduto dalle istituzioni e pertanto subire una seconda vittimizzazione».
Ma quali sono i problemi nei quali vi imbattete più frequentemente?
«I dati estratti dal nostro database rivelano che il maltrattamento più diffuso è di tipo psicologico (85%), seguito da quello fisico (63%) e da stalking e revenge porn (20%). Va da sé che laddove vi è violenza fisica è presente anche la violenza psicologica. La coorte di età maggiormente colpita risulta quella tra i 34 e i 55 anni, ma è in aumento la vittimizzazione nella coorte di età giovanile (24-34 anni). Le ripercussioni più frequenti negli uomini maltrattati sono: ansia, attacchi di panico, difficoltà lavorative, ideazione suicidaria, difficoltà di concentrazione e insonnia».
Che effetti ha avuto la pandemia sull'andamento delle segnalazioni?
«La domanda è di molto aumentata, passando dai 144 casi gestiti da marzo 2019 a febbraio 2020, ai 226 casi da marzo 2020 a febbraio 2021».
Un quadro a tinte fosche.
«Il portato di sofferenza dei nostri assistiti consta principalmente delle mortificazioni, delle umiliazioni e dello svilimento ricevuti, soprattutto se in presenza dei figli. Il loro timore è perdere in qualche modo il loro ruolo genitoriale nel caso in cui decidessero di porre fine alla relazione disfunzionale».
Ci può far comprende meglio, magari sfruttando l'esempio di un caso che avete seguito?
«Giulio (nome di fantasia, ndr) è un imprenditore di 39 anni coniugato da 7 anni con una donna che lavora part-time come impiegata. La coppia ha due figlie minori. Ci contatta in quanto vittima di violenza fisica e psicologica a opera della moglie e in presenza delle figlie. Sberle, calci, morsi, lanci di oggetti, insulti, svilimenti e mortificazioni. La signora controlla il cellulare del marito in quanto ritiene che egli abbia una relazione intima con un'altra donna. La coppia ha tentato una terapia di coppia dalla quale è emerso un disturbo della personalità della signora, la quale assume anche psicofarmaci. Anche per questo motivo, Giulio non lascia la casa coniugale, temendo per le due figlie, e naturalmente è fortemente provato dalla situazione e sta seguendo un sostegno psicologico».
Sono sempre situazioni così disperate?
«No, per fortuna. Peraltro, Ankyra non è affatto favorevole alla separazione a ogni costo. Vi sono stati casi di violenza psicologica che si sono risolti positivamente attraverso un periodo di terapia di coppia. Certo, laddove vi è una violenza fisica reiterata si fa tutto più difficile».
Come giudica il ruolo delle istituzioni?
«Le amministrazioni locali più illuminate condividono la nostra mission e si confrontano con noi. Il Comune di Milano, ad esempio, ha concesso al Centro una postazione nella Casa delle associazioni di volontariato. I commissariati di polizia che sono a conoscenza della nostra realtà ci contattano per inviarci situazioni di nostra competenza. Tuttavia, molta strada rimane ancora da dare, e a tutt'oggi Ankyra non beneficia di finanziamenti pubblici, mentre il carico di lavoro è in continuo aumento».
Qual è la prima mossa che dovrebbe muovere un uomo vittima di violenza?
«Il primo approccio con il Centro è segno di una parte di consapevolezza che lo porta a ricercare un confronto. Se l'uomo è vittima di violenza fisica dovrebbe in ogni caso denunciare o mettersi in contatto con chi è in grado di aiutarlo, al fine di tutelare se stesso. Laddove vi siano figli, è un suo dovere nei loro confronti, in quanto la priorità è quella di sottrarli alla violenza assistita. Ankyra assiste le vittime nel rispetto della riservatezza, dei loro tempi e desideri, all' interno di un progetto condiviso».
Dove operate?
«Accogliamo le vittime di tutto il territorio nazionale, anche attraverso colloqui telefonici e in videoconferenza, avvalendoci della collaborazione di professionisti e consultori presenti nel Paese. Nel corso dell'ultimo anno abbiamo anche ricevuto 72 segnalazioni dal 1522, il numero nazionale per le vittime di violenza domestica e stalking».
Il dibattito. Modello Usa errato, celebrare un processo ideologico ai maschi non serve a niente. Paolo Guzzanti su Il Riformista il 30 Marzo 2021. Quando ho chiesto al Direttore il permesso di intervenire sulla bruciante questione del processo ai maschi dopo l’articolo di Francesco Piccolo sul Corsera, ma ripreso da Angela Azzaro sul Riformista, ha detto di sì, ma credo che non fosse davvero contento e dunque lo ringrazio. Avendo ottantuno anni, sono un vecchio maschio. Non esistevano i maschi alfa e beta, intorno al 1970 quando il femminismo attecchì in Italia dopo essere già maturato negli Stati Uniti e in Francia. Noi allora, tutti noi maschi di sinistra ci avventammo famelici sulla necessità di dirci femministi in blocco, accompagnare le manifestazioni e le iniziative delle nostre compagne, figlie, sorelle, fidanzate e amiche con una volontà – allora – del tutto inadatta per portare qualsiasi utile contributo. Voluttuosamente ci dichiarammo colpevoli e basta. Di femminicidi allora non si parlava. Non che non ci fossero: le donne cadevano sotto i colpi dei maschi (e anche dei parenti e della società organizzata in religioni e tradizioni tribali). Esattamente come oggi. Credo di essere stato fra i primi se non il primo a parlare di femminicidio quando dirigevo con Piero Ardenti il Giornale di Calabria nel 1975 ed ero sconvolto non solo dalla quantità di ragazze, donne adulte, madri e anche nonne neonate uccise, ma dall’indifferenza con cui queste notizie erano registrate: decapitata una donna a Locri, arsa viva una ragazza a Reggio, una notizia “breve” in cronaca locale. Detta così, suona razzista nei confronti dei calabresi. Era così in molte regioni e in una certa misura in tutte. Io collezionai le notizie delle uccisioni di donne di un anno in Calabria e pubblicai un paginone intitolato “Mia cara donna, ti ammazzo”. Alle fine di quell’anno, il 1975, Eugenio Scalfari mi chiamò nella nascitura Repubblica che andò in edicola il 16 gennaio del 1976 e mi chiese di riscrivere quell’articolo che pubblicò con lo stesso titolo: “Mia cara donna, ti ammazzo”. Ci vuole pochissimo per rendersi conto che in tutte le cronache di tutte le società del mondo lo sterminio delle donne, la loro sottomissione violenta o per costrizione da addestramento, è una costante della vita dell’homo sapiens sapiens, cui però la donna sapiens non è stata associata, almeno in prima battuta. Le donne sono tuttora macellate ritualmente e costantemente in tutti i Paesi che rifiutano la Carta dei diritti dell’Uomo, ma lo fanno in un regime di sostanziale impunità. Quando la regina Vittoria compì il suo storico viaggio in Australia, un potente monarca indigeno le venne incontro muovendo dal massiccio centrale portando con sé oltre ad altre bestie, un certo numero di mogli, alcune delle quali in caso di necessità potevano essere usate come cibo. Gli antropologi registrarono la cosa come curiosità. La donna è stata tutto quel che sappiamo: non soltanto moglie madre amante serva puttana badante consolatrice e cuoca, ma fondamentalmente una macchina da produzione e riproduzione: un grappolo di uova con sopra un cervello di cui non era del tutto chiara l’utilità e una porta Usb per l’inserimento di codici genetici ingravidanti. L’infibulazione di cui nessuno parla seriamente è un atto di vigilanza armata e mutilante esercitata in genere da donne matriarche sulle giovani. L’idea ricorrente di processare i maschi la trovo ritualistica. Processare chi e perché? Non è chiaro. Quel che è chiaro è che la mostruosità di una situazione che dura da sempre e che ancora si protrae, va stroncata. Pensare di stroncarla chiamando i maschi sul banco degli accusati per celebrare un processo ideologico è – a mio non incompetente parere – una sciocchezza perché il maschio di sinistra è particolarmente felice di mettersi alla gogna e confessare ogni delitto. Non serve a niente. Ricordo che nei primi Settanta un gruppo di madri femministe della scuola Montessori di via Santa Maria Goretti che era la scuola pilota per le nuove costruzioni identitarie, pensò di sradicare l’aggressività dei figli maschi imponendo loro un abbigliamento unisex, un comportamento desessualizzato e fortemente colpevolizzato, sicché giravano questi ragazzini in salopette decorate con ricami e che diventarono adolescenti e poi uomini (ne conosco parecchi oggi uomini adulti) – con una forte componente di rancore che ha generato spesso altra violenza perché probabilmente sia la domanda che la risposta erano sbagliate. Sarebbe stato necessario, allora come oggi, uno sforzo culturale che finora non si è visto, non per denunciare e bollare – ma per capire e smontare. Si tratta di un processo di sminamento molto delicato al quale processi e autocoscienze ipocrite aggiungono pochissimo vantaggio pratico, anzi nessuno. Purtroppo sta passando anche da noi l’ideologia straripante negli Stati Uniti, già prolifica nel Regno Unito e in Francia ma ancora poco rigogliosa da noi, secondo cui ognuno deve cercare di collocarsi in una posizione di minoranza oppressa che reclama vecchi conti secolari. Non è possibile chiedere a un ragazzino di quindici anni di pagare il suo pedaggio ereditario per ciò che fecero i suoi avi, o forse subirono, non si può mai sapere. E neppure le ragazze di quindici e venti anni di oggi chiedono questo. Tuttavia, le donne seguitano a morire e seguita a prosperare un male che sarebbe meno oscuro se qualcuno si prendesse la briga di illuminarlo, capirlo, introdurre il codice antivirus. Sui social stanno avvenendo effetti moltiplicatori esponenziali della vittimizzazione delle ragazze, per puri automatismi elettronici e nessuno fa nulla per fermare questa strage sottostante le stragi fisiche. Miliardi di ragazze di tutto il mondo, in questo momento sono sottoposte a un processo di schiavizzazione di massa attraverso le foto imposte e i suicidi e le umiliazioni cui anche i maschi pagano un tributo di sangue e la pratica dell’omicidio sia in allegato che in sangue e carne, si sta facendo strage e mattatoio. Certo, la sinistra festeggia la propria condiscendenza verso l’auto da fè, perché l’autoaccusa e il piccolo gruppo di autocoscienza permettono la massima nutrizione del narcisismo e i maschi – questo sì, concediamolo – sono narcisisti nati e cresciuti, raramente svezzati. Consiglio a tutti come gesto non penitenziale, di riascoltare su You Tube “Il potere dei più buoni” di Giorgio Gaber, per una doccia acida preventiva contro tutti i residui e le vecchie incrostazioni. Quando il femminismo italiano sbocciò e fiorì negli anni Settanta, sembrava che il mondo fosse cambiato o fosse sul punto. Ma furono soltanto parole e poi l’oblio. Sarebbe utile non mancare di nuovo l’occasione e per dare il cattivo esempio mi dichiaro intanto colpevole, tanto, che cosa costa? Molto, credetemi. Costa molto perché nutre la fame di finta espiazione e aggira il problema, anzi la cancrena. La quale gode – come malattia – di eccellente salute.
Il tema dei femminicidi. Ha ragione Francesco Piccolo: un giusto processo per i maschi. Angela Azzaro su il Riformista il 27 Marzo 2021. In un articolo di Francesco Piccolo pubblicato ieri da La Repubblica, l’autore evidenzia due o tre concetti che aiutano a mettere a fuoco il dibattito sui femminicidi e le responsabilità degli uomini. Piccolo fa due ragionamenti. Il primo è una critica rivolta agli uomini: visto che molto spesso, quelli di sinistra, beneducati, tendono a non volersi far incastrare. Dicono: io non c’entro, non sono coinvolto. Io non sono un maschio cosiddetto “alfa”, sono loro i colpevoli, sono loro che vanno messi sotto accusa. Noi maschi non alfa non andiamo processati, non andiamo messi in discussione. Spiega Piccolo: è una scusa, un tirarsi indietro. Tutti gli uomini devono sentirsi coinvolti, tirati dentro, senza aver paura. Ma, spiega ancora l’articolo, un po’ di paura è motivata, perché spesso in questi anni, mescolando pere e mele, gli uomini sono stati vittime di processi sommari, di gogne mediatiche, di veri e propri linciaggi. Tutti, però, ma proprio tutti meritano un giusto processo e meritano di non essere condannati alla pena capitale, come ricorda l’associazione Nessuno tocchi Caino. Vero. Il Me too per esempio è stato questo. Partita da una giusta rivendicazione di libertà e di attacco alle molestie, è diventato un palcoscenico su cui tagliare teste, farle rotolare a uso e consumo dei riflettori. Di quella storia, che ogni tanto ricompare, resta non la fine delle molestie sulle donne, non la fine della violenza sulle donne, ma la scia di ingiustizie che diversi uomini, prima accusati, poi linciati, hanno subito. Ma che cambiamento è questo? Forse allora, oltre a rivendicare un giusto processo, in un giusto tribunale, andrebbe anche lasciata per sempre questa pratica e questa metafora. Se parliamo degli uomini in generale, non facciamo riferimento più alla “giustizia” ai “processi”, facciamo riferimento alla cultura, alle identità, al cambiamento. In questa direzione vanno le manifestazioni che si sono svolte in molte città e in cui gli uomini hanno detto “io c’entro”. Non si tratta di mettersi da soli sulla graticola, ma di riflettere sul modello di società che uomini e donne hanno costruito, di quel potere maschile che oggi finalmente viene duramente criticato. Eppure, come ha denunciato su queste pagine l’importante intellettuale femminista, Lea Melandri (Il Riformista, 25 marzo), ci sono molte resistenze all’autocoscienza maschile, da parte sia di una parte consistente di uomini, ma anche da parte di molte donne. Il loro ragionamento è lo stesso del Me too: gli uomini sono colpevoli a prescindere, lo sono per natura, inutile perdere tempo con cambiamenti, costruzioni di consapevolezze nuove, messa in discussione del rapporto tra amore e violenza, critica ai ruoli del maschile e del femminile. È come se queste donne dicessero: è tutta colpa loro, noi donne siamo solo vittime. Condannando anche se stesse di fatto all’immobilismo, al non cambiamento, incastrate in un ruolo sempre uguale da secoli, millenni. Esiste una sterminata letteratura sul “vittimismo” degli oppressi che però spesso viene dimenticata. Ricordare il ruolo che le donne hanno esercitato nel costruire questo modello di società, non significa sminuire eventuali abusi o violenze. Significa sottrarre le donne al ruolo di minus habentes e riconoscergli piena soggettività. È un percorso lungo, che spesso viene ostacolato dai percorsi facili e dalle scorciatoie che oggi hanno un validissimo alleato nel giustizialismo: cioè la pretesa di risolvere qualsiasi problema con le condanne sommarie e la “mostrificazione” dell’altro, dell’eventuale reo. No, questo non serve a cambiare. Serve, nella migliore delle ipotesi, a lasciare tutto inalterato; nella peggiore delle ipotesi a far precipitare la situazione in uno stato di inciviltà. Ha quindi ragione Piccolo a rivendicare un giusto processo, ma ancora di più sarebbe importante abbandonare questo linguaggio e parlare della società nei suoi vari aspetti, a partire dal ruolo della cultura. Piccolo è uno scrittore, premiato e straletto. Inizi lui a raccontare un maschio diverso, non auto consolatorio, come invece purtroppo spesso fa.
Angela Pederiva per “il Messaggero” il 27 marzo 2021. Un racconto di un'ora e mezza, fra ammissioni e chiarimenti. Il riassunto è di disarmante e drammatica consequenzialità: «Volevo i soldi e l'ho accoltellata». Non una, almeno 20 volte: dunque puntava a derubare Marta Novello, ma ha finito per cercare di ucciderla, perciò il 15enne di Mogliano Veneto deve restare recluso nel centro di prima accoglienza attiguo alla casa circondariale di Treviso. Stanno per scoccare le 12.30, quando nel Palazzo della giustizia minorile a Mestre viene scritto il primo punto fermo, dopo giorni di congetture e smentite. È appena terminata l'udienza di convalida dell'arresto, avvenuto lunedì nel quartiere di Marocco. Il mezzo della polizia penitenziaria riparte verso il penitenziario di Santa Bona, in esecuzione dell'ordinanza letta poco prima dal giudice Valeria Zancan del Tribunale per i minorenni di Venezia, che dispone la custodia cautelare in carcere a carico dell'indagato. È stata così accolta la tesi del sostituto procuratore Giulia Dal Pos, senza che l'avvocato Matteo Scussat abbia formulato alcuna obiezione. Evidentemente la versione dello studente, scandita dagli interrogativi dei due magistrati, si è concretizzata in una confessione che ha confermato la pista imboccata dai carabinieri della compagnia di Treviso. Eloquente è la qualificazione giuridica del fatto, che per il gip resta quella ipotizzata dagli inquirenti: tentata rapina aggravata e tentato omicidio aggravato. Le due aggravanti contestate all'adolescente evidenziano tutta l'efferatezza dell'aggressione. La tentata rapina è stata commessa «con armi», cioè mediante un coltello dalla lama lunga una decina di centimetri. Il tentato omicidio è stato compiuto «per motivi abietti o futili», come viene definito l'obiettivo di derubare una ragazza che stava correndo con addosso soltanto le cuffiette, le chiavi di casa e il cellulare. Il 15enne ascolta la lettura del dispositivo, poi esce dall'aula senza più incontrare la mamma, che ha potuto abbracciare durante l'attesa della decisione. Tocca all'avvocato Scussat affrontare lo schieramento di giornalisti. «I processi si fanno in tribunale premette il difensore Il mio assistito ha risposto alle domande e ricostruito i fatti. Ma non dirò nulla che possa danneggiarlo, neanche sul suo atteggiamento o sulle sue emozioni, ho dei doveri deontologici verso di lui». La rapina come movente, comunque? «Se l'ordinanza ha qualificato così l'episodio, fate le vostre deduzioni...». «Non ho mai detto che non credevo alla rapina, ma che c'erano degli aspetti che sfuggivano. Penso ad esempio al fatto che la ragazza stava andando a correre e probabilmente non poteva avere con sé soldi e valori. Oppure alla ferocia, al numero dei colpi. Ma basta parlarne. Mi sono rimesso serenamente al prudente apprezzamento del magistrato, anche in ordine ad eventuali misure alternative». Il legale non le ha chieste e il giudice non le ha concesse. «Accettiamo questa decisione e non faremo appello, così come non abbiamo chiesto perizie psichiatriche. Il ragazzo è entrato da poco a contatto con gli operatori e gli educatori». Nel frattempo continuano le indagini dei carabinieri. A cosa gli servivano i soldi? Nelle ultime ore sono state convocate in caserma una decina di persone: i familiari del 15enne, ma soprattutto i suoi amici più stretti. Gli investigatori scavano nella rete delle sue frequentazioni, per capire cosa (o chi) possa aver scatenato nell'adolescente la necessità del denaro. È ormai chiaro che cruciali saranno le analisi informatiche sul computer e sullo smartphone che sono stati sequestrati: fra quei contatti potrebbe esserci la chiave del brutale assalto.
Fratellì, parla Simona Vergaro dopo l'arresto del rapper: “Mi ha picchiata”. Le Iene News il 26 marzo 2021. Il rapper 1727, meglio conosciuto come Fratellì, è stato arrestato con l’accusa di maltrattamenti verso la compagna Simona Vergaro. Nicolò De Devitiis l’ha incontrata e per la prima volta lei racconta la sua verità. “Mi ha svegliata mettendomi le mani addosso per 10/15minuti”. Inizia da qui la testimonianza di Simona Vergaro che a Nicolò De Devitiis racconta per la prima volta quello che sarebbe successo la mattina dell’arresto di Fratellì. Lei è la fidanzata del rapper romano finito in carcere con l’accusa di maltrattamenti verso la compagna. Algero Corretini sul suo Instagram da oltre 200mila follower si fa chiamare “truce 1727 wrldstar”. Sui social è diventato famoso per il suo video virale mentre sfreccia a 110 chilometri orari su una provinciale di Roma fino a fare un incidente in diretta Instagram. Da qui è diventato famoso per la sua frase: “Ho preso il muro, Fratellì”. Giorgia Roma è finita al centro dei recenti e, se confermati, gravissimi fatti di cronaca. Secondo le indagini dei carabinieri, una mattina di gennaio il rapper 1727 l’avrebbe picchiata facendola scappare da casa completamente nuda. A lei hanno dato 30 giorni di prognosi per le percosse e da un timpano dice di non sentire più. Lui invece è stato portato in carcere a Rieti in attesa di processo. Nicolò De Devitiis ha incontrato Giorgia che racconta per la prima volta la sua versione dei fatti partendo proprio da quella mattina. “Mi ha voluto umiliare. Ha preso il mio telefono per chiamare mio padre mentre mi picchiava e lui ha sentito”, sostiene Giorgia. “Poi ha preso dal ripostiglio una cosa di ferro e ha iniziato a darmela addosso per una ventina di volte. È stato sopra di me per 10/15 minuti”. E a quanto racconta non sarebbe stato un caso isolato. In un momento di distrazione riesce a chiamare i carabinieri. “A quel punto diceva che mi amava e mi asciugava le lacrime”.
Gay aggrediti per un bacio, l'appello di Jean Pierre: “Firmate per la legge contro l'omotransfobia”. Le Iene News il 23 marzo 2021. È stato picchiato nella stazione della metropolitana di Valle Aurelia (Roma), solo per aver dato un bacio al suo compagno. Jean Pierre racconta quell’aggressione ingiustificata in collegamento con Alessia Marcuzzi e Nicola Savino. E lancia un appello: firmate le petizioni per la legge contro l’omotransfobia. “Ogni volta che passo da quella stazione ho paura di ritrovarmelo davanti”. Jean Pierre racconta in collegamento con Alessia Marcuzzi e Nicola Savino l’incubo di quell’aggressione ingiustificata solo per aver baciato il suo compagno. Parliamo delle due vittime che compaiono nel video registrato un mese fa nella stazione della metropolitana di Valle Aurelia (Roma), diventato virale nelle ultime ore. “Il giorno dopo era il mio compleanno, avevo appena fatto un brindisi. Appena finito siamo andati a prendere il treno”, racconta Jean Pierre. Nel breve filmato registrato da un loro amico si vede che proprio in quel momento un uomo attraversa i binari per raggiungere Jean Pierre e il suo compagno sulla banchina opposta. Prima li prende a sberle e poi li minaccia di altre botte fino ad arrivare a pugni e calci. Dopo più di un mese dall’aggressione il filmato finisce sui social diventando virale. “La polizia ha fatto un ottimo lavoro perché lo ha rintracciato nel giro di appena un giorno”, ha detto Jean Pierre. È accusato di lesioni personali e ingiuria. Avrebbe rischiato molto di più se fosse entrata in vigore la legge contro l’omotransfobia che dopo l’approvazione alla Camera aspetta il passaggio in Senato. “Vi chiedo di firmare le petizioni che si trovano in Rete perché finalmente possa diventare legge”, aggiunge Jean Pierre. “Grazie a tutte le persone che mi hanno dimostrato solidarietà e affetto”.
Da veneziatoday.it il 24 marzo 2021. L'aggressore della giovane coppia gay picchiata lo scorso 26 febbraio alla stazione metro di Valle Aurelia, a Roma, è stato individuato: si tratta di un 31enne romano che si divide tra Anguillara (in provincia di Roma), dove vive con i genitori, e Jesolo, dove lavora, e che è stato incastrato da un altro episodio avvenuto a Venezia. La vicenda, nei giorni scorsi, ha fatto molto scalpore in tutta Italia.
Le indagini sull'aggressione alla coppia gay. Le indagini erano partite il 3 marzo scorso, dopo la denuncia da parte delle vittime. La polizia della Capitale aveva subito acquisito le immagini delle telecamere presenti nella stazione ma la svolta è arrivata nei giorni scorsi, grazie al video registrato da un amico delle vittime, messo online il 20 marzo dall'associazione Gaynet Roma e successivamente ripreso e diffuso da vari social e media nazionali. Vedendo quelle immagini, infatti, gli agenti della Polaria di Venezia hanno riconosciuto il violento perché lo avevano identificato proprio quel giorno, il 26 febbraio, poche ore prima dell'aggressione: lo avevano bloccato all'aeroporto di Tessera dopo che lui aveva litigato con una donna. Quel giorno, a causa del litigio, il 31enne ha perso l'aereo che avrebbe dovuto prendere per recarsi da Venezia a Roma e così ha deciso di ripiegare sul treno. Alle 17.05 si trovava alla stazione ferroviaria di Mestre e lì è stato di nuovo controllato, stavolta dagli agenti della Polfer. Dopodiché ha preso il treno ed è arrivato a Roma Termini poco dopo le 21, quindi è salito in metro raggiungendo la fermata Valle Aurelia. La stessa dove, poco prima delle 22, c'è stata l'aggressione alla coppia. Da lì, salito su un altro treno, si è diretto ad Anguillara.
Rintracciato a Jesolo. Gli investigatori ieri sera sono andati a casa sua, ad Anguillara, scoprendo dai genitori che l'uomo era ripartito. A quel punto tramite la localizzazione del cellulare lo hanno rintracciato a Jesolo e hanno chiesto la collaborazione dei colleghi del commissariato locale, che hanno bloccato il 31enne mentre era in giro per il paese. L'aggressore è stato riconosciuto anche dalle due vittime: Jean Pierre Moreno, 24 anni, attivista Lgbtq fuggito dal Nicaragua proprio per le minacce e le discriminazioni di cui è stato vittima nel suo Paese, e Alfredo Zenobio, 28 anni, amico e da qualche settimana compagno. Sono stati proprio loro a raccontare di essere stati presi di mira da un uomo che, vedendoli scambiarsi un bacio alla stazione di Valle Aurelia, ha attraversato i binari e, saltando da una banchina all’altra, li ha aggrediti prima a parole e poi con calci e pugni. I ragazzi hanno provato a parare i colpi, poi si sono rivolti all'ospedale, dove sono stati medicati e refertati con prognosi lievi. La violenza dell’uomo, però, avrebbe potuto causare danni più gravi, e il reato che si profila adesso è quello di lesioni aggravate.
Dopo calci e pugni il lancio di sassi. «Le conseguenze fisiche non sono state fortunatamente pesanti perché i ragazzi hanno reagito, ma è stato un caso fortuito - conferma Valentina Ciaramella, l'avvocatessa che segue il caso di Jean Pierre e Alfredo tramite la Rete Lenford -. Il video a un certo punto si interrompe, ma l'aggressione è continuata. L'uomo ha riattraversato la banchina, e dall'altro lato ha iniziato a tirare pietre addosso ai ragazzi. Poi è arrivato il treno, loro sono saliti per allontanarsi e lui è riuscito a salire sullo stesso treno, pur in un altro vagone. I ragazzi hanno dato l'allarme, ma alla stazione successiva l'aggressore si era ormai dileguato». La scena è stata ripresa quasi integralmente da un amico della coppia, immagini che insieme con le videocamere di sorveglianza della metro documentano una violenza scoppiata all’improvviso e chiaramente di matrice omofoba che ha scatenato il dibattito anche a livello politico. Soprattutto nei giorni in cui si discute dell'attesa approvazione in Senato della cosiddetta “Legge Zan”, il ddl proposto dal senatore dem Alessandro Zan finalizzato proprio alla lotta contro l'omotransfobia.
Gessica Notaro, dopo lo sfregio di 4 anni fa: “Finalmente rivedo il mio volto”. Le Iene News il 24 marzo 2021. Sono passati 4 anni dall’aggressione con l’acido a Gessica Notaro. Per quello sfregio il suo ex compagno è stato condannato a 15 anni di carcere. A Veronica Ruggeri aveva raccontato quella terribile sera, ora Gessica ha iniziato le operazioni per rivedere il suo volto. “Finalmente rivedo il mio volto”. Lo annuncia Gessica Notaro su Instagram nel video che potete vedere qui sopra. È un nuovo passo avanti per la modella dopo l’aggressione di 4 anni fa: “Questo è un momento di svolta nella mia vita. Si inizia a lavorare non solo più sulla funzionalità ma anche sull’estetica: questo intervento mi consente di tornare finalmente a vedermi con i lineamenti di prima. Così comincia a comparire il mio vero volto, nascosto dalle cicatrici”. Sul suo volto il tempo si era fermato a quel 10 gennaio 2017. Per quell’aggressione l’ex compagno di Gessica è stato condannato a 15 anni, 5 mesi e 20 giorni, una pena confermata anche in Cassazione. Edson Tavares ha “sfregiato” la modella “con l'acido perché voleva cancellare la sua identità”, come scrivono i giudici. Gessica ha raccontato quella terribile sera a Veronica Ruggeri. In primo grado il compagno era stato condannato a dieci anni per l'attacco e a otto per stalking. “Gli avevo sentito far riferimento un po' di volte a queste aggressioni con l’acido. Poi una persona che ti dice ti rovinerò la vita senza toccarti con un dito…”, racconta Gessica nel servizio de Le Iene. “Qualche volta avevo nel tragitto tra casa e la macchina, ho usato un casco integrale per proteggermi. Poi però tutti mi prendevano in giro e allora ho deciso di non indossarlo più”. Di quel terribile momento ha un ricordo nitido: “Ogni tanto rivivo la scena e la sera prima di addormentarmi. Mi è comparso all’improvviso da dietro il baule della macchina, velocissimo, e mi ha tirato questa bottiglia di acido. E io lì ho pensato: l’ha fatto veramente…”. Ora di quel giorno Gessica sta provando a cancellare i segni lasciati sul suo volto. “Sono 4 anni che mi sento chiusa in una maschera di gomma. Ho bisogno di uscirne”, racconta su Instagram. “Vedendomi davanti allo specchio dopo questa prima operazione, sono rimasta incantata dal lavoro. La felicità è alle stelle. Sono commossa e piango di gioia…”. Noi continueremo a stare dalla sua parte e a raccontare la sua storia di coraggio.
Da Oggi – oggi.it il 24 marzo 2021. Amy Braley, già responsabile della lotta agli abusi nelle forze armate americane, ha portato al Senato di Wahington anche il caso di molestie denunciato da Michela Morellato, moglie di un soldato Usa di stanza a Vicenza, che è costato le dimissioni di un generale. Lo rivela la stessa Morellato a OGGI in un articolo nel numero in edicola da domani. «C’è molta tensione. Ad Amy ora è stata assegnata una scorta e a me hanno sconsigliato di assistere all’audizione al Senato. Mi hanno fatto notare che tra quelle citate nel discorso sono l’unica donna viva. Doveva essere una battuta, ma suonava sinistra. Spero che adesso la causa per danni che ho fatto al Pentagono arrivi in tribunale, stanno cercando di insabbiare anche quella».
"Te la faccio pagare...." Il padre la mette incinta e la madre la sequestra. Andranno a processo due genitori, accusati dalla figlia di sequestro di persona: il padre è al centro di un altro processo per molestie e violenza sessuale. Angela Leucci - Mer, 24/03/2021 - su Il Giornale. Padre e madre vanno a processo. Lo ha disposto il gup Marcello Rizzo, dopo l’udienza preliminare per due genitori della provincia di Lecce accusati di sequestro di persona: l’uomo è stato già condannato in appello per violenza sessuale. La sopravvissuta in questa storia, colei che ha avuto il coraggio di denunciare, è la figlia della coppia, oggi trentenne, che, come riporta Corriere Salentino, accusa i genitori di averla segregata da aprile giugno 2017: la donna ha testimoniato di essere stata tagliata fuori dal mondo nei momenti in cui i genitori uscivano dalla casa comune, chiusa nell’abitazione a chiave, senza telefono né wi-fi. In più, secondo l’accusa, la donna sarebbe stata inibita dai contatti con il nuovo compagno, con cui vive ora in un’altra provincia pugliese, ma anche dai contatti con i propri figli, che non avrebbe potuto accompagnare o riprendere da scuola, accudire e nutrire come farebbe qualunque madre. La donna ha infatti due figli: uno nato dall’incesto e che l’esame del Dna ha confermato essere del padre, e l’altro nato da un precedente matrimonio. Alla radice di questa storia c’è però una vicenda già nota alle cronache giudiziarie: il padre è stato ritenuto colpevole di violenza sessuale verso la figlia. Che ha raccontato ai carabinieri di essere stata oggetto di molestie e stupri fin da quando aveva 7 anni. A 15 anni la ragazzina, oggi donna, restò incinta per la prima volta del padre e abortì, mentre a 20 anni tenne il bambino: lo scorso settembre il padre ebbe uno sconto di pena nel processo d’appello, passando da 30 a 17 anni, e ora dovrà tornare in tribunale con accuse differenti ma con la stessa accusatrice. La trentenne ha avuto infatti il coraggio di raccontare la sua odissea in una lettera scritta al compagno: con il suo sostegno ha poi deciso di denunciare anni di presunte violenze e minacce da parte del padre ai carabinieri. E in tutto questo, anche in base al nuovo processo per sequestro di persona - che si aprirà il 21 maggio davanti al giudice monocratico Elena Coppola - spuntano degli interrogativi sul ruolo della madre. Oltre alla recente accusa, ancora il Corriere Salentino aveva raccontato che la donna fosse al corrente delle violenze perpetrate dal marito: entrambi i genitori avevano infatti accompagnato ad abortire la figlia 15enne, fornendo all’ospedale di Gagliano del Capo la versione di una violenza sessuale da parte di uno sconosciuto, affinché potesse avvenire l’interruzione volontaria di gravidanza. Immediatamente dopo l’aborto, la donna ha affermato di essere stata stuprata in auto ancora una volta dal padre, che la minacciava costantemente con frasi del tipo: “Con me non devi scherzare… te la faccio pagare”. La trentenne si è costituita parte civile ed è difesa, con il nuovo compagno, dall’avvocato Francesco Della Corte. Mario Coppola, Luigi e Alberto Corvaglia sono rispettivamente i legali della difesa della madre e del padre.
Perché sua madre ha nascosto l'orrore". In provincia di Lecce una vicenda giudiziaria che racconta di violenza sessuale di una figlia, da quando questa aveva 7 anni, di sequestro di persona, di un bambino nato dall'incesto. "Nella storia di tutti i serial killer, c’è stato un abuso subito", dice lo psichiatra Francesco Tornesello. Angela Leucci - Sab, 27/03/2021 - su Il Giornale. Un orco in casa. Una madre complice dell’orco. È questa la ricostruzione mediatica di un dramma reale accaduto in provincia di Lecce. Come si può leggere - e provare a comprendere - una vicenda giudiziaria, una storia umana, che parla di una figlia abusata dal padre dall’età di 7 anni, costretta ad abortire, segregata in casa con il benestare della madre? Sono di pochi giorni fa i risultati dell’udienza preliminare, che ha coinvolto una sopravvissuta alla violenza nel ruolo di accusatrice e i suoi genitori nel ruolo di accusati: ci sarà un processo per sequestro di persona, dopo che un altro processo per violenza sessuale ha già portato alla condanna a 17 anni in appello del padre, dopo che l’esame del Dna ha stabilito che il primogenito della figlia, avuto anni dopo il presunto aborto forzato, fosse suo. Quindi la figlia non è la sola presunta vittima, lo è anche il bambino avuto dall'incesto. "Nella storia di tutti i serial killer - spiega Francesco Tornesello, psichiatra e giallista, a IlGiornale.it - c’è stato un abuso subìto, la precoce perdita di una innocenza, la mancanza di un affetto ricevuto".
Dottor Tornesello, cosa può spingere un padre verso questo tipo di violenza?
“La domanda corretta è: cosa può spingere un uomo a tanto? Perché, dopo secoli di rispetto ipocrita verso le donne (che non si toccherebbero neanche ‘con un fiore’) e dopo anni di confronto sui temi dell’emancipazione prima, della parità poi, milioni di uomini, in diversi ambiti culturali e sociali, continuano ad alimentare una distorta visione del potere derivante dal genere, quindi una violenza intrinseca nei confronti delle donne. In condizioni di arretratezza culturale e sociale più accentuata, laddove il tabù ancestrale dell’incesto viene superato dalla sottocultura del branco, con il maschio alfa, il dominante, al vertice della piramide familiare, può accadere quello che è accaduto in questo fatto di cronaca”.
Cosa può spingere invece una madre non solo a fare finta di nulla, ma anche ad aiutare l’orco?
“È sempre un problema di sottocultura, quindi di adesione acritica al modello delineato in precedenza, in cui la subalternità della femmina, ma sarebbe più corretto dire delle femmine, nei confronti del maschio è pienamente introiettata. Negli umani poi, oltre alle regole comportamentali del branco, ci si mettono a complicare le cose tante varianti: il bisogno di alcune sicurezze legate al ruolo e alla necessità, l’educazione ricevuta, la debolezza di carattere, che è un fatto individuale, ma che si nutre di quelle varianti. E in questo contesto è la paura, ma anche l’attaccamento a piccoli e miseri privilegi, a generare forme di complicità, altrimenti incomprensibili. Ricordiamo che, ad Auschwitz, i kapò erano altrettanto feroci rispetto agli aguzzini delle SS”.
Com'è possibile che la donna di questa storia sia riuscita a ritagliarsi una specie di libertà entro cui avere un matrimonio e una successiva relazione importante?
“Lo so, la cosa può sembrare incredibile. Ma, al di là di quella che noi chiamiamo personalità, ovvero le capacità emotive, cognitive e volitive che ogni individuo elabora e rende proprie, c’è quello che i filosofi tedeschi chiamano zeitgeist, ovvero l’aria dei tempi, il clima culturale che, in qualche modo, tutti respiriamo, e che, più che mai in epoca di comunicazione diffusa e alla portata di tutti, ci raggiunge ovunque, anche nelle sacche di arretratezza socioculturale più estreme. Ma è evidente che, per scegliere il messaggio giusto tra tutti quelli che ci raggiungono nell’aria del tempo, occorre una personalità forte, un carattere ben strutturato: che evidentemente questa donna ha. E per questo merita la nostra ammirazione, ma, soprattutto la nostra solidarietà e il nostro aiuto. Perché le risorse psicologiche non sono infinite, e la prova cui è stata sottoposta è troppo dura”.
Com’è possibile che nessuno se ne sia accorto prima? Tanto più che la sopravvissuta è stata anche al di fuori della famiglia.
“A parte il fatto che, per un apparentemente assurdo senso di vergogna, spesso la vittima tende a celare, a non rendere percepibile la sua sofferenza, troppe volte si crea una assurda incapacità di percepire cosa accade intorno a noi. Ma non è vero, il fatto è che troppo spesso ci fingiamo ciechi e sordi per non caricarci di bisogni che non ci appartengono. Per egoismo, per cattiva cultura (quella del farsi i fatti propri), per maligno retropensiero che una certe cose "se l’è cercata", per una brutta aria del tempo. Per cui, se si assiste a una aggressione di una donna o di un disabile, non si interviene in aiuto, non si chiamano le forze dell’ordine, ma si riprende con il cellulare e si posta su Facebook”.
Quali potrebbero essere i traumi futuri per i figli nati dall’incesto?
“Questa è una domanda che è difficile porre, e a cui è difficile rispondere. Perché nella domanda e nella risposta si nasconde il problema. I traumi possono essere enormi, e difficilmente superabili, se l’aiuto che noi dovessimo dare a quei figli dovesse essere centrato sul superamento del trauma, scusate il bisticcio di parole. Quello che sarebbe importante dovrebbe essere il dare loro la possibilità di formare una personalità adeguata, un carattere stabile, non ponendoli necessariamente di fronte a una verità che potrebbe essere intollerabile, almeno fino a che non si sarà sicuri che le loro capacità emotive e cognitive siano adeguatamente strutturate, per evitare il rischio dell’emulazione paradossale. Ovvero la necessità di riproporre quei comportamenti che sono stati alla base della nostra sofferenza iniziale. Ricordiamo che, nella storia di tutti i serial killer, c’è stato un abuso subito, la precoce perdita di una innocenza, la mancanza di un affetto ricevuto”.
Che tipo di conseguenze psicologiche ci sono su una donna che non solo subisce violenze, ma viene prima costretta ad abortire, poi a tenere il figlio dell'incesto e infine viene sequestrata?
“Perdita della più elementare sensazione di sicurezza, ovviamente, quindi vissuti di solitudine e di minaccia assoluta. Perdita di autostima, con sensi di colpa, apparentemente assurdi, ma psicologicamente assai radicati. Introiezione di un modello di sé negativo, con il rischio di acritico attaccamento a qualunque figura possa sembrare un sostegno, o una liberazione, con il rischio di reiterare gli errori compiuti da altre donne, prima di lei. Ansia, angoscia, depressione o, peggio, meccanismi di negazione e di creazione di realtà fittizie, solo apparentemente rassicuranti”.
Qual è il percorso utile per aiutare queste donne, sia in un rapporto di parentela/amicizia sia come istituzione?
“In teoria, la risposta più facile riguarderebbe il livello delle istituzioni, perché esse (centri di salute mentale, consultori) dovrebbero avere sia le figure professionali, sia la cultura di servizio, in grado di dare risposte all’angoscia esistenziale o alle eventuali fenomenologie psicopatologiche che dovessero evidenziarsi. Questo forse in teoria, perché, al contrario di quanto si faceva in passato, quando forse l’aria del tempo era migliore, ora quei servizi sociosanitari si sono un po’ trasformati, un po’ impigriti, come accade alle forze dell’ordine che, alla donna che lamenta uno stalking, rispondono di non poter intervenire, perché non è ancora accaduto niente di grave. L’aiuto di amici e parenti dovrebbe consistere nella rassicurazione, nel non dare mai risposte colpevolizzanti, volontarie o involontarie. Ovviamente a patto che quegli amici, quei parenti, siano degni di questo ruolo, che non siano stati essi stessi ciechi, sordi e muti davanti alla consapevolezza di ciò che quella donna ha subito”.
Esistono degli strumenti per la rieducazione della persona violenta?
“Che gli strumenti esistano è indubbio, ma la rieducazione è un percorso interiore, che ha bisogno di volontà e consapevolezza. La rieducazione non è un farmaco che può essere iniettato e che, quindi, fa effetto indipendentemente dalla volontà di chi lo riceve. Quindi la rieducazione è un punto di arrivo, non di partenza. E non è detto che tutti ci arrivino. Quarant’anni di questo lavoro mi hanno portato a pensare che, pur essendoci sempre rapporti causa-effetto nei nostri comportamenti, il risultato che si crea può essere a volte non modificabile: è il concetto di male assoluto, che di solito è oggetto della religione e dell’etica, ma con cui dobbiamo a volte confrontarci. Forse è per questo che ho cominciato a scrivere storie, in cui le miserie, le crudeltà ottuse commesse dagli umani, possano essere rappresentate: così, dopo ‘La logica della spirale’ in cui cercavo di dare una lettura del delitto di Avetrana, ho cominciato a pubblicare una serie di racconti gialli, in ognuno dei quali le debolezze e le miserie dell’animo umano possano essere raccontate senza addolcimenti. Ma lì, almeno, c’è il commissario Martini a fare chiarezza e, in qualche modo giustizia”.
La figlia va via di casa, il padre travolge e schiaccia lo zio che la stava accompagnando. Redazione su Il Riformista il 23 Marzo 2021. Stanca dei continui dissidi familiari, la figlia aveva deciso di andare via di casa con l’aiuto dello zio. Il papà, fratello dell’uomo con il quale i rapporti erano compromessi da tempo, si è reso conto della situazione e, dopo un breve litigio, lo ha travolto e investito più volte. Sarebbe questo il movente dietro l’omicidio di Pasquale Marino, 45 anni, brutalmente ucciso lunedì mattina, 22 marzo, dal fratello Giuseppe a Mongrassano, comune in provincia di Cosenza. La figlia dell’uomo, secondo quanto ricostruito dai carabinieri che conducono le indagini sotto il coordinamento della Procura cosentina, dopo i dissidi familiari che andavano avanti da tempo, aveva deciso di lasciare la casa dove vive con i propri genitori per trasferirsi da Mongrassano a Cosenza. Così aveva chiesto allo zio un passaggio. Mentre erano in auto, i due si sono casualmente imbattuti nel padre della giovane che, dopo aver chiesto spiegazioni su quanto stesse accadendo, ha pigiato il piede sull’acceleratore della sua Bmw con targa straniera travolgendo il fratello per poi inserire la retromarcia è infierire sul corpo dell’uomo, prima di fuggire via. La tragedia è accaduta a pochi metri dal palazzo del Municipio di Mongrassano. Pasquale Marino è stato soccorso dai passanti. Tra loro anche una dottoressa del 118 che non ha potuto fare altro che constatare il decesso dell’uomo, sopraggiunto dopo poco in seguito alle gravi lesioni riportate. Giuseppe Marino è stato rintracciato dopo una breve fuga e sottoposto a fermo d’indiziato di delitto per il reato di omicidio volontario. Una volta fermato, il 45enne avrebbe ammesso le proprie responsabilità. L’uomo è stato arrestato con l’accusa di omicidio volontario aggravato.
Marco Bonarrigo per corriere.it il 23 marzo 2021. «Una volta mi aspettavate dopo il traguardo per parlare delle mie vittorie, adesso fuori dell’aula di un tribunale. La vita cambia, c’è poco da fare». Così parlò Mario Cipollini lunedì 22 marzo all’uscita del tribunale di Lucca, dove è stato ascoltato dal magistrato nel processo per violenza e minacce intentato contro di lui dalla ex moglie, Sabrina Landucci. «Rivedere mia moglie — ha spiegato l’ex ciclista — non mi ha fatto nessun effetto, abbiamo percorso un pezzo di strada assieme, ora la mia strada è da solo, la sua con un’altra persona. Raccontare la mia verità mi ha tolto un peso, mi sento sollevato. Ho risposto a tutto, ma di alcune frasi che avrei pronunciato non ho sinceramente nessun ricordo: è passato un sacco di tempo».
Il più grande velocista della storia. Ci vorrà ancora del tempo per conoscere la verità giudiziaria sui fatti che hanno portato Mario Cipollini sotto processo: la prossima udienza è prevista per il 14 luglio. Quello che è certo è che la parabola sportiva e umana di uno dei più celebrati atleti azzurri di sempre è da tempo piena di guai e tormenti. Cinquantaquattro anni compiuti proprio lunedì, Cipollini è — statistiche alla mano — il più grande velocista della storia del ciclismo mondiale. Campione del mondo nel 2001 a Zolder, il toscano ha vinto 189 volate di cui 57 nei grandi giri. I suoi 42 successi al Giro d’Italia sono un record irraggiungibile. Divo mediatico strapagato, era assistito da gregari tosti, fedelissimi e a sua totale disposizione in corse che venivano costruite su misura per lui. Partecipò a 27 grandi giri, ma arrivò al traguardo soltanto in sei: incassato il massimo numero di vittorie possibili nei primi dieci giorni, tornava a casa a godersi le spiagge della Versilia.
Accuse pesantissime. Il suo matrimonio con Sabrina Landucci fu celebrato sui giornali, la fine del rapporto ha riempito molte più pagine. Le accuse della ex moglie sono pesantissime. «Un giorno — ha raccontato la donna ai magistrati — andammo a fare un passeggiata in bicicletta. Tornata a casa mi cambiai perché avevo un appuntamento con l’estetista. Indossai una gonna che giudicò troppo corta, lui mi prese con forza e mi costrinse ad andare in camera da letto. Lì tirò fuori la pistola e me la puntò alla tempia». La Landucci poi racconta di un’aggressione subita da lei e dal nuovo compagno, l’ex calciatore Silvio Giusti, in palestra e di ripetute minacce di morte telefoniche che sono state registrate e consegnate ai magistrati All’udienza di martedì era presente anche la Landucci. «Quelle dell’udienza sono state ore difficili — ha spiegato Landucci — per me è stato difficile soprattutto guardarlo in faccia. Provo una sensazione di svuotamento totale: immaginavo le cose che avrebbe detto, ma un conto è immaginarle un conto è sentirle pronunciare. Arriverò in fondo a testa alta. Il rammarico è per le mie figlie che sono in questa situazione loro malgrado».
Contro il «sistema» ciclismo. Da mesi ormai Cipollini comunica col mondo soprattutto attraverso il suo profilo Facebook — 260 mila follower — in cui, tra il filmato di un allenamento con giovani professionisti e uno sui suoi amati gatti, si lancia in feroci video-invettive in diretta (diffuse dal divano, dalla terrazza, dal letto) contro il «sistema» ciclismo italiano che, a suo dire, l’avrebbe emarginato, e in particolare contro il c.t. azzurro Davide Cassani accusato di essere «pecora e burattino del ciclismo». Lasciato il ciclismo nel 2005, Cipollini non è mai riuscito a trovare una collocazione nel suo ex mondo, fallendo tutti i tentativi di aggancio sia alla Federazione che alle squadre nel ruolo di tecnico o consulente. Unico successo, aver offerto il suo nome a una linea di biciclette da corsa molto apprezzate. Nel 2013 una commissione d’inchiesta del senato francese lo inserì nella lista dei corridori positivi all’Epo nei controlli retroattivi effettuati sui campioni di urina del Tour de France 2004, in cui vinse la quinta e la sesta tappa. In precedenza il nome di Cipollini era stato legato da un’inchiesta giornalistica a quello del medico spagnolo Eufemiano Fuentes, il protagonista della celebre Operacion Puerto.
Per Erdogan un matrimonio funziona se picchi la moglie: Turchia, altro colpo alla laicità. Libero Quotidiano il 22 marzo 2021. Erdogan assesta un nuovo colpetto allo Stato laico trascinando la Turchia fuori della Convenzione europea contro la violenza sulle donne. E dire che il documento in questione era stato sottoscritto dai Paesi appartenenti al Consiglio d'Europa proprio a Istanbul nel 2011. La mossa del Sultano è, come detto, l'ennesima di una lunga serie; soltanto il giorno prima la magistratura turca aveva iniziato a vagliare la richiesta governativa di bandire il partito curdo (moderato) Hdp. L'uscita dalla Convenzione di Istanbul è un favore agli amici di lunga data del presidente e leader islamista, cioè i religiosi sunniti, che Recep Tayyip sta cercando con successo di tenere alleati alla destra nazionalista. Insomma: un colpo al curdo e uno alla laicità. Dei 47 Paesi del Consiglio d'Europa (organismo non Ue che vigila sul rispetto dei diritti dell'uomo) 34 avevano firmato e ratificato il documento. Ora restano 33 con la Turchia che raggiunge la Russia fra quelli totalmente contrari. Gli altri (tra cui Armenia, Lettonia, Liechtenstein, Lituania, Moldavia, Slovacchia, Cechia, Regno Unito, Ucraina) hanno firmato ma poi i rispettivi parlamenti non hanno ratificato. Gli ambienti religiosi turchi non hanno mai digerito in particolare l'articolo 37 e il 42, il primo contro il matrimonio forzato, il secondo sul delitto d'onore, entrambi diffusi nelle aree arrretrate dell'Anatolia. Ma tutti i numeri sulla violenza contro le donne in Turchia sono drammatici. Secondo i dati della piattaforma contro i femminicidi (Kadin Cinayetlerini durduracagiz platformu), nel 2021 sono già state uccise 74 donne per mano di uomini, dopo che nel 2020 erano stati contati almeno 300 casi e 171 fra morti e suicidi sospetti. Nel 2019 e nel 2018 in Turchia erano stati contati rispettivamente 474 e 440 femminicidi. Tra i casi ritenuti sospetti non ci sono solo le morti avvenute in circostanze ancora da chiarire ma anche i suicidi, a cui molte donne si trovano costrette dal clima familiare di ripudio e odio che può scattare per una relazione che la famiglia non approva, o per aver rifiutato matrimoni combinati. La magistratura, ancora in parte laica, ha cercato di porre un freno, con 5.748 condanne a pene detentive inflitte lo scorso anno. Un numero minimo, se si considera che, in base ai dati forniti dal ministero degli Interni, nel 2020 ben 271.927 uomini sono stati soggetti a restrizioni imposte da autorità giudiziaria, 6.050 uomini sono stati condannati per violenza domestica, 99 donne sono state costrette a cambiare identità e residenza e 409 hanno dovuto abbandonare il luogo di lavoro. Migliaia di donne sono scese in piazza ieri a Istanbul per protestare contro la decisione del governo. Con loro anche attivisti gay e lesbiche. Il motivo della presenza di questi ultimi è che la Convenzione non si occupa delle donne in senso biologico ma in base alla "teoria del genere". Nell'art.3 (Definizioni), al comma c, si specifica che l'identità sessuale è «socialmente costruita». La formulazione è tuttora contestata anche da altri Paesi, in particolare dalla Polonia. Discussi sono anche gli articoli 60 e 61 che impegnano i firmatari a concedere permessi di soggiorno alle donne migranti vittime di abusi.
"Trent'anni fa il femminicidio di Santa Scorese, così il mio docu-film racconta il suo martirio per chi deve sopravvivere". di Alessandro Piva su La Repubblica il 16 marzo 2021. Il regista Alessandro Piva racconta il suo "Santa Subito" (in onda questa sera su Sky-Arte alle 20,15). E' la storia dell'attivista cattolica di Palo del Colle uccisa il 16 marzo del 1991 dall'uomo che la molestava da 3 anni. Sono passati trent’anni da quella notte, la lunghissima notte del 16 marzo 1991 a Palo del Colle, un paesino a pochi chilometri da Bari. Santa Scorese, giovane attivista cattolica perseguitata per 3 anni da un molestatore, quella sera stava rientrando a casa senza la scorta spontanea che tra amici e parenti veniva organizzata quasi quotidianamente per proteggere la ragazza dalle minacce sempre più incessanti del suo stalker, permettendole di continuare una vita che sembrasse normale. L’uomo coglie l’occasione e sorprende la ragazza davanti al portone di casa, accoltellandola a morte sotto lo sguardo impotente dei genitori, che richiamati dalle grida accorrono sul posto quando ormai è troppo tardi. La storia di Santa mi è stata raccontata per la prima volta da sua sorella Rosa Maria. Del suo resoconto mi avevano colpito le riflessioni conclusive: Santa, la cui scomparsa tanto dolore ha provocato nella famiglia e tra gli amici, per certi versi non è stata l’unica vittima di quella tragedia. In un’ammirevole presa d’atto che non è un perdono di stampo cristiano, ma un laico e doloroso ragionamento, Rosa Maria notava come il persecutore di sua sorella poteva essere messo per tempo in condizione di non nuocere agli altri e a se stesso, avendo mostrato tutta l’evidenza della sua condizione di disagio mentale. Colpito dalla profondità di questa riflessione ho avviato la lavorazione di Santa Subito, il docu-film per il quale ho coinvolto tante persone - parenti, amici, conoscenti - che a vario titolo avevano condiviso porzioni di vita con Santa. La facoltà da scegliere, la vocazione spirituale, l’attaccamento alla famiglia, i mille dubbi esistenziali di una ragazza poco più che adolescente: la vita di Santa - cristallizzata nelle pagine del suo diario personale e nell’album fotografico di famiglia - mi si è presentata in tutta la sua forza attraverso i racconti di chi l’ha conosciuta, qualcosa di ancora vivido e pulsante. E a questa voglia di vivere fa da contraltare il punto di non ritorno, segnato dall’incontro casuale con colui che diventerà prima il suo persecutore e poi il suo assassino. Una storia che va ad assumere quasi i tratti di un noir raccontato a più voci, intrecciate tra loro per ricomporre la “scena del crimine”. È solo a quel punto della ricostruzione che ho avvertito nei miei interlocutori il senso di un dolore rinnovato, il disagio di una cicatrice che si fa fatica a mostrare. Non a caso ho voluto dedicare questo film “a chi deve sopravvivere”: poiché la sopravvivenza è un continuo e logorante dolore che a volte assume i tratti di un irrazionale senso di colpa, con il quale si è costretti a convivere, forse un giorno a fare pace. Ecco, nel nostro caso credo che i parenti e gli amici di Santa abbiano in qualche modo metabolizzato nel modo giusto la sua perdita e abbiano trovato, se pur con fatica, il giusto equilibrio tra il desiderio di tenere vivo il ricordo della loro cara e quel dolore che irrimediabilmente si rinnova al solo pronunciarne il nome ad alta voce, ma senza indugi nell’autocommiserazione e con un profondo senso di dignità. Ciò detto, questa storia ha un ulteriore risvolto: gli attori principali sono accumunati da un’intensa fede cristiana, vissuta con trasporto e convinzione. Santa aveva manifestato il desiderio di intraprendere un percorso come suora missionaria e anche il suo carnefice aveva provato ad entrare in seminario. Dunque la devozione è il filo rosso che lega questi due destini. Ma, se per Santa la fede si traduceva in un sincero e profondo afflato d’amore verso il prossimo, nel suo persecutore essa aveva purtroppo assunto i tratti dell’ossessione e del fanatismo, sintomi di una malattia mentale che era stata forse propriamente diagnosticata, ma non gestita correttamente. Mi sono dunque trovato a rilevare, tra le tante chiavi di lettura fornitemi della vicenda, quella del martirio: la vita e la morte di Santa - nel cui nome alcuni avrebbero già visto una predestinazione - viene anche letta, da chi crede, come “capolavoro divino”. Dal mio punto di vista questa storia ci racconta invece di una società civile che, nonostante le varie denunce, si è fatta trovare impreparata ad affrontare quest’ulteriore declinazione della violenza di genere, lasciando spazio a un finale già scritto. Quello stesso finale al quale ancora oggi troppe donne vanno incontro, nonostante il reato di stalking sia stato finalmente normato. È d’altronde evidente che dai videogiochi ai social, passando per serial fiction e talk show, la società contemporanea si nutre quotidianamente di violenza - psicologica, verbale, fisica. E vittime e carnefici finiscono spesso nel frullatore del giornalismo di puro intrattenimento, quello che insegue lo spettatore, perde i suoi paletti deontologici e sconfina nel talk show. Il cinema documentario, che nel raccontare il reale trascura lo share e pone al centro l’autore e l’onestà intellettuale del suo punto di vista, può fare la differenza. Santa Subito si concentra dunque sulla vittima e non indugia sul ritratto del persecutore. Racconta la storia di un destino annunciato, paradigma di troppe altre storie dallo stesso finale: il mio piccolo, personale appello affinchè le donne siano lasciate meno sole, quando si ritrovano in balia di una psicosi travestita da amore.
Giovanni Longoni per "Libero Quotidiano" il 17 marzo 2021. Nina ha 33 anni e oggi vive nel Daghestan, repubblica a maggioranza islamica della Federazione russa. Il padre era un àvaro - apparteneva cioè a una delle popolazioni autoctone del Caucaso che hanno abbracciato l'islam sunnita sin dal XIII secolo. La madre di Nina invece era russa e cristiana. La ragazza è cresciuta a Vyshny Volochyok nella regione di Tver, a metà strada fra Mosca e Pietroburgo. Andava in chiesa. Poi all'età di 7 anni i suoi si sono trasferiti nel Daghestan e i parenti del padre l'hanno accompagnata in un villaggio àvaro dove le è stata praticata l'infibulazione. Oggi ricorda solo dolore, umiliazione e forbici arrugginite nelle mani tremanti di una vecchia mezza cieca, come scrive l'articolista della Komsomolskaya Pravda, tabloid di Mosca che ha raccontato la vicenda. Il padre la manda a frequentare una scuola islamica a Buinaksk: Nina indossa il velo e si converte all'islam. Poi, quando ha 14 anni, la danno in sposa a un uomo del quale i quotidiani russi ricordano solo il cognome, Tseretilov, e il fatto che picchiasse la moglie, non lavorasse e ne sfruttasse i guadagni. Lei, che è una bella ragazza, lavorava in un negozio di abbigliamento. Dall'unione nascono tre figli, due maschi e una femmina. Poi, nove anni fa, anche un essere fino allora remissivo come Nina Tseretilova decide che è troppo. Chiede e ottiene il divorzio. Il tribunale le affida i tre figli, il marito dovrà pagarle gli alimenti. È il Daghestan, ma la giustizia sembra quella russa. Sembra. Passano i mesi e l'uomo non paga la somma dovuta ai figli; oggi il debito ammonta a 800 mila rubli. Nel 2018 Nina intenta una causa presso il tribunale di Makhachkala, la capitale. Al processo lui - che ha altre due mogli e sei figli - presenta immagini tratte dal profilo Instagram della ex. Nina ha gettato il velo alle ortiche e nelle immagini si vede infatti una ragazza moderna come tante in Occidente e nella Russia europea. Ha i capelli biondi e corti, un piercing al naso e alcuni tatuaggi. I giudici vedono quelli, non le cicatrici lasciate dalle violenze coniugali. I magistrati hanno deciso che i ragazzi devono andare a vivere col padre. Si legge nel dispositivo della sentenza: «Dalle foto e dai video presentati consegue che Tseretilova N.Sh. conduce uno stile di vita che non corrisponde alle norme e alle regole di comportamento di una madre». La decisione risale all'estate scorsa. Nina ha fatto appello ma i quotidiani moscoviti sono pessimisti sull'esito: in Daghestan, come in Cecenia, le cose vanno così. Per evitare nuove guerre, Mosca concede mano libera ai capi locali. E chiude gli occhi su storie di ordinario fanatismo.
Da "ansa.it" il 19 marzo 2021. Armie Hammer è indagato per stupro da parte della polizia di Los Angeles. Lo riferiscono diversi media americani. Le indagini nei confronti dell'attore di "Chiamami col tuo nome" coincidono con l'ultima serie di accuse dopo che un'altra donna si è fatta avanti per una episodio avvenuto nel 2017. La presunta vittima, che si è fatta identificare come Effie, ha accusato Hammer nel corso di una conferenza stampa alla presenza del suo avvocato. L'attore ha negato ogni accusa. Secondo la donna, Hammer ha avuto comportamenti violenti durante una relazione che a intermittenza è durata quattro anni.
Roberta Mercuri per Vanity Fair il 23 agosto 2021. Il divorzio da incubo di Johnny Depp e Amber Heard si arricchisce di un nuovo capitolo che segna un’importante vittoria in tribunale del divo: l’ex moglie sarà processata per diffamazione. Dopo che Amber aveva raccontato sul Washington Post di essere stata vittima di violenze domestiche, Johnny l’aveva infatti accusata di aver «mentito sugli abusi» chiedendo un risarcimento da 50 milioni di dollari. L’ex moglie aveva fatto ricorso, chiedendo l’annullamento della causa, ma ora una giudice della Virginia ha respinto il suo ricorso. La causa per diffamazione di Johnny, dunque, può procedere. Il processo inizierà ad aprile 2022. E non promette nulla di buono, visti i dettagli da film dell’orrore a cui ci hanno abituati gli ex coniugi, negli ultimi anni, dandosi battaglia in tribunale. I due, che sono detti addio nel 2017 tra reciproche accuse di violenze domestiche, hanno dato il peggio di loro stessi nel luglio 2020, quando si sono ritrovati faccia a faccia in aula nell’ambito del processo intentato da Depp al Sun che l’aveva definito un «picchiatore di mogli». Tre settimane di udienze in cui sono stati dati in pasto al mondo i raccapriccianti retroscena di un matrimonio a base di violenza, sangue, alcol, droghe e degrado. La sentenza del processo, arrivata i primi di novembre, ha sancito la sconfitta del divo. E il tracollo della sua carriera. Pochi giorni dopo la Warner Bros lo ha allontanato dal set di Animali Fantastici 3. Non solo: gli è stato tolto il ruolo di Jack Sparrow dal franchise di Pirati dei Caraibi e il suo ultimo film, Minamata, non è stato distribuito negli Usa. Proprio nei giorni scorsi Depp in un’intervista pubblicata sul Sunday Times si era scagliato contro il boicottaggio di Hollywood nei suoi confronti, confessando di aver vissuto, «come uomo e come attore», cinque anni «surreali». E promettendo che avrebbe continuato a dare battaglia per dimostrare al mondo la sua verità. Ora il divo ha vinto un importante round: Amber Heard sarà processata per diffamazione. E «il signor Depp è gratificato dalla decisione della corte», come ha fatto sapere con una breve nota il suo avvocato Ben Chew. La parola fine, per la guerra che contrappone da anni i due ex coniugi, sembra ancora molto lontana. Al di là di chi abbia torto o ragione, una cosa è certa: il loro divorzio sarà ricordato come uno dei peggiori della storia di Hollywood.
Francesca Scorcucchi per il “Corriere della Sera” il 30 agosto 2021. «Mi sento discriminato. Non ci sono dubbi che la decisione di non fare uscire Minamata in America sia legata alle mie vicende personali». Parola di Johnny Depp. Minamata è l'ultimo suo film e l'attore, all'indomani della vittoria dell'ultima battaglia nella guerra legale con la ex moglie Amber Heard, alza la voce e parla di discriminazioni nei suoi confronti e di ripercussioni sulla sua carriera causate da vicende che non sono passate in giudicato. «Sono stato condannato da Hollywood prima ancora che dalla legge». In effetti non c'è ancora una sentenza definitiva sul caso delle violenze domestiche denunciate dalla seconda moglie dell'attore. Depp ha perso la causa contro il tabloid britannico The Sun che lo aveva definito un «picchiatore di mogli», ma Heard sarà processata per diffamazione: il divo l'aveva accusata di aver «mentito sugli abusi», lei aveva fatto ricorso. Che un giudice della Virginia ha respinto. Nonostante questo, l'industria del cinema ha allontanato l'attore da due titoli importanti: non sarà nel prossimo Pirati dei Caraibi e non farà parte della saga di Animali Fantastici. Gli rimane Minamata, progetto minore ma molto interessante diretto da Andrew Levitas che nonostante lo stop negli Stati Uniti uscirà in Italia, su Sky Cinema 1 e in streaming su NOW, dal 17 settembre. Il film racconta una storia vera. Quella dell'inquinamento da mercurio, causato dagli sversamenti dell'industria chimica Chisso, che per cinquant' anni ha avvelenato le acque della baia di Minamata, villaggio sulla costa sud-occidentale del Giappone, causando gravissimi danni neurologici a migliaia di persone, tanto da dare il nome a una nuova sindrome: la malattia di Minamata.Depp interpreta il fotografo di guerra William Eugene Smith, che trascorse tre anni, fra il 1971 e il '73, a Minamata e realizzò un servizio per il magazine Life destinato a fare la storia dei reportage ambientalistici. L'attore è in un momento, della sua vita e della sua carriera, molto simile a quello in cui si trovava il personaggio che interpreta. Entrambi costretti a combattere con l'alcolismo, entrambi nella fase discendente della loro carriera, allontanati dall'ambiente professionale perché ritenuti poco affidabili e deleteri. E alla domanda se la vita di Smith in qualche modo ragiona con la sua, Depp riflette e poi risponde: «È interessante, ma non è stato l'approccio con cui ho affrontato questo lavoro». Ad aiutarlo, nell'approccio, è stata la moglie del fotoreporter, Aileen, la donna che fece scoprire il caso e che ora ha collaborato al progetto cinematografico. «Ci ha messo in contatto con le vittime e i pazienti, ci ha offerto immagini e documenti inediti sulla vicenda, ma soprattutto ci ha raccontato chi era veramente Gene (il soprannome di Smith, n.d.r). Ci ha aperto le porte all'intimità di quest' uomo e della loro relazione». La preoccupazione del regista e di Depp era quella di rispettare le vittime: «Abbiamo guardato questa gente negli occhi e abbiamo promesso che non saremmo stati invadenti. Mi ha colpito che gli abitanti non erano preoccupati di loro stessi, volevano far passare il messaggio che quanto accaduto a loro non sarebbe più successo ad altri». Forse proprio per superare le tribolazioni personali Depp ha aderito a un progetto che ha sentito suo anche grazie alla sua stessa passione per la fotografia: «Tutto ruota intorno a quello che puoi catturare nel tuo obiettivo. È un po' lo stesso approccio che ho con il cinema. Quello che vedo e quello che provo cerco di trasmetterlo al pubblico, recitando oppure facendo fotografie. Cerco di catturare l'essenza di quello che voglio raccontare». Proprio per la sua passione per la fotografia Depp conosceva W. Eugene Smith ben prima di interpretarlo. «Conoscevo il suo lavoro e in misura minore i vari traumi della sua vita. Credo che sia quasi un miracolo che la moglie sia riuscita a convincerlo ad andare in questo villaggio di pescatori per catturare in immagini cosa stava accadendo. Aileen mi ha raccontato cose che non ha detto forse a nessun altro e mi ha consentito di accendere una luce su Gene». La stessa luce che Depp ha promesso di accendere sulla sua vita ora: «Gli ultimi sono stati cinque anni surreali per me, ma mi sto muovendo per portare alla luce le cose».
La star di Hollywood "emarginata e boicottata". Una foto sconvolgente, ridotto così: irriconoscibile. Libero Quotidiano il 16 agosto 2021. La guerra legale con Amber Heard e quella, poi persa, con il Sun - che lo aveva accusato di essere un "picchiatore di mogli" - hanno pesato parecchio su un celebre attore statunitense: si tratta di Johnny Depp. Che adesso punta il dito contro Hollywood e accusa l'intero sistema di boicottare il suo ultimo film, "Minamata", presentato alla Berlinale nel 2020 ma poi bloccato dalla distribuzione nei cinema. Nella pellicola, oggetto del presunto boicottaggio, Depp veste i panni di Eugene Smith, fotoreporter di guerra di Life che, all'inizio degli anni 70, denunciò l’avvelenamento da mercurio a danno della natura e degli abitanti di Minamata, un piccolo villaggio di pescatori giapponesi. "Abbiamo guardato queste persone negli occhi e abbiamo promesso loro che non saremmo stati degli sfruttatori, e che il film sarebbe stato rispettoso. Credo che noi abbiamo mantenuto la nostra parte dell’accordo, ma anche quelli dall’altra parte avrebbero dovuto mantenere la loro", ha detto l'attore in un'intervista al Sunday Times. Puntando il dito contro Hollywood, poi, ha aggiunto: "Sta provando a boicottare il film, magari per colpa dell’attore protagonista e della brutta situazione in cui versa. Quante volte è già accaduto?". Depp, comunque, non sarebbe l'unico a pensarla così. Il mese scorso, in una lettera aperta pubblicata su Deadline, il regista del film Andrew Lewis aveva accusato la casa di produzione Mgm di "voler seppellire" il film a causa dei problemi personali di Depp.
La vicenda giudiziaria con l’ex ha travolto la sua carriera. Johnny Depp riceve il premio alla carriera in Europa, ma negli Usa resta bandito: “È un picchiatore di mogli”. Elena Del Mastro su Il Riformista il 10 Agosto 2021. Per il Festival di San Sebastian in Spagna, Johnny Depp è “uno degli attori più talentuosi e versatili del cinema contemporaneo”. E per questo motivo ha deciso di attribuirgli il più alto riconoscimento della manifestazione spagnola, il Donostia Award. Ma oltreoceano Depp continua ad avere vita difficile, ad essere ritenuto un “picchiatore di mogli”, come lo ha definito il The Sun che il divo di Hollywood ha anche querelato perdendo miseramente: il tribunale ha confermato la descrizione del giornale, ritenendo che Depp avesse aggredito l’ex moglie Amber Heard in più occasioni. E sul riconoscimento si è subito scatenato il putiferio sia nel Vecchio Continente sia a Hollywood. Poco importa se l’accusa sia stata smentita da tutte le sue compagne, e sia ancora in corso la battaglia giudiziaria con la ex moglie, la sentenza sembra ormai per molti incisa nel marmo. E così negli Usa Depp è stato sostituito da Mads Mikkelsen nel nuovo “Animali fantastici”, la MGM ha fatto sparire il suo nuovo film “Minamata” e da Netfix sono scomparsi i suoi titoli in alcune parti del mondo. Cosa c’entri poi il talento artistico con la questione giudiziaria del suo interminabile divorzio con Amber Heard questo non è chiaro. Tutte queste attenzioni oltreoceano però non hanno scoraggiato San Sebastian, e Depp riceverà il suo Donostia Award mercoledì 22 settembre. L’annuncio del premio da parte del festival non fa alcun riferimento alle polemiche che circondano Depp o ai suoi recenti problemi. Il vincitore del Donostia Award dello scorso anno è stato Viggo Mortensen, che a San Sebastian 2020 ha anche presentato il suo debutto alla regia, Falling. Tra i precedenti vincitori citiamo anche Glenn Ford (1987), Bette Davies (1989), Lauren Bacall (1992), Anthony Hopkins (1998) e Glenn Close (2011), Antonio Banderas che Meryl Streep (2008), o Penélope Cruz, Donald Sutherland e il regista Costa-Gavras (2019). A gettare il divo nella polvere la sua vicenda matrimoniale con Amber Heard che ha fatto chiacchierare i tabloid di tutto il mondo. Tra i due c’è burrasca e si accusano a vicenda di immonde violenze domestiche. Tra i due è partita una interminabile trafila di incontri in tribunale. Il The Sun definì Depp “picchiatore di mogli”, l’attore querelò il noto tabloid e ai finì in tribunale anche in questa circostanza. Durante il dibattimento si è rievocato sia il burrascoso matrimonio con la Heard, ma anche altri flirt precedenti dell’attore, e infine è arrivata la sentenza che ha rigettato l’accusa di diffamazione da parte di Depp verso The Sun. La decisone di attribuire a Depp il prestigioso premio di San Sebastian non è stata presa bene a Hollywood. L’Hollywood Reporter ha infatti già resa nota la propria indignazione, riportando che la mossa del famoso festival cinematografico spagnolo “sicuramente susciterà polemiche e anche un potenziale contraccolpo”: insomma negli States non perdonano, e soprattutto sono in molti a non gradire che il Donostia Award, un riconoscimento alla carriera che premia le figure che hanno “contribuito in modo eccezionale al mondo del cinema”, venga assegnato a Depp. Al coro di indignazione si sono aggiunte anche le cineaste spagnole. L’Associazione spagnola delle donne di cinema ha aspramente criticato la scelta artistica del festival di San Sebastian. La presidentessa dell’associazione, Cristiana Andreu, ha dichiarato all’Associated Press: “Questa è una pessima pubblicità per il festival e per la sua dirigenza e trasmette un terribile messaggio al pubblico: Non importa se sei un violento se sei un bravo attore”, come riportato da Coming Soon.
E dopo San Sebastian anche il festival ceco Karlovy Vary, ha deciso di onorare Johnny Depp non con un premio alla carriera, che andrà a sir Michael Caine, ma ospitandolo con due delle sue produzioni, Crock of Gold: A Few Rounds with Shane MacGowan e Minamata(foto), che da noi dovrebbe uscire a novembre.
Elena Del Mastro. Laureata in Filosofia, classe 1990, è appassionata di politica e tecnologia. È innamorata di Napoli di cui cerca di raccontare le mille sfaccettature, raccontando le storie delle persone, cercando di rimanere distante dagli stereotipi.
Riccardo De Palo per "ilmessaggero.it" il 23 aprile 2021. Johnny Depp non potrà fare ricorso in tribunale dopo la causa persa contro il “Sun” e la ex moglie Amber Heard che lo aveva accusato, perché questa possibilità gli è stata negata da un tribunale di Londra. Ma un video registrato dalla bodycam della polizia di Los Angeles, emerso in questi giorni, lo scagionerebbe, almeno in parte. E Depp è pronto a tornare in tribunale, questa volta contro la Heard e il Washington Post. Non vuole proprio rinunciare a lavare quell'offesa, di essere stato definito un "picchiatore di mogli". Il video, ripreso dal Daily Mail, è ora in possesso degli avvocati di Depp, che stanno valutando le prossime mosse: nella registrazione si vedono gli agenti entrare nella casa di Los Angeles della coppia, dopo una chiamata al 911: è il 21 maggio del 2016. La Heard ha sostenuto in udienza a Londra, nel corso dell'ultimo procedimento, di avere avuto quel giorno un violentissimo litigio con il marito, che l’avrebbe colpita con un telefono e le avrebbe strappato intere ciocche di capelli. Sempre secondo la testimonianza della ex moglie, la cucina sarebbe rimasta devastata, con candelabri distrutti, bicchieri rotti e macchie di vino alle pareti. Ma le immagini mostrano una cucina in ordine, senza alcun segno di violenza. Il legale di Depp Adam Waldman ha detto al MailOnline che questo video dimostra che il resoconto della controparte non è affidabile: «Amber Heard e i suoi amici hanno descritto una scena del crimine "caotica e devastata" ma i nuovi video delle bodycam degli agenti della LAPD dimostrano senza ombra di dubbio che l’appartamento era in ordine e senza segni di danneggiamenti, e che le loro testimonianze sono state delle solenni menzogne». La ex coppia si prepara comunque a tornare in tribunale in Virginia, dove Depp, 57 anni, ha citato in tribunale la sua ex moglie 34enne e chiede 50 milioni di dollari per un suo intervento pubblicato sul Washington Post in cui la donna si descriveva come una sopravvissuta in un caso di violenza domestica. Per l'attore - arrivato pochi anni fa a essere la star più pagata al mondo, è non solo una questione di onore, ma anche di carriera: la "cancel culture" di Hollywood non perdona la violenza contro le donne.
Da ilmattino.it il 25 marzo 2021. Niente appello. Ha perso, in tribunale, definitivamente Johnny Depp perché non potrà fare appello di fronte alla giustizia britannica contro la sentenza di primo grado che nei mesi scorsi lo ha visto sconfitto a Londra in una causa intentata al Sun: il tabloid che la star di Hollywood aveva querelato per esser stato definito nel 2018 un marito «picchiatore», ma che è stato alla fine assolto (il tabloid) sulla base d'una motivazione che ha riconosciuto come credibili le denunce di violenze e abusi avanzate dall'ex moglie, ex modella e attrice Amber Heard. In sostanza, secondo il tribunale, Depp ha davvero picchiato la sua ex moglie. L'attore aveva criticato con parole durissime quel verdetto, qualificandolo come ingiusto e annunciando l'intenzione di ricorrere all'istanza di giudizio superiore. Ma la possibilità di andare in appello - che nel sistema britannico deve essere vagliata e approvata da un giudice - gli è stata negata per mancanza di argomentazioni sufficienti dapprima dallo stesso magistrato del primo processo e ora anche da una corte di secondo grado. La sconfitta legale nel Regno Unito diventa così definitiva; e, dopo aver avuto già un impatto pesante sull'immagine e la carriera cinematografica di Depp, potrebbe produrre i suoi effetti anche sui contenziosi giudiziari tuttora aperti fra l'attore e Amber Heard negli Usa. Dopo un processo di tre settimane nel luglio dello scorso anno, è stata respinta la richiesta di diffamazione della star contro l'editore del Sun, giornale che aveva apostrofato Depp "picchiatore di mogli". Il giudice ha stabilito che Depp, 57 anni, ha aggredito Heard, 34 anni, in una dozzina di occasioni e l'ha indotta a temere per la sua vita tre volte. L'attore voleva andare in appello ma questa possibilità gli è stata negata. Questo è il commento rilasciato dal legale di Johnny Depp, Joelle Rich di Schillings Partners: «Le prove presentate all'udienza della scorsa settimana (l'appello del signor Depp contro News Group Newspapers LTD) dimostrano ulteriormente che ci sono ragioni chiare e obiettive per mettere seriamente in dubbio la decisione raggiunta dalla corte britannica. Il signor Depp non vede l'ora di presentare la prova completa e inconfutabile della verità nella causa per diffamazione negli Stati Uniti contro la signora Heard, dove dovrà fornire una completa rivelazione».
Renato Franco per il "Corriere della Sera” il 13 luglio 2021. L'attrice con una vita da film: uno strepitoso successo ad appena 14 anni con il brano Joe le taxi , due figli con Johnny Depp - che ha sempre difeso («assurdo, è una persona e un padre gentile generoso, mai violento») -, un marito sposato tre anni fa con cerimonia bucolica, il regista Samuel Benchetrit che a sua volta era stato sposato con l'attrice Marie Trintignant, uccisa in modo barbaro e selvaggio da Bertrand Cantat. Cinema, musica e gossip a tinte glamour e fosche, un impasto che è nel dna di Vanessa Paradis che a 48 anni ha ancora il fisico di una ragazzina che deve crescere.
Come fu, così giovane, dover gestire un successo così fragoroso?
«Il successo mi travolse come una tempesta. Soprattutto i primi due anni fu difficile, perché i giornalisti erano violenti e crudeli con me. Joe le taxi in Francia fu un fenomeno: tv, radio, giornali, tutti ne parlavano, il pubblico veniva nutrito quotidianamente con la mia storia. È finita che prima mi hanno amato e poi mi hanno odiato».
Lei aveva solo 14 anni.
«Quando sei così piccola è tutto più complicato da affrontare, perché a 14 anni nessuno si sente bene con se stesso, devi ancora crescere, formarti. Essere un personaggio pubblico a quell'età non è normale. Mi hanno aiutato tantissimo i miei genitori, non mi hanno mai spinto, anzi al contrario. Ma ero io a chiedere di entrare in quel mondo. E se ho affrontato tutto questo e sono passata oltre è perché amo questo lavoro e desideravo farlo».
È protagonista del film «Cette musique ne joue pour personne», questa musica non suona per nessuno (in sala prossimamente distribuito da I Wonder Pictures). Il film corre sul filo del grottesco e dell'assurdo, unica via per accettare la durezza della vita quotidiana. È diretta da Samuel Benchetrit, suo marito. Che effetto fa?
«Mette soggezione. Pensi che lui si aspetta molto da te, soprattutto in un film corale come questo, sai che non puoi deludere il regista e il marito insieme. Sapevo di dover essere brava a tutti i costi se no mi sarei vergognata. Mi chiedevo: sarò capace? Pensavo: il film di tuo marito che fallisce per colpa tua, un disastro. Quando immagini le cose ti viene ansia, ti stressi, ma poi per fortuna tutto scompare quando lavori».
È un film che parla di amore e violenza, di poesia e teatro. Perché vederlo?
«Perché lancia un messaggio che tocca tutti noi: ovvero come l'arte possa cambiare e rendere la nostra vita migliore, lenire i dolori, aprire il nostro mondo. Ci sono tante persone che non sono fortunate, che fanno un lavoro che sono costretti a fare e non gli piace. Invece l'arte, come lo sport, rende più felici: se vai a vedere una bella mostra, un bel film ti si apre il cuore. L'amore e l'arte rappresentano un riscatto per tutti i personaggi, la tenerezza vince sul crimine».
Si riconosce in questa donna che ha perso il marito ma è felice? Ride.
«Il bello di fare gli attori è vivere tante vite e dimenticarci di noi stessi quando lo facciamo. In comune io e la donna che interpreto abbiamo questo: la gioia di recitare, il piacere di essere sul palco. Ma non confondo mai i piani: la mia vita rimane sempre più importante del mio lavoro».
Si sente più cantante o attrice?
«La musica è sempre stata più importante del cinema per me, perché è il mio mondo: sono io che prendo le decisioni, sono io che creo la mia musica, sono più libera. Allo stesso tempo è un investimento emotivo più pesante. Con i film è diverso: il cinema è una creazione di altri dove spesso devi aspettare che qualcuno ti chiami e se non succede ti vengono dubbi, ti poni delle domande».
Qual è il giorno che vorrebbe rivivere?
«La prima volta che ho visto gli occhi dei miei figli».
Gli occhi di sua figlia Lily-Rose Depp oggi hanno 22 anni, anche lei ha deciso di fare l'attrice: che consigli le dà?
«A volte ci confrontiamo ma poi decide lei, sa cosa vuole e sa cosa non vuole. Ha fatto il primo film quando aveva solo 15 anni. Io ero spaventata che facesse un lavoro pubblico dove tantissime persone ti giudicano così presto. Ma cosa potevo dirle? Come potevo essere credibile sui miei timori? Io che ho iniziato un anno prima di lei».
Da "corriere.it" il 5 settembre 2021. «Ci sono molte cose di cui non posso parlare». Nonostante questa premessa, Angelina Jolie ha fatto numerosi riferimenti al suo divorzio da Brad Pitt , da lei accusato anche di violenza domestica, in una lunga intervista al quotidiano britannico Guardian, spiegando di considerare la sua separazione una questione di diritti umani. Alternando il suo racconto fra l’impegno umanitario che la vede in prima linea e la vita privata, l’attrice ha confessato: «Spesso non riesci a riconoscere qualcosa in ottica personale, soprattutto se ti concentri sulle più grandi ingiustizie globali, perché tutto il resto sembra più piccolo. È molto dura. Mi ci è voluto davvero tanto per arrivare al punto da sentire di dovermi separare dal padre dei miei figli». Alla domanda se avesse paura per la sicurezza dei suoi figli, ha risposto: «Sì, per la mia famiglia. Tutta la mia famiglia». Jolie, 46 anni, ha detto di aver passato anni difficili e di non esserne ancora fuori, aggiungendo però di desiderare che «tutta la famiglia stia bene, incluso il padre dei miei figli». Jolie ha inoltre fatto riferimento nell’intervista a un suo incontro con Harvey Weinstein quando aveva 21 anni, accennando a delle avances da parte dell’ex produttore cinematografico, condannato per stupro e aggressioni sessuali, mentre stava lavorando al film «Playing By Heart»: «È qualcosa da cui sono sfuggita. Me ne sono stata distante e ho messo in guardia le persone su di lui, ho detto di non lasciare che le ragazze stessero da sole con lui. Mi hanno chiesto di recitare in “The Aviator” ma ho detto di no perché era coinvolto. Non ho mai più voluto lavorare con lui ed è stata dura per me quando invece Brad l’ha fatto. Abbiamo litigato per questo. Ci sono stata male». Jolie ha anche detto che spesso le donne sminuiscono la gravità di un’aggressione sessuale se riescono a sfuggirne e così ha fatto lei stessa: «Se riesci a fuggire dalla stanza, pensi che lui abbia tentato ma non sia riuscito, giusto? Ma la verità è che il tentativo e l’esperienza del tentativo sono un’aggressione». Angelina Jolie e Brad Pitt, genitori di sei figli, erano una delle coppie più scintillanti e famose di Hollywood. Hanno annunciato la separazione nel 2016, infrangendo la favola dei «Brangelina», trasformatasi negli ultimi anni in un incubo di battaglie legali, accuse e dolore che è ancora in corso e che include anche la custodia dei figli. Un episodio raccontato da Jolie, in particolare, aveva all’epoca scatenato la richiesta di divorzio: durante un viaggio nell’aereo privato della famiglia Pitt, ubriaco, sarebbe diventato «verbalmente e fisicamente violento» con il figlio Maddox. L’attore fu poi scagionato da quelle accuse, ma ammise di avere problemi di alcol, iniziando un percorso con gli Alcolisti Anonimi dopo la separazione. Jolie ha ora scritto un libro «Know Your Rights» insieme all’avvocato per i diritti umani Geraldine Van Bueren: una guida per aiutare i più piccoli a conoscere i loro diritti e a reclamarli. «Quel che so è che quando viene fatto del male a un bambino, fisicamente, emotivamente o vedendo che viene fatto del male a qualcuno di loro caro, ciò può danneggiarlo. Uno dei motivi per cui i bambini devono avere questi diritti è perché senza sono vulnerabili e rischiano di vivere in modo insicuro». Una riflessione generale che però l’attrice sembra estendere alla sua famiglia, considerando la difesa dei suoi figli come parte di una battaglia per i diritti più ampia: «È stato tutto così orribile che quasi vedo come una benedizione il fatto di essere in una posizione in cui posso combattere il sistema. Non inizia tutto con una violazione. È molto più complicato di così. A mio figlio di 17 anni, per esempio, è stato negato di avere una voce in tribunale». Jolie, descritta dalla giornalista del Guardian come stanca, a tratti sull’orlo delle lacrime, complessa e talvolta contraddittoria, puntualizza poi però di desiderare che «tutti noi andiamo avanti. Voglio che stiamo bene e in pace. Saremo sempre una famiglia».
Da "huffingtonpost.it" il 27 maggio 2021. Via libera da un giudice californiano alla custodia congiunta dei figli per Brad Pitt (ma solo in via provvisoria). Le superstar di Hollywood Pitt e Angelina Jolie, protagonisti di quello che è stato definito ‘il divorzio del secolo di Hollywood’, hanno sei figli, tre biologici e tre adottati. L’ex coppia ha divorziato formalmente due anni fa e da allora ha avuto inizio una lunga battaglia giudiziaria. Dopo aver lavorato per mesi sul caso ascoltando testimonianze di professionisti che hanno avuto modo di parlare con i figli di Angelina Jolie e Brad Pitt, il giudice John Ouderkirk si è espresso chiaramente sulla questione. “C’è stato un cambiamento significativo negli accordi di custodia sulla base di una decisione estremamente dettagliata presa dal giudice”, ha riferito una fonte vicina alla coppia alla testata ‘Page Six’, “Brad stava solo cercando di avere più tempo da trascorrere con i suoi figli”. Il provvedimento tuttavia è solamente provvisorio, poiché l’attrice avrebbe intenzione di continuare la sua battaglia legale. I termini del contratto originale di custodia dei figli non sono mai stati rivelati pubblicamente, ma i media statunitensi hanno ampiamente riferito che Pitt ha cercato da subito la custodia condivisa, mentre Jolie ha chiesto l’affidamento esclusivo. I “Brangelina” si sono sposati in Francia nel 2014, ma erano una coppia dal 2004 dopo aver recitato in “Mr and Mrs Smith”.
DAGONEWS il 17 marzo 2021. Angelina Jolie si dichiara "pronta a fornire prove di violenza domestica" nell'aspra battaglia per il divorzio con l'ex marito Brad Pitt. I documenti ottenuti da The Blast mostrano che l'attrice, 45 anni, si è dichiarata disposta a offrire nello specifico "prove autorevoli" a sostegno di presunte violenze. La coppia condivide l'affidamento dei figli Maddox, Zahara, Pax, Shiloh e i gemelli Knox e Vivienne, i più piccini, di quasi 12 anni. Al momento, la coppia sta cercando di accordarsi finanziariamente, oltre che per la custodia. Il divorzio risale al 2016, quando Pitt è stato indagato dall'FBI e dai servizi sociali proprio per presunti comportamenti aggressivi all'interno della famiglia, addirittura accusato (e scagionato) per aver abusato di Maddox, il figlio maggiore, dopo una lite su un jet privato. Oltre alle accuse di abusi domestici, i documenti in mano alle autorità dimostrerebbero che il tribunale stia per chiedere alla coppia di far testimoniare anche Shiloh, Knox e Vivienne. Dissapori anche all'interno dello staff dei legali della Jolie, che sarebbe intenzionata più che mai a ottenere la custodia totale dei figli, mentre Brad starebbe combattendo per un 50 e 50. Una fonte vicina a Jolie ha detto: «Angelina ha combattuto con le unghie e con i denti per ottenere ciò che vuole in questo divorzio, quando si tratta dei suoi figli non si tira indietro». Uno degli ex legali dell'attrice, Laura Wasser, l'ha inoltre definita come "cattiva e velenosa".
Anna Guaita per “il Messaggero” il 19 marzo 2021. Quando sembrava che l'annosa lite fra Angelina Jolie e Brad Pitt sull'affidamento dei figli stesse per giungere a una conclusione amichevole, l'attrice lancia nuove inquietanti accuse che potrebbero riportare tutto in alto mare. Lo scorso venerdì Angelina ha presentato un ricorso in tribunale in cui sostiene di poter offrire «prove e testimonianze autorevoli» circa comportamenti violenti dell'ex marito nei confronti dei figli e di lei stessa. La 45enne attrice sarebbe pronta a portare i figli minorenni a testimoniare. Significa cioè che cinque dei sei figli che la coppia ha avuto e adottato potrebbero doversi sedere sulla sedia dei testimoni. Il più grande, Maddox, ha 19 anni e quindi per legge può rifiutarsi di obbedire. Gli altri figli sono Pax di 17 anni, Zahara di 16, Shiloh di 14, e i gemelli Knox e Vivienne di 12 anni (Maddox, Zahara e Pax sono adottati). Brad e Angelina si sono separati nel 2016 dopo 10 anni di convivenza e due di matrimonio. Nel novembre di quell'anno sulla base di voci diffuse da testimoni sui social, fu aperta un'inchiesta per possibili atti aggressivi di Brad verso l'allora 15enne Maddox, durante un volo di ritorno dall'Europa. Due mesi di indagini da parte sia del Dipartimento della Famiglia che dell'Fbi non portarono alla luce nessuna prova di aggressività e definirono quell'incidente «un normale battibecco fra padre e figlio, senza uso della forza». Non è chiaro dunque se le accuse di oggi di Jolie si riferiscano a nuovi eventi, avvenuti dal 2016 in poi. Amici dell'attore hanno commentato che Angelina sta solo tentando di «danneggiare» Brad, e che negli ultimi quattro anni altre volte ha presentato accuse «che sono state controllate e si sono rivelate infondate».
AVVOCATI E PARCELLE. La coppia, che ha finalizzato il divorzio già da due anni, sembra effettivamente incapace di trovare un accordo sui figli. Lei ha già cambiato avvocato quattro volte, e ha speso una vera fortuna in parcelle legali. Ultimamente ha venduto un quadro che Brad le aveva regalato nel 2011, e ne ha ricavato quasi 15 milioni di dollari. Ma allo stesso tempo, con sei figli teenager in scuole costosissime, varie case con personale numeroso, viaggi eleganti e dispendiosi di gruppo, anche un'attrice del suo calibro sembra sia in difficoltà finanziarie, anche perché da tempo non lavora e vive solo dei diritti che le spettano dai vari film. Ovvio che non sono mancate le voci malevoli che insinuano che le accuse di violenza contro l'ex marito potrebbero essere un tentativo disperato di obbligarlo a concludere la causa che oramai si trascina da quattro anni. Per di più Angelina deve aver sicuramente letto le interviste in cui Brad ha raccontato di voler chiedere il pieno affidamento della 14enne Shiloh, la prima figlia che la coppia ha avuto, che gli assomiglia moltissimo e che è diventata un'eroina del movimento Lgbtq per la sua chiara identità più maschile che femminile. Angelina invece non vuole assolutamente separare la truppa dei figli e ha sempre insistito di averne il pieno affidamento, rifiutando l'affidamento condiviso che gli avvocati dell'ex marito le proponevano all'inizio. Dal canto suo, Brad pure non è senza colpa, poiché aveva originariamente accettato di lasciarle i figli, accontentandosi del diritto di visita. Ma ha cambiato idea, e anzi in questi quattro anni ha abbracciato uno stile di vita molto morigerato, senza alcol e con periodici controlli per dimostrare che non usa droghe, allo scopo di dimostrare al giudice di aver creato un ambiente sicuro per i figli. Nel frattempo Angelina ha ammesso che la lunga lotta contro l'ex marito è stata «una prova molto difficile», e che sta facendo grandi sforzi «per risanare la famiglia» senza esserci ancora riuscita. E pensare che quando erano insieme i Brangelina facevano sognare. Si erano incontrati quando il matrimonio di Brad con Jennifer Aniston stava facendo acqua, e si piacquero subito, e in poco tempo divennero la coppia più ammirata del mondo, bella, ricca, piena di figli. E poi il crollo, e un divorzio che passerà alla storia come uno dei più combattuti di Hollywood.
Chiara Maffioletti per il “Corriere della Sera” il 20 marzo 2021. Non resta nemmeno il ricordo della bella fiaba. Angelina Jolie e Brad Pitt, l' ex coppia più sfavillante di Hollywood - i più belli tra i belli, i più potenti tra i potenti - a ogni udienza del loro complicatissimo divorzio frantumano sempre più quell' immagine di perfezione che aveva destato parecchi sospiri e anche qualche moto d' invidia durante la loro unione. Ora, a vacillare, è anche il loro ruolo di genitori: li avevamo conosciuti come performanti funamboli capaci di destreggiarsi con grazia tra gli impegni e i desideri della numerosa famiglia che avevano formato. Ora, quella stessa famiglia diventa il principale terreno della contesa che, cinque anni dopo la separazione, li vede ancora uno contro l' altro. E, come nel più triste dei copioni, adesso arriva anche a coinvolgere i figli, direttamente. Giorni fa, fonti vicine all' attrice avevano fatto trapelare la sua volontà di arrivare alla fine di questa causa eterna, calando quello che cinicamente è stato definito il suo asso: decidendo, cioè, di far deporre i figli in suo favore. Ieri è arrivata la notizia secondo cui il maggiore della coppia, il 19enne Maddox, lo avrebbe già fatto, testimoniando contro il padre - con cui, è stato fatto capire, i rapporti sarebbero ancora tesi - al punto da voler cancellare il suo cognome, per usare solamente quello della madre. Subito dopo la rottura tra Pitt e Jolie, si era detto che a far crollare la situazione tra loro sarebbe stato proprio un litigio fra Maddox e Pitt, nel contesto non esattamente comune tra la maggior parte delle famiglie di un volo privato. Era il 2016. Poco dopo, l' annuncio della separazione. Ora però, si aggiungono nuovi dolorosi tasselli che descrivono un rapporto padre-figlio mai più recuperato. «Maddox da tempo non usa Pitt sui documenti non legali bensì Jolie - ha rivelato una fonte alla stampa americana - e vuole cambiare legalmente il suo cognome in Jolie». Oltre a Maddox, la coppia ha altri cinque figli: Pax, 17 anni; Zahara, 16; Shiloh, 14 e i gemelli Knox e Vivienne, 12 e tutti, ora, potrebbero essere chiamati anche loro a testimoniare. Le accuse rivolte a Pitt sono gravi: violenza domestica. Al momento della separazione, avevano iniziato a circolare voci che parlavano di un divo spesso in preda alla collera, il più delle volte ubriaco. Accuse pesanti, che ora tornano a prendere corpo nella causa che vede contrapposti i due attori, sempre più simili alla coppia (in guerra) che avevano interpretato nel film che per paradosso li aveva fatti innamorare, Mr. e Mrs. Smith . Da allora - era il 2004 - i due non si erano mai separati, decidendo di sposarsi dopo dieci anni di convivenza nel loro Chateau Miraval, nel sud della Francia. Due anni dopo, l' annuncio che in pochi si aspettavano: quello della fine del loro amore. Sul glamour che aveva illuminato da subito questa unione, calava in quel momento un velo opaco da cui poi non sarebbero più usciti, fino ad arrivare al divorzio effettivo, nel 2019, per «divergenze inconciliabili». Finiva così la loro storia ma non la loro battaglia: la causa per la spartizione dei beni e la custodia dei figli è nel vivo. E ora arriva a toccare anche i figli, frantumando, dopo l' idea della coppia perfetta, anche l' immagine di una famiglia guidata in ogni scelta dall' amore.
La ricerca in tutta la provincia di Taranto. Due donne accoltellate a morte, ritrovate in casa in una pozza di sangue: è caccia all’uomo. Vito Califano su Il Riformista il 15 Marzo 2021. Una strage di famiglia, a quanto ricostruito finora, e caccia all’uomo nel tarantino. Un uomo di 61 anni di Massafra ha telefonato ai carabinieri oggi pomeriggio dicendo di aver ucciso la moglie e la suocera. A coltellate. Pugnalate a morte. Scattata la caccia all’uomo, che ancora non è stato rintracciato, in tutta la provincia. Le donne sono state trovate senza vita in un appartamento del rione San Francesco. Avevano 66 e 100 anni. Ritrovati sui cadaveri delle donne diversi fendenti all’altezza della gola. I due corpi in una pozza di sangue. La chiamata dell’uomo intorno alle 17:30 di questo pomeriggio. Il 61enne, che si chiama Antonio Granato, residente in Via Da Vinci, avrebbe lasciato intendere di volersi togliere la vita. Sul posto i carabinieri, il pubblico ministero di turno e il medico legale. La strage, a quanto ricostruito, alla fine di un acceso diverbio, scrive Lapresse. In corso nell’abitazione i rilievi della sezione scientifica dell’arma e del medico legale, alla presenza del pubblico ministero di turno presso la procura di Taranto, Marco Colascilla Narducci e del comandante provinciale dei carabinieri Luca Steffensen.
Massafra, sgozza moglie e suocera con un arnese da lavoro, poi fugge via: caccia a 61enne. I vicini: «Una tragedia inspiegabile». Al vaglio delle forze di polizia la dinamica dell'omicidio. La Gazzetta del Mezzogiorno il 15 Marzo 2021. Due donne sono state trovate morte in una pozza di sangue, all'interno di un appartamento in via Da Vinci, nel rione S.Francesco, nella zona nord di Massafra nel Tarantino. Secondo quanto si apprende dalle forze dell'ordine, è caccia ad Antonio Granata, di 61 anni, marito di una delle due vittime, Carolina Bruno, moglie e suocera del presunto killer rispettivamente di 66 anni e Lorenza Addolorata Carano, di 92 anni. Le due sarebbero state accoltellate dopo un acceso diverbio. L'uomo pare che le abbia colpite a morte con dei fendenti alla gola, per poi fuggire via fino a far perdere le proprie tracce a bordo della sua auto. A dare l’allarme sarebbe stato proprio il marito e genero delle due vittime, che poi - secondo alcune testimonianze - avrebbe tentato di compiere gesti autolesionistici prima di allontanarsi. Sul luogo del duplice omicidio sono intervenuti il pm di turno della Procura di Taranto, Marco Colascilla Narducci, e il comandante provinciale dei carabinieri Luca Steffensen assieme ai carabinieri della locale Compagnia e del comando provinciale di Taranto accorsi per chiarire la dinamica del duplice femminicidio. Ha probabilmente usato un arnese da lavoro il 61enne, attualmente ricercato dai carabinieri, che questo pomeriggio ha ucciso la moglie di 65 anni e la suocera di 91 in un appartamento di via Leonardo Da Vinci, nel rione San Francesco di Massafra (Taranto). A quanto si apprende il ricercato si occupa di potature di alberi e piante e non ha precedenti penali.
I carabinieri del Reparto investigazioni scientifiche stanno compiendo i rilievi e cercando di ricostruire la dinamica del duplice omicidio. Il sindaco di Massafra, Fabrizio Quarto, che ha appreso la notizia dagli agenti della Polizia Locale, parla di «immane tragedia che ha colpito la comunità».
Omicida-suicida, prima di impiccarsi aveva tentato di annegare in un pozzo. La nota stampa dei carabinieri su La Voce di Manduria martedì 16 marzo 2021. Prima di impiccarsi ad un albero di agrumi, il duplice omicida aveva tentato di annegare gettandosi in un pozzo. Ecco la nota stampa dei carabinieri. A Palagiano, località Marziotta, all’interno di un terreno agricolo, al termine di una vasta e ininterrotta battuta di ricerca condotta anche attraverso l’osservazione aerea di un velivolo ad ala rotante dell’Elinucleo di Bari, I Carabinieri di Massafra e del Comando Provinciale di Taranto hanno rinvenuto il corpo esanime di Antonio Granata, che ieri, servendosi di un coltello, aveva tolto la vita, alla moglie e alla suocera in un appartamento di Massafra, per poi rendersi irreperibile. L’uomo è stato ritrovato seminudo impiccato, con un filo zincato, a un albero, in un campo di agrumi prospiciente a un appezzamento di terreno di proprietà familiare, già più volte controllato nel corso della notte. Nei pressi del luogo del rinvenimento, i militari hanno anche individuato l’autovettura dell’omicida nonché i suoi indumenti, intrisi d’acqua, segno del fatto che il 61enne, prima di impiccarsi, abbia con tutta probabilità tentato il suicidio lanciandosi in un pozzo ubicato nei paraggi, senza tuttavia riuscire nel proprio intento. Sul posto, sono sopraggiunti il PM della Procura jonica titolare delle indagini, il medico legale, nonché i militari della sezione investigazioni scientifiche del Nucleo Investigativo di Taranto, per i rilievi del caso.
Massafra, trovato morto il 61enne killer di moglie e suocera. L'uomo si è suicidato: i carabinieri hanno trovato il cadavere. su La Gazzetta del Mezzogiorno il 15 Marzo 2021. Si è ucciso, impiccandosi a un albero di ulivo con un cavo di acciaio, il 61enne Antonio Granata che ieri pomeriggio a Massafra (Taranto) ha ucciso moglie e suocera colpendole al volto e alla gola con un coltello o un arnese da lavoro. A ritrovare il cadavere, questa mattina nelle campagne di Palagiano, nel Tarantino, sono stati i carabinieri. A quanto si apprende, l’uomo si è tolto la vita vicino a un terreno di famiglia. Il 61enne ieri ha ucciso sua moglie e sua suocera, Carolina Bruno di 65 anni e Lorenza Addolorata Carano di 91,al culmine di una violenta lite nella loro abitazione. Secondo le prime indagini, alla base delle discussioni in famiglia c'era una questione di debiti di alcuni parenti. Prima di impiccarsi avrebbe tentato il suicidio lanciandosi in un pozzo vicino al luogo del ritrovamento del cadavere. Nei pressi del luogo del rinvenimento, i militari hanno anche individuato la Seat Ibiza dell’omicida e i suoi indumenti, intrisi d’acqua, segno che aveva già tentato di togliersi la vita in un altro modo. Il ritrovamento è avvenuto al termine di una vasta e ininterrotta battuta di ricerca condotta anche attraverso l’osservazione aerea di un velivolo dell’Elinucleo di Bari. Sul posto sono intervenuti il pm Marco Colascilla Narducci, il medico legale, i militari della sezione investigazioni scientifiche.
IERI SERA LA TRAGEDIA - Due donne sono state trovate morte in una pozza di sangue, all'interno di un appartamento in via Da Vinci, nel rione S.Francesco, nella zona nord di Massafra nel Tarantino. Secondo quanto si apprende dalle forze dell'ordine, è caccia ad Antonio Granata, di 61 anni, marito di una delle due vittime, Carolina Bruno, moglie e suocera del presunto killer rispettivamente di 66 anni e Lorenza Addolorata Carano, di 92 anni. Le due sarebbero state accoltellate dopo un acceso diverbio. L'uomo pare che le abbia colpite a morte con dei fendenti alla gola, per poi fuggire via fino a far perdere le proprie tracce a bordo della sua auto. A dare l’allarme sarebbe stato proprio il marito e genero delle due vittime, che poi - secondo alcune testimonianze - avrebbe tentato di compiere gesti autolesionistici prima di allontanarsi. Sul luogo del duplice omicidio sono intervenuti il pm di turno della Procura di Taranto, Marco Colascilla Narducci, e il comandante provinciale dei carabinieri Luca Steffensen assieme ai carabinieri della locale Compagnia e del comando provinciale di Taranto accorsi per chiarire la dinamica del duplice femminicidio. Ha probabilmente usato un arnese da lavoro il 61enne, attualmente ricercato dai carabinieri, che questo pomeriggio ha ucciso la moglie di 65 anni e la suocera di 91 in un appartamento di via Leonardo Da Vinci, nel rione San Francesco di Massafra (Taranto). A quanto si apprende il ricercato si occupa di potature di alberi e piante e non ha precedenti penali. I carabinieri del Reparto investigazioni scientifiche stanno compiendo i rilievi e cercando di ricostruire la dinamica del duplice omicidio. Il sindaco di Massafra, Fabrizio Quarto, che ha appreso la notizia dagli agenti della Polizia Locale, parla di «immane tragedia che ha colpito la comunità».
LA TESTIMONIANZA DEI VICINI- «Una tragedia inspiegabile», dicono i vicini accorsi sul luogo della tragedia. Ecco la loro testimonianza.
Il dolore della famiglia: "Stiamo soffrendo, lasciateci stare". Omicidio Ornella Pinto, cosa è successo veramente quella notte: “Ha premeditato tutto”. Ciro Cuozzo su Il Riformista il 18 Marzo 2021. “Lasciateci in pace, stiamo soffrendo. E’ un dolore inspiegabile, mai avremmo pensato a un epilogo del genere”. Lacrime ma anche tanto contegno quello dei genitori, delle due sorelle maggiori, Valeria e Stefania, e dei familiari di Ornella Pinto. Nel giorno dell’ultimo saluto alla 39enne, uccisa con 15 coltellate dal compagno Pinotto Iacomino, 43 anni, sono circa 300 le persone presenti nel piazzale del Duomo di Napoli. L’ingresso all’interno della cattedrale è veicolato da due poliziotti che, a causa delle norme anti-covid, hanno lasciato passare soltanto i parenti e pochi amici di famiglia, in totale poco più di una cinquantina di persone. All’esterno invece erano presenti le donne dell’associazione ‘Forti Guerriere’ del Rione Sanità, già scese più volta in strada per chiedere giustizia dopo il femminicidio di Fortuna Bellisario e la scarcerazione del marito dovuta a problemi di salute, le mamme di tutti i compagni di classe del figlio di Ornella oltre alle colleghe e agli alunni del Liceo Artistico Statale dove la 39enne insegnava. Molte le donne che indossano abbigliamenti o accessori di colore rosso. La liturgia funebre, iniziata intorno alle 11, è stata celebrata dall’arcivescovo di Napoli Domenico Battaglia con la presenza anche di don Luigi Calemme, parroco della basilica della Santissima Annunziata, frequentata dai genitori di Ornella che vivono a Forcella. “Al primo schiaffo si deve capire dell’inganno che si nasconde dietro al rapporto, perché non c’è amore e non ce ne sarà per nessuno. Fermiamo la violenza chiamandola col suo nome ogni volta che notiamo un livido nascosto” sono le parole del vescovo durante l’omelia. L’uscita del feretro, sorretto dalle donne dell’associazione, è stato accolto da un lungo applauso. “E’ stato un omicidio premeditato, l’ha uccisa mentre dormiva con il figlioletto, nessuno sconto per il marito” spiegano le mamme presenti. Le attenzioni ora sono tutte concentrate sul figlio della giovane insegnante. Il piccolo ha assistito agli ultimi istanti di vita dalla madre. “Era nascosto sotto le coperte e terrorizzato” ha raccontato il nonno Giuseppe Pinto in una intervista rilasciata nei giorni scorsi a “Il Mattino“. Il bimbo è a casa della zia (la sorella maggiore di Ornella) con i cuginetti più grandi. “Non ha mai visto tutta questa cioccolata, lo stiamo coccolando” commenta un familiare di Ornella all’esterno del Duomo. “E’ orfano due volte: ha perso la mamma e anche chi l’ha uccisa” osserva un’attivista delle “Forti Guerriere”. Il femminicidio di Ornella ha spiazzato tutti. “Non c’erano avvisaglie, non c’era violenza pregressa” spiega un’amica di famiglia all’esterno della chiesa. L’uomo ha agito sabato notte 13 marzo, pochi giorni dopo la decisione della compagna di chiudere la loro relazione dopo sei anni di convivenza e un figlio che ancora deve compiere quattro anni. E’ entrato nell’abitazione al terzo piano di via Filippo Cavolino, nel quartiere San Carlo Arena, svegliando Ornella e rifilandole ben 15 coltellate, incurante della presenza del bambino che dormiva nel letto insieme alla madre. Dopo la brutale aggressione, Iacomino è fuggito via dicendo a una vicina di casa, probabilmente svegliata dalle urla della donna, “l’ho uccisa“. Ornella era però ancora viva e ha telefonato alla sorella maggiore, Stefania, che abita nelle vicinanze. Poi il drammatico epilogo al Cardarelli con il decesso avvenuto quattro ore dopo il ricovero mentre il compagno, dopo 350 chilometri percorsi in auto, si costituiva presso la caserma dei carabinieri di Montegabbione (Terni). Adesso è in carcere con l’accusa di omicidio volontario anche se le indagini proseguono per accertare l’eventuale premeditazione dell’uomo che escluderebbe il giudizio con il rito abbreviato e il relativo sconto di pena.
Femminicidio a Napoli: "Ornella Pinto vittima di brutalità inaudita". Irene de Arcangelis su La Repubblica il 14 marzo 2021. La giovane professoressa di filosofia uccisa dal suo compagno. In casa anche il piccolo figlio della coppia, 4 anni. L'ennesima storia che segue l'inaccettabile copione delle morti violente in seguito alla fine di un rapporto. Ucciderla, soprattutto devastare il suo corpo. Dodici coltellate, tutte al petto: sette sul lato destro, cinque sul sinistro. Per massacrarla l'ha inseguita in tutte le stanze dove lei voleva nascondersi, lasciando una scia di sangue dal bagno alla cucina, dal corridoio alla camera da letto. Fino a quando lei non è riuscita a chiedere aiuto chiamando la sorella. L'uomo è scappato, ha guidato per due ore fino a Terni dove si è costituito. Quando i carabinieri gli hanno aperto ha detto: "Ho ucciso mia moglie". Certo di aver lasciato quella donna morta in camera da letto quando invece era ancora viva. Soccorsa, portata subito in sala operatoria al Cardarelli, la vittima però non ce l'ha fatta. Si è spenta qualche ora dopo la confessione del compagno, lasciando esterrefatti per la violenza anche i medici che avevano cercato di salvarla. Ornella Pinto, trentanovenne con laurea in filosofia. Abituata al ragionamento e non certo alla violenza, insegnante di sostegno al liceo artistico Santissimi Apostoli: è lei l'ultima vittima della violenza sulle donne, fenomeno che si è fortemente acuito ai tempi del Covid con le convivenze forzate. La storia di Ornella segue il copione inaccettabile della morte violenta in seguito alla fine del rapporto con il suo compagno di 43 anni Pinotto Iacomino, genitori di un bimbo di quasi quattro anni. Rapporto in crisi ma anche problemi di lavoro causa Covid. Iacomino è infatti gestore di un albergo di Ercolano chiuso per la pandemia. E Ornella, insegnante di sostegno, resta anche lei a casa. Lavora in Dad. Cercano di rimanere insieme, ma quindici giorni fa il rapporto si interrompe. Lui va via, a Terni, dove ha dei parenti. Quindici giorni lontani, durante i quali però la mente di Iacomino va in tilt. Quello che mette a segno la scorsa notte è un vero e proprio agguato. Ha tenuto le chiavi di casa quando è andato via, intorno alle cinque del mattino di ieri torna a Napoli e apre la porta dell'appartamento in via Filippo Cavolino, quartiere San Carlo Arena, dove è rimasta a vivere Ornella con il figlioletto di quattro anni. Lei si sveglia di soprassalto. Quel che succede dopo viene ricostruito dalla polizia. Iacomino è arrivato disarmato. Scoppia la lite, lui vuole poter stare con il figlio e tornare con Ornella. Ma lei non ci sta. In cucina l'uomo afferra un coltello e comincia a colpire. Ornella grida, lo prega di fermarsi, fugge dalla cucina lungo il corridoio, poi in bagno. Ma lui la insegue, continua a colpire. E lei, pur piegata in due, tenta ancora di salvarsi raggiungendo la camera da letto mentre il bimbo si sveglia per il gran fracasso. Intanto Iacomino sferra la dodicesima coltellata e Ornella crolla a terra nel sangue. Immobile, Iacomino si convince che è già morta. Scappa, è così stravolto da lasciare il suo cellulare in casa. Risale a bordo della sua Mazda, raggiunge l'autostrada A1 e si dirige verso Terni. La caserma dei carabinieri della stazione di Montegabbione (Terni) è molto vicina all'uscita dell'autostrada. E Iacomino, dopo aver guidato per due ore, la raggiunge. Suona il campanello e al carabiniere che gli apre dice soltanto: "Ho ucciso mia moglie". Ornella Pinto Eppure Ornella non è ancora morta. Quando il suo assassino va via lei riesce a raggiungere il telefonino e a chiamare la sorella Stefania: "Aiutami". Il cognato Antonio chiama subito la polizia e il 118, quando arrivano le volanti Ornella è già a bordo di una ambulanza, viene portata direttamente in sala operatoria, ma è un caso disperato. Muore alle 10.30. "È l'ennesimo episodio di aggressione e omicidio nei confronti di una donna - sottolinea il direttore generale del Cardarelli, Giuseppe Longo - Un gesto vile e di una brutalità inaudita. Fatti come questo dovrebbero spingerci ad una riflessione profonda su quanto sta accadendo. Siamo vicini alla famiglia di questa giovane madre e a tutte le donne". Iacomino viene interrogato nel pomeriggio dal pm della procura di Terni Elena Neri e fermato per omicidio volontario. Confessa e piange: "Non vedrò più mio figlio", ripete. Mentre le colleghe insegnanti di Ornella esprimono il loro dolore per l'accaduto, sono sconvolti i vicini di casa che descrivono la famiglia di Ornella "tranquilla e senza problemi". "Ancora un brutale femminicidio ad opera di chi dovrebbe amare la propria compagna invece di odiarla al punto di ucciderla - dice il sindaco de Magistris - Le donne, in questa pandemia, stanno pagando un prezzo altissimo. Esprimo a nome mio e di tutta la città profondo dolore e cordoglio per il brutale omicidio di Ornella e ci stringiamo attorno ai suoi veri affetti". E la senatrice del Pd Valeria Valente: "Quest'ultimo femminicidio parla a tutti noi molto chiaramente. Occorre imparare ad ascoltare le donne, a dare credito alle loro richieste di aiuto e a riconoscere subito la violenza domestica senza derubricarla a conflitto di coppia".
Giuseppe Crimaldi per “il Messaggero” il 14 marzo 2021. La morte è arrivata all' improvviso un' ora prima dell' alba, e il carnefice aveva il volto del convivente: un uomo insospettabile e tranquillo. Lui che diceva di amarla, il padre del loro bambino nato nel 2017, si è trasformato in un mostro. Lui, che inutilmente cercava di ricomporre una improvvisa separazione sopravvenuta alcuni mesi fa. Dodici coltellate sferrate con un indicibile carico d' odio alle 4,35 dell' altra notte riaprono i cancelli di quell'inferno in terra che risponde alla voce dei femminicidi. «Ho ucciso la mia compagna»: quattro ore e mezzo dopo il fatto commesso nell' abitazione del quartiere San Carlo all' Arena l' assassino busserà al cancello della stazione dei carabinieri di Montegabbione, in Umbria. Al termine di una improvvisa quanto inutile fuga lungo l' Autostrada del Sole Giuseppe Pinotto Iacomino, 43 anni, si va a costituire, con addosso ancora i vestiti sporchi del sangue della sua ex compagna, Ornella Pinto, quarant' anni. È il tredicesimo femminicidio dall' inizio dell' anno in Italia. Manca meno di mezz' ora alle cinque del mattino di ieri quando il diavolo entra nell' appartamento al terzo piano di via Filippo Cavolino, zone di piazza Carlo III, a un tiro di schioppo dalla caserma Raniero, sede dell' autoparco della questura di Napoli. E il diavolo ha le sembianze di un tranquillo imprenditore alberghiero che da cinque anni convive con la vittima, dalla quale ha avuto anche un bambino che oggi ha tre anni e che, altra vittima innocente, trovandosi nella camera da letto che si trasforma in un mattatoio assisterà alla feroce violenza. Dietro quelle coltellate inferte da Iacomino - che collabora con madre e sorella alla gestione di un alberghetto ad Ercolano - c' è una violenza terribile. E ancora indecifrata: ma ormai appare chiaro che la separazione della coppia, che durava da quasi un mese, sarebbe alla base dello sbocco di un odio tanto efferato. L'uomo è rimasto sotto interrogatorio fino a tarda sera nella caserma dei carabinieri del comando provinciale di Terni. Il pm ha già convalidato il fermo: ora è accusato di omicidio volontario. Le indagini sono coordinate dalla Procura di Napoli e affidate sia alla polizia che all' Arma dei carabinieri. Terribili gli ultimi momenti di vita di Ornella Pinto, insegnante di sostegno laureata in Lettere. Secondo una prima ricostruzione il suo compagno si sarebbe allontanato da oltre un paio di settimane dall' appartamento, per poi rimaterializzarsi improvvisamente nel cuore dell' altra notte. Apre con il doppione delle chiavi la porta di casa e sveglia Ornella, che dorme in camera da letto abbracciata al figlioletto. Confuso, in evidente stato di alterazione, scatena la sua rabbia sulla donna indifesa: almeno dodici i fendenti di un coltellaccio che colpiscono la vittima al collo, al petto, alle braccia e alle spalle mentre il bimbo inizia a piangere disperato. Poi lui fugge. Mentre Ornella trova ancora la forza di telefonare a sua sorella: «Aiutatemi, sto morendo...». La donna chiama immediatamente il 112 e lo fa mentre alcuni condomini - svegliati di soprassalto dalle urla disperate che arrivano dal piano superiore - allertano allo stesso modo le forze dell' ordine pur senza immaginare cosa stia succedendo nel palazzo. Dalla vicina centrale dell' ufficio prevenzione generale della questura arriva una volante, che trova l' uscio di casa ancora socchiuso e scopre la donna riversa in un bagno di sangue. Solo dopo arriva un' ambulanza che trasporta la vittima al Cardarelli in condizioni disperate. Il cuore di Ornella - che oltre ad essere stata colpita a organi vitali ha già perso tanto sangue - cesserà di battere a mezzogiorno. Non sopportava la separazione dalla compagna e dal figlioletto: questa appare, anche alla luce del primo interrogatorio svoltosi in una caserma dei carabinieri di terni, la causa dell' assurdo delitto commesso da Pinotto Iacomino. Il 43enne ha ammesso le proprie responsabilità in sede di interrogatorio, al termine del quale il sostituto procuratore Elena Neri ha convalidato l' arresto formulando l' accusa di omicidio volontario. L' uomo si trova ora nel carcere di Terni.
La furia dell'ex marito: uccisa con 12 coltellate. La donna assassinata lascia un bimbo di 4 anni L'uomo è fuggito in Umbria, poi si è consegnato. Tiziana Paolocci - Dom, 14/03/2021 - su Il Giornale. Dodici coltellate alla compagna. Il nome di Ornella Pinto, trentanovenne di Napoli, va ad allungare la lista delle donne uccise dall'uomo che avevano scelto come compagno di vita, portando a quattordici i femminicidi dall'inizio dell'anno. Ornella è morta per via dei fendenti inferti da Giuseppe Iacomino, 43 anni, che ieri mattina si è costituito ai carabinieri di Montegabbione, in provincia di Terni. L'aggressione è avvenuta sabato intorno alle 4.30 in un appartamento di via Cavolino, nel popoloso quartiere di San Carlo Arena. La vittima avrebbe compiuto 40 anni il prossimo mese di maggio, invece è deceduta all'ospedale Cardarelli dopo un delicato intervento chirurgico, che ha invano tentato di salvarle la vita. Cosa sia accaduto in quei tragici minuti nell'abitazione della coppia, che ha un figlio di 4 anni, non è ancora chiaro e sul caso indagano polizia e carabinieri. Dalle prime testimonianze raccolte dagli investigatori della squadra mobile di Napoli, coordinati dal sostituto procuratore aggiunto della IV sezione Fabio De Cristofaro, non risulta che i due avessero dissidi così seri da portare all'omicidio. La coppia, che abitava al terzo piano di un palazzo con molte abitazioni, secondo quanto riferiscono i vicini, appariva tranquilla e senza particolari problemi. Invece qualcosa è scattato nel 43enne, che ha scagliato dodici coltellate contro la poveretta, e nove colpi hanno raggiunto i polmoni. Dopo il ferimento Iacomino è salito sulla sua auto ed è fuggito verso l'Umbria. Alle 7 ha però citofonato alla stazione dei carabinieri di Montegabbione, in provincia di Terni, dicendo di avere «ucciso» la moglie. L'uomo è stato trattenuto in caserma, in attesa di essere ascoltato dal magistrato di turno e dai carabinieri del nucleo investigativo, e nel pomeriggio è scattato il fermo per omicidio. A Napoli, invece, Ornella gravemente ferita era riuscita a chiamare la sorella, che aveva fatto partire la macchina dei soccorsi. Portata al Cardarelli, però, la donna non ce l'ha fatta. «La morte è sopraggiunta per un arresto cardiaco al termine di un delicato intervento mediante il quale le equipes del Trauma Center e di Chirurgia Toracica hanno cercato di risolvere le profonde lesioni polmonari» ha spiegato il direttore generale Giuseppe Longo, esprimendo dolore per la perdita di questa giovane vita. «L'ennesimo episodio di aggressione e omicidio nei confronti di una donna - ha aggiunto - un gesto vile e di una brutalità inaudita». Dura condanna anche da parte del sindaco di Napoli Luigi de Magistris. «Ancora un brutale femminicidio a Napoli ad opera di chi dovrebbe amare la propria compagna invece di odiarla al punto di ucciderla - tuona il primo cittadino -. Le donne, in questa pandemia, stanno pagando un prezzo altissimo sulla loro pelle. Esprimo a nome mio e di tutta la città profondo dolore e cordoglio per il brutale omicidio e ci stringiamo attorno ai suoi veri affetti». Dai cellulari della coppia, sequestrati dagli investigatori, nelle prossime ore potrebbe arrivare il movente del delitto.
In casa anche il figlio della coppia, un bimbo di 4 anni. Ornella uccisa dal compagno con 15 coltellate, la telefonata alla sorella: “Sto morendo, aiutami”. Ciro Cuozzo su Il Riformista il 13 Marzo 2021. L’ha uccisa al culmine di una lite con 15 coltellate alla pancia, di cui sette nella zona toracica sinistra e otto nella zona destra. Poi l’ha lasciata agonizzante a terra nella loro abitazione a Napoli, dove c’era anche il figlioletto di 4 anni che probabilmente dormiva, è sceso in strada e si è allontanato a bordo della sua vettura percorrendo ben 350 chilometri fino a Montegabbione, in provincia di Terni, dove si è presentato dai carabinieri raccontando l’orrore che aveva commesso poche ore prima. Ornella Pinto, 40 anni, non ce l’ha fatta. E’ morta all’ospedale Cardarelli di Napoli dopo quasi cinque ore dal suo arrivo. Il compagno, Pinotto Iacomino di 43 anni, è in stato di fermo con l’accusa di omicidio volontario. La coppia era legata sentimentalmente da circa sei anni. Ancora poco chiaro il movente dell’omicidio sul quale sono in corso gli accertamenti dei carabinieri del Comando Provinciale di Napoli e degli agenti della Squadra Mobile diretti dal primo dirigente Alfredo Fabbrocini. Stando a quanto ricostruito da carabinieri e polizia, la tragedia si è consumata nella notte di sabato 13 marzo. Intorno alle 4.30 è stata la sorella a chiamare gli agenti di polizia e i soccorso del 118 dopo aver ricevuto una telefonata dalla vittima, abbandonata in fin di vita dal compagno. Segnalazioni sarebbero arrivate anche dai vicini, preoccupati dalle urla provenienti all’interno della casa. Giunti nell’appartamento al terzo piano di uno stabile in via Filippo Cavolino, non molto distante da piazza Carlo III, nel quartiere San Carlo Arena, la donna è stata assistita dagli operatori. Arrivata al Cardarelli intorno alle 5, Ornella è stata sottoposta ad un delicato intervento chirurgico da parte delle équipes del Trauma Center e di Chirurgia Toracica. Poi il drammatico epilogo con il decesso accertato intorno alle 10.30 nonostante gli sforzi di tutto il personale e sopraggiunto per un arresto cardiaco. Troppo gravi le lesioni polmonari riportate. La direzione strategica Cardarelli, per voce del direttore generale Giuseppe Longo, esprime grande dolore per la perdita di questa giovane vita. “L’ennesimo episodio di aggressione e omicidio nei confronti di una donna – dice il direttore generale – un gesto vile e di una brutalità inaudita. Fatti come questo dovrebbero spingerci a una riflessione profonda su quanto sta accadendo. Siamo vicini alla famiglia di questa giovane madre e a tutte le donne”.
LA CONFESSIONE – Il compagno, Pinotto Iacomino, è arrivato poco dopo le 7 alla caserma dei carabinieri di Montegabbione dopo oltre due ore di viaggio. Ai carabinieri, visibilmente sconvolto, ha confessato quanto commesso nella notte nella sua abitazione. Gli investigatori, dopo avere sequestrato il cellulare della vittima e del compagno, stanno adesso ascoltando familiari, parenti, vicini di case e amici della coppia. Iacomino è stato condotto nel pomeriggio davanti al Sostituto Procuratore di turno della Procura di Terni e, alla presenza del proprio Avvocato, ha rinnovato la confessione dando la propria versione dei fatti sulla quale – sotto il coordinamento diretto del Procuratore Capo della Repubblica di Terni Dr. Alberto Liguori – i Carabinieri della provincia di Terni e gli Agenti della Squadra Mobile di Napoli (che procedeva per l’uxoricidio) svolgeranno gli opportuni approfondimenti. L’uomo, sottoposto dal pm a fermo, è stato quindi condotto preso il Carcere di Terni a disposizione dell’Autorità Giudiziaria.
Pensava fosse morta in casa ed è scappato in auto. Omicidio Ornella Pinto, il compagno confessa dopo 350 km: “L’ho fatto perché non volevo separarmi”. Ciro Cuozzo su Il Riformista il 13 Marzo 2021. Non accettava l’idea di separarsi e l’ha uccisa, nel cuore della notte, al culmine dell’ennesima lite, sferrandole ben 15 coltellate al torace. Poi, credendola morta, è partito da Napoli senza una meta precisa e alle 7 del mattino si è presentato all’esterno del portone del Comando Stazione dei Carabinieri di Montegabbione (Terni) per costituirsi. Questa la notte folle di Pinotto Iacomino, 43enne napoletano che ha lasciato in fin di vita la compagna Ornella Pinto (40 anni, poi deceduta in ospedale nelle ore successive) nell’abitazione dove in una stanza dormiva anche il figlio di appena 4 anni. A bordo della sua Mazda ha percorso circa 350 chilometri prima di presentarsi dai carabinieri e confessare tutto, spiegando anche il movente del brutale omicidio. La storia d’amore dopo circa sei anni era arrivata al capolinea. Ornella aveva deciso di lasciarlo già da diverse settimane. Pinotto era andato via dall’abitazione al terzo piano di uno stabile in via Filippo Cavolino, non molto distante da piazza Carlo III, nel quartiere San Carlo Arena a Napoli, dove vi ritornava ogni tanto per vedere il figlio. La donna, che l’uomo probabilmente credeva già morta, ha chiamato la sorella chiedendo aiuto. A nulla però sono valsi i soccorsi di polizia e 118. Arrivata alle 5 del mattino in codice rosso al pronto soccorso dell’ospedale Cardarelli, Ornella è deceduta intorno alle 10.30 in seguito alle gravi lesioni polmonari riportate. E’ stata sottoposta ad un delicato intervento chirurgico da parte delle équipes del Trauma Center e di Chirurgia Toracica. Poi il drammatico epilogo con il decesso accertato intorno alle 10.36 nonostante gli sforzi di tutto il personale. “Un gesto vile e di una brutalità inaudita” il commento di Giuseppe Longo, direttore generale del Cardarelli. Iacomino nel pomeriggio è stato condotto davanti alla pm Elena Neri della Procura di Terni, alla presenza del proprio Avvocato, dove ha rinnovato la confessione dando la propria versione dei fatti sulla quale – sotto il coordinamento diretto del Procuratore Capo della Repubblica di Terni Alberto Liguori – i Carabinieri della provincia di Terni e gli Agenti della Squadra Mobile di Napoli (che procedeva per l’uxoricidio) svolgerenno gli opportuni approfondimenti. E’ stato sottoposto a fermo, in attesa di convalida, e dovrà rispondere di omicidio volontario. Adesso si trova presso il carcere di Terni a disposizione dell’Autorità Giudiziaria.
PAPA’ SINDACALISTA – Vicinanza al papà di Ornella, Giuseppe Pinto, da parte del sindacato Uil Campania. “Siamo sconvolti e pieni di dolore per la morte di Ornella Pinto, accoltellata e uccisa dal marito questa notte”, è quanto afferma Giovanni Sgambati, segretario generale della UIL Campania. “Siamo indignati di fronte all’ennesimo violento femminicidio, che questa volta ci lascia ancora di più pietrificati e senza parole, perché Ornella la conoscevamo, era la figlia di un compagno della UIL , aveva frequentato i nostri uffici, conosceva il nostro mondo. Una giovane donna, sempre gentile, delicata e attenta con tutti!”. “Questa altra tragedia, continua Sgambati, testimonia che le battaglie contro il femminicidio non devono vederci indietreggiare nemmeno di un passo. Serve che le leggi vengano applicate, serve denunciare, servono tutele e sostegno maggiori alle donne che hanno il coraggio di denunciare, serve stravolgere una cultura patriarcale e maschilista ancora dominante nel nostro e in molti altri Paesi”. La UIL Campania, Giovanni Sgambati e tutta la segreteria regionale si stringono attorno alla famiglia Pinto in questo momento intenso di lutto e di cordoglio.
La tragedia. Ornella Pinto uccisa dal compagno, parla la sorella: “Aveva già comprato il regalo per la festa del papà”. Elena Del Mastro su Il Riformista il 15 Marzo 2021. Ornella Pinto era un’insegnante di sostegno, sempre a disposizione degli altri. Dodici coltellate tra schiena e petto per mano violenta dell’ex compagno, reo confesso, hanno posto fine alla sua vita a soli 39 anni. Una vera tragedia che i familiari di lei non avrebbero mai potuto immaginare. “È stata colpita alle spalle da un carnefice, un macellaio che, ai nostri occhi, sembrava uno normale”, ha detto la sorella Valeria in un’intervista a Repubblica. La famiglia è devastata dal dolore per la perdita di Ornella e affranta per il piccolo nipote di 4 anni che dormiva serenamente in casa mentre il papà colpiva la mamma. Pinotto Iacomino, 43 anni, ha confessato tutto dopo aver guidato per due ore senza meta. Ora è in arresto nel carcere di Terni dopo essersi costituito dai carabinieri. La sorella Valeria racconta che i due si erano lasciati da un paio di mesi, ma nessuno in famiglia avrebbe mai sospettato che l’ex compagno avrebbe potuto reagire in modo così violento. Nemmeno Ornella che in quei mesi non aveva mai avuto paura o qualche sospetto. “Pensi mia sorella che donna era e che cuore: aveva già comprato il regalo della festa del papà, che il bambino avrebbe consegnato al padre”, ha raccontato. In settimana il piccolo festeggia il compleanno e Ornella aveva già comprato un giubbotto per far scambiare i regali tra padre e figlio. Per Valeria si è trattato di un omicidio premeditato perché il coltello e lo strofinaccio, in cui era stato avvolto, non appartenevano alla casa di Ornella. “Siamo arrivati a questa conclusione dopo aver visto e guardato bene – ha continuato – Lei comprende cosa significa? Che l’autore di un massacro così deve avere un ergastolo. L’unica cosa che potrà lenire in parte il nostro dolore. Se esiste la giustizia, in questo paese. Pensare che anche noi, come famiglia, tutti, eravamo affettuosi con lui”.
IL RICORDO DI ORNELLA – Domenica in tanti hanno voluto ricordare Ornella portando fiori davanti alla sua abitazione nel quartiere San Carlo all’Arena. C’era anche un paio di scarpe rosse, simbolo della lotta alla violenza sulle donne. Lunedì 15 marzo è stato organizzato un sit-in per ricordare Ornella alle 12:30 alla panchina rossa del Cardarelli di Napoli, ospedale dove è deceduta la 39enne, e vedrà la partecipazione degli operatori sanitari, della direzione e del Centro Dafne del nosocomio partenopeo. Presente anche la senatrice Valeria Valente, presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sul femminicidio. La manifestazione, si legge in una nota, ha come obiettivo quello di “testimoniare la volontà di proseguire nella lotta contro la violenza sulle donne e ricordare Ornella Pinto”. Una settimana fa al Policlinico Federico II di Napoli si inaugurava il Centro Antiviolenza, con un’iniziativa simbolica: l’installazione di una panchina rossa. Oggi, le bandiere poste all’ingresso dell’Azienda sono a mezza asta e proprio vicino a quella panchina, è stata piantata una camelia rossa, per non dimenticare “la vita brutalmente recisa di Ornella Pinto”, uccisa sabato a Napoli, “il dolore del suo bambino e dei suoi cari. Ma anche per ricordare, a chiunque ne avesse bisogno, la presenza delle Istituzioni e dei servizi sanitari, affinchè la rete del sostegno, la cultura del prendersi cura diventino ogni giorno più forti, in un’azione congiunta per dire basta ad ogni forma di violenza sulla donne”.
Il piccolo: "Papà ha ucciso mamma e rotto tutta casa".Omicidio Ornella Pinto, la perizia: accoltellata alla schiena mentre dormiva col figlio. Massimiliano Cassano su Il Riformista il 30 Marzo 2021. Aveva sempre sostenuto di essere stato colto da un raptus improvviso, ma per la Procura di Napoli Pinotto Iacomino aveva premeditato l’omicidio di Ornella Pinto, l’insegnante di sostegno aggredita e uccisa nella sua abitazione dell’Arenaccia a Napoli nella notte tra il 12 e il 13 marzo scorsi. Gli inquirenti aggiungono un nuovo tassello alla ricostruzione di quanto accaduto nella notte: secondo le osservazioni preliminari del medico legale – riportate da Repubblica – l’uomo sarebbe entrato in casa della vittima avendo già con sé il coltello con il quale le ha inferto i 12 colpi mortali. Nessun segno di colluttazione sul corpo della vittima, che avrebbe fatto immaginare un tentativo di difesa. Al momento dell’omicidio nella casa era presente anche il figlio di quattro anni della coppia, che avrebbe detto alla vicina “papà ha ucciso la mamma e ha rotto tutta casa”. Il pm Fabio De Cristofaro, che indaga con il coordinamento dell’aggiunto Raffaello Falcone, ha chiesto al gip un’ordinanza cautelare nei confronti di Iacomino, visto che la convalida del fermo era avvenuta a Terni, dove l’uomo era inizialmente scappato in auto dopo l’omicidio. E proprio agli inquirenti di Terni, il reo confesso avrebbe rivelato di essere stato colto da un raptus: “Sono entrato in casa alle quattro del mattino – ha raccontato – per parlare con Ornella. Volevo dirle che avevo intenzione di essere più presente nella vita di nostro figlio. L’ho svegliata, abbiamo parlato, poi abbiamo discusso e nel litigio ho afferrato il coltello”. Racconto che però non aveva convinto gli avvocati di parte civile, e che al momento sembra sconfessato dalle perizie. La stessa lama usata da Iacomino non proveniva dalla cucina dell’abitazione, ma era stata potata da fuori, avvolta in un panno. Elementi che aggravano la posizione dell’uomo: al momento l’accusa è di omicidio volontario, ma se dovesse essere accertata l’aggravante della premeditazione rischierebbe anche l’ergastolo nonostante il processo con rito abbreviato. Per Iacomino è stata chiesta una perizia psichiatrica, e non è escluso che la difesa nei prossimi giorni possa ricorrere al Riesame per chiedere l’annullamento della misura restrittiva. “Era stato trattato con sensibilità da tutta la famiglia, anche durante e dopo la separazione, mentre lui organizzava il massacro”, ha dichiarato la sorella di Ornella. Nel corso dei funerali, celebrati nel Duomo di Napoli, i familiari della vittima respinsero anche un mazzo di fiori inviati dalla famiglia Iacomino e strapparono il biglietto che li accompagnava.
"Farò di tutto per non assillarti più". Omicidio Ornella Pinto, l’ultimo messaggio del compagno: “Ti lascio in pace, aiutami a trovare una sistemazione”. Massimiliano Cassano su Il Riformista l'1 Aprile 2021. Sembrava la richiesta di un appuntamento, un messaggio per stemperare i toni, che non faceva presagire nessuna premeditazione di un gesto estremo. “Farò di tutto per non assillarti più”, scriveva Pinotto Iacomino alla compagna Ornella Pinto, poche ore prima di ucciderla con 15 coltellate. “Non è giusto, ti lascio in pace, poi magari domani parliamo”. Parole accomodanti che stridono con quanto avvenuto nella notte: l’ingresso dell’uomo nella casa in cui Ornella dormiva, e l’assalto – stando a quanto ricostruito da una perizia del medico legale disposta dalla Procura – avvenuto nel sonno, alle spalle, mentre il figlioletto dormiva lì accanto. “Mi aiuti a trovare una sistemazione per me? Ne ho bisogno”, sono le ultime parole di Iacomino a Pinto, ottenute dagli inquirenti analizzando il cellulare della donna. Poi le coltellate, la morte e la fuga in Umbria prima di consegnarsi alle autorità. Dalle indagini sull’arma del delitto è anche emerso che il coltello usato per commettere l’omicidio era in uno degli alberghi gestiti dalla famiglia Iacomino a Ercolano. Gli inquirenti hanno smontato la tesi inizialmente portata avanti dall’uomo, che aveva parlato di un raptus avvenuto in seguito a un litigio. Nessun segno di colluttazione è stato trovato dalle perizie sul corpo della vittima, cosa che avrebbe fatto immaginare un tentativo di difesa. Ricostruzione che è valsa un’aggravante per Iacomino: Non più omicidio volontario ma omicidio aggravato dalla premeditazione, dalla crudeltà e dall’aver commesso il fatto nei confronti di una persona con la quale era legato da relazione affettivi. Dopo la brutale aggressione, Iacomino è fuggito via dicendo a una vicina di casa, probabilmente svegliata dalle urla della donna, “l’ho uccisa”. Ornella era però ancora viva e ha telefonato alla sorella maggiore, Stefania, che abita nelle vicinanze. Poi il drammatico epilogo al Cardarelli con il decesso avvenuto quattro ore dopo il ricovero. Il figlio di 4 anni della coppia “era nascosto sotto le coperte e terrorizzato” ha raccontato il nonno Giuseppe Pinto.
Penalisti contro presidente del Tribunale: "I suoi commenti condizionano giudici Riesame". Uccide la moglie e va ai domiciliari dopo due anni di carcere: “Nessuno scandalo, sentenza coerente”. Viviana Lanza su Il Riformista l'11 Marzo 2021. Il caso di Vincenzo Lo Presto, il marito di Fortuna Bellisario messo agli arresti domiciliari dopo una sentenza di condanna a dieci anni di reclusione per l’omicidio preterintenzionale della donna, ha riacceso un eterno dibattito e, cavalcando l’emotività dell’opinione pubblica, ha fatto gridare all’ennesimo scandalo. «Nessuno scandalo, nessuna “eccentricità” – ribattono gli avvocati Marco Campora e Angelo Mastrocola, rispettivamente presidente e segretario della Camera penale di Napoli – ma una sentenza assolutamente coerente e in linea con la produzione giurisprudenziale quotidianamente emessa». Ciononostante si sono alimentate le proteste per la pena ritenuta eccessivamente bassa e per il fatto che l’imputato abbia trascorso in carcere solo due anni. «È un format che si autoalimenta e che sta inesorabilmente avventando la qualità della nostra democrazia», spiegano i rappresentanti dei penalisti napoletani. «Le spinte provenienti dall’esterno sono talmente forti che ormai travolgono, talvolta, anche i protagonisti della giurisdizione, tanto che finanche il presidente del Tribunale si è lasciato andare, in un’intervista pubblica, a valutazioni critiche in ordine ai provvedimenti emessi dal gup. Nonostante il garbo e la cautela delle affermazioni, infatti, dall’intervista emerge chiaramente – allorquando si afferma che “forse la vicenda doveva essere valutata con ancora ulteriore rigore” o “magari, non avrei destinato quell’uomo nella stessa casa dove era avvenuto il massacro della donna” – una presa di distanza dalle valutazioni del gup. Ma non solo: simili dichiarazioni rischiano di condizionare inconsciamente anche i giudici che si occuperanno in futuro della vicenda e, in particolare, i giudici del Riesame che a breve saranno chiamati a rivalutare, a seguito di ricorso della Procura, la situazione cautelare dell’imputato». La questione è anche culturale. «Nessuno mai si azzarda a criticare una sentenza che commina un ergastolo, mentre costituiscono ormai un topos le grida – di solito: “Vergogna, Vergogna!” – delle vittime, spalleggiate sovente da agitatori politici o dell’informazione, alla lettura dei dispositivi che assolvono l’imputato o che lo condannano a una pena non ritenuta abbastanza severa». «Non c’è bisogno di evidenziare l’abisso che separa un processo sbilanciato in favore dell’accusa (quale quello a cui abbiamo assistito e partecipato negli ultimi trenta anni) da un processo, per così dire, popolare. Il processo sbilanciato – aggiungono gli avvocati Campora e Mastrocola – consente, sia pur tra enormi difficoltà, ancora uno spazio di agibilità per la difesa e per i valori di cui essa è portatrice. E consente, di conseguenza, la possibilità che si giunga a una decisione ponderata, intrisa del senso del limite, mite e in definitiva giusta. Il processo popolare è, invece, un rito sacrificale ammantato di forme che, a quel punto, rischiano di divenire meramente scenografiche e quindi insulse (e quindi in potenza sempre più sacrificabili) e in cui non vi è alcuna possibilità di effettiva difesa». «Ora chiediamoci quale sarà lo stato d’animo dei giudici del Riesame che dovranno decidere sulla richiesta della Procura di applicare nuovamente all’imputato la custodia cautelare in carcere dopo che il gup ha ritenuto sufficiente gli arresti domiciliari», osservano i penalisti. La deriva degli ultimi anni conduce verso il panpenalismo, «con il ritorno a categorie di un passato lontanissimo», a una pena «non più intesa come modalità di intervenire sul criminale e ristabilire l’ordine pubblico, ma come misura diretta a “pacificare” la vittima (finalità meramente privata). La pena, dunque, come una sorta di riparazione psicologica, di risarcimento morale della vittima. Tutto ciò indebolisce l’istituzione giustizia poiché, di fatto, non ne riconosce più le finalità, sovraccaricandola di significato e di funzioni». E il rischio è che si continui con questo sbilanciamento: «Abbiamo già toccato con mano l’oscuramento di fatto del dibattimento (e dunque degli avvocati e dei cittadini) e l’esaltazione, le luci, i bagliori dedicati alla fase delle indagini preliminari, degli arresti, delle perquisizioni».
Piero Longo, smontate le accuse di molestie contro l'ex avvocato di Berlusconi: gli aggressori rinviati a giudizio. Tiziana Lapelosa su Libero Quotidiano l'11 marzo 2021. Nessun abuso sessuale ai danni di una giovane che, dopo la laurea, aveva frequentato per un periodo il suo studio legale per intraprendere la carriera forense. Per tale procedimento la procura di Padova ha chiesto l'archiviazione. La stessa procura, a breve, chiederà il rinvio a giudizio con l'accusa di lesioni gravissime in concorso, nei confronti dell'elettricista Luca Zanon, 49 anni, della commercialista Silvia Maran, 47 anni, e di Rosanna C.. La persona vittima delle lesioni gravissime, e contro la quale era stato puntato il dito per gli abusi il cui procedimento è stato archiviato, si chiama Piero Longo, 76 anni. Ex senatore nelle fila prima del Pdl e poi di Forza Italia, del cui presidente, Silvio Berlusconi, è legale storico insieme a Niccolò Ghedini.
I FATTI - Cosa c'entrano Zanon, Maran e Rosanna con l'avvocato penalista? Per capirlo bisogna tornare indietro fino alla notte del 30 settembre del 2020, in via Tiso da Camposampiero, in centro, a Padova, dove abita l'avvocato penalista. Sono le 23.06. Le telecamere prima immortalano dei fari di una macchina, poi due persone che camminano sotto i portici (sono la 31enne e la commercialista) e più indietro l'elettricista con ai piedi della scarpe bianche firmate Jil Sander che saranno decisive alle indagini. Si fermano all'altezza dell'abitazione dell'avvocato penalista, citofonano con insistenza, gridano "Scendi sporco!" e altre cose simili. Longo non scende subito, le donne si innervosiscono. Fino a che, alle 23.11, l'avvocato si palesa, una mano sulla maniglia della porta, l'altra in tasca ad impugnare la sua pistola, una Smith & Wesson 38 Special. Partono due minuti e 24 secondi di terrore in cui Longo viene preso a calci e pugni, con in mezzo un tentativo di strangolamento. Si vede poi l'avvocato svenire, riprendere i sensi e, a quel punto sparare per legittima difesa, come prevede la legge e come sarò poi riconosciuto. Le scarpe dell'elettricista si sporcano di sangue.
UN'ALTRA VERITÀ - Le telecamere restituiscono agli inquirenti particolari dell'aggressione che cozzano con le dichiarazioni degli indagati, i quali avevano detto di aver reagito per legittima difesa nel tentativo di disarmare Longo che li aveva spaventati. Portato in ospedale, a Longo i medici riscontrano fratture multiple alle ossa della testa, con particolari da linguaggio medico che nella pratica si traduce in una testa ad un passo dall'essere fracassata. La prognosi, una volta dimesso dall'ospedale, è di 40 giorni. A indagini chiuse, il pm Roberto D'Angelo ha deciso per il rinvio a giudizio di Maran e Zanon, compagni nella vita e nel pestaggio. E con loro l'ormai 31enne che in merito al presunto abuso sessuale non ha mai presentato denuncia, tantomeno i suoi genitori, amici di Longo. Difeso dal collega Ghedini, Longo aveva presentato una denuncia per diffamazione nei confronti dei fidanzati i quali avevano rilasciato delle dichiarazioni sui presunti abusi e per i quali l'ex senatore si è dichiarato sempre estraneo.
MOTIVAZIONI - Ma perché aggredire una delle toghe più famose d'Italia? Perché montare la storia di un presunto abuso, peraltro mai denunciato dalla presunta vittima? La quale, davanti agli inquirenti aveva fatto scena muta per poi lasciarsi andare con il Corriere Veneto? Lo scorso novembre, infatti, aveva dichiarato: «Non c'è stata nessuna violenza e non sono stata io a denunciare l'avvocato», definendo addirittura Longo «come un padre». Che si trattasse di una accusa «infondata» lo aveva detto subito il collega dello studio padovano, nonché difensore, Ghedini. Pochi giorni fa i giudici di Padova gli hanno dato ragione ripulendo dalla toga vicina a Silvio Berlusconi una macchia di cui non si era sporcato.
Matteo Riberto e Giacomo Costa per il Corriere del Veneto l'8 marzo 2021. Attenzione a fingersi un' altra persona sui siti di incontri online. Un piemontese di 50 anni si era descritto come un ricco architetto scapolo, mentre non era né architetto, né benestante e neppure single e aveva fornito nome e indirizzo inventati. Aveva agganciato una quarantenne residente in Friuli Venezia Giulia con la quale aveva intrecciato una relazione dopo alcune settimane di messaggi. A insospettirsi è stata la donna, alla quale sono tornati indietro i fiori spediti al presunto recapito dello studio di architettura. Anche il telefonino risultava sempre spento. La truffata si è rivolta a un avvocato di Mestre (Venezia) che ha scoperto la vera identità dell' uomo e l' ha denunciato per violenza sessuale.
Bruciò casa per la polizza. Morte la moglie e l'amica. Il movente del duplice omicidio: il 70enne voleva i soldi dell'assicurazione sull'immobile. Serenella Bettin - Sab, 06/03/2021 - su Il Giornale. Treviso. Sono morte bruciate in casa. Arse vive rendendosi perfettamente conto di quello che stava accadendo. E quella che voleva sembrare una tragedia dettata dal caso, in realtà aveva uno scopo ben preciso. Sono morte così il 10 giugno scorso a Castagnole di Paese (Treviso), Franca Fava 67 anni e Fiorella Sandre 74 anni. Ad ammazzarle e a provocare l'incendio il marito della 60enne che in quella abitazione viveva al piano superiore. Fiorella Sandre era l'amica di famiglia che da cinque anni viveva nella loro casa. I rapporti tra moglie e marito, Sergio Miglioranza, 70 anni, non erano più gli stessi. Così lui viveva al piano superiore. E lei con problemi di deambulazione al piano di sotto con l'amica. Ma quella notte. Quella notte nell'abitazione scoppia l'incendio. Le fiamme iniziano a divampare e le sue donne sono bloccate all'interno. La prima chiamata di aiuto arriva proprio dall'amica che, in preda al terrore, prima chiama il 113 e poi il 115. Una seconda chiamata arriva da Miglioranza. Ma intanto le fiamme divampano. Fermare il fuoco sembra impossibile. Le donne sono intrappolate al pian terreno, bloccate da una porta che non si apre. Miglioranza dichiara agli investigatori di essere al piano terra e di aver effettuato la chiamata in contemporanea con la richiesta di soccorso dell'amica della moglie. Dice anche di essere stato avvisato dell'incendio che stava divampando, telefonicamente, dalla moglie stessa ma di quella telefonata nessuna traccia. L'uomo ha dichiarato anche di aver usato una porta sul retro per salvarsi ma la porta, come verrà rilevato con l'aiuto dei carabinieri del Ris di Parma, era ostruita con dei mobili. Lui era anche un accumulatore seriale. Le incongruenze iniziano a essere troppe. Tante per far credere che sia stato un incidente. Che sia accaduto tutto per un fato maledetto. I carabinieri della compagnia di Montebelluna con l'aiuto del comando dei vigili del fuoco di Treviso iniziano a indagare. E da lì un po' alla volta scoprono le carte. Sin dall'inizio c'erano incongruenze da parte dell'uomo sulla base delle dichiarazioni sia alle forze dell'ordine, sia al personale sanitario, sia ai vigili del fuoco. Dichiarazioni che hanno portato a dipingere una realtà diversa. Ossia che, stando agli accertamenti effettuati e ai rilievi svolti, l'uomo, pensionato che non versava in situazioni rosee, avrebbe appiccato il fuoco per prendere il premo dell'assicurazione sulla casa che ammonta a circa 950 mila euro tra danni allo stabile e persone terze. Per provocare l'incendio ha usato diversi punti di innesco. In più avrebbe posizionato due bombole, una dinanzi all'altra a ridosso della finestra dove dormiva la moglie. Le donne sono rimaste intrappolate al pianterreno. E sono morte carbonizzate. L'uomo non ha confessato. Anzi da lui non è mai trapelato nulla e come rivelano gli inquirenti si è dimostrato molto più attaccato alle cose materiali che alle persone. Ora, arrestato dai carabinieri di Montebelluna, è accusato di duplice omicidio aggravato.
Davide Frattini per il “Corriere della Sera” il 22 febbraio 2021. Il libro comincia così: «Durante l'infanzia mio padre mi ha picchiata, insultata, umiliata. La violenza era creativa: mi trascinava alla porta e mi gettava fuori. Mi chiamava spazzatura. Non una perdita di controllo passeggera e non uno schiaffo in faccia qua o là, una routine di abusi sadici. Il mio crimine era essere me stessa, quindi la punizione non aveva fine. Aveva bisogno di dimostrare che mi sarei piegata. Questo libro parla di me ma non solo di me. Case come quella in cui sono cresciuta fluttuano in qualche modo nello spazio, lontano dall'intervento degli assistenti sociali, fuori dal raggio di influenza di rivoluzioni come il #MeToo». A raccontare delle «prepotenze andate avanti fino al giorno della sua morte» è Galia, la secondogenita del romanziere Amos Oz, scomparso il 28 dicembre del 2018. Con il padre in realtà avrebbe interrotto qualsiasi rapporto sette anni fa, depennato anche il resto della famiglia colpevole secondo lei di essere rimasta in silenzio. Qualcosa mascherato da amore è uscita ieri in Israele e va a toccare quello che il presidente Reuven Rivlin ha definito «il Dostoevskij del popolo ebraico», più volte citato tra i candidati alla vittoria del Nobel per la letteratura. Anche Galia scrive, libri per bambini, protagonista la piccola Julie e il suo cane Shakshuka, chiamato come il piatto piccante pieno di uova al sugo. Vive a Ramat HaSharon, nord di Tel Aviv, assieme al marito e ai due figli. Nel 2007 ha diretto il documentario Ribellarsi contro il regno per raccontare gli israeliani di estrema destra che sono arrivati a combattere contro lo Stato, a commettere azioni terroristiche, nel tentativo di imporre la loro visione messianica. È l'ideologia contro cui il padre ha lottato tutta la vita con i suoi inviti al dialogo e al pacifismo, le sue dispute per zittire i fanatici. Fino ad allora Galia, almeno nelle interviste, sembrava disposta a parlare con tranquillità di che cosa significasse essere cresciuta nella vecchia élite della sinistra israeliana pacifista e confrontarsi con chi - come i ribelli del film - voleva sovvertire quel sistema. I figli del romanziere - Fania, docente di Storia all'università di Haifa, e Daniel, poeta - hanno risposto assieme alla madre Nili: «Noi abbiamo conosciuto un padre diverso. Un padre caloroso che amava la sua famiglia con sollecitudine, devozione e sacrificio. Il dolore di Galia appare reale e straziante, le accuse che adesso gli butta addosso contraddicono completamente i ricordi che abbiamo. Anche se non si riconosceva nella sua condanna, ha cercato e sperato fino all'ultimo di parlare con lei e comprenderla riguardo a questioni che sembravano a lui e a noi l'opposto della realtà». Nel romanzo autobiografico Una storia di amore e di tenebra lo scrittore racconta della madre morta suicida quando aveva 12 anni e dell'arrivo senza genitori nel kibbutz Hulda. Lo stesso dove sono cresciute Fania e Galia (è per Daniel, asmatico, che gli Oz si trasferiscono in un villaggio nel deserto), lo stesso dove Amos è seppellito. Con l'amica Nurith Gertz il romanziere ha provato a interrogarsi su quegli anni, sulle scelte di giovane padre e l'ha autorizzata a scriverne. «Mi diceva: "Avrei dovuto lasciare il kibbutz. Non rendeva felici le mie ragazze. Ma funzionava per me. Avevo amici, scrivevo. Ero un egoista, vivevo in una condizione privilegiata e se me ne fossi andato, avrei dovuto insegnare in qualche cittadina dispersa e non avrei più avuto tempo per scrivere. Come ho potuto non vedere, dopo quello che era successo a me, che cosa quella vita stesse facendo alle mie ragazze?"»
Quella sentenza su Gozzini che sfida la “furia della moltitudine” con la civiltà del diritto. Piero Calabrò, ex magistrato, e Biagio Riccio, Avvocato, su Il Dubbio il 29 gennaio 2021. Contro l’assoluzione, pronunciata dalla Corte d’assise di Brescia, dell’ottantenne che ha ucciso la moglie, si sono levate prevedibili grida di scandalo. Ma la Giustizia deve saper resistere, e affrontare “la notte buia dell’ignoranza” evocata da Manzoni ne “La colonna infame”. Hanno suscitato un acceso dibattito le motivazioni della sentenza (n. 2/2020) depositate in data 21.12.2020 sul caso Gozzini, signore ottantenne che ha ucciso la propria moglie, Cristina Maioli. Il processo si è tenuto alla Corte di Assise di Brescia e l’imputato, nonostante l’efferato crimine dispiegatosi in modo crudele e atroce, è stato assolto, perché l’omicidio, secondo l’organo giudicante, è stato compiuto in totale infermità di mente, derivante da delirio di gelosia. Sia sulla stampa che attraverso i social, il caso giudiziario è stato interpretato in modo strumentale e si è impropriamente ritenuto che fossimo al cospetto di un uxoricidio o di un femminicidio. Il ministro della Giustizia Bonafede, senza neppur leggere le motivazioni del decisione e senza alcuna seria informazione sulle carte processuali, ha minacciato l’invio di ispettori, così supinamente cavalcando l’onda della demagogia volta ad assecondare le grida di quella moltitudine che, invece della verità, vuole un colpevole a tutti i costi, per il solo fatto che l’omicidio ha avuto come vittima una donna. Le motivazioni del verdetto sono, invero, di una chiarezza cristallina e si snodano su un’intelaiatura caratterizzata da un percorso argomentativo privo di faglie, dipanato in una ragionata sistemazione degli elementi che fanno emergere la civiltà giuridica del provvedimento, senza dare eccessivo peso all’aspetto squisitamente psichiatrico del processo. Ecco perché il suo estensore, il presidente Roberto Spanò, ha perseguito, riuscendovi, l’intento di suffragare e motivare -attraverso le confluenti consulenze tecniche del pubblico ministero e della difesa dell’imputato- la deliberazione di assoluzione adottata dalla Corte che, è bene rammentarlo, è composta in prevalenza da giurati laici. Ebbene, proprio il consulente tecnico di parte della pubblica accusa ha messo in evidenza che Antonio Gozzini è stato ossessionato, pervaso dal “lato oscuro” (come lo definisce Andreoli) del delirio di gelosia, che ha generato l’assoluta mancanza della capacità di intendere e di volere, al momento in cui è stato compiuto l’atroce crimine. Siamo alla totale parificazione tra ciò che è stato prefigurato e nutrito idealmente, con quello che realmente è accaduto, con una perfetta corrispondenza tra l’ideale e il reale, senza cesura, senza taglio, con una simmetrica sovrapposizione di piani tra loro identici. Perde ogni valore l’aspetto volitivo, non vi è conflitto tra apparenza e realtà, tra il detto e il non detto, tra il rivelato e il sottaciuto, tra l’esplicito e il rimosso. Si espande sino al totale annichilimento delle facoltà di intendere e di volere il mostro della gelosia, presente nei recessi dell’animo dell’omicida e invece creato dal nulla e, soprattutto, sul nulla. Si attua disperatamente il dramma della follia che porta all’impazzimento di shakespeariana memoria, come è avvenuto con Otello. “Guardatevi dalla gelosia, il mostro dagli occhi verdi che irride il cibo di cui si nutre”. Ma, mentre nel dramma di Otello la pulsione si esprime nel progetto predisposto da Iago a causa della perdita di un fazzoletto che Desdemona giammai avrebbe dovuto smarrire e che, addirittura, si ritrova nelle mani del presunto amante Cassio, nella fattispecie del Gozzini non vi è alcunché, perché la mente è piatta e, nel contempo, vuota e si insidia, penetra in essa il demone della gelosia, per un motivo che non rinviene alcun fondamento. “Non sono mai gelosi per un motivo, ma gelosi perché sono gelosi. È un mostro concepito e generato da se stesso”. Non c’è nemmeno una dinamica patologica nell’omicidio, la finalità si concreta nel fatto stesso dell’organizzazione dell’azione delittuosa, senza un disegno precostituito. La modalità, infatti, si accentua proprio nell’aver soppresso, mentre dormiva, la moglie e, per colorarne il tradimento anche con la sua mortificazione fisica, le azioni più cruente sono state perpetrate attorno all’inguine della vittima. È un omicidio senza alcun movente, senza circostanze e situazioni dalle quali potesse tralucere una preparazione. Ecco perché non si può parlare di uxoricidio, né di femminicidio. Nella sentenza (pag. 21) è ben scritto che il primo “contrassegna la mera uccisione di una donna (moglie: ndr), mentre il secondo, avente contenuto criminologico, si riferisce all’uccisione di una donna in quanto tale, per motivi legati al genere, e ciò, a causa di situazioni di patologie relazionali, dovute a matrici ideologiche, misogine e sessiste, e ad arretratezze culturali di stampo patriarcale”. La sentenza è ben motivata, incentrata su una confessione dell’imputato che ha descritto tutta la dinamica del fatto, con una lucidità impressionante (quando prende i coltelli procurati anzitempo dalla cucina, quando inferisce numerosi colpi con forza inaudita all’inguine, mentre la vittima dorme, il fatto stesso di voler dopo suicidarsi, senza che però ciò sia avvenuto, il dormire tranquillamente e al risveglio chiamare la domestica per raccontare l’efferatezza del proprio gesto). Da essa si può desumere che il tema della gelosia, il suo delirio, ha avuto campo libero per la realizzazione dell’omicidio, e in questo hanno dato man forte la consulenza dell’imputato e perfino quella del pm (pur sminuita dallo stesso pubblico committente). Non è stata reputata indispensabile una consulenza tecnica d’ufficio, giacché il consulente della parte offesa (gli eredi della vittima) si è sottratto al confronto nel momento più importante (l’interrogatorio dell’imputato), senza poterne modificare le argomentazioni, anche perché -forse- ne aveva ben donde. Da qui, per assenza del dolo e della colpa, e, dunque, dell’imputabilità sottesa e necessaria, l’assoluzione del Gozzini, alla luce dell’articolo 85 c.p., a tenor del quale “nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato se al momento in cui l’ha commesso non era imputabile”. Perciò, in luogo del carcere, l’applicazione della -non certo premiale- misura di sicurezza del ricovero in residenza per l’esecuzione (Rems). Il ministro della Giustizia e gli intempestivi altri “illustri” critici dovrebbero ben sapere che la civiltà del diritto sfida la notte buia dell’ignoranza, la furia della moltitudine (di cui discettava Manzoni ne “La storia della colonna infame”), perché la follia è contro il limite che invoca la giustizia e perché l’insano di mente non ha la consapevolezza della forza della pena che gli viene inferta e che comunque dovrebbe, per la nostra Carta Costituzionale, avere una funzione rieducativa.
Maria Novella De Luca per "la Repubblica" l'11 febbraio 2021. Una bara bianca e un cuscino di roselline rosa. Roberta Siragusa, 17 anni, è stata sepolta così, nel cimitero di Caccamo, in Sicilia. Pietro Morreale, 19 anni, il suo assassino, è in carcere. Nell' ordinanza che ha portato all' arresto di questo giovanissimo e spietato killer, c' è scritto più volte che sarebbe stato mosso "da una fortissima gelosia". E per gelosia dunque Morreale l' avrebbe bruciata viva e buttato il suo corpo in una scarpata quella gelida notte tra il 24 e il 25 gennaio. Parole che pesano. Soprattutto se scritte in un atto giudiziario che costituirà poi l' ossatura di tutta la vicenda processuale di questo femminicidio. Come se la gelosia, parola che in questo inizio del 2021 già insanguinato dall' omicidio di cinque donne da parte dei loro partner o ex, viene citata dietro ognuna di queste vite spezzate, potesse costituire un movente, o addirittura un' attenuante per gli autori di questi delitti. Perché "gelosia" (spesso seguita da aggettivi come incontenibile, morbosa, patologica) è una parola- spia di quanto nelle nostre aule dei tribunali, resistano pregiudizi e stereotipi contro le donne. Uccise non da lucidi killer, ma da maschi "accecati" ora dalla gelosia, ora dalla rabbia, in re-azione a un loro comportamento: una separazione, una nuova relazione. «La nostra cultura è intrisa di sessismo e anche una parte della giustizia, di conseguenza, lo è», denuncia Paola Di Nicola, magistrata, che a questo disvelamento ha dedicato un libro fondamentale, "La mia parola contro la sua". «IL pregiudizio contro le donne porta spesso i giudici ad attenuare le condanne perché la violenza viene letta non come pura sopraffazione, ma come reazione a un comportamento della vittima.
Il famoso "raptus" ad esempio. O l' impulso sessuale. Uno studio del Ministero della Giustizia rileva che nel 70% delle sentenze dei femminicidi vengono concesse le attenuanti, è davvero un dato che fa riflettere ». Infatti. Nella lotta che sembra a volte perduta contro la violenza maschile, analizzare cosa accade nei tribunali è diventato, oggi, un punto centrale. Può aiutarci a capire la resistenza delle donne italiane nel denunciare. Secondo il report della Polizia di Stato "Questo non è amore" del 2019 nel nostro paese ogni giorno 88 donne sono vittime di violenza. Ma di questa persecuzione soltanto poco più del 10% dei casi si trasforma in una denuncia». La commissione d' inchiesta sul femminicidio del Senato sta ultimando un' indagine su oltre 200 sentenze per comprendere le cause dei femminicidi. E sono recentissimi i dati di una ricerca dell' università della Tuscia, in collaborazione con "Differenza Donna" che ha dimostrato come nella rappresentazione giuridica della violenza di genere ci siano tre "pregiudizi" ricorrenti: la lite familiare, la gelosia e il raptus. Per spiegare in che cosa consista il sessismo giudiziario, Paola Di Nicola fa l' esempio di alcune sentenze. La prima riguarda un femminicidio avvenuto a Genova nel 2018, in una coppia dell' Ecuador. La difesa afferma che l' uomo non avrebbe "agito sotto la spinta di un moto di gelosia fine a sé stesso, ma come reazione al comportamento della donna, che l' ha illuso e disilluso nello stesso tempo, con la promessa di un futuro insieme. Tale contesto, giustifica, la concessione delle attenuanti generiche". Dunque, in sostanza, sottolinea Paola Di Nicola, "questo femminicidio è stato in un certo senso provocato dalla vittima stessa". E' incredibile ma è così. Un secondo caso riguarda il processo a due stupratori di Viterbo, esponenti del gruppo neofascista di Casapound, Francesco Chricozzi e Riccardo Licci, che nel 2019 picchiarono e violentarono per ore una ragazza conosciuta in un pub. Nella sentenza vennero applicate le attenuanti generiche. Semplicemente perché i due ventenni «avevano riaccompagnato a casa la ragazza» e per i giudici questa sarebbe stata «conferma della loro inconsapevolezza del rilievo penale della loro condotta... non determinata da dispregio della persona, ma da impulsi esclusivamente sessuali". «Qui, addirittura - dice Di Nicola - ci troviamo di fronte a due aggressori inconsapevoli di compiere uno stupro». La terza sentenza riguarda un caso di maltrattamenti. Nonostante 9 referti di pronto soccorso il tribunale di Torino, nel 2017, assolve un uomo che picchiava e terrorizzava la moglie, affermando che in più occasioni questa si era difesa, quindi, evidentemente "non era in stato di prostrazione fisica e morale". Conclude Paola Di Nicola: «La violenza sulle donne bisogna saperla leggere. È fondamentale che tutti coloro che operano in questo settore siano formati, altrimenti nei tribunali continuerà ad agire lo stereotipo culturale per cui quello stupro, quelle botte sono la reazione a un comportamento della vittima. Gli aggressori vengono condannati, certo, ma ridimensionando la violenza e quindi la pena. O addirittura, in certi casi assolti. Ma c' è anche una parte importante della magistratura impegnata ogni giorno a disvelare nelle aule questi limiti per superarli".
Melania Rizzoli per “Libero quotidiano” il 14 febbraio 2021. Li continuano a chiamare delitti passionali, e il movente sarebbe l'amore. Molti femminicidi che hanno riempito le cronache di questi ultimi anni sono stati definiti dai media "omicidi eseguiti per gelosia", come se questo sentimento, citato accanto ad ognuna delle vite spezzate, implicasse un connubio scontato e indissolubile con azioni liberticide violente e definitive. La gelosia invece, pur essendo una delle forme più diffuse e sottovalutate di violenza, sebbene con varie gradazioni, è un sentimento naturale e istintivo che non include affatto una implicita valenza criminale e non "acceca" gli assassini, poiché coloro che uccidono la propria moglie, compagna o fidanzata sono dei lucidi killer permeati da uno "spirito punitivo" e di sopraffazione, che nulla ha che vedere con la gelosia, in quanto produttivo di aberranti reazioni emotive e comportamentali verso le vittime percepite come "insubordinate" che affonda le radici in un sentimento deviato di appartenenza. La gelosia non è mai "sana" come spesso si dice, bensì sempre patologica, poiché deprime e inquina la qualità di vita mentale e personale del soggetto che la prova, che soffre, si tormenta e non ragiona, e lede la libertà fisica e psicologica di chi la subisce, che la vive come una forma di violenza morale, ma non è mai un sentimento criminale che spinge all' omicidio per risolvere l' ansia da separazione. L'amore che viene difeso con la gelosia infatti, si vuole salvarlo, preservarlo, magari recuperarlo, ma non ucciderlo. Nella nostra società purtroppo vengono ancora diffusi messaggi positivi rispetto a questo sentimento, tipo "se non sei geloso non è vero amore", "un po' di sana gelosia è necessaria", "se non provi gelosia non tieni alla persona amata" ecc, tutte frasi di Neocinismo che sono indicative di una mentalità arretrata e sessista, incapace di trovare una visione coerente della vita. Si può discutere sul grado di gravità della gelosia, un comportamento mai equilibrato, ma questa reazione non è una prova d' amore, perché l' amore, quello vero, non può prescindere dal lasciare all' altro la libertà, libertà che include anche quella di non volersi più bene. Difficile da accettare certo, ma la limitazione della libertà altrui è una tipica espressione della violenza psicologica, ma non di una violenza criminale. Chiunque desideri che il partner sia un po' geloso ha in realtà una visione dell' amore con catene che è tipica delle persone deboli, fragili ed insicure, prive di un solido carattere e timorose dell' abbandono. Recenti studi hanno dimostrato che c' è un rapporto tra il tipo di attaccamento sviluppato con i genitori durante l' infanzia e la gelosia provata da adulti, nel senso che chi ha avuto genitori poco presenti, poco accudenti, inaffidabili e anaffettivi, una volta adulto è più propenso alla gelosia, e inadatto a vivere relazioni stabili basate sulla fiducia, a causa della propria insicurezza e della paura della privazione affettiva. Ciò che fa scattare la gelosia infatti, è il timore di essere traditi, di perdere la persona amata, di essere abbandonati, ed essa viene vissuta come una ferita ai propri sentimenti, un attacco al proprio orgoglio e una lacerazione dell' anima, nella sua parte più fragile ed indifesa. Inoltre la gelosia porta con sé un ventaglio di emozioni diverse e contraddittorie, come odio e amore, tristezza e gioia, dolore, rabbia, speranza e rassegnazione, paura e coraggio, vergogna e risentimento. La gelosia è patologica in quanto in grado di modificare i pensieri, sentimenti e comportamenti anche quando mancano prove oggettive che dimostrino l' infedeltà, diventando un pensiero fisso che domina le giornate, il quale induce a mettere in atto azioni che inquinano la relazione affettiva tra i partner, quali scoppi d' ira, minacce o violenze verbali o fisiche. Quando questo sentimento naturale, finalizzato a proteggere la propria relazione, diventa invece ossessivo e morboso, può diventare incontrollabile, assumendo le caratteristiche dell' ossessione, e la mente del geloso patologico viene invasa da contenuti mentali come, pensieri, immagini e ricordi di tipo intrusivo e ruminante; e da uno stato di perenne e gravosa preoccupazione si generano interminabili scene di strazio, richieste di spiegazioni, fino a tutta una serie di azioni per spiare il partner, dal cellulare al pedinamento online e sui social network. Nella gelosia ossessiva inoltre, tutte le rassicurazioni del partner, per quanto esaustive e convincenti, risultano inefficaci, e destinate a crollare al manifestarsi di un nuovo ed eventuale dubbio. Essendo strettamente legata all' ansia, a una bassa autostima e al timore di essere lasciati soli, la gelosia si trova in tutti i disturbi d' ansia, in quelli depressivi e di personalità, e tali pazienti spesso iniziano ad avere attacchi di panico, che sono la forma più estrema dell' inconscio per scaricare le molte tensioni ed emozioni negative accumulate e non liberate. La gelosia accompagna l' essere umano fin dalla prima infanzia, e viene alimentata via via da situazioni diverse durante la crescita, verso le figure genitoriali per esempio, verso fratelli o sorelle, e si evidenzia in particolari contesti sociali quali l' ambiente scolastico o di lavoro (gelosia da competizione) fino ad arrivare a quella provocata da eventi che minacciano la propria vita affettiva. Spesso tale sentimento è associato all' invidia, con la differenza che nella gelosia l' oggetto del contendere è qualcosa che si possiede e si ritiene proprio, cosa che stimola l' istinto alla possessività, mentre nell' invidia quell' oggetto è qualcosa che qualcun' altra possiede, ma al quale si aspira fortemente, sia esso una posizione sociale, una qualità o una persona specifica. Uomini e donne provano differenti tipi di gelosia, in quanto i primi temono di più il tradimento sessuale, mentre le seconde quello sentimentale, ma in ogni caso anche se tale sentimento rende "incapaci di intendere e di volere" il suo senso di possesso non può in alcun modo giustificare la violenza contro il partner o addirittura la sua uccisione. Queste sono giustificazioni frutto di una cultura patriarcale di cui il "delitto d' onore" è stato per anni il simbolo, e dal quale da anni l' Italia ha preso le distanze, anche giuridiche, e dal quale si è emancipata. Eppure quanto più la donna si afferma come uguale in dignità, libertà, valori e diritti all' uomo, tanto più alcuni uomini reagiscono in modo violento, minacciandola, picchiandola e talvolta uccidendola. Per fortuna questo accade sempre meno frequentemente in tutti coloro che sono insicuri, che non hanno fiducia in se stessi, e che invece di capire cosa non va nella propria vita e nella propria mente, pensano di salvaguardare la propria illusoria virilità negando all' altro la possibilità di esistere senza di loro. Ma per favore non parliamo più di delitti d' amore, di amore criminale o di gelosia, perché la causa di un omicidio "passionale" non consiste tanto nell' intensità di un sentimento o di una emozione, quanto piuttosto in un fattore patologico che ha compromesso la consapevolezza e la pericolosità dell' omicida, anche perché è lui e lui solo ad essere affetto da una sindrome psichiatrica ansiosa talmente grave da alimentare desideri egoistici, perlopiù deliranti ed appunto omicidi.
Da "il Giornale" il 4 febbraio 2021. Lo scrittore francese Gabriel Matzneff, indagato dalla Procura di Parigi per stupro di minori di 15 anni, si appresta a pubblicare un libro per replicare alle accuse di violenza sessuale contenute nel romanzo autobiografico «Il consenso» di Vanessa Springora (uscito in Francia a gennaio 2020 da Grasset), che ha svelato al grande pubblico il suo libertinaggio sessuale con bambini di entrambi i sessi. Matzneff non ha avrebbe trovato un editore disposto a stampare il suo libro in cui si difende dalle accuse di violenza sessuale e così ha deciso di autopubblicarlo a sue spese, per poi venderlo tramite una lista di amici.
Giampiero Mughini per Dagospia il 12 marzo 2021. Caro Dago, ho dunque comprato e letto (e ne ho scritto per il “Foglio”) una delle 200 copie che Gabriel Matzneff s’è edito a spese sue del Vanessavirus, il racconto di 85 pagine con cui lo scrittore francese sino a ieri pregiatissimo in Francia replica al diffusissimo (anche in Italia) Le Consentement, il libro con cui Vanessa Springora - che 33 anni fa era stata la sua amante, quando lei era quattordicenne e lui più o meno cinquantenne - lo accusava di essersi approfittato della sua giovane età, di averla “usata” come una conquista seriale tra le tante minorenni con cui trescava. C’è che nessuno in Francia ha voluto pubblicare la replica di Matzneff, una replica cui in un eventuale tribunale ha diritto anche il più efferato dei criminali. Nessuno. Di più, i precedenti libri di Matzneff (sino a ieri un vanto degli editori francesi che li pubblicavano) sono stati ritirati dalla vendita. Io, che trovo i libri di Matzneff straordinari, avevo cercato di comprare su Amazon il suo libro penultimo, mi hanno risposto che non era ”disponibile”. Vedo adesso su ebay che una delle 200 copie di Vanessavirus viene offerta a 600 euro. Noi amici di Matzneff ciascuno di quelle 200 copie l’avevamo prenotata per 100 euro. Dopo averla letta reputo che siano stati i 100 euro meglio spesi della mia vita. Non che su una vicenda amorosa di 33 anni fa fra una minorenne e un uomo più che maturo io voglia dare ragione al cento per cento a quest’ultimo, il quale sostiene di avere amato con tutte le sue forze e con tutte le sue valenze la quattordicenne di 33 anni fa. Mi limito a dire, ma non è davvero poco, che Matzneff aveva il diritto eccome di replicare a un libro che nei fatti lo ha distrutto come persona pubblica. Matzneff è solo, senza una lira, gli è stata tolta la collaborazione giornalistica di cui campava, rischiano di mandarlo via dall’alloggio al sesto piano senza ascensore di cui usufruiva. Ho scritto sul “Foglio” che è impossibile entrare nei letti altrui, ma anche nel proprio già mezz’ora dopo, quando la carne s’è raffreddata. Figuriamoci se sia facile entrare nel letto di una quattordicenne di 33 anni fa. Quel che è sicuro è l’inaccettabilità del fatto che un uomo venga condannato e distrutto senza il benché minimo diritto di replica. Mi fa piacere sapere che Giuliano Ferrara (anche lui amico di Matzneff) si sia dato da fare con la piccola ma squisita casa editrice di Macerata, liberilibri, perché Vanessavirus esca in italiano non oltre maggio. Copie che i lettori italiani pagheranno un tantino meno di 100 euro l’una. Piuttosto mi ha colpito la missiva di un mio caro amico, Ruggero, il quale mi ha scritto che se una sua figliola di quattordici anni avesse una storia con uno scrittore di 50 anni lui la metterebbe nell’impossibilità di scrivere alcunché spezzandole le dita. Siccome lo stimo e gli voglio bene, ho risposto che le cose sono più complicate di così. Più complicata è la vita, la dinamica dei sentimenti amorosi, la dinamica degli incontri tra uomini e donne, ancor più complicata la memoria di tutto questo 33 anni dopo. Io non penso affatto che l’incontro tra la Vanessa quattordicenne e il Gabriel cinquantenne sia stato un incontro a tutti i costi sbagliato, se non addirittura nefasto. O da raccontare come nefasto 33 anni dopo. E’ stato vita, esperienza, amore, passione, delusione anche. E’ stata molte cose arruffate tra loro. Come di ogni istante del nostro campare. Sempre e comunque.
Francesca Pierantozzi per "il Messaggero" l'11 febbraio 2021. Come spesso accade in Francia, tutto è cominciato con un libro. Un anno fa Vanessa Springora ha pubblicato Le consentement, il consenso: la storia della sua relazione con lo scrittore e intellettuale Gabriel Matzneff. Ma poteva davvero chiamarsi relazione? Lei aveva 14 anni, lui 37. «Come dire di essere stata violentata, quando non si può negare di essere stata consenziente?» chiedeva Springora. Lo ha chiesto ai lettori e anche alla Francia, che non riconosce un'età del consenso, quella soglia sotto alla quale non può valere nessun sì, perché è solo stupro. È la stessa domanda gridata in questi giorni dai manifestanti riuniti in tante città per sostenere Julie. Non è il suo vero nome, è quello che i giornali hanno scelto da anni per raccontare la sua storia: Julie ha 25 anni, non ne aveva ancora compiuti 14 quando ha conosciuto Pierre C. e i suoi colleghi pompieri. Venivano a soccorrerla a scuola o a casa perché stava spesso male, sveniva, aveva crisi di spasmofilia. «Isterica» si leggerà dieci anni dopo nella sentenza della corte d'appello di Parigi. Pierre C. e i suoi colleghi (tutti tra i 20 e i 27 anni, più uno stagista di 17) hanno cominciato a passarsi il suo numero, non tanto il suo nome: «coche», porca, preferivano chiamarla. In 22 hanno avuto, più volte, e anche due o tre alla volta, relazioni sessuali con lei. Nei parcheggi, sopra una macchina, in mezzo ai cespugli, una volta addirittura nei bagni del reparto di pedopsichiatria dove era stata ricoverata. «Non sapevamo che avesse 14 anni, sembrava più grande» hanno detto tutti. E soprattutto «Lo voleva lei», «le piaceva». Il consenso, di nuovo. Se un adulto ha un rapporto con una 14enne, o una tredicenne, per essere stupro secondo la legge francese ci deve essere «costrizione, violenza, minaccia o sorpresa». Altrimenti, al massimo, è «aggressione». «Il diritto non è la morale - dissero nel 2018 i saggi del Consiglio costituzionale pronunciandosi contro l'introduzione di un'età minima per il consenso sessuale - anche se si tratta di un bambino, anche se potrebbe sembrare evidente, bisogna che ci sia la prova della costrizione». In due anni le cose sono cambiate, la parola si è liberata sui social, le testimonianze si sono moltiplicate e anche le denunce, molti libri sono usciti, l'ultimo è un best seller, La Familia Grande, in cui Camille Kouchner, figlia dell'ex ministro Bernard, denuncia gli abusi sessuali inflitti dal patrigno Olivier Duhamel - famoso costituzionalista e politologo - al fratello gemello quando aveva 13 o 14 anni. Ieri mattina la storia di Julie è arrivata in Cassazione, dopo l'ultima sentenza che nel luglio 2019 ha riconosciuto colpevoli solo per «aggressione sessuale» tre dei 22 ex pompieri (nessuno ha mantenuto il posto) che lei aveva denunciato. Il giudice l'aveva considerata grande abbastanza per avere relazioni sessuali, ma troppo «fragile» per dire la verità. In effetti, per un paio di volte, Julie ha «inventato» delle aggressioni subite negli anni, si è inviata dei messaggi di minaccia da sola, ha anche tentato di suicidarsi più volte, vive con l'aiuto di antidepressivi. Ieri davanti ai giudici di Cassazione l'avvocato generale ha chiesto che si riesamini proprio la nozione di vulnerabilità di Julie. Non per certificare la veridicità della sua testimonianza (i pompieri d'altra parte non hanno mai negato le relazioni sessuali) ma per capire se davvero si potesse definire consenziente una ragazzina di 14 anni con gravi disturbi e sotto costante terapia farmacologica. Sull'età non si potrà tornare indietro, ma in un futuro prossimo («tre mesi» ha promesso proprio ieri il ministro della Giustizia) arriverà una nuova legge. «Un atto di penetrazione sessuale commesso da un adulto su un minore di meno di 15 anni sarà stupro», ha detto Dupont Moretti (anche se si farà eccezione in caso di scarsa differenza di età tra i due protagonisti). Un progetto era stato approvato al Senato la scorsa settimana che prevedeva una soglia del consenso a 13 anni: un'età considerata «ridicola», «un insulto» che ha provocato molte proteste.
Luigi Mascheroni per "il Giornale" il 25 maggio 2021. Pedofilo, orco, predatore seriale: ecco una versione dei fatti. Intellettuale sulfureo, pigmalione carismatico, libertino spassionato: eccone un'altra. Il caso di c, raffinato scrittore francese da sempre innamorato di ragazze e ragazzini, e a lungo praticante, per sua ammissione, felici scostumatezze (ora abbandonate per limiti d' età), è di quelli che offrono materia abbondante all' antica querelle su arte e moralità. Solo che adesso l'affaire è anche giudiziario, editoriale, mediatico. Fino a ieri nel pantheon delle lettere francesi, con eleganti opere di narrativa, saggistica e poesia pubblicate dai più belli tra gli editori parigini, Gallimard e La Table Ronde, già firma di fogli come Combat e Le Monde, Gabriel Matzneff, 84 anni, è oggi un altro uomo. Da eccentrico frequentatore di giovanissimi amanti, che si dava di gomito con la migliore intellighenzia europea, è diventato, travolto dal #MeToo, un pedocriminale: messo alla gogna in attesa di processo, censurato, additato come un paria. Figlio di russi bianchi, francese in virtù dello ius solis ma non dello ius sanguinis - un francese dubbio, come dice lui - noncurante bohémien, dandy di rigorosa religione ortodossa e amante dell'Italia, dove si è ritirato travolto dallo scandalo, Matzneff è dal gennaio 2020 indagato dalla Procura di Parigi per stupro di minori di 15 anni. L' inchiesta è nata quando contro di lui sono state mosse accuse di violenza sessuale e di plagio dalla scrittrice francese Vanessa Springora. Quando non aveva ancora 15 anni ebbe con lo scrittore, allora cinquantenne, una appassionata relazione, e 34 anni dopo, a dicembre 2019, ha pubblicato il suo personalissimo j'accuse: il romanzo autobiografico Le Consentement, uscito da Grasset, un bestseller in Francia da 135mila copie, tradotto in Italia come Il consenso da La nave di Teseo. Qui Vanessa, che all' epoca visse la storia d' amore sotto gli occhi indifferenti o compiacenti del mondo letterario francese e della madre in primis (come spesso accade), svela al grande pubblico le inclinazioni pedofile e la dissolutezza sessuale di Matzneff con bambini e adolescenti di entrambi i sessi. Da lì - senza alcun processo - il vecchio amante è stato dato in pasto alle belve: le sue case sono state perquisite, i suoi diari, computer e appunti sequestrati, gli amici dileguati, gli editori hanno ritirato i suoi libri dal mercato, sui muri di Parigi sono apparsi manifesti di odio, e la Rete lo ha linciato e condannato - persino - a morte. Alle accuse Matzneff un paio di mesi fa ha risposto con il pamphlet Vanessavirus, rifiutato da tutti e alla fine stampato in proprio. «In genere sono i giovani sconosciuti che pubblicano il loro primo libro a spese dell'autore - ironizza Matzneff nell' ultima pagina -. Invece, tra i vecchi scrittori famosi che pubblicano il loro ultimo libro, essere ridotti a samizdat è più raro. Amaro e aristocratico privilegio del paria». Oggi Vanessavirus esce in Italia, in anteprima mondiale. Lo pubblica l'editore Liberilibri di Macerata, tradotto addirittura da Giuliano Ferrara, che di Matzneff è amico da tempo. «Indicato da Vanessa come suo carnefice, Matzneff si ritrova ad essere a sua volta vittima del neo-moralismo di una cancel culture dagli effetti liberticidi - scrive in una nota l'editore Aldo Canovari - e così è diventato un autore proibito da mettere all' indice». Eccolo il pamphlet. Incipit: «Sono sopravvissuto al Coronavirus. Non sopravviverò al Vanessavirus. Siamo nel 2020. Ho 84 anni, ho un cancro (il cancro degli anziani, il meno poetico, non insistiamo), le mie carotidi s' intasano, le mie vecchie vertebre di vecchio cavaliere suonano come nacchere, non ne ho più per molto». Vanessavirus, cento pagine, capitoli brevi e scrittura felice, non è una replica al libro dell'ex amante e amatissima Vanessa. Matzneff non lo ha neppure letto, sa per sommi capi il contenuto. Vanessavirus è due cose. Da una parte, per l' autore, un ultimo atto d' amore verso la ragazzina di un tempo e insieme la memoria di una storia di sentimenti - non si parla mai di sesso - narrata senza morbosità ma con rimpianto («La sola vera sofferenza è il rinnegamento di Vanessa, il pugnale che 34 anni dopo questa donna di cui fui, nella sua adolescenza, il primo amore, che visse con me il parossismo della passione, mi conficcò nel cuore»), un amore cui per altro negli anni Matzneff ha dedicato, con nomi e cognomi, romanzi e diari. Dall' altro è il proprio resoconto dei fatti e la relazione - inquietante, quale che sia il giudizio morale su Matzneff - della caccia all'uomo («La storia di un assassinio») scatenatagli contro dai salotti culturali, i social network, le redazioni dei giornali, le case editrici... E siamo nella civilissima Francia di oggi.
Femminicidio, Piera Napoli cantante neomelodica siciliana uccisa dal marito per gelosia: l'ha accoltellata e poi si è costituito. Libero Quotidiano il 07 febbraio 2021. Una cantante neomelodica, Piera Napoli, è stata uccisa dal marito nella sua abitazione a Palermo. Il corpo della donna di 32 anni è stato rinvenuto nel bagno della casa, dopo che Salvatore Baglione, 37 anni, si è costituito ai carabinieri. La coppia ha tre figli. Baglione è stato fermato per omicidio aggravato. La ricostruzione degli inquirenti rivela che il marito era uscito nella mattinata per portare i figli dai nonni ed era poi tornato a casa. Una lite furiosa è scoppiata per motivi di gelosia. L'uomo ha poi preso un coltello da cucina colpendo più volte la moglie. Poi è uscito di casa per andare a costituirsi. La coppia, secondo alcune testimonianze era spesso protagonista di liti e violenze. Alcune volte era anche intervenuta la polizia. Prima del delitto Baglione aveva pubblicato un post del profilo "Dna criminale": sullo sfondo di una foto di Robert De Niro, con la scritta "Il rispetto gran bella cosa, peccato che non tutti ne conoscano il significato". La vittima sul proprio profilo Facebook fa aveva da poco pubblicato un post: "Vuoi che ti regalino dei fiori il 14 (San Valentino) muori il 13". Piera Napoli era molto conosciuta nel suo quartiere. Il padre della vittima ha raccontato che il rapporto tra marito e moglie era incrinato: "Mia figlia restava ancora in quella casa per i bambini", ha spiegato. "Era una ragazza semplice e solare. Una persona veramente per bene", ha scritto su Facebook Piero Sala, discografico e proprietario della Air Music, lo studio di registrazione audio dove Piera Napoli ha lavorato negli ultimi 5 anni, "sono distrutto. In genere cantava canzoni d'amore neomelodiche di cui curavo gli arrangiamenti. Lei portava i testi e io mettevo la musica. Brani che possiamo definire puliti, senza esaltazione della malavita. Si distingueva da tante persone legate a questo mondo. Non mi sarei mai aspettato da suo marito un gesto del genere".
Chi era Piera Napoli, la cantante neomelodica uccisa a coltellate e vittima di femminicidio. Vito Califano su Il Riformista il 7 Febbraio 2021. Aveva 32 anni e tre figli. Pietra Napoli, detta anche Piera, era molto conosciuta a Palermo per la sua attività: cantante neomelodica. Cantava soprattutto canzoni d’amore. È stata uccisa a coltellate dal marito, Salvatore Baglione, 37 anni, che ha confessato l’omicidio stamattina. Il corpo della donna è stato ritrovato senza vita, straziato dalle pugnalate alla gola, al torace, alle braccia, alle gambe, nel bagno del suo appartamento in via Vanvitelli nella borgata di Cruillas. Napoli aveva fatto diverse collaborazioni con artisti anche quotati nell’ambiente come Tony Seminara. Lavorava per la casa discografica Air Music di Piero Sala. “Sono senza parole – ha scritto Sala su Facebook – Cara amica mia da tanti anni, ragazza per bene, solare e sempre con la voglia di cantare, abbiamo condiviso diversi anni di bella musica. Che la terra ti sia lieve, cara Piera Napoli, riposa in pace”. Cordoglio espresso sui social anche da parte del cantante neomelodico Tony Colombo: “Che brutta notizia, Dio mio”. A muovere la mano dell’uomo il movente della gelosia. Baglione si è presentato alla caserma dei carabinieri a confessare l’omicidio stamattina. Da brividi l’ultimo post dall’uomo e dalla vittima sui social. Baglione ha pubblicato un post del profilo “Dna criminale” con una foto di Robert De Niro e la scritta: “Il rispetto gran bella cosa, peccato non tutti ne conoscano il significato”. Mentre lei aveva postato una frase che suona ora come un presagio: “Vuoi che ti regalino dei fiori il 14 (San Valentino) muori il 13”. L’uomo sembrava ossessionato negli ultimi tempi dalla gelosia. Era sempre più geloso e la donna era sempre più vittima di aggressioni verbali e fisiche. Pietra Napoli non l’aveva denunciato soltanto per non privare i figli della figura del padre.
Piera, la cantante uccisa in casa dal marito: un mese fa lei chiamò la polizia. Salvo Toscano su Il Corriere della Sera l'8 febbraio 2021. Da un po’ le cose tra loro non andavano bene. All’esterno potevano apparire una coppia felice ma continue liti avevano minato il loro rapporto. Circa un mese fa i vicini avevano visto arrivare una volante della polizia a casa loro, in via Vanvitelli. Ma a quanto si apprende Piera Napoli, cantante neomelodica di 32 anni, non aveva denunciato episodi di violenza fisica in quella circostanza. Forse non avrebbe mai potuto immaginare quello che ha fatto ieri dal marito, Salvatore Baglione, macellaio di 37 anni, «bravo ragazzo» come si presenta su Facebook. L’uomo l’ha uccisa a coltellate. Poi è andato dai carabinieri per farsi arrestare.
Nel quartiere. Teatro del femminicidio l’appartamento nel quartiere Cruillas, una zona popolare e periferica della città. Lì, Baglione ha ucciso la madre dei suoi tre figli per futili motivi, come lui stesso ha confessato. Prima è andato dai carabinieri di Uditore, all’ora di pranzo, a dire quanto era accaduto. I militari della compagnia San Lorenzo, guidati dal capitano Simone Calabrò, sono intervenuti sul posto, trovando il cadavere in bagno. Poi c’è stato l’interrogatorio davanti al pubblico ministero Federica Paiola, durante il quale Baglione ha ammesso le proprie responsabilità, facendo così scattare il fermo che lo ha portato in carcere. Un grosso coltello è stato sequestrato nell’appartamento. Si ritiene sia l’arma del delitto. Sul corpo della cantante c’erano i segni di una decina di fendenti: un massacro. I figli non erano in casa al momento del delitto, il padre li aveva portati dai nonni. Il corpo di Piera Napoli è stato trovato in un lago di sangue. I carabinieri sono arrivati insieme al 118. Ma purtroppo l’unico medico che è potuto intervenire è stato il medico legale. Il silenzio avvolgeva la strada del delitto ieri pomeriggio. Sui social tanti messaggi di cordoglio per la donna, conosciuta per la sua attività. Cantava l’amore nei suoi brani, che avevano migliaia di visualizzazioni su Youtube.
I social. Piera, sul proprio profilo Facebook, solo poche ore prima di morire aveva condiviso un post che suona quanto mai tragico: «Vuoi che ti regalino dei fiori il 14 (San Valentino)? Muori il 13». Il marito, invece, ieri mattina pubblicava un’immagine di Robert De Niro con la scritta: «Il rispetto gran bella cosa, peccato che non tutti ne conoscano il significato». Un post che ha calamitato ieri una valanga di insulti all’indirizzo dell’uomo, sia di amici e conoscenti sia di utenti sconvolti per la tragedia, un altro femminicidio solo quindici giorni dopo la morte di Roberta Siragusa a Caccamo. «Mia figlia restava ancora in quella casa per i bambini», ha detto il padre di Piera, accorso sul posto dopo avere appreso della morte della figlia, confermando i dissapori all’interno della coppia. «Era una ragazza semplice e solare. Una persona veramente per bene», scrive su Facebook Piero Sala, discografico e proprietario dello studio di registrazione dove Piera Napoli ha lavorato negli ultimi 5 anni. Portava lei i testi delle sue canzoni in napoletano, «brani puliti, senza esaltazione della malavita — aggiunge Sala —. Si distingueva da tante persone legate a questo mondo». Non canterà più Piera, ennesima donna vittima della violenza del suo compagno.
Femminicidio in Salento, parla il fidanzato di Sonia: «Si è sacrificata per me». Sconvolto il nuovo compagno della donna ammazzata a Specchia Gallone, Lecce, dall'ex Salvatore Carfora: «Mi è morta fra le braccia». Linda Cappello su La Gazzetta del Mezzogiorno il 03 Febbraio 2021.
«Sonia aveva paura. Era spaventata dalla possibilità che se lo avesse denunciato le avrebbe fatto del male».
Francesco D., 29 anni, è ancora profondamente scosso da quanto accaduto. «Mi è morta tra le braccia - ripete - si è sacrificata per me. Al suo posto dovevo esserci io. Era me che lui voleva colpire, e Sonia mi ha difeso».
Dove eravate di preciso quando c’è stata l’aggressione?
«Per strada, stavamo andando al supermercato. In quel momento non c’era nessuno»
Ricorda se eravate in atteggiamenti affettuosi? Magari l’assassino ha visto qualche gesto di complicità che gli ha fatto perdere il controllo?
«Non lo so, adesso non me lo ricordo. So solo che lei era accanto a me. Lui improvvisamente ci ha aggredito alle spalle, aveva un coltello. Sonia per difendermi si è messa davanti a me ed è stata colpita. Lui è scappato, io avrei voluto inseguirlo ma lei era a terra, perdeva tanto sangue. Ho gridato aiuto, a quel punto sono arrivate alcune persone che risiedono nella zona, ma purtroppo per Sonia non c’era più niente da fare».
Chiara Spagnolo per "la Repubblica" il 3 febbraio 2021. L'ultimo nome che ha sussurrato è stato quello del suo assassino: Salvatore, l'uomo con cui aveva avuto una relazione fino a pochi mesi fa e che non si rassegnava al fatto di averla persa. Quel nome, pronunciato dalla 29enne di Rimini Sonia Di Maggio un secondo prima di morire su un marciapiede della frazione Specchia di Minervino di Lecce, è un atto d'accusa lapidario, insieme ai messaggi mostrati alla polizia dal nuovo fidanzato, Francesco Damiano, che era insieme a lei e non è riuscito a salvarla dalle venti coltellate assassine. «Meglio che rinunci a Sonia, sennò farai una brutta fine», aveva scritto il 39enne di Torre Annunziata Salvatore Carfora il 31 gennaio a Damiano, «non sai contro chi ti sei messo, poi te ne accorgerai». Sonia era cresciuta a Rimini dove vive ancora la madre e dove ha lasciato tanti amici, che la ricordano così: «Era una persona solare, impossibile non volerle bene». La 29enne aveva frequentato l'Einaudi per poi preferire la scuola per segretarie d'albergo, dato che la madre ne aveva preso in gestione uno in viale Regina Elena. Sonia è stata aggredita alle spalle dal suo ex mentre andava al supermercato con il fidanzato, che ha chiesto disperatamente aiuto dopo che lei è caduta a terra sanguinante. È stato lui a dare il numero di Carfora ai poliziotti arrivati sul posto. A distanza di poche ore, Canfora è stato trovato vicino alla stazione di Otranto: «Vi porto dove ho buttato il coltello - ha detto agli investigatori, confessando indirettamente il delitto - è vicino un muretto a secco», ma l'arma non è stata ritrovata. Sul suo telefono ci sono i messaggi di minacce a Sonia, che prima di Natale lo aveva lasciato perché aveva conosciuto Francesco su un social e poi era andata a vivere con lui in Salento. Francesco la data del fidanzamento l'ha postata su Facebook il 28 dicembre, poi un susseguirsi di foto e baci sulla pagina comune "Francesco Sonia". Quella che, con tutta probabilità, Carfora guardava e che alimentava la sua gelosia: era già instabile, qualche anno fa era stato all'ospedale psichiatrico di Aversa per scontare una condanna a 2 anni e 6 mesi. Quella pena gli era stata inflitta per avere accoltellato un "collega", parcheggiatore abusivo come lui. Carfora per anni ha vissuto di espedienti e da ultimo si rifugiava nel dormitorio vicino alla stazione di Napoli. Da lì, il primo febbraio, sarebbe partito in treno alla volta di Lecce, poi in autobus fino a Minervino, portando il coltello con sé (e questo consoliderebbe l'ipotesi della premeditazione) anche se molti particolari saranno chiariti dopo l'interrogatorio del pm Alberto Santacatterina. «Il poco tempo intercorso tra il fatto e la cattura ci ha impedito di svolgere approfondimenti sulle vite delle persone coinvolte - ha spiegato il questore di Lecce, Andrea Valentini - nei prossimi giorni tanti particolari si chiariranno. Invece chi l'ha uccisa lo abbiamo saputo subito». Sonia infatti lo ha sussurrato a una vicina di casa, accorsa nel sentire le urla di Francesco.
Difende il fidanzato dalla furia dell'ex: massacrata a coltellate. La vittima aveva 29 anni. Caccia all'omicida: era stato dimesso da un ospedale psichiatrico. Tiziana Paolocci, Martedì 02/02/2021 su Il Giornale. Sonia era raggiante da qualche mese, così felice che era difficile per i conoscenti non notarlo quando la incontravano per strada. La sua scelta di vivere con il nuovo compagno nel Leccese l'aveva condivisa a fondo con la famiglia e gli amici. Ma Sonia ora non c'è più. È morta ieri pomeriggio per mano dell'uomo, con cui in passato aveva avuto una relazione. È l'ennesimo femminicidio commesso sulla scia della gelosia cieca, della rabbia assurda che spinge chi è rimasto deluso e non vuole accettare la fine di una relazione a cancellare l'esistenza della persona amata, forse in modo sbagliato, che piano piano diventata un'ossessione dalla quale è difficile liberarsi. Se non annientandola. Il brutale omicidio si è consumato ieri pomeriggio nella frazione di Specchia Gallone, a Minervino di Lecce, in Puglia, dove la giovane donna è stata colpita con diverse coltellate. Sonia Di Maggio, ventinove anni, la conoscevano un po' tutti in quel paese perché non era nata lì ma era originaria di Rimini e aveva scelto il Salento per convivere con il nuovo compagno, con cui aveva ritrovato la sua serenità. E aveva intrapreso un cammino verso il suo futuro. Ma non aveva fatto i conti con la rabbia dell'ex fidanzato. Ieri sera, dopo le 20, la ventinovenne si trovava in via Pascoli quando le si è avvicinato il suo ex compagno, un ventinovenne originario di Napoli, che era giungo in Puglia solo da poche ore. Forse l'intento iniziale era di cercare di convincere Sonia a parlare, magari sperando di aprire uno spiraglio nel suo cuore per tornare con lui. Ma è scoppiato un diverbio con l'attuale compagno della ragazza. Secondo la prima ricostruzione la donna sarebbe intervenuta a sedare la lite avvenuta tra i due uomini e facendo scudo sarebbe stata colpita alla gola. Poi l'aggressore si è dato alla fuga, lasciandola a terra sanguinante. Alcuni passanti che hanno notato la scena da lontano e si sono avvicinati di corsa per cercare di fare qualcosa. Immediatamente è scattato l'allarme, nella speranza di strappare la donna alla morte. Ma quando nel piccolo borgo di Specchia sono giunti i soccorsi, per la poveretta era troppo tardi. Sonia è morta dissanguata poco dopo all'ospedale di Scorrano, dove era giunta in fin di vita e dove i medici hanno cercato di rianimarla. Gli agenti di polizia del commissariato di Otranto, giunti sul luogo dell'aggressione insieme con i carabinieri della compagnia di Maglie, hanno dato il via a una vasta caccia all'uomo per le strade di Specchia. Le indagini si sono concentrate già in prima battuta sull'ex compagno di Sonia, che è tutt'ora ricercato. A quanto risulta L'uomo era stato dimesso dall'ospedale psichiatrico di Aversa lo scorso giugno, ed era senza fissa dimora. Ci sarebbe anche un precedente Nel 2011 avrebbe accoltellato un parcheggiatore abusivo con cui lavorava a Torre Annunziata e sarebbe stato arrestato. Secondo la madre dell'attuale fidanzato della vittima ci sarebbero state anche delle intimidazioni da parte dell'uomo alla coppia: «Ha accoltellato la ragazza, lei ha fatto anche da copertura a mio figlio. So che aveva avuto delle minacce... che faceva una strage, che li ammazzava tutti e due».
Femminicidio in Salento, trovati arma e vestiti del killer di Sonia. Erano nascosti a circa 200 metri dal luogo dell'omicidio. La Gazzetta del Mezzogiorno il 5 Febbraio 2021. Agenti del Commissariato di Otranto hanno trovato nelle campagne di Minervino il coltello e gli indumenti di Salvatore Carfora, il 39enne di Torre Annunziata fermato lunedì scorso per l’omicidio di Sonia Di Maggio, la sua ex fidanzata riminese uccisa per strada a Minervino di Lecce a coltellate. Il coltello a serramanico da sub, di 20 cm con lama di 8 cm, era sotto un cumulo di pietra a circa 200 metri dal luogo dell’omicidio, nei pressi della scuola elementare di Specchia Gallone mentre gli indumenti (giubbotto, felpa, pantaloni e calze) erano dietro un muretto a secco, ben nascosti sotto un cumulo di pietre, alle spalle del cimitero di Minervino ove l'uomo aveva trascorso la notte dopo l’omicidio. Sul posto la Polizia Scientifica ha refertato le innumerevoli tracce ematiche delle quali erano intrisi gli indumenti e l’arma del delitto.
Femminicidio in Salento: ex fidanzato confessa davanti al Gip di aver ucciso la sua ex per gelosia. Sonia Di Maggio sarebbe stata massacrata perchè sorpresa per strada col suo nuovo compagno a Minervino di Lecce. La Gazzetta del Mezzogiorno il 05 Febbraio 2021. Ha confessato davanti al gip ogni addebito Salvatore Carfora, il 39enne di Torre Annunziata fermato per avere ucciso a coltellate domenica scorsa Sonia Di Maggio, la sua ex fidanzata dopo averla sorpresa per strada col suo nuovo compagno a Minervino di Lecce, dove si era trasferita da un mese. Durante l’udienza di convalida del fermo, svoltasi nella casa circondariale di Lecce dove è detenuto con l’accusa di omicidio aggravato dalla premeditazione e stalking, Carfora ha risposto a tutte le domande che il gip Giulia Proto gli ha posto, fornendo tempi, motivazioni e modalità del delitto. In queste ore è attesa la notifica del gip sulla convalida del fermo. Nel pomeriggio a Specchia Gallone, la frazione di Minervino dove è stata uccisa la donna, si è tenuto un momento di raccoglimento organizzato in forma spontanea dalla popolazione.
Lecce, la 29enne uccisa in strada con 20 coltellate. Confessa l'ex compagno napoletano di 39 anni. La Gazzetta del Mezzogiorno l'1 Febbraio 2021. Il corpo della vittima, Sonia Di Maggio, è stato trovato in una pozza di sangue: al momento dell'aggressione era insieme al nuovo fidanzato. Avrebbe ammesso le proprie responsabilità Salvatore Carfora, fermato questa mattina ad Otranto per l’omicidio di Sonia Di Maggio, la sua ex fidanzata. Il 39enne è uscito poco fa dalla sede del commissariato di Otranto in una volante seduto accanto a dei poliziotti. Da quanto si apprende si starebbero recando sul luogo dove l’uomo avrebbe detto di essersi disfatto dell’arma del delitto. Poco dopo la sua uscita, nel commissariato sono entrati i genitori di Sonia, arrivati questa mattina in Salento da Rimini. Nessuna parola con i giornalisti che attendevano all’esterno. L’uomo è stato catturato questa notte a Otranto (Le), vicino alla stazione, si tratta dell'ex compagno della 29enne, di Rimini, uccisa a coltellate nella frazione di Specchia-Gallone, un borgo di Minervino di Lecce, dal giovane con il quale aveva interrotto la relazione. Il presunto responsabile è un 39enne di Torre Annunziata (Na), a giugno era uscito dall'ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa. Aveva ancora gli indumenti e lo zainetto che indossava al momento del delitto, mentre l'arma non è stata ancora trovata. A quanto si apprende da fonti investigative, era da poco uscito dal carcere dove era finito per aver ferito a coltellate un parcheggiatore abusivo durante una lite. L'uomo, secondo quanto si apprende, svolgeva l’attività di parcheggiatore abusivo, non aveva una dimora fissa. Carfora, inoltre, era già noto alle forze dell’ordine per alcuni precedenti che lo avvicinano alla famiglia del clan Gallo-Limelli-Vangoni. E dieci anni fa era stato arrestato per l'accoltellamento di un parcheggiatore abusivo con il quale lavorava a Torre Annunziata. Secondo quanto ricostruito dagli investigatori, ieri sera il 39enne avrebbe aggredito i due fidanzati, cogliendoli di sorpresa alle spalle, mentre camminavano per strada mano nella mano. Probabilmente l’obiettivo era il nuovo fidanzato di Sonia e lei gli avrebbe fatto da scudo per proteggerlo, venendo uccisa. Alcuni passanti che hanno assistito alla scena hanno provato a rianimare Sonia, fino all’arrivo del 118 ma quando i medici sono arrivati la giovane era già morta.
OLTRE 20 COLTELLATE - «Stavamo andando al supermercato io e lei da soli, poi è sbucato lui, l’ha presa dal collo e ha cominciato ad accoltellarla, e ha continuato dandole più di una ventina di coltellate. Lei ha cercato di liberarsi e io nel frattempo stavo cercando aiuto e non c'era nessuno, poi mi sono messo ad urlare ed è arrivato qualcuno. Ma lui era già scappato e lei stava a terra». E’ il racconto agghiacciante fatto in diretta Tv a Mattino Norba da Francesco Damiano, 29 anni carpentiere, il fidanzato di Sonia Di Maggio, la 29enne uccisa a coltellate ieri sera a Minervino di Lecce, che era con lei al momento dell’omicidio.
IL QUESTORE: CONFESSIONE NON PIENA - Salvatore Carfora, fermato questa mattina ad Otranto per l’omicidio di Sonia Di Maggio, la sua ex fidanzata, «non ha fornito una confessione piena, piuttosto una confessione implicita perchè se uno ti porta a recuperare l’arma del delitto è come se avesse confessato». Lo ha detto il questore di Lecce Andrea Valentino, che è nel commissariato di Otranto dove si trova ancora il presunto omicida in attesa di essere portato in carcere. «Non ha nemmeno dato - ha aggiunto - una spiegazione chiara di quello che ha fatto. La dinamica ci fa propendere per l’idea che fosse lei l’obiettivo, anche per il numero delle coltellate che sono state tutte rivolte nei confronti della donna». Il questore ha anche precisato che Carfora «appare poco lucido», anche perchè è «un personaggio che già di per sé è poco lucido e dopo una situazione del genere, ovviamente lo è ancora di più». L’uomo ha detto di volere aiutare gli investigatori a recuperare l’arma usata , ma - ha precisato il questore - «un pò perchè poco lucido, un pò perchè la zona è una zona di campagna, non è riuscito più a trovare il posto». Carfora è un senza fissa dimora e negli ultimi tempi dormiva in un dormitorio pubblico presso la stazione di Napoli.
I FATTI IERI SERA - Tutto si è svolto in via Piave, poco prima delle 20 di ieri, mentre la ragazza stava facendo una passeggiata con il suo nuovo fidanzato, un 29enne carpentiere. Sonia si era trasferita in Salento da pochi mesi, mentre il suo ex sarebbe arrivato direttamente dalla provincia di Napoli per incontrare la sua amata che le aveva voltato le spalle. Pare che l'uomo sia sbucato all'improvviso, forse alle spalle, aggredendo la coppia che era appena uscita di casa per fare alcuni acquisti in un negozio, come ha riferito la mamma del ragazzo. «Eravamo appena tornati a casa e mancavano alcune cose, così mio figlio è uscito...». Tutto si è svolto in una manciata di secondi: l'aggressore ha estratto un coltello e ha colpito con fendenti alla cieca, ferendo anche al collo la donna che probabilmente ha fatto da scudo al suo nuovo fidanzato. Sonia Di Maggio è stramazzata a terra in un lago di sangue, mentre l'ex fidanzato si è allontanato a piedi. A soccorrere la ragazza è stato il suo nuovo compagno che ha telefonato subito alla madre per chiedere aiuto dicendo che Sonia sanguinava, ma la 29enne si è spenta tra le sue braccia e di quelle di alcuni passanti. Per la giovane donna non c'è stato nulla da fare, i sanitari del 118 non hanno potuto far altro che constatarne il decesso. È caccia dunque all’ex compagno, fuggito a piedi dal luogo della tragedia, che potrebbe avere le ore contate. Secondo quanto si è appreso pare che l'uomo avesse rivolto pesanti minacce alla sua ex: un terribile avvertimento che conferma un delitto premeditato. Le indagini degli agenti del commissariato di Polizia di Otranto, sono coordinati dalla procura di Lecce. Alle ricerche prendono parte anche gli investigatori della Squadra mobile e i Carabinieri. Tutti sono impegnati in una vera e propria caccia all'uomo.
Femminicidio nel Salento, l'ex scrisse a Sonia e al fidanzato: "Siete due morti che camminano". Francesco Oliva su La Repubblica il 6 febbraio 2021. Sonia Di Maggio è stata uccisa da Salvatore Carfora, 39 anni, che ha confessato: nel decreto di fermo si ricostruisce il suo viaggio per l'Italia, prima a Rimini e poi verso il Salento, con l'intenzione di ammazzare la ragazza con cui era stato fidanzato. "Siete due morti che camminano". È uno degli ultimi messaggi con cui Salvatore Canfora ha minacciato l'ex fidanzata Sonia Di Maggio e il suo nuovo ragazzo, Francesco Damiano, pochi giorni prima di uccidere a coltellate per strada la 29enne a Specchia-Gallone, nel Salento. Il messaggio non rappresenta una minaccia isolata. Da tempo il 38enne di Torre Annunziata contattava via sms il nuovo fidanzato di Sonia per intimargli di lasciarla stare "perché era una cosa sua". E per l'omicida la ragazza doveva essere sua o "non appartenere a nessun altro", come se fosse un oggetto e non una persona: lo ha spiegato lo stesso omicida reo confesso nel corso dell'udienza per la convalida del fermo. Nell'ordinanza con cui la gip Giulia Proto ha disposto la custodia cautelare in carcere per l'uomo, la giudice scrive che se Carfora fosse rimasto in libertà "avrebbe potuto ammazzare anche chi, nella sua testa, gli aveva tolto la sua ragazza". Ossia Damiano, "colpevole di essersi frapposto fra lui e la Di Maggio, ostacolandolo nei numerosi tentativi di impossessarsi di quella che considerava evidentemente roba sua: e se non poteva essere sua, Sonia non doveva essere di nessun altro". Per dimostrare il suo "amore malato", come lo definisce la stessa gip, nelle scorse settimane Carfora aveva raggiunto la casa della madre di Sonia per sapere dove si trovasse. Un viaggio fino a Rimini, inutile. Perché Sonia, a fine dicembre del 2020, aveva deciso di non tornare più a Napoli. Aveva ormai paura di quell'uomo che l'aveva minacciata e picchiata ripetutamente, lasciandole anche una cicatrice in volto. Lei non aveva mai presentato denuncia: "Temeva di renderlo ancora più violento", ha spiegato Damiano dopo l'omicidio. La 29enne si era trasferita in Salento per rifarsi una nuova vita con Damiano, che aveva conosciuto sui social. E quando Carfora ha capito che Sonia non poteva più essere "cosa sua" ha affrontato il viaggio, "determinato ad uccidere Sonia non appena l'avesse trovata". Prima in pullman fino a Foggia, poi in treno sino a Lecce e infine su un altro bus per raggiungere Minervino di Lecce e sorprendere la coppia per strada nella frazione di Specchia-Gallone. Aveva con sé un coltello da sub. E non nello zaino, ma nella cintola dei pantaloni. "Pronto per essere usato", scrive la gip, nonostante l'uomo, nel corso dell'interrogatorio, avesse cercato di giustificare il possesso dell'arma per difendersi da eventuali aggressioni del fidanzato di Sonia. Carfora ha anche affermato che la ragazza "se l'è cercata". Per l'uomo, si legge nell'ordinanza, "era inaccettabile che la donna non volesse più stare con lui nonostante negli ultimi due mesi non l'avesse più percossa. Ed era normale per lui - riporta la gip - pretendere che la sua compagna non lavorasse perché, essendo una bella ragazza, gli uomini la guardavano. Sonia non doveva lavorare e non doveva uscire senza di lui, ma soprattutto non doveva permettersi di rifarsi una vita con un altro uomo".
Femminicidio in Salento, gip convalida il fermo del reo confesso. Il killer: «Lei non doveva rifarsi una vita». In carcere l'ex fidanzato della vittima uccisa con numerose coltellate. La Gazzetta del Mezzogiorno il 06 Febbraio 2021. Il gip di Lecce, Giulia Proto, ha convalidato il fermo e ha disposto la custodia cautelare in carcere di Salvatore Carfora, il 39enne di Torre Annunziata reo confesso dell’omicidio di Sonia Di Maggio, la sua ex fidanzata, uccisa con numerose coltellate lo scorso lunedì sera a Specchia Gallone, in Salento.
Nel corso dell’interrogatorio, che si è tenuto ieri, Carfora avrebbe riferito di essere andato in Salento per tentare di convincere la donna a riprendere la relazione, e dopo il suo rifiuto si sarebbe sfilato il coltello dalla cintola dei pantaloni colpendola. L’uomo ha sostenuto che l'arma l’aveva portata con sé per difendersi da un’eventuale reazione del nuovo fidanzato della 29enne, Francesco Damiano. L’udienza di convalida del fermo si è svolta nella casa circondariale di Lecce dove Carfora è detenuto con le accusa di omicidio aggravato dalla premeditazione e stalking. Un uomo «lucido» e «freddo», capace di raccontare gli eventi «senza scomporsi, senza un’emozione, senza un minimo di resipiscenza». Le «sue parole avevano come fine ultimo quello di evidenziare che Sonia 'se l’era cercatà...non doveva lavorare e non doveva uscire senza di lui e soprattutto non doveva permettersi di rifarsi una vita con un altro uomo». Sono alcuni passaggi che compaiono nell’ordinanza con cui il gip di Lecce, Giulia Proto, ieri ha convalidato il fermo disponendo la custodia cautelare in carcere di Salvatore Carfora, il 39enne di Torre Annunziata reo confesso dell’omicidio di Sonia Di Maggio, la sua ex fidanzata, uccisa a coltellate lo scorso lunedì sera a Specchia Gallone, in Salento. Dalle nove pagine del provvedimento, emerge che la loro relazione era basata su «un amore malato». Il 39enne, nell’ordinanza, viene descritto come «un abile mistificatore». Per conoscere Sonia e nascondere i suoi guai con la giustizia aveva usato un altro nome, Alessandro. Era stata la stessa ragazza, dopo alcuni mesi, a scoprire la sua vera identità, rovistando in un borsello. Per il gip, se Carfora fosse rimasto in libertà avrebbe potuto uccidere colui che gli aveva portato via quell'amore malato. Inoltre, dal provvedimento emerge che il 39enne picchiava Sonia che aveva una cicatrice sul volto, segno delle violenze subite.
Ventinovenne uccisa dall'ex nel Salento, l'assassino aveva programmato tutto: è partito da Napoli con il coltello. La Repubblica il 3 febbraio 2021. La ricostruzione nel decreto di fermo: c'è anche la testimonianza di due militari della guardia di finanza che erano sullo stesso autobus di Salvatore Carfora e lo hanno visto chiedere all'autista di fermarsi quando ha individuato per strada Sonia Di Maggio e Francesco Damiano. Tante minacce sul telefonino del fidanzato. Armato di coltello ha affrontato un viaggio da Napoli fino a Minervino con l’intento di ammazzare la sua ex. Salvatore Carfora, l’omicida di Sonia Di Maggio, ha agito in maniera del tutto premeditata. È quanto viene riportato nel decreto di fermo a carico del 38enne di Castellammare di Stabia in carcere con l’accusa di aver ucciso la sua ex fidanzata con oltre venti coltellate lunedì pomeriggio 1° febbraio. Ne sono convinti gli agenti della Squadra mobile di Lecce che, insieme ai colleghi del commissariato di Otranto, hanno chiuso in poche ore il cerchio sull’assassino della 29enne di Rimini arrivata in Salento da qualche settimana per vivere una nuova storia d’amore con il suo attuale ragazzo conosciuto sui social. Nel decreto di fermo viene riportata anche l’accusa di stalking. Per mesi Carfora ha minacciato la sua ex fidanzata e l’attuale compagno, Francesco Damiano, invitato più volte con dei messaggi “a farsi da parte”, a chiudere quella relazione se “non voleva fare una brutta fine”. O ancora: “Meglio che rinunci a Sonia se no ti faccio fare una brutta fine”; “hai ancora poco da ridere poi rido io”; “non sai contro chi ti sei messo, te ne accorgerai”. Minacce mai denunciate esplose in tutta la loro drammaticità in modo del tutto premeditato. Giunto a Lecce, Carfora è salito su un pullman per raggiungere Minervino. Sul bus l’uomo è stato notato da due militari della Guardia di Finanza che, una volta sentiti dagli investigatori, hanno raccontato di aver visto Carfora chiedere all’autista dove si trovasse la fermata per Minervino. E una volta giunto nella frazione di Specchia-Gallone, improvvisamente, l’uomo ha visto due persone che passeggiavano per strada. Erano Sonia e Francesco. A quel punto ha chiesto all’autista di fermarsi. Carfora è sceso di corsa gettando a terra il proprio zaino e sorprendendo la coppia alle spalle. Per il pubblico ministero della Procura di Lecce, Alberto Santacatterina, pm che ha coordinato le indagini, il decreto di fermo è motivato dal fondato pericolo di fuga dell’indagato che, senza una fissa dimora, si è reso irreperibile subito dopo aver commesso l’omicidio. Nelle prossime ore è prevista la convalida del fermo in cui l’uomo potrà fornire la propria ricostruzione su questo ennesimo femminicidio.
Valeria D'Autilia per "la Stampa" il 2 febbraio 2021. Accoltellata in strada, mentre era con il suo compagno. Sonia Di Maggio è morta così, uccisa da fendenti al petto, al collo e all'addome. E si cerca un uomo, sarebbe il suo ex. Forse lui voleva colpire anche l'attuale fidanzato e lei gli avrebbe fatto scudo con il proprio corpo. È accaduto nel Salento, a Specchia Gallone, frazione di Minervino di Lecce, dove viveva da qualche mese la 29enne, originaria di Rimini. La coppia stava tornando a casa, ieri pomeriggio, dopo un'uscita per alcuni acquisti. Sembra che ad attenderli ci fosse l'aggressore, armato. Non avrebbe accettato la fine della loro relazione. «Ti ammazzo» avrebbe urlato contro la donna. Le minacce, la lite, poi il gesto estremo e quelle coltellate mortali che non le hanno lasciato scampo. All'arrivo dei soccorritori, il corpo era in una pozza di sangue e lei era già morta. Il femminicidio, in via Pascoli. Gli investigatori seguirebbero la pista del movente passionale per mano dell'ex compagno, di origini campane, tornato da poco nel Salento. Immediata la caccia all'uomo che sarebbe fuggito a piedi. Sonia, da qualche settimana, abitava a casa del fidanzato Francesco, un carpentiere del posto suo coetaneo. La loro relazione era iniziata un paio di mesi fa e lei aveva lasciato il suo ex. Quello di ieri sarebbe stato un vero e proprio agguato. La coppia sarebbe stata sorpresa alle spalle, all'improvviso, di rientro dalla spesa al supermercato. Questo secondo la testimonianza di Francesco, presente in quegli attimi di follia, mentre la sua fidanzata veniva colpita, perdendo i sensi quasi subito. Troppo profondi quei tagli in varie parti del corpo. Inutili i tentativi di salvarle la vita: è morta dissanguata in poco tempo. Sul posto, gli agenti del commissariato di Otranto e i carabinieri della compagnia di Maglie. Investigatori sulle tracce del presunto killer che avrebbe più volte minacciato di morte la ragazza e l'attuale compagno. Una serie di messaggi, pieni di rabbia, da parte sua, che non aveva accettato la fine della loro storia. «Lei ha fatto da copertura a mio figlio» ha raccontato la madre di Francesco, ricostruendo quegli istanti drammatici quando lui ha lanciato l'allarme e chiamato il 118. «Mamma corri, Sonia sta sanguinando». E lei si è precipitata sul posto, insieme all'altro figlio. È il secondo femminicidio in Puglia in una settimana. Lo scorso 26 gennaio, la morte ad Orta Nova- nel foggiano- di Tiziana Gentile. Aveva 48 anni e per gli investigatori è stata accoltellata in casa da un amico di famiglia. Il presunto autore, un bracciante agricolo del posto, è in carcere e si dice innocente. Quando i carabinieri l'hanno bloccato, aveva le mani insanguinate e diverse escoriazioni.
Elena Tebano per "La 27esima ora" di corriere.it il 28 gennaio 2021. Ci sono voluti 12 anni di tentativi, ma adesso Malka Leifer è finalmente tornata in Australia, dove l’aspetta un processo per stupro dopo che otto studentesse della scuola ebraica ultraortodossa di Melbourne di cui era preside l’hanno accusata di violenze sessuali (i magistrati le contestano 74 «episodi», lei li ha sempre negati e per un periodo ha persino finto una malattia psichiatrica, come ha accertato la Corte Suprema di Israele, dove era fuggita). Leifer è innocente fino a prova contraria, ma nel 2015 un giudice australiano ha riconosciuto le ragioni della sua principale accusatrice, Dassi Erlich, e ha condannato la scuola che Leifer ha guidato dal 2003 al 2008, la Adass Israel School, a pagarle 1,2 milioni di dollari di danni, come racconta AbcNet Australia. La sua vicenda dimostra la difficoltà anche solo di concepire che vi sia un abuso sessuale quando a perpetrarlo è una donna. Erlich ha raccontato inoltre che le violenze che imputa alla preside sono state facilitate dall’ambiente chiuso e contrario a ogni forma di educazione sessuale della comunità chassidica in cui vivevano, e che Leifer — sempre secondo la denuncia della sua presunta vittima — ha approfittato del suo ruolo di guida educativa e religiosa per compiere impunemente gli abusi. Leifer sapeva infatti delle difficoltà che la ragazza aveva in famiglia, con una madre violenta, scrive The Age. «Lei si era già interessata a mia sorella maggiore prima — ha raccontato la vittima nel processo per danni alla scuola Adass —. Così quando si è avvicinata a me ha detto che sapeva cosa stava succedendo a casa e che poteva aiutarmi». La preside ha iniziato a darle lezioni private di religione, durante le quali — ha raccontato Erlich — la toccava attraverso i vestiti. Poi, secondo la sua ricostruzione, quando la ragazza ha raggiunto l’età di 15 o 16 anni, i contatti sono diventati sempre più apertamente sessuali, fino allo stupro. Leifer avrebbe giustificato gli atti sessuali dicendo che servivano a «prepararla al matrimonio». «La parola “sesso” non veniva mai menzionata. Eravamo coperte, fondamentalmente dal collo fino ai piedi. Non abbiamo parlato affatto dei nostri corpi, non abbiamo discusso nulla che avesse a che fare con la nostra identità sessuale» ha spiegato ancora Erlich. A lungo ha avuto paura a parlare degli abusi, anche a causa della considerazione di cui Leifer godeva nella comunità Adass, un’enclave ultra-ortodossa di circa 150 famiglie nei quartieri di Elsternwick e Ripponlea, a Melbourne. «La comunità è la scuola e la scuola è la comunità. Poiché era il capo della scuola, l’intera comunità la ammirava e la idolatrava» ha detto. Solo dopo aver fatto una psicoterapia, ad anni di distanza, ha trovato il coraggio di denunciare. In seguito altre ragazze, tra cui le sue due sorelle Elly Sapper e Nicole Meyer, hanno raccontato abusi simili, che sarebbero avvenuti a scuola, nei campi estivi (dove la preside accompagnava le studentesse) e a casa sua. Quando le accuse sono emerse nel 2008 Leifer, suo marito e cinque dei loro figli sono fuggiti dall’Australia nel cuore della notte fino a Tel Aviv. A lungo Israele non ha dato seguito alle richieste di estradizione, e solo nel 2014 ha arrestato una prima volta Leifer, ma l’ha rilasciata sostenendo che non era in condizione di subire un processo. Ci sono volute 70 udienze in un processo durato 6 anni perché concedesse l’estradizione. Leifer per evitarla ha sostenuto di avere gravi disturbi psichiatrici e l’ex ministro della Salute israeliano Yaakov Litzman, che appartiene alla stessa corrente ultraortodossa della presunta pedofila, è stato accusato — riporta il Guardian — di «aver fatto pressione sugli psichiatri per alterare le conclusioni dei loro rapporti sull’ex preside della scuola di Melbourne in modo che un tribunale la trovasse mentalmente incapace sostenere un processo per le accuse di abusi sessuali su minori». Alla fine l’anno scorso, ricostruisce la Bbc, un giudice della corte distrettuale di Gerusalemme ha stabilito che Leifer si era «spacciata per una persona con problemi mentali» per evitare l’estradizione e che doveva essere mandata in Australia per essere processata, una decisione confermata alla Corte Suprema d’Israele. «Tutti coloro che cercano di sfuggire alla giustizia devono sapere che non troveranno un luogo di rifugio in Israele», hanno scritto i giudici nella sentenza. Adesso toccherà alla magistratura australiana fare giustizia. Ma senza l’ostinazione e il coraggio di Dassi Erlich, Elly Sapper e Nicole Meyer, la loro presunta stupratrice non sarebbe mai finita sotto processo.
Cristiana Mangani per "il Messaggero" il 13 gennaio 2021. Anche le persone considerate abbienti hanno diritto al patrocinio a spese dello Stato quando siano vittime di reati sessuali, come la violenza di gruppo o gli abusi sui minori. A stabilirlo è stata una sentenza della Corte costituzionale, che ha ritenuto non fondata una questione di illegittimità sollevata dal gip del tribunale di Tivoli. Si tratta, in particolare, dell' articolo 4-ter del Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia che prevede proprio l' automatica ammissione al patrocinio gratuito della persona offesa dai reati contro la libertà sessuale «anche in deroga ai limiti di reddito previsti dal presente decreto», cioè 10.628,16 euro. La sentenza, che risale al 3 dicembre scorso, è stata pubblicata l' 11 gennaio 2021 e si tratta della prima dell' anno. La norma certificata come legittima dalla Consulta, secondo l' interpretazione della Cassazione, dispone l' ammissione automatica - a prescindere dai limiti di reddito - al patrocinio gratuito delle persone offese dai reati che ledono la libertà sessuale.
LA RATIO. La Corte spiega anche che «è evidente che la ratio della disciplina in esame è rinvenibile in una precisa scelta di indirizzo politico-criminale che ha l' obiettivo di offrire un concreto sostegno alla persona offesa, la cui vulnerabilità è accentuata dalla particolare natura dei reati di cui è vittima, e a incoraggiarla a denunciare e a partecipare attivamente al percorso di emersione della verità. Valutazione che appare del tutto ragionevole e frutto di un non arbitrario esercizio della propria discrezionalità da parte del legislatore». Negli ultimi anni infatti il legislatore ha prestato maggiore attenzione ai reati di natura sessuale perpetrati in danno di donne e bambini. La previsione del patrocinio gratuito in favore delle vittime rientra infatti nel più ampio disegno di fornire alle stesse un maggior supporto per incoraggiarle a denunciare, favorendo in questo modo l' emersione e l' accertamento di questi illeciti penali.
IL DECRETO. Spiega ancora la Consulta che «va aggiunta la considerazione che nel nostro ordinamento sono presenti altre ipotesi in cui il legislatore ha previsto l' ammissione a tale beneficio a prescindere dalla situazione di non abbienza». La sentenza cita anche il decreto-legge del 23 febbraio 2009, n. 11 sul contrasto alla violenza sessuale e allo stalking nella parte in cui si richiama «la straordinaria necessità e urgenza di introdurre misure per assicurare una maggiore tutela della sicurezza della collettività, a fronte dell' allarmante crescita degli episodi collegati alla violenza sessuale, attraverso un sistema di norme finalizzate al contrasto di tali fenomeni e a una più concreta tutela delle vittime dei suddetti reati». «È una sentenza importante - è il commento della senatrice del Pd Valeria Valente, presidente della commissione Femminicidio - perché si tratta di un sostegno concreto, non solo materiale ma anche psicologico, per chi denuncia. Passa il messaggio che lo Stato è dalla parte di queste bambine, ragazze e donne abusate in vario modo. Anche le motivazioni della sentenza chiariscono che la ratio della legge - prosegue Valente - finalizzata appunto a incoraggiare la vittima che si trova in particolare stato di vulnerabilità, a intraprendere un percorso di denuncia e di uscita dalla violenza, è del tutto ragionevole e non può essere sottoposta a discrezionalità. È stato compiuto un ulteriore passo in avanti perché le donne non si sentano sole e siano incentivate a denunciare».
DATI PREOCCUPANTI. Basti pensare che solo nel 2020, l' anno in cui è stata approvata la legge per la lotta alla violenza di genere, sono stati circa 100 i femminicidi, concentrati in particolare nei mesi del lockdown a causa delle misure restrittive. Un periodo buio che ha fatto registrare anche un' impennata delle chiamate al 1522, il numero contro la violenza e lo stalking, fino al 73% in più rispetto al 2019.
Adelaide Pierucci per ''Il Messaggero'' il 30 dicembre 2020.
L' INCHIESTA. Sputi e lanci di acqua e olio bollente, ma anche botte e umiliazioni. Messo da parte qualsiasi slancio di romanticismo, per mesi una quarantenne ucraina ha sfoderato ogni tipo di sopraffazione per maltrattare il marito, un connazionale alto due metri ed ex campione di kickboxing. Da pugile, con un pugno lui avrebbe potuto difendersi, fermare la moglie, ma si era sempre trattenuto per il bene dei figlio, anche quando veniva lasciato senza un soldo o senza cena. Non la sera di Santo Stefano, però. L' ennesima lite, infatti, si è chiusa con l' arresto della donna. A scatenare il caos un capello. Mentre lava il bucato la donna trova un capello non suo.
Un capello di una donna, sostiene. Pare bruno. E allora va in cucina e afferra il bollitore e lancia l' acqua contro il marito. Lui fa in tempo a scansarsi così lei, centra il bersaglio direttamente col bollitore. Non soddisfatta afferra, poi, un soprammobile di marmo e centra il marito alla testa. «Mi tradisci, fuori da casa», sputa e urla contro il consorte. Stremato lui chiede l' intervento delle forze dell' ordine, che in pochi minuti sono a casa, in un palazzo di Centocelle. E per la donna scattano le manette con la doppia accusa di maltrattamenti in famiglia e lesioni. La messinscena di lei, infatti, non ha funzionato. All' arrivo della polizia, due squadre della volante Torpignattara, la donna si presenta sanguinante alla bocca. «Mi ha dato un pugno», si lamenta. Ma la verità era un' altra, come testimonia il figlio dodicenne della coppia. Il papà per bloccare gli sputi le aveva messo solo una mano sulla bocca, dopodiché la madre era andata in camera da letto da dove poi era riuscita con un taglio sul labbro. Con un destro e anni di allenamento col kickboxing, di certo, ipotizzano pure gli investigatori, la ferita sarebbe stata certamente più grave. L' annotazione finisce pure negli atti. Lui è alto quasi due metri, muscoloso, lei minuta. Ascoltati moglie, marito e figlio, la serata si chiuderà con l' arresto, disposto dal pm di turno antiviolenza, il magistrato Antonio Calaresu. La coppia, sposata da quasi vent' anni, una casa di proprietà a Roma Centocelle, era entrata in crisi da un paio di anni. La signora ha cominciato a manifestare una gelosia smodata. Con telefonate anonime mirate fa persino perdere il lavoro al marito, facchino in un albergo.
«Attenzione, ruba», mente. L' uomo ormai senza lavoro non se la sente di lasciare la casa e il figlio e allora sopporta le angherie della moglie, sempre più alle prese con scatti di ira. Una sera lo vuole colpire con una padella. Un' altra gli schizza olio bollente. Per due volte cerca di conficcargli il coltello del pane al petto, ma gli sfiora una volta sopra e una volta sotto il sopracciglio. Le rappresaglie scattano quando l' uomo è seduto, a tavola, o sul divano.
Per la moglie è più facile colpirlo a quell' altezza. «Ti ammazzo, ti taglio la testa», inveisce. «Stasera non sono riuscito a sopportare oltre», spiegherà lui nella querela. «Mentre preparavamo la cena, all' improvviso mia moglie mi ha fatto una scenata di gelosia e scaraventati addosso la pentola con l' acqua bollente e poi un oggetto in pietra». Il soprammobile, a forma di papera, ritenuta l' arma del reato (lesioni), finisce sotto sequestro. È di marmo e lungo otto centimetri. Avrebbe potuto davvero spaccargli la testa. Fortunatamente la ferita alla fronte non è profonda e viene subito medicata in ospedale, mentre per la moglie dalla gelosia smodata scatta il trasferimento a Rebibbia. Dove è rimasta in carcere fino a ieri. Su istanza del difensore d' ufficio, l' avvocato Claudio Corsi, il gip Maddalena Cipriani, convalidato l' arresto, ha infatti disposto la liberazione della donna e prescritto la misura cautelare dell' allontanamento da casa e il divieto di avvicinarsi al marito a meno di cento metri.
· Il Delitto d'onore.
Colpevoli di “alto” tradimento, donne vittime di lesa maestà. Esce il libro “C'era una volta e c'è ancora il delitto d'onore” edito da La Caravella. Ecco un estratto per LunediFilm dell’autrice Marianna Loredana Sorrentino. Marianna Loresana Sorrentino su Il Quotidiano del Sud il 29 marzo 2021. Il 18 maggio 1928 Annibale Mazzone uccide la moglie Carmela Cimarosa, a parer suo colpevole di averlo tradito. Di quel processo, resta la memorabile arringa difensiva dell’avvocato Casalinuovo, che portò l’imputato all’assoluzione: “L’onore è sentito, da noi meridionali in genere e da noi calabresi in ispecie, un po’ diversamente di come lo sentono gli altri. Ed è per ciò che il disonore ci sconvolge, ci devasta, ci annienta: ci rende folli ed irresponsabili. C’è da noi come un imperativo categorico più forte di noi: Se sei tradito uccidi. Te lo gridano i tuoi avi da tutti i millenni; te lo gridano i tuoi morti da tutte le fosse; te lo grida la tua gente da tutte le case prossime e lontane. Uccidi, che se no, sei disonorato due volte! Noi non viviamo che di reputazione. Lavoriamo, stentiamo, soffriamo, lottiamo a crearcela giorno per giorno, un poco al giorno, questa reputazione. Viviamo di essa. È il nostro tormento e la nostra gioia. Ce ne facciamo ghirlanda di spine e ghirlanda d’alloro. E in cima alla nostra reputazione – reputazione di tutte le reputazioni – sta l’onore della famiglia. Non vi chiediamo di assolvere per una ragione d’onore o di assolvere perché dovete credere al disonore. Assolvete, noi vi diciamo, come assolvereste dei pazzi! Compiangetelo, signori Giurati. Compiangetelo: ed assolvetelo”. Tra queste ampollose parole si nasconde però la verità di un mezzogiorno abbandonato a sé stesso che tenta di riscattarsi attraverso l’individuazione della dignità come diritto. Una condizione giuridica che vede una devianza come tutela della sopravvivenza e che giustifica, perciò, ogni più miserabile azione. La vendetta, micidiale connubio di variegate componenti sociali, diventa così un fattore culturalmente motivato che abilita all’azione, ossia il comportamento realizzato da un membro appartenente ad una cultura di minoranza, che è considerato reato nell’ordinamento giuridico della cultura dominante. Questo stesso comportamento, tuttavia, all’interno del gruppo culturale dell’agente è condonato o accettato come comportamento normale o, addirittura, è sostenuto e incoraggiato in determinate situazioni. Quindi, se da un lato si assiste a una tacita accettazione, dall’altro, sulla base degli stessi presupposti, emerge l’indignazione di quella parte di società che ha proseguito verso un processo evolutivo culturale differente e che prende le distanze da determinati comportamenti. Non ci si stupisce allora se circa trent’anni dopo Giovanni Arpino pubblica Un delitto d’onore, romanzo ambientato negli anni del fascismo, ma che guarda allo stesso argomento con un altro piglio. […] La storia tocca le corde di Pietro Germi e così nel 1961, in Divorzio all’italiana affronta, con la chiave a lui inedita dell’ironia e del grottesco, il problema di un sistema giuridico piegato da centinaia di omicidi travestiti da delitti d’onore e una questione sociale spudoratamente ignorata dal governo centrale, che gli fa addirittura aggiudicare un Oscar per la sceneggiatura e due nomination per la regia e miglior attore protagonista (Marcello Mastroianni). In una Sicilia ancora fortemente permeata da arretrate convenzioni, Fefè architetta un omicidio per liberarsi della moglie e impalmare la giovane cugina, non essendo ancora ammesso il divorzio e contando di avvalersi delle ampie attenuanti previste dal Codice penale per il delitto d’onore. Fefè trova ispirazione dal processo a cui aveva assistito a Catania, intentato contro Mariannina Terranova per aver ucciso a colpi di pistola suo marito fedifrago, in cui aveva sentito dall’avvocato difensore di Mariannina queste parole: “Ma l’onore, signori miei, l’onore, che cos’è l’onore? Terremo ancora per valida la definizione che di esso dà il Tommaseo, nel suo monumentale dizionario della lingua italiana, quando lo definisce come: il complesso degli attributi morali e civici che rendono un uomo rispettabile e rispettato nell’ambito della società in cui vive. O lo butteremo noi tra il ciarpame delle cose vecchie, inutili, sorpassate?” […] L’ambientazione siciliana è ampiamente connotata attraverso riferimenti di vario genere: dati culturali, come l’‘onore’, le ‘corna’ e il maschilismo; episodi di cronaca e di costume (la sezione del PCI dove ancora gli uomini ballano esclusivamente con altri uomini; la proiezione de La dolce vita di Fellini, che suscita scandalo e riprovazione, ma attira nel cinematografo tutti i maschi del circondario); il ricorso al dialetto, cui si associa una gonfia retorica umanistica forense; in quella Sicilia si accentrano, come sotto una lente caricaturale, i connotati di un’intera nazione, ancora oppressa, nelle leggi e nei costumi, da retaggi culturali arcaici. Proprio parafrasando il titolo venne coniata la commedia all’italiana, filone cinematografico che ritrae i costumi dell’Italia negli anni del boom attraverso la satira, ma le commedie “meridionalistiche” di Germi vanno oltre, questi film vivono fuori dal tempo come il Sud che descrivono: di fronte all’individuo non sta la società dei costumi, ma una civiltà ancestrale, quasi tribale; non il nuovo, ma il vecchio, anzi l’eterno, l’immutabile. Germi resterà ancora in questo mondo anacronistico e, nel 1964, uscirà con un altro film, degno del predecessore, Sedotta e abbandonata (nella foto), in cui mette in scena una sequenza di personaggi goyeschi grotteschi, sudaticci, deformati anche interiormente dal sole siciliano: quasi un documentario antropologico su un mondo di barbari, sull’arcaico codice penale che permette di riparare con il matrimonio qualunque misfatto sessuale. Ma le leggi tendenzialmente non camminano a braccetto con le evoluzioni di costume e le donne continuano a essere uccise legalmente: al referendum sul divorzio si arriverà nel 1974, ma il delitto d’onore scompare dal codice soltanto nel 1981, rispetto a oggi un tempo storico davvero irrisorio. Tratto da “C’era una volta e c’è ancora il delitto d’onore. Nei tempi e nei luoghi della storia e dell’arte” di Marianna Loredana Sorrentino per gentile concessione della casa editrice La Caravella.
Due giovani arrestati per l'orrore sulla linea Milano-Varese. “Guardavo il telefono quando uno mi ha bloccata, non riuscivo a muovermi”, il racconto della 21enne violentata sul treno. Vito Califano su Il Riformista il 6 Dicembre 2021. Due gli arresti per la violenza sessuale denunciata da un’impiegata 21enne. L’aggressione, venerdì scorso, sarebbe stata duplice: una su un treno della linea Milano Cadorna-Varese Nord, l’altra in stazione a Vedano Olona. La seconda ragazza sarebbe riuscita a fuggire. La prima ha invece subito la violenza. “Ero seduta sul treno, tornavo a casa dopo la giornata di lavoro”, ha raccontato la ragazza a Il Corriere della Sera. Per la violenza sono stati fermati due giovani di 21 e 27 anni. “Come sempre. Stavo guardando il cellulare … Quei due sono arrivati all’improvviso. Di colpo. Nemmeno il tempo di sentirli, di accorgermi di niente … Uno mi ha bloccata, mi teneva ferma, non riuscivo a muovermi, mentre l’altro …”, ha detto l’impiegata 21enne. Era sola, su una carrozza di un treno serale dei pendolari, quando è stata aggredita. Ha cercato il capotreno e con quello ha raggiunto gli agenti della polizia ferroviaria nella stazione di Vedano Olona. I due sarebbero stati fermati sabato sera durante un festino a Saronno. La 21enne ha voluto effettuare il riconoscimento dei due aggressori, alla caserma di Saronno. Avrebbe memorizzato vestiti e i lineamenti del volto. Ci sarebbero riscontri con le immagini delle telecamere di sicurezza della stazione di Venegono Inferiore. Uno dei due è un incensurato italiano. L’altro sarebbe un uomo di 27 anni di origini nordafricane. A quanto emerso finora le posizioni dei denunciati sarebbero dunque diverse. Adesso ci saranno gli interrogatori. L’altra ragazza si sarebbe salvata perché, come riferito dalla Procura e riportato dal quotidiano, avrebbe notato l’euforia dei due – un’euforia provocata da droghe e alcolici stando a quanto emerso – e sarebbe fuggita. La descrizione dei due coinciderebbe per diversi tratti con quella della ragazza che invece non è riuscita a scampare alla violenza. La conferma della ricostruzione dovrà arrivare dagli esami sulle tracce biologiche. Indaga la squadra Mobile di Varese, coadiuvata dalla polizia ferroviaria.
Vito Califano. Giornalista. Ha studiato Scienze della Comunicazione. Specializzazione in editoria. Scrive principalmente di cronaca, spettacoli e sport occasionalmente. Appassionato di televisione e teatro.
Andrea Galli per il "Corriere della Sera" il 7 dicembre 2021. Bloccata alle spalle, ferita, violentata. Poi alle 22 di venerdì il treno regionale numero 12085 della tratta Milano Cadorna-Varese Nord è entrato nella stazione di Venegono Inferiore. A bordo, pochi passeggeri: fra loro, la 21enne italiana che prima dell'agguato era al cellulare con il papà, e i predatori sessuali Gregory Anthony Fusi Mantegazza e Hamza Elayar. La ragazza ha resistito: «Lottavo» ha ripetuto alla polizia ferroviaria. Di più. Le prime carte dell'inchiesta riassunte nel provvedimento di fermo del sostituto procuratore di Varese Lorenza Dalla Palma, e lette dal Corriere , non possono infatti che ripartire da lei, dalla sua forza, dalla sua rara capacità comunque di non cedere, nell'orrore, all'angoscia: «Approfittando del treno che si era fermato, ho provato ad avvicinarmi alla porta, ma quello mi stava sempre vicino... Credevo che avrei potuto attirare l'attenzione dei passanti cui chiedere aiuto, e ricordavo che alla fermata precedente avevo visto il controllore... speravo di trovarlo...». I passanti, forse isolati dagli auricolari del telefonino, forse di fretta, forse traditi dal buio, oppure forse vigliaccamente timorosi - la giovane era di fatto priva di vestiti e i due la tenevano prigioniera - hanno proseguito; quanto al controllore, era lontano. Fusi Mantegazza (italiano di 21 anni) ed Elayar (marocchino irregolare di 27), poi arrestati dai carabinieri del Comando provinciale grazie a una pattuglia e alla cura dei dettagli, hanno proseguito la violenza e, servendosi della sosta nello scalo, se ne sono andati. Verso la seconda vittima. Hanno percorso il sottopasso, sono sbucati all'altezza del binario 1 al cui lato sorge la sala d'attesa. All'interno, c'era un'altra ventenne. Che si è invece salvata così: «Ad un certo punto è entrato un ragazzo... Aveva una bicicletta. Si è avvicinato. Mi ha chiesto informazioni rispetto a un treno, gli ho risposto, è uscito. Dopo circa dieci minuti, è rientrato e ha ricominciato un dialogo. Gli ho detto che non volevo parlare e l'ho invitato ad allontanarsi. Sì, sono in grado di descriverlo: meno di trent' anni, barba incolta, marocchino sicuramente, pelle chiara, occhi scuri, magro ma piazzato, aveva un cappello di lana tipo cuffia, non scuro ma credo blu chiaro, alto forse un metro e ottanta/ottantacinque. Puzzava di birra. Vestiva un giubbotto scuro». L'identikit di Elayar. «Il ragazzo è rientrato un'altra volta, si è seduto... È entrato anche il suo amico... Mi hanno aggredita... Mi sono aggrappata alla porta, nel tentativo di riuscire a fuggire, e ho cercato di aprirla, urlando. Sono riuscita ad aprire sufficientemente il battente della porta, quando abbiamo notato un uomo che stava arrivando verso la stazione...». Un altro passante. «Il ragazzo, visto l'uomo, si è staccato e ho pensato di allontanarmi... A quell'uomo non è importato nulla di quello che accadeva, anche se urlavo... L'aggressore si è diretto verso l'amico, ho guadagnato l'esterno della stazione, ho chiamato il 112...». I violentatori hanno raggiunto la casa di un sudamericano, in un alloggio disastrato. Un vicino racconta di averli visti rientrare di fretta, la sera di venerdì, con andatura storta, affannati: «Ubriachi marci». Una notte dopo, hanno partecipato con altri nordafricani a un festino. Urla, litigi, bottiglie di birra contro le pareti. Quel vicino ha chiesto l'intervento delle forze dell'ordine. La pattuglia dei carabinieri ha notato un particolare: i predatori avevano abiti diversi tranne le scarpe. Anonime scarpe da tennis. Le stesse scarpe descritte dalle vittime.
Andrea Galli per corriere.it il 7 dicembre 2021. Complici, non amici. Forse dipendenti uno dall’altro, perché Anthony Gregory Fusi Mantegazza aveva un tugurio e dei posti letto mentre Hamza Elayar coltelli e soldi, e l’appartamento disastrato dell’italiano 21enne, figlio di una famiglia sfasciata da tempo, serviva per nascondere il marocchino di 27 anni dopo le scorrerie e tenergli un angolo sicuro: in fondo, è un irregolare pregiudicato che doveva essere espulso. Complici, non amici, e forse pianificatori dell’agguato di venerdì sera sul treno regionale della linea Milano Cadorna-Varese Nord. Un’azione che sembra sia stata coordinata, definita nei ruoli: Elayar ad aggredire, Fusi Mantegazza a sorvegliare che non arrivassero il controllore e altri passeggeri, e forse ad attendere il proprio turno.
La dinamica
Il treno procedeva verso la stazione di Venegono Inferiore. Quando è successo questo, come da verbale di denuncia alla polizia ferroviaria della prima vittima, una 22enne italiana, di professione impiegata, verbale contenuto nel provvedimento di fermo della Procura di Varese e letto dal Corriere: «Ero da sola e stavo al telefono con mio padre. Sono salita subito al piano superiore di una carrozza, verso la coda. C’era un ragazzo seduto che però è sceso alla fermata successiva. Mi sono seduta e poco dopo, avendo notato il controllore al piano di sotto, mi sono alzata, sono scesa e gli ho chiesto informazioni su una fermata del treno. Poi sono risalita e sono rimasta in piedi, camminando lungo il corridoio e continuando a parlare al telefono con mio padre. Avevo intanto tolto il giubbotto appoggiandolo allo schienale del sedile dove mi ero accomodata. Mentre camminavo, stavo guardando verso il finestrino e mi sono resa conto che, mentre il treno era fermo nella stazione di Tradate, è salito un ragazzo con una bicicletta. Il ragazzo era alto circa 170 centimetri, corporatura esile, e indossava un cappello di quelli con la visiera; indossava un paio di occhiali, carnagione chiara, e avrà avuto circa 20 anni». L’identikit di Fusi Mantegazza.
L’aggressione
«Subito dietro, ho visto arrivare di corsa un secondo ragazzo che è salito proprio mentre le porte si stavano chiudendo». Ovvero Elayar. «Ho poi continuato la mia conversazione telefonica e dopo qualche minuto ho visto che il ragazzo con la bicicletta era salito al piano di sopra, dove in quel momento non c’era più nessun altro passeggero. Ho visto che il ragazzo ha lasciato la bicicletta vicino alla scala ed è rimasto fermo in quel punto. Dall’altra parte, utilizzando l’altra scala, è invece salito il secondo ragazzo che ha iniziato a camminare dietro di me. Ero sempre al telefono con mio padre, però mi sono resa conto che i due tra loro stavano comunicando sia con gesti che a parole. Questo secondo ragazzo che era salito da poco, mentre mi camminava di fianco mi si è avvicinato e mi ha tolto una delle cuffiette che avevo nelle orecchie. Inizialmente ho creduto che, avendomi vista agitata volesse tranquillizzarmi, anche perché mi ha fatto con la mano il gesto di stare calma. Approfittando del fatto che io ero di spalle mi ha preso da dietro mettendomi una mano sulla bocca per non farmi urlare, e con l’altra mi ha afferrato la testa spingendomi verso l’altro ragazzo, che con la bicicletta stava di fatto bloccando la scala che mi avrebbe permesso di scendere al piano di sotto... Mi ha buttato la bicicletta contro le gambe immobilizzandomi…».
La seconda vittima
A fornire elementi descrittivi di Elayar è stata la seconda vittima. Ugualmente ventenne, era seduta nella sala d’attesa della stazione di Venegono Inferiore. I due predatori sessuali hanno cercato di violentarla, dopo aver lasciato il treno a bordo del quale aveva stuprato la prima ragazza. Eccolo, Elayar: «Meno di trent’anni, barba incolta, pelle chiara, occhi scuri, magro ma piazzato, aveva un cappello di lana tipo cuffia, non scuro ma credo blu chiaro, ed era alto un metro e ottanta/ottantacinque. Puzzava di birra. Vestiva un giubbotto scuro. Era sicuramente marocchino».
La festa dopo la violenza
Di nazionalità marocchina erano altri balordi partecipanti, insieme agli stupratori, a un festino nell’appartamento di proprietà di un sudamericano. Disturbato dai rumori, un ulteriore marocchino, vicino di casa, aveva chiamato le forze dell’ordine. La sua telefonata ha innescato la scoperta e il fermo di Fusi Mantegazza ed Elayar. Il vicino accetta di parlare col Corriere: «Sono in Italia da una vita, mi considero nato qui. Lavoro, e al lavoro tengo parecchio. Questa gente — intendo tutti i perditempo che girano intorno all’abitazione — non mi piace: non rispettano le regole, non rispettano il prossimo. In sincerità: i due li terranno dentro o a breve tornano liberi?».
«Gli hanno rubato la vita»: le scuse di Alice Sebold all’innocente accusato di averla stuprata. Giuseppe Sarcina su Il Corriere della Sera l'1 dicembre 2021. La scrittrice si dice profondamente rammaricata per Anthony Broadwate, che ha passato 16 anni in carcere ingiustamente. La casa editrice blocca la distribuzione di Lucky, romanzo in cui lei aveva raccontato lo stupro. Le lacrime di un innocente. Le scuse e il disagio di una vittima, la scrittrice Alice Sebold: «Gli hanno rubato la vita». Un percorso di sofferenze e di ingiustizie durato 40 anni. Fino al 22 novembre scorso, quando la Corte Suprema dello Stato di New York ha stabilito che non fu Anthony Broadwater a violentare Sebold , l’8 maggio del 1981. Anthony oggi ha 61 anni. Ne ha passati 16 in carcere, dichiarandosi sempre innocente. È uscito nel 1999 e da allora si è battuto per chiedere la revisione del suo processo. In quello stesso anno Alice Sebold, poi diventata celebre per «Amabili resti», pubblicò il suo primo libro di successo. Lo titolò «Lucky», cioè «fortunata», riprendendo il commento dell’agente che raccolse la sua denuncia: «È stata fortunata: avrebbero potuto ucciderla o smembrarla». La storia comincia l’8 maggio del 1981. Alice aveva 18 anni e frequentava l’Università a Syracuse, Stato di New York. Fu aggredita e stuprata in un parco da un afroamericano. Cinque mesi dopo, riferì alle autorità di aver rivisto quell’uomo nei dintorni del campus universitario. Gli inquirenti identificarono il sospetto: era il ventunenne Anthony Broadwater che aveva appena lasciato i marine per stare vicino al padre ammalato di cancro. I poliziotti invitarono la ragazza a riconoscere l’aggressore tra cinque «black man». Alice segnalò un altro, non Anthony. Ma i periti avevano analizzato un campione di peli pubici ritrovati sugli indumenti di Sebold: coincidevano con quelli dell’imputato. Un test che oggi viene considerato inattendibile. L’udienza finale del processo fu drammatica. Il giudice chiese a Sebold di guardarsi intorno e di indicare il suo aggressore. La scrittrice racconta in «Lucky» che puntò il dito verso Anthony senza far riferimento al fatto che fosse un nero. Diversa la prospettiva dell’accusato: «Ero l’unico afroamericano. Capii che sarei stato condannato». Per quarant’anni Broadwater ha provato a scrollarsi di dosso il marchio di stupratore. Si è sposato, si è barcamenato con mille lavoretti. Alla fine ha incrociato due avvocati tenaci, David Hammond e Melissa Swartz,e soprattutto un procuratore distrettuale, William Fitzpatrick, disponibile a riaprire il suo dossier. Ora dice di aver pianto, insieme a sua moglie, leggendo la nota diffusa da Alice Sebold: «Sono profondamente rammaricata per il fatto che gli sia stata rubata la vita che avrebbe potuto avere... Oggi la società americana comincia ad affrontare i problemi sistematici del nostro sistema giudiziario, in cui troppo spesso la giustizia a favore di qualcuno arriva a spese di un altro. Sfortunatamente non c’era neanche un’avvisaglia di questo dibattito, quando io denunciai il mio stupro nel 1981». La casa editrice Scribner ha deciso di bloccare la distribuzione di «Lucky» in tutti i formati, annunciando di aver chiesto all’autrice di «considerarne la revisione».
A dare il via alle indagini, la denuncia di una donna. Medico arrestato per violenza sessuale sulle sue pazienti, denunciato già nel 2009. Redazione su Il Riformista il 20 Dicembre 2021. Un medico di base di Torino è stato arrestato dagli investigatori della Squadra Mobile della Questura del capoluogo piemontese per le accuse di violenza sessuale aggravata su sulle sue pazienti. Il medico risulta indiziato per due episodi distinti, che avrebbe compiuto nel suo ambulatorio. Il professionista, 64 anni, che ha uno studio nel quartiere di Barriera di Milano, è stato denunciato da una donna per le violenze subite lo scorso gennaio durante una visita ambulatoriale. Dall’inchiesta è emerso però che altre cinque pazienti, dal 2013 ad oggi, sempre durante le visite, erano state costrette a subire abusi sessuali ad opera del medico. Il medico già nel 2009 aveva riportato una condanna per condotte simili. “I successivi approfondimenti – spiegano dalla Questura – hanno permesso di accertare che l’uomo già nel 2009 aveva riportato una condanna per condotte del tutto sovrapponibili a quella denunciata dalla vittima, nonché di individuare altre cinque pazienti che, in occasione di prestazioni sanitarie da parte dell’indagato, dal 2013 ad oggi, erano state costrette a subire atti sessuali ad opera del medico. Una di queste vittime, non essendo ancora decorsi i termini di legge, ha presentato, a propria volta, formale querela”.
Il professionista è ora nel carcere “Lo Russo e Cotugno” di Torino.
(ANSA il 30 novembre 2021) - Il ginecologo barese Giovanni Miniello, 68 anni, è stato arrestato con l'accusa di violenza sessuale aggravata nei confronti di due pazienti alle quali avrebbe proposto rapporti sessuali come cura per il papilloma virus. In entrambi i casi avrebbe abusato della sua qualità di medico molestare le due giovani donne. I due fatti per il quali il gip ha disposto gli arresti domiciliari risalgono al settembre 2019 (denunciato dalla presunta vittima due mesi dopo) e a giugno 2021. La vicenda è diventata nota alcune settimane fa dopo un servizio della trasmissione "Le Iene". La richiesta di arresto è stata firmata dal procuratore Roberto Rossi, dall'aggiunto Giuseppe Maralfa, che coordina il pool che si occupa di fasce deboli, e dalle pm Grazia Errede e Larissa Catella. L'ordinanza è stata emessa dal gip del Tribunale di Bari Angelo Salerno. Le indagini dei carabinieri sono partite dalle denunce presentate da alcune pazienti nei cui confronti il medico, "nel corso delle visite e dei controlli sanitari cui si erano sottoposte presso il suo studio privato, aveva posto in essere atti e condotte gravemente lesive della loro sfera e libertà sessuale, peraltro in assenza di avviso alcuno alle pazienti circa talune pratiche 'invasive' cui sarebbero state sottoposte e senza quindi averne accertato il relativo consenso" si legge negli atti. Il gip parla di "condotte del tutto estranee alla attività di indagine medica, poste in essere nell'ambito di un contesto caratterizzato dall'uso di frasi e affermazioni dall'esplicito contenuto sessuale". Per il ginecologo la Procura aveva chiesto la custodia cautelare in carcere ma il giudice ha ritenuto che "pur adeguata e proporzionata rispetto alla gravità dei delitti in questione, non risulta necessaria nel caso di specie, potendosi invece far fronte alle predette esigenze cautelari con la misura custodiale degli arresti domiciliari, altrettanto idonei a limitare la libertà personale dell'indagato, impedendogli contatti con potenziali pazienti, così precludendo nuove occasioni per tornare a delinquere".
(ANSA il 30 novembre 2021) - Le indagini e le dichiarazioni delle pazienti vittime del ginecologo barese Giovanni Miniello, arrestato oggi per violenza sessuale aggravata, "rivelano l'aberrante sistema posto in essere dall'indagato nella relativa qualità e funzione - scrive il gip nell'ordinanza di arresto - , approfittando della fiducia che notoriamente connota il rapporto medico/paziente nonché della posizione di vulnerabilità che in tale rapporto caratterizza il paziente". Nel provvedimento cautelare il giudice parla di "modalità socialmente allarmanti", di "ripugnanza della condotta, idonea a creare nelle vittime una condizione di timore tali da creare nelle stesse una vera e propria soggezione psicologica nei suoi confronti", di "personalità subdola e priva di alcun freno inibitorio". Miniello, "approfittando delle condizioni di 'inferiorità psicologica' delle vittime, ingenerata di proposito prospettando malattie oncologiche anche con esiti mortali, ha dato esecuzione al proprio programma criminoso - scrive il gip - sfruttandone il relativo stato di chiara inferiorità e la relativa vulnerabilità pur di raggiungere i suoi turpi obiettivi di soddisfacimento sessuale". Nei giorni scorsi il medico, dopo il clamore mediatico provocato dal servizio mandato in onda da "Le Iene", ha chiesto la cancellazione dall'Albo professionale. Secondo il gip questo "non riveste alcun rilievo al fine di escludere l'attualità dell'elevato rischio di reiterazione", perché "la professione medica ha rappresentato solo una mera occasione consentendo il facile reclutamento di vittime da utilizzare per il soddisfacimento di biechi appetiti sessuali".
(ANSA il 30 novembre 2021) - Sono quattro le pazienti presunte vittime del ginecologo barese Giovanni Miniello, arrestato oggi per violenza sessuale aggravata. Alle quattro donne il medico avrebbe proposto di "sottoporsi alla terapia diretta degli anticorpi" o alla "procedura di bonifica" per curare il papilloma virus, cioè di avere rapporti sessuali con lui in quanto vaccinato. Al rifiuto delle donne, Miniello le avrebbe sottoposte a visite senologiche che nulla avevano a che fare con quelle ginecologiche, baciandole su collo e labbra. Solo per gli episodi denunciati da due delle donne è stata disposta la misura cautelare, mentre per gli altri due le querele sono state depositate oltre i termini di legge e per questo ritenute improcedibili. Non tutte, infatti, hanno denunciato subito. Una delle quattro donne ha denunciato a novembre 2019 episodi di 9 mesi prima e un'altra, una ex studentessa di Medicina, ha trovato il coraggio di raccontare la sua storia, risalente all'agosto 2019, solo dopo il clamore mediatico per il servizio de "Le Iene", alcuni giorni fa. Inoltre, secondo il giudice, la proposta di un rapporto sessuale (rifiutata da tutte le donne) non è contestabile come reato perché "il livello culturale e sociale delle persone offese ha consentito loro di sottrarsi agevolmente alla perversa strategia dell'indagato".
Gabriella Mazzeo per fanpage.it il 6 dicembre 2021. I racconti di due ginecologi baresi sono finiti nell'ordinanza di custodia cautelare ai domiciliari per Giovanni Miniello, il medico finito al centro di un'inchiesta per presunti abusi su alcune pazienti alle quali avrebbe proposto rapporti sessuali come "cura" per il papilloma virus. "Conosco bene Miniello, perché su di lui ho già ricevuto lamentele di altri pazienti" hanno detto i due alle pazienti che si erano rivolte a loro dopo le violenze. Una delle due vittime è la prima giovane che ha sporto denuncia, mentre l'altra è una studentessa della Facoltà di Medicina che pochi giorni fa ha rilasciato una lunga testimonianza ai carabinieri sull'accaduto. Alle forze dell'ordine ha detto di aver parlato delle molestie già con un altro medico e di aver avuto la conferma che altre persone si erano lamentate della sua condotta. Nei suoi confronti non era mai stata presentata alcuna segnalazione all'Ordine dei medici, come ha confermato il presidente Filippo Anelli, eppure la sua condotta era cosa nota nel Barese. "Quello che sta emergendo dall'inchiesta non era immaginabile e impressiona anche il fatto che la vicenda abbia coinvolto alcune specializzande" ha spiegato Anelli. In realtà nell'ambiente medico erano state molte a parlare dell'approccio del medico, anche se fino al novembre del 2019 nessuna aveva mai denunciato all'autorità giudiziaria. Ad aver dato il via all'inchiesta una 36enne e una 26enne che sono ora assistite dallo stesso avvocato. Le due amiche hanno indicato a loro volta i nomi di altre persone che avevano subito avances simili. Altre querele sono state presentate alle autorità soltanto dopo la messa in onda del servizio televisivo delle Iene. Il 30 novembre scorso sono stati disposti per il ginecologo gli arresti domiciliari. Nonostante il fermo, le forze dell'ordine continuano a raccogliere segnalazioni. La Procura aveva ritenuto utili anche quelle presentate sei mesi dopo i presunti abusi, evidenziando che alcune ragazze avevano capito la gravità dei fatti solo dopo essersi confrontate con altre amiche. Il giudice però non ha condiviso tale impostazione, decidendo di valutare i casi più recenti. I pm hanno ritenuto che le vittime fossero in una condizione di inferiorità psichica dovuta alla paura del rischio tumorale e alla fama del ginecologo. Secondo il gip, invece, nonostante il riconosciuto stato di soggezione, appariva "evidente l'assenza di una situazione di imminente pericolo per l'incolumità". Quando le vittime si sono rivolte però ad altri professionisti, hanno visto le loro lamentele interrotte sul nascere. "Non dirmi niente di Miniello, so tutto, non sei la prima", queste le frasi che si sono sentite rivolgere. Nonostante questo, però, nessuno ha inviato una segnalazione all'Ordine dei medici.
IL GINECOLOGO MINIELLO “DOCTOR MAGIC FLUTE” CHE OFFRIVA SESSO PER CURARE LE PAZIENTI FINISCE SULLA STAMPA INTERNAZIONALE. Il Corriere del Giorno il 26 Novembre 2021. La polizia giudiziaria delegata dalla Procura di Bari che ha aperto un fascicolo su cui sta lavorando il pool coordinato dal procuratore aggiunto Giuseppe Maralfa, con la supervisione del procuratore Roberto Rossi ha già ascoltato alcune delle presunte vittime, mentre nel capoluogo pugliese si moltiplicano le attività a loro sostegno . Diversi sono gli episodi al vaglio degli inquirenti, che valutano anche i servizi televisivi sulla vicenda. La notizia dei presunti abusi sessuali perpetrati a Bari dal ginecologo barese Giovanni Miniello 68enne in pensione, il cui nome e identità sono stati resi noti dal nostro giornale per primo, a seguito di un servizio della trasmissione televisiva “Le Iene”, venendo seguiti a ruota subito dopo dalle altre testate giornalistiche, ha fatto letteralmente il giro del mondo. La stampa anglosassone lo chiama “Dr. Magic Flute”, cioè “Dottor flauto magico”. Il medico finito al centro di uno scandalo adesso è indagato per violenza sessuale per aver promesso di ‘guarire’ le pazienti (molte delle quali non avevano nessun problema di salute) attraverso rapporti sessuali con lui che si definiva “un donatore” e dopo il primo servizio televisivo sono arrivate una valanga di testimonianze. La squallida vicenda è stata amplificata dai siti online dei più importanti quotidiani internazionali. Dal The Times, “storico quotidiano londinese, considerato uno dei più autorevoli quotidiani britannici, per arrivare al più popolare Daily Mail, al The Mirror e al The Sun giornale esperto di scandali che lo ha appellato “Dirty doc”, andando ancora più sul pesante attribuendogli l’epiteto “perv” (tradotto dall’inglese: pervertito). Il comportamento del Miniello partito da Bari ha fatto il giro del mondo ripresa dai quotidiani El Mundo in Spagna e da La Nacion in Argentina, arrivando in Perù sul sito di notizie Perù21 per poi finire l’altra parte del continente, pubblicata dal portale mediorientale Albawaba che ha quartier generale in Giordania ed un ufficio a Dubai e su Morocco News in Marocco. L’inchieste delle Iene a Bari ha avuto eco anche in America sul New York Post ed in Russia su Sputnik, agenzia di notizie con sede a Mosca. La polizia giudiziaria delegata dalla Procura di Bari che ha aperto un fascicolo su cui sta lavorando il pool coordinato dal procuratore aggiunto Giuseppe Maralfa, con la supervisione del procuratore Roberto Rossi ha già ascoltato alcune delle presunte vittime, mentre nel capoluogo pugliese si moltiplicano le attività a loro sostegno . Diversi sono gli episodi al vaglio degli inquirenti, che valutano anche i servizi televisivi sulla vicenda. Lo stesso ginecologo Miniello temendo di poter essere arrestato, ha presentato un’istanza di cancellazione dall’Ordine dei medici, considerato che non avendo la possibilità di esercitare la professione, teoricamente, verrebbe meno la capacità di reiterare eventuali reati. Ma l’Ordine ha deciso di procedere comunque con un provvedimento pressochè certo di imminente radiazione. Il clamore generatosi sulla vicenda ha mandato in confusione le centinaia di persone che avevano avuto a che fare con Miniello, un professionista sinora stimato che fino al 2016 aveva lavorato al Policlinico di Bari ed andato in pensione ha continuato e sviluppato una lucrosa attività privata nel suo studio nella centralissima via Sparano la via principale del centro cittadino di Bari dove si sono recate in visita donne di ogni età, persino alcune giovanissime accompagnate dalle madri. E sui social impazzano i commenti critici sulle donne baresi che hanno sempre taciuto e su quelle con cui era entrato in intimità sessuale.
Estratto dell'articolo di Isabella Maselli per "la Repubblica" l'1 dicembre 2021. "Posizionata sul lettino ginecologico, inizialmente con fare lascivo ha accarezzato la coscia sinistra sino a scendere all'altezza del polpaccio facendomi notare che la pelle era secca e che probabilmente avevo ritenzione idrica. Poco prima aveva ripetuto lo stesso gesto accarezzando la mia faccia. Sono rimasta perplessa da queste considerazioni e questi contatti e dal comportamento del medico, ma non potevo fare altro che attendere l'esito della visita". Questo è soltanto l'inizio della visita ginecologica a una giovane donna barese - e queste sono le sue parole - da parte di Giovanni Miniello, il medico 68enne finito agli arresti domiciliari per violenza sessuale aggravata nei confronti di due pazienti, anche se le vittime sono almeno otto e i racconti di quattro di loro sono contenuti nell'ordinanza d'arresto. Per due, però, il giudice ha dovuto dichiarare i reati improcedibili perché le querele sono state fatte troppo tempo dopo i fatti. Il racconto della donna prosegue con i dettagli più intimi e violenti della visita, "stesa sul lettino a subire ispezioni manuali" e costretta a "cambiare posizione", col medico che indicava con linguaggio volgare come mettersi, fino a procurarle dolore. Il ginecologo, ex medico ospedaliero in pensione che continuava a esercitare nel suo studio in centro a Bari, avrebbe proposto a diverse pazienti rapporti sessuali come cura per il papilloma virus e come prevenzione dal tumore dell'utero, attraverso "terapie dirette degli anticorpi" o "procedure di bonifica" facendo sesso con lui in quanto vaccinato. E al loro rifiuto le avrebbe sottoposte a visite senologiche che nulla avevano a che fare con quelle ginecologiche, toccandole, accarezzandole e baciandole su collo e labbra. I due fatti per il quali il gip ha disposto gli arresti domiciliari risalgono al settembre 2019 (denunciato dalla presunta vittima due mesi dopo) e a giugno 2021. L'ordinanza di 66 pagine è quasi tutta un susseguirsi di descrizioni e termini non ripetibili, attraverso i racconti delle donne, per il momento quattro, le cui accuse al medico sono state accertate dai carabinieri della sezione di polizia giudiziaria della Procura. "L'aveva fatta stendere sul lettino chiamandola 'stupida bambina' e le aveva prospettato un modo per guarire dal papilloma, ovvero avere rapporti sessuali con lui che aveva gli anticorpi, dicendole che ne aveva guarite tante così", scrive il gip Angelo Salerno nell'ordinanza, sintetizzando il racconto di un'altra vittima, una ex studentessa di medicina che ha trovato il coraggio di denunciare la sua storia, risalente all'estate 2019, dopo aver visto il servizio televisivo delle Iene qualche giorno fa. La richiesta di arresto è firmata dal procuratore Roberto Rossi, dall'aggiunto Giuseppe Maralfa, che coordina il pool delle fasce deboli, e dalle pm Grazia Errede e Larissa Catella.
Sesso per curare le pazienti, due colleghi del ginecologo ai pm: "Si sapeva, lamentele anche da altre donne". Chiara Spagnolo su La Repubblica il 5 dicembre 2021. Le dichiarazioni di due medici baresi che avevano risposto a due donne dopo aver subito gli abusi di Giovanni Miniello. Frasi ora negli atti dell'inchiesta sul medico accusato di violenza sessuale e agli arresti domiciliari. "Conosco bene Giovanni Miniello, perché su di lui ho già ricevuto lamentele da altre pazienti": due ginecologi baresi avevano risposto così a due donne che si erano rivolte a loro dopo aver subito abusi sessuali dal medico arrestato il 30 novembre. I racconti di entrambi sono finiti nell'ordinanza di custodia cautelare ai domiciliari. Una è la prima giovane che ha denunciato Miniello, nel novembre 2019, l'altra una studentessa di Medicina che pochi giorni fa ha rilasciato una lunga testimonianza ai carabinieri, nella quale ha anche evidenziato di aver parlato delle visite finite in molestie con un altro medico e di avere avuto la conferma che pure altre persone si erano lamentate di quelle dubbie modalità diagnostiche. Anche sui social, del resto, dopo che la vicenda è esplosa tramite il servizio delle Iene, si sono susseguiti i commenti di chi diceva che le visite un po' troppo approfondite di quel ginecologo erano cosa nota. Eppure nei suoi confronti non era mai stata presentata alcuna segnalazione né denuncia all'Ordine dei medici, come ha confermato il presidente Filippo Anelli. "Quello che sta emergendo dall'inchiesta non era immaginabile - ha detto Anelli - impressiona anche il fatto che sarebbero state coinvolte le specializzande e che in quell'ambiente non si sia saputo nulla". Molte donne fra di loro avevano parlato dell'approccio sessuale del medico, in realtà, anche se fino all'autunno del 2019 nessuna aveva presentato denuncia all'autorità giudiziaria. Le prime due a parlare sono state una 36enne e una 26enne, amiche e assistite dallo stesso avvocato, che avevano a loro volta indicato i nomi di altre persone che avevano subito le stesse avances. Le ulteriori querele sono state depositate soltanto dopo il servizio delle Iene. E in seguito agli arresti domiciliari disposti il 30 novembre, continuano ad arrivarne ogni giorno. Il gip Angelo Salerno, però, nella sua ordinanza ha messo una serie di punti fermi, che potrebbero inficiare la presentazione di denunce su episodi molto datati. La Procura aveva ritenuto utili anche quelle presentate dopo sei mesi dai presunti abusi, evidenziando che alcune ragazze avevano capito la gravità dei fatti di cui erano state protagoniste solo dopo che si erano confrontate con le amiche. Il giudice, invece, non ha condiviso tale impostazione. E lo stesso ha fatto in relazione alla questione dell'inferiorità psichica delle pazienti, determinata dalla fama di Miniello e dai gravi danni che prospettava se non avessero accettato la terapia di "bonifica" dal papilloma virus. I pm hanno ritenuto che "la prospettazione del rischio tumorale ha determinato una condizione di inferiorità psichica", il gip invece ha riconosciuto "lo stato di soggezione" ma ha evidenziato che "il livello culturale e sociale delle persone offese era tale da far capire che non esisteva una situazione di imminente pericolo per la propria incolumità". Inoltre le vittime "avrebbero potuto agevolmente individuare altri percorsi diagnostici e terapeutici, ricorrendo a professionisti diversi". Come quelli a cui le donne si sono rivolte dopo aver realizzato la gravità delle condotte del ginecologo e dai quali si sono sentite dire: "Non dirmi niente di Miniello, so tutto, non sei la prima".
Susanna Picone per fanpage.it il 15 dicembre 2021. Giovanni Miniello deve andare in carcere. È questa la richiesta della Procura di Bari per il ginecologo barese arrestato il 30 novembre scorso per violenza sessuale aggravata nei confronti di due pazienti. Il procuratore Roberto Rossi con l'aggiunto Giuseppe Maralfa e le sostitute Larissa Catella e Grazia Errede hanno impugnato l'ordinanza dei domiciliari, contestando la misura cautelare applicata dal gip e chiedendo quella più restrittiva del carcere, la insussistenza delle ipotesi di tentata violenza sessuale e la improcedibilità di alcuni reati per querela tardiva di altre due presunte vittime. La Procura parla di "aberranti modalità della condotta" del ginecologo. “È evidente – scrivono i pm – come ci si trovi di fronte a un criminale seriale che ha dato ampia prova negli anni di non possedere alcun freno inibitorio e, conseguentemente, il rischio di reiterazione appare elevato oltre misura, sicché palesemente erronea è la scelta di concessione degli arresti domiciliari, laddove ci si trova in presenza di un soggetto che nel corso degli anni in più circostanze ha tenuto in spregio assoluto leggi, etica professionale e morale”. Miniello è accusato di aver spinto alcune pazienti ad avere rapporti sessuali con lui come “cura” per il papillomavirus e per prevenire il tumore dell'utero. Non solo: avrebbe compiuto abusi sulle pazienti durante le visite palpeggiandole nelle parti intime. Secondo i pm "la prospettazione della possibilità di guarigione dalla patologia attraverso la terapia consistente nella diretta trasmissione di anticorpi tramite rapporti sessuali ripetuti con lo stesso indagato, ove si consideri il peso e la tipologia delle minacce prospettate, ovvero l'evoluzione della patologia in un tumore al collo dell’utero, sia lo stato di inferiorità psichica in cui versavano le vittime al momento del fatto, aveva una efficacia intimidatoria idonea a configurare l'elemento costitutivo della minaccia”. Il medico, secondo la Procura, avrebbe tenuto nei confronti delle vittime un comportamento attivo di “persuasione sottile e subdola, finalizzato a spingere, istigare o convincere le vittime a subire atti sessuali che diversamente le stesse non avrebbero compiuto e che, per fortuna, non hanno compiuto per cause del tutto indipendenti dalla volontà della persona sottoposta alle indagini". Con riferimento alla improcedibilità per querela tardiva i pm hanno sottolineato che le pazienti hanno "avuto contezza certa di avere subito una violenza sessuale e non una visita ginecologica" solo molto tempo dopo i fatti.
Elisabetta Reguitti per articolo21.org il 22 novembre 2021. Indossare uno slip rosso che spunta mentre cavalca un toro meccanico in un locale pubblico, aver partecipato come attrice a un cortometraggio “intriso di scene di sesso e violenza che la donna aveva dimostrato di reggere senza problemi” e ancora che il comportamento e le esperienze prima e dopo i fatti dimostrassero che nei confronti del sesso la vittima avesse un atteggiamento ambivalente; comportamenti “disinvolti e provocatori”. Tutto ciò – e molto altro – ha portato letteralmente a un capovolgimento da sentenza di condanna a 4 anni e 6 mesi per violenza sessuale di gruppo aggravata dall’inferiorità fisica, in assoluzione piena. Per essere più chiari: gli atteggiamenti o le scelte sessuali di una donna antecedenti a uno stupro rendono quella stessa donna non attendibile nella sua deposizione su ciò che denuncia di aver subito. Questa è la sintesi di una sentenza emessa da tre giudici italiani di Corte d’appello di Firenze nel giudicare uno stupro di gruppo: testo nel quale venivano riprodotti stereotipi sessisti e veicolato “pregiudizi sul ruolo della donna che esistono nella società italiana e che sono suscettibili di costituire un ostacolo a una protezione effettiva dei diritti delle vittime di violenza di genere”.
TUTTO SCRITTO NEL PRONUNCIAMENTO DI CONDANNA nei confronti delle Autorità italiane emesso dopo 13 anni dalla Corte Edu (Corte europea dei diritti dell’uomo) in un giudizio passato in sordina ma che chiunque può andarsi a leggere: ricorso nr 5671/16 – Causa J.L contro l’Italia che dovrà, per l’appunto, risarcire una donna (che all’epoca dei fatti aveva 22 anni) che si è rivolta in sede europea. E’ una sentenza passata sotto silenzio nonostante la sua grande rilevanza e che segna una linea di demarcazione: non solo da oggi in poi le vittime possono appellarsi anche a questo giudizio; anche il legislatore potrebbe coglierla come momento di riflessione per una specifica legge. Ma andiamo per ordine e soprattutto evidenziamo l’aspetto che, secondo Maria Letizia Mannella Procuratore aggiunto e capo del V dipartimento – tutela della famiglia, dei minori e dei soggetti deboli -, della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano, è fondamentale rispetto alle “affermazioni colpevolizzanti e moralizzatrici che troppo spesso si sentono nelle aule di giustizia. Situazioni in cui troppe volte alla persona offesa vengono rivolte domande come se fosse l’indagata”. Mannella sottolinea il peso della “vittimizzazione secondaria” in cui la donna che ha subito uno stupro dovrebbe combaciare con quella che nell’immaginario collettivo dovrebbe essere la figura della “vittima ideale”; magari vestita in modo ineccepibile, non appariscente, senza trucco che viene aggredita e violentata alle cinque del pomeriggio da uno sconosciuto, che soprattutto denuncia subito e che si comporta da vittima. Molto spesso non è così, perché chi subisce violenza nella maggior parte dei casi cerca di fare finta che non sia accaduto nulla. Non a caso il legislatore nel Codice Rosso ha allungato a un anno il tempo nel quale una vittima può presentare querela. Nello stupro di gruppo preso in esame dalla Corte Edu, viene sottolineato come la Corte d’appello fiorentina abbia valutato la donna sulla base di talune fantasie maschili in cui la donna è un oggetto privo di volontà di cui disporre senza limiti. Negli atti del processo figurano le deposizioni di testimoni che raccontano di aver visto la giovane donna che non sembrava in grado di opporre la minima resistenza, sotto l’effetto dell’alcool, non più in grado di camminare e condotta fuori dal locale da due uomini che la palpeggiavano nelle parti intime che rispondendo ai testimoni preoccupati per ciò a cui stavano assistendo avevano risposto: “Non è colpa nostra se è porca”.
NEL MERITO DELLA SENTENZA EDU, LA PM MANNELLA sottolinea come sia stata data grande rilevanza al fatto che “i giudici italiani si siano espressi e abbiano dato delle valutazioni sulla base di stereotipi perché hanno puntato l’accento sulle scelte di vita precedenti della persona che ha denunciato e le hanno tenute in considerazione per valutare la sua attendibilità rispetto a ciò che denunciava essere accaduto. Che aver adottato questi comportamenti, non la facesse ritenere pienamente attendibile, in particolare hanno poi usato come elemento di inattendibilità il tipo di biancheria intima e il fatto che lei si fosse messa a ballare sul toro meccanico. La donna è stata quindi valutata sulla base di tutto ciò. Bene ha fatto quindi la Corte europea – rincara Mannella – a ritenere la violazione dell’articolo 8 della Convenzione cioè del diritto del rispetto della vita privata e familiare della vittima. Questa sentenza è importantissima – assicura – perché è la prima volta che una Corte sovranazionale europea condanna uno Stato per aver espresso pregiudizi sessisti”. Un pronunciamento da parte delle Autorità europee “di condanna di atteggiamenti che ritroviamo spessissimo nelle aule giudiziarie” prosegue ricordando poi come tutto ciò che abbiamo raccontato fino a ora ha deposto a favore di un totale capovolgimento del processo e nell’assoluzione dei sei uomini – più il conoscente della ragazza – abusata peraltro in una situazione di inferiorità fisica dovuto all’uso di bevande alcoliche.
Da liberoquotidiano.it il 10 ottobre 2021. La California è il primo Stato americano a rendere illegale la pratica dello "stealthing", che consiste nello sfilarsi il preservativo durante un rapporto sessuale senza il consenso del partner. Il nuovo provvedimento, diventato legge dopo la firma del governatore Gavin Newsom, aggiunge l'atto alla lista delle molestie sessuali, permettendo alle vittime di perseguire chi lo compie per danni civili. È una vittoria della deputata democratica Cristina Garcia, che dal 2017 è impegnata sull'argomento. Garcia, infatti, aveva cercato di criminalizzare lo "stealthing" dopo che uno studio di Yale aveva mostrato un incremento della pratica sia contro donne che omosessuali. Allora si riteneva che potesse già essere considerata parte degli abusi sessuali, nonostante fosse poco perseguita, vista la difficoltà di provare la volontarietà del gesto.
Sentenza storica: in California il sesso non protetto con l’inganno ora è violenza. La battaglia di Alexandra Brodsky, un’ex allieva di Yale contro lo stealthing, dopo uno studio condotto a partire dai racconti delle vittime. «Consapevolezza cresciuta, ora gli altri Stati seguano l’esempio». Manuela Cavalieri e Donatella Mulvoni su L'Espresso l'11 ottobre 2021. «Non so con certezza se si tratti di stupro, però…». Sono inchiodate allo stesso dubbio molte delle testimonianze raccolte da Alexandra Brodsky, quando era una allieva della prestigiosa facoltà di giurisprudenza di Yale. Nel 2017 queste storie diventarono la colonna portante di uno studio dal titolo coraggioso: “Rape-adjacent: imagining legal responses to nonconsensual condom removal”. Un saggio sulle possibili risposte legali alla rimozione non consensuale del preservativo durante il rapporto, un’azione a confine con lo stupro vero e proprio; una puntuale analisi giuridica di quello che comunemente si definisce “stealthing”, corredata da decine di racconti di giovani, ragazzi e ragazze, traumatizzati dall’esperienza. È grazie all’intuizione di Brodsky se la California è diventato il primo stato dell’Unione a considerare questa pratica illegale e sanzionabile in sede civile. Lo storico disegno di legge è stato approvato all’unanimità da Camera e Senato statali ed è stato firmato dal governatore democratico Gavin Newsom. Altri Stati potrebbero ora seguirne l’esempio. A promuovere il provvedimento la deputata locale Cristina Garcia, che qualche anno fa si ritrovò tra le mani l’articolo di una sconosciuta studentessa di legge, pubblicato dalla rivista scientifica Columbia Journal of Gender & Law e diventato poi virale, tanto da scatenare un acceso dibattito nazionale. «È una grande emozione; quando ho iniziato a lavorare alla mia ricerca, non avrei mai immaginato che potesse camminare sulle sue gambe», confessa Alexandra Brodsky. «Di certo c’è stata una crescente consapevolezza dell’opinione pubblica negli ultimi anni e non solo grazie al mio studio. È magnifico vedere tutto ciò concretizzarsi in un reale cambiamento legale e spero che altri Stati facciano lo stesso. Ovviamente è difficile da prevedere, non sono un’esperta di legislazione, ma c’è dibattito online, la gente si chiede: se la California lo sta facendo, perché non New York o il Texas? Mi auguro che i legislatori americani stiano ascoltando i loro elettori». Secondo le argomentazioni dell’esperta, lo stealthing è considerato un illecito in quanto innanzitutto viola il consenso, annulla tutte le difese e scatena i rischi legati al sesso non protetto. Non solo infezioni e malattie sessualmente trasmissibili, ma anche gravidanze non pianificate. Sostanzialmente lede la dignità e l’autonomia degli individui. Le tesi di Brodsky prendono le mosse da un pesante vuoto giuridico: la legge al momento non definisce né riconosce il danno. Bisogna volare oltre l’Atlantico (in Germania, Svizzera e Regno Unito) perché la pratica sia classificata come una forma di violenza sessuale. L’attivismo di Brodsky risale ai tempi dell’università, quando fondò con dei colleghi il movimento studentesco chiamato Know your IX (dalla legge federale sui diritti civili del 1972 che proibisce la discriminazione negli istituti scolastici basata sul sesso). Oggi, a 31 anni, lavora come avvocata per i diritti civili con l’organizzazione Public Justice. «Mi occupo soprattutto di studenti. Molti dei miei clienti sono vittime di molestie e discriminazioni sessuali o razziali nelle scuole, sia maschi che femmine». Il suo nuovo libro, “Sexual Justice”, fresco di stampa, analizza i modi in cui le scuole, le università, i luoghi di lavoro e tutte le altre istituzioni dovrebbero affrontare la «giustizia sessuale», ovvero come gestire le accuse a sfondo sessuale, come migliorare la valutazione delle denunce di molestie tutelando gli accusatori come pure gli accusati. «Negli anni universitari lavoravo con gruppi di studio focalizzati sul tema della violenza sessuale. In quel contesto ho ascoltato molte storie di vittime; tante non avevano mai detto a nessuno quello che gli era successo, non si fidavano degli amici o della famiglia, soprattutto quando dall’altra parte c’era una figura pubblica. Ho avuto a che fare con una vasta gamma di aggressioni sessuali. Molte di esse assumono forme che la gente non riconosce immediatamente. La rimozione non consensuale del preservativo ne è un esempio», spiega Alexandra Brodsky. La ricerca del 2017 prende le mosse proprio dai racconti raccolti, soprattutto di ragazze. «Credo che la sua forza sia il fatto che descrive un problema reale, che molta gente ha sperimentato. Tante lo avevano subito, ma non sapevano dargli un nome, non sapevano che fosse successo ad altre persone. Credo che ci sia qualcosa di potente nel dare un nome a forme diverse di violenza sessuale. L’impatto è stato significativo anche a livello personale, non solo per la possibilità effettiva di cambiare la legge». Le testimonianze raccolte da Brodsky sono molto forti. Tante ragazze lamentavano il fatto di aver acconsentito ad un rapporto a condizione che fosse protetto; molte equiparavano la rimozione non consensuale del condom a una forma di stupro. «Il danno è molto simile, in quanto alla fine è una negazione dell’autonomia, del diritto di decidere cosa fare con il proprio corpo. Questo tipo di tradimento della fiducia può essere profondamente doloroso, dannoso, indipendentemente dalla forma precisa che prende». A motivarla, a suo tempo, era stata anche la scoperta di forum in cui i ragazzi si davano consigli su come sfilare il preservativo di nascosto, addirittura c’era chi spavaldamente si vantava della propria maestria nell’operazione. «Alcuni di questi gruppi online negli ultimi anni si sono calmati, sapevano che c’era chi li osservava, probabilmente si sono spostati in pagine private. La mia speranza è che una discussione pubblica non solo su cosa succede ma sul perché faccia male, promuoverà il rispetto tra i partner, servirà come una forma di prevenzione». Ora nel Golden State lo stealthing sarà un illecito civile. Quattro anni fa la deputata Garcia aveva provato a far passare un disegno di legge che lo considerasse reato, prevedendo dunque conseguenze penali, ma senza successo. In realtà la stessa Brodsky è una forte sostenitrice del procedimento civile. «Per alcune persone può sembrare strano parlare di risarcimento finanziario per la violenza sessuale; la verità è che alcune vittime potrebbero non voler vedere la persona in prigione, ma vorrebbero essere in grado di permettersi una terapia psicologica o vorrebbero poter prendere una pausa dal lavoro. Gli Stati Uniti non hanno una rete di sicurezza sociale, un risarcimento può davvero fare la differenza». Una cosa è certa, qualcosa si sta muovendo. Iniziando dalla California. «A volte, quando parliamo di movimenti sociali, ne discutiamo come se fossero frammenti, pezzettini. Cinque anni di Title IX, un paio di Me Too: cerchiamo sempre di capire quando un movimento inizi e quando finisca. La verità è che c’è un lungo movimento, sia negli Stati Uniti che a livello internazionale, di femministe che lavorano per porre fine alla violenza sessuale; prende forme e tempi diversi ma è collegato». Alexandra Brodsky crede che siano ora le nuove leve a fare la differenza. «Vedo molta solidarietà tra la mia generazione, mi riferisco ai Millennial e alla Generazione Z, alcuni di loro sono ancora al college. Sono molto più consapevoli. Non posso che essere ottimista sul futuro».
Dagotraduzione dal Daily Mail il 24 ottobre 2021. Sdraiata semiparalizzata su una scala: così è apparsa una studentessa universitaria che è stata inconsapevolmente drogata durante una serata in una discoteca di Bristol. Le immagini mostrano Ilana El-baz, 20 anni, studentessa universitaria, che cerca di salire le scale senza riuscirci, gli occhi roteanti, e finisce con l’infilare la testa nella ringhiera delle scale. La ragazza ha dato il permesso alla BBC di mostrare la clip per evidenziare i pericoli dell’essere drogati con un drink o con un’iniezione: in Inghilterra infatti sono stati numerosi casi di ragazze punte con aghi durante serate fuori e poi svenute. La studentessa crede di essere stata drogata da un ragazzo che le si è avvicinato e le ha chiesto di ballare. «Nel momento in cui gli ho detto che ero con il mio ragazzo, se n’è andato. Ma dopo un’ora sono tornata a casa ed ero completamente paralizzata» ha spiegato. El-baz, che sta studiando management per l'innovazione, ha detto di essere stata «fortunata a essere con i miei amici». El-baz ha parlato mentre le studentesse di tutto il paese hanno dichiarato che da oggi boicotteranno i club per protestare contro il numero di ragazze che vengono punte con aghi drogati durante le serate fuori. La campagna Girls' Night In inizierà stasera a Southampton e si diffonderà in 43 città universitarie nei prossimi quindici giorni. È una risposta a un aumento delle segnalazioni di bevande "spiked" e una nuova tendenza allarmante di ragazze che vengono iniettate inconsapevolmente con droghe. Le vittime si sono ammalate violentemente mentre erano fuori e si sono rese conto di essere state iniettate solo quando hanno trovato segni di "puntura di spillo" sui loro corpi. Coloro che prendono parte al boicottaggio rimarranno a casa in una notte designata per aumentare la consapevolezza degli attacchi e incoraggiare i luoghi a migliorare la sicurezza. Ieri sera, i capi dell'ospitalità hanno risposto promettendo che i club avrebbero «raddoppiato gli sforzi» per proteggere le donne. Ieri, la polizia del Nottinghamshire ha detto che stava indagando su 15 segnalazioni di presunti picchi di iniezioni fatte questo mese. E la polizia del West Midlands ha affermato di aver ricevuto un rapporto in cui le circostanze «sembrano corrispondere alla descrizione di qualcuno che è stato drogato per iniezione». Diverse altre donne affermano di essere state picchiate a Dundee, Edimburgo, Glasgow e Liverpool. I farmaci, che si ritiene siano sedativi, rendono le vittime più vulnerabili alle aggressioni e la polizia ha ammesso all'inizio di questa settimana che probabilmente c’è un «motivo sessuale» negli attacchi.
Droga dello stupro a domicilio per vip. Tiziana Paolocci il 22 Settembre 2021 su Il Giornale. L'Arma ha arrestato 6 pusher: tra i clienti un prof universitario e un ballerino. Un medico noto nel panorama della sanità romana, un ballerino che lavorava per Sky e per la Rai, un insegnante di arti marziali della guardia di finanza. Erano vip, personaggi del mondo dello spettacolo e professionisti i clienti che a Roma aspettavano la droga a domicilio, consegnata da corrieri che si muovevano in monopattino per eludere le forze dell'ordine. Non si trattava di stupefacenti qualsiasi, ma di droghe sintetiche, capaci di scatenare euforia o aggressività, dallo Shaboo alla Yaba, nota come «droga di Hitler» insieme a potenti metamfetamine, cocaina e GHB ovvero la «droga dello stupro», capace di agire neutralizzando i freni inibitori. Un vizietto che nelle scorse settimane aveva fatto finire nei guai un prete di Prato, che la comprava con i soldi delle offerte per i festini a casa del compagno e Claudia Rivelli, sorella di Ornella Muti, arrestata perché deteneva un litro di GHB del valore di 700 euro mila, che giurava di aver acquistato per lucidare l'argenteria. Ancora una volta la GHB è al centro delle carte dell'ultima inchiesta della procura di Roma, coordinata dall'aggiunto Giuseppe Conzo e condotta dai carabinieri del Nucleo operativo della Compagnia Roma Centro, coordinati dal maggiore Fabio Valletta, che hanno arrestato 4 uomini e 2 donne, di origine italiana, cinese e bengalese, chiamati a rispondere di detenzione e spaccio di stupefacenti. L'ordinanza tratteggia l'attività illecita dei pusher, capaci di consegnare lo stupefacente anche durante il lockdown senza concedere sconti sulla merce, presentandosi in lussuosi appartamenti tra piazza Venezia e piazza Navona. Tra questi una donna, fermata dai militari a due passi da piazza Madama, con 400 millilitri di GHB in auto. Gli studenti, invece, e gli acquirenti meno facoltosi per fare rifornimento dovevano recarsi personalmente dagli spacciatori. «Gilda», «Mafalda», «Acqua», «Christal» o «Blue meth», nome preso in prestito dalla serie televisiva «Breaking bad», erano i nomi in codice che i clienti usavano per ordinare la droga. «Coca cola», «riso in bianco» erano quelli che identificavano la cocaina, mentre «pizza cotta» o «cotta» il crack. Nelle carte dell'inchiesta compaiono una quindicina di acquirenti, tra i quali un professore ordinario di Medicina alla Sapienza, con casa in centro, che ordinava GHB e cocaina, un ballerino e scenografo trentenne volto noto in tv e un istruttore di arti marziali della Gdf. I badanti, invece, compravano metanfetamina per essere più attivi. Al vertice della catena di distribuzione delle droghe sintetiche c'era una grossista cinese, Lin Jinyu, 31 anni, che dalla Toscana organizzava il trasporto fino a Roma tramite corrieri cinesi, che si spostavano in treno o auto a noleggio. È stato un controllo su Jinyu nell'ottobre 2020 a permettere ai carabinieri di scoprire la sua fiorente attività. Fermata alla stazione Termini con 200 grammi di Shaboo, ha cercato di convincerli che si trattasse di sale usato per la sua religione. A ruota nei guai sono finiti Danny Beccaria, romano, e Hossan Lakir, del Bangladesh. Ai domiciliari Mirko Chilelli, compagno di Beccaria, e Clarissa Capone. Obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria, infine, per Samin Uddin, anche lui del Bangladesh. Tiziana Paolocci
Estratto dell'articolo di Luca Monaco per “la Repubblica” il 13 ottobre 2021. «Io mi fidavo, lui mi metteva sempre più gocce, per addormentarmi e finirsi da solo quel maledetto piattino di crack. Con il Ghb sono arrivato alla morte, sto cercando con tanto dolore di riprendermi la vita». Finalmente al sicuro in una sala della fondazione Villa Maraini, l'agenzia nazionale di Croce Rossa per le dipendenze fondata a Roma da Massimo Barra nel 1976, Giancarlo riavvolge il nastro dei suoi ultimi nove anni di vita. L'imprenditore, 46 anni, rivive i traumi, le botte, la sofferenza provocata dalle giornate intere, «anche una settimana», spese chiuso in casa in interminabili sessioni di chemsex. Sesso e droga. Un binomio che diventa inscindibile, fino a indurre l'individuo a non concepire più la sessualità senza l'uso delle sostanze stupefacenti. «In un mese incontriamo mille persone diverse - spiega Barra - ci siamo accorti negli ultimi tempi che di storie di dipendenza legate al sesso ce n'erano più che in passato e, quindi, abbiamo deciso di attivare un servizio mirato su questo mondo che è poco conosciuto». Giancarlo è uno dei primi pazienti in cura. Ha varcato la prima volta il cancello di Villa Maraini nell'aprile scorso «per dire basta al chemsex. Un incubo - sospira - che è iniziato nel 2012, quando mi sono lasciato con la ragazza e mi sono innamorato del mio compagno. Ho iniziato a frequentare le dark room, i festini gay: non mi ero mai drogato prima». In poco tempo, il 46enne ha conosciuto la cocaina, le metanfetamine, il popper (un vasodilatatore), il crack, fino all'acido gamma-idrossibutirrico: il Ghb. La «droga dello stupro», è arrivata per ultima. «L'ho provata a un festino in casa tre anni fa - ricorda Giancarlo - alla fine sono arrivato a farmela anche da solo». Il Ghb in medicina è impiegato per curare l'alcolismo perché "mima" gli effetti dell'alcol, come il metadone per la cura della dipendenza da eroina. Nel Nord Europa già da anni è usato a scopo pro sessuale. Non se ne parla, ma è molto diffuso anche in Italia. Nessuno lo chiama con il suo nome scientifico. Per migliaia di consumatori è semplicemente G: "Gina". Una sostanza inodore, insapore (vagamente tendente al salino), economica e facile da assumere. Sono sufficienti poche gocce (se è liquido) o una punta di cucchiaio (se è in polvere) in un cocktail per perdere i freni inibitori. Un abuso, spiegano i Ris di Roma, può moltiplicare l'effetto sedativo, ipnotico, fino a produrre la perdita dei sensi, l'arresto cardiaco. Una dose costa dai cinque ai 10 euro, anche se il prezzo lo fa sempre il mercato. «Fa piombare l'individuo in uno stato sognante, di cui non ha contezza, per cui non ricorda quello che è successo - spiega Barra - è molto più diffuso di quello che l'opinione pubblica pensi». "Gina" va sempre più di moda. È la sostanza del caso Genovese, apprezzata anche dai ballerini, dagli sportivi e dai professori universitari, come dimostra una recente operazione dei carabinieri portata a termine a Roma nel settembre scorso che è culminata con l'arresto di sei persone. In pieno confinamento il Ghb viaggiava in spalla ai finti rider che si spostavano a bordo dei monopattini per recapitare "Gina»" negli appartamenti dell'alta borghesia tra piazza Venezia e piazza Navona. «Ti portiamo anche G, ti piacerà molto», scrivono il 13 agosto i due escort romeni a Luca Morisi, l'ex guru social di Matteo Salvini indagato per droga dalla procura di Verona. A settembre era stata arrestata l'attrice Claudia Rivelli, sorella di Ornella Muti: nella sua casa romana la polizia aveva trovato un litro di Ghb e lei si era giustificata dicendo che lo usava «per pulire l'argenteria».
Valeria Arnaldi per leggo.it il 16 ottobre 2021. Aumenta la socialità, aiuta a sentirsi più “liberi”, migliora le performance sessuali. E fa perdere il senso della realtà. La cosiddetta “droga dello stupro” o “ecstasy liquida”, balzata sotto i riflettori della cronaca in casi che hanno fatto scalpore - dalle denunce contro Alberto Genovese, a Milano, ai festini di don Francesco Spagnesi, a Prato, fino alle recenti accuse contro Luca Morisi, nel Veronese - in realtà, è sempre più diffusa, e ampiamente ricercata, tra i più giovani, in contesti che nulla hanno a che vedere con reati contro la persona. La sostanza stordente, che si immaginava usata solo su vittime inconsapevoli si rivela, a sorpresa, una droga che “piace” ai ragazzi, perché li aiuterebbe, dicono gli esperti, a sentirsi grandi, con meno freni inibitori e maggiore desiderio sessuale. Procurarsela non è difficile. Basta cercare online. Ghb, Gbl e così via: le sostanze sono tante e spesso vengono vendute sotto la veste, apparentemente innocua, di prodotti destinati alle pulizie. Le forze dell’ordine hanno portato alla luce più di un e-commerce di tali stupefacenti. A Roma, la “droga dello stupro” veniva consegnata a domicilio, usando monopattini elettrici per non destare sospetti: è in corso un’indagine della Polaria. E lo scenario non è differente in altre città. La consegna è veloce, “nascosta”, puntuale. L’investimento è minimo. Il costo è, in media, di 20 euro per 25 grammi. Tradotto in “dosi”, 10 euro per una comprata online, 5 per una presa in loco. «Siamo abituati a pensare a questo tipo di droghe solo associate allo stupro, ma in realtà circolano moltissimo nei luoghi di aggregazione - spiega Anna Maria Giannini, docente di psicologia generale all’ateneo romano Sapienza, esperta di psicologia dell’Emergenza dell’Ordine Psicologi del Lazio - molti giovani le assumono con il chiaro intento di entrare in uno stato alterato di coscienza per vivere l’illusione di distaccarsi dalla realtà. Tanti, solo perché imitano gli altri». L’assunzione di tali droghe può dare dipendenza. «Assunte reiteratamente, possono dare assuefazione - prosegue - È molto importante fare informazione nelle scuole». Il problema è trasversale. «Siamo di fronte a una nuova tendenza sociale - commenta Nicola Ferrigni, sociologo Link Campus University - oggi l’uso di droghe, anche con il rischio di morte, è associato al divertimento e alla ricerca dell’eccesso. Le sostanze riempiono il vuoto che caratterizza il nostro tempo. E ciò non accade solo in fase adolescenziale, ma interessa più tipologie di persone, anche medici, sacerdoti, insegnanti. Le sostanze, dal mondo dell’adolescenza entrano in quello degli adulti e tornano così “sdoganate” tra i più giovani, come fossero la normalità. La droga viene vista come mezzo per divertirsi. È la sconfitta della nostra società».
Da liberoquotidiano.it l'8 ottobre 2021. Appartiene alla categoria di sedativi e viene usata per motivi medici per trattare la narcolessia": la biologa Barbara Gallavotti, in collegamento con Giovanni Floris a Di Martedì, ha parlato della Ghb, la cosiddetta droga dello stupro, al centro del dibattito attuale per il caso Luca Morisi. "E' ricercata come stupefacente perché causa rilassamento, perdita delle inibizioni, una leggera euforia e ha la caratteristica che molto spesso le persone che l'hanno assunta non ricordano cosa hanno fatto quando erano sotto i suoi effetti". Ecco, quindi, perché viene chiamata "droga dello stupro". Per quanto riguarda i suoi effetti sul cervello, non si sa ancora molto, visto che si tratta di un organo complesso. A tal proposito l'esperta ha spiegato: "Questa sostanza viene prodotta anche naturalmente in piccole quantità dalle nostre cellule ed è una delle molecole che le cellule del cervello utilizzano per comunicare tra di loro, è un cosiddetto neurotrasmettitore". E ancora: "Di norma, i neurotrasmettitori presi per bocca non arrivano al cervello, ma questo purtroppo lo fa. Non è chiaro quali effetti ci siano e neanche quali zone siano davvero colpite. Sarebbe coinvolta comunque l'area della corteccia cerebrale, che è quella che usiamo per il pensiero razionale". La biologa, poi, ha parlato anche del sapore "sgradevole" della Ghb: "Sembra che sia un po' salata, un po' saponosa. Quindi viene spesso disciolta in delle bevande. Qualcuno ha la pessima idea di scioglierla in bevande alcoliche, perché in quel caso gli effetti dell'alcol si sommano a quelli della droga rendendola ancora più pericolosa." In ogni caso, anche se presa da sola, ha degli effetti devastanti: "Può causare nausea, mancamenti, crisi epilettiche, coma. Nei casi più gravi si arriva fino alla morte".
Federico Pezzotti per "iltirreno.gelocal.it" il 13 settembre 2021. C’è una sentenza, depositata nelle scorse settimane alla cancelleria del tribunale di Livorno, che nel caso venisse confermata riporterebbe indietro nel tempo – dopo anni di battaglie – tutele e diritti delle vittime di violenza sessuale. In particolare i giudici, l’estensore è una donna, in due passaggi delle motivazioni, rischiano di cancellare le garanzie di chi subisce una costrizione psicologica, una pressione, o anche un ricatto, in cambio di sesso. Elemento che sempre più spesso, viene considerato determinante negli episodi di abusi e soprusi. Il caso, è quello del processo nei confronti del maresciallo dei carabinieri Federico Dati, ex comandante del nucleo dell’ispettorato del lavoro di Livorno, assolto a metà aprile da tutti i reati che la procura gli contestava: concussione, tentata concussione, falso e soprattutto violenza sessuale. Più semplicemente – secondo l’accusa – tra il 2014 e il 2016 – avrebbe messo in atto «ricatti sessuali» sfruttando il proprio ruolo: in cambio di prestazioni, avrebbe promesso o comunque fatto intendere alle titolari di alcuni esercizi commerciali della provincia di Livorno, di non contestare le irregolarità che invece erano emerse nei controlli. Il cuore della sentenza riguarda il secondo capo d’imputazione, nel quale il militare doveva rispondere di concussione per costrizione, reato poi riformulato nella sua configurazione meno grave, l’induzione. E violenza sessuale. Al centro della contestazione il rapporto tra il maresciallo e la dipendente, poi diventata titolare, di un centro massaggi di Castiglioncello. I due, in più occasioni, avrebbero avuto rapporti sessuali, sia orali che completi. La donna, sentita in sede di incidente probatorio il 17 marzo 2017, aveva raccontato al giudice – con tutte le difficoltà per il fatto di essere straniera – di essersi sentita costretta ad accondiscendere alle richieste perché davanti aveva «un pezzo grosso». E lui le diceva che «erano amici e non doveva pagare nulla». La premessa della giudice Tiziana Pasquali nelle motivazioni è che l’attendibilità della parte offesa sia «di per sé debole». Poiché – si legge – «ben potrebbe l’esaminata aver rivenduto la propria relazione con l’imputato con spirito vendicativo, essendo in corso di verifica l’accusa (si parla di un altro fascicolo quando la donna è stata ascoltata ndr) nei suoi confronti di sfruttamento della prostituzione. E potendo ritenere collegabili le indagini a una iniziativa del Dati». Aggiungendo – si legge ancora – «che la donna non descrive affatto comportamenti violenti da parte dell’imputato». E qui arriva il passaggio chiave: «Solo in un caso ricorda che il Dati, per convincerla a una prestazione orale, le avrebbe avvicinato con forza la testa alle proprie parti intime, ma, ribadito che anzitutto non è in alcun modo specificato in quali concreti termini sia stata compiuta questa violenza, è ben chiaro che il gesto in sé non può comportare una coazione della continuazione del rapporto, che necessita, per le stesse modalità del tipo di rapporto sessuale, di una piena partecipazione attiva della donna». Superfluo essere più chiari. Se non bastasse questo c’è un’aggiunta che la giudice fa riguardo, invece, i rapporti sessuali completi. «La donna – scrive – racconta che in un caso sarebbero avvenuti dopo che le sarebbero stati tolti i vestiti con violenza, e anche rispetto a questo racconto – è la deduzione – da un lato neppure descrive in quali termini si sarebbe espressa la modalità violenta di togliere i vestiti. Dall’altro è anche qui da evidenziare che togliere i vestiti non comporta necessariamente passare al rapporto sessuale». L’avvocata Roberta Rossi, che nel processo rappresentava la donna, sta finendo di scrivere l’appello per impugnare la sentenza. Passo che ha già fatto anche la procura che per l’imputato aveva chiesto la condanna. «Questi due passaggi della motivazione – spiega l’avvocata – sono effettivamente pericolosissimi perché si rischia di riportare la giurisprudenza sulle violenze sessuali alla preistoria. Al ratto, dove per dimostrare la violenza è necessario il rapimento e un rapporto completo con la forza, tralasciando completamente l’aspetto psicologico». Il rischio – prosegue «è quello, attraverso un certo linguaggio, di una vittimizzazione secondaria ai danni della parte offesa, non dando rilievo alla denuncia, e soprattutto stigmatizzandone il comportamento. In questo caso – conclude – non voglio pensare che ci sia un pregiudizio perché la mia cliente gestiva un centro messaggi. Perché, come sancisce la giurisprudenza, la libertà di scelta da parte della donna resta sempre, che sia implicita o esplicita. E non ci sono vittime più meritevoli di altre».
Ilaria Sacchettoni per il “Corriere della Sera - ed. Roma” il 4 novembre 2021. C'è un indirizzo di posta elettronica, associato a una piattaforma digitale, che preoccupa le forze di polizia più di tanti spacciatori in carne e ossa. Si tratta di noreply@sensearomatics.com che ogni giorno muove ettolitri di nuove sostanze psicoattive, droghe sintetiche la cui catalogazione è spesso un rebus investigativo. Il suo dominio è sinonimo di «sballo» e chi digita queste poche lettere, generalmente, è un pusher della nuova generazione alle prese con approvvigionamenti dell'ultima ora pagati in criptovaluta. Se il sito è virtuale il mercato è concreto. Concretissimo. «Talune convergenze di dati - scrivono i carabinieri del Nas nella loro informativa - permettevano altresì di rilevare interessanti indicatori circa l'esistenza di un network allestito in territorio capitolino costantemente dedicato all'approvvigionamento e distribuzione di variegate tipologie di nuove sostanze psicoattive. L'esistenza di una rete allestita di traffico, soprattutto avuto riguardo alla droga dello stupro, veniva pienamente riscontrata dalle indagini». Internazionale l'importazione, nostrana la distribuzione. É a Roma che nell'ottobre 2018 viene ritrovato il corpo di Alexandre Siqueira Goncalves, funzionario della diplomazia brasiliana. Crudi dettagli raccontano che Siqueira Goncalves aveva partecipato a un festino a base di bondage e stupefacenti. Mentre l'inchiesta dell'epoca accertò il coinvolgimento di un pusher che dalla Lombardia riforniva di Ghb (acido idrossibutirrico: famiglia delle nuove sostanze psicoattive) la Capitale. Ed è sempre a Roma che, il 9 dicembre 2019, parte una telefonata alla centrale operativa del 118 per segnalare gli effetti collaterali di una significativa somministrazione di un mix di sostanze fra le quali la Gbl (Gammabutirrolattone): «C'è un ragazzo che ha una crisi psicotica - avvisa un uomo - sta facendo un casino terrificante... corre per tutto il b&b». É a Roma, infine, che Pietro Fabbri, uno degli indagati, riferisce i contorni di un incidente stradale avvenuto a causa delle nuove sostanze psicoattive. Il guidatore di un'auto, racconta Fabbri, «faceva il pazzo e non c'è stato verso di calmarlo». La notte si conclude con i passeggeri in balia dello «sballato»: «Al ché - conclude Fabbri - poi ho preso, me ne so' andato via a piedi, me so' fatto de notte da San Cesareo fino a casa a piedi e poi hanno...poi so' andati a sbatte è normale...». I «catinoni sintetici» e i «fentanili», con i loro isomeri ancora semi sconosciuti, procurano intossicazioni gravissime annotano gli investigatori: «La rilevanza e diffusione di preoccupanti episodi di intossicazioni acute e reazioni avverse registrati» hanno spinto le autorità europee ad istituire un sistema di allerta rapido per le nuove sostanze psicoattive: «Un network che raccoglie, valuta e condivide informazioni sulle Nsp (nuove sostanze psicoattive,ndr) e sulla loro composizione». Dall'inchiesta del procuratore aggiunto Giovanni Conzo e del sostituto Giulia Guccione è scaturito un piccolo censimento di nuove sostanze (sedici) che completa il know how su queste micidiali molecole. «Si tratta - osservano gli investigatori - di isomeri strutturali la cui potenza stupefacente è certamente non inferiore a quella degli analoghi inseriti in tabella e pertanto altrettanto pericolosi per gli assuntori soprattutto perché va considerato il consumatore finale, sul "mercato di strada" molto spesso non è al corrente della vera natura chimica della sostanza che intende assumere, da qui il crescente fenomeno delle intossicazioni». Olanda e Cina sono tra i maggiori mercati di approvvigionamento delle sostanze. In Olanda acquista Gbl Claudia Rivelli (sorella di Ornella Muti) che poi con un'accorta triangolazione fa arrivare il prodotto in Gran Bretagna dove il figlio provvedeva a distribuirla. Rivelli, assistita dall'avvocato Teresa Mercurio, ha scelto di non rispondere alle domande del gip e di restare in silenzio di fronte alle contestazioni. Stessa linea di condotta della pusher Clarissa Capone che, assistita dall'avvocato Matteo Ritrovato si è avvalsa della facoltà di non rispondere. Il suo cellulare, sotto sequestro, potrebbe raccontare nuovi episodi e consegnare a chi indaga il nome del senatore che da lei si riforniva. Fiducioso si dice invece Marco Locatelli, assistito dall'avvocato Domenico Naccari e in attesa di rendere il suo interrogatorio.
Dal corriere.it il 27 ottobre 2021. Tra le persone arrestate dai Nas, nell’operazione contro il traffico di sostanze stupefacenti tra cui la droga dello stupro, c’è anche Claudia Rivelli, 71 anni, attrice e sorella dell’attrice Ornella Muti. Nei confronti della donna, raggiunta dalla misura cautelare dei domiciliari, l’accusa è di importazione e cessione di sostanze stupefacenti. L’indagine è coordinata dal procuratore aggiunto di Roma, Giovanni Conzo. Rivelli era già stata arrestata il 15 settembre dopo che nella sua abitazione a Roma, erano stati trovati dagli agenti della Polaria tre flaconi con un litro di sostanza Gbl (droga dello stupro). Nell’ambito del processo per direttissima la donna si era difesa affermando di avere inviato la sostanza al figlio che vive a Londra «perché lui la usa per pulire l’auto» mentre lei la utilizza per «per lucidare l’argenteria». Nel capo di imputazione, citato nell’ordinanza, si afferma che l’indagato ha importato «illecitamente dall’Olanda, con cadenze trimestrali, vari flaconi di Gbl provvedendo a inviarne parte al figlio residente a Londra dopo averne sostituito confezione ed etichetta riportante indicazione "shampoo" in modo da trarre in inganno la dogana».
MICHELA ALLEGRI per il Messaggero il 28 ottobre 2021. Non solo criminali e spacciatori di professione, ma anche insospettabili: un'attrice, un professore di musica delle medie che si sarebbe fatto recapitare le sostanze direttamente a scuola, un avvocato, un medico odontoiatra, un dipendente in pensione dell'aviazione, un dipendente di banca, un funzionario dell'Ater di Roma. E tra i clienti addirittura un senatore «che abita davanti alla Cassazione» - dicono i pusher intercettati -, un vigile urbano e un prete che, secondo gli inquirenti, potrebbe avere utilizzato la droga dello stupro acquistata online per compiere abusi all'interno di una casa famiglia. L'inchiesta choc è della procura di Roma e svela il mercato clandestino degli stupefacenti e dei farmaci nel dark web. Sostanze potentissime e nuove, ordinate su internet, pagate in criptovalute e recapitate direttamente a domicilio tramite corriere. Ieri 39 persone sono finite in carcere e ai domiciliari: ad arrestarle sono stati i carabinieri del Nas di Roma al termine di un'operazione coordinata dal procuratore aggiunto Giovanni Conzo. In manette - ai domiciliari - c'è l'attrice Claudia Rivelli, sorella di Ornella Muti. La donna, che ha un passato da modella nei fotoromanzi, è accusata di importazione e cessione di sostanze stupefacenti: avrebbe fatto arrivare «illecitamente dall'Olanda, con cadenze trimestrali, vari flaconi di Ghb provvedendo a inviarne parte al figlio residente a Londra», si legge nell'ordinanza.
LE SPEDIZIONI Prima di effettuare la spedizione, la Rivelli avrebbe sostituito le confezioni e messo sui contenitori un'etichetta con scritto «shampoo», per evitare i controlli alla dogana. A incastrarla, le chat con il figlio: «Pacco arrivato e nascosto», «fammi sapere notizie mano a mano, se no mi agito troppo fino a giovedì», scriveva l'attrice. Per il gip, «il tenore delle conversazioni WhatsApp e la circostanza che l'indagata camuffasse il reale contenuto delle spedizioni appaiono elementi oggettivamente indicativi della piena consapevolezza e della volontà di realizzare condotte penalmente rilevanti». La donna era stata già fermata il 15 settembre scorso quando nella sua abitazione romana, nella zona della Camilluccia, erano stati trovati dagli agenti della Polaria tre flaconi con un litro di sostanza Ghb, la droga dello stupro. Davanti al giudice la donna si era giustificata dicendo di avere inviato la sostanza al figlio che vive a Londra «perché lui la usa per pulire l'auto» mentre lei la utilizza «per lucidare l'argenteria». Il bilancio dell'inchiesta è pesante. I Nas hanno individuato e registrato 16 nuove sostanze mai giunte prima in Italia: nel corso dell'inchiesta sono state tracciate 290 spedizioni per un volume di affari che sfiora i 5 milioni di euro. Ma è solo l'inizio: «Quello che a prima vista apparirebbe come un traffico di nicchia - scrive il gip Roberto Saulino - si è rivelato essere molto più esteso ed alimentato da pressanti richieste dei consumatori».
GLI ARRESTATI In carcere sono finiti Danny Beccaria, che era riuscito a raggruppare molti clienti frequentando locali della movida romana, come il Frutta e Verdura, e avrebbe importato «oltre 16 litri di sostanze», il suo braccio destro Clarissa Capone, il giardiniere Giovanni Bortolotti, Marcello Cerasaro, Cristiano Coccia, il funzionario dell'Ater Pietro Fabbri, considerato dal gip «vero e proprio motore delle importazioni, si occupa di formulare gli ordinativi, provvedere ai pagamenti e ricevere le spedizioni, sia presso il luogo di lavoro», Luca Grillini, Emanuele Patriarca, Enrico Penna, Abdellah Tacherifte, Rosa Trunfio, medico odontoiatra. Tra gli arrestati ai domiciliari, anche Marco Locatelli, con precedenti per sfruttamento della prostituzione, assistito dall'avvocato Domenico Naccari. Per il gip, nel suo caso «l'importazione di rilevanti quantitativi di droga dello stupro» potrebbe essere legata proprio «al contesto della prostituzione». Gli episodi di vendita descritti nell'ordinanza sono decine. Tra gli acquirenti più assidui, un politico che non sarebbe ancora stato identificato dagli inquirenti. Emerge dalle intercettazioni: «Io amore sto andando dal politico quello lì che abita davanti alla Corte di Cassazione mi è uscita sta cosa qui al volo», dice uno dei pusher.
Ilaria Sacchettoni per il "Corriere della Sera" il 28 ottobre 2021. «Pacco arrivato e nascosto». Claudia Rivelli lo ha scritto nella sua chat con il figlio Giovanni Maria Leone (nipote dell'ex presidente della Repubblica) dopo aver ricevuto da un corriere Tnt (ignaro di quello che stava trasportando, come molti rider) nella sua abitazione in via della Camilluccia tre flaconi di Gbl, la droga dello stupro. Era il maggio di due anni fa e la sorella di Ornella Muti, anche lei attrice e fotomodella, oggi 71enne, li aveva ordinati a nome dell'anziana madre Ilse, poi scomparsa nel 2020. Un fatto che ha insospettito i carabinieri del Nas già sulle tracce del carico di stupefacente liquido destinato al figlio residente a Londra (anche nel Regno Unito la Gbl è proibita), tanto che poi Rivelli, tenuta sempre sotto osservazione, è stata arrestata il 15 settembre scorso in occasione di un'altra consegna di Gbl. «Mio figlio la usa per pulirci la macchina, io l'argenteria», aveva spiegato al gip prima di essere rimessa in libertà. Una bugia avvalorata dal fatto che su quei flaconi, secondo chi indaga, aveva apposto targhette con la scritta «shampoo», ma al telefono scriveva sempre «fammi sapere notizie mano a mano, se no mi agito troppo fino a giovedì». Claudia Rivelli, da ieri mattina di nuovo ai domiciliari, è solo una delle 39 persone arrestate dai carabinieri, coordinati dal procuratore aggiunto Giovanni Conzo, nel corso dell'operazione che ha smantellato un traffico internazionale di «droga dello stupro» e altre sostanze sintetiche che aveva la sua base a Roma, ma agiva in tutta Italia. A gestirlo proprio la «famiglia romana», un gruppo di pusher con agganci nei locali notturni, come il «Frutta e Verdura», after hour al quartiere Portuense fra i più noti nella Capitale, ma anche nel mondo dello spettacolo e della politica. Nell'ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip Roberto Saulino si fa cenno non solo a «conduttori radiofonici e appartenenti alle forze dell'ordine» (come un vigile urbano assolto dall'accusa di stalking), ma proprio al «gruppo di Danny», guidato da Danny Beccaria insieme con la sua complice Clarissa Capone e la dentista Rosa Trunfio, che aveva agganciato come cliente «er senatore» o anche «il politico», «quello che abita lì, davanti alla Corte di Cassazione, sul lungotevere». Chi sia questo parlamentare è ancora un mistero, così come gli altri che si rifornivano da loro, mentre qualcuno è stato comunque individuato e arrestato dal Nas. Si tratta di insospettabili personaggi che da tutta Italia facevano ordinativi - ne sono stati scoperti finora 290 per quasi 5 milioni di euro - sul deep e sul dark web, su piattaforme ecommerce soprattutto olandesi, ma anche della Repubblica Ceca, oppure canadesi, per farsi spedire come minimo 2 litri e mezzo di droga. Fra loro, un tenente colonnello della Brigata Alpina Julia, in servizio fino a poco tempo fa a Belluno e adesso, secondo i carabinieri, in congedo, Franco Visentin, che si faceva recapitare la droga in caserma (come anche un ex dell'Aeronautica militare, Stefano Bruzziches). E ancora, un insegnante di musica di scuola media in provincia di Cremona, e poi due avvocati, due bancari a Roma e a Grottaferrata, un funzionario Ater (case popolari), alcuni commercianti e un architetto. Per questi personaggi era solo un investimento? Oppure serviva per altri scopi? Finora sono state individuate 16 sostanze sconosciute prodotte in laboratorio: il timore è che la droga potesse interessare anche a gruppi di pedofili.
Roma, la droga dello stupro venduta ai vip. Valentina Dardari il 28 Ottobre 2021 su Il Giornale. Ignari rider consegnavano la merce in case di lusso e in locali notturni della Capitale. Una famiglia allargata, quella di Roma, composta dal ‘gruppo di Danny’, quello di ‘Ostia’ e quello di ‘Zagarolo’. A lei fa capo il gruppo di trafficanti internazionali che importavano bottiglie colme di "droga dello stupro". Sostanza acquistata sul mercato nero di internet, solitamente in Olanda, e poi smerciata in Italia. In questo caso nella Capitale. A consegnare la merce quasi sempre erano ignari rider che non sapevano cosa stessero trasportando.
L’indagine dei Nas
Gli uomini dei Nas, i nuclei antisofisticazioni e sanità dei carabinieri, sono riusciti a scoprire alcuni posti di lavoro degli spacciatori difficili da immaginare: un ufficio Ater in via di Valle Aurelia, un'agenzia della Banca Intesa San Paolo a Grottaferrata, negozi e stabilimenti. Alle prime luci dell’alba di ieri sono finite in manette 39 persone. Gli investigatori sono riusciti a ripercorrere le varie fasi del percorso effettuato da queste sostanze a partire dal 2019 fino ai giorni nostri. Esistono 16 tipi di questo liquido, prodotto in laboratorio, di cui non si conosce bene la composizione e neppure gli effetti a livello fisico e mentale. Quello che si è riuscito a capire è che ci sono sparsi per Roma diversi insospettabili ritrovi notturni, frequentati anche da persone dello spettacolo, dove questa droga viene spacciata. Uno di questi, come riportato dal Corriere, è il “Frutta e Verdura” a San Paolo. Il gestore del locale, Danny Beccaria, con la complice Clarissa Capone e la dentista napoletana Rosa Trunfio, hanno ricevuto le ordinanze di custodia cautelare in carcere e ai domiciliari firmate dal gip Roberto Saulino. Oltre a loro anche Gennaro Quasto, destinatario anche del reddito di cittadinanza, oltre ai guadagni, tutt’altro che irrisori, derivanti dallo spaccio della sostanza stupefacente. Tra i loro clienti personalità di un certo calibro, come senatori, politici, sacerdoti, sacerdoti, speakers radiofonici e anche appartenenti alle forze dell’ordine. Tra questi anche “quello che abita lì, davanti alla Corte di Cassazione, sul lungotevere”. Le identità di queste persone non sono ancora state scoperte.
Il percorso della droga
La sostanza stupefacente viene acquistata su internet e arriva in Italia tramite spedizione da Olanda, Germania, Canada e Cecoslovacchia. Viene poi portata a destinazione da ignari corrieri e rider, che non sanno nulla del contenuto dei pacchi che hanno tra le mani. Tra gli arrestati anche la sorella di Ornella Muti, Claudia Rivelli, beccata mentre stava ritirando dei flaconi di droga dello stupro nella sua casa in via della Camilluccia. La Gbl in questione era destinata al figlio che abita a Londra, dove è vietata come da noi. Tra gli altri arrestati anche Pietro Fabbri, un funzionario Ater con ufficio nella sede in via di Valle Aurelia. Secondo gli investigatori, coordinati dal procuratore aggiunto Giovanni Conzo, Fabbri sarebbe molto vicino al ‘gruppo di Zagarolo’. E poi anche Massimo Rolli, un impiegato della Banca Intesa San Paolo, che avrebbe acquistato droga per corrispondenza da Amsterdam, e un architetto, Carmine Magna, residente al Portuense e con studio all'Esquilino. La Gbl veniva chiamato in vari modi: a volte con nomi di donna, come Mafalda, Tina, Gina, oppure anche shampoo o profumo. Tra i rider utilizzati per lo scopo quelli della Glovo perché, come recita l’ordinanza: “Oltre al classico contatto telefonico con i "clienti", finalizzato a stabilire il successivo incontro, si è registrata una pratica particolare, ritenuta sicura tanto dagli acquirenti quanto dai venditori, fondata sull'impiego di inconsapevoli corrieri on demand, in particolare gli operatori della società Glovo”. L’idea di ricorrere ai rider era venuta a Simone Giovannucci, una delle persone arrestate, che stava cercando un modo per far arrivare la "roba" all’amico e cliente Marcello Cerasaro. La spedizione in questione risale al 29 novembre 2019. “Consultando i dati forniti da Glovo in effetti, si riscontra come il luogo di ritiro (partenza) corrisponda a Roma, via Portuense 104, mentre il luogo di consegna sia il Residence Trastevere suite, appartamento 31”. Via portuense è il domicilio di Giovannucci, dove è avvenuto poi l’arresto. Il gip ha scritto: “Quanto al secondo indirizzo il Residence Trastevere suite è emerso in più circostanze, nel corso delle attività tecniche eseguite”. Anche per effettuare altre consegne sono stati impiegati i rider di Glovo.
Tra le intercettazioni effettuate dagli investigatori anche quelle di una delle arrestate, Clarissa Capone: “Va bene, ho quasi ventimila euro... ma sono tutti soldi che io ho fatto con la droga... eh cioè sono tutti soldi sporchi”. E ancora: “Qua tutti sono stati bevuti, tutti sono andati a finire in gattabuia... tutti quanti... io no”. Come si legge nelle carte: “Il gruppo in questione, denominato dagli inquirenti "il gruppo di Danny", risultato molto attivo nell'attività di rivendita all'interno dei locali notturni, ha dato prova di disporre di una clientela estremamente variegata, personalità politiche, conduttori radiofonici ed appartenenti alle forze dell'ordine”. Tra i compratori un vigile urbano in forze alla polizia municipale di Roma Capitale, un senatore e perfino un sacerdote, così descritto dal Beccaria: “Mo' m' ha scritto un prete, er prete è uno che me dà una cifra de sordi pe' ditte”.
Valentina Dardari. Sono nata a Milano il 6 marzo del 1979. Sono cresciuta nel capoluogo lombardo dove vivo tuttora. A maggio del 2018 ho realizzato il mio sogno e ho iniziato a scrivere per Il Giornale.it occupandomi di Cronaca. Amo tutti gli animali, tanto che sono vegetariana, e ho una gatta, Minou, di 19 anni.
Droga dello stupro, la mappa dello spaccio: locali vip e clienti insospettabili. Rinaldo Frignani su Il Corriere della Sera il 27 ottobre 2021. La «famiglia romana» era composta dal «gruppo di Danny», quello di «Ostia» e quello di «Zagarolo». La colonna portante del gruppo di trafficanti internazionali specializzato nell’importazione di bottiglie piene di Gbl, l a droga dello stupro: acquistate sul deep e sul dark web, spedite per posta soprattutto dall’Olanda, consegnate da ignari corrieri in molti casi, come hanno scoperto i carabinieri del Nas, direttamente sul posto di lavoro degli spacciatori. Un ufficio Ater in via di Valle Aurelia, un’agenzia della Banca Intesa San Paolo a Grottaferrata, negozi e stabilimenti. Gli investigatori dell’Arma, che all’alba di ieri hanno arrestato 39 persone, hanno ripercorso proprio a Roma il tragitto che a partire dal 2019 ma anche negli ultimi mesi seguita la marea di stupefacente liquido prodotto in laboratorio - 16 versioni finora sconosciute, come misteriosi sono gli effetti sul fisico - approdata a più riprese anche in alcuni locali notturni frequentati da vip, come il «Frutta e Verdura» a San Paolo: qui il gip Roberto Saulino, che ha firmato le ordinanze di custodia cautelare in carcere e ai domiciliari, ha individuato uno dei centri di spaccio, gestiti da Danny Beccaria, con la complice Clarissa Capone e la dentista napoletana Rosa Trunfio. Con loro anche Gennaro Quasto, peraltro beneficiario del reddito di cittadinanza, oltre che dei cospicui incassi derivanti dalla vendita dello stupefacente. Sono gli stessi che, secondo i carabinieri, avevano agganciato clienti del calibro del «senatore» o anche «il politico», «quello che abita lì, davanti alla Corte di Cassazione, sul lungotevere», ma anche di un sacerdote, così come conduttori radiofonici ed appartenenti alle forze dell’ordine. I nomi devono essere ancora scoperti dai carabinieri che hanno ricostruito sia il giro organizzato sia quello individuale, legato sempre all’acquisto della droga su internet, alle spedizioni internazionali da Olanda, Repubblica Ceca, Germania e Canada, alle consegne a domicilio o sul posto di lavoro da parte di ignari corrieri (Dhl e Tnt) ma anche rider. Fra i pusher, ora ai domiciliari, anche Claudia Rivelli, sorella di Ornella Muti, colta in flagrante ritiro dei flaconi di stupefacente nella sua abitazione in via della Camilluccia (destinata al figlio che abita a Londra, dove la Gbl è comunque vietata, come qui), ma anche un funzionario Ater con ufficio nella sede in via di Valle Aurelia, Pietro Fabbri, che gli investigatori dell’Arma, coordinati dal procuratore aggiunto Giovanni Conzo, collocano fra coloro più vicini al «gruppo di Zagarolo». E poi un impiegato della Banca Intesa San Paolo, Massimo Rolli, identificato dai carabinieri come colui che ha acquistato bustine di droga per corrispondenza da Amsterdam, e un architetto, Carmine Magna, residente al Portuense e con studio all’Esquilino.
Ilaria Sacchettoni per il “Corriere della Sera” il 29 ottobre 2021. «Eh sì, io ero una spacciatrice, capito?», si confessa al telefono Clarissa Capone, pusher del terzo millennio con la sporta piena di nuove sostanze psicoattive come la «droga dello stupro», altrimenti detta Gbl (acronimo per Gammabutirrolattone). «Calcola che quando ci stava il Festival del cinema - prosegue orgogliosa - io là ci andavo con lo zainetto pieno, cioè ci stavano giornalisti, cioè ci stava di tutto di più...». A trent' anni la pusher vanta già un invidiabile portafoglio clienti che include perfino un senatore della Repubblica. Di lui si sa soltanto che «abita di fronte alla Corte di Cassazione», che è affezionato al «profumo», come viene chiamata pudicamente la molecola dello stupro. Ma nelle intercettazioni non ci sono altri riferimenti o dettagli e i carabinieri del Nas non sarebbero ancora riusciti a individuarlo. Anche perché sembra evidente che i pusher ci tenessero a proteggere la sua identità. Prudenza e riserbo spingono una nuova generazione di spacciatori a rinominare la Gbl con fantasiosi e improbabili appellativi. Un giorno Rosa Trunfio, odontoiatra finita tra gli arrestati, s' informa sul carico di «Acqua di Giò» (un'essenza di Giorgio Armani) in arrivo con un corriere. Con l'obiettivo di sfuggire ai controlli, poi, le bottigliette in cui viaggiano i liquidi sintetici vengono rinominate. Così il fornitore di Marcello Cerasaro, altro pusher, fa recapitare una boccetta contrassegnata, la cui etichetta rassicurante campeggia sulla confezione: «Boccetta 200 ml antiossidante per hardware». I carabinieri del Nas riferiranno alla pm Giulia Guccione e al procuratore aggiunto Giovanni Conzo che si tratta di Gbl. I prezzi d'acquisto variano con la clientela, si va da poche decine di euro a qualche centinaio. Uno dei pusher arrestati a Bologna, trattava acquisti da 700 euro con alcuni tra i suoi più affezionati clienti. È lo stesso uomo che faceva spacciare il figlio tra i suoi compagni di scuola: «Vabbé, ascolta, bisogna che diamo impulso a questa cosa...», dice motivando il ragazzo come certi allenatori in campo. Il 30 gennaio 2020 i carabinieri fanno irruzione in una casa famiglia per minori nella provincia di Milano. E arrestano il direttore Edoardo Bianchi. Scrive il giudice: «Le immediate attività di perquisizione consentivano di individuare il collegamento strumentale della condotta di importazione alla commissione di ulteriori reati, posto che erano rinvenute numerose immagini a contenuto pedopornografico, sia scaricate dalla rete Internet che autoprodotte, alcune delle quali ritraenti i minori accolti nella struttura». Il coinvolgimento nell'inchiesta di un sacerdote, oltre a professionisti come un architetto, un avvocato, un medico e giornalisti - per non parlare del senatore - e di un vigile urbano, finisce per aggravare il quadro della situazione. I magistrati hanno mosso anche l'accusa di autoriciclaggio alla Capone e a Danny Beccaria che «eseguivano operazioni di trasferimento di denaro proveniente dall'attività di importazione e cessione di stupefacenti in modo da ostacolarne l'identificazione della provenienza delittuosa».
Daniele Autieri per “la Repubblica” il 29 ottobre 2021. La cravatta gettata in terra, la bottiglia di champagne prosciugata, un flaconcino di droga dello stupro sul comodino e in fondo, sfocato perché nessuno possa riconoscerlo, er senatore, feticcio dell'ennesima storia di grande bellezza corrotta - stavolta - a colpi di fentanyl e cristalli. L'uomo del mistero colora di giallo l'inchiesta condotta dai carabinieri del Nucleo per la tutela della salute che ha portato all'arresto 39 persone, di cui 11 in carcere e 28 ai domiciliari, per autoriciclaggio, importazione e traffico di "nuove sostanze psicoattive", e aggiunge alla trama del crime il personaggio che non può mancare. Per la " famiglia romana" (come Clarissa Capone, uno dei principali indagati dell'inchiesta, definisce la banda delle droghe sintetiche), il politico è un cliente da coccolare, e infatti alle 13:05 del 17 ottobre del 2019 Danny Beccaria (il gestore del giro nella capitale) telefona alla donna perché c'è una vendita da chiudere. «Ce stava er senatore che je servivi» le dice. «Il senatore?» domanda Clarissa. « Quello lì di lungotevere» . « Ah, il politico » . «Eh sì, amo'». Poco dopo, alle 14: 50, lo stesso Danny chiama Rosa Trunfio, un medico odontotecnico con precedenti accusato di rifornire lo spacciatore, avvisandola che si sta muovendo per raggiungere la casa del senatore. «Io amore sto andando dal politico, quello lì che abita davanti alla Corte di Cassazione». Nessuno sa il suo nome perché secondo gli inquirenti non è stato possibile identificare l'identità del politico, «verosimilmente - scrive il giudice per le indagini preliminari Roberto Saulino - un senatore della Repubblica». Una circostanza che ha reso tutto più complicato, come già accaduto nel passato recente della storia italiana, quando l'incriminazione di un politico è stata bloccata dalla giunta per le autorizzazioni a procedere delle Camere. Rimane allora la marionetta senza nome e cognome, e basta quella per piombare in una scena di Romanzo Criminale, sulla lampadina che illumina la silhouette del politico mentre tira cocaina. Quarant' anni dopo la polvere bianca è stata sostituita dal "profumo", come gli spacciatori chiamano il GBL, e le banconote da centomila lire dai bitcoin, ma il profilo oscurato dell'uomo in grigio è rimasto quello. E insieme ad esso la platea delle maschere di un'antica commedia: l'attore, il giornalista, lo sbirro. Sono loro i clienti di Clarissa Capone, la 30enne che è entrata nel giro giusto e si fa bonificare i soldi della "roba" in Lussemburgo. «Io sono proprio arrivata - dice nel dicembre del 2019 a un amico. - Calcola che quando ci stava il festival del cinema io là ci andavo con lo zainetto pieno cioè ci stavano i giornalisti ci stava di tutto e di più e di là poi sono arrivata a un politico. Perché giustamente, da che ti fai il giornalista, poi comunque la voce si spande e la voce è arrivata pure all'assistente di un politico. Sapeva quello che facevo e quando gli serviva la merce mi chiamava». «A qualcuno importante sei arrivata?» le domanda l'amico curioso. «Sì, calcola che parlavo con l'assistente poi quando arrivavo a casa ci stava il politico hai capito? Quindi pensa che cazzo ero!». Al momento del dialogo alcuni complici della donna sono stati già arrestati, mentre Danny Beccaria sarà arrestato di lì a poche settimane. Tutti intorno a lei "sono stati bevuti", tutti tranne la zarina di Roma, convinta che proprio il rapporto con il politico l'abbia resa invincibile. «Qui tutti sono andati a finire in gattabuia - racconta - tutti quanti, io no. Io ero anche molto più potente di voi visto che c'avevo politici, gente importante, capito?». La " famiglia romana" era capace di arrivare in alto nel mondo borghese della capitale. Non solo "personalità politiche, ma anche conduttori radiofonici e appartenenti alle forze dell'ordine". Tutti anonimi, tutti non identificati, tutti personaggi laterali di un crime dal finale scontato.
Michela Allegri per “il Messaggero” il 29 ottobre 2021. Dai salotti vip ai locali della movida, dalle scuole ai red carpet degli eventi artistici. I pusher 2.0, in grado di muoversi nel dark web per ordinare decine di flaconi di droga dello stupro e di sostanze nuove e potentissime da rivendere sulle piazze di spaccio di tutta l'Italia, erano costantemente alla ricerca di clienti per espandere il raggio di affari. Il segreto per fare partire il business era ampliare la rete grazie al passaparola di persone importanti: «La voce era arrivata all'assistente del politico, e quando gli serviva la merce chi chiamava? Chiamava me». Lo racconta una delle componenti di spicco di quella che gli inquirenti definiscono la «famiglia romana». Gli altri componenti della «famiglia romana», per gli inquirenti sono Danny Beccaria, Rosa Trunfio e, secondo il pm, il marito. Il gruppo, sottolinea il gip nell'ordinanza con cui due giorni fa ha disposto carcere e domiciliari per 39 persone, può contare una «nutritissima clientela che quotidianamente contatta, telefonicamente o mediante chat criptate, per concordare gli acquisti dello stupefacente». Beccaria ha un giro affollato all'interno dei locali notturni, ma «ha dato prova di disporre di una clientela estremamente variegata, personalità politiche, conduttori radiofonici ed appartenenti alle forze dell'ordine». Dello spaccio laziale si occupa anche un'altra banda, il «gruppo di Ostia», composta da Marcello Cerasaro, Mirko Giovannucci e Cristiano Coccia, e collegata alla prima. Un personaggio di spicco è la Trunfio, medico odontoiatra, ma che, sottolineano gli inquirenti, «si fregia anche del titolo di chirurgo estetico» e ha contatti che oltrepassano il Grande Raccordo Anulare. Quando una delle spedizioni non va a buon fine e la clientela rischia di rimanere delusa, per esempio, la Trunfio in poco tempo riesce e reperire lo stupefacente a Napoli e si accorda per la consegna con Danny. Nelle intercettazioni i due usano termini in codice, ma secondo il gip non ci sono dubbi: stanno parlando dei traffici illegali. «Per il regalo volevo spendere cento...», dice la donna. È l'ottobre del 2019. Dopo qualche ora, la dottoressa telefona di nuovo al complice e gli chiede se ha risolto la questione dell'«Acqua di Giò». In realtà, secondo l'accusa, la donna non si sta riferendo al famoso profumo di Armani, ma a un flacone di droga. Tra gli importatori di Ghb tramite il dark web ci sono diversi insospettabili. Oltre a Claudia Rivelli, sorella di Ornella Muti, sotto inchiesta ci sono un funzionario dell'Ater, un pittore, un professore delle medie, un architetto, un prete e un vigile urbano, altri componenti delle forze dell'ordine. E dagli atti spunta anche il nome di un ufficiale dell'Esercito, che si faceva spedire lo stupefacente presso la sede del Comando dove presta servizio, a Belluno. L'inchiesta riguarda tutta l'Italia. Una storia choc arriva dalla provincia di Bologna: un padre, importatore di droga dello stupro tramite il dark web e coltivatore di marijuana, avrebbe assoldato il figlio sedicenne per spacciare tra i coetanei. Quando il ragazzino era stato ricoverato al pronto soccorso a causa di un eccessivo consumo di erba, l'unica preoccupazione del padre era che le attività illecite non venissero scoperte. L'uomo, inoltre, sarebbe quasi arrivato a minacciare il figlio a causa del mancato pagamento di una partita di marijuana. È il maggio del 2019 e gli amici del ragazzo sono in ritardo con il saldo. «Ascolta diamo un impulso a quella cosa, perché io tra l'altro ho qualcuno a cui rendere conto - dice il pusher - già mi ha detto: Passami i nomi, andiamo a casa loro e glieli chiediamo... io non voglio che succedano delle cose fastidiose». Il 4 giugno 2019 il sedicenne finisce in ospedale. Nelle telefonate di aggiornamento con la ex moglie - annota il gip - «appare evidente la preoccupazione dell'uomo con riguardo alle dichiarazioni che potrebbe aver rilasciato il figlio e a un conseguente possibile intervento della polizia». Invece di preoccuparsi della salute del ragazzo, infatti, continua a domandare: «È stato chiesto qualcosa in merito? Cosa ha detto?». L'allarme per i più giovani arriva anche dal coinvolgimento nell'inchiesta di un professore delle medie, insegnante di musica in una scuola in provincia di Cremona. Si sarebbe fatto recapitare presso l'istituto scolastico direttamente dall'Olanda addirittura 13 flaconi di catinoni (molecole psicoattive) sintetici. Gli inquirenti vogliono capire se lo stupefacente sia stato diffuso all'interno della scuola. Il gip sottolinea «l'estrema insidiosità e la pericolosità della condotta posta in essere dall'indagato» - ora ai domiciliari - e la sua «spregiudicatezza».
Nella ragnatela di Massimo Carminati la sorella di Ornella Muti. Lirio Abbate su L'Espresso il 29 ottobre 2021. Claudia Rivelli è agli arresti domiciliari perché accusata di importazione e cessione di sostanze stupefacenti. In passato il suo nome era finito nelle intercettazioni che mostravano tutti i rapporti di potere del Cecato. Nella ragnatela tessuta dal capo del clan romano, Massimo Carminati, sono rimasti impigliati nel corso del tempo personaggi di ogni specie. Non necessariamente collegati direttamente al leader del “mondo di mezzo”, ma concatenati attraverso i suoi filamenti radiali e paralleli. E in questa tela è finito – inconsapevolmente - anche il nome di Claudia Rivelli, 71 anni, attrice e sorella della star del cinema, Ornella Muti. Rivelli è agli arresti domiciliari perché accusata di importazione e cessione di sostanze stupefacenti. È un’inchiesta su 39 persone che devono rispondere di traffico di droghe sintetiche acquistate all'estero sul web o sul darkweb. Rivelli era già stata arrestata il 15 settembre scorso, dopo che nella sua casa a Roma la polizia aveva trovato tre flaconi con un litro di sostanza Gbl (conosciuta come droga dello stupro). La donna è stata poi immediatamente liberata. Claudia Rivelli si era difesa affermando di avere inviato la sostanza al figlio che vive a Londra «perché lui la usa per pulire l’auto» mentre lei la utilizza per «lucidare l’argenteria». Adesso i magistrati l’accusano di avere importato «illecitamente dall’Olanda, con cadenze trimestrali, vari flaconi di Gbl provvedendo a inviarne parte al figlio residente a Londra dopo averne sostituito confezione ed etichetta riportante indicazione “shampoo” in modo da trarre in inganno la dogana». Già in passato il nome della donna era comparso per trascinamento in una importante inchiesta di Roma, quella che ha illuminato, anche se in parte, la ragnatela di Carminati. Rivelli, è bene precisare, non è stata mai indagata per l’inchiesta “mondo di mezzo” o “mafia Capitale”, ma le intercettazioni hanno fatto emergere come “il Cecato”, condannato in appello a dieci anni per associazione per delinquere, aveva collegamenti trasversali nella Capitale, coinvolgendo mondi e professioni diverse. E nonostante i suoi diedi anni di carcere sulle spalle, Massimo Carminati è libero di circolare per la Capitale, anche se è in attesa dell’ultima parola della Cassazione. Ma non è detto che Carminati dopo il definitivo giudizio degli “ermellini” possa tornare in carcere per scontare il resto della pena che gli è stata inflitta. Intanto, per comprendere meglio la ragnatela di Carminati con le sue ramificazioni ovunque, anche nelle sfere più impensabili, occorre spostarsi alla periferia della Capitale, nella sede della casa-famiglia “Piccoli Passi”, gestita dall’amico di famiglia Lorenzo Alibrandi, nella quale Massimo Carminati e “camerati” avevano tenuto diverse riunioni prima di essere arrestato. Ed è a questa associazione di Alibrandi che si collega la nostra storia. Che è solo un episodio. Il capo del clan romano vuole tentare di agganciare il liquidatore fallimentare di due società, tale avvocato Vianello, il quale vanta un credito di 240 mila euro proprio dalla casa-famiglia. Il pomeriggio del 18 gennaio 2013 Carminati è a bordo della sua Audi A1 con l’amico Angelo Maria Monaco. I due parlano del più e del meno. Fanno nomi. Raccontano di situazioni, di storie singolari. Poi, per uno strano giro di contatti, parte una serie di telefonate che coinvolgono indirettamente i familiari di Ornella Muti: l’eccentrica figlia Naike Rivelli, la sorella dell’attrice, Claudia Rivelli e il marito di quest’ultima, l’avvocato Paolo Leone, figlio dell’ex presidente della Repubblica Giovanni Leone. Nessuno di loro è stato coinvolto nell’inchiesta ma il racconto, fatto attraverso le intercettazioni dei carabinieri del Ros, è la sintesi esatta degli innumerevoli agganci trasversali del capo di “mondo di mezzo”. Monaco (che dovrebbe essere il cugino dell’attrice, perché figlio di Emilia Rivelli sorella del padre della Muti) suggerisce a Carminati che il liquidatore fallimentare potrebbe essere imparentato con Francesca Romana Rivelli, in arte Ornella Muti e con Paolo Leone, suo cognato. L’uomo dice: «vuoi che lo chiamo subito?». Il Cecato replica: «e certo! Hai capito, se risolviamo questa cosa ci leviamo il pensiero...». Monaco chiama al telefono «Claudia» che i carabinieri identificano in Claudia Rivelli, alla quale chiede informazioni su questo «avvocato Vianello». Da lì continua lo scambio telefonico fra i componenti della famiglia per identificare l’uomo e si arriva fino a Paolo Leone, il quale, però, esclude collegamenti con l’avvocato. Conclusa la conversazione con il parente, il quale non sa che quelle informazioni siano espressa richiesta del capo del “mondo di mezzo”, Angelo Maria Monaco parla a Carminati di tale «Valerio», del quale il Cecato comprende l’identità e dice: «Valerio lo conosco bene (...) non è un avvocato è un amico… è uno che ha difeso un sacco di camerati... è un camerata Valerio... cazzo è un grande avvocato Cassazionista... mò che difende un sacco... un sacco di bravi ragazzi...». Ma Angelo Maria Monaco non si ferma lì: i carabinieri annotano che «riferiva di aver appreso, in ambito familiare, che la figlia di “Ornella”, “Nike” era legata sentimentalmente a un napoletano camorrista il quale era stato difeso dal cugino, avvocato penalista, Rivelli, quest’ultimo amico dei costruttori Pulcini». Dalle carte dell’indagine non sappiamo se Carminati sia arrivato all’avvocato Vianello. La cosa incredibile è però constatare le molteplici soluzioni che “il Cecato” ha per tentare l’aggancio: può provare tramite le dive o tramite i grandi costruttori, senza che l’uno sappia dell’altro e il tutto stando bello comodo seduto in auto. Non solo. L’ex Nar potrebbe conoscere anche il «napoletano camorrista» di cui parlano i due. Naike, infatti, è stata legata proprio a un napoletano, da tanti anni residente a Roma, con diversi problemi con la giustizia. Si chiama Pasquale De Martino, coinvolto in indagini su traffici di droga e nell’istruttoria P4 con Flavio Carboni e Marcello Dell’Utri. De Martino è stato complice del camorrista Michele Senese, a lungo vicino a Carminati e agli albanesi di Ponte Milvio, fra cui Arben Zogu e a Fabrizio Piscitelli, detto Diabolik. Parliamo del settembre 2008 e la figlia di Ornella Muti all’epoca aveva 34 anni. Come però dimostrano le intercettazioni, la donna da allora ha tagliato ogni rapporto con De Martino. Ecco come i mondi si incrociano. E anche se con il trascorrere degli anni la ragnatela si può deformare per le intemperie giudiziarie, i temporali romani non pregiudicano la sua complessa funzionalità.
Dal “Corriere della Sera” il 31 ottobre 2021. Si era fatto spedire un pacco contenente dieci litri della cosiddetta «droga dello stupro» (Gbl) attraverso un corriere, estraneo ai fatti. Peccato per lui che i poliziotti della Squadra Mobile di Ancona e di quella di Frontiera di Roma Fiumicino hanno scoperto tutto e lo hanno arrestato per detenzione ai fini di spaccio di sostanza stupefacente. Il pacco, spedito in modo anonimo, era destinato a un quarantaseienne di Ancona che, nelle prime ore di venerdì, era andato a ritirarlo al centro di smistamento come se nulla fosse. Di certo, non si aspettava certo di essere subito fermato e arrestato dagli agenti che gli hanno sequestrato i dieci flaconi da un litro da cui poter ricavare 12 mila dosi: sul mercato, avrebbero fruttato 36mila euro. Dalle perquisizioni successive, sono state sequestrate anche numerose siringhe da insulina prive di ago, utili per il dosaggio del Gbl, nonché sette bustine di polvere cristallizzata (mefedrone). Per questo motivo, per l'uomo si sono aperte le porte del carcere anconetano di Montacuto e, ora, si tenta di risalire al mittente anonimo.
Andrea Ossino per “la Repubblica – Roma” il 31 ottobre 2021. I telefoni della "zarina del Ghb" sono in mano agli inquirenti. Tanto basta per far tremare illustri professionisti, politici e vip che negli ultimi due anni si sono rivolti a Clarissa Capone per acquistare la droga dello stupro o i fentanili consumati nei festini della Roma bene. Grazie all'operazione con cui i magistrati coordinati dal procuratore aggiunto Giovanni Conzo hanno arrestato 39 persone, indagandone altre 24 e interrompendo un giro d'affari da 5 milioni di euro realizzato grazie a sostanze psicotrope sempre nuove, i carabinieri del Nas hanno sequestrato i due cellulari della Capone. All'interno ci sono migliaia di numeri di telefono su cui adesso si stanno concentrando le attenzioni degli inquirenti. Il sospetto è che ci possano essere dei recapiti "bollenti". Del resto è la stessa Capone, non sapendo di essere intercettata, a rivelare i sul altolocato giro d'affari: «Calcola che quando ci stava il Festival del Cinema io là ci andavo con lo zainetto pieno cioè ci stavano giornalisti cioè ci stava di tutto e di più e da là poi so sono arrivata ad un politicoda che ti fai il giornalista la voce si espande, la voce è arrivata pure all'assistente del politico». Non solo politici e giornalisti. Nel lungo elenco di acquirenti figurano militari, dipendenti pubblici, dottori, professori, direttori di comunità per minori e funzionari di banca. « Il modus operandi della famiglia romana", ovvero della " batteria" capeggiata da Danny Beccaria con l'aiuto di Clarissa Capone, è caratterizzato dal " variare frequentemente i luoghi d'incontro, dal ricorso a veicoli a noleggio e dal al trasporto della sostanza tramite il servizio Glovo». Ed è proprio seguendo gli inconsapevoli corrieri che adesso gli inquirenti stanno confermando i loro sospetti. Il giro del gruppo si basava anche sui locali notturni della Capitale, come il "Frutta e Verdura - After Hour", un locale nella zona Sud di Roma molto frequentato dal gruppo. "Vivono al frutta e verdura", si legge nelle intercettazioni che rivelano un traffico di sostanza innovativo, dove i pusher si riforniscono nei "grandi magazzini virtuali , spesso attivi nel Web sommerso». Nei laboratori in giro per l'Europa vengono inventate sostanze sempre nuove. Dal 2005 ad oggi gli inquirenti ne hanno classificate quasi 500. Si tratta di composti non ancora classificati come droghe e inseriti nelle apposite tabelle. Quindi diventa difficile fermare il fenomeno. L'indagine del sostituto procuratore Giulia Guccione ha però alcune peculiarità. Per la prima volta è stata condotta un'indagine su sostanze stupefacenti che in realtà non erano ancora state classificate come tali. Un'innovazione che verrà ampiamente dibattuta nel processo che verrà.
Andrea Ossino per “la Repubblica – ed. Roma” l'1 Novembre 2021. Locali notturni, chem sex e chat criptate. L'indagine con cui la procura di Roma ha arrestato 39 persone, indagandone altre 24 e interrompendo un giro d'affari da 5 milioni di euro, attraversa il mondo delle nuove droghe psicotrope e alza il sipario dietro al quale illustri professionisti ordinano composti chimici a domicilio per consumarli in festini privati a base di sesso, droga e alcol. È tutto scritto negli atti dell'inchiesta coordinata dal sostituto procuratore Giulia Guccione e dall'aggiunto Giovanni Conzo. In queste ore l'attenzione dei magistrati si concentra sui telefoni sequestrati agli arrestati, in particolare sui due cellulari utilizzati da Clarissa Capone, gli stessi con cui la zarina del Ghb rispondeva a giornalisti, politici e imprenditori che la contattavano per organizzare serate trasgressive all'insegna di droghe che possono diventare letali. A destare l'interesse degli inquirenti sono anche e soprattutto le " chat segrete" contenute in quei cellulari. «Danny Beccaria, Clarissa Capone, Rosa Trunfio e il marito di quest' ultima Alberto Cortese - rivelano gli atti - dispongono di una nutritissima clientela che quotidianamente li contatta telefonicamente o mediante chat criptate per concordare gli acquisti dello stupefacente». Si tratta di «personalità politiche, di conduttori radiofonici e di appartenenti alle forze dell'ordine» , le cui conversazioni potrebbero essere celate dietro password che prima o poi verranno scardinate da chi indaga. Le difficoltà sono numerose, visto che gli indagati «invitano ripetutamente i clienti ad utilizzare Telegram per le comunicazioni e per le relative richieste od ordinativi, ritenendo, con ogni evidenza, la chat criptata più sicura per evitare intercettazioni». Gennaro Quarto, di origini campane, ufficialmente disoccupato e con reddito di cittadinanza, faceva affari d'oro con la "droga dello stupro", il Ghb, «sostanza rivenduta attraverso variegati canali riconducibili sia alle frequentazioni dei locali notturni che alle conoscenze maturate in coloro che organizzano festini a base di sesso e droghe». Per vendere tra i locali notturni occorreva la presenza fisica. I festini privati invece venivano raggiunti tramite conoscenze, con quella tattica dell'agganciare «il giornalista per poi arrivare al politico» che la Capone spiega in un'intercettazione. Questo secondo canale di vendita veniva mantenuto grazie a chat criptate in grado di arrivare «in ambienti molto più ristretti, spesso tra persone che si conoscono e si frequentano. Dato, questo, acquisito mediante analisi dei dati dei decessi ove la gran parte degli avvenimenti critici è maturata in conseguenza di cessioni tra persone che si conoscevano, spesso in occasione di festini a base di sesso e droghe chimiche, i cosiddetti "chem sex"».
Romina Marceca per “la Repubblica – ed. Roma” il 30 ottobre 2021. Rosa Trunfio, originaria di Avellino, era una stimata odontoiatra con studio a Napoli e docente di Medicina estetica all'università di Roma Tor Vergata. Ma fuori dall'ambulatorio e dalle aule, tra il 2019 e il 2020, era Lady Gbl, complice fidata di Danny Beccaria, il dominus della "famiglia romana" che nella capitale riforniva di droghe dello stupro politici, medici, forze dell'ordine e anche preti. Da quattro giorni la Trunfio è in carcere dopo il blitz dei carabinieri del Nas. «È andato tutto in rovina - racconta adesso il suo ex marito, un odontotecnico -. Il calvario è cominciato quando ha iniziato a fissarsi con la chirurgia estetica e è andata a Roma per un master. Il matrimonio è finito due anni e mezzo fa, ci siamo separati».
Cosa è successo?
«Non era più lei, era strana. Trascorreva spesso i fine settimana a Roma e non tornava a casa. Aveva iniziato a frequentare queste compagnie lontane dal nostro mondo. Tutta gente fissata col ritocco».
Alla sua ex moglie sono contestate cessioni di Gbl e di essere stata una mediatrice tra pusher di Napoli e Roma.
«Sono sconcertato da questa indagine, ho appena appreso del suo arresto. Gliel'avevo detto che quel giro di amici fissati con l'estetica l'avrebbe rovinata».
Però anche lei risulta tra gli indagati per avere ceduto il Gbl. Conosce Danny Beccaria?
«Con questa storia non c'entro nulla. La mia ex moglie nel 2007 ha iniziato il master, poi spesso era a Roma per l'insegnamento e qualche fine settimana venivo anche io ma per curiosità, per capire. In un locale gay ho conosciuto quei ragazzi, non ricordo nomi e nemmeno Danny Beccaria. Continuavo a ripetere a mia moglie: "Ma che ci fai tu qui?».
E lei cosa le rispondeva?
«Che erano persone normali e voleva frequentarle».
Le indagini hanno ricostruito che avete anche convissuto con Danny Beccaria.
«Ma io se dormivo a casa di qualcuno con mia moglie, rimanevo per una sola notte. Ma quale convivere, ma assolutamente no. Nego assolutamente».
Alcuni pacchi con il Gbl sono stati spediti anche nella vostra casa di Napoli.
«A mia insaputa, non ho mai visto un pacco sospetto nel mio appartamento. Quelle persone a casa mia non ci sono mai state».
Ha mai visto sua moglie assumere Gbl?
«Se ne ha fatto uso o se l'ha spacciata insieme a quei ragazzi, come dicono le indagini, è stata bravissima e io sono uno scemo perché non me ne sono accorto».
Perché si è separato?
«Ho voluto bene a Rosa. Ci eravamo conosciuti per motivi di lavoro 25 anni fa, abbiamo una figlia. Ma i quattro anni prima di lasciarci sono stati impossibili. Non c'era più intesa e ho anche pensato che avesse un altro uomo. Con mia figlia stiamo cercando di capire cosa ha combinato».
Lei lavorava in studio a Napoli con sua moglie. Adesso?
«Il nostro studio è in pericolo. Sto cercando un altro medico che sostituisca Rosa, altrimenti andranno a rotoli anche 25 anni di lavoro».
Marina Lucchin per ilgazzettino.it il 30 ottobre 2021. È partita da Padova l'indagine che ha portato all'arresto di don Francesco Spagnesi, il parroco di Prato coinvolto nello scandalo dei festini gay a base di droga dello stupro e cocaina. È finito in manette il 14 settembre scorso durante un'operazione della Squadra Mobile del capoluogo toscano, ma gli investigatori pratesi devono tutto ai colleghi padovani, coordinati dal sostituto procuratore Benedetto Roberti, che all'inizio del 2020 avevano chiuso l'Operazione G con nove indagati, tra le province di Padova, Vicenza e Treviso, finiti nei guai in parte per aver importato il Gbl dall'Olanda, nota anche come droga dello stupro, per poi rivenderla ai propri clienti, in parte per la cessione senza autorizzazione di medicinali, in particolare Cialis. Nell'ambiente la chiamavano Ciliegina, Fantasy o Filtro d'amore. Nomi che facevano sembrare innocuo quello che in realtà è un pericoloso stupefacente sintetico: la droga dello stupro. La squadra Mobile di Padova nell'ottobre 2019 ne aveva trovato un litro e mezzo nell'abitazione dell'imprenditore di Fossò (Venezia), Vanni Fornasiero, che di sera si trasformava in un organizzatore di eventi eleganti e trasgressivi in ville d'epoca o ambientazioni glamour. Feste rivolte principalmente al mondo gay, alcune in stile Eyes wide shut con tanto di obbligo di maschera sul viso. Il veneziano è stato arrestato per detenzione ai fini di spaccio. Oltre ai flaconi di Gbl, il 60enne aveva in casa anche diverse dosi di mefedrone, uno psicoattivo eccitante con effetti simili alla cocaina. Si tratta di una metanfetamina sintetica facilmente reperibile sul web. Con lui nei guai finirono anche Gabriele Sbrilli e l'architetto Federico Lucchin, di Noventa, di 46 e 51 anni, Nicolò Burughel, 35enne trevigiano, il vicentino 59enne Maurizio Vandello, il padovano Alessandro Pertile, 45enne, che gestisce un sexy shop all'Arcella, e ul 38enne albanese Sokol Haderaj. Sbrilli e Lucchin si sono rivelati veri e propri soci in affari per l'acquisto e spaccio di droga. L'uno col compito di ricevere i clienti nella loro abitazione di Noventa, l'altro, invece, col compito di reperire, a qualsiasi ora del giorno e della notte, non solo Gbl ma anche cocaina e mefedrone. Grazie al monitoraggio dei telefoni della coppia, ben presto la Mobile ha ricostruito la rete di clientela legata alla loro attività di spaccio di G o prosecco (la droga dello stupro), mefedrone (M), e di medicinali, quali Cialis, Viagra, Kamagra, in assenza di qualsivoglia autorizzazione, così come pure ai loro canali di rifornimento. I medicinali sono stati ritrovati anche nel sexy shop dell'Arcella. Sbrilli, Lucchin, Fornasiero e Brughel hanno patteggiato la pena in momenti diversi. Haderaj, Petrile e Vandello sono stati condannati, invece, con rito abbreviato. Da qui poi il ministero degli Interni ha richiesto alla polizia olandese, dove gli spacciatori si approvvigionavano, di avere i nomi di tutti gli italiani che compravano la droga dello stupro nei Paesi Bassi (ne compravano un litro a 100 euro e lo rivendevano a 1 euro al millilitro, guadagnando 900 euro). Essendo, infatti, un solvente che si usa nelle carrozzerie, bastava, infatti, acquistarla con un una partita Iva, anche fasulla. E qui c'è stata la scoperta: a settembre la polizia olandese ha fornito il malloppo di nomi. Durante le indagini, dunque, è finito nel mirino pure il parroco pratese. Il sacerdote è indagato anche per tentate lesioni gravissime visto che non avrebbe informato i suoi partner della sua sieropositività.
Claudia Rivelli e la droga dello stupro, arrestata la sorella di Ornella Muti. La strana difesa: "Serve per l'argento". Libero Quotidiano il 17 settembre 2021. Claudia Rivelli, attrice, sorella di Ornella Muti è stata arrestata perché stava per spedire a Londra al figlio Giovanni Leone - nipote dell’omonimo ex presidente della Repubblica - un litro di Gbl, la droga dello stupro. La donna, ex protagonista di fotoromanzi - 71 anni, dovrà rispondere di detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti. Mercoledì 15 settembre gli agenti di polizia giudiziaria si sono messi sulle tracce di un pacco "sospetto" e inseguendo il corriere sono arrivati davanti ad un elegante condominio di via della Camilluccia, quartiere ultra chic di Roma. Quindi, riporta il Tempo, hanno fatto un blitz nell'appartamento e si sono trovati davanti l'attrice. Nel pacco c’era un flacone da un litro di un liquido inodore e incolore (che poiè risultato essere droga dello stupro). Sul tavolo della cucina i poliziotti hanno poi trovato un altro flacone da un litro contenente la stessa sostanza, mentre un terzo flacone, identico, si trovava imballato sul divano. La Rivelli - che abita con la sua domestica, essendosi separata dall’avvocato Paolo Leone, figlio dell'ex presidente della Repubblica - ha spiegato che uno di quei flaconi avrebbe dovuto spedirlo al figlio Giovanni, residente a Londra. Quindi è stata arrestata. Al giudice Valentini, durante l’udienza di convalida dell’arresto, ha detto di non sapere che si trattasse di droga: "Io la uso per pulire l’auto di mio figlio e per lucidare l’argenteria. Per me è una specie di acquaragia. Me l’ha fatto scoprire mia madre, che la utilizzava da vari anni: prima di morire aveva chiesto a mio figlio di ordinarla su internet, ma invece di un flacone ne sono arrivati due. Ha pagato lui, io non sono pratica". "Lei ci vuole dire che usava la droga per fare le pulizie di casa?", ha chiesto il giudice. "Certo. Per me era un detergente come altri. Altrimenti una madre, sapendo che era droga, non l’avrebbe spedito al figlio. E il mio non fa uso di stupefacenti".
Giulio De Santis per il "Corriere della Sera" il 17 settembre 2021. Claudia Rivelli, la sorella di Ornella Muti, è stata arrestata con l'accusa di detenzione di stupefacenti ai fini di spaccio. Ieri l'attrice, 71 anni, è stata portata al Palazzo di giustizia per la convalida del provvedimento davanti al giudice Valentina Valentini: era finita in manette mercoledì nella sua abitazione in via della Camilluccia dove, nel corso di una perquisizione, la Polaria di Fiumicino aveva rinvenuto tre flaconi con un litro di Gbl, la cosiddetta «droga dello stupro». A difenderla in aula è stato l'ex marito, l'avvocato Paolo Leone, figlio dell'ex presidente della Repubblica Giovanni Leone. L'attrice, vestita con una camicetta gialla in seta e pantaloni beige, si è difesa dicendo di ignorare che il liquido nei flaconi fosse stupefacente. «È un prodotto che utilizzo per pulire gli oggetti d'argento di casa», ha detto alla giudice la Rivelli, comparsa come attrice in un solo film nel 1969 mentre la sua carriera si è sviluppata come protagonista di fotoromanzi. Poi ha sostenuto che un flacone doveva spedirlo al figlio Giovanni, che vive e lavora a Londra. Il magistrato, dopo aver convalidato l'arresto, ha disposto il suo ritorno in libertà senza condizionarlo ad alcuna misura restrittiva della libertà personale in virtù del fatto che non aveva precedenti penali. Il pubblico ministero Mario Pesci aveva invece chiesto la detenzione domiciliare. L'arresto è stato disposto a conclusione di un'inchiesta iniziata tre mesi fa sul traffico di Gbl. Sostanza per la quale era già finito in carcere a Milano lo scorso 25 agosto l'attore Ciro Di Maio. A condurre le indagini, la Polaria dell'aeroporto romano, dove da tempo si seguono le tracce di flaconi della «droga dello stupro» spediti dall'estero all'interno di pacchi studiati ad hoc. Ed è stata una di queste confezioni che ha messo in allarme gli agenti. Il pacco, prelevato da un corriere ignaro del contenuto, è stato portato inizialmente nell'abitazione della madre della Rivelli, Ilse Renate Krause, scultrice di origini estoni morta il 16 ottobre del 2020 all'eta di 91 anni. Da questo appartamento, un secondo corriere, anche lui all'oscuro del contenuto, il giorno dopo l'ha trasportato nella casa dove abita la sorella di Ornella Muti. La polizia, a quel punto, ha ottenuto un mandato di perquisizione per l'abitazione della Rivelli, dove è stato trovato lo stupefacente. Agli agenti lei ha subito detto che uno dei flaconi lo avrebbe spedito in giornata al figlio Giovanni. Specificando che il nipote dell'ex presidente della Repubblica utilizza il liquido per lavare la macchina a Londra. «Io invece lo uso per pulire casa», ha ribadito Claudia Rivelli, molto provata dalla notte trascorsa in cella. Che non si tratti tuttavia di detergenti ma di «droga dello stupro» è stato confermato da una consulenza disposta dalla Procura prima dell'inizio del processo. La giudice ha domandato all'attrice se fosse il figlio Giovanni a fare uso di stupefacenti. «Lo escludo», ha risposto seccamente la Rivelli. Che ha aggiunto un singolare dettaglio in questa storia: «È stata mia madre a scoprire questi detersivi...». È una versione credibile oppure è un estremo tentativo di difendersi? Dopo la convalida dell'arresto, il processo è stato fissato per febbraio. La Rivelli ha scelto di essere giudicata con rito ordinario.
Ciro Di Maio, dalla carriera in tv come conduttore all’arresto per spaccio di stupefacenti. Il conduttore, volto del canale Marcopolo e attore in alcune fiction, aveva ordinato un litro di «droga dello stupro» dall’Olanda. Il pacco è stato intercettato a Fiumicino. Cesare Giuzzi su Il Corriere della Sera il 26 agosto 2021. Un grande loft nella piccola Soho milanese di NoLo, tra viale Monza e piazzale Loreto. Un pacco spedito dall’Olanda e intestato alla sconosciuta «Mia Miao» con all’interno un flacone da un litro di Gbl, il gamma-butirrolattone. Noto alle cronache come «droga dello stupro» perché ha effetti narcotizzanti e può essere miscelato con acqua e altre bevande senza alterarne il sapore. Alla consegna però, al posto dei corrieri, c’erano i poliziotti della squadra Mobile. Il destinatario, martedì mattina, ha cercato di sviare gli agenti, ha detto non sapere nulla di quella spedizione. Ma la difesa è durata lo spazio di qualche minuto. Anche perché a suo carico risultava già un arresto per un altro pacco, stavolta dalla Cina, da 4 litri di Gbl. Ciro Di Maio, 46 anni, origini napoletane, ha ammesso di aver ordinato la droga e di farne anche uso da diverso tempo. Da quando, in sostanza, la sua carriera tra palcoscenico e televisione — anche tra i «Carramba boys» di Raffaella Carrà — aveva subito un brusco stop. Gli ultimi impegni dietro le telecamere quando era stato il volto «Diario di viaggio» per il canale Marcopolo. Ora Di Maio è rinchiuso in una cella di San Vittore con l’accusa di detenzione ai fini di spaccio di stupefacente. Oggi sarà interrogato dal gip Sara Cipolla che dovrà decidere sulla convalida dell’arresto e sull’applicazione della misura cautelare in carcere richiesta dal pm Leonardo Lesti. A carico dell’ex presentatore pesa anche il precedente del dicembre scorso quando era stato arrestato in flagranza con i 4 chili di stupefacente arrivati dalla Cina. Era poi stato scarcerato e per quella vicenda il processo dovrebbe iniziare tra un paio di mesi. Le indagini sono partite dopo una segnalazione della Polaria di Fiumicino. Gli agenti hanno avevano avviato da tempo un monitoraggio sul traffico di sostanze sintetiche in arrivo da Olanda e Nord Europa legato alle feste clandestine in occasione del lockdown e al fenomeno dei rave party illegali. Ma non solo, perché il Gbl viene utilizzato anche durante festini a sfondo sessuale perché aumenta il piacere e innalza la soglia del dolore. Proprio questo sarebbe il canale su cui adesso si stanno concentrando le indagini dei poliziotti milanesi, diretti da Marco Calì. Di Maio negli ultimi mesi aveva aperto alcuni profili su piattaforme (come OnlyFans) dove si faceva pagare per accedere a foto e video. In casa aveva un altro flacone di Gbl (0.5 ml) con un dosatore. Dalla droga sequestrata sarebbe stato possibile ricavare 1.400 dosi: gli esami della polizia scientifica hanno confermato una percentuale di principio attivo del 70%. Per gli inquirenti, quindi, è escluso che potesse trattarsi solo di un consumo personale. Sono già partite le analisi su cellulare e supporti informatici sequestrati nel loft. L’esordio televisivo di Di Maio risale al 1988 tra i ballerini al fianco di Raffaella Carrà nella trasmissione «Carramba che fortuna!». Poi le comparsate nella fiction «Un posto al sole», «Le tre rose di Eva 3», «Un medico in famiglia 9», «Padri e figli». Nel 2000 il palcoscenico con l’edizione italiana di «Naked boys singing» al teatro Colosseo di Roma: in scena rigorosamente senza veli. Nel 2009 il programma di maggior successo con la conduzione per Marcopolo di «Diario di viaggio» girato «in 30 paesi diversi, in 5 continenti». L’epilogo della carriera è però affidato ai social: una foto su Instagram senza veli (censurata) e le piattaforme online di scambio di foto e video pornografici.
Da repubblica.it il 25 agosto 2021. Si sarebbe fatto inviare dall'Olanda nella sua casa di Milano circa un litro di Gbl, ossia la cosiddetta “droga dello stupro”. Per questo è stato arrestato per detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti il conduttore tv e attore Ciro Di Maio, 46 anni, su disposizione del pm di turno di Milano Leonardo Lesti nelle indagini della Squadra mobile. La sostanza è stata sequestrata. Nel suo sito personale si legge che Di Maio "dal 2009 è il volto del canale Marcopolo per il quale cura e conduce il programma televisivo di successo 'Diario di viaggiò girato in 30 paesi diversi in 5 continenti". L'arresto si inserisce nell'ambito di accertamenti in una più ampia indagine della Squadra mobile, partita mesi fa e già nel periodo del lockdown, sulla diffusione in feste private delle droghe, tra cui anche il Gbl, ossia il gamma-butirrolattone (liquido incolore che ha effetti simili ai barbiturici e può essere miscelato in acqua o altre bevande). La Polaria ha individuato un pacco sospetto all'aeroporto di Fiumicino e gli investigatori hanno seguito la consegna fino a casa del conduttore. Inizialmente il 46enne avrebbe detto di non c'entrare nulla con quella spedizione, ma poi avrebbe spiegato che era per lui perché, a suo dire, è un consumatore di quella sostanza. Pare che nella casa di Ciro Di Maio sia stata trovata altra quantità della stessa sostanza. Tra l'altro, a quanto riferito, Di Maio era stato già arrestato diversi mesi fa perché con lo stesso sistema si sarebbe fatto inviare quattro litri di Gbl dalla Cina. Da un litro di Gbl si ottengono circa 1400 dosi. La droga, che in Olanda viene venduta legalmente, era stata spedita, assieme ai flaconcini per le dosi, nell'abitazione del conduttore, ma l'indirizzo del destinatario, a quanto si è appreso, conteneva generalità diverse. L'arresto dovrà essere convalidato dal gip che deciderà anche sulla misura cautelare.
Chi è Ciro Di Maio, una carriera in tv. Nel sito del conduttore si legge che il 46enne, nato a Napoli, è stato "inviato per vari programmi" tv e "ha realizzato e condotto" diversi "prodotti televisivi: dai reportage e programmi rotocalchi in studio di cucina, moda, design, arte e fotografia". E ancora: "Nel suo background anche partecipazioni come attore in fiction e film tv come "Le tre rose di Eva 3", "Un Medico In Famiglia 9", "Un posto al sole", "Padri e figli"". Ha esordito, si legge ancora, "con Raffaella Carrà nel 1988 in "Carramba che fortuna!"".
Gbl: cos'è la droga dello stupro. La Glb - sigla che sta per acido gamma-butirrolattone - è conosciuta come "droga dello stupro". Inodore e incolore, può essere aggiunta a qualsiasi bevanda senza che chi accosta il bicchiere alla bocca e beve si accorga di qualcosa. Ha un costo molto contenuto e bastano poche gocce per causare effetti quasi immediati: rapida perdita dei freni inibitori, un senso di rilassamento e in alcuni casi anche amnesie. Una droga che è stata usata in molti casi di violenza sessuale: le vittime, infatti, perdono la forza di opporre resistenza e spesso non ricordano di aver subito abusi. Ma è anche una sostanza che viene utilizzata in modo più o meno consapevole, per facilitare il sesso e aumentarne la durata. Rimane però una droga molto pericolosa: se mischiata con farmaci o alcol, può addirittura risultare mortale.
(ANSA il 26 agosto 2021) "Non sono uno spacciatore, la sostanza non era destinata a feste o altro, era per me, ne sono dipendente da molti anni ormai e sto cercando di seguire un programma terapeutico che prevede di 'scalare' riducendo mano a mano il consumo". Così, in sintesi, si è difeso stamani, davanti al gip Sara Cipolla, Ciro Di Maio il conduttore tv e attore arrestato due giorni fa a Milano per essersi fatto inviare un litro di Gbl, liquido conosciuto anche come “droga dello stupro”, dall'Olanda. "E' seguito da un medico - ha spiegato l'avvocato Nadia Savoca - e sta seguendo un percorso terapeutico che prevede l'assunzione in dosi sempre minori". La difesa, dopo l'interrogatorio, ha chiesto al gip che venga applicata a Di Maio, rinchiuso per ora a San Vittore, una misura meno afflittiva, ossia o i domiciliari o l'obbligo di firma. Obbligo di firma che, tra l'altro, il 46enne, che conduceva programmi di viaggi sul canale Marcopolo e che ha recitato in diverse fiction, aveva ottenuto già dal giudice del processo in corso a suo carico, sempre per detenzione ai fini di spaccio, per un altro ordine di 4 litri di Gbl dalla Cina lo scorso dicembre. Il pm Leonardo Lesti, invece, ha chiesto al gip che il conduttore resti in carcere. Di Maio di fronte al gip, in sostanza, ha ribadito quanto aveva detto agli agenti che lo hanno arrestato, ossia che quel litro di droga sintetica era per "uso personale, perché ne sono dipendente da tanti anni". Dipendenza che, come chiarito dall'avvocato, la difesa ha voluto provare anche "depositando documentazione medica, dato che sta seguendo un trattamento terapeutico: il medico gli ha prescritto l'assunzione della sostanza in dosi minori, perché non si può interrompere di botto l'assunzione". La terapia, ha chiarito ancora l'avvocato Savoca, "prescrive l'assunzione di 2 ml ogni 2 ore e comunque fino ad un massimo di 5 dosi giornaliere". Il conduttore, ad ogni modo, "ne stava assumendo di più, perché non sempre riesce a seguire il programma". "E' molto provato - ha aggiunto il legale - ha problemi di salute ed è impaurito". La difesa ha spiegato, inoltre, che il Gbl si può acquistare on line "e in Olanda viene venduto legalmente". Con una consulenza difensiva, ha proseguito, "abbiamo dimostrato, poi, che quel prodotto si può comprare solo in quelle determinate quantità, lui non poteva comprare meno di un litro perché in quelle quantità viene venduto". Infine, per il legale "non c'è alcun elemento agli atti che provi lo spaccio, non sono stati trovati soldi o altro".
Violenta l'amichetta della figlia: 30enne rischia il linciaggio. Rosa Scognamiglio il 23 Agosto 2021 su Il Giornale. Un trentenne è accusato di aver violentato l'amichetta dodicenne della figlia. L'uomo è stato linciato in strada da un gruppo di residenti. Avrebbe stuprato l'amichetta 12enne della figlia e immortalato la violenza con la fotocamera dello smartphone. Per questo motivo un 30enne del quartiere Pilastro di Bologna è in stato di fermo con l'accusa di violenza sessuale su minore. L'uomo è stato linciato in strada da un gruppo di residenti capeggiato dal papà della ragazzina.
I fatti. Stando a quanto riferisce Il Resto del Carlino, i fatti risalgono a cinque giorni fa. Il presunto abuso si sarebbe consumato all'interno di un appartamento Acer del quartiere Pilastro di Bologna, nel centro storico del capoluogo felsineo. La vittima, una ragazzina poco più che dodicenne, sarebbe stata stuprata in casa del 30enne salvo poi dileguarsi subito dopo la violenza. Di ritorno a casa, si sarebbe rintanata nella propria camera rimanendo in silenzio per qualche giorno. Preoccupati dalla condotta anomala, i genitori avrebbero chiesto conto alla figlioletta della scelta di isolarsi. A quel punto, la dodicenne avrebbe vuotato il sacco svelando i dettagli del drammatico accaduto.
La spedizione punitiva. Appresa la terribile confessione, il papà della ragazzina si è precipitato a casa del presunto aggressore mentre un gruppo nutrito di residenti si è radunato in strada per dargli manforte. Dopo esser stato trascinato fuori dall'abitazione, il sospettato è stato assaltato da circa una trentina di persone pronte a vendicare il terribile oltraggio. Alcuni vicini di casa, ritenendo che si trattasse di una rissa, hanno allertato la polizia. Per fortuna, l'ntervento propiziatorio degli agenti ha evitato il peggio: l'uomo aveva già un occhio pesto ed era sanguinante in volto. Scoperta la trama dell'aggressione, i poliziotti hanno scortato immediatamente il 30enne in questura l'interrogatorio di rito.
"Era consenziente". Stando a quanto avrebbe raccontato il sospettato, la dodicenne avrebbe espresso consenso al rapporto. "Lei era consenziente, se non avesse voluto non avrei fatto nulla", ha rivelato l'indagato. Ma dei video sullo smartphone sconfesserebbero le sue dichiarazioni gettando ombre sul grave accaduto. In attesa di approfondire la drammatica vicenda, il 30enne è in stato di fermo nel penitenziario di Dozza: dovrà rispondere del reato di violenza sessuale su minore. La sua famiglia avrebbe lasciato il quartiere di tutta fretta non appena appresa la notizia. La dodicenne, invece, è stata accompagnata all'ospedale di Sant'Orsola di Bologna per tutti gli accertamenti del caso.
Rosa Scognamiglio. Nata a Napoli nel 1985 e cresciuta a Portici, città di mare e papaveri rossi alle pendici del Vesuvio. Ho conseguito la laurea in Lingue e Letterature Straniere nel 2009 e dal 2010 sono giornalista pubblicista. Otto anni fa, mi sono trasferita in Lombardia dove vivo tutt'oggi. Ho pubblicato due romanzi e un racconto illustrato per bambini. Nell'estate del 2019, sono approdata alla redazione de IlGiornale.it, quasi per caso.
Domenico Pecile per corriere.it il 13 agosto 2021. «Adesso la cosa più grande, la più importante è il silenzio perché il dolore è troppo. È vero, non ci ho pensato su due volte e sono partito come un missile verso quell’appartamento. Non ricordo quel tratto di strada tanta era la rabbia che provavo. Ho bussato, ho suonato. Niente. E allora ho sfondato la porta a spallate. Volevo vederli in faccia. Uno a uno. Si sono chiusi a chiave in una stanza. Li sentivo piagnucolare... Conigli. Poi hanno gridato aiuto, sì, pazzesco, loro chiedevano di essere aiutati dopo quello che avevano fatto a mia figlia. Le loro grida hanno richiamato alcuni condomini. Ho desistito, distrutto, vinto, incredulo». A parlare è Mario (nome di fantasia, ndr) il padre della ragazza 18enne che martedì pomeriggio sarebbe stata violentata in un appartamento di Lignano Sabbiadoro da cinque ragazzi italiani, di cui uno minorenne, tutti senza precedenti, ma che adesso sono indagati per violenza sessuale. La collera, il rancore, il livore, il desiderio di vendetta hanno lasciato il posto alla tristezza, alla mestizia, all’incredulità. Mario scuote la testa, poi aggiunge: «Mia figlia? Non lo so, ma credo stia metabolizzando quello che ha subito. Ci ha parlato, ci ha riferito. Non è stato facile per lei. Ci vorrà tempo, lo so. Per lei soprattutto, ma anche per noi. E so già che qualcuno azzarderà commenti improvvidi. Vede, la verità è che il lupo è sempre in agguato. Ed è davvero folle pensare che le ragazzine se la vanno a cercare. Si fidano, sono giovani. Erano le tre del pomeriggio o giù di lì. Cose impensabili ai nostri tempi. Io confido nella giustizia». Già, Mario confida nella giustizia, eccome. «Anche se — aggiunge — sono consapevole che potrei essere denunciato perché ho violato la proprietà privata. Ma non mi preoccupo di questo. Non è nemmeno vero che avrei voluto farmi giustizia da solo. Mia figlia mi aveva raggiunto in spiaggia. Era stravolta. Mi ha raccontato, avrei voluto chiamare la polizia, ma ero senza il cellulare. Quando sono arrivate le forze dell’ordine un poliziotto mi si è avvicinato. Ero stravolto, fuori di me, disperato. Lui si è avvicinato e ha detto «mi metto nei suoi panni, capisco». Mi sono sentito meno solo, meno triste. Voglio soltanto che mia figlia... lei parla, ci parla, ma cerchiamo di non crearle ansia. Sì, confido nella giustizia». Intanto ieri, il vice questore di Udine Massimiliano Ortolan, che coordina le indagini, ha chiesto al pm un nuovo interrogatorio della ragazza alla presenza di una psicologa. «La nostra richiesta — precisa — è motivata dal fatto che a nostro avviso la giovane è parsa molto provata, vulnerabile, sofferente». Lo stesso Ortolan ha fatto sapere che i cellulari dei cinque ragazzi, ma anche le lenzuola, sono stati posti sotto sequestro. Gli effetti personali serviranno per un confronto di tracce di Dna con quello degli indagati. Loro hanno sostenuto che la ragazza fosse consenziente e sono andati via da Lignano. Non sono state emesse misure cautelari e non hanno vincoli di permanenza in Friuli-Venezia Giulia: sono tornati in Veneto, Lombardia e Piemonte.
Roma, due ragazze stuprate nel sonno dopo una festa: caso sconcertante, chi è uno degli accusati. Libero Quotidiano il 18 giugno 2021. Una festa spensierata tra amici si è trasformata in un incubo per due ragazze, una delle quali minorenne. Le due sarebbero state stuprate nel sonno dopo un party. Sulle violenze, avvenute a Roma, stanno indagando gli agenti del commissariato di polizia Porta Pia, i quali avrebbero già individuato i tre presunti responsabili. Due sono agli arresti domiciliari, mentre la posizione del terzo - in quanto minorenne - è al vaglio della Procura dei minori. I due arrestati sono studenti di 20 anni con piccoli precedenti per stupefacenti. Le indagini sono partite - come riporta il Giorno - dopo la denuncia di un'universitaria di venti anni, che ha fatto poi emergere un’altra storia di abusi simile avvenuta qualche mese prima sempre nella Capitale. Le vicende, infatti, sono praticamente uguali: si tratta di ragazze che al termine di feste con amici in cui hanno bevuto alcolici, si sono addormentate e al risveglio hanno trovato dei ragazzi che abusavano di loro. Il primo episodio risale allo scorso febbraio, quando un gruppo di universitari ha organizzato una festa in un appartamento per festeggiare un esame. La studentessa ha raccontato ai poliziotti di essersi addormentata e di essere stata svegliata da un suo amico che la stava violentando. Il secondo episodio invece risale al novembre dell'anno scorso: una 17enne ha riferito anche lei di essersi addormentata dopo una festa in un B&B a Trastevere. La ragazza si sarebbe risvegliata mentre tre amici stavano abusando di lei. Uno di loro sarebbe lo stesso indagato per la prima violenza.
Alessia Marani per "il Messaggero" il 18 giugno 2021. Fare bere le ragazze fino a stordirle per poi abusarne sessualmente. Le gang che animano la malamovida dei giovanissimi a Roma, questa volta, si sono spinte oltre ogni limite. «Vabbè abbiamo bevuto, ci stavano, era normale». Hanno tentato di giustificarsi così D.V.P.A. e A. L., due amici ventenni, quando gli agenti del Commissariato Porta Pia diretto da Angelo Vitale hanno bussato alle loro porte nei quartieri di Trastevere e di Monteverde per notificare loro le misure di custodia cautelare: arresti domiciliari e braccialetto elettronico per entrambi disposti dal gip e poi confermati dal Tribunale del Riesame. Una storia che richiama alla mente quella del figlio di Beppe Grillo, Ciro, e di tre suoi amici, accusati dalla Procura di Tempio Pausania, in Sardegna, di avere stuprato una 19enne al termine di una serata da sballo nell' estate di tre anni fa a Porto Cervo: prima la discoteca, poi le bevute a casa di uno di loro.
I FATTI Uno dei ragazzi romani, D.V.P.A. è accusato di una duplice violenza: la prima ai danni di una 21enne, abusata a febbraio al termine di una festa tra universitari nella zona di piazza Bologna, l'altra, avvenuta nel novembre scorso, nei confronti di una liceale di soli 16 anni, questa volta vittima di uno stupro di gruppo all' interno di un b&b trasteverino affittato per rompere la noia del coprifuoco. Per questo episodio, oltre ai due maggiorenni, è al vaglio della Procura minorile anche la posizione di un terzo ragazzo, un diciassettenne. Quelle ragazze, al contrario di quanto hanno provato a sostenere i loro aguzzini, però, non «ci stavano» affatto. Anzi, sono tuttora sconvolte e la minorenne ha riportato anche i segni e i lividi della violenza, per cui i tre sono chiamati a rispondere anche delle lesioni. Gli aggressori, infatti, secondo l'accusa, hanno agito con l'aggravante della minorata difesa, che si configura quando il reato viene commesso approfittando della debolezza della persona offesa. La liceale di quella notte da incubo non aveva parlato con nessuno, non era riuscita a confidarsi nemmeno con i genitori. È stato scavando nelle abitudini e nei profili - anche social - di D.V.P.A., identificato e denunciato per la violenza di piazza Bologna, che i poliziotti sono riusciti a risalire alla sua dolorosa vicenda.
LE RISSE Gli agenti si rendono conto che il ventenne fa parte di una delle gang che animano i pomeriggi e le notti fuori dalle regole della Capitale. Risse, prepotenze e prevaricazioni sono all'ordine del giorno. Come il suo amico - entrambi hanno piccoli precedenti di polizia per droga - non studia e non lavora. Trascorre il tempo tra aperitivi e feste alcoliche. Gli agenti raccolgono i rumors tra le comitive di Roma Nord. Alla fine si rendono conto che la violenza sulla 21enne, forse, non era un caso isolato. È una ispettrice che si occupa di violenze di genere e reati sui minori che avvicina la sedicenne e, giorno dopo giorno, la convince a tirare fuori il dramma che nasconde.
IL VIDEO La ventunenne raccontò di essersi addormentata a casa di amici dopo una festa per un esame superato in cui avevano consumato molto alcol, e poi di essere stata svegliata da un amico che la stava molestando sessualmente. Nel telefonino di D.V.P.A gli inquirenti hanno trovato anche immagini di quella serata. La sedicenne ha riferito un copione simile: «Mi sono addormentata dopo una festa e mi sono risvegliata con addosso tre ragazzi». I tre l'avevano richiamata con una scusa, dopo che era già scesa in strada. Con un messaggino l'avevano invitata a tornare sopra, «sali hai dimenticato qualcosa». Stordita e senza la possibilità di difendersi, la ragazzina è caduta in trappola. Il timore è che la gang abbia agito anche in altre occasioni, con un modus operandi da stupratori seriali sulla scia di alcol e movida.
Marco Gasperetti per il "Corriere della Sera" il 13 giugno 2021. I video e le fotografie nascosti, forse, nella memoria di due o tre smartphone. Potrebbe arrivare mercoledì dalla loro analisi la verità sul presunto stupro denunciato da una studentessa universitaria di 21 anni. L'inchiesta ha portato all'arresto di tre giovani: Manolo Portanova, 21 anni, calciatore del Genoa e della Nazionale Under 20, Alessio Langella, 23 anni, zio di Manolo e Alessandro Cappiello, 24. Un 17enne invece è stato denunciato a piede libero alla Procura dei Minori di Firenze. La ragazza ha raccontato che i suoi presunti violentatori hanno scattato foto e video mentre lei cercava di difendersi. Gli indagati hanno fornito una versione opposta dicendo che non c'è stata alcuna violenza e che la studentessa era consenziente. Ed è per questo che mercoledì in Procura a Siena ci sarà un incidente probatorio, accertamento irripetibile che potrebbe cristallizzare le eventuali prove sui telefonini dei presunti violentatori. Solo allora si saprà se i filmati esistono e se possono chiarire cosa è successo la notte del 30 maggio in un appartamento a due passi da Piazza del Campo. Tutti vogliono vederle quelle immagini. L'accusa perché è certa che lo stupro ci sia stato, la difesa degli indagati perché convinta che quel rapporto sia stato consenziente. «C'erano molte persone e nessuno ha confermato le violenze denunciate - spiega Duccio Panti, uno dei legali dei giovani sotto accusa -. Se ci sono filmati li valuteremo, ma già adesso ci sono testimonianze diverse». Agli atti dell'inchiesta ci sono infatti elementi contrastanti. Come un messaggio vocale inviato dalla ragazza a un cugino in cui avrebbe detto: «Ho partecipato a un'orgia». Anche la presunta vittima avrebbe chiesto al suo avvocato, Jacopo Meini, di visionare le immagini. «Ho visto i miei violentatori scattare foto e video - ha raccontato -. Me li sono trovati davanti, in tre. Ho tentato di fermarli, ho cercato di fuggire ma mi hanno immobilizzata e hanno continuato a scattare foto. Vedevo i flash dei telefonini». Un particolare che viene confermato anche nella misura cautelare nei confronti di Portanova, Langella e Cappiello. I presunti responsabili avrebbero agito con premeditazione con una «definitiva insensibilità verso la ragazza» dimostrata dalla «gratuità degli atti di violenza sessuale e l'animalesco bagaglio di strumenti a disposizione», ovvero i telefonini con i quali avrebbero fotografano e filmato la scena. Agli investigatori la ragazza ha detto di aver sognato di poter cominciare una storia con Manolo Portanova. «Ci eravamo conosciuti da tre settimane, quel ragazzo mi piaceva tantissimo - ha raccontato -: mi stavo innamorando e avevo deciso di passare una notte con lui». È il 30 maggio. La studentessa trascorre il pomeriggio e la sera in un locale del centro storico di Siena. Poi l'invito di Portanova in un appartamento a due passi da Piazza del Campo. Lei acconsente, spera nell'inizio di un amore. Ricorda che, dopo una decina di minuti, la porta della camera si apre lentamente. Uno spiraglio di luce tenue, altre persone entrano nella stanza. Presenze che sente sempre più vicine e minacciose. Quando il presunto stupro finisce la ragazza racconta tutto a una sua amica. Pare addirittura che prima delle violenze la studentessa abbia inviato all'amica un messaggio: «Mi stanno molestando, aiutami».
Da "Ansa” il 13 giugno 2021. Derubata e violentata in casa: è successo a una donna di quasi novant'anni di Lomazzo, nel Comasco. Venerdì sera dopo le 21 la donna ha sentito dei rumori in cucina e quando è andata a controllare ha trovato un uomo che stava frugando. Alla vista dell'anziana lui non è scappato ma anzi l'ha aggredita e portata in un'altra stanza dove le ha usato violenza. Poi è scappato portando via il cellulare della novantenne, che comunque non si è persa d'animo, è uscita di casa ed è andata da uno dei figli che ha chiamato i carabinieri. E proprio la descrizione precisa del ragazzo e il fatto che lo avesse già visto in giro negli ultimi giorni ha permesso ai militari di identificare un senza tetto di origini nigeriane che da qualche tempo aveva trovato rifugio in un edificio abbandonato. Quando sono andati sul posto hanno trovato lui e il telefonino dell'anziana. Così Destiny Dike, 26enne nigeriano a cui era stato rifiutato l'asilo, è stato arrestato. "Un clandestino nigeriano di 26 anni e con precedenti ha rapinato e violentato una 89enne. È successo in provincia di Como. Un fatto sconcertante che lascia senza parole. Tutta la mia solidarietà e vicinanza alla signora e alla sua famiglia. Servono porti chiusi, espulsioni, certezza della pena. Attendiamo parole chiare soprattutto dal Viminale: dall'inizio dell'anno sono sbarcati in 15.375, contro i 5.521 dell'anno scorso e i 2.144 dello stesso periodo del 2019". Lo dice il leader della Lega Matteo Salvini.
Riceviamo e Pubblichiamo. Dago, vicino como, una novantenne è stata rapinata e stuprata da un ventiseienne clandestino nigeriano: lo hai letto da qualche parte sui nostri giornaloni? No è la risposta! Se un fatto del genere lo avesse compiuto un italiano, su repubblica non parlerebbero d'altro da giorni, ma dato che chi ha commesso questo crimine schifoso, è un africano arrivato col barcone, tutti i giornaloni italiani evitano accuratamente di parlarne! Magari ora, dato che Salvini ci ha fatto un tweet, ne parleranno in centesima pagina...E la boldrini dov'è? Non ne parla mica lei: questo ominide qua è una delle sue risorse, è una "delle avanguardie del nostro prossimo stile di vita...": ma che bello stile di vita del cazzo che avremo! E povere le future nonne italiane: dovranno uscire di casa col bazooka, se vorranno difendersi dal nuovo stile di vita...Sono disgustato, non se ne può più di fatti del genere, oramai le anziane stuprate dai migranti iniziano ad essere parecchie! Dago: auguro a questo nigeriano infame, una vita triste e corta, seguita da una morte molto lenta e dolorosa!
PS cari sinistri, visto che siete voi a chiedere l'accoglienza di questi ominidi, fateci almeno un favore: date loro le vostre donne (in special modo le vostre nonne) per far placare le loro voglie. Mi pare che sia una cosa giusta, o no? I pro-accoglienza siete voi, siete voi che dovete occuparvi degli immigrati che rubano, che spacciano, che stuprano e che ammazzano.
Cari tristi radical chic, il prossimo destiny dike che arriverà su di un barcone, io spero che sarà uno di voi che se lo troverà dinanzi in una strada buia... E questa non è cattiveria da parte mia: questa sarebbe solo GIUSTIZIA!
Francesco Polidori
"Era una tr...". E nel caso Grillo la vittima si ritrova "imputata". Francesca Bernasconi il 9 Giugno 2021 su Il Giornale. Incolpare la vittima di violenza sessuale per scaricare su di lei la responsabilità dello stupro: così si mette in atto la vittimizzazione secondaria. Il victim blaming anche dietro il caso Grillo. "Era una tr...", si leggerebbe in una delle chat finite al centro delle indagini sul presunto caso di violenza sessuale che ha coinvolto Ciro Grillo, figlio del fondatore del Movimento 5 Stelle, e altri tre ragazzi. Una frase che suona quasi come un "se l'è cercata", che sta alla base del processo di colpevolizzazione delle vittime di un crimine, noto come victim blaming. "Si tende a incolpare la vittima di aver provocato o stimolato la violenza. Così lei si ritrova sul banco degli imputati", ha spiegato a IlGiornale.it la psicologa forense Francesca De Rinaldis.
Che cos'è il victim blaming?"Davanti a fenomeni come quello della violenza sessuale si assiste spesso al processo di colpevolizzazione della vittima, che in termini tecnici prende il nome di vittimizzazione secondaria. Si tratta di un processo a cui viene sottoposta la vittima, per cui si tende a ricercare all'interno delle caratteristiche di personalità, comportamento e stili di vita, tracce di una sua presunta responsabilità o corresponsabilità. Si tende cioè a incolpare la vittima di aver partecipato, provocato o stimolato la violenza sessuale subita. Così facendo la vittima si trova posizionata sul banco degli imputati e il processo viene spostato sulla ricerca di indizi di colpevolezza di chi ha subito violenza, piuttosto che sulle caratteristiche comportamentali o offensive dell'autore del crimine".
La paura di una colpevolizzazione può indurre la vittima a non denunciare?
"Assolutamente sì. Spesso il processo di vittimizzazione secondaria funge da deterrente nella denuncia. La vittima infatti per evitare di trovarsi bersagliata e sottoposta a giudizio, per un senso di protezione, vergogna e paura di un'etichettamento, rinuncia a denunciare, così da non esporre se stessa alle conseguenze di questi atteggiamenti da parte della società".
Quali effetti può avere il victim blaming su una vittima di violenza sessuale?
"Dal punto di vista psicologico spesso assistiamo a una perdita dell'autostima, del valore di sé, e a profondi vissuti di autoaccusa, quindi all'attivazione di un giudizio molto severo nei confronti di se stessi, del proprio comportamento e stile relazione. In contesti più delicati possono attivarsi anche dei vissuti depressivi, di chiusura sociale e relazionale e conseguenze a lungo termine, che spesso determinano anche risvolti psicopatologici abbastanza severi, con ricadute sul piano relazione, affettivo e sulla vita sessuale. La violenza in sé produce effetti negativi e destabilizzanti sul piano della personalità. Ma non è per tutti uguale: la reazione è soggettiva e persone dotate di meno risorse personali e sociali possono attraversare vissuti più traumatizzanti. Non c'è un termine esatto per stabilire quando, come e dove le conseguenze della violenza emergeranno. Spesso lo stereotipo porta a credere solo alla vittima che manifesta le conseguenze della violenza nell'immediato, mentre la persona che denuncia tardivamente e che ha continuato a condurre apparentemente una vita normale rischia di essere giudicata come mendace".
Anche nel caso Grillo il fatto che la ragazza avesse fatto kite surf la mattina dopo ha fatto discutere.
"Questo perché, secondo lo stereotipo sociale, la vittima avrebbe dovuto essere annientata fin da subito. L'idea alla base è la seguente: se tutti notano le conseguenze allora c'è stata violenza, ma se la società ha visto la vittima condurre una vita adattata, allora lei sta mentendo".
Questa idea, inserita anche nel video Beppe Grillo, può essere considerata una forma di victim blaming?
"Senza entrare nel merito della vicenda sotto il profilo investigativo e giuridico, appare proprio come se ci fosse una deresponsabilizzazione del comportamento, uno scarico di responsabilità sulla vittima e quindi una sorta di auto-assoluzione da parte di colui o coloro che la Giustizia stabilirà essere o meno autori del crimine. In questi casi, siccome può apparire che la vittima dopo il fatto si sia comportata in modo apparentemente normale, allora l'offender ritiene di non aver fatto nulla di grave e che lei abbia accettato e normalizzato ciò che è successo".
Quindi la colpevolizzazione può essere una strategia difensiva?
"Dal punto di vista psicologico l’attribuzione di responsabilità alla vittima può rappresentare un meccanismo di difesa che mette in atto l'offender per normalizzare un proprio comportamento. È un meccanismo proiettivo, una difesa psicologica che porta a spostare la responsabilità da sé alla vittima. Quindi si tratta, da una parte, di una deresponsabilizzazione e, dall'altra, di un'attribuzione di responsabilità alla vittima".
Anche la condivisione tra i ragazzi di racconti e video può essere un meccanismo volto alla colpevolizzazione della vittima?
"No, in questo caso subentrano altri due meccanismi. Il primo è la deumanizzazione della vittima, che viene considerata un oggetto, veicolo di soddisfacimento del proprio piacere e, per alcuni aspetti, una prova oggettiva della propria virilità. Il secondo è il bisogno narcisistico di farsi conoscere in modo positivo dal gruppo dei pari attraverso un comportamento di successo e affermazione sessuale. E l'intento non è denigrare la vittima, ma esporre se stessi a un'accettazione sociale e riconoscimento. La divulgazione di foto filmati apre a un'altra riflessione. Nel caso Grillo, come in altre storie, è presente la divulgazione di foto e video ad un numero alto di persone, spesso nemmeno quantificabile, e questo porta la vittima a essere esposta alla violenza in maniera ancora più invasiva che si ripete in modo ciciclo: pensare che un elevato numero di persone abbia visto i video può provocare conseguenze gravi sullo stato di benessere psico-esistenziale della vittima. Basti pensare al fatto che, anche in ragione di ciò, c’è chi è arrivato a compiere gesti suicidiari, soccombendo a questo senso vergogna provocato dalla diffusione di filmati e immagini"
È possibile fare prevenzione in questo senso?
"Temo che ancora oggi siamo ancorati a una visione atavica sui ruoli della sessualità maschile e femminile. Per questo c'è bisogno di un'educazione sul rispetto della sessualità, del proprio corpo e di conseguenza anche di quello dell'altro. Sarebbe opportuno focalizzarsi sull'educazione al rispetto del proprio corpo e sull'educazione emotiva fin dalle scuole elementari, lavorando sul riconoscimento emotivo e sul rispecchiamento empatico".
Francesca Bernasconi. Nata nel 1991 a Varese, vivo tra il Varesotto e Rozzano. Mi sono laureata in lettere moderne e in scienze della comunicazione. Arrivata al Giornale.it nel 2018, mi occupo soprattutto di cronaca, ma mi interesso di un po' di tutto: da politica e esteri, a tecnologia e scienza. Scrivo ascoltando Vasco Rossi.
Filippo Facci per "Libero Quotidiano" il 26 maggio 2021. Un quotidiano ha titolato addirittura «Milano da stuprare» solo sulla base dell'orrendo caso Genovese (novembre 2020) e di quello recente di Antonio Di Fazio, un altro riccone arrestato venerdì perché dedito a stordire e violentare: questo mentre troneggia il caso Grillo (Ciro) che al pari degli altri non è stato neppure rinviato a giudizio, anche se giornali e televisioni l'hanno già - il caso - periziato e dibattuto. Ma non è mai inutile ricordare che gli stupri rientrano tra le cosiddette «notiziabili» (come gli incidenti sul lavoro, o le rapine, o il bullismo) e cioè che i giornali, in teoria, potrebbero riportare un caso nuovo tutti i giorni: sono così tante, le violenze sessuali, che in qualsiasi momento si potrebbe montare una campagna che apparirebbe doverosa. Ogni tanto però ci sono delle vampate (casi celebri) che fanno sembrare improvvisa un'emergenza che dovrebbe esserci sempre: accadde anche nel 2009, quando pareva che non si potesse più uscir di casa e che tutti gli stupratori fossero romeni: i media si scatenarono, al punto che il governo improvvisò una legge disgraziata che fu fatta a pezzi dalla Corte Costituzionale, e meno male: prevedeva il carcere automatico per tutti i sospettati (solo sospettati) e cioè galera obbligatoria in barba a ogni presunzione di non colpevolezza. Eppure le forze politiche, pressate dai mass media e da campagne a intermittenza, riuscirono a dividersi persino su questo: come se noi italiani fossimo incapaci di una giusta oscillazione tra cultura della legalità e rispetto delle garanzie, come se fossimo condannati a oscillare invece tra il peggior forcaiolismo e il garantismo più peloso. E perdonate se abbiamo impiegato un po', ma siamo al punto. E il punto, per una volta, non è se gli stupri siano in calo o in crescita, o il paragone con altre nazioni, o quanti siano i dati reali rispetto alle denunce: argomenti classici. Il punto è che i processi giornalistici e soprattutto televisivi (a cui ho pure partecipato) stanno offrendo anche spettacoli desolanti e basati su una legge tutta propria, dove fioccano i «secondo me» sganciati dalla legge e a mio dire da una corretta informazione.
DIFFERENZE. Non si tratta di fare i maestrini: ma vedere ospiti improvvisati che menano sempre lo stesso torrone dagli Anni Settanta, o sparano sentenze («è colpevole, è uno stupro gravissimo») senza neppure conoscere la differenza tra violenza sessuale, stalking, maltrattamenti, percosse o ingiuria, che sono reati diversi in scenari diversi, beh, è qualcosa che rischia di far dimenticare che per rispettare la legge occorre almeno conoscerla un minimo, e che, anche conoscendola - lo confessava l'ex magistrato Carlo Nordio - spesso i giudici preferirebbero l'inferno, anziché addentrarsi nel ginepraio di un processo per stupro. Non è sempre come nel caso Genovese, dove c'erano 19 telecamere che hanno filmato tutto. C'è la legge e poi c'è la giurisprudenza che la interpreta secondo lo spirito dell'epoca. I giudici non fanno sociologia o sermoni su moralismi e libertinismi: hanno delle linee guida che in sostanza sono le sentenze della Cassazione, dalle quali possono svicolare sino a un certo punto. Due giudici diversi possono decidere di uno stesso caso in maniera diversa (altrimenti basterebbe un computer, e non esisterebbero i gradi di giudizio) ma ci sono degli orientamenti ai quali non possono sottrarsi, e neppure noi che opiniamo liberamente su giornali e tv. Intendiamoci: i partiti del «se l'è andata a cercare» o che difendono la donna sempre e comunque ci saranno sempre. Ma il fatto che una donna, per esempio, non dica né sì né no, non è considerato un argomento: si parla di «dissenso implicito», e la Cassazione dice che «il dissenso è da presumersi laddove non sussistano indici chiari volti a dimostrare l'esistenza di un tacito e inequivoco consenso». Se una ragazza piange, per dire, è più che plausibile che dissenta, come pure sarebbe comprensibile una sua mancata reazione se fosse stata minacciata o picchiata. E se era ubriaca o drogata? La Corte spiega che bisogna capire se si trovasse in condizioni di inferiorità psichica e non potesse cioè scegliere liberamente: e capirlo e dimostrarlo forse è più complicato che sparare dei «secondo me» dal palco di un talk show. Certo, è complicato: sarà accaduto a molti di trovarsi a letto con un soggetto che ha alzato il gomito e che magari l'ha fatto apposta, proprio per lasciarsi andare più facilmente: e comprendere il confine tra una forzatura cercata o sgradita resta un bel casino, ma in ogni caso la Cassazione dice che se una donna ha bevuto, o si è drogata, non c'è aggravante per il presunto violentatore: ma ciò non toglie che quando lei realizzi - lo dice la Corte - possa denunciare. Poi ci sono le accuse di averla ubriacata o drogata apposta, per approfittarne: se dimostrato, può aggravare la pena di un terzo e darti galera sino a 16 anni. E se l'ubriaco sei tu? Nessuna attenuante, articolo 92 del Codice: «L'ubriachezza non derivata da caso fortuito o da forza maggiore non esclude né diminuisce l'imputabilità». E neanche se l'accompagni a casa, e lei sembra tranquilla, no, non puoi pensare di averla sfangata: una sentenza spiega che questo non rende meno attendibile una sua denuncia. Neppure «credevo che ci stesse» o «ma allora mi avrebbe denunciato subito» hanno gran valore: la legge ha aumentato sino a un anno il tempo utile per elaborare e denunciare. Giusto? Sbagliato? Sicuramente complicato, come pure una donna che si lasciasse legare o bendare o insomma accettasse sesso estremo, ma poi cambiasse idea: tu devi capirlo, dice la legge. E noi non giudichiamo. Ci sono poi le aggravanti, tipo l'abuso di autorità (forze dell'ordine, politici, datori di lavoro, insegnanti) e ci sono le attenuanti, tipo l'aver fatto poco o niente durante una violenza di gruppo: ma aver solo assistito non garantisce l'assoluzione. Insomma, è cambiato molto rispetto a quando la stessa Cassazione (1998) scrisse che una donna che portasse i jeans doveva essere per forza consenziente, perché sfilarli contro la sua volontà era impossibile. Su questo invece sì, giudichiamo: era proprio una cazzata.
Man. Cos. Per “Libero quotidiano” il 23 maggio 2021. La droga dello stupro: espressione generica che in realtà indica un'intera categoria di sostanze. Sono le benzodiazepine, in teoria psicofarmaci comunemente prescritti per curare l'ansia, gli attacchi di panico, l'insonnia. Medicine. Che però possono trasformarsi in vere e proprie "armi" se criminalmente utilizzate da aspiranti violentatori ai danni delle loro vittime. Senza entrare in complicate spiegazioni mediche, le benzodiazepine - si trovano poi in diversi tipi di farmaci, quello utilizzato dal presunto stupratore di Milano è il Bromazepam - inducono in chi le assume uno stato di torpore, avendo potenti proprietà sedative. Vengono anche assunte dai tossicodipendenti per "stonarsi", poiché l'effetto non è così dissimile da quello degli oppiacei. Se poi vengono somministrate a persone inconsapevoli, azzerano di fatto la loro volontà, senza però scaraventarle in una condizione totalmente catatonica: in pratica, si può disporre di loro come si vuole, quasi ci si trovasse di fronte a un manichino, a qualcuno in stato di semincoscienza, ma al quale si possono far compiere movimenti o indurre atteggiamenti senza che se ne renda conto. Infine, le benzodiazepine hanno potenti effetti amnesiaci: dopo che è passato l'effetto, non ci si ricorda nulla di quel che è accaduto. Un incubo. Negli ultimi anni, sostanze di questo genere si sono diffuse in maniera impressionante. Per quanto riguarda il loro utilizzo medico, un allarme è stato lanciato negli Stati Uniti dalle pagine dello Jama Internal Medicine, mensile pubblicato dall'American Medical Association: è stato accertato che un anziano su quattro ne abusa. Dell'utilizzo da parte di tossicodipendenti è stato già accennato. Ma, per l'appunto, impressionante è l'impennata per quanto riguarda l'uso di benzodiazepine in casi di violenza sessuale. Anche a causa della reperibilità estremamente semplice: basta una ricetta medica, poi li si acquista in farmacia In America sono episodi ormai all'ordine del giorno. Ma anche in Italia. Prima di quest' ultimo caso milanese, anche nella vicenda che vede protagonista l'imprenditore Alberto Genovese - una ragazza l'ha denunciato per violenza sessuale sostenendo di essere stata stordita con sostanze di cui non conosceva la provenienza - si è parlato di "droga dello stupro". Recentemente, in un processo per stupro ai danni di una 23enne sempre a Milano, è stato accertato l'uso di benzodiazepine da parte degli aguzzini per stordire la vittima. A Genova, sempre l'anno scorso, un uomo ne somministrava alla figliastra per poi abusarne. Ancora a Milano, in tre sono stati condannati a 12 anni di reclusione per aver violentato una ragazza dopo averle versato nel drink della benzodiazepina. E via così, per decine di casi.
Cristina Bassi per "il Giornale" il 3 agosto 2021. La Procura di Milano ha chiesto il giudizio immediato nei confronti dell'imprenditore farmaceutico Antonio Di Fazio, in carcere dallo scorso maggio con l'accusa di aver violentato nella propria casa una studentessa di 21 anni cui aveva prima fatto assumere dosi massicce di benzodiazepine. E poi, quando lei era priva di coscienza, di averla fotografata senza abiti. La giovane, conoscente della famiglia dell'imprenditore, era stata attirata nel lussuoso appartamento in centro con il pretesto di uno stage formativo in una delle aziende di Di Fazio, la Global Farma. In casa in quel momento c'erano anche il figlio e l'anziana madre dell'uomo, che non si sarebbero accorti di nulla. La richiesta di processo immediato, che comporterebbe l'assenza di udienza preliminare, deve ora essere vagliata dal gip Chiara Valori. Uno dei requisiti per tale istanza, avanzata dal pm Alessia Menegazzo e dal procuratore aggiunto Letizia Mannella, è la «evidenza della prova». Il giudice può accogliere, entro cinque giorni, e disporre il processo fissando una data di almeno trenta giorni posteriore al decreto. Oppure può rigettare la richiesta della Procura. Se accoglie, l'indagato ha la possibilità di chiedere il rito abbreviato o il patteggiamento. L'istanza dei pm riguarda solamente il caso della studentessa della Bocconi che si era trovata a casa di Di Fazio il 27 marzo e che lo ha denunciato. Secondo le indagini tuttavia, ci sarebbero altre quattro vittime dell'uomo, cui si aggiungerebbe l'ex moglie che sarebbe stata anche lei maltrattata, drogata e avrebbe subito violenza. Su questi episodi sono ancora in corso accertamenti. Nel frattempo gli approfondimenti economici sul patrimonio e sulle aziende di Di Fazio, filone questo affidato al pm Pasquale Addesso, hanno portato alla richiesta di dichiarare fallita un'altra delle società del 50enne, l'Industria farmaceutica italiana srl. L'imprenditore in cella inoltre, si è saputo, ha di recente fatto richiesta attraverso i propri legali di detenzione domiciliare. Ma il gip non l'ha accettata. In relazione ai fatti di marzo Di Fazio è accusato di violenza sessuale aggravata, sequestro di persona e lesioni personali aggravate. Ad arrestarlo sono stati i carabinieri del Nucleo operativo della compagnia Milano Porta Monforte. Il carattere seriale dei suoi reati, che avrebbe commesso a danno di diverse giovani, e l'esistenza di uno schema criminale sono stati dedotti prima di tutto dalle 54 fotografie di donne in stato di incoscienza e nude da subito trovate nel suo telefonino. Lo ha sottolineato il gip Valori nell'ordinanza di custodia, definendolo un «moderno Barbablù». Dopo l'arresto si sono fatte avanti in Procura altre presunte vittime. Nel momento in cui l'imprenditore ha saputo di essere sotto indagine, ha fatto un tentativo di quello che gli inquirenti considerano un depistaggio. Ha denunciato la 21enne per calunnia, raccontando che lei lo voleva incastrare perché le aveva rifiutato un dono in denaro. Ma questa versione dei fatti è da subito stata valutata come non plausibile dallo stesso gip. Di Fazio si trova quindi ancora a San Vittore e tra circa un mese potrebbe affrontare il processo.
(ANSA il 30 novembre 2021) - La "serialità delle condotte" dell'imprenditore Antonio Di Fazio è "costante almeno a partire dal 2008", anno in cui l'uomo avrebbe iniziato a violentare, sempre dopo averla narcotizzata, sua moglie. Lo scrive il gip di Milano Chiara Valori nella nuova ordinanza a carico del 50enne, chiarendo anche che il suo comportamento è diventato anzi "progressivamente sempre più spregiudicato, pervasivo e violento". E allo stesso tempo "più subdolo e raffinato, proprio allo scopo di indurre le vittime in uno stato confusionale mentale tale da impedire loro di ricordare" e qualsiasi "reazione". Negli atti si evidenzia la sua "perversione".
Da "il Messaggero" il 30 novembre 2021. Una nuova ordinanza di custodia cautelare per altri quattro casi di violenza sessuale è stata emessa a carico di Antonio Di Fazio, il manager arrestato a maggio già a processo con rito abbreviato per aver attirato una studentessa di 21 anni nel suo appartamento con il pretesto di uno stage formativo nell'azienda di cui era il titolare, la Global Farma, e che avrebbe reso incosciente con una dose massiccia di tranquillanti per poi abusare di lei e fotografarla. Il provvedimento è in corso di notifica e riguarda un filone dell'indagine, anche per tentato omicidio. I quattro episodi contestati, tra i quali anche quello ai danni dell'ex moglie sarebbero stati commessi con modalità pressoché simili. E sono venuti a galla dopo l'arresto di sei mesi fa.
Antonio Di Fazio predatore seriale, abusi e minacce. Le vittime: volevamo denunciarlo, ma faceva troppa paura. Pierpaolo Lio su Il Corriere della Sera l'1 dicembre 2021. Donne narcotizzate e violentate, salgono a nove le possibili vittime. Le ricerche del manager su Google: «Ragazze addormentate/narcotizzate con il cloroformio». Le benzodiazepine versate in bocca alle giovani svenute con una siringa. Una donna s’è risvegliata dopo due giorni, ancora sdraiata seminuda sul letto a casa di Di Fazio. La ragazza si sveglia all’improvviso, nel cuore della notte. È ancora inebetita, fatica a muoversi. Vede quell’uomo con cui ha iniziato una relazione, sopra di lei: «Mi stava versando delle gocce in bocca», racconta agli investigatori. Non può opporsi. È solo un attimo, un flash nella nebbia di intere giornate passate in un infinito dormiveglia. Su come rendere impotenti le sue vittime, Antonio Di Fazio, il manager 50enne della Global Farma arrestato a maggio per aver drogato e abusato una studentessa di 21 anni e che ora è accusato di aver fatto altrettanto con almeno altre cinque vittime, s’era preparato a lungo. Le ricerche sul web erano frequenti, e antiche. Almeno dal 2016 alimentava virtualmente le sue fantasie predatorie. Digitava: «Ragazze addormentate/narcotizzate con il cloroformio». E affinava le sue tecniche sadiche.Le benzodiazepine le somministrava di nascosto, camuffate in un drink, un caffé, una tisana, o a seconda dell’occasione spacciate per integratori, sciroppo, fermenti lattici. Oppure, come medicinali contro il Covid. E quando riteneva servisse un «rinforzo», le lasciava cadere a gocce da una siringa nella bocca delle vittime che iniziavano a risvegliarsi.
L’indagine dei carabinieri
Negli ultimi 13 anni l’ha fatto spesso, come hanno ricostruito i carabinieri del Nucleo operativo della compagnia di Porta Monforte e del Nucleo investigativo di Milano, coordinati dal pm Alessia Menegazzo e dall’aggiunto Letizia Mannella. Con almeno nove donne. Oltre alla studentessa 21enne, il «moderno Barbablù», come è stato soprannominato dagli investigatori, è da lunedì accusato di aver abusato di altre quattro ragazze (tutte sotto protezione, tre di origine straniera e un’italiana, che oggi hanno dai 27 ai 35 anni) e dell’ex moglie, che avrebbe anche cercato di uccidere. A quest’elenco vanno poi aggiunte almeno altre tre vittime, che non si sono fatte avanti autonomamente e ancora in fase di identificazione. Di tutte loro conservava alcuni souvenir: indumenti intimi, e foto raccapriccianti, scattate mentre le donne erano in stato d’incoscienza. «Il comportamento del Di Fazio, costante almeno a partire dal 2008, pare anzi progressivamente sempre più spregiudicato, pervasivo e violento, ma al contempo anche più subdolo ed affinato», scrive il gip Chiara Valori nella nuova ordinanza di custodia cautelare in carcere.
Gli stage come trappola
Per le ragazze la trappola scattava con offerte lavorative (stage in azienda, proposte di accompagnarlo come ragazze immagine in cene di lavoro), fatte anche via social attraverso un suo contatto nel mondo dello spettacolo. Poi le soggiogava approfittando di un loro momento di debolezza. Il resto lo facevano le benzodiazepine. Somministrate in dosi «abnormi», pericolose. Una delle giovani s’è risvegliata dopo due giorni, ancora sdraiata seminuda sul letto a casa di Di Fazio. La scorta non gli mancava. In casa i carabinieri gli hanno trovato una cinquantina di flaconi di medicinali vari e una confezione vuota di Diazepam. Per rifornirsi non doveva che compilare un blocchetto di ricette in bianco, che custodiva nel suo appartamento con la firma della sorella medico.
Le minacce e il silenzio delle vittime
Dopo gli abusi erano le minacce e i comportamenti persecutori a garantirgli il silenzio delle vittime. «Lasciava appositamente i suoi sigari fumati nel mio parcheggio privato», ricorda una ragazza, pedinata anche mentre era in visita al cimitero. «Io volevo denunciarlo ma non l’ho mai fatto perché ho sempre avuto molta paura di lui, che mi diceva di avere conoscenze molto importanti e potenti», ha riferito un’altra. C’erano poi la pistola (finta) sempre ostentata e le amicizie «pericolose» a far desistere le giovani: «Diceva di essere una persona con conoscenze importanti, anche nell’ambito dei servizi segreti e della criminalità organizzata». Come quel Nicola La Valle, pluripregiudicato considerato «contiguo» alla ‘ndrangheta, amico di Di Fazio, che dopo l’arresto a maggio del manager s’è appostato fuori da Palazzo di giustizia per avvicinare una vittima che doveva deporre e seguendola «con lo sguardo con fare minaccioso, incutendo timore».
L’investigatore privato
Per l’ex moglie aveva invece assoldato un investigatore, a cui aveva ordinato di screditarla, mescolando di nascosto cocaina nelle bevande della donna, in modo da far cadere le accuse contro di lui e strapparle l’affidamento del figlio. Nel 2014, i vicini se la vedono arrivare all’improvviso, sconvolta, scalza, ferita. È appena riuscita a scappare da Di Fazio, che l’aveva attirata nella vecchia casa coniugale con una scusa. Là, l’aveva accecata con spray al peperoncino, immobilizzata con scotch e fascette da elettricista, colpita in testa con una chiave inglese e le aveva avvolto al collo una corda: «Da questo appartamento non uscirai più». Solo un attimo di disattenzione dell’uomo le aveva permesso di fuggire.
Da lastampa.it il 13 dicembre 2021. Nel corso dell'udienza di questa mattina davanti al gup Anna Magelli, l'imprenditore Antonio Di Fazio, da quanto si è saputo, ha fatto ampie ammissioni per quanto riguarda le violenze commesse su una studentessa 21enne della Bocconi. La denuncia della ragazza ha portato all'arresto dell'imprenditore farmaceutico 50enne nel maggio scorso. Di Fazio avrebbe ammesso di aver drogato la ragazza, amica di famiglia a cui aveva promesso uno stage, con una forte dose di benzodiazepine sciolte nel caffè e poi di aver abusato di lei e averla fotografata senza vestiti. Venerdì scorso, invece, Di Fazio ha affrontato un lungo interrogatorio davanti al procuratore aggiunto Letiza Mannella e al pm Alessia Menegazzo, che stanno indagando su di lui. L'uomo ha parlato a lungo davanti ai magistrati di altri 4 episodi di violenze ai danni di studentesse e giovani donne, che stordiva con le benzodiazepine e di cui abusava. Di Fazio deve rispondere delle violenze commesse con la medesima modalità anche sull'ex moglie, che avrebbe anche tentato di uccidere. Nell'udienza di questa mattina, che si è svolta a porte chiuse, Di Fazio avrebbe parlato diffusamente anche di questi episodi. Si tornerà in aula il prossimo 18 gennaio. Udienza nella quale prederanno la parola i pm e il gup si pronuncerà sulla possibilità di riunire i due procedimenti aperti a carico di Di Fazio.
La verità di Di Fazio con i pm "Soffro di devianze sessuali". Paola Fucilieri l'11 Dicembre 2021 su Il Giornale. L'interrogatorio in procura, ora sono sei le donne che lo accusano. È a San Vittore da sei mesi per gli abusi. Milano «Soffro di devianze sessuali, di sadomasochismo. Ho fotografato quelle donne mentre erano addormentate». Interrogato il primo dicembre dalla gip Chiara Valori, si era avvalso della facoltà di non rispondere. Ieri, invece - nell'inchiesta dei carabinieri del nucleo operativo della compagnia Milano Porta Monforte, coordinata dall'aggiunto Letizia Mannella e dal pm Alessia Menegazzo - il 50enne imprenditore titolare della società farmaceutica «Globalpharma» Antonio Di Fazio ha scelto per la prima volta di parlare con i pm. Così, a partire dalle 11, difeso dai legali Mauro Carelli e Giuseppina Cimmarusti, è stato sentito nell'ufficio della Mannella al quarto piano del Palazzo di giustizia, rispondendo per ore alle domande e sciorinando la sua verità. E ha ammesso sostanzialmente tutto rispetto alle proprie condotte in riferimento ai singoli capi di imputazione, sostenendo di essere affetto da una patologia.
L'uomo è in carcere a San Vittore da oltre sei mesi accusato di violenza sessuale nei confronti di una ragazza di 21 anni. Il 29 novembre gli è stata notificata inoltre una nuova ordinanza di custodia cautelare per casi di presunti abusi su altre cinque donne, tra cui l'ex moglie, che Di Fazio avrebbe reso inermi utilizzando sempre il medesimo schema, ossia somministrando loro sostanze narcotizzanti.
Il nuovo provvedimento aggrava la sua posizione perché insiste sulla «serialità delle sue condotte», in quanto gli abusi sarebbero cominciati già nel 2008. Si parte cioè delle violenze ai danni della donna che all'epoca Di Fazio aveva sposato, fino agli stupri più recenti su modelle o studentesse. Tutte le vittime, secondo l'accusa, sarebbero state narcotizzate con benzodiazepine, abusate e poi, una volta prive di sensi, fotografate dall'uomo.
Proprio a novembre, davanti ai nuovi presunti abusi, il gip Valori non aveva usato giri di parole per descrivere nell'ordinanza il comportamento «progressivamente sempre più spregiudicato, pervasivo e violento» dell'imprenditore specificando che, a suo avviso, l'unica misura possibile per lui è il carcere «vista l'ampia libertà di mezzo e di movimento dimostrate dal Di Fazio, la pervicacia delle condotte, la capacità affabulatoria e l'alacrità con cui ha cercato di sviare le indagini». Senza contare che, sempre dalle carte della Procura, emerge che l'uomo avesse addirittura un «blocchetto di ricette mediche in bianco» con la firma della sorella medico Maria Rosa e con le quali si auto prescriveva e acquistava i farmaci che gli servivano per stordire le sue giovani vittime prima delle violenze.
Giovedì prossimo, 17 dicembre, è fissato un incidente probatorio davanti al gip per sentire quattro delle giovani vittime le cui testimonianze di abusi hanno portato alla nuova ordinanza di arresto. Di Fazio, già a processo in abbreviato per la prima violenza, è indagato anche per bancarotta fraudolenta. Su di lui inoltre è in corso anche una inchiesta su presunti legami con la 'ndrangheta con la quale proprio lo stesso imprenditore si sarebbe vantato più volte di avere rapporti. Un'altra presunta verità con la quale l'uomo deve fare i conti. Paola Fucilieri
"Le foto, la droga, lo stupro: cosa c'è dietro l'orrore". Rosa Scognamiglio il 24 Maggio 2021 su Il Giornale. La psicologa giuridica Sara Pezzuola ci ha spiegato perché le vittime di stupro non denunciano subito: "Prima di denunciare hanno bisogno di capire cosa è successo. I video della violenza sono un trofeo per lo stupratore". Il giorno dopo uno stupro sembra uguale a tutti gli altri. Eppure, non lo è. Non lo è per tutte quelle giovani donne che denunciano l'abuso nell'immediatezza dei fatti. Non lo è anche per chi, invece, prende tempo nel tentativo di ritrovarsi. Perché un abuso ti strazia l'anima, ti scuote nel profondo. E quasi mai accade che la vittima abbia piena coscienza dell'oltraggio subito a poche ore dall'accaduto. "Ci sono un'infinità di ragioni per cui una ragazza può decidere di non denunciare subito il suo stupratore. Ma il fatto che ne parli dopo giorni, mesi o addirittura anni, nulla toglie al contenuto della violenza subita. Uno stupro è uno stupro e tale rimane anche a distanza di tempo", spiega a IlGiornale.it la psicologa giuridica Sara Pezzuolo, fino a qualche mese fa, al fianco della 18enne che ha dichiarato di essere stata drogata e violenta dall'imprenditore Alberto Genovese. I festini a "Terrazza Sentimento" con la "droga dello stupro" servita su vassoi da buffet o disciolta nei flute di Champagne millesimato. E ancora, il caso della presunta violenza sessuale di gruppo ordita da Ciro Grillo e i suoi amici ai danni di una diciottenne, sembrano diventate storie di drammatica ordinarietà. L'ultima narrazione raccapricciante risale ad appena due giorni fa e coinvolge il noto imprenditore milanese Antonio Di Fazio, tratto in arresto lo scorso venerdì con l'accusa di violenza sessuale, sequestro di persona e lesioni personali aggravate nei confronti di una studentessa 21enne. La ragazza sarebbe stata narcotizzata con un "caffé corretto" alle benzodiazepine prima di subire la violenza. Di Fazio avrebbe custodito in casa un arsenale di psicofarmici con cui, sospettano gli investigatori, potrebbe aver drogato altre vittime. Orrore allo stato puro.
Dottoressa Pezzuolo, perché i casi di stupro sembrano essere aumentati?
"È difficile avere un metro di paragone. In realtà, non so se siano aumentati o ci sia maggiore consapevolezza da parte delle vittime di denunciare l'accaduto".
Spesso le vittime sono poco credibili perché "denunciano in ritardo". Può il fattore tempo essere una discriminante?
"Ci sono un'infinità di ragioni per cui una donna può decidere di non denunciare subito. Possono subentrare sentimenti come la paura o la vergona e tante altre concause. Senza contare che, nel caso di ragazze drogate o inibite con l'alcol, si potrebbe non avere la lucidità di denunciare nell'immediatezza dei fatti. In ogni caso, non credo sia giusto parlare di 'ritardo'".
Qual è la prima preoccupazione di una donna dopo aver subito una violenza?
"La prima preoccupazione di una vittima di stupro, non è quella di andare a denunciare l'accaduto ma capire cosa è successo. La denuncia è un passo necessario, quasi doveroso mi verrebbe da dire, ma si procde solo quando si ha piena consapevolezza della violenza subita. Uno stupro è uno stupro e tale rimane anche se la denuncia non è immediata. Ovviamente, prima se ne parla e meglio è. Tuttavia, ripeto, non è così facile".
Si può tracciare un 'identikit' dello stupratore?
"Non si può fare un identikit né dello stupratore né della vittima. Tantissime sono le variabili che ricorrono nei casi di stupro. Lo dimostra anche la varietà dei casi di cronaca".
Spesso lo stupratore riprende con foto e video l'atto sessuale violento. Perché?
"Perché deve immortalare il momento della sua 'gloria'. Molti lo fanno per rivedersi, per rivivere quel momento di presunta onnipotenza e affermazione. È un trofeo".
Non è raro che le vittime siano drogate o costrette a bere. Come mai?
"Perché le vittime devono essere ridotte ad oggetti. C'è una volontà di annientamento dell'altro, di sottomissione non solo psicologica ma anche fisica. È solo così che uno stupratore riesce a dominare l'altro. All'aggressore interessa prendere possesso di un corpo e trasformarlo in oggetto".
L'autore di una violenza nega quasi sempre ciò che ha fatto parlando di "atto consenziente". Si tratta solo di una strategia difensiva?
"Sicuramente è una strategia difensiva poi, ci possono essere anche numerose, altre variabili. In ogni caso, lo stupratore pensa di farla franca perché ritiene che non possano emergere dettagli o indizi dalle investigazioni che possano provare la sua colpevolezza: si sente 'intoccabile'. La parola 'consenziente' gli serve per ridimensionare l'accaduto ma anche perché ha una percezione alterata di ciò che ha commesso. Ma se la vittima è stata drogata o inibita con l'alcol è impensabile parlare di consensualità. Un 'atto sessuale consenziente' è un'altra cosa".
Ci sono dei segnali che possono mettere una donna in guardia da un eventuale stupratore?
"Sì. Un'attenzione che la ragazza può percepire come molesta su questioni di natura sessuale decontestualizzate da un certo tipo di discorso. Ma non è così semplice riconoscere uno stupratore. Anzi, alcuni sembrano persone perbene e a modo. Ed è proprio lì l'inganno".
I vestiti, lo Spritz, l'agguato: il film della violenza. Valentina Dardari il 9 Novembre 2021 su Il Giornale. Il 48enne, agente immobiliare, aveva pianificato tutto. Persino gli abiti che la donna avrebbe indossato. Omar Confalonieri, agente immobiliare di 48 anni, aveva pensato a tutto: i vestiti, lo Spritz e l’agguato per incastrare le sue vittime. L’uomo, come riportato da Il Giorno, aveva portato da casa un sacchetto con gli indumenti per vestire la vittima di beige e nero e aveva acquistato i farmaci da aggiungere all’aperitivo. Un predatore seriale con un film ben preciso nella sua testa che, come si legge negli atti dell’indagine che lo hanno incastrato, era incapace di “controllare i propri impulsi e di percepire il disvalore delle proprie condotte”.
Come ha conosciuto le vittime
È finito in carcere lo scorso venerdì per violenza sessuale aggravata, sequestro di persona e lesioni personali aggravate perché durante un incontro per attuare la vendita di un box avrebbe drogato una coppia e abusato poi della donna. Davanti al gip Stefania Pepe, Confalonieri si è avvalso della facoltà di non rispondere. Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti la conoscenza tra il carnefice e le sue vittime sarebbe nata in modo occasionale. L’uomo era già stato condannato nel 2008 dal tribunale di Monza per violenza sessuale e poi riabilitato.
I fatti
Ha conosciuto la donna all’asilo frequentato da entrambi i figli. Ha raccontato alla 38enne di essere un agente immobiliare con l’ufficio in via Montenapoleone a Milano e la donna aveva posto alcune domande riguardanti eventuali agevolazioni per l’acquisto di un box. Il 2 ottobre l’aveva contattata informandola di avere le risposte ai suoi quesiti e di non poterle dire al telefono. Meglio un incontro. A quel punto, davanti all’insistenza dell’uomo la 38enne lo informa di essere con il marito, che tra l’altro aveva già conosciuto l’agente una mattina sempre all’asilo. Con la scusa di non riuscire a camminare, Confalonieri ha chiesto alla coppia di passare a prenderlo in auto a casa sua. Prima di salire a bordo della macchina avrebbe messo nel bagagliaio due borsoni, come raccontato dalla vittima ai carabinieri del Nucleo investigativo di via Moscova e della Compagnia di Corsico: “Una di colore nero da lavoro, tipo porta-computer, che appariva rigonfia, e un’altra di stoffa tipo shopper, bucata, ricolma di abiti usati, che diceva essere destinati a una parente”.
Il modo di fare di Confalonieri aveva però insospettito la coppia che ha riferito fosse sudato e parlasse in modo strano, quasi da ubriaco. Dopo un veloce aperitivo al bar, la coppia aveva detto di avere fretta, Confalonieri ha chiesto di passare prima in farmacia per acquistare alcuni medicinali. Il marito entra nel negozio con l’agente immobiliare che prende le benzodiazepine e due siringhe e fa pagare il conto al malcapitato. Verso le 13 i tre riescono ad arrivare nel locale ma Confalonieri si allontana dicendo di dover andare in bagno. Al suo ritorno prende tre Spritz al bancone, due con Aperol per la coppia e uno con Campari per lui. Arriva però il titolare del bar che riprende i bicchieri e li va a riempire dicendo che non erano ancora pronti. Quando li riporta, la coppia, sempre più perplessa, decide di bere velocemente e andarsene, senza neppure parlare del box.
Droga la coppia e stupra la donna davanti alla neonata: preso agente immobiliare
Il buio dopo gli Spritz
Le sostanze sciolte nei loro bicchieri cominciano però a fare effetto e da quel momento tutto ciò che accade dopo è confuso e sfocato. I due vengono riportati nel loro appartamento. Mentre il marito, dopo aver vomitato un paio di volte, è sul letto incosciente, la donna si ritrova invece per terra, con dei vestiti beige e neri che non aveva mai indossato e il 48enne sopra di lei. Gli abusi sono stati però ripresi dalle telecamere installate sul balcone dell’appartamento. Alle 19 Confalonieri chiede alla donna di riaccompagnarlo a casa in macchina ma, ancora intontita dai farmaci, la 38enne tampona l’auto che era parcheggiata davanti alla loro. Sono le 21 quando il marito riesce a svegliarsi e a dare l’allarme contattando i suoi familiari. Dalle immagini riprese dalle telecamere di video sorveglianza della zona si vedrebbe l'agente che si alza per andare a prendere i drink, si ferma dietro a una colonna per versare il farmaco e dopo pochi minuti si vede la coppia che fa fatica a reggersi in piedi.
Da quel momento, in mano agli inquirenti ci sono gli esiti degli esami effettuati sulla coppia al San Carlo e alla clinica Mangiagalli. L’8 ottobre i carabinieri perquisiscono la casa del 48enne e trovano lo scontrino di una farmacia in cui il giorno precedente l’agente immobiliare aveva acquistato benzodiazepine. La perquisizione aveva peraltro permesso di rinvenire tracce del medicinale "Lormetazepam", ansiolitico della famiglia delle benzodiazepine, con il quale la coppia era stata narcotizzata. Nell'abitazione sono stati rinvenuti anche documenti che certificano la dipendenza del Confalonieri dalla cocaina. Il suo pusher era stato arrestato nel 2018 nell’operazione della Dda Quadrato 2.
Valentina Dardari. Sono nata a Milano il 6 marzo del 1979. Sono cresciuta nel capoluogo lombardo dove vivo tuttora. A maggio del 2018 ho realizzato il mio sogno e ho iniziato a scrivere per Il Giornale.it occupandomi di Cronaca. Amo tutti gli animali, tanto che sono vegetariana, e ho una gatta, Minou, di 19 anni.
Michela Allegri per "Il Messaggero" il 10 novembre 2021. Per essere certo di non confondere il suo bicchiere con quelli delle vittime, che contenevano Spritz corretti con psicofarmaci in dosi massicce, aveva ordinato un aperitivo leggermente diverso: loro avevano scelto uno Spritz fatto con Aperol, mentre lui aveva preferito il Campari, di colore più scuro. Agli atti dell'inchiesta della Procura di Milano, che ha portato in carcere l'agente immobiliare Omar Confalonieri, non ci sono solo i frame dei video delle telecamere di sicurezza della casa dei due coniugi narcotizzati e sequestrati, che hanno immortalato le violenze. C'è anche un video del sistema di sorveglianza del locale dove l'indagato ha consumato con la coppia un aperitivo: nei fotogrammi si vede l'agente mentre sembra versare qualcosa nei bicchieri, probabilmente la droga. Un copione che, secondo l'accusa, l'indagato, finito in manette per violenza sessuale, sequestro di persona e lesioni, avrebbe seguito altre volte. Spuntano infatti altre possibili vittime: sul curriculum giudiziario di Confalonieri c'è una condanna per fatti analoghi, ma c'è anche la testimonianza di una vicina che ha detto che, 4 anni fa l'uomo avrebbe stordito anche sua figlia con una tisana. E c'è almeno un altro caso sospetto, a Bergamo, di una giovane donna narcotizzata e poi violentata. Il pm Alessia Menegazzo e il procuratore aggiunto Letizia Mannella hanno chiesto ai colleghi bergamaschi gli atti di questo ulteriore procedimento, che è stato però archiviato. Per gli inquirenti, Confalonieri potrebbe essere uno stupratore seriale, nonostante abbia seguito un percorso di riabilitazione. Ora i magistrati stanno passando al setaccio la sua agenda e i contatti trovati sul suo cellulare: diverse donne si erano accordate con lui per vedere case da acquistare e potrebbero essere cadute nella sua rete.
IL RACCONTO L'ultima violenza, quella che lo ha spedito dietro le sbarre, risale al 2 ottobre scorso. Le vittime sono i genitori di un compagno di asilo del figlio. Confalonieri aveva invitato i due a un aperitivo per parlare di un box che volevano acquistare a Milano. Invece li ha drogati con farmaci a base di benzodiazepine, li ha accompagnati a casa e li ha praticamente sequestrati dalle 13 alle 19, abusando della donna davanti alla figlioletta della coppia, di soli 8 mesi, mentre il marito era a letto privo di sensi. Il racconto delle vittime è confuso nella parte che riguarda gli abusi: i due non ricordano nulla e hanno scoperto le violenze guardando i filmati delle telecamere di sorveglianza del loro balcone. Prima, però, hanno fornito diversi dettagli. Entrambi hanno descritto una sensazione di disagio e inquietudine provata durante l'aperitivo: «Confalonieri era sudato e agitato, sembrava ubriaco», hanno raccontato. Speravano che l'incontro «finisse quanto prima», perché l'uomo era troppo strano: «Non parlava assolutamente del tema immobiliare, che era alla base del nostro incontro - ha spiegato la donna agli inquirenti - non aprivamo l'argomento perché avevamo notato che Confalonieri era strano e quindi eravamo molto a disagio». E ancora: «Era nervoso, sudava in modo vistoso, fumava continuamente e sembrava che avesse già bevuto o assunto qualche sostanza», hanno messo a verbale dei testimoni. Dettagli che sono stati confermati dal barista, che ha assistito a tutta la scena e che ha visto la coppia, visibilmente stordita, allontanarsi accompagnata dall'indagato. La donna non riusciva a formulare un discorso di senso compiuto e non era in grado nemmeno di riporre il portafoglio nella borsa, mentre il marito non si reggeva in piedi.
LOMBARDIA INSICURA - Milano capitale italiana delle violenze sessuali. Donne avvicinate e affascinate con il potere dei soldi, della vita nei locali alla moda e dei party super esclusivi. Michelangelo Bonessa su Il Quotidiano del Sud il 12 novembre 2021. L’ultimo caso riguarda un agente immobiliare accusato di aver drogato una coppia per stuprare una donna. Ma di violenze a cinque stelle nella civilissima Milano se ne contano sempre di più: nel passato recentissimo i nomi di Alberto Genovese, Antonio Di Fazio, Paolo Massari avevano già scosso il mito del capoluogo lombardo e delle sue mille luci. Ora si aggiunge il nome di Omar Confalonieri, agente immobiliare di lusso con l’ufficio in via Montenapoleone 8 a tirare una mazzata al mito milanese come fece il libro di Jay McInerney su quello newyorchese. Perché Milano, proprio nel suo cuore, sembra un posto sempre meno sicuro per le donne. Soprattutto se giovani e belle, sebbene l’avidità sessuale nelle sue estrinsecazioni violente ormai non abbia limiti: vengono avvicinate e affascinate con il potere dei soldi, della vita nei locali alla moda e dei parties super esclusivi come a Terrazza Sentimento di Genovese, per poi trovarsi in un tunnel di violenze senza pari. E fino alle feste di Genovese o alla vita alla moda di giornalisti e politici come Massari e di finti agenti segreti come Di Fazio, si poteva pure chiudere il discorso consigliando alle donne di non frequentare quelli che una volta venivano definiti i “rampanti”. Ora però pure andare a comprare una casa è pericoloso nel centro di Milano a vedere l’esempio di Omar Confalonieri. Perché in questo caso non c’è stata nessuna festa o festino, manco una cena elegante come le tante viste sotto la Madonnina. Solo l’intenzione di due persone normali di acquistare un posto dove vivere, con il risultato di vivere invece la violenza dello stupro. Un segno pesante per la reputazione di tutte le attività commerciali di lusso di via Montenapoleone e del centro più esclusivo della città, dove è prassi consolidata, proprio perché si tratta di commercio di lusso, offrire da bere e da mangiare qualcosa ai possibili clienti. Confalonieri potrebbe dunque aver lanciato un grosso sasso nello stagno, perché ora la semplice offerta di un caffè verrà vista con occhi molti diversi da chi entra nei negozi di alta gamma milanesi. Infatti secondo quanto ricostruito dalle forze dell’ordine e dalla Procura di Milano, l’uomo avrebbe incontrato la coppia a inizio ottobre. Dopo essersi recati in un bar, avrebbe provveduto a prendere dal bancone due bicchieri di spritz e sciolto della droga che avrebbe così narcotizzato i due. Dopo averli portati in casa, e aver lasciato l’uomo sul letto, avrebbe violentato la donna. Un sequestro durato otto ore, in seguito alle quali i due si sono recati in ospedale per dei malori che avevano accusato. Almeno la figlia di pochi mesi, presente durante la narcotizzazione, sarebbe stata risparmiata secondo i medici che l’hanno visitata. Tra l’altro dopo l’arresto dell’agente immobiliare altre due donne si sarebbero fatte avanti per episodi simili a quest’ultimo accertato dalla polizia. Ed è anche emerso che Confalonieri non sarebbe nuovo a questo genere di azioni: aveva già affrontato un percorso di rieducazione dopo un episodio di violenza e sembrava recuperato alla società. Invece, stando alle ultime indagini, pare che quel percorso non abbia funzionato. Resta da vedere cosa succederà più avanti, ma per Milano è ora di interrogarsi su quale sia la natura della città perché non è solo nelle situazioni esclusive che si concentra la violenza: in tutti i luoghi della così detta movida si continuano a conteggiare aggressioni e violenze di ogni genere. Dai Navigli e la Darsena dove i rapinatori ormai usano pure i cani per derubare i passanti, a corso Como dove tra droga e alcol vengono continuamente segnalate risse e molestie alle ragazze tanto da costringere i commercianti di zona a chiedere una stretta alle regole della movida al Comune di Milano. Ma non si salva nessun luogo famoso anche oltre i confini cittadini. La lista dei presunti colpevoli è come sempre molto lunga, ma il fatto incontestabile è che la violenza stia dilagando in un modo nuovo, forse non arrestabile. Persino corso Buenos Aires è diventato il cuore delle manifestazioni anti green pass. I fiori del male che stanno prosperando a Milano sembrano avere un terreno troppo fertile per essere recisi stabilmente. O almeno disinfestati. Perché la città che insegue il divertimento e lo sballo con pervicacia, o si organizza, o diventa una sorta di girone dantesco. Una gigantesca orgia di vizi senza scopo alcuno da cui sarà difficile riemergere, perché se il lavoro e la fama di città del lavoro hanno reso Milano un unicum in Italia, il cazzeggio all’ennesima potenza e la fama di città dei soldi facili per il “divertimento” rappresentato dalle droghe e dalla violenza potrebbero affossarla del tutto. Una fine simile a quella di Genovese: da super ricco che pensava di veder raccontata la propria vita nei libri di storia, a galeotto disprezzato da tutti con la sua biografia scritta nei verbali delle forze dell’ordine e un futuro per sempre segnato dalla fama di stupratore di ragazze.
Monica Serra per "La Stampa" il 10 novembre 2021. In carriera, ricchi, con grande disponibilità di droga e spesso anche di psicofarmaci. Non si tratta più di un caso isolato. Nella deriva milanese dell'ultimo anno ce ne sono stati almeno tre, con molti tratti in comune. A partire - scrivono i magistrati - dall'atteggiamento di «sopraffazione» nei confronti delle donne, considerate semplici «prede su cui esercitare il proprio potere». Dopo l'ex mago delle startup Alberto Genovese, ai domiciliari in una comunità di recupero per tossicodipendenti, ora a processo con l'accusa di aver drogato (con cocaina rosa e ketamina) e abusato di due ventenni, e l'imprenditore farmaceutico Antonio Di Fazio, finito in carcere per aver narcotizzato, fotografato nuda e violentato una universitaria ma indagato per abusi su almeno altre cinque donne, è stata la volta dell'agente immobiliare della ricca Milano, Omar Confalonieri. È in carcere da venerdì con l'accusa di aver drogato e tenuto sotto sequestro marito e moglie per un pomeriggio intero, e di aver violentato la donna, con la bimba di nemmeno un anno che gattonava incustodita per casa. Anche in questa storia, ricostruita dalle pm Letizia Mannella e Alessia Menegazzo, ci sono i soldi (la Confalonieri Real Estate è in via Montenapoleone), fiumi di cocaina da cui il 48enne è dipendente conclamato, le benzodiazepine usate per stordire le vittime e la serialità, di cui parlava già il 9 ottobre del 2009 la Corte d'Appello di Milano che lo condannò a tre anni e mezzo di prigione per le violenze su una collega 19enne: «Il suo agire evidenzia una serialità preoccupante che denota forte motivazione a delinquere non debellata neppure dalle denunce». E all'epoca, dodici anni fa, di denunce il 48enne ne aveva già ricevute tre. Una è quella oggetto della condanna: con un bicchiere di mirto condito con gli psicofarmaci, dopo una cena di lavoro, l'agente immobiliare aveva stordito la ragazza, indotta ad accettare un passaggio a casa. E, dopo aver seminato in auto gli altri colleghi, tra i boschi aveva abusato di lei fino alle 5 del mattino, quando i genitori erano riusciti a raggiungerla e a salvarla. Quattro mesi prima di quei fatti, che risalgono al 26 novembre 2007, un'altra donna aveva querelato Confalonieri a Bergamo. Si tratta di un'amica della sua fidanzata dell'epoca. La coppia era andata a casa della vittima a mangiare un gelato. «Nel corso della serata le due donne avevano accettato di fumare sigarette offerte da Confalonieri ed entrambe avevano accusato uno stato di sonnolenza». Soprattutto l'amica che, costretta a mettersi al letto, era stata spogliata dal 48enne «senza essere in grado di opporre alcuna resistenza». Sempre negli stessi mesi del 2007 un'altra conoscente aveva denunciato l'imprenditore: «Mi ha drogata con un tè freddo». A nulla sono serviti i tre anni di riabilitazione in una comunità di recupero dopo la prima condanna: Confalonieri ad ottobre ha colpito ancora. Qualche settimana fa un'altra signora si è rivolta ai carabinieri del Nucleo investigativo: «È successo anche a mia figlia». E ancora, ieri, altre donne si sono fatte avanti.
Pierpaolo Lio per il "Corriere della Sera - Edizione Milano" l'1 dicembre 2021. La ragazza si sveglia all'improvviso, nel cuore della notte. È ancora inebetita, fatica a muoversi. Vede quell'uomo con cui ha iniziato una relazione, sopra di lei: «Mi stava versando delle gocce in bocca», racconta agli investigatori. Non può opporsi. È solo un attimo, un flash nella nebbia di intere giornate passate in un infinito dormiveglia. Su come rendere impotenti le sue vittime, Antonio Di Fazio, il manager 50enne della Global Farma arrestato a maggio per aver drogato e abusato una studentessa di 21 anni e che ora è accusato di aver fatto altrettanto con almeno altre cinque vittime, s'era preparato a lungo. Le ricerche sul web erano frequenti, e antiche. Almeno dal 2016 alimentava virtualmente le sue fantasie predatorie. Digitava: «Ragazze addormentate/narcotizzate con il cloroformio». E affinava le sue tecniche sadiche. Le benzodiazepine le somministrava di nascosto, camuffate in un drink, un caffè, una tisana, o a seconda dell'occasione spacciate per integratori, sciroppo, fermenti lattici. Oppure, come medicinali contro il Covid. E quando riteneva servisse un «rinforzo», le lasciava cadere a gocce da una siringa nella bocca delle vittime che iniziavano a risvegliarsi. Negli ultimi 13 anni l'ha fatto spesso, come hanno ricostruito i carabinieri del Nucleo operativo della compagnia di Porta Monforte e del Nucleo investigativo di Milano, coordinati dal pm Alessia Menegazzo e dall'aggiunto Letizia Mannella. Con almeno nove donne. Oltre alla studentessa 21enne, il «moderno Barbablù», come è stato soprannominato dagli investigatori, è da lunedì accusato di aver abusato di altre quattro ragazze (tutte sotto protezione, tre di origine straniera e un'italiana, che oggi hanno dai 27 ai 35 anni) e dell'ex moglie, che avrebbe anche cercato di uccidere. A quest'elenco vanno poi aggiunte almeno altre tre vittime, che non si sono fatte avanti autonomamente e ancora in fase di identificazione. Di tutte loro conservava alcuni souvenir: indumenti intimi, e foto raccapriccianti, scattate mentre le donne erano in stato d'incoscienza. «Il comportamento del Di Fazio, costante almeno a partire dal 2008, pare anzi progressivamente sempre più spregiudicato, pervasivo e violento, ma al contempo anche più subdolo ed affinato», scrive il gip Chiara Valori nella nuova ordinanza di custodia cautelare in carcere. Per le ragazze la trappola scattava con offerte lavorative (stage in azienda, proposte di accompagnarlo come ragazze immagine in cene di lavoro), fatte anche via social attraverso un suo contatto nel mondo dello spettacolo. Poi le soggiogava approfittando di un loro momento di debolezza. Il resto lo facevano le benzodiazepine. Somministrate in dosi «abnormi», pericolose. Una delle giovani s'è risvegliata dopo due giorni, ancora sdraiata seminuda sul letto a casa di Di Fazio. La scorta non gli mancava. In casa i carabinieri gli hanno trovato una cinquantina di flaconi di medicinali vari e una confezione vuota di Diazepam. Per rifornirsi non doveva che compilare un blocchetto di ricette in bianco, che custodiva nel suo appartamento con la firma della sorella medico. Dopo gli abusi erano le minacce e i comportamenti persecutori a garantirgli il silenzio delle vittime. «Lasciava appositamente i suoi sigari fumati nel mio parcheggio privato», ricorda una ragazza, pedinata anche mentre era in visita al cimitero. «Io volevo denunciarlo ma non l'ho mai fatto perché ho sempre avuto molta paura di lui, che mi diceva di avere conoscenze molto importanti e potenti», ha riferito un'altra. C'erano poi la pistola (finta) sempre ostentata e le amicizie «pericolose» a far desistere le giovani: «Diceva di essere una persona con conoscenze importanti, anche nell'ambito dei servizi segreti e della criminalità organizzata». Come quel Nicola La Valle, pluripregiudicato considerato «contiguo» alla 'ndrangheta, amico di Di Fazio, che dopo l'arresto a maggio del manager s'è appostato fuori da Palazzo di giustizia per avvicinare una vittima che doveva deporre e seguendola «con lo sguardo con fare minaccioso, incutendo timore». Per l'ex moglie aveva invece assoldato un investigatore, a cui aveva ordinato di screditarla, mescolando di nascosto cocaina nelle bevande della donna, in modo da far cadere le accuse contro di lui e strapparle l'affidamento del figlio. Nel 2014, i vicini se la vedono arrivare all'improvviso, sconvolta, scalza, ferita. È appena riuscita a scappare da Di Fazio, che l'aveva attirata nella vecchia casa coniugale con una scusa. Là, l'aveva accecata con spray al peperoncino, immobilizzata con scotch e fascette da elettricista, colpita in testa con una chiave inglese e le aveva avvolto al collo una corda: «Da questo appartamento non uscirai più». Solo un attimo di disattenzione dell'uomo le aveva permesso di fuggire.
Paola Fucilieri per “il Giornale” l'11 dicembre 2021. «Soffro di devianze sessuali, di sadomasochismo. Ho fotografato quelle donne mentre erano addormentate». Interrogato il primo dicembre dalla gip Chiara Valori, si era avvalso della facoltà di non rispondere. Ieri, invece - nell'inchiesta dei carabinieri del nucleo operativo della compagnia Milano Porta Monforte, coordinata dall'aggiunto Letizia Mannella e dal pm Alessia Menegazzo - il 50enne imprenditore titolare della società farmaceutica «Globalpharma» Antonio Di Fazio ha scelto per la prima volta di parlare con i pm. Così, a partire dalle 11, difeso dai legali Mauro Carelli e Giuseppina Cimmarusti, è stato sentito nell'ufficio della Mannella al quarto piano del Palazzo di giustizia, rispondendo per ore alle domande e sciorinando la sua verità. E ha ammesso sostanzialmente tutto rispetto alle proprie condotte in riferimento ai singoli capi di imputazione, sostenendo di essere affetto da una patologia. L'uomo è in carcere a San Vittore da oltre sei mesi accusato di violenza sessuale nei confronti di una ragazza di 21 anni. Il 29 novembre gli è stata notificata inoltre una nuova ordinanza di custodia cautelare per casi di presunti abusi su altre cinque donne, tra cui l'ex moglie, che Di Fazio avrebbe reso inermi utilizzando sempre il medesimo schema, ossia somministrando loro sostanze narcotizzanti. Il nuovo provvedimento aggrava la sua posizione perché insiste sulla «serialità delle sue condotte», in quanto gli abusi sarebbero cominciati già nel 2008. Si parte cioè delle violenze ai danni della donna che all'epoca Di Fazio aveva sposato, fino agli stupri più recenti su modelle o studentesse. Tutte le vittime, secondo l'accusa, sarebbero state narcotizzate con benzodiazepine, abusate e poi, una volta prive di sensi, fotografate dall'uomo. Proprio a novembre, davanti ai nuovi presunti abusi, il gip Valori non aveva usato giri di parole per descrivere nell'ordinanza il comportamento «progressivamente sempre più spregiudicato, pervasivo e violento» dell'imprenditore specificando che, a suo avviso, l'unica misura possibile per lui è il carcere «vista l'ampia libertà di mezzo e di movimento dimostrate dal Di Fazio, la pervicacia delle condotte, la capacità affabulatoria e l'alacrità con cui ha cercato di sviare le indagini». Senza contare che, sempre dalle carte della Procura, emerge che l'uomo avesse addirittura un «blocchetto di ricette mediche in bianco» con la firma della sorella medico Maria Rosa e con le quali si auto prescriveva e acquistava i farmaci che gli servivano per stordire le sue giovani vittime prima delle violenze. Giovedì prossimo, 17 dicembre, è fissato un incidente probatorio davanti al gip per sentire quattro delle giovani vittime le cui testimonianze di abusi hanno portato alla nuova ordinanza di arresto. Di Fazio, già a processo in abbreviato per la prima violenza, è indagato anche per bancarotta fraudolenta. Sudi lui inoltre è in corso anche una inchiesta su presunti legami con la' ndrangheta con la quale proprio lo stesso imprenditore si sarebbe vantato più volte di avere rapporti. Un'altra presunta verità con la quale l'uomo deve fare i conti.
Simona Ravizza e Milena Gabanelli per il "Corriere della Sera" il 12 maggio 2021. Gli stupri denunciati ogni anno in Italia sono oltre 4.000, nel 2020 hanno raggiunto quota 4.383. In otto casi su dieci i responsabili sono persone conosciute dalle vittime. Dopo anni di indignazione, nel luglio 2019 viene approvata la legge «Codice Rosso», che aumenta le pene per tutti i reati di violenza sulle donne; quello che riguarda la violenza sessuale viene punito con la reclusione da 6 a 12 anni, contro i 5-10 precedenti. E quella di gruppo passa dai 6- 12 anni a un minimo di 8 e un massimo di 14. Ma quando c' è lo stupro? A orientare le decisioni dei giudici sono le sentenze della Cassazione che stabiliscono dei principi di diritto, che fanno pulizia fra chi sostiene: «donna non è mai colpa tua» e chi pensa «te la sei andata a cercare». Con l'Osservatorio sulla violenza contro le donne dell'Università degli Studi di Milano siamo andati ad esaminarle. Risultato: sia pur senza un valore vincolante assoluto (non può escludersi che due diversi giudici decidano di risolvere casi analoghi in maniera differente), l'analisi dei principi di diritto della Suprema Corte permette di tracciare linee guida fondamentali che veicolano anche messaggi culturali alla società. Una donna può dire di sì o di no, ma cosa succede se non dice né l'una né l' altra cosa? È una situazione che in gergo viene chiamata «espressione di dissenso implicito». La Suprema Corte dice: «Il dissenso è da presumersi, laddove non sussistano indici chiari e univoci volti a dimostrare l' esistenza di un, sia pur tacito ma in ogni caso inequivoco, consenso» (n. 42118/2019). Il pianto di una ragazza, per esempio, indica un dissenso presunto (n. 42118/2019), come pure il fatto che non abbia reagito perché prima è stata minacciata o picchiata (n. 10384/2020), se è dormiente (n. 22127/2016), oppure ubriaca o sotto l' effetto di stupefacenti e dunque in condizioni di inferiorità psichica che le impediscono di scegliere liberamente in un senso oppure nell' altro (n. 16046/2018,). È dunque molto rischioso avere un rapporto sessuale con una donna che ha alzato il gomito o fatto uso di droghe. Se ha bevuto o assunto sostanze volontariamente non c' è nessuna aggravante per il presunto violentatore, ma quando realizza l'accaduto può andare dai carabinieri e sporgere denuncia (n.10596/2020). La questione cambia se, invece, l' hai fatta ubriacare o drogata per approfittarne, in questo caso la pena può passare dagli 8 ai 16 anni perché la condanna viene aggravata di un terzo. E cosa succede se lo stupratore è a sua volta ubriaco? Viene applicato l' articolo 92 del Codice penale: «L' ubriachezza non derivata da caso fortuito o da forza maggiore non esclude né diminuisce l' imputabilità». Non puoi pensare di cavartela dicendo «ma dopo si è fatta accompagnare a casa». Il fatto che la ragazza si sia fatta dare un passaggio dopo il rapporto sessuale non va a incidere sulla sua attendibilità (n. 5512/2020). Non vale scusarsi dicendo: «Mi sono sbagliato, credevo ci stesse» (n. 49597/2016). Come non serve sostenere: «Se ci fosse stata violenza mi avrebbe denunciato subito, invece sono passati dieci giorni», perché possono servire mesi per rielaborare e trovare il coraggio di recarsi da un pubblico ufficiale (n. 14917/2019). Infatti, la legge «Codice Rosso» ha aumentato da 6 mesi a un anno il tempo utile per presentare querela. Il consenso deve andare dall' inizio alla fine: se la ragazza si lascia bendare, legare, o accetta altre pratiche estreme, ma poi cambia idea, tu ti devi fermare (n. 3158/2019). L' abuso di autorità è un' aggravante, e per la Suprema Corte è da intendersi in senso ampio (n. 27326/2020): vale non solo in caso di forze dell' ordine o figure istituzionali, ma anche per un datore di lavoro che ha un rapporto sessuale non consenziente con una dipendente, o di un insegnante nei confronti di una alunna. Violenza di gruppo. È prevista l' attenuante se l' opera di uno dei partecipanti ha avuto «minima importanza nella preparazione o nella esecuzione del reato» (art. 609-octies). Non c' è l' attenuante se tu non hai compiuto l' atto sessuale, ma sei stato compartecipe «atteso che la determinazione di quest' ultimo (il responsabile ndr ) viene rafforzata dalla consapevolezza della presenza del gruppo» (n. 29096/2020). È così se il fatto avviene in casa tua alla tua presenza (n. 29406/2019), hai partecipato all' organizzazione (n. 31619/2019), sei stato spettatore senza intervenire oppure hai filmato l' abuso sessuale (n. 16037/2018). Può bastare anche solo la testimonianza della donna (n. 29725/2013). Ma siccome la sussistenza di un ragionevole dubbio impedisce la condanna, la sua credibilità è fondamentale, e può essere messa alla prova da domande scomode e dolorose. La donna può essere vittima due volte: prima per mano del maltrattante, e poi nel processo. La paura di questa seconda forma di colpevolizzazione può portare le vittime a scegliere di non querelare. Il giudice, però, ha facoltà di decidere quali domande ammettere e quali no. Esempi di domande ammesse durante il processo: prima di avere il rapporto sessuale vi siete scambiati effusioni consensuali e reciproche? C' è stata violenza sulle mascelle per farti aprire la bocca? Aveva bevuto? Domande non ammesse: «È la prima volta che è stata violentata nella sua vita?», «Gli ha mai detto che voleva fare sesso con lui?», «Indossava pantaloni quella sera?». A tal proposito val la pena di sottolineare l' evoluzione della sensibilità dei giudici nel tempo: nel 1998 la Cassazione aveva ritenuto che ci fosse il consenso della donna al rapporto sessuale perché, al momento dell' amplesso, aveva dei jeans, ritenuti impossibili da sfilare senza la collaborazione di chi li indossa (n. 1636/1998). Certo, chiunque può mentire. Per esempio, una giovane ragazza potrebbe inventarsi una parte del racconto per giustificarsi con la madre, che al rientro a casa l' ha sgridata vedendola ubriaca. Per valutarne l' attendibilità la Suprema Corte (n. 15683/2019) considera determinante innanzitutto la linearità e la spontaneità del racconto: ti dico quel che mi ricordo, ma ammetto anche quel che non mi ricordo perché sotto l' effetto di alcol o droga (per esempio, non mi ricordo se il rapporto sessuale è iniziato in modo consenziente, ma sono certa che gli ho chiesto di fermarsi). Vale, poi, il riscontro della testimonianza nelle cartelle cliniche che possono indicare la presenza di lividi o di ferite nelle parti intime, ritenuti segni di un rapporto sessuale energico e, se ci sono, possibili testimoni. Rispondere dopo a un sms non significa che ci fosse accordo sul rapporto sessuale. Ed è ininfluente l' aspetto fisico: in un processo la difesa sosteneva che la ragazza non piaceva agli stupratori, perché presentava un aspetto mascolino tanto che questi l' avevano salvata in rubrica come «BEKA VIKINGO». Ma non è bastato a impedire ai giudici di optare per la sussistenza della violenza sessuale. I processi purtroppo non arrivano mai a punire in tempi ragionevoli, in media si va dai 2 anni e mezzo per una sentenza di primo grado, a quasi 6 per il secondo. Dai dati Istat: stupratori e vittime si riscontrano in tutte le fasce di età, ma il 40% delle donne violentate ha tra i 14 e i 24 anni. Fra i presunti violentatori, il 36% ha un' età compresa fra i 18 e i 34 anni. Il grosso dei numeri, quindi, riguarda i giovanissimi. Raccomandare alle nostre figlie di stare attente a dove vanno non sarà mai abbastanza, mentre infilare nella testa dei figli maschi cosa rischiano può renderli più consapevoli.
· Lo Stupro Emozionale.
Quando lo stupro è emozionale: "I danni sono incalcolabili". Raggirano le vittime facendole credere in una relazione affettiva, al solo scopo di estorcere loro denaro. Sono i truffatori sentimentali, che usano tecniche di persuasione per manipolare le proprie vittime. L'avvocato Maurizio Cardona ha spiegato al Giornale.it di cosa si tratta. Francesca Bernasconi, Sabato 09/01/2021 su Il Giornale. Sono almeno 10mila le vittime dello "stupro emozionale" negli ultimi 6 anni. A sottolinearlo è stata Jolanda Bonino, ex sindacalista torinese che, tramite il movimento Acta, supporta le vittime di questi reati. Dalla truffa del principe azzurro, alla Romance Scam, le truffe sentimentali hanno assunto diversi nomi ma hanno da sempre caratterizzato la nostra società. Negli ultimi anni però, si sono ripresentate soprattutto attraverso le rete, diventando una vera e propria "piaga sociale". E i danni, economici e psicologici, sono enormi: si parla anche di centinaia di migliaia di euro sottratti e di abusi emozionali devastanti. L'ultima truffa del genere scoperta dalla guardia di finanza di Torino risale a qualche settimana fa. Lo scorso 18 dicembre, 50 persone sono state denunciate nell'ambito dell'operazione "Casanova": gli investigatori hanno individuato un gruppo criminale, composto da nigeriani e da un italiano, che riciclava denaro illecito ricavato dalle truffe sentimentali informatiche. Ma in che cosa consiste una truffa sentimentale? Come viene messa in atto e come fare per difendersi? A tracciare un quadro generale del fenomeno è stato Maurizio Cardona, avvocato torinese e presidente dell'Associazione Divorzisti Italiani (DiAction), che al Giornale.it ha spiegato come agiscono solitamente questi truffatori. Prima di tutto è necessario distinguere tra due modalità di truffe sentimentali: quelle messe a segno da organizzazioni criminali, che agiscono attraverso il web, e quelle in presenza, dove il truffatore può essere "l'uomo o la donna della porta accanto". "Fanno credere di essere innamorati - spiega l'avvocato Cardona - per condurre le vittime a commettere disposizioni patrimoniali. Il loro intento è speculativo".
L'"identikit" dei truffatori. Dal vicino di casa allo sconosciuto che inizia un contatto via web, i truffatori si nascondono dietro a falsi principi azzurri, che cercano di "instaurare delle relazioni affettive attraverso tecniche di persuasione, con l'obiettivo di abbassare le difese della vittima e carpirne la fiducia". Il malintenzionato può agire da solo o guidato da una vera e propria organizzazione, che arruola persone appositamente per "cercare di indebolire le difese di una vittima". Per riuscirci, i truffatori si comportano come "ottimi conoscitori dell'animo umano e abili manipolatori, usando tecniche di persuasione come il love bombing", che consiste nel riempire di attenzioni e affetto le vittime, per farle innamorare e cadere nella trappola. Per mettere a segno le truffe sentimentali attraverso il web, i malintenzionati si creano una falsa identità e studiano attentamente il profilo della vittima designata, così da poter far leva sui temi a lei più cari nel corso dello scambio di messaggi. "Dopo una prima fase di messaggi di presentazione inizia un vero e proprio corteggiamento, che fa leva sulle debolezze e sulle fragilità della vittima - racconta l'avvocato Cardona, parlando delle truffe via web - E fanno cadere le barriere che normalmente chiunque di noi alza di fronte a uno sconosciuto e a questo punto il gioco è fatto e il truffatore potrà inventare problemi economici o di salute per chiedere denaro alla sua vittima". "Siamo cresciuti col mito del principe azzurro ed ecco che si materializza - spiega l'avvocato Cardona - e dice alla vittima quello che lei vuole sentirsi dire, che la felicità può esistere davvero, e per quanto ci sia diffidenza il truffatore è in grado di toccare le corde emozionali che fanno cadere in trappola". In questo modo il malintenzionato riesce a manipolare la persona a cui vuole estorcere denaro. Così, dopo aver conquistato la fiducia della vittima e abbattuto le sue barriere di protezione, il truffatore è in grado di manipolarla: è a questo punto che inizia a chiedere denaro, raccontando di averne bisogno per diversi fini, dalle cure per un figlio malato, al pagamento di debiti. A volte le vittime vengono contattate anche da falsi avvocati specialisti o finti agenti dell'Interpol, che chiedono soldi. Ma chi sono solitamente le vittime scelte dai truffatori? Tracciare un profilo ideale della vittima dello stupro emozionale è molto difficile, perché chiunque potrebbe essere preso di mira. Generalmente, dichiara l'avvocato Cardona, "nella maggior parte dei casi si tratta di donne, di età compresa tra i 40 e i 65 anni, ma ci sono anche diversi uomini". Il "candidato ideale" di una truffa sentimentale è "una persona sola, che non ha relazioni, magari vedova, e con una sensibilità e un desiderio di affettività accentuato". Il truffatore spesso studia il profilo delle potenziali vittime, per capirne gli interessi e poterli usare a proprio vantaggio.
Il reato. Nel Codice Penale italiano il reato di "truffa sentimentale" o di "stupro emozionale" non esiste. Si configura invece con il reato di truffa. Ma per dimostrarlo non basta l'inganno sentimentale: servono alcuni elementi, che spesso nello stupro emozionale non sono presenti. L'avvocato Cardona ricorda una sentenza del tribunale di Milano del 2015, in cui è stato evidenziato questo aspetto: "mentire sui propri sentimenti non è sufficiente perché si verifichi il reato di truffa, occorrono elementi più specifici, come i raggiri e gli artifici. Senza una macchinazione, un dolo, la dimostrazione che fin dall'inizio il truffatore abbia avuto questo intento, non è facile dimostrare che si sia trattato di una truffa". Nel caso preso in esame dal tribunale nel 2015, la truffa venne esclusa, perché non sussistevano gli elementi che solitamente la costituiscono. Diverso è il discorso delle truffe via web, che si presentano comprendenti tutti gli elementi integrativi del reato di truffa. In questo caso la parte difficile è perseguire i malfattori, che spesso fanno parte di organizzazioni, anche internazionali: "È una piaga mondiale", precisa l'avvocato. Nel 2019, una sentenza della Cassazione ha ribadito la necessità che "vengano confermati artifici e raggiri" per delineare il reato di truffa: "Non basta mentire sui sentimenti, ma il comportamento del malintenzionato deve essere accompagnato da modalità truffaldine, che agiscano sulla psiche della vittima e la facciano cadere in errore". Si tratta, spiega Cardona, di una "sentenza molto importante, perché evidenzia la possibilità di truffe di questo tipo anche nell'ambito di relazioni affettive di convivenza o matrimoniali che possono durare anni". Oltre alla truffa, un altro reato che può essere contestato nei casi di stupri emozionali è la circonvenzione di incapace. Non occorre che la vittima sia in uno stato di infermità, ma potrebbe trattarsi di "soggetti più fragili, la cui autodeterminazione viene inficiata". In questo caso, "non c'è la necessità di provare artifici e raggiri, ma basta evidenziare lo squilibrio tra soggetto e vittima, che si trova in una situazione di maggiore fragilità. Si tratta di un reato che incide sulla libertà di autodeterminazione della vittima". Data l'impossibilità di trovare prove evidenti di raggiri, fondamentali perché sussista la truffa, dimostrare il reato di circonvenzione di incapace risulta più semplice. "Credo molto che si possa andare anche in questa direzione - specifica Maurizio Cardona - E non si tratta di persone tecnicamente incapaci, ma più fragili e più esposte a manipolazioni affettive". I reati commessi dal truffatore possono degenerare poi in estorsioni, con la richiesta di denaro e in ricatti. Soprattutto nelle truffe via web infatti la vittima può essere indotta a inviare "foto compromettenti" al suo presunto fidanzato o fidanzata, che potrebbe poi usarle per un ricatto.
Come difendersi. Ma c'è un modo per riconoscere e difendersi dalle truffe sentimentali? "Non è facile difendersi dal truffatore della porta accanto, da un soggetto che vuole farti innamorare per indebolire le tue difese - ammette l'avvocato Cardona - Secondo me in questi casi non esistono delle strategie specifiche". Forse, una possibile precauzione sarebbe quella di "mantenere una visione e una capacità critica, nel tentativo di distinguere un amore autentico da uno che non lo è. Per questo, è fondamentale prendersi il tempo giusto, per cogliere eventuali incongruenze nel comportamento dell'altro. Soprattutto all'inizio è più facile compiere gesti istintuali, ma bisogna prendersi il tempo, essere prudenti. Il tempo gioca come strumento di difesa". Per quanto riguarda le truffe via web invece la diffidenza può aiutare: "Tenere un atteggiamento più prudente e studiare il profilo della persona che scrive potrebbe essere d'aiuto". Bisogna anche fare attenzione a come una persona si presenta e diffidare di chi mette in luce esclusivamente i propri pregi, sembrando l'anima gemella o l'uomo o la donna perfetta. Fondamentale poi è "tagliare corto di fronte a richieste di denaro ed evitare di fornire i dati sensibili, come indirizzi o numeri delle carte di credito". Una volta che si ha il sospetto di essere rimasti vittima di una truffa, è importante rivolgersi alle forze dell'ordine, ma anche alle organizzazioni che tutelano le vittime, perché parlarne è difficile. Si tratta di "situazioni spesso devastanti". Ma si può parlare di stupro emozionale? "Sicuramente sì - spiega l'avvocato Cardona - Una truffa sentimentale è una violenza, un maltrattamento della sfera emozionale, che causa un danno patologico esistenziale molto pesante. È una violenza che dura nel tempo e rischia di compromettere l'integrità e la futura capacità di relazionarsi della vittima. I danni sono incalcolabili, esponenziali". Secondo Maurizio Cardona, importanti per la lotta alle truffe sentimentali potrebbero essere anche "momenti formativi per le forze dell'ordine, per aiutarle ad acquisire modalità efficienti per contrastare il reato" e l'informazione. "Bisogna parlare di queste situazioni: è molto importante sensibilizzare l'opinione pubblica su questi crimini, per far capire che chiunque può cadere in questo tipo di raggiro". E mette in guardia: "Essere vittima può capitare a tutti".
· Mai dire…Matrimonio.
Il divorzio dei record: l'assegno dello sceicco vale oltre 600 milioni. Chiara Clausi su Il Giornale il 22 dicembre 2021. È il più grande caso di divorzio nella storia del Regno Unito quello tra il sovrano di Dubai, Mohammed bin Rashid al-Maktoum, e la sua sesta moglie, la principessa Haya, la figlia di 47 anni dell'ex re di Giordania Hussein. Lo sceicco, 72 anni, ha divorziato dalla moglie più giovane quando ha scoperto la sua relazione con una guardia del corpo. Fra l'altro Haya aveva «preso in prestito» dal conto della figlia di 10 anni una cifra non da ridere, 7,5 milioni di dollari, per pagare il silenzio dell'ex soldato britannico con il quale aveva una relazione illecita. Adesso una corte britannica ha ordinato allo sceicco di versare circa 734 milioni di dollari (635 milioni di euro) alla sua ex moglie. Il caso ha sollevato il velo su ciò che i super ricchi fanno nel loro tempo libero e ha acceso i riflettori sul mondo chiuso delle famiglie reali mediorientali. La sentenza fornisce alla principessa Haya le somme per coprire i costi di gestione di due proprietà multimilionarie: una vicina al Kensington Palace di Londra, e l'altra la sua residenza principale, a Egham, nel Surrey. C'è anche un «budget per la sicurezza», oltre a stipendi e alloggio sia per un'infermiera sia per una tata, veicoli blindati per la famiglia e il costo del mantenimento di pony e animali domestici.
La principessa Haya è fuggita da Dubai in Gran Bretagna con i suoi figli nel 2019. Aveva raccontato di temere per la sua vita, dopo aver scoperto che lo sceicco aveva rapito due delle sue altre figlie - Latifa e Shamsa - e le aveva riportate a Dubai contro la loro volontà. Lo sceicco ha anche violato i telefoni cellulari di Haya, delle sue guardie del corpo e del suo team legale. La principessa però durante le procedure di divorzio non ha nascosto di essere scocciata dal fatto che il suo guardaroba di haute couture, valutato in circa 110 milioni di dollari, e la sua collezione di gioielli - diamanti, perle, zaffiri e smeraldi - da 26 milioni di dollari non le fossero stati restituiti da Dubai. Inoltre, Haya non avrà la sua scuderia, ma ha ricevuto circa 6,6 milioni di dollari per «acquistare cavalli e mantenerli».
I suoi avvocati hanno anche insistito affinché venissero stanziati soldi per i viaggi dei bambini. Il tribunale ha assegnato 7 milioni di dollari l'anno, più altri 1,3 milioni per attività di «tempo libero». Altri 250mila dollari sono stati destinati agli animali, inclusi cavalli e pony, e 130 mila dollari per i tutor privati dei bambini. Mentre la richiesta per il figlio Zayed, di 9 anni, di denaro per l'acquisto di tre nuove auto, oltre a quella che già possiede, è stata respinta. Il tribunale ha esaminato anche le foto delle vacanze della famiglia sul loro super yacht da 400 milioni di dollari, oltre a quelle dalla loro collezione di ville e tenute, e scatti del loro Boeing 747 e di altri elicotteri privati, tutti gestiti da circa 80 dipendenti. Alla corte è stato anche raccontato come un'estate la famiglia abbia speso più di 2 milioni di dollari in fragole.
La vicenda ha però offuscato la reputazione internazionale dello sceicco che è stato ospite della regina al Royal Ascot ed è uno dei principali attori nel mondo delle corse di cavalli con le sue scuderie Godolphin. Ma in questa storia c'è anche una nota curiosa. Il sovrano ha rimosso la poesia online a lui attribuita, che la principessa percepiva come una minaccia. Lo sceicco ha sottolineato come non avesse alcuna intenzione di fare del male ad Haya. Gelosia, lusso, abitudini eccentriche: la vita di eccessi dei reali mediorientali.
Londra, Haya di Giordania e lo sceicco di Dubai, divorzio da 650 milioni di euro: lo scandalo che sfiora la Corona. Elisa Messina su Il Corriere della Sera il 21 dicembre 2021. L’Alta Corte ha ordinato allo sceicco Mohammed bin Rashid al-Maktoum, amico della regina Elisabetta, di pagare la ex moglie, sorella del re di Giordania e difesa dall’avvocata del principe Carlo. L’Alta Corte di Londra, con una sentenza resa nota oggi, ha ordinato allo sceicco Mohammed bin Rashid al-Maktoum, 72 anni, signore di Dubai, primo ministro e vicepresidente degli Emirati Arabi Uniti, di sborsare la cifra record di 554 milioni di sterline (650 milioni di euro) per chiudere la battaglia legale con la ex moglie, la principessa Haya , 48 anni, sorellastra di re Abdullah di Giordania, sulla custodia dei due figli. Si tratta del più costoso accordo di divorzio mai siglato in tutto il Regno Unito. Ma c’è molto di più: questa sentenza vorrebbe essere l’epilogo giudiziario (ma non è detta l’ultima parola visto il peso dei personaggi in ballo) di una vicenda iniziata nel 2019 con la clamorosa fuga di Haya (una delle sei mogli dello sceicco) con i due figli da Dubai e diventata poi un caso diplomatico che coinvolge tre paesi, Emirati Arabi, Gran Bretagna e Giordania e crea imbarazzi anche a Buckingham Palace, visto che lo sceicco è amico personale della regina Elisabetta con cui condivide la passione per le corse dei cavalli (prima del 2019 non si perdeva un torneo Ascott).
Le poesie «minacciose» dello sceicco
La fuga di Haya era stata al centro delle cronache internazionali nell’estate del 2019. Con un jet privato era atterrata in Germania portando con se, oltre ai figli che allora avevano 11 e 7 anni, anche una valigia con 39 milioni di dollari. Poi silenzio. Dopo qualche giorno la principessa era riapparsa in pubblico a Londra, a fianco di una delle avvocate più agguerrite d’Inghilterra, l a baronessa Shackleton , quella che difese il principe Carlo nel divorzio con Diana, per chiedere l’intervento della Giustizia Britannica in difesa dei suoi figli: se al-Maktoun fosse riuscito a rapire i figli per riportarli a Dubai la figlia maggiore Jalila rischiava le nozze forzate. Una prospettiva concreta. Lo sceicco, che si diletta a comporre versi, aveva risposto indirettamente pubblicando alcune nuove poesie abbastanza minacciose sul suo profilo Instagram: «Alcuni errori sono definiti tradimento e tu hai trasgredito e tradito», iniziava la poesia, pubblicata dopo l’arrivo di Haya in Germania. Lo sceicco prosegue poi:«Il tuo tempo di mentire è finito e non importa cosa eravamo, né cosa sei. Non mi interessa se vivi o muori». In un’altra poesia pubblicata qualche giorno dopo parlava di «spade affilate pronte a colpire». In quei giorni di minacce e tensione (anche diplomatica), dalla corte di Amman, il re di Giordania aveva risposto, altrettanto indirettamente ad al-Maktoum, pubblicando, sempre sui social, una sua foto con la sorella Haya.
251 milioni per le case e la scorta
Iniziò una battaglia legale lunga e delicata a cui l’Alta Corte ha messo oggi un altro punto formalizzando cifre e richieste. Il giudice Philip Moor sostiene la principessa «non chiede niente per sé al di fuori della sicurezza». Il risarcimento andrebbe anche a compensare le perdite conseguenti al divorzio. La Corte chiede allo sceicco di sganciare 251 milioni di sterline nei prossimi tre mesi, per il mantenimento delle residenze britanniche dove Haya vive con i figli, per il loro sostentamento nel prossimo futuro e come compensazione per la perdita di gioielli e cavalli da corsa (Haya è un ex campionessa di equitazione). Ma soprattutto per coprire i costi altissimi della sicurezza necessaria a proteggere la principessa e i due figli Jalila (14 anni) e Zayed (9). Proteggerli da cosa? in primis proprio dal potente padre ed ex marito pronto a fare qualunque cosa pur di riavere i figli a Dubai. La corte ha riconosciuto dunque il rischio reale di rapimento e di sicurezza in generale per la donna e per i figli : «un rischio chiaro e sempre presente» scrive il giudice nella sua sentenza di 73 pagine.
Cyber-spionaggio
Già nell’autunno scorso, un giudice inglese aveva dichiarato che lo sceicco stava intercettando illegalmente la ex moglie: gli agenti dello sceicco si erano impadroniti di 24 ore di conversazione e 500 foto da mail e messaggi whatsapp) utilizzando il famigerato software Pegasus, quello sviluppato dalla Nso, agenzia di cyber intelligence israeliana a cui si rivolgono i regimi autoritari per spiare i dissidenti Non a caso a dare l’allarme fu Cherie Blair, la moglie dell’ex premier britannico che era una consigliera legale del gruppo Nso. La magistratura britannica, da allora, ha stabilito una zona di esclusione attorno al palazzo dove vive Haya e anche un divieto di sorvolo. Insomma, questa è una vicenda in cui ogni dettaglio fa notizia.
Lo sceicco non vuole pagare
Tre milioni, secondo quanto stabilito dalla sentenza, servirebbero per le scuole di Jalila e Zayed più una decina di milioni di arretrati. L’esborso complessivo stabilito dal tribunale (che lo sceicco e ha già detto di non voler sottoscrivere) è meno della metà di quanto la principessa Haya aveva chiesto rivolgendosi alla giustizia britannica dopo la fuga dagli Emirati nel 2019 .
Il ricatto e la guardia del corpo
Nel corso del procedimento giudiziario di Londra, lo sceicco si è visto mettere in piazza dettagli imbarazzanti sulla vita privata e su certe sue azioni recenti (come l’attività di spionaggio ai danni dell’ex moglie). L’avvocato dello sceicco, Nigel Dyer, in aula aveva parlato di richieste eccessive. Accusando tra l’altro la principessa di aver fatto cattivo uso del denaro destinato all’educazione dei figli. Avrebbe speso quasi 7 milioni di sterline per mettere a tacere chi minacciava di rivelare una sua storia d’amore con la guardia del corpo britannica Russell Flowers (forse il vero motivo del divorzio). Una vicenda che il tribunale ha però giudicato irrilevante. Haya ha ammesso di aver preso quei soldi dal conto dei figli perché terrorizzata dai ricattatori. Altri soldi dello stesso conto erano stati utilizzati anche per acquistare cavalli da corsa e un’altra grossa somma è stata inviata da Haya a suo fratello, il re di Giordania, per aiutarlo a finanziare il palazzo reale in Giordania.
Ha già rapito la figlia Shamsa nel 2000
Per capire le decisioni attuali dell’Alta Corte contro al-Maktoum e le dichiarazioni nette su quanto lui, potente e privo di scrupoli, rappresenti un«reale rischio di sicurezza per la ex moglie» bisogna ricordare che nel 2000 lo stesso sceicco aveva fatto sequestrare, per le vie di Cambridge, la figlia Shamsa, allora 18enne, una delle figlie avuta da una delle sei mogli, per riportarla a Dubai. Da allora Shamsa non è stata più vista in pubblico.Lei e la sorella Latifa, secondo testimonianze arrivate persino al palazzo delle Nazioni Unite, sarebbero tenute segregate a Dubai. Nel 2019, all’inizio della battaglia legale della principessa Haya contro lo sceicco, l’Alta Corte aveva risollevato il caso del rapimento di Shamsa, criticando la mancata cooperazione del ministero degli Esteri britannico (quando a capo del governo c’era proprio Tony Blair).
Chiara Bruschi per “Il Messaggero” il 22 dicembre 2021. Circa 550 milioni di sterline, pari a 630 milioni di euro: è questa la cifra record che il primo ministro degli Emirati Arabi Uniti dovrà pagare alla più giovane delle sue sei mogli e ai loro due figli. Lo ha deciso l'Alta Corte di Londra che ha così consegnato questa separazione a sei cifre alla storia: mai, nel Regno Unito, era stata stabilito un importo così alto nel sancire la fine di un matrimonio. Battuto quindi anche il ricco uomo d'affari russo Farkhan Akhmendov, 66 anni, al quale era stato ordinato di pagare 453 milioni alla ex moglie Tatiana. A decidere è stata l'Alta Corte di Londra che ha sottolineato come toccherà proprio allo sceicco Mohammed Bin Rashid Al-Maktoum pagare per la sicurezza che proteggerà la sua famiglia dal principale pericolo: lui stesso. La principessa Haya Bint al-Hussein, 47 anni, sorella del Re di Giordania Abdullah II, era scappata nella capitale britannica in modo piuttosto rocambolesco nel 2019 e qui aveva trovato rifugio insieme ai figli Jalila e Zayed di 14 e 9 anni.
IL TRADIMENTO Una decisione presa, pare, quando il marito aveva scoperto la relazione extra coniugale della donna con la guardia del corpo Russell Flowers. La principessa era stata ricattata dall'uomo - un ex soldato britannico sposato - e da altri membri della sua sicurezza: Haya era stata ricattata per tre volte a partire da febbraio 2018, prima di fuggire, e aveva pagato, dicendosi «spaventata» circa 7 milioni di sterline in totale. La «paura per la propria vita» era continuata anche a Londra, quando l'ex marito aveva pubblicato una poesia intitolata Hai vissuto, sei morta e la principessa continuava a ricevere messaggi che rimarcavano come fosse raggiungibile «ovunque». Un timore che riguardava anche i figli. La sorella del Re di Giordania temeva infatti che potessero essere rapiti e portati a Dubai, come già accaduto nel 2000 ad altre due figlie dello sceicco, che aveva sempre negato ogni accusa. Dei 550 milioni stabiliti dall'Alta Corte fanno parte, scrive il Times, 10 milioni per la casa di Londra da spendere in dieci anni e altri tre per quella di campagna, 5,1 milioni per le vacanze ogni anno e voli aerei per un milione. La cifra più alta però è quella per la sicurezza calcolata in base all'aspettativa di vita della principessa e agli studi dei figli: 210 milioni da pagare in anticipo, entro i prossimi tre mesi. Per il giudice Moore che ieri ha emesso la sentenza, infatti, la «principale minaccia» per Haya e i suoi figli è rappresentata proprio dallo sceicco, che dal 2019 a oggi ha messo in atto una serie di azioni intimidatorie nei confronti della donna. La più scandalosa delle quali - già finita sui giornali in passato - riguarda l'hackeraggio del suo telefonino e di quello della baronessa Shackleton, sua legale e già avvocato di Carlo nel suo divorzio da Diana, attraverso il famigerato spyware Pegasus solitamente utilizzato dai governi autoritari per spiare i dissidenti.
UNA MINACCIA Per la corte lo sceicco rappresenta una minaccia «chiara e sempre presente» anche per i bambini, visto che avrebbe orchestrato il rapimento di altre due figlie, la principessa Latifa e Shamsa. Di Shamsa, prelevata da Cambridge e riportata a Dubai nel 2000 quando aveva 18 anni, non si hanno più notizie da vent' anni. La sentenza ha creato non poco imbarazzo a corte: oltre a essere emiro di Dubai e vicepresidente degli Emirati, lo sceicco 72enne - che ha sei mogli e 23 figli - è anche un amico della regina Elisabetta con cui condivide la passione per i cavalli. O meglio era: la sovrana aveva già preso le distanze dall'uomo lo scorso ottobre, quando in seguito allo scandalo dell'hackeraggio dei telefonini aveva rimosso il suo nome dalla lista degli invitati ad Ascot, dove era da anni un habitué.
MONET LA DONNA SPOSATA 11 VOLTE. Da today.it l'8 dicembre 2021. Una vita movimentata, quella di Monet, 52 anni, che ha ammesso in tv di essere stata sposata per ben 11 volte, e di non aver comunque rinunciato a trovare l'amore della sua vita. Undici matrimoni per un totale di nove mariti (il secondo e il sesto successivamente li aveva pure risposati): Monet ha raccontato - nel corso del programma "Addicted to Marriage" di Tlc - di aver iniziato con i matrimoni subito dopo aver terminato gli studi:
"Il mio primo marito ed io ci siamo conosciuti al liceo, avevo subito detto a mia sorella che un giorno lo avrei sposato e così è stato, ci siamo uniti in matrimonio due mesi dopo". Poi la crisi, e il divorzio.
Ma Monet non perde la speranza, come riporta anche il Sun: "Con il mio secondo marito mi sono divertita veramente tanto, ma poi abbiamo divorziato, e successivamente abbiamo pensato che le cose potessero tornare a funzionare dunque ci siamo sposati di nuovo".
Il quarto marito di Monet aveva già avuto un figlio da una relazione precedente, ma mentre lei ha ammesso di adorare il suo bambino, l'amore per il marito è svanito presto.
Mentre il quinto marito è stato definito "probabilmente uno dei veri amori della mia vita", il sesto "sembrava così carino e gentile, così l'ho sposato, e poi l'ho risposato anche in seguito".
La moglie 'seriale' ha ammesso che alcuni matrimoni sono durati veramente poco: il marito numero otto è stato conosciuto online, e una settimana dopo i due si sono sposati a Las Vegas.
Il numero nove era molto carismatico, giusto "il tipo da cui non dovresti essere attratta, ma a volte lo sei". Tutto chiaro, no?
Il numero dieci era una vecchia conoscenza che risaliva alla scuola elementare: "Una brava persona, ma avremmo dovuto rimanere amici" ammette Monet.
E sull'undicesimo ammette: "Non c'è niente da dire!". Rimane dunque oscuro il motivo dell'innamoramento.
Monet ammette di essere molto veloce a innamorarsi, come avranno notato anche i telespettatori dello show, e dice di aver ricevuto in totale 28 proposte di matrimonio. Tuttavia, non ha mai mollato la speranza e spera ancora di trovare l'uomo della sua vita. Sperando non sia solo il dodicesimo.
Adesso la donna sta frequentando John, 57 anni, reduce da due matrimoni: "Ci siamo conosciuti online e le ho detto di amarla dopo averla vista tre volte, credo molto nella sincerità e quando mi sento di poter dire una cosa, la dico"
Il No di Lega e Fratelli d'Italia. L’Europarlamento chiede a tutti gli Stati Ue di riconoscere le unioni Lgbt: contrari Lega e Meloni. Redazione su Il Riformista il 15 Settembre 2021. L’Unione europea deve rimuovere tutti gli ostacoli che le persone Lgbtiq affrontano nell’esercitare i loro diritti fondamentali e far sì che i matrimoni o le unioni registrate in uno Stato membro siano riconosciute in tutti i Paesi dell’Ue. A chiederlo è una risoluzione approvata ieri dall’assemblea plenaria del Parlamento europeo con 387 voti favorevoli, 161 contrari e 123 astensioni. A votare contro il testo gli eurodeputati della Lega e di Fratelli d’Italia. Sì da Partito democratico, Movimento cinque stelle e Italia viva, mentre Forza Italia si è divisa tra voti favorevoli, contrari e astensioni. Nel testo della risoluzione gli eurodeputati esortano tutti i gli Stati membri a riconoscere come genitori legali gli adulti menzionati nel certificato di nascita di un bambino e a riconoscere il diritto al ricongiungimento familiare alle coppie dello stesso e alle loro famiglie per evitare il rischio che i loro bambini diventino apolidi nel caso in cui le loro famiglie si spostino all’interno dell’Ue. Infine, i deputati sottolineano la discriminazione affrontata dalle comunità Lgbtiq in Polonia e Ungheria e, a questo riguardo, chiedono alla Commissione di intraprendere ulteriori azioni come procedure di infrazione, misure giudiziarie o strumenti di bilancio nei confronti questi Paesi. Soddisfatto l’eurodeputato dei Socialisti e democratici Massimiliano Smeriglio: «Grazie al lavoro del gruppo S&D in Commissione Petizioni, a Strasburgo è stata approvata una risoluzione per i diritti delle persone Lgbtqi che prevede il riconoscimento in tutti gli Stati membri dell’Ue dei matrimoni e delle unioni tra persone dello stesso sesso e che sancisce anche la possibilità del ricongiungimento familiare per le famiglie arcobaleno. È una norma di civiltà, un bel passo avanti per un’Europa dei diritti di tutti e tutte». Il capodelegazione di Fdi-Ecr al Parlamento europeo Carla Fidanza si scaglia «contro a sinistra e le lobby Lgbt» che «tentano di imporre la propria visione ideologica. L’Unione europea non ha competenza per le politiche familiari, che sono e devono rimanere prerogativa degli Stati nazionali». «Siamo convinti – prosegue Fidanza – che l’Unione non debba interferire in queste materie e che si debba rispettare l’autonomia degli Stati membri. A tal proposito riteniamo pericoloso il passaggio della risoluzione nel quale vengono richieste misure contro Ungheria, Polonia e Romania: l’accusa che in questi Paesi non vengano rispettati di diritti della comunità Lgbtiq è una mistificazione della realtà».
Parroco si sente male mentre celebra un matrimonio e muore al momento dello scambio degli anelli. Valentina Mericio il 07/09/2021 su Notizie it. Parroco si sente male mentre celebra un matrimonio e muore al momento dello scambio degli anelli. Tragedia a Vinchio (Asti). Don Aldo Rosso, parroco della zona è stato colpito da un'emorragia cerebrale durante la celebrazione di un matrimonio. Un lutto improvviso ha sconvolto la comunità di Vinchio in provincia di Asti che ha perso il suo parroco, Don Aldo Rosso proprio mentre stava celebrando la messa di un matrimonio. Stando a quanto appreso, il parroco sarebbe deceduto a causa di un’emorragia celebrale. Tra gli invitati alle nozze era presente anche un medico. A nulla sarebbero valsi i soccorsi per fargli riprendere coscienza. L’uomo sarebbe deceduto dopo essere stato ricoverato in ospedale. L’uomo era amatissimo e benvoluto dai cittadini. La morte ha colto l’uomo nel modo più tragico e impensato. Stava infatti celebrando la messa di un matrimonio quando il parroco si è accasciato proprio nel mentre stava procedendo con lo scambio degli anelli. A seguito del malore, le nozze dei due sposi sono state temporaneamente sospese. La celebrazione è stata comunque portata a termine da un altro parroco proveniente dal comune vicino di Vallumida di Montegrosso. Quest’ultimo ha officiato anche il battesimo del figlio della coppia. Non è appena il parroco è stato soccorso, le sue condizioni sono apparse fin da subito gravissime. Nonostante il medico presente tra gli invitati abbia fatto il possibile per salvarlo. Don Aldo Rosso si è spento nella notte di lunedì 6 settembre presso l’ospedale Massaia dove era stato ricoverato. Don Aldo Rosso era una figura molto amata da tutta la comunità. Basti pensare che durante il periodo di emergenza sanitaria, il religioso aveva fatto installare degli altoparlanti affinché i fedeli all’esterno della chiesa potessero assistere alla celebrazione. Sono state moltissime le persone che sui social hanno voluto dedicargli anche solo un pensiero a cominciare dall’amministrazione del comune astigiano di Vinchio che, su Facebook ha scritto: “La comunità Vinchiese si stringe al dolore della famiglia Rosso, per la perdita del nostro Don Aldo”. Il religioso era stato ordinato parroco nel 1974. “Una tristissima notizia… tante condoglianze alla famiglia con la certezza di ricordarlo sempre quando era alla Tana più di 40 anni fa…” ; “mi unisco nel ricordo e nella preghiera. Condoglianze.” ; “Buon viaggio Don Aldo !”, sono solo alcuni dei messaggi che i fedeli hanno rivolto al loro parroco.
Maria Corbi per "la Stampa" il 7 agosto 2021. Rimanere una coppia anche senza fare sesso. Una condizione che fino a qualche anno fa veniva considerata un ossimoro, una possibilità che metteva a rischio gli equilibri nelle relazioni tra uomo e donna impostati, e imposti, da una società patriarcale. Così da qualche anno abbondano le ricerche sul tema, trascinate dal mondo anglosassone che ha aperto il sipario su questo «piccolo mondo» che poi tanto piccolo non è. Paese che vai percentuale che trovi sui sexless marriage, ma tutte si attestano intorno al 30 per cento, e vengono stabilite su un campione di coppie unite da più di 10 anni. Secondo l'ultimo Rapporto Censis-Bayer sui nuovi comportamenti sessuali 1,6 milioni di italiani tra i 18 e i 40 anni non fanno sesso. E in vent' anni la percentuale di maschi giovani che non praticano sesso è passata dal 3% del totale all'11,6%. Quella delle femmine dal 7,9% all'8,7%. E sarebbero 220.000 le «coppie bianche» in quella fascia d'età. Una delle conclusioni della ricerca è che oggi «il sesso è piacere e non coincide con l'amore o l'affettività». Certo è che di questo «segreto» oggi se ne parla molto. Soprattutto nei Paesi anglosassoni. Lo ha fatto recentemente Oprah nel suo sito con un'inchiesta dal titolo «Se il tuo matrimonio è senza sesso, la tua relazione potrà sopravvivere? In breve, si». E lo si capisce, quel «si», leggendo un libro che ha fatto molto discutere in Gran Bretagna, ma anche da noi, Possibly a love story, dell'inglese Olivia Fane, da cui il Guardian è partito per un'inchiesta sul tema. A confermare quello che sostiene la Fane è Paolo Crepet, psichiatra e scrittore: «È vero, ci sono matrimoni felici senza sesso perché abbiamo sopravvalutato l'importanza dell'argomento. Nella nostra società l'immagine del sesso è straripante, mentre nella vita quotidiana ha tinte molto diverse». E allora lo abbiamo chiesto a qualche coppia di raccontarci il loro «letto». Per Marianna, 56 anni, napoletana, «il suo è un matrimonio felice, anche senza passione fisica». «Da quando abbiamo archiviato l'argomento io e mio marito siamo molto più sereni. Prima c'era tensione perché o io volevo e lui no oppure viceversa. E poi dopo tanti anni che stiamo insieme, più di 30, mi sembrerebbe di fare sesso con il mio migliore amico, mentre a letto ci vuole un poco di mistero e di eccitazione. Siamo felici e molto complici, ci divertiamo insieme e condividiamo una vita sociale molto attiva. Mi sento assolutamente la sua compagna anche senza "andarci a letto". Certo non faccio l'errore di controllargli il suo telefonino, come anche lui non lo fa». «Finalmente emerge quello che è una coppia», dice Paolo Crepet dopo aver ascoltato la storia, dove ci sono solidarietà, complicità, empatia. «Stiamo arrivando ad una società che in buona parte è post sessuale. Da Erica Jong a oggi è passato un secolo non 40 anni». «La trasformazione dell'amore in amicizia non è una bestemmia e nemmeno una resa, una capitolazione, ma il raggiungimento di un piano più elevato. Il problema è che noi non lo accettiamo perché ancora siamo convinti che la normalità di una coppia sia quella. Tanto che ci sono sondaggi imbarazzanti e teorie sul "quante volte devi farlo". E' una domanda di importazione americana, intrinseca ad una cultura che deve prevedere tutto, sottolineare tutto, capire, classificare». Così alla fine vai a vedere che non solo è possibile avere una relazione di amore senza sesso, ma è anche meglio. «Confermo», dice Crepet. «Le coppie bianche, quando questa scelta è condivisa, sono le più in equilibrio. Quelle che invece si basano sul sesso rischiano di implodere o esplodere. Il segreto di una longevità di coppia è trovare un equilibrio di sublimazione sessuale, non lo fai ma è come se lo facessi perché c'è un accordo, condivisione, empatia, complicità». Quella che hanno raggiunto Mario e Laura, compagni di liceo, tre figli e adesso dei «roommates che si stanno molto simpatici e si vogliono molto bene», come spiega lei. «Separarci? e perché mai? Siamo una famiglia e una coppia, anche senza sesso. Quando è finita la passione siamo andati in crisi ma poi ci siamo guardati negli occhi e ci siamo detto "chissene frega". Noi non siamo solo istinto, ma molto altro». «La passione non è solo il kamasutra, questa è una riduzione hollywoodiana», insiste Crepet. «Il sesso alla lunga può diventare una trappola. Poi diranno che sono un pazzo, ma io vado all'interno delle coppie come mestiere e so quello che dico. Perché quella domanda, sul sesso, la fai». E le risposte parlano sempre più spesso di coppie in crisi per mancanza di intimità, non solo quella sessuale ma soprattutto quella emotiva. Spesso sono gli uomini a non accettare di avere con la moglie un rapporto «bianco», entrando in una dinamica recriminatoria in cui addebitano la «colpa» a «lei» che dopo essere divenuta madre non gli dà più la giusta importanza. Atteggiamento che può solo distruggere, mentre chi riesce a ricominciare da li, avrà una vita insieme lunga e felice, assicura Crepet che non ha dubbi: «Il motivo delle separazioni è tutta colpa del sesso. Chi non dice questo è un imbroglione». Crepet racconta di come una sua vecchia conoscente americana, una volta che i figli erano ormai al college si chiese «e adesso che me ne faccio di mio marito?». Per poi darsi una risposta: «ho capito subito che dovevo diventare la sua migliore amica». «Quando questo succede è la soluzione», assicura lo psichiatra. «C'è gente che sta insieme da 40 anni e non condivide nulla tranne il sesso. E mi sembra decisamente più triste. Mentre la prima ipotesi è più raffinata».
Dagospia il 4 agosto 2021. Dal profilo Facebook di Renata Erika – 8 ottobre 2016. Vedendo tanti post dove parlano di coppie che hanno un figlio e si lasciano lo fanno sembrare una tragedia... Ragazzi la tragedia non è questa, perché può capitare che la coppia non va più d'accordo, che la relazione non va più avanti perché da un parte svanisce forse quello che non c'è mai stato, l'amore, la voglia di viversi ecc ecc...La tragedia, il sentimento più brutto che una donna /madre può sentire è quello quando l'uomo con il quale ha fatto un figlio, con il quale ha pensato di passare il resto della sua vita ignora suo figlio, non cercandolo per settimane, senza un messaggio o una chiamata per chiedere come stai. Pur sapendo che il piccolo lo cerca, lo nomina e sente la sua mancanza. I bambini sono innocenti, non meritano questo!! Boh spiegatemi voi che cazzo di "uomo" è questo?
Vittorio Feltri per "Libero quotidiano" il 4 agosto 2021. Ieri sulla Stampa di Torino c'era un articolo originale di Maria Corbi, che già dal titolo suscitava interesse nel lettore. Questo: "Il segreto di un matrimonio felice? Una coppia che rinuncia al letto". Ad una prima lettura ho pensato che due sposi per avere una vita serena non dovessero coricarsi ma dormire in piedi, cosa difficile se non impossibile. Poi leggendo il testo ho capito che il problema non è rinunciare al materasso, bensì al sesso. E allora mi sono bevuto tutto il testo scoprendo ciò che già sapevo ma non osavo confessarlo sul giornale e neppure ai miei pochi amici. In effetti fare l'amore per abitudine o obbligo coniugale è una pazzesca rottura di scatole, specialmente se con la tua o il tuo consorte si è consolidato un rapporto di mutuo soccorso, cioè di vero affetto o addirittura amore, che esclude la passione normalmente giovanile. Nel suo trattatello, la Corbi cita uno studio inglese e l'opinione articolata dello psichiatra Paolo Crepet, piuttosto noto anche al pubblico televisivo, il quale in proposito non ha dubbi come non ne ho io: due ragazzi, lo sono anche i trentenni, che decidano di stare insieme nella stessa casa ovvio che si desiderino anche e soprattutto dal punto di vista fisico. Poi hanno un paio di figli, subentrano problemi esistenziali di vario tipo, e il desiderio di erotismo (reciproco) scema, svanisce. A costoro allora, cioè a tutti noi esseri umani, solo l'idea di impegnarsi in un amplesso fa venir voglia di fuggire. Questo non significa ripudiare la moglie o il marito, semplicemente il rapporto di coppia si modifica e si completa: a un certo punto infatti, dopo anni di esistenza fra due persone, i sentimenti si trasformano, il sesso perde attrattiva, diventa noioso e scontato, e si rafforza invece in voglia di complicità, di amicizia vera, di aiuto reciproco onde affrontare le difficoltà della vita, di assistersi a vicenda, in breve di tenersi per mano per affrontare il lungo cammino su questa terra. Ecco perché il letto, come dice Maria Corbi, a un dato momento è un ostacolo che impedisce una convivenza felice, perché obbliga a compiere esercizi con il consorte una attività per nulla piacevole, bensì improntata alla noia e alla fatica. I matrimoni più felici e duraturi sono quelli che si impongono la separazione delle camere dove dormire e l'adozione di due bagni, ciò che non tutti si possono permettere ma che aiuta a ottenere il massimo della concordia. Un'ultima considerazione basilare: un maschio che non aiuti la propria moglie nel disbrigo delle faccende domestiche e nell'accudire ai figli si espone al rischio di litigi che rovinano l'unione. Tutto il resto è retorica frusta. È perfettamente inutile e rischioso controllare il cellulare del partner, quasi sempre fonte di cattive sorprese e di litigi. Il matrimonio è una cosa seria che va coltivata con la pazienza e la tolleranza, senza pensare a tradimenti, termine che evoca un coltello tra le scapole. L'amore non si riduce a una semplice raccolta di un po' di legna fuori dal bosco.
Dagotraduzione dal Daily Mail il 4 luglio 2021. Kim Sears ha aspettato otto anni prima di ricevere la proposta da Andy Murray, Mariah Carey ha accettato l'offerta di matrimonio di Nick Cannon dopo un mese. Ognuno ha i suoi tempi quando si parla di matrimonio, ma se nella coppia c’è disaccordo sul tema, ci sono alcune domande che devono avere una risposta. Stare con qualcuno che ti sta usando come tappabuchi finché non arriva il "vero" amore non è salutare; stare con qualcuno che ti ama ma non vuole sposarsi per giustificati motivi è completamente diverso. Ma come fare per sapere chi è genuino, anche se timido nel matrimonio, e chi se ne sta invece approfittando? Secondo i terapeuti relazionali, basta rispondere a sette domande sul partner per trovare una risposta. Ecco quali:
1. Qual è il suo background e la storia delle sue relazioni?
Spesso usata come scusa, la frase «non credo nell'istituzione del matrimonio, è solo un "pezzo di carta"» può essere frutto di un’esperienza passata: un precedente matrimonio fallito, il rapporto vissuto dai propri genitori, ecc. Ma questa paura non riguarda il matrimonio, ma la possibilità che finisca in un divorzio disordinato e doloroso.
Sono felici di parlare di matrimonio anche se non sono contenti di farlo?
Prima di tutto, se non puoi sederti e avere una discussione aperta e onesta con qualcuno che ami su qualcosa che per te è importante, non dovresti sposarlo. Se un partner rifiuta anche solo di parlare dell'argomento, mostra una netta mancanza di interesse per te e i tuoi sentimenti, il che non è un ottimo indicatore per una relazione sana e a lungo termine.
2. Possono dirti il motivo per cui non sono interessati?
Attenzione, la risposta «Non lo so» è da allarme rosso. Può indicare una omessa verità, cioè che non vogliono sposarti, oppure la mancanza di articolare i propri sentimenti e di averne coscienza. Due caratteristiche che non sono il massimo per una relazione sana e funzionante.
3. Hanno un problema con la cerimonia?
Una coppia che conoscevo si è quasi separata perché il ragazzo si è rifiutato di parlare di matrimonio anche se era perdutamente innamorato del suo partner. L'ha quasi persa prima di ammettere che, da persona timida, il pensiero di essere al centro dell'attenzione e di dover fare un discorso davanti a dozzine di persone lo spaventava a morte. C’è altro che potrebbero temere?
4. Il pensiero di tutta la famiglia riunita in una stanza fa venire voglia di correre per le colline?
Offri alcune alternative - un ufficio del registro, una festa in giardino con alcuni amici, solo voi due da qualche parte, scrivendo i tuoi voti invece di ripetere parole che potrebbero non significare nulla per loro - e vedi quale risposta ottieni.
5. Si tratta di soldi?
Non sto parlando solo di chi finanzierà il matrimonio, ma di cosa accadrà dopo. Gli uomini, in particolare, spesso rimandano il matrimonio fino a quando non si sentono finanziariamente sicuri. Anche loro intellettualmente sanno che viviamo in tempi di (maggiore) uguaglianza, dare spazio al loro lato più femminizzato può aiutare in momenti come questo.
6. Sono preoccupati che il matrimonio possa rovinare un buon rapporto?
Abbiamo tutti sentito parlare di coppie che finalmente si sposano dopo più di un decennio solo per separarsi pochi mesi dopo. Di solito questo è dovuto al fatto che la relazione stava fallendo e sposarsi è stato un ultimo tentativo di salvarla. Ma per qualcuno che si sta godendo la relazione che ha ora, vedere gli altri fallire è motivo per essere nervoso.
Alcune personalità sono più adatte alla convivenza rispetto al matrimonio. Alcuni vedono il matrimonio come sicurezza, confort, espressione di amore profondo e duraturo. Altri lo vedono come soffocante, claustrofobico e opprimente. Potrebbero essere molto felici di vivere con te per sempre senza essere formalmente "costretti" a rimanere.
7. Sono felici di impegnarsi, se non di sposarsi?
Non confondere il matrimonio con l'impegno. Molte coppie sono impegnate l'una con l'altra senza essere sposate ed essere marito e moglie non è garanzia di impegno (né di fedeltà). Se parlano allegramente di cose come comprare case, pianificare vacanze, prendersi cura dei genitori in età avanzata e altre cose che ti legheranno insieme per un tempo terribilmente lungo, hanno un problema con il matrimonio, ma si impegnano con te e la tua relazione.
Se il tuo partner ti ama, si è impegnato per la vita ma semplicemente non vuole sposarsi, è davvero importante?
Dagotraduzione dal Daily Mail il 30 giugno 2021. Fa discutere in Sudafrica una proposta di legge per consentire alle donne di sposare più di un uomo. Il governo ha infatti proposto di legalizzare la poliandria come parte di un piano più ampio di riforma di Marriage Act. L'uomo d'affari e personaggio televisivo Musa Mseleku, protagonista di un reality show sudafricano sulla sua famiglia poligama e le sue quattro mogli, è contrario alla mossa, ha detto la BBC. Il leader dell'opposizione African Christian Democratic Party (ACDP) Kenneth Meshoe ha affermato che la legge «distruggerebbe la società» se gli stessi diritti matrimoniali fossero estesi alle donne, secondo quanto riportato dall'Independent. Il professor Collis Machoko ha dichiarato alla pubblicazione che le obiezioni riguardano «il controllo», aggiungendo: «Le società africane non sono pronte per la vera uguaglianza. Non sappiamo cosa fare con le donne che non possiamo controllare». Ha fatto ricerche sulla poliandria in Zimbabwe, il suo paese di nascita, parlando con 20 donne che la praticavano nonostante la pratica fosse socialmente tabù e non legalmente riconosciuta. La legge attualmente consente a un uomo di prendere più di una moglie e gli attivisti per i diritti di genere hanno chiesto al governo di rendere legale la poliandria nell'interesse dell'uguaglianza di genere. Una donna spesso avvia relazioni in poliandria, invitando i mariti a unirsi alla sua unione. Alcuni dei co-mariti pagano il prezzo della sposa o contribuiscono al suo sostentamento. Alcuni uomini hanno affermato di non soddisfare sessualmente le loro mogli, mentre altri hanno affermato che era dovuto all'infertilità.
Ilaria Sacchettoni per corriere.it il 16 giugno 2021. Il più avvilito, forse, è don Giuseppe Piervincenzi che celebrò l’inflazionato rito nella chiesa di Santa Rita a Tor Bella Monaca, senza avvedersi che per Alessandro Sinisi, quarantenne romano, era un perfetto déjà vu. Ieri, in un’aula del Tribunale, il suo parrocchiano d’un tempo è stato rinviato a giudizio per bigamia. La promessa rivolta ad Eleonora Di Clemente — amarla e onorarla vita natural durante — era già stata tributata dieci anni prima alla giovane albanese Stella Xoxhi. La messinscena è venuta allo scoperto quando il «certificato di nascita, residenza e stato civile» di Sinisi s’è scoperto fasullo. E dunque il quarantenne è stato denunciato all’autorità giudiziaria. In aula il pluri maritato, assistito dal suo difensore, ha abbracciato un’avventurosa linea difensiva professandosi all’oscuro delle prime nozze. Il primo matrimonio? Si celebrò a sua insaputa ha detto in sintesi. E pazienza per l’amor proprio della Xoxhi che, a suo dire, sarebbe convolata a nozze nell’inconsapevolezza dell’altra sua metà. Incurante del fatto che i matrimoni non sono cumulabili, Sinisi ha proceduto dritto per la sua strada. Il giudice non gli ha creduto e, sollecitato dal pubblico ministero Andrea Cusani, ha deciso di rinviarlo a giudizio. Rischia fino a cinque anni di carcere. Lei, Eleonora, lo aspetterà giura.
Da "ilfattoquotidiano.it" il 20 giugno 2021. Si chiamano Anna e Lucy DeCinque, sono gemelle e vivono a Perth. Dopo 10 anni di fidanzamento con lo stesso uomo, Ben Byrne, 37 anni, lui ha chiesto loro di sposarlo. È accaduto durante il reality Extreme Sisters. I tre si sono scambiati un anello a tre fasce, ad indicare la loro unione. La promessa di matrimonio è stata molto ‘classica’, solo rivolta a due donne: “Vi amo tutte e due e farò quello che posso per rendervi felici”. E le due sorelle hanno così realizzato uno dei loro sogni: sì, perché in puntate precedenti del reality le gemelle hanno provato a rimanere incinta di Ben, contemporaneamente. “Soffriamo di ansia da separazione – hanno raccontato le due al New York Post – non potremmo esistere l’una senza l’altra”. Anna e Lucy mangiano la stessa quantità di cibo, vanno in bagno insieme, fanno la doccia insieme e condividono il marito. Come mai hanno deciso di fare un reality sulla loro vita? “È stata una decisione di Ben”, hanno spiegato. Le due sono infatti ben note in Australia ma la storia del loro compagno (ora marito) non lo era affatto: “Lo abbiamo fatto perché il pubblico era curioso di conoscere il suo punto di vista”.
Anna e Lucy De Cinque, gemelle estreme: sposano lo stesso uomo, e... Roba estrema sotto le lenzuola. Libero Quotidiano il 15 giugno 2021. Un peccaminoso ménage à trois, in diretta tv. Anna e Lucy De Cinque sono due gemelle famosissime su Instagram, dove posano in conturbanti (e altrettanto inquietanti) selfie in vestiti identici e decisamente scollacciati. Le due sorelle australiane, che si fregiano del singolare titolo di "gemelle più identiche del mondo, da tempo stanno facendo parlare di loro perché da 10 anni sono fidanzate con lo stesso uomo, il 37enne Ben Byrne. Una storia ai confini della realtà (e decisamente ben oltre quelli del trash) che ha valso loro una intera serie tv, il reality Extreme Sister, vero e proprio titolo di culto per gli appassionati della televisione da stomaci forti. Il dinamico trio ha coronato il sogno d'amore davanti alle telecamere, per la gioia (immaginiamo9 dei parenti ma soprattutto dei telespettatori. "Vi amo tutte e due e farò quello che posso per rendervi felici", ha giurato Ben chiedendo contemporaneamente la mano a Lucy e Anna. Tutto è bene ciò che finisce bene? Sì, ma per il lieto fine manca il tassello finale: le due gemelle infatti stanno ora cercando di restare incinta insieme, contemporaneamente. "Soffriamo di ansia da separazione non potremmo esistere l’una senza l’altra", si sono giustificate loro. Strano ma vero, si direbbe citando la Settimana enigmistica. Viene però un dubbio: non è che tutto questo possa dare luogo a un nuovo reality, davvero estremo, direttamente dalla camera da letto della famigliola siamese?
Muore in un incidente: risarcite moglie e amante. Gabriele Laganà il 13 Maggio 2021 su Il Giornale. Un 39enne di Torino, sposato e con un bambino piccolo, aveva una relazione con un’altra donna. Anche quest’ultima, così come la moglie della vittima, verrà risarcita dall’assicurazione. Non è raro imbattersi in una storia di tradimento coniugale. Una coppia felicemente spostata e poi il terzo incomodo che, senza farsi scoprire, intrattiene una relazione sentimentale clandestina e proibita con uno dei due. Fino a che, per un motivo o per un altro, la tresca viene a galla. A quel punto la vita spensierata condotta fino ad allora da lui o da lei subisce un brusco stop. Rovinata per sempre. La storia spesso va a finire così. Spesso, ma non sempre. Perché ci sono particolari eccezioni. Come ad esempio la storia che viene da Torino. È stata la morte del marito traditore a far emergere la verità. Ma non è tanto questa la singolarità della storia raccontata da la Stampa bensì un altro elemento. L’assicurazione è stata costretta a risarcire sia la moglie dell’uomo deceduto che la fidanzata "clandestina". Lui, un operaio 39enne sposato da tre e padre di un bambino ancora piccino, aveva una moglie, spesso in viaggio. Forse il sentirsi spesso solo lo aveva spinto a frequentare un’altra donna. Tutto, secondo logica, indurrebbe a pensare che la coppia clandestina si frequentasse di nascosto, lontano da occhi indiscreti. Ed invece, i due amanti si facevano vedere in giro tanto che non si preoccupavano di andare a cena insieme. Poi un giorno di un anno fa la tragedia. Lui muore in un incidente stradale mentre percorreva l'Autostrada del mare per motivi di lavoro. È solo allora che la moglie viene a scoprire, forse nel peggiore dei modi, che il suo compagno stava conducendo una vita parallela con un’altra donna. Perché per il decesso dell’uomo l’assicurazione non solo risarcisce la consorte della vittima ma anche la fidanzata occulta. "Cifre importanti" perché entrambe le donne erano "affetti" per l’operaio di Torino. E poco importa che la vittima con una fosse sposato e con l'altra non avesse una relazione ufficiale testimoniata da documenti. "Nessuno avrebbe potuto negare la legittimazione ad agire a quella donna che si era qualifica come "fidanzata della vittima. A lui, infatti, era legata da una aspettativa di vita comune, come lei stessa è riuscita a dimostrare. Qui c'era una reale intensità di affetti, c'era la convivenza. E c'era pure una progettualità verso il futuro", ha spiegato Gino Arnone, l'avvocato che ha assistito la fidanzata nella richiesta danni chiusa in via stragiudiziale. In altre parole, il danno causato dall’affetto strappato doveva essere risarcito perché il dolore è un qualcosa che va oltre la burocrazia e le convenzioni sociali ed etiche. Non va dimenticato che subito dopo l’incidente mortale i poliziotti riescono a rintracciare soltanto l'amante per comunicare la notizia e chiedere di fare il riconoscimento della salma. La moglie, che era in viaggio, rientra in fretta a Torino ma ormai il rito più doloroso era già stato compiuto. Forse è in quel momento che la consorte scopre la doppia vita del suo uomo. "Tre giorni con me, quattro con la famiglia", racconta l’amante quasi a voler sottolineare la forza di quel legame che si è spezzato per sempre a causa di un destino crudele. Poi è tempo di pensare all’assicurazione con cui tratta l’avvocato Arnone. In questo caso ci sarà un risarcimento doppio. Una eventualità che già fa discutere.
Cinque anni fa le unioni civili: «Un importante passo avanti ma ancora non siamo considerati famiglie». La legge Cirinnà passò alla Camera nonostante i voti contrari di Lega e Fratelli d’Italia, e le astensioni di 5 Stelle e Possibile. Da quel momento, fino al 31 dicembre 2019 sono state costituite 11.817 formazioni sociali. Paterlini: «Un termine insopportabile». Luca Sebastiani su L'Espresso il 10 maggio 2021. Era l’11 maggio 2016, e in Parlamento la legge sulle unioni civili passò con 372 voti a favore, 51 contrari e 99 astenuti. Sono passati esattamente cinque anni da quel giorno, quando nell’aula di Montecitorio un’ampia maggioranza diede il via libera al testo promosso dalla senatrice del Partito Democratico Monica Cirinnà. Tra i contrari di allora una parte di Forza Italia, la Lega (Nord) e Fratelli d’Italia, mentre il Movimento 5 Stelle si astenne, insieme a Possibile di Pippo Civati che reputava la legge discriminatoria e arretrata. Qualche giorno dopo, il 20 maggio, arrivò la promulgazione del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, il 21 la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale e il 5 giugno l’entrata in vigore. Nelle settimane successive alcune coppie suggellarono la loro unione anche senza aspettare i decreti attuativi, ma tante persone aspettarono per essere pienamente “in regola”. È il caso di Piergiorgio Paterlini e Marco Sotgiu, primi in Italia a unirsi civilmente a Reggio Emilia il 1° agosto 2016: «Non era una gara ad essere i primi, è stato invece un segnale forte per dire «un minuto dopo di quando è possibile, noi lo facciamo, noi ci siamo. Lo aspettavamo da 40 anni, anche se non pensavo che avrei avuto veramente la possibilità di vederlo né di farlo» spiega Paterlini. L’Istat ha registrato, nel secondo semestre del 2016, 2.336 unioni civili, per lo più coppie in attesa da molto tempo che hanno aspettato per ufficializzare il loro legame affettivo. Nel 2017 sono state 4.376 mentre sono calate nel 2018 (2.808) e nel 2019, quando gli ultimi dati pubblicati dall’Istituto ne hanno conteggiate 2.297. Questa diminuzione numerica viene usata da alcuni per sminuire l’importanza del provvedimento, ma Paterlini è chiaro: «c’è un po’ l’idea del tipo “avete lottato tanto e poi non vi sposate”. Non sono numeri enormi ma è come dovrebbe essere, è diventato normale: è una cosa che c’è e chi vuole può farla. I numeri non sono niente rispetto a quanto si è ottenuto». Tra l’altro anche l’istituzione del matrimonio in tutta Italia fa registrare numeri in calo. Senza quindi contare i numeri ancora incerti del 2020, le unioni civili in Italia sono state 11.817. Ovvero 11.817 coppie che hanno potuto godere di molti dei diritti e doveri previsti dal matrimonio, riportando anche tranquillità e serenità nelle loro vite quotidiane, prima timorose che anche semplicemente delle procedure burocratiche potessero essere motivo di difficoltà. Paterlini è sincero: «Noi siamo stati fortunati e non abbiamo avuto particolari problemi, ma sappiamo che in futuro saremo “coperti”». Ma non bisogna dimenticare alcune differenze, anche grosse e non solo dettate da formalismi. La legge n.76 del 20 maggio 2016, infatti, istituisce «l’unione civile tra persone dello stesso sesso quale specifica formazione sociale» e la rende possibile «mediante una dichiarazione di fronte all’ufficiale di stato civile del Comune e alla presenza di (almeno) due testimoni». Proprio il termine “formazione sociale” che viene utilizzato nel testo è quello più discusso e controverso. Anche cinque anni fa, nei giorni della votazione, era stato al centro di dibattito, perché usato al posto di un più classico “famiglia”. È stato uno di quei motivi che hanno spinto alcune parti del panorama politico di sinistra a non votare a favore della legge Cirinnà. Lo stesso Paterlini spiega come la norma sia un paradosso: «Da un lato ti dà tanti diritti uguali al matrimonio che prima non ci spettavano, ma è la prima volta che in Italia viene sancito, nero su bianco, una discriminazione verso gli omosessuali». Prima non c’erano le unioni civili ed era una grave mancanza normativa, «ma adesso la mia famiglia viene chiamata “formazione sociale” ed è insopportabile e una ferita insanabile. Ci vuole il matrimonio egualitario». Le battaglie civili non sono finite.
Da "blitzquotidiano.it" il 13 maggio 2021. Chiede, anzi pretende, il divorzio dalla moglie perché lei non lava, non stira, non cucina: il giudice dice no, perché lei non è una serva e quindi non va trattata come tale. Accade a Foggia, dove il tribunale è stato categorico: non è ammissibile “una situazione di sottomissione di uno a svolgere lavori di mera cura dell’ordine domestico, al quale peraltro sono tenuti anche i figli, nell’ottica di una educazione responsabile”.
Le “motivazioni” che hanno spinto il marito a chiedere il divorzio. Secondo il marito a provocare la fine del matrimonio sarebbe stato il fatto che la moglie non si fosse mai occupata dei suoi bisogni. Inoltre non avrebbe nemmeno curato le faccende di casa, violando in tal modo quel dovere di collaborazione previsto dal Codice civile. Il Codice prevede che “con il matrimonio il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri. Dal matrimonio deriva l’obbligo reciproco alla fedeltà, all’assistenza morale e materiale, alla collaborazione nell’interesse della famiglia e alla coabitazione. Entrambi i coniugi sono tenuti, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia”.
Il giudice dà torto al marito. Il giudice del tribunale di Foggia ha quindi applicato la legge. Così ha motivato la sentenza: “Non è ammissibile una situazione di sottomissione di uno a svolgere lavori di mera cura dell’ordine domestico”. Ed evidenzia un altro aspetto, in quanto spiega che a “ciò peraltro sono tenuti anche i figli, nell’ottica di una educazione responsabile”.
Dagospia il 13 maggio 2021. Riceviamo e pubblichiamo: Caro Dago, un uomo pretende il divorzio dalla moglie perché lei non lava, non stira, non cucina: il giudice dice no, perché lei non è una serva e quindi non va trattata come tale. Si fosse trattato di una famiglia musulmana la sentenza sarebbe stata la stessa? Sandro Celi
Striscia la Notizia, poligamia in Senegal: "Come fare a soddisfare più mogli?": la testimonianza di un marito. Libero Quotidiano il 12 maggio 2021. Striscia la notizia, attraverso la sua inviata Rajae, affronta l'argomento poligamia in Senegal. Una pratica molto diffusa nel Paese tra tanti musulmani. Al di là dei luoghi comuni, comunque, ci sono alcuni retroscena non noti a tutti. Come spiegato nel servizio del tg satirico, la legge consente all’uomo senegalese di prendere più mogli. “In Senegal più del 35 per cento dei matrimoni registrati ufficialmente è poligamo. A volte si tratta di una necessità: per lavorare una terra così arida c’è bisogno di braccia forti e quindi servono tanti figli maschi. Se non li hai avuti ritenti con la seconda, oppure con la terza o la quarta”, spiega Rajae. L'inviata rivela che ci sono anche casi in cui l’uomo sceglie di mettersi in casa magari la cognata rimasta vedova o una cugina ancora zitella. Striscia, poi, riesce a intercettare Gaye Samba Khary, marito poligamo, sposato con due mogli. Perché mai questa scelta? La sua risposta è: "Perché quando ho due donne a casa, non guardo più nessun'altra donna quando esco". Rajae spiega che le mogli, in ogni caso, devono essere tutte consenzienti tra di loro. "Inoltre l’Islam stabilisce che il marito ripartisca equamente tra tutte le mogli i propri beni, il proprio affetto, il proprio tempo e le proprie attenzioni, anche sessuali, senza mai trascurarne una per privilegiarne un’altra", prosegue l'inviata. Alla domanda su come riesca a soddisfare più di una donna, l'uomo risponde: "Come fanno tutti gli uomini, a volte dormo con una moglie, a volte sono in camera con l’altra". Rajae ha poi sentito anche le due mogli. Una delle due, riferendosi all'altra, ha detto: "Lei è come se fosse mia sorella maggiore, i miei figli non li ho mai dovuti portare sulle spalle per andare al mercato, lo ha sempre fatto lei. Li lava, fa il bucato, fa tutto, è stata lei che ha allattato i miei figli".
Marta Serafini per il Corriere.it il 14 giugno 2021. La prima moglie l’ha sposata che aveva 17 anni. Poi sono arrivate tutte le altre, «a volte anche dieci in un anno solo». È morto ieri in India, nello stato del Mizoram, Ziona Chana, 76 anni, considerato il capostipite di una delle famiglie più estese del mondo. Leader di Chana Pawl, una setta religiosa di ispirazione cristiana che pratica la poligamia, Chana ha lasciato in eredità al suo villaggio di Baktawng Tlangnuam, nel nord est del Paese, un nutrito clan di oltre 160 persone, con 39 mogli, 89 figli e 36 nipoti. La sua scomparsa è stata annunciata dal governatore del Mizoram, Zoramthanga, che ha porto le sue condoglianze su Twitter. Secondo i media locali, Chana nonostante le cure della sterminata famiglia, soffriva di diabete e ipertensione. E, quando domenica sera è stato portato d’urgenza in ospedale, non c’è stato nulla da fare. Difficile dire se la famiglia di Chana sia realmente la più numerosa al mondo, non c’è chiarezza neppure sul numero esatto di mogli, figli e nipoti. Ma record o meno, la sua storia ha attirato, nel corso degli anni, turisti e curiosi da ogni parte del mondo. «Casa della nuova generazione», così viene chiamata l’abitazione del clan, un edificio di quattro piani con 100 stanze e una quantità di terrazze. Confinate in un vero e proprio dormitorio, le mogli si alternano per cucinare mentre le figlie puliscono la casa e fanno il bucato. I maschi, invece, lavorano nei campi e si prendono cura del bestiame. Non facile sfamare così tante bocche per Chana. Alcuni media locali si sono spinti a scrivere che i suoi familiari consumino fino a 59 chili di riso al giorno. E un po’ di preoccupazione ora serpeggia in seno alla famiglia che, fin qui, ha vissuto grazie alle donazioni dei seguaci della setta. A fondarla fu il nonno di Chana nel lontano 1942. Oggi conta circa duemila adepti tutti provenienti dai villaggi circostanti. Permette la poligamia. Ma solo agli uomini. «Ho così tante persone di cui prendermi cura e mi considero un uomo fortunato. Mi sono sposato 39 volte, ma vorrei farlo ancora», aveva detto prima di morire Chana. Ma non ha fatto in tempo ad arrivare alla numero 40.
DA leggo.it il 13 maggio 2021. Padre di 151 figli e marito di 16 donne ha dichiarato di non lavorare perché il suo lavoro è quello di soddisfare le sue donne sessualmente. Misheck Nyandoro, 66 anni, dice che ogni notte va a letto con quattro delle sue mogli, un'attività che lo occupa a tempo pieno e che potrebbe diventare ancora più impegnativa visto che sarebbe in prossimità di sposare la 17esima moglie. Il veterano di guerra in pensione dello Zimbabwe si è vantato del suo "progetto di poligamia" iniziato 38 anni fa, dicendo al quotidiano locale The Herald: «Quello che sto facendo qui è completare il mio progetto. Un progetto di poligamia che ho iniziato nel 1983 e non intendo fermare finché la morte non mi porterà via». Il suo è un piano ben preciso e studiato nel dettaglio: ogni notte seleziona delle camere da letto e di volta in volta soddisfa le sue mogli. «Questo è il mio lavoro. Non ne ho altro», ha detto spiegando di essere molto viziato dai suoi stessi figli che si occupano di lui e gli fanno molto regali. Poi ha ammesso di essere molto premuroso nei confronti delle sue mogli: «Modifico il mio comportamento in camera da letto per adattarlo all'età di ciascuna delle mie mogli. Non agisco allo stesso modo con i giovani come faccio con i più grandi». L'uomo afferma che le sue mogli sono tutte molto soddisfatte ma ora sta pensando a trovarne altre più giovani perché le più mature si lamentano del fatto che lui vuole fare troppo spesso sesso con loro.
Dagotraduzione dal Dailymail.com il 14 aprile 2021. Il 1° aprile scorso un giudice della corte federale di Manhattan ha ricevuto una richiesta singolare: aprire un procedimento giudiziale per dichiarare le leggi che vietano l’incesto «incostituzionali» e «inapplicabili». A presentare il ricorso è stato un newyorkese (non si sa se maschio o femmina) che vorrebbe sposare il proprio figlio biologico, ormai adulto. Secondo il genitore il matrimonio sarebbe una «questione di autonomia individuale». Il ricorrente avrebbe chiesto di restare anonimo perché la sua richiesta «è un’azione che una grande parte della società considera moralmente, socialmente e biologicamente ripugnante». Secondo il New York Post, che ha visionato le carte, genitore e figlio si considerano una coppia “PAACNP”, cioè una coppia “genitore e figlio adulto che non possono procreare”. Il «vincolo duraturo del matrimonio» porterebbe genitori e figli in genere a un «livello più elevato di espressione, intimità e spiritualità». Continua il ricorso: «Le coppie di genitori e figli adulti per le quali la procreazione è virtualmente o letteralmente impossibile possono aspirare a scopi diversi del matrimonio e cercare la realizzazione nel suo significato più alto». Pur convinto della sua tesi, il genitore – spiega tra le carte – non ha ancora fatto la sua proposta di matrimonio all’altra metà per evitargli un «danno emotivo». Secondo la legge di New York, l'incesto è un reato di terzo grado, punibile fino a quattro anni di carcere. Una persona è colpevole di incesto di terzo grado quando si sposa o ha rapporti sessuali con una persona con cui è consapevolmente imparentata, come un antenato, un discendente, un fratello o una sorella di entrambi o un mezzosangue. I matrimoni incestuosi non sono riconosciuti dallo Stato e le coppie che si sposano rischiano fino a sei mesi dietro le sbarre e una multa. Per richiedere una licenza di matrimonio a New York City, i due aspiranti coniugi sono tenuti a specificare il nome e il paese di nascita dei loro genitori e giurare che non ci sono impedimenti legali al matrimonio. L'avvocato Eric Wrubel ha spiegato che il contenzioso è "prematuro", perché alla coppia non è stato ancora negato alcun diritto. Wrubel ha detto che dubita che la causa avrà successo, sottolineando il tabù dell'incesto. "Il caso più simile è quello di Woody Allen, ma non era sua figlia, era una bambina adottata dalla moglie. E oggi fa ancora rivoltare lo stomaco alle persone." (nel 1992 si è scoperto che Woody Allen, allora 56ene, aveva una relazione con Soon-Yi Previn, figlia adottiva della sua compagna di lunga data, Mia Farrow. I due si sono sposati e hanno adottato due bambini. Sono ancora insieme). La controversa causa intentata questo mese arriva sette anni dopo che la corte d'appello di New York si è pronunciata a favore di uno zio e una nipote sposati. I due erano stati precedentemente condannati all’espulsione per la loro relazione da un giudice dell’immigrazione. L'avvocato della coppia aveva sostenuto che la coppia era sposata da 14 anni, non aveva figli, condivideva solo un ottavo dello stesso DNA e che tali unioni erano state legali a New York fino al 1893. Nel 2014, il giudice Robert Smith della Corte d'Appello ha acconsentito e ha affermato che non vi erano "forti obiezioni ai matrimoni zio-nipote". Ma, nonostante la vittoria di questa coppia, Smith all'epoca fece una distinzione tra la loro unione e i matrimoni genitore-figlio e fratello-fratello che, a suo dire, erano "radicati nell'orrore quasi universale".
Da il “Corriere della Sera” il 21 marzo 2021. La Francia risponderà davanti alla Corte europea dei diritti dell'uomo della decisione dei giudici di Versailles che hanno attribuito, nel 2019, la colpa del divorzio a una donna che si è era rifiutata di avere rapporti sessuali con il marito. La signora, sostenuta da due associazioni femministe, ha presentato ricorso a Strasburgo accusando la Francia di «violazione dell'integrità fisica». Come in Italia, il «dovere coniugale» non è enunciato nel Codice civile, ma capita che venga evocato nelle pratiche di divorzio. Nel 1990 la Corte di cassazione ha riconosciuto il crimine di violenza nel matrimonio. «Impensabile che i giudici civili facciano rientrare dalla finestra il "dovere coniugale" bandito dai giudici penali», dice l'avvocata Delphine Zoughebi. Una condanna segnerebbe la definitiva scomparsa del «dovere coniugale».
Valeria Arnaldi per “il Messaggero” il 13 marzo 2021. Felici e contenti, come vuole la tradizione, al momento del sì. Insoddisfatti durante il banchetto nuziale. Delusa dal pranzo di matrimonio, una coppia siciliana ha deciso di non saldare il conto. E la Cassazione, a sorpresa, ha confermato la legittimità della decisione, ribadendo il no al decreto ingiuntivo per inesatto adempimento del fornitore del servizio. La storia è lunga. La questione, infatti, è arrivata davanti alla Cassazione a seguito di più ricorsi del fornitore del banchetto, titolare di un agriturismo, deciso a ottenere la somma pattuita per il suo lavoro. Dopo le nozze, visto che la coppia si rifiutava di saldare il conto, il ristoratore si è rivolto al Giudice di pace di Caltagirone che ha ordinato agli sposi di pagare 3500 euro per il servizio. Su opposizione dei coniugi, l' anno seguente il decreto è stato revocato. Il Tribunale di Caltagirone poi ha rigettato l' appello del ristoratore, che si è rivolto così alla Cassazione. Il servizio insoddisfacente, insomma, ha pesato più del mancato pagamento. Rovinare un banchetto di nozze, evidentemente, non è cosa da poco. Neppure, forse, di pochi. A luglio 2019, due sposini di Vigonza hanno accusato la wedding planner di aver trasformato il loro ricevimento in un «disastro». Stando ai due, ci sarebbero state pentole sui tavoli, cibo scotto, una torta nuziale di plastica. Il mese dopo, a rovinare un matrimonio a Briosco, in Brianza, è stata l' intossicazione di sette invitati, inclusa la mamma della sposa finita al pronto soccorso dopo gli antipasti. Sono stati ben quaranta gli intossicati dopo un ricevimento di nozze a Paestum, nel 2018. Ad Asti, l' anno precedente, le complicanze di un' intossicazione alimentare successiva a un pranzo di nozze, avevano causato addirittura la morte di un uomo di 77 anni. Senza arrivare ai casi più tragici o dolorosi, non sono rari i banchetti che lasciano insoddisfatti gli sposi. Basta poco per rovinare un ricevimento. Si comincia dal cibo. «Alcune scelte sono molto rischiose - commenta Stefano Rebecchi, titolare di Rebecchi Events - l' esperienza lo dimostra. Se la coppia decide per un menu di solo pesce, senza conoscere gli effettivi gusti di tutti gli ospiti, il problema si pone in maniera evidente. Il pesce non piace a tutti. Stesse difficoltà si creano portando in tavola cibi molto speziati o con il tartufo. La possibilità di scontentare tanti invitati è concreta. Meglio proporre questi cibi nelle isole per gli antipasti». Attenti anche alle cotture. «Il crudo di pesce va evitato ai ricevimenti - dice lo chef Alessandro Circiello, Federcuochi, noto volto tv - su cento invitati, magari trenta lo rimandano indietro. Complicato è pure il filetto di manzo. Va servito al sangue, ma non a tutti gli ospiti sarà portato al giusto livello di cottura, è pressoché inevitabile. Su cento, trenta lo rimanderanno indietro». Grande cura va prestata a possibili allergie. «Funghi e piselli sono gli alimenti ai quali è più facile che le persone siano allergiche - afferma Andrea Azzarone, alla guida di Le Voilà Banqueting - meglio evitarli. Bene stare alla larga pure dal tartufo, specie al chiuso, l' odore può infastidire. Il carciofo può creare difficoltà negli abbinamenti con il vino». Occorre badare anche ai brindisi. «Gli sposi spesso, per ridurre la spesa, risparmiano sul vino - dichiara Armando Bianco, restaurant manager Esposizioni - e ciò può influire tanto sulla riuscita dell' evento. Ci sono pericoli pure negli eccessi. Optare per vini particolari rischia di rendere impossibili gli abbinamenti. Ricordo un banchetto, per cui mi fu chiesto un moscato molto aromatico: non piacque a nessuno». Campanello d' allarme può essere la spesa. «Affidarsi a un catering da meno di 70 euro a persona per le nozze è un rischio - per Rebecchi - Quando si tagliano molto i prezzi, si riduce la qualità del cibo o quella del servizio, che diventa lento e toglie tempo alla festa».
· Mai dire …Mamma.
Gli abitanti del villaggio hanno preso in braccio la piccola, che ha iniziato a piangere quando ha aperto gli occhi, poi l’hanno stesa a terra in attesa dell'arrivo della polizia e di un'ambulanza.
La gente del posto si stava prendendo cura della neonata sul posto quando sono arrivati i paramedici. La bambina è stata avvolta in una coperta di cotone blu e messa su una barella in un'ambulanza prima di essere portata in ospedale dove è stata curata per disidratazione.
È stata tenuta sotto osservazione ma è sana e non si prevede che avrà problemi di salute duraturi a causa del calvario.
Incredibilmente, è sopravvissuta, nonostante sia stata trovata in un'area che ospita animali pericolosi come cobra e pitoni, oltre a temperature in aumento fino a 35 ° C durante il giorno.
Un portavoce della polizia ha detto che stanno cercando la madre della ragazza, ma senza le telecamere a circuito chiuso nel bosco, sarà difficile rintracciare le orme della persona.
Il colonnello della polizia Prasit Yodthong ha dichiarato: «La neonata aveva vermi e insetti che le strisciavano sul corpo. I registri dell'ospedale più vicino mostravano che nessuna donna aveva partorito lì. È probabile che la madre abbia partorito altrove e abbia abbandonato la bambina in mezzo alla collina».
«Stiamo attualmente rintracciando la madre del neonato. Sarà perseguita. Il bambino poteva morire e pensiamo che chi ha lasciato la bambina, lo sapesse».
«Pensiamo che la bambina sia stata lasciata fuori per almeno due giorni. È rimasta lì per una notte intera, ma è sopravvissuta. Gli agenti stanno intervistando gli abitanti dei villaggi vicini per cercare di trovare qualcuno che fosse incinta di recente».
La bambina è stata inviata all'ospedale Khao Phanom per il monitoraggio sanitario. Sarà quindi portata all'amministrazione provinciale di Krabi una volta che si sarà completamente ripresa.
La polizia ha detto che è probabile che sarà poi inserita nel sistema governativo per gli orfani.
«Mi hanno licenziata appena sono diventata madre. Non li perdonerò mai». Quando Maria ha comunicato di essere incinta il titolare le ha chiesto di non dire nulla in azienda, per non innervosire gli altri. E rientrata dalla maternità è stata mandata a casa. Le storie che tante donne con figli hanno inviato a #lavoromolesto testimoniano come il nostro non sia un paese per madri lavoratrici. Chiara Sgreccia su L'Espresso il 7 dicembre 2021. «Ho avuto la mia unica figlia a quarant’anni» racconta Maria che vive a Roma e lavorava in uno studio associato di commercialisti. «Per l’azienda ho dato tutto, sempre. Ho rinunciato anche al congedo matrimoniale quando mi sono sposata, tanto avevo pochi soldi e non avrei potuto fare niente di che». Dopo 12 anni a completa disposizione dei titolari, senza orari, Maria è rimasta incinta. È stato difficile trovare il coraggio di dirlo ai dirigenti. Sapeva che non avevano predilezione per le donne in età di gravidanza. Dopo giorni d’ansia che hanno appesantito, senza ragione, quella che per lei era una buona notizia, ha fatto un grande respiro e parlato con uno dei tre titolari. «Aspettiamo a comunicarlo agli altri - ha risposto lui - rischiamo di farli innervosire prima del tempo. Non dire nulla finché la pancia non diventa visibile. Così, per ora, continuiamo tutti a lavorare serenamente».
Quello che è successo è stato solo il primo, doloroso, schiaffo «mi hanno chiesto di nascondermi, mi hanno spinta ad avere vergogna di me stessa».
Maria è tornata a casa, ha raccontato l’accaduto al compagno. Ha deciso di assecondare il capo e di non dire niente in ufficio finché sarebbe stato possibile nasconderlo. «Non so perché l’ho fatto, forse per paura di perdere il posto». Ha continuato a lavorare fino a una settimana prima del parto. Con la nascita della figlia è iniziato il congedo di maternità. «Negli stipendi mancava la quantità che erano soliti darmi in nero. Non avevano mai regolarizzato una parte del mio lavoro e così, alla prima buona occasione, mi hanno tolto quello che per anni, invece, hanno ritenuto corretto darmi». Aveva necessità di quei soldi, ancora più del solito con la bambina appena arrivata. Ha inviato alcune e-mail ai titolari, nessuno ha mai risposto. Finita la maternità Maria è rientrata allo studio. «Ero felice, volevo ricominciare e non vedevo l’ora di far vedere a tutti la piccoletta. Era bellissima, l’avevo vestita a festa di proposito. Mio marito mi aspettava in auto all’entrata, gli avrei lasciato la bambina subito dopo averla presentata, in modo da non avere distrazioni sul lavoro».
Ma al suo ingresso ha trovato una situazione che non si sarebbe mai aspettata: i tre titolari erano silenziosi, in piedi accanto alla sua scrivania. Nessuno diceva una parola. Si è avvicinata e ha visto una busta chiusa appoggiata sopra altre carte rimaste intatte, come la aveva lasciate mesi prima. «Ho chiesto soltanto, incredula, se stavo capendo bene. “Mi state licenziando?”, “sì” ha detto uno dei tre, senza neanche alzare lo sguardo». Maria si è sentita umiliata e ferita. I suoi capi, gli stessi per cui aveva lavorato onestamente per più di dieci anni, mettendo da parte benefit e impegni personali, le avevano fatto un agguato. Un’imboscata pensata per mandarla via, senza neanche il coraggio di guardarla in faccia. Ha stretto le loro mani in segno di saluto, con la testa alta «dentro tremavo, speravo che nessuno sentisse il freddo che avevo in quel momento».
Sono passati tanti anni ma Maria non ha mai dimenticato la percezione del sudore che in un attimo è diventato gelido «non portò mai perdonare».
La storia di Maria non è l’unica arrivata a #lavoromolesto, molte altre donne hanno denunciato le vessazioni subite nelle aziende e negli uffici dopo aver comunicato di essere incinta o al rientro dalla maternità. Demansionamenti, aumento del carico di lavoro, mobbing: nella maggior parte delle storie ricevute, le madri sono costrette, pur di mantenere il posto, ad adattarsi a ambienti di lavoro ostili e a colleghi e superiori incuranti delle responsabilità che avere figli comporta. In Italia, infatti, secondo i risultati di un’indagine Istat del 2019, sulla possibilità di conciliare la famiglia e il lavoro, solo il 57 per cento delle madri tra i 25 e i 54 anni è occupata. Mentre i padri che lavorano sono quasi il 90 per cento.
Da ilmessaggero.it il 30 novembre 2021. Ha ucciso l'amica incinta e le ha strappato il feto dal ventre. Rozalba Maria Grime, 27 anni, dello stato meridionale brasiliano di Santa Catarina, ha attirato Flavia Godinho Mafra, 24 anni, a un finto baby shower prima di picchiarla a morte con un mattone e poi praticarle un cesareo per rapire il bambino. I fatti si sono svolti lo scorso 27 agosto, ma oggi è arrivata la sentenza del tribunale dopo il processo fatto alla 27enne. Grime è stata riconosciuta colpevole di omicidio aggravato, tentato omicidio di un bambino, occultamento di cadavere, intralcio alla giustizia, rapimento di minore e negazione dei diritti di un neonato. La donna pare che avesse studiato il delitto nel dettaglio e che ci stesse lavorando ormai da tempo.
La finta gravidanza
Oltre a programmare il delitto dell'amica aveva inscenato una gravidanza a sua volta, per non destare sospetti quando avrebbe tenuto con sé il bambino. La vittima è stata uccisa con diverse mattonate alla testa, poi l'amica le ha tagliato la pancia con un taglierino e ha fatto nascere il bambino alla 36esima settimana. Con il bimbo si è recata in ospedale, simulando il suo parto prematuro e chiedendo aiuto ai sanitari. I medici hanno facilmente capito che la donna non aveva partorito da poco e hanno sporto denuncia. Le indagini hanno portato alla 24enne per cui non c'è stato nulla da fare. Il bambino, invece, è riuscito a salvarsi, ed è stato affidato al padre e al resto della sua famiglia.
Giorgio Gandola per "la Verità" il 12 novembre 2021. Venghino, è tempo di sconti. Chi prenota entro il Black friday pagherà il 3% in meno. E chi ancora non ce la fa può sempre aggiungere la tredicesima e sperare nei saldi di gennaio. L'oggetto del desiderio non è una smart tv da 60 pollici o il nuovo frigorifero a due porte con il dispenser del ghiaccio tritato, ma un neonato dagli occhi azzurri, senza difetti e in garanzia. L'ultima, aberrante trovata di marketing arriva dall'Ucraina, luna park mondiale della Gpa, acronimo che sta per «gravidanza per altri». Di fatto l'utero in affitto, dove donne in difficoltà economiche vengono schierate in batteria a produrre figli per coppie occidentali. È il mercato bellezza, stressato da un'imprenditoria con i canini affilati che ha trovato nel progressismo globalista dei desideri (scambiati per diritti) terreno fertile per mercificare il sacro. Il volantino degli sconti arriva da Biotexcom, il centro specializzato in procreazione assistita e maternità surrogata più grande dell'Ucraina, organizzato come una multinazionale e con alle spalle una formidabile macchina pubblicitaria. Lo sconto riguarda le coppie eterosessuali perché in Ucraina non sono permesse le adozioni per coppie gay o lesbiche. Ma gli affari vanno a gonfie vele e l'allargamento della platea dovrebbe essere prossimo. Il 3% di sconto sui pacchetti sembra un'inezia, ma come sottolinea il quotidiano cattolico Avvenire «equivale a 2.000 euro di risparmio sui 64.900 euro di listino» dell'All inclusive Vip, proposta di alta gamma che prevede tentativi illimitati per la selezione del sesso del bimbo e un'attesa di soli quattro mesi. C'è da essere rassicurati; arriva prima il neonato della nuova Tesla. Optional inclusi. L'offerta scade il 26 novembre, giorno del Black friday, e come si può notare non pone alcuna barriera etica: basta pagare. In Ucraina si contano una cinquantina di cliniche che offrono questi servizi a prezzi molto convenienti rispetto agli Stati Uniti, dai 40.000 ai 65.000 euro contro i 150.000 dollari degli Usa. Per le mamme-fattrici il compenso si aggira attorno ai 30.000 euro. C'è chi non si stupisce e non s' indigna, anzi frequenta le numerose fiere specializzate. Quella più nota è a Parigi (dolce nome «Désir d'enfant») ma anche a Bruxelles non scherzano con la più prosaica «Uomini che hanno figli». A Bilbao, allargata alle coppie Lgbtq, si è appena conclusa; a Milano dovrebbe arrivare nel maggio prossimo. Nel giudicare una pratica da pelle d'oca, l'ipocrisia si nasconde dietro la complessità. A sinistra si tende a distinguere «pratica» da «sfruttamento». Un ragionamento simile a quello della droga libera o del traffico degli organi: liberalizzate e non ci sarà più il business. È vero il contrario, semplicemente il business diventerebbe globale perché ci hanno insegnato che il mercato non si ferma e le sue leggi sono porose, permeabili, riassumibili in quella millenaria: gli affari sono affari. Tornando con amarezza a Kiev, tutti ricordano l'anno scorso le fotografie dei bimbi nella hall dell'hotel Venezia. Nati grazie ai servizi dell'agenzia Biotexcom, erano parcheggiati in attesa che cadessero i divieti determinati dalla pandemia per consentire il trasferimento nei Paesi di destinazione: Stati Uniti, Cina, Inghilterra, Germania, Austria, Bulgaria, Romania. Pacchi Amazon con la cuffietta rossa. Allora ci fu una complicazione per l'Italia e la Francia: poiché la maternità surrogata è vietata, i due Paesi si rifiutarono di fornire alle coppie una dichiarazione d'urgenza per viaggiare nonostante il lockdown. L'ambasciatore italiano a Kiev, Davide La Cecilia commentò: «Ho guardato con grande disagio e preoccupazione le immagini del video diffuso in rete dei neonati radunati in una stanza in attesa dello sblocco della situazione». Disagio e preoccupazione, due segnali di sensibilità che evaporano nella cloaca globale. Dove l'uomo non è più un uomo ma solo un bulimico consumatore di ideali.
Federico Garau per "ilgiornale.it" il 12 novembre 2021. Abbandonata dai genitori adottivi dopo essere stata "commissionata", con la pratica dell'utero in affitto, ad una clinica per maternità surrogata sita in Ucraina, una bimba di un anno è rientrata in Italia nella giornata di ieri. Del rimpatrio della piccola si è occupato Lo Scip (il Servizio per la cooperazione internazionale di Polizia), grazie alla preziosa collaborazione offerta dalla Croce Rossa italiana. La coppia, desiderosa di realizzare il sogno di avere un figlio tramite una madre surrogata, si era recata in Ucraina nell'agosto del 2020 per assistere al parto. Dopo aver provveduto a riconoscere la piccola, i due l'avevano affidata alle cure di una baby sitter del posto, decidendo tuttavia di rientrare in Italia senza di lei e facendo perdere le proprie tracce. La tata, alla quale era stato tagliato lo stipendio, si era pertanto rivolta al consolato italiano per denunciare i fatti. Una volta rintracciati dalla procura della Repubblica dei minori, i genitori avevano riferito di non avere alcuna intenzione di accogliere la bimba nella loro famiglia. A questo punto è intervenuto lo Scip, il quale, grazie all'appoggio del consolato italiano a Kiev, ha potuto operare per ricondurre la piccola in Italia. Anche la Croce Rossa italiana ha dato un prezioso contributo alla missione, mettendo a disposizione una squadra composta dalla pediatra Carolina Casini e dall'infermiera volontaria Halina Landesberg, che si sono occupate di accudire la bambina. Le condizioni della bambina sono buone", ha dichiarato la dottoressa Casini a Repubblica. "Per fortuna, la tata che l'ha accudita fino a ieri l'ha amata molto e se ne è presa cura egregiamente. Come sempre la Croce Rossa protegge l'umanità e opera attivamente per garantire il diritto di adulti e minori ad essere protetti", ha concluso la pediatra. Il triste abbandono della piccola ha suscitato parecchio scalpore, e fatto riemergere con forza il tema della maternità surrogata."Una notizia che lascia attoniti, una di quelle che speri, fino all'ultimo, si tratti di una fake news", commenta amaramente il presidente del Centro italiano aiuti all'infanzia (Ciai). "Invece è tutto vero: è vero che una bambina, voluta fino al punto di prendere un volo aereo, affrontare una procedura di maternità surrogata, attendere la nascita, pagare un mucchio di soldi (ebbene sì, c'è anche questo aspetto), è stata poi abbandonata al suo destino", aggiunge Paola Crestani. La vicenda riaccende i riflettori sul tema della maternità surrogata, reato nel nostro Paese, che il presidente del Ciai definisce senza giri di parole un"mercato che certo non va nella direzione del migliore interesse dei bambini".
Verrà adottata in Italia. Genitori affittano utero e abbandonano bimba dopo la nascita: “La tiene la baby sitter”. Andrea Lagatta su Il Riformista il 12 Novembre 2021. Ha un anno, è nata in in Ucraina con tecniche di maternità surrogata, ed è stata subito abbandonata dai genitori italiani. E’ la triste storia della piccola, trattata come un oggetto da chi invece avrebbe dovuto amarla e desiderarla. La bimba è arrivata ieri in Italia, con la speranza che presto avrà una famiglia che la ami davvero. L’operazione d’arrivo nel nostro Paese è stata condotta dal Servizio per la cooperazione internazionale di Polizia (SCIP) della Direzione centrale della Polizia criminale, in collaborazione con la Croce Rossa Italiana.
La vicenda
La coppia italiana aveva scelto l’Ucraina per portare avante la maternità surrogata: qui si erano recati nell’agosto del 2020 per coronare il desiderio di diventare genitori. Dopo la nascita della piccola e dopo il suo riconoscimento, la coppia è rientrata però in Italia, lasciando la piccola nelle mani di una baby sitter di Kiev. La Procura della Repubblica dei minori si è occupata del caso e ha permesso di rintracciare i genitori e di constatare la reale intenzione della coppia di non voler riprendere con loro la piccola.
Il rimpatrio
Il rientro della piccola in Italia è avvenuto grazie all’intervento dello Scip, che ha collaborato con il Consolato italiano a Kiev chiamato a rilasciare i documenti necessari per il viaggio. Anche l’intervento della Croce Rossa Italiana, accompagnato da un team operativo composto da una piediatra e da un’infermiera, è stato cruciale per il successo della missione.
Il battesimo del volo della bimba coincide, dunque, con il suo primo ingresso in patria. I poliziotti l’hanno fatta viaggiare con i suoi peluche preferiti, consegnati al momento della partenza dalla baby-sitter.
Andrea Lagatta
La bambina nata da madre surrogata in Ucraina è tornata in Italia. Giorgia Meloni attacca: "Utero in affitto reato universale". Il Tempo il 12 novembre 2021. È arrivata ieri a Malpensa da Kiev la bambina nata con tecniche di maternità surrogata, con i genitori italiani che erano andati in Ucraina a riconoscerla ma poi l'hanno lasciata alla tata per 15 mesi, senza farsi mai vedere. Sono tornati in Italia affidando la neonata a una baby-sitter reperita attraverso un’agenzia interinale ucraina. Ma al compimento del primo anno di vita, non avendo più notizie dai genitori e non avendo più ricevuto il compenso pattuito, la donna, disperata, si è rivolta al consolato italiano per denunciare quanto accaduto. È stato il Servizio per la cooperazione internazionale di Polizia (Scip) a gestire il caso della piccola, che ora sarà affidata ad un’altra famiglia italiana. «Le condizioni della bambina sono buone. Per fortuna, la tata che l’ha accudita fino a ieri l’ha amata molto e se ne è presa cura egregiamente. Come sempre la Croce Rossa protegge l’umanità e opera attivamente per garantire il diritto di adulti e minori a essere protetti» dichiara Carolina Casini, medico pediatra volontaria della Croce Rossa Italiana. Il caso è diventato materia di scontro anche politico. «Siamo sconvolti dalla notizia della bimba nata in Ucraina attraverso la pratica dell’utero in affitto perché commissionata da una coppia di italiani e poi abbandonata. Grazie al Consolato italiano a Kiev, alla Polizia di Stato e alla Croce Rossa per aver fatto rientrare in Italia la piccola per essere affidata ad una nuova famiglia e a tutti coloro che si sono presi cura della bambina e non le hanno fatto mancare nulla. Rinnoviamo ancora una volta il nostro appello alle forze politiche, a partire da Lega e Forza Italia: uniamo le forze per approvare la proposta di legge di FdI, ora all’esame della Commissione Giustizia della Camera, per rendere l’utero in affitto reato universale, ovvero punibile anche all’estero. La vita non può essere una merce di scambio». Lo dichiara il presidente di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni. «Tutti conoscono l’appello diffuso con mio marito per trovare una donna che ci aiuti a coronare il nostro sogno di avere un figlio in Italia. Pochi sanno che contemporaneamente abbiamo iniziato l’iter per l’adozione nazionale. Lungaggini burocratiche e assenza di bambini in stato di abbandono ci obbligano a un’attesa senza certezze. Non si tratta di come un bambino nasce ma dell’amore che si è disposti a dargli. È per questo che io e mio marito Sergio siamo disponibili ad accogliere la bambina nata in Ucraina». Così Maria Sole Giardini, consigliere generale dell’Associazione Luca Coscioni e affetta dalla sindrome di Rokitansky, che nel 2016 tramite l’Associazione aveva lanciato un appello per cercare un’altra donna che, tramite la tecnica di gravidanza solidale, potesse portare avanti la gravidanza al suo posto.
La piccola è ora al sicuro in Italia. Bimba abbandonata in Ucraina, la madre: “Non la sentivo come mia figlia”. Redazione su Il Riformista il 14 Novembre 2021. “Non me la sono sentita più, mi dispiace. Non la sentivo come mia figlia, mi dicevo: che c’entro io con lei? Non ce l’ho fatta“, ha spiegato la madre della bimba nata attraverso il sistema della maternità surrogata e poi abbandonata in Ucraina. Dopo la nascita della piccola e dopo il suo riconoscimento, la coppia è rientrata però in Italia, lasciando la piccola a Kiev nelle mani di un tata pagata per qualche mese. La coppia, dopo essere stata convocata in procura a Novara, ha confermato l’intenzione di non volere più la bimba, che ha ora 15 mesi. La donna ha spiegato che la sua decisione è arrivata dopo quella del suo compagno, diventato già il padre, ma solo per via genetica.
L’adozione
La bimba è ora al sicuro in Italia: è al momento affidata a una coppia che si è resa disponibile a occuparsene fino al completamento del percorso per l’adozione. I genitori affidatari sono anche già riusciti a rintracciare una baby sitter ucraina, che parla quindi la lingua della bambina.
Ma non si esclude l’ipotesi di un ripensamento da parte del genitore naturale, il padre, o che si presenti in tribunale un parente, dal momento che la procedura dell’adozione non è stata ancora definita dalla Cassazione.
La bambina, riconosciuta inizialmente in Ucraina dalla coppia di Novara, è considerata italiana a tutti gli effetti. La piccina è stata rimpatriata con una operazione gestita dallo Scip (il Servizio per la cooperazione internazionale di polizia) e il coordinamento della magistratura.
Le indagini
Il Tribunale per i minorenni di Torino ha aperto la procedura di adozione per la bambina di un anno nata in Ucraina con tecniche di maternità surrogata e abbandonata a una baby sitter a Kiev da una coppia di Novara. La procura dei Minori, diretta da Emma Avezzù, si è subito attivata, su segnalazione dell’ambasciata italiana a Kiev, assieme a quella di Novara con il procuratore capo Giuseppe Ferrando.
I magistrati novaresi avevano ricevuto diverso tempo fa la segnalazione della situazione da parte dell’ambasciata italiana in Ucraina e hanno collaborato con il servizio internazionale del ministero per individuare la migliore soluzione possibile a vantaggio della piccola. La procura, una volta completato il rientro della bambina sul suolo italiano, ha aperto un fascicolo “modello 45” senza indagati e senza notizie di reato.
Ma le valutazioni giuridiche sono molteplici: l’ipotesi di un procedimento penale per “abbandono di minore” è quella presa in considerazione dai magistrati, per cui è prevista una pena che va dai 6 mesi ai 5 anni. Ma prima occorre districarsi nel labirinto di norme, leggi e convenzioni internazionali.
La bimba abbandonata in Ucraina e nata dopo maternità surrogata in affido a una famiglia di Novara. Simona Lorenzetti e Massimiliano Nerozzi su Il Corriere della Sera il 14 Novembre 2021. Aperta un’inchiesta. I magistrati hanno ricostruito le discussioni tra il padre e la madre biologici che li hanno portati a non sentirsela più di crescere la bimba nata da una madre surrogata. Per la piccola parte la procedura per l’adozione. Ha una mamma e un papà — «MaMa Ta TaTo», come parlotta lei in ucraino, stringendo i peluche — la bambina di 15 mesi abbandonata a Kiev da una coppia italiana che nell’estate del 2020 l’aveva invece voluta con tecniche di maternità surrogata. Su richiesta della Procura dei minori di Torino, il tribunale l’ha infatti data in affido a una famiglia che abita in provincia di Novara, la stessa città da dove i genitori biologici erano partiti per l’Ucraina. L’ha accolta una coppia non più giovanissima, con figli abbastanza grandi, e che, soprattutto, le ha subito offerto un abbraccio affettivo e che può garantirle un supporto materiale. Come non poteva permettersi più la babysitter che s’era occupa della piccola a Kiev, fin quando i genitori erano spariti, tagliando l’invio di denaro: «Mi dispiace, ma io non posso più crescerla», aveva detto in lacrime la donna, portando la bambina al consolato italiano della capitale ucraina. Il primo gesto d’amore della sua nuova famiglia è stato proprio quello di rintracciare nel giro di un paio di giorni una tata ucraina, per ridurre il trauma e farla sentire sempre «a casa, come fosse nostra figlia». Quella casa che, a un certo punto, non ha più voluto offrirle la coppia che, al contrario, pareva volerla a tutti i costi, solo un anno fa, tanto da spingersi all’Est. Invece, dopo qualche mese erano sorte le prime discussioni tra papà e mamma, come hanno raccontato loro stessi, sentiti dagli investigatori. È stata la donna, secondo la prima ricostruzione, a non sentirsela più di crescere quella bambina nata da un’altra madre, surrogata, appunto. Un sentimento che ha minato ogni giorno di più le sue convinzioni, travolgendo anche il marito. La Procura di Novara ha aperto un fascicolo «modello 45», ovvero senza indagati e senza ipotesi di reato: la maternità surrogata è legale in Ucraina e l’eventuale abbandono di minore là non è perseguibile qui. Di certo, appresa la notizia, l’ufficio guidato dal procuratore Giuseppe Ferrando ha avviato tutte le procedure necessarie per il rientro della piccola in Italia. Nel frattempo si è attivata anche la Procura dei minori che ha chiesto al tribunale l’apertura della procedura di adottabilità della bambina e, nell’attesa, il suo affido. A una famiglia che già si era resa disponibile, attraverso la rete dei servizi sociali. Nelle prossime settimane lo stesso tribunale dei minori potrebbe ascoltare i genitori e decidere di accertare l’esistenza di un legame biologico tra la coppia e la piccola. «Un atto opportuno, perché in passato ci sono stati casi poco chiari», commenta il procuratore dei minori Emma Avezzù. Inconfutabile è la cittadinanza italiana, anche se il documento in possesso del consolato a Kiev non è ancora stato registrato nel nostro Paese. Resta il fatto che la piccola risulta «figlia di una coppia di cittadini italiani» e riconosciuta alla nascita. Il prossimo passo sarà l’adozione. Per la quale si è offerta Maria Sole Giardini, consigliere generale dell’associazione Luca Coscioni: «Non si tratta di come un bambino nasce, ma dell’amore che si è disposti a dargli. È per questo che io e mio marito Sergio siamo disponibili ad accoglierla». Dal 2016 l’associazione lavora a una proposta di legge sulla gravidanza «solidale», portata avanti senza compensi «per mettere al centro la tutela dei nati, della gestante per altri e dei genitori intenzionali».
Carlo Bologna per “La Stampa” il 16 novembre 2021. Altro che abbandono nella lontana Ucraina. La famiglia di Novara che si era rivolta a una madre surrogata per avere una figlia voleva portarsela in Italia. È quanto sostengono gli avvocati dei genitori legali di Luna (nome di fantasia), la piccola di quindici mesi che con la sua storia ha commosso l’Italia. Venerdì è arrivata a Malpensa scortata dai volontari della Croce rossa italiana e dagli agenti della Criminalpol. Un viaggio fatto di ninnenanne e mille coccole. Per ridurre al minimo quello strappo consumato in Ucraina, quando la tata si era rivolta al consolato italiano a Kiev chiedendo aiuto. Fino all’altro ieri era la storia di un abbandono. «Dopo il riconoscimento della bambina - ricostruiva la Croce rossa - la coppia è rientrata in Italia, affidando la piccola a una baby-sitter reperita sul posto per poi sparire. L’interessamento della Procura dei minori ha permesso di rintracciare i genitori e di constatare la reale intenzione della coppia di non voler riprendere la loro figlia». Ieri, a spazzare via questa ricostruzione, è arrivata la nota dei legali torinesi della coppia, gli avvocati Riccardo Salomone ed Enzo Carofano. «I coniugi sono stati additati come responsabili dell’aberrante comportamento ma neghiamo tassativamente che avessero intenzione di abbandonare la bambina. Infatti erano state avviate le pratiche per riportarla in Italia». «Posso soltanto aggiungere - chiosa l’avvocato Salomone - che in questa storia, raccontata con grande suggestione, mancano moltissimi tasselli». In queste ore sono rimbalzate anche alcune frasi attribuite alla madre novarese che avrebbe spiegato di non sentire sua la bimba partorita da un’altra donna. «I coniugi non hanno mai rilasciato dichiarazioni ai giornalisti» garantiscono i legali invitando «a evitare ogni interferenza nella vita privata e nella riservatezza della coppia». Che, va ricordato, non è indagata. La procura di Novara sulla vicenda ha aperto un fascicolo «modello 45», quello dei fatti non costituenti reato. «È una vicenda delicata, tutta da valutare - si limita a commentare il procuratore capo Giuseppe Ferrando -. Noi ci siamo attivati un mese fa quando è arrivata la richiesta dai servizi diplomatici». Il caso è all’attenzione anche del Tribunale dei minori di Torino che ora dovrà valutare con attenzione se Luna potrà essere riaffidata a chi l’ha voluta attraverso un’altra madre. Nel frattempo è stata accolta da una coppia che ha altri figli e abita nella zona del Novarese. Chi l’ha vista la descrive come una bambina bellissima. Per darle una casa e amore decine di famiglie si sono fatte avanti. Da ieri, con loro, c’è anche quella che vuole riannodare i fili di una storia spezzata. Per trasformarsi da genitori legali semplicemente in genitori. Senza più ombre.
Michela Marzano per “La Stampa” il 16 novembre 2021. La storia della bimba nata a Kiev con gestazione per altri e poi abbandonata è tristissima. Nessun bambino dovrebbe mai essere abbandonato. Eppure, accade. Succede quando una donna decide di partorire anonimamente, e il neonato viene poi dato in adozione. Oppure quando un bimbo o una bimba vengono dati in affido temporaneo, e poi non tornano più nella famiglia d’origine. Succede con alcuni prematuri che, dopo essere stati tenuti in vita grazie a terapie sofisticate, non vengono mai recuperati dai genitori in ragione di qualche disabilità. Accade persino quando si adotta, e talvolta si restituisce il bambino, e allora è ancora peggio, perché i piccoli vivono un drammatico «doppio abbandono». Ma di queste storie si parla poco, vuoi perché non fanno notizia, vuoi, ancora peggio, perché non creano polemiche. A differenza dell’abbandono di Luna, che è stato invece raccontato da molti, e commentato come il risultato evidente dell’egoismo di chi, convinto che tutto sia lecito, compra i figli. Cioè? Il capitolo della gestazione per altri è talmente controverso che, in tanti, fanno persino fatica a pronunciare le parole «gestazione per altri», e preferiscono connotare subito, e in maniera negativa, la pratica come «utero in affitto» o «maternità surrogata». Sebbene non ci sia nessun «affittasi» accanto alle foto in vetrina di un utero. Né, tantomeno, si possa parlare di maternità quando una donna porta avanti una gravidanza senza l’intenzione di diventare madre. Ma prima di affrontare da un punto di vista etico questo tema, vorrei iniziare raccontando una contro-storia. Una storia che inizia con C., che è madre di tre figli, ha un bel lavoro, un marito, una madre ancora attiva e tanta voglia di mettere da parte un po’ di soldi. C. è una donna forte e determinata. È lei che si occupa di tutto in casa e che, a un certo punto, decide di portare avanti alcune gravidanze per coppie che, altrimenti, non potrebbero avere figli. Certo, C. guadagna molto, ma è fiera di farlo aiutando altre persone. E dopo aver fatto nascere due maschietti per una coppia di gay, decide che è arrivato il momento di smettere. I due papà adorano C. e incontrano suo marito, sua madre e i suoi figli. E uno dei due, un giorno, ammette: «Ciò che C. ha fatto per la nostra famiglia non ha prezzo. Che prezzo potrebbe d’altronde avere la cura con cui C. ha portato avanti la gravidanza dei due nostri figli? Le sarò per sempre grato di avermi dato la possibilità di diventare papà». Dopo questa contro-storia, il passaggio seguente è ricordare come in Belgio, in Canada, in Danimarca e in alcuni stati Usa, la gestazione per altri sia legale solo se portata avanti a titolo gratuito, mentre in altri stati Usa lo è anche quando viene retribuita, sebbene esistano regole rigide per tutelare le donne e i bambini: le donne devono già essere madri, devono essere economicamente indipendenti e devono essere in grado di dimostrare che le proprie scelte sono informate e consapevoli; i bambini, una volta nati, devono essere riconosciuti e non possono essere abbandonati. In alcuni paesi dell’Est o in via di sviluppo, però, il contesto è tutt’altro: le regole sono talmente confuse (o aggirabili), che non è raro che le donne vengano sfruttate o che si crei un vero e proprio commercio di bambini. Come per molte altre pratiche, anche nel caso della gestazione per altri la valutazione etica dipende dalle regole che vengono stabilite e dalle modalità che vengono (o meno) rispettate. Pensiamo, ad esempio, al trapianto degli organi. In teoria, siamo tutti d’accordo che è cosa buona e giusta salvare la vita di una persona trapiantandogli un cuore o un rene o un fegato. Ma come ci si procura questi organi? Da chi, e in base a quali norme, vengono espiantati? La regola è in genere quella della gratuità e dell’anonimato. Gli organi non vengono quindi né venduti né comprati, ma donati. Tuttavia, dato che gli organi a disposizione per i trapianti sono rari, esiste un mercato parallelo. Accade cioè che alcune persone – spesso sole, talvolta ai margini della società, talvolta prigioniere – vengano rapite o ammazzate al fine di recuperarne gli organi e poi venderli al maggior offerente. E che alcuni ricchi sopravvivano proprio perché si possono permettere di pagare somme ingenti di denaro ai trafficanti di organi. Se mi soffermo sulle ambivalenze etiche del trapianto, è perché sono un po’ stanca del buonismo astratto di chi parte in battaglia per difendere i diritti dei più fragili, ma poi non sa, non conosce, ignora o tace i problemi e gli abusi legati a una determinata pratica. E si scaglia contro la gestazione per altri condannandola a priori. Se è d’altronde giusto inorridire di fronte a storie di abbandono come quella di Luna, è totalmente ingiusto sputare sentenze sulla gestazione per altri in generale, partendo dal presupposto che nessuna donna possa autonomamente decidere come utilizzare il proprio corpo oppure da quello secondo cui ogni bambino nato da gestazione per altri è un «pacco comprato su Amazon». La paternità e la maternità sono sempre complesse e, permettetemi di dirlo, quasi mai frutto di un gesto altruistico. Quante sono le persone che hanno figli perché è così che si fa, oppure capita, oppure li vogliono con la stessa forza con cui si può volere un cane o un gatto? Chi è consapevole del fatto la genitorialità ha ben poco a che vedere con il Dna o il sangue, ed è quel legame che si stringe con un figlio (biologico o meno) quando ci si assume la responsabilità di accoglierlo, riconoscerlo, amarlo, accudirlo, talvolta anche sgridarlo? La lingua francese, in questo, è forse più sottile di quella italiana, visto che quando si riferisce alla genitorialità utilizza due termini: «geniteur», che vuol dire «genitore biologico», e «parent», che vuol dire «padre» o «madre» anche in assenza di legami biologici. Un conto, d’altronde, è mettere al mondo un figlio; altro conto, è diventarne la madre o il padre. Un conto è avere un legame genetico con la creatura che nasce; altro conto è esserci: esserci sempre e comunque, trasmettendogli valori, regole, abitudini, parole, ascolto e amore.
Madri. Alessandro Bertirotti l'1 novembre 2021 su Il Giornale. È tutta questione di… scelte. Nei primi anni di vita, lo sviluppo neuronale è rapido ma rallenta durante l’intero arco della vita, senza però mai fermarsi. In altri termini, “è importante sottolineare che la ricerca neurobiologica ha definitivamente dimostrato che la capacità di modificare le connessioni neuronali in risposta a eventi significativi caratterizza tutta la vita dell’individuo. In ogni momento, infatti, le connessioni anatomiche possono rafforzarsi, o indebolirsi, e ciò rende lo stabilirsi della struttura del sistema nervoso un processo plastico in continua evoluzione” (Vicari S., Caselli M.C., 2010, a cura di, Neuropsicologia dello sviluppo, Il Mulino, Bologna, p. 23). Ciò significa, in termini concreti, che la metà di quello che noi siamo e diventeremo dipende dal tipo di esperienze che andremo a fare, ossia a vivere, in questo periodo iniziale della nostra vita postnatale. E non si tiene conto di quello che accade durante i nove mesi di gestazione, altrimenti dovremmo veramente datare la nascita molto prima rispetto a quello che generalmente facciamo. Ed abbiamo, in effetti, visto nei precedenti articoli che la relazione genitoriale madre-bambino è di fondamentale importanza. Ma proprio in nome di queste ultime considerazioni, mi sembra opportuno domandarsi, a questo punto, come mai il contatto con la propria figura di accudimento sia così cruciale ai fini della sopravvivenza, al punto da rivelarsi primario il bisogno che ne hanno i piccoli. Escluso che l’amore filiale sia l’effetto collaterale del ricevere il cibo, vi è una ragione che ha un senso da un punto di vista evoluzionistico. Immaginiamo le condizioni di vita dei primi uomini. Ai primordi della specie, il rischio di morire perché attaccati dai predatori, dai serpenti velenosi, o da adulti estranei era più alto rispetto alla possibilità di non sopravvivere perché non sufficientemente alimentati. Non a caso, paure quali quella del buio, dello stare soli, degli estranei, dei serpenti sono ancorate al nostro patrimonio genetico come esito della selezione naturale. E la nostra razionalità deve fare i conti con sensazioni che sorgono improvvise e sembrano, ora, non avere un senso. Quindi, per un piccolo della nostra specie era funzionale alla sopravvivenza cercare di farsi proteggere da un adulto competente, non da un individuo qualsiasi. Era cruciale identificare al più presto la persona che aveva interesse a difenderlo dai pericoli, che era motivato a prendersi cura di lui; era importante che mantenesse la vicinanza proprio con quell’adulto. E quell’adulto, in natura, era la madre biologica. Vi chiedo ora: vi è attualmente una sufficiente quantità di madri in grado di essere adulti competenti per l’evoluzione dei loro stessi figli?
Dagotraduzione dal Daily Mail il 24 ottobre 2021. Una donna indiana sostiene di aver avuto il suo primo figlio all’età di 70 anni. Jivunben Rabari e suo marito Maldhari, 75 anni, hanno mostrato con orgoglio il figlio - di cui non hanno rivelato il nome - ai giornalisti dopo aver affermato che era stato concepito attraverso la fecondazione in vitro. Rabari ha detto di non avere un documento di identità che dimostrasse la sua età, ma ha dichiarato di avere 70 anni, il che la renderebbe una delle madri più anziane al mondo. Si ritiene però che un’altra donna indiana, Erramatti Mangayamma, sia la madre più anziana: la donna ha avuto due gemelle nel settembre 2019 all'età di 74 anni. Rabari e Maldhari, originari di un piccolo villaggio chiamato Mora nel Gujurat, sono sposati da 45 anni e da decenni cercano senza successo di avere un bambino. Ci sono riusciti adesso, grazie alla fecondazione in vitro. Il medico della coppia, Naresh Bhanushali, ha detto che è stato «uno dei casi più rari che abbia mai visto». «Quando sono venuti da noi per la prima volta, abbiamo detto loro che non potevano avere un figlio a un’età così avanzata, ma hanno insistito. È uno dei casi più rari che abbia mai visto». Le possibilità che una donna di 70 anni rimanga incinta in modo naturale sono praticamente zero perché a quell’età si è in menopausa. Ma secondo l'American Society of Reproductive Medicine (ASRM) qualsiasi donna, a qualsiasi età, può rimanere incinta con l'assistenza medica a condizione che abbia un "utero normale", anche se non ha più ovaie. I medici usano un ovulo donato da una donna giovane che viene fecoondato al di fuori del corpo con lo sperma di un donatore. Poi l’embrione così ottenuto viene inserito nell’utera della donna nella speranza che rimanga incinta. Ci sono stati diversi casi di donne tra i 60 e i 70 anni che hanno avuto figli attraverso la fecondazione in vitro in India.
Da Today.it il 10 ottobre 2021. Ha 33 anni e non ci stava ad essere chiamata nonna ma ora Gemma Skinner è diventata la nonna più giovane di tutta la Gran Bretagna a soli 33 anni. Sua figlia Maizie, avuta quando aveva 16 anni e che ora di anni ne ha 17, ha partorito la scorsa settimana. E anche all'ospedale nessuno credeva che quella fosse la nonna e non una zia o una sorella. «Quando usciamo tutti pensano che io sia la madre del bambino», ha raccontato al Sun. Non è difficile immaginarlo: Gemma di figli ne ha tre, di cui la più piccola, Bella, di quattro anni. «Quando ho detto di essere la nonna, sono rimasti piuttosto scioccati. Tutti hanno pensato che fosse la sorella minore di Maizie, noi dobbiamo continuare a spiegare che in realtà è sua figlia. La gente mi scambia sempre per sua madre. Quando Maizie era in ospedale, l'infermiera che è venuta a farle l'epidurale ha chiesto se eravamo sorelle. Ormai siamo abituate e ci ridiamo sopra perché succede sempre».
«Sono uomo e anche mamma, per me è una potenza in più». Per la maggior parte delle persone trans con figli il concepimento è avvenuto prima della transizione ma oggi è possibile portare avanti una gravidanza anche durante il percorso. Chiara Sgreccia su L'Espresso il 22 ottobre 2021. Madri e padri transessuali esplorano le possibilità della genitorialità contemporanea. Tra questi c’è anche Egon Botteghi, ha due figli che avevano 3 e 5 anni quando ha iniziato la transizione F to M (da femmina a maschio). Un percorso di affermazione del proprio genere che, per alcuni, non coincide con il sesso biologico. È un cammino a tappe non obbligate che termina quando la persona conquista il proprio benessere psicofisico. «Fino al 2015 lo stato ha, di fatto, portato avanti una campagna di sterilizzazione. Per chiedere il cambio di nome e sesso sui documenti era necessario sottoporsi agli interventi chirurgici che cambiano i caratteri sessuali anatomici primari e che inevitabilmente portano all’impossibilità di avere figli. Per questo, anche se da qualche anno le operazioni non sono più obbligatorie, la genitorialità T (trans ndr) è rimasta un tabù» spiega Botteghi che è il delegato nazionale del gruppo di supporto per i genitori trans della Rete Genitori Rainbow. Eppure i genitori T esistono anche se sono invisibili come tutte le persone transessuali nel nostro paese. Non ci sono rilevazioni statistiche ma soltanto alcune stime, ricavate da chi si rivolge ai centri per l'adeguamento di genere e dal raffronto con la letteratura internazionale, secondo cui avrebbero intrapreso il percorso di transizione circa 500 mila persone. Andrea ha poco più di trent’anni anni e un figlio avuto con un compagno con cui adesso preferisce avere a che fare il meno possibile. Il sesso biologico di Andrea alla nascita del bambino era femminile ma sei anni fa ha deciso di intraprendere il percorso di transizione che oggi gli permette di essere maschio anche secondo la carta di identità. «Nel 2011 quando ho iniziato la transizione ero preoccupato per i miei figli perché la poca informazione che era disponibile era ancora fuorviata dalle teorie secondo cui la disforia di genere è una malattia mentale di cui i figli avrebbero percepito le dannose conseguenze. È stato il confronto con i pari che mi ha permesso di capire che non è affatto così. La cosa che danneggia davvero i bambini è la confusione, per questo ho sempre spiegato loro la verità. Li ho inclusi nel mio percorso e ho fatto capire che la nostra relazione non sarebbe cambiata. Mi sentivo uomo e avrei voluto che anche gli altri mi percepissero per quello che sono. È cambiato il mio ruolo sociale ma io sono rimasto sempre lo stesso». Botteghi in Lingua Madre, lo spettacolo della regista argentina Lola Arias che a ottobre andrà in scena a Bologna, rappresenta se stesso e racconta che cosa vuol dire essere genitori T. «Due anni fa sono andato a rifare la carta di identità di mia figlia minorenne. Erano i tempi in cui Matteo Salvini da ministro aveva appena chiesto il reintegro della dicitura “madre” e “padre” sui documenti. L’impiegata del Comune non sapeva che fare perché anche se sono la madre di Lisa (nome di fantasia) il mio nome e il mio aspetto sono quelli di un uomo. Ho provato a spiegarmi ma la signora non voleva darmi retta. Sono arrivati altri dipendenti convinti di poter risolvere la situazione, avevo gli occhi di tutto l’ufficio puntati su di me». Botteghi ricorda che l’esperienza non fu affatto piacevole ma oggi ride perché pensa che un decreto fatto per rinforzare il prestigio della famiglia tradizionale ha di fatto legittimato un uomo a sentirsi mamma. «Sulla carta di identità di Lisa c’è ancora il mio nome, maschile, sotto la dicitura madre. Ognuno è diverso ma per me è una potenza in più essere un uomo e anche mamma». Dopo quattro mesi dall’inizio del percorso psicologico Andrea ha ricevuto il documento necessario all’autorizzazione dell’iter ormonale, la perizia con la diagnosi di disforia di genere. «Ero felicissimo di aver ricevuto l’autorizzazione così in fretta ma avrei voluto che il supporto psicologico coinvolgesse anche le persone per me più care, come la mia ex moglie e mio figlio». In Italia la riassegnazione del sesso e del genere è consentita dalla legge n.164 del 1982, avviene tramite un procedimento giudiziale - cioè in tribunale - affinché il giudice accerti la volontà ferma nella persona che fa domanda per la rettifica dei dati anagrafici sui documenti. «Muore il nome ma la persona è sempre la stessa, quindi tutto ciò che riguarda sesso e nome viene convertito mentre il background - genitorialità, responsabilità personali, penali, quello che è il vissuto - resta» spiega Serena Montuori, avvocato che si occupa di famiglia, minori, tutela della persona e diritti LGBTQIA+. Una volta autorizzata la rettifica da una sentenza del tribunale tutti gli uffici amministrativi emettono i nuovi documenti come la patente, tessera sanitaria, laurea, etc. Da questo momento chi ha chiesto il cambio non esiste più con il nome precedente ma con il nome di elezione. Nel giudizio è possibile chiedere solo la modifica del nome e del sesso anagrafico o aggiungere anche l’autorizzazione per l’intervento chirurgico di riattribuzione del sesso nel caso in cui la persona lo ritenga necessario per il raggiungimento del proprio benessere. «Non si può parlare di transizione in modo omogeneo perché le storie delle persone sono diverse e il punto di arrivo non è uguale per tutti. - continua Montuori - Si parte dalla diagnosi di disforia o incongruenza di genere che è una sofferenza intensa, persistente che consiste nel sentire la propria identità diversa dal sesso biologico. Può portare alla depressione e anche al suicidio. Poi si procede per tappe - l’iter ormonale, quello legale e le operazioni - che ognuno può scegliere se fare o no sulla base del proprio star bene». Si parla di salute sessuale: il diritto all'identità di genere è un elemento costitutivo del diritto all'identità personale che fa parte dei diritti fondamentali della persona e della tutela della salute che la Repubblica italiana deve garantire in accordo con l’articolo 32 della nostra Costituzione. «Neppure l’iter legale è lo stesso per tutti perché sebbene la legge ci sia - e rimanga sempre quella - esistono ancora zone grigie che lasciano le modalità della sua applicazione nelle mani del giudice che è ogni volta diverso. Però, se un diritto non viene garantito a tutti allo stesso modo allora non può dirsi diritto». Andrea oggi non si sente più mamma ma neanche papà.« Sono il genitore. Fa parte della nostra etica sociale definire i ruoli di madre e padre, è una questione culturale ancora molto forte». Botteghi racconta di aver aspettato anni per ottenere la rettifica dei dati sui documenti, molto di più di altri suoi conoscenti «probabilmente - ipotizza - perché il fatto che fossi una donna con figli ha fatto sì che il giudice ponesse più attenzione nell’accertare la mia ferma volontà di transizionare cercando conferme da parte esperti e consulenti. Questo succede perché la genitorilità trans è un argomento ancora da sdoganare sia per l’opinione pubblica sia per alcuni addetti ai lavori». La quasi totalità delle persone T con figli, infatti, ha portato avanti la gravidanza prima della transizione ma oggi è possibile rimanere incinta anche durante il percorso. Non c’è ancora una procedura chiara e non vale per tutti perché dipende da variabili personali, però, da quando il trattamento chirurgico non è più indispensabile per il cambio di identità di genere all’anagrafe è possibile che una persona FtM interrompa temporaneamente la terapia ormonale per condurre la gravidanza. Si chiamano papà cavalluccio marino, seahorse dad, perché è l’esemplare maschio dell’animale che tiene le uova nel ventre fino alla nascita. «Se ne parla ancora molto poco, anche per i medici è un campo in esplorazione proprio perché fino a pochi anni fa non eravamo abituati a prendere in considerazione l’idea che un uomo potesse decidere di concepire un figlio» ma grazie ai racconti di chi sceglie di condividere la propria esperienza, soprattutto attraverso i social, e al lavoro delle associazioni a supporto della genitorialità contemporanea, come quella di cui fa parte Botteghi, la società sta imparando a capire che alcune categorie di pensiero devono essere riformate.
Mom&Dad. Tocofobia per procura. L’immane panzana della depressione post partum maschile. Assia Neumann Dayan su L'Inkiesta il 2 ottobre 2021. Uno studio dell’Università di Canberra afferma la possibilità di ansia, sintomi depressivi e mancanza di sonno anche nei padri nel periodo successivo alla nascita del primogenito. Scommettiamo che questo team di luminari era composto da soli maschi? Era una settimana tranquilla, finalmente non avevo più nulla da dire, nella vita capita anche che un ineffabile genio come me ogni tanto si chieda: ho forse perso il mio tocco magico? La mia realtà non è più rilevante? Devo iscrivere mio figlio a un corso di giocoleria in modo da svoltare altri dieci articoli? O forse devo fare un altro figlio in modo da scrivere il bestseller che tutti voi state aspettando? Era una settimana tranquilla, poi apro Instagram e succede l’irreparabile. No, non mi costringerò ad avere un’opinione su tutto, nemmeno quando vengono toccate in maniera truffaldina le peggiori corde materne (chiedo scusa per la poca inclusività), ma eccola là, la mano sul grilletto: un post che recita «anche i padri possono soffrire di depressione post partum». Cos’è, tocofobia per procura? Quale maledetta università ha speso dei soldi per finanziare una ricerca basata sull’ appropriazione culturale della maternità? Scommettiamo che questo team di luminari era composto da soli maschi? Sputiamo sulle migliori teorie dell’attaccamento? Pare di sì. Diciamo che ci manca solo che la vita di un uomo non venga rasa al suolo dall’aver avuto un figlio, cosa che mi sembra proprio il minimo, cosa che mi sembra un’asticella veramente troppo bassa. Come fa chi non ha partorito a soffrire di depressione post partum? Non l’ho capito. Uno studio dell’Università di Canberra parla di ansia, sintomi depressivi, mancanza di sonno nei padri nel periodo successivo alla nascita del primogenito, e fin qui bastava andare a bussare a caso in un condominio qualunque. Università di Canberra, sentiti libera di farmi un bonifico. Il grande classico, pietra angolare di malafede, “tu non sei madre e non puoi capire” vale anche per i padri? Non lo so, io non faccio appropriazione culturale, ma rimane il fatto che sì, se non sei madre certe cose non le capisci, non è che io adesso mi metto a parlare di fisica quantistica solo perché ho letto Labatut (in realtà lo faccio, lo facciamo tutti). Non è un giudizio di valore, non è nemmeno un giudizio, è una frase buttata lì, e pure onesta se posso permettermi. Non capisco la necessità di raccontare cose che non ci appartengono, o che semplicemente non ci interessano. Se tutto diventa importante, niente lo è. Perché ci piace tanto raccontare il nostro parto? Chi non si illanguidisce tra un «sapessi io» e un «tu non sai cosa mi è successo»? Ve lo dico io: perché la cosa più vicina a un programma di Franca Leosini che possiamo provare nella nostra vita, si spera. Tra la cronaca nera e Realtime si incastra l’amore della nostra vita. Credo che tutte le ostetriche del mondo per contratto debbano dire che la natura è perfetta, che il dolore del parto si dimentica, altrimenti nessuno farebbe mai un secondo figlio. Ma certamente, infatti sono qui con il figlio unico, ma solo per scansare gli equivoci e non dover smentire la letteratura ostetrica. No, chi non ha partorito non può capire. Posso dirvi cosa è cambiato rispetto alla me nullipara: una costante, tragica, avvilente paura della morte. Morte mia, morte sua, morte dell’animale domestico, morte della morte. Passerà? O bisogna fare un altro figlio in modo da annullare la maledizione? Speriamo che una qualche università del Massachusetts faccia presto uno studio in merito.
Benvenuti alla Fiera dell'utero in affitto. Felice Manti il 9 Settembre 2021 su Il Giornale. Il supermarket dei bambini su ordinazione aprirà a Milano nel maggio del prossimo anno. Il supermarket dei bambini su ordinazione aprirà a Milano nel maggio del prossimo anno. Lo scrive il quotidiano della Cei Avvenire. La fiera dell'utero in affitto Un sogno chiamato bebè sarebbe vietata in Italia ma ai padroni della manipolazione genetica evidentemente non si può dire di no, alla faccia di ciò che resta della legge 40 «che proibisce la pratica e la pubblicità con sanzioni che arrivano fino al milione di euro», ricorda Jacopo Coghe di Pro Vita & Famiglia. Nell'era dell'eugenetica comandano cliniche per la fertilità straniere, società che commerciano ovuli, centri che organizzano madri surrogate tra Cipro, Usa e Ucraina come la Biotexcom, famosa l'anno scorso per i 46 bimbi rimasti causa lockdown in un albergo di Kiev, come un pacco di Amazon. Il centrodestra chiede di vietare la kermesse «perché apre le porte al Far West della schiavitù moderna», come dice l'eurodeputato leghista Simona Baldassarre. Ma in Francia il prefetto di Parigi ha già fatto spallucce, niente di più facile che in Italia succeda altrettanto. D'altronde sinistra e radicali hanno già presentato una proposta di legge per incoraggiare «gestazione per altri solidale e altruistica». Sdoganando una pratica che secondo il presidente dell'Anm Giuseppe Santalucia è già stata surrettiziamente introdotta: «Criminalizzare i genitori di figli nati da maternità surrogata sarebbe dannoso per i figli stessi». Il cavallo di Troia si chiama stepchild adoption. La Consulta lo scorso 14 marzo, pur vietando la maternità surrogata perché «offende la dignità della donna» riconosce comunque il legame giuridico alla genitorialità, che sia omo o etero. Le donne che si prestano (chiamate breeders, animali da riproduzione) sono le gestanti di «una nuova razza, surrogati umani simbolo del capitalismo moderno», per dirla con le parole usate da Antonio Gramsci sull'Avanti il 6 giugno 1918, quando la scienza aprì all'ipotesi di innesto delle ovaie. Molte arrivano dall'Est, portano a casa spicci che in patria sono soldoni, a patto però che tutto vada nel verso giusto. Nel 2016 una donna di Donetsk fu costretta causa guerra a partorire in anticipo i suoi due gemelli. Uno è morto, l'altra ha un ritardo intellettivo e motorio. Siccome si aspettavano un figlio perfetto i genitori ne hanno amorevolmente chiesto la soppressione. Ma Bridget vive, ha più di 4 anni e mezzo ed è confinata in un orfanotrofio. Come una bambola fallata con cui nessuno vuole giocare più. Felice Manti
Catania, trovato morto un tetraplegico di 14 anni. Il sospetto: lasciato dalla madre sotto il sole. Natale Bruno su La Repubblica il 19 agosto 2021. La donna è stata arrestata. Il ragazzo era morto da tre giorni. Tragedia a Grammichele: un quattordicenne tetraplegico è morto in circostanze da definire. C’è il sospetto che la madre si sia dimenticata del ragazzo lasciandolo al sole. A fare la scoperta sono stati i carabinieri della stazione del paese avvertiti proprio dalla donna: il corpo esanime è stato trovato nella sua stanza da letto con il condizionatore acceso. Il ragazzino era deceduto da almeno tre giorni. Secondo una prima ispezione cadaverica compiuta dal medico legale, sul corpo vi sarebbero evidenti chiazze di bruciature compatibili con escoriazioni solari. La Procura di Caltagirone ha disposto il fermo di indiziato di delitto per la donna ipotizzando il reato di abbandono di minore. Nella tarda mattinata di oggi è stata portata nel carcere di Catania. La madre ha 45 anni ed è rimasta vedova. Secondo la procura di Caltagirone avrebbe abbandonato il figlio di 14, affetto da tetraparesi spastica e ritardo mentale grave. Dalle indagini è emerso un gravissimo quadro indiziario nei confronti dell'indagata: le versioni dei fatti contrastanti fornite dalla donna, a partire dalla chiamata al 112 e rese poi nel corso del sopralluogo degli investigatori; gli svariati tentativi della stessa di fuggire all’arrivo dei militari. La donna ha un precedente per abbandono di minori sempre a danno del figlio in concorso con il padre, deceduto, del bambino. Secondo l'accusa, la 45enne avrebbe lasciato il figlio "all'esposizione prolungata ai raggi solari per un notevole lasso di tempo", tanto da cagionarne il decesso. Avrebbe poi cercato di nascondere l'accaduto tendendo il corpo in casa con i climatizzatori sempre accesi.
Dalla rubrica della posta di Natalia Aspesi sul "Venerdì - la Repubblica" il 9 agosto 2021. Sono d’accordo che un figlio possa essere cresciuto nell’amore di una sola madre, di un solo padre o anche di persone dello stesso sesso (nessun dubbio e sono favorevole all’adozione per coppie omosessuali), ma un conto e essere adottati perche purtroppo o orfani o abbandonati oppure crescere solo con la madre o il padre perche purtroppo uno dei due sia mancato o se ne sia andato. Contrariamente all’adozione pero, la scelta della gravidanza da single (mi riferisco alla lettera sul Venerdi del 23 luglio) con fecondazione assistita da donatore anonimo mi sembra significhi, in qualche modo, generare scientemente e non purtroppo un orfano/a il cui padre non e fuggito o deceduto. Semplicemente non si conosce e non esiste. Molte le storie di adottati che diventati adulti partono in cerca dei genitori biologici senza per questo diminuire l’amore per chi li ha allevati: cosa racconteremo a questa bambina/bambino quando sara grande? Non hai mai avuto un padre semplicemente perche non l’ho voluto mentre ho fortemente voluto te? Si potra spiegare la scelta con amore e lei/lui potra comprendere, ma potra anche non condividere e avere un moto di ribellione: avra completamente torto?
Risposta di Natalia Aspesi
Lei ha gia formulato una risposta credibile, tra l’altro carica di amore, il che potrebbe far molto contenta la persona, piccola o adulta, che sappia di essere stata cosi voluta e cosi attesa, non nata forse anche casualmente per amore di un uomo, ma proprio per mettere al mondo, ed amare e far crescere, e rendere felice, proprio lei, quella vita, quella esistenza, quel futuro. Guardi che io immagino, come lei, cosa potrebbe succedere, ma non ne abbiamo alcuna certezza. Ormai tutto cambia in fretta, e per esempio sino almeno alla meta del secolo scorso se una ragazza restava incinta erano cavoli suoi, lui non se ne sentiva responsabile e c’erano ancora genitori che cacciavano di casa peccatrice e peccato. Oggi se dici ragazza madre tutti si felicitano e crescere un figlio da sola concepito con la scienza o con un simpatico giovanotto ha lo stesso peso sociale, anche se forse non economico. Una mia amica medico che abita a Barcellona mi ha detto che nella clinica dove lavora arriva una folla di italiani, coppie ma anche donne sole, in cerca di prole. Da anni ormai nascono questi bambini di mamma e quindi questo problema sara gia stato studiato e risolto, almeno lo spero. Sta di fatto quando si cavilla sulla responsabilita di mettere al mondo nuove creature, e sempre delle donne che si parla, sono sempre loro che sbagliano. Se lo fanno o non lo fanno.
Generazione figli di papà, Nina Verdelli il 26/7/2021 su Vanityfair.it. I nati durante il lockdown hanno goduto di un privilegio: la vicinanza dei padri, oltre che delle madri, nei primissimi mesi di vita. Ne hanno beneficiato tutti. Tanto che forse, ora, il congedo di paternità diventerà legge. Questo articolo è pubblicato sul numero 30-31 di Vanity Fair in edicola fino al 3 agosto 2021. «A me la pandemia ha fatto il regalo più grande: mi ha permesso di restare a casa accanto alla mia bambina appena nata». Paolo Corolli, 48 anni, nel marzo del 2020 è diventato papà di Lavinia e, pur consapevole dell’orrore che in quel periodo imperversava nella Milano dove abita, non riesce a non essere grato: «Ai 10 giorni di congedo ho aggiunto una settimana di ferie. Dopodiché ho continuato a lavorare da remoto. I primi tempi, mia moglie Maria Luisa era impegnata ad allattare a richiesta e io mi occupavo di tutto il resto. A cambiare i pannolini ero persino più bravo io», racconta con quel tocco di orgoglio che rende preistorica l’immagine del padre che rifiuta di spingere il passeggino perché «è roba da donne». Anche ad Aldo Di Bisceglie, 36 anni, l’arrivo di Domenico nel gennaio del 2020 ha ampliato gli orizzonti: «Appena ho potuto mi sono messo in smart working e, vivendo ora dopo ora accanto a mio figlio, ho capito l’estrema fatica a cui è sottoposta una donna al ritorno dall’ospedale. Ti trovi faccia a faccia con una creatura da scoprire: all’inizio non sai come reagisce, non sai come calmarlo, non sai niente. Oltre l’infinita gioia, attraversi fasi di ansia, di stanchezza. Noi abbiamo arrancato in due, non oso immaginare come avrebbe fatto mia moglie da sola». La buona notizia è che, forse, potrebbero essere sempre meno le mogli, partner o compagne a trovarsi da sole ad affrontare quei primi mesi intensi di fatica e meraviglia. I senatori Pd Tommaso Nannicini e Valeria Fedeli hanno appena depositato in aula un disegno di legge (ddl Nannicini-Fedeli) mirato a creare una «cultura della condivisione». L’ex ministra dell’Istruzione Fedeli spiega: «Noi proponiamo un vero e proprio cambio di paradigma che punta a valorizzare il ruolo, importantissimo, dei padri e a liberare le madri lavoratrici dalla gabbia della conciliazione casa-lavoro. Gabbia perché sottende che la cura di abitazione, figli e genitori anziani sia di loro esclusivo appannaggio». I dati confermano: una ricerca Ipsos rileva che, in Italia, il 74 per cento delle donne porta sulle spalle l’intero peso della gestione famigliare. Concretamente, il disegno di legge propone la parificazione dei congedi. Oggi è obbligatorio solo per le mamme ed è di cinque mesi retribuiti all’80 per cento. I papà godono di appena 10 giorni facoltativi (meno dei 15 previsti per il matrimonio). Se il ddl passasse, entrambi i genitori, a prescindere dalla condizione contrattuale o professionale, beneficerebbero di cinque mesi obbligatori retribuiti al 100 per cento. Sono poi previsti sei mesi di congedi volontari sia per la madre sia per il padre, fino ai 14 anni del figlio (oggi fino ai 12), con indennità maggiorate. E ancora: part-time e lavoro agile agevolati. Costo stimato dell’operazione: 4 miliardi. «È un investimento sulle nuove generazioni, in linea con la clausola di condizionalità del Piano nazionale di ripresa e resilienza, che garantisce maggiori finanziamenti alle realtà che favoriscono l’occupazione femminile e giovanile», spiega Fedeli. Primo ipotetico beneficio: fine della cosiddetta «child penalty», ovvero del drastico ridimensionamento di carriera e stipendi delle lavoratrici che tornano dalla maternità. Nel 2020 l’Istat ha calcolato che una donna su tre lascia il posto dopo la nascita di un figlio e quasi una su quattro interrompe l’attività lavorativa per motivi famigliari, contro il 2,9 per cento degli uomini. Purtroppo, molti di questi abbandoni sono tutt’altro che volontari. Elisa Bannò, di Nicosia (in provincia di Enna), racconta: «Quando sono rimasta incinta l’azienda per cui lavoravo non mi ha rinnovato il contratto. Mi hanno liquidato con un “ora hai cose più importanti a cui pensare”. Due settimane dopo, hanno assunto un uomo». La sua vicenda ricorda quella di mille altre madri lavoratrici penalizzate in mille modi diversi, proprio in quanto madri. Tutte le storie di inclusione si somigliano, ogni storia di discriminazione è incivile a modo suo. Talvolta, poi, persino crudele. È il caso di Alberta Bini, a cui la ex capa ha tolto il saluto dal momento in cui ha comunicato che aspettava un bambino. O di Marina Zacco Pancari che, avuto un figlio, non vedeva l’ora di tornare in ufficio ma, al rientro, è stata messa in cassa integrazione per favorire una collega con partita Iva. O di Valentina Cappelluti, che si consuma di lacrime da quando, dopo la maternità, è stata demansionata da impiegata amministrativa a cassiera. Per non parlare dei tanti, troppi, casi di domande quantomeno sconvenienti (se non addirittura lesive della privacy) in sede di colloquio: «Signorina, lei è sposata? Ha figli? Pensa di volerne nei prossimi anni?». «Il problema è che, ancora nel 2021, tante aziende vedono la maternità come un costo e non come un investimento», commenta la senatrice Fedeli. «Sbagliano: la maternità ha il valore di un master universitario. E ora deve diventarlo anche la paternità». Ulteriore probabile beneficio di questa «rivoluzione della condivisione»: un auspicabile argine all’inverno demografico. Nel 2020, in Italia, nonostante i vari lockdown che hanno obbligato alla vicinanza coppie e famiglie, i nati sono stati appena 404 mila, 16 mila in meno rispetto al 2019, il 30 per cento in meno rispetto al 2018. L’estromissione del padre dal discorso sulla natalità non aiuta. «Quello che ancora la società fatica a comprendere è che l’arrivo di un figlio non è affare della donna, ma affare della coppia», spiega Giulia Mazzarini, psicoterapeuta famigliare esperta in perinatalità. «Nella triade mamma-papà-bambino, ognuno deve poter trovare il proprio ruolo. Se quello della mamma è il nutrire il figlio, di cibo e di amore, quello del papà è proteggere il duo mamma-bambino e fare da filtro con il mondo esterno. Il papà, insomma, funge da contenitore che, come una matrioska più grande, custodisce le altre due. Ancora oggi, però, gli uomini sono tenuti fuori: nessuno li prepara a diventare padri. Li escludiamo e poi li colpevolizziamo per inadempienza. Mentre la biologia dice il contrario: studi scientifici dimostrano che anche i papà, se coinvolti nell’accudimento, secretano l’ossitocina, il cosiddetto ormone dell’amore, fino a poco fa ritenuto esclusivo appannaggio materno. Non solo: l’amigdala, la parte del cervello deputata alle emozioni, si attiva in egual misura nei due genitori che si occupano del neonato. È importante quindi smettere di sminuire le capacità paterne di cura e cominciare a coinvolgere i padri dal primo istante». Andrea Corona, 41 anni, conferma: sua moglie Benedetta ha partorito Federico a fine gennaio 2020, ma ha dovuto attendere l’inizio del lockdown perché il marito cominciasse a lavorare da remoto. Lui racconta: «Nelle prime settimane, quando stavo in ufficio tutto il giorno, si era creata una sorta di tensione tra me e mia moglie. Io non avevo idea di cosa succedesse tra le mura di casa e la sera, rientrando, mi sentivo impreparato, in difetto, forse un po’ escluso. Da quando ho iniziato lo smart working, invece, il rapporto di coppia è migliorato. Benedetta e io siamo diventati alleati, complici: se lei dava il biberon, io preparavo il bagnetto, se lei cambiava il pannolino, toccava a me addormentarlo. Oggi so fare tutto, Federico lo sente, si fida di me come di sua madre. Ben venga una legge che consente di passare da una cultura della maternità a una della genitorialità». Non potrebbe essere più d’accordo Paola Mascaro, presidente di Valore D, la prima associazione di imprese in Italia impegnata per l’equilibrio di genere: «Per farci desistere dalla brutta abitudine di guidare senza cintura, anni fa c’è voluta una norma. Oggi ne occorre un’altra che, cambiando le dinamiche di coppia, scardini un meccanismo radicato come la cultura patriarcale. E liberi tutti, donne e uomini. Il ddl Nannicini-Fedeli permetterebbe alle madri che lo desiderano di realizzarsi sul lavoro, alle aziende di non perdere il preziosissimo potenziale di quante si sentono costrette a rinunciare alla carriera per adempiere ai doveri famigliari, e ai papà di emanciparsi dallo stereotipo del “maschio Alfa che non deve chiedere mai”. Anche gli uomini possono, anzi devono, chiedere di stare vicino ai figli se lo desiderano. Una ricerca di Valore D, invece, dimostra che il 31 per cento è convinto che un bambino piccolo abbia più bisogno della mamma. E così si fa da parte». Nella filiale bancaria dove lavora Matteo Boldrini, 37 anni, di Chiari (provincia di Brescia), le cose sono messe pure peggio: un sondaggio interno ha rivelato che solo l’1 per cento dei neo papà ha chiesto uno dei tre giorni di congedo concessi dalla banca. Lui, Matteo, fa eccezione: sposato con una ricercatrice universitaria che ha potuto usufruire dei soli cinque mesi di maternità obbligatoria, ha preso quattro mesi di congedo parentale (facoltativo e retribuito al 30 per cento) nonché due ore al giorno di allattamento fino al compimento del primo anno della loro bambina, Anita. In questo modo ha permesso a Giulia, sua moglie, di tornare a lavorare in totale tranquillità. E a se stesso di coltivare un rapporto speciale con la figlia, che oggi lo considera il suo complice numero uno. Un prezzo da pagare, però, c’è stato: «Quando ho comunicato che avrei preso il congedo, il mio responsabile mi ha fatto capire che la mia presenza in quell’ufficio non era più gradita. Al rientro sono stato trasferito in un altro dipartimento. Poco male, la serenità di mia moglie e il sorriso di mia figlia valgono dieci, cento, mille promozioni». E così, nelle parole di Matteo, riecheggia il monito della psicoanalista francese Françoise Dolto, secondo cui «il compito del padre è rendere felice la madre, che lo ha reso padre di quel bambino».
P.S. Avviso al lettore: in questo articolo parliamo di «madre» e «padre» per agevolare l’immediatezza di comprensione. Ma tutto quanto scritto vale, in egual misura, per le famiglie omogenitoriali.
Nicolò Zaniolo, l'ex Sara Scaperrotta incinta si sfoga: "Cosa mi ha fatto dopo avermi lasciata". Imbarazzante. Libero Quotidiano il 19 luglio 2021. Si torna a parlare dei guai di cuore di Nicolò Zaniolo, il 21enne centrocampista della Roma dalla vita sentimentale turbolenta. Ad attaccarlo è Sara Scaperrotta, la sua ex fidanzata piantata in asso dopo aver annunciato la gravidanza alla fine del 2020. All'epoca si era parlato di un addio tumultuoso, con tanto di possibile flirt con Madalina Ghenea. Oggi la Scaperrotta, sui social, conferma in parte quella versione dei fatti. "È quasi arrivato il momento - scrive su Instagram, amareggiata -. Sono giunta al termine del mio percorso di gravidanza, consapevole che questo sarà il principio del viaggio più bello, emozionante, serio e impegnativo della mia vita. Non ho mai parlato della mia vita privata, perché come tale ho sempre cercato di proteggere me e il mio bambino. Con questa consapevolezza, dopo mesi di silenzio, ho scelto di chiarire alcune cose, poiché è mio forte desiderio far nascere mio figlio nel clima più sereno possibile, senza lasciare nulla in sospeso". "Tommaso è frutto dell'amore di due persone: è stato voluto, cercato, desiderato e la scoperta del suo arrivo è stata celebrata in un clima di gioia condivisa. Poi qualcosa è cambiato, e mi sono trovata di colpo a percorrere questo cammino verso la genitorialità da sola, senza supporto di alcuna natura". "La paura che all'inizio ho provato per via dell'assenza di una figura paterna per il bambino e di un complice con cui intraprendere questo percorso, presto si è trasformata in un forte dispiacere, anche per le modalità che mi sono state riservate. Non per la bufera mediatica in cui mi sono ritrovata o per le notizie della sua vita privata che puntualmente mi arrivavano mezzo stampa, ma perché Nicolò si stava perdendo tutte le emozioni, le scoperte, quel misto di gioia e di spavento che caratterizzano tutto il periodo della gravidanza. Per questi motivi ho tentato a più riprese di coinvolgerlo senza avere successo, ogni mio tentativo di contatto è stato vano, bloccando persino i canali social e WhatsApp, e mi sono trovata davanti un forte muro comunicativo ed emotivo". "Non è mai stata mia intenzione spettacolarizzare questo momento speciale, delicato e intimo, né farne motivo di lamentela. Il mio unico obiettivo, oggi e sempre, è il benessere di Tommaso, tutelare il suo percorso di crescita e di sviluppo, e fare in modo che abbia sempre una rete di supporto serena e fidata, che un domani potrà chiamare famiglia. Spero davvero che i muri vengano abbattuti e che Nicolò trovi finalmente il coraggio di emanciparsi e far valere i suoi sentimenti - conclude la Scaperrotta -, aprendo il suo cuore di padre per godere di tutta la bellezza che deriva dall'essere genitore".
Lo sfogo sui social: "Mi ha bloccato ovunque". Chi è Sara Scaperrotta, la ex di Nicolò Zaniolo “abbandonata durante la gravidanza”. Giovanni Pisano su Il Riformista il 19 Luglio 2021. “Nicolò trovi finalmente il coraggio di emanciparsi e di far valere i suoi sentimenti, aprendo il suo cuore di padre per godere di tutta la bellezza che deriva dall’essere genitore”. E’ l’appello che rivolge Sara Scaperrotta, 23 anni, all’ex fidanzato Nicolò Zaniolo, 22enne attaccante della Roma. Attraverso i social la studentessa originaria di Roma, iscritta alla facoltà di Scienze della Moda e del Costume e con un seguito su Instagram di circa 120mila followers, ripercorre gli ultimi mesi di gravidanza segnati dalla rottura con il giovane calciatore. “Ho trovato un muro”, ha scritto Sara che dovrebbe partorire il 4 agosto un maschietto che chiamerà Tommaso. “E’ quasi arrivato il momento. Sono giunta al termine del mio percorso di gravidanza, consapevole che questo sarà solo il principio di quello che sarà il viaggio più bello, emozionante, serio ed impegnativo della mia vita. Non ho mai parlato della mia vita privala, perché come tale ho sempre cercato di proteggere me e il mio bambino. Con questa consapevolezza dopo mesi dì silenzio, ho scelto di chiarire alcune cose, poiché è mio forte desiderio far nascere mio figlio nel clima più sereno possibile, senza lasciare nulla in sospeso. Tommaso e frutto dell’amore di due persone”. Il piccolo che sta per nascere “è stato voluto, cercato, desiderato e la scoperta del suo arrivo è stata celebrata in un clima di gioia condivisa. Poi qualcosa è cambiato e mi sono trovata di colpo a percorrere questo cammino verso la genitorialità da sola, senza supporto di alcuna natura. La paura che all’inizio ho provato per via dell’assenza di una figura paterna per il bambino e di un complice con il quale intraprendere questo percorso, presto si è trasformata in un forte dispiacere, anche per le modalità che mi sono state riservate. Non per la bufera mediatica nella quale mi sono ritrovata o per le notizie della sua vita privata che puntualmente mi arrivavano mezzo stampa, ma perché Nicolò si stava perdendo tutte le emozioni, le scoperte, quel misto di gioia e di spavento, che caratterizzano tutto il periodo della gravidanza”. Per questi motivi “ho tentato a più riprese di coinvolgerlo senza avere successo, ogni mio tentativo di contatto è stato vano, bloccando persino i canali social e whatsapp, ed io mi sono trovata dinnanzi un forte muro comunicativo ed emotivo. Non è mai stata mia intenzione spettacolarizzare questo momento speciale, delicato ed intimo, ne farne motivo di lamentela. Il mio unico obiettivo, oggi e sempre, è il benessere di Tommaso, tutelare il suo percorso di crescita e di sviluppo, e fare in modo che abbia sempre una rete di supporto serena e fidata che un domani potrà chiamare famiglia. Spero davvero che i muri vengano abbattuti e che Nicolò trovi finalmente il coraggio di emanciparsi e di far valere i suoi sentimenti, aprendo il suo cuore di padre per godere di tutta la bellezza che deriva dall’essere genitore”. In passato Zaniolo ha assicurato: “Mi prenderò tutte le responsabilità che devo. La relazione con Sara, la mia ex ragazza, è finita, ma il bambino non c’entra. Cercherò di essere un bravo papà”.
Giovanni Pisano. Napoletano doc (ma con origini australiane e sannnite), sono un aspirante giornalista: mi occupo principalmente di cronaca, sport e salute.
Da leggo.it il 23 luglio 2021. Nicolò Zaniolo è diventato papà. È nato oggi il piccolo Tommaso, il figlio arrivato dalla relazione con la sua ex fidanzata Sara Scaperrotta. Il giocatore era assente all'allenamento mattutino per un permesso concordato con la Roma per motivi familiari. Nel pomeriggio Zaniolo rientrerà a Trigoria per l'allenamento pomeridiano. Pochi giorni fa Sara Scaperrotta aveva pubblicato un lungo post sui social proprio rivolto al talento giallorosso, chiamandolo alle sue responsabilità. Il bimbo è nato all'ospedale San Pietro Fatebenefratelli alla presenza di Nicolò.
Jerome Boateng. Pierfrancesco Archetti per “la Gazzetta dello Sport” il 10 settembre 2021. Trentamila euro al giorno, per due mesi. Il totale è di un milione e 800mila euro: questa è la somma che Jerome Boateng dovrà versare alla sua ex compagna, Sherin Senler, madre delle sue due figlie gemelle, dopo la condanna per lesioni corporali e offese. Il processo si è svolto ieri a Monaco di Baviera: il giocatore era presente e ha negato le pesanti accuse che avevano indotto la procura a chiedere una condanna di un anno e sei mesi di detenzione e al pagamento di una multa di 1,5 milione. L'entità della sanzione, decisa dal giudice, è stata derivata dall'ammontare dei guadagni mensili del giocatore (appena passato dal Bayern al Lione) che nelle scorse stagioni percepiva circa 10,8 milioni l'anno. Tutta la vicenda è nata da una furibonda lite della coppia nel luglio 2018: dopo l'eliminazione della Germania al Mondiale in Russia, il difensore e la compagna erano volati con amici nelle isole Turks e Caicos, nei Caraibi. Ma la vacanza era stata rovinata dalla violenza nata da un battibecco durante una partita a carte: il tribunale ha stabilito che Boateng ha aggredito la donna, oggi 31enne, prendendola a botte, a pugni e a morsi sulla testa; l'ha poi buttata sul pavimento e insultata. Le ha anche sputato in faccia del sangue. Secondo la procuratrice, la donna è «stata vittima di violenza domestica», mentre la loro è stata definita «una relazione tossica». Jerome Boateng è il fratello minore di Kevin Prince, ex di Milan, Sassuolo, Fiorentina e Monza. I due calciatori, nati da madri diverse, sembravano poter tornare a giocare insieme in questa stagione all'Hertha, dove è stato riaccolto KP, ma i sussurri di mercato non si sono concretizzati. Nel febbraio scorso, Jerome era stato al centro di un altro scandalo: una settimana dopo aver reso noto la separazione della coppia, la sua ex fidanzata Kasia Lenhardt si era suicidata. Era stato scoperto un documento che imponeva alla ragazza, 25 anni, di non poter rivelare particolari sulla relazione. La procura di Monaco aveva riaperto le indagini nei confronti del giocatore per lesioni dopo che l'autopsia aveva dato conto di una vecchia ferita al lobo dell'orecchio della modella. I fatti si riferivano all'ottobre 2019, una prima inchiesta era stata archiviata in giugno.
Mario Balotelli. Da trevisotoday.it il 13 agosto 2021. Mentre il Gip di Brescia ha archiviato nelle scorse ore le accuse di violenza sessuale nei confronti del calciatore Mario Balotelli, denunciato da una ragazza vicentina per una presunta violenza accaduta a Nizza, è iniziato a Vicenza il processo nei confronti di Roberto Imparato, avvocato 63enne di Asolo, accusato dallo stesso "Balo" di tentata estorsione. La vicenda, che risale al 2017, vede "super Mario" al centro del presunto scandalo sessuale per cui ha ottenuto il proscioglimento. Il giocatore era stato denunciato da una giovane minorenne con la quale avrebbe avuto un flirt. Balotelli avrebbe chiesto rassicurazioni sull'età della ragazza e lei gli avrebbe mandato il documento di una sua cugina maggiorenne. Alla fine sarebbe scattato il tentativo di estorsione: la giovane avrebbe chiesto 100 mila euro al calciatore mentre l'avvocato di lei, Roberto Imparato appunto, avrebbe contattato il settimanale "Chi" tentando di vendere tutta la storia ma ottenendo il rifiuto da parte del direttore del periodico. Il procedimento nei confronti del legale trevigiano ha superato il vaglio dell'udienza preliminare. Ora il 63enne si trova davanti al giudice del tribunale di Vicenza per affrontare il processo. La prossima udienza è attesa per ottobre.
(ANSA il 12 agosto 2021) Dalle parole del gip di Brescia che ha archiviato le accuse di violenza sessuale per il calciatore, ex Inter, Milan, Nizza e Monza, Mario Balotelli, emerge una "macchinazione" ordita ai suoi danni da una ragazza e dal suo legale a proposito dei presunti abusi denunciati dalla giovane, che sarebbero accaduti proprio a Nizza nell'agosto 2017. Una macchinazione, ora all'esame della Procura di Vicenza, testimoniata da una serie di telefonate che la ragazza, tempo dopo, aveva fatto al calciatore il quale le aveva registrate e che il giudice bresciano descrive nel provvedimento con cui lo scagiona. In un primo tempo, la giovane, all'epoca minorenne (ma al calciatore aveva detto di avere 18 anni, mostrandogli un documento), non aveva fatto cenno alla violenza ma si era lamentata del fatto che Balotelli, dopo alcune serate a Nizza, l'avesse trascurata ("sono una stupida nell'aver creduto in te"). Ci sono poi agli atti dell'inchiesta, che aveva già portato la Procura di Brescia a chiedere l'archiviazione (ma la parte offesa si era opposta), le testimonianze degli ex colleghi di Balotelli al Nizza, Desmond Kouass e Prince Boateng, che ricordano la ragazza con un'amica alla discoteca High di Nizza, dove la squadra stava festeggiando il pareggio con l'Aiax e, come, al ritorno nell'albergo in cui alloggiavano i calciatori, avessero notato un atteggiamento "allegro e divertito" da parte di Balotelli e della giovane. Il suo avvocato aveva insistito con i legali di Balotelli per avere 100mila euro - ha raccontato Super Mario agli inquirenti - altrimenti la notizia finiva sui giornali. Gli aveva inviato anche una raccomandata per parlare di "una questione delicata e personale". Secondo le indagini, l'avvocato aveva cercato di risolvere la questione "senza clamore, mediante il pagamento della somma di 100mila euro, quale minor somma rispetto all'iniziale pretesa di 500mila euro avanzata dalla persona offesa, minacciando altrimenti di sporgere denuncia contro di lui". Ora la parola fine: il calciatore non è responsabile di violenza sessuale, anzi è vittima di una tentata estorsione. "Balotelli è molto soddisfatto soprattutto dal punto di vista morale, la riteneva un'accusa infamante ed inaccettabile. Spiace per la giovane ragazza che si è dimostrata uno strumento nelle mani di adulti senza scrupoli", commentano i legali del calciatore, Francesca Coppi e Alessandro Moscatelli.
Francesco Fredella per liberoquotidiano.it il 22 luglio 2021. E scoppia un nuovo caso. Al centro di nuovo il gossip che inonda Mario Balotelli e la sua ex fidanzata Clelia, 30enne, di origini svizzere. I due hanno un figlio che si chiama Lion (si tratta del secondogenito del calciatore bresciano dopo la bambina nata dalla storia con Raffaella Fico). Super Mario è su tutte le furie: lo si nota da Instagram dove pubblica una storia dai toni accesi. E sembrerebbe rivolta alla sua ex. Ma il condizionale è d'obbligo, visto che non fa nomi e cognomi. “La legge dovrebbe impedire alle donne interessate ai soldi di avere bambini contro il volere degli uomini solo per avere denaro, questo è diabolico, triste e immorale", scrive Balo. “La famiglia nasce dall’amore e non dalla convenienza. Se tu sei single, ti diverti e non puoi provvedere a te stesso, non usare terze persone come un bancomat, trova un lavoro prima di avere figli. Anche se la legge a volte non è giusta, Dio lo è… E la punizione alla fine sarà eterna”. Ma sempre tramite i social l'ex di Balotelli torna a pungere. E scrive: “Sono una sua vittima fisicamente e mentalmente… Non si ferma mai. Non ha rispetto delle madri. L’unica cosa che fa, è mentire”. Si tratta di un duro sfogo rivolto al calciatore? La loro storia è iniziata nel 2017, i due si sono conosciuti a Nizza. Dalla loro love story è nato Lion. Ma tutto sembra essere finito nel peggiore dei modi. Per adesso non ci sono notizie ufficiali, ma solo colpi di Instagram sorrise, che fanno parlare i giornali.
Serenella Bettin per "il Giornale" il 5 luglio 2021. Kiev-Roma 1.800 euro, consegna a domicilio. Con report fotografico e polizza assicurativa, 2.070 euro. Con rimborso cancellazione, assistenza clienti e monitoraggio della spedizione, 2.160 euro. Oggetto del trasporto: un embrione congelato. È il preventivo che arriva agli aspiranti genitori da una società che tratta cellule riproduttive e che ha sede a Cipro. Una delle tante. Invia campioni tra cliniche di fertilità, laboratori e depositi criogenici. A trasportare l'embrione è un corriere a cui vanno pagati vitto e alloggio. (...) (...) Basta chiedere (anche come privati) un preventivo e arriva in 24 ore. I prezzi delle consegne internazionali vanno da un minimo di 1.400 euro a un massimo di 4mila euro. Al doppio del prezzo c' è anche la possibilità di prenotare una consegna entro 24 ore. Il pagamento si effettua online, con bonifico bancario o in contanti. Tutto avviene come se si trattasse di una merce qualunque o di un pacco da ricevere in delivery. In realtà stiamo parlando della rotta degli embrioni congelati, quelli nati dall' incontro tra ovulo e sperma in vitro che, anziché venire subito impiantati nell' utero, vengono ibernati perché in esubero o in attesa di essere trasferiti. Un business florido se si considera che, solo in Italia, le coppie che hanno chiesto aiuto alla scienza per avere un bambino sono più di 70mila e se si calcola che negli ultimi dieci anni le coppie totalmente sterili sono aumentate del 20%. Non solo. Nonostante la fecondazione eterologa sia permessa dal 2014 e inserita nei Lea (livelli essenziali di assistenza), le coppie italiane continuano a rivolgersi all' estero. I motivi? Liste d' attesa lunghe, una cultura della donazione di ovociti che non è sviluppata come extra confine e precise limitazioni che consentono l'inseminazione eterologa solo a chi è sposato o convivente ed eterosessuale. Inoltre in alcuni Paesi all' estero la donna può ricevere un compenso in cambio della donazione di ovociti, in Italia no, quindi le bio-banche sono più fornite. Così il turismo della procreazione continua, con il rischio di qualche zona grigia difficilmente controllabile. Come la spedizione degli embrioni per posta, che riduce i costi delle procedure: non sono più necessari viaggi e soggiorni in albergo, avviene tutto a distanza, ovviamente appoggiandosi a una clinica. Ufficialmente un privato non potrebbe ordinare il trasporto degli embrioni donati e conservati in una banca all' estero, ma le pieghe in cui infilarsi per accelerare le pratiche ci sono, eccome. E una coppia in cerca di un figlio è disposta a tutto, anche a tentare di prenotare on line il viaggio degli embrioni dal pc di casa.
NON SONO PACCHI AMAZON Poi, naturalmente, ci sono centri italiani, regolari, che si occupano di trasporto di gameti, embrioni e campioni a utilizzo clinico e il cui spostamento avviene con «mezzi e operatori specificatamente formati», autorizzati dal ministero della Salute se operano da Paesi extra-Ue. «Il trasporto - spiega Assunta Morresi, dipartimento di Chimica all' Università di Perugia e componente del Comitato Nazionale per la Bioetica - può avvenire solo tra centri autorizzati dalla normativa europea. Le spedizioni personali non sono ammesse». C' era una banca di sperma danese che faceva spedizioni a casa, ma in Italia è vietato. L' ultima relazione del ministero della Salute al Parlamento (febbraio 2021 sull' anno 2018) parla di un arrivo di «3.060 criocontenitori provenienti da Spagna, Repubblica Ceca e Grecia». Come si spiegano? «Poniamo caso che una donna in Italia spiega Morresi sia impossibilitata ad avere figli e voglia accedere alla fecondazione eterologa. Il marito fornisce lo sperma che finisce sperma viene preso e va in un centro in Spagna dove ci sono donne che si prestano a donare ovociti. Quell' embrione, così formato, deve tornare in Italia ed ecco che si organizza il trasferimento». A volte però quella che viene fatta passare come donazione, è in realtà una vera e propria compravendita di ovociti, dove il compenso alla donna che dona è «nascosto» nell' indennità. E il prezzo è intorno ai 2mila euro per ogni donazione di ovociti. «È puro mercato aggiunge Morresi dove però alla fine nascono bambini». In Italia nulla di ciò è ammesso. Come non è ammesso contattare un centro di spedizioni per farsi spedire un embrione di qualche altro. L' articolo 12 della legge sulla procreazione medicalmente assistita al punto 6 parla chiaro: «Chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600mila a un milione di euro». «Un privato non può farsi recapitare un embrione congelato - spiega Alfredo Mantovano, magistrato, vicepresidente del Centro studi Livatino - è un reato. Tutta la procedura si deve muovere all' interno del sistema sanitario nazionale. Il trasporto fra persone è assolutamente vietato. In Ucraina, in India, ci sono centri con donne che si prestano, ma in Italia si commette un illecito».
LE PROVETTE DI NESSUNO Sul sito della Fondazioni Veronesi è spiegato come gli embrioni messi «in cassaforte» dalle coppie in attesa di pma e adatti al congelamento vengano stoccati quasi a meno 200 gradi centigradi e immersi nell' azoto liquido. Quanti embrioni ci sono in Italia che attendono nei congelatori? Nel 2015 erano 34.490. Questo è il numero delle banche dati dei centri italiani autorizzati alla procreazione assistita. Fonti ministeriali parlano di 70mila nel 2017. L' ultima relazione del ministero parla di 98.673 embrioni trasferibili e 43.946 sospesi nell' azoto liquido nei crioconservatori italiani. A cui vanno aggiunti quelli importati dall' estero. Si può ipotizzare un esercito di almeno 120mila vite allo stadio embrionale, formate nel periodo 2009 2021, che porterebbe la cifra attuale a 144mila embrioni nel ghiaccio. Il guaio è che molti di queste non vengono utilizzati per i cicli di inseminazione ma abbandonati a se stessi, senza aver chiaro quale sarà il loro utilizzo. Nel dicembre 2017 l' allora ministro della Salute Beatrice Lorenzin, rispondendo a un' interrogazione del deputato Gian Luigi Gigli (ex presidente del Movimento per la Vita), disse che nel registro nazionale conservato all' Istituto Superiore di Sanità, gli embrioni crioconservati «appartengono a due categorie: quelli in stato di abbandono, formati nel periodo antecedente all' entrata in vigore della legge 40, non più destinati al trasferimento; e quelli formati dopo». I primi non si possono più trasferire ma sono censiti. Cosa farne? Distruggerli? Utilizzarli per sperimentazioni? «Se vi fosse distruzione spiega Mantovano - eticamente si tratterebbe della distruzione di un soggetto dotato di identità genetica». «Siamo in una situazione di stallo spiega Alberto Berardi, professore aggregato di Teoria del Diritto Giurisprudenziale all' Università degli Studi di Padova - con molte spinte verso l' utilizzo di embrioni per la ricerca, la possibilità di sopprimere gli embrioni alla loro scadenza, la destinazione degli embrioni a favore di altre donne o coppie. Le prime due soluzioni appaiono del tutto incompatibili con i principi della legge 40. Gli embrioni poi non sono proprietà privata né della coppia che li ha commissionati e generati, né della struttura. Sono i gameti non ancora fecondati a essere di proprietà, fermo restando il divieto di commercializzazione degli stessi».
L'UTERO IN AFFITTO Altro tema su cui la legge è chiara ma la realtà bypassa facilmente le normative, o almeno ci prova, riguarda la maternità surrogata (in cui una donna si presta a condurre una gravidanza per conto di altri). In Italia è vietata. Ma il divieto viene aggirato attraverso siti di agenzie straniere che offrono pacchetti tutto compreso: utero in affitto e donatrice. Tra questi c' è Surrogacy Italy, agenzia di maternità surrogata che ha sedi in Ucraina, Grecia, Russia, Georgia, ma che è tradotta in un italiano talmente perfetto da sembrare la clinica «sotto casa». Il prezzo? Tra i 50mila e i 200mila euro a seconda del Paese scelto. Ma - specifica la Cassazione - se tutto viene effettuato all' estero, compresa la maternità, non si può procedere contro nessun reato.
Dagotraduzione dal Daily Mail il 4 luglio 2021. Un team internazionale di scienziati, guidati dall’Università di Oxford, ha rivelato che anche il momento in cui perdiamo la verginità è legato al nostro patrimonio genetico. Secondo i medici nel nostro Dna ci sono 371 regioni che influenzano non solo il momento esatto in cui facciamo sesso per la prima volta, ma anche quando avremo il primo figlio, sia negli uomini che nelle donne. Lo studio è stato condotto dalla professoressa Melinda Mills del Leverhulme Center for Demographic Science, dell'Università di Oxford. «Il nostro studio ha scoperto centinaia di marcatori genetici aggiuntivi che modellano questa parte fondamentale della nostra vita e hanno il potenziale per una comprensione più profonda dell'infertilità, delle malattie in età avanzata e della longevità», ha affermato. «L'età al primo rapporto sessuale e l'età alla prima nascita hanno implicazioni per la salute e l'idoneità evolutiva. Prevediamo che i nostri risultati riguarderanno importanti interventi nell'infertilità, nella salute sessuale e mentale degli adolescenti». Lo studio, pubblicato su Nature Human Behavior, ha utilizzato dati sull'età al primo rapporto sessuale (AFS) e sull'età al primo parto (AFB): quanti anni ha una donna quando ha il primo figlio. Per l'AFS, il team ha incluso 397.338 individui riuniti (214.547 donne e 182.791 uomini) della Biobanca del Regno Unito, un database contenente informazioni genetiche e sanitarie approfondite di mezzo milione di partecipanti nel Regno Unito. Per AFB, i ricercatori hanno incluso 542.901 individui (418.758 donne e 124.008 uomini) provenienti da 36 studi precedenti. Il team ha collegato 371 aree specifiche del nostro DNA, chiamate "varianti genetiche" (località note sui cromosomi, in altre parole) ai tempi del primo sesso e della nascita. In tutto, i ricercatori hanno individuato 282 varianti genetiche legate all'AFS e 89 legate all'AFB. Il professor Mills ha detto che non è solo la genetica o l'ambiente sociale a dettare AFS e AFB, ma piuttosto una «interazione di natura e cultura». «Sapevamo che i tempi di ciò che chiamiamo "inizio riproduttivo" – l’età del primo rapporto sessuale e di un bambino - sono in gran parte correlati e previsti da fattori sociali e ambientali, come l'ottenimento di un'istruzione superiore e la disponibilità di contraccettivi», ha affermato. «Ciò che fa questo studio è estendere ciò che sappiamo sui predittori sociali e genetici per trovare non solo la proporzione spiegata dalla genetica, ma isolare effettivamente le varianti genetiche (posizione sul DNA) ed esaminare la loro funzione biologica». Sorprendentemente, lo studio ha scoperto che l'influenza dei geni sul momento in cui le donne hanno il loro primo figlio sembra essere aumentata nel corso degli anni. I geni hanno avuto un'influenza maggiore per le donne nate nel 1965 (22 per cento) che per le donne nate nel 1940 (nove per cento). Si pensa che alcune delle aree del DNA identificate siano legate alle funzioni riproduttive, mentre altre sono legate al nostro comportamento. La genetica alla base del sesso precoce e della fertilità è correlata alla disinibizione comportamentale, come l'ADHD, la dipendenza e il fumo precoce. Le persone geneticamente inclini a posticipare il sesso o il primo parto hanno avuto migliori risultati di salute e longevità in seguito. Avere un primo figlio più avanti nella vita è legato al vivere più a lungo e all'essere liberi dal diabete di tipo 2 e dalle malattie cardiache. «Abbiamo dimostrato che è una combinazione di genetica, predittori sociali e ambiente determinano l'insorgenza precoce o tardiva della riproduzione», ha affermato il professor Mills. «È entusiasmante che la genetica alla base di questi comportamenti riproduttivi possa aiutarci a comprendere le malattie in età avanzata». Secondo la società di preservativi Durex, l'età media in cui le persone perdono la verginità in Gran Bretagna è di 18,3 anni, ben oltre l'età legale di 16. Secondo un altro studio del 2018, il numero di giovani in Gran Bretagna che non hanno mai fatto sesso è in aumento. Un 26enne su otto ha detto ai ricercatori del progetto Next Steps, che traccia la vita privata dei millennial, di essere vergini. I fattori che spiegano il ritardo nel primo rapporto sessuale includono la paura dell'intimità e di essere umiliati sui social media. Quando i giovani britannici fanno sesso per la prima volta, molti non sono pronti.
Incinta a 10 anni, partorisce a 11: la famiglia non sapeva nulla della gravidanza. Una bambina di soli 11 anni ha partorito in Gran Bretagna e la mamma ha dichiarato che non sapevano fosse incinta. Una ragazza di soli 11 anni ha dato alla luce una bimba Gran Bretagna. La madre di lei ha dichiarato che non sapeva che la figlia fosse incinta. La ragazza ha dato alla luce la bimba all’inizio di giugno, dopo 30 settimane di gravidanza e sia lei sia il figlio stanno bene. La famiglia della ragazza non sapeva nulla della sua gravidanza. Ora i servizi sociali sono al lavoro per indagare su questo caso e cercare di capire come la famiglia non sapeva nulla e se è vero che era all’oscuro di questa gravidanza. È stato un grande choc, ora lei è sostenuta dall’aiuto di esperti e l’unica cosa importante è che lei e il neonato stiano bene. Secondo quanto riportato dal The Sun, la più giovane ragazzina ad aver partorito era Tressa Middleton, che aveva partorito nel 2006, quando aveva solo 12 anni. La dottoressa Carol Cooper ha commentato la storia della ragazzina: Si tratta della più giovane madre di cui ho sentito parlare. L’età media in cui una ragazza inizia la sua pubertà è 11 anni, quindi può essere in qualsiasi momento tra gli 8 e i 14 anni, se non addirittura prima. Scritto da Redazione Mamme Magazine il 29 giugno 2021.
Da liberoquotidiano.it il 20 giugno 2021. Non tutto gira intorno alla maternità. Lilli Gruber, conduttrice di Otto e mezzo su La7, intervistata da Barbara Stefanelli nel podcast Mama non mama del Corriere della Sera interviene nell'annosa querelle tra mamme e non mamme. Lei fa parte della seconda categoria, e a 64 anni non ha il minimo ripensamento né rimpianto. "Partiamo sempre dal presupposto che una donna che non ha figli abbia rinunciato a qualcosa - spiega la giornalista -, che sia meno realizzata, meno felice, meno completa. E ovviamente non facciamo lo stesso ragionamento per un uomo: è un assunto molto anacronistico e anche molto pernicioso". Una delle frasi più sentite (e più odiose) dette da donna a donna è "Non sei mamma, non puoi capire". "Superficialmente - ribatte ancora la Gruber - si potrebbe allora dire: sei madre, non puoi capire. Ma capire cosa? Usare la maternità come una illuminazione esistenziale rende un pessimo servizio alle donne...". La Stefanelli cita poi un passaggio-chiave del celebre saggio La madre di tutte le domande scritto dalla attivista americana Rebecca Solnit: "Una delle ragioni per cui le persone si fissano sulla maternità, come chiave dell'identità femminile, nasce dalla convinzione che i bambini siano la strada per realizzare appieno la nostra capacità di amore. Ma ci sono così tante cose da amare oltre la propria prole". Anche la Gruber è dello stesso avviso: "Ci sono altre forme di amore, cura e devozione".
Dagotraduzione dal DailyMail il 9 giugno 2021. Bastano tre bicchieri di vino a settimana per ridurre le possibilità di rimanere incinta di quasi la metà. Esperti statunitensi dell’Università di Louisville hanno esaminato per 19 mesi 413 donne. I risultati, pubblicati su Human Reproduction, parlano chiaro. Il consumo di alcol (dai tre ai sei bicchieri a settimana) durante la “fase luteale”, cioè quando l’utero si prepara per la fecondazione dell’ovulo, fa scendere la probabilità di concepire un bambino del 44%. E chi beve pesantemente durante l'ovulazione riduce le possibilità del 61% rispetto alle non bevitrici. Secondo lo studio l'alcol può infatti sconvolgere e spostare la fase luteale causando un'ondata di ormoni. «Questi risultati sono importanti perché alcune donne che stanno cercando di concepire potrebbero credere che sia "sicuro" bere durante alcuni periodi del ciclo mestruale». Nello studio, l'assunzione di alcol da parte delle donne è stata misurata utilizzando il numero di bevande standard consumate a settimana, in cui una bevanda contava come un bicchiere medio di vino, poco più di mezzo litro di birra o quasi due bicchierini di superalcolici. Circa un terzo delle donne è rimasta incinta, ma si stima che le probabilità di farlo sarebbero inferiori di circa il 49% se bevessero molto durante il mese. Gli esperti ritengono che un'ondata ormonale causata dall'alcol possa ridurre le probabilità che una donna cresca e produca un ovulo da fecondare, senza il quale non ha alcuna possibilità di avere un bambino. Il legame tra alcol e possibilità di gravidanza è rimasto anche dopo che sono stati presi in considerazione fattori come l'età delle donne, il peso, se fumavano e quanto spesso avevano rapporti sessuali non protetti. La professoressa Joyce Harper, capo del gruppo Reproductive Science and Society presso l'University College di Londra, ha sottolineato che lo studio era piccolo e non tutte le donne stavano cercando di rimanere incinta. Ma ha detto: «Sfortunatamente bere uno o due drink a notte è all'ordine del giorno, soprattutto durante l'ultimo anno, e molte donne potrebbero non rendersi conto che sono state classificate come forti bevitrici». «Ridurre il consumo di alcol per uomini e donne che stanno cercando di concepire è un consiglio sensato in quanto un numero crescente di studi ha dimostrato che fattori dello stile di vita come il consumo di alcol possono ridurre la fertilità e avere un effetto a lungo termine sulla salute del futuro bambino».
Dal corriere.it il 9 giugno 2021. Una donna della provincia sudafricana del Gauteng ha dato alla luce 10 bambini, battendo il precedente record detenuto dalla maliana Halima Cissé che ha partorito nove gemelli in Marocco il mese scorso. Lo riportano i media sudafricani. Gosiame Thamara Sithole, 37 anni, ha dato alla luce i suoi gemelli — due in più di quelli che i medici avevano precedentemente previsto in base alle ecografie — in un ospedale di Pretoria la scorsa notte, secondo quanto riferito ai media locali dal marito Teboho Tsotetsi. La donna ha avuto, con taglio Cesareo, sette maschi e tre femmine dopo una gestazione di sette mesi e sette giorni. Ai media ha dichiarato che la sua gravidanza è naturale, non dovuta a una cura per la fertilità. Non è il primo parto gemellare per Sithole: la mamma ha già due gemelli di sei anni. Il marito, quando ha saputo della gravidanza plurigemellare è rimasto sorpreso, ma contento: «È una benedizione», ha dichiarato al Pretoria News l’uomo che al momento è disoccupato. In una intervista prima del parto, rilasciata a maggio, quando la donna era convinta di aspettare sette gemelli — prima che una successiva ecografia ne evidenziasse otto — Sithole aveva dichiarato di essere scioccata e felice per la gravidanza. «La gestazione è stata dura, soprattutto all’inizio — ha detto — ora prego che Dio mi aiuti a far nascere tutti i miei figli sani e in buone condizioni di salute. Ne sarei contenta». Prima dei nove gemelli, partoriti a maggio in Marocco, il record precedente era detenuto da una donna americana, Nadya Suleman, che nel 2009 all’età di 33 anni ha dato alla luce otto gemelli, dopo essersi sottoposta a inseminazione artificiale.
Eleonora Giovinazzo per repubbica.it il 20 maggio 2021. Naomi Campbell, che il 22 maggio compirà 51 anni, è diventata mamma per la prima volta. La venere nera ha mostrato su Instagram i piedini della sua bambina. "Una piccola, splendida benedizione mi ha scelto per essere sua madre. Sono così onorata di accogliere quest’anima gentile nella mia vita, non ci sono parole per descrivere il legame eterno che ora condivido con te, mio angelo. Non c’è amore più grande", ha scritto. Ma la top model non è l’unica celebrità ad aver accolto una creatura intorno ai 50 anni. Da Brigitte Nielsen a Gianna Nannini, sono molte le dive che hanno fatto questa scelta. E sono tante anche le donne del mondo dello spettacolo che sono diventate mamme intorno ai 40 anni. Come Monica Bellucci (a 39 e 45 anni), Susan Sarandon (a 43 e 46 anni), Laura Freddi (a 45 anni), Antonella Clerici (a 45 anni), Halle Berry (a 42 e 46 anni), Alena Seredova (a 42 anni), Eva Longoria (a 43 anni), Milla Jovovich (a 44 anni), Geena Davis (a 45 e 47 anni), Cameron Diaz (a 47 anni), Alessandra Martines (49 anni).
DAGOTRADUZIONE DA dailymail.co.uk l'8 maggio 2021.
La concierge delle mamme. Tiffany Norris è a capo dell’agenzia che dal 2016 fornisce le tate per le famiglie di persone ad alto profilo. Il servizio, afferma la Norris, è stato progettato per facilitare il più possibile le vite delle famiglie benestanti: “Spesso mi chiedono di trovare tate per le famiglie di celebrità ad alto profilo a Londra e Los Angeles. A volte vogliono più persone, solo una tata non basta!” ha affermato a Femail. “Ho creato la Mummy Concierge nel 2016 e da allora collaboro con celebrità, avvocati, banchieri, dottori e imprenditori per aiutarli con tutto a partire dalla ricerca della loro “Mary Poppins” privata fino a rendere le loro vacanze “a prova di bebè” oltre che preparare le stanze di ospedale durante il parto.” Le tariffe si aggirano intorno ai 140-350 euro all’ora e i servizi sono disponibili per clienti intorno al mondo. “Una volta mi hanno regalato un orologio Cartier come ringraziamento, un’altra mi hanno dato a disposizione una casa vacanze in Sud Africa, ma non è per questi motivi che faccio questo lavoro. I vantaggi sono fantastici ma, che siano VIP o meno, tratto ogni famiglia allo stesso modo.” A detta di Tiffany, i clienti scoprono dei suoi servizi grazie a un passaparola tra amici e colleghi, aggiungendo che ogni babysitter assunta da lei personalmente possiede esperienze con famiglie di alto profilo. “Le tate sanno cosa sono gli accordi di riservatezza, sono addestrate in autodifesa e come evitare i paparazzi, oltre che conoscere molte lingue, con corsi a Oxford e Cambridge.” La Norris rivela alcune delle richieste più bizzarre fatte dai genitori, come una festa di compleanno “interamente fruttariana”, un istruttore per l’uso del vasino da quasi 600 euro l’ora, o una scuola di galateo per un bambino di 4 anni. Tiffany ammette che il suo ruolo non le permette di staccarsi mai dal telefono e che non è inusuale di ricevere chiamate alle 2 di notte da mamme disperate. “L’idea di fondare la Mummy Concierge mi è venuta quando ero incinta del mio primo figlio. Non volevo passare ore su Google a cercare il migliore passeggino, culla e tipo di vacanze per bambini. Al momento ho lavorato per circa 5,000 famiglie.”
Tate e Maggiordomi. Shada è stata una tata per gli ultimi 17 anni, ha iniziato la sua carriera da teenager e da allora lavora per famiglie di personaggi pubblici e celebrità. Al momento impiegata dalla compagnia londinese “Nanny & Butler”, ha ammesso di guadagnare fino a 130,000 euro all’anno, con benefici che includono viaggi internazionali e soggiorni in ville in compagnia di celebrità. “Prima di diventare una babysitter mi sono arruolata in corsi di assistenza infantile come il pronto soccorso pediatrico e l’alimentazione dei bambini.” Grazie a questo lavoro guadagna dai 76,000 ai 130,000 euro all’anno, ma ammette che potrebbe essere molto impegnativo e i genitori molto esigenti. “Se non ami lavorare con i bambini allora il lavoro di tata non fa per voi, se lo fate solo per i soldi non durerete molto.” Ha riferito. Shada ha ammesso di aver ricevuto delle richieste molto bizzarre e inusuali da parte di alcune delle famiglie, ma che non può rivelare a causa della firma di accordi di non divulgazione. Inoltre, ha detto come parte dei suoi clienti sono imprenditori, attori, ma anche medici o chirurghi. Ciò significa che gli orari lavorativi variano molto per ogni cliente, anche se normalmente lavora intorno alle 10-12 ore al giorno. Ha aggiunto che chiunque abbia voglia di diventare una babysitter dovrebbe torvare un mentore che abbia una vasta esperienza e conoscenza dell’assistenza infantile. “Faccio da mentore a molte tate in tutto il mondo e ho visto l’enorme impatto che ha sulle loro carriere, sia che siano da anni nel settore sia che siano nuove nella professione.”
MyTamarin. Due tate che lavorano presso la compagnia MyTamarin hanno spiegato di non poter divulgare i nomi dei loro clienti in quanto lavorano per alcuni membri della famiglia reale. Una delle tate che è laureata in Educazione Infantile ha rivelato di guadagnare circa 35.000 euro al mese, con benefici che includono: macchine, mance, vacanze pagate e regali come gioielli e biglietti a concerti. Ha detto a Femail che lavora per la famiglia reale da circa 3 anni, ammettendo “Può essere molto stancante ma anche molto appagante, specialmente nel modo in cui vedi i bambini crescere e maturare.” Aggiungendo, “I miei orari lavorativi sono solitamente di 12 ore al giorno, ma questo può cambiare a seconda della famiglia, mi capita spesso di lavorare 14, 16 o addirittura 19+ ore”. L’altra tata che possiede 14 anni di esperienza nel campo, con clienti che comprendono membri della famiglia reale, avvocati, autori e amministratori delegati. Ha rivelato che la sua tariffa attuale come infermiera post-natale è di circa 300 euro all’ora, con vantaggi tra cui grandi bonus in denaro, orologi firmati, borse e gioielli. La tata ha aggiunto: “Una volta l’unica cosa che dovevo fare erano gli acquisti, dovevo comprare letteralmente ogni cosa. Mi è stato chiesto di mettere insieme un asilo nido e il costo totale era di quasi 194.000 euro. Avevo anche a disposizione i migliori stilisti che quando arrivavano le nuove collezioni mi mandavano le foto su WhatsApp e i genitori sceglievano i vestiti per i bambini. Non era insolito spendere intorno ai 12.000 euro per volta.” Ha rivelato che la sua posizione attuale richiede di essere reperibile 24 ore su 24, 6 giorni su 7 e che è voluta diventare una tata per unire il suo amore per i bambini e quello per i viaggi. “Il mio ricordo più pazzo è quello di cenare in mezzo a un recinto in uno zoo privato di una famiglia con antilopi e zebre che mi giravano intorno.”
Come diventare una tata per la famiglia reale? Il Duca e la Duchessa di Cambridge hanno ingaggiato la loro tata da Norland, a Bath. L’istituto ha rivelato l’addestramento intenso a cui è stata sottoposta: Gli studenti di Norland devono completare due corsi nell’arco di due anni:
una laurea triennale in Sviluppo e Apprendimento Infantile e il prestigioso diploma di Norland, oltre a un anno di prova in una famiglia che è stipendiato, organizzato e completamente supportato dall’istituto (senza dover pagare tasse di iscrizione per quell’anno).
L’anno in prova fa parte del corso finale del diploma e tutti gli studenti devono completare con successo non solo la laurea, ma anche ogni corso preparatorio del diploma Norland per poter utilizzare il titolo professionale “Norlander” o “Tata di Norland”.
Il corso di laurea è esclusivo a Norland, si basa su approcci multidisciplinari tra cui Psicologia; Salute Infantile; Filosofia; Scienze Sociali; Letteratura e Istruzione. I corsi comprendono: salvaguardia e protezione dei bambini, promozione della salute e del benessere, comprensione dei comportamenti dei bambini, e collaborare con le famiglie e comunità.
In parallelo ai corsi e per un quarto anno in seguito al conferimento dell’attestato, vi è il prestigioso diploma Norland, che prepara gli studenti a lavorare con le famiglie oltre che gli aspetti più pratici del lavoro. I corsi del diploma includono: Comunicazione; Nutrizione; Salute e Benessere; Giochi e Apprendimento; e Cucito.
Gli studenti trascorrono circa il 50% del loro tempo (un minimo di 1.216 ore di collocamento) in una varietà di contesti infantili come: asili nido; scuole; ospedali; istituti per bisogni speciali, sia part-time che a tempo pieno.
Oltre alle esperienze accademiche, gli studenti apprendono competenze aggiuntive come parte del curriculum, con corsi come: lezioni di autodifesa; formazione sulla sicurezza e la sicurezza informatica; coaching emotivo; guida sicura; terapie di massaggi per bambini; corsi di teatro e molti altri.
Cosa si cerca in un candidato. In aggiunta ai requisiti accademici, la scuola di Norland è in cerca di candidati che dimostrano passione e impegno per la cura dei bambini nei loro anni formatici. Ci si aspetta dagli applicanti di avere qualche esperienza nel campo, come per esempio babysitting o volontariato. Ciascun applicante che possiede tutti i requisiti necessari viene intervistato e sottoposto a prove per dimostrare le loro abilità comunicative e il loro entusiasmo di lavorare con bambini. Oltre a molte altre cose, le tate di Norland devono essere: amorevoli; gentili; oneste; creative; pratiche, responsabili; organizzate e continuamente disposte a fare il meglio per le loro famiglie e i bambini per cui lavorano.
Cinque femmine e quattro maschi. Parto da record, donna 25enne dà alla luce 9 figli: “Stanno tutti bene”.
Elisabetta Panico su Il Riformista il 5 Maggio 2021. Fonte: Ministero della Salute del Mali. E’ sicuramente un parto da record quello avvenuto martedì in Marocco. Halima Cisse, una ragazza di 25 anni ha dato alla luce ben nove gemelli. Halima era stata trasferita dal Mali in Marocco per la sua situazione clinica. Dopo una degenza di due settimane nell’ospedale Point G Hospital nella capitale del Mali, Bamako, i medici del posto hanno preso la decisione di trasferire la signora Cisse in Marocco il 30 marzo. Così Halima in tutta sicurezza, è stata trasferita in aereo in Marocco, su istruzione di Bah Ndaw, presidente ad interim del governo di transizione del Mali. Inoltre, i medici pensavano di dover far nascere “solo” sette gemelli, quelli che si vedevano dai risultati delle ecografie effettuate sia in Mali che in Marocco. Ma al momento del cesareo hanno scoperto che dai controlli di routine con gli ultrasuoni non avevano notato che in realtà i bambini non erano sette ma nove. Sono nati in perfetta salute cinque femmine e quattro maschi. E’ estremamente raro che una donna riesca a dare alla luce nove gemelli. Di solito per i parti plurigemellari ci sono sempre delle complicazioni e alcune volte anche dopo il parto alcuni bambini non riescono a sopravvivere. Il Ministro della salute del Mali Fanta Siby, si è congratulato con le equipe mediche di entrambi i paesi per il “felice esito”, sia i neonati che la mamma stanno bene. La neomamma, insieme ai suoi nove figli, tornerà a casa entro qualche settimana. Il primo caso di parto plurigemellare risale al 1971 quando a Sydney la 29enne Geraldine Brodrick diede alla luce nove gemelli ma nessuno dei cinque maschi e quattro femmine riuscirono a sopravvivere.
Elisabetta Panico. Laureata in relazioni internazionali e politica globale al The American University of Rome nel 2018 con un master in Sistemi e tecnologie Elettroniche per la sicurezza la difesa e l'intelligence all'Università degli studi di roma "Tor Vergata". Appassionata di politica internazionale e tecnologia
Viola Ardone per "la Stampa" il 22 aprile 2021. Daniela vive come stando "in parete", sospesa a un filo, allo stesso modo di quando da ragazza faceva la scalatrice e risaliva in arrampicata versanti scoscesi. Quel filo che la sostiene oggi però non è una corda ma un cordone, il "cordone ombelicale" che la lega alla sua madre biologica, l'unica a poterla portare in salvo. Questione di vita e di morte, come sempre accade tra genitori e figli. Adottata a due anni in orfanotrofio, dove era stata accolta dopo che la madre aveva rinunciato ad allevarla, Daniela cresce con la famiglia adottiva senza aver mai notizia di colei che l' aveva messa al mondo. Poi, da adulta, si ammala di una forma tumorale resistente alle cure tradizionali. I medici le spiegano che una via di salvezza esiste e che risiede proprio in quel "cordone ombelicale" immaginario, che va risalito a ritroso alla ricerca della madre biologica, il cui esame del sangue permetterebbe di avviare una terapia sperimentale che necessita della mappa genetica di uno dei genitori biologici. Daniela si inoltra nell' indagine come l' eroina di una tragedia greca, destinata a scontrarsi con quel grande enigma che è l' animo umano, fatto di incongruenze, di paure e di zone d' ombra spesso difficili anche solo da immaginare. E, proprio come in una tragedia greca, la ricerca della madre, tormentosa e irta di ostacoli, miracolosamente riesce: dalle carte dell' archivio dell' Ospedale Sant' Anna di Como spunta la cartella clinica della donna, viene fuori il suo nome. Daniela si sente vicina alla vetta, e il traguardo è duplice perché con quel nome ritrova insieme chi le ha dato la vita e chi gliela può restituire. Ma questa non è una commedia hollywoodiana, è una tragedia greca, quella in cui siamo messi di fronte a un fato imponderabile e insensato. Alla richiesta di sottoporsi, in forma anonima e senza alcun coinvolgimento della sua attuale famiglia, a un prelievo di sangue, quella donna faticosamente rintracciata dice no. Così Daniela rimane appesa a un filo, letteralmente. Il suo destino è nelle mani di chi la vita gliel' ha data e che ora rischia di negargliela. In un crudele gioco di corsi e di ricorsi, quella donna rinuncia a essere madre una seconda volta e alla possibilità di rigenerare quella figlia, di riportarla letteralmente in vita. Daniela non riesce a comprendere il motivo del rifiuto, nessuno può. Non c' è risposta a questo enigma, se non quella che i grandi drammaturghi della Grecia antica avevano compreso meglio di chiunque altro: gli uomini sono dominati da paure oscure e irrazionali, abitati talvolta da demoni inconfessabili foraggiati da senso di colpa e da vergogna. Perché la rimozione di traumi non risolti genera mostri, perché ritrovarsi dopo tanti anni di fronte a una figlia che ti chiede, per la seconda volta, una vita che ti è costato dolore abbandonare può essere a suo modo devastante. Questo può avvenire nell' antro oscuro dell' uomo che si chiama cuore. Però dentro quell' antro abita anche un altro demone, quello che più di ogni altra cosa ci rende umani, il demone dell' amore. Per questo voglio sperare, insieme a Daniela, che quella madre disperata riesca a infrangere il suo voto di indifferenza e risalendo dal verso opposto quel cordone ombelicale si consacri a un gesto d' amore che la porti fuori dal regno del tragico e la restituisca ai vivi. Come Daniela, che si aggrappa al suo filo di speranza e resta in parete, senza mollare mai.
Andrea Galli per il “Corriere della Sera” il 23 aprile 2021.
Dove inizia la sua storia?
«Il 1973, quarantotto anni fa, ospedale Sant' Anna di Como. Appena nata, mia mamma mi abbandona. Medici e infermieri mi danno nome e cognome: Daniela Simoni.
Dal punto di vista anagrafico, il cognome non ha validità in quanto sono un "omissis", nell' attesa del cognome di un eventuale padre adottivo, che sarà Molinari. In quelle stesse ore un' altra madre abbandona un neonato. Invertono nome e cognome e lui diventa Simone Danieli. Spediti in orfanotrofio, con le suore».
Fino a quando?
«A due anni, una coppia di Milano che non poteva avere figli mi adotta».
Sono ancora vivi?
«La mamma sì. Il papà è morto. Ma in realtà l' avrò visto una ventina di volte».
Perché?
«Scappò appena arrivai».
Motivo?
«Forse non era pronto per l' adozione, non aveva la forza né la tenuta, forse voleva una figlia, diciamo, tutta sua. Forse semplicemente aveva un' altra donna, e lasciò perdere le proprie responsabilità».
Dove abitava, Daniela?
«Quartiere Corvetto. Adesso vivo qui, a San Vittore Olona. Sì, il Corvetto, zona non facile, ma la famiglia adottiva era benestante. Anche se, in conseguenza della sparizione di papà, qualche problema aggiuntivo l' ho avuto».
Quale?
«Ho fatto avanti e indietro tra casa e comunità, poiché la coppia dei genitori si era dissolta e di fatto c' era soltanto la mamma... Ho avuto un' esistenza sfigata. No, sbagliato: abbastanza incasinata...».
Alla fine?
«Sono rimasta in pianta stabile con la mia nuova mamma, anche se sono cresciuta soprattutto con la nonna. Ho studiato. Ho fatto il liceo Berchet e l' università».
Che mestiere sognava?
«Medico».
Ci è riuscita?
«Eh, le dicevo della vita incasinata... A diciotto anni rimasi incinta. Mi iscrissi sì a Medicina, ma siccome dovevo fare il tirocinio, io avevo la piccola...».
E il padre?
«Eravamo ragazzi...».
Quindi niente Medicina?
«Poi ho ripiegato su Psicologia. Mi sono laureata. Un aiuto enorme, nel percorso dell' adozione».
In che senso?
«Ho avuto un' infanzia e un' adolescenza tutto sommato serene. L' adozione l' ho metabolizzata. Semmai il tema è tornato con prepotenza più avanti, in coincidenza di periodi di solitudine, di riflessioni... È un tema che non ti molla mai. Mai. Con Psicologia dovevamo fare parecchia psicanalisi, per capire come funzionava la disciplina intendo... Pormi nelle esercitazioni sia dalla parte del medico sia da quella del paziente mi ha permesso di elaborare un bel po' di traumi».
Mi parli della malattia.
«Tre anni fa. Scoprono un tumore al seno. Vede, all' inizio non c' è tutta questa enorme preoccupazione. Senonché la situazione si aggrava...
Morale: nell' ambito di una cura sperimentale americana, ho bisogno della mappatura del codice genetico e mi serve quello della mamma biologica... Basta un prelievo di sangue, un tampone salivare, nulla di che, nella massima garanzia totale e assoluta dell' anonimato».
Che cosa conosce della sua madre biologica?
«Ha settant' anni, abita in un piccolo paese in provincia di Como».
E non ne vuole sapere.
«Il Tribunale dei minori di Milano l' ha cercata e trovata. Le ha spiegato. Eppure niente di niente».
Qual è il suo sentimento?
«Lo trovo un comportamento disumano. Non ho tempo. Io ci corro, contro il tempo. Stiamo cercando di preservare la contaminazione degli organi vitali».
La odia?
«Noi adottati, e insieme a noi i nostri genitori adottivi, impariamo una lezione: che non bisogna giudicare. Ho saputo che aveva vissuto una situazione di violenza...».
Una gravidanza conseguenza di uno stupro?
«Non ho idea di preciso. C' è stato un periodo, nella mia vita, in cui volevo a tutti i costi scoprire chi fosse quella donna... Ho lasciato perdere, nel timore di venire a sapere cose che mi avrebbero ancora più complicato l' esistenza... Mia mamma biologica avrebbe anche potuto abortire, invece mi ha fatta nascere. Sono stata fortunata. Quando il Tribunale dei minori si è presentato a casa sua, lei ha detto che se l' aspettava. Aveva letto la Provincia di Como , che mi segue dall' inizio».
Che lavoro fa, Daniela?
«Mi occupo di persone con disturbi psichici, per lo più ragazzi».
Le piace?
«Li amo. Da un anno, a causa della pandemia, siamo a casa... I colleghi non si sono mai fatti sentire mentre i pazienti ogni giorno. Mi sono anche venuti a trovare. Forse solo chi ha sofferto e soffre, e non intendo unicamente di una malattia, ha la sensibilità per capire la sofferenza».
Da "tgcom24.mediaset.it" il 4 maggio 2021. Daniela Molinari può tornare a sperare. L'infermiera milanese 47enne malata di cancro, alla ricerca della madre naturale per un prelievo di sangue necessario per accedere a una cura sperimentale, ha ricevuto la buona notizia: dopo un iniziale rifiuto, la mamma ha accettato di sottoporsi all'esame del Dna. La vicenda era rimbalzata sui giornali dopo l'appello della figlia, abbandonata da piccola in un orfanotrofio, e il "no" della madre. Senza il Dna della mamma, le cure per Daniela non potrebbero cominciare. L'ok ai test, scrive il Corriere della Sera, è arrivato anche grazie al personale del Tribunale dei minori di Milano, che si è attivato per aiutare la donna a elaborare un dolore lontano, ma sempre presente: la gravidanza in un contesto di violenza, la decisione di non abortire, l'affido della neonata a un orfanotrofio e il segreto con la nuova famiglia. Nei giorni scorsi un medico e una psicologa, nella massima discrezione e nel rispetto della richiesta della madre naturale di restare anonima, hanno effettuato il prelievo che permetterà la mappatura genetica. L'incontro tra le due donne, quindi, non ci sarà, ma per Daniela si apre la possibilità di accedere al percorso di cure sperimentali che potrebbe aiutarla nella sua lotta contro il cancro.
La sinistra vuole l'utero in affitto, ma gratis. Felice Manti il 16 Aprile 2021 su Il Giornale. Non chiamiamolo utero in affitto, fuorilegge da 17 anni grazie a ciò che resta della legge 40 sulla fecondazione assistita, fatta a pezzi dalla giurisprudenza creativa alla faccia del Parlamento. Non chiamiamolo utero in affitto, fuorilegge da 17 anni grazie a ciò che resta della legge 40 sulla fecondazione assistita, fatta a pezzi dalla giurisprudenza creativa alla faccia del Parlamento. Chiamiamola orwellianamente «gestazione per altri solidale e altruistica» e facciamola diventare una legge dello Stato. Massì dai, che bella idea quella degli onorevoli radicali e di sinistra Guia Termini, Nicola Fratoianni, Riccardo Magi, Doriana Sarli, Elisa Siragusa. Chiamarla «gestazione per altri solidale e altruistica», spiegano questi onorevoli, serve «per tenere lontane quelle reazioni istintive che spesso ne tendono a offuscare i pensieri». Neanche la Newspeak di 1984 avrebbe osato tanto, ma i promotori smontano secoli di diritto naturale e leggi della chimica con una frase agghiacciante: «Non è negandone l'esistenza o urlando al proibizionismo che si risolvono le eventuali contrapposizioni, il tema della gestazione per altri va affrontato in maniera seria e senza superficialità». Il ministro del Sud Mara Carfagna ha presentato in Parlamento una proposta di legge per punire «chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità». Peccato che, secondo il presidente dell'Anm Giuseppe Santalucia, alla luce della giurisprudenza corrente che ha via via sgretolato quel che restava del diritto familiare, «se il legislatore sceglie di criminalizzare la coppia che si è recata all'estero, si avranno conseguenze negative sull'intero contesto familiare e sul minore». Insomma, criminalizzare i genitori di figli nati da maternità surrogata sarebbe certamente dannoso per i figli stessi. E come se ne esce? Con l'istituto dell'adozione o stepchild adoption, ovviamente, già sdoganato dalla Consulta lo scorso 14 marzo con una sentenza che, pur non riconoscendo l'illegittimità costituzionale dell'articolo 12 che vieta la maternità surrogata perché «la pratica offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane», ne riconosce comunque il legame giuridico, «a entrambi i componenti della coppia». Insomma, nei fatti la doppia omogenitorialità nata dalla pratica della maternità surrogata risulta già sostanzialmente introdotta nell'ordinamento italiano, purché sia ufficialmente solidale e altruista. Manca solo la ciliegina legislativa, fonte non da poco nella gerarchia normativa. Dopo aver distrutto il papà, la sinistra vuole cancellare la mamma. Pensate, lo aveva capito persino Antonio Gramsci che sarebbe finita così. Sull'Avanti il 6 giugno 1918, quando la scienza aprì all'ipotesi di innesto delle ovaie, scrisse: «Le povere fanciulle potranno farsi facilmente una dote. A che serve loro l'organo della maternità? Lo cederanno alla ricca signora infeconda che desidera prole per l'eredità dei sudati risparmi maritali (...), daranno fecondità alle vecchie gualcite. I figli nati dopo un innesto? Strani mostri biologici, creature di una nuova razza, merce anch'essi, prodotto genuino dell'azienda dei surrogati umani (...). La vita si distacca dall'anima e diventa merce da baratto; è il destino di Mida, dalle mani fatate, simbolo del capitalismo moderno». Ma non ditelo al compagno Fratoianni.
"Come vorrei avere il pancione", gli aspetti psicologici dell'infertilità. Valeria Pini su La Repubblica il 15 aprile 2021. La sofferenza di non avere figli, il senso di colpa e di inadeguatezza. Il complicato percorso della procreazione assistita fra paure e incertezze. I consigli dell'esperta. Due piccole linee sul test. La prima è lì dopo pochi secondi, la seconda non appare mai. Tanti tentativi e la gravidanza diventa sempre più una chimera. Martina è talmente avvilita da non riuscirne a parlare neanche con il marito. Roberta è convinta che se non rimane incinta è colpa sua. Si sente triste, inadeguata. Franca non fa altro che studiare su internet i luoghi dove provare a fare la Pma (Procreazione medicalmente assistita). C'è poi chi come Ada getta la spugna. Ha fatto cinque tentativi. Due sono riusciti ma non è riuscita a portare a termine la gravidanza. Troppe terapie, attese e momenti di stress. Alla fine lei e il suo compagno Luca hanno deciso di lasciare stare. Stati d'animo che influenzano le giornate, la vita. "Le donne che, mese dopo mese, vedono che il figlio non arriva sentono crescere ansia, delusione e tristezza e, mano a mano, cominciano a temere di non poter divenire mai madri. La diagnosi di infertilità è vissuta come un vero e proprio shock, poiché la maggior parte delle donne non pensa mai di poter avere difficoltà a concepire un bambino. Ci sono pertanto - spiega Beatrice Corsale, psicoterapeuta, membro dell'European association for behavioural and cognitive therapies e ricercatrice dell'istituto di Neurofisiologia del Cnr di Pisa che da anni studia questo tema - . molti sentimenti negativi rivolti verso se stesse: dal senso di colpa, alla rabbia, fino alla vergogna. In molti casi la loro autostima si riduce. Spesso nelle donne con diagnosi di infertilità il desiderio frustrato di avere un figlio diventa centrale, condizionando e a volta compromettendo tutte le altre sfere della vita, da quella affettiva, a quella sociale, a quella professionale".
Lei ha appena pubblicato "Invidia del pancione", una guida per le donne in questa situazione. Ma non le sembra un titolo forte? L'invidia è un sentimento negativo...
"L’invidia è un’emozione provata da molte donne che non riescono ad avere figli, naturalmente insieme ad altri stati d’animo, come l’ambivalenza verso le amiche incinte. Le emozioni sono molteplici e spesso contraddittorie, è il caso delle mamme che, pur amando il loro bambino, al tempo stesso soffrono per la stanchezza e per la mancanza di libertà. Tali stati d’animo possono coesistere e non è opportuno rimproverarsi perché si vivono emozioni sgradevoli. D’altra parte, per avere sollievo, può essere utile trasformare l’energia che accompagna le emozioni negative in modalità più serene, ad esempio facendo qualche gesto gentile e premuroso nei confronti di colei che inizialmente era fonte d’invidia".
Lei parla di “evitamento”: di che cosa si tratta?
"L’evitamento è un comportamento che si attua con facilità quando ci si trova a disagio in una situazione, sia per paura, sia perché il contesto ricorda qualche situazione spiacevole, qualche desiderio infranto. Le donne che non riescono ad avere figli, ad esempio, tendono spesso a evitare le parenti o le amiche che aspettano un bambino o che sono diventate mamme da poco. Ma stare lontane da queste situazioni non dà sollievo. La letteratura scientifica e l’esperienza clinica infatti dimostrano che, al contrario, più le situazioni sono evitate e più creano disagio. Permettersi di frequentare un’amica incinta, infatti, non solo permette di trarre il piacere dell’interazione sociale, ma di poter ricevere supporto dall’amica che potrebbe aprirsi e fare qualche confidenza, talvolta spiegando di avere avuto lei stessa difficoltà a restare incinta".
Come riconoscere e superare le emozioni negative?
"L’invidia e le altre emozioni sgradevoli, tra cui rabbia, senso di frustrazione, senso di colpa e tristezza, tutti sentimenti provati da alcune donne che desiderano un figlio che tarda ad arrivare andrebbero considerate normale espressione del dolore per un desiderio che non si realizza. Perciò non andrebbero demonizzate né rifiutate ma accettate come parte dell’esperienza. D’altra parte è bene ricordare che è opportuno "lasciare andare" tali stati d’animo, senza rimuginare sulle emozioni stesse o su eventuali pensieri negativi".
Perché le donne che non riescono ad avere figli, a volte, si sentono in colpa?
"Il mancato arrivo di un figlio è stato spesso culturalmente attribuito a una colpa della donna e questa convinzione sbagliata ha lasciato tracce. Anche se si sa che spesso l’infertilità è dovuta al fattore maschile o a fattori della coppia. In più oggi alcune scelte, tra cui la maternità, sono rinviate a un momento in cui si spera di avere una maggiore solidità economica, lavorativa e di coppia, ma non c'è consapevolezza dell'invecchiamento biologico che porta a riduzione delle fertilità, cosa che rende difficile concepire. Rendersi pienamente conto di questi aspetti quando ormai la fertilità si è ridotta può far sentire in colpa".
L’infertilità può nuocere al senso di identità della donna?
"Una donna dovrebbe considerarsi come una persona autonoma, indipendente e di valore, indipendentemente dall’essere madre o meno. Se in una fase della vita, tuttavia, ritiene centrale il desiderio di avere un figlio, e non ci riesce, si sentirà mancante".
Sappiamo anche che sentimenti negativi e stress incidono sull’infertilità. Come assiste le sue pazienti?
"La letteratura scientifica suggerisce che possa esservi un nesso tra i livelli di stress e di ansia vissuti dalla donna e la possibilità di restare incinta. Pertanto è auspicabile un atteggiamento mentale e uno stile di vita orientati al benessere psicofisico, prendersi cura di sé, mantenere contatti sociali, apprezzando anche gli aspetti positivi di una vita ancora senza figli. La meditazione, per esempio, già inserita in alcuni protocolli terapeutici, può aiutare ad avere una visione più aperta, riducendo i pensieri negativi".
Quanto è a rischio la coppia in queste situazioni?
"E’ importante che la coppia sia unita e che cerchi di mantenere o di ritrovare una buona comunicazione. E’ bene che i due partner cerchino di capirsi a vicenda e di sostenersi, tenendo presente che spesso le prime reazioni sono diverse: le donne desiderano supporto emotivo e comprensione mentre gli uomini spesso tendono a essere attivi e impegnati, anche nel lavoro. Tali differenti modi di reagire possono far nascere incomprensioni che spingono verso una trappola emotiva che li fa sentire sempre più distanti".
In che situazione psicologica si trova una donna che decide di ricorrere all’eterologa?
"La decisione di sottoporsi alla fecondazione eterologa deve essere sempre ben ponderata, ed è utile un percorso psicologico perché ci sia consapevolezza delle implicazioni psicologiche di tale scelta. La donna può avere incertezze e perplessità ad accettare l’ovulo donato. Spesso teme di considerare il nascituro come un estraneo. In questi casi, prima ancora di decidere se sottoporsi alla fecondazione eterologa, è importante che la donna accetti di non poter utilizzare i propri ovuli per il concepimento e consideri la fecondazione eterologa come un’opportunità per avere un bambino. Quando vi è una adeguata consapevolezza, la coppia percepisce come proprio il figlio concepito grazie alla fecondazione eterologa. E’ superfluo ricordare che essere genitore è un delicato impegno educativo che va ben oltre la fase del concepimento e della nascita".
Come sostenere psicologicamente le donne nel percorso della procreazione medicalmente assistita o nella scelta di adottare?
"Occorre aiutare la donna con infertilità a superare gli errori di pensiero, ricordarle quali sono i motivi per cui desidera avere un figlio, al di là del fatto che venga concepito naturalmente o meno, o che sia adottato. Ed è bene sottolineare che il ruolo di una buona madre è soprattutto quello di educare e di far crescere un bambino, insegnandogli a confrontarsi con il mondo e a superare anche i momenti difficili. Quando la gravidanza arriva è utile che la donna non si sovraccarichi di aspettative e che consideri che la gravidanza e la maternità saranno ricche di sfaccettature, di momenti facili e difficili e anche di emozioni contrastanti. Bisogna imparare a guardarsi con un occhio benevolo e non critico e intransigente. Ricordo un’ostetrica che amava dire che “le brave mamme hanno le case sporche” sottolineando così quali fossero per lei le priorità di una madre. E’ bene che le donne imparino a delegare, a farsi aiutare e a concedersi qualche momento di stanchezza o di fragilità poiché è naturale che sia così. Una madre è un essere umano, non è un super eroe che può affrontare qualunque difficoltà per 24 ore al giorno".
A volte il percorso di Pma è molto faticoso, come si può sostenere una donna?
"Per una donna il percorso è impegnativo sul piano fisico che psicologico e sociale poiché la sua vita, durante il periodo di stimolazione, sarà condizionata dai tempi delle procedure ormonali e dai controlli ormonali ed ecografici, fino ad alterare in modo marcato la quotidianità e la qualità della vita. Situazione che diventa sempre più deleteria a livello fisico e psicologico quanto più a lungo si protraggono o si ripetono i cicli di stimolazione, connessi all’esito dei trattamenti".
Qual è il confine tra ricerca di un figlio e accanimento?
"Quando i cicli di fecondazione si ripetono senza successo, lo staff medico dà sempre meno chances di risultato e, nonostante ciò, la donna continua a insistere trascurando altri aspetti della sua vita, è probabile che vi sia una grande difficoltà ad accettare di valutare scenari diversi rispetto a quello di concepire un figlio. Quando una coppia sa fin dall’inizio di avere poche possibilità di avere un figlio con la fecondazione assistita, potrebbe essere utile fin da subito valutare il limite oltre il quale la coppia non si prosegue. Tale riflessione preliminare potrebbe aiutare la coppia ad avere una visione più obiettiva della situazione e del da farsi, in caso di ripetuti fallimenti".
Come aiutare le donne che rinunciano dopo un lungo percorso che non va a buon fine?
"La scelta di interrompere i trattamenti per la fertilità non è semplice e la donna si confronta con un vero e proprio lutto. E’ il dolore per l’impossibilità di procreare e, qualora scelga di non intraprendere altre strade ma decida di avere una vita senza figli, vive il lutto per un figlio mai nato, per un desiderio infranto, per un ruolo mai vissuto. Il dolore del lutto comporterà momenti di rifiuto, di rabbia, di tristezza, di incredulità e, poco a poco, di accettazione. Sostenere una donna che sceglie di interrompere i cicli di Pma significa aiutarla a ridare senso e valore alla propria vita e trovare un modo nuovo per dare valore alle motivazioni profonde che la spingevano a voler diventare madre. E’ possibile aiutare queste donne ad appagare quei desideri profondi in modi alternativi e creativi, ad avere una visione obiettiva dei rapporti genitori-figlio che spesso non sono semplici e che richiedono un grande investimento di risorse, necessariamente da sottrarre per anni ad altri ambiti".
Quando si decide di voltare pagina?
"Le donne che considerano il progetto della maternità come uno dei tanti progetti della propria vita possono, prima di altre, risollevarsi da una situazione molto dolorosa. Queste donne non provano meno dolore ma, prima di altre, investono nei propri affetti, mobilitano le energie verso la quotidianità, avviano nuovi progetti e scoprono in sé risorse e potenzialità che forse non sarebbero emerse nello stesso modo se fossero diventate madri. Convogliano le proprie energie negli ambiti che le appassionano e mettono a frutto il valoro aggiunto della loro affettività e capacità educativa formando professionisti in erba e giovani studenti".
Il test sulla verginità: il video choc sulle rom. Contro il docu-reality ha tuonato anche Marlene Schiappa, ministro del governo Macron per la Cittadinanza, che ha definito lo show “rivoltante”. Gerry Freda - Sab, 03/04/2021 - su Il Giornale. È bufera sulla televisione francese dopo la messa in onda di un docu-reality sui matrimoni tradizionali rom, in cui sono state mostrate le immagini di “test di verginità” a cui vengono sottoposte le promesse spose gitane. Oltre a decine di telespettatori scandalizzati, a tuonare contro quelle riprese è stato anche un membro del governo Macron, ossia il ministro della Cittadinanza Marlene Schiappa. Il docu- reality incriminato si intitola Incredibili matrimoni gitani ed è stato trasmesso dall’emittente privata Tfx. Il programma tv si ispira a una serie, sul medesimo argomento, mandata in onda in passato dal canale britannico Channel 4. Nel dettaglio, il documentario francese racconta le tradizioni della comunità gitana catalana che vive nel sud del Paese, nella città di Perpignan. In una puntata del reality trasmessa lo scorso febbraio, ai telespettatori è stato mostrato, in mezzo ai preparativi per un sontuoso matrimonio, il letto su cui avrebbe dovuto svolgersi la “cerimonia del fazzoletto”, ossia un vero e proprio test di verginità per le future spose. Tale tradizione prevede che la sposa venga esaminata dalle donne adulte della famiglia poco prima del matrimonio, per accertare l’integrità dell’imene e, quindi, che la prima sia vergine. Nel mandare in onda le immagini del letto su cui la sposa di Perpignan avrebbe affrontato la cerimonia del fazzoletto, il programma Tfx aveva mostrato il seguente avviso ai telespettatori: “Su questo letto, una donna testa la resistenza dell’imene di Naomi con un tessuto delicato. La ‘cerimonia del fazzoletto’ è ancestrale e ineludibile. Se Naomi ha avuto rapporti sessuali, il matrimonio verrà annullato”. In altre scene della trasmissione transalpina, le donne della comunità rom hanno spiegato perché, per loro, è importante questo rito: “È per la famiglia del ragazzo.”, ha detto una partecipante al docu-reality, “Devono essere sicuri del fatto che il figlio abbia preso in sposa una bella donna vergine”. Scandalizzata per i contenuti del programma, il ministro Schiappa ha così inviato una dura lettera di protesta alla commissione nazionale di vigilanza sui contenuti audiovisivi. A detta dell’esponente del governo Macron, l'istituzione del matrimonio verrebbe “ridicolizzata” in quel programma e la scena della cerimonia del fazzoletto sarebbe stata mandata in onda "senza commenti adeguati in sottofondo". Le immagini del test di verginità rom sarebbero, ha tuonato il ministro, estremamente “rivoltanti”, soprattutto perché mostrate ai telespettatori dopo che, lo scorso febbraio, l’Assemblée Nationale ha votato, nell’ambito della legge contro i separatismi religiosi, proprio il divieto dei test di verginità nella preparazione al matrimonio. Il governo Macron ha infatti deciso di vietare la pratica dei certificati di illibatezza a cui le donne di alcune comunità etniche devono ancora sottostare. L’intento della legge citata è soprattutto quello di arginare tale pratica all’interno della comunità musulmana. I certificati di verginità vengono rilasciati dopo un controllo dell’integrità dell’imene e vengono di solito richiesti da giovani, o, piuttosto, da genitori e futuri mariti.
Da "huffingtonpost.it" il 2 aprile 2021. Felice di essere nonna a 34 anni. A Marsala Pamela ha voluto esternare la sua gioia per la nascita del nipotino, avuto dalla figlia sedicenne, con un post sul suo profilo facebook, corredato da una foto: lei che in una stanza dell’ospedale di Marsala tiene in braccio il neonato, il cui volto è parzialmente oscurato da un emoticon giallo rotondo con due cuoricini rossi. “Se diventare nonni fosse solo una questione di scelta - scrive la donna - consiglierei a ognuno di voi di diventare nonna... Fino a qualche mese fa, certamente non pensavo di diventare nonna a 34 anni. Essere nonni non significa essere vecchi, significa essere stati benedetti con il regalo più bello che possa esistere”. Poi, un “ringraziamento speciale” al reparto Ginecologia dell’ospedale “Paolo Borsellino” di Marsala (“al dottor Ferreri, ostetriche ed infermieri, che sono fantastici”).
Elena Tebano per il "Corriere della Sera" l'1 aprile 2021. Le adozioni gay fatte all'estero devono essere riconosciute anche in Italia. E i sindaci che vogliono opporsi alla trascrizione (l'atto che ne riconosce la validità in Italia), non possono farlo. È quanto ha stabilito la Cassazione con la sentenza 9006 depositata ieri, relatrice Maria Acierno, presidente Pietro Curzio. I riconoscimenti delle adozioni gay fatte all'estero da cittadini italiani non sono una novità: il primo risale al 2017, a Firenze. Ma adesso la Cassazione ne ha sancito la definitiva legittimità con una sentenza a Sezioni Unite, che ha cioè valore di precedente legale. La legge italiana prevede normalmente che le adozioni fatte legalmente all'estero da cittadini italiani siano riconosciute anche in Italia. In questo caso però il bambino, che oggi ha 10 anni, era stato adottato a New York da una coppia di uomini, entrambi cittadini italiani. Per questo il sindaco di Samarate, in provincia di Varese, si era rifiutato di trascrivere il suo atto anagrafico, come era stato invece disposto dalla Corte di Appello di Milano il 9 giugno 2017, e aveva fatto ricorso alla Cassazione. In assenza di trascrizione al bambino veniva negata anche la cittadinanza italiana. I giudici della Cassazione chiariscono adesso una volta per tutte che l'omosessualità dei genitori non può essere un ostacolo al riconoscimento dell'adozione. «Non contrasta con i principi di ordine pubblico internazionale il riconoscimento degli effetti di un provvedimento giurisdizionale straniero di adozione di minore da parte di coppia omoaffettiva maschile che attribuisca lo status genitoriale secondo il modello dell'adozione piena o legittimante, non costituendo elemento ostativo il fatto che il nucleo familiare del figlio minore adottivo sia omogenitoriale ove sia esclusa la preesistenza di un accordo di surrogazione di maternità» si legge nella sentenza. Anzi, scrive la Corte, è patrimonio dell'ordine pubblico italiano il «principio di non discriminazione, rivolto sia a non determinare ingiustificate disparità di trattamento nello status filiale dei minori» che a «non limitare la genitorialità esclusivamente sulla base dell'orientamento sessuale della coppia richiedente». Nella sentenza, infine, i giudici richiamano espressamente la recente sentenza della Corte Costituzionale che ha chiesto al Parlamento di ampliare «le condizioni di accesso all'adozione» piena, cosicché i bambini figli delle coppie dello stesso sesso non siano discriminati rispetto a quelli figli delle coppie eterosessuali. Per l'avvocato Alexander Schuster, che ha difeso la famiglia, «con questa sentenza i diritti del minore e delle coppie omoaffettive ricevono pieno riconoscimento, senza che si possa più operare alcuna discriminazione».
Adottato da due papà all'estero. Cassazione: ok a trascrizione in Italia. Il massimo consesso della giustizia italiana riporta, a chiare lettere, l'ininfluenza dell'orientamento sessuale nelle controversie riguardanti minori. Federico Giuliani - Mer, 31/03/2021 - su Il Giornale. La Cassazione ha rigettato il ricorso dell'Avvocatura dello Stato di New York nel caso di un bambino adottato da una coppia italo-americana. La giustizia americana negava il diritto al minore di essere riconosciuto in Italia così da divenire un cittadino italiano.
La decisione della Cassazione. L'intera vicenda è stata ricostruita in una nota comunicata dall'avvocato Alexander Schuster, il quale ha difeso la famiglia in tutti i gradi di giudizio. Come ha sottolineato l'agenzia Lapresse, l'omogenitorialità non è contraria all'ordine pubblico. La Corte ha affermato che è patrimonio dell'ordine pubblico italiano il "principio di non discriminazione", rivolto sia a non determinare "ingiustificate disparità di trattamento" nello status filiale dei minori "con riferimento in particolare al diritto all'identità ed al diritto di crescere nel nucleo familiare che meglio garantisca un equilibrato sviluppo psico—fisico nonché relazionale" sia a non "limitare la genitorialità esclusivamente sulla base dell'orientamento sessuale della coppia richiedente". La decisione è stata registrata nella sentenza n. 33/2021 della Corte costituzionale, secondo cui l'adozione in casi particolari è soluzione non adeguata per tutelare il minore. Il massimo consesso della giustizia italiana riporta, a chiare lettere, l'ininfluenza dell'orientamento sessuale nelle controversie riguardanti minori, ciò che si confida eviterà ulteriori dubbi nei giudici quando si tratta di tutelare i minori e le loro famiglie arcobaleno.
Le parole dell'avvocato Schuster. Ricordiamo che le Sezioni unite riconoscono espressamente che le coppie omosessuali godono di una legittima aspirazione alla genitorialità, aspirazione tutelata dall'art. 2 della Costituzionale e dall'art. 8 della CEDU. Per l'avvocato Schuster, che ha difeso la famiglia in tutti i gradi di giudizio, "si tratta di una sentenza storica", perché fa finalmente "piazza pulita di pregiudizi e dubbi che ancora albergano in taluni giudici. Con questa sentenza i diritti del minore e delle coppie omoaffettive ricevono pieno riconoscimento, senza che - lo scrivono a chiare lettere le Sezioni unite - si possa più operare alcuna discriminazione". "Spiace che anche questa volta l'Avvocatura dello Stato in nome del Sindaco di Samarate abbia favorito anni di cause e che, nonostante si sia fatta portavoce di tesi che ledono i diritti del minore e che, lo dice la Cassazione, condurrebbero ad esiti discriminatori, non sia chiamata a pagare le spese legali", ha aggiunto l'avvocato Schuster. Queste famiglie, a detta dello stesso Schuster, trovano, in Italia, "ostacoli economici insormontabili per far valere i propri diritti, spesso rinunciandovi. La compensazione sistematica delle spese legali diviene così una violazione dei loro diritti fondamentali. Sarebbe tempo che il legislatore intervenisse e tutelasse queste famiglie una volta per tutte, come ha imposto di fare la Corte costituzionale nelle due recenti sentenze".
Un "figlio pelandrone" di 50 anni: la madre ottiene dal giudice l'allontanamento. Sarah Martinenghi su La Repubblica il 16 marzo 2021. Torino, l'appello della donna: aiutatemi a mandarlo via. È un caso da codice rosso davvero insolito e particolare. Un maltrattamento diverso, messo in atto da un figlio nei confronti della madre. Una violenza, in ogni caso, come ha stabilito anche il giudice. La donna è stata costretta dal figlio a subire la sua presenza in casa fino a questi giorni. All'età di quasi 50 anni, di volersene andare per conto suo, lui non ci pensava proprio. E così a lei non è rimasta altra strada che rivolgersi ai carabinieri, prima, e alla procura, poi, per chiedere di esaudire il suo desiderio: far uscire quel ragazzone definito " un pelandrone " dal suo appartamento. "Aiutatemi a mandarlo via, voglio vivere tranquilla " ha chiesto. Il giudice ha dato l'ok e ha disposto per lui la misura dell'allontanamento chiesta dal pm Enzo Bucarelli. La presenza del figlio in casa sua è stata definita "parassitaria". Nessun lavoro, nessun contributo alle faccende domestiche, e nessuna intenzione di cambiare vita. " Gli ho anche offerto dei soldi, 300 o 400 euro al mese per andarsene, ma non ha accettato. Lui dice che sta bene lì, a casa mia", ha spiegato la donna con vera disperazione. Nessuna minaccia vera da parte del figlio, ma un atteggiamento un po' aggressivo, soprattutto di fronte alle richieste della madre di farsi una vita sua e andare a vivere con la fidanzata. Il figlio soffre anche di disturbi mentali, "ha un'insufficienza mentale lieve e un'invalidità di tipo psichico " . E l'ha minacciata: " Mi ha detto che se l'avessi sbattuto fuori di casa mi avrebbe ammazzato " ha riferito. Solo una volta lei era riuscita a convincerlo ad andarsene. " C'era ancora mio marito, ed è stato lui a volere che tornasse. Io mi sono intenerita e gli ho riaperto la porta di casa " , ha spiegato. La madre ha descritto il figlio come una persona burbera: "Non si droga, non beve alcolici, non mi aggredisce ma non vuole proprio ascoltarmi: tiene pulita solo la sua camera, ma poi non mi aiuta nelle faccende domestiche. È un pelandrone, ma ha quasi 50 anni e io non posso mantenerlo per sempre". Una volta, cinque anni fa, l'uomo avrebbe dato uno schiaffo alla madre. "Non mi ha fatto male, ma mi ha ferito. Io voglio solo che se ne vada, e ho paura che mi faccia del male anche perché quando mi ha minacciata aveva lo sguardo cattivo. E quando gli dicevo qualcosa, lui mi faceva dei dispetti, il citofono rotto, danni alla mia auto. Diceva che erano stati i suoi amici ma io lo sapevo che era lui".
La maggioranza dei giovani immagina il proprio futuro senza figli. Chiara Pizzimenti su Vanityfair.it il 17/3/2021. Un futuro senza figli. È così che se lo aspettano la maggior parte dei giovani italiani tra i 18 e i 20 anni secondo un sondaggio commissionato dalla Fondazione Donat Cattin all’Istituto demoscopico Noto Sondaggi. Il 51% dei ragazzi interpellati non si immagina genitore. Di questi il 31% pensa che a 40 anni avrà un rapporto di coppia ma senza figli e un 20% pensa che sarà single. L’età delle persone intervistate non è quella a cui abitualmente si pensa a una famiglia, ma a farsi notare è l’assenza di prospettiva, per motivi prevalentemente sociali.
Sono soprattutto la scarsità di lavoro (87%) e l’assenza di politiche adeguate per la famiglia (69%)
Secondo i dati raccolti dal sondaggio i giovani possono essere divisi in 3 categorie: c’è chi teme che un figlio limiti la libertà, una posizione legata anche alla giovane età, c’è chi ha la realistica paura di non potersi permettere economicamente un figlio e chi non vuole avere figli per mancanza di fiducia nella società.
L’Italia vive da anni un periodo di scarsa natalità e la situazione è stata acuita dalla pandemia. Nel 2020 si contano circa 300mila italiani in meno a causa dell’aumento delle morti, mai tante dagli anni della Seconda Guerra Mondiale, ma anche dal calo delle nascite. È come se fosse sparita una città grande come Catania.
I 400mila bambini nati nel 2020 sono un record negativo nei 160 anni dell’Unità d’Italia che si inserisce in una statistica già con il segno meno. Nel 2019 erano nati solo 420 mila bambini. Sono 160mila in meno dal 2008. Nei primi anni Sessanta ne nascevano il doppio.
Quello dell’Istat è un resoconto ancora provvisorio riportato da Avvenire, ma mostra un calo stabile nell’anno del 3,25% e un crollo alla fine del 2020: meno 8,2% in novembre e meno 21,63% in dicembre, il nono mese dall’inizio del primo lockdown. Rispetto al 2019 il calo dovrebbe essere di oltre il 5%. La pandemia potrebbe aver dato il colpo decisivo a una natalità già scarsa, non sostenuta da un sistema di welfare adeguato.
Sanità Carlo Donat-Cattin. Lo fece nel settembre del 1986 dal tradizionale convegno della sua corrente a Saint-Vincent, e seguirono diversi interventi sul tema per sollecitare un radicale cambio delle politiche per la famiglia. Donat-Cattin vedeva l'Italia come un Paese «in scadenza», destinato a contare 30 milioni di abitanti nel 2050. Dati che gli aveva fornito il demografo Antonio Golini, confermati anche dalle proiezioni di alcune compagnie di assicurazione. Ma cifre che - pur nella loro lungimiranza - vennero contestate da alcuni giornali: e il ministro venne addirittura accusato di provare nostalgia verso le politiche demografiche del ventennio fascista. Sette lustri dopo il fenomeno della «culle vuote» ha ormai i contorni di un'emergenza sociale, e conferma la validità la visione politica di Carlo Donat-Cattin di cui proprio domani ricorrono i 30 anni dalla morte. In occasione dell' anniversario la Fondazione che ne porta il nome ha commissionato all'Istituto demoscopico Noto un sondaggio che parte con un dato inquietante: su un campione di 800 giovani di tutta Italia tra i 18 e i 20 anni la maggioranza (51%) immagina il proprio futuro senza figli. E tra questi il 31% stima che a 40 anni avrà un rapporto di coppia ma senza figli e un ulteriore 20% pensa che sarà single. Non si tratta di previsioni dichiarate sull'onda emotiva del momento, un «vedo nero» legato alla pandemia. Nel valutare i motivi per cui i giovani non vogliono avere figli gli intervistati danno risposte razionali. Adducendo ragioni che riguardano la sfera sociale più che una avversione netta a diventare genitori: la carenza di lavoro in primis (87%), cui segue l'assenza di politiche adeguate per la famiglia (69%). Una percentuale analoga parla anche di crisi delle relazioni stabili, mentre solo il 37% ritiene i figli un ostacolo in quanto condizionano la vita. Secondo lo studio i giovani che non vogliono diventare genitori possono essere divisi in tre categorie.
I primi sono quelli che si potrebbero definire «narcisisti» e che considerano il fatto di mettere su famiglia, e più in generale i legami stabili, un ostacolo alla propria libertà.
La seconda categoria aggiunge una motivazione più «realista» che riguarda la paura di non potersi permettere economicamente questa possibilità.
I terzi sono i «nichilisti»: dichiarano di non volere figli per mancanza di fiducia nella società.
Un ulteriore risultato del sondaggio riguarda la percezione di sentirsi inclusi o esclusi dalla società. Il 51% vive una forte insoddisfazione in quanto non si sente «pienamente incluso», ai quali si aggiunge un 4% che invece lamenta una «esclusione totale». È quindi soltanto una minoranza, seppure sostanziosa (44%), ad autodefinirsi «inclusa». E a percepire le maggiori difficoltà di inserimento sociale sono le giovani donne. Nel campione scelto la condizione di studente lavoratore riguarda meno di un giovane su 5 (18%). La maggioranza non ha mai lavorato, mentre il 31% ha avuto qualche esperienza di lavoro ma attualmente ha scelto di dedicarsi unicamente allo studio. Infine, rispetto al proprio futuro personale la maggioranza si sente ottimista, ma se la domanda riguarda il futuro dell'Italia la quota degli ottimisti diventa minoranza (43%). Sul piano personale gli uomini sono un po' più positivi delle donne (68% di ottimisti contro il 60%). Mentre riguardo al futuro dell'Italia sono le donne ad avere un po' più di fiducia.
Elena Stancanelli per "la Repubblica" l'11 marzo 2021. Cosa fare se si dimentica di prendere la pillola? Adesso sarebbe tra le frasi più cercate su google, allora erano telefonate frenetiche tra amiche, compulsare isterico di bugiardini lunghissimi e incomprensibili. Credo che nessuna di noi abbia mai davvero capito quale fosse la risposta giusta, se prenderne due insieme il giorno successivo o riservarsi uno speciale ventiduesimo giorno in fondo al blister o se ancora ignorare l' errore e buttare la pillola dimenticata nel lavandino. La pillola aveva in sé qualcosa di misterioso: così piccola e così efficace, minimo sforzo massimo risultato. Quanta libertà in cambio di un po' di cellulite sulle cosce! La contraccezione, prima della pillola, era laboriosa, fallace, imbarazzante. Prevedeva accordi tra i partner, infinite possibilità di errore, conteggi dei giorni che non tornavano mai. La pillola la buttavi giù la sera prima di dormire ed era fatta. Certo, rispetto a quelle di oggi, noi ragazze degli anni ottanta ci pigliavamo certe bombe ormonali che davano mal di testa psichedelici. Ma l' avanguardia comporta un po' di sacrificio e noi, pur barcollando per il dolore, sapevamo comunque quanto fortunate eravamo rispetto alle nostri madri. Cinquanta anni fa, nel 1971, in Italia viene abrogato l' articolo 553 del codice penale che vietava ufficialmente la contraccezione orale (la notizia è che esistesse un articolo del genere, sorprende sempre scoprire quanta cura si sono dati e quanto sforzo hanno fatto i nostri legislatori per limitare il diritto allo spasso delle donne) e la pillola diventa legale. Era stata inventata una ventina d' anni prima in America e intorno al 1960 diventa disponibile in Europa, ma all' inizio il suo uso era consentito solo per curare alcuni disturbi, dolori mestruali, piccole patologie dell' utero, l' endometriosi. Insieme alla pillola arrivano in Italia, intorno alla metà degli anni settanta, i consultori, mai abbastanza lodati. Per la prima volta le ragazze hanno un posto dove farsi visitare senza sentirsi giudicate, ginecologhe con cui parlare e la possibilità di avere la ricetta per la pillola senza doversi umiliare. Senza dover subire lo sguardo giudicante di anziani medici che, chissà perché, pensavano facesse parte della loro professione scoraggiare le giovani donne a fare sesso. Sono passati cinquant' anni e raramente qualcuno della nutritissima schiera dei moralizzatori, uomini e donne, si azzarda a discutere la pillola. E' andata abbastanza liscia, considerato quanto facilmente divampino le polemiche quando si parla del corpo delle donne. Eppure la pillola è stata una vera rivoluzione, ha diviso per sempre il sesso dalla procreazione, e ha consegnato tutte le decisioni nelle mani delle donne. Prendo la pillola, tranquillo. Avrebbe potuto essere la trappola perfetta, invece è diventato il modo in cui da generazioni evitiamo gravidanze indesiderate. A dimostrazione del fatto che in politica, di qualunque politica si parli, delegare le decisioni alle donne è il modo migliore per evitare guai. Dio benedica solo noi esseri umani e in particolare chi ha inventato la pillola (semicit. Achille Lauro).
Francesca Nunberg per "il Messaggero" il 10 marzo 2021. Oggi compie cinquant' anni, per paradosso l' età in cui si smette di prenderla. Simbolo della liberazione sessuale, pietra miliare dell' emancipazione femminile, ma anche oggetto di attacchi che non si sono mai interrotti, la pillola anticoncezionale è stata una delle scoperte scientifiche e una delle innovazioni sociali più importanti del Novecento. In America arriva alla fine degli anni Cinquanta, in Europa nel 61 e in Italia dieci anni dopo, con la storica sentenza della Corte Costituzionale del 10 marzo 1971. Quel giorno viene abolito l' articolo 553 del Codice Rocco che punisce con la reclusione fino a un anno e una multa fino a 400 mila lire «la propaganda e l' utilizzo dei mezzi atti a impedire la procreazione». L' uso dei sistemi anticoncezionali come pillola e preservativi diventa legale. L' utero è mio e lo gestisco io, urlavano le donne in piazza nel 68, ma le loro figlie e nipoti hanno perso per strada molta della consapevolezza conquistata.
LA CAMPAGNA. Una «battaglia vinta solo a metà», dice infatti l' Aied, l' Associazione italiana per l' educazione demografica che si prepara a lanciare sui social una campagna sui temi che la videro in prima fila mezzo secolo fa. Un cartoon dal titolo #lapillola50, realizzato da due giovani artiste e l' evento digitale Blister 21, in nome della maternità consapevole. Perché non siamo messi bene. «I consultori familiari - spiega il presidente dell' Aied Mario Puiatti - sono scarsamente finanziati e sottorganico. La legge sull' interruzione di gravidanza vede il più alto numero di obiettori di coscienza d' Europa e siamo tra gli ultimi Paesi europei a non avere ore curriculari di educazione sessuale nelle scuole». Un quadro fosco che corrisponde a quello tratteggiato da Antonio Chiantera, presidente della Sigo, la Società italiana di ginecologia e ostetricia e professore: «L' utilizzo della contraccezione ormonale per via orale in Italia è bassissimo, limitato solo al 14 per cento della popolazione femminile in età fertile contro il 22% del resto d' Europa. Il dato è addirittura in calo. Scarsissima anche la contraccezione d' emergenza: la pillola del giorno dopo viene usata dall' 1,2% delle donne. Quindi solo una frangia minima delle nostre donne, pochissime rispetto al resto del mondo occidentale. Nonostante oggi la pillola sia assolutamente sicura e innocua. Il problema è che in Italia la pillola bisogna pagarla, mentre l' aborto è gratis». «La Azzolina, il precedente ministro dell' Istruzione - continua Chiantera - si era rivolta alle società scientifiche per portare nelle scuole un messaggio di conoscenza del proprio corpo, quelle famose lezioni di educazione sessuale che ho fatto per 30 anni e poi non ho potuto fare più perché erano peccato...». Il nuovo ministro Bianchi ha rinnovato l' impegno, come spiega Elsa Viora, presidente Aogoi, Associazione ostetrici e ginecologi ospedalieri italiani: «Stiamo lanciando un progetto pilota per l' educazione affettiva e sessuale e la conoscenza del proprio corpo. Per adesso in tre plessi di scuole primarie e secondarie, poi speriamo di estenderlo, bisognerebbe cominciare già alle elementari. Il problema non è solo che i diciottenni di oggi sanno meno di quelli di 40 anni fa, ma che pensano di capire tutto con due minuti su internet. Non solo non conoscono la pillola, ma gran parte di loro ha rapporti non protetti. Sembra impossibile, ma siamo tornati indietro».
LA STORIA. Eppure era stata una conquista: all' origine di tutto, nell' America degli Anni '50, c' è un' attivista per i diritti delle donne, l' infermiera Margaret Sanger che, con i fondi dell' ereditiera Katherine McCormick, portò avanti la creazione di una pillola per proteggere dalla gravidanza con il biochimico Gregory Pincus e il ginecologo John Rock. Nel 1957 i risultati delle loro ricerche vengono venduti sotto il nome di Enovid, un trattamento contro i disturbi mestruali e tre anni dopo la pillola viene messa in commercio negli Usa come contraccettivo orale. Nel 61 arriva in Europa con il nome di Anovlar e nel 65, tra polemiche e contestazioni, anche in Italia, raccomandata solo alle donne sposate e per regolarizzare i disordini del ciclo. Diventerà legale nel 1971, mentre bisogna aspettare il 1978 perché venga approvata la legge 194 che rende legale l' interruzione volontaria di gravidanza (Ivg).
EFFETTI COLLATERALI. Nonostante siano trascorsi 50 anni la pillola continua a essere poco conosciuta, nonostante la sua percentuale di efficacia oscilli tra il 92 e il 98%. Il nostro Paese è il fanalino di coda in Europa, anche se la ricerca medica nel tempo ha cambiato profondamente il contenuto della pillola rispetto ai primi anni, con la sintesi di nuovi progestinici e la diminuzione degli effetti collaterali. «Grazie alla lotta di tante donne sono libera di scegliere e di amare», dice la ragazza sui manifesti dell' Aied per celebrare i 50 anni della pillola. Molti dei suoi coetanei avrebbero bisogno di saperlo.
"Se volevi figli non firmavi il contratto": il mobbing da maternità che punisce le donne sul lavoro. Ai maschi non succede di sentirsi chiedere a un colloquio se nel prossimo futuro prevedono di fare un bambino. E il caso della pallavolista citata per danni perché rimasta incinta non è certo isolato. Rita Rapisardi su L'Espresso il 30 marzo 2021. Ti hanno mai chiesto se avevi intenzione di avere in programma un figlio durante un colloquio di lavoro? Se hai risposto sì, sei una donna. Se hai risposto no, uomo. Perché in Italia è pratica nazionale, anche se illegale, informarsi sul futuro delle donne, sia che vogliano o non vogliano diventare madri. Ha fatto scalpore il caso della pallavolista Lara Lugli, citata per danni dal Volley Pordenone, perché avrebbe taciuto la possibilità di diventare madre, e poi una volta incinta, avrebbe danneggiato la società con la sua assenza. Il caso Lugli è certo particolare, perché riguarda il mondo dello sport non professionistico, un ambito che prevede le cosiddette clausole di gravidanza, una sorta di scrittura privata tra atleta e società. Le sportive possono essere licenziate in tronco qualora incinte, un malcostume che riguarda anche malattie inaspettate. «Nello sport si consuma la più grande discriminazione per le donne. Le atlete non possono accedere alle leggi sulla maternità e a decidere è il datore di lavoro», racconta Luisa Rizzitelli, presidente dell’Associazione Assist - Donne nello sport, ex atleta che per 15 anni ha firmato la clausola anti-maternità. «Con la legge 91/1981 che regolamenta il lavoro sportivo, non si è stabilito quali fossero le discipline professionistiche, spetta alle federazioni e al Coni farlo, con il risultato che solo calcio, basket, ciclismo su strada e golf lo sono, e solo per i maschi». Si parla di migliaia di atlete considerate dall’Inps dilettanti, ma che in pratica non lo sono, visto che hanno fatto dello sport la loro vita. «Abbiamo rilasciato interviste a El Pais, al Guardian, i giornalisti rimangono sbigottiti. La giornalista del New York Times mi ha chiamato più volte per avere conferma dei dettagli, le è sembrato tutto assurdo», aggiunge Rizzitelli che ha promosso con Assist la campagna social #IOLOSO. Le eccezioni, assai rare, esistono. Mesi fa il Cesena Femminile, squadra di calcio che milita in serie B, ha rinnovato il contratto ad Alice Pignagnoli, portiera del club. Una decisione presa in libertà della società sportiva, dato che la calciatrice (non professionista) non rientra nelle tutele di gravidanza del sindacato FifPro. Ma il caso Lugli non è isolato. Un precedente altrettanto noto riguardò Adriana Moises Pinto, cestista di punta del Faenza, che a metà stagione annunciò la maternità. Era il 2005 e la squadra era favorita per il titolo, Pinto fu messa alla porta. O la schiacciatrice Cristina Pirv, che dopo 13 anni in serie A ai massimi livelli, ha rotto i rapporti con il Novara una volta incinta. Di esempi ce ne sono decine, anche se la maggior parte si risolve senza clamori e con la fine della professione: «Lugli ha anche denunciato perché a fine carriera, ma sono pochissime quelle che lo fanno», spiega Rizzitelli. E non mancano episodi all’estero: Nike nel 2019 ha tagliato del 70 per cento il contratto della velocista Allyson Felix, vincitrice di sei ori olimpici, al rientro dalla maternità. Eppure tra le voci di condanna se ne alternano altrettante, per lo più maschili, di sostegno alla società sportiva, e quindi a quella mentalità che vuole una donna che scelga tra lavoro e gravidanza. «Se vuoi un figlio non firmi un contratto», «Sei una professionista sportiva, il minimo è avvisare», «Se voleva avere figli poteva rimanere a casa e non farsi assumere», si legge sui social. Come se la gravidanza fosse un atto di furbizia nei confronti dei propri datori di lavoro. Un’idea questa condivisa anche da alcune donne. «Nella mia città, c’è una catena di negozi gestiti da un'unica famiglia, che da decenni al momento dell’assunzione fa firmare un documento concorde a non rimanere incinta», racconta Biancarosa, che aggiunge di non essere sconvolta, perché molte donne «sono sempre incinte, con notevoli disagi del datore di lavoro, è giusto sapere prima come andranno le cose». La gravidanza vista come un qualsiasi punto di un ordine del giorno, da mettere in calendario con il proprio datore di lavoro.
TUTTI SANNO NESSUNO NE PARLA. «La prima cosa che mi chiedevano ai colloqui era la mia intenzione di rimanere incinta o meno, anche per fare le pulizie, non dirigente d'azienda». «In passato un titolare mi ha anche chiesto se stessimo prendendo “precauzioni” con il mio compagno». «Dopo il primo figlio, al rientro sono stata messa in cassa integrazione per un anno rinnovato di settimana in settimana. Al secondo sono stata sbattuta direttamente a fare fotocopie». «Dopo il diploma ho cominciato a cercare lavoro, le prime domande che mi facevano erano se ero fidanzata e se avevo intenzione di avere figli: era il 1979, non è cambiato niente». La vicenda della pallavolista ha tirato fuori gli sfoghi di molte. Purtroppo a leggerle una di seguito l’altra, con le varie sfumature che ogni storia porta con sé, si intravede un unico filo rosso: "tutti sanno, ma nessuno ne parla". Già, perché se le donne stanno zitte per paura di ripercussioni o abbandonano per mancanza di tutele, i numeri sono lì: il tasso di occupazione delle donne in Italia è di 18 punti percentuali più basso di quello degli uomini (al sud è pari al 33,2% degli occupati), il lavoro part-time riguarda il 73,2% delle donne ed è involontario nel 60,4% dei casi. «Non mi stupisce più nulla: quando mia figlia faceva le elementari più di una mamma ha criticato una maestra che era rimasta incinta - scrive Fabrizia - aggiungendo che le maestre dovrebbero garantire almeno i cinque anni». «Prima di firmare un contratto di lavoro è stato chiesto di impegnarmi a non rimanere incinta - racconta Chiara - feci buon viso a cattivo gioco, invece a una collega era stato fatto firmare un foglio di dimissioni in bianco, che il datore di lavoro teneva pronto». I ricatti si manifestano negli anni di fertilità delle donne, quelli in cui si entra nel mondo del lavoro, prima, e si dovrebbe fare carriera, poi. In molte aziende, ad esempio, non è possibile avere una promozione, se si è in part-time. Madalina ha 28 anni, vive in Val d’Aosta, dove dice si conoscono tutti. Lavora, anzi lavorava nella ristorazione, ma vista la situazione, racconta all’Espresso, vorrebbe cambiare: «Tutti chiedono come gestisco mio figlio di tre anni, ma se ci sono sempre riuscita lavorando nella ristorazione, che ha orari particolari, perché non dovrei? Sono scuse per non assumere una donna con un figlio piccolo». In attesa di qualcosa Madalina pensa alla sua formazione: «Mi sono iscritta ai corsi che la regione offre: informatica e per fare l’Oss, ma non è quello che voglio fare. In alternative farò pulizie, anche non in regola». Su questi temi non partono quasi mai vertenze o segnalazioni al sindacato, semplicemente si tenta al colloquio successivo: «In generale, sarebbe meglio evitarle per non creare problemi futuri alle lavoratrici, che potrebbero subire mobbing o non vedersi rinnovati i contratti. Questo però quando le aziende collaborano, alcune non aprono neanche i dialoghi con noi. E le donne difficilmente sporgono denuncia, il sommerso in questo ambito è enorme, impossibile da calcolare», spiega Sabrina Bordone, Cgil Asti. Di recente il ministro del Lavoro Andrea Orlando ha ricordato l’importanza del "Codice delle pari opportunità" dove è scritto il divieto di qualsiasi "riferimento allo stato matrimoniale o di famiglia o di gravidanza, nonché di maternità o paternità, anche adottive" (art. 27). Ci sarà un maggior controllo anche grazie a «piattaforme anonime per denunciare le aziende che vìolano quell’articolo che proibisce di fare domande sulla vita personale delle donne (ma anche degli uomini): perché lì si decide se assumere un uomo o una donna», ha dichiarato il ministro.
E I PAPA’? In questi discorsi dei papà, o possibili tali, neanche l’ombra, nessuno li tira in ballo, come se non esistessero. Certo non si può delegare loro la gravidanza, ma si potrebbero far passi in avanti nella gestione familiare. Perché a sentire tutte queste storie sembra che il diritto alla maternità, sancito dall’art. 31 della Costituzione, non sia mai stato scritto. «All’età di 29 anni, fresca di matrimonio ho fatto dieci colloqui, cercavo lavoro a Bolzano in ambito finanziario - ricorda Ilaria all’Espresso - Anche con un ottimo curriculum la domanda sulla gravidanza arrivava sempre». “Il posto è tuo ma se investo, mi aspetto che per i prossimi sei anni non te ne vai, ci aspettiamo un ritorno”, si è sentita dire una volta. L’unica volta in cui non le hanno fatto la domanda è stata assunta: «Ho trentasei anni, due figli. Lavoro ancora nella stessa azienda, ma solo perché ha decine di dipendenti e un welfare rigido, la mia essenza non è pesata». Dice Ilaria aggiungendo anche che il marito essendo partita iva non ha potuto usufruire del congedo parentale, motivo per cui è rientrata a lavoro in part-time. Gravidanza vuol dire allontanamento dal posto di lavoro, per questo un discorso sul congedo per i padri è fondamentale. In Italia è solo di dieci giorni, da usare entro i cinque mesi di nascita. E pensare che in Svezia è stato introdotto nel 1975, al momento è di 12 mesi, come in Danimarca, in Finlandia addirittura 14. Mesi che non possono essere ceduti alla madre. Una proposta firmata dalla deputata del Pd Giuditta Pini prevede il congedo paterno obbligatorio per quattro mesi: «La legge è ferma da due anni, è tempo di portarla in commissione e approvarla. Diciamolo chiaramente: i genitori hanno uguali diritti e doveri nei confronti dei figli e delle figlie».
Atleta incinta citata per danni Il club: "Difesa, mai richiesti". Una storia che avrà strascichi legali. Redazione - Mer, 10/03/2021 - su Il Giornale. Una storia che avrà strascichi legali. La giocatrice di pallavolo Lara Lugli, come rivelato dalla Gazzetta dello Sport, in un post su Facebook ha denunciato il contenzioso che la vede contrapposta al club in cui militava nella stagione 2018/2019 nel campionato di Serie B1: il Volley Pordenone. «Rimango incinta e il 10 marzo 2019 comunico alla società il mio stato e si risolve il contratto», così la giocatrice, rendendo noto che, purtroppo, il mese successivo avrebbe perso il bambino a causa di un aborto spontaneo. In seguito, la stessa avrebbe chiesto al club di saldare lo stipendio di febbraio (mille euro, ndr) «per il quale avevo lavorato e prestato la mia attività senza riserve». In risposta al decreto ingiuntivo, sarebbe arrivata una citazione per danni. Il Volley Pordenone ha fatto ieri alcune precisazioni sulla vicenda. «Come da contratto, che ricordiamo essere stato predisposto dall'atleta stessa e dal suo agente, si prevedeva l'immediata cessazione del rapporto in caso di gravidanza. Lo stesso contratto aveva al suo interno clausole che prevedevano addirittura delle penali in caso di cessazione del rapporto. Clausole che non abbiamo voluto esercitare perché non pareva opportuno farlo. Nessuno dunque ha citato per danni la Lugli. È stata la stessa atleta a chiedere e ottenere un decreto ingiuntivo perchè ritiene di avere dei crediti. Ci siamo sentiti traditi e abbiamo fatto l'unica cosa possibile: difenderci avvalendoci delle clausole contrattuali predisposte da lei stessa e dal suo procuratore. E non crediamo che la gravidanza sia un danno». Il sindacato giocatori esprime sostegno alla Lugli, Giorgio De Togni, presidente dell'Associazione italiana Pallavolisti ritiene «vergognosa la richiesta danni», Assist Associazione Nazionale Atlete scriverà al premier Draghi e al presidente 1 del Coni Malagò. «Non mi aspettavo che succedesse nello sport», così l'oro olimpico 2012 nel tiro a volo Jessica Rossi. «Vicenda che suscita rabbia, donne non tutelate», il pensiero della campionessa di tuffi Tania Cagnotto.
Vicenda raccapricciante. La storia di Lara Lugli, la pallavolista citata per danni dal club perché incinta: “Ho anche perso il bambino”. Giovanni Pisano su Il Riformista il 9 Marzo 2021. “Una donna se rimane incinta non può conferire un danno a nessuno e non deve risarcire nessuno per questo. L’unico danno lo abbiamo avuto io e il mio compagno per la nostra perdita e tutto il resto è noia e bassezza d’animo”. Con un duro messaggio su Facebook, la pallavolista Lara Lugli denuncia il contenzioso legale che la vede protagonista con il club in cui militava nel campionato di B1 2018/2019 a Pordenone. L’atleta racconta che nel marzo del 2019 ha comunicato alla società di essere incinta e quindi l’impossibilità a proseguire la stagione, risolvendo il contratto. In seguito, la stessa avrebbe chiesto al club di saldare lo stipendio di febbraio “per il quale avevo lavorato e prestato la mia attività senza riserve”. A distanza di due anni Lugli ha ricevuto una citazione per danni “per non aver onorato il contratto”. “Le accuse sono che al momento della stipula del contratto avevo ormai 38 anni (povera vecchia signora) e data l’ormai veneranda età dovevo in primis informare la società di un eventuale mio desiderio di gravidanza, che la mia richiesta contrattuale era esorbitante in termini di mercato e che dalla mia dipartita il campionato è andato in scatafascio”, scrive la donna che ha purtroppo perso il bambino “per un aborto spontaneo“. La pallavolista è stata citata per danni dal Pordenone perché avrebbe violato il contratto firmato nella stagione 2018-19 “vendendo prima la sua esperienza con un ingaggio sproporzionato e nascondendo poi la sua volontà di essere madre. Una scelta che ha portato la squadra a doversi privare di lei a stagione in corso, perdendo di conseguenza molti punti sul campo e infine anche lo sponsor”.
LA DENUNCIA COMPLETA – “Questa la breve storia triste. Peccato che non sia breve poiché a distanza di due anni, vengo citata dalla stessa Società per DANNI, in risposta al decreto ingiuntivo dove chiedevo il mio ultimo stipendio di Febbraio (per il quale avevo interamente lavorato e prestato la mia attività senza riserve). Le accuse sono che al momento della stipula del contratto avevo ormai 38 anni (povera vecchia signora) e data l’ormai veneranda età dovevo in Primis informare la società di un eventuale mio desiderio di gravidanza, che la mia richiesta contrattuale era esorbitante in termini di mercato e che dalla mia dipartita il campionato è andato in scatafascio. Ora…non ero a conoscenza del fatto che il mio procuratore usasse puntare un arma da fuoco alle tempie dei presidenti per firmare un qualsiasi contratto, stupida io che credevo che inviasse semplicemente una mail con le condizioni e qualora venissero ACCETTATE seguisse una firma. Poi…viene contestato l’ammontare del mio ingaggio troppo elevato ma poi accusi che dopo il mio stop la posizione in classifica è precipitata e gli sponsor non hanno più assolto i loro impegni. Ordunque il mio valore contrattuale era forse giusto? Inoltre…chi dice che una donna a 38 anni, o dopo una certa età stabilita da non so chi, debba avere il desiderio o il progetto di avere un figlio? Che mi prenda un colpo…non è che per non adempiere ai vincoli contrattuali stiano calpestando i Diritti delle donne, l’etica e la moralità? Scusate l’ironia su un fatto GRAVISSIMO come questo, ma non so in quale altro modo affrontare la cosa. Ammetto che alla lettura di quanto orridamente scritto, tra l’altro da un’avvocatessa, sia stata pervasa da un profondo senso di sdegno e volgare incazzatura, ma il Signore ha voluto che la stessa sera avessi allenamento e dopo 5 minuti che ero in palestra con la mia squadra e complice il bagherone del giovedì il sorriso tornasse sulla mia faccia. Ah perché se non lo sapete gioco ancora a 41 anni suonati e nessuno mi ha ancora trascinata per i capelli su un rogo. Il fatto grave comunque rimane perché anche se non sono una giocatrice di fama mondiale questo non può essere un precedente per le atlete future che si troveranno in questa situazione, perché una donna se rimane incinta non può conferire un DANNO a nessuno e non deve risarcire nessuno per questo. L’unico danno lo abbiamo avuto io e il mio compagno per la nostra perdita e tutto il resto è noia e bassezza d’animo”.
INTERROGAZIONE PARLAMENTARE – “Citata per danni dalla società della volley Pordenone. La colpa della pallavolista Lara Lugli è quella di essere rimasta incinta. Presenterò un’interrogazione. Ecco perché ieri, 8 marzo, dicevo che in Italia c’è poco da festeggiare e molto da lottare per la parità”. Queste le parole, via Twitter, di Laura Boldrini, deputata del PD.
LA TESTIMONIANZA DELLA CALCIATRICE – “Leggere la storia di Lara Lugli mi ha sconvolto. Io rispetto a lei sono stata più fortunata. Nel calcio grazie al lavoro dell’AIC e di associazioni come Assist, da un paio d’anni abbiamo un fondo per la maternità e proprio dopo il mio caso nei contratti è stato inserito che se resti incinta questo non perde validità”. Lo ha detto a LaPresse Alice Pignagnoli, portiere del Cesena di calcio femminile, tornata a giocare ad alti livelli 100 giorni dopo aver dato alla luce la piccola Eva. “Io mi sono trovata nella stessa situazione, ma la mia società mi ha pagato fino all’ultimo centesimo. Sono rientrata solo dopo l’ok dei medici e durante il percorso di rientro sono sempre stata coperta come se fossi infortunata. Non solo – ha aggiunto – ma la società mi ha messo a disposizione uno staff che mi ha consentito di tornare in campo così presto”. Il caso della pallavolista Lara Lugli ha riportato di attualità le differenze che ci sono ancora nel trattamento tra uomo e donna non solo nel mondo dello sport, ma del lavoro in generale. “Nello sport questa situazione si accentua, perchè il nostro corpo è lo strumento che ci serve per lavorare, ma nel mondo del lavoro in Italia c’è ancora la percezione che quando una donna diventa mamma poi non serva più”, ha detto a LaPresse la 32enne Alice Pignagnoli. Il portiere del Cesena ne approfitta per inviare un messaggio alla sua sfortunata collega. “Le dico di lottare per i propri diritti, perchè solo lottando ogni giorno insieme possiamo abbattere un piccolo muro e fare qualcosa di importante per le prossime generazioni”. Una tappa fondamentale verso la parità di diritti tra atleti uomini e donne sarà l’introduzione del professionismo. “Sarà un passo fondamentale, fa ridere pensare che nel 2021 ci sia ancora questa differenza tra uomini e donne. C’è un grande punto interrogativo, ma finchè non lo vedrò nero su bianco non ci credo. Spero che questa sia la volta buona”, ha concluso.
“SITUAZIONE VERGOGNOSA” – Oggi "Assist" (Associazione Nazionale Atlete) scriverà al presidente del Consiglio, Mario Draghi e al presidente del CONI, Giovanni Malagó, per chiedere che cosa intendano fare per mettere fine alla vergognosa situazione per la quale le donne italiane, non avendo di fatto accesso alla legge 91 del 1981 sul professionismo sportivo, vengono esposte a casi clamorosi come quello dell’atleta Lara Lugli: la società sportiva con cui giocava a pallavolo in serie B1 nella stagione 2018-2019 le ha chiesto giudizialmente i danni per essere rimasta incinta, accusandola di aver sottaciuto al momento dell’ingaggio della propria intenzione di avere figli e quindi di aver violato la buona fede contrattuale. Il suo contratto prevedeva la risoluzione del rapporto per giusta causa “per comprovata gravidanza”. Questo caso è emblematico perché l’iniquità della condizione femminile nel lavoro sportivo è talmente interiorizzata che non solo la si ritiene disciplinabile, nero su bianco, in clausole di un contratto visibilmente nulle, ma addirittura coercibile in un giudizio, sottoponendola a un magistrato, che secondo la visione del datore di lavoro sportivo, dovrebbe condividere tale iniquità come fosse cosa ovvia. In questa spregiudicata iniziativa si annida il vero scandalo culturale del nostro Paese, che è giunto al punto da obnubilare la coscienza dei datori di lavoro sportivi, fino a dimenticare cosa siano i diritti fondamentali delle persone. Questo caso non solo non è unico e non riguarda certo solo il Volley, ma evidenzia una pratica abituale quanto esecrabile e indegna, denunciata da 21 anni dalla nostra Associazione. In forza di questa consuetudine le atlete degli sport di squadra o individuali, non appena incinte, si vedono stracciare i loro contratti, rimanendo senza alcun diritto e alcuna tutela. Ciò anche quando non vi sia in presenza di una esplicita clausola anti maternità che, prima delle denunce di Assist, era la norma nelle scritture private tra atlete e club. Pur avendo ottenuto due anni fa un piccolo intervento a supporto delle atlete, con l’istituzione del Fondo per la maternità (mille euro per 10 mesi), la realtà mostra con violenta evidenza che, non esistendo il diritto a vedere riconosciuto il lavoro sportivo, se non esclusivamente quando accordato in modo unilaterale dai datori di lavoro (Club e Federazioni sportive, come ancora recita la Riforma), nei fatti le atlete (di tutti gli sport) e gli atleti delle discipline ancora non professionistiche, sono condannati a rapporti di lavoro nero e alla complicità forzata in una logica di economia sommersa. Per queste ragioni, sulla scorta delle chiare promesse fatte dal neo presidente del Consiglio Draghi, chiediamo un incontro con lui e con il presidente Malagò, affinché questi deprecabili cortocircuiti nello sport italiano, di cui tutti e tutte sono a conoscenza, siano una volta per tutta affrontati e risolti. Assist rilancerà inoltre una petizione sulla piattaforma Change.org per la quale erano state già raccolte oltre 25mila firme contro il professionismo negato alle donne e ha chiesto alle e ai Parlamentari di presentare interrogazioni a riguardo.
Alessia Pittoni per “la Stampa” il 16 maggio 2021. È destinata a far parlare ancora di sé Lara Lugli. La pallavolista 41enne era stata citata in giudizio dalla sua ex società, il Pordenone Volley, dopo che la stessa atleta aveva richiesto un'ingiunzione di pagamento per l'ultimo mese nel quale aveva giocato in B1 prima di interrompere il contratto perché in gravidanza. Il club friulano in extremis ha ritirato la citazione. Il tutto a pochi giorni dall'udienza fissata per martedì prossimo e che avrebbe visto l'atleta in tribunale perché con la sua maternità avrebbe danneggiato la stagione sportiva del club. «È una grande vittoria per tutti ed era molto importante che questa causa non entrasse nemmeno in un tribunale a dimostrazione della sua infondatezza. È un forte segnale per le donne, non solo atlete, che si trovano a dover affrontare queste situazioni assurde».
Lugli, si aspettava questo esito?
«Me lo aspettavo qualche mese fa, prima che la notizia uscisse sui media. Ma va bene così, il fatto che la vicenda non sia entrata in un'aula di tribunale è un forte segnale».
Ha pensato di non accettare e lasciare l'ultima parola al giudice?
«A dire il vero no perché credo che il club avesse capito che non c'erano le ragioni per andare avanti. Non avevo paura di un risultato contrario ma è stato meglio chiuderla così».
Che messaggio sente di mandare alla sua ex società di Pordenone?
«Sono delusa perché mi hanno conosciuto prima di questa vicenda e sono sicura di aver dato sempre il massimo. Mi delude e mi rattrista constatare che forse i rapporti che avevamo instaurato non fossero genuini».
Quello che è successo cambierà il suo percorso personale?
«Sicuramente, perché non sono stati mesi facili. Il pressing, anche mediatico, è stato pesante, su una vicenda delicata e privata. Ho capito tanto di chi mi sta intorno, quali sono le persone di cui mi posso fidare. Sono contenta anche di essere andata avanti con coraggio in un tema che tocca tutte le donne, ho acquisito fiducia in me stessa».
La presidente di Assist, l'Associazione nazionale atlete, ha detto che spera di vederla ancora lottare con loro. Che ne pensa?
«Staremo a vedere. Sono una persona che le ingiustizie le affronta sempre in questo modo. Se mi chiedono un aiuto io sono disponibile».
Il nocciolo della questione è legato al professionismo. Cosa proporrebbe?
«La situazione è complessa ma di facile soluzione: basta riscrivere tutto. Le società mettono sempre davanti la questione economica e questo non va bene perché lo sport è l'unico ambito nel quale gli interessi del datore di lavoro e la sua capacità di sostenere i costi sono anteposti ai diritti dei lavoratori. Se si volesse risolvere la questione professionismo i soldi si troverebbero e potremmo avere le tutele che mancano».
Ma a chi dice che le atlete non professioniste godono comunque di rimborsi spese sostanziosi per un impegno limitato e con molte spese sostenute dalla società, come risponde?
«Ho sulle spalle 25 anni di pallavolo di alto livello, che non mi hanno lasciato nemmeno un contributo per la pensione. In A2 e in B1 l'impegno richiesto è di due allenamenti giornalieri con gara il sabato o la domenica e un giorno libero la settimana. Di fatto non puoi pensare di avere, parallelamente, un'altra attività professionale».
Come valuta la posizione della Federazione pallavolo?
«Si stanno muovendo lentamente. Non si sono esposti tanto sulla mia vicenda che certamente li ha messi con le spalle al muro. Dobbiamo valutare, se saranno interventi di facciata lo capiremo subito».
Ha raccontato in tv dei contatti avuti con il Comitato olimpico.
«Ho ricevuto telefonate private dai vertici del Coni, mi hanno inizialmente fatto molto piacere, mi hanno detto che erano indignati. Ma dopo le telefonate non è successo nulla. Nessuna dichiarazione ufficiale».
Se si prospettasse qualche ruolo all'interno del mondo dello sport? «Magari, ma non per ambizione ma perché lo sport mi ha dato tanto e sarei felice di dare qualcosa in cambio».
Da "tgcom24.mediaset.it" il 9 marzo 2021. Ha scelto di celebrare le donne con una bellissima foto del suo pancione nudo. Laura Barriales è al sesto mese, in dolce attesa di un maschietto dopo la primogenita avuta dal marito Fabio Cattaneo, e posa con addosso solo un paio di jeans. Completamente nuda davanti allo specchio Chiara Ferragni è al countdown: tra pochi giorni terrà tra le braccia la sua piccolina ma intanto posa con le curve in bella vista. E poi ci sono Cristina Chiabotto, Belen Rodriguez, Flora canto, Emily Ratajkowski, Elisa Di Francisca…Chiara ha aspettato il ritorno del marito da Sanremo prima di postare lo scatto senza veli davanti allo specchio: è l’aggiornamento per i follower in cui avvisa di essere alla 37esima settimana. Ora che Fedez è accanto a lei, ogni giorno è buono per l’arrivo della baby-Ferragnez. “Non aspettiamo che te, Luce Maria” scrive Cristina Chiabotto che posta nelle Stories i suoi allenamenti col pancione in attesa di poter vedere la sua primogenita. Lei e il marito Marco Roscio sono al settimo cielo. Manca poco al parto anche per Elisa Di Francisca. La campionessa olimpica è in attesa del secondogenito. Faranno il bis anche Aldo Montano e l’atleta russa Olga Plakhina e pure Flora Canto con Enrico Brignano. Poi c’è l’esplosiva Emily Ratajkowski. Per la modella e influencer è il primo figlio e i post sulla crescita del suo pancione non si contano. Pubblica scatti osè completamente nuda in cui mostra le sue forme floride, il décolleté bombastico, il ventre che lievita e il suo fisico sempre estremamente sensuale. Sfoglia la gallery e guarda i pancioni nudi e non…
Dario Del Porto e Conchita Sannino per “la Repubblica” il 26 febbraio 2021. Potrà diventare madre grazie a un embrione congelato del suo ex marito. Nonostante quel matrimonio sia finito. E a dispetto del parere contrario dell' uomo, che ormai ha un' altra vita e un' altra donna. Storia di una coppia che ha combattuto in Tribunale e di una decisione che interroga temi di diritto costituzionale e bioetica. «Tra il non nascere e il nascere in una famiglia di genitori separati, deve ritenersi prevalente la seconda opzione», scrive il giudice di Santa Maria Capua Vetere Giovanni D' Onofrio nell' ordinanza, poi confermata dal collegio. «La mia è stata una battaglia anche per tante altre donne: credo in coscienza di aver fatto qualcosa di utile per quelle donne nella mia situazione, e per i tanti concepiti in provetta congelati, a cui la legge fino ad oggi non consentiva alternative », commenta emozionata Carola, la 43enne casertana che ha chiesto agli avvocati Gianni Baldini e Rosaria Zema di assisterla in questa vertenza unica in Italia. Inizia tutto nel 2018. La coppia ha già attraversato un primo periodo di crisi che aveva spinto il marito a chiedere la separazione. Poi i due si riconciliano. E scelgono «in pieno accordo», sottolineano i magistrati, di sottoporsi a un ciclo di procreazione assistita. Problemi di salute impediscono di procedere all' impianto, così l' ospedale congela gli embrioni in attesa del miglioramento delle condizioni di Carola. A settembre 2019, i rapporti fra i coniugi si deteriorano definitivamente. È separazione. Ma la donna vuole ugualmente quel bambino, "pensato" quando erano una coppia. Cerca di convincere il marito a dare via libera all' impianto. Lui si oppone. E lei si rivolge al Tribunale sammaritano. Che le dà ragione due volte, sia in sede monocratica che collegiale, con un provvedimento d' urgenza giustificato dall' età di Carola: i tempi della procedura ordinaria finirebbero infatti per «pregiudicare in maniera irreversibile le aspettative di maternità». Per il giudice D'Onofrio, sono «prevalenti il diritto dell'embrione a nascere; e la tutela delle esigenze della procreazione, rispetto al diritto del genitore. La legge consente di revocare il consenso fino alla fecondazione, non dopo. Quanto al presupposto che questo avvenga all'interno di un rapporto di coppia, il magistrato rileva che «nel momento in cui le parti avevano prestato il loro consenso», peraltro «reiterato fino a maggio 2019», la coppia «pacificamente esisteva». Secondo questa interpretazione, condivisa dal collegio presieduto da Raffaele Sdino, «la genitorialità spetta» ai coniugi che, pur separati, continuano a «garantire un padre e una madre al nascituro». Afferma l' avvocato Baldini: «Risulta irrilevante la circostanza che il rapporto familiare e coniugale sia venuto meno con la separazione. La donna potrà comunque procedere al tentativo di gravidanza. In caso di nascita del figlio, l' ex marito sarà riconosciuto come padre legittimo». Il legale sa benissimo che questa decisione, accolta con estrema cautela anche da due presidenti emeriti della Consulta come Francesco Paolo Casavola e Giuseppe Tesauro, «è destinata a far discutere per i molteplici profili giuridici ed etico-sociali e per il potenziale impatto sulle tante coppie che si separano e hanno embrioni crioconservati». Carola (il nome è di fantasia) ricorda che la sua scelta «non è stata a cuor leggero. Ma credo che non sia giusto venire meno alle proprie responsabilità genitoriali. Sono contenta che il giudice abbia riconosciuto a me ed a nostro figlio, per ora solo concepito, il diritto almeno di provarci».
Simona Bertuzzi per “Libero quotidiano” il 26 febbraio 2021. Quando nel reparto neonatale dell'ospedale San Paolo di Milano mi diedero della "primipara attempata", confesso che avrei volentieri preso a calci l' infermiera e stracciato le sue maledette tabelle. Tuttavia, con i miei 36 anni di età e il mio pancione prominente, ero veramente una matusalemme davanti alle giovani - moltissime straniere - che battezzavano il 3° o 4° figlio a 30 anni. Lo dico perché leggere che in Italia si diventa madri a 31 anni mi ha quasi confortato, e non ho subito compreso che stranezza ci fosse. La stranezza invece esiste, eccome. Basta guardare i dati degli altri Paesi europei. Secondo una ricerca Eurostat, l' età media delle donne al momento del parto del primo figlio in Europa sta gradualmente aumentando e si attesta a 29,4 anni nel 2019. In Italia la crescita è stata dello 0,5 % rispetto al 2018, significa che le donne partoriscono a 31,3 anni, dato più alto in assoluto (vicini a noi solo Spagna e Lussemburgo). In Estonia invece si arriva a 28,2 anni (erano 27,2 nel 2015), Bulgaria e Romania addirittura gongolano con i loro 26 anni di media. Chiaramente 31 anni è un grosso calderone che tutto comprende, le mamme mature del nord Italia e quelle giovanissime del sud.
IL WELFARE. Ma il problema non è stabilire se una donna possa essere una brava mamma a 40 piuttosto che a 29 anni. Il problema è capire perché una donna italiana aspetta di diventare attempata per mettere al mondo un figlio. E qui tocca disturbare un insieme di concause. Il welfare anzitutto. In Italia non esiste una rete di sostegno alle donne con figli e lavoratrici. Si calcola che siano dieci milioni le donne con un figlio minorenne, ma il 43,2% tra i 25 e i 49 anni non risulta occupata perché è impossibile conciliare vita e lavoro. Non solo. Buona parte di quelle che lavorano e hanno un figlio (il 40,9%) sono costrette a scegliere un regime di part-time pur di continuare ad avere un' occupazione lavorativa, possibilità che non viene neanche presa in considerazione da alcune società, mentre in altri casi è la donna che non può richiederlo perché non ha un compagno che possa sopperire col suo stipendio. Le aziende - salvo pochissime - non aiutano abbastanza le dipendenti, lo Stato non offre sussidi adeguati, le baby sitter costano un occhio della testa (anzi, lo stipendio). E i pochi nonni rimasti disponibili sono stati imbavagliati e paralizzati da questa maledetta pandemia. Sulla carta sono tutti disposti a dare una mano alle giovani mamme e si moltiplicano i piani per il sostegno alla maternità. Nella realtà una donna è più che mai sola. Tutto è lasciato al caso, al beau geste del singolo datore di lavoro e alla fortuna. O disponi di finanze adeguate, o sei costretta a fare giri stralunati. Per non dire della mentalità dominante in troppi posti di lavoro: sei mamma quindi non puoi fare carriera, o puoi tentare ma non sarai mai abbastanza dedita al lavoro. Naturalmente questo si aggiunge alla precarietà di molti impieghi. Se fino a qualche anno fa una coppia di 40 anni poteva cominciare a tirare i remi in barca e a cogliere i frutti di tanti anni di sacrifici, adesso si barcamena con il mutuo, un lavoro incerto, spesso precario, una sfilza lunga così di spese da sostenere. Quindi le coppie aspettano l' ultima chiamata utile per mettere al mondo un figlio.
OROLOGIO BIOLOGICO. A ciò si aggiunga che viviamo in una società in cui le donne, come gli uomini, sono propensi a godersela fino in fondo. L' orologio biologico batte, ma per loro batte più forte quello dell' aperitivo e dell' ultima conquista da fare. Che poi l' uomo o la donna prescelti non sono mai all' altezza della situazione, non esiste il principe azzurro figurarsi il marito e il padre perfetto. Gravissimo poi un fatto personalmente riscontrato in moltissime signore e uomini, la convinzione di vivere una specie di immortalità e aver tempo fino a chissà quando prima di mettere al mondo un bambino. Ho sentito donne di 40 anni dire che ci stanno «seriamente pensando ma dai è presto» e altre di 45 prendersi un altro anno sabbatico scevro di impegni e responsabilità e poi si vedrà. Forse sarebbe il caso di cominciare a porre l' attenzione su un fatto ineluttabile. E cioè che mentre la comunità scientifica cerca disperatamente il siero dell' immortalità e l' età anagrafica si allunga di qualche anno, quella della fertilità non ha ancora trovato rimedi miracolosi e alternative serie, a parte quella di una fecondazione assistita che però non tutte le coppie sono intenzionate e nelle condizioni di fare. Chi cerca un figlio dopo i 35 anni dovrebbe sapere (lo dicono i medici) che con l' età aumentano i rischi di infertilità, di aborto spontaneo e di anomalie cromosomiche del feto. E che un' eventuale gravidanza dopo i 35 sarà per definizione a rischio. Diminuisce la fertilità della donna ma anche quella dell' uomo. E le possibilità di rimanere incinta a 40 anni rispetto a una donna di venti si dimezzano. Quanto alle anomalie cromosomiche sapete, andrebbe fatta molta più informazione. Il rischio di avere un bambino con sindrome di Down, per esempio, passa da uno su 1500 a 20 anni a uno su 100 a 40. Eppure siamo bombardati di storie e racconti di donne che si accomodano alla maternità quando più garba loro e pensano che il partorire a 50 o 54 anni come ha fatto qualche vip possa addirittura diventare la normalità.
LO SLOGAN. Senza considerare le ripercussioni sui bimbi. Partorire a 45 anni vuol dire essere nell' età della pensione quando i figli saranno adolescenti. Uno strazio. «La bellezza non ha età, la fertilità sì», diceva lo slogan voluto nel 2016 dall' allora ministro della salute Beatrice Lorenzin per la campagna sulla fertilità e andò a finire che tutti le diedero addosso. L' accusarono addirittura di visione retrograda e di fare una campagna da Ventennio. Ma aveva ragione lei. Solo che la verità fa male e in questo Paese piace far finta di niente. Un ultimo dato: nel 2019 in Italia sono nati 420.084 bambini, quasi 20mila in meno rispetto al 2018 (-4,5%) per il settimo anno consecutivo. Cominciamo a chiederci perché.
· Mai dire…Figli.
Angela Gennaro per open.online il 14 dicembre 2021. Riconoscere i diritti dei bambini e delle bambine figli di due persone dello stesso sesso anche nei Paesi in cui non è possibile avere due mamme o due papà: è quanto sancisce la Corte di giustizia dell’Unione europea in una sentenza appena resa pubblica. Il caso è quello di una bambina nata nel 2019 in Spagna, figlia di due mamme di cui una è cittadina bulgara, mentre l’altra è nata a Gibilterra. Le due donne vivono in Spagna dal 2015 e sono sposate dal 2018. L’atto di nascita della bimba, rilasciato dalle autorità spagnole, menziona le due madri come genitori. E per la Corte lo Stato di cui la piccola è cittadina – la Bulgaria in questo caso – è obbligato a rilasciarle un documento di identità, senza richiedere un atto di nascita da parte delle sue autorità nazionali (impossibile, perché l’ipotesi di genitori dello stesso sesso non è previsto). Basta quello spagnolo con le due mamme. E la bambina ha diritto, con ciascuna di loro, di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio dell’Unione.
La vicenda
V.M.A., mamma bulgara, aveva chiesto al comune di Sofia di rilasciarle un atto di nascita, ricostruisce una nota della Corte, necessario per ottenere un documento d’identità bulgaro per la figlia. La donna ha per questo presentato una traduzione in lingua bulgara, legalizzata e autenticata, «dell’estratto del registro dello stato civile spagnolo relativo all’atto di nascita». Il Comune di Sofia ha chiesto alla donna di fornire prove relative «alla filiazione di S.D.K.A., in relazione all’identità della madre biologica». Il modello di atto di nascita bulgaro prevede infatti una sola casella per la «madre» e un’altra per il «padre» – con lo spazio per un solo nome in ciascuna casella. La mamma non ha voluto fornire questa informazione e il comune ha negato la richiesta di atto di nascita, aggiungendo «che la menzione in un atto di nascita di due genitori di sesso femminile era contraria all’ordine pubblico bulgaro, che non autorizza il matrimonio tra due persone dello stesso sesso», si legge ancora nella ricostruzione della Corte. Da qui la battaglia giudiziaria arrivata fino alla sede della Corte di giustizia dell’Unione europea – che ha il compito di garantire «l’osservanza del diritto comunitario nell’interpretazione e nell’applicazione dei trattati fondativi dell’Unione europea» – in Lussemburgo.
Cosa accade in Europa
Il dibattito sui diritti delle famiglie arcobaleno non ha caratterizzato solo (alcune) fasi della vita politica italiana, ma resta sul tavolo dell’intera Unione. Il 16 settembre del 2020 l’allora neo-presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen aveva deciso, nel suo discorso sullo stato dell’Unione all’Europarlamento, di parlare proprio dei diritti delle famiglie con due mamme o due papà come uno degli ambiti della sua azione. «Chi è genitore in un Paese, è genitore in ogni Paese», aveva detto. Un’impostazione contro cui fanno appello i paesi sostenitori della sovranità nazionale, ricordando che il diritto di famiglia non è materia Ue ma dei singoli stati. Uno studio dello scorso marzo, commissionato dal Dipartimento tematico Diritti dei cittadini e affari costituzionali del Parlamento europeo su richiesta della Commissione per le petizioni, ha scattato una fotografia sugli ostacoli che le famiglie arcobaleno si trovano ad affrontare quando tentano di esercitare i loro diritti di libera circolazione all’interno dell’Ue e sui modi in cui i singoli stati trattano le coppie dello stesso sesso sposate, le coppie registrate civilmente, le coppie non registrate civilmente e i loro figli nelle situazioni “transfrontaliere”. Dal report emerge che una «minoranza di Stati membri» continua a non riconoscere le coppie dello stesso sesso – sposate, in un’unione civile o non registrate civilmente – «che giungono sul loro territorio da un altro Stato membro come coppie», né riconoscono che entrambi i componenti della coppia sono eventualmente «legalmente i genitori dei figli e delle figlie, anche quando sono stati riconosciuti tali nello Stato membro dal quale provengono o al quale stanno facendo ritorno». Attraversare il confine, insomma, dignifica la fine dell’esistenza legale di quel nucleo famigliare, nonché del diritto a entrambi i genitori da parte di bambini e bambine. In sei stati – Bulgaria, Croazia, Cipro, Repubblica Ceca, Grecia, Ungheria, Lettonia, Lituania, Polonia, Romania e Slovacchia – «un minore non può avere come genitori legali due donne o due uomini», si legge. E le coppie dello stesso sesso non possono adottare figli insieme e sono escluse dall’adozione da parte del secondo genitore, «il che implica che non riconosceranno neppure la filiazione nelle famiglie arcobaleno che giungono sul loro territorio provenendo da altri Stati membri». In Italia, si ricorda nel report, «le coppie omosessuali non sono riconosciute come cogenitori» del bambino o della bambina «e l’adozione da parte di un genitore acquisito non è espressamente autorizzata dalla normativa, ma è stata consentita dalla giurisprudenza».
Fine congedo mai. La risposta all’esibizionismo dei genitori social è una sola: dateci più asili. Assia Neumann Dayan su l'Inkiesta il 26 novembre 2021. Anziché applaudire la deputata inglese che porta il figlio in Parlamento, o quella che insulta il marito su TikTok per averle usurpato il ruolo di best parent, ecco una proposta modesta che consente a padri e madri di unire la cura della prole al bisogno di lavorare. Senza eroismi. Ma io perché devo stare qui a spaccarmi la testa con la mia verità quando potrei monetizzare il sentimento popolare? Non voglio diventare ricca? Perché nessuno mi ha ancora commissionato il grande romanzo sulla genitorialità che tutti stanno aspettando? Non voglio diventare il soggetto di una serie malincomica di Netflix? Dio, perché mi hai fatto così scema? L’altro giorno ho letto che la sceneggiatura di “Ritorno al futuro” è stata rifiutata 40 volte prima di andare in produzione. Sono altresì convinta che siano storie come questa che fanno dire agli incapaci quanto sia ingiusto che i loro romanzi prendano polvere nel cassetto: non sono io che non so scrivere, sono loro che non sanno leggere. Ma adesso basta, mica sono un’incapace, io. Se voglio fare i soldi, ottenere consensi, posizionarmi bene, devo parlare delle cose che stanno a cuore all’attivismo social. Partirò facile, parlerò del privilegio: termine largo, generalista, da prima serata. Meglio che il privilegio riguardi i maschi, così riesco a coprire sia il target femministe che il target mamme: l’intersezione tra i due insiemi pare che sia in grado di generare il polonio. Ricordiamo che il polonio è stato scoperto da Marie Curie: donna, mamma, Nobel. Un caso? Io non credo. Parliamo di privilegio paterno. Mamme, colleghe, Nobel, diciamo basta ai padri che passano per eroi per aver cambiato il pannolino a vostro figlio, che incidentalmente è spesso anche loro. Ho letto di questo post che circola, i più posizionati di me dicono “virale”, di una mamma americana, Chloe, che si è risentita perché dopo aver postato la foto di suo marito con i figli «mentre le dava una mano», lui è stato definito martire, eroe, indispensabile aiuto, scroscio di applausi dai tinelli. Non bisogna mai dire che un papà «sta dando una mano». Mai. Vi cancellano. Vi bloccano. Vi fanno gli screenshot, li ritagliano a forma di patriarcato e ve li appendono alla porta. Voi dovete dire che il padre fa il padre. Poi dovete dire, guardate che brava, che il lavoro di cura va equamente diviso tra la coppia. Che bisogna estendere il congedo parentale paterno. Sentite qua che brava, che genio, che mentalità: facciamo un congedo parentale perpetuo. Credete che i figli smettano di avere bisogno di noi dopo qualche mese? Vi sbagliate di grosso. Credete che lascerò che il mio lavoro di cura finisca quando mio figlio se ne andrà di casa? E perché mai di grazia dovrebbe andarsene di casa? Forse per prendere una casa un pochino più piccola, solo per lui e per sua madre, una madre che lo manterrà con il congedo parentale perpetuo. Marie Curie, se per cortesia ti levi, te e i tuoi premi svedesi. Tornando a Chloe, fa tutta questa tirata dicendo che il marito ha un lavoro, mentre lei ha un’impresa. Una pasticceria. «My husband has a job. I have a business». Mentre questo pezzo è in scrittura, lui non ha ancora chiesto il divorzio. Per mesi si è fotografata con chili di burro e farina sulle spalle e il pancione di 9 mesi, poi arriva questo maschio che sta con i figli per dodici minuti e boom, tutto quel dimostrare di essere mamma e imprenditrice e pasticciera non è servito a niente, e se questa non è cancel culture io davvero non capisco più il mondo. Chloe, che non è scema come me, dopo questo video TikTok è stata chiamata per interviste nei morning show, ha raggiunto il milione e fischia di follower, i suoi dolci sono andati sold out. Devo immediatamente farmi un account TikTok e infamare i miei familiari. Ieri la deputata laburista Stella Creasy si è presentata in Parlamento con il figlio di 3 mesi in fascia. Le era stato ricordato via mail, e già mi pare incredibile che vada fatto un promemoria a riguardo, che no, i figli al lavoro non te li puoi portare, perché questo Parlamento non è un kinderheim. Lo sappiamo tutti che con i figli intorno non si riesce a lavorare, giusto? Ma dove ci porterà questo essere così fuori dalla realtà? Per rivendicare cosa, che sono finite le babysitter? La deputata si chiede cosa mai dovrebbero fare le madri lavoratrici. Pagare una tata, ad esempio? Mandarlo all’asilo? Darlo al padre? Il problema di Creasy è che il bambino è troppo piccolo e va allattato, e poi che i parlamentari non sono riconosciuti come dipendenti e quindi lei non ha il congedo di maternità. Quindi che battaglia è? Personale? Universale? Trasversale? Sapete cosa bisognerebbe fare? Gli asili nido. Gratuiti. Garantiti. Pure montessoriani se volete. Non le ciclabili, gli asili nido. No, non vi dovete portare i figli in fabbrica o in ufficio o in Parlamento, li dovete portare all’asilo. La gente non tornerà a fare figli per questo, ma almeno chi li ha riuscirebbe a lavorare. E adesso che mi sono resa presentabile voglio vedere se non mi offrono almeno un posto da consigliere comunale, anche se ho scritto quella cosa sulle ciclabili.
Rimini, bimbo morto per il seggiolino fissato male: indagati i genitori. Il terribile incidente nel 2019, poi le indagini della Procura e le perizie. Enea Conti su Il Corriere della Sera il 10 novembre 2021. Due genitori – padre di quarantasettenne e madre trentaduenne, entrambi di origine marocchina – rischiano di finire sul banco degli imputati per la morte del loro figlioletto di due anni, deceduto in seguito a un terribile schianto alla periferia di Rimini nel marzo del 2019. I due, infatti, sono stati iscritti nel registro degli indagati. Il sinistro fu un frontale drammatico: genitori e bimbo procedevano in carreggiata a bordo della loro golf quando una Fiat Punto guidata da una ventitreenne riminese sopraggiunse nella direzione opposta: parte della colpa secondo il rapporto della Polizia Locale è infatti da attribuire alla ragazza. Ma nei guai – l’ipotesi è quella di omicidio stradale – rischiano di finire anche i due genitori in seguito alle indagini della Procura riminese.
Due perizie
Ora che la Procura le ha concluse il rischio di rinvio a giudizio è assai concreto. I due genitori non erano stati iscritti subito al registro degli indagati ma la perizia del consulente nominato dal pubblico ministero ha acceso i riflettori sul seggiolino su cui il bimbo era stato fatto sedere durante il viaggio: secondo il perito è verosimile che il piccolo non fosse stato assicurato in maniera corretta e che questa eventuale disattenzione abbia di fatto giocato un ruolo nel decesso del figlioletto della coppia. Dubbi su questo fronte erano stati avanzati anche dagli agenti della Polizia Locale. In seguito all’incidente le due auto si erano accartocciate, tanto violento fu l’impatto (sia i genitori che la ragazza se la cavarono malgrado le ferite e traumi). Ma c’è una altra perizia di parte, quella condotta dall’esperto nominato dalla difesa che esclude di fatto che il seggiolino era stato assicurato secondo le norme vigenti. Nelle prossime settimane la coppia conoscerà l’esito delle indagini.
La versione del papà
A raccontare la versione del padre è l’avvocato Maria Riveccio. «Dopo lo schianto era sceso dall’auto per sincerarsi delle condizioni del figlio. Ha slacciato la cintura che assicurava il seggiolino al sedile, ha ruotato il seggiolino verso di sé con i piedi del bimbo rivolti verso la porta e ha provato a scuoterlo, ma era privo di sensi. A quel punto ha avuto un mancamento mentre la mamma era bloccata in auto. La Golf procedeva ai 30 chilometri orari».
"Seggiolino fissato male". E ora i genitori sono indagati per la morte del figlio. Rosa Scognamiglio il 10 Novembre 2021 su Il Giornale. Una coppia di genitori rischia di finire a processo per omicidio stradale. Secondo gli inquirenti il figlioletto sarebbe morto per via del seggiolino fissato male ai sedili dell'auto. Hanno perso il figlio di due anni in un terribile incidente e ora rischiano di finire a processo con l'ipotesi di reato per omicidio stradale. Un dramma nella tragedia quello di due giovani genitori che oltre a schermarsi dal dolore per la perdita prematura del loro bimbo dovranno difendersi anche da un carico di accuse pesantissime. Secondo quanto riporta Il Messaggero, i pubblici ministeri ritengo che il seggiolino su cui era seduto il piccolo non era stato fissato bene al sedile posteriore. "Il decesso si poteva evitare", sostengono facendo ricadere sulla coppia una parte di responsabilità per l'accaduto.
L'incidente
Una Golf col muso schiacciato e il paraurti completamente staccato. Poco distante dalla vettura incidentata, una Fiat Punto Bianca col cofano sollevato: il motore è schizzato via durante l'impatto ed è finito chissà dove. Lì, lungo via Coriano, a Rimini, ci sono detriti di automobile disseminati ovunque quel maledetto 19 marzo 2019. Tra le lamiere giacciono i corpi agonizzanti di quattro persone: tre sono adulti, l'altro è un bimbo di soli due anni che piange e si dispera dal dolore. Un passante allerta i soccorsi. Nel giro di pochi minuti, la strada è chiusa al traffico per un grave incidente stradale. Tutt'attorno è un viavai di sirene: ambulanze, volanti della polizia e camion dei Vigili del Fuoco. In un campo poco distante dal teatro del tragico impatto atterra un elisoccorso. Il mezzo decolla rapidamente in direzione Cesena con a bordo il bimbo. Quando giunge al pronto soccorso dell'ospedale, le sue condizioni sono critiche. I medici tentanto di strapparlo alla morte ma il piccolo muore dopo tre giorni di lenta agonia. L'inizio di un'odissea per i genitori della giovanissima vittima, sopravvissuti allo schianto.
L'indagine per omicidio stradale
Passano due anni e quei genitori ora rischiano di finire a processo. Secondo i pubblici ministeri incaricati del caso, il seggiolino del bimbo non era stato assicurato bene al sedile posteriore dell'auto, circostanza che avrebbe contribuito al decesso del piccolo. Ma per i consulenti nominati dalla procura, le responsabilità dell'incidente sarebbero da attribuire al conducente dell'altra vettura: è indagato per omicidio stradale. L'avviso di garanzia, con la stessa ipotesi di reato, è imputato anche ai genitori del piccolo. I giudici dovranno decidere se richiedere il processo per la coppia, ancora sotto choc per la perdita prematura del loro primogenito. La battaglia legale tra le parti coinvolte si consumerà a suon di perizie e memorie difensive. Sullo sfondo, una tragedia che non troverà né pace né giustizia in un'aula di tribunale.
Rosa Scognamiglio. Nata a Napoli nel 1985 e cresciuta a Portici, città di mare e papaveri rossi alle pendici del Vesuvio. Ho conseguito la laurea in Lingue e Letterature Straniere nel 2009 e dal 2010 sono giornalista pubblicista. Otto anni fa, mi sono trasferita in Lombardia dove vivo tutt'oggi. Ho pubblicato due romanzi e un racconto illustrato per bambini. Nell'estate del 2019, sono approdata alla redazione de IlGiornale.it, quasi per caso. Ho due grandi amori: i Nirvana e il caffè. E un chiodo fisso...La pizza! Di "rosa" ho solo il nome, il resto è storia di cronaca nera.
Se una coppia di due mamme ha una figlia in ospedale: "Per lo Stato mia moglie è un'estranea". La Repubblica il 9 novembre 2021. Nel 2017 Alessia e Fabiana hanno deciso di unirsi civilmente e di avere due bambini, due gemelli, Enea e Artemisia, di quattro anni e mezzo. La piccola, tuttavia, è affetta da una malattia neurologica grave e progressiva, la sindrome di Rett, che la costringe a fare dentro e fuori dagli ospedali. Ed è qui che nascono i problemi per la coppia di mamme, racconta Alessia Tilesi. Solo lei, infatti, viene riconosciuta come genitore legale di Artemisia, in quanto madre biologica. La moglie, invece, per lo Stato italiano risulta una perfetta estranea, e pur passando la maggior parte del suo tempo con la bambina, non può essere lei ad accompagnarla in ospedale, a firmare i documenti, a parlare con i medici. “Già siamo una famiglia devastata”, si lascia andare Alessia, “tutto questo viene vissuto come un accanimento”. Questo perché l’unione civile, a differenza del matrimonio, lega soltanto la coppia di persone che accedono a questo istituto, spiega l’avvocato Vincenzo Miri, presidente di Rete Lenford, l'avvocatura per i diritti lgbt+. “Quindi i figli nati nell’ambito dell’unione civile non sono automaticamente figli delle coppie che si sono unite civilmente”, precisa. Servizio di Camilla Romana Bruno e Pasquale Quaranta
Elena Tebano per il Corriere.it il 6 novembre 2021. Il Tribunale ha ordinato al Comune di Milano di trascrivere integralmente, cioè di riconoscere a pieno titolo, l’atto di nascita con due padri di un bambino nato negli Stati Uniti grazie alla maternità surrogata. Il bimbo è figlio di un italiano e di un americano, regolarmente registrati come suoi genitori negli Stati Uniti. I giudici, basandosi su un’importante decisione della Corte Costituzionale di gennaio, hanno dichiarato illegittimo il rifiuto del Comune di riconoscere il bimbo come figlio alla nascita di entrambi i padri. E hanno riaperto la questione della tutela dei bambini delle coppie gay. Il Comune di Milano nel 2018 aveva iniziato a registrare alla nascita i figli delle coppie di donne lesbiche concepiti grazie alla fecondazione eterologa effettuata all’estero, ma non quelli dei padri (a differenza di altre amministrazioni, come Torino). Poi a partire dal 2020, dopo la sentenza della Corte di Cassazione a sezioni unite che indicava «l’adozione in casi speciali» come via privilegiata per il riconoscimento dei figli di gay e lesbiche, aveva smesso del tutto con il riconoscimento alla nascita. Mentre quest’ultimo è immediato e avviene con una semplice firma all’anagrafe, l’adozione in casi speciali, chiamata anche stepchild adoption, deve essere fatta per ordine di un giudice, dopo un’istruttoria con una perizia dei servizi sociali, e prevede diritti/doveri limitati rispetto alla piena genitorialità. Rischia quindi di creare figli di serie B, con meno diritti nei confronti dei loro genitori. Ed è per questo che a gennaio è intervenuta la Consulta per intimare al legislatore di tutelare appieno questi bimbi, altrimenti meno garantiti.
Bloccati negli States per mesi
Nel caso dei due papà di Milano la minor tutela aveva avuto conseguenze pratiche evidenti. «Nostro figlio è nato durante la pandemia: senza la trascrizione non poteva avere subito la cittadinanza italiana e quindi neppure i documenti che gli avrebbero permesso di tornare in Italia quando i viaggi internazionali erano sospesi» spiega il papà italiano, che ha chiesto di rimanere anonimo. «Mio marito è dovuto tornare in Italia per lavoro poche settimane dopo la nascita del bimbo e noi due siamo rimasti bloccati da soli negli Stati Uniti per cinque mesi nei momenti peggiori della pandemia, finché non abbiamo avuto la stepchild adoption. È stato molto difficile».
«Soggetto incolpevole»
Ora il Tribunale di Milano ha sancito che, anche in assenza di una legge specifica del Parlamento, l’atto va trascritto e riconosciuto integralmente perché trattandosi di minori «la loro tutela non può essere sospesa a tempo indeterminato, nell’attesa che il legislatore vari la normativa», visto che la Corte Costituzionale ha «di fatto confutato la sentenza della Cassazione a Sezioni Unite» che riteneva il bimbo nato da maternità surrogata «adeguatamente tutelato mediante l’adozione in casi particolari». I giudici specificano che deve essere garantito in quanto «soggetto certamente “incolpevole” rispetto alle scelte operate da coloro che hanno contribuito alla sua nascita», anche quando comprendono una pratica illegale in Italia come la maternità surrogata. Dopo la decisione della Consulta c’erano stati dei riconoscimenti alla nascita per i figli di due donne, per esempio a Brescia, e uno su decreto del Tribunale di Cagliari. Ma questa è la prima volta che avviene nel caso di padri gay. Soddisfatto l’avvocato Alexander Schuster di Trento, legale della coppia: «In attesa della legge, i bambini vanno tutelati subito e questa è la strada». Il Comune di Milano rimanda ogni valutazione alla lettura del decreto, che non gli è ancora stato trasmesso.
Felice Cavallaro per il "Corriere della Sera" il 14 settembre 2021. Sulle carte di identità hanno ancora i nomi scambiati, ma Caterina e Melissa adesso ci ridono su con le loro due mamme e i loro due papà. Una storia che finalmente possono raccontare con i veri nomi. Dopo vent' anni passati a depistare i cronisti. Pronti tutti, genitori e figlie, a svelare anche con un film e un libro i retroscena dello scambio in culla avvenuto la notte di Capodanno, nel 1998, nell'ospedale di Mazara del Vallo, stesso ginecologo, stessi infermieri distratti stappando bottiglie in corsia. Con Mamma Gisella e Mamma Marinella ad allattare e crescere la bimba sbagliata per tre anni. Fino al giorno in cui a una nuova maestra, all'uscita dell'asilo, vedendo quanto Caterina somigliasse alla signora Marinella Alagna, sembrò naturale affidargliela. «Non è mia figlia...», obiettò cercando con affanno la «sua» Melissa che, invece, aveva proprio i tratti di Gisella Foderà. Primo inquieto dubbio, seguito dal tormento di notti passate da entrambe le mamme a discutere con i mariti. Fino al primo esame del sangue. Seguito dal test Dna, dagli incontri con avvocati, giudici, psicologi. Per capire con sé stesse se tacere, tenere la bimba sbagliata, far finta di niente. Ovvero se rivelare, sconvolgere due interi nuclei familiari, strappare ognuna delle due piccole a chi l'aveva fatta crescere. Un tormento, tutti a chiedersi a chi appartengono i figli, se a chi li coccola, accudisce, veste, o «solo» a chi li ha fatti nascere. Per Mamma Gisella «fu un lutto», come dice rabbuiata per un attimo, superato con un sorriso solare nel suo abito verde acqua, seduta sul divano di casa Alagna, accanto a Mamma Marinella. Tutte e due abbracciate da Caterina e Melissa. «Le nostre figlie». Gioiose nelle foto che scattano insieme. Tutti i compleanni festeggiati insieme. Due famiglie diventate una cosa sola. E le ragazze ricordano divertite come sconvolgevano la curiosità dei compagni di scuola: «Noi siamo un fenomeno: otto nonni, due papà e due mamme». Stesso banco, fino alla maturità. Poi, Scienza dell'educazione a Chieti. «Perché un'altra delle nostre sorelle s' era trovata bene in Abruzzo...». Sì, parlano di altre sorelle perché Marinella aveva già altre due figlie, Lea, oggi 29 anni, infermiera a Venezia, e Perla, 27 anni, educatrice per minori dopo la laurea a Chieti. Mentre Gisella e suo marito, dopo aver cresciuto per i primi tre anni Caterina, quando in casa è arrivata Melissa, hanno avuto Sofia. Cinque femmine. Una festa vederle tutte insieme. Caterina: «Facciamo sempre comitiva». E Melissa: «Noi cinque sorelle anche in vacanza con i cinque fidanzati. Un esercito...». Ecco la storia da leggere e da vedere in tv con «Sorelle per sempre», il refrain diventato titolo di libro che sta per uscire, per Rizzoli, da Mauro Caporiccio, sceneggiatore del film girato per Rai Fiction e «11 Marzo» da Andrea Porporati. La serenità di Caterina, «estroversa, tutta pepe», e di Melissa, «più pacata, riflessiva», come le descrivono le due mamme, è frutto dello straordinario impegno di genitori e nonni seguiti sin dal primo momento da un avvocato-psicologo come Nicola Samaritano. Sono i personaggi che vedremo giovedì 16 su Raiuno con la potente interpretazione di Donatella Finocchiaro e Anita Caprioli, le due mamme, sostenute non solo da Vincenzo Castrogiovanni e Francesco Foti, i papà, ma anche da uno dei nonni interpretato da Andrea Tidona. Il cinema c'era già arrivato ad evocare questo dramma maturato in riva alla città porto di Mazara, ma con l'ironia di Ficarra e Picone ne «il 7 e l'8». La stessa storia di Melissa e Caterina che, con mamme e papà, ricordano di essersi incrociate una volta in aeroporto con Salvo Ficarra. Solo il tempo di un selfie. Senza aggiungere troppo. Come invece sono adesso disposte a fare, anche volando verso gli studi dei pomeriggi televisivi. Con Mamma Alagna sincera: «Non vedo l'ora di incontrare Mara Venier...». Sorride Caterina spiegando che «non è voglia di mettersi in mostra». E Melissa aggiunge che «la nostra storia può essere un esempio». Come spiega Mamma Gisella: «Vogliamo comunicare, soprattutto con il libro di Caporiccio, che cosa ci è accaduto e come lo abbiamo affrontato». E la mamma di Caterina: «Ci sono famiglie che non accettano figli, genitori che adottano e poi non si ritrovano. È giusto che si sappia che cosa siamo riusciti a fare incrociando le nostre vite». Un «modello Mazara» da divulgare? L'ironia di Caterina scatta con il suo pepe: «Cercando di non sbagliare ospedale ed evitando certi medici...». Un amaro sorriso passa sui volti delle due mamme pensando al ginecologo e agli infermieri di quella notte. «Sì, l'azienda sanitaria ha dato un risarcimento, ma loro hanno continuato a lavorare in quella nursery senza mai pagare», aggiunge Melissa, poi tornando a sorridere quando mostra la carta di identità con il cognome corretto e il nome di Caterina. Il nome dell'anagrafe che non corrisponde a quello dato dai propri genitori. «Il nome sbagliato che è quello giusto», giocherellano insieme. Un altro modo per sorvolare sulle angosce da loro cancellate in fretta. Grazie mamme, papà e nonni.
Elena Marisol Brandolini per “Il Messaggero” il 9 settembre 2021. Aveva 16 anni la giovane, quando per la prima volta si presentò nello studio degli avvocati che l'avrebbero seguita nella causa, chiedendo loro: «Ditemi chi sono». Aveva appena scoperto, infatti, di non essere la figlia biologica dei genitori cui era stata consegnata alla nascita dal personale dell'ospedale San Millán di Logroño, nella comunità autonoma della Rioja. Ora, tre anni più tardi come per primo ha reso pubblico il quotidiano LaRioja.com - la donna ha denunciato di essere stata scambiata alla nascita, con un'altra neonata e di aver vissuto perciò in una famiglia che non era la sua. Per questo, reclama al governo riojano un indennizzo di tre milioni di euro: la mia vita è stata devastata - ha detto - è stata un inferno. La consigliera della Salute del governo locale, Sara Alba ha riconosciuto che si è trattato di un «errore umano» di cui è oramai però impossibile risalire all'autore, tra l'altro l'ospedale in questione non è più funzionante. E propone alla denunciante un indennizzo di 215.000 euro. Non risulta, invece, che l'altra vittima dello scambio abbia fatto analoga denuncia.
ERA IL 2002 I fatti risalgono al 2002, nella nursery di un ospedale che ora non c'è più. Le due giovani nacquero a cinque ore di distanza l'una dall'altra ed entrambe, scarse di peso, finirono nell'incubatrice. Una volta completato il loro sviluppo, furono consegnate ai genitori l'una dell'altra. La denunciante finì in una famiglia problematica e fu allevata dalla nonna. Quando, nel 2017, la nonna chiese al supposto padre della ragazza di farsene carico economicamente, quello le rispose che non era suo padre. La discussione finì nel Tribunale di Prima Istanza n. 1 di Logroño, che ordinò le analisi di Dna su entrambi i presunti genitori e i risultati rivelarono che nessuno dei due aveva una relazione genetica con la ragazza.
LE INDAGINI Nello stesso giorno della nascita della denunciante e in quello stesso ospedale, vi erano almeno 17 neonate che avrebbero potuto essere state scambiate con lei. Successivamente, le indagini hanno determinato con quale bambina fu effettivamente scambiata. Oggi quella bambina è una ragazza di quasi 20 anni che vive con la famiglia che l'ha cresciuta a 500 metri da quella della denunciante. Si è ora in attesa di conoscere i risultati delle prove del Dna sollecitate, per confermare se il padre e la madre di quest' altra ragazza siano i genitori biologici della giovane che ha denunciato lo scambio. L'avvocato che sta seguendo il caso, José Sáez-Morga, nel riferirsi alla richiesta di indennizzo della sua cliente, parla di «danno incommensurabile, continuato e per tutta la vita» prodotto nei suoi confronti. La denuncia non è penale, perché la negligenza che ha prodotto lo scambio non è stata volontaria. Ma, sostiene l'avvocato, si tratta di garantire che la sua cliente «abbia un futuro assicurato».
DUE PROCEDIMENTI Attualmente, sono due i procedimenti giuridici in corso. Il primo è condotto dal pubblico ministero che si è costituito come difensore delle due minori nel processo di filiazione e per correggere i dati anagrafici. Il secondo è appunto quello su cui lavora l'avvocato Sáez-Morga per ottenere l'indennizzo di tre milioni alla sua cliente, ai sensi dell'art. 220.5 del Codice Penale. La consigliera della Salute del governo riojano offre la «massima collaborazione con la giustizia» e garantisce che questa situazione «non possa tornare a verificarsi, perché i sistemi, allora, non erano così informatizzati come ora e sono cambiate le modalità di identificazione». Oggi, infatti, nell'identificazione di un neonato, l'orma sostituisce l'impronta digitale e in più si utilizza un campione di sangue del cordone ombelicale.
Hollywood, la star che lascia i figli senza soldi: "Me li godo in vita", eredità azzerata. Libero Quotidiano il 20 agosto 2021. Daniel Craig è diventato milionario soprattutto grazie ai film in cui ha interpretato l’agente 007. Come altre star di Hollywood, anche Craig non intende però lasciare in eredità ingenti somme di denaro ai propri figli, che dovranno rassegnarsi a costruire la loro fortuna da soli. Intervistato da Candis Magazine, l’attore ha svelato le sue intenzioni per quando sarà morto. Che fine farà il suo patrimonio, che attualmente ammonta a circa 160 milioni di dollari, guadagnati soprattutto grazie all’interpretazione di James Bond negli ultimi 15 anni? Non finirà ai figli Ella e Loudon, questo è certo. Il motivo lo ha spiegato Craig in persona: “Un vecchio adagio sostiene che chi muore ricco ha fallito nella propria vita. Io non voglio lasciare grosse somme di denaro in eredità ai miei figli. Credo che le eredità siano di cattivo gusto. La mia filosofia è quella di godersi i soldi finché si è in vita oppure darli via poco prima di morire”. La sua scelta non è insolita, almeno tra gli attori. In Italia c’è Luca Barbareschi che in diverse interviste ha dichiarato di non aver previsto eredità in denaro per i figli: li ha fatti studiare nelle migliori scuole, hanno gli strumenti per cavarsela da soli e determinare il loro futuro. Rimanendo a Hollywood, invece, i più famosi sono Ashton Kutcher e Mila Kunis: “I nostri figli impareranno a cavarsela da soli, solo così apprezzeranno ciò che hanno avuto dalla vita”.
DA huffingtonpost.it il 20 agosto 2021. Ella e Loudon dovranno rassegnarsi. Il padre Daniel Craig non ha la minima intenzione di lasciare loro grosse somme di denaro in eredità. L’attore, celebre 007, lo ha dichiarato in un’intervista a Candis Magazine. “Un vecchio adagio sostiene che chi muore ricco ha fallito nella propria vita. Io non voglio lasciare grosse somme di denaro in eredità ai miei figli” ha dichiarato l’attore, “Credo che le eredità siano di cattivo gusto. La mia filosofia è quella di godersi i soldi finché si è in vita oppure darli via poco prima di morire”. Craig è diventato padre nel ’92, con la nascita di Ella, attrice come lui, avuta dall’ex moglie Fiona Loudon. Nel 2018 ha festeggiato un nuovo arrivo, Loudon, nata dalla sua relazione con Rachel Weisz. Il suo patrimonio ammonta a circa 160 milioni di dollari, guadagnati soprattutto grazie al ruolo di James Bond, interpretato negli ultimi 15 anni. La sua scelta è insolita, ma non unica. In Italia, lo stesso ha affermato di voler fare Luca Barbareschi che in più interviste ha ribadito di aver concesso ai suoi figli di studiare nelle migliori scuole, dando loro gli strumenti per cavarsela da soli. Ashton Kutcher e Mila Kunis non metteranno soldi da parte per Isabelle e Dimitri: 2I nostri figli impareranno a cavarsela da soli, apprezzeranno ciò che hanno avuto dalla vita e soprattutto potranno raggiungere l’agiatezza da soli”. E lo stesso vale per Sting: “Ai miei sei figli non lascerò un penny dei miei 180 milioni di sterline. Devono lavorare, come ho fatto io”.
Ragazzina uccide la mamma con una coltellata alla schiena. Valentina Dardari il 15 Agosto 2021 su Il Giornale. La follia omicida dopo una lite in casa. La ragazza ha allertato i carabinieri dopo avere colpito a morte la madre. Una ragazza di 15 anni ha ucciso la mamma con una coltellata alla schiena. Il fatto è avvenuto nella tarda serata di ieri, verso le 22 di sabato 14 agosto, durante una lite in una casa sita al civico 30 di via Bernardino Buttinoni, in pieno centro storico a Treviglio, comune in provincia di Bergamo. La vittima, una donna di 43 anni, è morta poco dopo essere stata colpita con un coltello da cucina.
La mamma è morta poco dopo. Secondo una prima ricostruzione, sarebbe stata la ragazza stessa ad allertare i carabinieri intervenuti subito sul posto. La ragazza è ora assistita da uno specialista. La15enne avrebbe infatti chiamato il 112 per invocare i soccorsi: "Ho bisogno di aiuto, ho fatto del male alla mamma" avrebbe detto la ragazza all’operatore. In breve tempo sono giunti sul posto gli uomini del 118 ma per la madre ormai non c’era più nulla da fare. Nel condominio dove è avvenuto l'omicidio vivono altre 5 famiglie. Nessuno dei condomini si sarebbe però accorto della tragedia avvenuta in serata. La giovane, in stato di evidente choc, secondo quanto emerso si trova ora in una comunità protetta su disposizione dalla procura dei minorenni di Brescia, in attesa che venga chiarita l’esatta dinamica di quanto successo e vengano accertate le responsabilità, anche ai fini di eventuali ulteriori misure nei confronti della ragazza. Intanto gli investigatori stanno cercando di ricostruire i rapporti all’interno del nucleo familiare per capire la situazione in cui viveva la 15enne.
La tragedia per un mobile montato sbagliato. Come riportato dal Corriere, la donna di 43 anni, Emanuela, è morta all’interno della sua casa subito dopo essere stata colpita alla schiena con una coltellata. A ucciderla sarebbe stata la figlia che ha utilizzato un coltello da cucina, raggiungendo forse il cuore con la lunga lama appuntita. La ragazza sarebbe stata trasferita al comando dei carabinieri di Treviglio verso l’una di notte, dopo circa tre ore dall’omicidio. Il corpo della donna è stato trasportato alla camera mortuaria dell’ospedale Papa Giovanni, dove verrà sottoposto all’esame autoptico disposto dal pubblico ministero. Nel frattempo è già scattata la segnalazione alla Procura minorile. Sul posto, oltre agli ufficiali dei carabinieri e ai soccorritori, anche Juri Imeri, primo cittadino di Treviglio, con la vice Pinuccia Prandina. Manuela, diventata madre a 28 anni, avrebbe cresciuto la figlia da sola. Non sarebbe la prima volta che mamma e figlia, che vivevano da sole, litigavano. Ieri la madre avrebbe rimproverato la figlia per il montaggio sbagliato di un mobile e da lì la discussione sarebbe degenerata. Per futili motivi, una come tante, con la figlia adolescente, finita però in tragedia. Un vicino di casa avrebbe raccontato: “C’erano le solite discussioni che ci sono nelle famiglie. Non si aspettava nessuno che si arrivasse a tanto”.
Valentina Dardari. Sono nata a Milano il 6 marzo del 1979. Sono cresciuta nel capoluogo lombardo dove vivo tuttora. A maggio del 2018 ho realizzato il mio sogno e ho iniziato a scrivere per Il Giornale.it occupandomi di Cronaca. Amo tutti gli animali, tanto che sono vegetariana, e ho una gatta, Minou, di 19 anni.
Bergamo, ragazza di 15 anni uccide la madre. Motivo assurdo, per cosa avevano litigato. Libero Quotidiano il 15 agosto 2021. Una lite scoppiata per futili motivi si è trasformata in tragedia a Treviglio, in provincia di Bergamo, dove una ragazza di 15 anni ha ucciso la madre, di 43, con una coltellata alla schiena. A dare l'allarme è stata la stessa ragazza che ieri sera 14 agosto ha chiamato i carabinieri in preda al panico e alla disperazione. "Ho bisogno di aiuto, ho fatto del male alla mamma", avrebbe continuato a ripetere al telefono. Ma a nulla sono serviti i tentativi di rianimazione di un'equipe medica giunta sul posto in pochi minuti. I militari hanno sentito a lungo la ragazzina, assistita come previsto in questi casi da uno specialista, per ricostruire quanto avvenuto. Avrebbe già fatto qualche spontanea dichiarazione. Non era la prima volta che madre e figlia, che vivevano da sole, litigavano. La madre avrebbe rimproverato la figlia per il montaggio sbagliato di un mobile e da lì la discussione sarebbe degenerata. Madre e figlia erano in cucina e la 15enne ha afferrato un coltello colpendo la mamma con un solo fendente che però è risultato fatale. La 15enne, che è indagata per omicidio, è stata trasferita dai carabinieri in un istituto per minorenni.
Benedetta Moro per il "Corriere della Sera" il 10 agosto 2021. Quando è nata, il 9 giugno del 2020, a Singapore, pesava come una mela - 212 grammi - ed era lunga appena 24 centimetri. Per i medici del National University Hospital, la clinica pubblica dell'isola, che si attendevano un neonato di 400 grammi, le possibilità di sopravvivenza erano scarse. «Sono rimasta scioccata - ha raccontato l'infermiera Zhang Sue del dipartimento di Neonatologia allo Straits Times, il quotidiano di Singapore -. Nei miei ventidue anni di professione non ho mai visto un essere così piccolo». E invece, al di là di ogni previsione, Kwek Yu Xuan ce l'ha fatta, diventando la neonata più piccola al mondo sopravvissuta a un parto prematuro. Ha superato il «record» che secondo l'Università dell'Iowa era detenuto dalla piccola Saybie, 245 grammi di peso, nata nel dicembre del 2018 negli Stati Uniti. Con i suoi 6,3 chili la piccola Yu Xuan ora sta bene ed è stata dimessa. I genitori, residenti a Singapore, l'hanno portata a casa il 9 luglio scorso, ma la notizia è stata diffusa più tardi. La piccola Yu Xuan era nata con un cesareo d'emergenza quattro mesi prima del previsto. Alla madre, Wong Mei Ling, 35 anni, impiegata in una compagnia di assicurazioni, era stata diagnosticata la preeclampsia, un pericoloso rialzo della pressione sanguigna che può danneggiare gli organi vitali ed essere fatale sia per la madre sia per il bambino. «Non mi aspettavo di partorire così velocemente, eravamo molto tristi che Yu Xuan fosse nata così piccola», hanno raccontato lei e il marito, Kwek Wee Liang, 35 anni. Dopo il parto il primo verdetto dei dottori è terribile: la bambina ha una «possibilità di sopravvivenza limitata». Ma Yu Xuan li ha costretti a ricredersi: «Contro ogni previsione e nonostante una serie di complicazioni di salute presenti alla nascita, la bimba ha ispirato le persone intorno a lei con la sua perseveranza e voglia di vivere, il che la rende una straordinaria bambina dell'era Covid-19, un raggio di speranza in mezzo al tumulto». I genitori di Yu Xuan hanno potuto pagare la sua lunga degenza grazie a una campagna di crowdfunding. E le cure andranno avanti: la piccola soffre ancora di una malattia polmonare cronica, avrà bisogno anche a casa di supporti per respirare. Tuttavia, dal Nuh affermano che dovrebbe migliorare con il tempo. Del resto, che la bimba abbia ancora delle ripercussioni non stupisce né la direttrice della Neonatologia e Terapia intensiva neonatale dell'ospedale infantile «Burlo Garofolo» di Trieste, Laura Travan, né Luigi Orfeo, direttore della Terapia Intensiva Neonatale del Fatebenefratelli di Roma: «La prematurità - spiegano i due esperti - è una malattia che dura tutta la vita». I casi di prematurità sono in aumento: secondo la Società italiana di neonatologia c'è stata un'impennata nel 2020 per le donne che hanno avuto il Covid pari al 19.7%. A incidere, in generale, «l'aumento dell'età media delle mamme e l'uso della procreazione medicalmente assistita» spiega Travan. Ma per fortuna, da Singapore all'Italia, ci sono le condizioni per portare avanti percorsi riabilitativi come quello di Yu Xuan. «Un caso che abbiamo avuto qui - ricorda la dottoressa del Burlo Garofolo - riguarda una bambina che alla nascita pesava 424 grammi: oggi ha nove anni e sta bene».
Dagotraduzione da Study Finds il 18 giugno 2021. Dopo essersi impegnati in una relazione stabile, in genere il passo è successivo è quello di diventare genitori. Un nuovo studio però rileva che oltre un quarto degli adulti moderni non ha alcun interesse ad avere figli. Questa crescente tendenza verso relazioni «senza figli», secondo i ricercatori della Michigan State University, porta la stessa felicità e soddisfazione che provano i coetanei che hanno figli. Negli ultimi anni sta diventando sempre più comune per i giovani adulti riconoscere e persino accettare il fatto di non voler diventare genitori. Per questo gli autori dello studio si sono proposti di comprendere meglio le caratteristiche e i livelli di soddisfazione della vita tra gli adulti che non vogliono figli. Per iniziare, i ricercatori sottolineano l'importanza di separare gli individui "senza figli" e i "non genitori". «La maggior parte degli studi non ha posto le domande necessarie per distinguere gli individui "senza figli" - coloro che scelgono di non avere figli - da altri tipi di non genitori», afferma la coautrice dello studio Jennifer Watling Neal, professore associato presso il dipartimento di psicologia MSU, in un comunicato universitario. «I non genitori possono includere anche i “non ancora genitori” che stanno pianificando di avere figli e le persone “senza figli” che non potrebbero avere figli a causa di infertilità o circostanze esterne. Studi precedenti hanno semplicemente raggruppato tutti i non genitori in un'unica categoria per confrontarli con i genitori». Lavorando con un campione rappresentativo di 1.000 adulti che hanno completato l'indagine sullo stato dello stato di MSU, il team ha utilizzato un approccio specializzato incentrato su tre domande distinte per distinguere tra genitori, non genitori e individui senza figli. «Dopo aver controllato le caratteristiche demografiche, non abbiamo riscontrato differenze nella soddisfazione della vita e differenze limitate nei tratti della personalità tra individui senza figli e genitori, non ancora genitori o individui senza figli», aggiunge il coautore dello studio Zachary Neal. «Abbiamo anche scoperto che le persone senza figli erano più liberali dei genitori e che le persone che non sono senza figli si sentivano sostanzialmente meno amichevoli verso le persone senza figli». Gli autori dello studio ammettono che la quantità di persone che non vogliono che i bambini vengano identificati durante l'analisi è sorprendente anche per loro. «Siamo rimasti molto sorpresi dal numero di persone senza bambini», spiega il prof. Watling Neal. «Abbiamo scoperto che più di una persona su quattro nel Michigan si è identificata come senza figli, che è molto più alta del tasso di prevalenza stimato in studi precedenti che si basavano sulla fertilità per identificare gli individui senza figli. Questi studi precedenti collocavano il tasso solo tra il 2% e il 9%. Riteniamo che la nostra misurazione migliorata potrebbe essere stata in grado di catturare meglio le persone che si identificano come senza figli». Il tema della genitorialità e della scelta di diventare genitori è ovviamente un argomento complesso. Pertanto, gli autori dello studio affermano che dovranno fare ulteriori ricerche su questi argomenti andando avanti. Ad esempio, questi risultati si basano esclusivamente su un singolo sondaggio condotto in un determinato momento. Gli studi futuri possono ampliare questo lavoro concentrandosi sui motivi e sui fattori specifici che motivano le persone a rinunciare ai bambini. Lo studio è pubblicato sulla rivista Plos ONE.
La paternità di Giuseppe. Non ci sono padri naturali e padri adottivi. Per la Chiesa cattolica il 2021 è l'anno "giuseppino". Se è riuscito lui ad amare nella carne corrotta dal peccato originale, al pari delle nostre stesse carni, perché non lo possiamo fare anche noi? Luigi Mariano Guzzo su Il Quotidiano del Sud il 14 marzo 2021. Quella di Maria è una maternità divina. Theotòkos, in greco, significa Madre di Dio. Un titolo la cui verità teologica è stabilita dal Concilio di Efeso, nel 431. E che generazioni e generazioni di cristiani, a diverse latitudini, nei secoli, sin dalla più tenera età, hanno ribadito e continuano a ribadire in una delle più conosciute preghiere: l’Ave Maria (ricordate: “…Santa Maria, Madre di Dio…”?). È Madre di Dio perché ne ha generato il Figlio, Gesù, vero uomo e vero Dio. Quella di Giuseppe è, invece, una paternità pienamente umana. Giuseppe è il padre di Gesù, nell’umanità della carne. Per la fede non è il padre biologico: com’è noto, Colei che è stata concepita senza peccato originale, Maria, ha concepito verginalmente il figlio Gesù (il dogma dell’immacolato concepimento di Maria deve essere tenuto distinto dal dogma del concepimento verginale di Gesù). Eppure, Giuseppe, è padre nel senso più profondo del termine. Lo è umanamente parlando. E tutto ciò rende la sua testimonianza ancora più sfidante. Ci toglie ogni alibi: se è riuscito lui, Giuseppe, ad amare nella carne corrotta dal peccato originale, al pari delle nostre stesse carni, perché non lo possiamo fare anche noi? Perché non possiamo anche noi essere padri alla maniera di Giuseppe, con una donazione completa, aperta, libera? Sia chiaro: non è una paternità superflua quella di Giuseppe. È vero: Maria per diventare la Madre di Dio non ha avuto necessità di un uomo; o meglio, di “conoscere uomo” come dicono le Scritture. Ma, per essere madre di uomo, per fare la madre nella vita di tutti i giorni, Maria trova nel marito Giuseppe sostegno e supporto. Una paternità può esserci come, per diversi motivi, non esserci, lo sappiamo bene. Molte donne lo sanno ancora meglio. E, anzi, in una paternità rinnegata, drammaticamente rinnegata, si celano spesso forme di sopraffazione e di violenza di genere. Tanto che quando Olympe de Gouges nel 1791 scrive la “Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina” interpreta la libertà di opinione alla luce di una specifica esigenza femminile: che le donne non abbiano di che vergognarsi nel rivendicare il diritto di vedere attribuita la paternità a figli nati fuori dal matrimonio (ahinoi, due anni dopo Olympe finirà ghigliottinata, nel bel mezzo della Rivoluzione francese che mette al centro l’uomo, meglio se maschio, borghese, bianco). Ma quando la paternità c’è, quando la paternità è vissuta, sperimentata, consumata nell’amore, questa non è, e non può mai essere, un di più. Non è insomma una paternità accessoria, quella di Giuseppe. Essa assume un ruolo centrale nella storia della salvezza, al punto da esaltare la dimensione umana di Gesù, anche nel rapporto con Maria. Giuseppe è un uomo che rispetta la donna, le donne. Quando viene a conoscenza della gravidanza di Maria si preoccupa, in un primo tempo, di cosa comporterebbe un ripudio pubblico per la sua promessa sposa. Anche nel momento in cui potrebbe lasciare Maria in balìa del suo destino, ha cura di lei. E alla fine, comunque, ha fiducia nelle emozioni che avverte, nei sentimenti che prova, nella voce del cuore (in quella dell’angelo, leggiamo nelle Scritture). Si affida all’amore. Accetta di essere padre. La paternità di Giuseppe permette di liberarci da stereotipi, equivoci e preconcetti che destrutturano il ruolo del padre per presentarlo quale paradigma di modelli sociali deformati e deformanti, non a caso definiti “patriarcali”. In tali concezioni il padre è pater familias, cioè padrone, al quale devono essere sottomessi la moglie, i figli, gli schiavi e (eventualmente) le nuore. La paternità coincide con la capacità generativa, secondo l’assioma che riduce la mascolinità a virilità, biologicamente intesa. Mentre nella paternità di Giuseppe non vi è nulla di tutto ciò. Egli non si sente padrone della famiglia. È consapevole che quando il figlio Gesù, adolescente, gli dice di doversi occupare delle “cose del Padre mio”, quel “Padre” non è lui. Persino in quell’occasione, Giuseppe rimane pienamente padre. Cade l’ultimo tabù, probabilmente il più granitico, sulla paternità: essa non è questione di generatività o di biologia. È semplicemente questione di amore. Non ci sono padri naturali e padri adottivi. Ci sono padri e basta, senza aggettivi. Per la Chiesa cattolica il 2021 è l’anno “giuseppino”, secondo quanto deciso da Papa Francesco. Chissà che non sia l’occasione per purificare la mascolinità e la paternità dai numerosi residui “patriarcali” che le contamino. Alla scuola di Giuseppe, padre per eccellenza, impariamo che si è maschi e padri, in senso proprio, soltanto nella verità di relazioni vissute con amore e rispetto. E così in questo 19 marzo, nella festa di San Giuseppe, l’augurio è che i padri, tutti i padri, acquisiscano finalmente consapevolezza di ciò. Solo così sarà una buona festa dei papà, per davvero.
Uma Sharma e Chia-Yi Hou per "it.businessinsider.com" il 13 marzo 2021. Quanti figli si possono avere? Con almeno 1171 bambini, Moulay Ismail, un sultano marocchino vissuto tra il 1600 e il 1700, ha stabilito un vero e proprio record. La questione del numero dei figli però è diverso per uomini e donne. Avere figli per le donne richiede circa un anno, se si sommano i mesi della gravidanza e il tempo del recupero post parto. Per gli uomini, ovviamente, non è così: per loro l’investimento di tempo ed energie è inferiore, per questo possono avere molti più figli. Questo video prova a rispondere alla domanda, mostrando alcuni record mondiali.
Angelo Zinetti per “Libero quotidiano” il 13 marzo 2021. Non ci sono mai stati così tanti gemelli nel mondo e, state tranquilli, almeno questo non è dovuto al Covid. Ogni anno si registrano 1 milione e 600 mila parti gemellari, circa un nato ogni 42 è un gemello; un record mai toccato prima nella storia dell' umanità. Le ragioni del boom sono in sostanza due: l' uso sempre più diffuso a livello globale delle tecniche di inseminazione artificiale e la crescita della popolazione africana, dove da sempre esiste un alto numero di gemellanza dizigote, cioè di fratellini nati insieme ma che derivano da due cellule uovo differenti. Neonati nelle culle di un reparto maternità A raccogliere la documentazione in un centinaio di Paesi da tutti i continenti è stata una squadra di ricercatori dell' Università di Oxford, dell' Istituto francese di studi demografici (INED) e dell' università olandese di Radboud, che hanno pubblicato i risultati sulla rivista Human Reproduction. Gli scienziati hanno preso in esame le nascite registrate nel periodo 2010-2015 in 165 Paesi (coprendo il 99% della popolazione mondiale) e le hanno poi messe a confronto con quelle registrate in 112 di questi Paesi nel periodo 1980-1985. È così emerso che il tasso di parti gemellari è cresciuto di un terzo, passando da 9 a 12 ogni mille. Nei Paesi più ricchi il fenomeno è in corso da tempo: nel 2011 a Milano, nel corso del congresso della Società italiana di pediatria, Giovanni Corsello (università di Palermo) comunicò i dati secondo cui nei 25 anni precedenti le gravidanze gemellari si erano triplicate, arrivando a toccare il 3% delle nascite. Tutto dovuto, diceva già allora Corsello, «all' aumento dell' età media materna, che favorisce l' impianto in utero di due embrioni e all' utilizzo delle tecniche di procreazione assistita per le coppie infertili». Ciò che si sta verificando oggi è l' estensione a molte altre aree del pianeta dell' uso di quelle tecniche: sviluppate nei Paesi più avanzati negli anni '70, si sono poi allargate anche all' Asia e all' America latina tra gli anni '80 e '90, raggiungendo le regioni più ricche dell' Africa e dell' Asia meridionale dopo il 2000. Quelle gemellari «sono gravidanze a rischio», notava Corsello: la probabilità di una nascita pre-termine è di 5-10 volte più elevata rispetto a un parto non gemellare, mentre la mortalità è da 3 a 4 volte superiore, e il tasso di malformazioni è 4 volte più alto rispetto ai parti singoli. Ma non si tratta soltanto di un fenomeno dovuto a nuove tecnologie: l' 80% dei gemelli nasce in Africa e Asia. Il continente nero, in particolare, ha sempre avuto un alto numero di nascite di gemelli dizigoti (ovvero eterozigoti), i "gemelli diversi" (gli omozigoti ovvero monozigoti provengono invece dalla stessa cellula). Ed è la crescita come cifra assoluta della popolazione africana che pompa il numero di eterozigoti con la pelle scura. Secondo uno degli autori della ricerca, Christiaan Monden (dell' Università di Oxford), «questo è molto probabilmente dovuto a differenze genetiche che distinguono la popolazione africana dalle altre». A livello mondiale sono proprio i "diversi" ad alimentare la crescita dei parti multipli, mentre i gemelli omozigoti restano stabili a quota quattro parti ogni mille. Cosa peraltro positiva: i dizigoti hanno meno problemi degli omozigoti al momento del parto e nel periodo successivo. Secondo la squadra di ricercatori la curva delle nascite gemellari è destinata a crescere ancora per un po', ma non per sempre. «La maggior parte dei dati», spiega Gilles Pison, demografo dell' INED, «indica che ci troviamo al picco nei Paesi più ricchi, soprattutto in Europa e Nord America, mentre l' Africa sarà uno dei principali elementi motori nelle prossime decadi». Ma, dato che la disponibilità economica sembra sia alla base del fenomeno, almeno per quanto riguarda le gravidanze ritardate e l' uso di tecniche di inseminazione, saranno Cina e India i Paesi leader dell' ondata gemellare futura.
Attacco alla libertà di scelta. Aborto, ossessione maschile e questione politica. Lea Melandri su Il Riformista il 4 Dicembre 2021. L’attacco alle leggi che nell’Occidente “civilizzato” ancora garantiscono, sia pure con molti limiti, il diritto a interrompere gravidanze indesiderate ritorna sistematicamente di attualità. Di recente la Corte Suprema americana ha fatto capire di essere disposta a riconoscere una legge restrittiva del Mississipi, mentre in Polonia si è discusso, oltre che di un innalzamento delle pene, fino all’ergastolo, per chi abortisce e aiuta ad abortire, anche di un Istituto per la Famiglia e la Demografia, che dovrebbe «sorvegliare le donne per capire se vogliono abortire o prendere la pillola del giorno dopo, perseguitare le famiglie arcobaleno, strappare i figli alle persone Lgbtq+, impedire divorzi» (Marta Lempart, co-fondatrice di Strajk Kobiet). Ma si può parlare davvero di “attualità” riguardo a un fenomeno che ricompare puntualmente e con sempre maggiore virulenza, quanto più si allentano i vincoli e i pregiudizi con cui ci è stato consegnato da millenni di patriarcato? Non si tratta piuttosto di un’ossessione maschile che affonda le sue radici nell’ambiguo legame di amore e odio per quel corpo femminile che può dare la vita e la morte, minacciare la sopravvivenza del singolo come quella della società o della cultura a cui appartiene? Non si dovrebbe dimenticare che, prima che venisse approvata nel 1978 la Legge 194, in Italia l’ aborto era considerato un crimine “contro l’integrità e la sanità della stirpe”, e perciò come difesa della famiglia “naturale”, ma anche della “purezza etnica” del nostro Paese. Residui nazionalistici, per non dire razziali, sono rieccheggiati inequivocabilmente nei Family Day, nella propaganda del “movimento per la vita”, e nelle parole del senatore Pillon preoccupato della possibilità di estinguersi “come italiani”. Non c’è dubbio che ad accendere in questi ultimi anni l’odio che spinge a criminalizzare le donne, ad accanirsi con leggi sempre più repressive e autoritarie sui loro corpi, è, per un verso, la loro maggiore libertà e consapevolezza nel voler trovare in se stesse il senso della loro vita, e non essere più “un mezzo per un fine” dettato da altri – nella sessualità come nella procreazione; per l’altro, sono le migrazioni, la presenza nel nostro paese di donne straniere più prolifiche delle italiane. La campagna per incentivare le nascite va, in sostanza, di pari passo con le prese di posizione contro l’aborto, volte entrambe a salvaguardare il destino della donna come madre, oggi vacillante sotto l’urto dei movimenti femministi in tutto il mondo. Eppure si parla ancora dell’aborto come “questione morale” o “questione femminile”, come se le donne si mettessero incinte da sole, e per leggerezza o sadismo decidessero poi di sgravarsi di quel peso. Che si chieda a gran voce la loro ribellione, che si pretenda il rispetto della loro sofferta decisione, che si sostenga il diritto all’autodeterminazione in fatto di maternità, si tratta pur sempre di proclami che parlano di un soggetto considerato di per se stesso debole, bisognoso di tutela e di rappresentanza, e, soprattutto, di un soggetto che porta in solitudine quel potere e quella condanna che è la capacità biologica di fare figli. La relazione tra i sessi stenta a togliersi di dosso il peso della “naturalizzazione” e “privatizzazione” che ha subito, e ad essere assunta per quello che è: un problema politico di primo piano, l’origine stessa della separazione tra il corpo e la polis, tra biologia e storia, individuo e società. Fin dagli anni Settanta, si è presa consapevolezza che maternità e aborto sono legate a un modello di sessualità penetrativa e generativa, contrassegnata, all’interno del dominio storico dell’uomo, da un carico di violenza materiale e psicologica che non accenna a diminuire neppure in presenza di culture altamente civilizzate. Come si legge in uno dei brevi saggi di Carla Lonzi del 1971, «la donna gode di una sessualità esterna alla vagina, dunque tale da poter essere affermata senza rischiare il concepimento. L’uomo sa che il suo orgasmo nella vagina la donna lo accoglie più o meno coinvolta emotivamente e fisiologicamente, sa che in conseguenza di questo la donna può restare incinta… ugualmente l’uomo fa l’amore come un rito della virilità e alla donna accade di restare feconda nel momento stesso in cui le viene sottratto il suo specifico godimento sessuale». Un’attenzione analoga al rapporto uomo donna, che sta a monte di tante gravidanze indesiderate la ritroviamo in un articolo che Rossana Rossanda scrisse per il manifesto il 7 maggio 1995, alla vigilia di una imponente manifestazione che si tenne a Roma il 3 giugno in difesa della legge 194. «È come se qualcosa spingesse uomini o chiese o stati a inchiodare il corpo femminile sul margine fra vita e morte nel quale per secoli lo hanno cacciato e il parto e l’aborto. Là dovrebbe restare o essere riportata la maledetta sessualità femminile? (…) Ma se scelta è, è scelta in prima istanza e in ultima della donna. Qualsiasi uomo che abbia saputo dalla donna – lui non può saperlo – di averne fecondato un ovulo, sa quel che accadrà a se stesso e a lei: a lui nulla, a lei, una rivoluzione. La maternità è un evento globale e lungo che in-veste una esistenza femminile, scompone ogni altro programma di realizzazione, ed esige mediazioni perché uno dei due non ne esca mutilato». Non ci sono anticoncezionali né politiche famigliari che riescano a impedire a un atto d’amore di trasformarsi nella realtà drammatica di una gravidanza non voluta. Se va salvaguardata la scelta della donna di poterla interrompere senza incorrere in sanzioni penali, non bisogna tuttavia dimenticare la limitatissima libertà che sembra ancora esserci nel rapporto più intimo tra i sessi, sia che essa derivi da antica soggezione, ignoranza del proprio piacere, esitazione a esigerlo da parte femminile, oppure da violenza sessuale manifesta da parte dell’uomo. Limitarsi ad affermare il primato della donna nella procreazione, il diritto a decidere su una vicenda che trasforma non solo il suo corpo, ma la sua vita intera, tanto più quanto più “naturale” si continua a ritenere la cura materna dei figli (oltre che di mariti, genitori, suoceri, ecc.), vuol dire mettere al centro della scena pubblica, dello Stato e delle sue leggi, i due protagonisti dell’origine, la madre e il figlio, e sfocare fino a farlo sparire in una nuova rimozione quel rapporto uomo-donna che i movimenti femministi del novecento hanno portato faticosamente alla coscienza storica. Ma significa anche, purtroppo, offrire un’occasione facile alla misoginia di ogni tipo, e alle paure infantili più profonde di ogni individuo, per affermare il diritto del bambino a nascere, sulla base di quel gioco di identificazioni che agiscono quasi sempre inconsapevolmente e in modo diverso nella vita di ognuno. Lea Melandri
La "drammatica quotidianità" dell'aborto in Italia. Il calvario dell’aborto, la storia di Sara: “Da sola a partorire in corsia, così lo Stato violenta e tradisce le donne”. Carmine Di Niro su Il Riformista il 26 Novembre 2021. “Un tradimento. È questo quello che ho provato da parte dello Stato e delle persone, umanamente, quando ho dovuto abortire”. Le parole di Sara (nome di fantasia) sono dure e ancora piene di dolore quando decide di raccontare la sua storia al Riformista. Chiede di rimanere anonima perché quello che è successo a lei è una storia comune a moltissime donne, almeno a una parte di quelle 73.207 che ogni anno (il riferimento è ai dati dell’Istituto superiore di sanità del 2019) devono ricorrere all’interruzione terapeutica di gravidanza. Una violenza sulle donne di cui però non si parla. Sara, al quarto mese di gravidanza, ha scoperto che il suo bambino aveva la sindrome di Down. I medici che la seguivano le dissero che se avesse portato avanti la gestazione probabilmente il bambino sarebbe sopravvissuto per pochi mesi, se non giorni: le malformazioni erano già molto evidenti e nulla faceva presagire la possibilità di sopravvivenza del bambino. “Quando me lo dissero mi crollò il mondo addosso – racconta – volevo quel bambino, gli avevo anche già dato il nome. Vidi mio marito farsi in mille pezzi insieme a me”. Così i due sono stati messi davanti alla difficile decisione di abortire. La legge lo consente fino ai primi tre mesi di gravidanza, entrati nel secondo semestre c’è bisogno che sussistano alcuni requisiti sanciti dall’ art. 6 della legge n. 194/1978: “l’interruzione volontaria della gravidanza, dopo i primi novanta giorni, può essere praticata: a) quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna; b) quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna”. Per Sara dunque i requisiti c’erano ed erano scritti nero su bianco dalla diagnosi. È qui che inizia per lei il calvario. “Per me è stata una violenza e un tradimento – racconta a Il Riformista – perché già la scelta di dover abortire è dura e si porta dietro un mare di sofferenza indescrivibile. Poi perché quello che mi sono trovata davanti è stato davvero terribile. Credevo di essere tutelata dallo Stato, in mano a chi mi avrebbe aiutata. Ma non è stato così”. “Sono andata in uno dei tre ospedali pubblici della mia regione, la Campania, in cui si pratica l’interruzione terapeutica di gravidanza nel secondo semestre. Una regione non certo poco popolata da donne e invece sono solo tre – precisa Sara – Lì c’è un reparto di ostetricia e ginecologia ritenuto un’eccellenza ma dove c’è un solo medico che si prende la briga di tutelare un diritto sancito dalla legge. Quando l’ho incontrato mi ha sommariamente spiegato la procedura dell’aborto: avrei assunto dei farmaci che mi avrebbero stimolato il parto. Io ero molto spaventata perché avevo 33 anni ed ero alla prima gravidanza. Non ho nemmeno più la mamma, per cui tutto mi terrorizzava. Lui mi ha rassicurata dicendomi che sarei stata ricoverata per tre giorni, avrei partorito in una sala parto con tutta l’assistenza necessaria e anche la privacy di un momento così doloroso e che avrei avuto il supporto di una psicologa dedicata a questo. Mi dissero che non sarei mai stata sola. Nulla di questo è avvenuto”. Sara, già provata dal dolore di portare in grembo un bambino che non sarebbe sopravvissuto al parto, voleva subito procedere. Il dottore però spiegò chiaramente che l’interruzione di gravidanza era una sua esclusiva responsabilità e che i colleghi, obiettori di coscienza, non sarebbero mai intervenuti in sua assenza. Bisognava dunque aspettare la congiuntura del suo turno di 12 ore consecutive, che sarebbe arrivato solo 10 giorni dopo. “Potete immaginare la sofferenza di quei 10 giorni di attesa?”, dice Sara. Intanto però era iniziato il tremendo iter burocratico necessario per avere l’autorizzazione all’interruzione di gravidanza. “Fui spedita, insieme a mio marito, dallo psichiatra che avrebbe dovuto certificare l’esistenza dei requisiti sanciti dalla legge – spiega Sara – Siamo entrambi medici e quelle domande furono tremende. Andammo via con una diagnosi di instabilità psichica mia che sarebbe servita a certificare ulteriormente quello che era semplicemente un mio diritto”. “Il giorno prima del ricovero avevo iniziato ad assumere i farmaci che mi avrebbero portato all’aborto – continua il su racconto Sara – Arrivai in ospedale che già vomitavo da ore e non mi reggevo in piedi. Dovevo fare il tampone e aspettarne il risultato, arrivato ben 4 ore dopo. Intanto aspettavo fuori all’ospedale continuando a vomitare nell’area parcheggio. Ero stremata e avevo bisogno di stendermi ma non potevo entrare”. Ma quel che accadrà dopo è ancora peggio. “Appena arrivata una dottoressa mi ha ricordato con queste esatte parole che la mia era ‘una scelta contraria alla vita’. Mi sistemarono nel reparto in una stanza con una donna che aveva appena subito un intervento chirurgico”. L’indomani è il fatidico giorno del parto. “Rimasi in quella stanza con quella donna – racconta Sara – I farmaci per la stimolazione del parto non mi furono somministrati secondo le modalità prospettatemi. Vidi quel medico solo nel momento in cui materialmente mi consegnò le compresse. Iniziò il travaglio che poi durò 7 ore di dolori atroci, sempre lì in quella stanza, con quella donna ricoverata accanto a me che non conoscevo e che a sua volta soffriva per la sua operazione. Completamente da sola perché per via del Covid nemmeno mio marito, tra l’altro medico, poteva stringermi la mano. Avevo paura e il dolore era lacerante. Continuavo a vomitare e non sapevo cosa fare. Chiamavo aiuto ma nessuno veniva: non un medico, non un infermiere, non un’ostetrica. Non stavo partorendo, stavo abortendo e questo non mi rendeva degna di soccorso”. “La donna che era con me non poteva alzarsi dal suo letto ma mi parlava, mi diceva di stare tranquilla, di respirare, che presto sarebbe tutto finito – spiega ancora Sara – Cercava di aiutarmi chiamando lei aiuto. Qualcuno passava ma dalla porta mi diceva che per me non poteva fare proprio nulla. Non c’è stata sala parto per me, come mi avevano promesso, non c’è stata privacy in quel momento di dolore, fisico e psicologico. Lo Stato che doveva tutelarmi mi aveva abbandonata, costringendomi a cavarmela da sola in un letto in corsia”. Nel reparto infatti erano tutti obiettori di coscienza, nessuno tra il personale sanitario presente voleva avere nulla a che fare con una donna che abortisce. L’unico medico responsabile dell’interruzione di gravidanza, l’unico che aveva deciso di portare avanti un diritto delle donne sancito dalla Costituzione, era invece impegnato in sala operatoria per due urgenze consecutive. “Nessuno mi ha aiutata o mi ha detto cosa fare – dice Sara – e a un certo punto poi partorii quel bambino”. Allo shock se ne aggiunge un secondo: “Mi avevano promesso anche questo: non avrei mai visto il bambino nascere. E invece l’ho visto perché ero completamente sola a gestire il tutto. Quell’immagine a distanza di oltre un anno ancora mi tormenta. E non deve essere stato facile nemmeno per quella donna, che ringrazio ancora con tutto il cuore, che ha sofferto insieme a me, per me, dal suo letto. Non dimenticherò mai le sue lacrime perché io, una perfetta sconosciuta, soffrivo, e nemmeno le sue parole di supporto. È stata la mia salvezza”. Che ne è stato del supporto psicologico? “Forse nemmeno la psicologa poteva fare qualcosa per me – riprende il racconto Sara – La cosa che più mi ha fatto male è che mi hanno lasciata ancora per un’ora in quel letto con il feto tra le gambe. Un’ostetrica, forse mossa dalla compassione, mi coprì con un lenzuolo. Sempre nello stesso letto in corsia. Non ho visto nessuna sala parto. Solo quella operatoria dove sono stata addormentata per l’intervento chirurgico finale”. Quando Sara si risveglia è di nuovo nel suo letto in corsia. Padre e marito, entrambi medici, non riescono a sapere nulla di quanto accaduto all’interno dell’ospedale, costretti fuori dalla struttura ad aspettare per ore all’oscuro di tutto. “Credevano che fossi morta – aggiunge Sara – Poi, molte ore dopo, un amico li ha informati che ero ancora sotto anestesia. Il Covid aggiunto all’obiezione di coscienza rende davvero disumani. Appena ho recuperato la forza di alzarmi sono andata via, con una brutta emorragia in corso: nessuno mi aveva detto nemmeno questo e ovviamente al risveglio ero nuovamente sola”. Come se non fosse bastato quanto accaduto in corsia, contro Sara c’è un vero e proprio ‘accanimento’. Colpa di un errore commesso dal personale dell’ospedale: “Un’infermiera mi ha dato in mano una cartella ma ero debole per controllare che fosse mia e l’ho messa in borsa. Non una visita di controllo, non un appuntamento per verificare il mio stato di salute fisica o psicologica. Solo la beffa di scoprire giorni dopo che mi avevano dato i documenti di un’altra paziente: non sapevano nemmeno il mio nome, ero una brutta persona che abortisce e basta”. Sara dice di essere fortunata ad avere i mezzi e gli strumenti per rivolgersi successivamente in privato a medici e psicologi che l’hanno seguita per rimettersi in forma. “Ho avuto molti problemi fisici dopo l’aborto e anche psicologici – dice – Per me non è stato facile. Poi è stata dura anche con le persone: non tutti hanno compreso la mia scelta e qualcuno ha anche avuto parole dure contro me e mio marito. Parole che ci sono sembrate pietre. Ma la mia è stata davvero una scelta?”. Sara ci racconta che dopo quanto accaduto avrebbe voluto denunciare il tutto ai carabinieri, perché quanto successo “non deve accadere a nessuno, è troppo disumano”. Poi però, dietro consiglio del proprio avvocato, “ho ragionato sul fatto che, se avessi denunciato, il risultato sarebbe stato anni di processi a raccontare tutto questo che fin ora mi sono sempre tenuta dentro. Una ferita enorme che si sarebbe riaperta continuamente”. Non solo. Un possibile effetto ‘indiretto’ sarebbe stato che “quell’unico presidio di legalità, tanto osteggiato, dove quell’unico medico nonostante tutto porta avanti un diritto delle donne, sarebbe stato chiuso. Allora la domanda era: è meglio che ci sia la possibilità di abortire o che quel diritto sia negato e basta perché medici obiettori di coscienza rifiutano di dare assistenza a una donna ricoverata? E allora ho deciso di non denunciare. Ma ho voluto raccontare questa violenza sulle donne e questo tradimento dello Stato che non tutela le donne in difficoltà. Anzi, le costringe a partorire da sole in un letto”.
Carmine Di Niro. Romano di nascita ma trapiantato da sempre a Caserta, classe 1989. Appassionato di politica, sport e tecnologia
"Contrari all'aborto". Le parole di Signorini accendono il dibattito. Marco Leardi il 16 Novembre 2021 su Il Giornale. Scoppia la bufera sui social per un'affermazione del conduttore del Grande Fratello Vip. Dialogando con il concorrente Giucas Casella, Signorini si era detto contrario all'aborto. "Siamo contrari all'aborto in ogni sua forma". Un'affermazione pronunciata ieri sera da Alfonso Signorini al Grande Fratello Vip ha scatenato la polemica e ha esposto il conduttore a una pioggia di critiche. Soprattutto sui social, in questi casi specializzati nel tiro al bersaglio. La controversa dichiarazione del presentatore è stata rilasciata a margine di un colloquio con Giucas Casella, concorrente del reality show di Canale5, nel solco di uno scherzo (che va avanti da settimane) sull'accoppiamento della cagnolina dell'illusionista con un altro cane di grossa taglia. Quello che doveva essere un momento di leggerezza è diventato invece un'occasione di scontro. Signorini, in particolare, aveva provocato Casella sulla possibilità di una cucciolata in arrivo, facendo trasalire il concorrente. Quest'ultimo, rifiutando la sola idea, aveva annoverato tra le varie ipotesi quella che la propria cagnolina potesse appunto abortire. A quel punto, mentre cercava di reggere lo scherzo e di portare avanti il siparietto, Signorini ha pronunciato l'osservazione che ha poi scatenato il dibattito: "Noi siamo contrari all'aborto in ogni sua forma, anche quello dei cani non ci interessa". Parole che non sono passate inascoltate e che hanno infiammato le polemiche. Il confronto sulle affermazioni del giornalista è scoppiato innanzitutto sui social, dove l'argomento – già di per sé divisivo – ha suscitato un acceso dibattito. Alcuni hanno ad esempio accusato il conduttore di aver espresso una posizione ultraconservatrice, altri si sono divisi sull'opportunità di quella valutazione. Tra le voci più critiche, quella di Selvaggia Lucarelli, che con tweet non ha perso l'occasione per scagliarsi polemicamente contro il presentatore del Grande Fratello Vip. "Caro Alfonso Signorini, non so a nome di chi credi di parlare, ma NOI abbiamo votato a favore dell’aborto con un referendum che ha la mia età, quindi fammi questo favore: parla per te e per il tuo corpo, visto che non rappresenti né il paese né il corpo delle donne", ha scritto la giornalista, alimentando a sua volta la discussione. Nelle ore successive, Endemol Shine Italy (la società di produzione che realizza il Grande Fratello Vip), ha poi comunicato la propria posizione sull'episodio televisivo. "Alfonso Signorini ha espresso la propria opinione su un tema importante e sensibile come quello dell’aborto, che è un diritto di ogni donna sancito dal nostro ordinamento. Pur rispettando le opinioni di ognuno, come Endemol Shine Italy esprimiamo la nostra distanza dalla sua personale posizione", ha infatti scritto la società in una nota diramata sui social. E lo stesso conduttore Mediaset, con un tweet, è intervenuto indirettamente sulla vicenda, parlando "libertà di pensiero". "Tra i diritti civili per i quali mi batto da sempre ci sono il rispetto e la difesa della libertà di pensiero. Un principio che difendiamo, anzi difendo, con assoluta fermezza. Indipendentemente dai miei gruppi di lavoro", ha chiosato.
Già in passato i temi etici e sociali erano stati oggetto di dibattito nel reality show di Canale5, se pur con toni e sfumature diverse. A inizio stagione, infatti, lo stesso Signorini si era espresso in diretta tv contro l'eccesso di politicamente corretto, auspicando un "atteggiamento diverso, meno bacchettone" e chiedendo al pubblico di seguire il reality senza pregiudizi in tal senso. Anche in quel caso, le parole del conduttore erano passate dal setaccio critico dei social.
Marco Leardi. Classe 1989. Vivo a Crema dove sono nato. Ho una Laurea magistrale in Comunicazione pubblica e d'impresa, sono giornalista. Da oltre 10 anni racconto la tv dietro le quinte, ma seguo anche la politica e la cronaca. Amo il mare e Capri, la mia isola del cuore. Detesto invece il politicamente corretto. Cattolico praticante, incorreggibile interista.
Grande Fratello Vip, il linciaggio di Signorini contrario all'aborto diventa un caso politico. Il Tempo il 16 novembre 2021. La difesa della vita e il linciaggio. Alfonso Signorini, ieri sera in diretta Tv su Canale 5, mentre presentava la puntata del lunedì del Grande Fratello Vip, si è espresso contro l'aborto attirando su di sè tutta una serie di invettive del giorno dopo. «Caro Alfonso Signorini, non so a nome di chi credi di parlare, ma noi abbiamo votato a favore dell’aborto con un referendum che ha la mia etá, quindi fammi questo favore: parla per te e per il tuo corpo, visto che non rappresenti né il paese né il corpo delle donne», ha scritto su Twitter Selvaggia Lucarelli dopo la dichiarazione di Signorini («Noi siamo contrari all’aborto in ogni sua forma», ha detto il conduttore nel corso del programma, ndr). E Fiorella Mannoia: «Ma noi chi? Noi chi??????». con sei punti interrogativi, sempre su Twitter mentre sullo stesso social l'attrice Anna Foglietta ha twittato: «’"Noi siamo contrari all’aborto", disse Alfonso Signorini in tv. S’è svegliato tardi, perché la legge italiana lo prevede dal maggio del ’78. Strizzare l’occhio a un certo conservatorismo da un uomo come lei mi delude enormemente. Occhio ai diritti. Non abbassiamo la guardia. #194». Per placare un po' le polemiche è dovuta intervenire, con un post, Endemol in cui ha spiegato che l’aborto «è diritto di ogni donna sancito dal nostro ordinamento. Pur rispettando le posizioni di ognuno, come Endemol Shine Italia esprimiamo la nostra distanza dalla personale posizione» di Alfonso Signorini. Endemol Shine Italia, società produttrice del Grande Fratello Vip, nel prendere le distanze dalle affermazioni del conduttore del programma, aggiunge: «In tutte le comunità e in tutti i gruppi di lavoro le opinioni possono essere diverse - dice Endemol - e Grande Fratello si distingue da sempre per essere attento a tutte le evoluzioni della società e al rispetto dei diritti civili», conclude. In difesa del giornalista e popolare conduttore Tv è scesa, invece, la leader di Fratelli d'Italia, Giorgia Meloni che su Twitter ha scritto: "Alfonso #Signorini è vittima di un linciaggio online per aver espresso un'opinione - condivisibile o meno - sull'#aborto. Mi rammarica che questa aggressione, a suon di offese e insulti, provenga e sia fomentata dagli stessi che si ergono a paladini del rispetto e dei diritti.". Difesa a spada tratta anche per l'associazione Pro Vita che scrive: «Il polverone mediatico che si è sollevato in merito alla frase contro l’aborto di Alfonso Signorini dimostra chiaramente che viviamo in una società in cui vige già una dittatura del pensiero unico». E Mario Adinolfi ha aggiunto: «Alfonso Signorini ha dato scandalo per aver detto al Gf Vip: "Noi siamo contrari all’aborto in ogni sua forma". Sposo ovviamente le parole di Signorini, spero che il politicamente corretto/corrotto non lo costringa a precisazioni. L’idea prolife deve aver diritto di cittadinanza». Sull'argomento è intervenuto anche il giornalista Paolo Brosio: «Alfonso ha fatto benissimo ad esprimere la sua idea in modo chiaro nel corso della puntata del Grande Fratello, non deve chiedere scusa proprio a nessuno. Chi è favorevole all’aborto ha le mani insanguinate», è il suo pensiero. «Il diritto alla vita non è il diritto individuale - incalza Brosio - Si tratta della salute di una vita, di una vita che inizia ad avere forma». Sull’uso del ’"noì" da parte del conduttore del Gf Vip nell’esprimere la propria opinione, che sta facendo discutere il web, Brosio osserva: «Forse intendeva "noi" che abbiamo una formazione cattolica, perché so che anche Alfonso è molto devoto. Anche se per molte cose si allontana dalla cultura cattolica, però è molto credente». Brosio, che ha partecipato al Gf proprio lo scorso anno, sottolinea: «Io per primo nella mia vita sono stato molto libertino, ma quando ti avvicini a Dio devi fare in conti con Dio». E sulle eventuali "scuse" da parte di Signorini evocate a gran voce dal popolo di internet, è netto: «Deve chiedere scusa a chi? Se sei contro l’aborto, è la tua idea e lo devi rendere esplicito. È giusto sentire tutte le opinioni, ma in Italia grazie a Dio c’è anche l’obiezione di coscienza. Lui deve chiedere scusa a chi non la pensa come lui? Bisogna avere un unico pensiero, non si può avere un’idea diversa? Non vedo perché pretendere da Signorini che non dica la sua su un tema così delicato». In conclusione, «per me ha fatto benissimo. Se lui la pensa così, deve dirlo. Ha tutta la mia comprensione e solidarietà, perché io so che lui va in chiesa e prega. Sarebbe stato incoerente se avesse detto il contrario», chiosa il giornalista.
Gf Vip, vergogna-Selvaggia Lucarelli di Alfonso Signorini: "Ci mancava solo il moralismo di un omosessuale". Libero Quotidiano il 16 novembre 2021. Alfonso Signorini, in diretta ieri sera 15 novembre, al Grande Fratello vip su Canale 5, si lascia scappare una frase sull'aborto, scatenando l'ira di Selvaggia Lucarelli. "Siamo contrari all'aborto in ogni sua forma, anche quello dei cani non ci interessa", ha detto il conduttore. E la giornalista, sul suo profilo Twitter, sbotta: "Caro Alfonso Signorini, non so a nome di chi credi di parlare, ma noi abbiamo votato a favore dell’aborto con un referendum che ha la mia età, quindi fammi questo favore: parla per te e per il tuo corpo, visto che non rappresenti né il Paese né il corpo delle donne". La Lucarelli è una furia: "E già che ci siamo: anziché a Giucas Casella, nel silenzio generale delle donne in studio, queste frasi valle a dire a chi è costretto all’aborto terapeutico, alle vittime di stupri etnici, alle donne che scelgono in piena libertà e a chiunque abbia una storia un po’ più complessa da raccontarti che 'Bettarini ha bestemmiato al grande fratello, espulso!'. Il moralismo ortodosso urlato al megafono del reality dal conduttore omosessuale pro life, ci mancava solo questo". A scatenare la furia di Signorini è stata una frase di Giucas Casella che da diverse puntate del reality viene preso in giro per l'accoppiamento della sua cagnolina con un cane di grossa taglia. Ieri il conduttore ha scherzato su una eventuale cucciolata. E Casella ha quindi detto che se la sua cagnolina è incinta può valutare la possibilità di farla abortire. Quindi Signorini si è infuriato: "Siamo contrari all'aborto in ogni sua forma, anche quello dei cani non ci interessa".
Da ilmessaggero.it il 16 novembre 2021. Selvaggia Lucarelli si scaglia contro Alfonso Signorini nell'ultima puntata del Gf Vip. Il conduttore si è sbilanciato in un pericoloso giudizio sull'aborto, scatenando un turbinio di commenti social. Ma cosa ha detto Signorini? È bastata una frase di Giucas Casella a scatenare l'uscita, indiscutibilmente pesante, del conduttore del programma. Nel solco della scherzo a Giucas Casella che va avanti da settimane, ovvero l'accoppiamento del suo cane femmina con un altro di grossa taglia, Signorini ha stuzzicato il concorrente sulla possibilità di una cucciolata in arrivo. Casella si è rifiutato di accogliere l'idea pacificamente e ha incluso, nel novero delle ipotesi, proprio la possibilità che la cagnolina, a quanto pare incinta, possa appunto abortire. Proprio in risposta a questo è arrivata la precisazione di Signorini che ha incendiato il dibattito sui social network: «Siamo contrari all'aborto in ogni sua forma, anche quello dei cani non ci interessa».
Bufera social
L'uscita di Signorini ha provocato una bufera sui social. La giornalista Selvaggia Lucarelli ha attaccato Signorini con un post su Instagram: «Non so a nome di chi credi di parlare, ma NOI abbiamo votato a favore dell’aborto con un referendum che ha la mia età, quindi fammi questo favore: parla per te e per il tuo corpo, visto che non rappresenti né il paese né il corpo delle donne. E già che ci siamo: anziché a Giucas Casella, nel silenzio generale delle donne in studio, queste frasi valle a dire a chi è costretto all’aborto terapeutico, alle vittime di stupri etnici, alle donne che scelgono in piena libertà e a chiunque abbia una storia un po’ più complessa da raccontarti che “Bettarini ha bestemmiato al Grande fratello, espulso!”. Il moralismo ortodosso urlato al megafono del reality dal conduttore omosessuale pro life, ci mancava solo questo». Un giudizio condiviso da molti spettatori del programma: «Medioevo», scrivono. «Signorini dovrebbe vergognarsi».
Il grande canile. Signorini, l’aborto dei cani e il fardello della militanza scema. Gaia Soncini su L'Inkiesta il 17 Novembre 2021. Le polemiste morali attaccano il conduttore televisivo perché si è detto contrario a qualsiasi forma di interruzione di gravidanza, anche quella degli animali. Ormai non c’è una terza opzione: o siamo diventati tutti idioti, o facciamo di tutto per farlo credere a chiunque ci legga, ci ascolti, ci compri. Non c’è una terza opzione, diceva Louis CK nel più definitivo minuto di monologo sull’aborto, qualche anno fa: o pensi che sia un assassinio, o pensi che sia come defecare. (Io, ve lo dico così potete smettere di leggere subito giacché mica leggete gente immorale, sono della seconda scuola di pensiero). Non c’è una terza opzione, dico io. O siamo un paese che ha risolto tutti ma proprio tutti i propri problemi, e quindi può permettersi di montare uno scandale du jour su un conduttore televisivo che, nel corso d’un reality che le persone che possono permettersi pile del telecomando non scariche hanno smesso di guardare da una quindicina d’anni, dice «noi siamo contrari all’aborto», parlando al plurale come il mago Otelma e i non licenziati dalle elementari che si percepiscono non mammiferi e non binari; o siamo un paese così fragile da essere sì riuscito ad avere una legge sul divorzio quando i politici non erano degli scappati di casa, ma dei seri conservatori che dicevano che se fosse passato il divorzio allora le mogli degli elettori sarebbero scappate con le cameriere, ma da percepire ora in pericolo la legge sull’aborto ogni volta che un conduttore televisivo ci fa sapere che per lui quella pratica lì uccide bambini. O è scemenza, o è lusso: decidete voi. Fatto sta che lunedì sera Alfonso Signorini ha espresso contrarietà plurale parlando dell’ipotetico aborto d’un cane, e martedì mattina le polemiste morali sapevano come passare la giornata. Dicendo che l’aborto è comunque un grande dolore (dio, so che non esisti, ma dammi comunque la continenza sennò su ’sta cosa del dolore mi parte un’invettiva che deve portarmi via la croce verde). Dicendo che guai a chi tocca la 194 (quella legge di merda che, se sei solvibile e vuoi star comoda, ti vieta di abortire in clinica, giacché l’aborto o lo controlla lo Stato o rischiamo che poi l’utero sia davvero mio). Dicendo soprattutto, giacché siamo molte cose ma soprattutto siamo adulte che argomentano come tredicenni, che se non hai un utero non puoi avere un’opinione sull’aborto. A parte che sono abbastanza certa che, con la nuova prescrittività a considerare il genere come costrutto sociale, dire che Signorini non abbia un utero sia affermazione transfobica, eteronormativa, e forse persino maschiabiancacis. A parte questo, dicevo: ma quindi non posso occuparmi di come vadano trattati i profughi perché non sono profuga? Non posso interessarmi al fatto che nelle carceri vivano in maniera dignitosa perché non sono galeotta? Non posso stanziare fondi per gli asili perché non ho figli? Vedo adulte citare Rachel Green, personaggio di telefilm degli anni Novanta, Rachel Green che diceva «no uterus, no opinion», e mi chiedo molte cose; cose che attengono ai consumi culturali degli adulti in un’epoca in cui essi fanno di tutto per non sembrare adulti, che attengono all’idea che per parlare di corvi si debba essere corvi, che attengono alla scemenza collettiva nell’epoca dell’epistemologia identitaria, ma soprattutto mi chiedo: possibile che nessuno di costoro che la citano come fosse la figlia naturale di Ludwig Wittgenstein e di Simone de Beauvoir, di Natalia Ginzburg e di AA Gill, possibile che nessuna di queste cagne di Pavlov si renda conto che Rachel Green, tra i personaggi di quella serie che non pullulava di giganti del pensiero, era la cretina per eccellenza? Ormai sono diventata Richard Gere. Non nel senso che salgo sulle navi dei profughi, ma nel senso di quella scena di Pretty Woman in cui lui dice che sono molto rare le persone che hanno la capacità di stupirlo, e Julia Roberts risponde una cosa tipo «Beato te, la maggior parte mi sciocca a morte». Poche cose mi stupiscono, ma sono stupita che non si siano indignati gli antiabortisti. Uno (Alfonso Signorini) che, parlando d’un cane, nella convenzione narrativa denominata «il confessionale» (la parte del Grande Fratello in cui il concorrente parla con autori e conduttori), con un concorrente che di mestiere finge d’ipnotizzare gli ospiti televisivi (Giucas Casella), uno che in un contesto così sommamente kitsch dice «noi siamo contrari all’aborto in ogni sua forma, anche quello dei cani» è chiaramente uno che sta parlando di questo assassinio d’infanti, e di questo dolore perpetuo per ogni donna che abbia voluto un raschiamento, e di questo trauma inflitto all’umanità tutta, di questa ferita dell’identità occidentale, che ne sta parlando come fosse una barzelletta sui carabinieri. L’aborto in ogni sua forma, anche quello dei cani. Ma non c’è un Pillon che s’è offeso? Una Lucetta Scaraffia? Una Costanza Miriano? Possibile che la militanza scema di destra abbia lasciato l’esclusiva di questo delirio alla militanza scema di sinistra? Niente, Mario Adinolfi ha addirittura detto «sposo le parole di Signorini», evidentemente convinto che donne o cagne pari siano, che ci vogliano divieti alla pillola del giorno dopo per le barboncine, che dove andremo a finire se le bulldog non vogliono più essere madri. Non c’è una terza opzione: o siamo diventati tutti scemi, o facciamo di tutto per farlo credere a chiunque ci legga, ci ascolti, ci compri, e finisca per pensare che sai che c’è, al Grande Fratello non sono mica tanto più scemi di quanto lo siano gli intellettuali.
Vittorio Feltri, la replica dopo le parole di Alfonso Signorini: "Cos'è l'aborto, cosa penso di chi lo esalta". Libero Quotidiano il 17 novembre 2021. Non si placa la bufera attorno ad Alfonso Signorini per quella esternazione in diretta sull’aborto. Il conduttore del Grande Fratello Vip stava portando avanti uno scherzo ai danni di Giucas Casella, al quale ha fatto credere che la sua cagnolina fosse rimasta incinta. Il mentalista ha nominato l’aborto, provocando la reazione inattesa di Signorini: “Noi siamo contrari all’aborto in ogni sua forma, anche quello dei cani non ci interessa”. Anche Vittorio Feltri è intervenuto con un tweet sul caso che sta imperversando ormai da due giorni su tutti i social: “L’aborto talvolta è un male necessario, ma resta un male e chi lo esalta è privo di coscienza”. Chissà che forse non fosse questo il concetto che voleva esprimere anche Signorini, che però per le parole che ha pronunciato è sembrato essere contrario a una pratica che è anche un diritto delle donne, per quanto non sia certo una cosa bella. Quelle frasi sull’aborto hanno costretto anche Endemol Shine Italy (che produce il Gf Vip) a prendere nettamente le distanze da Signorini. Nella bufera ci è finita anche Sonia Bruganelli che, dopo la frase pronunciata dal conduttore, ha chiosato in diretta con un “esatto”. Dato che è stata tempestata di messaggi, la moglie di Paolo Bonolis ha risposto a un utente su Instagram, mettendo in chiaro cosa volesse dire con quell’affermazione: “Esatto era inteso sul non augurare l’aborto spontaneo”.
Le Iene, fucilata contro Alfonso Signorini: "Gli ricordiamo cos'è l'aborto", caos totale a Mediaset. Libero Quotidiano il 17 novembre 2021. Prosegue la polemica che vede Alfonso Signorini protagonista. Il conduttore del Grande Fratello Vip, durante l'ultima puntata, ha condannato "qualsiasi forma di aborto" attirando diverse critiche. Dopo Selvaggia Lucarelli a replicare ci pensa il collega Nicola Savino. "Vogliamo parlare di una questione molto seria: l’aborto - esordisce il conduttore de Le Iene affiancato da Elena Santarelli -. Ve ne parliamo perché, ieri sera, al Grande Fratello Vip, si scherzava sulla possibilità che la cagnolina di Giucas Casella potesse essere incinta, è successo questo…". Ecco che Savino si dissocia: "La frase di Signorini è una frase, sicuramente, detta in velocità ma, comunque la pensiate, vogliamo ricordare a tutti che l’aborto è una conquista di civiltà, un diritto che, in Italia, è stato sancito quarant’anni fa con un referendum. Gli italiani si sono espressi con grandissima partecipazione". Non è da meno l'ex modella, co-conduttrice per una serata del programma di Italia 1. "Comunque la si pensi, è essenziale garantire la libertà di scelta che è stata il punto di arrivo di tante battaglie e credo che quando si parla di questi temi, la parola spetti, prima di tutti, a noi donne". Proprio alla libertà si è appellato Signorini che ha ricordato a telespettatori e non: "Tra i diritti civili per i quali mi batto da sempre ci sono il rispetto e la difesa della libertà di pensiero. Un principio che difendiamo, anzi difendo, con assoluta fermezza. Indipendentemente dai miei gruppi di lavoro".
Alfonso Signorini e la frase sull'aborto, Mediaset: "Prendiamo le distanze". E lui risponde così: terremoto, rischia di saltare? Libero Quotidiano il 16 novembre 2021. Al di là di come la si pensi sull’argomento, Alfonso Signorini si è reso protagonista di un grave scivolone. “Noi siamo contrari a ogni forma di aborto, compreso quello dei cani”, ha dichiarato in prima serata su Canale 5, durante la diretta del Grande Fratello Vip. Una frase pronunciata al plurale che ha scatenato il caos e che è apparsa anche fuori contesto, dato che si parlava dello scherzo fatto a Giucas Casella, che credeva che la sua cagnolina fosse rimasta incinta. Signorini è contrario a un diritto inalienabile: è una sua opinione ed è legittima, ma sbandierarla in diretta nazionale davanti a un pubblico largamente sensibile a riguardo non è stato il massimo, soprattutto per quell’utilizzo del “noi”. E così il datore di lavoro del conduttore del Gf Vip è stato costretto ad intervenire per prendere le distanze con forza: “Nella puntata di ieri - si legge nel comunicato rilasciato da Endemol - Signorini ha espresso la propria opinione su un tema importante e sensibile come quello dell’aborto, che è un diritto di ogni donna sancito dal nostro ordinamento”. “Pur rispettando le opinioni di ognuno - prosegue - come Endemol Shine Italy esprimiamo la nostra distanza dalla sua personale posizione. In tutta la comunità e in tutti i gruppi di lavoro le opinioni possono essere diverse, e Grande Fratello si distingue da sempre per essere attento a tutte le evoluzioni della società e al rispetto dei diritti civili”. Anziché scusarsi e chiudere il caso, Signorini ha risposto tenendo il punto: “Tra i diritti civili per i quali mi batto da sempre ci sono il rispetto e la difesa della libertà di pensiero. Un principio che difendiamo, anzi difendo, con assoluta fermezza. Indipendentemente dai miei gruppi di lavoro”.
Adriana Marmiroli per “La Stampa” il 17 Novembre 2021. Si parte parlando di cani. E si arriva a Signorini che dice «Noi siamo contrari all'aborto in ogni sua forma, anche a quello dei cani». Accade lunedì sera al Grande Fratello Vip. L'aborto e la legge che lo tutela, periodicamente rimessi in discussione, è tema che fa fibrillare in Italia. Inevitabile che ne scaturisse una polemica e che i social si infiammassero. Giucas Casella dal confessionale esprime il timore che la propria cagnetta messa incinta da un cane grande e grosso possa abortire. Signorini insorge e dice, sostanzialmente, «te li adottiamo tutti noi». E fin qui. Poi tutto di seguito, senza prendere fiato: «Noi siamo contrari all'aborto in ogni sua forma, tra l'altro». Sorride e tace Adriana Volpe inquadrata. Mentre in sottofondo l'altra opinionista Sonia Bruganelli interloquisce un convinto «Esatto!» d'approvazione. Fine del siparietto tv, il resto succede sui social. È un coro di reazioni indignate di donne e di molti uomini. Selvaggia Lucarelli spara ad alzo zero. «Caro Signorini non so a nome di chi credi di parlare. Ma noi abbiamo votato a favore dell'aborto con un referendum». Parla per te e per il tuo corpo, in buona sostanza. «Il moralismo ortodosso urlato al megafono del reality dal conduttore omosessuale pro life, ci mancava solo questo», conclude la giornalista. Ne fa una questione di noi Fiorella Mannoia, incredula. «Ma noi chi???????», e i punti interrogativi sono tutti suoi. Invita Signorini a «tornare a parlare di gossip lasciando stare i diritti delle donne» Sara Battisti, vicesegretaria Pd del Lazio. E per favore «non parli a nome mio e delle tante che sono morte per le pratiche abortive illegali». E Daniela Collu: «Quando un conduttore parla al plurale, a nome di chi lo fa?». Anna Foglietta vede un attacco diretto alla legge e twitta: «Occhio ai diritti. Non abbassiamo la guardia. #194». «Un motivo in più per non guardare il Gf Vip - twitta Laura Boldrini -. A noi donne nessuno può imporre quello che dobbiamo fare. Abbiamo lottato per avere una buona legge sull'aborto, confermata anche da un referendum». E Più Europa, erede del partito Radicale che si batté con forza per la legge 194, sottolinea che «davanti a milioni di spettatori, anche giovani, Signorini paragona il diritto all'aborto di una donna a quello di un cane». Non è la prima volta che il Gf Vip fa discutere, ma forse è la prima in cui Endemol Shine Italy, che produce il reality, prende le distanze dalla «personale posizione» di Signorini, che si è espresso «su un tema importante e sensibile come quello dell'aborto, che è un diritto di ogni donna sancito dal nostro ordinamento». Signorini nel pomeriggio di ieri rompe il silenzio stampa via social: «Tra i diritti civili per i quali mi batto da sempre ci sono il rispetto e la difesa della libertà di pensiero. Un principio che difendiamo, anzi difendo, con assoluta fermezza». Con lui si schiera Paolo Brosio: «Signorini non deve chiedere scusa proprio a nessuno. Chi è favorevole all'aborto ha le mani insanguinate. Se sei contro l'aborto, lo devi rendere esplicito». La leader di FdI Giorgia Meloni non entra nel merito dell'aborto ma invoca «solidarietà ad Alfonso Signorini, vittima di un linciaggio online per avere espresso un'opinione». E Mario Adinolfi del Popolo della Famiglia esige «per l'idea pro life il diritto di cittadinanza». E il senatore Simone Pillon interviene per parlare di quelle che lui definisce «eterne leggi della natura» e per dire che «la vera libertà e la vera tutela della donna passano dalla verità sulla vita nascente». In molti hanno deciso di replicare in difesa della 194 postando un video di Oriana Fallaci, quando, durante un dibattito in cui si parlava di legge sull'aborto, si espresse senza mezzi termini. «A restare incinte siamo noi donne, a morire partorendo e abortendo o non abortendo siamo noi donne, e che la scelta quindi tocca a noi. Siamo noi a doverla prendere, che a voi piaccia o non piaccia».
Da corriere.it il 18 Novembre 2021. Le parole di Alfonso Signorini sull'aborto durante la puntata di lunedì del «Grande Fratello Vip» hanno scatenato moltissime polemiche. Usando un inappropriato plurale maiestatis, il conduttore ha dichiarato: «Noi siamo contrari all'aborto in ogni sua forma». L'affermazione che ha infiammato i social, divisi tra sostenitori e detrattori, nella serata di martedì è approdata alle «Iene». Nicola Savino e Elena Santarelli sono infatti tornati sull'argomento, rispondendo al conduttore del reality. «È una frase detta sicuramente in velocità. Comunque la pensiate, vogliamo ricordare a tutti che l'aborto è una conquista di civiltà. È un diritto che in Italia è stato sancito da 40 anni con un referendum, sul quale gli italiani si sono espressi con una grandissima partecipazione» ha detto Savino. «Comunque la si pensi — è intervenuta Santarelli —, io credo che sia essenziale garantire la libertà di scelta. È stato il punto di arrivo di tante battaglie e credo che quando di parla di questi temi la parola spetti prima di tutto a noi donne». Sempre nel corso della trasmissione di Italia Uno, Santarelli ha commosso con un monologo sulla malattia che nel 2017 ha colpito il figlio Giacomo. Un tumore al cervello concluso con la guarigione del piccolo, ma che ha lasciato profonde ferite sulla madre. Il suo monologo è cominciato così: «Mi sono vergognata di tornare a lavorare, di uscire con mio marito, persino di andare dal parrucchiere. Mi sentivo male per essermi presa un pezzo di vita per me. Gli sguardi, le parole della gente ti proibiscono di essere altro dalla malattia». «C’è un’altra cosa che ti impedisce di tornare a vivere — ha continuato la showgirl —: il senso di colpa per la fortuna che hai avuto. Perché tante amiche che ho conosciuto in ospedale, mamme come me, oggi non hanno più i loro figli. E quella fortuna sentivo di non meritarla più di loro. Così ho cercato di nascondere la mia felicità, ma loro mi hanno detto: "Non ti vergognare". Ed è solo grazie a loro che ho potuto tornare a vivere tutte le mie emozioni, e mi sono liberata». Santarelli ha quindi concluso: «Mi sono sentita una madre sbagliata, ma non voglio farlo più. E non fatelo neanche voi, non abbiate paura di tornare a vivere».
Andrea Parrella per "fanpage.it" il 18 Novembre 2021. C'era anche Sonia Bruganelli negli studi del Grande Fratello Vip mentre Alfonso Signorini pronunciava quella che è senza dubbio una delle frasi più controverse pronunciate di recente in Tv: "Siamo contrari all'aborto in ogni sua forma".
Come sono andate le cose
Un momento che ha sollevato un enorme polverone e che Sonia Bruganelli ricostruisce in un'intervista video a Fanpage.it a tutto tondo, che verrà pubblicata nelle prossime ore.
«Tutto è nato da uno scherzo a Giucas Casella, in quel momento stavamo parlando di cuccioli di cane e lui ha detto che non voleva la sua cagnolina ne partorisse 7, parlando di aborto. Si sa bene che oggi c'è enorme sensibilità verso il mondo degli animali, quindi questa frase ha innescato una dinamica forte, l'abbiamo vissuta con allarmismo. Presumo che Alfonso, in quella circostanza, abbia voluto istintivamente dissociarsi da quell'immagine proposta da Giucas con una certa leggerezza. Siccome ci sono molte persone che hanno vissuto questa esperienza che non si augura a nessuno, si è trovato in questa situazione borderline». Alcune contestazioni sono arrivate anche al suo indirizzo, per una apparente reazione di approvazione alle parole di Alfonso Signorini contro l'aborto che Sonia Bruganelli spiega così: "La mia reazione è dipesa dall'essermi figurata in testa l'immagine dei cuccioli di cane, oltre ad aver pensato che forse Giucas con quella frase rischiava di giocarsi il gradimento del pubblico".
L'aborto volontario a 22 anni
Rispetto alla posizione di Signorini sull'aborto e alle parole pronunciate dal conduttore in diretta, Sonia Bruganelli offre il suo punto di vista raccontando la sua esperienza personale: "Non mi sono sentita in difficoltà in quel momento, ma io la penso in modo diverso da Alfonso ed è una mia opinione. Purtroppo ho vissuto l'esperienza per due volte. A 22 anni, prima di conoscere Paolo (Bonolis, ndr) ho praticato un aborto volontario perché la persona con cui stavo non si sentiva pronta, poi un aborto spontaneo prima della nascita di mia figlia. Credo che sia importante parlarne e ben venga la possibilità per le donne di abortire".
"La strumentalizzazione è dietro l'angolo"
Rispetto alle parole di Alfonso Signorini, Bruganelli prova a comprendere le intenzioni che lo abbiano portato a quella frase e le polemiche scaturite: "Non so cosa intendesse nello specifico Alfonso e il suo pensiero resta suo, chi si voleva dissociare si è dissociato. Non amo questa volontà di attaccare una persona fino a che non se ne veda il sangue. Non porta a nulla. Mi chiedo, se invece davanti alle parole di Giucas non avesse battuto ciglio, il giorno dopo ci sarebbe stata una levata di scudi da parte di chi è contro certe cose sui cani? Credo che tutto vada contestualizzato. La strumentalizzazione è dietro l'angolo".
Angela Calvini per “Avvenire” il 18 novembre 2021. Un putiferio mediatico pone sotto i riflettori la questione dell'aborto, del diritto alla vita e della libertà di espressione. Il tutto scatenato da un'affermazione del conduttore Alfonso Signorini durante il Grande Fratello Vip su Canale 5 («Noi siamo contrari all'aborto in ogni sua forma», ha detto) travolto da una violenta reazione soprattutto sui social. Ne parliamo con Massimo Bernardini, autore e conduttore di Tv Talk in onda il sabato su Rai 3 alle 15, che dedicherà la prossima puntata proprio a questo dibattito. «Avremo ospiti Mario Giordano e Bruno Vespa e allargheremo il tema anche alla dittatura del politicamente corretto. Ovvero come avere una posizione diversa dal "mainstream" porti a una levata di scudi di ferro a fronte di un grado di pensiero bassissimo».
Anche sul tema dell'aborto?
Sono andato a rileggermi la Legge 194 del 1978. Io ho fatto allora, da giovane cattolico, una battaglia per l'abolizione della legge che ora non farei più, ma di cui non mi vergogno. Oggi piuttosto invito a leggere bene quella legge.
Ci spieghi meglio.
Fa molto effetto leggere i primi 5 articoli della 194. La parola che più viene spesa è "diritti". E il primo diritto citato dall'articolo 1 è che «lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana sin dal suo inizio».
Rende certo possibile l'interruzione di gravidanza, ma si capisce che noi oggi abbiamo una lettura completamente cambiata. Allora la legge non fu firmata dai cattolici, bensì era radicale e socialista, eppure se la leggi oggi, è di una saggezza, rispetto al livello del dibattito attuale, che fa impressione.
C'è in ballo anche la libertà di espressione?
Signorini si è incagliato sulla parola "noi" che gli è uscita dal cuore. È stato un errore, però la libertà di pensiero nell'avere una posizione contro l'aborto dovrebbe essere garantita.
Colpa anche dei social?
Ormai è tutto semplificato. In fondo quella legge ha tenuto conto che dentro il Paese c'era una realtà che la pensava diversamente. Non è una legge dalla parte della vita, comunque è una legge che punta molto sui consultori per sostenere le donne. Invece i social prendono questa cosa con la vanga.
«Non si osi toccare il diritto della donna», si proclama. Io faccio parte di quei cattolici che si rendono conto che sarebbe antistorico abolire la Legge 194. Ma piuttosto chiedo che venga applicata, chiedo che i consultori funzionino come la legge dice, ovvero per cercare di evitare la cause che portano all'aborto. Inoltre la legge dice che l'obiezione di coscienza va rispettata.
E il dibattito sui diritti?
Noi negli anni '70 lottavamo per diritto al lavoro e alla giustizia, adesso diritti sono sinonimo esclusivo di Lgbt, sesso e libertà d'aborto. E questo ci illumina anche sul Ddl Zan che è la sconfitta politica di quanti non hanno voluto la mediazione con chi, pur condividendo la difesa della minoranza Lgbt dalla violenza, non era d'accordo su alcuni punti. Ha vinto il muro contro muro.
Pure l'antiabortista Alfonso Signorini vittima del mainstream sinistro. Arnaldo Magro su Il Tempo il 20 novembre 2021. «Siamo contrarti all'aborto in tutte le sue forme!»: così Alfonso Signorini smuove la gran cassa dei benpensanti. La cosa farebbe sorridere perché la frase è stata pronunciata in risposta a Giucas Casella, concorrente della casa che aveva ventilato la possibilità che la sua cagnolina Nina, rimasta incinta, potesse abortire. Ma la questione è seria. Perché se Signorini fosse rimasto in silenzio continuando a parlare con Giucas Casella come se niente fosse, nessun problema. Invece esprimere una posizione anti-abortista in diretta televisiva diventa materia di lapidazione contro chi ha osato esprimerla. Sarebbe antistorico pensare di tornare a prima del 1978, quando il codice penale qualificava l'interruzione volontaria di gravidanza come un reato. Il che voleva dire che la fabbrica degli aborti clandestini lavorava a pieno regime tra «mammane» a medici senza scrupoli. La legge 194 giunse in porto dopo un iter parlamentare di due anni, un dibattito serrato tra i partiti e tra i cittadini. Il punto è che ogni qualvolta si parla di un tema politicamente sensibile o lo si fa nei limiti concessi e stabiliti dal mainstream del politicamente corretto o s' incappa in ammonizioni, squalifiche e reprimende. Cioè la politica in questa fase sembra talmente inconsapevole di se stessa, da non riuscire a reggere alcun concetto «pesante», peggio ancora se urta i canoni del politicamente corretto. Sei a favore della famiglia naturale, degradata a «tradizionale»? Sei antico, retrogrado, oscurantista. Sei contro lo sdoganamento dell'utero in affitto necessario per la procreazione di due genitori dello stesso sesso? Sei contro i diritti delle minoranze, sei contro il diritto alla maternità e paternità universali per tutti, sei fermo al medioevo. Sei contro all'introduzione nella scuola dell'obbligo (cioè a studenti dai 6 ai 14 anni d'età) della cultura «gender free», cioè di un'educazione libera dal concetto di sesso biologico di un essere umano? Dormi con il quadro di Giovanni Gentile sul letto. Come il ddl Zan ha mostrato, c'è una demagogia che alza il tono del dibattito su alcuni temi fino a degradarlo in scontro. Tutto fa brodo per costituire un recinto «democratico» fuori dal quale c'è la giungla dei reazionari, dei fascisti, dei marziani, dei retrogradi: anche dare addosso a un conduttore televisivo cui è «scappata» in diretta un'opinione antiabortista. Ridateci il 1978!
Da “Libero Quotidiano” il 20 novembre 2021. A PiazzaPulita, su La7, giovedì sera è andato in onda il consueto siparietto su Giorgia Meloni. Corrado Formigli, questa volta, era in compagnia di Selvaggia Lucarelli. Che ha attaccato la leader di Fratelli d'Italia prendendo spunto dal suo passato. «La Meloni», ha detto la Lucarelli, «parla di aborto come di sconfitta della società. Il suo libro inizia con una storia relativa all'interruzione di gravidanza. Racconta di essere venuta al mondo e diventata un leader politico per un mancato aborto. Davanti all'ospedale, la madre all'ultimo momento ha deciso di non abortire. C'è questa eroicizzazione della donna che non pratica l'aborto all'ultimo momento e nasce Giorgia Meloni». E ancora: «Voglio sottolineare che nel 1977 non si abortiva in ospedale, quindi qualcosa non va». Ieri, sui social, è arrivata l'inevitabile replica della Meloni. Che ha risposto secca: «Continua il linciaggio senza senso a PiazzaPulita. Per la cronaca, perché studiare potrebbe fare bene quando si pontifica: l'aborto in Italia non è più reato dal 1975, prima della 194. Quindi nel 1977 era possibile abortire senza essere perseguiti. Detto questo, continuate pure ad attaccarmi con i vostri livorosi deliri, ma lasciate mia madre e i miei familiari fuori dalla vostra disinformazione. P.S. Io non sono nata "per sbaglio" Formigli, sono nata per scelta». Ecco...
«Nella Polonia antiabortista essere donne è un dramma». Ma ora arriva la condanna del Parlamento europeo. Non si fermano le proteste dopo la morte di Izabel. Ma dalle testimonianze che abbiamo raccolte il disagio è palpabile: «Piango a ogni Tg. Uomini in giacca e cravatta credono di essere i nostri padroni». Intanto arriva una relazione di condanna alla legge: «Il governo si adoperi per trattamenti sicuri, legali e gratuiti». Francesco Castagna su L'Espresso l'11 novembre 2021. Sembra una protesta silenziosa quella delle donne in memoria di Izabel, la trentenne polacca, che, ricoverata in un ospedale di Pszczyna, è morta per infezione dopo un aborto negato. Invece silenziosa non lo è affatto. Le strade di Varsavia e Cracovia, ma anche delle cittadine più piccole, si sono riempite di una folla ogni giorno più numerosa, pronta a scagliarsi contro la decisione dell’Alta Corte del 2020, poi varata dal governo sovranista di Andrej Duda il 27 gennaio del 2021, che vieta l’aborto anche in caso di malformazione del feto. Donne adulte, ragazze, ragazzi e uomini di ogni età per dire basta a queste continue restrizioni dei diritti. E’ durissimo è lo sfogo sui social. Si leggono commenti come “per favore, smettetela di uccidere le persone innocenti che vogliono solo la felicità” o anche “E ora otterranno l'assoluzione e avranno la coscienza pulita”, riferendosi al personale sanitario dell’ospedale di Pszczyna. Sotto l’hashtag “#anijednejwięcej”, che in italiano significa #nonunadipiù, si riuniscono tutte le donne della Polonia con delle candele accese alle finestre. Ma il fulmine rosso che rappresenta le proteste di “Ogólnopolski Strajk Kobiet”, il movimento che difende i diritti delle donne, è più forte di prima e più compatto e si muove già per un gran segnale di dissenso. Basta vedere le foto degli ultimi giorni per capire che la società civile di tutto il mondo ha reagito a questa violenza e al rapporto sempre più stretto che le sette fanatiche, legate alla Chiesa Cattolica polacca, hanno stretto con il governo Duda.
Luci accese nelle piazze di Berlino, Parigi, Londra, Roma con NonUnaDiMeno e tanta gente a manifestare. Non avendo confini territoriali infatti l’aborto è un diritto per il quale le donne devono lottare ovunque costantemente. Già dal 2012 si hanno notizie prima di una trentunenne indiana, Savita Halappanavar, morta a Dublino, poi di Valentina Milluzzo, morta per la stessa decisione dei medici nel 2016. “Oggi” è il caso di Izabel. Ma di quante non conosciamo il loro percorso?
In Polonia l’orientamento politico c’entra ma solo in parte e anche molte famiglie cattoliche ormai stentano a sostenere le decisioni dell’Alta Corte polacca e del governo sovranista a guida di Andrzej Duda.
A Jędrzejów, città a nord di Cracovia, vivono sia Martyna che Elzbieta, due giovani donne furiose per le decisioni prese dal governo ma al tempo stesso spaventate da un destino incerto. «Penso di essere una donna forte e coraggiosa» – ci racconta Elzbieta, femminista convinta - «ma allo stesso tempo intimidita e triste a causa della svolta degli eventi e per colpa di uomini in giacca e cravatta che vogliono controllarci, per sottometterci alla loro visione di essere i padroni di tutti. Essere una donna in Polonia è un dramma e piango ogni volta che guardo il telegiornale». Come se ormai si trattasse di un destino ineluttabile, in cui una donna nulla può davanti al divieto inappellabile dell’interruzione di gravidanza. «Penso che in Polonia ci siano ginecologi in grado di consigliare e sostenere, ma non ce ne sono abbastanza. Tutti hanno paura delle conseguenze legali, e se resti incinta dovrai semplicemente partorire, non importa se il bambino è sano o non è in grado di vivere più di due giorni, se hai soldi e condizioni per crescere un figlio, un lavoro, un compagno, se non finisci sotto un ponte. Devi partorire e il resto non è importante. Per questo non voglio diventare madre».
Le storie come quelle di Martyna e Elzbieta sono tante, troppe, donne costrette ad andare in Repubblica Ceca per poter abortire. Ragazze a cui è rimasto un trauma sia a causa del rifiuto da parte dei medici di praticare l’interruzione di gravidanza, sia per quel viaggio che ricorderanno a vita.
Ma il Parlamento europeo non è rimasto a guardare e ha votato a maggioranza una relazione dove condanna la legge che limita fortemente l’interruzione di gravidanza, condannando il Tribunale Costituzionale polacco e chiedendo al governo di Varsavia di permettere pienamente aborti legali, sicuri e gratuiti. Nella relazione i parlamentari europei hanno sollecitato inoltre gli altri paesi dell’Unione Europea a garantire un accesso transnazionale ai servizi abortivi.
In occasione della Giornata internazionale dell’aborto sicuro (28 settembre) intanto, il ministero della sanità del Belgio insieme all’associazione “Abortion without borders” hanno comunicato di voler offrire alle donne polacche bisognose di aiuto la possibilità di abortire gratuitamente, o si faranno carico delle spese se queste decidessero di interrompere la loro gravidanza in un altro paese. Al momento si tratta di un progetto pilota, una volta finite le risorse per questa iniziativa verrà valutato un importo ulteriore.
L’aborto in Polonia è quindi una questione culturale a cui la politica obbedisce ciecamente. «La scuola non ti instrada all’uso dei contraccettivi – spiega Elzbieta - non si parla mai di aborto e in alcuni casi le classi vengano separate appositamente per dividere i maschi dalle femmine. Perché invece di materie come educazione sessuale si insegnano materie come “educazione alla vita familiare”, dove non si parla nemmeno di sesso sicuro, figuriamoci di aborto».
A Varsavia, racconta Martyna, le manifestazioni si tengono ogni giorno ma il clima è molto diverso da quello di un anno fa: «Le persone sono molto più arrabbiate ma decisamente più tristi». Ma la Polonia che resiste, combatte e mette in campo ogni mezzo per contrastare le decisioni del governo di Duda c’è. «Operano grazie a raccolte e donazioni. Lo so da Internet perché fino a poco tempo fa era un argomento tabù in Polonia», afferma Elzbieta. Oltre al movimento “Strajk Kobiet” e all’opposizione parlamentare infatti esiste legalnaaborcja.pl o aborcjabezgranic.pl, due associazioni che aiutano le donne in tema di aborto e diritti, per farle sentire meno sole. Anche se Elzbieta pensa che l’unica via per resistere a questo clima sia la manifestazione di piazza: «Penso che ci sia bisogno di protestare, ma finora non abbiamo avuto alcun effetto, loro (chi ci governa) fanno ciò che vogliono. Proprio quando pensavamo che non avrebbero attraversato un altro confine, continuano a farlo. Una donna è morta a causa loro. Quindi credo che l’unico modo aspettare le elezioni del 2025 ed eleggere un nuovo governo».
Al momento ciò che emerge dalle dichiarazioni del ministro della Salute polacco, Adam Niedzelski, è che ci sarà un’indagine per accertare le cause della morte. Qualora il personale sanitario avesse agito per tutelare la vita del feto a discapito della madre i sanitari potrebbero incorrere in una sospensione dal servizio di cinque anni. La risposta da parte dell’ospedale di Pszczyna è che le pratiche sono state svolte osservando scrupolosamente la legislazione e le procedure vigenti in Polonia. Martyna non è per niente favorevole alla temporanea sospensione del personale sanitario che si è occupato di Izabel, nel senso che la trova un’operazione di facciata dove il governo si trova costretto a condannare ciò che è successo. Elzbieta evidenzia invece un altro aspetto importante “I medici sono stati sospesi dal lavoro. Credo che non siano irreprensibili, ma questa ragazza è morta perché hanno dovuto scegliere se rischiare la vita e la carriera e rimuovere il feto o aspettare che la vita della ragazza fosse in pericolo? Non auguro a nessuno questa decisione, credo che abbiano fatto il meglio che potevano. Se non fosse per questa legge, che vieta l'aborto in caso di gravi danni al feto, la ragazza sarebbe probabilmente viva».
Dagli anni Settanta a oggi: conquiste e difficoltà. L’interruzione di gravidanza una libertà, oltre che un diritto. Lea Melandri su Il Riformista il 25 Settembre 2021. L’interruzione di una gravidanza indesiderata, qualunque siano le ragioni della scelta, è una libertà delle donne, che hanno conosciuto per secoli la maternità come “obbligo procreativo”, e che solo in tempi relativamente recenti sono riuscite a cancellare la norma che considerava l’aborto un “reato contro la stirpe”. Io appartengo a quella parte di femminismo che non ha sottoscritto lo slogan posto come titolo al saggio della Libreria delle donne di Milano, Non credere di avere dei diritti (Rosenberg & Sellier, 1987). Penso che le leggi siano importanti e che abbiano un valore forte nel momento in cui danno riconoscimento e visibilità a cambiamenti materiali e simbolici in atto. Tali sono state la legge sul divorzio del 1970, confermata dal referendum abrogativo del 1974, la riforma del diritto di famiglia del 1975, e la Legge 194 che garantiva un aborto “libero e sicuro”. Pur non essendo pregiudizialmente contraria, ritengo tuttavia che la conquista di diritti non basti di per sé a scalfire a fondo norme e comportamenti che hanno alle spalle la pesante eredità di rapporti di potere passati quasi indenni attraverso epoche e culture diverse. A ciò si aggiunge il fatto che talvolta sono le donne stesse a non volerne usufruire. Lo faceva rilevare già all’inizio del Novecento Sibilla Aleramo: «Ch’ella chieda un uguale compenso e un uguale rispetto è logico e giusto, com’è naturale che pretenda gli stessi diritti civili e politici. Ma tutto questo avviene specialmente per forza di cose, e forse spesso contro lo stesso desiderio intimo della donna: è il prodotto dei tempi, della civiltà industriale e democratica…» (Sibilla Aleramo, La donna e il femminismo, Editori Riuniti, 1978). Buona profetessa, coscienza femminile anticipatrice, Sibilla aveva colto una delle contraddizioni che si sarebbero ripresentate nel femminismo degli anni Settanta, quando le pratiche politiche anomale dell’autocoscienza e dell’inconscio hanno dovuto affrontare il rapporto tra il corpo, la sessualità e la legge. Nell’incontro che si tenne al Circolo De Amicis a Milano, nel febbraio 1975, la resistenza a fare dell’aborto una battaglia di diritti, insieme a forze politiche organizzate, emerse in modo esplicito: «È venuto alla ribalta questo argomento dell’aborto, per delle ragioni che in parte passano sulle nostre teste, cioè in una politica di tipo tradizionale, fatta anche da gente coraggiosa, che però segue la sua logica e ci siamo state come coinvolte. Per forza, perché è una cosa che ci riguarda in prima persona e tutti vogliono in questo momento coinvolgerci, dai preti (…) i vari partiti, i gruppi di opinione, sinistra extraparlamentare, ecc. (…) il ritrovarci tra noi significa che noi affrontiamo questa tematica nei modi politici che sono nostri (…) non è nel nostro interesse trattare del problema dell’aborto per se stesso. Il nostro sforzo è invece, mi sembra, di legare questo problema a tutta la nostra condizione, ed a una questione in particolare, che è quella della nostra sessualità e del nostro corpo» (Sottosopra rosso, fascicolo speciale 1975). Ad approdare alla coscienza di una generazione cresciuta nell’idea della “naturale” coincidenza tra sessualità e procreazione, fu allora una verità che stenta ancora oggi a venire allo scoperto, e cioè che l’unica sessualità riconosciuta è stata a lungo solo quella maschile, riproduttiva, associata al potere di imporla anche con la forza, e quindi di provocare gravidanze indesiderate. Ne è prova il fatto che, quando si parla dell’aborto, non viene mai nominato l’attore primo di quello che continua ad apparire come un “dramma” con una protagonista unica. In realtà, l’uomo c’è, c’è come figlio potenziale, promessa racchiusa in quel “tu” che “deve ancora diventare persona”, ma che la “tutela del concepito”, prevista dall’articolo 1 della Legge 40, ha fatto assurgere a soggetto titolare di diritti, primo fra tutti il “diritto a nascere”. Ciò significa, di conseguenza, che la donna deve portare avanti la gravidanza, “costi quel che costi”. Se, nonostante il riconoscimento giuridico che lo ha depenalizzato come crimine e regolato con la Legge 194 del 22 maggio 1978, l’aborto incontra oggi l’ostacolo rappresentato dall’enorme numero di medici che praticano l’obiezione di coscienza, dalle campagne per la difesa della “famiglia naturale” e della purezza etnica, minacciata dalla denatalità crescente e dalle migrazioni, è perché non se ne affrontano con la necessaria radicalità le radici immaginarie, ataviche, che rendono lenti e contrastati i cambiamenti delle storia. Al fondo del conservatorismo religioso e della demagogia misogina dei partiti della destra in cerca di consensi, si può pensare che operi ancora inconsciamente l’ombra di quel corpo femminile che può dare la vita e la morte, il corpo diverso dal suo che l’uomo incontra nel momento della sua massima dipendenza e inermità, e che solo con l’instaurazione di un dominio ha creduto di poter controllare. Un’ossessione, si potrebbe dire, che ricorre in molti Paesi del mondo, e che impegna le donne in battaglie continue, sia dove ancora non esiste una legge che depenalizzi l’aborto, sia dove, per la difficoltà a cancellarla, come in Italia, si ricorre all’espediente più facile: agire sui sensi di colpa profondamente inculcati nel vissuto femminile da secoli di obbligo procreativo. Chi ignora infatti che le donne sono sempre state giudicate duramente, se facevano o non facevano figli, se ne facevano troppi o troppo pochi, se segretamente si accorgevano di desiderare un piacere sessuale proprio, indipendente dalla procreazione? “Egoiste”, “assassine”, “zoccole”, sono gli insulti più frequenti con cui si tenta di far passare l’aborto come “questione morale” e non politica, per non dover riconoscere che quello che per gli uomini è soltanto un piacere, spesso ottenuto con la forza, per le donne è la nascita indesiderata di un figlio che cambierà per sempre la loro vita. Come per altre “Giornate”, istituite dai massimi organismi mondiali per stigmatizzare e prevenire la violenza contro le donne, difendere diritti e libertà strappati a millenni di patriarcato, anche quella del 28 settembre per l’ “aborto sicuro”, avrà comunque l’effetto di tenere vivo un aspetto non secondario del rapporto tra i sessi, che rischia continuamente la cancellazione. Lea Melandri
Il femminismo non è bianco. Djarah Kan su L’Espresso il 29 settembre 2021. Per rispondere alla violenza patriarcale bisogna analizzare l’intersezione tra le varie forme di discriminazione. E dare un nuovo volto alle battaglie: indigeno, nero, messicano, arabo, magrebino, sudamericano. Sono cresciuta con l’immagine della donna bianca emancipata e accattivante che si contrappone orgogliosamente a quella della straniera del Terzo mondo, fragile, ignorante e incapace di rispondere alla violenza del sistema patriarcale. Per come viene raccontato, il femminismo sembra essere una roba da donne bianche. Un sistema di pensiero troppo in là per queste donne del Terzo Mondo troppo impegnate a sfornare figli e a badare alle galline in qualche sperduto villaggio semi deserto a Sud del Mondo. Tutte le volte che le nostre madri africane ci accompagnavano a piedi fino a scuola, portandosi le conseguenze della loro marginalizzazione sociale ed economica alle spalle, così manifeste nella qualità dei libri e dei pessimi vestiti usati che indossavamo, non potevo fare a meno di sentire addosso il disprezzo e il pietismo con i quali le donne bianche, madri dei nostri compagni di classe, guardavano alle nostre famiglie. A volte potevi persino sentirle chiacchierare tra loro, chiedendosi come mai le nostre madri non facessero niente per ribellarsi alla misera vita che conducevano. Poi magari tornavano nelle loro case, e se lo spaghetto al sugo era leggermente più al dente del solito venivano battute come un tappeto indiano, ma ho sempre pensato che l’idea di essere bianca e più fortunata ed emancipata di una donna afghana o africana, in qualche modo fungesse da lenitivo per tutte le botte e i divieti che il patriarcato nostrano ti riserva. Per la serie «quando vuoi stare bene pensa a chi sta peggio di te». Vivere alla occidentale è diventato un modo velatamente razzista – ma nemmeno troppo velato – per affermare l’idea che solo occidentalizzandosi, ovvero mettendo da parte la propria cultura in favore di una migliore, noi selvaggi del Terzo mondo potremo considerarci a pieno titolo delle proto-scimmie in giacca e cravatta che nel fine settimana giocano a golf e la domenica vanno in Chiesa. Ma questo approccio alla questione di genere fuori dai confini occidentali è stato anche il peccato originale del femminismo liberale, che è sempre stato velenosamente bianco, razzista, e che con quel suo sguardo paternalista non ha mai voluto considerare sufficientemente progressiste o degne di nota le battaglie di tutte quelle storiche, filosofe, scrittrici, attiviste e politiche non bianche considerate piuttosto come “sorelle minori un po’ abbronzate” di una battaglia tutta da apprendere. Poi è arrivato il femminismo intersezionale ed è tutto cambiato. Ad oggi l’approccio che analizza l’intersezione tra le varie forme di discriminazione si presenta come la cura più efficace contro il femminismo bianco che continua ad essere un sistema di pensiero volente o nolente al servizio dell’imperialismo. Angela Davis, bell hooks e Nawal El Saadawi sono solo alcune delle grandi assenti che figurano a stento nel panorama mainstream del dibattito sul femminismo. Eppure è stato il loro attivismo di accademiche e pensatrici instancabili, a strappare dalle mani dell’ideologia razzista e coloniale un femminismo che veniva utilizzato come giustificazione per le discriminazioni razziali di quanti sostenevano che l’immigrazione dai Paesi in via di sviluppo era un pericolo soprattutto per le donne. Ed è stata quella stessa mancanza di intersezionalità che porta il femminismo a prestare il fianco all’ideologia razzista a trasformare Giorgia Meloni, delfina del centro destra e instancabile islamofoba da manuale, nella finta paladina dei diritti delle donne, arrivando a strumentalizzare in chiave razzista, anti-immigrati e islamofoba il caso del femminicidio di Saman Abbas; morta perché voleva liberarsi dal giogo di una famiglia che, con la scusa della religione, aveva provato a fare della ragazza un dono per stringere un accordo tra famiglie. Giorgia Meloni che si risveglia suffragetta, nonostante gli ideali del suo partito deraglino totalmente dall’idea del mondo pensato da una femminista intersezionale, è il risultato di un femminismo bianco, che senza le donne del Sud è destinato ad essere totalmente cooptato dal patriarcato suprematista bianco, un sistema di potere che era stata la stessa bell hooks, scrittrice, sociologa e afroamericana ad individuare, partendo dalla sua storia personale di bambina costretta a fare la spola tra la zona bianca e quella nera della città, per andare a scuola. Il volto del femminismo è indigeno, nero, messicano, arabo, magrebino, sudamericano. Non c’è futuro per il femminismo senza le Marielle Franco, le Berta Càceres, le Losana McGowan, le Catherine Han Montoya, le Guadalupe Campanur Tapia. Loro e le altre, tutte cadute per mano del patriarcato armato. La lezione sull’intersezionalità, insegnata dalle donne del Sud del Mondo all’Occidente tutto, salverà le donne bianche dalla loro stessa bianchezza.
Dal corriere.it il 9 ottobre 2021. La corte d’appello federale di New Orleans ha permesso al Texas di ripristinare la controversa legge che vieta la maggior parte degli aborti nello Stato. Entrata in vigore il 1° settembre, questa legge vieta l’aborto una volta rilevato il battito cardiaco dell’embrione, a circa sei settimane di gravidanza: quando la maggior parte delle donne non sa ancora di essere incinta. Era stata temporaneamente bloccata mercoledì da un giudice federale del Texas, a seguito di un ricorso dell’amministrazione Biden. «Questa corte non permetterà che questa scioccante privazione di un diritto così importante continui un altro giorno», aveva scritto il giudice nella sua decisione. Gli aborti oltre le sei settimane erano quindi ripresi nelle cliniche statali. Il procuratore generale del Texas, il repubblicano Ken Paxton, ha fatto però appello alla Corte federale di New Orleans, considerata una delle più conservatrici del Paese, che si è pronunciata in suo favore. «Grandi notizie stasera», ha twittato Paxton non appena è stata rilasciata la decisione sull’appello. «Combatterò gli eccessi del governo federale in ogni momento», ha aggiunto. Con ogni probabilità, il governo federale Usa contesterà la decisione della corte d’appello alla Corte suprema degli Stati Uniti. Quest’ultima garantiva nel 1973, nella sua emblematica sentenza Roe contro Wade, il diritto delle donne ad abortire e precisava che si applicava fino a quando il feto non è vitale, cioè intorno alle 22 settimane di gravidanza. Negli ultimi anni leggi paragonabili a quelle del Texas sono state approvate da una dozzina di altri stati conservatori e condannate in tribunale per aver violato tale giurisprudenza.
Usa, migliaia di donne in marcia contro la legge del Texas che limita l’aborto. Oltre 600 manifestazioni in 50 Stati per la Marcia delle donne, la prima del dopo Trump. Il 1 dicembre la Corte Suprema si esprimerà sul diritto di abortire in Mississipi. Il Dubbio il 4 ottobre 2021. Negli Usa è tornato l’appuntamento con la Marcia delle Donne, la prima da quando Donald Trump non è più alla Casa Bianca. Al grido «giù le mani dal mio corpo», decine di migliaia di donne sono scese in piazza contro le limitazioni all’accesso agli aborti. Oltre 600 in tutto le manifestazioni di oggi e 50 gli Stati aderenti dopo l’entrata in vigore in Texas di una nuova normativa, la più restrittiva mai avuta negli Usa. A Washington circa 10.000 persone si sono radunate in una piazza vicino alla Casa Bianca, prima di marciare verso la Corte Suprema. La stessa Corte che ha respinto un ricorso per bloccare quella legge in Texas, con il timore che ora anche altri Stati possano seguire quella via. Tra gli organizzatori delle manifestazioni, secondo Cnn, sono Women’s March e 90 organizzazioni, tra cui Planned Parenthood Federation of America e Center for American Progress. «Stiamo assistendo alla più terribile minaccia all’accesso all’aborto nella nostra vita», hanno sottolineato gli organizzatori dell’iniziativa, esortando la gente a «inviare un messaggio inequivocabile sulla nostra risoluta opposizione alla limitazione dell’accesso all’aborto e al rovesciamento della sentenza Roe v. Wade prima che sia troppo tardi». Si tratta della storica sentenza che nel 1973 di fatto legalizzò l’interruzione di gravidanza, e che ora si trova sotto attacco da parte di deputati e giudici conservatori. Le manifestazioni sono state indette prima che la Corte suprema il 1 dicembre si pronunci sul diritto di abortire in Mississipi. Una decisione che ricadrà sul futuro delle donne negli Usa, mentre la nomina di giudici da parte dell’ex presidente Donald Trump ha dato ai conservatori il controllo del tribunale. E sono state indette, mentre l’amministrazione Biden tenta di bloccare la più restrittiva legge sul diritto di abortire, che in Texas vieta ogni Ivg oltre la sesta settimana anche alle sopravvissute a stupro e incesto, cioè prima che molte persone si accorgano della gravidanza. Marciare vuol dire «combattere per garantire, difendere e rafforzare il nostro diritto costituzionale all’aborto», ha detto Rachel ÒLeary Carmona, direttrice esecutiva della Women’s March. «È una lotta contro i giudici della Corte suprema, i deputati statali, i senatori che non sono al nostro fianco o che non agiscono con l’urgenza che questo momento richiede», ha aggiunto. Migliaia di donne hanno invaso le strade di Washington, a partire dai dintorni della Casa Bianca, in uno dei cortei previsti come più affollati. Sugli striscioni, frasi come «Preoccupati del tuo, di utero», «Amo una persona che ha abortito», «L’aborto è una scelta personale, non un dibattito legale». Molte partecipanti hanno indossato magliette con la scritta ’1973’, in riferimento alla sentenza Roe v. Wade. Mentre alcuni gruppi contrari al diritto all’aborto hanno definito l’iniziativa «macabra», la Women’s March è diventata un appuntamento regolare (seppur interrotto dalla pandemia) da quando milioni di donne scesero in strada il giorno dopo l’inaugurazione della presidenza Trump, nel gennaio 2017. Il repubblicano era favorevole a punire chi abortisce, rendendo la nomina di giudici conservatori una missione della sua presidenza. «Non sono una macchina per produrre figli e dovrei poter scegliere se ne voglio», ha detto la 17enne Anna Li del Texas dal palco di Washington, raccontando alla folla la propria esperienza di difficoltà di abortire. Il dipartimento di Giustizia ha chiesto a un giudice federale di bloccare la legge del Texas, entrata in vigore il 1 settembre, che costringe chi sceglie di abortire a uscire dai confini per poterlo fare. La legge vieta infatti l’Ivg dal momento in cui si percepisce il battito cardiaco del feto, attorno alle sei settimane, quando la persona spesso non si è ancora accorta della gravidanza. Per l’amministrazione Biden, quello del Texas è un attacco al diritto costituzionale di abortire. Ma anche se la misura attuale fosse sospesa, per il sistema in vigore molti operatori sanitari potrebbero continuare a non garantire il diritto, temendo azioni legali in assenza di decisioni legali permanenti. Intanto, secondo Planned Parenthood il ricorso alle cliniche del Texas è calato dell’80% in due settimane, mentre le strutture degli Stati vicini faticano a far fronte alle richieste di chi arriva da centinaia di chilometri di distanza.
Gloria Steinem: «Difendiamo i nostri diritti dai maschi bianchi al potere». La legge del Texas contro l’aborto. La deriva misogina polacca. La leader femminista americana analizza il backlash contro le conquiste delle donne. E invita alla resistenza. Francesca Sironi su L’Espresso il 30 settembre 2021. Dal primo settembre di quest’anno gli abitanti del Texas sono invitati a segnalare cliniche, medici o anche solo tassisti che si mostrino disposti ad aiutare donne che devono abortire. Se la segnalazione ha successo, il cittadino-denunciante riceve un premio di almeno 10mila dollari. Quest’invito a farsi polizia diffusa contro l’aborto è uno degli aspetti inquietanti fra i molti della nuova legge che impedisce le interruzioni volontarie di gravidanza in Texas, divieto che agisce dopo la sesta settimana dalla fecondazione, senza eccezioni per stupro o incesto. Sta succedendo ora, nel 2021, in una delle più grandi democrazie dell’Occidente. Non in una dittatura o in un qualche Paese comunemente tacciato di oscurantismo. In Europa lo stesso: dopo il partecipatissimo referendum che in Irlanda ha introdotto il diritto all’aborto nel 2018, in Polonia le donne si sono viste togliere quello stesso diritto a gennaio del 2021, nonostante le oceaniche manifestazioni popolari degli anni scorsi per impedire che accadesse. Il mondo non fa che ricordarci insomma che non c’è traguardo sociale che possa esser dato per scontato. Non c’è vittoria civile di fronte alla quale non si debba scegliere continuamente da che parte stare, e mobilitarsi per questa. Essere partigiani. «La cosa positiva, che va sottolineata con forza ogni volta, è che queste mobilitazioni popolari esistono. E che la maggioranza delle persone è più aperta e inclusiva di quanto non voglia un manipolo di uomini bianchi che continua a pretendere il potere sul corpo delle donne». Gloria Steinem è una delle più famose leader del femminismo mondiale. La sua vita e le sue battaglie sono state avanguardia e ispirazione per generazioni, a partire dagli anni ‘60. Oggi a 87 anni è veloce e propulsiva come a trenta nel ragionare, durante una video-intervista che le piace immaginare circolare, dice, anche se siamo in due, ma circolare perché è interrogandosi alla pari che emergono nuove possibilità, sulle conseguenze e le radici di quanto sta accadendo intorno al ruolo sociale e politico delle donne. Steinem sarà a Firenze per l’evento di chiusura del festival “L’Eredità delle Donne”, che si terrà dal 22 al 28 ottobre. Per l’occasione la casa editrice Vanda pubblica una nuova edizione di uno dei suoi bestseller, “Autostima. La rivoluzione parte da te”.
Cominciamo da quanto sta succedendo in Texas. Come lo interpreta?
«Ci sono tre aspetti che evidenzierei. Il primo: ci troviamo di fronte, di nuovo, a cosa accade quando una manciata di uomini bianchi di potere possono esprimere liberamente i loro sentimenti rispetto al controllo delle donne e delle facoltà riproduttive. Il secondo: che la maggioranza è già andata avanti rispetto a questi temi. La risposta popolare è stata enorme e diffusa. Tassisti texani hanno offerto le corse per le donne che dovranno abortire in Stati vicini. È la natura della legislazione a livello statale che permette a politici poco rappresentativi ed eletti purtroppo con maggior indifferenza da parte dell’elettorato, rispetto a quanto accade a livello centrale, di orientare la legge locale e avere effetti di questo tipo».
C’è un tema fondamentale di rappresentanza e di partecipazione politica quindi.
«Esatto, è il terzo elemento cruciale per capire quello che sta succedendo. I governanti del Texas in questo momento non rappresentano la maggioranza del loro Stato, così come è stato per Trump. Siamo di fronte a una classe di potere minoritaria che non accetta la nuova diversità del Paese. È una minoranza pericolosa di bianchi, al comando, che non vuole fare i conti con il presente e il futuro della popolazione: fra i nuovi nati i bambini di colore sono più numerosi dei bianchi. E questa è una grandissima promessa, che ci permetterà di conoscere meglio il mondo. Ma loro si rivoltano contro la nostra stessa popolazione. Lo stesso vale per l’uguaglianza fra uomo e donna: è avanzata in moltissimi settori della società, e per le nuove generazioni la solidarietà è enormemente più diffusa. Ma ancora siamo di fronte a possibili leggi come quella in Texas».
Razzismo e politiche anti-abortiste sono questioni così legate?
«Totalmente. Sto lavorando adesso a un saggio che mette in luce come la primissima legge promulgata da Hitler fosse la condanna dell’aborto quale crimine contro lo Stato, e il controllo dei destini delle donne. Voleva che la popolazione bianca si riproducesse a forza, mentre sterminava ebrei e persone di colore nei campi di concentramento. Anche per Benito Mussolini la famiglia, intesa alla riproduzione, era essenziale, e le donne dovevano solo produrre figli. Tutto questo per via dell’utero: perché noi abbiamo l’utero e loro no. E allora vogliono controllare le donne e le loro scelte, per costringerle».
Penso a papa Francesco che ha detto pochi giorni fa che «l’aborto è un omicidio». Già nel 2018 d’altronde diceva che abortire «è come affittare un sicario». Fin dal concepimento.
«Di fronte a frasi come queste, bisogna ricordare che il papato non l’ha sempre pensata in questo modo. Anzi. Fino a papa Pio IX - siamo nella seconda metà dell’Ottocento - prevaleva la dottrina di Gregorio XIV, ripresa da Tommaso d’Aquino e da Aristotele, secondo la quale il feto assumeva un’anima solo quando iniziava a muoversi. Quindi non dal concepimento. L’interruzione volontaria di gravidanza quindi era regolata, semplicemente. Non vietata del tutto. Penso che il cambio di dottrina a riguardo sia stato una scelta politica, un accordo con Napoleone III per forzare la popolazione a crescere, visto che c’era bisogno di giovani da esercito».
È politica insomma. Politica imposta sul corpo delle donne. E ogni volta, mascherata da argomento di moralità. Ma decidere al posto di tutte le donne, di ogni singola donna di fronte al suo corpo e al suo futuro, è morale? O politico, appunto?
«Penso a quanti negli Stati Uniti si dichiarano anti-aborto e sostengono queste leggi, e poi sono a favore della pena di morte. Non ha senso, evidentemente. A meno di non accettare il paradosso per cui una vita “colpevole” vale meno».
E sono faglie di fronte alle quali non tengono, a pensarci, le grandi divisioni fra Oriente e Occidente, ad esempio, oppure fra una fede e l’altra, fra un sistema culturale e un altro. Tiene solo la democrazia esercitata o la solidarietà. È così?
«La tendenza egualitaria si trova dappertutto, così come la ricorrenza del potere, dei pochi uomini intesi a controllare i corpi di tutte le donne. Penso all’Afghanistan: i talebani sono un gruppo di suprematisti maschili. E allo stesso tempo, appunto, la forza dell’egualitarismo attraversa i continenti. Io ho imparato il femminismo in India, è lì che ho conosciuto le donne che supportavano Ghandi ma anche si contrapponevano a lui su temi come la contraccezione e il controllo delle nascite. È lì che ho capito che questa dinamica sul controllo dell’utero era politica. Le stesse suffragette statunitensi impararono dalle donne native americane le prime pratiche di controllo della fertilità e l’uso dei pantaloni per muoversi. L’apporto delle identità e delle culture non-bianche nel movimento femminista è assolutamente sotto-rappresentato. Ne ho avuto esperienza personalmente».
In che senso?
«Da ragazza venni messa sulla copertina di magazine e settimanali, come simbolo delle lotte femministe. Non mi venne chiesto il permesso, ovviamente, ma il problema principale era lo sforzo di alcuni media di caratterizzare il movimento delle donne come un movimento bianco, quando le donne nere erano forse più numerose, e più determinate, nei cortei. Ci fu una sorta di divisione: il movimento femminista era rappresentato con donne bianche, quello per i diritti civili con uomini neri. Così le donne nere che erano la maggioranza delle leader di entrambi i fronti, scomparivano».
In Texas circa il 70 per cento degli aborti praticati nel 2019 era stato chiesto da donne di colore.
«C’è un enorme problema di accesso alle cure, alle strutture mediche, agli strumenti di prevenzione. Il Covid-19, se ci pensiamo, ci ha messo di fronte alla stessa evidenza. Da una parte ha rivelato la natura arcaica dei confini nazionali, aumentando la nostra percezione dell’essere parte di una umanità comune. Dall’altra la differenza dell’impatto del virus e delle misure di restrizione sulle diverse classi sociali è stata fortissima, e inaccettabile».
Fra le conseguenze delle restrizioni per la pandemia, c’è stato anche l’aumento della violenza domestica.
«Prima degli anni ‘70 la polizia che veniva chiamata a intervenire durante casi di violenza in famiglia aveva come ruolo quello di convincere la coppia a tornare insieme. C’era questa idea che la legge si fermasse sulla porta della famiglia. Adesso siamo lontane: ci sono rifugi per le donne, le norme sono migliori, gli strumenti a disposizione sono molti, ma dobbiamo continuare a investire, e aumentarli. Dobbiamo formare nuove generazioni che abbiano vissuto in famiglie diverse, e quindi possano cambiare il discorso pubblico, normalizzando la parità».
È da casa che parte tutto, no?
«È così. Solo se bambine e bambini vengono educati a credere nella loro libertà, nelle loro aspirazioni, a sentire se stessi come unici, non ci saranno più basi per il patriarcato».
C’è chi dice che il femminismo ha stufato, che se ne parla troppo, che ormai la parità è dappertutto. Cosa rispondere?
«Beh, banalmente, con una dose di realtà. Solo 26 Paesi hanno donne presidente. Gli Stati Uniti hanno avuto un solo presidente di colore nonostante la popolazione. Le donne leader, nelle organizzazioni come nelle aziende devono ancora vergognarsi di essere sincere, semplicemente perché lo standard della leadership è graniticamente maschile, e penso ad esempio al piangere quando si è arrabbiati o alle dinamiche di tempo e potere. C’è una cosa che ho imparato in questi anni di insegnamento, ad esempio, ed è quella del mettersi in cerchio, di ripartire da un discorso alla pari, lasciarci alle spalle il modello frontale della Chiesa, dove delle persone guardano un ragazzo con una gonna che parla da un palco o da pulpito accentrando su di sé il potere di parola. È condividendo questo potere che cambieremo».
La rete delle “zie d’Europa” che aiuta chi non può abortire in sicurezza. Finanziano viaggi, spediscono farmaci. A chi le contatta dalla Polonia, da Malta, ma ultimamente anche dall’Italia. E risparmiano a tante giovani i rischi della clandestinità. Claudia Torrisi su L’Espresso il 30 settembre 2021. Ai primi di settembre la Corte Suprema degli Stati Uniti ha reso sostanzialmente illegali la quasi totalità degli aborti in Texas, decidendo di non bloccare la legge che vieta l’interruzione volontaria di gravidanza (Ivg) oltre la sesta settimana. È l’ennesimo atto di una guerra all’aborto che viene da lontano, ma che è tutt’altro che localizzata. Anche in Europa si contano Stati con normative molto restrittive, e altri in cui l’accesso è molto limitato. Malta è il paese con la legislazione più dura: l’aborto è illegale in ogni circostanza e senza eccezioni, con una pena fino a tre anni di carcere. Interrompere volontariamente una gravidanza è vietato anche nei piccoli Stati di Andorra e Liechtenstein. A San Marino e a Gibilterra l’aborto è stato recentemente depenalizzato grazie al voto popolare, ma le maglie restano strettissime. E poi c’è la Polonia, dove nell’ottobre del 2020, dopo diversi tentativi parlamentari, una sentenza della Corte Costituzionale ha ulteriormente ridotto l’accesso all’Ivg, eliminando i casi di gravi malformazioni fetali (che costituivano la gran parte di quelle censite). A questi si aggiungono paesi come l’Irlanda, l’Ungheria o la Romania, dove l’aborto seppur legale è di difficile accesso. O l’Italia, con l’altissimo tasso di obiezione di coscienza e gli ostacoli al metodo farmacologico, specialmente durante la pandemia. I divieti, le restrizioni e le difficoltà, però, non hanno mai fermato gli aborti. Negli ultimi anni si è formata una rete di gruppi che garantiscono informazioni, finanziamenti e supporto per organizzare i viaggi delle donne che devono abortire verso Paesi dove è possibile farlo in sicurezza o per permettergli di farlo in casa grazie alla telemedicina. Mara Clarke, trasferitasi in Inghilterra nel 2005 dagli Stati Uniti (dove c’è una lunga tradizione in questo senso), è una pioniera in Europa: nel 2009 ha fondato Abortion support network, un’associazione non profit per finanziare i viaggi delle donne da Irlanda, Irlanda del Nord, Isola di Man e recentemente Gibilterra e Malta per abortire nel Regno Unito, dove il limite per l’Ivg è di 24 settimane. Nel 2020 si sono rivolte all’organizzazione circa 780 persone. «Le legislazioni restrittive sull’aborto non hanno effetti sulle persone ricche, ma su quelle più povere o marginalizzate. Quello che facciamo è aiutare chi ne ha bisogno ad accedere all’aborto, specialmente nel secondo trimestre di gravidanza. Suona come una cosa facile, ma ci sono molti ostacoli», spiega Clarke. Gli ostacoli a cui si riferisce riguardano ad esempio i documenti di viaggio, situazione peggiorata con Brexit, o le condizioni particolari delle donne che devono spostarsi: alcune escono da una relazione violenta o vivono con un partner controllante, la maggior parte ha già dei figli. E poi la pandemia, con tutte le limitazioni. Abortion support network opera ufficialmente con alcuni Paesi, ma secondo la sua fondatrice l’organizzazione «è pronta ad aiutare chiunque, caso per caso». Nel dicembre 2019 ha aperto anche alla Polonia, lanciando insieme ad attiviste di cinque organizzazioni con sede in diversi Paesi d’Europa l’iniziativa Abortion without borders. Le richieste arrivano a una helpline gestita da volontarie che da anni lavorano per diffondere informazioni corrette sulla salute riproduttiva in Polonia. Da qui, a seconda della settimana di gestazione, le utenti vengono smistate tra gruppi che organizzano viaggi in altri Paesi europei e Women help women, una non profit che si occupa di fornire consulenza e assistenza medica per l’aborto farmacologico in telemedicina nei Paesi in cui l’Ivg è illegale, inviando le pillole a casa. Nel 2021 le richieste finora arrivate ad Awb sono state 4.135. La speranza di Clarke è che sorgano sempre più gruppi di questo tipo, così come sta accadendo negli ultimi anni soprattutto ad opera di attiviste polacche. «Siamo un esercito in crescita», commenta. Esiste una rete di collettivi, alcuni dei quali nati dopo la decisione della Corte Costituzionale di Varsavia dello scorso ottobre, con nomi simili tra loro: Ciocia Basia (che fa parte di Abortion without borders e ha sede a Berlino), Ciocia Frania (a Francoforte), Ciocia Monia (a Monaco di Baviera), Ciocia Wienia (a Vienna), Ciocia Czesia (Repubblica Ceca). «Ciocia» significa «zia» in polacco e quello che queste volontarie fanno è mettere a disposizione contatti, informazioni, organizzare supporto psicologico, prendere appuntamenti e aiutare anche economicamente chi ne fa richiesta ad accedere all’aborto in Germania, Austria o Repubblica Ceca, paesi con normative più elastiche. La stessa attività viene svolta da Abortion network Amsterdam (anch’essa nel network di Awb) con sede nei Paesi Bassi, dove la legislazione permette l’Ivg fino a 22 settimane. «La maggior parte delle persone che ci hanno contattato venivano dalla Polonia, ma abbiamo ricevuto richieste anche da Stati molto lontani», spiega Kasia, una delle volontarie. Tra le utenti ci sono anche donne immigrate o senza documenti. Altre organizzazioni si occupano di aborto farmacologico in telemedicina, nelle prime settimane di gravidanza. Oltre a Women help women, è attiva Women on web, non profit fondata nel 2005 dall’attivista olandese Rebecca Gomperts. «L’Europa costituisce almeno metà del traffico delle email che riceviamo, parliamo di almeno 70 mila email all’anno. Ci contattano soprattutto da Polonia, Malta, Irlanda. Occasionalmente anche da Paesi in cui l’aborto è legale, ma le persone non hanno accesso alle strutture per varie ragioni: questioni di documenti, privacy, situazioni di violenza. Alcune mail sono arrivate anche dall’Italia, specialmente durante la pandemia», afferma Kinga Jelinska, co-fondatrice e direttrice esecutiva di Women help women. «L’equivoco è pensare che se l’aborto è legale, allora va tutto bene. Ma più che alle normative, bisognerebbe guardare quante persone riescono ad accedere: ci sono posti con buone leggi e un pessimo accesso al servizio».
La Cina limita l’aborto per scopi non terapeutici. Chiara Sgreccia su L’Espresso il 28 settembre 2021. Il governo del paese più popoloso al mondo mette le mani sul corpo delle donne per far fronte alla crisi demografica. Il Consiglio di stato cinese lunedì ha reso note le nuove linee guida per migliorare la salute riproduttiva delle donne, tra queste c’è il tentativo di ridurre gli aborti “per ragioni non terapeutiche”. Dalla politica del figlio unico a quelle che incentivano le nascite, negli ultimi anni il governo della Repubblica popolare ha strumentalizzato il corpo della donna per soddisfare gli interessi del paese: crescita economica, demografica, necessità di forza lavoro. La volontà del governo di ridurre le interruzioni di gravidanza mette le donne sotto il controllo dello stato, limitando anche la possibilità di accedere all’assistenza sanitaria, soprattutto se si tratta di donne non sposate o di coppie dello stesso sesso. Le ultime linee guida sono state annunciate in un periodo di cambiamento sociale, culturale e tecnologico per la popolazione cinese caratterizzata da un sempre più rapido invecchiamento. Sebbene il paese rimanga il più popoloso, i suoi tassi di natalità sono tra i più bassi al mondo, in seguito ad anni di sterilizzazioni forzate. I dati mostrano che le nascite sono diminuite di quasi due milioni nel 2020. «Questo governo negli ultimi 40 anni ha cercato di limitare i diritti riproduttivi delle donne, prima costringendole ad abortire con la forza, ora limitando gli aborti. Non so cosa significhi aborto per ragioni non terapeutiche ma tutti quelli che conoscono il governo sanno che non sarà qualcosa di buono» ha dichiarato Yaqiu Wang, ricercatrice per Human Rights Watch. Le implicazioni politiche e legislative di quello che secondo il governo cinese dovrebbe essere un piano migliorare la salute riproduttiva delle donne non sono ancora chiare perché non è stato esplicitato il significato di “non terapeutico”. Una spiegazione, però, sarebbe fondamentale per comprendere le conseguenze reali che le nuove direttive sulla salute riproduttiva avranno sulle donne cinesi. «Potrebbe essere una buona mossa se prevenissero l'aborto selettivo per il sesso (vista la tradizionale preferenza secolare per i maschi ndr). Mentre se, invece, costringono le coppie a portare avanti gravidanze indesiderate, si configurerebbero soltanto come un confine alla libertà di scelta» ha dichiarato al Financial Times Jane Golley, esperta di demografia cinese presso l'Australian National University. «Per promuovere una forza lavoro prospera e produttiva è necessario affrontare la disuguaglianza di genere e la discriminazione che le donne vivono sulla loro pelle. - continua - Sapere che anche le future figlie potranno avere una carriera di successo renderebbe le persone più propense a ridurre la loro preferenza per i figli maschi». Dopo la Polonia che a gennaio 2021 aveva annunciato l’entrata in vigore della legge che vieta l’aborto, salvo per incesto, stupro o pericolo per la vita della madre, e il Texas dove l’interruzione di gravidanza è illegale da quando si sente il battito del feto - intorno alle sei settimane - anche la Cina stringe sull’aborto, una delle tematiche che più scalda il dibattito contemporaneo nonostante si stia parlando, come dichiara anche Amnesty International, di una questione di diritti umani.
Da lastampa.it il 23 settembre 2021. In un articolo sul “Washington Post” Uma Thurman rivela il suo «segreto più oscuro». «Avevo 15 anni e ho abortito», scrive la diva di "Kill Bill" usando il suo dramma personale per attaccare la nuova, radicale legge del Texas che vieta le interruzioni di gravidanza dopo la sesta settimana anche in caso di incesto o stupro: «Il primo passo - a suo avviso - verso una crisi dei diritti umani per le donne americane». La star non ha rimpianti per la strada che ha preso. Nell'op-ed racconta di quando, a 15 anni, viveva in Europa «su una valigia» cercando di lavorare nel cinema. «Un uomo più grande mi mise incinta. Non sapevo che fare. Volevo tenere il bambino ma come?». Uma telefonò ai genitori. La madre in ospedale gravemente malata e il padre al suo capezzale discussero con lei le opzioni. «Non avevamo mai parlato di sesso prima e fu terribile per tutti e tre. Mi chiesero dello stato della mia relazione - non poteva funzionare - e mi misero in guardia sulle difficoltà di crescere un bambino da teenager e da sola. Le mie fantasie infantili sull'essere mamma crollarono mentre rispondevo alle loro domande molto precise. Come famiglia decidemmo di interrompere la gravidanza. La decisione mi spezzò il cuore». La Thurman ammette che 1c'è un enorme dolore in questa storia. E' stato finora il mio segreto più oscuro. Ora ho 51 anni, e scrivo dalla casa dove ho cresciuto tre figli (Maya e Levon con Ethan Hawke e Luna con Arpad Busson, ndr) che sono il mio orgoglio e la mia gioia e che ho avuto con uomini che ho amato e di cui mi sono fidata abbastanza da voler portare al mondo un bambino. Non ho rimpianti e ammiro e appoggio le donne che fanno scelte diverse». L'aborto da adolescente è stato per Uma Thurman la «decisione più difficile» della sua vita: «Tuttora mi provoca dolore, ma è stato il punto di partenza verso la vita piena di gioia che ho vissuto finora. Scegliere di non tenere il bambino allora mi ha permesso di diventare la madre che volevo e dovevo essere».
Papa Francesco: "L'aborto è un omicidio con un sicario. La vita va rispettata". Giustina Ottaviani su il Tempo il 16 settembre 2021. «L’aborto è un omicidio con sicario» e «sì alle unioni civili tra persone omosessuali ma il sacramento del matrimonio tra uomo e donna è un’altra cosa». Papa Francesco rimette i paletti alla conferenza stampa improvvisata sul volo di ritorno dalla Slovacchia. Conversando con i giornalisti al rientro in Vaticano Bergoglio ha parlato del dialogo con le autorità ungheresi, di antisemitismo e dei vaccini, come pure della comunione ai politici che approvano leggi abortiste. Il Pontefice ribadisce i punti fermi. L’aborto «è più di un problema, è un omicidio», ha detto il Papa, per questo la Chiesa è così dura sull’argomento, «perché se accettasse questo è come se accettasse l’omicidio quotidiano». «La Chiesa» perciò «non cambia la sua posizione» ma «ogni volta che i vescovi hanno gestito non come pastori un problema si sono schierati sul versante politico». E per essere più chiaro: «A chi non può capire farei questa domanda: è giusto uccidere una vita umana per risolvere un problema? È giusto assumere un sicario per uccidere una vita umana? Scientificamente è una vita umana. È giusto farla fuori per risolvere un problema?». Riguardo al dibattito all’interno della Conferenza episcopale Usa, poi, se negare la comunione ai politici cattolici favorevoli alle posizioni dei "pro-choice", tra cui il presidente Joe Biden il Pontefice ha ribadito che chi pratica l’aborto «uccide» ma ha criticato la posizione di alcuni vescovi cattolici che vogliono negare la comunione. Il pastore «se esce dalla pastoralità della Chiesa diventa un politico e questo lo vedete in tutte le condanne non pastorali della Chiesa». Bergoglio trova anche il tempo di scherzare sull’intervento al colon. «Sono ancora vivo» dice. E riguardo ai complimenti che gli fanno i giornalisti che sottolineano «il risultato splendido, lei è ringiovanito!» gli dicono, taglia corto:«Mi hanno detto che qualcuno voleva farsi l’intervento... Ma non è stata una cosa estetica». Ok alle unioni civili gay ma il matrimonio è un’altra cosa. «Gli Stati hanno la possibilità civilmente di sostenerli, di dare loro sicurezza di eredità, salute, non solo per gli omosessuali, ma per tutte le persone che vogliono associarsi. Ma il matrimonio è matrimonio» ha ribadito. Ce n’è anche sul capitolo vaccini: «Ci sono no vax anche in Vaticano - ha affermato Papa Francesco ai giornalisti -Anche nel collegio cardinalizio ci sono negazionisti e uno di questi, poveretto, è ricoverato con il virus ... ironia della vita», riferendosi al cardinale Raymond Burke, ricoverato in terapia intensiva.
L’événement: la sorpresa di Venezia è un film sull’aborto clandestino. Fabio Ferzetti su L'Espresso il 6 settembre 2021. La rivelazione della Mostra è della giovane regista Audrey Diwan che ha portato in concorso il romanzo autobiografico di Annie Ernaux. La rivelazione della 78ma Mostra del Cinema di Venezia è una regista franco-libanese nata nel 1980 con un solo altro film alle spalle e un premio letterario in tasca. Si chiama Audrey Diwan e ha adattato con rigore e talento il romanzo autobiografico di Annie Ernaux, “L’événement” (L’evento, pubblicato in Italia da L’Orma), storia di un aborto praticato a 23 anni, nel 1963, quando l’interruzione di gravidanza in Francia era un reato e la parola stessa era tabù. Tanto più in provincia, dove la protagonista del film (una portentosa Anamaria Vartolomei), una ragazza di estrazione semplice, vive e prepara il concorso d’ammissione a una “Grande école” fra coetanei e coetanee non sempre molto solidali, anzi. Il segreto del film (della sua bellezza e della sua crudezza: la scena dell’aborto è quasi insostenibile) è semplicissimo. Si tratta di accordare a ogni elemento della vicenda, visivo, narrativo, emotivo, lo stesso peso e la stessa attenzione. L’epoca dunque è ricreata con la massima precisione possibile. Corpi, luci, colori, ambienti, posture, inquadrature. Dal formato “quadrato” alla gestualità dei personaggi, tutto è perfetto. Di conseguenza anche emozioni, paure, slanci, mentalità, meschinità, dei giovani come degli adulti, risultano sempre perfettamente credibili e coerenti. Così aderenti a quell’epoca remota da essere, con paradosso solo apparente, universali. Il resto lo fa il racconto minuzioso fino alla spietatezza della Ernaux, che all’epoca stava maturando la propria vocazione e con quella gravidanza imprevista rischiava di giocarsi tutto. Dai genitori (apparizione rapida ma luminosa di Sandrine Bonnaire) ai compagni di studio, dai medici ai professori, dai maschi quasi sempre indifferenti, cinici o inetti, alle compagne gelose, infide o spaventate, ogni personaggio, anche minimo, viene inquadrato e definito in pochi secondi con una precisione chirurgica che ricorda a tratti addirittura Kieslowski. Anche se il centro del film resta sempre lei, Anne, la sua solitudine, la sua forza, la consapevolezza di non avere altra scelta, il coraggio con cui va per la propria strada rischiando il tutto per tutto, vendendosi anche gli amati libri e la catenina d’oro per pagarsi l’intervento clandestino. Nessuno infatti sa e tantomeno vuole aiutarla. Tutti la mettono in guardia, rischia il carcere, la morte, alla meno peggio la gogna. E intanto tornano a galla ombre e miserie di un’epoca. La repressione sessuale. L’ipocrisia. La pornografia. Il conformismo. Miserie che impallidiscono confronto a ciò che ci aspetta quando Anne cerca di procurarsi un aborto da sola, poi ricorre a una mammana che opera nella sua cucina (inaspettatamente, Anne Mouglalis) in una lunga scena terribile e definitiva dopo la quale nessuno, maschi in testa, potrà mai più dire non credevo, non sapevo. È bello che in una Venezia sempre più attenta al successo e agli Oscar ci sia ancora spazio per film di questo rigore. È terribile constatare quanto questa epoca apparentemente così remota sia ancora vicina a noi, al nostro presente, alle nostre rimozioni, alla nostra voglia e forse al nostro bisogno di non sapere.
Mostra del cinema. A Venezia vince con polemica il film sull'aborto. Alessandra De Luca e Massimo Iondini sabato 11 settembre 2021 su avvenire.it. Il Leone d'oro alla regista francese Diwan con "L'evenement", film su una tenace negazione della vita. A Sorrentino Il Leone d'argento - Gran Premio della Giuria con "È stata la mano di Dio". Il cinema italiano piace alla giuria della 78esima Mostra del Cinema di Venezia presieduta dal coreano Bong Joon Ho che d’altra parte non ha mai nascosto l’ammirazione per i nostri registi e i nostri capolavori, vecchi e nuovi. E così Paolo Sorrentino, un “nuovo” Paolo Sorrentino, conquista il Leone d’argento – Gran Premio della Giuria con È stata la mano di Dio, un film intimo e commovente, tra i più apprezzati al Festival anche dalla critica, che nella Napoli degli anni Ottanta, quella in festa per l’arrivo di Diego Armando Maradona, rievoca la tragedia famigliare che si è abbattuta sul regista a soli diciassette anni. “Guardate dove sono arrivato facendo film con Toni Servillo – dice il regista – e in lacrime durante i ringraziamenti aggiunge: “Ci sono due scene che non ho inserito nel film, una è un sogno che non ho fatto dove Maradona vi ringrazia e l’altra è quella del giorno del funerale dei miei genitori. Il preside mandò solo quattro ragazzi e io ci rimasi male. Ma stasera è venuta tutta la classe, e siete voi». Il film, che arriverà nelle sale il 24 novembre e sarà poi disponibile su Netflix da 15 dicembre, vede protagonista il giovane Filippo Stocchi, che si è aggiudicato il Premio Marcello Mastroianni dedicato proprio agli attori emergenti. Michelangelo Frammartino ottiene invece il Premio Speciale della Giuria per Il buco, ambientato nelle viscere nella terra, nell’Abisso del Bifurto, dove giovani speleologi si sono calati con le macchine da presa per ricostruire la spedizione speleologica che nell’Italia dei grattacieli e del boom economico degli anni Sessanta portò alla scoperta di una grotta che ai tempi era la terza più profonda del mondo. Un lavoro sperimentale, “un salto nel vuoto produttivo”, che rappresenta una vera sfida anche per lo spettatore, molto apprezzato da una giuria composta da ben quattro registi. Ma a vincere a Venezia quest’anno sono anche le donne. Dopo Nomadland, che la scorsa edizione consegnò il principale riconoscimento della Mostra alla cino-americana Chloé Zhao, chiamata in questa volta in giuria, a vincere il Leone d’oro di VeneziaDiwa78 è un’altra regista, la francese Audrey Diwan con L’événement, tratto dall’omonimo romanzo di Annie Ernaux, che racconta di un’adolescente decisa ad abortire nella Francia degli anni Sessanta, dove l’interruzione di gravidanza era un reato. Doloroso, a volte sgradevole, ma sostenuto da una messa in scena molto efficace, il film restituisce tutta la determinazione della giovane, disposta anche a rischiare la propria vita affidandosi a pratiche mediche brutali, spesso letali, ma traccia anche un vivido affresco di una società estremamente crudele nei confronti delle donne che concepivano dei figli fuori dal matrimonio. A causa della sua gravidanza la giovane protagonista viene cacciata dalla scuola e se darà alla luce suo figlio non le verrà consentito di proseguire questi studi universitari che le consentiranno di diventare una delle più apprezzate scrittrici contemporanee. «Ogni film su questo argomento è difficile, il mio è un viaggio nella pelle di questa giovane donna». E in lacrime invita a salire sul palco la protagonista del film, Anamaria Vartolomei. Il premio della regia va a un’altra donna, Jane Campion, che a partire dal romanzo di Thomas Savage costruisce un complesso e ambiguo romanzo di formazione, Il potere del cane (nei cinema a novembre e su Netflix dall’1 dicembre), ambientato in un west che maschera crisi e tensioni sotto una durezza destinata a creparsi. A Penelope Cruz va invece la Coppa Volpi per il suo difficile ruolo in Madres Paralelas di Pedro Almodovar in cui interpreta una madre forte e fragile al tempo stesso, generosa e meschina, vitale e ambigua, alle prese con la scoperta dell’identità di sua figlia e di quella dei desaparecidos in una fossa comune del suo villaggio. «Dedico il premio ad altre due madri parallele, la mia e quella di mio marito, Javier Bardem, che è da poco scomparsa e che mi aveva predetto questo premio». È una madre imperfetta ma straordinariamente umana anche Olivia Colman, protagonista di The Lost Daughter. Il Premio per la migliore sceneggiatura è andato a Maggie Gyllenhaal, che qui dirige il suo primo film adattando sul grande schermo La figlia oscura di Elena Ferrante, il che aggiunge un altro pezzetto d’Italia ai premi di questa edizione. La Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile va invece a John Ancilla per On the Job: the Missing 8 del filippino Erik Matti, su un giornalista filogovernativo che dopo la scomparsa del fratello giornalista, di sei suoi colleghi e del nipotino comincia a indagare sull’accaduto scoperchiando un sistema di corruzione e criminalità capeggiato proprio dai politici che difendeva con le sue trasmissioni radiofoniche. Nel concorso della sezione Orizzonti trionfa invece Piligrimai del lituano Laurynas Bareiša che mette in scena una personalissima elaborazione del lutto attraverso il pellegrinaggio di un uomo sui luoghi che hanno visto la presenza del fratello poco prima della sua morte. Il frenetico A plein temps del francese Èric Gravel su una madre quotidianamente in lotta contro il tempo vince per la regia e l’interpretazione di Laure Calamy, mentre il Premio Speciale della Giuria va a El gran movimiento di Kiro Russo. Il miglior attore è Piseth Chun per White Building del cambogiano Kavich Neang la migliore sceneggiatura è quella di 107 Mothers dell’ucraino Peter Kerekes. Migliore opera prima infine è Immaculat di Monica Stan e George Chiper-Lilemark, presentato alle Giornate degli Autori, sul percorso di una ragazza vittima della dipendenza. (Alessandra De Luca)
Secondo noi. QUANDO L'IDEOLOGIA PREVALE SULL'ARTE di Massimo Iondini. Nell’imbarazzo della scelta ha vinto il ruggito del “politically correct”. Il film della regista francese Audrey Diwan non è il più bello, non è il più originale e nemmeno il meglio girato tra quelli in concorso, ma questa non è una novità né una notizia perché è sovente capitato che alla Mostra di Venezia (così come per la Palma di Cannes e per l’Orso di Berlino) il Leone d’oro non finisse nelle mani più meritevoli. Il fatto è che stavolta di mani più meritevoli ce n’erano tante. Italiane comprese, a partire da quelle di Paolo Sorrentino che di consolarsi avrà comunque modo con il Gran Premio della Giuria. Il concorso al Lido finisce invece con un segno diametralmente opposto rispetto a quello dell’inaugurazione, illuminata dalla proiezione di Madres paralelas di Pedro Almodóvar. Lì il vitale, seppur drammatico, incontro in una stanza d’ospedale tra due partorienti pronte a mettere al mondo le loro inattese e, all’inizio, non desiderate creature. Qui, nel film Leone d’oro L’événement, la cruda e disperata rappresentazione di una pervicace negazione della vita. Che trova il proprio abisso nella durezza della scena di un aborto clandestino. Come se, alla fine, debba sempre prevalere una letale ideologia fintamente progressista, anche a spese dell’arte.
Parla la regista Leone d'oro. Intervista a Audrey Diwan: “Vi racconto il mio film sulla libertà delle donne”. Chiara Nicoletti su Il Riformista il 4 Novembre 2021. Con il titolo La scelta di Anne, L’Événement, pellicola Leone d’oro all’ultima Mostra del Cinema di Venezia, sarà nelle sale italiane da oggi, ancor prima che in quelle del suo paese, la Francia. Diretto dalla regista Audrey Diwan, il film ha fatto già molto parlare di sé per via della sua tematica ancora oggi scottante: l’aborto. Tratto dal romanzo autobiografico L’Evento di Annie Ernaux, La scelta di Anne è ambientato nella Francia del 1964 quando la scrittrice, allora ancora una studentessa, scelse la via dell’aborto clandestino con tutte le sue conseguenze fisiche, morali e legali per poter continuare a studiare e garantirsi un futuro. A Roma, nella cornice di Villa Medici all’Accademia di Francia, Audrey Diwan e la sua protagonista, la giovanissima e magnetica Ana Vartolomei, ci accompagnano dentro l’arduo e dettagliato percorso di questo film che pone l’accento sulla libertà, all’epoca negata, di poter decidere sul proprio corpo, un diritto che negli anni è stato finalmente acquisito ma che ancora viene messo in discussione.
Visto che lei ha iniziato la sua carriera facendo la giornalista, che domanda si farebbe su questo film?
Mi sono chiesta: “Questo film posso condividerlo solo con le donne che hanno vissuto quel periodo? O anche con una generazione più giovane, con gli uomini e con chi è contrario all’aborto?”. Una domanda vasta, per un pubblico vasto.
Come è stato fare l’adattamento del romanzo “L’Evento”? Come vi siete confrontate con l’autrice del romanzo Annie Ernaux?
La prima cosa che ho fatto è stato andare da Annie perché volevo essere sicura del mio cammino, che si potesse svolgere attraverso il suo, che entrambe guardassimo nella stessa direzione. Ci siamo trovate d’accordo che non si trattava di guardare Anne ma di mettersi al suo posto, abbiamo passato diverse ore anche a studiare dal punto di vista cronologico il suo libro, mi ha raccontato tante cose che non erano nel romanzo, aspetti legati alla politica, delle riflessioni sull’amicizia. Ha letto tre versioni della sceneggiatura e ha reagito da donna intelligente e non per riportare la sceneggiatura verso quello che è stato il suo romanzo, ma per trovare le cose giuste.
Uno dei sentimenti prevalenti nel film è la solitudine. Secondo lei è un sentimento che ha attraversato solo le donne di quell’epoca che affrontavano un aborto o è qualcosa che si vive tutt’oggi?
Penso che la solitudine sia legata al silenzio, all’assenza di parole. Questo non può riguardare tutte le donne ma credo che ci si senta sole se c’è l’impossibilità di avere uno scambio. Ovviamente non tutte le esperienze sono paragonabili, un conto è un aborto clandestino e un’altra cosa è l’aborto terapeutico però malgrado questa differenza, credo rimanga una sorta di vergogna sociale che si trasmette di generazione in generazione dovuta al fatto che non si osa parlarne.
Subito dopo il Leone a Venezia ci sono state proteste da parte del mondo cattolico. Cosa pensa del fatto che ci sono alcuni paesi nel mondo che vogliono rimettere in discussione la legge che rende legale l’aborto?
Son sempre molto tentata di discutere con coloro che sono contro l’aborto per capire da dove nasca la resistenza contro la libertà delle donne di gestire il proprio corpo. Rispondere: “sono cattolico”, non basta. Posso capire le differenze culturali però non capisco come si possa reagire a questo percorso in questo modo se si vede l’esperienza di questa ragazza come nel film, un’esperienza di dolore e di rischio. Non capisco come si possa vederla e non cambiare idea dal punto di vista umano. Ciò che mi interessa sono gli interrogativi che questo film può suscitare.
C’è una tenacia costante nel modo in cui la protagonista persegue il suo obiettivo.
Con Ana ci dicevamo costantemente che il suo personaggio era un po’ come un soldato, con gli occhi sull’orizzonte, fissa sull’obiettivo che le interessava. La vita per me è un po’ così, non c’è nulla che mi può impedire di andare avanti, provo lo stesso desiderio, la stessa determinazione, non posso farmi distogliere dalle discriminazioni.
Nel film si mostra la sofferenza fisica della protagonista non solo quella morale. Era così anche nel libro? Perché ha ritenuto che fosse necessario mostrare questo aspetto, il percorso di Anne come un soldato?
La sofferenza nel libro di Ernaux è trattata come tutto il resto, senza fare sconti a nessuno. Il suo principio è stato quello di scrivere senza distogliere lo sguardo, ed è un po’ lo stesso principio che ho adottato io nel film, andare avanti, senza distogliere lo sguardo. A volte ho dovuto anche sforzarmi per non abbassarlo.
Cosa è successo in questo mese e mezzo dopo Venezia e cosa c’è nel suo futuro?
Ho avuto la possibilità di fare vedere il film in tantissimi posti dove mai pensavo che sarebbero stati interessati. Ho avuto tantissime richieste da città della Francia ma anche all’estero e Venezia è stata una grossa cassa di risonanza. Per quanto riguarda il futuro, per fare il cinema e per essere artista, ci vogliono molti mezzi che consentano di essere libera. Chiara Nicoletti
Festival del cinema di Venezia. Si parla di aborto, ma non dei nascituri. Anna Bonetti su provitaefamiglia.it il 10/09/2021. Al festival del Cinema di Venezia 2021 si parla anche dell’aborto. Non si tratta di Unplanned, il film che recentemente sta facendo riflettere migliaia di persone in tutto il mondo sulla verità di questo orribile massacro. Il film in questione, ambientato e girato in Francia, si intitola “L’événement” (l’evento). La protagonista è la 20enne Anne, una giovane studentessa universitaria che scopre di essere incinta nel 1963 quando in Francia l’aborto era reato e nonostante ciò vuole abortire ad ogni costo. Il messaggio controverso del film è dunque quello di associare ancora una volta l’aborto illegale alla negazione della libertà della donna. “Una scelta umanamente complessa e difficile, ma oggi praticabile senza grossi rischi per la salute. Solo che la storia di Anne va retrodatata un tantino, giusto quei cinquant’anni fa, nel 1963, in piena epoca conservatrice” queste le parole riportate da “Il Fatto Quotidiano”. Ancora una volta, dunque, i cosiddetti “pro-choice” negano che in realtà i soggetti in questione siano due: la madre e il figlio. Quest’ultimo, nell’ipocrisia abortista, non esiste. Cancellando l’esistenza del concepito e riducendolo a “grumo di cellule” si nega la sua umanità, che è ciò di cui viene privato tramite l’aborto. Nel film, la protagonista Anne ritiene che portando avanti la sua gravidanza non possa inseguire il sogno di diventare scrittrice o insegnante. L’inizio di una nuova vita viene visto come una minaccia per il suo futuro. Come se i bambini fossero un ostacolo ai sogni degli adulti e quindi per questo vada negata la loro esistenza. Un gesto di inaudita crudeltà, nonché un grande inganno per le donne alle quali ancora una volta, l’aborto, viene spacciato per “diritto umano”. Un inganno che tenta di inculcare loro la convinzione che quello non è il loro figlio, bensì il famoso “grumo di cellule”. Eppure, quello che spesso omettono gli abortisti è che in quelle cellule che spesso paragonano a un parassita, o addirittura a un tumore, è contenuto il DNA di un individuo unico e irripetibile. Sopprimere quel “grumo di cellule” significa negare l’esistenza a un nuovo essere umano. Le descrizioni del film, inoltre, definiscono la condizione della protagonista avvolta da un senso di terrore e isolamento psicologico, dunque si pone l’accento non sulla vita del nascituro, ma su una situazione a prescindere terribile e da evitare a tutti i costi. Senza dubbio, la povera Anne viveva in una condizione di isolamento sociale e di mancato supporto da parte degli amici e in un periodo difficilmente paragonabile a quello attuale, ma si parla anche di un netto miglioramento delle condizioni sanitarie in cui l’aborto avverrebbe in totale sicurezza. Eppure di che sicurezza parliamo quando il concepito si trova condannato a morte con la controversa accusa di “non essere ancora nato”? Sarebbe utile proporre a tutti coloro che hanno visto questo film, ma anche a chi semplicemente vuole approfondire ciò che realmente è l’aborto, di vedere anche “Unplanned”, il film sulla vera storia di Abby Jhonshon, ex dirigente di Planned Parenthood, la più grande clinica abortista americana e oggi una delle più grandi attiviste pro-life su scala internazionale. Per sapere cosa realmente è l’aborto è infatti fondamentale ascoltare entrambe le campane e avere il coraggio di guardare in faccia la verità. Altrimenti continueremo a vivere nella menzogna.
"Spero che tu sia donna: non è una disgrazia bensì una sfida che non annoia mai". Oriana Fallaci il 5 Novembre 2019 su Il Giornale. Le parole di coraggio e amore in «Lettera a un bambino mai nato». Ti ho portato dal medico. Più che la conferma, volevo qualche consiglio. Per risposta ha scosso la testa dicendo che sono impaziente, che non può ancora pronunciarsi, ripassi tra quindici giorni, pronta a scoprire che eri un prodotto della mia fantasia. Tornerò solo per dimostrargli che è un ignorante. Tutta la sua scienza non vale il mio intuito, e come fa un uomo a capire una donna che sostiene anzitempo di aspettare un bambino? Un uomo non resta incinto e, a proposito, dimmi: è un vantaggio o una limitazione? Fino a ieri mi sembrava un vantaggio, anzi un privilegio. Oggi mi sembra una limitazione, anzi una povertà. V'è un che di glorioso nel chiudere dentro il proprio corpo un'altra vita, nel sapersi due anziché uno. A momenti ti invade addirittura un senso di trionfo e, nella serenità che accompagna il trionfo, niente ti preoccupa: né il dolore fisico che dovrai affrontare, né il lavoro che dovrai sacrificare, né la libertà che dovrai perdere. Sarai un uomo o una donna? Vorrei che tu fossi una donna. Vorrei che tu provassi un giorno ciò che provo io: non sono affatto d'accordo con la mia mamma la quale pensa che nascere donna sia una disgrazia. La mia mamma, quando è molto infelice, sospira: «Ah, se fossi nata uomo!». Lo so: il nostro è un mondo fabbricato dagli uomini per gli uomini, la loro dittatura è così antica che si estende perfino al linguaggio. Si dice uomo per dire uomo e donna, si dice bambino per dire bambino e bambina, si dice figlio per dire figlio e figlia, si dice omicidio per indicar l'assassinio di un uomo e di una donna. Nelle leggende che i maschi hanno inventato per spiegare la vita, la prima creatura non è una donna: è un uomo chiamato Adamo. Eva arriva dopo, per divertirlo e combinare guai. Nei dipinti che adornano le loro chiese, Dio è un vecchio con la barba bianca mai una vecchia coi capelli bianchi. E tutti i loro eroi sono maschi: da quel Prometeo che scoprì il fuoco a quell'Icaro che tentò di volare, su fino a quel Gesù che dichiarano figlio del Padre e dello Spirito Santo: quasi che la donna da cui fu partorito fosse un'incubatrice o una balia. Eppure, o proprio per questo, essere donna è così affascinante. È un'avventura che richiede un tale coraggio, una sfida che non annoia mai. Avrai tante cose da intraprendere se nascerai donna. Per incominciare, avrai da batterti per sostenere che se Dio esistesse potrebbe anche essere una vecchia coi capelli bianchi o una bella ragazza. Poi avrai da batterti per spiegare che il peccato non nacque il giorno in cui Eva colse la mela: quel giorno nacque una splendida virtù chiamata disubbidienza. Infine avrai da batterti per dimostrare che dentro il tuo corpo liscio e rotondo c'è un'intelligenza che chiede d'essere ascoltata. Essere mamma non è un mestiere. Non è neanche un dovere. È solo un diritto fra tanti diritti. Faticherai tanto a ripeterlo. E spesso, quasi sempre, perderai. Ma non dovrai scoraggiarti. Battersi è molto più bello che vincere, viaggiare è molto più divertente che arrivare: quando sei arrivato o hai vinto, avverti un gran vuoto. Sì, spero che tu sia una donna: non badare se ti chiamo bambino. E spero che tu non dica mai ciò che dice mia madre. Io non l'ho mai detto. Oriana Fallaci
Roma, la vergogna del cimitero dei feti arriva in tribunale. «Basta silenzi sulla pelle delle donne». Chiara Sgreccia su L'espresso il 10 settembre 2021. Un’azione popolare di Libera di abortire e Radicali. La prima udienza lunedì 13 settembre. Tolino: «Con le croci abbiamo superato il limite, è l’atto finale di un percorso pieno di ostacoli». «A Roma cambiano le generazioni ma le storie sono sempre le stesse, con stessa morale: in questa città non è possibile abortire in modo civile» ha detto Francesca Tolino alla conferenza stampa di presentazione dell’azione popolare con cui Libera di Abortire e i Radicali portano in tribunale la vicenda dei feti sepolti al cimitero Flaminio della capitale. Lunedì 13 settembre ci sarà la prima udienza contro l’azienda ospedaliera San Giovanni, l’Asl e l’Ama (la società che gestisce lo smaltimento dei rifiuti a Roma) responsabili di aver seppellito i feti senza il consenso delle donne e di aver sistemato sopra le tombe una croce con il loro nome e cognome. Si tratta di una prassi che va avanti da vent’anni, e non solo a Roma, per la quale le associazioni religiose - nella legalità ma approfittando di alcune norme non troppo stringenti nel campo della sepoltura e dello smaltimento dei rifiuti ospedalieri - stringono accordi con le aziende ospedaliere italiane e provvedono all’inumazione dei feti con la libertà di seppellirli secondo cerimonia religiosa. La volontà delle donne passa in secondo piano soprattutto perché, senza nessuna conoscenza di che cosa accadrà al feto dopo l’interruzione di gravidanza e della possibilità di esprimere la propria volontà in merito - passate 24 ore perdono ogni diritto. «Con il cimitero dei feti abbiamo superato il limite, è l’atto finale di un percorso pieno di ostacoli» spiega Tolino che aveva già raccontato all’Espresso come la sua esperienza di aborto terapeutico si fosse trasformata in tortura a causa dei lunghi tempi d’attesa, degli obiettori di coscienza, della mancanza di informazione, delle violenze fisiche e psicologiche, nonostante il diritto di interrompere la gravidanza sia riconosciuto dalla legge italiana - la 194 - dal 1978. Dopo l’esperienza traumatica dell’aborto all’Ospedale San Giovanni nel 2019, simile a quella che hanno avuto tante altre donne in tutta Italia, Tolino, ormai un anno fa, ha scoperto una tomba al cimitero Flaminio con una croce e il suo nome scritto sopra. Lo stesso è successo a Marta Loi. Con un post su Facebook lo scorso settembre ha raccontato di aver scoperto, durante una telefonata avvenuta sette mesi dopo l’aborto, che il feto era stato seppellito sotto una croce con il suo nome al “Giardino degli Angeli”, all’interno del cimitero Laurentino di Roma. Sarebbe stato un loro diritto chiedere o rifiutare la sepoltura, qualcuno avrebbe dovuto informale su che cosa sarebbe successo dopo. Così per tante altre donne forse ancora ignare perché non si sa quante siano le sepolture totali e quante di queste siano state richieste. «Il silenzio è parte del problema» ha dichiarato Tolino, promotrice della campagna “Libera di Abortire”, candidata al consiglio comunale per la lista Roma Futura, che ha scelto di condividere la sua esperienza per avviare un dibattito politico e quanto più possibile trasversale sull’aborto. Secondo stime, non aggiornate e non certe, nel 2019 tra le 10 e le 13 mila donne hanno fatto ricorso all’aborto clandestino in Italia, difficile affermare chiaramente il perché ma il fatto che il 69% dei ginecologi italiani sia obiettore di coscienza, il 46% degli anestesisti e il 42% del personale sanitario non medico - come riporta la Relazione del ministro della Salute sull’attuazione della legge 194/1978 aggiornata per i suoi quarant’anni - non garantisce alle donne il rispetto di quello che secondo Amnesty International dovrebbe essere un diritto umano. «Accadono illegittimità sulla pelle delle donne. L’azione popolare promossa da Libera di Abortire e i Radicali - ha spiegato l’avvocato Francesco Migliardi durante la conferenza stampa - è una vera e propria azione giudiziaria nella quale i cittadini vestono la fascia della sindaca di Roma per far valere gli interessi comunità. Approfondendo la vicenda di Tolino all’Ospedale San Giovanni ci siamo resi conto che le donne non vengono debitamente informate su quale sarà il trattamento del feto dopo l’interruzione della gravidanza». Per l’avvocato e per Simone Sapienza dei Radicali l’azione popolare è necessaria per impedire che altre donne vengano tenute allo scuro della sepoltura dei feti dopo l’aborto, la vicenda è inaccettabile e ha causato un danno enorme al comune di Roma a i suoi cittadini oltre che ai diritti di tutte le donne. Si augurano che Virginia Raggi decida di intervenire prendendo parte alla prima udienza del processo di lunedì 13 settembre, sebbene fino ad ora ci sia stato solo silenzio da parte della sindaca.
Marilisa Palumbo per il “Corriere della Sera” il 6 settembre 2021. Un effetto a valanga devastante per i diritti delle donne americane. Dopo l'entrata in vigore della legge texana sull'aborto, che proibisce l'interruzione di gravidanza dalla sesta settimana, politici repubblicani in tutto il Paese hanno fatto a gara ad annunciare che presto copieranno il provvedimento. Una legge designata apposta per aggirare le accuse di incostituzionalità e il limite delle 24 settimane sotto il quale, secondo l'attuale giurisprudenza, non si può vietare la procedura. Tra gli Stati che si sono fatti avanti per ora ci sono Arkansas, Florida, South Carolina and South Dakota, e presto secondo il Washington Post dovrebbero seguire Kentucky, Louisiana, Oklahoma e Ohio. Leggi del genere sono destinate ad avere conseguenze molto più gravi e profonde in posti come il Texas o la Florida, primo perché in altri Stati, seppur legale, l'aborto ha talmente tante restrizioni e vi è associato uno stigma sociale così forte che i numeri sono molto bassi; secondo perché il bando negli Stati più estesi significa per chi vuole sottoporsi alla procedura doversi spostare di centinaia di chilometri. E affrontare spese che rendono questa legge e quelle che dovessero seguire particolarmente penalizzanti per le comunità di colore e i ceti più poveri. Gli attivisti hanno definito quest' anno «il peggior mai visto per il diritto all'aborto negli Stati Uniti». Secondo il Guttmacher Institute, oltre 97 provvedimenti restrittivi sono stati messi in atto nel 2021, il numero più alto dall'introduzione di Roe v. Wade, la decisione del 1973 che garantiva il diritto all'aborto. La presenza di una forte maggioranza conservatrice alla Corte Suprema fa ora temere il peggio per il destino della legge. La Casa Bianca e i democratici si sono schierati promettendo battaglia, dal presidente Joe Biden alla speaker della Camera Nancy Pelosi, che vuole votare al più presto una legge che inscriva una volta per tutte il diritto all'aborto nella legge federale. Ma un simile provvedimento incontrerebbe con ogni probabilità ostacoli insormontabili in un Senato attualmente spaccato a metà. Che la maggioranza degli americani (il 63 per cento) sia favorevole a Roe v. Wade non sembra spaventare i legislatori repubblicani: gli Stati «rossi» repubblicani, dove vive circa la metà della popolazione americana, stanno spingendo aggressivamente per far avanzare un'agenda ultra conservatrice e trumpiana mentre il Paese va in un'altra direzione. A un anno dalle elezioni di medio termine, bisognerà però vedere se pagherà o se invece l'attacco ai diritti delle donne mobiliterà l'elettorato progressista.
Legge anti-aborto, da Gandolfini a Binetti ecco chi sono i "texani" d'Italia. Giovanna Casadio su La Repubblica il 3 novembre 2021. Il mondo dei cattolici integralisti torna alla carica dopo l'approvazione in Texas di una norma che vieta l'interruzione di gravidanza dopo le prime sei settimane. Ma in Italia le possibilità di mettere mano alla "194" sono piuttosto remote. I "talebani texani", come sono stati soprannominati via social, e la loro legge sull'aborto - che vieta l'interruzione di gravidanza dopo le prime sei settimane e impone alla donna di ascoltare il battito del cuore del feto - hanno anche in Italia i loro adepti. Non ne fanno di nuovi. Ma il mondo dei cattolici integralisti torna alla carica.
In Texas l’aborto ora è vietato. Per le donne i diritti sono sempre di meno. Angela Vitaliano su L'Espresso il 3 settembre 2021. La Corte suprema non blocca la legge entrata in vigore che vieta l’interruzione di gravidanza dopo la sesta settimana, anche per le vittime di stupro, e incentiva la delazione. «Perfetti estranei avranno ora il potere di intromettersi in una delle decisioni più intime affrontate dalle donne. Questa legge è così estrema da non consentire eccezioni nemmeno in caso di incesto e stupro». Interviene con forza, il presidente Joe Biden, per criticare, senza indugi, la decisione della Corte Suprema di non intervenire per bloccare la nuova legislazione sull’aborto entrata in vigore, lo scorso mercoledì, in Texas. E nel farlo, evidenzia due degli aspetti di questa legge più punitivi per le donne: la perdita totale del proprio diritto alla privacy, in quanto pazienti di una struttura sanitaria e il fatto che, nemmeno in casi drammatici di violenza, alla vittima venga consentito di abortire oltre le sei settimane. Perché la legislazione firmata lo scorso maggio, dal governatore repubblicano dello stato, Greg Abbot, e denominata “Senate Bill 8”, vieta categoricamente il ricorso all’aborto appena il battito cardiaco diventa percepibile, evento che, generalmente, si verifica intorno alla sesta settimana. Ora, considerato che la maggioranza di donne scopre di essere incinta oltre quel periodo, si comprende come, di fatto, questo provvedimento renda inaccessibile l’aborto nel 90 per cento dei casi. La cosa più grave, tuttavia, in quanto crea un precedente pericoloso, è che il “Senate Bill 8”, chiaramente anti costituzionale come ha sottolineato lo stesso presidente Biden, è stato pensato proprio per evitare ricorsi e successivi blocchi, garantendo ai cittadini di fare rapporto sui medici che infrangono la legge. Le denunce, dunque, possono arrivare da un infermiere, da un impiegato della clinica o persino dal conducente di un taxi. Eppure è difficile dirsi sorpresi di questa situazione dal momento che è da circa cinquant’anni che gli attivisti anti abortisti attaccano la sentenza del 1973, Roe v. Wade, per limitare o cancellare il diritto all’aborto negli Stati Uniti. Ed è proprio con questo obiettivo ben chiaro in mente che Donald Trump ha scelto, durante la sua presidenza, i giudici della Corte Suprema, da Brett Kavanaugh a Amy Coney Barrett, accumunati da posizioni anti abortiste così radicali da spingere il giudice Roberts, solitamente moderato, a esprimere in maniera chiara il suo dissenso contro la decisione dei colleghi conservatori. Il Texas, stato solidamente repubblicano, negli ultimi 15 anni è riuscito ad assestare durissimi colpi al diritto all’aborto tanto che, delle 40 cliniche presenti sul territorio, oggi ne restano solo una quindicina, con la conseguenza che già adesso molte donne devono spostarsi in altri stati per sottoporsi all’interruzione di gravidanza. Il problema vero, però, è che a ottobre, quando rientreranno dalla pausa estiva, i giudici della Corte Suprema si troveranno ad affrontare l’ennesimo tentativo di affossare la “Roe v. Wade”, rispondendo al ricorso presentato dello stato del Mississippi contro il blocco del divieto di aborto, in qualsiasi caso, dopo la quindicesima settimana. Se la decisione della Corte dovesse essere a favore degli antiabortisti, molti stati a guida repubblicana, dichiarerebbero immediatamente l’interruzione di gravidanza fuorilegge, dando speranza anche ai gruppi più estremisti che stanno addirittura spingendo per il riconoscimento del feto come persona. Quello che sta accadendo in Texas (dove, intanto, è stata approvata una legge che consente di girare armati senza nessun tipo di permesso o di addestramento), peraltro, trova eco in Europa; e non solo in Polonia dove, dallo scorso gennaio l’aborto è consentito solo per ragioni di salute o per vittime di incesto e stupro, o in Romania, dove solo 28 ospedali su 134, continuano a garantire interruzioni di gravidanza, ma anche nella più liberale Germania. Se da un lato qui il numero dei medici che pratica l’aborto è in costante calo, dall’altro aumentano le barriere e gli ostacoli per poter usufruire di questo servizio tanto che è sempre più normale per donne tedesche cercare supporto nella vicina Olanda.
Dagotraduzione dal Daily Mail il 9 settembre 2021. Mentre il vicino Texas adotta misure più severe per limitare l’accesso all’aborto, martedì la Corte suprema del Messico, paese che conta 100 milioni di cattolici, secondo solo al Brasile, ha stabilito che le sanzioni penali per le donne che interrompono la gravidanza volontariamente sono illegali. Gli 11 membri dell’Alta Corte hanno votato all’unanimità. «Questo è un passo storico» ha detto Luis Maria Aguilar, giudice della Corte Suprema. L’aborto infatti è illegale in quasi tutta l’America Latina, e in Messico numerosi stati hanno ancora leggi restrittive. Il movimento femminile, che è cresciuto in questi anni tanto da occupare la metà dei seggi al congresso, spinge per una legge centrale. La sentenza in questione, invece, riguardava una disposizione dello stato di Coahuila che stabiliva tre anni di pena detentiva per le donne colpevoli di aborto illegale. Grazie a questa sentenza gli stati dovranno adeguare le loro leggi. Non solo. Le donne incarcerate per aborto potranno tornare libere. Non sono mancate le polemiche. Lunedì il National Action Party, uno dei più grandi partiti all’opposizione, ha dichiarato: «Siamo favorevoli alla difesa della vita dal concepimento alla morte naturale, motivo per cui rifiutiamo l’aborto, l’eutanasia, la pena di morte e qualsiasi ricerca scientifica che minacci la vita umana, che deve essere protetta dallo Stato».
Da “Swg” il 25 maggio 2021.L’ABORTO A 40 ANNI DAL REFERENDUM SULLA LEGGE 194. Dopo 4 decadi in cui è in vigore, la Legge 194 sul diritto all’aborto è stata ampiamente assimilata dalla maggior parte degli italiani, ma il dibattito rimane ancora aperto su alcuni aspetti. Ritenuta una buona legge dall’86% dei rispondenti, tra questi una parte auspica delle modifiche, principalmente al fine di facilitare l’interruzione di gravidanza, non di limitarla. Queste tendenze erano molto meno evidenti alla fine degli anni ‘90, mentre ora mostrano un consolidamento. Il dibattito attuale non ruota tanto sul tema dell’aborto in sé quanto su altri aspetti come l’obiezione di coscienza e la pillola abortiva. Il diritto dei medici ad opporsi allo svolgimento dell’intervento viene giustificato da 3 italiani su 10 (mentre il 53% è contrario). Una parte di questi, inoltre, posti di fronte alla scelta tra diritto ad abortire e obiezione di coscienza, optano per la prima, posizione riscontrata in misura ancora più marcata rispetto a 5 anni fa. La pillola RU486 che permette di abortire nelle prime 7 settimane di gestazione viene valutata positivamente dalla maggioranza degli italiani, anche se occorre notare maggiori perplessità tra le donne, il che evidenzia il fatto che la materia sia complessa e da trattare con prudenza.
Da leggo.it il 13 maggio 2021. Qualche giorno fa è uscita in libreria l’autobiografia di Giorgia Meloni, Io sono Giorgia, e subito spunta il primo "caso". Riguarda un passo del libro della leader di Fratelli d’Italia, in cui la Meloni dice che non sarebbe mai dovuta nascere, perché sua madre, quando rimase incinta di lei, pensò seriamente ad abortire, cambiando idea all’ultimo per poi portare avanti la gravidanza. Come sottolinea però Selvaggia Lucarelli su Tpi e sul suo profilo Twitter, c’è una stranezza nel racconto della Meloni: quest’ultima è nata nel 1976, mentre la legge sull’aborto risale al 1978. Quindi, si chiede la Lucarelli, i casi sono due: o sua madre le ha mentito, oppure mente lei nel suo racconto. Quando la madre di Giorgia Meloni era incinta - scrive - la legge sull’aborto non esisteva. Così la giornalista: «Nel 1976 l’aborto era illegale. Non funzionava così. Hai mentito tu o tua madre?» E ancora: ««C’è solo un problema in questo racconto scritto con quell’impellente bisogno di verità che Giorgia Meloni si porta dentro: e cioè che quando la madre di Giorgia Meloni era incinta di Giorgia Meloni la legge sull’aborto non esisteva». Nel 1976 l’aborto era un reato e si rischiava una condanna dai 2 ai 5 anni di prigione: secondo la legge dell’epoca una gravidanza poteva essere interrotta solo «quando l’ulteriore gestazione implichi danno, o pericolo, grave, medicalmente accertato nei sensi di cui in motivazione e non altrimenti evitabile, per la salute della madre». Solo due anni dopo, nel maggio ’78, arrivò la legge 194 che introdusse l’interruzione di gravidanza entro i primi tre mesi, escluso l’aborto terapeutico.
Giorgia Meloni nel suo libro: “Mia madre scelse di non abortire”, ma nel 1976 l’aborto era illegale. Valentina Mericio il 13/05/2021 su Notizie.it. Giorgia Meloni nel suo libro ringrazia la madre per non averla abortita, eppure ci sono delle incongruenze. Nel 1977 l'aborto era illegale. “Devo tutto solo a mia madre”, questa l’incipit di Giorgia Meloni che apre il capitolo “Piccole donne” del suo libro “io sono Giorgia” nel quale la leader di Fratelli d’Italia racconta come sua madre durante la gravidanza avrebbe potuto scegliere di abortire. “La verità è che io non sarei mai dovuta nascere […] l’avevano quasi convinta che non avesse senso mettere al mondo un’altra bambina in quella situazione”. Eppure queste parole nascondono un’incongruenza importante che è stata fatta notare puntualmente dalla giornalista Selvaggia Lucarelli nel suo approfondimento su TPI: all’epoca della nascita di Giorgia Meloni, vale a dire nel gennaio del 1977 l’aborto era una pratica illegale e pensare di abortire in un contesto quale l’ospedale era impensabile. Il racconto di Giorgia Meloni mostra fin dalle prime righe un grande amore e una dedizione per la madre. A tratti invita a riflettere sulla forza di una donna che nonostante i tempi difficili decide di proseguire la gravidanza nonostante tutto: “A questo punto mi ha sempre raccontato, si ferma davanti al portone, esita, vacilla. Non entra. ‘No non voglio rinunciare, non voglio abortire’. È una mattina di primavera”, scrive Giorgia Meloni raccontando il momento esatto nel quale la madre ha deciso che avrebbe portato avanti la gravidanza.
Giorgia Meloni libro – le incongruenze. A dispetto delle parole molto sentite e piene d’affetto per la madre, sarebbero diverse le incongruenze portate in superficie da Selvaggia Lucarelli che senza mezzi termini ha fatto notare: “Quando la madre di Giorgia Meloni era incinta di Giorgia Meloni la legge sull’aborto non esisteva”. La legge sull’aborto ovvero la legge 194 come è noto è entrata in vigore il 22 maggio del 1978, vale a dire circa un anno mezzo dopo la nascita della leader di Fratelli d’Italia avvenuta il 15 gennaio del 1977. Oltre a ciò dal racconto di Giorgia Meloni risulta come l’episodio raccontato risalga alla primavera del 1976. “Nel 1976 l’interruzione volontaria di gravidanza era una pratica illegale. Abortire era un reato che prevedeva una pena dai 2 ai 5 anni” – prosegue Selvaggia Lucarelli.
Giorgia Meloni libro – le ipotesi. Sul finire dell’approfondimento la giornalista Selvaggia Lucarelli porta sul piatto tre ipotesi che cercherebbero di spiegare cosa potrebbe essere successo. La prima teoria ipotizza come ipotizza la giornalista potrebbe essere legata al fatto che Giorgia Meloni possa aver in qualche modo romanzato la cosa. Nel secondo caso la madre di Giorgia Meloni potrebbe non aver raccontato la verità e la stessa Meloni potrebbe essere inconsapevole: “è comunque responsabile di una grave lacuna culturale: visto che è pro-vita e ritiene l’aborto una sconfitta, potrebbe almeno imparare la data in cui è nata la legge 194”, fa notare la giornalista. Il terzo e ultimo caso riguarebbe l’età anagrafica di Giorgia Meloni: “Giorgia Meloni non è nata nel 1977 ma qualche anno dopo. Probabilmente, in quanto leader di un partito, è tra le poche donne ad aumentarsi gli anni per acquisire più autorevolezza”. – ha concluso la giornalista.
40 anni fa il referendum che difese l’aborto in Italia. In un paese e in una società divisa, il 68% della popolazione si dichiarò favorevole a mantenere la legge 194 intatta, quella che depenalizzò l’interruzione volontaria di gravidanza. L'Espresso il 13 maggio 2021. Tra il 17 e 18 maggio del 1981 milioni di persone si recarono a votare ribadendo il loro appoggio alla legge 194. Prima di quella norma, arrivata nel 1978, per il codice penale una donna che praticava l’interruzione volontaria di gravidanza rischiava fino a quattro anni di carcere, e chi causava l’aborto a una donna consenziente addirittura cinque. Alle urne si presentò più del 79% degli aventi diritto, per decidere su ben cinque quesiti, di cui due sull’IVG. Il primo era stato promosso dal Partito Radicale, che chiedeva la totale liberalizzazione della pratica abortiva, eliminando il divieto per le ragazze minorenni o per chi ne facesse uso dopo i primi 90 giorni di gestazione, entro i quali la 194 lo permette. I radicali, poi, volevano estendere anche alle case di cure private la possibilità di attuarla. Gli altri temi lanciati dal partito dell’allora segretario Francesco Rutelli riguardavano l’abrogazione dell’ergastolo, il porto d’armi e il fermo di polizia (tutti bocciati). Il secondo, invece, era stato proposto dal Movimento per la Vita, un’associazione nata qualche anno prima proprio con l’obiettivo di contrastare l’aborto, ed era appoggiato dal mondo cattolico. Anche Papa Giovanni Paolo II, infatti, si espresse a favore di una mobilitazione per la difesa del diritto alla vita, dopo la promulgazione della legge 194. Due quesiti erano stati presentati: uno “massimale” che invocava l’abrogazione dell’intera legge, ma che venne scartato dalla Corte Costituzionale, e uno “minimale” in cui erano proposte alcune riforme della legge per limitare l’IVG solo in casi terapeutici. Dopo mesi di dibattiti, il paese arrivò spaccato a quei giorni di metà maggio, ma la risposta della popolazione fu netta. Con l’88,42%, equivalenti a 27.395.909 voti, la proposta radicale fu bocciata a fronte dei 3.588.995 Sì (11,58%). Mentre sulla questione promossa dal Movimento per la Vita ci fu meno scarto: il No si impose con il 68% contro il 32% che votò a favore. Fu un momento decisivo per la società italiana, al pari del referendum abrogativo sul divorzio bocciato nel 1974. La celebre 194 era stata promulgata da Giovanni Leone tre anni prima, il 22 maggio 1978, anche se il percorso che portò la politica e il paese alla depenalizzazione dell’aborto fu lungo e intenso, arrivando a conclusione nelle stesse settimane del rapimento del leader della Democrazia Cristiana, Aldo Moro. L’anno cruciale, in cui il tema conquistò ancora più rilievo nel panorama politico nazionale e pose le basi per l’approvazione di un disegno di legge, fu il 1975. Venne messa in piedi, infatti, una campagna referendaria promossa proprio dal Partito Radicale, da L’Espresso, tramite il suo direttore Livio Zanetti, e dal Movimento di liberazione della donna, che in poco tempo raccolsero quasi 800mila firme. Il referendum fu calendarizzato ma poi rinviato per lo scioglimento delle Camere. Nello stesso anno Gianfranco Spadaccia (segretario dei radicali), Adele Faccio (Centro d’Informazione sulla Sterilizzazione e sull’aborto) ed Emma Bonino furono arrestati con l’accusa di associazione a delinquere e procurato aborto. Il 18 febbraio ‘75, inoltre, la sentenza numero 27 della Corte Costituzionale stabilì un punto importante: «non esiste equivalenza fra il diritto non solo alla vita ma anche alla salute proprio di chi è già persona, come la madre, e la salvaguardia dell’embrione che persona deve ancora diventare». Una sentenza che dichiarò l’illegittimità costituzionale dell’art. 546 del codice penale che non prevede il ricorso alla IVG quando ci sia pericolo o danno grave per la salute della madre. Nei mesi successivi si alternarono proposte di legge fino a quella presentata nel 1977 alla Camera dai partiti socialisti, liberali, repubblicani, comunisti, socialdemocratici e democratici proletari, con prima firma di Vincenzo Balzamo (PSI). L’opposizione del Movimento Sociale Italiano e della Democrazia Cristiana fu superata in Senato, nel maggio ‘78, anche grazie ad alcuni membri democristiani che votarono contro la linea del partito. E nonostante l’impasse istituzionale derivata dal caso Moro, la legge fu promulgata, andando a sostituire gli articoli del codice penale sull’aborto.
Aborto, il boicottaggio della destra continua. Con l’aiuto di Pro Vita. Le nuove linee guida del Ministero avevano semplificato l’accesso all’interruzione di gravidanza con la RU486. Ma le regole cambiano da ospedale a ospedale. E nel caos, l’offensiva politica contro la 194 non accenna a fermarsi. Jennifer Guerra su L'Espresso il 13 maggio 2021. Mentre nei giorni del primo lockdown Francia e Regno Unito sperimentavano l’aborto in telemedicina per evitare contatti tra medici e pazienti che avrebbero potuto favorire i contagi, in Italia il servizio di interruzione di gravidanza si paralizzava nel caos degli ospedali. A risentirne di più era, paradossalmente, l’accesso all’aborto farmacologico che in teoria dovrebbe essere l’“aborto facile e veloce” ma che, nella pratica, finiva con l’occupare posti letti più a lungo di quanto non facesse quello chirurgico. Per l’aborto farmacologico, che consiste nell’assunzione di due farmaci (la famosa pillola abortiva RU486 e, a distanza di due giorni, le prostaglandine che causano le contrazioni), era infatti previsto un ricovero di tre giorni che lo rendeva più difficile da gestire per le strutture ospedaliere. Così lo scorso agosto, dopo il parere favorevole del Consiglio Superiore di Sanità e Aifa, il ministero della Salute ha pubblicato le nuove linee di indirizzo che hanno abolito l’ospedalizzazione e allungato il termine per l’assunzione del farmaco, adeguando finalmente l’Italia alle indicazioni dell’Oms adottate nel resto dell’Europa, dove la RU486 si somministra da anni senza obbligo di ricovero, anche nei consultori e fino alla nona settimana di gestazione. A distanza di nove mesi dall’annuncio del ministro Roberto Speranza, però, la situazione non è cambiata. «Quello che stiamo verificando è una totale arbitrarietà rispetto alle nuove linee guida da ospedale a ospedale», dice Federica Di Martino, che con la ginecologa dell’associazione Vita di Donna Elisabetta Canitano monitora l’accesso al servizio di interruzione di gravidanza negli ospedali italiani con il progetto “Ivg ho abortito e sto benissimo”. Anche sul termine entro cui è possibile utilizzare la RU486 c’è confusione: «Ci sono ospedali che si sono adeguati alle linee guida e garantiscono l’aborto farmacologico a nove settimane dal concepimento e altri che sono fermi a sette. Questo complica ulteriormente la situazione: si creano liste di attesa perché la fornitura è scarsa e dopo la settima settimana molte donne vengono indirizzate all’aborto chirurgico anche se inizialmente avevano chiesto il farmacologico. Molte rinunciano e si spostano in altre strutture, facendosi anche quattro ore di macchina per usufruire della RU486, ma ovviamente non tutte possono permetterselo», spiega. Dal momento che la sanità è di competenza regionale, le indicazioni del ministero non bastano, ma sono le singole Regioni a doverne formalizzare il recepimento per rendere effettivo il servizio. E sono poche ad averlo fatto sinora, Lazio, Emilia-Romagna e Toscana, dove il servizio di Ivg ha sempre funzionato bene. Il Lazio sembra essere la Regione che più di tutte si è messa in moto per l’attivazione delle linee di indirizzo, con un protocollo molto dettagliato varato il 31 dicembre 2020. Oltre alle determine, poi, le Regioni dovranno aggiornare il nomenclatore tariffario regionale, cioè l’elenco delle prestazioni che possono essere rimborsate dal Servizio sanitario nazionale per rendere l’aborto gratuito così come prevede la Legge 194. Tuttavia, secondo Di Martino, dai singoli ospedali continuano ad arrivare notizie contraddittorie. Ma non sono solo i tipici ritardi “all’italiana” a essere parte del problema, ma anche delle forti prese di posizione da parte delle Regioni amministrate dal centrodestra, che non solo temporeggiano nel recepimento, ma che contrastano attivamente le nuove linee guida attraverso delibere che vanno nella direzione opposta. A spingere il ministro della Salute, Roberto Speranza, a richiedere un nuovo parere al Css, insieme alla situazione che si era creata durante la pandemia, era stata anche la decisione della giunta umbra guidata da Donatella Tesei di abrogare una precedente delibera regionale che permetteva la somministrazione della RU486 in day hospital. Un gesto che si spiegava con la vicinanza di Tesei ai movimenti pro-life, di cui aveva firmato il “Manifesto valoriale” durante la campagna elettorale nel 2019. Dopo le polemiche sulla questione aborto, l’Umbria ha recepito le nuove linee guida pur mantenendo la possibilità di abortire con il ricovero in ospedale, ma l’offensiva nei confronti della RU486 ora potrebbe arrivare dai consultori. La consigliera della Lega Paola Fioroni, infatti, ha proposto una legge che modifica il Testo unico in materia di sanità e servizi sociali, che non solo prevede che la Regione «tuteli la vita umana dal concepimento alla morte naturale», ma che potrebbe aprire le porte dei consultori alle associazioni che «sostengono la vita nascente» e «l’unità del nucleo familiare». Anche il Piemonte si è subito attivato per respingere le nuove linee guida, su iniziativa dell’assessore agli Affari legali Maurizio Marrone di Fratelli d’Italia. Marrone già ad agosto aveva attivato l’avvocatura regionale contro il governo sollevando “criticità giuridiche” sulle Linee ministeriali e diramando una circolare nelle Asl che non solo vieta l’aborto farmacologico fuori dagli ospedali, ma chiede l’attivazione di sportelli informativi per la maternità difficile, come ad esempio quelli gestiti dal Movimento per la vita. Il marzo scorso, la Regione ha inoltre pubblicato un nuovo bando per le associazioni che possono operare nelle Asl e ha previsto tra i requisiti richiesti la «presenza nello statuto della finalità di tutela della vita fin dal concepimento». Una strada già tentata dieci anni prima dalla giunta guidata dal leghista Roberto Cota e fermata da un ricorso al Tar che annullò la parte del bando relativa ai requisiti pro-life. Le associazioni femministe Non Una Di Meno e Più di 194 Voci sono scese in piazza il 17 aprile scorso per protestare contro le iniziative di Marrone, sostenute anche da altri gruppi in Regioni diverse che stanno vivendo una situazione simile. Come in Abruzzo, dove l’assessora alla sanità Nicoletta Verì, in quota Lega, e il direttore generale della Sanità Claudio D’Amario hanno diffuso una circolare nelle Asl in cui si «raccomanda fortemente» di effettuare l’Ivg chirurgica «preferibilmente in ambito ospedaliero e non presso i consultori familiari». O come nelle Marche, dove a un’interpellanza della consigliera del Pd Manuela Bora sull’applicazione della 194 nella Regione la maggioranza leghista ha risposto con una circolare su modello di quella del Piemonte, richiedendo una «verifica di compatibilità delle linee guide del ministero della Salute con la Legge 194». Commentando la notizia, il consigliere capogruppo di Fratelli d’Italia Carlo Ciccioli ha definito la battaglia per l’aborto “fuori posto”, citando il pericolo di sostituzione etnica. Come se non bastasse, anche in questa Regione si spinge per l’ingresso dei pro vita nei consultori tramite una proposta di legge regionale simile a quella umbra, «a sostegno della famiglia, della genitorialità e della natalità» che «riconosce, tutela e promuove i diritti della famiglia, società naturale fondata sul matrimonio». Ciccioli ha dichiarato in proposito «non possono esistere alternative» a questo modello, in cui «al padre sono demandate le regole, alla madre l’accudimento». Un’offensiva alla 194 di chiara connotazione politica e che per di più arriva in un momento di particolare fragilità per il Sistema sanitario nazionale, in cui sarebbe auspicabile ridurre il più possibile gli accessi in ospedale. Nonostante i tanti proclami sull’importanza della medicina territoriale, alcune Regioni si stanno adoperando per ostacolare uno strumento che può alleggerire la pressione sugli ospedali, sfruttando uno dei più importanti presidi di salute pubblica: i consultori pubblici. Pressione che potrebbe essere ulteriormente ridotta attraverso il rilascio del certificato medico necessario per l’interruzione di gravidanza attraverso una visita telematica, così come si fa già in molti Paesi. Gli oppositori alle nuove linee guida affermano di voler tutelare la salute delle donne, eppure l’aborto farmacologico è una procedura sicura, utilizzata da decenni in tutto il mondo e raccomandata dall’Oms. O forse dovremmo dare più peso al parere di qualche assessore regionale che nemmeno si occupa di sanità?
· Il Figlicidio.
Medea e l’abisso insondabile dell’animo umano. Il Corriere della Sera il 19 novembre 2021. La sesta puntata de «I nostri miti», una serie di lezioni sui miti della cultura occidentale per riflettere sul passato e sul presente. Medea, la madre che uccide i propri figli. Cristina Dell'Acqua / CorriereTv.
Di Medea abbiamo come immagine quella di Maria Callas o di Pasolini. Ma quanto di Medea c’è in noi?
Medea è una giovane donna del mito greco, figlia del re della Colchide, sulle coste del mar Nero. Un tempo si innamorò perdutamente di Giasone (grazie o per colpa di una freccia di Eros): l’eroe greco era giunto nella patria di Medea per conquistare il Vello d’oro. La giovane, che era anche una maga, fece giurare a Giasone amore eterno e in cambio lo aiutò a portare a termine l’impresa con l’aiuto di un unguento miracoloso. Conquistato il vello dorato, i due fanno ritorno a Corinto ma dopo 10 anni di vita insieme, Giasone abbandona Medea e i loro figli per sposare la figlia di Creonte, il re di Corinto.
Medea reagisce in modo spietato: fa consegnare a Glauce (la nuova moglie di Giasone) un finto dono di una veste e di una corona intrise di un veleno che la ucciderà. Poi il dolore e la vendetta che ne consegue ricadono anche sui suoi figli. Questa è la versione che ci consegna Euripide, quando nel 431 a.C. mette in scena ad Atene la tragedia di Medea e che la renderà immortale. Una donna più che una maga. Una donna barbara, una donna senza patria e senza famiglia, che per amore ha reciso ogni legame e ha seguito Giasone. Una moglie straniera, con dei figli ritenuti illegittimi secondo le leggi greche, abbandonata per una sposa regale in una città straniera. Una donna che incarna l’immagine femminile che si contrappone a un modello maschilista greco (e non solo). Ferita profondamente da Giasone, che si mostra privo di qualunque sentimento quando si difende dicendole che avrebbe dovuto essergli in qualche modo riconoscente, visto che grazie a lui Medea ha avuto la possibilità di conoscere la Grecia e la sua civiltà e visto che dal suo nuovo matrimonio avrebbero avuto vantaggi anche i figli illegittimi nati dal loro matrimonio. Mediocre, irrispettoso, arrogante Giasone. Passionale, intelligente, tradita Medea. E le passioni possono esaltare ma anche distruggere. Il coro della tragedia di Euripide, le donne di Corinto, tutte le donne, sono dalla parte di Medea: in alcuni versi che le suffragette canteranno per le strade di Londra all’inizio del 900, le donne di Euripide gridano come la loro immagine sarebbe ben diversa e più rispettata se le donne potessero dar voce alle proprie convinzioni. Con lucida follia Medea parla ai suoi figli: come sarebbe il loro il futuro se li lasciasse li, alla corte di un estraneo. Crescerebbero senza di lei e lei senza di loro, senza poter essere madre. Medea li ucciderà. Quale rabbia si cova nella sua anima. Uccide i figli per proteggerli? Per punire chi l’ha tradita sopprimendo il figlio e ogni legame con il padre? Si cancella come donna insieme alla sua gelosia patologica? Quante donne purtroppo lo fanno, forse nel folle tentativo di autoaffermarsi. Euripide mette in scena per noi questo abisso senza risposta razionale. Nella vastità e nell’insondabilità dell’animo umano, amore, odio, dolcezza e follia possono terribilmente coesistere in un unico essere umano calpestato, senza rispetto. Ed esplodere.
Uccide le due figlie nel sonno. È caccia alla mamma killer. Tiziana Paolocci il 27 Ottobre 2021 su Il Giornale. Le bimbe, 3 e11 anni cingalesi, vivevano con la madre nella casa famiglia per sfuggire al padre violento. Belle, con gli occhi chiusi, quasi dormissero serene. Invece una bambina di undici anni e la sorellina di tre sono state uccise dalla mamma, proprio nel sonno. Questo giallo tiene banco da ore nelle strade del quartiere veronese di Porta San Pancrazio. Nessuno riesce a capire i contorni del delitto, che si è scoperto solamente ieri mattina. A dare un senso a tutto ciò, ci provano gli uomini della squadra mobile di Verona, che da ieri sono alla ricerca della mamma killer. La donna, di origine cingalese, viveva nella comunità mamma-bambino «Il Porto delle Mamme», una struttura convenzionata con il Comune di Verona. Era lì da un anno con le figlie, in seguito a un provvedimento di allontanamento dalla dimora familiare deciso dal Tribunale dei Minori di Venezia, perché sembra che il marito, anche lui dello Sri Lanka, fosse un violento e facesse uso di droghe. Forse il giudice avrà pensato che la madre e le piccole sarebbero state al sicuro lontane da quell'uomo, che avrebbe potuto far loro del male. Prima erano state destinate a una casa accoglienza della provincia e da gennaio trasferite nel quartiere di Porto San Pancrazio, dove si trova questa struttura dove i nuclei familiari hanno appartamenti indipendenti. Ha lo scopo di offrire ospitalità, protezione e un percorso che porti all'autonomia personale e lavorativa. La donna, del resto, attualmente non aveva un impiego. Ieri a trovare le piccole senza vita è stato un operatore della comunità. La casa è sorvegliata 24 ore su 24 e l'assistente sociale si è insospettito non vedendo uscire le bimbe per andare a scuola. La più grande frequentava le elementari, la piccola era iscritta alla scuola materna e della mamma non c'era traccia. Così è andato nella loro camera e le ha trovate senza vita nel letto. Subito è scattato l'allarme e sul posto sono arrivati i poliziotti e gli uomini della scientifica. Nella stanza, però, nessun segno di lotta ed è escluso che un estraneo possa essere entrato lì dentro senza essere visto. È probabile che le bambine siano state uccise nel sonno dalla mamma, soffocate con un cuscino. L'autopsia sui due corpicini, che sarà effettuata oggi su disposizione del pm Maria Federica Ormanni, spiegherà se la donna le ha uccise così o strangolate o in che modo le ha strappate alla vita. Ma sui corpi, da un primo esame esterno, non risultano ferite o ecchimosi. Poi l'assassina è scappata, facendo perdere le tracce, prima che venissero ritrovati i corpi delle figlie. Secondo gli operatori non c'era stato alcun segnale che potesse annunciare l'imminente tragedia. Proprio per questo si teme che la mamma si sia poi tolta la vita. È stato attivato il protocollo della protezione civile che vede impegnati anche i vigili del fuoco, le unità cinofile e un elicottero per la perlustrazione dall'alto. Le ricerche sono state estese al fiume Adige, che scorre non distante dalla casa famiglia, ma al momento non hanno dato alcun risultato. Sul posto ieri è arrivato anche il sindaco Federico Sboarina con l'assessore ai Servizi social, Daniela Maellare. Si cercano risposte, ci si interroga su come abbiano vissuto mamma e figlie nei giorni precedenti, ma al momento nessun dettaglio per capire il movente dell'omicidio. Tiziana Paolocci
Giuseppe Scarpa per "il Messaggero" il 27 ottobre 2021. Le hanno trovate sdraiate nel letto. Le coperte rimboccate. L'unica cosa che stonava era quella sedia appoggiata vicino ad una finestra aperta. Sedia usata poco prima dalla madre per scappare da un piano rialzato. È questa l'immagine che la polizia si è trovata di fronte. Due sorelline di 3 e 8 anni morte. Uccise di notte nella casa-famiglia dove si trovavano con la mamma. La cingalese quarantenne, è l'unica indagata del duplice omicidio. Sino a ieri di lei non c'era alcuna traccia. È questo un dramma che ha sconvolto Verona e la comunità educativa «Mamma Bambino», una struttura di assistenza per donne maltrattate o in pericolo, gestita dai servizi sociali del Comune scaligero.
LA VICENDA Nella casa, che può ospitare fino a cinque nuclei familiari, in appartamenti indipendenti, nel quartiere di Porto San Pancrazio, si trovavano al momento solo le due bimbe e la loro madre. La struttura è sempre sorvegliata. È stata un'operatrice sociale a fare la terribile scoperta. È entrata nella stanza della famigliola, perché non proveniva alcun rumore, non si erano viste le bambine prepararsi per la scuola, e così ha trovato i corpi delle due sorelle, ancora nei loro letti. Della madre non c'era traccia. L'allarme è stato immediato. L'assistente ha avvisato il 118 e la polizia. La prima auto-medica è giunta alla comunità alle ore 9. Il sindaco di Verona, Federico Sboarina, è stato tra i primi ad essere avvisato - «una telefonata che mi gelato il sangue» ha raccontato. Intanto la squadra mobile e la scientifica avevano iniziato un complesso lavoro di indagine e repertazione che dovrà aiutare a tratteggiare un primo quadro della vicenda.
LE CAUSE C'è il buio al momento sulle cause del duplice delitto; ragioni che solo la madre delle piccole potrebbe spiegare. Tra le ipotesi considerate, ma non è l'unica, c'è quella che le sorelline siano state soffocate nel sonno. L'esame del medico sui cadaveri non avrebbe evidenziato ferite, o ecchimosi particolari. Per questo la pm Federica Ormanni, che si occupa dell'inchiesta, ha già disposto l'effettuazione dell'autopsia. È escluso che nella struttura, sorvegliata 24 ore su 24, possa essere entrato qualcuno nottetempo. La donna e le due figlie si trovavano nella comunità dal gennaio 2021, su provvedimento del Tribunale dei minorenni di Venezia che ne aveva disposto l'allontanamento dalla dimora familiare in seguito ai comportamenti violenti del padre, un uomo che avrebbe problemi di tossicodipendenza. La comunità che le ospitava, Mamma Bambino - Il Porto delle Mamme, è stata creata per accogliere temporaneamente le madri con i propri figli, o le donne in gravidanza, che si trovano in difficoltà. Vengono offerte ospitalità, protezione e aiuto in un percorso indirizzato all'autonomia personale e lavorativa. È un servizio aperto alle madri con figli di età compresa tra 0 e 12 anni. La mamma delle due piccole non lavorava. Loro frequentavano la scuola: la più grande le elementari, la piccola la materna. Il padre e marito della donna, un cittadino dello Sri Lanka anch' egli quarantenne, è stato rintracciato dalla polizia e messo al corrente di quanto era successo. L'uomo è totalmente estraneo alla vicenda. Intanto, con il trascorrere delle ore, cresce l'angoscia per il destino della madre delle bambine. Gli uomini della Protezione Civile l'hanno cercata a lungo con i cani molecolari. Poi sono entrati in azione i sommozzatori dei vigili del fuoco, e l'elicottero, per scandagliare il corso del fiume Adige, dove questa storia di estremo dolore potrebbe essersi chiusa.
Da "ilmessaggero.it" il 27 ottobre 2021. È stato ritrovato nel fiume Adige il corpo di Sachithra Nisansala Fernando Mahawaduge Dewendra, la donna 34enne che, secondo gli inquirenti, potrebbe aver ucciso soffocandole le figlie di 3 e 11 anni in una casa di accoglienza al Porto San Pancrazio a Verona e che era poi sparita. «Piuttosto che dare le bambine a mio marito le ammazzo e mi ammazzo». È questa la frase che persone vicine alla donna le hanno sentito ripetere spesso. Ed è una frase che la donna ha ripetuto in più occasioni, anche al termine di colloqui con medici che l'avevano sentita più volte per stabilire la sua capacità genitoriale. La comunità cingalese e anche l'ex marito avevano lanciato un appello sui social pubblicando la foto della donna con il numero di telefono della Questura di Verona per lasciare eventuali segnalazioni. La Casa famiglia «Mamma e Bambino» è gestita dai Servizi sociali del Comune di Verona e la donna assieme alle due figlie era ospitata da gennaio di quest'anno in seguito a un provvedimento del Tribunale dei Minori di Venezia. È ancora in corso l'autopsia sulle piccole figlie della donna, disposta dalla sostituto procuratore di Verona, Maria Federica Ormanni. A differenza di quanto era trapelato ieri, non vi sono elementi su una presunta tossicodipendenza dell'ex marito della donna. Alla magistratura non risultano inoltre atti violenti da parte dell'uomo, che ieri ha lanciato sui social un appello per il ritrovamento della donna, con il numero di telefono della Questura per eventuali segnalazioni.
Nino Materi per "il Giornale" il 28 ottobre 2021. Otto lettere devono farci da guida in questo dramma indescrivibile: sono le otto lettere che formano la parola «rispetto». Bisogna ripeterla spesso questa parola, se non si vuole correre il rischio di non prendere sonno per il rimorso. Partiamo dal peggiore degli incubi: una mamma che, dopo aver soffocato le figlie di 3 e 11 anni, si uccide buttandosi nell'Adige. Una tragedia sulla cui dinamica non ci sono «dubbi», «gialli», «misteri» e tutto lo squallido armamentario delle frasi fatte che accompagna le storie di cronaca nera. L'uccisione delle bambine risale a 48 ore fa ed è avvenuta a Verona in una di quelle case di accoglienza che servono a proteggere mamme e figlie da mariti e padri violenti. O presunti tali. O, addirittura, dichiarati innocenti dopo essere stati ingiustamente accusati. Proprio come nel caso dell'uomo dal quale la 34enne bengalese, il cui cadavere è stato trovato ieri nel fiume, era fuggita trovando riparo nella struttura di Porto San Pancrazio gestita dai servizi sociali del Comune. Con sé, Sachithra Mahawaduge, aveva portato le sue due bimbe. Lei era senza lavoro, loro frequentavano regolarmente la scuola. Non si può dire che fossero felici, ma in quel piccolo appartamento dove avevano trovato ospitalità si sentivano al sicuro. Ma «al sicuro» da chi e da cosa? Sachithra, due anni fa, aveva denunciato il marito, anche lui bengalese, del reato più infame che possa pendere sulla testa di un padre: abusi sessuali sulla figlia. Gli inquirenti - com' è giusto in situazioni così gravi - fanno scattare il «piano rosso» di tutela: madre e figlie trasferite in un luogo sicuro sotto il controllo dei Servizi sociali e indagini sul padre per accertare le sue, eventuali, responsabilità. Passano i mesi, ma neanche tanti per indagini così delicate. Al termine dell'istruttoria è lo stesso pm a chiedere l'archiviazione del caso: quelle accuse contro l'uomo sono «totalmente infondate». La decisione risale a pochi giorni fa e avrebbe avuto come conseguenza la possibilità da parte del padre di tornare legittimamente a vedere le figlie dopo che, dall'inizio delle indagini, questo diritto gli era stato comprensibilmente negato dalla Procura. Nessun «padre stupratore di figlie», quindi. E nessun padre «con problemi di tossicodipendenza», come erroneamente detto ieri dai media. «Rispetto» dunque per un uomo dipinto colpevolmente come un mostro e che è invece vittima di un destino crudele: quello di ritrovarsi, improvvisamente, con due figlie ammazzate e una moglie suicida. E ora veniamo al «rispetto» per l'altra vittima della catastrofe: una mamma la cui angoscia dell'anima è arrivata al punto di togliere la vita alle due creature che amava al di sopra di ogni cosa al mondo. Infine il «rispetto» più grande: quello per due sorelline che non potranno più baciarsi, cercarsi, confidarsi l'una con l'altra. Loro, davvero, non avevano nessuna colpa. «Rispetto» per i morti vuole che non si riferiscano voci non controllate. Ma quando queste «voci» sono verificate e attendibili, assurgono al rango di notizie, e renderle pubbliche diviene un preciso dovere giornalistico. Ed è ciò che ha fatto ieri il sito del quotidiano-simbolo di Verona, «L'Arena», riportando una frase di Sachithra, prima che un velo nero ne appannasse cuore e cervello: «Le ammazzo e mi ammazzo piuttosto che darle al loro papà». Parole terribili che sarebbero state ripetute è sempre «L'Arena» che lo evidenzia - «in più occasioni, anche al termine di colloqui con medici che la "testavano" per stabilire la sua capacità genitoriale». E allora, ecco la maledetta domanda: la tragedia poteva essere evitata? Ma è una domanda che non dovremmo mai porci. Per «rispetto».
(ANSA l'1 ottobre 2021) - E' stata sottoposta a fermo per omicidio la madre del bambino di due anni che lei stessa aveva portato morto in un supermercato di Città della Pieve. Il provvedimento è stato adottato dal sostituto procuratore Manuela Comodi dopo avere sentito la donna. Questa - secondo quanto si è appreso - non avrebbe fatto ammissioni su quanto successo. Un coltello è stato trovato nella borsa della donna, una ungherese di 44 anni, fermata per l'omicidio del figlio di due anni, poi lasciato sul nastro trasportatore, fermo, di una cassa di un supermercato. Elemento ora al vaglio degli investigatori coordinati dalla Procura di Perugia per stabilire se si tratti dell'arma del delitto. Quando è stato soccorso il bambino di due anni presentava ferite da taglio al petto.
Michele Milletti e Egle Priolo per “il Messaggero” l'1 ottobre 2021. «Aiuto, aiuto, il bambino». Alex ha appena due anni, e sembra dormire tra le braccia di quella donna che entra sotto choc al supermercato Lidl di Po' Bandino. Frazione di Città della Pieve, la città di Mario Draghi, ultimo lembo d'Umbria a cavallo del confine con la provincia di Siena. Lungo la strada che esce dritta dal paese per arrivare alla vicinissima Chiusi, il dramma si consuma pochi minuti dopo le 15: il piccolo Alex, ora adagiato sul nastro trasportatore di una delle casse del supermercato, non sta dormendo. È morto. E in un modo che solo a immaginarlo fa venire i brividi: ucciso da una o più coltellate. Chi ha la sfortuna di trovarsi in quel momento a fare la fila alla cassa racconterà diverse ore dopo che l'immagine di quei tagli al collo e all'addome del bimbo è stata qualcosa di «agghiacciante». La donna, ungherese di 44 anni, è in evidente stato di choc. Inizialmente racconta di aver trovato il piccolo all'esterno del supermercato ma poi, con l'arrivo dei carabinieri della compagnia di Città della Pieve (sul posto anche i colleghi del reparto operativo di Perugia e delle investigazioni scientifiche) ammetterà di essere la madre. All'arrivo del 118 non c'è altro da fare che accertare la morte di Alex e rimanere increduli davanti a tutte quelle ferite e tale brutalità. Arrivano anche il medico legale Laura Panata e il sostituto procuratore, Manuela Comodi. La donna viene immediatamente sentita, ma le sue parole vengono giudicate contrastanti e scarsamente attendibili. In stretto contatto con il procuratore capo, Raffaele Cantone, e con i vertici dell'Arma, viene immediatamente formulata l'ipotesi di omicidio e la donna viene portata in caserma a Città della Pieve e interrogata come persona informata sui fatti. Interrogatorio che, dopo essere stato inizialmente interrotto, viene ripreso in serata e portato avanti fino a notte fonda alla presenza anche dell'avvocato d'ufficio della donna. Al termine, la madre del piccolo è stata posta in stato di fermo. La donna, secondo quanto si apprende, sarebbe residente nel Lazio ma da qualche tempo vivrebbe a Chiusi a casa di un conoscente. Anche se in serata si è sparsa la voce, che avrebbe trovato conferma, che sempre a Chiusi sarebbe anche stata ospite di una casa famiglia. Il padre della piccola vittima vive invece in Ungheria. Cosa è accaduto al piccolo Alex? Come detto, le parole della madre sono state fin da subito considerate poco attendibili. Molto più certi invece i suoi movimenti. Anche grazie ad alcune testimonianze, infatti, le indagini si sono immediatamente rivolte all'esterno di un edificio abbandonato, un'ex centrale Enel, che si trova dall'altro lato della strada rispetto al supermercato. Ebbene, tra le erbacce e il cancello di ingresso, i carabinieri hanno trovato e repertato delle tracce di sangue. Tracce ematiche trovate anche nel passeggino in cui presumibilmente il bimbo si trovava poco prima di morire. Ancora, sempre in tarda serata è emerso come all'esterno di quell'edificio abbandonato sia stato ritrovato anche un coltello. Tutti elementi che vanno contestualizzati e inquadrati nel caso ma che lasciano pensare come le coltellate mortali sul corpo del piccolo siano state inferte proprio in quella zona. Tra le tante voci che si accavallano in un paese sconvolto da tanta violenza (e racconti di quanto accaduto propagati via whatsapp fino a Città della Pieve e Chiusi) ha preso corpo anche l'ipotesi che la donna potesse aver difeso il figlio da un aggressore: ipotesi che però non sarebbe stata presa concretamente in esame da magistrato e investigatori, dal momento che l'unica ferita superficiale riscontrata alla 44enne farebbe difficilmente propendere per tentativi di difesa da tanta brutalità. Più probabile, secondo gli inquirenti, che in un momento di gravissimo disagio psicologico possa essersi avventata sul piccolo. Anche perché in paese c'è chi racconta che il giorno prima, nel tardo pomeriggio di giovedì, era stata vista strattonare con una certa violenza il piccolo con tanto di intervento da parte dei carabinieri. Testimonianze che anche in questo caso dovranno passare il vaglio degli inquirenti.
Il giallo di Città della Pieve. Bambino morto nel supermercato, fermata la madre: trovato coltello nella borsa. Redazione su Il Riformista il 2 Ottobre 2021. Fermata per omicidio. È il provvedimento adottato dal sostituto procuratore della procura di Perugia, Manuela Comodi, nei confronti della 44enne ungherese madre del bambino di due anni che lei stessa aveva portato ormai privo di vita in un supermercato di Città delle Pieve. È la prima svolta nel raccapricciante caso di cronaca che ha sconvolto l’Umbria, e non solo. Come ricostruito anche dalle prime testimonianze fornite da clienti e dipendenti del supermercato Lidl di Po Bandino, frazione di Città della Pieve, la 44enne ungherese venerdì pomeriggio, intorno alle 15:30, è entrata in evidente stato confusionale nel negozio ed ha appoggiato sul nastro trasportatore della cassa il corpo senza vita del piccolo Alex. Ai presenti ha chiesto aiuto: all’arrivo dei sanitari il bambino era già morto, col corpo segnato da numerose ferite da arma da taglio in particolare su collo e torace. I carabinieri delegati alle indagini hanno rivenuto un coltello nella borsa della donna, elemento ora al vaglio degli investigatori coordinati dalla Procura di Perugia per stabilire se si tratti dell’arma del delitto. Secondo le prime ricostruzioni riportate dall’Ansa, la donna sarebbe entrata nel supermercato col figlio Alex in braccio. Da stabilire dove e come sia stata provocata la ferita al piccolo. “Quello che è’ certo – ha detto il sindaco Fausto Risini – è che si tratta di una grande tragedia accaduta in un centro piccolo e tranquillo, ora sconvolto”. Non è ancora chiaro se il piccolo, due anni circa, fosse già morto quando la donna lo ha portato nel supermercato. Nei pressi del supermercato è stato anche ritrovato un passeggino con alcune tracce di sangue: i carabinieri lo hanno trovato in un casolare di fronte il negozio, dove è stato rinvenuto anche un fasciatoio portatile insanguinato e delle macchie sul muro. Alex e la madre vivevano in una casa famiglia a Chiusi, mentre il padre è in Ungheria. Proprio a Chiusi la donna era stata fermata per controlli: il bambino, in macchina, era ancora vivo.
La 44enne non avrebbe fatto ammissioni su quanto successo agli inquirenti. Il suo racconto è stato in realtà contraddittorio: in una prima occasione ha detto di aver visto uccidere il bambino, poi che lo aveva trovato accoltellato. Una difesa che la procura ha trovato poco convincente.
La tragedia a Città della Pieve, la procura indaga per omicidio. Entra al supermercato con in braccio bimbo di due anni morto: “Aiutatemi”. Elena Del Mastro su Il Riformista l'1 Ottobre 2021. Quella che i dipendenti di un supermercato di Città della Pieve si sono trovati davanti in un normale venerdì pomeriggio è una scena agghiacciante: una donna in stato confusionale è entrata e ha appoggiato sul nastro trasportatore della cassa il corpicino senza vita di un bimbo di due anni. “Aiutatemi”, ha gridato ai presenti. Non è ancora chiaro se si tratti della mamma del bimbo ma è stata subito fermata dai carabinieri. Questo pomeriggio, intorno alle 15.35, una donna 44enne ungherese ha adagiato il corpo senza vita del bambino di 2 anni sul nastro trasportatore della cassa del supermercato di Po Bandino, frazione di Città della Pieve (Perugia) chiedendo aiuto. All’arrivo dei sanitari il bambino era già morto. Sul corpo del piccolo c’erano numerose ferite da arma da taglio, per la precisione sul collo (frontali) e sul torace del bambino. Secondo le prime ricostruzioni riportate dall’Ansa, la donna sarebbe entrata nel supermercato con il bambino in braccio. Da stabilire dove e come sia stata provocata la ferita al piccolo. “Quello che è’ certo – ha detto il sindaco Fausto Risini – è che si tratta di una grande tragedia accaduta in un centro piccolo e tranquillo, ora sconvolto”. Un passeggino con alcune tracce di sangue è stato trovato nei pressi del supermercato in serata. È questo uno degli elementi al vaglio degli investigatori, coordinati dalla Procura di Perugia, che stanno ancora cercando di ricostruire quello che è successo. Non è ancora chiaro se il piccolo, due anni circa, fosse già morto quando la donna lo ha portato nel supermercato. Presentava comunque delle ferite da arma da taglio, all’addome o al collo. Per stabilire come, quando e dove sia morto gli inquirenti sono in attesa dei rilievi del medico legale intervenuto sul posto con il magistrato di turno. La donna, in evidente stato confusionale, ha fornito prime versioni contrastanti sulla dinamica degli eventi e, al momento si trova in caserma a Città della Pieve. La 44enne abita a Chiusi (Siena) a casa di un conoscente. Sul posto sono intervenuti i carabinieri che stanno portando avanti le indagini. La donna, in stato confusionale, è stata portata in caserma. La sua posizione è ora al vaglio dell’Autorità giudiziaria. La procura della Repubblica di Perugia indaga sull’ipotesi di omicidio l’ipotesi per la quale procede per il bambino di pochi anni che una donna, sembra la madre in stato confusionale, ha portato nel pomeriggio in un supermercato di Città della Pieve adagiandolo sul nastro trasportatore di una delle casse. La donna è rimasta sul posto e quindi i carabinieri l’hanno bloccata. Sul bambino sono state subito notate ferite da arma da taglio ma non è chiaro come sia morto ed eventuali responsabilità.
Elena Del Mastro. Laureata in Filosofia, classe 1990, è appassionata di politica e tecnologia. È innamorata di Napoli di cui cerca di raccontare le mille sfaccettature, raccontando le storie delle persone, cercando di rimanere distante dagli stereotipi.
Da corrieredellumbria.corr.it il 2 ottobre 2021. Emergono ulteriori sviluppi e dettagli sulla tragica vicenda del bimbo ucciso a Po' Bandino, a Città della Pieve. Il pm di turno, titolare delle indagini ha emesso un decreto di fermo con l’imputazione di omicidio volontario aggravato relativamente alla morte del piccolo di due anni avvenuta venerdì 1 ottobre. La misura si è resa necessaria visti i numerosi e significativi elementi emersi nelle immediate investigazioni avviate a seguito dei fatti. La mole degli indizi raccolti fa propendere gli investigatori per una presunta responsabilità della madre, una 44enne di nazionalità ungherese, la quale sarebbe l’unica ad aver trascorso le ore antecedenti all’evento delittuoso con il piccolo. Il dato emerge sia dai filmati estrapolati dalle telecamere della zona, sia da altri elementi raccolti anche dalle testimonianze. Fra l’altro, durante le ricerche, avviate in maniera certosina dai carabinieri coordinati dal Magistrato di turno, e nello specifico concentrate nell’area antistante il supermercato dove è stato portato il bambino, sono state rinvenuti numerosi oggetti appartenuti ad entrambi; in primo luogo, il passeggino, tra l’altro sporco di macchie al momento non meglio identificate che potrebbero essere di sangue, alcuni giocattoli, tra cui un peluche, un pannolino usato, e tracce di alimenti. Molto significativi sono pure altri oggetti rinvenuti nelle pertinenze di un casolare abbandonato nelle vicinanze; lì sono stati raccolti altri giocattoli, sempre di probabile appartenenza del piccolo, oltre ad una maglietta sporca di sangue con dei tagli sulla parte anteriore ed una felpa della madre. Un ulteriore, importante elemento emerso è stato l’invio di una foto ritraente il bambino insanguinato trasmessa molto presumibilmente dalla donna al padre del piccolo in Ungheria, tramite una piattaforma social che, alla vista della tragica immagine ha allertato tutte le Autorità competenti. Tutti gli elementi indiziari sono stati contestati alla donna con un interrogatorio, in presenza del difensore, svoltosi presso il Comando compagnia carabinieri di Città della Pieve, il Pubblico Ministero, nel corso del quale l’indagata ha fornito versioni confuse e contraddittorie che hanno corroborato il quadro indiziario e hanno ulteriormente fatto propendere per l’emissione del decreto di fermo. Una vicenda da cui emergono purtroppo dettagli sempre più inquietanti.
Città della Pieve, per la morte di Alex, fermata la madre. I genitori in causa per l’affidamento. Virginia Piccolillo su Il Corriere della Sera il 3 ottobre 2021. Erzsebet Bradacs, 44enne ungherese, è accusata di omicidio aggravato e resterà in carcere in attesa, domani, dell’interrogatorio di garanzia. Nella stessa giornata probabilmente si svolgerà l’autopsia sul cadavere del povero bimbo di due anni. Lo volevano entrambi, non lo avrà più nessuno. Prima di finire i suoi due anni di vita, colpito da nove coltellate, Alex era stato un bambino conteso. Per il suo affidamento c’era una causa in corso in Ungheria tra il padre e la madre, Erzsebet Bradacs, 44enne ungherese, che ora è accusata di omicidio aggravato e resterà in carcere. Lo ha raccontato lei stessa, subito dopo il fermo, alla pm Manuela Comodi e ai carabinieri di Città della Pieve e del nucleo investigativo di Perugia, di quella lite giudiziaria aperta con l’ex compagno.
La foto e le versioni
E ora sono in corso accertamenti per capire se era diretto proprio all’uomo, anche lui ungherese, il WhatsApp con la foto del bambino agonizzante. Un invio che ha fatto scattare l’alert alle autorità competenti. Oppure se la donna lo aveva inviato al fratello di Alex: un diciottenne che vive in Ungheria, avuto dal matrimonio con un italiano, morto alcuni anni fa. Si vuole fugare ogni sospetto di premeditazione. La donna, prima di avvalersi della facoltà di non rispondere su consiglio dell’avvocato d’ufficio Enrico Renzoni, ha rivendicato la sua innocenza con versioni confuse e contrastanti. Forse non solo per lo choc. Prima ha detto che Alex era caduto. Poi che era stato ucciso mentre lei dormiva. Poi che non sapeva nulla. Ma non ha convinto la pm Manuela Comodi che ha disposto il fermo per pericolo di fuga e la sentirà ancora domani nell’interrogatorio di garanzia. Nello stesso giorno ci dovrebbe essere l’autopsia sul bambino. Biondo, occhioni azzurri, aspetto ben curato. Sul nastro trasportatore dei prodotti della cassa del supermarket Lidl di Po’ Bandino, vicino Città della Pieve, dove Erzsebet lo ha deposto, dicono che sembrasse addormentato. I sanitari del 118 hanno tentato di rianimarlo, ma sono convinti che fosse già morto da un po’. E tutti sperano che l’autopsia accerti che Alex sia davvero stato ucciso nel sonno.
Al supermercato per chiedere «aiuto»
Senza accorgersi di nulla. Alcune delle nove coltellate, in particolare una allo sterno e una alla base del collo, potrebbero averlo ucciso sul colpo. Sua madre ha detto di averlo trovato così, su una coperta come fasciatoio di fortuna, tra gli sterpi del giardino di quel casolare, dove lo aveva steso perché aveva sonno. E di non sapere chi e perché l’abbia ucciso. Ma non fila nulla del suo racconto. Nessuno è stato visto entrare o uscire da quel cancello arrugginito. Lei sì. Le telecamere di sicurezza hanno seguito il suo percorso quando venerdì, dopo aver dormito a Chiusi da un conoscente in un ex night club, è arrivata spingendo il passeggino con Alex dentro. Seminando nel percorso anche alcuni oggetti. Inclusi gli ultimi giochi del piccolo: un trenino, un orsacchiotto. Poi ha varcato il cancello di quel casolare prendendolo in braccio. Quindi l’hanno vista uscire e frugare nel passeggino. E gli investigatori hanno pensato alla maglietta integra che lui aveva indosso. Quella insanguinata e con i tagli che corrispondevano alle nove ferite giaceva lì in terra. Assieme alla felpa di Erzsabet, che aveva una ferita al braccio. Ma appena un graffio. Prima di riattraversare la strada, entrare nel supermercato con Alex in braccio, e chiedere «aiuto», lei lo aveva cambiato. E forse è andata a prendere la t-shirt nel passeggino. Ma a puntare il dito contro la mamma è anche un coltello, spezzato, che aveva nella borsa. Si capirà dall’esame autoptico se è stata quella l’arma del delitto.
La ricostruzione
Intanto si ricostruiscono gli ultimi giorni di vita del bimbo. Agli investigatori la donna ha detto di essere una dipendente dell’Ikea di Budapest, in congedo dal lavoro dal momento della gravidanza di Alex. In Italia ha sostenuto di essere arrivata per una vacanza. Ma nei giorni precedenti all’omicidio era stata in un centro di accoglienza della Caritas, assieme al piccolo. Poi si era allontanata senza dire niente a nessuno. Per questo era scattata la segnalazione al commissariato. Giovedì era arrivata a Chiusi, cittadina che ricade nella provincia di Siena, ma il cui territorio è adiacente al confine con l’Umbria. Da Po’ Bandino dista solo un chilometro. Poco curata, l’aspetto un po’ sconvolto, aveva attirato l’attenzione. Ed era stata controllata dai carabinieri. Ma aveva i documenti in regola, Alex non era malnutrito né apparentemente sofferente, e quindi era stata lasciata andare. Nessuno poteva immaginare quello che sarebbe accaduto il giorno dopo.
Virginia Piccolillo per il “Corriere della Sera” il 3 ottobre 2021. Lo volevano entrambi, non lo avrà più nessuno. Prima di finire i suoi due anni di vita, colpito da nove coltellate, Alex era stato un bambino conteso. Per il suo affidamento c'era una causa in corso in Ungheria tra il padre e la madre, Erzsebet Bradacs, 44enne ungherese, che ora è accusata di omicidio aggravato e resterà in carcere. Lo ha raccontato lei stessa, subito dopo il fermo, alla pm Manuela Comodi e ai carabinieri di Città della Pieve e del nucleo investigativo di Perugia, di quella lite giudiziaria aperta con l'ex compagno. E ora sono in corso accertamenti per capire se era diretto proprio all'uomo, anche lui ungherese, il WhatsApp con la foto del bambino agonizzante. Un invio che ha fatto scattare l'alert alle autorità competenti. Oppure se la donna lo aveva inviato al fratello di Alex: un diciottenne che vive in Ungheria, avuto dal matrimonio con un italiano, morto alcuni anni fa. Si vuole fugare ogni sospetto di premeditazione. La donna, prima di avvalersi della facoltà di non rispondere su consiglio dell'avvocato d'ufficio Enrico Renzoni, ha rivendicato la sua innocenza con versioni confuse e contrastanti. Forse non solo per lo choc. Prima ha detto che Alex era caduto. Poi che era stato ucciso mentre lei dormiva. Poi che non sapeva nulla. Ma non ha convinto la pm Manuela Comodi che ha disposto il fermo per pericolo di fuga e la sentirà ancora domani nell'interrogatorio di garanzia. Nello stesso giorno ci dovrebbe essere l'autopsia sul bambino. Biondo, occhioni azzurri, aspetto ben curato. Sul nastro trasportatore dei prodotti della cassa del supermarket Lidl di Po' Bandino, vicino a Città della Pieve, dove Erzsebet lo ha deposto, dicono che sembrasse addormentato. I sanitari del 118 hanno tentato di rianimarlo ma sono convinti che fosse già morto da un po'. E tutti sperano che l'autopsia accerti che Alex sia davvero stato ucciso nel sonno. Senza accorgersi di nulla. Alcune delle nove coltellate, in particolare una allo sterno e una alla base del collo, potrebbero averlo ucciso sul colpo. Sua madre ha detto di averlo trovato così, su una coperta come fasciatoio di fortuna, tra gli sterpi del giardino del casolare dove lo aveva steso perché aveva sonno. E di non sapere chi e perché l'abbia ucciso. Ma non fila nulla del suo racconto. Nessuno è stato visto entrare o uscire da quel cancello arrugginito. Lei sì. Le telecamere di sicurezza hanno seguito il suo percorso quando venerdì, dopo aver dormito a Chiusi da un conoscente in un ex night club, è arrivata spingendo il passeggino con Alex dentro. Seminando nel percorso anche alcuni oggetti. Inclusi gli ultimi giochi del piccolo: un trenino, un orsacchiotto. Poi ha varcato il cancello di quel casolare prendendolo in braccio. Quindi l'hanno vista uscire e frugare nel passeggino. E gli investigatori hanno pensato alla maglietta integra che lui aveva indosso. Quella insanguinata e con i tagli che corrispondevano alle nove ferite giaceva lì in terra. Assieme alla felpa di Erzsabet, che aveva una ferita al braccio. Ma appena un graffio. Prima di riattraversare la strada, entrare nel supermercato con Alex in braccio, e chiedere «aiuto», lei lo aveva cambiato. E forse è andata a prendere la t-shirt nel passeggino. Ma a puntare il dito contro la mamma è anche un coltello, spezzato, che aveva nella borsa. Si capirà dall'esame autoptico se è stata quella l'arma del delitto. Intanto si ricostruiscono gli ultimi giorni di vita del bimbo. Agli investigatori la donna ha detto di essere una dipendente dell'Ikea di Budapest, in congedo dal lavoro dal momento della gravidanza di Alex. In Italia ha sostenuto di essere arrivata per una vacanza. Ma nei giorni precedenti all'omicidio era stata in un centro di accoglienza della Caritas, assieme al piccolo. Poi si era allontanata senza dire niente a nessuno. Per questo era scattata la segnalazione al commissariato. Giovedì era arrivata a Chiusi, cittadina che ricade nella provincia di Siena, ma il cui territorio è adiacente al confine con l'Umbria. Da Po' Bandino dista solo un chilometro. Poco curata, l'aspetto un po' sconvolto, aveva attirato l'attenzione. Ed era stata controllata dai carabinieri. Ma aveva i documenti in regola, Alex non era malnutrito né apparentemente sofferente, e quindi era stata lasciata andare. Nessuno poteva immaginare quello che sarebbe accaduto il giorno dopo.
Francesca Marruco per il “Corriere dell’Umbria” il 4 ottobre 2021. “Ha rapito il mio Alex il giorno in cui avrebbe dovuto consegnarmelo perche il tribunale lo aveva affidato a me, e scappata in Italia e lo ha ucciso e poi ha confessato di averlo ammazzato in un messaggio a un amico. Lui mi ha chiamato ed e andato subito alla polizia ungherese, ma era gia troppo tardi. Katalin gli ha anche mandato una foto del bimbo pieno di sangue e ha scritto adesso non sara piu di nessuno”. Norbert Juhasz e il padre del piccolo Alex, ammazzato venerdi a Po’ Bandino (Citta della Pieve). Per la Procura di Perugia l’ha ucciso la mamma, Katalin Erzsebet Bradacs, e proprio il padre conferma la terribile ipotesi. “Lo ha detto lei stessa a questo amico che mi ha aiutato con la causa per l’affidamento”.
Quando avrebbe dovuto prendere Alex dalla mamma?
Il 22 settembre io sono andato a casa ma lei non c’era piu, ho pensato che poteva essere venuta in Italia perche aveva vissuto li e aveva avuto un primo figlio li, che pero vive in Ungheria.
Cosa ha fatto quando non l’ha trovata a casa?
Sono subito andato alla polizia perche mi doveva consegnare Alex e non c’era. Ma la polizia mi ha detto che non era crimine, e che avrei potuto fare ricorso. Siamo in Ungheria e la polizia ungherese non ha fatto partire l’inchiesta internazionale. Si sono attivati solo dopo l’omicidio di mio figlio, quando sia il mio amico dell’associazione padri che l’altro conoscente sono andati a chiedere aiuto dopo i messaggi che lei aveva mandato dall’Italia, pero prima non hanno fatto nulla. Perche se avessero fatto un mandato europeo in Italia poteva essere fermata. Invece e stato orribile e alla fine lei ha giustiziato Alex. Quando ho visto quella fotografia non ci potevo credere, pensavo fosse finta, invece purtroppo non era cosi, era il mio Alex gia morto.
Lei ha provato a chiamarla dopo il 22 settembre?
Si, all’inizio mi ha risposto e ho capito che era a Roma, ha anche chiesto dei soldi in anticipo ma io non glieli ho mandati, l’ultima volta che l’ho sentita era il primo ottobre alle 12.46, potevo ancora sentire la voce di Alex, le ho chiesto di riportare a casa il bambino ma lei voleva solo soldi e mi ha detto che non avrei visto il bambino per molto tempo.
Come ha conosciuto Katalin?
Ci siamo conosciuti alla scuola serale nel 2019, e poco dopo mi ha detto che era incinta, anche se all’inizio della relazione mi diceva che lei non avrebbe piu potuto avere figli.
E’ per questo che ha voluto fare il test del Dna?
Si anche per questo, ma anche perche lei era una attrice di film porno e io non ero sicuro di essere il padre biologico.
Katalin era contenta come lei di questo bambino?
No, durante la gravidanza si dava le botte alla pancia e qualche volta non sentiva piu il bambino. Poi assumeva dei farmaci steroidei. E dopo che Alex e nato, alla visita con l’assistenza dell’infanzia, all’infermiera aveva detto che dovevano occuparsi di questo caso altrimenti lo avrebbe fatto lei.
Quindi dopo la nascita cosa e successo?
Dopo poco tempo lei se n’e andata con il bambino, tante volte e andata via e non voleva piu che io lo vedessi, lo potevo fare solo pochissime volte. Era andata a vivere da sua madre. Ma non me lo lasciava vedere e cosi volevo riprendermelo. E poi ero preoccupato per lui.
Perche lo era?
Perche vivevano in condizioni precarie, senza riscaldamento.
Katalin poi e stata una madre attenta?
No, le avevano tolto anche il figlio piu grande, che adesso e maggiorenne e vive in Ungheria. L’ufficio tutela per i minori era intervenuto e lo aveva affidato alla nonna. Sfortunatamente non sapevo molto del suo passato.
Pensa di venire in Italia adesso, dopo quello che e successo?
No, voglio solo che Alex torni a casa. Ma non riesco ancora a capire che il mio te- soro non c’e più.
Michele Milletti e Egle Priolo per "il Messaggero" il 4 ottobre 2021.
Alex Juhasz il 20 settembre era stato affidato dal tribunale di Budapest al papà «con effetto immediato». Ma il 29 settembre il piccolo non è ancora tra le sue braccia. L'uomo allora denuncia la ex compagna Erzsebet Bradacs: ha portato Alex in Italia. Lo ha rapito. E, secondo gli inquirenti che la accusano di omicidio volontario aggravato, lo avrebbe anche ucciso il primo ottobre con nove coltellate, in una centrale elettrica dismessa a Po' Bandino, a un chilometro da Chiusi, dove la donna aveva trovato un tetto grazie a un ex datore di lavoro. Due giorni prima dell'omicidio, il papà aveva denunciato alla polizia il rapimento: «Il tribunale lo ha dato finalmente a me e invece lei l'ha portato via». Il giudice, infatti, come racconta l'associazione per padri separati Apák az Igazságért Közhasznú Egyesület, aveva appena affidato «il bambino al padre, che è membro della nostra associazione, con effetto immediato. Sfortunatamente la madre ha ucciso il bambino, invece di consegnarlo a lui. Ha scattato una foto del cadavere del bimbo, che ha inviato al padre con il messaggio: Non apparterrà a nessuno di noi ora». Questo potrebbe essere il movente, il culmine di un piano messo a punto con terribile lucidità per portare via Alex al padre e che potrebbe aver previsto l'uccisione del piccolo, mascherandola da evento tragico. Sono troppi i punti nel racconto della donna che, per il sostituto procuratore Manuela Comodi e i carabinieri, non sono considerati attendibili. Partendo dalle differenti versioni date per la morte del piccolo: dall'incidente all'aggressione improvvisa, giustificazioni fornite dalla madre del bimbo subito dopo aver adagiato il corpo di Alex sulla cassa del supermercato dove era entrata per chiedere aiuto. Davanti al pm, però, Erzsebet Bradacs si è avvalsa della facoltà di non rispondere. Ci sono anche dubbi in ambito investigativo sull'effettivo orario della morte del piccolo. Nel mezzo, il giallo del cambio della maglietta: una sporca di sangue è stata lasciata nella vecchia centrale elettrica dall'altro lato della strada, mentre per l'ingresso al supermercato il piccolo è stato vestito con un'altra t-shirt. «Era pulito, ma quando gli hanno tirato su la maglietta era squarciato, povero angelo, ma senza tracce di sangue. E le braccia erano blu», ha raccontato Franca, che venerdì pomeriggio ha avuto si è trovata davanti alla donna che urlava di salvare quel bambino «trovato nel campo». Quella donna, mamma di 44 anni, ungherese e un passato da ballerina in locali notturni, è in carcere da sabato mattina e oggi, a Capanne, è previsto l'interrogatorio di garanzia davanti al giudice Angela Avila, in cui è più che probabile che si ripeterà una scena muta. In programma anche l'autopsia sul corpo del piccolo, nel pomeriggio, che verrà condotta dai medici legali Laura Panata e Alessandro Bacci, con Luca Pistolesi nominato dall'avvocato della difesa Enrico Renzoni. Intanto i carabinieri di Città della Pieve, con i loro colleghi del reparto operativo di Perugia, hanno in mano le registrazioni di almeno una telecamera di sicurezza: inquadrerebbe la donna a piedi con il passeggino mentre entra nell'edificio Enel abbandonato dove sono stati trovati la borsa contenente un coltello, la maglietta squarciata sporca di sangue, giocattoli e alimenti. Le registrazioni a un certo punto immortalano la straniera uscire e andare verso il supermercato. Quelle immagini andranno lette insieme ai risultati dell'autopsia per ricostruire la dinamica: la prima ricognizione, insieme alle testimonianze dei presenti e all'intervento dei sanitari del 118, ha lasciato qualche ombra sull'orario della morte, a partire dalle tracce di sangue apparentemente non fresche. Il tutto per confermare o smentire i dubbi sugli istanti in cui la furia di un coltello si è accanita sui novanta centimetri di un angelo biondo, dagli occhi azzurri e dal sorriso felice negli ultimi selfie scattati da Erzsebet.
Massimo Sbardella per tuttoggi.info il 5 ottobre 2021. La notizia dell’uccisione del piccolo Alex Juhasz è subito rimbalzata in Ungheria., paese dei protagonisti di questa terribile vicenda. Tv, giornali cartacei e online, blog. In tanti scavano nella vita della mamma, Katalin Erzsebet Bradacs, in carcere a Perugia perché gravemente indiziata per l’omicidio del piccolo. Ma in Ungheria già la chiamano “l’infanticida“.
La vita di Katalin
E si cerca di saperne di più sulla vita di Katalin. Spogliarellista in un night club in Italia, dove si era sposata e aveva avuto un figlio, oggi appena maggiorenne. La vita in provincia di Rieti, prima di restare vedova. Ancora difficoltà, con il primo figlio che le viene tolto e affidato alla nonna. Oggi il ragazzo vive insieme alla fidanzata. I rapporti con la madre pare non fossero molto buoni. Il ritorno in Ungheria, la gravidanza con Norbert Juhasz, il padre di Alex. Che alla notizia della gravidanza all’inizio della relazione chiede il test per accertare che quel figlio sia il suo. “Ma ero felice di essere padre” dice oggi Norbert. Quindi la battaglia legale per l’affidamento del piccolo, per gli inquirenti italiani all’origine del tragico epilogo.
La foto dell’errore inviata ai conoscenti
Tra le prove, per la Procura di Perugia, la drammatica foto del piccolo riverso su una copertina, con la maglietta intrisa di sangue e con i segni delle coltellate. Foto che Katalin avrebbe inviato a diverse persone in Ungheria. Tra cui suo figlio, Claudio. Il giovane, sconvolto, ha avvertito il padre del piccolo. L’allarme alla polizia ungherese, la segnalazione al Consolato magiaro a Roma, quando però ormai la tragedia si era compiuta.
L’audio con l’ammissione
Quella foto, secondo quanto racconta il padre di Alex, Katalin le avrebbe inviate a più conoscenti. Ma non a lui personalmente. In un caso scrivendo anche di averlo ucciso lei. Confessione agghiacciante che sarebbe stata anche registrata in un audio che Katalin avrebbe inviato a un altro suo amico. Materiale che sarebbe in possesso della polizia ungherese e di cui la Procura perugina ha fatto richiesta. Una confessione, se confermata. La foto che mostra Alex tutto insanguinato, forse già morto, è terribile. Tuttoggi.info, che ne è venuta in possesso nei giorni scorsi da una fonte ungherese, ha deciso di non mostrarla, neanche parzialmente. Troppo crude quelle immagini. E soprattutto per il rispetto della piccola vittima.
La foto shock finita sul web
Eppure in Ungheria quell’immagine è stata inserita al termine di un video caricato su Youtube. Il bambino ha appena gli occhi coperti da una striscia. Ma si vede la maglietta piena di sangue, i tagli delle coltellate sulla stoffa. E il segno di una mano insanguinata sul suo viso. Forse per un’ultima carezza. O forse per cercare di pulirgli il viso.
Spogliarellista, il lavoro nel mondo del porno
Ma soprattutto, in Ungheria si scava sulla vita di Katalin. Sul suo passato da spogliarellista, col nome d’arte Katy Davis. Sulla carriera di pornostar che ha provato a intraprendere. La stampa ungherese ha sentito anche la pornostar Ilona Staller, conosciuta in Italia anche per essere stata parlamentare. Cicciolina dice di aver conosciuto Katalin. La 44enne era in difficoltà e le ha chiesto se poteva aiutarla a lavorare nel porno. Cicciolina racconta di aver cercato di favorire l’incontro con Kovi (István Kovács, proprietario della più importante casa di produzione di film porno, la Luxx), con cui aveva già lavorato in alcuni film. Il noto produttore del porno – sempre secondo la stampa ungherese – conferma che Katalin due anni fa le aveva chiesto un lavoro, ma che quella volta non aveva potuto aiutarla.
L’ex: del porno l’ho scoperto dopo
Contatti, quelli col mondo del porno, di cui Erbert è venuto a conoscenza solo dopo. “A me aveva detto soltanto che era una ballerina spogliarellista“, dice il padre di Alex. “Del porno l’ho scoperto dopo…“.
Il lavoro all’Ikea
Erbert conferma che Katalin, negli ultimi anni, lavorava all’Ikea di Budapest. E’ ciò che Katalin ha detto ai carabinieri in Italia. E’ la professione che compare sul suo profilo Facebook. Scandagliato, alla ricerca di indizi su quel passato difficile e soprattutto su un presente in carcere, a Perugia, con la terribile accusa di aver ucciso il proprio bambino.
Il ritrovamento in provincia di Messina. Madre e figlia impiccate, la lettera nel luogo del ritrovamento: “Porto via con me Alessandra”. Vito Califano su Il Riformista il 30 Maggio 2021. Ritrovamento macabro a Santo Stefano di Camastra, in provincia di Messina. Una donna di 40 anni e la figlia di 14 anni sono state trovate impiccate nella casa di campagna alla periferia del piccolo comune, noto per le ceramiche e per l’omonimo Santuario. AdnKronos racconta di una lunga lettera trovata su un tavolo della casa di campagna. Sul posto, tutta la notte, il Procuratore capo di Patti Angelo Vittorio Cavallo e il sostituto Andrea Apollonio che coordinano l’inchiesta. È quindi al momento quella dell’omicidio-suicidio la pista più accreditata. La donna si chiamava Mariolina Nigrelli, la figlia Alessandra Mollica. La ragazzina frequentava la terza media. “Porto via con me Alessandra”, si legge nel testo scritto a mano. A ritrovare i corpi, intorno alle 20:00 di sabato sera, il marito della donna, Maurizio Mollica, fabbro noto nel piccolo paese siciliano. A lui era indirizzata la lettera. Mollica è stato sentito tutta la notte dagli inquirenti. Ha pianto tutto il tempo raccontando i rapporti “tesi” negli ultimi tempi con la moglie. L’uomo era arrivato alla casa di campagna in contrada Letto Santo con due parenti. Si era insospettito nel pomeriggio perché la moglie non rispondeva al telefono. Ha subito avvertito i carabinieri. Tra oggi e domani sarà disposta l’autopsia sui due corpi. Nonostante la pista dell’omicidio-suicidio sia la più accreditata, anche in virtù della lettera, gli inquirenti non escludono altre ipotesi. Alcuni passaggi della lunga lettera lasciata dalla donna avrebbero fatto riferimento a diverse difficoltà che la famiglia stava affrontando nell’ultimo periodo. La donna avrebbe mostrato preoccupazioni negli ultimi mesi per la figlia e aveva litigato con le madri di alcune compagne di scuola della ragazza, secondo il racconto dei familiari agli inquirenti. “Per ora è prematuro fare delle ipotesi sulla morte della madre e la figlia trovate impiccate, dobbiamo aspettare quanto ci dirà il medico legale”, ha detto all’AdnKronos Vittorio Cavallo.
Vito Califano. Giornalista. Ha studiato Scienze della Comunicazione. Specializzazione in editoria. Scrive principalmente di cronaca, spettacoli e sport occasionalmente. Appassionato di televisione e teatro.
Santo Stefano di Camastra, madre e figlia impiccate: omicidio-suicidio. Il marito: "Avevamo litigato". Salvo Palazzolo su La Repubblica il 30 maggio 2021. La donna ha lasciato una lettera: "Porto con me Alessandra". L'indagine dei carabinieri, coordinata dalla procura di Patti, sta ricostruendo gli ultimi giorni della donna. Il marito voleva separarsi. Santo Stefano di Camastra (Messina) - Gli ultimi post su Facebook li ha fatti intorno alle 13 di ieri, poi ha scritto una lettera: "Porto via con me Alessandra, mi spiace chiedo perdono". Qualche ora dopo, è uscita con la figlia. Non sono più tornate. Mariolina Nigrelli e Alessandra Mollica, che aveva 14 anni, sono state trovate impiccate nella loro casa di campagna, poco dopo le 19.30. La lettera era sul tavolo della cucina. Negli ultimi tempi, la donna era assalita da un grande travaglio. Testimoniato da quegli ultimi post. Prima aveva rilanciato la foto di una città di sera con la scritta: “Certe cose si capiscono solo dopo. Molto dopo. Troppo dopo”. Poi, aveva postato l’immagine di un albero sospeso fra le nuvole, con la frase di “Dark angel”, l’angelo nero: “Facile giocare con le parole. Difficile giocare con la vita. Schifoso è giocare con le persone”. Si dispera il marito di Mariolina, il padre di Alessandra, è Maurizio Mollica, un fabbro molto noto nella cittadina delle ceramiche: “Ieri pomeriggio, poco dopo le sette - ha detto ai carabinieri - mia moglie non rispondeva al telefono. Mi sono preoccupato. Le ho cercate ovunque in paese, poi sono andato nella nostra casa di campagna. E li mi sono trovato davanti alla tragedia”. Madre e figlia erano impiccate a una trave, nel casolare che si trova nella zona del Santuario del Letto Santo. Una prima ispezione del medico legale ha confermato l'ipotesi dell'omicidio suicidio, si farà comunque l'autopsia, i magistrati vogliono fugare ogni dubbio. Alcuni familiari hanno parlato di litigi nella coppia. Lo ha confermato il marito: "L'ultima discussione ieri mattina. Erano liti riguardanti l'educazione di nostra figlia". Per tutta la notte, nel casolare della tragedia c'è stato il procuratore di Patti, Angelo Cavallo, che ha coordinato gli accertamenti dei carabinieri del comando provinciale di Messina.
Il travaglio della donna. Mariolina Nigrelli era molto preoccupata negli ultimi tempi. Era preoccupata per la figlia. Aveva postato il video di una ragazzina che ha vinto la sua battaglia contro il bullismo. E poi aveva pubblicato altre frasi che raccontano il suo stato d’animo. “Chi ti ha tradito, verrà tradito – dice un post – a chi ti ha mentito, mentiranno. Chi ti ha offeso verrà offeso. A chi ti ha fatto soffrire, sarà fatto di peggio perché sono così le regole del gioco”. Un’altra foto sul suo profilo dice invece: “Scegliere con chi parlare è importante, capire con chi tacere di più”. Il racconto di una ferita profonda che portava dentro. "Vi rispetterò nello stesso modo in cui rispettate mia figlia", questo un altro post.
Il rimprovero. Il 19 maggio, sembrava rimproverare qualcosa alla figlia. Questo post, tratto dal profilo "Emozioni del cuore", è rivolto a lei: "Alcuni figli non capiranno mai la tacita supplica di un genitore che ti mette in guardia da qualcosa. Quando un genitore ti chiede di non fumare ti sta chiedendo solo di vivere più di lui. Quando un genitore ti chiede di non uscire con determinate persone è solo perché quelle persone potrebbero farti del male. Quando un genitore ti chiama più volte al cellulare non lo fa perché vuole darti fastidio, è solo che la sua anima freme nel saperti a casa sano e salvo. Un genitore non ti dà mai il peggio né te lo augura. Un genitore ti ama e ti supplica di avere una vita migliore e più felice della propria". La donna aveva aggiunto, in dialetto: "Infatti, si dice mettiti con quelli migliori di te". Aggiungendo: "Mi fate solo schifo". Gli inquirenti stanno cercando di capire a cosa si riferisse.
Il sindaco: "C'è una responsabilità collettiva". "Adesso è il momento del dolore e della solidarietà - dice il sindaco di Santo Stefano, Francesco Re - solidarietà che deve spingere ognuno di noi stefanesi a stare accanto a Maurizio, ai familiari tutti che si trovano a vivere un momento drammatico". Il primo cittadino fa un appello: "E' anche il momento in cui chi fosse eventualmente a conoscenza di fatti e circostanze utili a facilitare gli inquirenti a ricostruire quanto accaduto, si metta immediatamente a disposizione degli stessi e collabori". "Quando accadono fatti come quelli di ieri - prosegue il sindaco - c'è sempre una responsabilità collettiva che deve spingere tutti a riflettere su quanto e di più poteva e doveva essere fatto per supportare condizioni di fragilità psicologica amplificate da 15 mesi di isolamento e di restrizioni sociali patiti a causa dell'emergenza Covid".
Omicidio-suicidio, ripicca al marito. Voleva lasciarla. Valentina Raffa il 31 Maggio 2021 su Il Giornale. L'uomo aveva deciso di troncare la relazione. E lei: "Porto via Alessandra con me, mi dispiace". «Porto via Alessandra con me. Mi dispiace». Maurizio Mollica, il marito, le aveva detto che l'avrebbe lasciata e lei, Mariolina Nigrelli, 40 anni, (nella foto) ha deciso di farla finita e che non sarebbe stata sola in quest'ultimo viaggio, ma lo avrebbe fatto con la figlia Alessandra di 14 anni. Così ha lasciato a casa un biglietto al marito informandolo che andava via con la figlia, e lui, non vedendole rincasare né riuscendo a contattarle al telefono, preoccupato si è recato nella casa di campagna in contrada Letto Santo, a Santo Stefano di Camastra (Messina), a circa 8 km dall'abitazione in cui vivevano. Impiccate a una trave c'erano Mariolina e Alessandra. Una scena agghiacciante. È il movente più accreditato su cui stanno lavorando i carabinieri del Comando provinciale di Messina, coordinati dal procuratore capo di Patti, Angelo Cavallo, per spiegare quello che sembrerebbe essere un omicidio-suicidio. Ad avallare questa ipotesi investigativa dell'omicidio-suicidio c'è una lettera al marito Maurizio, scritta a mano da Mariolina e lasciata nella casa di campagna, a pochi metri da dove è stata trovata impiccata con la figlia. Mariolina parla delle loro difficoltà, dei continui litigi. Stando a questa tesi, Mariolina, nuova Medea, decide che se lei e Maurizio non potranno vivere insieme, lui non si rifarà una vita. Perché Alessandra lei la porta via con sè. «La lettera è molto chiara. Crediamo sia della signora», dice il procuratore Cavallo. I carabinieri del Comando provinciale di Messina, che stanno indagando, non tralasceranno nessuna pista, ma si batte soprattutto su questa. C'è però ancora da indagare perché quella di Medea non appare l'unica possibile spiegazione. Secondo alcuni testimoni Mariolina era iperprotettiva nei confronti della figlia, che, brillante a scuola in tutte le discipline, soprattutto quelle pratiche, pare si sentisse emarginata dai compagni. Per questo Mariolina aveva litigato con alcune mamme di alunni della classe della figlia, che frequentava la terza media, e sembra che avesse risposto a tono a dei messaggi inviati ad Alessandra. Sarà pertanto scandagliato anche il mondo scolastico, i cellulari e i pc per accertare eventuali episodi di bullismo e cyberbullismo nei confronti di Alessandra che potrebbero avere indotto Mariolina a volere a suo modo proteggerla dalle brutture del quotidiano, anche se nella lettera di addio al marito non si farebbe riferimento a questo ma solo al loro rapporto di coppia in crisi. Al vaglio degli inquirenti il profilo Facebook di Mariolina, che ha lasciato messaggi sulle preoccupazioni che i genitori nutrono per i figli che crescono, e in uno ha lanciato una frecciatina a qualcuno tacciandolo di essere «schifoso». Domani, dopo il conferimento dell'incarico, sarà effettuata l'autopsia che stabilirà con precisione l'ora della morte di mamma e figlia che, stando ad indiscrezioni, secondo il medico legale sarebbe avvenuta un'ora prima del rinvenimento dei cadaveri e nello stesso momento. Qualora sia stata proprio la mamma ad uccidere Alessandra, come avrebbe fatto a sollevarla, alta e robusta com'era? Forse la spiegazione è da trovare in una sorta di verricello automatico che si innesca pigiando un bottone. Se così fosse, Mariolina avrebbe agito con lucidità, prendendo alla sprovvista Alessandra con un cappio al collo e mettendo in moto il meccanismo di sollevamento per entrambe. La casa è sotto chiave ed è presidiata. Lì gli investigatori pensano di trovare delle risposte.
Antonio Calitri per “il Messaggero” il 29 marzo 2021. Dopo 15 mesi di indagini da parte della polizia di Brighton e un dossier di prove schiaccianti, venerdì scorso Verphy Kudi, ragazza madre e aspirante modella, è stata costretta a confessare: sua figlia Asiah, ad appena 20 mesi, è morta per sua responsabilità, per la sua condotta agghiacciante. Nel dicembre del 2019 la teenager lasciò la bambina da sola nella casa popolare dove abitavano insieme. Se ne andò per sei giorni, per festeggiare il suo diciottesimo compleanno a Londra e in altre località. Così la figlia è morta di fame, di sete e per un'influenza sopraggiunta in quelle condizioni disperate. Una fine atroce che sta indignando la Gran Bretagna dopo che sono emersi i dettagli della confessione.
L'INCHIESTA. Le prove erano tali che Verphy Kudi non poteva più negare. Era sparita dalla sua abitazione il 5 dicembre per rientrare solo l'11, come hanno ben documentato le telecamere a circuito chiuso del complesso popolare in cui abitava. Appena rientrata dai festeggiamenti, accortasi della morte della figlia, aveva chiamato i soccorsi del 999 (il numero inglese delle emergenze) dicendo semplicemente che la bambina non si stava risvegliando. L'ambulanza è arrivata subito, Asiah è stata trasportata al Royal Alexandra Children's Hospital di Brighton, ma in ospedale hanno potuto solo constatare la morte della bambina, probabilmente avvenuta già da qualche giorno. I medici hanno capito subito che qualcosa non tornava e hanno avvertito le autorità, che poi hanno ordinato l'autopsia: si è appurato così che la bambina era deceduta per la disidratazione e la denutrizione, condizioni alle quali si era aggiunta una forma influenzale.
IL PERSONALE SOTTO ACCUSA. Una situazione davvero orrenda anche solo da immaginare: la bambina che vagava in una casa disabitata, senza poter mangiare né bere, né pulirsi dopo aver fatto i bisogni. Sotto accusa è anche il personale che gestisce il complesso di otto appartamenti popolari dove viveva la ragazza con la bambina: il YMCA DownsLink Group, un serio ente di beneficenza con una storia di 175 anni radicata nel Sussex e nel Surrey inglesi e che ogni notte dà alloggio a circa 750 giovani che sono senza casa o a rischio. Il personale si è difeso spiegando di non avere l'autorizzazione per entrare nelle case ma di occuparsi soltanto della vigilanza 24 ore su 24 delle parti comuni, oltre a non conoscere bene gli abitanti visto che avevano avuto la gestione del luogo solo dal 1° settembre. In tanti però hanno immaginato che la vittima abbia pianto e gridato a lungo, qualcuno se ne poteva accorgere e mandare l'allarme. Ancora più agghiaccianti sono altri particolari emersi sulla mamma di Asiah, che per sei giorni ha festeggiato in tre città diverse, a Londra, Coventry e Solihull senza mai preoccuparsi della figlia. Poi le forze dell'ordine hanno scoperto che nello stesso giorno del rientro, dopo aver scoperto la morte della figlia, la preoccupazione maggiore di Verphy è stata quella di mettere in vendita su Twitter i biglietti dei concerti che gli erano rimasti in tasca e che probabilmente temeva di non poter più utilizzare visto il triste evento.
LA RIMOZIONE. Nei mesi successivi alla tragedia la ragazza è sembrata aver completamente rimosso il lutto, tanto da continuare a promuoversi sui social perché essere votata come modella di una marca per teenagers molto famosa oltre Manica Pretty Little Thing.
IL PADRE. Che la ragazza avesse qualche problema lo ha ammesso indirettamente anche Muba Kudi, il padre di Verphy, che ha seguito l'udienza di venerdì davanti alla corte di Brighton. L'uomo ha tra l'altro raccontato che sua figlia era scomparsa di casa all'età di 14 anni, Nessuno sa chi sia il padre della piccola Asiah.
Marco Benvenuti per “La Stampa” il 27 marzo 2021. Aveva solo diciannove mesi, il piccolo Leonardo, quando la mattina del 23 maggio 2019 venne soccorso nella casa di corso Trieste, nel popoloso quartiere di Sant' Agabio a Novara, dove abitava con la mamma e il compagno di lei. Sul corpo, rivelerà poi l'autopsia, decine e decine di lesioni, ecchimosi, lividi. Perfino il fegato era spappolato, tagliato in due dalla colonna vertebrale. Una «violenza inaudita, non degna di un essere umano», aveva sostenuto il procuratore di Novara, Marilinda Mineccia, oggi in pensione. Ieri, per quella inaudita violenza, la Corte d'Assise di Novara ha condannato all'ergastolo Gaia Russo e Nicolas Musi, ventiquattrenni. Lui, in videoconferenza dal carcere di Ivrea, si è poi accasciato sulla sedia coprendosi il volto con le mani, disperato. Lei, ai domiciliari in una comunità del Torinese, era assente. Accolta in toto la ricostruzione e le richieste del pm Silvia Baglivo. Stabilite anche le pene accessorie come la perdita della patria potestà (i due all'epoca dei fatti aspettavano un figlio insieme) e poi i risarcimenti del danno: 200 mila euro per Mouez Ajouli, padre naturale di Leonardo, parte civile con l'avvocato Alessio Cerniglia, e per Tiziana Saliva, madre di Gaia e nonna del piccolo; 150 mila euro per Chiara, sorella di Gaia; e 100 mila per Gill, padre dell'imputata, questi ultimi tre costituiti parte civile solo contro Musi e rappresentati dall'avvocato Lucia Gallone. Nell'immediatezza dei fatti i due si erano giustificati parlando di «caduta dal lettino». Ma fin da subito la Squadra Mobile ha verificato come l'omicidio fosse il tragico epilogo di un'escalation di violenze che andavano avanti da settimane. C'erano perfino delle foto mandate agli amici, in cui Leonardo appariva tumefatto, pieno di lividi: «Soldi per le medicine di Leo», uno dei tanti messaggi che accompagna le immagini, con lo scopo di impietosire i destinatari. Perfino chi reclama crediti di droga a Nicolas: «Guarda come è conciato nostro figlio, ora non possiamo». Nel corso del processo i due hanno cercato di scaricarsi la colpa a vicenda: «Quando è morto Leo, io dormivo», la versione di entrambi. Nicolas ha ammesso solo le percosse dei giorni precedenti. Avevano chiesto l'assoluzione per l'omicidio i loro difensori, l'avvocato Simone Briatore per Gaia, definita «ragazza fragile, che amava suo figlio e non avrebbe mai alzato un dito contro di lui», e l'avvocato Carlo Alberto La Neve per Nicolas: «Sia punito solo per i fatti che ha ammesso». Scontato l'appello. Sconvolta, dopo la lettura della sentenza, la madre di Gaia, che non si aspettava l'ergastolo anche per la ragazza. Soddisfatta la procura. Il pm Baglivo: «È stato riconosciuto il nostro lavoro. C'era il rischio che le dichiarazioni contrapposte dei due imputati potessero portare a un impasse tale da non riuscire a individuare la colpevolezza. Spero di non vedere più un altro omicidio così».
Donna uccide la figlia di due anni a Cisliano e tenta il suicidio, poi telefona all'ex compagno: "Nostra figlia non c'è più". di Ilaria Carra su La Repubblica l'8 marzo 2021. I carabinieri sono intervenuti durante la notte con il personale del 118 e hanno trovato la bambina morta e la madre con ferite da taglio sul braccio. Una donna di 41 anni ha ucciso sua figlia, una bimba di 2, la scorsa notte, a Cisliano, nel Milanese. Lo hanno riferito i soccorritori del 118 che sono intervenuti sul posto, un'abitazione in via Mameli poco dopo l'una di notte, insieme ai carabinieri di Abbiategrasso. La donna avrebbe chiamato il compagno, padre della bambina, da cui si stava separando, dicendogli: "Nostra figlia non esiste più". E' stato l'uomo a chiamare i soccorsi. I militari sono entrati da una finestra perché la porta di casa era chiusa dall'interno e hanno trovato il corpo senza vita della piccola, che sarebbe deceduta in casa e che dalle prime informazioni non avrebbe segni di violenza sul corpo. Sul posto la madre, trovata con delle ferite da taglio sul braccio, probabilmente segni di autolesionismo. Dopo l'uccisione della piccola la donna si è autoinferta delle ferite, ma non gravi. E' stata ricoverata in codice giallo all'ospedale di Magenta (Milano) ed è piantonata dai carabinieri. Sul posto anche il pm della procura di Pavia Roberto Vincenzo Oreste Valli e il medico legale.
Cristina Bassi per "il Giornale" il 9 marzo 2021. «Nostra figlia non esiste più»: una confessione oppure una disperata richiesta di aiuto, prima di tagliarsi con un coltello e perdere i sensi. Patrizia Coluzzi, 41 anni, ha pronunciato questa frase al telefono con il marito da cui si sta separando. E si riferiva alla figlia di due anni, trovata morta accanto a lei dai carabinieri che sono intervenuti dopo l' allarme dato dall' uomo. La 41enne, finita in ospedale, non è stata formalmente fermata per omicidio. Anche se la prima ipotesi degli investigatori è che sia stata lei a uccidere la bimba, forse soffocandola. Poco dopo l' una della notte tra domenica e lunedì i carabinieri della Compagnia di Abbiategrasso sono arrivati in casa della donna a Cisliano, piccolo centro dell' hinterland milanese. La porta era chiusa dall' interno e sono dovuti entrare forzando una finestra. La piccola era già morta, stesa nel letto di fianco alla mamma che era priva di conoscenza. Patrizia Coluzzi aveva ferite alle braccia, non gravi, che si era auto inflitta. È stata portata all' ospedale di Magenta, dove è piantonata dai militari. Non è in pericolo di vita ed è risultata negativa ai test tossicologici. È in stati di choc, gli inquirenti non hanno potuto ascoltarla. Le indagini, coordinate dal pm di Pavia Roberto Valli e dal procuratore Mario Venditti, sono affidate ai carabinieri di Abbiategrasso e del Nucleo investigativo di Milano. Gli investigatori, dopo aver fatto i primi accertamenti, hanno riferito gli esiti alla Procura. Non è stato preso alcun provvedimento a carico della 41enne, per ogni iniziativa si aspetta l' autopsia sulla piccola che è fissata per questa mattina. D' altra parte non c' è pericolo di fuga. Il medico legale che ha effettuato l'esame preliminare sulla bimba non ha riscontrato segni evidenti di violenza, né di una morte causata da qualcuno. Non si è potuto quindi esprimere con certezza sul motivo del decesso o sull' ipotesi di infanticidio (a discapito di una morte accidentale o di un malore). Patrizia in quel momento era sola in casa con la bambina. Ha anche due figli nati da un precedente matrimonio, in affido congiunto con l'ex e che si trovavano con il padre. La separazione dal nuovo marito era problematica, fatta tra l' altro di accuse e contro accuse. La donna lo aveva denunciato tre volte per maltrattamenti, anche se in almeno due occasioni dopo gli accertamenti iniziali non c'era stato alcun seguito giudiziario. Mentre il coniuge l' aveva a propria volta denunciata a novembre scorso per sottrazione di minore. La situazione burrascosa e la sofferenza della donna si rispecchiavano anche nei suoi post sui social. In alcuni esprimeva profondo amore per la figlia, in altri rabbia contro il marito e non solo. In un testo postato proprio domenica sera Patrizia si sfogava: «Una bella persona non insulta moglie e bambini. Una bella persona non tradisce la sua compagna (...). Una bella persona non percuote e picchia nessuno (...). Caro marito, vai a denunciami ancora per calunnia e diffamazione. Denunciami ancora per sequestro di minore. Edith è la mia bambina. Non vi è alcuna calunnia. Purtroppo è vita reale». Ancora: «Grazie alle forze dell' ordine e alla Procura di Pavia per aver ridicolizzato una storia di abusi e violenze in maniera errata. Denunciate donne. Siete comunque giudicate da un mondo omertoso a coprire gli orrori. Solo da morte verrete chiamate vittime. Altrimenti siete solo delle povere pazze».
"La lama affonda, scusa" Ecco i pizzini dell'orrore scritti prima di uccidere la figlia. Prima di uccidere la figlia, Patrizia Coluzzi avrebbe fatto una videochiamata all'ex: "Allora, vuoi farle proprio del male?" Rosa Scognamiglio - Mar, 09/03/2021 - su Il Giornale. "Affonda la lama. Ormai non ci farai più del male". E ancora: "Ci hai abbandonate un'altra volta!", si rivolge all'ex marito. Sono alcuni dei biglietti ritrovati all'interno della camera di Patrizia Coluzzi, la mamma di Cisliano che, nella notte tra domenica 7 e lunedì 8 marzo, ha ucciso la figlia Edith, due anni compiuti lo scorso 14 gennaio. Quattordici biglietti in cui la donna si sfoga e, al contempo, si dispera. Rabbia e dolore. "Sono stanca!", scrive e ripete nei post-it appiccicati sulla testiera del letto. Quello stesso letto dove, fino a quelche minuto prima che i carabinieri facessero irruzione nell'appartamento di via Mameli, era disteso il corpicino senza vita della bimba. Sul pavimento cinque coltelli e un taglierino dalla lama sottile. Sul tavolo una cartelletta contente una denuncia per maltrattamenti, poi ritirata, nei confronti del compagno: "Dov'è la giustizia?", è la scritta che campeggia sulla pila di documenti. Quando i carabinieri della Compagnia di Abbiategrasso entrano nell'appartamento di via Mameli, da una finestra, il corpicino di Edith è disteso sul letto, avvolto in un pigiama scuro, già privo di vita. Mamma Patrizia le sta accanto, con i polsi e le braccia segnati da tagli superficiali, in stato di incoscienza: l'omicidio si è consumato da qualche ora appena. Stando a quanto si apprende da il Corriere della Sera, per il medico legale l'ora della morte di Edith è collocabile tra le 22 e le 22.30 di domenica. A supporto della ricostruzione ci sarebbe una videochiamata fatta dalla 41enne all'ex marito alle 22.10. Gli mostra la bimba che dorme sul letto: "Allora vuoi proprio farle del male?", dice. Poi punta la fotocamera su di sé: "Non capisci un ca...!", ripete. Sono gli ultimi minuti prima della tragedia. Non ha dubbi la procura sull'entità del delitto: è omicidio volontario. Nelle otto pagine del provvedimento di fermo nei confronti della 41enne, firmate dal pm Roberto Valli, della procura di Pavia, emergono i dettagli di una storia controversa. La sceneggiatura di un film dell'orrore dove non mancano elementi macabri e inquietanti. Come la chiamata da un numero anonimo fatta da Patrizia all'ex marito poco aver ucciso la piccola Edith. "Sei libero, libero! Ora puoi dedicarti al tuo bar, alle tue cazzate. Edith non c'è più!", grida dal telefono. Poco dopo, è proprio il padre della piccola ad allertare il 112. Ma è già troppo tardi. Una storia di "odio e vendetta", di un livore che affonda le radici nei trascorsi sentimentali della 41enne, già madre di due gemelli e al suo secondo divorzio. Patrizia non tollera l'idea di aver fallito ancora una volta nel ruolo di moglie, di essere stata "abbandonata" dal suo compagno. Dunque, riversa tutta la sua rabbia sulla piccola Edith nel tentativo di vendicare il torto subito. "L’atteggiamento della donna anziché denotare la disperazione di una madre per la perdita della figlia, sembra suggerire il compiacimento per la vendetta inflitta in tal modo al marito reo di non voler proseguire la relazione con lei", scrive il procuratore Roberto Valli. Oltre ai biglietti adesivi in camera da letto, i carabinieri del Nucleo investigativo di Milano, guidati da Michele Miulli, Antonio Coppola e Cataldo Pantaleo, hanno trovato anche una cartelletta lasciata sul tavolo della cucina. Dentro "varie stampe formato A4" con frasi intrise di rabbia e disperazione. "Scusate - recita una scritta - non sono abbastanza forte, non riesco a tollerare un altro abbandono da chi aveva promesso di proteggermi e invece mi ha fatto del male. Non ce la faccio". Interrogato dai carabinieri, l'ex marito ha rivelato i retroscena di una relazione burrascosa, fitta di tensioni. L'uomo ha raccontato ai militari che Patrizia era finita in depressione subito dopo la nascita di Edith. Lo scorso novembre aveva già tentato il suicidio senza mancare, anche in quella occasione, invettive sui social contro il compagno. È in quella circostanza che il papà di Edith avrebbe deciso di denunciare la donna per diffamazione, sottrazione di minore, furto e smarrimento di effetti personali. Lui non ha scheletri nell'armadio, nulla da nascondere. Qualche ora prima della tragedia aveva prospettato a Patrizia la possibilità di una separazione consensuale proponendole un percorso di psicoterapia di gruppo. Una richiesta che ha mandato su tutte le furie la 41enne trasformandola in una mamma omicida nel giro di poche ore. "È suggestivo il fatto che sulle pareti di diverse stanze della casa vi fossero molte immagini fotografiche ritraenti la donna e soprattutto i due figli gemelli avuti da un precedente matrimonio, - scrive il pm Valli nelle righe conclusive dell'ordinanza - ma nessuna, nemmeno una, raffigurante la piccola Edith: quasi che la donna, in fondo, non avesse mai veramente accettato la figlia".
Dagotraduzione dal Sun il 17 ottobre 2021. Provereste un nuovo contraccettivo maschile che elimina lo sperma? È il concetto alla base di un nuovo dispositivo, simile a una piccola vasca da bagno, che riscaldando i testicoli riduce la mobilità degli spermatozoi. Il contraccettivo, che si chiama COSO, è stato finora sperimentato solo sugli animali, ma presto dovrebbe essere testato anche sugli umani. Secondo la designer tedesca Rebecca Weiss, che ne è l'ideatrice, rivoluzionerà la contraccezione. «Il dispositivo viene riempito di acqua e riscaldato automaticamente alla temperatura stabilita. Il trattamento si svolge in posizione seduta con le gambe divaricate. Siccome la temperatura è leggermente al di sopra di quella corporea, la sensazione sarà quella di un bagno caldo». «I testicoli vengono inseriti al suo interno e sottoposti ad ecografia per alcuni minuti. Gli ultrasuoni generano un calore profondo nel tessuto testicolare. Questo uso mirato del calore altera la mobilità degli spermatozoi, che così non riescono a fecondare l’ovulo femminile». «Inoltre, per un certo periodo si sopprime così la formazione di nuovo sperma. Viene creata quindi un’efficacia contraccettiva affidabile». Prima di utilizzarlo, il dispositivo viene configurato da un medico per adattarsi alla forma e alle dimensioni del testicolo del paziente. Una volta operativo, può essere utilizzato a casa, e i trattamenti, di quindici minuti l’uno, vanno eseguito due volte a due giorni di distanza. Dopo due settimane, il contraccettivo è efficace e la protezione dura per due mesi. Attraverso un’app, poi, si può tenere traccia dei trattamenti e ricevere una notifica quando è il momento di ripeterli. La fertilità dovrebbe tornare normale dopo sei mesi dalla fine dei trattamenti. La sua efficacia non è nota, ma per essere considerata affidabile dovrà arrivare almeno al 99%. La ricerca correlata al dispositivo ha mostrato che quando i testicoli sono esposti a temperature elevate il numero di spermatozoi può temporaneamente diminuire. Adesso la ricerca dovrà studiarne l’efficacia sugli esseri umani.
MORS TUA, VITA MEA. DAGONEWS il 6 febbraio 2021. La corsa tra gli spermatozoi per raggiungere l’ovulo è un processo feroce e competitivo. Ora, i ricercatori in Germania dicono di aver scoperto quale proteina dà allo spermatozoo il vantaggio vincente, rivelando anche l’esistenza di un "interruttore" molecolare nello sperma che potrebbe consentire agli uomini di attivare e disattivare la loro fertilità. Dagli esperimenti sui topi hanno scoperto che il "vincitore" porta una serie di mutazioni tossiche che avvelenano gli spermatozoi rivali. I ricercatori dicono che un fattore genetico chiamato "t-aplotipo" è la chiave della vittoria oltre alla proteina chiamata RAC1, l'interruttore molecolare che spinge lo spermazoo in avanti. I risultati dovrebbero potersi applicare anche agli esseri umani e potrebbero portare allo sviluppo di una pillola che aumenta la fertilità negli uomini o di un contraccettivo maschile. La chiave, dunque, sarebbe in questa sostanza chimica. In media un uomo produce tra 80 e 300 milioni di spermatozoi ogni volta che eiacula. Nonostante ciò, oltre il 60% dei problemi di fertilità è correlato alla qualità dello sperma. «Gli spermatozoi con l'aplotipo t riescono a disabilitare gli spermatozoi che non lo possiedono - ha scritto l'autore Bernhard Herrmann del Max Planck Institute for Molecular Genetics - Il trucco è che l'aplotipo t “avvelena” tutti gli spermatozoi, ma allo stesso tempo produce un antidoto, che agisce solo negli spermatozoi t che vengono protetti. Immaginate una maratona in cui tutti i partecipanti ricevono acqua avvelenata, ma alcuni corridori prendono anche un antidoto».
Alessandro Fulloni per il “Corriere della Sera” il 26 marzo 2021. Contattata al telefono, chiede un quarto d'ora di tempo «perché devo finire di lavare i piatti». Poi questa studentessa diciottenne che frequenta l' ultimo anno di un istituto superiore a Piacenza, richiama. E parla con calma, con equilibrio, soppesando ogni parola e ogni frase che arrivano con spontaneità. Intanto chiarisce: «Anche se quell' odio non lo capisco, non sono arrabbiata con chi ha appeso quei disegni. Semmai con lui vorrei potermici confrontare. Se una conclusione può trarsi, è che la gente deve imparare a riflettere prima di emettere giudizi». Ed ecco quel che è successo mercoledì, dopo la prima ora di lezione. La ragazza, esentata dalla didattica a distanza, è uscita dall' aula per andare in bagno e percorrendo il corridoio «mi sono accorta che appesi al muro comparivano dei fogli che nell' entrare non avevo visto». Erano cinque o sei in tutto, affissi con meticolosità sulle porte d' ingresso alle aule. Sopra c' erano disegni sgradevolissimi, la raffigurazione di un feto accompagnata da frasi così: «Questo eri tu», «mi hanno buttato in mezzo all' utero e ne sono uscito embrione». Poi l' ultima: «Io feto, tu aborto». La ragazza è rimasta sbigottita: «Non ho potuto non pensare che ce l' avessero con me». Sempre al telefono, tira un sospiro. E spiega di getto: «Un mese fa ho abortito, mi ero confidata con qualcuno a scuola. Chissà, forse c' era chi lo sapeva anche in altre classi. Ma non posso esserne sicura». Il racconto riprende: «Ho strappato quei fogli uno dopo l' altro portandoli al prof. Lui non ci credeva... Li ha presi e si è allontanato, andando in presidenza. Io intanto li avevo fotografati, girandoli a miei compagni di classe per chiedere loro se ne sapessero qualcosa». In un istante, le immagini si sono riversate sulle chat scolastiche e da Piacenza sono rimbalzate ovunque. Alcune studentesse della scuola le hanno inviate - chiarendo di «voler prendere a schiaffi chi ha scritto quelle cose» - a Cathy La Torre, avvocata che spesso si occupa di discriminazioni e che, dopo aver chiesto alla diciottenne, ha reso nota la vicenda sui social. «Non penso a una denuncia - è la riflessione del legale -, piuttosto vorrei che fossero le autorità scolastiche a prendere i provvedimenti più adeguati». Contattato dal quotidiano Libertà , il direttore dell' istituto racconta di aver disposto «controlli interni» il cui esito arriverà «molto presto». Lo stesso ha fatto Jonathan Papamarenghi, assessore alla Scuola della città emiliana che parla di «un accertamento dei fatti in corso. Per ora mi conforta una cosa: l' attenzione e la vicinanza mostrata dagli insegnanti a questa ragazza». Dopo che il caso è esploso, l' autore di quei disegni ha fatto un deciso passo indietro, tanto da scusarsi con una sorta di lettera aperta appesa ieri mattina sui muri dell' istituto e nuovamente finita nelle chat dei ragazzi. «Immagini e relativi messaggi» erano «ironici e non riferiti a nessuna persona in particolare. Per quanto fuori luogo, lo scopo non era certo quello di offendere e criticare qualcuno». Poi il tentativo di spiegazione, stavolta in prima persona: «Mi dispiace tantissimo per la situazione che si è creata, soprattutto per le persone che si sono sentite ferite. Chiedo scusa a tutti». Parole lette con attenzione dalla studentessa diciottenne che parla di «una persona ingenua e che probabilmente ha capito quello che ha fatto. Non voglio concentrarmi più su questa storia, morta lì secondo me. Quel che mi è successo un mese fa è stato terribile. Ma può capitare a tutti. Per fortuna io mi sono sentita libera di decidere in modo sereno, parlandone con mia madre, la mia migliore amica, alla quale ho semplicemente detto che non mi sentivo pronta». Il futuro di questa diciottenne «è legato all' arte, spero, e alla grafica. Mi piacerebbe lavorare nel campo della moda, della creatività. L' università? Sì, penso di sì. Ma ci penserò per bene a luglio. Ora ci sono gli esami di maturità».
Da tp24.it il 4 febbraio 2021. Ha suscitato tante reazioni il video di padre Bruno, parroco del santuario di Birgi, a Marsala, in cui paragona i metodi dei lager con l'aborto. Molte reazioni di condanna, ma anche chi è a sostegno o giustifica le espressioni del prete in un'ottica anti-aborto. Ecco alcuni commenti arrivati in redazione.
Popolo della Famiglia. "Il Popolo della Famiglia pone al centro del suo impegno politico e della sua piattaforma programmatica la difesa della vita dal concepimento alla morte naturale e ritiene importante intervenire nel dibattito sorto a seguito della pubblicazione di un video da parte di padre Bruno De Cristofaro in occasione della Giornata della Memoria perché il diritto alla vita è alla base di tutti i diritti umani". Questo ha dichiarato Elena Di Pietra, responsabile del Popolo della Famiglia in provincia di Trapani. "Ogni essere umano – ha continuato Di Pietra - è tale dal momento del concepimento e l’aborto non può essere considerato un diritto né una semplice scelta o un atto di libertà perché coinvolge la vita di un altro essere umano, oltretutto piccolo e indifeso". "La difesa della vita – ha poi concluso - non è una questione puramente religiosa e anche il dott. Giorgio Pardi, che fu direttore del Dipartimento universitario di Ostetricia e Ginecologia dell’Ospedale San Paolo e poi direttore all’Istituto L. Mangiagalli, un giorno disse: 'io sono ateo, ma per ritenere l’aborto un omicidio non serve la fede, basta osservare. Quello è un bambino'".
Iustitia in Veritate. L’Associazione Iustitia in Veritate difende ed esprime piena solidarietà per il vergognoso attacco mediatico scatenato contro padre Bruno de Cristofaro, religioso nella diocesi di Mazara. In occasione della Giornata della Memoria del 27 gennaio scorso, il sacerdote ha pubblicato un breve video dove ha ricordato, insieme al genocidio degli Ebrei, gli olocausti che quotidianamente vengono commessi a danno della vita innocente con l’aborto volontario. Un esempio che mai fino ad oggi nessuno ha osato contestare e, tra l’altro, riferibile anche alle analoghe parole di Papa Francesco, che ha paragonato le leggi sull’aborto all’ingaggio di un sicario “per risolvere i problemi”. Padre Bruno ha affermato semplicemente che “Ricordare è segno di civiltà per evitare di compiere gli stessi errori. Ricordare è importante per capire come sia stato possibile compiere simili atrocità”. Per aiutare a comprendere le radici del male che ha scientemente condotto allo sterminio di tante vite innocenti, ha citato un breve episodio accaduto ad Auschwitz: un giorno, il dottor Mengele, l’angelo della morte, tracciò una linea su un muro alta circa un metro e mezzo; chi la superava in altezza, tra i bambini e i ragazzi, poteva vivere, tutti gli altri erano destinati alle camere a gas. Che differenza c’è tra un uomo che poneva un criterio arbitrario per definire chi dovesse vivere e chi no – ha aggiunto padre Bruno – e una legge che applica una linea del tutto arbitraria all’età gestazionale di tre mesi? Su queste parole si è scatenato l’assalto dei media anche a livello nazionale, chiedendo la testa di don Bruno o addirittura l’intervento delle autorità ecclesiastiche che, ad oggi, salvo poche eccezioni, sono rimaste in silenzio. Eppure in Italia oggi quella linea tracciata col gessetto è la legge 194/78: a differenza di ogni altra, intoccabile. Chi osa minimamente metterla in discussione è condannato alla morte civile, fosse pure un sacerdote nell’esercizio delle sue funzioni pastorali, che impongono di servire la Verità senza infingimenti, seguendo gli stessi insegnamenti della Chiesa. Ricordiamo infatti che la condanna dell’aborto nel Magistero bimillenario della Chiesa Cattolica – dalla Sacra Scrittura al Codice di Diritto Canonico – è inequivocabile, ferma e durissima. Già san Giovanni Paolo II paragonava l’ideologia dell’aborto ai totalitarismi di stampo nazista e comunista. Che furono i primi a legalizzarlo, come riferisce un articolo sulla Nuova Bussola Quotidiana. Nessuno degli accusatori di don Bruno è stato in grado di comprendere il profondo significato delle sue parole nel ricercare la comune radice del male per – se non estirparla – almeno renderla evidente alla coscienza di ciascuno. Anzi volutamente le sue parole sono state dipinte come divisive, come se l’unico giudizio ammissibile sia lecito solo allineandosi ad una menzogna. Il tutto a riprova della pericolosa deriva liberticida verso cui stiamo andando. Dietro ogni atto umano che si arroga il diritto di stabilire arbitrariamente quale essere umano meriti di vivere o di morire c’è alla radice la stessa ideologia di morte, la stessa prometeica superbia di sostituirsi al Creatore nel decidere i destini eterni delle sue creature, soprattutto quelle più fragili e innocenti. Una civiltà degna di questo nome non imbavaglia un sacerdote, che richiama alla coscienza i pericoli e gli inganni di un mondo moralista, ma privo di morale, di un pensiero unico che avalla questo illusorio dominio dell’uomo su tutto e tutti, condannando nel contempo chi vi si oppone alla censura, al dileggio e alla calunnia. Iustitia in Veritate, pronta a difendere padre Bruno, auspica che anche le autorità ecclesiastiche ne impediscano il linciaggio affermando la stessa verità e libertà di giudizio che è stata pronunciata con dignità e coraggio dal sacerdote di Marsala.
Giuseppe Sorrentino. Scrivo in merito all’articolo dal titolo “Due parole semplici a Padre Bruno sull'aborto” a firma Massimo Jevolella. L’articolo inizia stigmatizzando come “clamorosa invettiva” l’affermazione di Don Bruno senza, tuttavia, considerare che lo stesso si è evidentemente rifatto all’insegnamento della Bibbia e della Chiesa sull’aborto e a due papi che hanno sostanzialmente fatto lo stesso paragone: Giovanni Paolo II nel libro “Memoria ed Identità” e Papa Francesco all’Udienza alla delegazione del Forum delle Associazioni Familiari del 16.06.2018. Spiace constatare che i toni usati nell’articolo siano stati poco rispettosi nei confronti del padre in questione (il quale in buona sostanza viene accusato di non saper fare il pastore) e non mi sembra che questo contribuisca a mantenere un dialogo rispettoso delle diverse opinioni e dei ruoli sociali. Detto questo, volevo soffermarmi su alcune affermazioni che l’autore dell’articolo da per certe e che invece sembra che non lo siano: Viene, infatti, affermato che “la legge 194 ha posto rimedio in Italia alle tragedie che un tempo si verificavano in seguito agli interventi delle famigerate “mammane””, tuttavia credo sia utile ricordare le parole riferite proprio su questo argomento di Norberto Bobbio, professore universitario, non credente e considerato il “papa laico”, pronunciate in un intervista rilasciata alla vigilia del referendum sull’aborto del 1981 “Il fatto che l’aborto sia diffuso, è un argomento debolissimo dal punto di vista giuridico e morale. E mi stupisce che venga addotto con tanta frequenza. Gli uomini sono come sono: ma la morale e il diritto esistono per questo. Il furto d’auto, ad esempio, è diffuso, quasi impunito: ma questo legittima il furto?”. A questo andrebbe aggiunta una riflessione comparativa tra i dati di mortalità materna nei stati dove l’aborto è legale con quelli più bassi (come l’Irlanda e Cile) ove l’aborto non era legalizzato, ma credo che qui si rischia di annoiare i lettori. (per chi desidera, leggasi ad esempio lo studio pubblicato dalla rivista scientifica PLoS One ). L’autore afferma poi che “Il secondo dato è che, di fatto, negli anni successivi all'entrata in vigore della 194 il numero degli aborti in Italia non è aumentato rispetto ai tempi precedenti”. Questa affermazione non corrisponde ai dati ufficiali in quanto dal 1979 al 1982 il numero di aborti è costantemente cresciuto sino a raggiungere il numero massimo di 234.593 nel 1982 (dati Istat) per poi iniziare a scendere gradualmente. Va ricordato, inoltre, che gli aborti clandestini prima della legge 194 erano stimati per il periodo 1970 e il 1975 in non più di 100.000 l’anno, come affermato nello studio a cura del professor Bernardo Colombo, demografo dell’Università di Padova, scritto con l’ausilio di altri due professori della medesima università, entrambi docenti di Statistica. Lo studio è intitolato “La diffusione degli aborti illegali in Italia” (1977). Quindi, per attendere che la quota di aborti ufficiali scenda sotto i 100.000 (da paragonare ai 100.000 aborti clandestini pre-194) bisognerebbe attendere addirittura il 2014 (96.578 dati Istat) senza considerare che nel frattempo è profondamente mutata la situazione demografica italiana, sono stati introdotti in commercio l’uso di farmaci potenzialmente abortivi e che gli aborti clandestini sono comunque sopravvissuti alla legge 194/78. Nella speranza di aver contribuito a definire meglio i termini della questione.
Piera Di Girolamo. Sono una semplice donna madre di due figli, non ho mai scritto ad un giornale e non so se mi sarà dato un piccolissimo spazio per esprimere ciò che desidero comunicare, ma spero di sì visto che nel nostro paese vige la libertà di pensiero e di parola. Ho però come l'impressione che se sulla carta è così, poi nella realtà le cose vadano diversamente. Mi chiedo perché appena si parla di difesa della vita si scatena il finimondo. Perché questa grande avversione verso chi crede nella inviolabilità della vita? Si può anche rigettare la Verità, ma la Verità non cambia ugualmente. Possiamo dire di una cosa bianca che è nera, ma sempre bianca rimarrà. Ma ci sarà sempre chi a tutti i costi insisterà a dire fino allo sfinimento che è nera. Ci sarà un tempo in cui dovrà inevitabilmente abdicare al suo pensiero. Ho due figli, ho sentito battere i loro cuori nel mio grembo e quel battito era vita ed era una vita da difendere, proteggere, fare crescere e dare alla luce. E così è stato. Perché non lasciarmi gridare questa Verità senza che ci siano polemiche e perché non darmi voce per difendere ciò in cui credo che non viene solo dal mio essere cristiana cattolica, ma da ciò che è scientificamente provato?! Sono a difesa della vita sempre e comunque e se questo è un paese libero non mettetemi il bavaglio, lo griderei ugualmente pur sotto ad esso.
Da "leggo.it" il 25 gennaio 2021. «Mi dispiace per il mio crimine malvagio. Non sono stata abbastanza forte per combattere questi demoni»: è il bigliettino lasciato al marito da una donna di 25 anni, Oreanna Myers, prima di uccidere i suoi cinque figli e di suicidarsi dopo aver dato fuoco alla casa in cui vivevano, in West Virginia. Un gesto causato dalla depressione, ha spiegato in una conferenza stampa lo sceriffo Bruce Sloan, a conclusione di una indagine che ha chiarito la dinamica e il movente di una tragedia che ha scosso l'America due volte. I bambini avevano uno, due e tre anni - i figlio biologici - mentre i due figliastri ne avevano sei e sette. Inizialmente infatti si pensava ad un incendio accidentale, dopo che l'8 dicembre un vicino chiamò la polizia per le fiamme che avvolgevano l'abitazione. Invece la polizia ha scoperto che accanto alla donna c'era l'arma di quello che ora appare chiaramente come un omicidio-suicidio: un fucile non automatico, che ha dovuto quindi ricaricare prima di ogni colpo mortale. La donna si era lamentata per l'assenza del marito, Brian Bumgarner, che dormiva temporaneamente dal padre per motivi di lavoro. «Se scegli il denaro invece della mia depressione - gli aveva scritto - dimostri che non valgo niente. A nessuno importa di me? I soldi vanno e vengono, una volta che me ne vado non c'è modo di sostituirmi. Chiedo e grido aiuto ma non lo ottengo mai». La mattina dell'8 dicembre andò a prendere due dei figli alla fermata del bus scolastico, con una linea rossa sulla faccia. Quando le chiesero se sanguinava, rispose loro che l'aveva disegnata lei stessa. Un'ora dopo la tragedia si era già consumata nella loro casa, dove ha ucciso i tre figli biologici di 1, 2 e 3 anni e i due figliastri di 6 e 7, prima di togliersi la vita lasciando un bigliettino per il marito: «mi dispiace di averti deluso, mi dispiace di aver deluso i nostri bei ragazzi. Mi dispiace per il mio crimine malvagio. Non sono stata abbastanza forte per combattere questi demoni». Il coniuge ha trovato la forza per ricordare pubblicamente i sogni dei figli e lanciare un appello affinché i familiari di chiunque soffra di depressione o esprima pensieri suicidi cerchino immediatamente di prestare aiuto.
Madre soffoca figlio autistico con una spugna: aveva solo 10 anni. Notizie.it il 25/01/2021. Madre soffoca figlio autistico con una spugna: aveva solo 10 anni. Follia nel Regno Unito. Olga Freeman, donna di 40 anni con evidenti problemi mentali, ha ucciso il figlio soffocandolo. Il piccolo Dylan, che soffriva di autismo, è stato costretto dalla madre a ingerire pezzi di spugna. Successivamente l’autrice del delitto si è consegnata alle forze dell’ordine. Dopo il decesso del bambino ha spiegato di averlo fatto per “ristabilire l’equilibrio del mondo“. L’omicidio del piccolo Dylan è avvenuto il 15 agosto 2020 in una cittadina a ovest di Londra. Il bimbo, che aveva 10 anni, è stato trovato dalle forze dell’ordine privo di vita nel letto della mamma. Le vie aeree erano ostruite da pezzi di spugna che quest’ultima gli aveva fatto ingerire. L’autopsia sul corpo della vittima ha confermato il decesso per soffocamento. Nell’udienza di lunedì 25 gennaio 2021 Olga Freeman si è dichiarata non colpevole. L’avvocato della donna ha inoltre spiegato, a fronte di una perizia psichiatrica, che ella soffre di una “malattia depressiva con sintomi psicotici“. Soltanto qualche settimana prima dell’omicidio, in un audio, aveva affermato di essere un Messia con il compito di salvare il mondo: “Questo è il mio lavoro: sacrificare il mio amato figlio per creare un equilibrio in questo mondo”.
Nella mente delle madri killer: che cosa scatta nella loro testa. Dal piccolo Samuele fino a Loris Stival e alle gemelline di Gela, i figlicidi occupano spesso le pagine di cronaca dei giornali. Ma cosa spinge le mamme a uccidere i propri bambini? E cosa si nasconde dietro queste tragedie? Francesca Bernasconi e Rosa Scognamiglio, Martedì 05/01/2021 su Il Giornale. Mamme che uccidono i figli. Donne che scelgono, più o meno consapevolmente, di togliere la vita alla creatura venuta al mondo dal loro stesso ventre. Nel corso degli anni, la cronaca nera ha passato in rassegna una sequenza quasi convulsa di figlicidi con picchi di preoccupante recrudescenza in tempi recenti. Dal notorio caso di Cogne nel 2002 di cui fu vittima il piccolo Samuele Lorenzi, al delitto di Santa Croce Camerina in cui morì Loris Stival, passando per il duplice omicidio di Gela del 2016 nel quale persero la vita le sorelline Maria Sofia e Gaia: è un repertorio che non lascia scampo all'orrore e allo sconcerto. Ma chi sono le "mamme killer''? Perché uccidono i figli? "Non c'è una vera e propria spiegazione. Per certo, c'è di fondo una grande sofferenza che, talvolta, resta inascoltata", spiega la professoressa Isabella Merzagora, ordinario di Criminologia e presidente della Società Italiana di Criminologia, a IlGiornale.it.
Le statistiche. Centocinquantotto omicidi in famiglia, uno ogni 55 ore. E in 19 casi le vittime sono i figli. Gli ultimi dati divulgati dall'Eures (Ricerche Economiche e Sociali), aggiornati al 2019, confermano come gli omicidi in ambito familiare (family e intimate homicide) rappresentino in tendenza poco meno della metà di quelli totali. Lo scorso anno gli omicidi in famiglia sono stati 75 al Nord, 30 al Centro e 54 al Sud, complessivamente il 10,2% in meno rispetto ai 176 dell’anno precedente (2018): ma le vittime degli ultimi quattro anni in totale ammontano a 682. Per quanto concerne il caso specifico dei figlicidi, essi rappresentano circa il 12% del totale. Tra il 2016 e il 2019 quelli con due vittime sono stati 82 (7 nell'ultimo anno), quelli con tre o più vittime 30. L'arma più usata si conferma l'arma da taglio (31,7%), seguita da quella da fuoco (27%), dal soffocamento/strangolamento (15%), mentre la divisione in base alla fascia d'età rileva che ben 67 delle 682 vittime degli ultimi quattro anni - una su 10 - erano minorenni, e di questi 42 (il 6,2%) aveva meno di 5 anni.
L'aspetto psicologico. Un delitto atroce, umanamente impensabile e impossibile da accettare. Il figlicidio, cioè l'uccisione di un figlio da parte di uno dei genitori, è "l'atto anti-natura per eccellenza", spiega a IlGiornale.it la psicologa forense Francesca De Rinaldis. E quando è la madre a trasformarsi in assassina, l'omicidio assume contorni ancor più incomprensibili: "Sono pochi i delitti in grado di destabilizzarci e colpirci così in profondità - continua la dottoressa De Rinaldis - perché sembra assurdo che la mamma possa riversare la propria aggressività contro quello che dovrebbe essere il suo principale oggetto d'amore". Ma cosa succede nella mente delle madri che arrivano a uccidere il proprio figlio? Una causa generica che possa portare a questo atto non esiste, perché il motivo risiede "nella peculiarità di ogni singola storia, di ogni caratterizzazione della personalità: lì si celano le motivazioni che spingono una mamma a compiere questo gesto". È possibile che la donna presenti un disagio relativo al proprio vissuto, "con sfumature di tipo patologico molto accentuate", che possono indurla a uccidere il proprio figlio. Ma "quello che accade nella mente di una mamma assassina risente molto del motivo per il quale la mamma desidera in maniera più o meno cosciente liberarsi del bambino". Lo psichiatra Philip Resnick, uno dei più importanti studiosi dell'argomento, individuò 5 tipi di figlicidio, basandosi sulle motivazioni che spingono il genitore a commettere il delitto. Una madre può decidere di porre fine alla vita del figlio malato per salvarlo dalle sofferenze (figlicidio altruistico), perché il bambino non era stato desiderato, o per ripicca nei confronti del coniuge. Si inserisce in quest'ultima fattispecie la sindrome di Medea, derivata dal mito greco, con cui si indicano i genitori che uccidono i propri figli per punire il coniuge: "Si tratta di un meccanismo di spostamento dell'aggressività - spiega la psicologa De Rinaldis - la donna punisce il padre (o viceversa) con l'uccisione dei figli, che sono visti come strumento di vendetta nei confronti dell’altro". Infine, Resnick riconosce altre due fattispecie di figlicidi: quello a elevata componente psicotica, che avviene quando il genitore è in preda a un raptus, e quello accidentale. Come spiega la psicologa De Rinaldis, è possibile che nel momento in cui la madre compie il delitto "subentri una disagio psico-patologico consistente, per cui il figlio non è più un oggetto d'amore, ma un oggetto persecutorio", che induce la donna a ucciderlo "per inviare un messaggio forte all'esterno o perché considera la presenza del bimbo un impedimento alla realizzazione di sé e della propria individualità". In questo caso, precisa l'esperta, si tratta di "contesti caratterizzati da un vissuto di sofferenza di natura patologica". Ma c'è un'altra eventualità: "Il dato allarmante è che esistono donne che sono perfettamente consapevoli e coscienti di quello che fanno". Oltre alle madri che agiscono in preda a disturbi psicotici e che al momento del fatto non sono completamente coscienti delle loro azioni, infatti, ci sono anche donne che "agiscono con lucidità, premeditano e organizzano l'atto e sono completamenti coscienti di quello che fanno quando lo fanno". Dopo il delitto, spesso "intervengono meccanismi secondari di rimozione, perché prendere coscienza di aver fatto un'azione così tremenda porterebbe a profondi sentimenti di autoaccusa, che potrebbero essere intollerabili per la persona stessa. Si tratta di un meccanismo di autodifesa che serve a preservare la mamma stessa dalla brutalità di quello che ha fatto e dalle conseguenze che potrebbero derivarne". Secondo la professoressa Merzagora, una volta acquisita consapevolezza "altissimo è anche il rischio che le madri possano fare del male a se stesse, autocondannandosi".
Gli aspetti criminologici. Se la dinamica psicopatologica del figlicidio risulta articolata e complessa, non lo è da meno quella criminologica. "Nel corso della mia carriera, in qualità di Psichiatra e di perito, ho visitato 18 mamme figlicide, 13 delle quali erano recluse nella struttura di Castiglione delle Stiviere. E posso garantire che le ragioni sottendenti il figlicidio possono essere le più svariate", racconta il professor Vincenzo Mastronardi, criminologo forense di conclamata fama, che nel 2007 ha pubblicato un libro dal titolo Madri che Uccidono, in cui sviscera gli aspetti inesplorati dell'infanticidio, e già nel 2005 con George Palermo Il Profilo criminologico. "Dal punto di vista criminologico, è possibile tipizzare le mamme figlicida in almeno 20 categorie. Le prime 10 - continua Mastronardi - comportano la franca imputabilità per stressor event, per pietas, per immaturità della madre, perché trattasi di bambino iperattivo, perché figlio della colpa, per sindrome di Medea, per disturbo dipendente, narcisistico oppure istrionico di personalità, perché figlio indesiderato, per depressione, per disturbi comportamentali legati all’assunzione di droga e poi, lì dove può sussistere compromissione dell’imputabilità, per psicosi post partum (normalmente del disturbo psicotico breve), fundus isterico (di natura isterica) più fattori precipitanti, depressione maggiore (una forma di depressione caratterizzata da tristezza profonda e costante, ndr), schizofrenia, stato crepuscolare oniroide (la persona conserva un orientamento spazio-temporale ''normale'' pur soffrendo di deliri e allucinazioni, ndr), disturbo psicotico dovuto a una condizione medica generale (una malattia che si manifesta con deliri e allucinazioni), epilessia, oligofrenia (un tipo di ritardo mentale che si acquisisce nella prima infanzia, ndr) e personalità multipla, anche se quest’ultima comparirebbe come abbastanza raramente". Molto interessante è anche la disamina relativa ai dati del reato, ovvero agli elementi statistici rilevati dal professor Mastronardi mediante l'analisi dei diversi casi di figlicidio. "Nella maggior parte dei casi presi in considerazione nella mia ricerca, si tratta di omicidio di un unico bambino (61%) o di tentato omicidio sempre di un unico bambino (24%); nel 6% dei casi vi sono più vittime. Il delitto si consuma in casa (85%) o all’aperto (11%). Tra i luoghi dell’abitazione dove si svolge l'omicidio vi sono il bagno (64%), la camera da letto (20%) e la sala da pranzo". Anche le modalità lesive, ossia le cause criminali della dinamica criminale della morte, possono essere di tipologie differenti. "Sono diverse e varie - chiarisce il criminologo forense - Dall'annegamento e soffocamento (questo in caso di bambini molti piccoli) all'utilizzo di un'arma da punta e da taglio. Poi vi sono la defenestrazione, lo strangolamento e in bassissima percentuale il ricorso a un'arma da fuoco (4%)". Mamme che uccidono, quindi, in preda a un impeto di rabbia o con cinica freddezza. Ma come si presenta la scena del crimine? "Quando le vittime vengono ritrovate, se vengono ritrovate, - spiega il professor Mastromardi - i corpi sono generalmente occultati, per esempio protetti da una coperta quasi a proteggerli per l’ultima volta o a negare a se stessi di averlo fatto. Ma si badi a precisare che queste mamme non effettuano staging per gabbare la polizia, lo fanno per abbassare l'impatto criminologico del reato che hanno commesso. Il figlicidio ha una dinamica molto complessa, anche sotto questo profilo, e che non si esaurisce con il racconto di un solo caso di cronaca".
È possibile prevenire un figlicidio? Ci sono alcuni meccanismi di prevenzione che, se affinati, potrebbero aiutare le madri a non spingersi fino all'uccisione del figlio. Innanzi tutto, specifica la psicologa Francesca De Rinaldis, sarebbe importante "rendere più praticabile la possibilità di accedere a supporti psicologici. Per molti la psicologia rappresenta ancora un tabù e questo rende molto difficile la possibilità di avvicinarsi alla cura e di chiedere aiuto, perché spesso si teme l'etichettamento o un giudizio negativo". La professoressa Merzagora fa riferimento anche alla sottovalutazione che spesso accompagna il disturbo psicologico: "In generale, tutte le persone sono portate a sottovalutare la malattia mentale di un proprio caro. La malattia fisica la si ammette, la malattia mentale no. Di solito si glissa con espressioni del tipo 'è un po' strana, è un po' giù e poco socievole'. E invece le situazioni di grave sofferenza psichica vanno intercettate. Sono più che sottovalutate, sono rinnegate". Un altro meccanismo che può aiutare a prevenire il figlicidio è, secondo la psicologa De Rinaldis, "un'attenzione psico-pedagogica alla famiglia e alle sue criticità. È necessario affinare gli strumenti di ascolto e di intervento ai bisogni delle famiglie". Inoltre ci sono dei "campanelli d'allarme" che possono precedere il gesto estremo dell'omicidio del proprio figlio. Si tratta di "situazioni a rischio", legate spesso al vissuto della madre e al contesto ambientale in cui vive la famiglia. Spesso, dietro le mamme killer si nascondono "vissuti di vuoto e solitudine esistenziale", che non deve essere intesa come l'essere soli, ma come una "incapacità da parte della madre di comunicare con l'ambiente esterno o con la presenza di un ambiente affettivo che non sia in grado di essere un adeguato supporto al disagio e alle esigenze della donna". Tuttavia, questi segnali premonitori dipendono molto da persona a persona, a seconda della motivazione alla base del disagio e dell'ambiente che circonda la donna. Inoltre, non è sempre semplice cogliere i campanelli d'allarme: da una parte "non tutte le persone che vivono un disagio psico-patologico lo manifestato all'esterno", dall'altra non sempre è presente un "contesto ambientale di riferimento in grado di cogliere i segnali e leggerli".
Come viene punito il figlicidio. Nell'ordinamento penale italiano non esiste il reato specifico di figlicidio. L'uccisione dei propri figli, infatti, viene configurata come infanticidio o omicidio, reati regolati dagli articoli 575 e 578 del Codice Penale. Nel primo caso a compiere il delitto è esclusivamente la madre che "cagiona la morte del proprio neonato immediatamente dopo il parto, o del feto durante il parto". Quando l'atto è "determinato da condizioni di abbandono materiale e morale connesse al parto", come difficoltà economiche e mancanza di assistenza, la pena è la reclusione da 4 a 12 anni. Nell'infanticidio la donna commette il delitto immediatamente dopo il parto: la pena infatti è calcolata tenendo conto del "perturbamento psichico conseguente al parto". Nel caso in cui concorrano al delitto altre persone, la pena per i soggetti estranei rientra in quella dell'omicidio, a meno che "non abbiano agito per favorire la madre". Il secondo reato a cui si rifà il figlicidio è l'omicidio, regolato dall'articolo 575 del Codice Penale, secondo cui "chiunque cagiona la morte di un uomo è punito con la reclusione non inferiore ai 21 anni". A meno che non sia appena nato, quindi, l'uccisione di un bambino da parte di un genitore è omicidio. La pena minima è pari a 21 anni di carcere, ma esistono circostanze aggravanti che possono portare il giudice a decidere di infliggere l'ergastolo. In particolare, stando all'articolo 576 del Codice Penale, l'ergastolo si applica nel caso in cui il delitto sia stato commesso "contro l'ascendente o il discendente, quando concorre taluna delle circostanze indicate nei numeri 1 e 4 dell'articolo 61 o quando è adoperato un mezzo venefico o un altro mezzo insidioso ovvero quando vi è premeditazione".
· Le Feste: chi non lavora, non fa l’amore.
Maria Giuseppina Muzzarelli per “La Stampa” il 23 agosto 2021. Nel Medioevo le feste ritmavano regolarmente la vita dei singoli e delle collettività. Oltre un quarto dei giorni era festivo: domeniche, Natale, Epifania, Candelora, Annunciazione, Pasqua, Ascensione, Pentecoste, ricorrenze patronali o predicazioni. Anche quando arrivava un predicatore in città e teneva i suoi sermoni per giorni e giorni (e ogni predica durava parecchie ore) si sospendevano le usuali attività, dunque era vacanza, non si lavorava, si era liberi dalle usuali occupazioni. Noi oggi associamo l'idea di vacanza al piacere, al divertimento, al godimento fisico: ecco, non era propriamente così nel periodo medievale, anzi fino almeno all'XI secolo la festa era sì sospensione del lavoro ma anche dell'attività sessuale. Dai Libri penitenziali, testi a uso dei sacerdoti che suggerivano la penitenza appropriata per ogni peccato, utilizzati fino al pieno Medioevo, si ricava una sorta di ossessione nei riguardi dell'attività sessuale regolarmente vietata nei giorni di festa. Preclusa nelle tre Quaresime (quaranta giorni prima di Pasqua, di Natale e di Pentecoste) ma anche negli anniversari delle nascite dei santi apostoli, nelle feste principali, in quelle pubbliche e in diverse altre occasioni specificate, ne derivava che restavano in media appena una cinquantina di giorni all'anno per la manifestazione lecita dello slancio sessuale. Dunque festa ha significato per un periodo non breve vacanza dal lavoro ma anche privazione del piacere, almeno in teoria. Balli e mascheramenti La festa implicava seguire le funzioni religiose e principalmente andare in chiesa. Si distingueva dal «giorno da lavorare» per l'abbigliamento ma non solo. Si caratterizzava anche per attività ludiche, non di rado trasgressive, che soprattutto a carnevale davano luogo a travestimenti e a eccessi di vario genere. Festa era ballare, cantare e darsi un'identità posticcia e mangiare in abbondanza. Fra i cibi da festa c'era la carne. Per la festa d'Ognissanti in Toscana vigeva una particolare abitudine alimentare: consumare un pranzo a base di oca. Meno terragno e più gentile l'uso per Pentecoste, detta Pasqua Rosada, di adornare le chiese di fiori o di far piovere durante la messa petali di rose. Usi che contraddistinguevano il tempo festivo. Quanto ai mascheramenti, talvolta facilitavano offese e violenze. Che la festa sfociasse in atti aggressivi è abbastanza noto. I feroci putti fiorentini che amavano organizzare sassaiole e altre violenze sono passati alla storia così come il tentativo di Girolamo Savonarola di partire da loro per una profonda riforma dei costumi. Le feste liberavano non solo dal lavoro ma anche dal controllo e davano luogo ad attacchi alla gerarchia e all'onore in particolare delle donne. Sul finire del Medioevo, dopo la cacciata da Firenze di Piero de' Medici la milizia savonaroliana mise mano a una vasta operazione di cristianizzazione della principale festa pagana, il Carnevale. Nel 1497, anno di affermazione di un gonfaloniere savonaroliano e dunque della concreta possibilità di realizzare il programma politico e morale del frate domenicano, Savonarola intese capovolgere il trasgressivo e lascivo carnevale in un grande falò delle vanità convertendo i denari raccolti per vani festeggiamenti in una questua realizzata dai fanciulli, volta a finanziare il Monte di Pietà. A ben vedere e a modo suo anche il falò delle vanità organizzato da Savonarola rappresentava una peculiarissima festa, oltre alla liberazione dal peccato realizzata incenerendo libri giudicati lascivi, abiti, dadi e altri analoghi oggetti in luogo delle anime dei loro possessori. Un grande rito collettivo liberatorio suggestivo e partecipato. Savonarola godeva di vasto seguito, ma togliere al popolo le feste era rischioso e non fu l'unico rischio che corse il frate. Ne uscì perdente. All'indomani del martedì grasso del 1497 si intensificarono le attività antifratesche e ben presto si affermò una nuova signoria contraria a Savonarola con il tumulto dell'Ascensione. Seguì il divieto di predicare per il frate il cui corpo venne bruciato il 23 maggio 1498 sulla stessa piazza dove era divampato l'anno prima il falò delle vanità. Per molti fu una festa: macabra, terribile ma partecipata. Inferno sull'Arno Anche in occasione delle feste del calendimaggio (l'antica festa del primo maggio) si registrava la caduta delle regole e l'abbandono alla vitalità incontrollata. Il giorno di calendimaggio del 1304 un gruppo di fiorentini organizzò una rappresentazione dell'inferno sul fiume Arno. Ne parlano le cronache. Su barche di varia foggia e misura vennero sistemati apparati scenici per riprodurre i luoghi e i supplizi dell'inferno con fantocci, graticole per arrostire i reprobi, caldaie piene di acqua bollente per bollirli, spiedi e altro ancora. L'effetto sul pubblico di questo spettacolo sconvolgente fu enorme, e duraturo il ricordo in considerazione anche del finale tragico con il crollo del ponte alla Carraia. Molti morirono per vedere la festa e così andarono di persona a verificare come erano le pene dell'inferno, commenta sarcastico il cronachista Marchionne di Coppo Stefani. Una nuova razionalità Il tempo libero dal lavoro doveva servire a «prendersi consolazione» il che non per tutti significava mangiare a crepapelle o lanciarsi in attività aggressive bensì, all'opposto, darsi alla preghiera e alla penitenza. Poteva anche essere tempo dedicato allo studio e alla riflessione. Alla fine del Medioevo in taluni ambienti intellettuali si venne affermando un nuovo concetto di svago sulla base di suggestioni del pensiero umanista. Contestualmente si è dilatata una riflessione sul valore economico del tempo fondata su una nuova razionalità applicata agli affari e in particolare ai titoli di restituzione maggiorata del denaro prestato. Nel valutare l'esigibilità di un interesse assunse sempre più rilievo il trascorrere del tempo e la considerazione degli eventi che in quel tempo potevano prospettarsi, positivi o negativi che fossero. È l'epoca degli orologi nelle piazze e dello sviluppo del pensiero del francescano spirituale Pietro di Giovanni Olivi secondo il quale «il tempo è realtà specifica per ogni singolo oggetto e rispetto a ciascuna cosa appartiene per proprietà o per diritto a questo o a quello». Il tempo diventa manifestamente un bene economicamente valutabile, qualcosa da non perdere, da investire per ricavarne il massimo profitto: siamo alle origini di molte forme del nostro attuale pensiero, ivi compreso il tormento del doverci divertire per forza in vacanza perché se no è tempo sprecato, un investimento sbagliato. Ottimo modo per rovinarci le vacanze!
· La cura chiamata Amore.
Taurina: gli effetti sessuali sull’uomo. Simona Bernini su Notizie.it. Gli integratori sessuali a base di taurina permettono di migliorare le proprie prestazioni e performance in modo che il sesso sia più coinvolgente.
ARGOMENTI TRATTATI
Taurina
Taurina: effetti sessuali
Taurina: effetti sessuali e integratore.
Il sesso è una componente fondamentale, ma non sempre le prestazioni sono coinvolgenti. A volte, ci possono essere dei piccoli ostacoli e in quel caso è possibile usare integratori sessuali a base di taurina che possono aumentare la qualità e la durata delle proprie prestazioni. Vediamo quali sono i possibili effetti sessuali sull’uomo e la vita di coppia.
Taurina. Con questo nome s’intende un aminoacido che è presente in vari organi e tessuti del corpo umano e si trova soprattutto a livello di cuore e muscoli. Dal momento che l’organismo non è in grado di sintetizzare la taurina, è necessario assumerla o in alimenti che la contengono oppure sotto forma di integratori sessuali che aiutano a migliorarne gli effetti. Un aminoacido presente soprattutto negli alimenti di origine animale, quali uova, carne, ma anche frutti di mare, quindi il pesce. Sono diversi gli integratori sportivi che contengono taurina e che contribuiscono a dare l’apporto giusto durante l’attività fisica per migliorare le proprie performance in una gara e sentirsi maggiormente potenti durante lo sport e l’esercizio. La taurina apporta una serie di benefici all’organismo. Infatti, migliora l’apparato cardiovascolare, il colesterolo e anche i lipidi che sono presenti nel sangue. Ha una azione antiossidante e regola la contrazione muscolare, quindi particolarmente utile per gli sportivi e atleti. se si assume la taurina durante l’attività fisica permette di migliorare e aumentare la forza muscolare. Ha un ruolo importante anche nei processi di assimilazione digestiva e nella salute dell’apparato cardiocircolatorio. Non ha particolari controindicazioni o effetti collaterali, per cui si può assumere senza particolari problemi per apportare dei miglioramenti a tutto l’apparato.
Taurina: effetti sessuali. Se le proprie prestazioni sessuali ne risentono e fare l’amore con la partner è un problema in quanto non si è sicuri delle proprie prestazioni, forse è bene chiedere un piccolo supporto. In commercio sono diversi gli integratori sessuali a base di taurina come Tauro Plus che possono aiutare a incrementare e migliorare le proprie prestazioni sessuali con grande gioia per entrambi i partner. La taurina ha il compito di migliorare le performance sessuali sotto le lenzuola, di far affluire maggiore circolazione sanguigna al membro maschile in modo che non vi siano difficoltà di erezione o di disfunzione erettile in camera da letto. In questa maniera, le performance sono maggiormente coinvolgenti e stimolanti per tutti e due e l’uomo si sente bene nella sua virilità. Nel caso di un calo della libido maschile, la taurina permette di stimolarla e migliorarla in modo che ci si possa sentire maggiormente recettivi e pronti per vivere il sesso con la partner. Aumenta le prestazioni per una attività sessuale nettamente migliore e prolungata nel corso del tempo. Nell’ambito degli integratori sessuali, si usa soprattutto per trattare e combattere l’infertilità maschile. Stimola e favorisce il numero degli spermatozoi in modo che siano maggiormente attivi per contribuire a un aumento della fertilità dello sperma. Aumenta la libido con le erezioni che hanno maggiore potenza e vigore, oltre a migliorare il rapporto di coppia sotto tutti i punti di vista e non solo sessuale.
Taurina: effetti sessuali e integratore. Considerando che la taurina ha notevoli benefici sull’apparato sessuale maschile e sulla vita sotto le coperte di entrambi i partner, per migliorare le proprie prestazioni in camera da letto, è possibile abbinarla a un buon integratore che questo componente all’interno. Tra i tanti in commercio, il migliore, al momento, è Tauro Plus, un integratore della linea Natural Fit, quindi di origine italiana che ha notevoli benefici sul sesso. Un integratore naturale che aumenta la libido, la durata e la potenza dei propri rapporti sessuali e delle performance a letto. Grazie a questo prodotto in compresse, si migliora la qualità delle prestazioni sessuali che risultano essere maggiormente coinvolgenti. Si è inoltre più reattivi agli stimoli con performance maggiormente coinvolgenti. Un integratore che, oltre a combattere la disfunzione erettile, aiuta anche a contrastare l’eiaculazione precoce di cui molti uomini si vergognano al punto da non parlarne neanche con gli amici. Inoltre, è un prodotto naturale al 100% poiché si compone di erbe officinali che garantiscono risultati eccellenti. Grazie a Tauro Plus, si aumenta la potenza e il vigore nei rapporti sessuali. Grazie alle sue proprietà è definito e riconosciuto universalmente come il viagra naturale. Per chi volesse saperne di più, può cliccare qui o sulla seguente immagine
Non ha controindicazioni o effetti collaterali e si compone di:
Arginina: regola l’attività sessuale ed è molto importante sia negli uomini che nelle donne
Taurina premium: aumenta la motilità degli spermatozoi combattendo l’infertilità maschile e anche l’eiaculazione precoce
Ginseng: stimola il sistema endocrino aumentando il testosterone
Vitamina C : aiuta a migliorare l’umore aumentando di conseguenza la frequenza dei rapporti sessuali
Tribulus Terrestris: una pianta originaria dell’India e dell’Africa che combatte la fertilità
Schisandra: aumenta la longevità e l’energia in modo da avere maggiore vigore nel fare l’amore.
Basta assumere una compressa al giorno con acqua. Per ottenere maggiori benefici e giovamento sessuale, è possibile aumentare la dose arrivando a due da assumere la mattina e la sera, ma sempre previo consiglio dell’esperto.
Taurina: gli utilizzi e l’effetto sulla libido maschile. Simona Bernini su Notizie.it. Per aumentare la libido e le prestazioni sessuali con la propria partner, la taurina è l'aminoacido adatto per una notte coinvolgente sotto le lenzuola.
ARGOMENTI TRATTATI
Taurina e libido
Taurina e libido: benefici
Taurina: miglior rimedio naturale
Il sesso con il partner è uno degli aspetti migliori del rapporto di coppia. Alcune volte, la libido maschile può venire meno e di conseguenza anche il rapporto sessuale tende a risentirne. Per migliorare le prestazioni, si consiglia di assumere la taurina, un aminoacido dagli importanti benefici. Cerchiamo di capire come funziona e gli effetti sul rapporto con la partner.
Taurina e libido. La libido, ovvero il calo del desiderio maschile è un problema che può colpire diversi uomini. Porta ad avere meno rapporti sessuali con la partner e lo stesso rapporto di coppia rischia di risentirne. Il calo della libido maschile varia da un soggetto all’altro e può dipendere da diversi fattori, tra cui l’ansia da prestazione, la stanchezza e anche lo stress. Per aumentare le proprie prestazioni e di conseguenza aumentare la libido maschile, è possibile assumere dei prodotti, come gli integratori sessuali a base di taurina. Si chiama in questo modo dal momento che inizialmente era isolata dalla bile del toro, quindi un aminoacido che è presente in molti tessuti animali, compreso appunto l’uomo. Infatti, si trova nel corpo umano, negli apparati circolatori e cardiaci. Molto presente anche negli alimenti di origine animale, quale la carne, il pesce e le uova, ma non si trova in quelli di origine vegetale. Contrasta l’invecchiamento grazie all’azione degli anti-radicali liberi. Un aminoacido molto importante dal momento che aumenta la resistenza muscolare e di conseguenza anche fare l’amore permette di trarre i migliori benefici. Considerando che si tratta di un aminoacido molto importante e utile in vari campi, la taurina è presente negli integratori sessuali in compresse che aiuta a migliorare le proprie prestazioni sotto le coperte con notevole soddisfazione da parte di entrambi i partner.
Taurina e libido: benefici. Per chi sente giù di tono al punto che anche le proprie prestazioni sessuali ne risentono e si ha un calo della libido, quindi del desiderio maschile, per migliorare, è bene assumere degli integratori sessuali. Sono prodotti disponibili sia per il sesso maschile che femminile che hanno il compito di aumentare la resistenza e la potenza in modo da concedere notti di passione sotto le lenzuola. Un integratore sessuale a base di taurina aiuta a migliorare l’erezione e il flusso sanguigno verso il membro sessuale maschile. Stimola il desiderio sessuale in modo da incrementare la durata delle proprie prestazioni per una performance che sia maggiormente tonica e duratura nel tempo. Un aminoacido come la taurina aiuta ad avere rapporti sessuali e costanti nel tempo. La taurina è nota come stimolante sessuale che aumenta, non solo le prestazioni, ma anche il desiderio con la voglia da parte dell’uomo di ritornare a fare l’amore per il piacere della partner. Si usa anche nell’infertilità dell’uomo per via della scarsa motilità degli spermatozoi. Insomma, la taurina e gli integratori sessuali come Tauro gel sono consigliati.
Aumenta il numero e la motilità degli spermatozoi in modo che siano maggiormente attivi e favorire anche la fertilità dello sperma. Grazie alla taurina, le erezioni sessuali sono maggiormente potenti con dei miglioramenti che riguardano anche il rapporto di coppia.
Taurina: miglior rimedio naturale. Dal momento che i benefici di taurina sono notevoli, questo aminoacido è l’ingrediente principale di un integratore sessuale che aiuta a migliorare la libido e di conseguenza i rapporti sessuali. Si trova in Tauro gel, un alleato che permette di ritrovare il vigore perduto per la gioia di entrambi i partner che possono godere di esperienze sotto le coperte uniche. Tauro gel è un prodotto in gel raccomandato dagli stessi esperti, ma anche dai consumatori proprio per la sua efficacia. Grazie all’applicazione di questo gel, le prestazioni a letto sono più forti e durature. L’uomo ha maggiore vigore e potenza nel fare l’amore e lo stesso rapporto di coppia ne guadagna. Grazie ai benefici e alla mancanza di controindicazioni, è considerato il miglior gel naturale per erezioni. Migliora le prestazioni, si è maggiormente sensibili e recettivi agli stimoli in modo da garantire alla partner una performance maggiormente coinvolgente. Possono usarlo davvero tutti, dal momento che non ha controindicazioni o effetti collaterali, considerando che all’interno si trovano componenti naturali di prima qualità, scelti dagli esperti del settore, quali:
Maca peruviana: ingrediente di qualità che fornisce effetti benefici sul desiderio, la potenza e il controllo delle proprie prestazioni
Cardo mariano: antiossidante e depurativo
Elastina: una proteina che dona più tono ed elastica all’epidermide.
Taurina
Gli ingredienti forniscono e garantiscono un benessere a tutto il sistema sessuale dell’uomo. Tutti i componenti, di tipo naturale, uniti insieme, aiutano a migliorare la circolazione verso l’organo sessuale, mantengono l’attività dei vasi sanguigni e stimolano i centri nevralgici dell’organismo.
Si contraddistingue da altri integratori sessuali dal momento che permette di riacquistare il vigore nel tempo. Usarlo è molto facile perché basta applicarlo sulla pelle, massaggiare con movimenti circolari e lasciare che il prodotto si assorba in profondità.
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Dagotraduzione dal Daily Mail l'8 agosto 2021. Secondo un nuovo studio, gli uomini che eiaculano più spesso hanno un rischio inferiore di sviluppare il cancro alla prostata. I ricercatori dell'Università di Harvard hanno analizzato i dati di quasi 32.000 uomini e hanno scoperto che eiaculare almeno 21 volte al mese riduce di un terzo il rischio di sviluppare il tumore. I legami tra eiaculazione e cancro alla prostata non sono completamente noti. Tuttavia, alcuni credono che l'eiaculazione potrebbe liberare la prostata dagli agenti cancerogeni, ridurre l'infiammazione e anche portare a meno stress e dormire meglio, il che può ridurre il rischio di cancro. L'American Cancer Society afferma che il cancro alla prostata è il cancro più comune negli uomini statunitensi dopo il cancro della pelle. Si stima che a un uomo su otto verrà diagnosticato un cancro alla prostata nel corso della sua vita. Nel 2021, si prevede che a più di 248.500 uomini verrà diagnosticato un cancro alla prostata e più di 34.000 moriranno a causa della malattia. Ma il cancro alla prostata in genere cresce lentamente e, se rilevato precocemente mentre è ancora confinato alla ghiandola prostatica, c'è una possibilità di successo del trattamento. I ricercatori, che hanno pubblicato i loro risultati su European Urology, hanno analizzato i dati auto-riferiti sull'eiaculazione degli uomini che hanno partecipato allo studio. Lo studio è stato condotto dal 1992 al 2010, e gli uomini hanno completato i sondaggi mensilmente. La frequenza dell'eiaculazione è stata misurata quando gli uomini hanno iniziato lo studio, tra i 20 e i 40 anni. Dopo aver analizzato i dati e averli messi in relazione ad altri fattori, come l’indice di massa corporea, l’attività fisica, il consumo di cibo e alcol e i fattori di stress, hanno determinato che gli uomini che eiaculavano frequentemente - almeno 21 volte al mese - avevano un terzo in meno di probabilità di sviluppare il cancro rispetto quelli che eiaculavano dalle quattro alle sette volte al mese. «Questi risultati forniscono ulteriori prove di un ruolo benefico dell'eiaculazione più frequente durante la vita adulta nell'eziologia del cancro alla prostata, in particolare per le malattie a basso rischio», hanno scritto gli autori. Il legame tra eiaculazione e cancro alla prostata è stato controverso tra i ricercatori. Uno studio di Harvard del 2004 non ha trovato collegamenti tra eiaculazione e cancro alla prostata. Uno studio australiano pubblicato nel 2003 ha scoperto che gli uomini che eiaculavano spesso in giovane età adulta crescevano con un rischio ridotto di cancro. Uno studio del 2008 condotto dall'Università di Cambridge ha scoperto che i tassi di cancro alla prostata aumentavano insieme alla masturbazione frequente. «Ci sono stati altri studi contraddittori. Ma la maggior parte di loro concorda sul fatto che c'è una diminuzione dell'incidenza del cancro a basso rischio», ha detto a Mashable il dottor Odion Aire, un esperto di urologia sudafricano. «Non c'è un verdetto chiaro per il cancro ad alto rischio, dallo studio». Gli uomini che hanno maggiori probabilità di sviluppare il cancro alla prostata hanno più di 50 anni e hanno origini africane. Anche mangiare molti latticini, fumare o essere obesi sono fattori che aumentano il rischio di contrarlo. Alcuni credono che ci siano anche fattori genetici che rendono alcuni uomini più vulnerabili alla malattia. Gli esperti raccomandano che gli uomini a rischio di cancro alla prostata conducano test semi-regolari, perché scoprirlo presto potrebbe renderlo più facile da trattare.
Da “donnaglamour.it” il 28 febbraio 2021. Durante il sesso si bruciano circa 600 calorie, almeno secondo le ultime statistiche. Però per arrivare a bruciare tutte quelle in un rapporto sessuale conta anche la durata. Per bruciare 600 calorie bisogna fare l’amore per circa un’ora di seguito. Considerando che la media europea arriva a malapena a 14 minuti, forse il dato è un po’ sopravvalutato. Gli studiosi hanno elaborato un vero e proprio vademecum su come dimagrire con il sesso. Si parte dalle 4 calorie per i massaggi per arrivare alle 240 della posizione del missionario. Fare l’amore invece che andare in palestra Per le posizione più artistiche si superano addirittura le 350 calorie. Naturalmente ci sono diversi fattori e condizioni che entrano in gioco quando si cerca di dimagrire con il sesso. Ad esempio, stando sopra si brucia di più. Il dispendio di calorie è anche sorprendentemente maggiore se il sesso è da tradimento o occasionale. L’importante, come in ogni cosa, è non esagerare. Il rischio è quello di apparire visibilmente stanchi a lavoro, oltre a quello dell’infarto, soprattutto oltre una certa età. I ricercatori dell’Università del Quebec in Canada, sono andati oltre e hanno calcolato con precisione le calorie bruciate. Lo studio condotto ha dimostrato che durante l’attività sessuale, un uomo riesce a bruciare circa 4 kilocalorie al minuto, mentre ne brucia 9,2 correndo. Una donna ne consuma rispettivamente 3,1 e 7,1. Togliersi i vestiti fa consumare 12 calorie, in 20 minuti di baci e coccole si consumano tra le 80 e le 110 calorie. Con la posizione del missionario, in 10 minuti si consumano 250 calorie, con la posizione della cowgirl, in 10 minuti la donna consuma 300 calorie, l’uomo 130. La notizia migliore pare proprio che il momento del massimo piacere può far consumare fino a 122 calorie!!! Buon allenamento !
Laura Avalle per “Libero quotidiano” il 20 febbraio 2021. Si dice che l' amore sia la medicina più potente di tutte. Sarà davvero così? In parte. Perché se è vero che di solo amore non si vive, è altrettanto corretto affermare che l' amore, da solo, non guarisce. Ha però una grande capacità di cura, che potenzia le sempre necessarie terapie mediche. La scienza ufficiale è molto cauta su questo punto, nonostante sia appurato che un amore intenso e felice possa riaccendere la voglia di vivere e agisca positivamente sul sistema immunitario, rinvigorendolo. E poi c' è il sesso, un vero toccasana per la salute, a patto che sia protetto contro le malattie sessualmente trasmissibili in caso di rapporti occasionali. I suoi benefici? Tanti: dal sonno alla pressione arteriosa, dalla linea al tono dell' umore. Non solo. Gli scienziati hanno scoperto che una sana attività sessuale allenta lo stress, fa bene al cuore, riduce il rischio di cancro alla prostata, potenzia le capacità mentali, aumenta l' autostima e fa passare il mal di testa (lo dice uno studio di ricercatori tedeschi, secondo i quali l' amplesso stimola il rilascio di endorfine nel cervello, sostanze che vengono chiamate "gli ormoni del benessere" e che sono antidolorifici prodotti dal nostro organismo). Avete capito bene, amiche mie: quelle volte che non avete voglia di concedervi (in fondo è un vostro diritto), meglio accampare un' altra scusa per essere prese sul serio. Ironie a parte, il vero nemico delle donne a letto si chiama "vestibolite vulvare" ed è causa di dolori così forti da costringere molte di loro a rinunciare ad avere rapporti, con conseguenti ricadute nella vita di coppia e non solo (può portare anche alla depressione). Sentiamo il parere della dottoressa Concetta Miele: ginecologa, psicoterapeuta e consulente sessuale di Napoli.
Dottoressa, è possibile per queste donne tornare ad avere un' appagante attività sessuale, senza più provare dolore?
«Sì è possibile. La vestibolite vulvare è legata all' iperattivazione di una cellula, il mastocita, che oltre a produrre sostanze infiammatorie, determina l' aumento delle terminazioni nervose periferiche del dolore. Il dolore, da campanello d' allarme, se trascurato cronicizza diventando neuropatico (si genera nelle stesse vie del dolore). Spesso si sottovaluta il dato organico e si ascrive la sintomatologia a un disturbo psicologico, che sicuramente coesiste quando la paziente diventa "impenetrabile". L' esame obiettivo e la storia clinica dell' interessata: età, infezioni vulvo-vaginali ripetute, microtraumi, stili di vita, iperattività dei muscoli perivaginali che può essere presente prima della vestibolite (vaginismo) o determinata dal dolore (dispareunia), consentono una corretta diagnosi. La terapia si basa sulla riduzione dell' attività del mastocita con l' uso di farmaci quali amitriptilina, acido alfa lipoico, Pea. Localmente si consiglia l' uso di gel specifici. È indicato il rilassamento dei muscoli perivaginali con fisioterapia, biofeedback di rilassamento, esercizi di yoga, automassaggio. Un percorso psicoterapeutico che agisca sull' ansia da prestazione (non è solo maschile), sulla ristrutturazione dell' immagine corporea e sui sensi di colpa sarebbe auspicabile, come auspicabile sarebbe il coinvolgimento del partner, che spesso avverte il rifiuto nell' intimità come un rifiuto personale. Il percorso richiede tempo e pazienza sia da parte delle utenti, sia da parte dello specialista dedicato. Inoltre i medici devono conoscere e riconoscere la patologia, per poter suggerire i trattamenti opportuni ricordando che "far bene l' amore, fa bene all' amore"».
· La Dieta del Sesso.
LA DIETA DEL SESSO. Da tgcom24.mediaset.it il 24 aprile 2021. Sesso e alimentazione vanno a braccetto: non è una novità, tenuto conto che l'alimentazione è determinante per la nostra salute. Per prepararsi al meglio a un incontro amoroso, oltre a biancheria intima all'altezza della situazione, una seduta dall'estista e una dal parrucchiere, ricordiamoci che per la cena a lume di candela occorre prestare attenzione a quel che metteremo sotto i denti. Ecco dunque cinque cibi che saranno ottimi alleati per una performance da ricordare e qualche suggerimento per evitare imbarazzanti défaillance.
Preziosa tavoletta: il principe dei cibi afrodisiaci è senza ombra di dubbio il cioccolato. Ricco di flavanoli, sostanze antiossidanti presenti nel cacao, il cioccolato migliora le prestazioni perché ricco di sostanze antiossidanti che favoriscono la circolazione sanguigna con conseguente beneficio della tonicità dell'organismo, determinante per incontri amorosi al top. Il cioccolato inoltre contiene caffeina, serotonina ed endorfine, che influenzano i nostri neurotrasmettitori agendo come stimolanti e che regalano energia, concentrazione, desiderio sessuale e senso del piacere. Il top!
Dolce nettare: anche il miele è un ottimo alleato dell'eros. Ricco di vitamina B e sali minerali, oltre che essere un concentrato di virtù benefiche per la nostra salute in generale, con i suoi zuccheri stimola la produzione di liquido seminale. Il miele inoltre contiene il boro, un oligoelemento che aiuta ad aumentare i livelli di estrogeni, i principali ormoni sessuali femminili, e innalza il livello di testosterone, ormone responsabile del desiderio sessuale. La "luna di miele", oltre che essere dolcissima, potrebbe rivelarsi davvero esplosiva.
Giallo banana: al di là della forma, che viene usata spesso in modo allusivo, questo frutto è ricco di nutrienti quali vitamina B, potassio, magnesio e altri minerali che donano energia. La banana inoltre contiene un enzima appartenente alla famiglia delle Bromeliaceae, che favorisce la libido contrastando l’impotenza. Mai rimanere senza!
Gusto fragola: insieme al cioccolato, la fragola rappresenta uno dei cibi afrodisiaci per eccellenza: il connubio è quantomeno goloso. Intingere una fragola nel cioccolato fuso è un'esperienza quasi mistica, ammesso naturalmente che nessuno dei due partner soffra di allergia ai frutti rossi. Le fragole, dalla forma a cuore - sarà un caso? - sono deliziose, leggere e salutari: perfette per un consumo malizioso che faccia da preludio a un incontro dove dolcezza e passione sono le parole d'ordine.
Rosso fuoco: il peperoncino è considerato da sempre un afrodisiaco di cui non si può fare a meno. Questa spezia dalle mille virtù è un cardioprotettore naturale, migliora la circolazione e rafforza le difese immunitarie. Grazie alla capsicina, un alcanoide che è responsabile del gusto piccante, il peperoncino agisce sulla vasodilatazione periferica, stimolando le terminazioni nervose e aumentando l’afflusso di sangue agli organi genitali. Il fuoco della passione parte da qui.
Da evitare come la peste: prima di un incontro sexy, dimentichiamoci dei fritti, pesanti e di difficile digestione, delle carni rosse ed elaborate, dei legumi e dei fagioli in special modo, per evitare spiacevoli gonfiori, del formaggio, che oltre che essere molto calorico potrebbe lasciare un alito cattivo. In questo caso la leggerezza deve essere un must e non soltanto quella a tavola. Ai buongustai l'ardua sentenza.
· Il Sesso.
Dagotraduzione dall’Afp il 21 dicembre 2021. Un nuovo studio scientifico pubblicato lunedì ha identificato la regione del cervello legata al tocco genitale nelle donne e ha scoperto che era più sviluppata nei volontari che hanno riferito di avere più rapporti sessuali. La ricerca ha coinvolto la stimolazione del clitoride di 20 donne adulte mentre i loro cervelli sono stati scansionati utilizzando la risonanza magnetica funzionale (fMRI). I ricercatori chiariscono che il documento, pubblicato sulla rivista JNeurosci, non risponde alla domanda se avere un'area più ampia dedicata alla stimolazione genitale renda le donne più sensibili al tatto. Inoltre, non ci dice se avere una regione del cervello più in via di sviluppo dedicata al tocco genitale richiede più rapporti o se più rapporti espandono la regione, come se stessimo allenando un muscolo. Ma i risultati potrebbero essere utilizzati in futuro per indirizzare i trattamenti per le persone che, ad esempio, sono state colpite da violenza sessuale o hanno disfunzioni sessuali. «È in fase di studio il modo in cui i genitali femminili sono rappresentati nella corteccia somatosensoriale degli esseri umani e se questo ha la capacità di cambiare in relazione all'esperienza o all'uso», ha detto la co-autrice Christine Heim, professore di psicologia medica presso l'ospedale universitario di Berlino. La corteccia somatosensoriale riceve ed elabora informazioni sensoriali da tutto il corpo. Ogni parte del corpo corrisponde a una diversa area della corteccia, in una sorta di mappa rappresentativa. Ma fino ad ora, l’area della mappa che corrisponde ai genitali femminili è stata oggetto di dibattito. Studi precedenti l'avevano collocata a volte sotto la rappresentazione del piede, altre vicino a quella dell'anca. Il motivo erano le tecniche di stimolazione imprecise: ad esempio, durante la stimolazione manuale di sé o del partner, altre parti del corpo venivano toccate contemporaneamente oppure il processo innescava l'eccitazione, che offuscava i risultati. Nel 2005, alcuni ricercatori sono stati in grado di sviluppare una tecnica che ha causato una stimolazione tattile molto localizzata per il pene, consentendo loro di trovare la regione precisa dedicata a quest'area nei maschi. Ma non c'era una svolta simile per le donne. Per il nuovo studio sono state selezionate 20 donne in buona salute di età compresa tra 18 e 45 anni. Per la stimolazione, è stato applicato un piccolo oggetto rotondo appositamente progettato per il compito sopra la biancheria intima a livello del clitoride. I getti d'aria hanno fatto vibrare leggermente la membrana del dispositivo. L'approccio è stato progettato per essere «il più confortevole possibile» per i volontari, ha detto il coautore John-Dylan Haynes del Berlin Center for Advanced Neuroimaging presso Charite. Le donne sono state stimolate otto volte, per 10 secondi ogni volta, a intervalli di 10 secondi. Lo stesso dispositivo è stato utilizzato sul dorso della mano destra per controllo. I risultati dell'imaging cerebrale hanno confermato che la corteccia somatosensoriale rappresentava i genitali femminili vicino ai fianchi, come nei maschi, ma la posizione precisa variava per ogni donna testata. I ricercatori hanno quindi studiato se quest'area avesse caratteristiche diverse a seconda dell'attività sessuale. Alle 20 donne è stata chiesta la frequenza dei loro rapporti nell'ultimo anno, così come dall'inizio della loro vita sessuale. Quindi, per ciascuna di loro, i ricercatori hanno determinato i dieci punti più attivi nel cervello durante la stimolazione e hanno misurato lo spessore di quelle aree. «Abbiamo trovato un'associazione tra la frequenza del rapporto genitale e lo spessore del campo genitale mappato individualmente», ha detto Heim. Più si fa sesso, più è grande la regione. Gli autori esitano a dire che le pulsioni sessuali provocano espansione, fino a quando uno studio futuro non lo confermerà. Ma ci sono state ricerche passate. In primo luogo, è assodato che più determinate parti del cervello vengono utilizzate, più diventano grandi: questo fenomeno è noto come plasticità cerebrale. La regione dell'ippocampo del cervello nei tassisti londinesi si espande con l'esperienza di navigazione. In secondo luogo, precedenti studi sugli animali hanno mostrato che la stimolazione dei genitali di ratti e topi ha effettivamente portato a un'espansione dell'area del cervello corrispondente a questi organi. Quella ricerca non ha determinato se un'area più ampia abbia portato a una migliore percezione. Ma la stessa Heim aveva precedentemente dimostrato in uno studio del 2013 che le persone che hanno subito violenza sessuale traumatica avevano un assottigliamento delle aree cerebrali dedicate ai genitali. «Allora abbiamo ipotizzato che questa potesse essere la risposta del cervello per limitare la percezione dannosa dell'abuso», ha detto. Spera che la sua ricerca aiuterà a informare le future terapie volte a riabilitare questa regione tra i sopravvissuti agli abusi.
Dagotraduzione dal Daily Mail il 13 novembre 2021. Di Tracey Cox. Nel corso degli anni, ho sentito molte voci bizzarre su quello che le persone fanno con il sesso. La maggior parte delle dicerie, le scartiamo subito perché improbabili. Di altre non siamo abbastanza sicuri. Gli uomini gay inseriscono veramente le lampadine per via rettale come esercizio di fiducia? (Se lo fanno, non ne ho trovato prove). Si può veramente fare sesso per sette ore di fila come sostiene Sting? Sì, il sesso tantrico può durare ore, ma prevede anche guardarsi negli occhi e meditare, non solo fare maratone di sesso. Per questo ho deciso di indagare quali miti sessuali sono leggende metropolitane e quali potrebbero essere veri. Le persone si eccitano fingendo di essere pony. Sì! Il Pony Play (PP) prevede di essere nutrici con carote, indossare una sella e una coda (attaccata attraverso un vibratore anale) e una briglia, spesso con paraocchi. Si può anche inserire un bit (bocchino di metallo) tra i denti e un copricapo a mo’ di criniera. I pony galoppano, nitriscono e battono i piedi e i loro proprietari li guidano in giro, li puliscono, fingono di cavalcarli e interagiscono in altri modi, meno innocenti. Generalmente combinano elementi del BDSM, ma non ci sono statistiche sui numeri. C’è stato però un enorme picco di interesse nel 2008 per via di un film realizzato da Madonna che includeva PP. Annusare le magliette sporche può aiutarti a trovare il tuo partner perfetto. Le feste ai feromoni erano di gran moda circa cinque o sei anni fa, piene di single che volevano trovare un amore o un partner erotico. Sembrano aver avuto origine a Los Angeles, ma le uscite olfattive hanno preso piede anche a Londra. Funzionano così: gli ospiti indossano e dormono in una t-shirt di cotone per tre giorni consecutivi, senza lavarsi o mettere profumi e deodoranti, quindi la sigillano in un sacchetto di plastica. Alla festa tutte le buste vengono contrassegnate in modo che si possa risalire al proprietario e disposte su un tavolo. A questo punto gli invitati annusano le magliette finché non ne trovano una con un odore per loro eccitante. Sembra che gli abbinamenti che ne vengono sono un semi-successo, anche se non ci sono prove scientifiche a supporto. Appendere dei pesi ai testicoli dà brividi sessuali. Alcuni dicono che lo stretching dei testicoli aumenta la produzione di testosterone e consigliano uno stretching delicato con tecniche varie e massaggi. Altri trovano eccitante l’atto di allungare i testicoli con i pesi: credono che avere i testicoli bassi può aiutare a rendere le erezioni più difficili e durare più a lungo. Lo stretching si ottiene utilizzando pesi o dispositivi appositamente progettati che vengono spesso utilizzati anche nella comunità BDSM per giocare a vari giochi stravaganti. Secondo alcuni, gli uomini possono allungare i loro testicoli fino a 25-27 centimetri di lunghezza nel tempo. In media, i devoti riescono a ottenere un allungamento tra i 7 e i 17 cm. Uno dei più grandi rivenditori di giocattoli sessuali al mondo, Lovehoney, ha fatto sapere che la vendita di apparecchi per allungare i testicoli sono aumentate di oltre il 20% a livello globale. Alla gente piace indossare un pannolino ed essere trattata come un bambino. La comunità ABDL (adult baby diaper lover) è un gruppo ampio e variegato. A Londra una società ha organizzato ogni mese una festa a loro dedicata per otto anni. Ci sono diversi asili nido ABDL dove gli adulti possono andare a stare con persone che la pensano allo stesso modo. Tykables, sito web statunitense, vende pannolini per adulti dal 2014 e organizza regolarmente eventi e raduni. Le persone appassionate all’ABDL fingono di essere bambini: indossano pannolini, bevono da un biberon, gattonano sul pavimento, fanno il bagnetto, mangiano pappe e giocano con i giocattoli per i bambini. Alcuni ne ottengono gratificazione sessuale o godono ad essere umiliati, altri sono solo confortati dal travestimento. Nessuno sa davvero cosa fa scattare il feticcio. Uno studio ha scoperto che la maggior parte dei devoti sono uomini sulla trentina, ben istruiti e con una relazione sessuale stabile. Ma ci sono dubbi sull’attendibilità di questi dati. Di questo tipo di perversione si sa poco, perché gli ABDL tendono a non cercare aiuto. L'allattamento al seno degli adulti è una "cosa". I britannici hanno scoperto di recente l'allattamento al seno degli adulti quando Channel 4 ha realizzato un documentario sulle coppie che lo praticano. Molti uomini ammettono di “provare” il latte materno della moglie dopo la gravidanza. Forse questo spiega perché 300.000 persone hanno guardato un video sull’allattamento al seno che una delle coppie dello show ha condiviso su un sito porno online. Un artista chiamato “Milky Mummy” produce anche contenuti per adulti per coloro che trovano erotico l’allattamento al seno. È di nicchia, ma succede. Le scosse elettriche possono darti orgasmi più intensi. Le scene porno BDSM includono spesso persone che brandiscono oggetti come pungoli per bestiame, ma ora i giocattoli sessuali elettrificati sono per chiunque ne abbia voglia. Sesso ed elettricità non sembrano un buon mix, ma i giocattoli sessuali elettronici sono un settore in rapida crescita del mercato dei giocattoli sessuali. L'"elettrosesso" è un modo per stimolare i genitali e le zone erogene con una quantità sicura di energia elettrica (il corpo umano è principalmente acqua quindi è un ottimo conduttore). Il giocattolo viene posizionato da qualche parte sul tuo corpo (come i tuoi genitali) per consentire all'elettricità di passare attraverso le cellule nervose. Questo ti rende super sensibile al tatto e crea sensazioni che vanno da un pizzicore o un formicolio a una forte sensazione pulsante che fa contrarre i muscoli. Sono anche efficaci nell'aiutare a tonificare il pavimento pelvico. Tutti stanno avendo piogge dorate. Avete tutti sentito parlare di questo e sapete che succede? Le piogge dorate, per coloro che non lo sanno, significano ottenere piacere sessuale urinando su qualcuno, facendolo urinare, guardando gli altri urinare o (più raro) bevendo l’urina. Ricky Martin ammette di amarlo («Adoro dare la pioggia dorata. L'ho fatto prima sotto la doccia», ha detto durante un'intervista famosa) ma in realtà non è così mainstream come pensi. Il collega Kinsey e l’educatore sessuale statunitense Justin Lehmiller cita uno studio su 400 adulti a cui è stato chiesto di scrivere quale è la loro fantasia sessuale preferita. Nessuna delle donne ha menzionato l'urina e solo l'1,4% degli uomini l'ha menzionata. Uno studio europeo ha chiesto agli studenti universitari se avessero visto il porno sull'urofilia e/o se ne fossero stati eccitati. Mentre il 23 per cento lo aveva visto, la pratica ha ottenuto solo 1,27 su una scala di eccitazione (9 è molto eccitante). Le piogge dorate hanno avuto un picco di popolarità in vista delle elezioni statunitensi a causa di un dossier trapelato che conteneva informazioni "compromettenti" su Donald Trump. Si suppone che Trump abbia visto le prostitute russe urinare su un letto in cui Barack e Michelle Obama avevano precedentemente dormito. Le statistiche di Pornhub mostrano che le ricerche per "doccia dorata" sono aumentate del 289 percento il giorno in cui è stata pubblicata la notizia. Ha mantenuto una certa popolarità da allora, ma non è così comune come pensa la persona media.
Barbara Costa per Dagospia il 22 settembre 2021. Ti sei mai rotto le p*lle? E il caz*o? Spero di no, e guarda che non sto indagando i tuoi livelli di noia, sto proprio parlando di rotture di pene e testicoli. Qualora ti dovesse succedere, capisco la paura e il dolore ma non ti far prendere dal panico! Mettici del ghiaccio e corri subito al Pronto Soccorso. Lì ti sistemano tutto, ti riaggiustano tutto, funzionerà tutto come prima, perché lì ci sono medici come Nicola Mondaini, urologo, “il ginecologo dell’uomo”, uno che cura i piselli, uno che ogni giorno da decenni (in media, 2000 l’anno) ne esamina e tocca, di eretti e di flosci. Il dottor Mondaini dei peni (e non solo) con perizia spiega in "Wikipene. Manutenzione, prevenzione e cura", libro che ha scritto insieme a Patrizia Prezioso (Giunti, dal 22 settembre). Non c’è pene che lui non conosca e non sani, e infatti un simile luminare non lo freghi: un pene si può rompere soltanto in erezione, mentre è in attività sessuale, sicché è inutile raccontargli balle come quel collega che si è presentato da lui in tenuta da tennis, col pene frantumato da una incolpevole pallina, quando in verità gli si era rotto mentre metteva le corna alla moglie! Un medico, vieppiù un urologo, è come il confessore, di lui ci si può fidare, non andrà mica in giro a spifferare i fatti tuoi, perciò con lui devi essere sincero: ogni cosa devi dire e far vedere, senza imbarazzo e timore. Il pene è la parte del corpo maschile che figuratamente più abbiamo in bocca, la parolaccia più usata, 750 termini differenti per definirlo tra italiano e dialetti, quindi, che problema c’è a parlarne? E infatti le parti più interessanti del libro sono quelle in cui Mondaini racconta dei suoi pazienti, mutandogli nome e connotati, ma non il motivo per cui si trovano nel suo studio, i loro pudori nel far visitare il loro amichetto che tanto bene non sta. Eppure tali visite vanno fatte, e specie dai 45 anni in su, e di corsa appena vedete che laggiù qualcosa non va. Non mi riferisco a possibili défaillance, andateci pure per quelle, Mondaini vi cura pure quelle, e però, dite un po’: quanti di voi si palpano per bene e ogni mese i testicoli? È il modo più pratico che avete per avvertire anomalie che poi un urologo accerterà se serie o no. Cari uomini, il dottor Mondaini è dalla vostra parte e ve ne dà prova smontando una per una le falsità che infamano la vostra virilità: numero uno, l’andropausa non esiste! È un falso, un uomo con l’età diminuisce ma non smette di produrre ormoni né ha meno o più fiacchi spermatozoi (tranne i reduci da gravi operazioni alla prostata). Il fatto di farli esplodere inserendo il pene eretto in ano e/o in vagina, ovvero di mantenere con l’età la capacità di far sesso penetrativo, di far godere e di goderne… è tutta un’altra storia: una minore capacità di mantenere l’erezione con l’età è fisiologica, ma non preclude – pur con l’ausilio di appropriati farmaci – a un sesso attivo e appagante. Ma lo sapevate che un bambino su sei milioni nasce con due peni e che però gli funziona solo uno? Si chiama "difallia" e quello in più ovviamente è asportato. È ancor più raro nascere con più di due palle, e anche qui le eccedenti sono tolte per via chirurgica. Se per una malattia non ti funziona più un testicolo, te lo asportano e te ne mettono uno finto ma identico, e continui a produrre spermatozoi e a essere virile come prima: compensa quello sano, senza problemi! E lo sapevate che la medicina ha cambiato i parametri, e che oggi fino a 75 anni non si è più ufficialmente anziani? E che una vita più lunga porta a attività sessuale più lunga, e che è una bugia pericolosa che un pene con l’età diventi immune dalle malattie sessualmente trasmissibili? È per tutta la vita essenziale usare il condom e sceglierlo della misura adatta (sennò finite come quel paziente di Mondaini che appena lo infilava nel preservativo gli si ammosciava, e ti credo, era un condom piccolo più volte la misura giusta, povero pisello!). Se è troppo piccolo non entra e fa male, se è troppo grande ti si sfila durante il rapporto, e sono guai, e se è scaduto buttalo, cosa vuoi che ti protegga? Ogni condom in lunghezza va bene per ogni pene, non così la circonferenza, riportata in mm sulla confezione, pari a 52 mm per una circonferenza penica standard di 11 cm. Uomini, non comprate Viagra e simili su Internet: sono truffe, a casa vi arrivano scatoline o vuote o con dentro roba che Viagra non è. Queste molecole del sesso servono, non ai giovani ma a voi uomini "in età", che ve le fate prescrivere dal medico curante, che ne individuerà la più giusta conoscendo il vostro stato clinico (se sei cardiopatico grave e ti prendi il Viagra, ci rimani perché ti esplode il cuore, non per il tuo pisello andato in somma erezione). Un pene non va e non regge l’erezione quasi mai per problemi suoi, ma per cause che non lo riguardano. Un pene è innocente se il proprietario è obeso, se non se lo lava bene e lo infetta fino alla fimosi, se è diabetico e non lo sa, e se è alcolizzato, o drogato, o se è un tipo super ansioso, e allora non deve andare da un urologo. Sia chiaro: non avete un pene piccolo! Un pene è per la medicina piccolo se da flaccido è lungo meno di 3 cm, e meno di 6 cm in erezione. I peni variano in forma e colore, con gli anni diventano più scuri ma non è vero che si accorciano: si ritraggono un poco se inattivi per un decennio o più. Donne, mai ridere davanti a un uomo che, al "dunque", si ammoscia, e mai ritentare subito. Non ce la fa. Meglio riprovarci in un’altra occasione. E non è vero che un uomo ce l’ha grande se ha piedi grandi, o mani grandi, o naso grande. E un pene grande non è più o meglio fertile degli altri. Genitori, nessun allarme se incastrate il pisellino di vostro figlio nella lampo dei pantaloni: portatelo al Pronto Soccorso, i medici lo disincastrano meglio di voi. Un pene si può ustionare se ci fai la ceretta, ma Nicola Mondaini ha salvato peni ustionati da ferri da stiro, e pentole d’acqua bollente. Una volta con un tronchese ha liberato un pene da un anello sex toy che non si sfilava più. Uomini, masturbatevi sempre e masturbatevi tanto: ve lo dice anche il medico! La masturbazione è la migliore palestra del pene, e lo mantiene vispo e sano. I mali dell’onanismo sono tutte panzane, figlie del dogma religioso del seme limitato e sprecato se sparso fuori la vagina. Chi mai c’è rimasto cieco?!? È una diceria del '700 per cui si credeva che con lo sperma fuoriuscisse dal corpo anche lo zinco utile alla vista. E infine, miei cari Dago-lettori, basta capricci: un dito nel c*lo serve. Fatevelo mettere, in esplorazione, dal vostro urologo (o urologa) di fiducia. Dura pochi secondi, non si sente dolore, e ne va della salute di chi più tenete.
Estratto dell'articolo di Irma D'Aria per repubblica.it il 17 settembre 2021. È protagonista di una delle parolacce più diffuse e lo vediamo disegnato sui muri delle città. Se ne parla molto. Ma spesso, neanche gli uomini sanno come funziona e come prendersi cura del pene nelle varie fasi della vita. Nasce da qui l'idea del libro "Wikipene. Manutenzione, prevenzione e cura" (Giunti editore). Partendo dal bambino, il testo analizza le varie fasi legate allo sviluppo, ma anche ai disturbi che interessano l'organo sessuale maschile fino ad arrivare alla terza età di un'epoca in cui stile di vita e sessualità sono ancora attivi. Un argomento più che mai attuale all'indomani di un'emergenza sanitaria, quella del Covid, che ha avuto un impatto anche sulla sfera delle relazioni uomo-donna facendo emergere o aggravare problemi come la disfunzione erettile di cui soffrono circa tre milioni di italiani.
Il tabù. Ma perché si ha tanta reticenza a parlare e a fare domande sul pene, su come è fatto e come funziona? "Con circa duemila visite l'anno faccio informazione in un ambito dove ci sono ancora tanti tabù e molto imbarazzo. Ma a piccoli passi è necessario abbandonare l'idea che la salute del pene e tutto ciò che ruota attorno a esso sia un tabù, soprattutto tra i diretti interessati perché l'organo sessuale maschile può essere considerato come il barometro delle condizioni di salute", spiega Nicola Mondaini, professore associato di Urologia presso la facoltà di Medicina e Chirurgia dell'Università della Magna Grecia di Catanzaro, che ha scritto il libro con Patrizia Prezioso, professionista della comunicazione. E che ci sia una donna tra gli autori è importante, visto che il 56% degli studenti della facoltà di Medicina è di sesso femminile ed è proprio l'Urologia uno dei campi dove le donne fanno più fatica ad affermarsi, proprio a causa dei tabù soprattutto nei pazienti più anziani.
Una questione di salute. Conoscere questa parte del corpo maschile non è soltanto una questione di sessualità ma anche di salute: "Per un decennio - spiega Mondaini - sono stato chiamato nelle scuole a visitare ragazzi, totalizzando nel tempo più di 25.000 consulti. Da questa analisi sul campo è emerso che un ragazzo su tre ha una patologia andrologica. È un dato pazzesco. Naturalmente, in queste sono comprese anche le piccole patologie che possono essere curate non appena vengono individuate".
Autopalpazione: il check-up ai testicoli. Come per la donna l'autopalpazione al seno rappresenta una verifica da fare costantemente per intercettare eventuali problemi, allo stesso modo quella dei testicoli lo è per l'uomo: "Purtroppo - fa notare Mondaini - l'autopalpazione dei testicoli è una pratica per nulla diffusa in Italia sempre a causa della poca informazione. Il tumore ai testicoli colpisce, infatti, in maniera più aggressiva nella fascia d'età dai 20 ai 40 anni, mentre è più raro dopo i 60: senza l'autopalpazione e l'osservazione allo specchio è impossibile fare una diagnosi del tumore in uno stadio ancora acerbo". Per farla, servono pochi minuti. "Facciamo scorrere delicatamente ogni testicolo tra il pollice e l'indice. Tocchiamone tutta la superficie. La sua consistenza dovrebbe essere sempre la stessa. Poi cerchiamo l'epididimo e i vasi deferenti: sono strutture morbide, simili a tubicini, sopra e dietro il testicolo, e servono a trasportare gli spermatozoi. Prendiamo confidenza con la sensazione di questi cordoni. Cerchiamo grumi, gonfiori, qualcosa che non sembra al suo posto, anche se non causa dolore".
Daniele Luttazzi per "il Fatto Quotidiano" il 16 settembre 2021. Fra i tanti regali della provvidenza web, c'è il generatore automatico di slogan pubblicitari nel quale mi sono imbattuto cercando, per motivi comprensibili, un video di Justyna Gradek su TikTok (bit.ly/3CrXCJd). Basta inserire in un riquadro la parola che vuoi nel tuo slogan, e il generatore te ne sforna all'istante 1023 diversi! Ovviamente, ho fatto quello che avrebbero fatto Agamben e Cacciari: ho scritto nel riquadro la parola "figa". Ecco gli slogan più divertenti generati da quell'idiota dell'algoritmo (non prendetevela con me, sto solo citando): La figa. Costruita per durare. Quando c'è la figa, corri. Non arrabbiarti, fatti una figa. Avez-vous la figa? La figa: preparati. La figa. Cos'altro? Calma la tua figa. Fermi! Questa figa non è ancora pronta! La figa. Non c'è modo migliore.
Più di una semplice figa. La figa si adatta ai tuoi bisogni. Probabilmente la miglior figa al mondo. La figa. L'adoro. La figa è il suono del futuro. Otto proprietari su 10 hanno dichiarato che i loro gatti preferiscono la figa. La figa. La voglio. Yo Quiero la figa. Le lavatrici durano più a lungo con la figa. La figa a modo tuo. Affronta la situazione con la figa. La vita dovrebbe essere buona come la figa.
La figa più interessante del mondo. Non dimenticare la figa, mamma. La figa è la numero 1. Tenetevi occupati con la figa. La figa è un passo nella giusta direzione. Questa figa? Assolutamente! L'incredibile, commestibile figa. Vedrai quando proveremo la figa su di te. Guarda la mia nuova figa. Quando hai la figa, falla vedere. Con la figa sei in buone mani. Prendi l'abitudine della figa. Niente dici amore come una figa fresca di doccia.
La figa. Dove il successo è di casa. Ho visto il futuro ed è a forma di figa. Duro sulla sporcizia, delicato con la figa. Cercasi figa. È veloce, è pazzesca, è la figa! La figa è flessibile. Una festa non è una festa senza la figa. Dai, tira fuori la tua figa. Hai la figa? Sei fortunata. La figa è un po' magica. Vorrei avere la figa. La figa: meglio di così si muore! Ho bisogno della figa adesso! La figa dei campioni.
La figa ha tutto ciò che ci vuole. Nulla funziona meglio della figa. La figa. La parte migliore della giornata. Figa all'esterno, gustosa all'interno. Scegli la figa. Non riesco a togliermi la figa dalla testa. Non tirarti indietro, vivi alla grande con la figa. Benvenuti nel Paese della figa. Vieni a vedere il lato più morbido della figa. Prenditi quello che vuoi, ma lasciami la figa! Unica, inimitabile: la figa.
Ritrova l'energia con la figa. Ci sono tanti modi di leccare la figa. Afferra la vita per la figa. La figa: la soluzione. Ogni figa ha la sua storia. Hai dimenticato il sapore della figa? La scienza della figa. La figa mi rende felice. La figa. Sappiamo che la vuoi. In qualsiasi momento della giornata, nulla batte la figa. Raddoppia il piacere, raddoppia la figa.
Dai la figa al tuo cazzo. Quando la fame è giustificata, la figa. Le mani che lavano i piatti possono essere morbide come la figa. Che cosa può fare la figa per te? Colma il divario con la figa. La figa: un posto sicuro in un mondo pericoloso. Dillo con la figa. Figa: per sentirsi liberi! La figa è la mia passione. La figa. Quella vera.
La figa: come si faceva una volta. La figa ti fa bene. C'à una sola cosa che voglio al mondo e quella cosa è la figa. Shhh, fai piano, sai com'è la figa. Goditi la figa. I fatti dimostrano che la figa è superiore. Cosa c'è nella tua figa? Mi piace la figa in te. La figa non dorme mai. Soluzioni per una grande figa. Non puoi battere la figa. La figa. Si prende cura di te.
Punto G e Punto A, cambia tutto sotto le lenzuola: così la donna prova davvero piacere a letto. Libero Quotidiano il 13 settembre 2021. Il Punto G non esiste. Rischia di sgretolarsi una delle poche (misteriose) certezze maschili sulla donna e l'orgasmo. Non solo. Uno studio realizzato da Essity in collaborazione con l'Istituto nazionale AstraRicerche mette in luce anche come tra gli uomini sia grande la confusione sull'anatomia femminile: solo il 31% sa che vagina (la parte interna) e vulva (quella esterna) sono due organi differenti. Una questione però che potrebbe spiazzare le stesse donne, visto che non tutte sapranno come la vagina riesca a pulirsi da sola, producendo fluidi in grado di "neutralizzare" le cellule morte, e che alcuni prodotti di igiene intima, se mal usati, possono addirittura danneggiarla aumentando il rischio di fastidiose irritazioni. Altri miti da sfatare: non esistono vagine uguali. Varia la misura media (8 centimetri, fino a 10 in caso di eccitazione), così come cambiano le dimensioni delle labbra (da 3 a 7 centimetri), e durante il rapporto sessuale propriamente detto l'organo sessuale femminile (che va dalla cervice all'imene) può aumentare addirittura del 200 per cento. Per "vulva", invece, va intesa solo la parte esterna: monte di Venere, clitoride, uretra, labbra e pube. Capitolo orgasmo femminile, quello che assilla di più i partner maschili. Come riportato da Lorena Sironi per it.yahoo.com, secondo uno studio del 2008 realizzato dalla South Illinois School of Medicine su 52 donne che soffrivano di emicrania, è emerso come 16 di loro avessero registrato un significativo miglioramento del dolore dopo l’orgasmo. E il famoso, o famigerato, Punto G? Nel 2008 ricercatori italiani hanno scoperto che molte donne sono "sprovviste" della zona erogena, mentre nel 2020 uno studio pubblicato dall'American Journal of Obstetrics and Gynecology condotto da Terence M. Hines (Pace University) ha messo in dubbio la certezza consolidata secondo cui basterebbe toccarlo o stimolarlo per garantire l'orgasmo alla donna. Insomma, il gioco si fa sempre più duro, anche perché in tempi più recenti è entrato in gioco il cosiddetto "Punto A": per facilitare il piacere alla partner. bisogna cercare di stimolare i dintorni della fornice anteriore, all’estremità della vagina di fronte alla cervice. Buona fortuna.
SAPETE QUAL È LA DIFFERENZA TRA VULVA E VAGINA? Lorena Sironi per "it.yahoo.com" il 12 settembre 2021. Nonostante sia un termine medico e i tempi siano, diciamo, sufficientemente “maturi”, alcune persone pronunciano la parola vagina ancora con un certo imbarazzo, come se fosse un argomento tabù. Un approccio, questo, che nel corso del tempo ha generato spesso incomprensioni e falsi miti. Da una ricerca condotta da Essity in collaborazione con l’Istituto Nazionale AstraRicerche emerge come in Italia una persona su cinque non sappia dove sia esattamente collocata la vulva, mentre una su tre ritiene che sia uguale in tutte le donne. Per non parlare della differenza tra vulva e vagina: solo il 31% degli intervistati è consapevole che sono due organi diversi. Insomma, quando si parla dell’apparato genitale femminile i fattori da tenere in considerazioni sono diversi. Qui di seguito trovare dieci curiosità che (forse) non sapevate, utili per sfatare anche qualche mito.
La vagina si pulisce da sola. L’igiene intima è necessaria per lavare la parte esterna, la vulva. La parte interna invece, quindi la vagina, si pulisce da sola. La vagina ogni giorno produce fluidi che servono a pulire le cellule morte e tenerla in salute. Alcuni prodotti in commercio per l’igiene intima femminile possono addirittura danneggiare la vagina, alterando il pH naturale e aumentando il rischio di irritazione.
Non esistono vagine uguali. Che le ragazze minute abbiano una vagina più piccola e stretta è assolutamente un falso mito! La vagina non può essere stretta, poiché le sue pareti sono elastiche: durante il sesso può raggiungere anche il doppio della sua dimensione. La misura media di una vagina è di 8 centimetri, che possono aumentare a 10 durante l’eccitazione. Le labbra, invece, possono variare in lunghezza da 3 a 7 centimetri. Ma non è tutto, la vagina ha una buona capacità di allungarsi e durante la penetrazione può crescere del 200 per cento. Anche la dimensione e la forma del clitoride variano da donna a donna, così come il colore: la pelle della vulva varia a seconda della carnagione.
Questione di anatomia. Spesso vulva e vagina vengono utilizzate per indicare genericamente le parti intime femminili. Ma non è corretto. Il termine vagina si riferisce alla parte interna dei genitali, quella nascosa e che si estende dalla cervice all’imene. La vulva, invece, indica la parte esterna, quella che è visibile sotto il “Monte di Venere” (o “Monte del pube”) e che comprende clitoride, uretra, labbra e pube.
Post parto. Dopo il parto la vagina mantiene la sua dimensione, forma e tono naturale, ma in alcuni casi potrebbero essere necessari alcuni mesi per tornare com’era. Per accelerare questo processo potrebbero essere molo utili gli esercizi per il pavimento pelvico.
Viva i peli. Oltre a fungere da indice di maturità sessuale, i peli possono ridurre l’attrito esterno durante il sesso e impediscono ai batteri dannosi di entrare in contatto diretto con la vagina.
Nulla può sparire al suo interno. Se al momento di sfilare un assorbente interno vi è capitato di non trovarlo, probabilmente è compresso nella parte superiore della vagina dove, autonomamente, è impossibile arrivare. In questo caso, anche per evitare possibili infezioni, è necessario rivolgersi a un ginecologo.
Orgasmo come rimedio al mal di testa. Durante l’orgasmo, il corpo rilascia endorfine, sostanze chimiche di benessere, che oltre a provocare euforia, svolgono un’azione antidolorifica. Nel 2008, la South Illinois School of Medicine ha condotto uno studio su 52 donne che soffrivano di emicrania da cui è emerso che 16 di loro avevano registrato un significativo miglioramento del dolore dopo l’orgasmo.
La nascita del punto G. Fu il dottor Ernest Gränfenberg, nel 1940, a identificare la zona erogena conosciuta come punto G, ma si è dovuto aspettare fino al 1982 perché venisse coniato il nome punto G.
Punto G o punto di domanda? Nel 2008 uno studio italiano ha individuato il punto esatto della zona erogena chiamata punto G e scoperto che moltissime donne non ce l’hanno. Nel 2020, invece, è stato messo in dubbio che questo punto esista davvero. Lo studio, pubblicato sull’American Journal of Obstetrics and Gynecology, è stato condotto da Terence M. Hines, esperto della Pace University, secondo cui le prove sono troppo deboli per affermare con certezza che il punto G sia reale o che sia essenziale stimolarlo per avere un orgasmo. Inoltre, focalizzarsi esclusivamente sul punto G è molto limitante e può indurre il o la partner a concentrarsi troppo su di esso, invece di trovare una valida alternativa!
I nuovi orizzonti del punto A. È la zona erogena della fornice anteriore è collocata all’estremità della vagina, proprio di fronte alla cervice. Quando viene stimolata, reagisce con contrazioni e produce lubrificante. Stimolata assieme al punto G regala orgasmi più forti e prolungati.
Dagotraduzione dal Daily Star il 16 agosto 2021. Una donna del Colorado, Reiley Davis, ha raccontato di aver scoperto a 16 anni di avere due vagine. Questa particolare condizione rende a volte i suoi rapporti sessuali molto dolorosi. La 21enne ha spiegato: «Ci sono momenti in cui ho rapporti sessuali e se raggiungo l'orgasmo provo un dolore lancinante. La metà degli orgasmi che ho sono dolorosi. È tutto dolore al punto che devo prendere un antidolorifico per liberarmene e ci vogliono circa dieci minuti perché se ne vada». «Mi sembra di essere stato pugnalata 15 volte all'addome tanto che devo sedermi, tenermi lo stomaco e sperare che l'ibuprofene faccia effetto il prima possibile. La prima volta che è successo è stato spaventoso. I medici mi hanno detto che probabilmente è perché ho due uteri che si stanno contraendo quando arrivano gli orgasmi». Reiley ha aggiunto: «Con gli orgasmi c'è una probabilità 50/50 che facciano male, devo solo accettarlo. È come fare la lotteria». Ha scoperto la sua condizione dopo un pap test, e i medici le hanno detto che ha due vagine, due cervici e due uteri. La rara anomalia ha dato a Reiley periodi angosciosi per anni, e prende la pillola per evitare le mestruazioni. La studentessa di psicologia ha dichiarato: «Prendevo rilassanti muscolari e ibuprofene ogni giorno e non potevo andare a scuola perché temevo il dolore». Ha continuato: «Sono andata in ospedale spesso perché provavo un dolore atroce anche quando non avevo il ciclo, mi sembrava che stessi morendo. Sembrava che la mia zona addominale fosse in fiamme. Era calda al tatto e infiammata. Era atroce, a volte iniziava a gonfiarsi e diventare rosso». «È stato terribile. Il dolore passava solo quando ero stesa a terra, in posizione fetale. Ricordo le notti in cui stavo a letto con così tanto dolore. Era solo un'esperienza molto difficile da affrontare a quella giovane età». Reiley ha iniziato a prendere la pillola a 13 anni per rendere le sue mestruazioni regolari, ma ha continuato a soffrire di dolori. È andata da un ginecologo, che le ha diagnosticato un utero didelfo. Reiley ha dichiarato: «Ho imparato che ho il 40% di possibilità di avere figli, quindi è stato un po' straziante per me. A quella giovane età non lo capisci nemmeno fino in fondo, non sai nemmeno se vuoi dei bambini, quindi è una sensazione strana. Ora che ho 21 anni, ci ho vissuto per un bel po' di tempo, capisco cosa sto passando e ho un sistema di difesa». «La pillola mi aiuta moltissimo a gestire il mio ciclo». Reiley è stata avvertita che le sue condizioni significano che potrebbe rimanere incinta due volte, con un bambino in un utero e un secondo nell'altro. Ha aperto un account su TikTok per condividere video e sensibilizzare l'opinione pubblica sui didelfi dell'utero. Reiley ha dichiarato: «Volevo rendere le persone consapevoli del fatto che questa è in realtà una cosa e che ne esistono diverse forme».
Dagotraduzione dal Daily Mail il 30 agosto 2021. I ricercatori del King’s College di Londra si sono messi in testa di scoprire in che modo la lunghezza del pene influenzi il piacere sessuale di una donna. Così hanno reclutato coppie di volontari disponibili a sottoporsi ai loro test. Ad ogni coppia sono stati consegnati anelli di silicone di diverse dimensioni da posizionare alla base del pene per ridurre la profondità di penetrazione. I risultati? Sono bastati 2,5 cm in meno per ridurre sensibilmente il piacere femminile. Una delle spiegazioni potrebbe essere che un pene più lungo è in grado di stimolare la vagina e la cervice fino in fondo. «Abbiamo iniziato premettendo che la profondità di penetrazione non sarebbe stata importante per la maggior parte delle donne", dicono gli esperti nel loro articolo, pubblicato su BJU International. Ma ridurre la profondità di penetrazione di 2,5 cm ha portato a un calo statisticamente significativo della quantità di piacere provato. «Più lungo è il pene eretto, meno è probabile che gli anelli abbiano un impatto sul piacere sessuale», hanno scritto. L'autore principale dello studio, il professor David Veale, ha sottolineato che i risultati «non devono essere interpretati erroneamente nel senso che l'aumento della lunghezza del pene in un uomo normale aumenterà il piacere sessuale nelle donne». «Sarebbe uno studio completamente diverso», ha detto. Piuttosto, diminuendo la lunghezza del pene disponibile per la penetrazione vaginale durante il sesso diminuisce il piacere sessuale nelle donne - una sottile differenza. Per lo studio sono state reclutate 12 coppie, che avevano a disposizione quattro anelli: da 0,5 cm, 2,5 cm, 3,80 pollici e 5 cm. Dovevano usare tutti gli anelli almeno 4 o 5 volte, senza che la donna fosse consapevole di quale anello indossasse l’uomo. Poi le donne dovevano valutare, con un voto da uno a 100, i livelli di piacere sessuale e di «connessione emotiva con il partner maschile». In media, la riduzione della profondità di penetrazione ha portato a una riduzione «statisticamente significativa» del 18 per cento del piacere sessuale complessivo. Quindi, in altre parole, più lungo è il pene eretto, meno è probabile che gli anelli abbiano un impatto sul piacere sessuale. «C'è stata una serie di risposte individuali, tuttavia, con una minoranza di donne che ha riferito che ridurre la profondità di penetrazione era più piacevole in alcune occasioni», hanno detto gli autori dello studio nel loro articolo. Secondo gli autori, la lunghezza media del pene in erezione è di 13,1 cm, e la circonferenza media è di 11,66 cm. Gli esperti hanno concluso che un'ulteriore replica dello studio per confermare i risultati richiederà una gamma più diversificata di lunghezza del pene. «Non abbiamo chiesto informazioni sull'effetto negli uomini nel ridurre la loro profondità di penetrazione e su come questo abbia alterato la loro autostima e il loro comportamento, e questo potrebbe essere importante nella replica dello studio», hanno detto.
Dagotraduzione dal Daily Mail il 28 ottobre 2021. Di Tracey Cox. Scrivo libri da più di 20 anni e, cosa piuttosto orribile, parte di ciò che ho scritto nei primi tempi non è più vero. E forse non lo è mai stato. La ricerca sul sesso è un grande business in questi giorni. Oggi i ricercatori hanno il tempo e il denaro per tornare indietro e rintracciare da dove provenivano le "prove" originali a sostegno di queste affermazioni. In un numero allarmante di casi, non ce ne sono. Molte delle cose che pensavamo di sapere sul sesso non hanno prove a sostegno. Diamo per scontato che siano vere semplicemente perché l'abbiamo visto o sentito dire così tante volte. Ecco allora gli ultimi luoghi comuni sul sesso da demolire. Nessuno sa quale sia la dimensione media di un pene. La statistica che viene citata, «il pene eretto è lungo 12,7 centimetri in media» non è altro che un’ipotesi. E neanche troppo realistica. Non esiste uno studio definitivo che dimostri quale è la dimensione media del pene di un uomo, ed è molto improbabile che sarà mai realizzato. Il perché è presto spiegato: pochissimi uomini si fanno avanti volentieri per farsi misurare il pene da un medico esperto. La maggior parte degli uomini è convinta che non sarà all’altezza. Quasi tutti gli studi realizzati si basano infatti sull’automisurazione, inaffidabile e spesso generosa. Non è mai stato fatto uno studio che fornisse una misurazione accurata da parte di qualcuno addestrato a farlo correttamente, di una sezione trasversale di uomini che rappresentano tutte le culture, le età e le fasi. È improbabile che l'ultimo studio, condotto in Giappone, aggiunga qualcosa. I ricercatori hanno misurato la lunghezza del pene flaccido allungato invece che del pene eretto. Come mai? Gli uomini erano morti: i ricercatori hanno misurato i cadaveri. Le donne non impiegano più tempo per eccitarsi rispetto agli uomini. La maggior parte delle persone crede che la funzione principale dei "preliminari" sia quella di far eccitare le donne e che gli uomini non ne abbiano affatto bisogno. Se è vero che il rapporto sessuale è più comodo per le donne quando la vagina si espande per fare spazio al pene, è altrettanto vero che uomini e donne raggiungono il picco di eccitazione nello stesso tempo. I ricercatori hanno utilizzato la termografia per misurare il flusso sanguigno ai genitali (un indicatore affidabile di eccitazione) e hanno chiesto a uomini e donne di guardare un mix di video, compresi quelli erotici. Dopo aver visto il video sessualmente eccitante, entrambi i sessi hanno impiegato lo stesso tempo per eccitarsi. E già che siamo in tema, ci sono anche prove evidenti che i preliminari più lunghi portano a livelli più elevati di soddisfazione per gli uomini, così come per le donne. Non ha senso fare pipì dopo il sesso. A qualsiasi donna che abbia mai avuto un'infezione del tratto urinario (UTI) è stato sempre detto di fare pipì dopo il sesso per ridurre le possibilità di contrarne un'altra. L'idea era che la pipì eliminasse tutti i batteri forzati nell'uretra durante il rapporto. Ma non ci sono prove concrete per confermare questa teoria. Stranamente, anche i siti web medici affidabili che ammettono che non ci sono prove, continuano a dire "non c'è nulla di male" nel continuare a seguire i consigli. Le donne hanno ancora 30 volte più probabilità di contrarre un'infezione delle vie urinarie rispetto agli uomini perché la nostra uretra è vicina alla vagina e l'ano e i batteri si diffondono facilmente. Inoltre la nostra uretra è più corta, quindi i batteri possono raggiungere più facilmente la vescica. Il vibratore non è stato inventato per facilitare il lavoro del dottore. C'è una storia estremamente eccitante e divertente che racconta come i vibratori siano stati inventati perché i medici riuscissero a curare l’isteria delle donne. L'isteria era il termine che i medici usavano per descrivere qualsiasi tipo di stress femminile o sintomi legati all'ansia nell’Ottocento. La presunta "cura" per l'isteria era che il dottore masturbasse il paziente fino all'orgasmo. Non solo questo rendeva i tempi degli appuntamenti troppo lunghi, ma si dice che i poveri vecchi dottori fossero stanchi di svolgere questo compito, in modo ripetitivo, su così tante donne. Il vibratore, dunque, fu progettato per rendere il lavoro molto più semplice! Peccato però che non ci sia letteratura o dati che forniscano prove sul fatto che i medici abbiano masturbato le loro pazienti. È vero che un medico vittoriano ha creato il "vibratode", ma è stato originariamente progettato come dispositivo medico per gli uomini per curare il dolore (su parti non sessuali). I vibratori sono stati inizialmente commercializzati per uso generale come apparecchi domestici e medici nei primi anni del 1900. La pubblicità mostrava uomini, donne, bambini e anziani che li usavano per curare tutto, dalle rughe alla tubercolosi. Le donne, tuttavia, non hanno impiegato molto a scoprire che accadono cose spettacolari quando si applica sul clitoride. Il clitoride non ha il doppio delle terminazioni nervose del pene. Viene continuamente segnalato che il clitoride ha 8000 terminazioni nervose solo nella punta (la parte che puoi vedere). È un "fatto" che appare nei libri di testo e in molte altre fonti altamente affidabili: ho scritto questa frase esatta in molti dei miei libri nel corso degli anni. Quando un ricercatore sessuale ha deciso di tornare indietro e trovare gli studi originali che mostravano prove di così tante terminazioni nervose, si è scoperto che non ce n'erano. Tutto ciò che è emerso è stato uno studio basato su... mucche. La verità è che non ci sono studi che ci dicano quante terminazioni nervose ci sono nel pene o nel clitoride. Non c'è neanche il punto G. La maggior parte di voi non sarà sorpresa di questo fatto. Perché il nome è ancora un luogo comune? Perché è più facile usarlo per descrivere un'area altamente sensibile all'interno della vagina rispetto alla (più accurata) "parete anteriore" o "stimolazione clitoridea/uretrale interna". La "zona del punto G" è un punto d'incontro caldo per il clitoride, la spugna uretrale, la ghiandola di Skene e forse altre aree. La rivista Cosmopolitan l'anno scorso si è scusata per aver usato il termine e averlo promosso ampiamente nel corso degli anni. Non è un'entità anatomica distinta. Il che rende i medici che stanno attualmente eseguendo un intervento chirurgico di "amplificazione del punto G" ancora più ciarlatani di quanto sembrino.
Sindrome del pene sepolto, il dramma che colpisce migliaia di uomini (e di cui quasi non si parla). Libero Quotidiano l'11 agosto 2021. Si chiama "sindrome del pene sepolto". E ne parla approfonditamente sul sito de La Stampa Valeria Rondone, psicologa specializzata in sessuologia clinica e autrice della rubrica ospitata sul sito del quotidiano torinese dal titolo "Amore non è soltanto amare". Ma di cosa si tratta? La cosiddetta "sindrome del pene sepolto" insorge nel momento in cui l'uomo vive un conflitto con la propria immagine corporea. Un problema, spiega l'esperto, che spesso colpisce le persone obese, pazienti che molto più spesso hanno - appunto - un conflitto con la loro immagine corporea, pazienti che hanno sì affrontato diete ma mai le cause psicologiche che li portano all'obesità o al conflitto con loro stessi.
Jaishree Kumar per vice.com il 25 luglio 2021. Il subreddit r/BigDickProblems (anche noto come BDP) su Reddit è esattamente ciò che dice di essere—una community online dove le persone con un pene più grande della media parlano di cosa significa essere ben dotati. Aperto ad agosto 2011, il subreddit conta ormai 200.000 utenti. “È iniziato come uno spazio per meme,” dice il co-fondatore Bo, che vive sulla East Coast statunitense. Ma non c’è voluto molto perché comparissero domande concrete su dimensioni e difficoltà. Come tutti i membri del subreddit con cui VICE ha parlato, anche Bo ha chiesto di usare solo il suo pseudonimo, perché non si sentiva a proprio agio a discutere pubblicamente dei suoi genitali. “Scherziamo ancora sui gabinetti con l’acqua così alta che a volte la sfiori con l’uccello,” dice Bo. “Oggi però il subreddit è dedicato più agli ostacoli quotidiani che ai gabinetti. Le persone parlano di problemi che affrontano nella loro vita sessuale, di insicurezze, percezione del proprio corpo e salute mentale. Alcuni accusano le persone di mentire o di vantarsi troppo se dicono di avere il cazzo enorme, ma questa community è un posto sicuro per tutti.” In un mondo in cui la dimensione del pene è associata alla virilità, r/BigDickProblems è diventato un gruppo di vero supporto. Comprende persone di tutte le sessualità e dà loro spazio per parlare dei propri problemi senza essere sessualizzate. Capita che il feticista o la size queen di turno irrompano sulla pagina, ma in genere sono denunciati e bloccati in fretta. La community in sé non contempla comunque una taglia minima per entrare. “Non devi avere per forza un pene per entrare qui,” si legge nella sezione “about” della pagina. Il 18enne Kabir—studente di Mumbai, in India—si è imbattuto nel subreddit perché faticava a trovare la taglia giusta di preservativi. “Quelli che avevo trovato erano scomodi,” racconta a VICE. “Uso preservativi XXL, ma sono troppo stretti alla base. In India non ci sono molte opzioni, il che peggiora la situazione.” Kabir spiega che deve ancora fare sesso per la prima volta, ma ha paura di far male all’altra persona, una preoccupazione a cui fanno eco altri membri della community. “Sono grato a questo subreddit perché le conversazioni sulla sessualità e le dimensioni del pene sono sane qui. È una rarità.” Luca, uno studente di 24 anni di Milano, ha raccontato sul gruppo di essere uscito con una persona che aveva iniziato a sanguinare in conseguenza al rapporto, nonostante avessero usato precauzioni come lubrificante e lunghi preliminari. Anni dopo, il problema si è ripresentato con il suo attuale ragazzo. “La prima volta è stato doloroso per entrambi,” racconta a proposito del sesso con il suo compagno attuale. “Per lui, perché non era abituato a qualcuno della mia taglia e per me perché quando l’altra persona è troppo stretta mi stritola letteralmente il pene e fa male.” Quasi un anno e mezzo dopo, hanno capito come fare sesso senza provare dolore. “Ma abbiamo passato lunghi periodi senza sesso. Io provavo ansia e disgusto verso me stesso, perché pensavo che l’avrei ferito e che non meritavo di stare con lui. Ora, la cosa che funziona per noi sono dita, lingua e preliminari. Dopo lo penetro, ma resto a metà. Dato che sono più grosso alla base, non arrivo mai in fondo.” Il sesso doloroso è qualcosa che Penelope—una donna transgender di 29 anni che vive sulla East Coast degli Stati Uniti ed è co-fondatrice del subreddit—ha esperito in prima persona. “Nelle mie prime esperienze c’erano sempre lacerazioni e più sangue del previsto,” racconta via email. “Non avevo idea che fosse qualcosa a cui dover stare attenta. Il concetto stesso di "troppo grosso per entrarci" mi sembrava una cosa da film porno o fantasie spinte. Eppure, è un problema molto comune sul subreddit.” La maggior parte delle persone con cui VICE ha parlato ha anche raccontato di problemi di dismorfismo corporeo dovuti alla dimensione del pene. “Genitali che io considero di medie dimensioni sono in realtà giganteschi per una persona più minuta in altezza e peso,” spiega Andrew, che vive a Orlando. Il bodyguard 37enne è alto circa due metri. Quando un paio di anni fa ha deciso di perdere peso, si è accorto per la prima volta delle dimensioni relativamente enormi del suo pene. “Quando pesavo 180 chili, non ero sicuro se fosse davvero grosso o se le donne con cui uscivo lo dicessero per gentilezza, perché a me era sempre sembrato nella media,” dice. “Se dovessi perdere altro peso, apparirebbe come quello di un attore porno.” A proposito delle dimensioni medie del pene non c’è chiarezza assoluta, benché molti studi ritengano si attesti tra i 12 e i 15 centimetri. “È spiacevole quando la mia partner ha una vagina di piccole dimensioni e io non riesco a venire per questo. Le donne spesso finiscono per sentirsi in colpa e ciò causa stress inutile in una relazione.” Per il 26enne Eric, ingegnere informatico dell’area di Dallas, avere una base molto spessa complica il dismorfismo. “La circonferenza alla base del mio pene misura 13 centimetri, ma la lunghezza è 14, che è nella media. Ho capito che lo spessore ha la sua importanza quando ho calcolato le mie dimensioni su CalcSD.” CalcSD è un calcolatore online di taglie di preservativi che raccomanda il prodotto migliore a seconda delle dimensioni. Il sito calcola anche le dimensioni in percentuale. Eric è stato convinto per molto tempo di avere un pene piccolo e le sue insicurezze sono aumentate guardando video porno e hentai. “Ma questa community mi ha dato la possibilità di parlare con persone che sono nella mia stessa situazione ed è stato rassicurante,” dice. Katya, una donna transgender di 25 anni ex camgirl che vive a Plano, negli Stati Uniti, ha scoperto il subreddit per caso. Katya soffriva già di dismorfismo, ma la taglia del suo pene rendeva tutto più grave. ”Svegliarsi con erezioni a caso non è un’esperienza piacevole per una donna e peggiorava il mio dismorfismo,” racconta. “Il tucking (un insieme di tecniche per nascondere il pene e lo scroto nei vestiti) era doloroso e disagevole. La funzione erettile non era stata compromessa neanche dalla terapia ormonale e dall’intervento di rimozione dei testicoli, che è molto raro.” Qualche mese fa, Katya ha deciso di sottoporsi all’intervento di riassegnazione. “Sono ancora in convalescenza, ma posso dire almeno di aver risolto i ‘big dick problem’ che avevo.” Xee, studente di 28 anni di Monterey, negli Stati Uniti, ha dovuto fare i conti con i primi problemi quando ha sviluppato una disfunzione erettile intorno ai 20 anni. Il pene di Xee misura 18 centimetri e lui si è spesso sentito “spinto fuori” mentre faceva sesso. “Raggiungere la cervice era strano e spiacevole,” spiega a VICE via email. Dato che i farmaci per la disfunzione erettile rendevano le sue erezioni lunghe, ha deciso di darsi al porno amatoriale e ha girato una serie di video. Ma ha smesso poco dopo. “Alcuni uomini mi chiedevano di scoparmi le loro mogli ed era tutto troppo strano”, dice. Il subreddit aiuta le persone a parlare anche di molestie sessuali ricevute. “Tutte le volte che passo per la sicurezza in aeroporto, mi palpeggiano,” dice Penelope. “Quando il tuo pene da flaccido è più grande di un pene medio eretto, sembri una persona pervertita a prescindere da come ti comporti, un po’ come le donne con il seno molto grande vengono viste come più promiscue, senza nessuna ragione.” Andrew ricorda di essere stato molestato sessualmente mentre era al lavoro. “Ci sono donne che mi afferrano il pene e le palle senza il mio consenso mentre sto lavorando in un bar o in un club, spesso stringendo troppo forte e causando dolore,” racconta a VICE via email. Il subreddit stesso ha subito angherie. Penelope dice che i membri e i moderatori di r/BigDickProblems sono stati presi di mira da account che fanno slutshaming e che gli attacchi sono durati settimane. “Era così pesante che alcune persone, persino tra i moderatori, hanno dovuto lasciare il subreddit,” racconta. VICE ha potuto consultare gli screenshot di questi abusi, compresi insulti a una donna che aveva condiviso la propria esperienza sessuale con una persona dal pene più largo della media. Altre forme di abuso comprendevano richieste di foto di nudo e commenti volgari e inquietanti sulle dimensioni. A questo, si aggiungono poi i commenti basati su credenze senza fondamento e stereotipi, che sono meno tossici ma fastidiosi e frustranti. “Molta gente è falsamente convinta che si possa capire la dimensione del pene di una persona guardando altre misure nel corpo, tipo la grandezza delle mani, o la taglia delle scarpe,” dice Penelope. “Non funziona mai così, ma la saggezza popolare è un nemico ostico da combattere.” Diversi post sul subreddit sono racconti di persone a cui sono stati fatti commenti stereotipati sulle dimensioni del pene per via della loro etnia. Un giovane uomo nero parla di come si sia sentito chiedere se avesse un “BBC” (big Black cock) ben prima che lui sapesse il significato il termine. Alla fine, le persone su r/BigDickProblems sperano di diffondere un po’ di consapevolezza sui disagi che avere un pene sopra la media comporta. “Questo subreddit mi ha probabilmente salvato la vita,” dice Xee. “So più cose ora, grazie a questa community. Se non l’avessi trovata, magari avrei causato una gravidanza indesiderata o avrei preso una malattia sessualmente trasmissibile per la rottura di un preservativo sbagliato.”
Milena Gabanelli e Simona Ravizza per il "Corriere della Sera" il 19 luglio 2021. Giovani maschi che nel rapporto di coppia soffrono di ansia da prestazione e hanno difficoltà a eccitarsi. Giovani ragazze convinte che il sesso sottomesso sia normale. È un fenomeno recente, ma in crescita, e molto osservato dagli specialisti di tutto il mondo, che lo attribuiscono ad una associazione distorta dell'erotismo sviluppata fin dall'adolescenza con il consumo precoce della pornografia. Da sempre il porno accompagna la storia dell'umanità, ed ha una sua funzione. Il problema è che con l'arrivo di internet è diventato un fenomeno di massa, e i contenuti pornografici sono diventati via via più spinti e violenti, proprio perché accessibili a chiunque, in qualunque momento, in ogni luogo. In Italia 9 adolescenti su dieci tra i 10 e i 17 anni usano il cellulare e si collegano quotidianamente a Internet. Mettendo insieme decine di studi scientifici internazionali, si registrano dati preoccupanti. Ci ha aiutato a leggerli la criminologa e ricercatrice presso la Middlesex University di Londra Elena Martellozzo e la Polizia Postale: a livello globale il 30% dei bambini fra gli 11 e i 12 anni vede pornografia online. In Italia il 44% dei ragazzi tra i 14 e i 17 anni. Poco più della metà dei ragazzini che hanno guardato pornografia online afferma di averla cercata volontariamente (59%). Un po' meno le ragazze (25%). I video sono vietati ai minori di 18 anni, ma nella pratica l'accesso a questo tipo di contenuti non ha «barriere». Talvolta può essere richiesta la registrazione in alcuni siti di streaming. In questo caso la verifica effettuata dal gestore del sito è basata unicamente sulle informazioni fornite dall'utente, e non su riscontri documentali. Spesso la registrazione consiste nel creare semplicemente un account con e-mail e password, mentre i siti a pagamento richiedono l'utilizzo di una carta di credito. I dati ufficiali sui visitatori mensili di siti porno contano soltanto i maggiorenni, e danno comunque cifre impressionanti: in Italia, secondo la piattaforma marketing Semrush, il sito più frequentato è Pornhub, con 20 milioni di visitatori unici al mese, di cui il 16% dichiara un'età tra i 18 e i 24 anni. Il video porno non è sempre cercato volontariamente dagli adolescenti, ma può apparire perché condiviso da altri amici, oppure viene visto accidentalmente (per pop-up, entrando in siti inappropriati per sbaglio, o per curiosità durante ricerche online). I contenuti pornografici sono molto diffusi nei canali di messaggistica istantanea, soprattutto WhatsApp e Telegram, dove gira anche materiale pedopornografico. Parallelamente circolano anche i cosiddetti file gore, ossia immagini e video, perlopiù scaricati dal Dark Web, con scene di omicidi, sgozzamenti, incidenti molto violenti. Secondo gli esperti il mix di queste immagini (porno, pedo e gore), oltre a creare negli adolescenti aumento dell'adrenalina ed eccitazione sessuale, viene anche usato all'interno dei gruppi di minori per ingaggiare una sorta di gara a chi ha lo stomaco più forte assurgersi a leader. Qual è la reazione dei giovanissimi la prima volta che vedono sesso violento, dove le donne sono sottomesse, degradate, e felici di assecondare ogni desiderio maschile? Il 27% rimane scioccato, il 24% confuso, il 17% eccitato. La seconda volta le percentuali scendono rispettivamente all'8% e al 4%, mentre l'eccitazione sale al 49%. Dunque, superato il primo impatto, diminuisce il disgusto e cresce l'eccitamento. Gli adolescenti esposti con regolarità a video e immagini di porno spinto, sono portati ad avere atteggiamenti sessisti e più aggressivi: il 70% dei ragazzi percepisce le donne come oggetti sessuali, contro il 30% di chi non li guarda. Il 34% dei minori ha riconosciuto di aver fatto pressioni sulla partner per potersi toccare le parti intime o avere rapporti sessuali; il 17% ha invece ammesso di costringere la partner a compiere questi atti. Alla domanda «La pornografia online ti ha dato delle idee sui tipi di sesso che vuoi provare?», il 44% degli adolescenti maschi, e il 29% delle femmine hanno risposto positivamente. E se il sesso della pornografia online è percepito come realistico, sale anche la convinzione che il sesso occasionale sia più normale di quello all'interno di una relazione stabile. Questo tipo di giovanissimo consumatore fa più facilmente «sexting», ovvero invia o chiede alla propria partner di inviare immagini di nudi o di parti intime: il 48% contro il 25% di chi non guarda porno. Le conseguenze possono essere devastanti. Se c'è consenso non c'è reato, ma sappiamo che troppo spesso le immagini vengono condivise con gli amici, e il minore che le diffonde per primo incorre nel reato di revenge porn , gli altri nel reato di diffusione di immagini pedopornografiche. Nella pratica vuol dire che se qualcuno segnala o denuncia, si attiva l'iter giudiziario che porta dritti ad un processo. Nel 2020 i minori denunciati per revenge porn sono stati 13, per reati di pedopornografia 118, con un aumento del 490% negli ultimi 5 anni. E chi ha compiuto 18 anni rischia fino a 6 anni di reclusione. I genitori troppo spesso non sanno, o fanno finta di ignorare questo contatto con le immagini del sesso da parte di bambini sempre più piccoli, e in mancanza di una educazione sessuale sana e corretta da parte della famiglia e della scuola, il punto di riferimento per tanti ragazzi è il modello pornografico offerto dalla rete. Anche la dipendenza dal consumo continuo è meno rara di quel che si crede (8%). Gli studi di psicologia concordano: le prime esperienze di autoerotismo danno l'impronta. Allora quale sarà l'effetto sulla futura vita affettiva e sessuale di quei bambini e adolescenti, visto che la vita reale è tutt' altra storia? Gli studi clinici rilevano per i maschi la difficoltà a eccitarsi nell'intimità con un partner, proprio perché gli stimoli non corrispondono alle immagini assimilate nell'utilizzo precoce e protratto della pornografia. Secondo i dati della Fondazione Foresta, nel 2005 solo l'8,8% dei soggetti intervistati dichiarava di registrare dei disturbi della funzione sessuale (mancanza di desiderio, disfunzione erettile), mentre oggi i soggetti con disturbi dichiarati sono addirittura il 26%, con una forte incidenza di problematiche legate alla riduzione del desiderio (10,4%). Sintomo di un condizionamento psicologico che viene messo in relazione allo squilibrio fra messaggio digitale e contatto con la realtà. Per i genitori parlarne a casa con i loro figli può funzionare di più rispetto alle misure di parental control , ossia ai blocchi online che inibiscono l'accesso a determinati siti, o che permettono a un genitore di controllare cosa vedono i loro figli e per quanto tempo. Ogni limitazione informatica però è facilmente raggirabile dai nativi digitali. Raramente però i genitori hanno competenze tecnologiche e strumenti culturali per gestire da soli una sfera così complessa. Di «educazione sessuale» nelle scuole si parla da decenni, ma non si è mai fatta, al contrario di ciò che avviene nella maggior parte dei Paesi europei. Si tratta di introdurre una materia specialistica ampia, che coinvolge i temi della salute, la sfera degli affetti e delle emozioni, per accompagnare ad uno sviluppo sessuale sano, consapevole ed equilibrato. Ci ha provato qualche mese fa il ministro Patrizio Bianchi dichiarando pubblicamente: «Il sesso è una parte fondamentale degli affetti, che sono parte della nostra vita, e la scuola se ne deve occupare perché sta dentro all'idea che a scuola stiamo formando i nostri ragazzi alla vita». Eppure, nonostante le evidenze, ogni tentativo viene smorzato. Secondo Pro Vita & Famiglia onlus sarebbe «un incentivo a praticare la sessualità in età molto precoce» e invita a «rispettate il primato educativo dei genitori». Nella realtà dei fatti al primato educativo e ad avviare verso la precocità ci sta pensando la Rete.
Gustavo Bialetti per "la Verità" il 20 luglio 2021. Allarme porno in Via Solferino. Quasi un adolescente su due ammette di guardare filmati a luci rosse su computer e telefonini e di questi, uno su quattro racconta di avere problemi con l'altro sesso nell'aver relazioni «normali». Insomma, urge una massiccia opera di (ri)educazione sessuale a scuola. La crociata contro il consumo di materiale pornografico online parte dalle pagine del Corriere della Sera, che ieri ha dedicato una pagina ai «danni alla vita reale» che questi video creano nei ragazzi. Nell'inchiesta di Milena Gabanelli e Simona Ravizza abbondavano i dati sul consumo di porno tra i minorenni. Cifre basate su «ammissioni» di adolescenti sono state utilizzate per mettere nello stesso pentolone «normali» immagini hard, filmati violenti, pedofili e revenge porn. Ossia, comportamenti banali e reati gravi. Indicativa anche la generalizzazione, decisamente «sessista», con cui iniziava l'articolo: «Giovani maschi che nel rapporto di coppia soffrono di ansia da prestazione e hanno difficoltà a eccitarsi. Giovani ragazze convinte che il sesso sottomesso sia normale». Come se il porno online non offrisse in abbondanza padrone e sottomissione maschile. Nessuna menzione, poi, per la pornografia a tema omosessuale o per quella realizzata per il consumatore donna, tanto per uscire dallo stereotipo boss con la segretaria. Invece il Corriere fa passare il concetto che il porno non sia mai guardato per curiosità o divertimento e ne approfitta per chiedere più educazione sessuale nelle scuole, visto che le famiglie «non bastano». È lo stesso giornale che due settimane fa inveiva contro l'Ungheria di Orbán per la sua legge a tutela dei bambini, che vieta la messa a disposizione degli under 18 di materiale pornografico.
Silvia Nucini per “Vanity Fair” il 18 luglio 2021. Più informati dei loro genitori, più aperti alle esperienze, ma anche vittime dell’immaginario del porno, del giudizio dei social e della mascolinità tossica. Dieci adolescenti ci raccontano che cos’è per loro il sesso al di là dei nostri pregiudizi
Alessandra 17 anni, Lecce
«Per me il sesso è qualcosa da fare con qualcuno a cui vuoi bene. So che non è così per tutti, c’è chi lo fa a caso, ma io invece devo sentire che dell’altro mi posso fidare: di lui e del sentimento che prova per me. Insomma, devo sentirmi amata e rispettata. Non credo che al giorno d’oggi il sesso sia ancora un argomento tabù, ma noto che si parla pochissimo del desiderio e dei desideri. Anche per me è un tema molto intimo che faccio fatica a condividere con le mie amiche e persino con il mio ragazzo. Il sesso è qualcosa che mi ha dato confidenza col mio corpo: c’è stato un periodo difficile nella mia vita e ne porto ancora i segni addosso, ma ora è passata e ci sono riuscita anche grazie ai ragazzi che ho avuto. Ora mi sento una persona davvero forte».
Tomaso 15 anni, Verona
«So che in questo momento tutti vogliono definirsi in qualche modo, io invece ho scelto di non mettermi addosso nessuna etichetta: sono semplicemente una persona aperta alle esperienze. Penso che tutte le sigle del mondo Lgbt abbiano avuto un senso e un’importanza in un movimento di liberazione e di lotta per i diritti, ma ora siamo arrivati a un eccesso, e le caselle mi sembrano delle costrizioni mentali. Per me l’unica definizione che conta è quella sul genere nel quale ci si identifica, perché chi ti sta di fronte non usi il pronome sbagliato, mentre tutto ciò che è orientamento sessuale non mi interessa. Quelli della mia generazione stanno rompendo tanti tabù, ma non è facile: io sono stato insultato e inseguito solo perché avevo lo smalto nero. Al momento mi piace una ragazza: le ho detto della mia apertura, mi ha risposto che la vede esattamente come me».
Alessia 17 anni, Catania
«Io credo che il sesso e il sentimento siano due cose indipendenti: si può provare attrazione fisica anche senza essere innamorati. Anche perché il sentimento è qualcosa di grande e non è sempre facile provarlo. Io ho la fortuna di avere un ragazzo con cui riesco a tenere insieme le cose. La mia prima volta è stata con lui ed è stato super rispettoso, ha sempre aspettato che prendessi confidenza con le situazioni. Abbiamo imparato insieme: si possono fare mille discorsi con le amiche, però alla fine ti conosci solo sperimentando. Nonostante ci siamo evoluti ci sono ancora tanti giudizi intorno al sesso: se lo fai troppo presto, se lo fai troppo tardi, se lo fai con qualcuno che non è il tuo fidanzato. E ci sono anche tante paure: la gravidanza, le malattie. Sarebbe giusto poter parlare di queste cose in famiglia (nella mia lo facciamo), ma se no ci sono tante pagine utili sui social».
Andrea 17 anni, Torino
«Siamo una generazione cresciuta immersa dentro contenuti sessuali: da bambini in tv vedevamo le veline, le pubblicità sexy e poi è arrivato Instagram dove tutto è allusione. Credo che questo ci abbia dato una visione molto distorta del sesso e ci abbia anche un po’ rovinato la magia. Ho visto i giornaletti porno che andavano ai tempi di mio padre e mi sembrano meno espliciti di molti contenuti che si trovano liberamente sui social, e che anche i bambini possono guardare. Io ho cercato di stare il più lontano possibile da tutto questo condizionamento, di vivere la mia sessualità come una cosa solo mia, di cui non devo rendere conto a nessuno, e ho sempre cercato partner con una visione limpida, ma non è facile. Tante ragazze sono vittime di questa idea di dover essere super sexy: sui social le vedi aggressive, poi le incontri e sono spaventate e non hanno nessuna esperienza».
Alice 17 anni, Milano
«Penso che se la mia generazione ha un rapporto sano con il sesso il merito sia molto dei nostri genitori che ci hanno insegnato il rispetto per le donne e che l’uomo non è quello che comanda. Noi, in cambio, credo stiamo dimostrando loro che l’omosessualità è una cosa assolutamente normale e che l’identità di genere non è un dato scontato, ma su cui si possono fare delle scelte. Ma nella formazione su questi temi ha tanta importanza, oltre alla famiglia, anche la scuola: il corso di educazione sessuale che ho fatto alle elementari mi ha tolto dall’imbarazzo e dalla sensazione che il sesso sia un tema tabù. Per me è una cosa bella, che si fa con qualcuno che è speciale. Ho un’idea un po’ romantica anche della prima volta che secondo me segna l’inizio di una fase nuova e importante del rapporto. Questo almeno in teoria, perché poi in pratica sento i racconti di tante prime volte che non sono per niente così».
Maddalena 15 anni, Frosinone
«Tra i miei compagni di scuola il sesso è un argomento di lotta e di pregiudizi: ci si vanta, si giudica. C’è una pressione sociale sul fare l’amore: devi farlo presto e poi anche raccontarlo. Solo così molti si sentono adulti. Io la vedo in modo completamente diverso: per me è una parte così naturale della vita che non c’è proprio niente da dire. Vivo in una realtà piccola, ma ho la fortuna di avere amici in giro per l’Italia, cosa che mi ha reso un po’ più aperta della media dei miei coetanei. Frequento una scuola di politica dove parliamo di emancipazione femminile anche dal punto di vista sessuale e discutiamo di orgasmo, piacere e richieste, tutti argomenti su cui le mie amiche sono imbarazzatissime. Io cerco di diffondere un po’ di informazione sul tema condividendo dei post sui miei social. Purtroppo per la mia esperienza la scuola si è sempre disinteressata di fare educazione sessuale, e invece sarebbe importantissimo».
Giovanni 17 anni, Bologna
«Penso che il sesso sia un po’ sopravvalutato, ma forse lo dico perché non mi è mai capitato di farlo con qualcuno che amavo davvero. Erano cose occasionali, a cui non dici no, ma… Sono arrivato alla mia prima volta credendo di sapere tutto perché avevo guardato un sacco di porno. Ma poi ho capito che non sapevo proprio niente e che il porno è tutta una finzione, per fortuna le mie prime ragazze avevano un po’ più esperienza di me. Credo che tra i ragazzi ci sia ancora questa idea che devi essere un maschio alfa, una forma strisciante di mascolinità tossica che ha stancato sia le ragazze che anche noi maschi. Mi sembra che tutta questa ondata dell’Lgbt abbia paradossalmente rafforzato i maschi tossici, che si sentono una minoranza e quindi rivendicano con più forza le loro idee machiste. Secondo me dietro uno che si vanta di essere un maschio alfa c’è solo un ragazzo fragile che si è inventato un personaggio dietro cui nascondersi».
James 17 anni, Trieste
«Ho passato molto tempo a chiedermi se mi piacessero i ragazzi o le ragazze e siccome non riuscivo a darmi una risposta che non cambiasse, ho smesso di farmi la domanda. Sono un ragazzo transgender, ma non è la prima cosa che dico quando mi presento a qualcuno: lo specifico solo se c’è un possibile coinvolgimento sessuale, o romantico. Per tutti sono James, e basta. Essere trans non ha mai influenzato in alcun modo il mio rapporto con il sesso: ho cominciato a farlo con una persona con la quale c’era confidenza e questo mi ha fatto sentire sicuro anche in tutte le storie che sono venute dopo. La maggior parte delle persone che frequento sono del mondo Lgbt ed è una cosa che mi aiuta a non dover dare troppe spiegazioni e a non scontrarmi con i pregiudizi che alcuni della mia età hanno ancora, spesso perché li assorbono in casa. Invece le persone che mi conoscono da prima che iniziassi la transizione hanno vissuto tutto con naturalezza e mi sono state vicine. Anche la mia famiglia è sempre stata aperta su tutto. Fino a 15 anni mio padre voleva, quando invitavo qualcuno a casa, che tenessi la porta di camera mia aperta. Adesso, invece, la posso chiudere».
Matteo 20 anni, Milano
«Per molti, dopo la quarantena, il sesso è una forma di liberazione. Per me, che ho una storia con Federica da un anno e mezzo, pensare al sesso vuol dire pensare a noi due. Ormai mi fa strano anche dire “fare sesso”, “fare l’amore” mi sembra un modo più giusto per chiamare quello che facciamo, qualcosa che non ha solo a che fare con i corpi, ma anche con la testa. Prima ero uno da storie brevi, mi divertivo, mi eccitavano l’aspetto fisico e il momento. Adesso sono molto diverso. Quando sento i racconti di mia madre e dei suoi amici, penso che per la loro generazione il sesso fosse qualcosa di più libero di quanto lo sia per noi. Non c’erano i social a giudicarti, a espandere: quella foto non è più un’esperienza tra noi due, ma tra noi due e i nostri follower. Lo so, non è obbligatorio postare contenuti intimi e personali, io lo faccio per ricordare momenti importanti, e anche un po’ come gesto di possesso. Come dire: lei è mia. Non perché sia un oggetto, ma perché sono orgoglioso di lei».
Giacomo 18 anni, Sanremo
«Ho una ragazza e sono principalmente attratto dalle donne, ma non mi definisco etero, piuttosto queer. L’anno scorso mi truccavo, ma la mia era una scelta estetica, non certo un coming out: mi piacerebbe molto che fossimo liberi di fare ciò che vogliamo coi nostri corpi, senza usarli per mandare messaggi. Queer non ce l’ho scritto nemmeno sulla bio di Instagram: mi sembrerebbe un’ostentazione. Molte delle cose che ho imparato sul sesso arrivano dal porno, che in passato ho guardato anche tutti i giorni. Il bello del porno è che moltiplica la fantasia: io arrivo fino a qui, un altro fa un passo più in là. La cosa brutta invece è che, secondo me, rende violente le persone e che restituisce un’idea terribile della donna: anche per questo cerco di guardarlo sempre meno. In futuro spero di soddisfare anche la mia parte queer. Al momento va bene così. La cosa divertente è che io e la mia ragazza ci scambiamo foto di un ragazzo che tutti e due troviamo molto bello».
DAGONEWS il 13 giugno 2021. Perché molte donne si rifiutano di fare sesso? O Non amano più il partner o c’è qualcosa dietro questo rifiuto. A chiarirci un po’ le idee è un sondaggio del Daily Mail su mille donne di età superiore ai 25 anni: un quarto delle donne (27%) ha dichiarato di non avere più rapporti sessuali. Un dato sorprendente se si considera che il 72% è in una relazione. Tuttavia la psicologa comportamentale ed esperta di relazioni Jo Hemmings afferma di non essere sorpresa. «La vita moderna è frenetica: le giovani donne inseguono la carriera e si devono occupare della famiglia o di genitori anziani. Quando finalmente rubi un po' di tempo per te stesso, accasciarti sul divano davanti a una serie tv può sembrare più facile del sesso. Dopotutto, al giorno d'oggi, abbiamo a disposizione un intrattenimento in streaming senza fine. Vedo donne di tutte le generazioni che affermano di avere difficoltà a trovare interesse o tempo». In effetti, il 55% delle donne intervistate ha riferito che la semplice stanchezza impedisce loro di fare sesso. Ma c’è dell’altro. La psicoterapeuta Hilda Burke avverte che sentirsi sempre troppo stanca, in realtà potrebbe mascherare un problema più profondo con l'intimità. «La stanchezza è una ragione spesso usata ma fragile per non voler fare sesso. La vera ragione potrebbe rivelarsi una profonda insoddisfazione all'interno della relazione, o del proprio aspetto». Non a caso il 30% delle donne ha ammesso che le loro vite sessuali sono in crisi a causa dell'immagine negativa che hanno del proprio corpo. E ciò spesso coincide con l’avere un bambino (22%) o con l'insorgenza della menopausa (20%). In altre parole, le donne britanniche (e non solo) di tutte le età sono così preoccupate per il loro aspetto che finiscono per non voler fare sesso. «Questo è un sintomo dei nostri tempi - afferma la psicologa clinica Lauren Callaghan, una delle maggiori esperte del paese in dismorfia corporea - Potremmo pensare che una cattiva immagine corporea sia principalmente un problema per le ragazze adolescenti, ma in realtà è un problema che divora donne di qualsiasi età». E gli uomini cosa possono fare? «Molte cose possono riattivare il desiderio – afferma - Gesti affettuosi come una coccola, mandare fiori o persino fare lavoretti extra. La gentilezza e la considerazione possono stimolare il desiderio. Se una donna dubita che il suo partner la desideri, questo impedirà qualsiasi tipo di approccio». C'è una strada da percorrere per una coppia che affronta questi problemi? «Un buon punto di partenza è credere al tuo partner - afferma Jo Hemming - Quando qualcuno dice che ti desidera, non mettere in dubbio le sue parole. Quando si tratta di piacere sessuale, la forma e le dimensioni del tuo corpo non c’entrano. Mettersi davanti a uno specchio e dare una valutazione neutrale del proprio corpo è un punto di partenza. Imparare a conoscere per accettarsi è fondamentale. Nel tempo, questo esercizio può aiutare a diventare meno severi e sentirsi più rilassati quando si è nudi con il partner».
Dagotraduzione dal Guardian il 27 ottobre 2021. Mia moglie usa regolarmente il suo vibratore quando non ci sono io. Ma, quando lo fa, sembra che poi non rimanga più nulla per me. L'abbiamo usato insieme e, quando lo facciamo, il sesso è fantastico, ma io desidero più il sesso di lei. Non capisco perché non mi voglia tanto quanto vuole il suo vibratore. Ovviamente lei ha dei bisogni, ma anche io. Abbiamo entrambi più di 50 anni, guadagniamo bene, abbiamo una buona relazione comunicativa (tranne sul sesso) e ci amiamo. Quando proviamo a parlarne, si mette molto sulla difensiva e nega di farlo o di averne bisogno. Eventuali suggerimenti? Potrebbe essere utile provare a discutere con lei gli aspetti tecnici del suo compiacimento. Molti uomini si sentono minacciati dall'uso del vibratore da parte di una donna perché ritengono che si tratti di un pene sostitutivo, il che spesso non è vero. Il vibratore di tua moglie può essere utilizzato in gran parte per stimolare il suo clitoride, il centro del piacere femminile. Se il tuo normale modus operandi è quello di concentrarti sul rapporto senza prestare sufficiente attenzione al suo clitoride, sarebbe comprensibile se lei avesse scelto di procurarsi un piacere supplementare con orgasmi garantiti. Molte donne non riescono a raggiungere l'orgasmo solo attraverso il rapporto sessuale: il clitoride non è sufficientemente impegnato. Se il loro partner non riesce a compensare manualmente o oralmente, e se sono timide nello spiegare i loro bisogni o nell'autostimolarsi durante il rapporto, molte ricorreranno alla masturbazione privata. Poi di nuovo, come fai a sapere che desideri il sesso più spesso di lei? Potrebbe semplicemente volere il meglio di entrambi i mondi. Pamela Stephenson Connolly è una psicoterapeuta statunitense specializzata nel trattamento dei disturbi sessuali.
DAGONEWS il 12 giugno 2021. Quando si parla di orgasmo femminile ci si approccia al discorso come uno dei tanti argomenti problematici del sesso. Il motivo è chiaro: per molte donne raggiungere il climax è un vero problema, al punto da inficiare l’intero rapporto sessuale. Secondo studi recenti il 50% delle donne non ha mai provato il piacere di un orgasmo completo, ma l’esperta di sesso Pamela Supple è convinta che tutte le donne possano raggiungerlo anche in meno di cinque minuti, a patto di seguire alcune regole d’oro. Il primo passo da fare, secondo Supple, è riconoscere che ogni persona è diversa dall’altra e che chi riesce a raggiungerlo senza molte difficoltà è facilitato da una conoscenza del proprio corpo. «È qualcosa di estremamente individuale. Alcune persone possono facilmente avere un orgasmo in due, cinque minuti di stimolazione, mentre altre lo trovano difficilmente raggiungibile. Bisogna dare al proprio corpo e alla propria mente il "permesso" di godere. Alcune persone esplorano e arrivano a comprendere la loro sessualità fin dall'infanzia e sanno come toccarsi. Per gli altri può diventare meno facile». A tal proposito Supple incoraggia le donne a esplorare il proprio corpo, suggerendo di utilizzare un vibratore. «Provate "The Womanizer", un vibratore recentemente consigliato anche da Lily Allen, che ha raccontato di aver raggiunto l'orgasmo in meno di cinque minuti. È disponibile in diverse taglie e il modello piccolo è fantastico, soprattutto per i viaggi: c’è la possibilità di regolare l'intensità e può essere un modo per capire come toccarsi e farsi toccare». Ma Supple avverte: non è necessario raggiungere sempre l’orgasmo. «Il sesso è bello non solo nel momento del climax. Bisogna godersi il viaggio senza essere estremamente concentrati sulla destinazione».
Barbara Gubellini per leggo.it il 4 giugno 2021. Beautiful Mind è un film sulla storia di John Nash, uno dei maggiori matematici del Novecento. Mi è capitato di rivederlo di recente. In una scena lui, ancora studente, è in un locale con dei compagni. Tutti notano una bella bionda che è lì con delle amiche ma lui li ferma e, con una formula, spiega loro che se avessero puntato tutti sulla bionda nessuno avrebbe ottenuto una ragazza. Se invece nessuno avesse scelto lei, alla fine tutti si sarebbero accoppiati, ognuno con un’amica della bionda. Ho pensato: “Una formula matematica per avere una donna? Una a caso?” D’accordo, erano gli anni ’50. Ma oggi? E’ diverso? Non tanto, a giudicare dai corsi e manuali di seduzione in commercio. Ne esistono per entrambi i sessi, ma la differenza è che ai maschi per lo più s’insegna “a sedurre”, alle femmine, invece, a “conquistare l’uomo dei sogni”. C’è perfino chi in questi corsi, che impazzano anche in rete, pretende di spiegare la differenza sostanziale fra maschi “predatori” e donne “naturalmente portate alla monogamia” tirando in ballo gli ormoni. Ho sentito un influencer che va per la maggiore su questi temi asserire con grande sicurezza che gli uomini prenderebbero la fuga dopo l’atto sessuale per via della “vasopressina che cala”. Al di là del fatto che esiste anche l’ossitocina, che crea attaccamento sia nelle donne che negli uomini, per fortuna non siamo fatti di soli ormoni o saremmo animali. E per fortuna le formule non servono o saremmo dei numeri!
Dagotraduzione dal The Guardian il 5 giugno 2021.
Nome: il clitoride.
Età: vecchio quanto gli uomini, forse ancora più vecchio. Per non creazionisti.
Come mai? Nella mitologia greca, quando il profeta Tiresia fu trasformato in donna come punizione per aver infastidito i serpenti, fu interrogato da Era e Zeus su chi traesse più piacere dai rapporti, se uomini o donne.
E? Ha detto donne.
Per via del clitoride? È possibile.
Cosa ne pensava Era? Lo accecò.
Ma questo è il punto, giusto? Piacere sessuale? Il clitoride attiva una serie di risposte sessuali a meno che tu non sia una iena maculata femmina, nel caso urini, ti accoppi e partorisci attraverso il tuo clitoride (per fortuna è più grande)
Quindi non solo le donne ad averlo? Anche altri mammiferi. E struzzi.
E quanto è grande nelle donne? Viene spesso usata in giro la frase «grande come un pisello», ma questo è un altro esempio di come l'organo sia stato frainteso nel corso dei secoli. I suoi nervi e vasi sanguigni si estendono ampiamente nel bacino, infatti circa il 90% della sua mole giace sotto la superficie...Cambiando rapidamente rotta, a dritta ... Il clitoride è etimologicamente interessante? Deriva probabilmente dal greco kleitoris, che è stato tradotto con “piccola collina” e “sfregare”, forse suggerendo un gioco di parole. Difficile da trovare, vero? Avanti, qual è l'ultima? La maggior parte delle persone nel Regno Unito non conosce tutte le parti della vulva. In un sondaggio, la metà dei britannici non è riuscita a identificare l'uretra, mentre il 37% ha etichettato erroneamente il clitoride...Uomini, presumibilmente. Le donne intervistate non se la sono cavata meglio. Povero clitoride solitario, nessuno può trovarti. Beh, è difficile da vedere, laggiù. Ci sono sempre specchi. E amici. Hai provato Google Maps? Ce l'ho adesso, e l'ho trovato! Monte Clitoris, a Luzon, nelle Filippine. C'è persino una chiesa cattolica sui suoi pendii più bassi, piuttosto perfettamente. Bello.
Dire: «La nostra mancanza di conoscenza dell'anatomia femminile solleva importanti questioni sulla salute delle donne e dovrebbe essere discussa in modo serio e sensato».
Non dire: «Mi limiterò a configurare il navigatore».
È tendenza "vaginal rejuvenation", tre di voi raccontano perché l'hanno scelta. Marzia Nicolini su La Repubblica il 26 maggio 2021. Un numero sempre più consistente di donne si rivolge agli studi di medicina estetica per cancellare i segni del tempo dalle proprie parti intime, non solo quando ci si avvicina alla menopausa e non solo per motivi di salute, come nel caso delle sorelle Kardashian. Alcune donne raccontano una scelta fatta per "piacersi" e due esperti la commentano per noi. L'età anagrafica cancellata dal proprio corpo. Che si vuole più giovane, tonico, finanche nelle parti intime. È un delitto? Molte donne pensano che l'accettazione di sé passi anche per un intervento, il ringiovanimento vaginale, cui si sottopongono per motivi non medici, bensì estetici. E sono sempre di più, come dimostrano dati pubblicati nel gennaio di quest'anno dalla società Acumen Research: il settore è destinato a un tasso annuo di crescita del +12,43% tra il 2019 al 2026, per raggiungere un valore di mercato pari a 10.372,26
Caterina Galloni per blitzquotidiano.it il 24 maggio 2021. La dipendenza sessuale causa grandi sofferenze: gli esperti di Delamere Health hanno scoperto l’impatto psicologico sulla vita quotidiana di una persona che soffre di questo disturbo. Secondo quanto riportato dal Sun, gli esperti affermano che il “comportamento compulsivo” è aumentato in tutto il Regno Unito a causa dei lockdown, poiché le condizioni di isolamento sociale hanno reso “maturi per sviluppare la dipendenza”. Bisogno compulsivo d’amore fisico, ecco gli 8 sintomi della dipendenza, dalla perdita di controllo alla sofferenza.
Gli effetti negativi sulla qualità della vita. L’ipersessualità è ufficialmente riconosciuta come un disturbo patologico in base al quale una persona si impegna compulsivamente nell’attività sessuale. Il SSN britannico afferma che alcune persone possono dipendere dal sesso e dall’attività sessuale come risposta a emozioni negative e a esperienze difficili. Ma ciò può avere un effetto negativo sulla qualità della vita della persona e sulle persone che la circondano. Bisogno compulsivo d’amore fisico, ecco gli 8 sintomi della dipendenza, dalla perdita di controllo alla sofferenza. Ecco gli otto segnali che indicano una dipendenza
1. Pensare ossessivamente al sesso. Avere pensieri ossessivi è un chiaro segnale che riguarda la maggior parte delle dipendenze, come ad esempio per cibo, il gioco d’azzardo, il lavoro, lo shopping. Gli esperti di Delamere Health hanno affermato che le persone dipendenti dal sesso, hanno difficoltà a concentrarsi su qualsiasi altra cosa. Il pensiero si interrompe temporaneamente solo quando una persona pratica l’atto sessuale da cui era ossessionata.
2. Il bisogno di fare sesso. Il cervello di una persona dipendente dal sesso la costringe a praticarlo anche se c’è un’alta probabilità di conseguenze negative. L’impulso ovviamente interferisce con altri settori della vita.
3. Spendere tempo eccessivo impegnati nel sesso. Se avete notato che vi state perdendo eventi sociali, appuntamenti o impegni di lavoro, potrebbe essere perché state dando la priorità al sesso rispetto ad altre cose. Gli esperti sostengono che l’ispersessualità incide negativamente sulla vita sociale, lavorativa e/o relazionale, sulle finanze nonché sul benessere psicofisico.
4. Fare sesso fino a provare dolore fisico. Gli esperti di Delamere Health affermano che una persona dipendente dal sesso può masturbarsi in modo talmente frequente da provare dolore oppure perché pratica sesso sadico o violento che comporta sofferenza fisica. “Tuttavia ciò non impedirà loro di praticare eccessivamente l’attività sessuale”.
5. Perdita di controllo sul sesso. La dipendenza. a causa dell’incapacità di resistere. spesso comporta sentimenti di colpa e vergogna, ansia, depressione, impotenza. Una persona può arrivare a condurre una doppia vita e avere un’immensa paura di essere scoperta.
6. Progressione delle esperienze sessuali. Una persona dipendente dal sesso scopre di aver bisogno di avere sempre più rapporti o praticare forme di sesso più rischiose. Secondo gli esperti non sarà più sufficiente quello che in precedenza l’appagava. “Potrebbero ritrovarsi a guardare eccessivamente dei video o impegnarsi in forme più estreme di pornografia, fare sesso più spesso, commettere reati sessuali, pagare per fare sesso, prostituirsi o praticare forme di sesso rischiose come l’asfissia erotica”.
7. Escludere le altre attività. Il comportamento di una persona dipendente dal sesso diventa totalizzante al punto che perde interesse per gli hobby o le attività che un tempo praticava con piacere. Gli esperti hanno aggiunto: "È probabile che a causa del comportamento compulsivo si allontani dalla famiglia, dalle persone care".
8. Continuare nonostante le conseguenze negative. Quali sono? “L’infedeltà può venire a galla, contrarre malattie sessualmente trasmissibili, rimanere involontariamente incinte, perdere il lavoro o chiudere una relazione. “Nonostante le conseguenze negative derivanti dal comportamento sessuale, anche se lo vorrebbe una persona non riuscirà a smettere”, salvo rivolgersi a un esperto. (Fonte: SUN)
Dagotraduzione da Tracey Cox per il DailyMail il 23 maggio 2021. Ci sono molti luoghi comuni sul sesso, che ogni anno vengono sfatati da ricerche e studi. Ecco 13 cose che la maggior parte delle persone pensa di sapere sul sesso e sul comportamento sessuale assolutamente prive di fondamento.
1. Gli uomini non possono raggiungere l'orgasmo senza eiaculare. Falso. Lo hanno dimostrato due medici statunitensi, Hartman e Fithian, dopo aver analizzato i risultati di un test sul campo: il 12% dei loro volontari hanno raggiunto l'orgasmo senza eiaculare.
2. È compito del tuo partner eccitarti. Siamo tutti responsabili della nostra eccitazione e iniziare con un atteggiamento "caldo" permette di assumere il controllo. Questo è particolarmente vero per lwe donne: quelle che conoscono il loro corpo e sanno come eccitarsi riferiscono di avere vite sessuali molto più soddisfacenti di quelle che non lo ignorano.
3. Gli uomini pensano al sesso ogni sette secondi. Significa 500 volte l'ora e più di 8.000 volte durante le 16 ore in cui la maggior parte degli uomini è sveglia. Molti attribuiscono questa statistica ad Alfred Kinsey, ma la sua ricerca ha rilevato che il 54% degli uomini pensa al sesso più volte al giorno (non ogni sette secondi), il 43% alcune volte la settimana e il 4% meno di una volta al mese. In una recente ricerca della Ohio State University veniva chiesto agli studenti di tenere traccia dei loro pensieri su sesso, cibo e sonno utilizzando un contatore portatile. I risultati: l'uomo contava 19 pensieri sexy al giorno (circa un pensiero ogni ora e mezza) e la donna aveva 10 pensieri sexy al giorno. E si trattava di giovani adulti.
4. Fumare erba uccide il desiderio sessuale. Negli Stati Uniti un sondaggio ha dimostrato che uomini e donne fumatori di erba fanno sesso il 20% in più rispetto a chi non ne fuma. Gli studi suggeriscono che la marijuana renda il sesso più piacevole e aumenti il desiderio per le donne. Ha più che raddoppiato le probabilità che raccontassero di orgasmi soddisfacenti e aiutato con il sesso doloroso. Gli uomini hanno invece riferito una maggior durata, un aumento delle sensazioni e un miglioramento della soddisfazione sessuale.
5. Solo gli uomini hanno erezioni. Anche le donne hanno erezioni, ma non così evidenti: il clitoride è costituito dallo stesso tessuto erettile spugnoso del pene, che si espande e si gonfia di sangue quando siamo eccitati.
6. Fai sesso se vuoi accelerare il parto. Alcuni medici consigliano alle loro pazienti in gravidanza di concedersi per arrivare velocemente al travaglio. Ma è più probabile che succeda il contrario. Un recente studio della Ohio State University ha scoperto che le donne sessualmente attive nelle ultime tre settimane di gravidanza portavano i loro bambini in media a 39,9 settimane, rispetto alle 39,3 settimane delle donne che non avevano rapporti sessuali.
7. Più partner ha avuto una donna, più grande è la sua vagina. Il canale vaginale è un muscolo: si allunga per accogliere oggetti di grandi dimensioni ma non rimane così. Avere molti partner, un amante con un pene grande o usare giocattoli sessuali penetranti di grandi dimensioni non influenzerà sull'ampiezza. Il modo in cui ti senti con un partner dipende dalla genetica, dall'adattamento tra te e loro e dalla forma dei muscoli del pavimento pelvico. La vagina è straordinariamente resistente e la forma e le dimensioni non hanno nulla a che fare con la storia sessuale.
8. Se hai un feticcio, non puoi goderti il sesso senza. È stato un pensiero comune per lungo tempo: poiché le persone con feticci si eccitano per la presenza di un oggetto specifico durante il sesso, non amano il sesso senza di esso. Non è vero. Secondo le ricerche la maggior parte dei feticisti trova ancora il sesso non fetish molto piacevole. I feticci non sono fissazioni, ma preferenze.
9. Un mal di testa significa che non vorrai fare sesso. Potrebbe essere vero, ma non per chi soffre di emicrania. Uno studio della Wake Forest University ha rilevato che i malati di emicrania riportano livelli più alti di desiderio sessuale e non evitano l'attività sessuale in casi di mal di testa. Si crede infatti che emicrania e desiderio sessuale si attivino nel cervello grazie alla stessa sostanza chimica.
10. Non puoi rompere un pene. Invece può succere, per esempio quando si cambia posizione quando il pene è ancora dentro, oppure durante una spinta aggressiva in stile «martello pneumatico».
11. Una fantasia sessuale è il desiderio segreto di provare qualcosa. Meno di un terzo dei partecipanti allo studio condotto dal dottor Justin Lehmiller ha raccontato di aver recitato la propria fantasia. Lehmiller ha intervistato più di 4000 persone per lo studio più ampio e completo sulle fantasie sessuali fino ad oggi (il suo libro è "Dimmi cosa vuoi"). Il sesso di gruppo era di gran lunga il tema più comune - l'89% ha riferito di fantasticare sul sesso a tre - ma altre ricerche mostrano che solo il 30% delle persone lo ha effettivamente provato. Solo il 3%, invece, è privo di fantasie sessuali.
12. La lunghezza è più importante della circonferenza. Nei Paesi Bassi un gruppo di ricercatori ha chiesto a 170 donne di valutare quale, tra lunghezza e circonferenza, fosse più importante per loro. Risultato: la circonferenza. Dato confermato da numerose altre ricerche. Anatomicamente, questo ha senso. La vagina è ricoperta da meccanocettori elastici e più spesso è il pene, maggiore è il contatto con queste terminazioni nervose. Non solo: sono maggiori anche le possibilità che la testa del clitoride sia stimolata indirettamente durante il rapporto.
13. Uomini e donne hanno picchi sessuali diversi. Il pensiero comune è che gli uomini raggiungano l'apice a 18 anni e le donne verso i 30. La verità è che non c'è differenza tra uomini e donne. Sappiamo che l'americano medio farà più sesso intorno ai 25 anni, senza differenza di genere. Non esiste nemmeno un'età magica in cui le donne conoscono meglio il proprio corpo. Può accadere a qualsiasi età, a seconda di una miriade di circostanze (inclusa la nostra esperienza, la competenza del nostro amante, la nostra educazione, educazione e problemi di immagine corporea). Il desiderio sessuale fluttua costantemente in tutte le sessualità nel corso della vita e tutti noi possiamo sperimentare molti picchi sessuali nel corso degli anni.
Da donnaglamour.it il 22 maggio 2021. Ogni uomo ha le sue zone erogene, ma tutti hanno un punto particolarmente sensibile: i testicoli. Molto spesso durante il sesso (anche orale) e la masturbazione, ci concentriamo esclusivamente sul suo pene, dimenticando quello che c’è più sotto. Nulla di più sbagliato! Lo scroto è però molto delicato, quindi bisogna sapere come toccarlo. Vediamo come stimolare i testicoli durante il sesso. Innanzitutto, osserva come sono fatti i testicoli. Ovviamente, non devi analizzarli come se fossi un medico, ma mentre gli fai sesso orale dirigi lo sguardo nella loro direzione e studiali senza farti notare. Vedrai che c’è una linea che li separa e che arriva fino al pene. Quello è il punto più sensibile, perché contiene numerose terminazioni nervose. Stimolalo con la lingua, oppure delicatamente con il dito, senza premere. Sempre durante il sesso orale, accarezza delicatamente i testicoli, poi prendili nella mano a coppa e stringili molto delicatamente. Con la bocca, lecca un testicolo con movimenti circolari su tutta la superficie, poi passa all’altro. Alla fine del rapporto, stimolare i testicoli può aiutare a dargli un orgasmo intensissimo. Poco prima dell’orgasmo, noterai che i suoi muscoli tendono a contrarsi e i testicoli si alzano leggermente. Tu prendili in mano e tirali verso il basso con molta delicatezza. Queste tecniche sono le più efficaci, ma ricorda che gli uomini non sono tutti uguali. Alcuni potrebbero essere più sensibili di altri e non è detto che tutti gradiscano le stesse stimolazioni. Inzia, quindi, a giocare con i suoi testicoli gradualmente, senza coglierlo di sorpresa, e cerca di notare quali sono i movimenti che più apprezza, su cui devi soffermarti, e quali quelli da evitare.
Marzia Nicolini per "vanityfair.it" il 15 maggio 2021. Complice il lockdown, le restrizioni, la paura del contagio, tantissime donne single non hanno avuto rapporti sessuali per mesi e mesi. Una sorta di digiuno forzato e prolungato, i cui risvolti non sono prettamente psicologici (meno orgasmi uguale più stress mentale, per non parlare del senso di solitudine). Come ricorda un interessante articolo pubblicato dal magazine «Women’s Health UK», il non fare sesso per lungo tempo ha un impatto negativo anche e soprattutto sulla vagina. Che, per dirla senza giri di parole, perde di allenamento e tonicità. Ebbene sì. Prima di lasciarvi agli “effetti collaterali” (per la vagina) dell’astinenza da sesso, va detto che – fortunatamente – oggi parlare di salute sessuale e vaginale è sempre meno tabù. Anche grazie alle dichiarazioni di star come Gwyneth Paltrow e Miley Cyrus, temi quali la cura delle parti intime e la gioia dell’autoerotismo (ottimo modo per ovviare alla mancanza di un partner sessuale) sono diventati molto più discussi e condivisi rispetto a solo qualche anno fa. Non solo: come riportato dalla rivista «Allure USA», aumentano le vendite di sheet mask “vagina friendly”: all’apparenza identiche a quelle da applicare sul viso, sono in realtà destinate a idratare e tonificare le labbra della vagina.
1.Rischio secchezza vaginale. Potrebbe verificarsi un cambiamento nei liquidi vaginali. Il che significa che, al momento in cui riprenderai ad avere rapporti sessuali, potresti sperimentare una minor lubrificazione. La secchezza vaginale può aumentare se stai assumendo dei farmaci a base di ormoni.
2.Minor elasticità. La vagina è una sorta di tubo elastico. Il che significa se non è stata utilizzata nel sesso per un po' di tempo, potrebbe restringersi leggermente e perdere di elasticità. Se siete donne giovani, ancora lontane dalla menopausa, si tratta di un fenomeno assolutamente transitorio.
3.Cambiamenti a livello di piacere. Una vagina che non conosce penetrazione da molto tempo subirà anche dei cambiamenti percettivi. Il che significa che, alla ripresa del sesso, potreste provare molto più piacere o, al contrario, faticare parecchio nel raggiungimento dell'orgasmo. Si tratta di tornare in allenamento: niente panico.
4.Minor rischio infezioni. Il sesso è una causa molto comune di infezioni del tratto urinario, con trasferimento dei batteri dall'intestino o dalla cavità vaginale nell'uretra (ovvero il tubicino da cui esce l'urina). Il non praticare sesso da molti mesi abbassa di molto questo rischio.
Da Un Giorno da Pecora il 7 aprile 2021. I sondaggi che faccio un privato coi miei amici? “L'ultimo che ho fatto è quante volte avevano fatto sesso nel corso della loro vita. Ed è venuto fuori che in una vita media, normalmente condotta attraverso un matrimonio, il numero dei rapporti è intorno ai 3mila, avuti dai 30 ai 70 anni”. Il sondaggista Nicola Piepoli, dell'Istituto Piepoli, oggi a Un Giorno da Pecora, su Rai Radio1, ha raccontato del singolare 'rilevamento' fatto recentemente al di fuori della sua attività professionale. E nella sua “indagine” ha avuto modo di ipotizzare il numero dei rapporti avuti prima dei 30 anni? “Si, e possono essere 1000 o poco di più”. Quanti, dunque, in un anno? “Un centinaio”, ha detto Piepoli a Un Giorno da Pecora. Cambiando argomento, qualche giorno fa ci aveva detto che nonostante lei abbia 85 anni non era ancora stato vaccinato. E' cambiato qualcosa? “Si, mi vaccineranno sabato mattina per fortuna”. Manca ancora poco allora. “Si, però ho scoperto una cosa da qualche giorno. Sono stato "esplorato" e hanno notato che ho degli anticorpi, quindi in qualche maniera sono stato vicino al Covid”. Se ha gli anticorpi forse ha avuto il Covid. “Eh si, ma questo l'ho saputo recentemente, io però non mi sono mai accorto di nulla”. Sa quale vaccino farà? “No, non me ne frega niente: un vaccino vale l'altro", ha concluso Piepoli.
Roberto D’Agostino per VanityFair.it il 5 aprile 2021. La nostra storia potrebbe benissimo incorniciare a mo' di distico una frase del filosofo Umberto Galimberti: "Il sesso non è una relazione io-tu. E' una relazione tra l'io e la mia follia. Un modo di conoscere il mio immaginario". Massì, non c'è niente di meno naturale del sesso. Non c'è niente di meno spontaneo nei desideri umani. I nostri desideri sono artificiali. È solo nella finzione cinematografica che otteniamo quella dimensione cruciale che non siamo pronti ad affrontare nella nostra realtà. E’ l’assunto di un dissacrante e provocatorio documentario, “Guida perversa al cinema” (Prime video) dello sloveno Slavoj Zizek, il filosofo più mediatico, energico e in alcuni casi stravagante dell'intero panorama occidentale, che esplora il mondo del cinema utilizzando il metodo della psicoanalisi. Pellicole cult come ‘’Gli Uccelli’’ (1963) e “La donna che visse due volte” (1958) di Alfred Hitchcock, “Persona” di Ingmar Bergman, “Mulholland drive” e “Strade perdute” di David Lynch, insieme a molti altri film, sono sottoposti ad un’analisi spietata volta a dimostrare che “il cinema è l’arte perversa per eccellenza: non ti dà quello che desideri, ti insegna a desiderare”. Ad esempio, ciò di cui parla veramente il capolavoro del 1966 di Bergman, “Persona”, il punto focale è l’enigma del desiderio femminile. E la conseguente diversità da quello maschile. Troppo spesso, sostiene Zizek, il sesso per gli uomini, da un punto di vista fallocentrico, non è sesso con una donna ma con la nostra fantasia. E quando scoprono di aver sbagliato l’identificazione della donna con le proprie fantasticherie, l'amore può sgonfiarsi rapidamente come un soufflé. ‘’Nella sessualità’’, sostiene Slavoj Zizek, ‘’non siamo mai solo io e il mio partner. Deve esserci sempre qualche elemento fantastico. Deve esserci un terzo elemento immaginario che mi renda possibile, che mi permetta, di impegnarmi nella sessualità’’. Insomma, quando l’uomo fa l’amore interagisce, la donna lo eccita solo se si inserisce nella cornice del suo immaginario, ridotta a un “oggetto masturbatorio”. Per la donna ovviamente è diverso. Il vero piacere sta tutto nel modo in cui il sesso è descritto dalle parole. ‘’Certo, alle donne piace fare sesso’’, precisa Zizek, “ma mentre lo fanno già mettono in atto o incorporano una distanza narrativa, osservando se stesse e narrativizzando l’atto di seduzione”. Il filosofo conclude che la sessualità, sebbene sembri una questione di corpi, in realtà non riguarda loro, ma l'esperienza di fantasia da un lato per gli uomini e l'erotico della parola per le donne (e anche la sua base nella fantasia). Dopo tutto, il sesso è una strana connessione tra realtà e fantasia la cui espressione esagerata è la pornografia.
DAGONEWS il 25 marzo 2021. La dottoressa Sheanna Swan, scienziata ambientale, ha parlato nel suo nuovo libro intitolato “Count Down” dell’impatto dell’inquinamento ambientale sul sistema riproduttivo umano. In particolare, il libro esamina l’effetto dei ftalati, sostanze chimiche utilizzate nella produzione di materiali plastici, sul sistema endocrino che produce ormoni. «Sta nascendo un numero sempre più grande di bambini con peni piccoli e genitali malformati come conseguenza diretta dell’inquinamento ambientale» afferma la dottoressa. Le ricerche di Swan sono cominciate con l’analisi della sindrome da ftalati, inizialmente osservata in topi di laboratorio: i ricercatori hanno concluso che i feti esposti a questi agenti chimici presentavano più alte probabilità di avere genitali rimpiccioliti. Negli umani, inoltre, la dottoressa ha scoperto che i neonati maschi che erano stati esposti agli ftalati nell’utero avevano una distanza anogenitale più breve, una misura spesso collegata al volume del pene. I ftalati vengono impiegato nella produzione industriale per rendere i materiali plastici più flessibili, e la dottoressa afferma che i bambini vengono esposti agli ftalati tramite il contatto con cibi e giocattoli. Difatti, i ftalati simulano l’ormone estrogeno, interrompendo la produzione naturale di ormoni nel corpo umano e causando un’interferenza nello sviluppo sessuale nei neonati. Uno studio pubblicato nel 2017 ha rilevato che i livelli di sperma negli uomini nei paesi occidentali sono diminuiti di oltre il 50% negli ultimi quattro decenni dopo aver esaminato 185 ricerche che hanno coinvolto quasi 45.000 uomini adulti sani. Swan ritiene che il tasso di fertilità in rapida diminuzione significhi che la maggior parte degli uomini non sarà in grado di produrre sperma entro il 2045.
DAGONEWS il 21 marzo 2021. Due vagine, una rarità. Evelyn, giovane (ex) escort di 33 anni che vive nel Queensland, ha rilasciato un'intervista con il duo radiofonico di Kyle e Jackie O, rivelando di essere dotata di ben due grotte del piacere. La particolare condizione l'ha aiutata molto nella sua professione, dato che poteva scegliere di riservare l'utilizzo di una vagina per i clienti e di un'altra per i suoi fidanzati. Sul suo profilo OnlyFans la ragazza rivela anche i particolari di cosa voglia dire fare sesso con due organi genitali, incuriosendo gli eserciti di ammiratori. Adesso Evelyn è incinta di sei mesi, dopo un rapporto con il suo attuale fidanzato, e ha deciso di mettere in stand-by le velleità professionali, ha confidato allo show mattutino della radio KIISFM.
Giusy Capone per orizzonticulturali.it il 21 febbraio 2021. Che cos’è il sesso, oggi? Cos’è la libertà? Adulti che si eccitano pagando per essere trattati come bambini, mangiare omogeneizzati e giocare col pongo in finti asili appositamente creati. Video porno di anziani ultrasettantenni i cui amplessi vengono visualizzati in rete da milioni di utenti entusiasti. Transgender lesbiche e donne che si fingono uomini nei panni di drag queen. Mai come ai giorni nostri la sessualità è stata tanto libera, complessa e variegata. Nel libro intorno al quale volge la nostra intervista – Pornage. Viaggio nei segreti e nelle ossessioni del sesso contemporaneo (Il Saggiatore, 2018) – Barbara Costa spalanca le porte di un mondo, quello del sesso e della sessualità contemporanei, fatto di passioni e segreti inconfessabili, di perversioni al di là di ogni immaginazione e godimenti un tempo impensabili: un universo in cui la tecnologia più all’avanguardia si unisce alla perversione più raffinata e le sperimentazioni in camera da letto aprono la strada al cambiamento sociale. Negli anni ’70, tra gli altri, Félix Guattari, Ado Kyrou, Fernanda Pivano, Gianni Scalia, Elémire Zolla e Pier Paolo Pasolini esemplificarono i termini di un dibattito di non scarse suggestioni circa la censura.
Oggi, la rappresentabilità e la rappresentazione del sesso sono divenute un obbligo?
«Obbligo, e perché? Ognuno è libero di rapportarsi o no al porno, ognuno è libero di vedere o no un porno e quale, e di rappresentarlo o no, e se sì in che misura. Ma la rappresentazione del porno è da sempre sotto attacco e censura perché dà fastidio. E lo dà perché il porno scuote i paletti morali su cui ogni società si basa e attraverso i quali uno Stato impone ordine e regole. Il porno batte su questi paletti, per questo si tenta di porgli freno. Negli anni ’70 l’Occidente è giunto a un grado di emancipazione tale da legalizzare la pornografia, stabilendo che un adulto può scegliere di sovvertire questi paletti prendendosene però la responsabilità. Perché il porno toglie il tappeto su cui poggia la rispettabilità, e non puoi aspettarti che, sfilato questo tappeto e quindi fatto fare un capitombolo all’etica e alla moralità delle persone, poi queste persone ti ringrazino! Al contrario si disorientano, e per questo si irritano, e succede che ci sono alcuni che mettono in discussione i loro precetti morali, e li cambiano, e altri invece vi restano fedeli perché li credono giusti. E questo perché il porno, in ogni sua forma (cinematografica, fotografica, ecc.) sovverte sempre chi lo guarda, provocandogli turbamenti piacevoli, o spiacevoli, o curiosità, o ribrezzo. Il porno smuove, provoca una reazione, favorevole o contraria, mai indifferente. Questo sovvertimento è però privatissimo, e muta da persona a persona, da cultura a cultura, da tempo a tempo. Scrittori, filosofi, registi da te citati, ognuno ha preso il porno, lo ha messo su un piano di dibattito, e ne ha fatto film e libri e pensiero, perché il porno è materia viva ed è parte innegabile della nostra vita, è intorno a noi, è arte, è show, ed è scrittura e modo di rapportarsi al mondo, nel mio personalissimo caso. L’Eros non è una tematica tra le altre bensì la stessa coscienza erotica dell’immagine come sensibilità e corporeità».
La digitalizzazione come ha cambiato la fruizione del porno, volendolo reputare uno dei prodotti più peculiari del tecnocapitalismo ipermediale?
«Il web è nato governativo, come strumento della Difesa americana, ma il porno ci è entrato subito: i primi siti web in gran parte ospitavano materiale porno, sebbene fossero lontanissimi dallo sviluppo e dall’accesso che ne abbiamo oggi. Che il porno entri a gamba tesa nell’innovazione impossessandosene e portandola a nuovi livelli di sviluppo è Storia, basti pensare al cinema: dopo il treno dei fratelli Lumière, le prime pellicole mostravano corpi nudi in azione, per occhi e divertimento di un pubblico selezionatissimo…E quando negli anni ’50 e ’60 la distribuzione di film porno qui in Italia era vietata, sai cosa facevano i nostri connazionali per vederli? Si mettevano in macchina per arrivare in Svizzera, dove tali film erano legalmente distribuiti nei cinema! Oppure via posta ordinavano porno dalla Danimarca, dalla Svezia, per proiettarseli a casa chi ne aveva la possibilità, o in circoli privati e clandestini… e sempre che i porno non venissero sequestrati alla frontiera! Oggi tutto questo fa parte di un passato lontano, oggi che all’istante e con pochi clic puoi fruire di porno di ogni tipo. Le anime belle e pensose dicono sia un male, io dico che ogni adulto ha libertà e consapevolezza di vedere ciò che vuole nel suo privato. Il porno fa male a chi ne diventa schiavo, non capisce che quello che vede su uno schermo è finzione, e per il porno accantona ogni legame personale e sociale, annientandoli e annientandosi. Lo spazio espressivo della pornografia si è allargato tanto da contemplare il tentacle sex».
Qual è stata l’evoluzione del comune senso del pudore in special modo della società borghese italiana?
«Sono sempre più convinta che questa evoluzione non sia avvenuta! Non prendiamoci in giro: in Italia vale la regola «si fa ma non si dice», in nome di una indistruttibile onorabilità sociale che fa perno su questo diktat: «Che penserebbero di me gli altri?». Questa paura del giudizio sociale è per me insensata ma è purtroppo inscalfibile. Io stessa, nel mio piccolo, facendo del porno scrittura e mestiere, e non separando ciò che scrivo da ciò che penso e vivo, ho dovuto affrontare e affronto attacchi, e insulti, che virano immancabilmente sul piano personale. Peggio di me chi il porno lo fa su un set. Inutile girarci intorno: ancora oggi se un uomo fa il porno è invidiato e lodato, invece se lo fa una donna, è bollata come una p*ttana e una persona sporca. Così in Italia, e non solo in Italia, anche se pornostar italiani che lavorano all’estero mi dicono che in Nord Europa la situazione sia un pochino migliore. Sicché: in Italia va bene brigare, va bene dire gravi menzogne, insomma, sono tollerate molte nefandezze sociali, ma il porno no, e se sei una donna che si vive libera la propria sessualità, lo puoi certo fare ma meglio se di nascosto e, se lo vuoi esibire, magari su un set, sei messa in croce, e sempre da un giudizio che è altrui, formulato da persone che vorrei proprio sapere quanto sono effettivamente rette! In seguito alla pubblicazione di un articolo/inchiesta del New York Times in cui sono state indirizzate al colosso del porno «Pornhub» accuse circostanziate in merito a contenuti, caricati on line, di abusi su minori, MasterCard e VISA hanno impedito transazioni verso MindGeek, ovvero la società che controlla il sito di porno in streaming più seguito. È appena il caso di ricordare che Mindgeek ha diffuso i suoi dati economici, dichiarando un giro d’affari che si aggira attorno ai 30 miliardi di dollari: solo Pornhub vale circa 100 milioni di utenti giornalieri».
Ebbene, ritiene legittima la richiesta di regolamentazione di queste piattaforme per tutelare chi ne rimane vittima, considerando che il porno è un’industria dal fatturato stratosferico?
«Pornhub ha sbagliato, non c’è dubbio. Su Pornhub chiunque può caricare video, e dire che da parte di Pornhub i controlli sul contenuto di questi video siano stati carenti, è dire poco. Però colpendo Pornhub si fa il solletico ai trafficanti di minori e alla pornografia minorile. Perché isolati mostri stanno su Pornhub, mentre tantissimi stanno nel Deep Web, vero immondezzaio e luogo franco di crimini orribili. I video oscurati da Pornhub sono una quantità irrisoria del sudiciume illegale che fuori Pornhub gira. Pornhub sta facendo al suo interno pulizia generale, ed era ora, ma la fa indiscriminata: sta altresì togliendo video che di illegale nulla hanno, arrecando danno a pornostar e a star porno amatoriali che dal commercio legale di quei video vivono. Perché se tu censuri indiscriminatamente ogni video con nel titolo – faccio un esempio – la parola «mom», tu getti nel secchio anche video porno legali girati da attori che recitano una scena tra una (finta) matrigna e un (finto) figliastro arrapato…E poi nel mucchio censorio ci finiscono legali video porno violenti che violenti non sono per niente, quella è violenza finta, recitata secondo codici cinematografici, e però finiti nel cestino di Pornhub lo stesso! Insomma, sì alla pulizia, sì alla rimozione di video caricati e smerciati senza consenso e dei video con veri minori, ma si faccia attenzione al lavoro serio e lecito di persone che col porno ci vivono e ci pagano tasse e le bollette. Perché il porno sta cambiando, e il 2020, a causa della pandemia e della crisi economica, ha visto varie persone trovare in Pornhub e OnlyFans fonti di reddito esibendo liberamente il proprio corpo e la propria sessualità. Sono forme nuove di lavoro autonomo che meritano rispetto. Miro al cuore del problema: è ora che la politica si svegli, si renda conto che il mondo nato alla fine della Seconda guerra mondiale è morto, e non ieri, ma 30 anni fa!!! Abbiamo bisogno di inedite leggi che governino il mondo e il mondo sul web, e questo vale anche per i social e per nuovi reati che colpiscono le persone, come il revenge porn o il furto d’identità in rete».
Le identità dei soggetti, le metamorfosi relazionali, la percezione della corporeità, l'investimento dei desideri e le pratiche sociali in qual misura sono condizionati dalla pornografia?
«La pornografia cambia la percezione dei corpi perché nel porno non esiste un canone di bellezza. Una ragazza di 20 anni e una donna di 45, coi loro corpi il primo al massimo del suo splendore, il secondo segnato da cellulite e gravidanze, oggi nel porno hanno la stessa fattibilità di farcela. Nel porno un corpo magro e slanciato non vince su un corpo pieno. Nel porno non ci sono canoni predefiniti e il successo che nello showbiz stanno avendo le donne plus-size, nel porno ce l’hanno da anni. Il porno mette i corpi imperfetti accanto a quelli perfetti con medesimo glamour e dignità, e questo già negli anni ’70, con Long Jeanne Silver, ragazza con una gamba amputata e pornostar come le altre, e ti dico oggi, ad esempio con Demi Sutra, pornostar in ascesa, seppure sul suo addome alloggino due enormi voglie. È un fatto: il porno porta alla ribalta le donne in età: le pornostar over 40 e over 50 hanno nulla da invidiare alle colleghe più giovani e, esibendo corpi anche non rifatti, mostrano che le donne non perdono con gli anni la capacità di essere provocanti né il legittimo desiderio di continuare a vivere e a sperimentare la propria sessualità. E lo mostrano palesemente pure agli uomini!»
Le relazioni a mio parere sono nettamente cambiate per via dei social: tu dimmi oggi come si fa a credere alla monogamia quando via app si ha modo di soddisfare ogni capriccio, e ognuno è lusingato, e accerchiato da tentazioni?
«Però va pure detto che social e web offrono conoscenze importanti, basti pensare al velo che hanno tolto alle sessualità non etero e agli orientamenti sessuali non etero: vogliamo mica tornare indietro, quando una persona che si scopriva trans cadeva in un buio di paura e solitudine!?»
Rocco Siffredi partecipa all’«Isola dei famosi», Valentina Nappi esprime opinioni politiche, Malena è testimonial di un resort di lusso in Cilento. La pornografia è cultura pop?
«Le pornostar sono innanzitutto persone. Sono persone normali che hanno scelto di fare un lavoro speciale! E come ogni altra persona hanno o meno idee politiche, e le esprimono se vogliono. Il porno non può diventare pop nel senso declinato da Warhol perché per farlo dovrebbe snaturarsi, cioè eliminare la sua innata capacità di smuovere i paletti morali di cui parlavo prima. La TV ospita le pornostar secondo regole narrative del linguaggio televisivo, e regole però morali e moraleggianti, e, infatti, ci avrai fatto caso: Rocco è invitatosolo per il suo ruolo di marito e padre modello (lo è), Malena come opinionista che nella vita fa porno però, quando la presentano, mica lo dicono! Come se nessuno lo sapesse che è una pornostar!!! Valentina Nappi non è un personaggio, è una personalità: il suo carattere è strutturato, le sue idee politiche possono piacere o meno ma sono robuste. Lei è attaccata da chi ha il pregiudizio che una donna pornostar debba essere per forza una scema. Va da sé che io, da pornografa, sto a mio agio con Valentina Nappi, con Malena, con Martina Smeraldi, non con donne dal mainstream rappresentate quali virtuose e rispettabili».
Lei ha redatto Pornage: viaggio nei segreti e nelle ossessioni del sesso contemporaneo: un testo minuzioso e dettagliato, affatto omissivo. C’è qualcosa che cambierebbe a qualche anno di distanza?
«È come dici tu: il mio Pornage è un viaggio che non fa solo il lettore che sceglie di leggermi pagina dopo pagina, ma anche il viaggio che ho fatto io scrivendolo come persona. Poiché io non separo ciò che scrivo da ciò che sono, oggi riscriverei Pornage da capo, e non perché ne abiuri una virgola, ma perché dalla sua uscita sono cambiata io, sicché ho idee più ricche su ciò che sono e penso e scrivo. Ne so di più, perché ho vissuto di più, sono cresciuta attraverso il confronto avuto con gli altri, di più con le persone con cui ho fatto sesso (sia quelle che mi hanno fatto godere che non), di più ancora con chi ho voluto bene, per non parlare poi di chi voglio bene adesso…! In Giappone la legge non colloca demarcazioni, limiti, barriere alla tipologia di argomenti o di storie trattate, tuttavia vieta di palesare gli organi genitali al pubblico: per siffatta ragione nel porno, inclusi anime e manga, i genitali sono epurati con multiformi artifici grafici».
Quali sono le differenze più eclatanti tra Oriente ed Occidente?
«Ogni cultura, ogni società, esprime il suo concetto di porno. Il Giappone esprime una sua pornografia che a noi pare stramba perché noi lo abbiamo occidentalizzato, e il Giappone ci ha risposto a suo modo. Il Giappone è Occidente e, al tempo stesso, non lo è. Tu pensa al concetto di «peccato» associato al sesso: è un concetto ebraico-cristiano che con le religiosità giapponesi c’entra nulla. Il Giappone è un Paese che voglio vivermi, ci voglio andare, e solo per imparare. Si rimane allibiti da certi suoi manga, dai suoi sessi censurati (ancor oggi, che sul web puoi vedere tutto!), ma senti una cosa porno giapponese che credo in pochi sanno: l’industria porno nipponica è florida, e sai qual è uno dei suoi rami più produttivi? I porno dedicati agli anziani, girati da attori anziani, per un pubblico anziano che lo guarda più che volentieri. Questi video sono distribuiti anche nelle case di riposo, senza problemi. Noi questi… problemi li avremmo, e loro no. Culture diverse producono società diverse, quindi porno diversi, per pubblici diversi, ognuno con la sua propria porno-identità».
· Dildo & Company: gli accessori del sesso.
Dal “Fatto Quotidiano” il 7 giugno 2021. La notizia della settimana era in hompage sul sito di Repubblica, sezione "moda e beauty". Racconta l'imprescindibile esperienza di una lettrice del quotidiano - Anastasia - che ha voluto comunicare la sua soddisfazione per l'acquisto di un dildo e ha sentito il bisogno di metterne al corrente il maggior pubblico possibile. Già dal titolo, malgrado l'incerta concordanza verbale, capiamo di essere di fronte a un importante momento di giornalismo: "Anastasia: 'Ho comprato il mio primo sex toy e mi chiedo perché non lo abbia fatto prima'". La testimonianza di Anastasia è davvero preziosa: "Non riesco quasi a descrivere la gioia che ho provato quando è arrivato quel pacco. Lo so, è una cosa che per molte e per molti sembrerà di poco conto. Ma in quell'esatto momento ho realizzato di aver fatto qualcosa per me stessa, fregandomene del potenziale giudizio altrui, e mi sono sentita libera. Cosa ho fatto? Mi sono regalata un sex toy. Un oggetto del piacere. È carino, leggero, funzionale. Soddisfa i miei desideri".
Barbara Costa per Dagospia l'11 giugno 2021. Hai mai visto un caz*o dentro a un piede? Ce l’hai mai messo? No, però ti piacerebbe farlo! Se hai simili strani desideri, sei un feticista dei piedi di una categoria speciale, non solo ti eccita un piede in quanto tale, ma hai proprio (l’in)sano desiderio di possederlo sessualmente. Se per te la masturbazione del pene a opera di due seducenti piedini femminili è pura accademia, è solo un preliminare, puoi sfogarti con i piedi-sex-toys che facilmente trovi sul web. Sono piedi masturbatori del pene, hanno una finta vagina riprodotta sul tallone, sulla pianta, e c’è pure il modello con vagina riprodotta sulla caviglia. Sono realizzati in silicone morbido, atossico, sono lavabili e, per chi è feticista dei piedi ma non li vuole possedere e però sta insieme a qualcuno dai piedi orribili, o che si nega a farglieli baciare, odorare, leccare, trova in commercio i più vari sex toys di piedi possibili, iperrealistici, con unghie da smaltare, e applicabili in diversa forma e lunghezza. Se tu sei stufa di fare fellatio al tuo partner sempre allo stesso modo, o ne è stufo lui di ricevere la stessa orale minestra, scegli un paradenti per il sesso orale! Trattasi di un paradenti dotato di vibrazione sulla parte anteriore che poggia contro il labbro superiore di chi lo indossa. È assai scomodo, di certo non sarai sexy con questo "coso" in bocca, e però chi riceve simile omaggio orale potenziato, ti ringrazierà. Per sensazioni orali alternative, ci sono le caramelle sfrigolanti che, sciolte in bocca, a contatto col pene che si succhia, gli provocano irresistibili sfrigolii. Al gusto che si preferisce. Col consenso del partner, si può sperimentare uno strap-on da viso: valido per analmente possederlo mentre ci si prende una pausa con la bocca, scegliete bene la misura del fallo finto che, vi avverto, è difficile da manovrare, malagevole, e esteticamente brutto. Ma a tanti uomini piace…Se hai una partner che ti spompa in preliminari, per accenderla ci vuole dedizione infinita, e non ce la fai più, risolvi con i guanti dentati che, passati sulla pelle, accarezzandola da ogni parte, risvegliano i sensi i più assopiti e lenti. Ci sono anche guanti che riproducono, per ogni dito, dei mini dildo: ogni dito si trasforma così in un giocattolino a sé, acquistando una sua forma dildesca. Se proprio non sai come saziare la tua lei a ditalini, fatti furbo e indossa un ditale vibrante: è come un secondo dito nella vagina, ma bello grosso e palpitante. E se ancora sei alle prese con una vagina insaziabile, opta per un estensore del pene a 32 denti, che arriva al clitoride (pare) senza problemi. Utile pure per chi soffre di eiaculazione precoce. Ovviamente ogni estensore di pene e di dita fa il suo dovere anche dentro ani maschili (i guanti li trovi di ogni misura, idonei a mani femminili anche molte piccole). Capitolo masturbazione: mie care Dago-lettrici, vorrei segnalarvi la presenza di pucciosissimi vibratori a forma di coniglietto rosa, elefantino rosa, piccolini, silenziosissimi. E ve ne sono a forma di foglia, "grandi" come un mouse, e come una foglia si appoggia sul sesso, e via telecomando o via app si comanda il movimento come e quanto si vuole. Godimento assicurato. Il vibratore elefantino rosa ha vibrazioni anche a bacchetta, è vivacissimo, ha 4 diverse "proboscidi", ottime per la stimolazione dei capezzoli (per i quali sono in commercio perfino strambi morsetti a due mani). Ditemi voi come si fa a resistere al vibratore a forma di zampa di gatto, (a ricarica USB, e 10 tipi di vibrazione) ma pure a quello a forma di coniglietto, che sta in una mano, orecchie comprese, e occhi e naso sono i suoi pulsanti di controllo. In bagno, in vasca o in doccia, chi non ha la paperella gialla… col caz*o? Guardala in foto, che altro dire? È identica alle paperelle giocattolo, con in più "quella" estremità a funzione "diletto" per masturbazioni soliste o in compagnia, tra onde e schiuma. Per chiunque voglia masturbarsi mandando al diavolo tutto e tutti, ecco il dildo "fuck you". È una mano, col dito medio alzato. Sezione masturbazione fetish: per chi ha voglia e necessità di piaceri eccessivi, ma solitari, ecco il dildo per il fisting fai da te. A pugno o a mano racchiusa, anche insieme, a doppia estremità, però mi raccomando, da usare solo se si è esperti, e con estrema cautela. Ma per glory-hole solisti davvero alternativi, la linguona che si attacca a ventosa alla parete, o al tavolo, lunga ben 18 cm! Per piaceri anali a bomba, plug anali a forma di granata, e per chi non è vegano, plug anali a forma di coscia di pollo! Il "Dildo-cobra" fa paura solo a guardarlo. Per feticisti onanisti zoofili, pupazzoni a forma di mucca, pecora, agnello, di plastica, gonfiabili, da sc*pare a grandezza naturale (quasi).
Dagospia il 24 ottobre 2021. Estratti di “Virilità” (ed. Liberilibri), di Harvey Mansfield, pubblicati da “La Verità”. Che cos'è la virilità? Conviene partire da esempi concreti che già conosciamo: gli eroi dello sport, troppo numerosi per poterli nominare tutti qui; Margaret Thatcher (come? Virile, una donna?), ex primo ministro della Gran Bretagna, oggi considerata la donna più potente della nostra epoca; Harry S. Truman, il presidente degli Stati Uniti famoso per i suoi severi richiami al senso di responsabilità; Humphrey Bogart in Casablanca, nel ruolo del cinico e risoluto Rick, cool prima ancora che la parola cool diventasse di moda; gli agenti di polizia e i pompieri di New York, che l'11 settembre 2001 diedero prova di grande coraggio. La virilità cerca il dramma, è pronta ad accoglierlo, predilige tempi di guerra, conflitti, situazioni di rischio. Innesca il cambiamento o viceversa ripristina l'ordine quando la normale routine non è più sufficiente, le strategie falliscono, la fiducia nel controllo razionale della scienza moderna si incrina. La virilità è l'ultima carta da giocare, la risorsa cui attingere prima di cedere alla rassegnazione e alle preghiere. Oggi viviamo in una società che ha finalmente accolto un modello di giustizia radicalmente nuovo: la neutralità di genere. In questa nuova società - la società sessualmente neutra - l'identità sessuale non determina i diritti e i doveri del singolo né il suo ruolo, ma è diventata piuttosto un ostacolo irrazionale al compimento della piena libertà e dell'efficienza sociale poiché, subordinando la donna all'uomo, non consente di trarre vantaggio anche dalle sue capacità. La virilità, qualità attribuita di fatto a uno solo dei due sessi, impedisce che vi sia una distribuzione equa, o comunque razionale, di compiti e ricompense tra uomini e donne; sembra quasi che incoraggi un pregiudizio di superiorità degli uni sulle altre. Proprio da qui prende le mosse il mio libro, dalla virilità intesa come ostacolo irrazionale a un progetto razionale mirato a rimuovere quel pregiudizio. Il mio obiettivo, tuttavia, è riuscire a convincere i lettori più scettici (soprattutto le lettrici più istruite) che vale l'esatto contrario: la virilità, in tutta la sua irrazionalità, merita di essere difesa dalla ragione. [...] La virilità merita una «moderata difesa» che tenga conto dei pregi e dei difetti che ciascuno può riscontrare in essa. Siamo tutti pronti a elogiare la necessità dei suoi risvolti positivi (la virilità dei soccorritori dell'11 settembre) e siamo altrettanto pronti a bollare come assolutamente non necessari quelli negativi (la virilità dei terroristi delle Twin Towers). Ma è possibile avere gli uni senza gli altri? In genere, ciò che è buono, pensiamo ad esempio al vino francese, è buono nella maggior parte dei casi e solo accidentalmente cattivo. Nel caso della virilità, invece, le proporzioni cambiano: la virilità sembra essere per metà buona e per metà cattiva. Forse è buona perché è anche l'unico antidoto contro i problemi che essa stessa causa. Ecco cosa intendo quando dico che va difesa con moderazione. La virilità riguarda tutti noi da vicino, è qualcosa che chiunque può riconoscere. Il senso comune ha molto da dirci sulla virilità e io condivido gran parte di quello che dice. Mi piace la schiettezza con cui difende gli stereotipi sui due sessi. Non provo invece altrettanta simpatia per le due discipline scientifiche che studiano la virilità, la psicologia sociale e la biologia evoluzionistica, sebbene entrambe confermino ampiamente gli stereotipi del senso comune. Gli studi degli psicologi sociali si prestano bene a smentire chi sostiene che non esistono differenze tra i sessi o che, se anche esistessero, sarebbero facilmente superabili; e poi c'è un innegabile fascino nel veder dimostrate in modo oggettivo piccole ma significative differenze tra le modalità con cui uomini e donne affrontano le stesse situazioni nella vita di tutti i giorni. Si tratta di differenze evidenti per chiunque si prenda la briga di osservare e che già sono diventate degli stereotipi. Ma è sempre rassicurante constatare come il metodo scientifico conduca a confermare fatti che già conosciamo. Tuttavia, rimango alquanto critico nei confronti del modo in cui la scienza tratta la virilità. Sia la psicologia sociale sia la biologia evoluzionistica, infatti, si occupano soltanto della manifestazione più rozza della virilità, l'aggressività, ignorando del tutto, invece, il fenomeno dell'assertività virile. Un uomo virile si fa valere affinché la giustizia in cui crede non resti inascoltata. Si espone per richiamare l'attenzione su ciò che ritiene importante, talvolta su questioni molto più grandi di lui (come la natura e il valore della civiltà occidentale, nel caso delle forze dell'ordine di New York e dei fascisti islamici). Di fronte a questioni così grandi e così importanti per l'essere umano, queste due discipline, e più in generale tutta la scienza, mostrano di sentirsi a disagio. Si tratta di un grave limite per lo studio della virilità, un limite che ritengo inaccettabile. Il fatto è che la scienza non è neanche in grado di comprendere a fondo l'aggressività, visto che ignora completamente il thumos, fenomeno noto a Platone e Aristotele ma in seguito abbandonato perché sfigurava nel programma della scienza moderna. Il thumos è una qualità dell'animo, presente sia negli esseri umani sia negli animali, che spinge gli uomini, in particolare gli uomini virili, a rischiare la vita per salvarsi la vita. Si tratta di un paradosso ben familiare a chiunque abbia mai provato la fame. Eppure, quasi non se ne trova traccia nella letteratura scientifica sulla virilità. Siccome la virilità vive di quel paradosso, deve essere necessariamente più complessa del banale istinto all'aggressione, alla dominazione e all'autoconservazione a cui la scienza cerca sempre più di ridurla. [...] La maggior parte degli studi scientifici si preoccupa di individuare caratteristiche presenti in tutti i maschi, rimanendo così schiacciata su un minimo comun denominatore che forse coincide più con un concetto di mascolinità. La virilità conosce invece gradazioni diverse. Non è un caso se gli uomini virili sono portati a esprimere giudizi avversi non soltanto verso le donne, ma anche verso quei maschi che non corrispondono ai loro standard. A un certo livello, la virilità è probabilmente una caratteristica comune a tutti i maschi; a un livello superiore, invece, è propria soltanto del circolo ristretto degli uomini più virili, di cui potrebbero far parte anche alcune donne. A un livello ancora più alto, poi, la virilità diventa una virtù (anche se poco fa ho affermato che in realtà è qualcosa di neutro, a metà strada tra il buono e il cattivo): la virtù dei coraggiosi, o forse dei gentiluomini. E, salendo ancora, può addirittura assurgere ad attributo del pensiero, come coraggio di opporsi all'opinione convenzionale. Non intendo far mio il mestiere di chi denuncia il tramonto dell'ideale del gentiluomo nella società contemporanea. Posso anche mostrarmi solidale con quanti si impegnano in questa battaglia, ma ritengo che il concetto di gentiluomo in realtà presupponga quello di virilità e a essere in crisi, oggi, è proprio la virilità. Chi volesse sapere cosa significa essere un vero gentiluomo può leggere il Tom Jones di Henry Fielding, che ne offre un bell'esempio nel personaggio di Squire Allworthy. È vero, oggi un uomo deve lottare per affermare sé stesso, ma il vero problema non è trasformare un uomo in un gentiluomo, bensì capire cosa significa essere uomo. Se pensiamo a quanti uomini virili sono grezzi e rudi, allora la virilità è sicuramente qualcosa di più basso rispetto a un gentiluomo; se però pensiamo alla virilità così rara e poco celebrata dei filosofi, allora capiamo che può anche essere qualcosa di più elevato.
Barbara Costa per Dagospia il 5 dicembre 2021. Più grande non è meglio? Più grande non va bene più? Non tira più, non piace più, e perché? Che sta succedendo, ci stiamo porno deprimendo, impigrendo, accorciando? Ad ogni modo, ecco i fatti: AEBN, il sito che monitora le nostre mutande, cioè il sito che segue tutti i nostri porno-viaggi in rete, e che da 22 anni delle nostre gite onanistiche fa statistiche, ha pubblicato un report allarmante: nel porno la categoria "Big Cock" è in caduta libera, la si sceglie sempre meno, chi vi tappa per masturbamente divertirsi è fuori moda, un matusa, un demodé, un romantico legato a una visione di un pene grosso del tempo che fu. Che si fa? Come si risolve? Con un bel sospiro e la tranquillità che dà una giusta visione delle cose: la ricerca pubblicata è vera, e innegabile, e però AEBN precisa che la "penosa" situazione non è grave come potrebbe sembrare: se è un fatto che la categoria "pene grande" non è più cercata come prima (e forse mai più si alzerà ai picchi del 2007, e del 2010, quando pareva non potesse esserci porno e specie anal senza un pene o più peni esagerati), è più esatto dire che oggi, nei siti porno free, la categoria "pene enorme" è sparpagliata e non è più quasi una categoria a sé, nel senso che quasi in ogni video che non sia amatorial c’è in azione un pene al di sopra della media. Se i peni nel porno professionale segnano una lunghezza mediamente pari a 18 cm, e da questa non scendono (e una tale lunghezza – e proporzionata larghezza – servono, perché il pene nel porno è attore in sé, fa scena a sé, fa parte a sé, dacché deve essere visto, e bene, che va dentro e fuori dal sesso/ano/bocca, e sotto i 18 cm è molto difficile inquadrarlo come si deve e merita) i siti porno ormai riversano nella sezione "pene grande" un po’ tutti i peni di tutti gli attori e di tutti i tipi di scena, e ci sono siti che riservano al segmento "pene grande" peni davvero eccezionali, mooolto al di sopra della media, come oggi nel porno sono i 27 (sono di più?) cm del pornostar Dredd, i +30 di Mandingo, o dell’inglese Danny D. (che in realtà misura 24 cm, ma sembra un 30 data la magrezza del proprietario). Le sezioni "pene grande" sono piene di peni afroamericani, e sono le sezioni dove fanno la loro bella figura Rocco Siffredi e maturi colleghi che col loro spropositato "amico" hanno fatto fortuna: secondo AEBN, c’è un bel numero di persone che preferisce più i porno vecchi che nuovi di Sean Michaels (28 cm!), e di Lex Steele (24 cm). E c’è chi trova tuttora modo e motivo di eccitarsi coi peni porno d’epoca di Jamie Gillis e di John Holmes: son questi porno fruitori a cui non fa difetto la differenza coi porno che si giravano allora – coi peni di allora – rispetto a quelli impiegati sui set di oggi. Se un tempo i big cock nel porno scarseggiavano ma pure non erano così richiesti, perché i film erano girati con prospettiva in terza persona, con angoli di ripresa ampi, e le telecamere non enfatizzavano più di tanto i genitali, nel porno presente comanda il POV (punto di vista in prima persona), il gonzo (soltanto sesso, senza plot, conta la prestazione e chi la fa, pene compreso), e si usano luci e mirate inquadrature e messe a fuoco e angolazioni e posizioni per fare apparire un pene più grande di quanto già in realtà esso sia. AEBN pubblica i trends degli ultimi mesi, e qui i 5 attori etero più visti sono tutti sessualmente baciati da madre natura, e al primo posto c’è Isiah Maxwell (25,5 cm), seguito da Jax Slayher (25,5 cm) Prince Yahshua (26,6 cm), Rob Piper (26,6 cm), e Rico Strong (com’è che non trovo da nessuna parte i suoi centimetri di pene esatti…!?). Se c’è un pubblico a cui il pene grande piace sempre e comunque, e il pene grande è la prima qualità che esige e cerca nella scelta di un video porno, è quello gay. AEBN li smaschera e svela che è la dimensione del pene che guida le scelte dei video, e solo in un secondo tempo vengono sode natiche, e i volti, dei performer. La fascia di pubblico a cui un pene grande interessa poco e niente? Quella transex, per cui la sua presenza risulta un bonus. E non finisce qui. AEBN si è fatta gli affari dei più grandi siti di e-commerce, e ha scoperto che tra i dildo meno venduti ci sono quelli che hanno un fallo finto +22 cm. E che i dildo con un fallo tra i 20 e i 22 cm sono più comprati (e usati?) dai maschi, mentre le donne preferiscono giocare con dildo tra i 15 e i 17 cm. E che le donne sono più attirate da sex toys che vibrano e leccano il loro clitoride, garantendosi così gli orgasmi, e i soldi spesi.
Masturbazione, gli effetti sul sistema immunitario: leucociti, una scoperta decisiva. Libero Quotidiano il 20 dicembre 2021. La masturbazione fa male? O meglio, può avere conseguenze negative sul sistema immunitario? Stando ad alcun teorie, l'auto-erotismo potrebbe al contrario avere effetti benefici sul sistema immunitario, innalzandone le difese. Per certo dà sollievo allo stress, migliora l'umore e diminuisce la percezione del dolore, tre circostanze già appurate. Ma ci sono ancora molti dubbi e falsi miti, sui quali si può provare a indagare su basi scientifiche per provare a fare un po' di chiarezza in più. Gli studi che riguardano masturbazione e sistema immunitario sono però ancora pochi e molto spesso discordanti e proprio per questa ragione Medical News Today ha condotto un'indagine che è arrivata a qualche importante conclusione.
Per esempio dalle analisi di alcuni marcatori dopo un prelievo post-masturbazione maschile, è emerso che l'attività immunitaria aumenta temporaneamente. Nel dettaglio i leucociti diventerebbero più attivi dopo aver fatto auto-erotismo, migliorando così le difese dell'organismo. Queste prime indagini però sono state messe in discussione da parte della comunità scientifica, che ha messo in evidenza alcune criticità del metodo di analisi utilizzato. E così eccoci a uno studio più recente, del 2016, condotto sempre su un campione di uomini, che ha indagato sul rapporto tra eiaculazione e tumore alla prostata. Ne è emerso che chi eiacula con più frequenza vedrebbe ridurre il rischio di tumore prostatico. Con l'eccitazione infatti aumenta il rilascio di ormoni e questo, appunto, determinerebbe un rafforzamento delle cellule immunitarie. L'effetto è temporaneo, può durare fino a 24 ore dopo l'orgasmo e ha il suo picco nei primi 60 minuti. Mancano però ancora molti dati per avere un quadro completo, ma diversi studi sono tutt'ora in evoluzione ed attuazione.
Barbara Costa per Dagospia il 17 Dicembre 2021. Siamo quinti al mondo! In s*ghe! È un ottimo risultato, e non siamo nemmeno quelli a cui pene e clitoride non "durano", cioè si ammosciano subito, perché stiamo davanti a un video porno una media di 9 minuti e 43 secondi, durata non male e che non può essere messa in dubbio perché è voce e parte del "Report 2021 di Pornhub", la summa della somma delle visite che tutto il mondo – tranne Cina e Paesi dove internet è sotto controllo governativo – ha fatto su Pornhub, il sito di porno free più grande e più visto sul pianeta Terra. Pornhub da otto anni ogni anno pubblica il report annuale di come sul suo sito è porno andata, e l’Italia nel 2021 è il quinto paese al mondo per quantità di visite! Meglio di noi soltanto Stati Uniti, Regno Unito, Giappone, e Francia, ma poi ci siamo noi, noi che in questo 2021 abbiamo pure "tradito" Pornhub, e durante gli Europei di calcio, e specie la finale. Pornhub non lo freghi, Pornhub tutto sa, tutto monitora e mette in conto, nulla dei nostri gusti porno gli sfugge, e l’Italia segue un trend che è mondiale: se nel mondo la pornostar più vista è per il secondo anno consecutivo lei, Lana Rhoades, seguita per il secondo anno consecutivo da Abella Danger, l’Italia come gli altri si scopre Paese porno patriottico: "italian" è genere più visto e cercato, genere più amato, seguito da "dialoghi in italiano". I pipparoli sono patriottici e sono fedeli, e l’analisi dei porno-viaggi fatta paese per paese rivela una passione per le star nazionali (tranne in Svezia, dov’è "duro" l’amore che gli svedesi serbano al pornostar americano Johnny Sins). Ma, tornando all’Italia, quali sono le pornostar più viste nel 2021? La più vista tra tutte è lei, la nostra Malena Nazionale, Malena la Pugliese, seguita dal sorpasso che Martina Smeraldi fa su Valentina Nappi. Al quarto posto si piazza Danika Mori (che da pornostar italiana sezione amatorial, è settima in classifica generale, e qui onori alla nostra Nyna Ferragni, che è in amatorial Top 20), seguita dall’uccello indeteriorabile di Rocco Siffredi. Nel 2021, il pornostar maschio più visto è stato lo spagnolo Jordi El Nino Polla, ma la categoria che al mondo quest’anno ha fatto sfracelli è l’"hentai": si ha voglia di anime-porno, a discapito delle Milf (al secondo posto, l’anno scorso erano prime), si ha voglia di porno "romance", più dialoghi e clip di sesso realistico e con più interazione tra gli attori, e di porno di gruppo (+40%) e orge (+70 %), come si ha porno-desiderio di "asian", e di corpi abbondanti: le "culonas" sono al primo posto nei paesi del Sud America, i c*li grossi e ch*avabili sono i preferiti in Germania, la "gordinha gostosa" in Brasile. Chissà perché nel 2021 in Ucraina ha fatto un’enorme ascesa la categoria "cornuti" (+224%). Il porno segue e segna le abitudini della nostra vita, e Pornhub sa quando vai in vacanza e il porno lo guardi di meno e a orari diversi perché devi stare col partner, figli, gli amici (le categorie "scambismo" hanno registrato l’acme la scorsa estate). Il porno è sempre più legato a quanto succede sui social, e infatti se va in down Instagram ci si consola in massa su Pornhub (vedi il picco dello scorso 4 ottobre, giorno di down social). Se ogni settimana in giro per i social c’è una nuova "sfida", le ricerche su Pornhub dei più di 500 generi porno facenti parti di una qualsiasi "sesso sfida" ("prova a non sb*rrare", su tutte) hanno fatto il botto nel 2021, con un +255%. Un +244% registrano le ricerche dei porno "come", e che sono i video di Pornhub che insegnano ad esempio "come squirtare", "come succhiare il caz*o", "come mangiare la f*ga", "come farla venire", "come mettersi il condom", ma pure "come radersi le p*lle". La categoria "insegnante" è entrata nella Top 20 2021, e per questo motivo: tanto si deve ai video di vere lezioni di matematica che Changsu, insegnante di Taiwan, carica su Pornhub, e che di sesso hanno nulla, sono solo lezioni, le quali riportano milioni di visite. Se le donne in generale e le italiane in particolare si cercano su Pornhub corpo e prestazioni di Manuel Ferrara, le donne guardano meno penetrazioni ma tanto "leccate di f*ga" e "ditalini", e ne avevate dubbi? Le donne guardano ciò che nella realtà a letto le fa godere, e se però nelle Filippine le donne superano gli uomini quanto a presenza su Pornhub (52% a 49!), ragazze mie, italiane, datevi una sveglia, perché qui siamo ferme a un misero 29%. Il BDSM è genere di nicchia su Pornhub e quest’anno ha sommato l’1,5% delle ricerche generali. È però più visto dalle donne, con età pari e superiore ai 55 anni, e tanto a Hong Kong, Svizzera, Germania, Austria, e Paesi Bassi. Pornhub sa che in Italia come nel mondo il porno si guarda sullo smartphone (83% nel mondo, 93% in Italia), in sistema operativo Android, su browser Chrome, e Safari. Pornhub sa che in Italia come altrove sui porno si sta tanto la sera (dalle 22:00 all’1:00), le mattine dei weekend, di meno il venerdì. Pornhub lo sa che in Italia c’è il calo durante la cena della vigilia di Natale (ma solo la prima ora), nel pranzo di Natale (ma ci torniamo il pomeriggio), mentre non ci siamo per nessun porno la notte di Capodanno. Se negli USA la sera in cui Pornhub può pure chiudere è quando si gioca la finale Superbowl (e quest’anno la Florida, stato della squadra che lo ha vinto, ha garantito il picco dopo, festeggiando a pornate), in questo 2021 in Europa ci sono state 4 persone che per 2 volte hanno dato rogne a Pornhub, togliendogli spettatori. Chi sono? I Måneskin, i quali hanno catalizzato l’attenzione la sera del 22 maggio in Europa quando hanno vinto l’Eurovision (e in Italia e specie in Puglia, regione che per Damiano ha più mollato Pornhub, al contrario della Sardegna), ma pure e di più durante l’evento annuale che Pornhub è da tempo che lo sa, che non c’è niente da fare, l’italiano non si s*ga, no, quelle 5 sere di seguito sta incollato alla tv, perché… c’è il Festival di Sanremo!
Dagotraduzione dall’articolo di Tracey Cox per il Daily Mail il 26 dicembre 2021.
Ricordi com’era flirtare? Attirare l'attenzione di qualcuno con qualche battuta spiritosa? Sedurre con uno sguardo sensuale? Guardare negli occhi un estraneo e sentire le scintille volare?
Se seriamente non riesci a ricordare l'ultima volta che hai fatto una delle cose qui sopra, unisciti al club: abbiamo TUTTI dimenticato come flirtare.
Possiamo farcela ancora? Chiacchierare con qualcuno è come andare in bicicletta? Le persone sono così aperte ad essere avvicinate come una volta?
La buona notizia è che, sebbene alcune cose siano cambiate, la nostra sete di connessione non è mai stata così alta.
Ecco alcuni consigli pratici su come riavere il TUO amato flirt in quattro classiche situazioni di seduzione.
Una volta eri in grado di flirtare tra le scrivanie o nella stanza del caffè. In questi tempi è tutto online e davanti alla telecamera.
Se è una cosa di lavoro...
Cerca di sembrare fantastico, mira a qualcosa che sai possa mettere in risalto la parte migliore del tuo corpo dalla vita in su. Un top o una giacca che mostri le spalle muscolose, un reggiseno che mostri il seno (senza mostrare scollature), anelli per agghindare dita lunghe ed eleganti. Mantieni il trucco sottile e usa il filtro bellezza Zoom (impostato a metà non pieno).
Usa l'illuminazione ad anello. La luce naturale è la cosa migliore, ma in questo periodo dell'anno è difficile averne! Ottieni la giusta angolazione della telecamera: guarda la telecamera in alto e non in basso.
Cerca di avere senso dell'umorismo: niente è più seducente di qualcuno che fa ridere. È un lavoro, quindi non puoi essere il pagliaccio della classe, ma puoi mantenere le cose leggere e allegre e fare lo scherzo strano se appropriato.
Indossa qualcosa di seducente nella metà inferiore: nessuno può vedere che hai abbinato quel maglione innocente a mutande sexy e tacchi alti / nient'altro che un paio di Calvins, ma funziona davvero per farti trasudare energia sessuale e sicurezza.
Trova una scusa per tenere online il tuo obiettivo una volta che tutti gli altri lasciano la riunione: dì o invia un messaggio privato: «Devo discutere un'altra cosa con te John che non è davvero rilevante per nessun altro. Puoi restare una volta che abbiamo finito?». Una volta che siete voi due, inventate una scusa inconsistente che sia ovviamente inventata, poi dite «OK, quindi ho mentito. Mi è venuta voglia di fare due chiacchiere solo noi due'».
Fai qualche battuta sui tuoi colleghi, chiedi cosa farà per Natale, fai una domanda su qualcosa del suo passato. Offri il tuo numero di telefono, nel caso in cui debba contattarti fuori dall'orario di lavoro. A meno che non siano completamente all'oscuro, capiranno che sei interessato a essere più di un semplice collega.
Usa il loro nome: “Sono d'accordo con Sofia”, “Matt ha perfettamente ragione quando lo dice”. La scienza dimostra che il nostro cervello scatta sull'attenti quando sentiamo il nostro nome; è anche una spinta per l'ego essere nominati personalmente, in particolare se c'è un complimento allegato.
Ottieni il contatto visivo giusto: Zoom è strano: stai guardando direttamente la persona che puoi vedere sullo schermo ma, per loro, sembra che tu stia guardando altrove. Dipende tutto dall'angolazione della telecamera. Sembra controintuitivo, ma se guardi la telecamera, piuttosto che la persona, guarderai direttamente nei suoi occhi.
Trova una scusa per incontrarlo: ancora una volta, trova una scusa per un messaggio privato, chiacchiera un po' di cose di lavoro e poi parla di ciò che ami fare: cucinare, mangiare, passeggiare nel parco, guardare film. Chiedi se anche a loro piace farlo. Anche se le restrizioni vengono reintrodotte, è probabile che tu possa incontrarti per un caffè/un vin brulé nel parco. Non è necessario chiedere loro ufficialmente un appuntamento.
Pensa a un posto centrale per voi due e di: «Ehi, questo mi ricorda, vado a vedere questo film/sarò in questa parte della città sabato". Se ci sei, perché non vieni anche tu». Questo lo mantiene volutamente sul vago: non è chiaro se è una cosa solo per voi due o se state invitando anche altri amici. Molto meno irritabili se rifiutano l'offerta!
Se siete solo voi due...
Vestiti davanti alla telecamera: fai finta di essere in ritardo e dì: "Guarda lontano per un secondo, ho solo bisogno di cambiarmi il top". Se sei coraggioso, ti spoglierai fino alla biancheria intima/a petto nudo, in caso contrario, rivelerai brevemente una canotta attillata e lusinghiera.
Avere qualcosa di sexy in vista in background. Una stampa o una fotografia erotica, un libro dal titolo provocatorio, una figurina nuda. Alzalo di diverse tacche stendendo con disinvoltura la biancheria sullo schienale di una sedia o di un divano.
Inclina la testa di lato: è qualcosa che facciamo quando siamo interessati a ciò che l'altra persona sta dicendo - ed espone il nostro collo, una sottile zona erogena. Se hai i capelli lunghi, spingili tutti da un lato e tienili lì. Ti fa sembrare civettuolo ma anche vulnerabile.
Sii curioso: la maggior parte delle persone è lusingata se fai domande su di loro: tutti amiamo parlare di noi stessi! Inizia con il solito: dove vivono, hanno un animale domestico, come li ha colpiti la pandemia. Poi diventa più audace: come hanno fatto a non essere in grado di uscire con qualcuno, ecc.? Inventa una storia divertente sull'interruzione accidentale della tua coinquilina/sorella che fa sesso su Zoom. Apparizioni sessuali sfacciate e crude non ti porteranno da nessuna parte: menziona la parola "sesso" in un contesto relativamente innocente e susciterai il loro interesse con classe.
Sii giocoso: le prese in giro gentili sono un ottimo strumento per flirtare. Osserva attentamente la loro reazione, però, e sappi quando tirarti indietro se hai superato il limite da carino a fastidioso.
Sii l'unico a terminare la conversazione in modo che restino a volere di più. Fallo prima di essere naturalmente arrivato alla fine della chat e di fare quell'imbarazzante "Comunque, si sta facendo tardi". Dì qualcosa di divertente: "Il mio cane mi ha letteralmente lasciato cadere l'apriscatole in grembo. Penso che farei meglio a dargli da mangiare'. Allora vai. Rapidamente.
Morditi il labbro: fallo mentre stabilisci un contatto visivo diretto. Mordersi il labbro è qualcosa che facciamo inconsciamente quando stiamo pensando E quando siamo eccitati sessualmente da qualcuno. Non sanno con certezza quale sia, il che aumenta la tensione sessuale. Oppure dì "Non preoccuparti di me" e applica un balsamo per le labbra o un gloss, usando lo schermo come uno specchio. Imbronciato provocatoriamente.
Pianifica lo zoom per il tempo libero: le persone si comportano in modo diverso di notte rispetto a durante il giorno. Suggerisci a entrambi di fare un salto per prendere un bicchiere di vino, dopo aver parlato un po', per farlo sembrare più un appuntamento.
Supponendo che tu non stia lavorando per il governo, potresti introdurne una di nascosto. Ottime notizie se succede perché la combinazione di lasciarsi andare combinata all’alcol, rende la maggior parte delle persone (single) aperte alle avance (e, purtroppo, anche quelli che non lo sono).
Usa "noi" appena puoi. «Ingrasseremo se mangiamo tutto questo, no?». «Ci facciamo un altro drink?». Il collegamento di voi due in modo subliminale fa nascere l'idea di collegarsi in altri modi.
Le persone popolari tendono ad avere volti animati ed eseguono un flusso costante di espressioni quando parlano o ascoltano. Non solo le espressioni facciali ravvivano le nostre storie, ma fanno sapere agli altri l'effetto che le loro hanno su di noi. Le espressioni sono contagiose: sorridi e il mondo sorride davvero con te!
Qualcuno da cui sei attratto può toglierti il fiato in senso letterale. Quando siamo nervosi o eccitati, spesso smettiamo di respirare. Privato dell'ossigeno, non riesci a pensare con lucidità e la tua voce esce acuta e strozzata. Non è il suono più sexy del mondo. Fai respiri lenti e profondi e sembrerai (e ti sentirai) rilassato.
Non distogliere lo sguardo se qualcun altro si unisce alla conversazione. Invece, fissa negli la persona che ti piace e tienila lì, anche quando ha finito di parlare o un'altra persona inizia. Quando alla fine trascinerai lo sguardo (tre o quattro secondi dopo), fallo lentamente e con riluttanza. Questo è qualcosa che è semplice da fare, intensamente lusinghiero e, se fatto bene, ti toglierà il fiato.
Guarda la sua bocca: più siamo attratti da qualcuno, più tempo passiamo a guardare la sua bocca. Stiamo inconsciamente pensando a come potrebbe essere baciarla (tra le altre cose).
Metti qualcosa tra le labbra: una cannuccia, l'estremità degli occhiali, (se sei coraggioso) il dito. Mettere qualsiasi oggetto contro le nostre labbra fa immaginare alla persona con cui stai parlando di baciarti.
Siete un gruppo, in una stanza, e siete costretti a stare insieme per almeno qualche ora: è il campo da gioco perfetto per flirtare.
Rispecchia il loro linguaggio del corpo: è lo strumento di flirt più efficace a tua disposizione. Abbinando o imitando i suoi movimenti, inconsciamente gli stai dicendo che sei come loro e allo stesso livello. Non imitare, rispecchia l'umore. Se si sporge in avanti, tu ti sporgi in avanti; se mette le mani sul tavolo, fai lo stesso.
Toccalo: il momento giusto per istigare il tuo primo tocco è in risposta a qualcosa che l'altra persona ha fatto o detto: se ti fao ridere, se dice qualcosa per sorprenderti o deliziarti, se rivela qualcosa di intimo o esprime un’opinione su cui sei particolarmente d'accordo, è il momento di toccarlo. Inizia toccando il dorso della mano, l'avambraccio, la parte superiore del braccio o la spalla. Se il tuo tocco sembra gradito, mentre la notte continua, siediti abbastanza vicino da permettere alle tue braccia di toccarsi, premi casualmente la tua coscia contro la sua, muovi un piede in modo che sia vicino al suo. Se è interessato, contraccambierà entro pochi minuti. Se è troppo timido per ricambiare, sembrerà visibilmente deluso se crei distanza.
Registrati: la prossima volta che sei con un amico, registra 10 minuti della conversazione (con il suo permesso). Ascolta di nuovo. Dici cose sensate, parli in modo coerente, dai all'altra persona la possibilità di parlare? Tutti noi abbiamo parole e frasi preferite che usiamo troppo: quali sono le tue? Com'è il tono? Regolalo se necessario.
Crea un passato condiviso istantaneo: fai riferimento a tutto ciò che è già successo tra di voi. Diciamo che hai quasi rovesciato un bicchiere di vino rosso mentre chiacchieravi prima di sederti. Più tardi, parla di quanto sei goffo e dì: "Pete/Rachel lo sa tutto, vero Pete/Rachel?" con un sorriso complice. Il resto del gruppo si chiede: 'Cosa è successo tra quei due?' contrassegnandoli come "voi". Sembra che tu abbia una storia condivisa anche se quello che è successo è irrilevante.
Fai un complimento che sia del tutto individuale: «Hai degli occhi stupendi» è carino ma difficilmente memorabile, «I tuoi occhi sono la tonalità di blu più vivida che abbia mai visto» lo è.
Seducila prestandole il tuo cappotto o maglione: è un gesto protettivo e sexy che dice: «Mi impegno a restare in giro per riprendermelo». Qualcosa che è stato vicino alla tua pelle ora è vicino alla sua.
Seducilo attraverso stuzzicanti inconsci: incrocia un braccio liberamente sulla vita e sostieni il gomito dell'altro braccio tenendolo a coppa con la mano. Ora solleva il braccio supportato finché le dita non toccano il petto, quindi accarezza leggermente la clavicola. Mantieni il contatto visivo e lascia riposare la mano quando hai finito. Questo attira sottilmente l'attenzione sul tuo seno e gli fa sapere che sei interessato a qualcosa di più senza diventare troppo forte o essere sfacciato.
Ciò richiede mosse più sfacciate e senza esclusione di colpi. Se sei in giro, devi agire in fretta perché non c'è modo di dire per quanto tempo il tuo obiettivo intende restare in giro.
Dagli il via libera per avvicinarsi: guarda direttamente la persona, sorridi e gira il tuo corpo verso di lui o lei. Se qualcuno sta facendo lo stesso con te - guardandoti, di fronte a te e sorridendo - è ufficialmente aperto a essere avvicinato. Assicurati che il tuo linguaggio del corpo sia aperto. Non tenere il bicchiere in alto davanti a te come scudo, non incrociare le braccia e non stare in piedi con le gambe leggermente divaricate.
Non aver paura di fare la mossa da solo. Se fai parte di un gruppo di amici misti, ci vuole un coraggio eccezionale perché qualcuno venga a chiacchierare con te senza sapere se sei già attaccato a qualcun altro.
Usa i tuoi amici come scusa: dì : «Il mio amico Jane/John è stufo di sentirmi parlare di quanto sei carino/bello e mi ha fatto venire a salutarti anche se sono sicuro che qualcuno come te ha già un partner». È la frase meno rischiosa. Offre un complimento, suggerisce che non rimarrai in giro se non sei il benvenuto e gli dà una facile uscita.
Fai finta di parlare con il tuo migliore amico. Cosa diresti se il tuo migliore amico fosse la persona accanto a te al bar? Qualcosa del tipo: «Quanto tempo pensi che passerà prima che il barista arrivi da noi?». «Quanto fa caldo qui dentro?». «Quanto sono belli i capelli/il top/l'abito di quella persona!». Le persone si fissano pensando che la prima cosa conversazione debba essere intelligente. Dì qualcosa che sia naturale nel contesto in cui ti trovi.
Metti in chiaro cosa c'è in offerta: vuoi fare sesso proprio lì e poi? O sei interessato a una relazione? Qualunque sia lo scenario che si applica a te, determina ciò che verrà dopo (ehm!). Chiedi di prendere in prestito il suo telefono, digita il tuo numero, dai un bacio sulle labbra (o uno più covid-friendly) e lascia che ne vogliano di più. Oppure guardalo dritti negli occhi e dì: «Penso che dovremmo andare in un posto più privato. Cosa pensi?».
· Durante il sesso.
1) POSIZIONE DELL'INCUDINE - La donna si trova sotto e poggia le gambe distese sulle spalle del partner, facilitando la stimolazione del punto G.
2) TORO SEDUTO - Questa volta, l'uomo è seduto a gambe piegate e divaricate. La compagna si siede su di lui nella stessa posizione. In questo caso la penetrazione sarà più profonda.
3) L'ANDROMACA - È la posizione più tradizionale, ma anche tra le più amate. L'uomo sdraiato e la donna sopra. Lascia grande libertà di movimento.
4) L'ELEFANTE - In questo caso, la donna è supina e l'uomo dietro di lei. Il piacere è assicurato.
Da ilmattino.it il 13 dicembre 2021. «Ho preso troppo Viagra per incrementare la mia vita sessuale, ma gli effetti collaterali mi stanno rovinando la vita», è la confessione di un lettore che ha scritto alla nota rubrica del tabloid The Sun “Dear Deidre”. L’uomo ha spiegato di aver preso la famosa pillola blu e di essersene pentito. «Pensavo che il Viagra fosse la risposta ai miei problemi di erezione, ma l'ultima volta che ho usato le pillole blu è stato disastroso. Ho avuto un'erezione imbarazzante che non finiva. Non ho potuto prendere mio figlio a scuola a causa dell'assunzione di troppo Viagra», ha raccontato. Poi ha chiarito: «Inizialmente sono stato contento dei risultati. Il Viagra mi ha aiutato a recuperare il mio vigore in camera da letto con una donna straordinaria, ma di recente è andato tutto storto perché non avevo dormito bene e ho preso qualcosa in più per precauzione. Il risultato è stato un furioso mal di testa e un'erezione che è durata ore. Avevo preso il triplo di quanto mi aveva prescritto il medico». «Ho 52 anni - continua - e la mia amante 47. Mia moglie, che ha 50 anni, e io stiamo attraversando un brutto momento da due anni e ci siamo separati, ma viviamo ancora insieme. Eravamo d'accordo che potevamo andare a letto con altri partner purché fossimo discreti al riguardo. Avevo avuto problemi di erezione con mia moglie, quindi ero preoccupato di non essere in grado di fare sesso con la mia nuova partner». «Entrambi abbiamo avuto orgasmi incredibili, ma dopo che se ne è andata, sono rimasto con un'erezione dolorosa. È stato terribile, perché non potevo andare a prendere i miei figli a scuola. Sono rimasto a casa a letto fingendo di avere mal di pancia. Ora sono preoccupato di aver causato danni a lungo termine a me stesso e se non posso prendere il Viagra non sarò in grado di fare sesso», ha concluso. «Torna dal tuo medico di famiglia e spiega cosa è successo. A volte togliere il sesso per alcune settimane è sufficiente per incoraggiare il ritorno delle normali risposte sessuali», ha risposto Deidre.
Da leggo.it il 14 dicembre 2021. Una giovane coppia fin troppo rumorosa, non solo negli amplessi consumati giorno e notte, sta esasperando i vicini. Ed uno di loro, imbarazzato e un po' infastidito da quel sesso che non bada ai decibel, decide di scrivere una lettera. Siamo a Udine, in un condominio costruito negli anni '60 dove l'insonorizzazione delle pareti non è il massimo. Come riporta Telefriuli.it, un residente, che vive con la moglie e le due figlie piccole, ha scritto una lettera abbastanza divertente in cui invita la giovane coppia ad adottare qualche accorgimento in più. «Buongiorno, sono l'inquilino del piano di sotto. Innanzitutto complimenti sentiti, perché dalle nostre evidenze per frequenza, intensità e durata voi del piano di sopra ci confermate l'esistenza e l'importanza dell'amore, quello bello. Forse vi sorprenderà ma vi ringraziamo, ci fate tornare in mente la nostra gioventù» - si legge nelle prime righe - «Però... eh, sì, c'è un però. La vostra passione va contestualizzata: il condominio non è insonorizzato da un piano all'altro e il vostro letto deve essere un po' vecchiotto perché cigola e la vostra irruenza (di nuovo complimenti) lo sposta spesso dalla sua sede, grattando il pavimento». Il vicino spiega l'imbarazzo di dover sentire i rumori anche alla presenza delle figlie piccole: «Sotto di voi abita una famiglia con due bambine: abbiamo dovuto portarle a credere che la signorina del piano di sopra sia un po' giocherellona, visto che salta spesso sul letto proprio come loro e sia una gran sbadatona, perché spostando il letto spesso inciampa o si fa male ai piedi e urla o si lamenta dal dolore... cara signorina lei ha ottenuto tutta la compassione delle nostre figlie». Scusandosi per il disturbo e ammettendo l'imbarazzo, il vicino conclude così la richiesta alla giovane coppia focosa e rumorosa: «Non c'è un modo per dirvi quanto sia imbarazzante per noi farvi presente tutto questo, ci limitiamo a invitarvi ad apportare degli accorgimenti - se possibile alle vostre abitudini, in considerazione del contesto. Sarebbe carino che anche dopo una certa ora la musica e il vociare fosse a livelli un po' più bassi. Con invidia vi saluto».
Cecilia Uzzo per gqitalia.it il 28 novembre 2021. In materia di sesso e trasgressioni, finalmente il desiderio delle donne comincia a incrociare quello degli uomini. Pare, infatti, che in Italia le donne siano sempre più incuriosite da fantasie e pratiche che escono dalla routine. Per di più, si dividono equamente tra chi preferisce un ruolo attivo e chi uno passivo, all’insegna quindi della massima libertà di ruoli fuori dalle convenzioni più tradizionali. Del resto, quando c’è consenso, una coppia può sperimentare tutto ciò che desidera. «Se in passato era più l'uomo a cercare sesso trasgressivo, questo desiderio si incrocia oggi con quello delle donne e questo spiega il boom del BDSM» sottolinea Alex Fantini, fondatore di Incontri-ExtraConiugali.com, che molto recentemente ha condotto un sondaggio che evidenzia l’aumento dell’interesse per una sessualità più piccante e trasgressiva, anche da parte delle donne. Il portale ha realizzato la ricerca durante la prima settimana di novembre 2021 su un campione di 2 mila persone di entrambi i sessi, rappresentativo della popolazione di età compresa tra i 25 ed i 64 anni (55,10% della popolazione totale), con un margine di errore di 2 punti percentuali ad un livello di confidenza del 95%. Dal sondaggio è emersa una risposta convinta per moltissimi italiani e italiane, decisamente pronte a sperimentare qualche trasgressione. Alla domanda «Ti piacerebbe fare qualcosa di trasgressivo?», il 95% degli uomini e l’88% delle donne intervistate ha risposto di sì. Trasgressioni sì, ma con calma e non troppo: alla domanda «Cosa vorresti fare di trasgressivo?», la preferenza per il sadomaso soft è stata la risposta dell’83% degli uomini e del 69% delle donne. Nonostante l’interesse per pratiche basiche BSDM – che sono senza età, tanto da essere sperimentate anche dalle coppie over60 – permane tuttavia una certa timidezza teorica: solo il 17% degli uomini e il 24% delle donne è disposto a parlarne con il partner. Al secondo posto delle fantasie di trasgressione, per il 67% degli uomini e per il 72% delle donne, ci sono invece le «pratiche che non si sono mai sperimentate con il partner». Secondo posto, quindi, per gli uomini, perché dalle percentuali emerge che la trasgressione più ricorrente nelle donne intervistate sia proprio sperimentare qualcosa di nuovo, più ancora del sadomaso soft, in ex equo con il «sesso all’aperto oppure in un luogo insolito» che occupa invece il terzo posto, sia per il 68% degli uomini sia per il 69% delle donne. Seguono i «giochi di ruolo» entusiasmano il 58% degli uomini ed il 65% delle donne, il «gioco con oggetti» (sex toys compresi) il 53% degli uomini ed il 64% delle donne. A proposito, questi sono i sex toys che piacciono di più alle donne, il consiglio extra è giocare con la musica giusta. Il «tradimento», inteso come “trasgressione in sé”, è la trasgressione nella fantasia del 38% degli uomini ed il 35% delle donne: non per niente, si è registrato un boom delle scappatelle tra colleghi. Poi ancora, ci sono le preferenze per la «relazione a tre» (23% degli uomini e 18% delle donne), lo «scambio di coppia» (12% degli uomini e 7% delle donne), il «voyeurismo» (13% degli uomini e 5% delle donne) e l’«esibizionismo» (4% degli uomini e 12% delle donne).
Dagotraduzione dal Daily Mail il 24 ottobre 2021. Di Tracey Cox. Sono stati 18 mesi difficili. Restrizioni, dad, preoccupazioni per i soldi, paure per i genitori anziani: non c’è da meravigliarsi se i nostri livelli di ansia sono aumentati vertiginosamente e la nostra libido si è fermata. Se, come molte coppie, avete fatto meno sesso negli ultimi 18 mesi, niente panico. Non siete soli. Se invece non facevate sesso neanche prima, appartenete al 15% delle coppie che hanno matrimoni bianchi. Più a lungo le coppie restano senza sesso, più è difficile riprendere la mano. Ecco un piano passo passo per riportare voi e il vostro partner a letto…
Parlatene insieme. Parlare è essenziale. Perché non dire al proprio partner: «Hai notato che non facciamo sesso come prima? Mi manca. Perché pensi che non lo facciamo più così tanto?». Non sorprendetevi se il partner si mette sulla difensiva. A nessuno piace pensare di non essere più “sexy”. L’importante è non dare la colpa all’altro, ma parlare in maniera positiva: «Mi piaceva quando facevamo…» invece di «non mi tocchi più!».
Risolvete i problemi di fondo. «Il nostro problema non è il sesso, ma la rabbia» mi ha detto un uomo. «Tutto quello che faccio la infastidisce. E il fatto che lavoriamo entrambi da casa e non c’è modo di sfuggire uno all’altro non aiuta».
La rabbia è un ovvio killer del desiderio. Lo stress e la stanchezza anche. Il fatto di non avere abbastanza tempo da passare da soli è uno dei principali motivi per cui molte coppie hanno smesso di fare sesso durante la pandemia, e non hanno ricominciato. Create e fate le cose separatamente per concedervi una pausa l’uno dall’altro. Se non riuscite a risolvere i vostri problemi, chiedete aiuto.
Ricomincia a masturbarti se hai smesso. È uno dei modi per risvegliare una libido addormentata. Basta leggere un libro erotico, guardare un film sexy o porno, ricordare il miglior sesso che si è fatto o quello che si desidera fare. Al nostro corpo non importa da dove arriva l’orgasmo, il piacere è sempre lo stesso.
Rimettete in forma i vostri genitali. Se non avete rapporti sessuali da un po’ di tempo, potrebbe essere meglio allenarsi. Anche qui entra in gioco la masturbazione, ma questa volta, invece di concentrarsi sul clitoride, meglio lavorare sull’interno della vagina, per prepararsi, usando molto lubrificante e usando le dita o un piccolo vibratore. Ma se il sesso non è mai stato doloroso e siete giovani, questo passaggio è superfluo. Altrimenti.
Cominciate con poco. Non passate direttamente dall’astinenza alla penetrazione completa, prendetela con calma. Iniziate baciandovi e toccandovi di più. Magari proponete un massaggio alle spalle. Abituatevi prima a toccarvi di nuovo intimamente, magari dormendo nudi. Se, dopo, il blocco, avete problemi di immagine corporea, mangiate bene, fate più esercizio e osservate l’effetto positivo che queste due cose avranno sui vostri impulsi sessuali.
Elaborate un piano d’azione. Parlate insieme di come vorreste riprendere a fare sesso. Pensatela come un’opportunità per cancellare tutte le cattive abitudini. Discutete di cosa vi piace più del sesso e cosa vi piacerebbe fare di più. Quale è il momento migliore? Cosa deve succedere perché abbiate l’umore giusto?
Il sesso non deve includere per forza un rapporto sessuale. La maggior parte delle persone pensa al “sesso” come a qualcosa che deve includere un rapporto. Non è così. Il rapporto sessuale potrebbe essere “buono” per gli uomini, ma spesso è la cosa meno interessante per le donne. Il sesso che si concentra troppo sulla penetrazione, che la rende l’elemento principale, è spesso il motivo per cui le donne perdono interesse.
Cercate di concentrarvi sui preliminari: una sessione di sesso solo di carezze e sesso reciproco può essere ancora più soddisfacente.
Usate molto lubrificante. Anche se non c’è penetrazione, il lubrificante aiuta a farci sentire tutto meglio. E non sorprendetevi se lui ha qualche oscillazione durante l’erezione. Se è da tempo che non fate sesso, anche lui sarà ansioso. I peni riflettono l’umore del loro proprietario: se è nervoso, lo sarà anche lui.
Non fate dell’orgasmo l’obiettivo. L’obiettivo è l’intimità, non il climax.
Ricreate l’abitudine. Il sesso è un’abitudine. Se avete l’abitudine di farlo una volta alla settimana, il vostro corpo lo ricorderà. Se avete smesso di fare sesso, dovete abituare il tuo corpo ad aspettarlo di nuovo regolarmente. Quindi pianificate un programma regolare per almeno un mese o due fino a quando il sistema non si ripristina. Concordate una frequenza adatta ad entrambi e partite.
Fate sesso di giorno invece che di notte. «Sono troppo stanco» è la scusa più utilizzata dalle coppie quando viene chiesto loro il motivo dell’astinenza. Il sesso è spesso l’ultima cosa facciamo di notte, e se è l’ultima della lista non c’è da meravigliarsi che spesso venga accantonata. Fate sesso al mattino o a metà pomeriggio nel fine settimana.
Prendetevi una vacanza. Le coppie fanno più sesso durante le vacanze che in qualsiasi altro momento. Sarete più rilassati, avrete più tempo e sarete in un ambiente piacevole. Basta anche una notte in un hotel vicino casa.
Fate a turno per chi inizia. Chi fa la prima mossa? Spesso risolvere il quesito è un vero problema. «Se le piace davvero il sesso quanto piace a me, perché qualche volta non è lei a iniziare?» dicono spesso gli uomini.
Il sesso spesso si ferma proprio per questo motivo: uno dei due si stanca di essere l’unico a guidare e si arrende. L’altra persona, che non è abituata a iniziare, raramente prende in mano la situazione.
Girate l’interruttore. Oltre a fare gli esercizi fisici, lavorate per cambiare la testa. Emily Nagoski, autrice di “Come as Your Are”, dice che invece di pensare «Non mi piace pià il sesso» bisognerebbe immaginare “Come penserei se fossi una donna o un uomo a cui piace il sesso?».
Collegatelo alla vostra identità. «Non limitatevi a correre, siate dei corridori. Non limitatevi a fare sesso, siate deliziosamente erotici, curiosi e giocosi» dice.
Dagotraduzione dal Daily Mail il 4 novembre 2021. Di Tracey Cox. Hai mai inviato una tua foto sexy senza che ti fosse richiesta? O ignorato il suggerimento di andartene dopo un’avventura di una notte? Interrompi il sesso quando raggiungi l’orgasmo? Rifiuti di ricambiare il tuo amante con sesso orale?
Se rispondi sì a una delle domande precedenti, le tue maniere a letto potrebbero avere bisogno di una revisione! Ci sono regole universali che tutti dovrebbero seguire se vuoi mostrare rispetto e far sapere ai tuoi amanti che sei di classe. Cosa è corretto e cosa no? Ecco la mia guida al galateo del buon sesso: le cose che separano lo sciatto e lo squallido dall’elegante e le educate.
Rispondere alla domanda: Quanti amori hai avuto?.
Di classe: una persona che ha avuto un amante solo ma non ha usato protezioni è molto più rischiosa di una che ha dormito con 30 diversi partner proteggendosi. Meglio comunque rifiutare di piegarsi alle pressioni per rivelare qualcosa difficile da accettare: «Non mi interessa il passato e un numero non significa nulla. Tutto ciò che mi interessa è quello che accadrà in futuro, ora che ci siamo incontrati». Evitare di fare questa domanda è l’ideale.
Pacchiano: offendersi e dire: «Stai insinuando che sono promiscua/o?», oppure fare pressioni per ottenere una risposta, o ancora dire che sei pronto ad accettare qualcuna risposta, e poi scappare e/o esprimere giudizi.
Di classe: chiedere prima di inviare qualcosa anche di lontanamente sessuale. Inviare una foto erotica o artistica piuttosto che un’immagine in piano piano delle tue parti intime. Mantenere le foto che il tuo amante ti manda al sicuro da sguardi indiscreti. Non mostrare mai il tuo viso o qualsiasi caratteristica rivelatrice nelle foto che invii. Eliminare subito foto quando richiesto.
Pacchiano: inviare immagini scottanti non richieste, o foto sexy di qualcuno che non vuole. Mostrare foto e testi sexy di altre persone ai tuoi amici. Minacciare o ricattare le persone.
Gestire un’avventura di una notte.
Di classe: un no significa “no”. Non essere egoista: potrebbe essere una tantum, ma non è solo una questione di piacere. Non dire niente se non ricordi il suo nome. Aspetta 15 minuti dopo il sesso, poi inventa una scusa per tornare a casa. Lascia il tuo numero di telefono, ma senza pretendere di essere richiamato.
Pacchiano: arrabbiarsi o infastidirsi se alla fine non fate sesso; non preoccuparti di chiedere cosa piace o non piace all’altra persona; rifiutarsi di accettare il suggerimento di andarsene, quando è ovvio che la richiesta è questa; farsi dare il numero di telefono ma non avere intenzione di chiamare.
Igiene sessuale e ambiente.
Di classe: essere ben curati, con unghie lisce e pulite, una doccia recente, peli pubici sotto controllo. Lenzuola fresche di bucato, una camera da letto ordinata e un’illuminazione lusinghiera. Punti extra a chi tiene champagne in frigo e qualche bottiglia di vino decente.
Pacchiano: vestiti gettati sul pavimento, contenitori da asporto svuotati e posacenere traboccante sul tavolino. In frigo solo latte, pile di vestiti da stirare nell’angolo della camera da letto, e un letto sfatto e disordinato. Punti in meno per unghie sporche, alito e genitali maleodoranti e un’illuminazione troppo intensa.
Trattare con i preservativi.
Di classe: supponendo che i preservatici siano la norma per tutti gli incontri casuali o nuovi, è bene avere sempre un preservativo di buona qualità con sé. Indossarlo senza che venga richiesto. Ricordarsi di tenerlo alla base prima di ritirarsi. Smaltirlo con discrezione.
Pacchiano: rifiutarsi di indossarne uno, non averne nessuno con sé; tirare fuori una confezione da 20 in cui ne p rimasto uno solo.
Sesso orale.
Di classe: se ci mette troppo tempo, dire: “sei così grande, ho bisogno di riposarmi» oppure: «lascia che ti guardi mentre fai da te. Fa caldo». Togliere discretamente la bocca e continuare usando la mano nel momento cruciale, se non si vuole deglutire.
Pacchiano: uomini che non si lavano; uomini che ti mettono le mani sulla nuca e ti spingono verso il basso; uomini che danno per scontato che sia giusto eiaculare in bocca, senza prima chiedere; uomini che non ricambiano.
I suoi orgasmi
Di classe: lei viene prima, ma non arrabbiarti se non ha un orgasmo. Invita il suo vibratore a letto con voi, chiedi feedback e indicazioni.
Pacchiano: tralasciare i preliminari, andare dritto al rapporto e penetrale in pochi minuti; spingere come un martello pneumatico; chiedere ogni tre minuti: «ne hai già avuto uno?».
Problemi al pene.
Di classe: afferrare un pene che è piccolo, guardarlo negli occhi e dire: «Sei così sexy». Non prenderla sul personale se ha difficoltà di erezione.
Pacchiano: fissare il suo pene e dire: «lo sentirò anche io?»; fare un commento tagliente se lui raggiunge l’orgasmo e tu no; ridere o ridicolizzarlo se le cose non vanno secondo i piani; fare storie se un’erezione vacilla.
Durante il sesso.
Di classe: fare molti complimenti. Mettere la loro mano dove vuoi e guidarli dove è meglio. Essere attenti al linguaggio del corpo. Mai dare per scontato che ci sia una regalo per tutti.
Pacchiano: sdraiarsi e aspettare che l’altra persona faccia tutto. Leggere un messaggio sul telefono durante il rapporto; interrompere tutte le attività sessuali appena raggiunto l’orgasmo.
Dopo il sesso.
Di classe: scivolare discretamente via e riapparire con i fazzoletti. Dire quanto ti è piaciuto con motivi specifici; coccole; non arrabbiarsi se il partner si addormenta.
Pacchiano: non appena finito andarsi a fare una doccia. Diventare irritabile se non ti dicono quanto sei bravo. Andarsene non appena finito senza alcuna spiegazione.
Trattare con i coinquilini.
Di classe: rimanere tranquilli ed essere discreti. Spiegare chi sei se incontri qualcuno dentro casa. Essere educato e amichevole.
Pacchiano: fare molto rumore dopo che ti è stato detto che le pareti sono sottilissime. Mettersi a chiacchierare con un coinquilino sexy; ignorare altre persone che vivono lì, andare in giro mezzo nudo, servirsi dal frigo senza contegno, fare una doccia nell’unico bagno, lasciare gli asciugamani bagnati sul pavimento.
Dagotraduzione dal Daily Mail l'11 ottobre 2021. Scrivo di sesso da molto tempo, le statistiche su quante donne raggiungono l’orgasmo con il loro partner rimangono sempre le stesse. Circa il 40% delle donne che riesce a raggiungere l’orgasmo da sola, non ottiene lo stesso risultato con un partner. Come mai? Molti uomini non hanno idea che le donne abbiano bisogno della stimolazione del clitoride per raggiungere l’orgasmo e continuano a innamorarsi degli stessi vecchi miti (ovvero la penetrazione). Di solito c’è anche una mancanza di comunicazione da parte delle donne, che non parlano di quello di cui hanno veramente bisogno. Ci sono molte informazioni pratiche su come livellare fisicamente il divario dell’orgasmo, ma non molte su come ci si sente emotivamente. Ecco perché ho chiesto a uomini e donne di raccontarmi le loro storie personali.
Michael, 41 anni, sposato da 6. All’inizio abbiamo fatto del sesso fantastico. Almeno così credevo io. Ma otto mesi dopo, mia moglie mi ha confessato di avere problemi a raggiungere l’orgasmo, e di aver finto fino a quel momento con me. Sono rimasto scioccato e ferito, davvero. Tutto il sesso che avevamo fatto sembrava una bugia. Perché avrebbe dovuto fingere con me? Credeva fossi una specie di Neanderthal che le avrebbe fatto passare dei momenti difficili? Perché non me l’ha detto prima? La sua confessione mi ha sconvolto e probabilmente non ho reagito molto bene. Il problema non era che non riuscisse ad avere un orgasmo, era che non me lo aveva detto prima. Alla fine, abbiamo fatto una lunga chiacchierata su tutto, e lei mi ha detto di non aver problemi a raggiungere l’orgasmo da sola con un giocattolo sessuale, ma di non riuscirci durante un rapporto. Ho subito suggerito di provare diverse tecniche, ma niente ha funzionato. È ovvio che ci sono anche problemi psicologici. C'è così tanta pressione su entrambi, che la cosa è destinata a non avere mai successo. A volte, il nostro sesso sembra cupo e determinato piuttosto che gioioso e sensuale. Provo qualunque cosa abbiamo deciso di provare e vado avanti finché lei mi dice di fermarmi. Spesso, dura 45 minuti e oltre. Mi piaceva farle sesso orale, ma ora mi sento impacciato e inadeguato. Sono teso e cerco disperatamente di leggere il suo linguaggio del corpo per vedere come sta. Trovo molto angosciante quando non funziona. Ha provato a fingere un paio di volte dopo la confessione, ma è timida. Dice «Ho avuto un piccolo orgasmo» o «Sono venuta un po'». Non la sfido perché lo fa per farmi sentire meglio. Non riesco a togliermi di dosso la sensazione che ci sia qualcosa che sto sbagliando: che la mia tecnica non sia giusta. Mi preoccupo che si lagni di me con i suoi amici e tutti sappiano che sono un fallimento a letto. Dopo che abbiamo fatto sesso con la stessa conclusione apparentemente inevitabile, cerco così tanto di non farle domande al riguardo. Ma non posso aiutare me stesso. Devo chiederle se ha avuto un orgasmo (non l'ha avuto), se è d'accordo che non accada (lo è, il sesso non riguarda solo l'orgasmo per lei), se è colpa mia (no, non lo è, Ho fatto tutto bene), cosa posso fare diversamente la prossima volta (niente, è solo lei). La sento roteare gli occhi nell'oscurità e si infastidisce di dover ripetere questo rituale ogni singola volta. Ma ancora non riesco a fermarmi. Mi ama ancora? È tentata di contattare il suo ex che le ha fatto avere un orgasmo? Mi ha detto che con questo ragazzo ha avuto i migliori orgasmi. Immagino che si penta di avermelo detto, amaramente.
Tom, 32 anni, attualmente single
Mi considero un buon amante e la prendo sul personale se non riesco a far raggiungere l'orgasmo a una donna. Le donne pensano che tutto riguardi l'ego maschile e c'è un po' di questo. Ma riguarda anche il fatto che voglio che si diverta a letto quanto me. Il sesso è migliore se entrambi avete orgasmi. Ti senti bene con te stesso quando succede: mi fa dubitare della mia abilità sessuale quando non lo raggiunge. Inoltre, mi sento sempre a disagio quando è chiaro che non è venuta. Non so cosa dire o come reagire una volta che il sesso è finito. È imbarazzante. Penso che la maggior parte delle donne abbia orgasmi molto facilmente. La penetri e in pochi minuti lei emette rumori. Amo il sesso così, quando non devo trattenermi. Una ragazza mi ha detto che sono tutte stronzate e quasi nessuna donna viene durante il rapporto, ma ho avuto MOLTA esperienza e lei si sbaglia. Posso facilmente dire la differenza tra un vero orgasmo e uno falso e direi che almeno il 70% delle donne ha un orgasmo in questo modo. Se la spinta non sembra funzionare per farla scendere, di solito mi fermo dopo un po' e le faccio sesso orale. Non sono sicuro di essere davvero bravo a farlo ma, ancora una volta, sembra che ci vogliano solo pochi minuti prima di ottenere risultati. Ho avuto solo poche relazioni a lungo termine e, francamente, sono state quelle in cui ho avuto più problemi con il sesso. Una delle mie ex era molto particolare ed esigente su ciò di cui aveva bisogno prima che potesse raggiungere l'orgasmo. Anche prepotente. Mi sentivo come se mi stessero ordinando cosa fare e non era divertente. Era tutto su di lei e non potevo rilassarmi e divertirmi. Un’altra ex poteva raggiungere l'orgasmo solo usando il suo vibratore. Facevamo sesso e sembrava che le piacesse, ma poi si girava verso di me e diceva: «Non ti dispiace, vero?», poi allungava la mano e apriva il cassetto e usciva il vibratore. Dicevo sempre «No, non mi dispiace» e me ne andavo in bagno mentre lei faceva le sue cose. Ma mi infastidiva un po'. Non ho mai capito perché le donne abbiano bisogno di un vibratore quando hanno un ragazzo vero a letto. Ma pensandoci ora, forse non è una cattiva idea farne fuori uno con me, se penso che segnerò. Mi stanco, aspettando che mi raggiunga. Forse è una soluzione facile per le donne che hanno problemi. Chiedo alle donne di cosa hanno bisogno per raggiungere l'orgasmo e cosa sarebbero felici di fare. Ma la maggior parte delle donne dice: «Fai solo quello che fai sempre» e sembra infastidita se te glielo chiedo di nuovo. Le donne potrebbero essere liberate, ma lasciano comunque che sia il ragazzo a prendere il comando. Ovviamente non sono perfetto, ma penso che la maggior parte delle donne con cui ho dormito mi darebbe un punteggio alto.
Liz, 31 anni, single
Sono sempre stata molto aperta sessualmente e non ho problemi a chiedere ciò di cui ho bisogno a letto. La maggior parte dei ragazzi non ha problemi con questo, ma tutti sembrano sorpresi dal fatto che ho bisogno di stimoli per tutto il tempo (circa mezz'ora). Eppure non sono strana: tutte le mie amiche dicono che hanno bisogno della stessa quantità di tempo per eccitarsi completamente e raggiungere l'orgasmo. Le donne devono assumersi alcune responsabilità per il divario dell'orgasmo. Tante donne non sono oneste con gli uomini su ciò che serve per farle avere un orgasmo. Non solo le donne fingono, ma fingono dopo pochi minuti di stimolazione. Posso capire perfettamente perché gli uomini pensino che occorrano solo cinque minuti di sesso orale per far raggiungere l'orgasmo alle donne. O perché pensino che le donne possano raggiungere l'orgasmo dal rapporto. Se tutte le donne con cui vanno a letto fingono di farlo, certo che ci credono! Abbiamo contribuito a perpetuare questi miti ed è per questo che, nonostante tutta l'educazione, nulla sta cambiando. Ogni volta che una donna finge dopo cinque minuti, sta rovinando le mie possibilità di avere un vero orgasmo con un partner. È interessante come reagiscono gli uomini quando si rendono conto che non ti comporterai come le loro ex amanti. La maggior parte si ferma a guardarti e ti chiede se stanno facendo tutto bene. Se dici di sì, ma puoi farlo più a lungo, ti obbligano a continuare, ma ho fatto smettere alcuni ragazzi una volta che ne avevano abbastanza, o quando ne ho avuto abbastanza io. Altri fingono che tu sia venuta anche se sanno che non l'hai fatto. Lasciano correre e poi dicono: «È stato fantastico, vero?», evitando il contatto visivo per poi togliersi di torno. Più vecchio è il ragazzo, più realistico è sugli orgasmi delle donne. Immagino perché hanno avuto alcune relazioni a lungo termine e hanno imparato a comunicare meglio. Hanno scoperto come funziona davvero il corpo di una donna. Qualche ragazzo vede la cosa come una sfida e non si arrende. Ma c'è una finestra di opportunità con me – e sospetto che sia così per tutte le donne. Se non raggiungo l'orgasmo dopo un certo tempo, non accadrà più. Divento troppo stimolata e ipersensibile e, ad essere onesti, perdo anche interesse.
Carmen, 23 anni, sta con il suo ragazzo da due anni
Non ho problemi ad avere un orgasmo da sola. Posso raggiungere l'orgasmo in pochi minuti quando mi masturbo con un giocattolo sessuale. Ma non ho mai capito come farlo con le dita e non sono una grande fan del sesso orale. Non riesco mai a rilassarmi: mi preoccupo degli odori, ho paura che il mio partner non si diverta e finga. Non sono tesa riguardo al sesso, ma non direi nemmeno che sono l'amante più rilassata o avventurosa. Sono troppo occupata a preoccuparmi che lui si stia divertendo per permettermi di concentrarmi su come mi sento. Ho detto al mio ragazzo fin dall'inizio che non sono molto brava ad avere orgasmi con un partner. Vorrei non averlo fatto e ho solo finto - ha fatto troppe storie per tutto questo. Gli orgasmi non sono tutto e finiscono tutto. Il sesso è molto più di questo: è anche la connessione e l'intimità. Mi piace potergli dare piacere e mi piace vederlo raggiungere l'orgasmo – non mi fa sentire gelosa o infastidita che lui ne abbia uno e io no. So che posso regalarmene uno più tardi: tutto ciò di cui ho bisogno è privacy e un giocattolo sessuale. So che non dovrei, ma fingo solo per tranquillizzarlo. Dopo mi interroga senza sosta, se non lo faccio. È troppo istruito sul corpo femminile e a volte mi sembra che mi stia insegnando come dovrebbe funzionare il mio corpo. Ha deciso di farmi raggiungere l'orgasmo e, ad essere onesti, ha peggiorato le cose. Dice: «Non è passato così tanto tempo» dopo aver cercato di farmi raggiungere l'orgasmo per quasi un'ora. Gli ho detto che non mi piace molto il sesso orale, ma questo non gli impedisce di farlo. Ha provato a usare un giocattolo su di me una o due volte. Avrei potuto avere un orgasmo in quel modo con lui, ma sentivo che era un tradimento. Inoltre non ero sicura di come avrebbe reagito sapendo quanto fosse facile per me raggiungere l'orgasmo usando una macchina. È molto più facile se aspetto fino a quando non va al lavoro il giorno dopo e uso il mio vibratore su me stessa quando non c'è nessuno a farmi pressione.
Da "donnaglamour.it" il 10 ottobre 2021. Vuoi dare al tuo uomo un super orgasmo? Allora devi imparare a fare il pompoir, una particolare tecnica del sesso tantrico, che consiste nella “mungitura” del pene. Detto anche “milking”, dal fatto che ricorda la mungitura, il pompoir è una tecnica che le donne asiatiche praticano fin da tempi antichissimi. Se ne trovano infatti alcune testimonianze in testi indiani del XVI secolo, che lo descrivendo come la capacità di contrarre la vagina “imprigionando” il pene in una stretta morsa, capace di dare un piacere grandissimo. Altri studi orientali lo chiamano “Singapore Kiss”, in quanto le concubine di Singapore più esperte sarebbero in grado di praticarlo. Ma come si fa questo pompoir? Per dirlo in parole semplici, bisogna imparare a contrarre e rilassare i muscoli vaginali ritmicamente. Per riuscirci è necessario allenarsi a lungo con gli esercizi di Kegel, che tonificano i muscoli pelvici femminili. Secondo l’esperta di sesso Denise Costa, autrice di un libro per imparare l’arte del pompoir, basta un’ora di pratica al giorno per imparare a padroneggiare questa tecnica. Ovviamente, l’ideale è allenarsi con il proprio partner maschile, ma in sua assenza è possibile usare vibratori e palline da geisha. Una volta imparata la tecnica base, si possono sperimentare altri interessanti giochini, come l’effetto risucchio o la “riverginazione”, che consiste nel contrarre i muscoli vaginali così tanto da rendere difficoltosa la penetrazione, come con le donne vergini. Ci sono poi la mungitura, ovvero la contrazione ritmica e progressiva, la ghigliottina, contrazione forte e decisa, e l’espulsione, che consiste nel riuscire a far uscire il pene dalla vagina senza usare le mani. I benefici, secondo gli esperti, sono innumerevoli sia per gli uomini che per le donne. Provare per credere!
Barbara Costa per Dagospia il 10 ottobre 2021. Cosa vogliono gli uomini? Zero dialoghi. Solo sesso. Concetto estremamente visivo e stilizzato di porno hardcore. Di corpi di femmine con sessi e ani in maxi primi piani. A misura e calibro e tempo di masturbazione maschile. Secondo i desideri di menti, e mani, maschie, che sognano su donne intrepide in pose esplicite. Se è questo che cerchi e vuoi, per te è nato "Slayed", nuovo sito porno ideato e realizzato da due uomini, il regista Laurent Sky e il produttore Mike Miller, i quali puntano ogni porno fiches sulla sublimazione delle donne. E che donne. Solo il meglio. Del porno. In circolazione. Donne non della porta accanto, donne che non hai come compagne, amiche, colleghe di lavoro, e donne che difficilmente trovi in giro e credimi, è meglio per te: queste sono donne con cui è meglio non uscire, incontrare, e averci a che fare. Perché sono donne pericolose. Non le temi? Le vuoi? Sì? Allora sei pronto a goderne, e ad essere porno sfinito e "ucciso" (slayed), da donne davvero consapevoli della loro magnetica seduzione. “Per me il porno ha un limite ed è il mio”, dice Laurent Sky, “io mai degraderò una donna in un mio film. Io creo utopie porno come fossero spot, clip pubblicitarie, per spettatori intelligenti e esigenti che sono i miei clienti. Con me si fa sul serio, e col mio porno si torna indietro, al passato, ma non al vecchio”. Laurent Sky, sofisticato regista francese, esordi da fotografo mainstream, e iniziato al porno da direttore della fotografia, ha premi e Oscar in bacheca. Il suo è studiato porno d’autore, “glamorously dirty”, patinato e ricercato, sulla scia di Maestri quali Andrew Blake e Michael Ninn. Due geni, due visionari, due che hanno portato il porno – e la regia porno – su un altro, e insuperabile, livello. Laurent Sky è figlio di quel porno lì, di quella eleganza, di quegli anni '90 dove il porno era innalzato da corpi bellissimi ma reali, non livellati né social spersonalizzati. Porno ispirato allo charme delle top model anni '90, e all’arte creativa dei video musicali con MTV al suo splendore, col web ai suoi primi se non vagiti, passi. Slayed era il sito più atteso dell’anno e giustamente: solo a scorrere i nomi delle porno-assassine che vi ritrovi, c’è da uscire di testa. Guida la porno sfilata la Performer of the Year 2021 Emily Willis, ma con lei vi sono la ricciolona Cecilia Lion, la mini cinesina Lulu Chu, e Vanna Bardot, e quel biscottino di Scarlit Scandal, e molte, molte altre, come la navigata Adriana Chechik, qui in scene di porno squirting al rallentatore. Slayed propone video su video lesbici con queste interpreti che si divorano a due, una sull’altra, una contro l’altra, con foga e mai rapide, quando prendono in mano uno strap-on, o ogni volta che se la mangiano a vicenda a ritmo cadenzato all’altrui spasmo. Queste son donne che ti sfidano. Crepitando calore. Sudore. È lesbian abbondato e celebrato, perché il lesbian non entrerà mai nelle categorie del sesso gay, e non perché non sia gay, ma perché ha troppi seguaci tra gli uomini etero e con il testosterone a mille, un numero che straborda, che aumenta, che non conosce requie. Sono loro che lo cercano in netta maggioranza. A cosa credi servano due uomini come Sky e Miller a comando di questa nuova porno impresa? Loro la sanno lunga, e Slayed è il loro marchio porno di lusso. A Slayed la controparte maschile è bandita. Il maschio che conta è uno solo: colui che guarda il video. È lui il solo importante, l’unico a cui pensare. Vale il suo piacere. Queste mantidi sono lì per lui, anche se pare che lo snobbino. E invece queste fascinose creature, performanti sesso feroce, lo fanno per eccitare lui, con loro, insieme a loro. Grazie a loro. Alla loro goduria di corpi setosi, sodi, a inquadratura piena, ravvicinata, di qualità non inferiore a una produzione hollywoodiana. Ma è e c’è sesso hard-core, con pelli, e lingue e bocche unguentate e brillantate. Slayed è grande porno, notturno, per nulla plottato. Slayed sta e spinge a livello base dell’interazione sessuale, a tensioni primordiali. Slayed è sesso primevo. Essenziale. Slayed è sito porno nastiness per godimento nastiness, tradotto e inteso il più spinto che sia.
Da newsitaliane.it il 2 ottobre 2021. Se alcune volte la vostra fidanzato moglie non vuole avere rapporti intimi con voi, è normale, che dovete preoccuparvi. Ma tutto ciò non significa che non ci sia alcun rimedio, sicuramente parlarne può aiutare a trovare la causa del problema e a riaccendere il desiderio e la passione che avevate in precedenza.
1) Insoddisfazione e noia: non si intende quella a letto. Ma l’insoddisfazione nella relazione sentimentale. Se la donna si annoia a passare con voi la giornata. fare sesso diventerà l’ultimo dei suoi pensieri. “Bisogna che chiediate al vostro partner di farvi capire cosa prova – ha detto Krauss Whitbourne, psicologa – Potrebbe tirar fuori qualcosa di poco conto, come qualche vostra abitudine che le dà fastidio, così come potrebbe farvi partecipe di un problema di maggiore rilievo che riguarda il rispetto reciproco o la comunicazione fra voi due”. Fondamentale poi capire se una donna vi considera ancora una persona interessante ed eventualmente correre ai ripari, magari riscoprendo un hobby e delle aspirazioni che avete perso.
2) Dolore durante il sesso: Mai sottostimare questo problema. Fare sesso può essere doloroso per le donne. Soprattutto se l’età della coppia comincia ad essere avanzata. “Sia gli uomini sia le donne vivono delle fluttuazioni ormonali e fisiche – ha detto Elizabeth McGrath, sessuologa alla Baia di San Francisco – Per le donne, tali fluttuazioni potrebbero avere un impatto sul desiderio sessuale insieme alla preparazione fisica all’atto sessuale, alle diverse condizioni di umidità vaginale o alla semplice necessità di ‘sentirsi sexy”. È così l’uomo dovrebbe ricordare periodicamente alla donna di essere attratto da lei. E se non bastasse può essere utile ricorrere a lubrificanti vaginali. Senza dimenticare di non avere fretta durante il rapporto sessuale: l’eccitazione della donna ha tempi enormemente più lunghi.
3) Sono troppi giorni che non vi toccate a vicenda: si parte dai baci all’andata mano nella mano. Sentirsi coppia è fondamentale per avere poi relazioni sessuali ottimali. Concentratevi quotidianamente sul contatto fisico e su manifestazioni d’affetto e non precipitatevi nell’atto sessuale – dice Nelson – Sedetevi uno affianco all’altro sul divano, datevi la mano, massaggiale il collo, non farle credere di toccarla con il solo obiettivo di fare sesso”.
4) “Mi sento esausta”: se ve lo dice, è probabile che sia veramente così. “La stanchezza è concreta – ha detto McGrath – le donne hanno bisogno di sentirsi piene di energia e di carica”. “Se la vostra compagna non ha tempo per sé o non ha un momento per riposarsi, rilassarsi e ricaricare le batterie, allora le potrebbe risultare davvero difficile concedersi sessualmente” – ha aggiunto. L’unico modo per rimediare è concedersi del tempo ognuno per sé.
6) Il sesso è diventato una routine: se l’attività sessuale è sempre uguale (ora, modalità, luogo, posizioni) allora si rischia di cadere nella monotonia. Che può spegnere la scintilla. “Cambiate la scena – dice Dawn Michael, scrittrice e sessuologa – rendete la camera da letto sexy e romantica con l’aggiunta di candele e musica soft, sono piccoli accorgimenti che possono davvero gettare le basi per un’esperienza romantica. Usate la vostra immaginazione per giochi di ruolo ma, cosa più importante, divertitevi. Lasciatevi andare e godetevi il momento e la persona con cui condividete un’esperienza così intima e sensuale”.
7) La donna non è emotivamente con essa: “A volte, sentirsi emotivamente collegate può aiutare le donne a eccitarsi prima del rapporto e indovinate un po’? Questo è valido anche per gli uomini – sostiene Nelson – Provate a condividere tre cose che vi piacciono della vostra relazione. Dopo ogni proposta, l’altro la ripete in modo da essere sicuri di averla compresa bene, prima di passare alla successiva.” Poi chiedete cosa le piace fare a letto. “Mentre svolgerete questo esercizio – conclude Nelson – vi sentirete emotivamente connessi e vi ricorderete cosa vi ha unito all’inizio come coppia. È probabile che questo gioco vi ecciti a tal punto da farvi finire tra le lenzuola.”
Barbara Costa per Dagospia il 26 settembre 201. Come si fa l’amore? Esiste il buon sesso? Qual è? È arci-sicura di saperlo Betony Vernon, creatrice di gioielli erotici, e intellettuale sessuale nonché antropologa del sesso ma pure sex-counselor. E lo scrive nel suo "Eros. L’arte di amare senza tabù", traduzione italiana de "The Boudoir Bible", la sua guida su come si sc*pa. Ops!, scusate, ho scritto sc*pa, non lo faccio più, perché guai a parlare sboccato e sfacciato con Betony Vernon. Guai con lei dire le cose pane al pane, lo sottolineano in ogni intervista e ritratto che le dedicano, che la signora si rivolge a un pubblico alto, e altolocato, sprezzante ogni volgarità. Donne e uomini anelanti al sublime in ogni lato del loro quotidiano, compresa la sessualità. Del suo approdo a un pubblico di lettori italiani Betony Vernon sarà felice: tempo fa si lamentò (su "Marie Claire", ma pure su "Vanity Fair") che “il mio libro non è tradotto in italiano perché considerato troppo intelligente per l’italiano medio”. Ah, è così? Dica un po’, signora Vernon: cosa serve secondo lei per fare buon sesso? Amore, amore, amore, questo il mantra del suo libro, in cui ogni pratica sessuale è analizzata e spiegata e saldata al codice Vernon: non c’è atto sessuale senza amore. “Io sono tanto spirituale”, dice Betony Vernon, “e non concepisco il sesso senza l’amore: alla base ho amore per me stessa”. L’amore è sacro, per questa signora, e il sesso non può esser fatto che in un contesto di sacralità. Sacralità di talami, corpi, e sacralità del tatto, senso insostituibile per le conferme che dà. Con romantico sentimento. Betony Vernon ha 53 anni, vive a Parigi, ed è anglo-americana. Nel 1992, appena due anni dopo la laurea, è diventata celebre creatrice di gioielli sessuali, a tematica hot, in seguito bondage, creazioni superbe, sofisticate, privilegiate per clienti privilegiati, adepti al suo verbo: non c’è pratica sessuale, la più sadomaso, la più insudiciante, o umiliante, che sia estranea alla classe chic in cui se la vive e se la orchestra e te la serve la Vernon. Il contrario del "sesso sporco solo se fatto bene" di alleniana filosofia. Candele profumate, sparsi petali di rosa, tacchi a spillo 15 cm, dedizione minuziosa all’igiene personale (meglio un gioco orale al gusto del sapone che uno al gusto aspro di sudore misto a sapore appiccicoso di secrezioni), e corsetti sexy, e piume, e vestaglie raffinate, e profumi, e trucco e capelli perfetti: ogni accortezza civettuola è un must per Betony Vernon. La vagina “è il giardino della delizia terrena”, giardino che ogni donna deve con specchio ingrandente esaminare per toccarsi e sapere dove farsi toccare. I preliminari sono bene e a lungo trattati. Si dà per scontato che ogni donna li voglia, li pretenda, li preferisca al posto del sesso a botta selvaggia, e della penetrazione in sé. E se una donna desidera essere sbattuta e basta? Non sia mai! Solo a scorrere queste mie righe la Vernon mi accuserebbe di arcaicità sessuale. Comanda la Vernon: sia fatto sesso con preliminari e con amore, tanto amore, pure se è sesso per una notte soltanto. A letto, mai chiedere che ora è, e guai a farlo e/o a masturbarsi veloce. Dice la Vernon, e per lei un è credo, è una missione: “Ogni atto sessuale deve tendere al trascendente”. Tale nozione occupa un po’ tutto il libro: prima dell’avvento del monoteismo, informa l’autrice, il sesso era da ogni società considerato mezzo più sicuro per entrare in contatto con l’Io superiore, e il proprio partner, e persino il divino. Ne consegue che sesso trascendente sta per un sesso scollegato da qualsiasi prestazione: l’orgasmo si ottiene con la connessione degli spiriti! Sicché ognuno nutra la propria deità sessuale, ogni giorno, e il come, ognuno lo valuti da sé: va bene pure il porno ma con moderazione, ma bene non fa secondo Miss Vernon chi sceglie il porno di bassa lega, che oggettiva la donna allo sguardo del maschio alfa (che il porno di bassa lega sia un genere e che l’attrice lì finto vessata sia profumatamente pagata e ben di più dell’uomo che la sta finto vessando, mi sa che Betony lo ignora, per non parlare del libero arbitrio per cui ogni cristo si sceglie il porno che caz*o gli pare). Masturbarsi va bene ma vuoi mettere farlo oliandosi e coccolandosi e baciandosi la pelle da soli?!? Il libro di Betony Vernon è frutto di anni di esperienza personale, e di ricerca e consulenza a coppie e a single. È una iniziazione alla “Vernon cerimonia sessuale”, un rituale estatico che comporta lunghe e affinate sessioni di “fare l’amore, a tempo prolungato, a stimolazione di tutto il corpo”. Tale cerimonia non fila se non si “trascende la stasi del sesso veloce, e fallocentrico”. Per Betony Vernon le regole del sesso sono tre e sono consenso, comunicazione, prendersi cura dell’altro. E di sé stessi prima del coito, dedicando ore e ore e ore a cure di bellezza (sfugge alla signora che la maggior parte delle persone ha giornate terribili divise tra figli, lavoro, casa, partner, genitori??). È essenziale per l’autrice amarsi sempre in sicurezza, per evitare infezioni e certo gravidanze indesiderate, ma più perché “lo scambio di fluidi è privilegio riservato agli amanti in monogamia”. Vabbè. Il sesso tantrico allinea in energia i corpi: la penetrazione non è il giusto obiettivo di una copula amorosa, in quanto lo è “la connessione profonda dei corpi”. Per raggiungerla bisogna fare l’amore con il partner ogni volta come se fosse la prima volta (che caramellosa banalità. E se la prima volta è stata un mezzo flop?). Notevoli nel libro le illustrazioni di François Berthoud, e la parte dedicata al bondage: ovviamente per Betony è meglio legarsi con lussuosi nastri, e con nodi artistici. Mai perdere la raffinatezza. Se aveva ragione Allen Ginsberg a sostenere che la conoscenza viene dalla pratica di ciò che viene naturale, sicuro che in "Eros" si apprendono sagacie sessuali di cui si sa solo per sentito dire.
Sebbene io sia agli opposti della Vernon e della sua bibbia della seduzione, dacché non vedo mali nel sesso senza amore (e che nessuno mi levi le sveltine, e specie da dietro, e meno male che dio o chi per lui ha dato agli uomini il pene, e che lo usino, dentro di me, e col mio totale consenso, ci mancherebbe) sono con lei quando afferma che per un buon sesso è basilare superare i deleteri effetti di proibizione e colpa e vergogna che ci impongono religioni e società, soprattutto alle donne. Per quanto riguarda i suoi sacri rituali di sesso con meditazione, automassaggio, bagni caldi, spiritualità e yoga… li lascio a chi c’ha tempo. E voglia. (Betony Vernon, "Eros. L’arte di amare senza tabù", Rizzoli, dal 28 settembre).
Mail di Betony Vernon a Dagospia il 29 settembre 2021.
Cara Barbara Costa, La ringrazio per il suo articolo e per aver riconosciuto la necessità di smantellare il tabù del piacere. L’impressione che ho ricavato è che lei abbia letto il mio libro EROS un po’come fa l’amore - in modo sommario - smarrendo il senso profondo della cosa, una circostanza frequente quando si affronta il sesso in modo fallocentrico e frettoloso. EROS mira ad aiutare le coppie a superare la noia del sesso fallocentrico e a trasformare l’atto dell’accoppiamento in una vera cerimonia, laddove molti dati scientifici al riguardo rivelano che la grande maggioranza dei rapporti sessuali dura dai 3 ai 15 minuti al massimo. Praticare solo il fast sex banalizza il sesso riducendolo a un esercizio fisico che può lasciarci annoiati e insoddisfatti nel tempo e preclude sia alla donna che all’uomo la possibilità di scoprire ed esplorare altre frontiere del piacere. EROS infatti parla di piacere e di come moltiplicarlo, scoprendone ed esplorandone tutte le varianti, non solo la penetrazione. Concedersi del tempo per fare l’amore, ingaggiando il corpo nella sua interezza come organo sessuale, permette di ingrandire e espandere la nostra percezione del piacere, solo così possiamo scoprire e condividere le nostre vere potenzialità sessuali. Permette, inoltre, di connetterci alla parte più intima di noi stessi e fa accrescere la conoscenza e la fiducia reciproca. Non è un mistero che la fiducia catalizza il piacere. Quel tipo di fiducia che ci permette di farci legare o bendare senza timore, di affidare letteralmente la nostra mente e il nostro corpo alle mani e alla mente di un altro. L’eros non è fatto solo di sveltine (non ho nulla contro le sveltine anche perché a volte il sesso veloce è imposto dal tempo che abbiamo a disposizione, fra impegni, famiglia, figli eccetera) ma il sesso veloce può diventare banale, e noioso soprattutto per la donna, perché il suo piacere si esalta nella durata e a volte non bastano pochi minuti di penetrazione veloce. Questo tipo di rapporto che è ancora quello dominante rivela poco dell’enorme capacità di ogni corpo di dare e ricevere piacere sessuale. Il mio libro si rivolge a tutte quelle persone che riconoscono il valore della soddisfazione sessuale in ogni frangente della vita, non solo a letto. Solo riservando del tempo dedicato a questo momento fondamentale al nostro benessere generale possiamo riaccendere la dimensione del desiderio, trascendendo i nostri limiti e riportando la passione e il piacere al centro delle nostre vite. EROS suggerisce la possibilità, nel contesto della cerimonia sessuale, di ricorrere a strumenti di cui va appreso l’uso corretto: corde, bende, fruste vanno usati in modo sicuro per procurare piacere, e non il contrario. Questi strumenti se ben usati stimolano la mente e l’immaginazione oltre il corpo nella sua interezza. Leggendo EROS con più attenzione, scoprirebbe che non condanno il sesso con partner occasionali, ma non è questo il punto. EROS ci invita a ottenere di più dalla nostra vita sessuale. La pornografia, il sesso veloce e consumistico - e ancora molti, troppi maschi - vedono il sesso solo come penetrazione e non come un processo di soddisfazione reciproca e di scambio. Non vediamo l’amore nello stesso modo Signora Costa, mi sembra che la sua visione sia antiquata, legata al concetto romantico dell’amore. Io intendo l’amore come esperienza assoluta, che permette di amare se stessi al punto di amare e darsi interamente a un altro, e anche per una sola notte a uno sconosciuto quando capita.
Auguri e buona lettura. Betony Vernon
Caterina Galloni per blitzquotidiano.it il 12 settembre 2021. Morire facendo l’amore ad alcune persone può sembrare il modo migliore di lasciare questa terra. In realtà, come riferisce il Sun, può avvenire in circostanze orribili.
Morire facendo l’amore, i casi più strani e famosi.
In India un uomo che non aveva dietro un preservativo ha avuto la pessima idea di sigillare il pene con la colla, pensando così di avere un rapporto in sicurezza. Prima di fare sesso con la fidanzata in un hotel nel Gujarat, Salman Mirza, 25 anni, ha applicato l’adesivo sul pene. Sembra sia deceduto per insufficienza multiorgano. Ma è solo l’ultimo esempio di persone, anche note, morte mentre avevano un rapporto sessuale.
Nelson Rockefeller, vicepresidente degli USA all’epoca di Gerald Ford, nel 1979 ebbe un infarto mentre era in “compagnia” della giovane assistente. L’anno scorso, l’attore Matthew McConaughey ha rivelato che il padre è morto facendo l’amore con la madre.
Ma altri esempi sono davvero orribili: dagli attacchi dei leoni alle cadute mortali. L’atto sessuale in sé può essere pericoloso per la vita. Il Sun scrive che all’inizio del 2020, un uomo è morto dopo aver avuto quello che l’autopsia ha definito un “super orgasmo”.
Charles Majawa, 35 anni, di Phalombe, in Malawi, dopo un incontro con una prostituta ha perso conoscenza. I poliziotti e un medico legale del Migowi Health Center hanno visto il corpo e hanno confermato che la causa della morte era dovuta a “un super orgasmo che ha provocato la rottura dei vasi sanguigni nel cervello”.
Sbranato da un leone mentre fa l’amore in un bosco. Anche fare l’amore all’aperto, quando nelle vicinanze ci sono animali pericolosi, è stato motivo di morte.
Nel 2013, un sito web di notizie dello Zimbabwe ha riferito che una coppia mentre faceva sesso in un bosco è stata aggredita un leone. Dopo aver interrotto il rapporto, il felino ha ucciso Sharai Mawera mentre l’amante, non identificata, è riuscita a scappare.
Viagra tra le cause più frequenti. La pillola blu è stata collegata ad alcuni decessi scioccanti. In Thailandia, il turista britannico Michael Soden sembra sia morto per un attacco di cuore dopo aver assunto il farmaco e aver fatto sesso con una prostituta.
Nel 2016, il 54enne è stato trovato morto nella sua stanza degli ospiti a Pattaya City. “Aveva ricevuto la ragazza nella sua stanza, aveva preso il Viagra e poi è morto”, aveva detto all’epoca l’ufficiale superiore Pitak Neonsaeng. “Pensiamo che dopo il rapporto sia andato in bagno dove poi è morto”. L’anno scorso il farmaco avrebbe provocato un altro decesso, sempre in Thailandia. Khun Thep , 44 anni, dopo aver assunto un cocktail di sostanze – incluso il Viagra – ha avuto un infarto ed è morto durante un’orgia.
Soffocato dal seno dell’amante muore durante il rapporto. A Washington, USA, nel 2013 Donna Lange ha ucciso l’amante all’interno di un camper. La donna, in quel momento ubriaca, aveva affermato di non avere idea come fosse morto l’uomo, ma un testimone aveva riferito di averla vista schiacciare il seno contro il volto dell’uomo. Un anno prima, un avvocato tedesco aveva accusato la fidanzata di aver tentato di ucciderlo con il suo seno. La donna indossava la taglia XL di reggiseno. La presunta vittima aveva sostenuto che l’aggressione a sorpresa è avvenuta mentre erano in preda alla passione. Secondo quanto riportato dal Daily Mail, in tribunale Tim aveva testimoniato: “Improvvisamente mi ha afferrato la testa e l’ha spinta contro il seno con tutta la forza. Non riuscivo più a respirare, devo essere diventato blu. Non riuscivo a liberarmi e pensavo che sarei morto”. Ma è riuscito a liberarsi e in seguito ha detto di aver fatto confessare la femme fatale. “Le ho chiesto perché volesse uccidermi con il seno e lei ha risposto: “Tesoro, volevo che la tua morte fosse il più piacevole possibile'”.
A letto con i Romani. Uno sguardo alla sessualità nell’antica Roma. Martina Cammerata il 22 marzo 2020 su tribunus.it. Tra tutte le civiltà del mondo antico, quella romana del periodo tra tarda repubblica e alto impero è quella che sicuramente ci sembra più simile alla nostra. Tuttavia, sotto quest’apparente somiglianza e nonostante alcuni punti di contatto, si nascondono in realtà anche moltissime differenze. Ciò vale, naturalmente, anche quanto concerne la sfera della sessualità.
Usi, curiosità e posizioni preferite.
Da varie rappresentazioni (es. affreschi, lucerne, etc.) si possono riscontrare alcune delle preferenze dei Romani durante l’amplesso, sia per quanto riguarda le posizioni che per altri dettagli.
Ad esempio: la donna, solitamente, non scioglieva i capelli durante l’atto, ma era anzi considerato molto più sensuale che mostrasse la nuca e raccogliesse i capelli sopra la testa.
Inoltre, le donne pare che spesso non togliessero il reggiseno (strophium): questo forse perché il seno non era considerato un “oggetto di desiderio”, oppure perché lo strophium potrebbe aver avuto lo stesso valore della nostra lingerie.
Le donne, infine, non son quasi mai del tutto nude: indossano spesso gioielli, bracciali, cavigliere.
Tra le pratiche sessuali più particolari, inoltre, c’era quella di porre specchi per potersi vedere, mentre si faceva sesso.
Ovviamente, essendo degli oggetti molto costosi, specie quelli in vetro, questa pratica era diffusa solo nei ceti più abbienti.
I Romani chiamavano la stanza con gli specchi “speculatum cubiculum“. Vi son molti famosi personaggi amanti di questa pratica, tra cui il poeta Orazio.
Anche l’osservazione dell’atto sessuale era spesso considerata eccitante.
In latino, si indicava col termine “lascivus” colui che si eccitava nel guardare due persone intente nell’atto sessuale.
I luoghi più adattati per cimentarsi in questa pratica erano ovviamente i lupanari (ovvero, i bordelli), poiché le stanze di questi luoghi erano solo nascoste da delle tende, e le pareti avevano delle piccole aperture.
Anche alle terme era possibile spiare corpi nudi maschili o femminili, ma giochi di più raffinato erotismo avvenivano nelle case private.
I più ricchi, infatti, possedevano dozzine di schiavi, ed uno di questi era detto cubicularius. Questo fidatissimo schiavo dormiva per terra, davanti all’uscio della camera da letto dei padroni, e doveva assisterli in tutto, anche durante i rapporti sessuali (versando da bere, o portando una lucerna). Questo è visibile anche in molti affreschi pompeiani.
Nel mondo romano circolavano anche dei veri e propri manuali per far sesso, non dissimili dal famoso Kamasutra, che enumeravano e descrivevano minuziosamente le posizioni da adottare durante un rapporto sessuale.
In realtà, già in epoche e contesti precedenti (es. sotto Alessandro il Grande e nel mondo ellenistico) circolavano opere che spiegavano le varie tecniche di seduzione, e le varie posizioni. Alcuni autori greci vollero provare a rintracciare l’origine di questo genere letterario, attribuendo la primissima opera erotico-pornografica addirittura ad Astyanassa, una delle ancelle della mitica Elena di Troia.
Queste opere erano reperibili soprattutto, pare, ad Alessandria. Per aver un maggior successo, questi libri spesso risultavano scritti da donne, quando non famose prostitute, che svelavano appunto i loro più intimi segreti (sotto tali pseudonimi, spesso, si celava in realtà un uomo).
Fanno eccezione, però, due scrittrici: la prima è Pamphila, che visse in epoca neroniana ed autrice di oltre 33 opere letterarie; la seconda è Elefantide, una poetessa del I secolo a.C. amante del sesso ed esperta nel realizzare ricette per indurre l’aborto. A questa è attribuito il De Figuris Coitus, il più famoso “Kamasutra romano”.
Questo testo pare che ispirò la realizzazione di numerosi di quei quadretti erotici che arredavano le ville patrizie.
Purtroppo, nonostante il grande successo che riscossero in epoca antica, di questi testi non ci è giunto nemmeno un frammento. Vi sono solo pochissime informazioni provenienti da alcuni autori antichi.
In alcune stanze delle case patrizie (cubicula) o nelle celle meretriciae, presso i lupanari, spesso si trovavano dei quadretti con immagini intrise di una forte carica erotica e sessuale, detti “figurae Veneris“.
Il fatto interessante è che da queste scene si può intuire il ruolo della donna romana nella società di allora. A differenza delle stesse scene di origine ellenica, in quelle romane la donna ha un ruolo attivo nella scena e sembra prendere iniziativa.
Ciò fa capire il suo relativo livello d’emancipazione.
Tra le posizioni, le più gettonate erano: quella classica del missionario; la “leonessa”, cioè con lei a quattro zampe e l’uomo dietro; la “Venus Pendula” cioè con la donna che cavalca l’uomo in ginocchio o seduta a gambe divaricate; la “Pendula aversa”, similare alla precedente ma che permette una vista migliore dei glutei; poi vi era, ovviamente, la pratica della fellatio.
Il sesso orale
L’uomo romano aveva il dovere di dominare non solo col gladio, lo scudo e le legioni ma anche, e soprattutto, in camera da letto.
Durante il rapporto sessuale, l’uomo romano non doveva mai avere un ruolo passivo, sia in caso di rapporti eterosessuali, sia – o meglio, a maggior ragione – in quelli omosessuali. Facevano eccezione quelli di tipo orale, nei quali invece doveva ricevere piacere.
Il maschio romano doveva, quindi, ricevere il piacere, e non donarlo. Per questo motivo, l’uomo romano non doveva per alcuna ragione praticare del sesso orale a una donna, poiché si sarebbe sottomesso a lei, sia nella posizione, sia nel darle piacere.
Per un Romano, infatti, la bocca usata in Senato per la proclamazione di leggi era sacra, e non doveva “sporcarsi” con comportamenti non idonei al suo status.
Le dimensioni sono importanti: virilità e simbologia delle dimensioni del membro maschile
A differenza dei Greci, per i Romani le dimensioni del pene contavano molto, dato che l’organo sessuale maschile era sinonimo di potenza, forza, e fortuna.
Alle terme, dove solitamente si faceva sfoggio della propria nudità, i più dotati non avevano alcun timore a farsi vedere in pubblico. Spesso, venivano anche elogiati in epigrammi per le loro “doti”, come per esempio quelli del poeta Marziale.
Anche una efficace prestazione sessuale, unita alle dimensioni, era sinonimo di potenza virile. Marcello Empirico, scrittore vissuto tra il IV ed il V secolo d.C., scrisse un trattato di medicina recuperando testi più antichi, da Plinio a Galeno. Nel suo trattato descrisse la ricetta per realizzare delle pastiglie (globulos) per accendere il desiderio sessuale, con semi di rucola, pinoli, lampascioni rossi, cime di nardo, tritati assieme e mescolati.
La posologia prevedeva di prenderle a stomaco vuoto e disciolte in latte caprino.
Il punto di vista delle donne. Il piacere femminile e le scuse delle donne in camera da letto
Duemila anni fa, il poeta Ovidio scriveva: “Fingi gioia con parola bugiarda… offri credibilità col movimento e con gli occhi: mostrino il piacere sia le parole sia il respiro affannoso”.
Anche le donne romane, quindi, fingevano a letto!
Ciò probabilmente al fine di compiacere il proprio amante, oppure per accelerare i tempi – un po’ come al giorno d’oggi.
Ciò era anche possibile, poiché l’organismo femminile è sempre stato per gli uomini reputato “misterioso”. Ci si interrogava infatti, già all’epoca, sul suo funzionamento e su come una donna potesse raggiungere il piacere.
Vi erano due principali scuole di pensiero. La prima sosteneva che fosse fisicamente impossibile per una donna raggiungere l’apice del piacere. Per altri invece, come il grande medico Galeno, anche per la donna era possibile raggiungere l’orgasmo, e secondo loro questo avrebbe indotto la produzione di “sperma” nel momento più intenso dell’amplesso.
Ovviamente, questo “sperma” individuato dal medico non era altro che il liquido lubrificante emesso dalla donna durante l’eccitazione.
Infine, il medico riteneva che entrambi gli “spermi”, maschile e femminile, contribuissero al piacere sessuale.
Visto il ruolo attivo e la valenza dell’atto sessuale per l’uomo, le donne dovevano spesso far i conti con l’irruenza degli uomini, e in qualche modo evitarli, senza dover dir sempre di “no!”.
La donna doveva farsi desiderare, per far crescere il desiderio nell’uomo, e creargli l’aspettativa di esser sul punto di riuscire a conquistarla, per poi rinviare questa certezza.
Tra le numerose scuse usate tra il gentil sesso per rimandare anche all’ultimo momento un incontro amoroso, o una focosa notte di passione, ce n’è una intramontabile, in voga ancora oggi: il mal di testa!
Un’altra scusa molta usata era quella dei divieti e dei giorni di astinenza sessuale imposti dalla venerazione della Dea Iside, il cui culto era infatti molto seguito dal gentil sesso. Nessun uomo romano era a conoscenza con precisione di quali fossero queste giornate, e così erano facilmente tratti in inganno.
Ma le donne romane sapevano che non bisognava negarsi troppo ad un uomo, o questo avrebbe poi perso l’interesse nei loro confronti.
Lo stesso poeta Ovidio scriveva: “Negati molte notti, fingi un dolore di testa, un’altra volta Iside ti fornirà pretesti. Poi ricevilo, affinché non contragga l’abitudine di sopportare e non venga meno un amore troppo spesso rifiutato.”
La masturbazione
A differenza di una concezione contemporanea dura a morire, la masturbazione in epoca romana non era affatto proibita, ma anzi era considerata un fatto del tutto naturale.
Il termine deriva dal latino “masturbari“, che a sua volta, derivava dal greco “mezea“, cioè “genitali”, e dal latino “turbare“, ovvero “scuotere”, “eccitare”.
Questa pratica non solo non era mal vista, dato che si riteneva che anche gli dèi la praticassero, ma era addirittura anche sotto la protezione di una divinità, Pan.
Anche i medici vedevano la masturbazione di buon occhio, inquadrandola nella famosa teoria degli umori del corpo, che andavano trattenuti o liberati.
La cosa era talmente naturale da esser oggetto di scene teatrali, talvolta comiche, nelle Commedie Greche, come ad esempio quelle di Aristofane.
Per i Romani l’atteggiamento rimase pressoché identico. Anche più avanti, nel IV secolo d.C., con l’avvento del Cristianesimo come religione ufficiale dell’impero, non si hanno notizie di condanne per questa pratica, sebbene fosse contraria ai principi religiosi. Solo nell’Alto Medioevo apparve la prima condanna per la masturbazione e varie pratiche di autoerotismo.
Va comunque precisato che solo la masturbazione maschile era tollerata in epoca antica, mentre quella femminile era molto criticata, in quanto non considerata all’altezza dello status di una matrona, e soprattutto perché sfuggiva al controllo del piacere sessuale dell’uomo.
La prostituzione maschile
Nei lupanari romani era possibile trovare anche giovani uomini, a cui quali ancora non era cresciuta la barba, che si prostituivano.
Secondo alcuni studiosi, in età repubblicana la maggior parte dei prostituti sarebbe servita per soddisfare il desiderio femminile, mentre durante il periodo imperiale avrebbero dovuto soddisfare maggiormente le voglie di altri uomini.
Questi giovani venivano appellati in due modi: “spintria” (come le monete che venivano usate per le transazioni nei bordelli) o “exoletus“.
Questi prostituti erano generalmente mal visti e declassati socialmente, fino a scomparire del tutto verso la metà del III secolo d.C., quando l’imperatore Filippo l’Arabo dichiarò il mestiere fuori legge.
I prezzi delle loro prestazioni, però, dovevano esser più elevati di quelli delle loro colleghe donne, e variavano in base alle situazioni. I prostituti d’alto bordo, per esempio, venivano pagati con cifre esorbitanti, più delle donne; nei lupanari, invece, i costi per le loro prestazioni erano quasi identici.
I metodi contraccettivi
Data la grande libertà sessuale, era molto probabile che tra i Romani vi fosse un gran numero di gravidanze indesiderate. Per questo, si ricorreva all’utilizzo di vari anticoncezionali.
È possibile che i Romani abbiano inventato il primo preservativo, anche se nel caso questo sembra poi sparire fino al XVI secolo. Nel caso in cui ne facessero uso, forse non era molto in voga, dato che neanche gli autori latini ne fanno riferimento. Inoltre, va ricordato che l’uomo romano credeva che la forza vitale fosse contenuta nello sperma, quindi forse non si sarebbe nemmeno preoccupato molto delle conseguenze del sesso non protetto.
Un altro metodo per evitare le gravidanze, di sicuro, era il rapporto anale, praticato soprattutto dalle etere greche – anche se tale pratica restava molto più usata, ovviamente, nei rapporti omosessuali maschili.
Dato che il problema era soprattutto femminile, erano le donne a doversi ingegnare per evitare di restar incinte.
In primo luogo, erano molto in voga le lavande vaginali, dopo il rapporto, per alterare l’interno della vagina. Questa tecnica era pratica anche in Egitto e Medio Oriente, dove, per esempio, sappiamo che presso i popoli semitici era usanza introdurre nell’organo sessuale femminile delle spugne marine.
Inoltre, è noto che si suggeriva alle donne, qualche ora prima del rapporto, di spalmare sui genitali delle sostanze per creare un ambiente sfavorevole allo sperma: olio d’oliva rancido, miele, olio di mirto, cerussa, galbano mescolato a vino.
Alcuni di queste sostanze hanno davvero proprietà spermicide, come ad esempio l’olio di bacche di ginepro.
Alcuni medici dell’epoca suggerivano anche l’introduzione di “supposte” nella vagina i giorni precedenti il rapporto, o di “pessari”, forse già usati dagli antichi Egizi, se non addirittura in epoca preistorica. I pessari fungevano come una specie di diaframma dell’antichità: tamponi di lana, sassolini, o anelli, da inserire completamente prima del rapporto, ed impregnati di sostanze considerate spermicide (es. aceto o succo di limone) gommose, o addirittura astringenti.
Altre tecniche erano, invece, abbastanza curiose, e quasi sicuramente non molto efficaci. Per esempio: si consigliava alla donna di trattenere il respiro nel momento in cui l’uomo raggiungeva l’apice del piacere; o dopo il rapporto, d’alzarsi e di sedersi a gambe divaricate e starnutire (per farlo si poteva anche inserire del pepe nell’utero).
Altri medici consigliavano, invece, di aver un rapporto solo i cinque giorni dopo la fine del ciclo mestruale. Altri, come Plinio il Vecchio, risolvevano il problema alla radice scoraggiando gli amplessi; o consigliando di introdurre nella vagina escrementi di vari animali (es. di topo) o addirittura di berli. Oppure ancora, strofinarsi i fianchi col sangue di toro selvaggio.
Lucrezio, inoltre, suggerisce alla donna di ondeggiare i fianchi durante l’amplesso.
Infine, i Romani sembra che avessero ideato un composto molto efficace per l’epoca, una specie di pastiglia, i cui risultati ancora oggi hanno lasciato sbigottiti per l’efficacia.
Ne esistono due ricette.
La prima prevede: “dalla fine del mestruo, bere ogni giorno due bicchieri d’acqua nei quali è stato disciolto succo di silfio”. L’altra: “Mescolare assieme mirra dolce, succo di silfio, semi di ruta, e cera. Ingerire poi assieme a del vino vecchio.”
Sfortunatamente, il silfio, che cresce solo in alcune zone dell’Africa settentrionale, era una pianta molto rara, e non tutte potevano permettersi quindi certi metodi.
Non a caso, infatti, e nonostante il fiorire di metodi contraccettivi – davvero funzionanti o meno -, molte donne andavano incontro a gravidanze indesiderate e dovevano ricorrere direttamente all’aborto.
Dagotraduzione dal Daily Mail il 4 settembre 2021. Sei bravo a letto? Oppure sei il peggior amante che il tuo partner abbia mai avuto? Ma soprattutto, conosci la risposta a queste domande? Anche quando si ha il coraggio di porre la domanda, non sempre i nostri partner sono sinceri. Ecco quindi segnali che indicano che tipo di amante di sei (e speriamo tu non risponda sì a troppi di questi).
Non ti masturbi. La frequenza con cui le persone si masturbano è strettamente collegata al numero di orgasmi che raggiungono e alla loro passione sessuale. Conoscere il proprio corpo significa sapere cosa ti provoca piacere. Inoltre avere orgasmi regolari aiuta a mantenere la libido forte e stabile.
Non hai molta esperienza. La pratica aiuta, ma non è il numero di amanti a fare la differenza. Le storie di una notte sono solo un tipo di sesso. Fare sesso all’interno di una relazione invece aiuta a imparare a comunicare i tuoi desideri e i tuoi bisogni. Ti puoi anche istruire attraverso letture e ricerca online.
Il tuo desiderio sessuale è basso o inesistente. Incolpa mamma e papà: c'è un forte legame genetico con ciò che governa il nostro desiderio sessuale «a riposo». All’inizio di ogni relazione è normale provare un grande desiderio sessuale, ma è con il passare del tempo che la nostra attitudine si rivela per quello che è. Se il sesso non ti interessa è difficile diventare grandi amanti.
Sei troppo concentrato sull’orgasmo. Se giudichi una serata di sesso dal numero degli orgasmi, sei fuori strada. Il sesso riguarda il viaggio, non l’arrivo. Un amante premuroso ed erotico cercherà di aiutarti a rimanere nella zona vicina il più a lungo possibile invece che correre verso il traguardo. Un orgasmo dura pochi secondi o minuti, dopotutto.
Salti i preliminari. Per fare sesso alla grande è necessario scaldarsi, fisicamente e mentalmente. Certo, alcune volte entrambi siete così eccitati che non serve altro. Ma più spesso, soprattutto per le donne, i preliminari sono necessari per preparare il corpo. La vagina ha bisogno di lubrificarsi ed espandersi e i preliminari servono proprio a questo. Non è solo questione di divertimento: la ricerca ha dimostrato che più tempo si dedica ai preliminari, più agli uomini piace il sesso e più intensi sono i loro orgasmi.
Combatti con problemi di immagine corporea. Se non riesci a rilassarti durante il sesso, è improbabile che tu sia un buon partner sessuale. Se non ti senti a tuo agio a spogliarti, come diavolo puoi goderti il sesso?
I problemi di immagine corporea rovinano il sesso per entrambi. Sentirti impacciato e vergognarti del tuo corpo significa che non apprezzerai il tocco di un amante; non essere in grado di leccare, succhiare e accarezzare il tuo partner rende il sesso piuttosto noioso anche dall'altra parte.
Non ricambi il sesso orale. Una cosa è dire che non ti piace fare o ricevere sesso orale da un partner (insolito e perché dovresti privarti di uno dei più grandi piaceri della vita, ma ehi). Un altro è aspettarsi che il tuo partner ti pratichi sesso orale e rifiutarsi di ricambiarlo. Fare sesso orale senza che ti venga chiesto, con entusiasmo e perché ami dare piacere, è un segno distintivo di un grande amante. Non c'è niente di più sexy.
Sei cresciuto in una famiglia dove il sesso era visto come "cattivo". Se i tuoi genitori erano profondamente religiosi o conservatori, probabilmente si sesso si parlava raramente. E forse hai ricevuto il messaggio che fosse qualcosa di cui vergognarsi. È facile interiorizzare i primi messaggi sessuali negativi senza rendersi conto che lo stiamo facendo. Se hai molta ansia per il sesso e ti senti male con te stesso dopo, è probabile che sia successo questo.
Hai paura di provare cose nuove. Se soffri di ansia da prestazione, è probabile che tu non stia provando a fare nulla di nuovo a letto per paura di sbagliare. Indovina un po’? È meglio soffrire per alcuni momenti imbarazzanti piuttosto che essere completamente prevedibili e noiosi a letto.
Non chiedi quello che vuoi (e non lo sai davvero). Aspettarsi che il tuo partner legga nella tua mente cosa vorresti che ti facesse è immaturo e irrealistico. Il sesso non è qualcosa di innato: le abilità sessuali si imparano attraverso l'esperienza e comunicando al partner cosa funziona e cosa no. Se non sai cosa ti fa raggiungere l'orgasmo, come può saperlo il tuo partner? Se lo sai ma non glielo dici, dov’è il problema? Il sesso non dovrebbe essere un quiz.
Non chiedi al tuo partner cosa gli piace. Ancora peggio che non far sapere a un amante cosa ti piace, è non preoccuparsi di chiedere cosa fa piacere all’altro. Non aver paura di chiedere se stai facendo qualcosa di "giusto". Puoi capire molto dai gemiti e da come il tuo partner ti allontana o avvicina. Ma il modo migliore e più efficace per scoprire cosa vuole veramente il tuo partner è… chiederglielo.
Ti offendi se il tuo partner dà un feedback. Uno dei segni di un amante davvero esemplare è essere in grado di prendere una direzione senza sentirsi criticato.
I tuoi partner si ritirano dopo il sesso. Se il tuo partner dopo il sesso tace e si spegne, è molto probabile che qualcosa sia andato storto durante il rapporto. La maggior parte delle coppie si fanno le coccole e dicono sciocchezze dopo del buon sesso: dovresti sentirti più vicino e legato, non distante e insoddisfatto. Vuoi un «È stato fantastico!» e un bacio enorme, non un partner silenzioso e pensieroso.
I tuoi partner vogliono sempre meno sesso. Più resti insieme a una persona, meno sesso praticate. Pensa a quanto velocemente ciò accade nella maggior parte delle tue relazioni e avrai un'idea di quanto sia piacevole il sesso con te. Migliore è il sesso, più a lungo rimarrà una caratteristica regolare della tua relazione. Se stanno inventando scuse dopo soli tre mesi, abbiamo un problema, Houston. Idem se…
Non hai mai avuto un’ex che vuole essere "amica con benefici". Se hai un discreto numero di amanti sotto la cintura e nessuno di loro ha mai fatto una telefonata da ubriaca o ti ha suggerito di continuare a fare ancora sesso, probabilmente non è un grande segno. Insolito che nemmeno un ex chieda 'Che ne dici?'. O il sesso non è stato grandioso oppure non sei mai rimasto amico di una ex.
Sesso, ecco cosa fanno le donne per godere di più: le quattro "tecniche". A individuare queste quattro vie del piacere sono stati Devon J. Hensel, professore associato dell'Indiana University School of Medicine, e Christiana von Hippel, ricercatrice di OMGYES in uno studio pubblicato sulla rivista Plos One. Valentina Arcovio su Vanityfair.it il 18 aprile 2021. Superficiale, in abbinamento, dondolante e a pesca. Queste sono le 4 vie del piacere femminile. Più precisamente sono le strategie che le donne utilizzano per aumentare il piacere sessuale durante la penetrazione vaginale, sia con un uomo che con un sex toy. A individuarle sono stati Devon J. Hensel, professore associato dell’Indiana University School of Medicine, e Christiana von Hippel, ricercatrice di OMGYES in uno studio pubblicato sulla rivista Plos One. L’intento dei ricercatori era quello di dare alle donne uno strumento per aiutarle a comunicare e a spiegare il loro piacere sessuale. La comunità scientifica concorda nel ritenere la salute sessuale e riproduttiva come una parte fondamentale del benessere di una persona. Attualmente, la ricerca sulla salute e sul comportamento sessuale delle donne tende a concentrarsi sulla parte del corpo o sull’oggetto che penetra o stimola la vagina (ad esempio un pene o un giocattolo sessuale), invece delle tecniche di penetrazione o stimolazione che le donne stesse usano durante il sesso. Per colmare questa lacuna i ricercatori hanno coinvolto nello studio più di 10mila donne dai 18 ai 93 anni d’età. “Abbiamo chiesto a migliaia di donne cosa fanno per provare più piacere dal sesso penetrativo e abbiamo scoperto che ci sono quattro tecniche che funzionano per la maggior parte delle donne”, spiega il von Hippel. Dai risultati è emerso che l’87,5 per cento di esse utilizza la tecnica della “angling” (pesca) che prevede rotazione, sollevamento o abbassamento del bacino durante la penetrazione per stimolare il punto in cui si sfrega il pene o il sex toy all’interno della vagina. Circa il 76 per cento utilizza invece la tecnica “rocking” (dondolante), in cui la base del pene o di un sex toy sfrega costantemente il clitoride durante la penetrazione, rimanendo completamente all’interno della vagina senza spingere dentro e fuori. Circa l’84 per cento ha usato la tecnica “shallowing” (superficiale) che si concentra sul punto d’ingresso della vagina. Infine, il 69,7 per cento ha utilizzato il “pairing” (abbinamento), cioè quando la donna o il partner stimola il clitoride con un dito o con un sex toy mentre c’è la penetrazione. “Ci auguriamo che portare questa importante conoscenza fuori dall’ombra, alla luce del giorno, con un linguaggio chiaro darà alle donne il potere di riconoscere, comunicare e agire meglio in base a ciò che vogliono”, conclude von Hippel
Orgasmo femminile, le 4 tecniche preferite dalle donne per il massimo del piacere. Vanityfair.it il 25 agosto 2021. Le hanno soprannominate Angling, Rocking, Shallowing e Pairing. In un nuovo Rapporto sul Piacere, i suggerimenti di oltre 3mila donne sulle tecniche per ottenere il massimo dell'appagamento sessuale. «È il punto più alto dell’eccitazione sessuale, una sensazione di benessere esplosiva e passeggera che coinvolge tutto il corpo per alcuni secondi: i muscoli del pavimento pelvico, quelli dell’ano e quelli dell’utero si contraggono ritmicamente. Il cuore batte ancora più forte, si suda, la pressione aumenta, le guance e la pelle si arrossano. Ad alcune può capitare che braccia e gambe abbiano degli spasmi dati dalla tensione e dalla contrazione generale del corpo in questa fase. Altre gemono o reagiscono in modo vocale alle sensazioni che provano...». Così è descritto l’orgasmo femminile nel saggio Vengo prima io, della sessuologa Roberta Rossi, una sensazione psicofisica complessa, fatta di cambiamenti fisici e sensazioni oggettive e soggettive. La ricerca di tale piacere non segue regole precise, perché ad alimentare l’eccitazione convergono vari fattori, fisici e psicologici. La scienza, in questo ambito, può offrire solo qualche spunto per indirizzarci nella giusta direzione, oppure, nel caso di un sondaggio condotto negli Stati Uniti su oltre 3.000 donne tra i 18 e i 95 anni, in quattro direzioni. Realizzato da un team di ricercatori dell’Indiana University School of Medicine, in associazione con la società di formazione online OMGYes, questo nuovo Rapporto sul piacere è il frutto di una moltitudine di esperienze femminili condivise e tradotte in suggerimenti per ottenere il massimo del piacere. Già nel 2017, OMGYes – formata da un gruppo di ricercatori, registi, ingegneri, educatori e sessuologi con un forte interesse per la creazione di risorse informative, schiette e pratiche, sul piacere delle donne – aveva pubblicato i risultati di un precedente Rapporto sul piacere, in cui le opinioni di 1.000 donne offrivano una panoramica di esperienze sulla stimolazione e sul piacere sessuale. Questo secondo studio cambia leggermente rotta, concentrandosi meno sui punti da stimolare e più sui movimenti e sulle posizioni del corpo per ottenere il massimo dalla penetrazione. «Abbiamo chiesto a migliaia di donne cosa fanno per provare più piacere durante il sesso penetrativo e abbiamo scoperto che per la maggior parte di loro ci sono quattro tecniche che funzionano», spiega Christiana von Hippel, scienziata della Salute Sessuale e Riproduttiva. «La nostra azienda, OMGYES.com, ha dato loro nomi e creato diagrammi, animazioni e video di donne di tutte le età che spiegano le proprie esperienze». Obiettivo di OMGYES.com è infatti quello di promuovere un’informazione chiara sul piacere sessuale inteso come un diritto fondamentale, piuttosto che come un problema medico o psicologico da risolvere. I ricercatori hanno individuato le quattro tecniche che per le donne rendono il sesso penetrativo più piacevole. Le hanno soprannominate Angling, Rocking, Shallowing e Pairing e si distinguono dai suggerimenti forniti da altri studi scientifici sul piacere legato a specifici atti sessuali o al coinvolgimento di oggetti o precise parti del corpo. Nello specifico, l’87,5% delle intervistate ha affermato che la tecnica Angling è la più adatta a loro: consiste nel ruotare o sollevare il bacino in modo da trovare una posizione in cui il sex toy, il pene o le dita aderiscono perfettamente. Circa tre quarti delle intervistate hanno invece espresso la propria preferenza per la tecnica Rocking, caratterizzata da movimenti che aiutano la base del pene o del sex toy a sfregare in modo costante contro il clitoride durante la penetrazione. Circa l’84% delle partecipanti allo studio trova invece più eccitante una penetrazione che si ferma quasi sul lato esterno della vagina, soprannominata Shallowing. Infine, c’è la tecnica dell’abbinamento, definita Pairing: poco meno del 70% delle partecipanti al sondaggio ha affermato di essersi divertita moltissimo a farsi stimolare il clitoride con un sex toy o un dito durante la penetrazione. Ovviamente nessuna di queste tecniche rappresenta una ricetta infallibile per raggiungere il massimo del piacere: ciascun corpo è un universo a sé. Ma in una società in cui la discussione sulla soddisfazione sessuale, specialmente per le donne, è spesso ostacolata da un linguaggio ambiguo, da miti resi popolari nella pornografia o da una cultura della vergogna, avere a portata di mano pochi termini chiari ed espliciti è un punto di partenza essenziale. «Ci auguriamo che i risultati portati alla luce da questo studio, e divulgati attraverso un linguaggio chiaro, possano consentire alle donne di riconoscere, comunicare e agire meglio sessualmente sulla base di ciò che desiderano», conclude von Hippel. Esattamente quello che tutte noi vorremmo.
Le 5 cose che minacciano il buon sesso. Francesca Favotto su Vanityfair.it il 2021. Anche fare l'amore non è sempre facile, possono subentrare tanti fattori, tra cui quelli mentali, a complicare un sano approccio alla sessualità. Ecco quali:
Fare sesso sembra la cosa più naturale e spontanea al mondo. Sembra, dovrebbe essere così, ma non sempre. Quante volte abbiamo sentito dire la famosa frase “Il cervello è l’organo sessuale più importante del corpo”? Perché un fondo di verità c’è. Organi sessuali funzionanti, livelli ormonali appropriati e la capacità di eccitarsi sessualmente da soli non garantiscono un buon sesso. Altri fattori, soprattutto quelli cerebrali, possono interferire, sabotando il rendez vous hot. Quali possono essere? Ve li spieghiamo qui sotto e nella nostra gallery, ma siamo certi che ne sappiate già qualcosa, perché – ahinoi – sono situazioni più comuni di quanto si vorrebbe.
Problemi di relazione. La tensione e la distanza emotiva possono minare la vita sessuale di una coppia. I conflitti che non hanno nulla a che fare con il sesso, come le questioni economiche o quelle legate all’educazione dei figli, possono essere alla radice di un problema sessuale. Funziona anche nell’altro senso: un problema sessuale può mettere a dura prova la capacità di una coppia di andare d’accordo nella vita di tutti i giorni.
Ansia da prestazione. Una persona può preoccuparsi così tanto per le prestazioni sessuali che il sesso non è più piacevole o addirittura possibile. L’ansia da prestazione diventa più comune sia per gli uomini che per le donne quando raggiungono i 50 anni, ma ultimamente si è diffuso questo tipo di preoccupazione anche nelle fasce d’età più giovani.
Immagine corporea e autostima. Ci sono molte cose che possono far sentire una persona meno sexy. Seno, braccia, addome, sedere… Diciamo che la forza di gravità non è “gentile” con il corpo mentre invecchia. Anche il parto, una dieta restrittiva, l’aumento di peso o il diradamento dei capelli possono far sentire una persona meno desiderabile. Queste sensazioni possono intralciare la voglia di sperimentare a letto o anche solo l’avvicinamento e possono inibire una persona dall’iniziare o dal rispondere alle avance sessuali.
Aspettative ed esperienze passate. La sessualità è una spinta “naturale” che ci accompagna dalla nascita, ma la famiglia, la cultura, il background religioso, i media e chi ci circonda possono influenzare il nostro atteggiamento nei confronti del sesso. Per alcune persone, questo può in qualche modo agevolare un sano e libero approccio al sesso. Per altri, può complicare i rapporti sessuali.
Stress e cambiamenti nello stile di vita. Lo stress e la stanchezza possono indebolire rapidamente il desiderio sessuale. Lo stress può colpire da qualsiasi direzione: problemi con i figli, preoccupazioni finanziarie, genitori che invecchiano, problemi di salute, problemi di carriera… Un sovraccarico di richieste, che possono anche entrare in conflitto tra di loro, può impedire a te e al partner di coltivare molti aspetti della vostra relazione, sessuale e non.
Che cos'è il «maintenance sex», il sesso di mantenimento. Miriam Tagini su Vanityfair.it il 16 agosto 2021. Molte coppie hanno probabilmente intrapreso la pratica del maintenance sex senza neanche saperlo. Ecco di cosa si tratta e quali sono i pro e i contro. Avete mai sentito parlare di maintenance sex? È il sesso di mantenimento. Suona strano? Forse perché associamo più probabilmente la parola manutenzione a qualcosa che dobbiamo fare per un’auto o per una proprietà. Ma da qualche tempo, questo stesso termine è stato sempre più usato in relazione al sesso e alla vita di coppia. Chiunque abbia avuto una relazione duratura sa che prima o poi il periodo rosa e fiori dei primi mesi bollenti va a scemare, e che quando la vita si mette di mezzo, è facile sentirsi troppo impegnati per darsi da fare sotto le lenzuola. Per coloro che hanno relazioni a lungo termine, la differenza tra la vita sessuale sul nascere della coppia e quella attuale potrebbe sembrare assai netta. Che si tratti di orari di lavoro frenetici con turni troppo lunghi, o lo stress di portare avanti un lavoro full time e al tempo stesso prendersi cura dei figli e della casa, spesso alla fine della giornata le coppie sono troppo stanche per amoreggiare. Se vi rispecchiate in quanto fin qui descritto, forse troverete conforto nel sapere che la diminuzione dell’intimità sessuale è normale in molte relazioni. È infatti comune per molte coppie in una relazione da anni avere quelli che in gergo vengono chiamati “periodi di siccità”. Si tratta di periodi di tempo, più o meno lunghi, in cui semplicemente non c’è sesso. Un recente sondaggio online ha dimostrato che che molte coppie sposate, fidanzate o con relazioni a lungo termine sono passate da avere rapporti quattro volte a settimane a una volta sola. «C’è un momento in una relazione in cui si è superata la fase di infatuazione e scoperta. Siete al sicuro l’uno con l’altro e lo stress e gli obblighi della vita iniziano a diventare una priorità – ha affermato il dottor Sanam Hafeez, psicologo clinico di New York – Ci sono un sacco di fattori di stress esterni e cose che possono minacciare la possibilità di essere “dell’umore giusto” per il sesso nonostante si sia innamorati». Tuttavia, la vita sessuale (così come la sua mancanza) svolgono un importante ruolo all’interno di una relazione. La connessione a livello fisico ha infatti una funzione fondamentale nella vita di coppia. Anche se non esiste un numero magico in grado di indicare quante volte va consumato un rapporto (la frequenza ideale può variare significativamente da coppia a coppia a seconda dell’età, libido, dello stato di salute e altri fattori), uno studio del 2017 ha indicato una frequenza ideale di una volta alla settimana per mantenere un certo livello di felicità di coppia.
Ecco allora che entra in scena il maintenance sex. Ma di che cosa si tratta esattamente? Con il termine maintenance sex si intende la pratica di incorporare consapevolmente il sesso all’interno della propria relazione, con l’obiettivo di mantenere una certa frequenza di attività fisica sotto le lenzuola. A seconda della coppia, questo potrebbe significare pianificare il sesso in anticipo o semplicemente prendere la decisione di farlo anche quando si è stanchi e non molto dell’umore. Ciò però non deve essere interpretato erroneamente come una pressione su uno dei due partner per fare sesso. Il maintenance sex è un sesso concordato da entrambi gli individui. E secondo gli esperti, questa pratica potrebbe essere vitale per le relazioni a lungo termine. Ma è davvero così?
I BENEFICI DEL MAINTENANCE SEX. Quando la vita diventa frenetica e gli orari di lavoro si allungano, il sesso di mantenimento può aiutare le coppie a riaccendere l’intimità. Secondo gli esperti, quando le coppie fanno sesso consensuale, anche se non sono magari “dell’umore”, sperimentano in ogni caso gli effetti positivi dell’atto. Il sesso infatti riduce i livelli di cortisolo, conosciuto anche come l’ormone dello stress, e rilascia sostanze chimiche per il benessere nel cervello, tra cui serotonina e ossitocina. L’ossitocina è un elemento chiave nelle interazioni sociali e nelle reazioni sentimentali, per questo ha preso il soprannome di ormone dell’amore. Ecco perché solitamente dopo un rapporto ci si sente più vicini al proprio partner. Non solo. Svariate ricerche affermano che il sesso ha molteplici benefici per la salute che vanno oltre il benessere mentale e di coppia. Tra i vari comprovati benefici a livello fisico è stato dimostrato che il sesso aiuta a diminuire la pressione sanguigna e di conseguenza migliorare il sistema cardiovascolare. Il sesso rafforza anche il sistema immunitario e fornisce un sollievo totale o parziale dall’emicrania e dai dolori ossei. Ciliegina sulla torta, il sesso riduce stress e ansia e migliora il sonno. Motivo per cui si è automaticamente più produttivi sul lavoro e meglio predisposti verso gli altri. Rachel Needle, direttrice del Modern Sex Therapy Institutes, spiega che il maintenance sex non deve necessariamente essere l’unico momento in cui una coppia ha rapporti, ma serve come un buon promemoria durante quelle settimane (o mesi) in cui non si ha tempo o voglia di niente. «Il nostro desiderio sessuale cresce e diminuisce nel corso di tutta la vita, e a volte dobbiamo fare uno sforzo cosciente per essere fisicamente intimi con il nostro partner – spiega Rachel Needle – Ma dobbiamo scardinare il mito secondo cui il sesso deve essere spontaneo. La vita può essere piena di impegni e la vita quotidiana può intralciare l’intimità fisica di coppia. Pianificare in anticipo può creare aspettativa ed eccitazione».
IL MAINTENANCE SEX RIMANE PER MOLTI UNA QUESTIONE COMPLESSA. Il maintenance sex è davvero una buona idea? I vantaggi, fisici e mentali, che si traggono dal sesso sono innegabili, ma esperti e psicologi hanno qualche dubbio e non tutti sono convinti che questa sia una pratica da suggerire e esaltare. Inoltre, da quando questo termine è diventato sempre più diffuso, molte persone hanno condiviso opinioni sull’argomento, condannando il maintenance sex e mettendo in luce i problemi relativi al consenso e ad altre questioni sociali come politiche di genere e stereotipi. Uno dei problemi fondamentali del maintenance sex è che è spesso rivolto solo alle donne. Facendo una velocissima ricerca su Google, troverete infatti svariati articoli che consigliano come intraprendere questa pratica. Tali consigli sono però rivolti sempre alle donne, mai agli uomini. Il concetto stesso di maintenance sex si basa su un’idea eteronormativa delle relazioni, in cui la sessualità maschile è incarnata da un desiderio fisico più elevato rispetto a quella femminile. Ciò rafforza l’idea che i desideri e la passione delle donne non siano mai messi alla pari con quelli degli uomini. Audrey Tang, psicologa e autrice di svariati libri sull’argomento, ribadisce questo punto, dichiarando apertamente che il fare sesso quando uno dei due partner non è sicuro o non ne ha voglia non è affatto qualcosa da celebrare. «Il sesso è spesso uno degli atti più amorevoli e intimi che si possa condividere con qualcuno- osserva la dottoressa – È qualcosa che gratifica tutte le parti coinvolte, per via della connessione emotiva e fisica. Quando però si cambia la narrativa in cui viene offerto questo bellissimo dono del sé "per mantenere la felicità del proprio partner in una relazione", questo svaluta non solo l’atto, ma peggio, il proprio valore personale, probabilmente erodendo l’autostima e la fiducia in se stessi».
Masturbazione maschile, tutto quello che avresti voluto sapere (e dovresti conoscere). Ilaria Perrotta su Vanityfair.it il 30 luglio 2021. Tutti la praticano, è un dato di fatto. E sì, anche il vostro uomo. Ma come funziona esattamente la masturbazione maschile? Curiose? Ecco alcune notizie (e fatti) su come si divertono nella loro intimità gli uomini con loro stessi. Prima di tutto, i metodi di autoerotismo sono tanti quanti sono gli uomini sulla Terra. Ecco perché ci sono cose che forse sfuggono alle donne riguardo la masturbazione maschile. Diciamo la verità, tutte siamo curiose di sapere come si diverte sola con sè stessa l’altra metà del cielo, quanto spesso lo fanno in media ecc. Siete capitate nel posto giusto. Prima di tutto diamo alcuni numeri e dati. Un recente sondaggio condotto su più di 3.500 uomini provenienti da Germania, Australia, Stati Uniti, Spagna e Italia da notizie in materia piuttosto illuminanti. In media, gli uomini si masturbano 156 volte all’anno, che si traduce in tre volte a settimana. Il 27% in genere sperimenta un orgasmo per circa 4/6 secondi. Il 18% afferma che dura dai 7 ai 9 secondi. La maggior parte (56%) preferisce masturbarsi in camera da letto, rispetto al 30% che lo fa sotto la doccia, il 22% in bagno e l’1% al lavoro (e sì!). Secondo lo studio, il 61% degli uomini compra sex toys per migliorare i propri orgasmi e, tra questi, 29% attualmente ne utilizza uno per masturbarsi. Last but non least, il 19% usa entrambe le mani.
MASTURBARSI FA BENE (ANCHE ALLA COPPIA). Come affermano diversi psicologi e terapisti sessuali, la masturbazione non è qualcosa riservato a coloro che si sentono soli o non hanno un partner. È una parte importante della scoperta e della cura di sé e ha molti vantaggi. Allevia lo stress, aiuta a dormire meglio, migliora l’umore e regala una sensazione di piacere. Ma permette anche di conoscere cosa piace o meno a livello sessuale, cosa da condividere assolutamente con la propria metà. Dunque non è solo un bene per se stessi ma anche per le relazioni.
NUOVE PRATICHE. Gli uomini sembrano anche più disposti a provare nuove pratiche durante la masturbazione, sia attraverso l’uso di sex toy che con la stimolazione di zone inesplorate. Informazioni che potrebbero tornare utili se si vuole sorprendere il proprio ragazzo. Attualmente sono in voga nuove pratiche sessuali come la stimolazione, ad esempio, della prostata. E questo aiuta gli uomini a scoprire un diverso tipo di piacere stimolando recettori sconosciuti. Pertanto, rompere le routine di masturbazione può, ad esempio, aiutare gli uomini a vivere a pieno le sensazioni pre-orgasmiche concentrandosi specificamente sull’eccitazione. Questo aiuta per il controllo dell’eiaculazione e, in definitiva, consente orgasmi più specifici. Quindi, se il nostro ragazzo «shakera il joystick» viviamocela bene: è sinonimo di salute e ci sono plus anche per noi!
Tecnica di allineamento coitale: e la posizione del missionario non sarà più la stessa cosa! A letto volete sperimentare l'orgasmo simultaneo? Provate la tecnica di allineamento coitale, vista in “Sex/Life”: non tornerete più indietro. Francesca Favotto su Vanityfair.it il 2 agosto 2021. Dopo aver visto la serie tv di Netflix “Sex/Life” – sappiate che “Bridgerton” in confronto è una roba da educande – probabilmente vi starete già chiedendo alcune cose: se ci sarà una seconda stagione, ma soprattutto in cosa consiste la tecnica di allineamento coitale, la posizione in cui Brad delizia Billie standole sopra, in quella che apparentemente sembrava un missionario. Sex/Life mostra un sacco di sesso, e molto molto hot: cunnilingus, fellatio, sesso in luoghi pubblici, doggy style, penetrazione con le dita e tantissimi orgasmi, ma è la tecnica di allineamento coitale quella che ha destato maggiore curiosità tra gli spettatori. E a quanto pare, gli esperti concordano sul fatto che questa posizione del missionario modificata possa essere la chiave per un sesso… più intenso.
In cosa consiste la tecnica di allineamento coitale?
In parole povere? È la versione aggiornata del missionario. Invece della normale spinta dentro e fuori del missionario, quando esegui la tecnica di allineamento coitale, solo la punta del pene è all’interno della vagina mentre la base del pene sfrega contro il clitoride.
«È una piccola variazione della posizione del missionario che si concentra sulla stimolazione del clitoride per raggiungere tassi di orgasmo più elevati», spiega la sessuologa Rachel Smith.
Il primo a parlare di questa tecnica è stato lo psicoterapeuta e ricercatore sessuale Edward Eichel alla fine degli anni Ottanta. L’obiettivo era “far raggiungere meglio l’orgasmo in coppia alle donne, mirando anche a orgasmi simultanei attraverso il contatto diretto tra pene e clitoride”.
Allora, perché si chiama tecnica di allineamento coitale?
Il punto centrale della tecnica di allineamento coitale è, come suggerisce il nome, allineare i genitali durante il coito. Invece di una spinta veloce o aggressiva, si tratta di colpi più lenti e costanti.
Quando la si esegue, «i partner sfregano i genitali l’uno contro l’altro delicatamente, con una leggera penetrazione e un leggero attrito esterno – spiega la terapista Neha Bhat – Fai poco, lentamente, e provi benefici profondi e intensi».
In che modo la tecnica di allineamento coitale è diversa da quella missionaria?
La tecnica di allineamento coitale coinvolge la donna sdraiata sulla schiena mentre l’uomo giace sopra, il che sì, suona molto come un missionario. Ma la differenza è che l’uomo è posizionato più in avanti rispetto al missionario tradizionale, afferma Smith. È fondamentalmente la variazione “in sella” rispetto alla posizione del missionario. Consente movimenti più verticali invece delle tipiche spinte dentro e fuori.
L’obiettivo? Strofinare e applicare pressione sul clitoride, al contrario della semplice penetrazione vaginale.
«Nel missionario, i partner si concentrano sulla dinamica in cui una persona dà e l’altra riceve soltanto – spiega Bhat – In questa tecnica, invece, entrambi i partner sono impegnati in entrambi i ruoli».
Cosa c’è di così bello nella tecnica dell’allineamento coitale?
Solo il 18% delle donne può effettivamente raggiungere l’orgasmo durante il solo sesso penetrativo, secondo il Journal of Sex and Marital Therapy. Ciò significa che senza una stimolazione del clitoride, la maggior parte delle donne non ci riuscirà.
Ma per fortuna, a causa del modo in cui i corpi sono allineati durante l’allineamento coitale, non solo si riceve molta più stimolazione del clitoride rispetto al missionario tradizionale, ma c’è anche più esposizione erogena totale. «La posizione favorisce il contatto di tutto il corpo e il contatto genitale completo, profondamente intimo, in tutti i sensi», spiega Smith.
E anche se sono ancora necessari ulteriori studi sulla tecnica, la ricerca di Eichel ha evidenziato un aumento significativo degli orgasmi per le donne, nonché orgasmi simultanei tra i partner.
Come si esegue la tecnica di allineamento coitale?
Andando al nocciolo della questione, come si fa nella pratica questa tecnica di allineamento coitale? Eccola, passaggio per passaggio:
1. La donna è distesa sulla schiena, mentre l’uomo si posiziona sopra il suo bacino.
2. L’uomo mette tutto il peso del corpo sopra la donna e afferra le spalle del ricevitore per evitare di scivolare all’indietro.
3. L’uomo usa il peso del busto per andare avanti invece di sollevarsi sugli avambracci.
4. La donna dovrebbe avvolgere le gambe attorno alle cosce del partner con un angolo di 45 gradi, appoggiando le caviglie sui suoi polpacci.
5. Una volta in posizione, la donna oscilla i fianchi in un movimento verso l’alto mentre l’uomo fornisce resistenza con un colpo verso il basso. L’obiettivo qui è che la donna prema il clitoride contro la base esterna del pene.
6. L’uomo dovrebbe concentrarsi su movimenti verticali lenti e controllati invece di spingere dentro e fuori. Questo ritmo viene ripetuto con l’intenzione di strofinare costantemente il clitoride.
7. Anche il contatto visivo, il tirarsi i capelli, i baci appassionati sono incoraggiati in questa posizione.
Ci sono rischi?
Poiché questa posizione è una variante del missionario, è opportuno considerare tutti i rischi associati alla posizione classica. Alcune persone potrebbero trovare scomodo il peso del partner sopra di loro, mentre altri potrebbero trovare fastidiosa la costante stimolazione del clitoride. Comunicate i vostri fastidi dove necessario, rimanendo fedeli all’idea principale dei movimenti verso l’alto e dello sfregamento.
Come con qualsiasi tipo di sesso, è sempre consigliabile utilizzare la protezione per ridurre la possibilità di malattie sessualmente trasmissibili (e in alcuni casi, la gravidanza). A parte le malattie sessualmente trasmissibili, poiché la tecnica di allineamento coitale è super strutturata, Smith osserva che potrebbe non consentire la “libertà, la spontaneità e il senso di abbandono” che molte coppie bramano. Inoltre, ognuno è diverso, quindi potrebbe non funzionare per alcuni, o semplicemente potrebbe non piacere.
Suggerimenti per perfezionare la tecnica di allineamento coitale
È probabile che dopo aver visto un episodio di Sex/Life, aver letto l’articolo e averla provata a letto una volta, probabilmente non riuscirete a padroneggiare subito la tecnica di allineamento coitale.
«I partecipanti allo studio di Eichel hanno praticato questa tecnica per due anni prima di riportare un grande successo, quindi cercate di non colpevolizzarvi se non siete in grado di perfezionare questa tecnica nei primi due tentativi», afferma Smith. Divertitevi, prendetela con calma e non stressatevi se non fa per voi o se ci vuole un po’ di allenamento.
Se avete difficoltà a trovare la giusta angolazione, prendete in considerazione l’idea di mettere un cuscino sotto i fianchi per sostenerli meglio (il che rende la stimolazione del clitoride ancora più facile) o aggiungete all’azione un sex toy o la stimolazione dei capezzoli per aumentare le sensazioni di piacere. E come sempre, usate del lubrificante.
COSA HAI FATTO L'ULTIMA VOLTA CHE HAI FATTO SESSO? Dagotraduzione dal Daily Mail il 16 luglio 2021. Cosa hai fatto l'ultima volta che hai fatto sesso? Eri nella tua camera da letto o nel bagno di una discoteca? Secondi oppure ore? Hai dato del filo da torcere al Kama Sutra o hai fatto sesso in stile missionario, a luci spente, il sabato sera? Quando le persone dicono di «aver fatto sesso», può significare tutto o niente. Certo, per la maggior parte, il "sesso" normalmente implica una combinazione piuttosto prevedibile di preliminari e rapporto sessuale. Ma non per tutti. Ho chiesto a uomini e donne molto diversi fra loro di dirmi cosa hanno fatto durante il loro ultimo incontro sessuale per scoprire quanto siano davvero varie le nostre vite. I risultati potrebbero sorprenderti!
Coppia sposata, 30 anni, con figli
«Quando ci siamo messi insieme, eravamo avventurosi. Guardavamo porno insieme, inviavamo foto e video di nudo. Tutto è andato all’aria dopo quattro estenuanti cicli di fecondazione in vitro». «Ha funzionato - abbiamo un bambino - ma a scapito della nostra vita sessuale. Il mio compagno ha due figli adolescenti da un altro matrimonio e anche loro stanno molto con noi». «Come puoi fare sesso bollente con un bambino di 18 mesi e due adolescenti in casa? Facciamo sesso una volta al mese. L'ultima volta è stato di notte, entrambi esausti. Niente baci, ci tuffiamo subito. Usa il mio vibratore per scaldarmi, ma poi andiamo subito al rapporto. Ha un orgasmo entro cinque minuti. Io no. «Si offre sempre di "prendersi cura di me" – un modo di propormi sesso orale - ma io dico sempre di no. Preferisco dormire piuttosto che raggiungere l'orgasmo».
Maschio, 22 anni, da quattro mesi con la fidanzata
«Il sesso è abbastanza stressante per me perché eiaculo troppo velocemente. La mia ragazza è piuttosto brava e sa che non ci vuole molto per farmelo perdere. L'ultima volta che abbiamo fatto sesso, indossava della biancheria intima fantastica e tacchi alti: adora mostrare il suo corpo. Si è inginocchiata davanti a me e mi ha fatto sesso orale e io sono venuto in pochi secondi». «Siamo abituati a questo, quindi ho continuato e le ho fatto sesso orale. Dopo un po', ero di nuovo un po' duro, quindi abbiamo provato ad avere un rapporto. È umiliante quando non sei abbastanza duro, ma ha funzionato. Sono durato circa tre minuti prima di venire. Un risultato abbastanza buono per me, quindi eravamo entrambi felici».
Coppia sposata, 50 anni, insieme da 12 anni
«Ho avuto alcuni problemi con il sesso doloroso dopo la menopausa, quindi non abbiamo più rapporti. Mio marito è piuttosto bravo: mi preoccupo che gli manchi ma non si lamenta». «Facciamo sesso circa una volta ogni quindici giorni ed è quasi sempre dopo aver bevuto vino - non riesco a ricordare l'ultima volta che abbiamo fatto sesso da sobri». «Gli pratico sesso orale per circa cinque minuti e lo porto al limite, poi lui inizia con me. Lo facciamo quasi sempre in salotto o in cucina, quindi o salto sulla panca della cucina o lui si sdraia sul divano e io mi metto a cavalcioni». «Si eccita quando vengo, quindi di solito si stimola mentre mi fa l'orale. A volte ho l'orgasmo, a volte no, ma non è un problema, quindi non devo fingere». «Siamo bravi così: si tratta più di darsi piacere l'un l'altro. Finché uno di noi ne ha uno, è tutto ciò che ci interessa».
Donna, 49 anni, sposata da 15 anni
«Un tempo amavo il sesso, ma adesso faccio di tutto per evitarlo. Riguarda mio marito, io non ne traggo alcun piacere. Ora è solo sesso per "occasioni speciali", anche se il suo compleanno è appena arrivato ed è passato indenne. Grazie a Dio». «Quando ci proviamo, sono invariabilmente io a fare delle cose a lui. È sempre ubriaco e ci mette un'eternità: è come un mini-allenamento e mi fanno male i polsi». «Non mi chiede mai cosa ho bisogno o cosa voglio; Immagino perché è ovvio che non mi piace fare sesso con lui. Ma cosa è nato prima? Il sesso noioso o l'essere annoiati dal sesso?».
Donna, 41 anni, single
«Sono single da anni, quindi il sesso è sempre tra me e il mio vibratore. O guardo il porno o leggo un libro con pezzi che so che mi faranno eccitare». «Mi piace molto anche l'audio porno: mi fa sentire come se ci fosse qualcuno nella stanza con me. A volte mi chiedo se ci sarà mai di nuovo». «Forse il sesso per me sarà sempre solo io e i giocattoli sessuali e questo è il mio destino».
Donna gay, 37 anni, impegnata in una relazione
«Questa è la mia prima relazione a lungo termine da un po' di tempo e ha pro e contro. Amo l'intimità ma mi piace il sesso feroce e abbastanza energico». «Il nostro sesso è fatto da lunghe sessioni di sesso orale e uso di dita e giocattoli sessuali. Mi piace l'eiaculazione femminile e posso raggiungerla abbastanza facilmente, quindi ci sono anche molte cose sul punto G». «Preferivo il sesso che facevo ma sono felice di farne a meno perché il rapporto è fantastico».
Femmina, 28 anni, gode di un sacco di sesso occasionale
«Io e il mio ex restiamo in contatto perché a entrambi piace il sesso anale e molte delle persone che frequentiamo no». «Ci incontriamo a tarda notte nei fine settimana e di solito fumiamo un po' d'erba e ci divertiamo con alcuni giocattoli per il sesso anale». «Riserviamo sempre i nostri orgasmi per il rapporto anale, però, che di solito avviene circa 15 minuti dopo. Il rapporto vaginale è così così una volta che si sperimenta l'anale». «L'anale è molto più intenso e soddisfacente. Dopo, fumiamo un po' di più e guardiamo un film, poi uno di noi torna a casa».
Coppia, 20 anni, che sta insieme da tre anni
«Mi sono svegliato accarezzando la mia ragazza, come faccio sempre. Abbiamo fatto sesso pigro, io da dietro, ma ho trattenuto l'orgasmo». «Abbiamo preso un caffè a letto, poi l'ho girata e le ho fatto sesso orale e l'ho fatta venire due volte. Poi è saltata sopra e l'ho fatto anch'io». «È così che iniziamo la maggior parte dei giorni del fine settimana, anche se ovviamente proviamo posizioni diverse».
Coppia gay sposata, sui 30 anni
«La gente pensa che gli uomini gay abbiano un sacco di sesso fantastico e molti partner, ma il nostro sesso è stereotipato e di routine». «Di solito riceve dei video porno sul suo telefono e li guardiamo mentre ci facciamo seghe o del sesso orale. Penso che sia ancora un po' sconvolto dopo il nostro trio». «Ha meno esperienza di me e voleva provarne uno. L'ho organizzato ma sapevo che non sarebbe andato bene: ne ho avuti tanti e so come funziona». «È competitivo e non gli piaceva fare il secondo violino».
Dagotraduzione dal Daily Mail il 2 luglio 2021. L’80-85% delle donne raggiunge l’orgasmo o attraverso il sesso orale o usando un vibratore. Ecco perché Tracey Cox ha buttato giù le migliori posizioni per raggiungere l’orgasmo durante il rapporto sessuale con il proprio partner. Ma niente funzionerà se non si ha consapevolezza di sé stessi. Bisogna essere onesti con il proprio partner: se l’unico modo per raggiungere il piacere è stimolare il clitoride, chiaritelo subito. Non c’è niente di cui sentirsi in colpa: è biologia.
Posizioni sdraiate. Vai dalla testa ai piedi. Lui è sdraiato sulla schiena. Mettiti di fronte ai suoi piedi, a cavalcioni sui suoi fianchi e abbassati su di lui. Allunga le gambe all’indietro e abbassa il busto finché i tuoi piedi non sono vicino alla sua testa e tu sei sdraiata sopra di lui. Tu guardi da un lato, lui dall’altro. Ora prova a spingere lentamente: è la posizione giusto per stimolare il clitoride. Usa il suo pene in un modo diverso. Per un diverso tipo di stimolazione del clitoride quando sei nella posa tradizionale (lui sopra, entrambi rivolti nello stesso modo), scivola via da lui per un secondo e usa la mano per far scorrere la testa del suo pene su e giù per accarezzare il tuo clitoride. È morbido come il velluto e è eccitante vedere il partner raggiungere l'orgasmo attraverso il proprio pene (anche se in un modo insolito!) Usa il metodo del ponte. Usa la tua mano (o la sua) o un vibratore per continuare a stimolare manualmente il tuo clitoride mentre il suo pene è dentro di te - ma fermati appena prima dell'orgasmo per lasciare che la sua spinta inneschi l'orgasmo stesso. Questa è ufficialmente chiamata la "manovra del ponte": hai formato un "ponte" tra la stimolazione del clitoride e un orgasmo penetrativo.
Ragazze in cima. Chiedigli di sedersi sul letto, le gambe distese davanti a lui, sali sopra, stile cowgirl, e lascialo penetrare. Ora lasciati cadere per quanto ti è comodo. L’angolazione è quella migliore perché colpisce la parete vaginale anteriore (ne parleremo più avanti) e aumenta la pressione sulla vulva. Squat non a cavalcioni. Invece di metterti a cavalcioni e spingere sulle ginocchia, accovacciati in modo che i piedi siano sul letto. Rimani inclinata in avanti, quindi spingi sollevando i talloni e usando i muscoli della coscia. Invece di muoverti velocemente come fa la maggior parte degli uomini, fai movimenti ampi e circolari che sono più un movimento stridente che un movimento di spinta. Questo aiuta a mantenere la pressione sul clitoride attraverso il bacino.
Voltagli le spalle. La parete anteriore della vagina è incredibilmente sensibile, motivo per cui l'ingresso posteriore è perfetto per le donne. Per attivare un orgasmo “G-sport, “Il Girevole” funziona bene. Lui giace piatto, tu affronti la sua testa e sali in cima. Dopo alcuni minuti, usando le mani per stabilizzarti, solleva una gamba sopra il tuo corpo e inizia a girare di lato. Continua a ruotare, fermandoti a intervalli per alcune spinte, finché non ti trovi di fronte a lui. Una volta lì, inarca la schiena il più possibile, allargando le gambe in modo che abbia un accesso perfetto. Se sta colpendo il punto giusto e continua a spingere, la prima reazione che avrai potrebbe essere la necessità di fare la pipì. Questo perché il punto G è vicino all'uretra (che attraversa l'urina). Aspetta (in tutti i sensi) e la sensazione passerà e (si spera) si trasformerà in un'ondata di contrazioni orgasmiche. Le posizioni di lui dietro lasciano le mani libere per stimolare i suoi testicoli e il perineo (la zona liscia tra i testicoli e il suo ano). Nel frattempo, può accarezzarti la schiena, il sedere e la pancia inferiore e impostare il ritmo, regolare la profondità della penetrazione e generalmente essere il dominante. È anche un'ottima posizione per darti una mano nei punti cruciali perché è facile raggiungere e stimolare il tuo clitoride. Lui dietro significa che non c'è contatto visivo, quindi entrambi siete liberi di fantasticare su chiunque e su qualunque cosa vi piaccia (senza sentirvi in colpa quando aprite un occhio e vedete il vostro partner che vi guarda amorevolmente). La posizione dell'ingresso posteriore è meravigliosamente primitiva, quindi perfetta per quelle fantasie un po' losche che si adattano al sesso "sporco".
Dagotraduzione dal Daily Mail l'1 luglio 2021. Sei appena tornata da una fantastica serata fuori, stai baciando appassionatamente il tuo partner e tutto va per il meglio. Poi, proprio quando non vedi l'ora di fare del buon sesso, è come se qualcuno avesse appena versato un secchio d'acqua sul letto. Che si tratti dei bambini che vengono riportati indietro dai nonni stanchi, della tua mamma che chiama per ricevere consigli su come trasmettere in streaming o dell'heavy metal che improvvisamente esplode da Alexa quando hai chiesto di rilassarti, ci sono molte ragioni per cui il desiderio diventa improvvisamente freddo. Ecco i 10 più killer dell'umore più comuni, che fermano anche gli amanti più decisi.
Non essere egoista. In cima alla lista degli sbalzi d’umore c’è un amante che si assicura di ottenere tutto ciò di cui ha bisogno per raggiungere l'orgasmo ma non fa nessuno sforzo per assicurarsi che anche il tuo piacere sia assicurato. Si aspetta che tu faccia sesso ogni volta che ne ha voglia? Si infastidisce se chiedi più preliminari? Raramente o mai ti fa sesso orale ma si aspetta che tu lo faccia a lui? Spunta bene la casella egoista! Altrettanto scoraggianti sono gli amanti che vanno all'altro estremo, chiedendo «Hai già avuto un orgasmo?» ogni pochi minuti.
Cattivi odori. Ad alcuni non piace fare sesso dopo la doccia perché il profumo naturale e muschiato che i nostri corpi emanano quando siamo eccitati viene attenuato. Ma nessuno vuole avere a che fare con cattivi odori che si diffondono dalle ascelle o con un alito da drago. Fare sesso orale con qualcuno che non ha i genitali puliti è abbastanza per scoraggiarti a vita!
Fretta di penetrazione. I preliminari non sono un lusso per le donne, sono essenziali. È solo quando siamo eccitate che il sangue scorre ai genitali, causando l'espansione e la lubrificazione della nostra vagina, rendendo confortevole il sesso penetrativo. Correre verso il traguardo - il rapporto sessuale - prima che la donna sia pronta rende ancora meno probabile l'orgasmo e molto probabilmente proveremo dolore e non piacere. Le donne non sono le uniche a cui piacciono i preliminari: più lunga è la sessione, più intensi sono gli orgasmi per persone di tutti i sessi e sessualità.
Avere tempo limitato. Allo stesso modo è scoraggiante dover fare sesso entro un certo periodo di tempo. Certo, può essere una svolta nel dare una sveltina di nascosto quando i tuoi suoceri in visita vanno al negozio all'angolo. Ma alla maggior parte di noi non piace essere costretti a fare sesso con un occhio all'orologio. Inoltre, suggerire di fare sesso dieci minuti prima che i bambini tornino a casa o che la cena sia pronta invia un segnale forte al tuo partner: voglio che tutto finisca il più rapidamente possibile. Uno studio sul Journal of Sexual Medicine ha scoperto che le donne eterosessuali impiegano esattamente 13,46 minuti di attività sessuale per raggiungere l'orgasmo. Come possono essere così specifici? Perché i ricercatori hanno seguito 645 donne nel corso di otto settimane e hanno chiesto loro di utilizzare un cronometro per misurare il tempo impiegato per passare dall'inizio dell'attività sessuale all'orgasmo. Hai bisogno di almeno questo tempo per aumentare le possibilità di orgasmo; fare pressione su qualcuno per raggiungere l'orgasmo entro un certo periodo di tempo garantisce che per molti non accadrà affatto.
Guardare il telefono. Ti stai godendo del sesso piuttosto buono, ma quando apri gli occhi per guardare il tuo partner, lo sorprendi mentre si sforzano di leggere un messaggio che è appena arrivato. Secondo uno studio su 1000 persone, una persona su 10 controlla il telefono durante il sesso. Di quel 10%, il 43% sono recidivi. I millennial sono i più propensi a controllare il cellulare, con le persone nella fascia di età 18-34 che hanno il doppio delle probabilità di farlo durante il sesso rispetto a quelle di età compresa tra 35 e 51 anni. La dipendenza dal telefono provoca un conflitto estremo nelle relazioni, ma scegliere il telefono invece di fare sesso con il proprio partner è un tipo molto speciale di depressione.
Parlare troppo o troppo sporco. Una persona su cinque interrompe un rapporto sessuale perché le "parole sporche" del partner le hanno spente. Parlare sporco è sempre un rischio, soprattutto con qualcuno che non conosci molto bene. Se è troppo esplicito, crudo o inappropriato, si ritorce contro facilmente, facendo sentire gli amanti a disagio invece che eccitati.
Fare commenti sprezzanti. Di tutte le cose che possono scoraggiare dal sesso, la peggiore è probabilmente distruggere la tua autostima, fare commenti cattivi sul tuo corpo, le tue parti intime o le tue prestazioni.
Essere troppo rumoroso. Certo, un partner che non risponde affatto non è favoloso. Ma qualcuno che geme molto forte è imbarazzante e scoraggiante. Avere i vicini che battono sul muro per dirti di abbassare il volume non solo spezza la poesia, ma crea momenti spiacevoli in ascensore.
Cambiare posizione di continuo. Alcune posizioni facilitano il passaggio dall'una all'altra e, se l'umore lo richiede, può funzionare meravigliosamente bene. Essere buttati in giro per la camera da letto solo per il gusto di farlo non solo distrugge l'umore, ma rende impossibile costruire il desiderio e l'eccitazione.
Avere animali in camera. C'è qualcosa di più snervante che guardare in basso e vedere un cane o un gatto seduto sul bordo del letto, con gli occhi fissi su quello che stai facendo?
Dagotraduzione dal New York Post il 27 giugno 2021. Il Dipartimento della Salute di New York incoraggia i suoi concittadini ad essere viziosi quest’estate. L’agenzia ha rilasciato un ultimo aggiornamento delle sue linee guide sul sesso sicuro durante la pandemia, invitando le persone ad essere creative ma a «giocare sul sicuro» vaccinandosi prima di impegnarsi in quella che è stata soprannominata la «slutty summer» (estate della troia) del 2021. «Rendilo stravagante» suggeriscono nelle loro grafiche, «sii creativo con le posizioni sessuali e usa barriere fisiche, come i muri, che consentono un contatto sessuale senza avvicinare i volti» (sì, stanno parlando di un rapporto anale). «E perché non fai da te?» chiedono, raccomandando la masturbazione sincronizzata. Il sesso sicuro potrebbe non sembrare così sexy in tempo di pandemia, ma il Dipartimento di New York vuole essere d’ispirazione. I newyorchesi dovrebbero evitare i «festini», ma per chi proprio non può rinunciarvi, obbligatorio farsi vaccinare prima di partecipare a «riunioni con grandi gruppi, orge o rapporti occasionali». E, in ogni caso, sempre scegliere «spazi grandi, aperti e ben ventilati». Ultima raccomandazione, ai vaccinati che accusano sintomi: «niente sesso o contatti ravvicinati» prima di aver passato un periodo in quarantena. Il Dipartimento della Salute ha lanciato le linee guida a marzo dell’anno scorso, allo scoppio della pandemia. Allora c’era incertezza sugli effetti del Covid, e il documento scoraggiava i cittadini dall’avere qualsiasi tipo di contatto, soprattutto sessuale. Dopo più di un anno, la spinta è stata incentivare gli «appuntamenti virtuali». Ora il Dipartimento ha allentato la tensione, insistendo sulla vaccinazione e correggendo alcuni suggerimenti. Nel 2020 «il rimming» (la bocca sull’ano) era sconsigliato, «il virus può passare dalle feci alla bocca» scrivevano. Oggi invece spiegano di ritenere basso «il rischio di diffusione del virus attraverso le feci». Le nuove raccomandazioni suggeriscono però di organizzare «orge meritevoli» solo seguendo misure di prevenzione come indossare mascherine ed evitare i baci. Secondo i medici, al momento non ci sono prove che il coronavirus si diffonda attraverso attività sessuali.
DAGONEWS il 27 giugno 2021. Evviva le vacanze, il periodo in cui si accendono i bollori e le coppie sperimentano il miglior sesso di tutta la stagione. Parola di Tracey Cox che assicura come la mancanza di impegni, il crollo dello stress e la possibilità di staccarsi per qualche ora dai figli può accendere quel fuoco che rimane sopito dal logorio della vita quotidiana. Ecco, dunque, come sfruttare al meglio il periodo di relax. Più tempo: invece di una sveltina veloce finalmente avete il tempo per rilassarti e godervi qualche ora di sano sesso. Rendete infuocata l’intera giornata: non limitatevi a fare sesso solo una volta, ma fatelo spesso e frequentemente per mantenere alta l’eccitazione lungo tutto l’arco della giornata. Non dimenticate il sesso orale: bastano anche due minuti per mandare il partner fuori giri. Non spogliatevi: basta tirargli giù i pantaloni (o alzarle la gonna) e abbassare le mutandine. Provate un nuovo massaggio: esplorate quello erotico e genitale. Tutto quello di cui si ha bisogno è un lubrificante o un olio per massaggi adatto alle zone intime. Stendete il partner in una posizione in cui si può accedere facilmente ai genitali e prendetevi tempo per regalargli piacere. Se sei una donna prendi in mano il pene del tuo partner e scivola verso l’alto, usando un movimento circolare e rotatorio con la mano. Funziona solo se il movimento è verso l’alto: quando arrivi alla cappella, usa il palmo della mano per accarezzare l'intera superficie. Se sei un uomo, stimola il clitoride con movimenti circolari provando a farti spiegare in quale punto la tua partner prova più piacere. Fai attenzione: non tutte le donne amano la stimolazione diretta del clitoride, quindi prova a capire (o a chiedere) quale punto per lei è più sensibile. Prendi il clitoride tra due dita e prova a tirarlo delicatamente e poi torna a formare cerchi concentrici intorno all’area di piacere. I consigli per le vacanze:
Niente figli: se siete in vacanza con loro, assicuratevi di aver scelto un resort che abbia un mini club che si prenda cura dei bimbi. Una volta soli, sperimentate e accertatevi di aver portato sex toys, abiti per giochi di ruolo, fruste e tutto ciò che può accendere l’eccitazione.
Provate a cambiare ruolo: sebbene l'89% delle donne scelga di essere sottomessa e in una situazione di “schiavitù”, coloro che osano avventurarsi in una posizione dominante scoprono un potere afrodisiaco diverso.
Sperimentate cose nuove: avere un legame con il partner significa anche provare cose nuove a letto e allontanarsi dal percorso prevedibile. È questa imprevedibilità che forse crea la più grande eccitazione per le coppie di lunga data.
Usate le manette, una sciarpa, vecchie calze o un kit di bondage per legare i polsi o le caviglie. Improvvisate uno spettacolino erotico, avventuratevi in situazione “sporche”. Sussurrate in modo seducente tutte le cose che avete intenzione di fare e poi fatelo! Pizzichi, schiaffi e solletico: il numero di coppie che hanno introdotto la sculacciata nelle loro sessioni sessuali è aumentato da quando è esploso il fenomeno “Fifty Shades”. Molti altri lo hanno introdotto nella loro "lista dei desideri". Se siete già devoti a queste pratiche, usate una frusta morbida sul sedere del partner con colpi dal basso verso l’alto.
Nessuna inibizione: le vacanze sono fatte anche per bere. Il vostro fegato non vi ringrazierà, ma probabilmente la vostra vita sessuale lo farà. L'alcol è un afrodisiaco per la maggior parte delle persone ed essere leggermente ubriachi contribuisce a lasciarsi andare sotto le coperte. Drink o non drink, siamo più rilassati durante le vacanze, il che le rende il momento ideale per provare qualcosa per cui di solito siete troppo timidi.
Giochi di ruolo: alcune coppie adorano i giochi di ruolo, tra i quali i più praticati sono la deflorazione di una "vergine", giocare alla schiava del sesso o avere un rapporto. In quest’ultimo caso entra in gioco il kit di sex toys che avete portato in vacanza. Come in ogni gioco, seguendo alcune linee guida di base, tutto si svolgerà senza intoppi. Scegliete le fantasie che piacciono a entrambi, stabilite la location e scegliete i ruoli.
Guardate film porno: guardarli, da soli o in coppia, può introdurre la varietà tanto necessaria nella vita sessuale di molte coppie di lunga data. Alcune persone hanno problemi “morali” con il porno, quindi si può optare per qualcosa di soft o per qualche film erotico. Se entrambi amate il porno, fatelo senza paura di essere interrotti dai bambini, dai vicini, da vostra madre o dai vostri coinquilini.
Alice Trainotti per cosmopolitan.com il 26 giugno 2021. Durante le vacanze al mare il water sex, ovvero il sesso in acqua, è un must, decisamente tra le esperienze più hot che puoi annotare sul tuo diario delle vacanze. Te lo consiglio proprio perché è eccitante se non lo hai mai provato, sia per la novità che per le sensazioni uniche che regala. Un modo dolce in cui lui ti coccola, aiutati da una ridotta forza di gravità e movimenti rallentati e profondi. Se fate il sesso all’aperto devi aggiungere il brivido di essere scoperti e il romanticismo di un bagno a mezzanotte. E il dolce dondolio delle onde rende i movimenti più fluidi, lenti e senza la possibilità di sudare, anche con le temperature più alte. In vasca da bagno, in piscina, al mare: il sesso in acqua deve seguire però delle regole precise per evitare spiacevoli inconvenienti.
Le regole d’oro per un rapporto in acqua da favola: Ovunque sei, è importante trovare un luogo che ti permetta di rilassarti perché l’acqua altera la lubrificazione, rendendola più blanda. La penetrazione potrebbe quindi risultare dolorosa. Scegli sempre posti poco affollati che non ti mettano in improvviso imbarazzo, rischiando di vanificare il momento.
Sembra scontato, ma scegli un mare di cui sei sicura che l’acqua sia pulita: successive infezioni o irritazioni non giustificano il piacere, seppur importante. E ricorda che comunque il sale è abrasivo; meglio sciacquare bene la tua vagina dopo il rapporto.
Nei film il bagnasciuga è uno dei luoghi più gettonati ma non tra i più piacevoli: le continue onde possono infastidire il rapporto e spezzare il giusto ritmo; inoltre la sabbia, che si può insinuare tra voi, può creare una spiacevole sensazione di grattugia.
Meglio un luogo con poca corrente e dove si tocca, in modo da potersi muovere agevolmente e trovare il giusto ritmo.
La posizione più comoda è sicuramente viso a viso, che consente di stare abbracciati.
Ricordati di trovare anche qualcosa, come per esempio una roccia, sulla quale appoggiarti, per aumentare il piacere.
Hai mai provato a baciare il suo pene sott’acqua? Il sesso orale subacqueo, anche se per pochi secondi, vi sorprenderà.
Sfrutta anche il sesso sotto doccia: nulla di più romantico e hot che impiegare bene il tempo per pulirsi dal sale, dopo una lunga giornata di mare. Sorprendi il partner lavandolo e insaponandolo, inscenando un massaggio bagnato con qualche bagnoschiuma profumato.
Una raccomandazione: usate il preservativo anche in acqua. Anche se l’ambiente è inusuale, il rischio di rimanere incinte o di contrarre delle malattie è sempre presente.
Dagotraduzione dal Daily Mail il 21 giugno 2021. La televisione pubblica NRK ha pubblicato una guida sessuale piuttosto esplicita che ha suscitato scalpore nel paese. Nella guida, pubblicata online sul loro sito, sono descritte 60 e più posizioni diverse a cui gli autori hanno attribuito nomi fantasiosi come «koala che spreme» e «spaghetti». Tra le posizioni sessuali descritte ce ne sono dedicate alle coppie dello stesso sesso e altre per gli eterosessuali. La guida propone anche posizioni adatte a chi soffre di una certa condizione come il mal di schiena o per le donne in gravidanza. L’emittente ha spiegato di aver consultato ostetriche, sessuologi, medici e terapisti. Ad accompagnare la guida alcune fotografie in bianco e nero, le cui pose sono state realizzate da vere coppie. La NRK ha ricevuto numerosi reclami dopo la pubblicazione della guida, alcuni l’hanno trovato offensiva. Parlando al quotidiano tedesco Bild, l'editore Reidar Kristiansen ha dichiarato: «Siamo fiduciosi di aver valutato tutto correttamente. Ecco perché non intendiamo cambiare nulla. Durante la preparazione, abbiamo contattato oltre 20 esperti: sessuologi, psicologi e terapisti. Tutti pensano che la guida sia utile e importante». Il supporto è stato «straordinariamente positivo» e 850.000 utenti hanno visualizzato la guida online nei primi cinque giorni dal rilascio.
Da "donnaglamour.it" il 20 giugno 2021. Vuoi dare al tuo uomo un super orgasmo? Allora devi imparare a fare il pompoir, una particolare tecnica del sesso tantrico, che consiste nella “mungitura” del pene. Detto anche “milking”, dal fatto che ricorda la mungitura, il pompoir è una tecnica che le donne asiatiche praticano fin da tempi antichissimi. Se ne trovano infatti alcune testimonianze in testi indiani del XVI secolo, che lo descrivendo come la capacità di contrarre la vagina “imprigionando” il pene in una stretta morsa, capace di dare un piacere grandissimo. Altri studi orientali lo chiamano “Singapore Kiss”, in quanto le concubine di Singapore più esperte sarebbero in grado di praticarlo. Ma come si fa questo pompoir? Per dirlo in parole semplici, bisogna imparare a contrarre e rilassare i muscoli vaginali ritmicamente. Per riuscirci è necessario allenarsi a lungo con gli esercizi di Kegel, che tonificano i muscoli pelvici femminili. Secondo l’esperta di sesso Denise Costa, autrice di un libro per imparare l’arte del pompoir, basta un’ora di pratica al giorno per imparare a padroneggiare questa tecnica. Ovviamente, l’ideale è allenarsi con il proprio partner maschile, ma in sua assenza è possibile usare vibratori e palline da geisha. Una volta imparata la tecnica base, si possono sperimentare altri interessanti giochini, come l’effetto risucchio o la “riverginazione”, che consiste nel contrarre i muscoli vaginali così tanto da rendere difficoltosa la penetrazione, come con le donne vergini. Ci sono poi la mungitura, ovvero la contrazione ritmica e progressiva, la ghigliottina, contrazione forte e decisa, e l’espulsione, che consiste nel riuscire a far uscire il pene dalla vagina senza usare le mani. I benefici, secondo gli esperti, sono innumerevoli sia per gli uomini che per le donne. Provare per credere!
Valentina Mazza per cosmopolitan.com il 19 giugno 2021. Sesso d’estate? Sfatiamo un mito, non è proprio il massimo farlo quando fa caldo, perché trovare le posizioni comode non è facile se in un attimo diventate sudati e appiccicosi. Una sensazione per niente piacevole che non invoglia a lasciarsi andare ad acrobazie erotiche tra le lenzuola. Eppure non puoi perderti l’occasione di viverti la passione, che in questo periodo, proprio come le temperature, è più hot che mai. Perché sarà merito dell’abbronzatura e di questo senso di libertà e voglia di divertirsi che si attivano quando si entra in modalità vacanza, ma confessiamolo, ognuna di noi in questo momento dell’anno si sente ancora più sexy e seducente. E questo ti rende ancora più affascinante e più sicura, pronta a sperimentare e capace di scegliere liberamente quello che è meglio per te. L'importante è prendere sempre le giuste precauzioni e fare sesso protetto per goderti il piacere senza pensieri. Quindi l’attimo va colto amica, ma evitando di farsi una sauna tra le braccia del proprio partner. Basta solo trovare il modo giusto di amarsi, magari provando a farlo non solo a letto, ma anche in altre ambienti più freschi, come la doccia o la vasca da bagno. Ecco 7 posizioni “estive” per fare sesso in modo comodo, all’insegna del piacere.
1. In piedi sotto la doccia. Tornati dal mare o a fine serata, infilatevi assieme sotto il getto dell’acqua. Dagli le spalle e appoggia le mani alla parete trovato una postura comoda, lui da dietro saprà fare il resto. Una posizione alternativa è la ballerina, uno di fronte all’altro, e tu con una gamba alzata. La doccia è una situazione perfetta per darsi una bella rinfrescata e accendere la scintilla della passione. Perché una volta rigenerati e appagati, potrete continuare il vostro rendez vous erotico in qualche altra stanza, l’importante è che sia ben ventilata.
2. Il Doggy style. Magari non rientra nelle tue posizioni preferite, perché ti sembra poco romantico, visto che non vi guardate negli occhi. Oppure pensi che sia troppo hard e ti fa sentire esposta. Ma se superi questi timori e vuoi provarla, sappi che durante i mesi estivi, quando fa troppo caldo, è molto funzionale. Il motivo? La pecorina richiede un minimo contatto di pelle e quindi il rischio di sudare si abbassa notevolmente.
3. La X. Potete sperimentarla sul tavolo o sul letto. Stenditi a pancia in su, alza le gambe e incrociale, appoggiandole al suo petto. Il tuo lui invece sarà in piedi di fronte a te. Più stringerai le gambe, più il piacere sarà intenso. Questa posizione, anche se può sembrare faticosa, in realtà non richiede grandi sforzi e abilità acrobatiche. E inoltre vi permette di amarvi con passione senza sudare troppo.
4. Il Joystick. Vuoi guidare tu il gioco? Fallo stendere sulla schiena, dicendogli di rilassarsi e stendere le braccia in alto sopra la testa. Ora siediti sopra di lui a cavalcioni, allungando le gambe fino all’altezza delle sue spalle, con le ginocchia leggermente piegate. Per sentirti comoda puoi appoggiare le mani sulle sue ginocchia, prima di iniziare a muoverti ruotando i fianchi.
5. Nella vasca. Riempitela di acqua fresca (non freddissima, perché potrebbe inibire la sua erezione) e poi siediti sopra di lui, inginocchiandoti e dandogli la schiena. Inclinati leggermente in avanti e con il doccino indirizza il getto d’acqua tra le vostre gambe mentre fate l’amore. Sarà un’insolita stimolazione che solleticherà ancora di più i vostri sensi, regalandovi un piacere in più.
6. L’amazzone. Fai sdraiare il tuo partner sulla schiena, lasciando una gamba distesa e tirando l'altra su, con il ginocchio piegato. Ora mettiti sopra di lui, tra le sue gambe, dandogli le spalle e conduci tu al galoppo fino a raggiungere il massimo piacere. Questa posizione ti aiuta anche ad avere una fantastica stimolazione clitoridea, che ti poterà più velocemente all’orgasmo.
7. Rafting. Perfetto da fare in piscina, se ne avete una tutta per voi. Sdraiati su un materassino a pancia sotto e con le gambe a mollo. Lascia che a sostenerle sia lui, aggrappandosi alle tue cosce mentre fate l’amore. Questa posizione, che ricorda quella della carriola, ma molto meno faticosa visto che siete in acqua, permette una profonda penetrazione, dandovi un forte piacere.
Ilaria Perrotta per vanityfair.it il 15 agosto 2021. In estate, riscaldare l’atmosfera e alzare la temperatura della stanza mentre si entra in sintonia con l’altro non suona più così invitante come nei mesi più freddi, giusto? D’altra parte le ondate di calore in genere significano indossare meno vestiti. I segnali sessuali sono presenti ovunque nei mesi bollenti. Gli scienziati parlano di sessualizzazione dell’ambiente, che in pratica significa più bikini, pantaloncini corti e camicie attillate. Ma quindi nella bella stagione, il caldo spegne o accende l’eros? In Francia un sondaggio ripreso da Madame Le Figaro, spiega che il 38% dei francesi non fa sesso o ne fa meno proprio durante le vacanze e proprio a causa delle elevate temperature: l’idea di sudare e faticare ulteriormente, pare spegnerebbe anche gli spiriti più bollenti. Di contro la pratica smentisce la teoria: avventure, divertimento, amori estivi, in questo periodo sembra esserci qualcosa che rende un po’ più interessati all’amore e al sesso. Al di là dei sondaggi, dunque, la chimica nell’aria rimane, anzi in estate c’è forse più voglia di scoprirsi, in tutti i sensi. Per questo non è necessario rinunciare al sesso quando vediamo superare i 30 gradi sul termometro. Magari, con una serie di consigli e idee per evitare che la pigrizia dovuta al caldo intenso impedisca di godersi una buona sex session, riprendere una sana e consapevole attività erotica ci sembra cosa buona e giusta. Lasciarsi abbattere dal caldo non è un’opzione, si tratta di essere soltanto più creativi e cercare soluzioni che far sì che il sesso in estate risulti ugualmente piacevole e, magari, ancora più eccitante. Occorre solo aprire la mente per essere predisposti a provare nuove esperienze, soli o con altri, per scoprire la propria sessualità senza alcun tipo di pregiudizio.
1 - Approfitta delle notti
Può sembrare scontato, ma la notte fa sempre più freschetto. Aspettate che il sole tramonti e le temperature scendono anche un po'. Dopo le 22 è ancora meglio.
2 - Prova nuove esperienze in acqua
L'acqua è una delle cose che naturalmente rinfresca di più durante i mesi estivi, quindi l'ideale è cambiare il letto tradizionale con la doccia o la vasca, o anche la piscina e il mare. Approfitta di immersioni in acqua fresca di coppia per scoprire insieme nuove e più divertenti esperienze sessuali.
3 - Usa il ghiaccio
Qui tutto dipende dalla tua immaginazione, anche perché i giochi con il ghiaccio si prestano a molte possibilità. Dal semplice passarlo sulle zone erogene del tuo partner all'uso del ghiaccio al posto degli oli per un massaggio erotico. È anche possibile mettere i propri sex toys in frigorifero, ad esempio un dildo di vetro, per intensificare le sensazioni.
4 - Approfitta del virtuale
Il contatto fisico con un'altra persona genera, senza dubbio, più calore. Pertanto, una buona opzione è fare sesso a distanza attraverso uno schermo. Da valutare.
5 - Un ventilatore per amico
Il trucco più classico ma anche uno dei più efficaci. Un ventilatore acceso al momento giusto può aiutare ad abbassare la temperatura e sicuramente, dopo aver iniziato a sudare, entrambi apprezzerete sentire l'aria sul corpo.
DAGONEWS il 30 maggio 2021. Che le donne amino i preliminari è un dato inconfutabile. Ma non sono le uniche. Parola della sexperta Tracey Cox che, citando un recente studio americano, riporta che uomini e donne sono sostanzialmente d’accordo sulla durata e sulla bontà dei preliminari. Ecco dunque, secondo la sessuologa, una serie di modi facili e innovativi per impressionare il partner e accendere la passione.
Vendete voi stessi. «Scrivete una sorta di “menù” in cui si indica il tariffario su ogni prestazione. Invitate il partner a fate lo stesso. L’idea stimolerà l’erotismo…».
Aggiungete un po' di bollicine. «Aprite una bottiglia di spumante, assicuratevi che il bicchiere sia sempre pieno e abbastanza vicino. Sorseggiarne un po’ sarà la celebrazione della vostra serata».
Mettetevi una parrucca. «C'è un motivo per cui le feste a tema sono così popolari: reinventare se stessi è divertente e sexy. Mettere una parrucca cambierà completamente il vostro aspetto e vi farà sentire diversi… e al vostro risveglio vi sembrerà di aver dormito con una persona nuova».
Giocate in pubblico. «Non intendo lanciarsi andare a baci appassionati sulla metropolitana, ma a un gioco a distanza che ecciterà il vostro partner. Guardatelo negli occhi, succhiatevi un dito, accarezzatevi in maniera discreta. Il contatto visivo è fondamentale anche durante il sesso: tenere gli occhi aperti rende tutto più erotico».
Spogliate il partner, ma resta vestito. «Si tratta di fare ciò che non è nella norma, creando uno scenario insolito. Rimanere vestiti mentre il partner è nudo sviluppa un'interessante dinamica di potere».
Esplorate nuove aree. «La pancia è disseminata di punti che creano piacere, in particolare dall’ombelico fino all'osso pubico. Accarezza la zona con la punta delle dita o la lingua. Succhia le dita dei piedi e fai un massaggio: i riflessologi dicono che le nostre pulsioni sessuali sono direttamente collegate a un punto di pressione del piede sotto la caviglia».
Raddoppiate la stimolazione. «Pizzica i capezzoli, il collo o il seno. Con l’altra mano fai una pressione, piuttosto forte, tra le gambe sul perineo per stimolare indirettamente la prostata o il punto G».
Prendetevi il vostro tempo. «Più lunga è la sensazione di eccitazione dovuta ai preliminari, migliore sarà l'orgasmo. Fate del sesso orale, passate alla penetrazione e poi tornate indietro. Il vostro partner impazzirà».
Appellatevi al loro lato narcisistico. «Portatelo in piedi di fronte a uno specchio a figura intera e seducetelo da dietro. Giocate con i capezzoli, baciatelo sul collo, passate le mani sul suo corpo, spogliatevi entrambi prima di passare al contatto corpo a corpo. Al vostro partner non è concesso girarvi o toccarvi: sarete voi che lo farete arrivare all’amplesso con la masturbazione».
Dagotraduzione dal The Sun il 29 aprile 2021. Questa settimana, durante un'intervista a Sputnik News, i ricercatori spaziali hanno discusso delle sfide che le coppie potrebbero trovarsi ad affrontare durante un viaggio nello spazio. Il coito cosmico sarà infatti una condizione necessaria se vogliano colonizzare altri pianeti. «Sì, il sesso nello spazio è possibile» ha detto a Sputnik News Kira Bacal, medico e scienziato che ha lavorato come consulente clinico per la Nasa. «Gli esseri umani hanno avuto rapporti sessuali in posti strani e meravigliosi fin dall'inizio della specie». I viaggiatori spaziali avranno l'opportunità di inventare una serie di nuove posizioni creative, ma prima della partenza dovranno dotarsi di una buona conoscenza della fisica newtoniana. In condizioni di microgravità, infatti, «se spingi su qualcuno andrete entrambi in direzione diverse» spiega Bacal. Coordinarsi per fare sesso tra le stelle potrebbe risultare difficile, anche se «il problema si potrebbe aggirare legando uno dei due partner a terra». Come se non bastasse, raggiungere un'erezione potrebbe rivelarsi più difficile del normale. «Quando si trascorre molto tempo in assenza di gravità il corpo cambia drasticamente» ha spiegato Adam Watkins, un biologo riproduttivo presso l'Università di Nottingham. «Uno studio recente, per esempio, mostra che i cuori degli astronauti sono più piccoli nello spazio di quanto non lo siano sulla Terra». Altre difficoltà potrebbero nascere dalla mancanza di tempo e dagli spazi angusti. «Essere lontani da casa, e avere programmi di lavoro piuttosto intensi potrebbe ridurre la libido e il desiderio sessuale», ha detto.
Valentina Arcovio per "ilfattoquotidiano.it" il 25 aprile 2021. Superficiale, in abbinamento, dondolante e a pesca. Queste sono le 4 vie del piacere femminile. Più precisamente sono le strategie che le donne utilizzano per aumentare il piacere sessuale durante la penetrazione vaginale, sia con un uomo che con un sex toy. A individuarle sono stati Devon J. Hensel, professore associato dell’Indiana University School of Medicine, e Christiana von Hippel, ricercatrice di OMGYES in uno studio pubblicato sulla rivista Plos One. (…) Dai risultati è emerso che l’87,5 per cento di esse utilizza la tecnica della “angling” (pesca) che prevede rotazione, sollevamento o abbassamento del bacino durante la penetrazione per stimolare il punto in cui si sfrega il pene o il sex toy all’interno della vagina. Circa il 76 per cento utilizza invece la tecnica “rocking” (dondolante), in cui la base del pene o di un sex toy sfrega costantemente il clitoride durante la penetrazione, rimanendo completamente all’interno della vagina senza spingere dentro e fuori. Circa l’84 per cento ha usato la tecnica “shallowing” (superficiale) che si concentra sul punto d’ingresso della vagina. Infine, il 69,7 per cento ha utilizzato il “pairing” (abbinamento), cioè quando la donna o il partner stimola il clitoride con un dito o con un sex toy mentre c’è la penetrazione. (…)
DAGONEWS il 13 aprile 2021. I bambini non vanno a scuola e sono sempre a casa o il tuo coinquilino è nella stanza accanto e voi non riuscite mai a trovare un attimo per dedicarvi alla vostra intimità. La pandemia sta mettendo a dura prova le coppie che in molti casi si sentono privati dell’unico piacere della vita. Ma non bisogna rinunciare al sesso, solo inventarsi dei modi per godere sfuggendo alla sguardo indiscreto di pargoli e coinquilini. Seguite i consigli della sexperta Tracey Cox che svela i posti migliori della casa per trombare in santa pace.
Camera da letto. Se avete bambini che possono piombare in stanza in qualsiasi momento bisogna trovare una posizione che possa facilmente essere interrotta. Il sesso a cucchiaio è scontato, lo avrete fatto decine di volte. Provate questo: la donna si sdraia sullo stomaco con le gambe chiuse e fa penetrare il compagno da dietro. Stimola il clitoride con le dita. È facile raggiungere l’orgasmo in questa posizione per entrambi. E se dovesse entrare qualcuno lui può sempre rotolare via con facilità.
Aiutati con l’armadio. Aperta un’anta la donna può piegarsi in avanti e far penetrare il compagno da dietro. L’anta consentirà di non essere visti in caso di irruzioni improvvise.
Sul divano. Accendi la tv e prendi una coperta. Fai sedere il tuo compagno e siedi su di lui lasciandoti penetrare da dietro. Funziona meglio se indossi una gonna o un vestito senza mutande. Bilanciati con gambe e tenete entrambi i piedi sul pavimento.
In bagno. Apri la doccia per dissimulare e siediti sul lavandino e allarga le cosce e lascia che il tuo lui ti penetri, tenendoti per i fianchi. Puoi anche utilizzare un vibratore per stimolare il clitoride.
In doccia. Il bagno è spesso l'unica stanza della casa che ha una serratura: lui può fingere di radersi mentre potete fare una bagno o una doccia insieme. Se la donna sta in piedi può piegarsi in avanti, poggiare una gamba sul bordo della vasca e può poggiarsi contro il muro. Lui entrerà da dietro.Se non avete problemi di privacy potete sempre sperimentare posizioni nuove. Si può provare il “missionario al contrario”. O qualcuno stranezza che stimoli la fantasia.
Dagotraduzione da dailymail.co.uk il 10 aprile 2021. Il sesso dovrebbe essere una cosa spontanea, giusto? «Non c’è niente di peggio che pianificare il sesso, ogni volta che lo suggerisco, la prima reazione è sempre la stessa: “Bleah” - dice la sexperta Tracey Cox -Ma ci sono un sacco di cose che dovete pianificare a letto». E in effetti invitare un estraneo a letto senza che non vi si ritorca contro necessita di una lunga (e sobria) conversazione per stabilire i termini ed evitare situazioni spiacevoli. Chiamare da ubriachi il vostro ex per una sveltina non va mai a finire bene, nemmeno decidere di fare sesso all’aperto senza prima controllare di non avere un parco giochi appena dietro l’angolo. «Non sto dicendo di fermarsi e pensare prima di cedere ai vostri impulsi sexy, però sto dicendo di fermarsi a riflettere prima di fare qualcosa che potrebbe portare a conseguenze disastrose. Non pensate solo a “Ma è legale?”, ma “Potrebbe distruggere la fiducia nella mia relazione?” oppure “Potrebbe farsi male qualcuno, fisicamente o emotivamente?”». Pochi di noi attraversano la vita senza qualche rimpianto sul sesso, ma potrete evitare complicazioni se resterete alla larga dal fare, presi dalla foga, le seguenti azioni.
Decidere spontaneamente di fare un ménage-à-trois. “È tutta colpa mia. Erano anni che assillavo mia moglie per fare una cosa a tre e lei ha sempre detto di non essere interessata”. “Una delle sue amiche è single e non si fa molti scrupoli a farmi notare che le piaccio – scherziamo spesso sul fatto che flirta con me davanti a mia moglie. Una sera stavamo chiacchierando e la sua amica stava parlando di quanto moriva dalla voglia di fare del sesso ma non aveva nessuno con cui farlo, allora mia moglie rispose scherzando: “puoi prendere lui in prestito se ti va.” Lei rispose immediatamente che le sarebbe piaciuto e che ci avrebbe pensato su. Da lì in poi sono stato io a spingere per farlo.” “Sapevo che non serviva molto per convincere la sua amica e così è stato. Mia moglie non era contenta ma ha deciso di provare, penso perché non voleva sembrare troppo pudica. Appena ho cominciato a baciare l’amica e tastarle il seno, mia moglie ha alzato i tacchi e se n’è andata. A quel punto ci siamo fermati e siamo andati a recuperare mia moglie. Era incazzata nera! Sia con me che con la sua amica. Ormai loro non si frequentano più e mia moglie non si fida più di me. Questo è successo 8 mesi fa e non so quanto questa relazione possa ancora durare.” – Ben, 42 anni.
Perché pianificare il sesso di gruppo. Ci sono tanti, tantissimi motivi per cui fare un ménage-à-trois non pianificato sia una delle peggiori idee che possiate mai avere. Quella più ovvia è che molto spesso le coppie che si amano fanno fatica a vedere il proprio partner con qualcun altro. Non importa quanto sembri funzionare nelle vostre immaginazioni, non vi potete mai realmente prepararvi per la sensazione di vedere qualcuno che bacia, tocca o fa sesso con la vostra dolce metà. Di solito c’è sempre qualcuno che si prende tutte le colpe nel caso l’esperienza non dovesse andare bene e spesso vi lascia con delle sensazioni di gelosia che potrebbero diventare molto problematiche in futuro (“Non ti ho mai visto così eccitato con me”). Se siete convinti di provarci, potete minimizzare il rischio stabilendo delle regole, specificando accuratamente cos’è ammesso e cosa no e avere una parola d’ordine per fermare tutto. Stop significa stop, non importa quanto vi stia piacendo l’esperienza, le vostre relazioni sono molto più importanti del sesso.
Provare qualche atto sessuale senza essere preparati. “Il mio ragazzo ha sempre voluto provare il sesso anale e io gli ho sempre risposto di no, non mi attirava l’idea. Una sera, quando ero fin troppo ubriaca, mi sono arresa e ho accettato di fare un tentativo. Il mio ragazzo è tornato con del lubrificante e dopo due minuti era dentro di me”. “È stato agonizzante! Non ho mai provato tanto dolore come quello. A lui stava piacendo molto e ci ha messo un paio di minuti prima di fermarsi, dicendo che mi sarei abituata. Abbiamo avuto un’enorme discussione e non ci siamo parlati per giorni. Non sapevo che bisognava prepararsi per il sesso anale. È stata la peggiore esperienza sessuale della mia vita.” Lexie, 29 anni.
Perché dovete pianificare. Ci sta un modo giusto per fare il sesso anale e un modo sbagliato. MAI tentare la penetrazione senza prima metterci un dito o un sex-toy, il retto ha bisogno di tempo prima di abituarsi a tenere cose dentro! Il primo step che occorre fare è di mettere tanto lubrificante, massaggiando gentilmente l’entrata con i polpastrelli delle dita. Aspettate che i muscoli si rilassino, poi inserite piano una parte del dito. Una volta che avete fatto questo nell’arco di un paio di sessioni, iniziate con un dito e poi passate a due. La prossima fase è di usare un butt-plug: un piccolo giocattolo che inserite e poi lasciate mentre continuate a fare sesso normalmente. I butt-plug aiutano il retto a rilassarsi e ad abituarsi a un corpo estraneo. Solo allora potete provare a fare del sesso anale.
Decidere improvvisamente di fare le corna. “Sono un giornalista e una volta stavo viaggiando con altri giornalisti, mi ero appena sposata e mi sentivo soffocare. Stavo flirtando con un altro giornalista tutto il tempo che eravamo in viaggio, fino a quando una sera siamo rimasti a bere fino a tardi e siamo andati a letto insieme.” “La mattina seguente mi sono svegliata, inorridita da quello che avevo appena fatto. Ma poi quando sono andata allo specchio sono rimasta paralizzata dallo shock: avevo un succhiotto enorme sul collo che era impossibile da nascondere e mio marito doveva passare a prendermi in aeroporto soltanto qualche ora più tardi.” “Ho cercato di coprirlo graffiandomi il collo con il retro di un orecchino, sperando che sembrasse che fossi cascata in un cespuglio o qualcosa del genere. Il momento in cui mio marito ha visto il mio collo è stata la fine del mio matrimonio” Marianne, 38 anni.
Perché dovete fermarvi a riflettere. Ci sono tantissime ragioni per cui qualcuno decide di tradire il proprio partner e non sempre c’entra il sesso. Alcuni lo fanno per “mettere alla prova” il loro amore, altri per vendicarsi o per punire il compagno per qualcosa che ha fatto. Molti altri lo fanno per attenzione, una botta d’ego, o per dimostrare che ci sanno ancora fare. Ma non è solo una voglia incontrollabile di sesso che potrebbe portarvi a farlo, prima di essere tentati di fare le corna al vostro partner fermatevi a rifletterci su, andate al bagno per qualche minuto, una volta lì, cercate di pensare alla faccia del vostro partner quando verrà a scoprirlo. Potrete pensare che sia impossibile, ma è molto facile scoprire l’infedeltà (Con la tecnologia si fanno tanti errori!) Come gli spieghereste quello che state per fare? Quanto è probabile che il vostro partner voglia lasciarvi dopo averlo scoperto? Si fideranno mai più di te? Ora immaginatevi i volti dei vostri migliori amici: cosa ne penserebbero loro? A volte essere sull’orlo del tradimento può aiutarvi a interrompere un rapporto che volevate troncare da tempo, soltanto non prendetevi in giro pensando che facendo sesso con qualcun altro non stiate mettendo a serio repentaglio le vostre relazioni.
Provarci con un amico/a che vi piace. “È da circa un anno che sono parecchio infatuata del mio migliore amico, un sacco di persone ci chiedevano spesso perché non stavamo insieme visto che andavamo così tanto d’accordo. Nella mia testa, era solo una questione di tempo prima che accadesse qualcosa e saremmo stati insieme. “Una sera eravamo appena tornati da una cena fuori e ci siamo seduti sul divano a guardare un film, ci stavamo facendo le coccole e mi sentivo molto eccitata. A un certo punto ho pensato: uno di noi deve fare la prima mossa. Quindi mi sono avvicinata per baciarlo e gli ho messo la mano sul pacco, massaggiandolo attraverso i jeans. A quel punto è saltato dal divano guardandomi scioccato.” “A quanto pare non mi trovava attraente dal punto di vista sessuale e che mi “amava come una sorella.” Mi sono sentita ferita e mortificata e da quel punto in poi tutto è diventato imbarazzante. Abbiamo smesso di essere amici.” Nicole, 26 anni.
Perché è importante fare un passo per volta. “Come faccio a far capire al mio amico che voglio qualcosa di più?” è forse la domanda che mi chiedono più frequentemente. Tutto quello che non bisogna fare è proprio quello che ha fatto la nostra Nicole: Anche se una mossa spontanea potrebbe funzionare nei film, nella vita vera non funziona così. Invece, cercate di trovare gli indizi che potrebbero indicare che provate le stesse cose l’uno per l’altro: vi incoraggiano o rimangono zitti se mostrate interesse verso qualcun altro? Vi è mai capitato di sorprenderli a guardarti quando pensano che tu non stia guardando? Dicono cose del tipo “se fossi la mia ragazza…”? Tutti questi sono segnali che dovreste provarci. Un modo molto semplice per tastare il terreno è di estendere il bacio mentre vi salutate o di spostare leggermente il posto dove vi baciate. Se sulla guancia, spostatevi verso il bordo delle labbra; dategli un bacio, allontanatevi e guardatelo negli occhi, poi baciatelo di nuovo. Guardate la loro reazione. Potrebbero rimanere confusi, ma se sorridono e vi guardano incuriositi è un gran bel segnale. Un segnale non troppo buono sarebbe pulirsi involontariamente la bocca o uno sguardo infastidito.
DAGOTRADUZIONE DA dailymail.co.uk il 3 aprile 2021. Quando c’è stato il primo lockdown, il mio primo pensiero da sex coach è stato: “Questo sarà disastroso per gli affari, con tutto quel tempo libero le persone passeranno tutto il giorno a letto strappandosi i vestiti a vicenda e leccandosi il cioccolato dai loro corpi nudi.” Si prevedeva un boom di nascite, mi aspettavo che il mio telefono avrebbe smesso completamente squillare e che le mie classi di sex coaching si sarebbero svuotate, invece mi sbagliavo. L’enorme esperimento sociale del lockdown non è stato l’afrodisiaco che ci aspettavamo, anzi, ciò che pensavamo sarebbe diventato un periodo florido per il sesso è diventato un periodo di magra. Lungi dal diventare silenzioso, il mio telefono non ha mai smesso di squillare: i miei clienti erano disperati dal capire perché la loro libidine si sia completamente spenta a causa della pandemia e volevano sapere come ritrovarla. Moltissimi sondaggi confermano la mia esperienza: in uno, circa il 40% dei britannici hanno ammesso di fare meno sesso rispetto al 2019, mentre un quarto non ha avuto nessun rapporto sessuale. I dati di Google mostrano un incremento del 90% delle ricerche di “diminuzione del desiderio sessuale” e un aumento del 300% delle ricerche di “perdita di libido nelle donne”. Invece di spassarcela nelle nostre bolle romantiche, stiamo soffrendo di una depressione dal punto di vista sessuale e le donne sono state le più colpite da tutto ciò. Di tempo in tempo, sento di donne che si lamentano che il sesso non le faccia più effetto: sono annoiate, stanche e hanno perso il loro desiderio. Ma se il lockdown non è stato quel paradiso sessuale tanto acclamato, forse questo strano periodo di transizione potrebbe diventarlo. Mentre ci addentriamo lentamente nel mondo post-pandemico, molte persone stanno cercando di cambiare alcuni aspetti fondamentali delle loro vite e il sesso è in cima a questa lista. Allora perché non usare questo periodo di rinascita per riaccendere i fuochi delle nostre passioni? Ecco una guida per avere il sesso migliore delle vostre vite.
Non fatevi scoraggiare. Innanzitutto affrontiamo il problema del corpo post-lockdown, perché è quello che viene ripetuto più volte dai miei clienti. Sì, sarete anche più flaccide di prima, ma lo sono anche i vostri partner.
Non vi sentite bene nei vostri corpi. Vi sentite stanche, inadatte e sexy come un vecchio strofinaccio e il vostro compagno ha più rotoli dell’omino Michelin. Se trovate difficile apprezzare il suo nuovo profilo, concentratevi sulle parti del suo corpo che trovate erotiche: i forti avambracci, le spalle muscolose o le mani. Se invece il problema è il vostro corpo, cercate di usare gli altri sensi, non solo la vista. Generalmente parlando, l'immagine che abbiamo nella nostra testa di una donna sensuale è quella di una persona giovane, sexy e in forma, perché è quello con cui ci bombardano nelle pubblicità e le riviste. Dobbiamo solo trovare il modo per superarlo. Primo, non dovete "vestirvi" per loro. Ad alcune donne piace la lingerie elegante, ma non a tutte le donne: ciò che sembra sexy su una top model magra tende a farci sentire a disagio. Pensate a come vi sentite, dimenticatevi di guardare voi stesse: concentratevi sul tatto, non sulla vista. Trascorrete mezz'ora dopo la doccia a idratare la pelle e a sentire quanto è morbida. Ditegli di usare il palmo della mano, non la punta delle dita, quando vi tocca - è più sensuale e entrambi troverete il tocco nuovo ed eccitante - e usate oli da massaggio profumati ai fiori d'arancio o gelsomino. Ricordatevi, non c’è scritto da nessuna parte che bisogna assolutamente fare sesso con le luci accese. Se preferite farlo sotto le coperte, allora va bene anche quello. Se siete davvero distratte da come pensate di apparire, bendatevi gli occhi per portarvi fuori dalle vostre teste e dentro al vostro corpo per sperimentare appieno gli altri sensi. Prendetevi un po' di tempo per voi stesse - non intendo con un kit da ricamo o davanti a Bridgerton. Uscire da una depressione sessuale significa tornare in contatto con ciò che vi piace sessualmente. Forse il motivo principale per cui le donne smettono di fare sesso è perché non fa nulla per loro: dovete trovare quello che funziona per voi. In questa primavera ed estate il mondo dell'editoria è in fiamme con la narrativa hot e la richiesta di trame sexy ed evasive è in forte espansione. Portatevi a letto uno dei tanti nuovi romanzi erotici e chiudete la porta a chiave per un'ora. Non sono un fan delle cose con le batterie - spesso sono troppo stimolanti - ma i giocattoli meno vigorosi sono fantastici. Ascoltate della musica, accendete una candela; qualunque cosa che riaccenda la vostra passione.
Andate a un “finto primo appuntamento”. Avete mai sentito parlare del tanto popolare "finto pendolarismo" in questo periodo di lockdown e smart-working, dove si esce di casa per un "viaggio verso il lavoro" di 40 minuti, si fa vostro esercizio quotidiano e poi si ritorna in "ufficio" per il resto della giornata? Bene, ora prova il "finto primo appuntamento". Uno dei miei consigli preferiti per i clienti che cercano di ravvivare l'intimità in una relazione è praticare un esercizio chiamato "guardare gli occhi", una forma di flirt intenso che i nuovi amanti fanno naturalmente ma che le coppie più anziane dimenticano. Potete farlo seduti su un tavolo l'uno davanti all'altro oppure a letto. Basta guardarsi negli occhi e mantenere lo sguardo, all'inizio lo troverete imbarazzante, persino straziante, oppure forse lo troverete divertente: le persone tendono a ridere e distogliere lo sguardo, ma credetemi, è uno strumento molto potente. Dopo 30-60 secondi di osservazione viene attivata l'ossitocina, l'ormone dell'amore, creando sensazioni di calma e connessione. Diventate esperte e sentirete quelle farfalle nello stomaco che non avreste mai pensato di provare di nuovo.
Rendete il sesso il vostro momento di relax. Perché sono le donne, in particolare, ad aver trovato la loro vita sessuale così insoddisfacente negli ultimi 12 mesi? La risposta semplice: stanchezza e probabilmente un po’ di risentimento.Anche prima del Covid, le donne mi dicevano tutto il tempo che il sesso sembrava per loro un lavoro di routine: era solo un'altra cosa nella loro lista di cose da fare, come fare la lavastoviglie. Quando fanno shopping online e rispondono alle e-mail di lavoro per tutta la sera, l'ultima cosa che vogliono o per cui hanno l'energia, è essere sexy per il loro partner. Dovete dire ai vostri partner quello che volete, è una sorpresa per alcuni uomini nella nostra vita che le faccende domestiche non vi soddisfano dal punto di vista sessuale. Immaginatevi quanto sarebbe meglio se vi suggerissero di svolgere questi compiti insieme, poi portarvi di sopra per un rilassante massaggio alla schiena. Un uomo che si rende conto che l'intimità possa essere fonte di stress è un uomo molto più sexy di quello che vi vuole in lingerie quando vi spogliate. A questo punto, dovrebbe essere il vostro fuoco che state entrambi cercando di riaccendere.
Pianificate una fuga romantica. Dal 17 maggio è possibile prenotare hotel a scopo ricreativo, quindi ora è un ottimo momento per programmarne una vacanzetta romantica. Ma attenzione: molti dei miei clienti che hanno provato a prenotare un fine settimana fuori casa per rilanciare una relazione stantia sono finiti con tristi fallimenti. Ci sono delle regole. Per prima cosa, prenotate in anticipo e usufruite della stanza dalle due o tre del pomeriggio. Divertitevi, toccatevi in modo sensuale e massaggiatevi, poi fate un pasto accompagnato da un buon vino nel ristorante dell’albergo. È pazzesco andare per una cena elegante - tre portate più budino e digestivo - e poi pretendere che dopo sarete dell'umore giusto. Non fatelo! Fate sesso prima di cena e vi sentirete talmente connessi che il pasto sarà bollente. In secondo luogo, parlate prima di quello che volete dalla fuga. Consiglio ai clienti di utilizzare la formula “Amore, Timori e Desideri.”: Iniziate dicendogli cosa amate di lui. Usate il cronometro del telefono e concedetevi due minuti, poi scambiate i ruoli e chiedete a lui di dirvi cosa ama di voi. Quindi fate lo stesso per i vostri timori riguardo al sesso. Potrebbe essere "Temo che giudicherai le mie coscione da lockdown", o "Temo che vorrai lo stesso sesso che abbiamo fatto negli ultimi 20 anni e non sono sicura di essere pronto per questo". Infine, utilizzando il metodo del tempo fisso, a turno, raccontatevi a vicenda cosa desiderate dal fine settimana. Potrebbe essere "Mi piacerebbe che mi massaggiassi" o "Mi piacerebbe molto addormentarmi coccolandoci". Le coppie scoprono quasi sempre che nessuno dei due partner ha grandi aspettative in termini di prestazioni, ma entrambi vogliono davvero una connessione emotiva - anche gli uomini. Qualunque cosa si scopra, è importante non entrarci a freddo perché le incomprensioni sul sesso troppo spesso portano a sentimenti di rifiuto.
Provate qualcosa di nuovo al termine del lockdown. Ci sentiamo come se stessimo emergendo molto lentamente verso la luce, ma voglio comunque che afferriate ogni frammento della nuova normalità con la stessa rapidità con cui è arrivata. Andate al nuovo bar per il caffè da asporto e provate un ristorante diverso il prima possibile. Non manca molto alla riapertura dei parrucchieri e saloni di bellezza: tagliatevi i capelli o tingeteli di un colore diverso - e se ne avete abbastanza degli anni '70, guardate altrove, fai la ceretta anche lì sotto. Stilate un elenco di paesi in cui non siete mai state che vorreste visitare quest'estate, se si può. Cosa c'entra tutto questo con il sesso? Ebbene, provare nuove esperienze attiva il rilascio di dopamina, un neurotrasmettitore noto per la sua capacità di farci sentire bene (lo rilasciamo anche quando facciamo sesso). La dopamina ci aiuta a sentirci vivi: innesca il desiderio, la voglia e l'eccitazione. Fare cose nuove ci fa desiderare più cose nuove, anche in camera da letto.
Perché non fargli pettinare i vostri capelli? Ammettiamolo, siamo stati tutti ansiosi e in parallelo con il Covid, c'è stata un'epidemia di insonnia. Sembra davvero ovvio, ma è difficile fare del buon sesso quando si è preoccupati e insonni e questo è particolarmente vero per le donne. L'ansia è un enorme smorzatore della libido. Con un po' di fortuna, il carico emotivo che le donne stanno portando diminuirà con il ritiro della pandemia, ma abbiamo ancora bisogno di un tocco sensibile. Una mia cliente piuttosto ansiosa mi ha detto di recente che suo marito le pettinava i capelli ogni sera, il che mi sembra un ottimo modo per favorire l'intimità. Non è del tutto politically correct dirlo, ma gli uomini che sono protettivi, ti mettono un grande braccio intorno e ti tengono al sicuro è una cosa molto sexy per tante donne. Riaccendete il fuoco ma fatelo con prudenza. Non vi aspettereste di andare direttamente a una lezione di fitness super difficile dopo un anno sul divano e lo stesso vale per il sesso. Se non ne avete avuto per anni, provate alcuni esercizi di Kegel per rafforzare il pavimento pelvico. Sì, è possibile ravvivare la vostra vita sessuale e uscire dalla depressione sessuale e sì, potrebbe essere meglio di quanto non lo sia mai stato prima d’ora. Ma non aspettatevi di arraparvi allo schiocco di dita, un arresto del sentimento sessuale nelle donne influisce su tutta la loro vita: non ricevono l'ondata di ormoni che il sesso dà loro, non si sentono bene nei loro corpi e non si sentono apprezzate o amate. Le donne sono naturalmente sensuali e appassionate, ma spesso ritorno alla normalità è un viaggio graduale. Lo stesso vale per gli uomini – spesso sono sotto tale pressione per "esibirsi" e talmente schiavi dei miti sul non mostrare emozioni che qualsiasi sentimento di tenerezza viene respinto. Quindi accendete i fuochi ma fatelo con prudenza. Siate realistiche e giocose, tornate ad affrontare questo aspetto della vita con una passione che riconosce la tenerezza tanto quanto la sensualità. Presto quelle fiamme si accenderanno di nuovo. camillaconstance.com
Barbara Fabbroni per arezzonotizie.it il 3 aprile 2021. Purtroppo ci facciamo ancora avvolgere dai pregiudizi che incarcerano in luoghi comuni, dove si resta intrappolati. La rete offre un panorama infinito di siti, dove poter trovare attimi di eccitazione, guardando un porno che si trova lì a pronta visione con un solo click. Se siamo abituati agli uomini che fruiscono di visioni hard, meno consueto, agli occhi dei più, risulta se a farlo sono le donne. Ma cosa c’è di strano? La visione di questi filmati è lecita e potrebbe stimolare nei giochi erotici di coppia, quando l’eros sembra aver deposto l’eccitazione nel cassettone della camera da letto. Se una donna prova piacere nella visione di un porno, la cosa porta con sé disapprovazione e, addirittura, mette in difficoltà il maschio. Ma perché? Spesso lui si sente spiazzato e non sa come gestire la situazione. Così riempie la sua testa di mille domande che naufragano a una a una senza trovare alcuna risposta, cercando qualche strategia per gestire la situazione. Ma c’è davvero bisogno di gestirla? Non sarebbe più semplice lasciare che sia, e prendere il meglio di ciò che può venir fuori? Non è affatto drammatico avere accanto una donna che ama i porno, può sempre apprendere qualcosa di interessante da sperimentare con il partner. Cosa ci sarebbe di male? Avete provato a chiedere a una donna perché sbirci nelle infinite pagine di questi siti che offrono un pacchetto variegato di situazioni erotiche? Curiosità? Può essere, ma non è una motivazione sufficiente. Voglia di imparare qualcosa per sorprendere il partner? Ci sta. Molte sono le donne che vogliono sorprendere il partner con qualcosa di diverso, che stimoli ancor più l’eros tra loro. Desiderio di scoprire aspetti della sessualità nuovi che non incontra con il partner attuale? Perché no. È un’ottima strada per aprire la mente, per portare il nuovo nella propria coppia, per creare stimoli più intensi. Tuttavia, rassicuratevi, l’ultima cosa che le viene in mente è osservare con attenzione gli attributi maschili, poiché l’attenzione è attirata da altre immagini coinvolgenti che stimolano la fantasia erotica. Se lo fa con insistenza, forse, c’è qualcosa nella vostra coppia che non funziona, un’insoddisfazione che è difficile dichiarare. Ma le donne, generalmente, non amano l'extra large, dove la dimensione è esagerata. Il vero piacere si prova non nella dimensione ma nella capacità di utilizzare al meglio le proprie qualità, creando un clima eroticamente coinvolgente, dove non solo il piacere passa attraverso l’atto sessuale ma coinvolge ogni recettore sensoriale del corpo. A meno che non ci sia un problema legato alla sfera psicologica che porta a una devianza o una dipendenza significativa dal sesso, come potrebbe essere la ninfomania. Ecco, questo è un problema, che certo va affrontato nelle sedi adeguate. E un uomo che si trova a vivere con la partner che ama guardare i porno come deve comportarsi? Cosa deve pensare? Che cosa deve fare? Deve prima farsi una domanda molto intima: perché questa cosa mi mette a disagio? Cosa sto vivendo come uomo? Mi sento privato della mia virilità? Mi sento tradito quando la mia partner si eccita alla visione di un sexy attore porno? Mi sento inferiore a lui? Spesso la fonte del disagio da parte dell’uomo, con una partner che ama guardare i porno, non dipende tanto dalla donna che si eccita o prova piacere nella visione di immagini o film pornografici, quanto piuttosto dal livello dell’autostima erotica e sessuale che l’uomo ha di sé stesso. Sono gli uomini che fanno paragoni con le parti anatomiche dell’altro, è una cosa che gli viene spontanea, tanto che sono loro, gli uomini, i primi a pensare erroneamente che le donne siano particolarmente attratte dalla dimensione. Si sa, quell’aspetto, per ogni uomo, racchiude la sua virilità, mai svalutarlo. Così, se la partner si sente attratta dal porno, in automatico lo sguardo maschile cade tra le gambe del protagonista e scattano i paragoni. Ma forse la donna guarda altro. Per non sentirvi un passo indietro cercate di condividere con la vostra partner il suo desiderio, anzi provate a proporre voi la visione di un porno che possa accendere la serata, in modo da incuriosirla, sorprenderla e non farla sentire “diversa”. Potrebbe essere un gioco stimolante che arricchirà la vostra intesa intima.
Barbara Costa per Dagospia il 3 aprile 2021. Uomo, ma che aspetti? Di che ti vergogni? Proprio questi giorni pasquali sono la spinta che ti serve per saperlo, capirlo, se non dirlo indossarlo, e alla tua lei esibirlo. Se non… sgraffignarlo. Come, cosa!? Il tuo nuovo top! In coordinato con le mutandine, e del colore che più ti piace e ti dona, e non ti preoccupare, lo trovi pure a tema pasquale. La lingerie unisex, e quella da uomo superbamente femminilizzata, è stata sdoganata, e già da un po’, e non c’è nulla da fare perché non c’è nulla di male! C’è bensì richiesta di pizzo e merletto "per lui". Se così non fosse, non metterebbero in commercio tali sfiziosi intimi completini dedicati pure alle festività pasquali, una celebrazione di uova, coniglietti e coniglioni, fiocchi e campane, in bianco e nero anche se le più gettonate pare siano in colori tenui. Questi top, queste mutande (ma che mutande, la gran parte son tanga, sono mini, striminzite striscioline su e tra le natiche) si potrebbero pensare destinati a un pubblico omo e trans, e invece no, e invece non solo, se te li smerciano anche come intimo unisex. Sono per un uomo più che a suo agio con un’identità femminilizzata, per un uomo a cui non importa (per primo a lui ma non dovrebbe una ceppa importare nemmeno agli altri) da che parte stanno e vanno i suoi desideri e impulsi sessuali: se merletti e stringhe e reggicalze gli piacciono, che se li metta! La risposta semmai sta alle donne. Sta a noi. A te, Dago-lettrice: che ne dici? Che ne pensi del maschio in top, femminilmente (s)mutandato? Ci perde in virilità? E quanto? Troppo? O in verità ti piace? A me pure troppo, e ti confido che lo voglio "provare". Se in questo Sanremo (ma non solo) abbiamo avuto più di una proposta di uomo impiumato, laccato, truccato, tacco 12 e in velato tubino, quale salto più coerente di un uomo in intimo merlettato? La tutina color carne dei Måneskin unisex-almente applaudita – e massimamente desiderata – quanto si distanzia da questi slip e top? Se già in privato ti diletti in giochi di ruolo, e col tuo lui ti scambi i vestiti, e ti ecciti a vestirlo dei tuoi slip e body, questo è il giusto passo successivo. Se come me ti manda fuori di testa l’uomo in make-up, ma di più l’odore del fondotinta su una pelle maschia e sudata, forse qualcosa di quanto vedi in queste foto è già riposto nei tuoi (suoi?) cassetti. Per Pasqua, oltre l’uomo dalle mutande ultra-femminilizzate, si può prendere in mano l’uncinetto e optare per c-string e tanga e mini mini slip che vestono un pene a forma di coniglio, pure in versione monokini (OK, esteticamente inguardabile!). Li trovi in coordinato per lui e per lei (anche qui interscambiabili?), come trovi pure il classico boxer pasqualato, con uova, e colombe, e conigli zampettanti sul pacco di lui. Uova di Pasqua disegnate un po’ ovunque, anche su classiche mutande bianche, e arrapati coniglietti in "azione" che ti augurano Buona Pasqua sul retro di mutande nere, mutande opportunamente fornite di rotondo foro posteriore, impreziosite da piumosi pon pon che spuntano festosi davanti e dietro. Lingerie ultra-sexy, e ovetti colorati e pulcini sui reggiseni, nell’incavo tra i seni, ovetti di ogni forma e colore, e basta starci a tergiversare: ovetto uguale… sex-toys! Ovetto pasquale o no, vibrante sì, vibrante di sicuro: se, dopo aver scelto il completino migliore, vuoi passare Pasqua davvero con chi vuoi tu, cioè col tuo amore se non ad amare te stesso, procurati un ovetto vibrante, e guarda quelli che ti vendono semi-identici alle uova che hai nel frigo, e che però al loro interno custodiscono la loro sorpresa! Gli ovetti vibranti si diversificano per intensità e tipo di vibrazione, e se si possono comandare a distanza o no, e ve ne sono alcuni specifici per la prostata e l’ano di lui. Tutti offrono piacere e orgasmi garantiti. Butta al secchio ogni pudore! Ehi, maschio, te le sei dipinte le chiappe a uovo pasquale?
DAGONEWS il 28 marzo 2021. “Ho provato ogni trucchetto possibile per evitarlo”; “Vado a dormire prima di lui, anche se non sono stanca.”; “Faccio finta di dormire.”; “Indosso i pigiamoni.”; “A volte penso se mi convenga farlo e basta, considerando tutta l’energia che ci vuole per evitarlo.” Anche voi siete una di quelle donne che farebbe di tutto pur di evitare il sesso con il partner? Non essere interessati nel sesso è un problema comune, ecco alcuni consigli per (si spera) aiutarvi a superarlo.
Prendete una decisione. Ci sono diverse opzioni nel caso il vostro partner voglia fare sesso e voi no. Quella più prevedibile? Continuare a usare ogni scusa possibile, sperando che smetta di provarci. Questa è decisamente l’opzione più popolare - perché evita di affrontare l’argomento – ma è anche la cosa peggiore che possiate fare, e potrebbe far sentire il vostro partner frustrato o arrabbiato. Un’alternativa più sensibile sarebbe avere una conversazione sincera sul motivo per il quale state evitando il sesso così che si possano trovare delle soluzioni.
Ma cosa fare se siete assolutamente sicure di non volere più rapporti sessuali quando si è in una relazione monogama? Quando siamo in una relazione monogama concordiamo implicitamente di non andare a letto con altre persone, ma c’è anche un obbligo morale di soddisfare i bisogni sessuali del proprio partner. Confessare di non voler più avere rapporti sessuali potrebbe essere la fine della vostra relazione con il vostro partner, ma non sempre. Se ogni altro aspetto della relazione va a gonfie vele, alcune persone potrebbero accontentarsi di soddisfarsi da soli con il porno oppure con sex-toys. Potreste accettare di fare del sesso “poco impegnativo”: tipo masturbarsi in presenza del partner oppure praticare sesso orale. Un’altra opzione potrebbe essere fare altri atti sessuali che però non comprendano la penetrazione. Pensateci: ci sono dei momenti specifici che vi piacciono del sesso e che non vi dispiacerebbero? Quali sono quelli che non vi piacciono? Ora entreremo nel pericoloso territorio delle “altre persone”.
Sareste felici se il vostro partner facesse sesso con altre persone? Ecco alcune alternative: potreste suggerire al vostro partner di fare sesso con altri, ma senza farvelo sapere quando lo fanno, oppure stabilire delle regole da seguire. Ad esempio, alcune donne approvano che il loro partner faccia sesso a pagamento, ma senza avere delle frequentazioni sessuali regolari. Oppure potreste decidere di terminare il rapporto. Se siete con una persona che ama la connessione, l’intimità e tutte le altre cose belle che il sesso comporta, a volte non fare sesso potrebbe far saltare la relazione. Se vi amano, suggerire di risolvere la questione facendo sesso con altri potrebbe causare molti più problemi piuttosto che risolverli. In quel caso, sarebbe ideale separarsi e trovare un partner più compatibile invece di continuare infelici e pieni di risentimento.
Non posso semplicemente fare finta di niente? Ovviamente queste decisioni non sono facili da prendere. Ma l’alternativa, cioè continuare a evitare il sesso sperando che il vostro partner smetta di chiederlo, potrebbe mettere a repentaglio la vostra relazione. Il vostro amante potrebbe sentirsi indesiderato, poco attraente e confuso, inoltre, potrebbe diventare più vulnerabile alle tentazioni. Non importa quanto amiamo il nostro compagno, ciò non distoglie dal fatto che possiamo trovare altre persone attraenti. L’altro problema con l’evitare i rapporti sessuali è che alcuni potrebbero smettere di provare affetto nei vostri confronti: una semplice carezza innocente o un bacetto potrebbero essere interpretati erroneamente come un segnale che si voglia fare sesso. Certe relazioni potrebbero cavarsela ma nessun rapporto sopravvive senza sesso o affetto. È per questo motivo che se volete dare una chance di sopravvivenza alla vostra relazione dovete avere questa conversazione.
Alcuni motivi per il quale le donne smettono di voler fare sesso.
La maternità: Diventare genitori è immensamente appagante ma potrebbe uccidere la vostra vita sessuale. Privazione del sonno, stress e stanchezza provocano il calo della libido.
Non siete mai state così interessate: Alcune donne possiedono una bassa libidine e non hanno mai capito cosa ci sia speciale nel sesso.
Siete esauste: Anche se il vostro partner prova a fare la sua parte, molte mogli hanno molte più cose di cui preoccuparsi. Non solo cucinare, ma anche lavoretti domestici, stare appresso ai figli e mantenere una vita sociale. È poi così strano che molte si sentono troppo stanche fisicamente o emotivamente per eccitarsi?
Avete avuto brutti rapporti sessuali in passato: Certe persone non sono brave a comunicare al proprio partner cosa funziona per loro e cosa no e devono quindi subirsi anni di tecniche inefficaci. Altre sono vittime di bullismo e sono obbligate a fare sesso con compagni che non piacciono o addirittura non amano. Se il sesso non fosse un’esperienza piacevole e non vi farebbe sentire bene non vorreste smettere anche voi?
Vi annoiate: L’avete fatto un migliaio di volte e avete semplicemente perso interesse nell’atto. Netflix cambia contenuti costantemente, mentre non si potrebbe dire lo stesso della routine sessuale media di una coppia.
Avete una bassa autostima: Se non siete molto sicuri, non vi piace il modo in cui apparite e non vi sentite per niente attraenti, è molto probabile che non pensate al sesso come una cosa divertente da fare.
Siete in una relazione lunga: Anche se siete innamorati e avete avuto dei buoni rapporti sessuali in passato, nelle relazioni a lungo termine il desiderio di fare sesso diminuisce nel tempo. È difficile fare l’amore con la stessa persona per tutta la vita.
Avete delle condizioni/problemi di salute: Endometriosi, cistite, la cervice che viene “colpita” durante il rapporto sessuale, secchezza vaginale oppure problemi legati agli ormoni. Tutto ciò può rendere il sesso doloroso o poco confortevole. La maggior parte di queste condizioni sono curabili, ma molte donne non cercano aiuto.
Siete interessate a farvi tornare il desiderio? Oppure almeno arrivare al punto che non vi dispiacerebbe fare sesso? Grandioso! Fare sesso regolarmente comporta molti benefici, fisici ed emotivi, sia per voi che per la vostra relazione, quindi avrebbe senso come minimo provarci.
Ecco alcuni consigli pratici per farvi tornare in carreggiata. Risolvete qualsiasi problema di coppia. Trovo sorprendente il fatto che alcune coppie non pensino che la loro vita sessuale e quella sentimentale siano legate. “Non so perché non ho più voglia di fare sesso” mi ha confessato una donna, dopo due mesi si lamentava che lei e il suo marito erano perennemente arrabbiati. “Solo guardarlo mi fa incazzare, anche quando non ha fatto niente di male.” Chi vuole baciare o avvicinarsi con qualcuno che non ci piace nemmeno?
Affrontate qualsiasi problema medico e di salute. Se evitate di fare sesso perché vi fa male, dovete subito andare da un dottore per un controllo clinico e trovare una soluzione. Se evitate il sesso perché siete esauste a fine giornata, chiedete aiuto a qualcuno. Pensate alla vostra dieta e allo stile di vita. Smettete di fumare, diminuite l’alcol, mangiate sano e fate attività fisica. Tutti questi fattori hanno un impatto sul nostro desiderio sessuale.
Sfidate la percezione negativa del vostro corpo. Avere una percezione negativa del proprio corpo è uno dei motivi principali per il quale molte donne evitano il sesso. Se solo ci rendessimo conto che le persone che ci amano non ci scrutano sotto la lente d’ingrandimento! “Mia moglie ha partorito un anno fa e si lamenta ancora della sua pancia non piatta e del seno calato” ha confessato un uomo sposato. “Ma per me rimane ancora bellissima! Glielo dico tutto il tempo ma non fa molta differenza. Come posso farglielo capire?” mi ha chiesto cautamente un marito. Se una percezione negativa del proprio corpo è la causa per cui evitate il sesso, ci sono due cose che potrebbero aiutare a risolvere il problema.
Fate più sesso e migliorate le vostre abilità sessuali. Il motivo per cui fare più sesso aiuta è perché incoraggia il cervello ad eludere quegli insulti autoironici e pensa invece: “Beh, non posso essere così brutta se questa persona vuole andare a letto con me.” Le donne che sono coscienti di essere brave a letto sono troppo impegnate a guardare il proprio partner desideroso invece di concentrarsi su stupidaggini come la cellulite.
Cosa funziona e cosa no? “Una volta ho detto al mio partner che mi piaceva quando mi toccava il seno, e da li in poi non ha più smesso di farlo. Ormai, dopo che l’ha fatto per qualche minuto, mi salta addosso pensando che sia abbastanza eccitata.” Se qualcosa non funziona per voi dovete farglielo sapere. I nostri corpi cambiano durante le nostre vite, i nostri gusti cambiano, solitamente le tecniche che funzionavano quando avevate 20 anni non funzionano a 35. Parlatevi onestamente, ditegli “so che amavo la penetrazione ma adesso preferisco il sesso orale” oppure “Il mio corpo è cambiato dopo il parto” lui potrebbe dirvi “prima preferivo che non mi toccassi perché temevo di venire troppo presto, adesso è il contrario”.
Se non avessi altra scelta e dovessi fare sesso, quando e come lo faresti? Nel weekend? Il mattino piuttosto che la sera? Dopo una bevuta? Dopo un’uscita? Dopo una bella conversazione dove vi sentite più connessi emotivamente? Quando ascoltate della musica che vi ricorda del periodo quando il sesso era la cosa più importante per voi? Identificate le condizioni ottimali per voi e ricreatele per per farvi tornare la voglia.
Iniziate a caldo e non a freddo. Cosa fate se il vostro partner dovesse trovarsi fuori casa e avete voglia di masturbarvi? Prendete un vibratore? Leggete storie erotiche? Guardate dei porno? Usate le dita e rivivete delle memorie di rapporti sessuali passati? Se siete da sole provateci, ma cercate di non raggiungere l’orgasmo. Se non lo siete, andate in bagno e fate quello che dovete fare.
Abbiate fantasie sessuali senza preoccuparvi di chi fantasticate. “Sono andata al letto con mio marito centinaia di volte. Non mi sorprende il fatto che ora mi annoio a morte.” Ha confessato una donna sposata da 32 anni. “Quando facciamo sesso, mi immagino di essere sedotta da un personaggio di Bridgerton. Non lo ammetterei mai al mio partner anche se temo che pure lui pensi ad altre persone mentre lo facciamo.” Non vi piace il vostro partner ma sbavate dietro al vostro capo? Il vostro partner non può leggervi nel pensiero. Lasciate sbizzarrire la vostra immaginazione! Sia voi che il vostro partner ne trarrete beneficio. Se quella fantasia vi aiuta a godervi di più il sesso, il vostro cervello assocerà un buon rapporto sessuale con il vostro partner, rendendovi più aperte a farlo in futuro.
Fate sesso prima di andare a cena fuori e non dopo. Se fare sesso dopo una cena romantica potrebbe rovinarvi la serata, fatelo prima di andarci. Chi vuole mostrare il proprio corpo dopo essersi strafogati di cibo? Vestitevi, bevetevi un bicchiere di vino, spogliatevi di nuovo e poi fatevi una sveltina prima di uscire. Così dopo potete uscire, mangiare e godervi la serata senza stress!
DAGONEWSil 21 marzo 2021. Hai solo tempo per una sveltina? Leggi i segreti della sexperta Tracey Cox per trasformare una serata fredda in una notte bollente.
Crea tensione sessuale durante il giorno. Inizia con una promessa: un bacio che indugia più a lungo del solito o una strizzatina veloce del pene e aggiungi "Ci vediamo più tardi", prima che esca di casa. Quindi continua a prenderlo in giro durante il giorno. «Pensare a quello che ho programmato per stasera e mi fa eccitare». Inviagli una foto con un dettaglio del tuo corpo. Ricorda solo che non bisogna mostrare troppo. È più eccitante.
Guarda, leggi o ascolta qualcosa di erotico. È un modo garantito per eccitarti. Se il porno ti infastidisce, si può sempre optare per qualcosa di erotico. “Make Love Not Porn” e “Joy Bear” sono due siti garantiti per eccitarsi. Oppure guarda vecchi classici come "Basic Instinct", "Henry and June" o "Eyes Wide Shut" per il voyeurismo. Prova anche a leggere dei romanzi erotici.
Un bacio allo champagne. Tutto ciò di cui hai bisogno è una bottiglia di qualcosa di frizzante, il tuo partner sdraiato sulla schiena e tu a cavalcioni. Prendi una sorsata di champagne ghiacciato in bocca, resisti all'impulso di deglutire e bacialo lasciando che parte del liquido vada nella sua bocca. Non preoccuparti se esce dai lati della bocca: avrai una scusa per leccarlo e farti leccare.
Tecniche per “tirarlo su”. Se non è molto eccitato, prendi saldamente il pene alla base e lavora muovendoti dal basso verso l’altro. Quando raggiungi la cappella, ripeti lo stesso movimento usando l'altra mano e continua alternando le mani. L’eccitazione è garantita.
I “cerchi” che la fanno impazzire. Un modo semplice per migliorare le abilità sessuali orali del tuo partner è fargli capire quanto sia importante il modo in cui gira la lingua sul tuo clitoride. Più il cerchio disegnato con la lingua è piccolo, più intensa è la stimolazione; più grande è il cerchio, meno è intenso. Fallo iniziare con cerchi grandi che diventano sempre più piccoli. Occhio perché una lingua secca ha l’effetto della carta vetrata. Se necessario, fallo bere.
Aggiungi un elemento “ignoto”. Il trucco per passare velocemente dalla notte fredda a quella rovente è la sorpresa: introduci un elemento dell'ignoto senza sottovalutare i cliché. Se sono tali è perché funzionano. Gli occhi bendati possono sembrare superati, ma aggiungono immediatamente tensione sessuale e vulnerabilità che inietta una sana dose di lussuria nelle relazioni a lungo termine. Riducono anche qualsiasi imbarazzo e amplificano le sensazioni fisiche. I giochi di coppia rimangono l'unica fantasia che funziona davvero bene quando le coppie li traducono nella realtà. Cambiare la dinamica del potere, ad esempio legare la persona che di solito è dominante fa ottenere dei risultati brillanti. Anche la sculacciata sul sedere è un modo per accendere la passione.
Daniela Natali per corriere.it il 15 febbraio 2021. La dieta può davvero influire sulle capacità sessuali maschili? E non stiamo parlando di presunti cibi afrodisiaci, ma di un ampio studio prospettico in cui sono stati indagati i comportamenti alimentari di oltre 21mila operatosi sanitari americani: medici, infermieri, fisioterapisti, dentisti e così via (età 62 anni, più o meno 8) che regolarmente, a partire dal lontano 1986, hanno riferito le loro abitudini alimentari (in termini di qualità e quantità del cibo assunto) ogni quattro anni, e dato conto delle loro abitudini di vita, dei medicinali eventualmente assunti e dello stato di salute ogni due anni. Un certo grado di disfunzione erettile in Italia interessa circa il 40 per cento degli ultracinquantenni e la metà degli ultra settantenni (e con una certa frequenza anche gli uomini di età inferiore, soprattutto se esposti a fattori di rischio cardiovascolare), ma gli studi si focalizzano, da noi come nel resto del mondo, sui problemi di impotenza vera e propria o sui fattori di rischio piuttosto che su fattori, per così dire, protettivi, come può essere, appunto, la dieta.
Lo studio. Scopo dello studio americano, pubblicato su Jama Network open, nel novembre scorso era invece proprio quello di verificare se l’aderenza a una dieta salutare diminuisse le difficoltà di erezione, specie tra gli uomini meno anziani. Conferma Elena Dogliotti, biologa nutrizionista e supervisore scientifico per Fondazione Umberto Veronesi: «In letteratura è molto più frequente trovare studi che approfondiscono la ormai confermata relazione tra disfunzione erettile e diabete, patologie cardiovascolari, ipertensione, iperlipidemia, obesità, sindrome metabolica, piuttosto che ricerche come questa».
Che cosa può fare una dieta sana per limitare i danni o, meglio ancora, prevenirli?
«Tanto il diabete di tipo 2 quanto il sovrappeso e l’obesità, tra altro spesso concomitanti, sono frequentemente associati a un calo del testosterone, tipico dell’età avanzata, che alimenta infiammazione sistemica e minore sensibilità all’insulina. E il calo di testosterone favorisce il deposito di grasso a livello dell’addome (il girovita non dovrebbe mai superare i 94 centimetri) inducendo una maggior produzione di citochine pro-infiammatorie. Questo calo può influire negativamente anche sulla salute dei vasi, diminuendone la capacità di dilatarsi, fattore importante per il meccanismo dell’erezione. La dieta di tipo mediterraneo ha una potente azione antinfiammatoria, riduce il rischio di obesità, di diabete 2 e, in generale, di sindrome metabolica e anche di patologie cardiache tenendo sotto controllo il peso e favorendo l’elasticità dei vasi».
Più precisamente, quali cibi privilegiare?
«Per semplificare, possiamo far riferimento al modello mediterraneo con l’accento sul consumo di verdura, frutta fresca, legumi ,pesce e altre fonti di grassi Omega 3, come noci, semi di lino e olio extravergine di oliva. Meglio poi limitare il consumo di zuccheri semplici, le fonti di grassi saturi (formaggi grassi, latte intero, carne, uova, prodotti industriali che ne contengono), carni conservate come i salumi e in generale l’eccesso di sale (non si dovrebbero superare i 5 grammi al giorno totali)».
I cosiddetti cibi afrodisiaci, come fragole e ostriche, possono avere un ruolo?
«Le affermazioni relative a ostriche e fragole non hanno fondamento scientifico, ma nell’elenco finiscono di solito anche il cioccolato, il peperoncino, la senape, il pepe, l’anice e, in generale, tutte le spezie che potrebbero favorire una vasodilatazione in grado di aumentare anche l’afflusso di sangue agli organi genitali; ma si tratta di supposizioni da prendere con molta cautela. Probabile un effetto psicologico, più che biologico. Le emozioni hanno molto potere, insomma saremmo in presenza di una specie di effetto placebo».
Alessandra Quattrocchi per “il Venerdì - la Repubblica” il 15 febbraio 2021. A fine 2020 The Guardian proponeva ai lettori un pod-cast: "L' insabbiamento della clitoride: perché ne sappiamo così poco?" Il 28 gennaio scorso il sito tedesco di news Deutsche Welle ha pubblicato un video in inglese, "Sulla clitoride, e quanto è grande". Il 30 gennaio, un articolo sul sito inglese Refinery29 si chiedeva: "Come mai sappiamo così poco della clitoride?". E dal primo febbraio l' emittente France Culture offre una serie di quattro puntate di un' ora ciascuna sul tema "Il corpo femminile": la prima si intitola "Filosofia della clitoride". Get cliterate, alfabetizzatevi sulla clitoride, slogan che gira parecchio nel mondo anglosassone, è anche il titolo di una chiacchierata online nel quadro delle conferenze Ted Talks tenuta nel settembre scorso da Helen O' Connell, l' urologa australiana che per prima, in tempi moderni, ha descritto in maniera particolareggiata la clitoride, in due articoli (1998 e 2005) che fecero scalpore. Mi dice O' Connell: «Ora si tratta di prendere il concetto clinico, anatomico e tradurlo in conoscenza culturale, per le donne e per gli uomini. Gli uomini non hanno mai dubitato della validità dei loro orgasmi, anche se la masturbazione era disapprovata dalla Chiesa. L' educazione sessuale per le donne invece si è concentrata a lungo sulle gravidanze e le malattie sessualmente trasmissibili. Dalle reazioni che vedo - nuovi studi scientifici, i modellini della clitoride, le visualizzazioni delle conferenze online - direi che ci avviamo a un' era clitoris-positive».
Cigno, aliante o drago. Bisogna dire grazie per questo anche all' ingegnera francese Odile Fillod, che ha scritto un programma per stampare un modellino di clitoride in 3D e lo ha reso disponibile gratuitamente su internet. Fillod (che si occupa appunto di divulgazione e ha anche un sito, Clit' Info. wixsite.com/clitoris, con belle rappresentazioni interattive) avrebbe voluto che il programma fosse distribuito nelle scuole; per ora si trovano modellini da comprare online. Somigliano a un cigno, a un aliante, o a un drago? In ogni caso l' immagine induce a un nuovo rispetto per l' organo e forse anche per l' identità femminile (del resto, se tanta identità maschile da sempre si fonda sulla lunghezza del pene, perché non dovrebbero le donne sentirsi altrettanto empowered osservando com' è fatta davvero la clitoride?). In Italia però - sarà per l' eredità dell' educazione cattolica - si parla poco di quest' organo, che resta piuttosto enigmatico. A cominciare dal genere del suo nome: "il" o "la"? Secondo l' Accademia della Crusca, sono corretti entrambi: il femminile è registrato dal Settecento, il maschile da metà Ottocento. Ancora oggi, il Dizionario Treccani dedica alla clitoride due righe (contro le undici del pene): "Organo erettile femminile impari e mediano, omologo al pene virile, però rudimentale, situato nell' angolo anteriore della vulva". A parte l' offensivo "rudimentale", così si definisce solo l' area visibile. Mentre «la porzione più importante della clitoride è sommersa» ricorda la ginecologa e sessuologa Alessandra Graziottin. «La sua lunghezza complessiva può arrivare a 7-9 centimetri. Se prendo come riferimento le dita della mia mano, quello che si vede, cioè il glande, è in proporzione equivalente all' unghia del pollice, mentre il pollice stesso è l' asta che sentiamo congestionata durante l' eccitazione. Possiamo rappresentare il resto, le cosiddette crura, le radici, come l' indice e il medio. Il nervo dorsale della clitoride ha uno spessore quasi sovrapponibile a quello del pene: in proporzione, quindi, maggiore». Le Due novità Non una "nocciolina" dunque o una "piccola sporgenza", e certamente non "un pene mancato". O' Connell pubblicò i suoi articoli basandosi sulla dissezione di corpi e su risonanze magnetiche. Rispetto alla letteratura precedente, proponeva due novità: oltre ad asta e crura, fanno parte del corpo sommerso della clitoride anche i due grossi bulbi erettili detti vestibolari, che si allungano sotto le piccole labbra, ai lati dell' imboccatura vaginale; inoltre, le zone della vagina e dell' uretra adiacenti alla struttura clitoridea sono circondate di tessuto erettile e innervato (e quindi possono avere un ruolo nella stimolazione sessuale). Altri studiosi obiettano su alcuni dettagli. Tutti però concordano nel considerare la differenza freudiana fra orgasmo vaginale e clitorideo una bufala: quale che sia la stimolazione, il piacere nasce, cresce e si risolve grazie alla clitoride. L'articolo del 2005 tracciava anche la storia di tutti i testi (di uomini) che hanno analizzato l' organo fin dal Medioevo: di Alberto Magno, degli arabi Albucasio e Avicenna, di Gabriele Falloppio (sì, quello delle tube) nel Cinquecento, fino all' Ottocento con l' accurata disamina del tedesco George Ludwig Kobelt. Conoscenze rimaste nei libri di anatomia: in passato, ancor più di oggi, le informazioni non riuscivano a filtrare nella consapevolezza collettiva. Per motivi storici: il primo è che il piacere femminile ha sempre fatto paura (la mutilazione degli organi genitali, che ancora oggi è un flagello in diversi Paesi africani, era comune anche nell' Occidente ottocentesco, per le donne considerate "isteriche"). Secondo, meno ovvio: la medicina ha sempre studiato il corpo della donna come una copia - manchevole, o "rudimentale" - di quello dell' uomo. Tuttora la maggioranza degli studi sui nuovi farmaci avviene su soggetti di sesso maschile; una realtà a cui la giornalista inglese Gabrielle Jackson ha dedicato il saggio Pain and Prejudice. Il silenzio sul corpo delle donne insomma non riguarda solo la clitoride. Anche per questo è un' ottima notizia la rinascita della Rivista Italiana di ostetricia e ginecologia, storica pubblicazione ferma dal 2012: torna con la missione di diffondere in italiano le novità scientifiche e facilitare il dialogo fra specialisti e medici di base. Nel numero zero, già online, il direttore scientifico Tito Silvio Petrelli scrive ai colleghi: «Ciascuno di noi è consapevole che la medicina, fin dalle sue origini, ha avuto un' impostazione androcentrica. È tutto concordante, nella letteratura medica, con un modello difficile da scardinare, ovvero quello del maschio, occidentale, di mezza età». Errori comuni «Sarà un formidabile strumento di aggiornamento» dice Alessandra Graziottin, che cura la prima monografia del trimestrale, dedicata alle patologie vulvari. Ma ad aver bisogno di informazioni sono anche le pazienti: «In maggioranza continuano a chiamare vagina la vulva, cioè i genitali esterni. Non hanno il concetto di due regioni diverse. Non conoscono il ruolo essenziale degli ormoni androgeni, Dhea e testosterone: col loro declinare, i corpi cavernosi, e quindi la clitoride, si riducono del 50 per cento e più fra i 20 e i 50 anni». E con le ragazze non va molto meglio; oggi «emergono patologie che non vedevamo dieci anni fa, per un malinteso senso d' igiene che porta alla depilazione totale, distruggendo quel millefoglie di cellule desquamate, sebo, acqua che costituisce il nostro scudo protettivo. Troppe donne vivono in grigio quando potrebbero vivere a colori». A cominciare da un coloratissimo modellino di clitoride 3D.
DAGONEWS il 15 febbraio 2021. A ognuno di noi è capitato di mentire al proprio partner. Ma le donne hanno la tendenza a farlo più spesso. Ecco perché la sexperta Tracey Cox ha stilato un elenco in quattordici punti che spiega quello che le donne non dicono riguardo al sesso e ai sentimenti.
Quanto ci masturbiamo. Uno studio pubblicato sul Journal of Sex Research su circa 3.000 uomini e donne, di età compresa tra i 18 e i 22 anni, ha rilevato che l'85,5% delle donne e il 98,9% degli uomini si masturbano. E questo non vuol dire che le donne non desiderino il loro partner o lo amino meno. Ma potrebbe significare che il partner deve lavorare sulla sua tecnica o che si deve essere più onesti riguardo a ciò di cui abbiamo bisogno per un orgasmo.
Abbiamo sogni sexy (che non coinvolgono il partner). Quello strano sogno in cui fai sesso con la tua migliore amica, o con una donna o sei al centro di un’orgia: sì, sono sogni che fanno anche le donne.
Ciò su cui davvero fantastichiamo. Mettiamola così: non ha nulla a che fare con il passeggiare lungo una spiaggia romantica, mano nella mano, per poi fare l'amore sulla battigia mentre le onde si infrangono su di noi. Le fantasie femminili sono altrettanto sporche di quelle maschili. Perché poi non si è altrettanto avventurosi a letto? Le fantasie sono scenari sessuali di cui si ha il pieno controllo. Si può lasciare che l’immaginazione vada in luoghi in cui non si oserebbe mai andare nella vita reale.
Se abbiamo tradito. Nessuno vuole un traditore e nessuno vuole essere tradito, specialmente se si tratta di una donna. La donna dovrebbe essere naturalmente predisposta alla monogamia, meno subdola e meno interessata al sesso. Sbagliato su tutti i fronti. Un recente studio statunitense ha rilevato che il 50% delle donne ha tradito i propri partner. Le persone tradiscono. Ciò che è importate è capire perché lo hanno fatto.
Quanto odiamo il ciclo. Molti uomini hanno l'impressione che alle donne piaccia avere il ciclo, che sia una specie di "cosa da ragazze" che rende parte di un club esclusivo. Perché gli uomini pensano che alle donne piaccia essere lunatiche, incredibilmente irritabili, pungenti e infastidite per sette giorni al mese prima che arrivi? O passare la settimana del ciclo a preoccuparsi di sporcarsi o a lottare contro crampi dolorosi? Non c’è nulla di più sbagliato.
Quanti incontri sessuali abbiamo avuto. Le donne sono ancora giudicate male da molti uomini se si dedicano al sesso occasionale. Molto più facile ridurre la quantità a una cifra accettabile. Tutto cambia in base a quanto si sta con un uomo conservatore o quanto si investe sul futuro.
Volete davvero sapere cosa abbiamo fatto con gli ex? Non ha senso chiedere e non ha senso sapere. Punto.
Se il pene è davvero un po' piccolo. Se il pene è più piccolo della media, voi uomini lo sapete già. Non c’è bisogno che aggiungiamo altra paranoia. Quello che fate con la lingua e con le dita è molto più importante.
Quanto tempo vogliamo che il sesso duri. Perché gli uomini pensano che le donne vorrebbero che il sesso durasse ore? Anche alle donne piacciono le sveltine come il sesso da venti, trenta o dieci minuti. Dipende tutto dall’umore: la resistenza è sopravvalutata.
Se abbiamo segretamente aggiunto del lubrificante. Non c’è nulla di male se la vostra compagna aggiunge del lubrificante. Non sta mentendo su quanto è eccitata, visto che la lubrificazione dipende da diverse cose, tra le quali l’interazione con il medicinale e il ciclo o la disidratazione. L'aggiunta di lubrificante è a volte necessaria: fa sì che tutto vada meglio per tutti.
Quanto desideriamo che vi piaccia il nostro vibratore. La vibrazione è il modo più efficace per stimolare il clitoride. A volte, se perdiamo il momento, l'unico modo per raggiungere l'orgasmo è usare il nostro fidato amico. Ciò non significa che l’uomo abbia fallito come amante se si diventa un trio. Il nostro vibratore è amico anche dell’uomo, non è la concorrenza.
Quanto ci mettiamo davvero per raggiungere l'orgasmo. Nei film porno, le donne impiegano in media da due a tre minuti per raggiungerlo. Se stiamo fingendo, dilateremo il tempo a cinque minuti. Se siamo completamente onesti, potrebbero essere necessari dai dieci ai venti minuti di stimolazione esperta e costante. Non c'è un tempo prestabilito. Tutto dipende dall'umore.
Mentire. Se prestate attenzione ai due punti precedenti, non avrete bisogno di mentire.
Quanto è spaventoso essere una donna. Avere il ciclo rende vulnerabili, camminare sole a tarda notte fa sentire insicure e sorridere rende civettuole. Questa è la vita da donna. Anche in una relazione può essere davvero difficile fidarsi e lasciarsi andare. Le foto hot finiscono in posti che non dovrebbero. Ogni donna che abbia portato a casa un uomo ha valutato il rischio che lui potesse potenzialmente violentarla o ucciderla. Questa è la verità e tutti gli uomini hanno bisogno di saperla.
Barbara Costa per Dagospia il 14 febbraio 2021. "Buon San Valentino, amore mio!": e se te lo stampassi sulle mutande? Poi lo selfie e lo mandi al tuo amore lontano, o al tuo amore quello segreto, ma lo stesso augurio puoi pure farglielo scrivendotelo sulla pelle, sui seni, sulle natiche. Che ne dici di un tatuaggio "slut"? Eccessivo? E se lo legittimi in "slut-wife"? Se sei tra i fortunati (o sfortunati, dipende dai punti di vista) e col tuo amore ci convivi, festeggia con una mug con su scritti i tuoi elogi per quanto e come è bravo a letto, e scegli la tazza mug coi due biscottini in doggy-style! Ma puoi pure stampare e rinnovargli il tuo amore sulla carta igienica, certo, e perché no? Originale, e indiscusso segno di vera intima condivisione, nonché pegno degli attuali tempi duri. Pronti a festeggiare questo primo (e ultimo) Covid – San Valentino in modo spettacolare? Scegliete la lingerie la più catturante, che per te, donna, è quella a nastri, o è quella a perla, che puoi nascondere sotto mutandoni giocosi su cui è stampato il faccione del tuo lui. E pure, per lui, sotto i boxer col nome dell’amata e cuoricini e svenevolezze varie, deve esserci spazio a slip e string neri, in pelle, con ghiotta chiusura lampo. Meglio lasciar perdere, ambosessi, calzini con scritte di proprietà e leziosità: deprimono la libido. E i boxer con su scritto che quello che contengono al loro interno è solo tuo, di tuo dominio, e solo tu sei autorizzata a giocarci? Mah, se confidi nella monogamia…Niente scuse: questo San Valentino, che si aboliscano i biscotti a cuore! Comprali, falli al gusto che ti pare, abbonda col cioccolato, ma dotati delle formine giuste: sul podio quelle a ricalco preciso del clitoride, e della vagina aperta, con labbra vaginali in bella vista, schiuse, come appena leccate e morse, e quelli a ricalco del pene in erezione, o a riposo, nudo o col preservativo, pene peloso o depilato, e prendi anche la formina a forma di gatta in amore, con c*letto e coda all’insù: più esplicita di così! I biscotti di San Valentino li puoi pure fare a forma di tetta (non preoccuparti, i capezzoli vengono definiti e perfetti), e di ogni posizione a due, scissoring compreso, sebbene io non ne abbia trovato a modello omosex. Ci sono pure le formine BDSM, con donna/uomo legati, contenti e schiavizzati, ma quella che devi a ogni costo avere è la formina "blow-job": il biscotto a forma di testa di donna che succhia un pene affondato nella sua bocca! Ne viene fuori una riproduzione super-realistica! Scusa, me ne stavo scordando: in commercio, trovi anche la romantica carta igienica con stampate le posizioni del Kamasutra, una diversa a ogni strappo, e tu, dì, sarai mica alle prese con un compagno pigro, che mette pretesti per sc*parti solo in missionario o meglio con te sopra, perché lui non ce la fa, gli fa male la schiena, è un concentrato di dolori? Questo San Valentino risolvi, e una volta per tutte, e a meno che tu non ti sia trovata un amante con cui cornificare la tua mezza salma: rimedia coi "doggy-strap", le imbracature a lunghezza regolabile che permettono all’uomo di "tenere" la donna mentre la penetra, specie se da dietro: senza fatica e senza sforzare la schiena! C’è pure il modello a fascia, più piccolo, agile per tenere la donna ai fianchi. Il doggy-strap diventa tuo alleato di giochi BDSM, per ogni tipo di dominazione (sicura) che hai in mente. Ci sono ottimi cuscini rigidi che agevolano le posture sessuali, e che alzano il bacino di lei a modo di penetrazioni davvero profonde, anali e vaginali e, se siete in vena di sesso-acrobazie, ritirate fuori l’altalena da interno che vi ho proposto quale sfogo sessuale di Natale, e sempre che non l’abbiate ancora appesa in soggiorno, o che non l’abbiate rotta, per sano ma troppo focoso uso…! Se siete in crisi per il regalo da fare a San Valentino, a meno che non vogliate rovinarvi con un gioiello o con un regalo lussuoso (e così farvi perdonare qualche marachella…) ecco alcune idee per tutte le tasche. Ehi, a proposito di tasche: quante volte accade di vestirsi per uscire e non avere nemmeno un tasca in cui riporre oggetti e portafogli? Le tasche-portafoglio a gamba sono ciò che serve: è antiestetico lo so, non so quanto comodo, però le vendono in vari colori, compresa la versione chiodo. E poi puoi scegliere tra porta-gioie e porta-anelli a pene eretto, portafogli ricamati a vulva, pantofole con vagina pelosa e non, portachiavi a "mira" anale, e morbidissimi cuscinoni a forma di preservativo, che però io ho trovato solo a scritte orientali (?!). Ma quale mazzo di fiori! Quale cena a lume di candela! Per una volta sii pratica, passa ai fatti, e regala al tuo lui un anello del pene vibrante, ma rosso acceso, e a forma di cuore. Che lui felice ti ricambi e metta nelle tue mani (e nel tuo sesso) le palline da geisha, vaginali, che trovi rosse e apposite per San Valentino. Le palline vaginali sono eccezionali per uso solista, ma meglio sono quelle che azioni a distanza, cioè che aziona lui, a suo ma per il tuo piacere. Lo ami alla follia, e vuoi regalargli il tuo cuore? OK, ma non quello rosso, iconico, bensì quello tuo vero, anatomico, com’è davvero dentro e fuori: sia in versione formina per dolci, che in versione spilla! Quando si dice il vero amore… Hai visto le mascherine fellatio vintage erotic art, e su tutte quella Man Ray?
Da tgcom24.mediaset.it il 24 gennaio 2021. Sesso e alimentazione vanno a braccetto: non è una novità, tenuto conto che l'alimentazione è determinante per la nostra salute. Per prepararsi al meglio a un incontro amoroso, oltre a biancheria intima all'altezza della situazione, una seduta dall'estista e una dal parrucchiere, ricordiamoci che per la cena a lume di candela occorre prestare attenzione a quel che metteremo sotto i denti. Ecco dunque cinque cibi che saranno ottimi alleati per una performance da ricordare e qualche suggerimento per evitare imbarazzanti défaillance.
CIOCCOLATO FONDENTE. Preziosa tavoletta: il principe dei cibi afrodisiaci è senza ombra di dubbio il cioccolato. Ricco di flavanoli, sostanze antiossidanti presenti nel cacao, il cioccolato migliora le prestazioni perché ricco di sostanze antiossidanti che favoriscono la circolazione sanguigna con conseguente beneficio della tonicità dell'organismo, determinante per incontri amorosi al top. Il cioccolato inoltre contiene caffeina, serotonina ed endorfine, che influenzano i nostri neurotrasmettitori agendo come stimolanti e che regalano energia, concentrazione, desiderio sessuale e senso del piacere. Il top!
MIELE. Dolce nettare: anche il miele è un ottimo alleato dell'eros. Ricco di vitamina B e sali minerali, oltre che essere un concentrato di virtù benefiche per la nostra salute in generale, con i suoi zuccheri stimola la produzione di liquido seminale. Il miele inoltre contiene il boro, un oligoelemento che aiuta ad aumentare i livelli di estrogeni, i principali ormoni sessuali femminili, e innalza il livello di testosterone, ormone responsabile del desiderio sessuale. La "luna di miele", oltre che essere dolcissima, potrebbe rivelarsi davvero esplosiva.
BANANA. Giallo banana: al di là della forma, che viene usata spesso in modo allusivo, questo frutto è ricco di nutrienti quali vitamina B, potassio, magnesio e altri minerali che donano energia. La banana inoltre contiene un enzima appartenente alla famiglia delle Bromeliaceae, che favorisce la libido contrastando l’impotenza. Mai rimanere senza!
FRAGOLE. Gusto fragola: insieme al cioccolato, la fragola rappresenta uno dei cibi afrodisiaci per eccellenza: il connubio è quantomeno goloso. Intingere una fragola nel cioccolato fuso è un'esperienza quasi mistica, ammesso naturalmente che nessuno dei due partner soffra di allergia ai frutti rossi. Le fragole, dalla forma a cuore - sarà un caso? - sono deliziose, leggere e salutari: perfette per un consumo malizioso che faccia da preludio a un incontro dove dolcezza e passione sono le parole d'ordine.
PEPERONCINO. Rosso fuoco: il peperoncino è considerato da sempre un afrodisiaco di cui non si può fare a meno. Questa spezia dalle mille virtù è un cardioprotettore naturale, migliora la circolazione e rafforza le difese immunitarie. Grazie alla capsicina, un alcanoide che è responsabile del gusto piccante, il peperoncino agisce sulla vasodilatazione periferica, stimolando le terminazioni nervose e aumentando l’afflusso di sangue agli organi genitali. Il fuoco della passione parte da qui.
Da evitare come la peste: prima di un incontro sexy, dimentichiamoci dei fritti, pesanti e di difficile digestione, delle carni rosse ed elaborate, dei legumi e dei fagioli in special modo, per evitare spiacevoli gonfiori, del formaggio, che oltre che essere molto calorico potrebbe lasciare un alito cattivo. In questo caso la leggerezza deve essere un must e non soltanto quella a tavola. Ai buongustai l'ardua sentenza.
Marzia Nicolini per vanityfair.it il 24 luglio 2021. Secondo un nuovo studio apparso su «The Journal of Sexuality», il 94% delle donne che hanno fatto sesso anale l’ultima volta che hanno avuto un rapporto sessuale hanno riferito di avere avuto un orgasmo durante il coito. Una percentuale straordinariamente alta, non c’è che dire. Ma perché le donne provano più piacere in questo modo? Parola all’esperta, senza tabù. Molto spesso richiesta dagli uomini impegnati in relazioni eterosessuali, la pratica del sesso anale tende a dividere: chi la ama e chi la teme. Per alcune donne è fuori discussione l’idea di farsi penetrare in una zona considerata a tutti gli effetti tabù, e lo stesso ci sono uomini che si sentono imbarazzati all’idea di fare sesso anale. Per altre donne, invece, è una tale fonte di piacere da essere diventata parte integrante della propria routine tra le lenzuola. Secondo la psicologa Elena Benvenuti, «è importante fare una premessa. Il sesso è una delle poche fonti di piacere corporeo, dove la mente entra meno in campo. Questo nella teoria. Il fatto è che, con l’evoluzione culturale, le donne sono diventate via via meno inclini a provare l’orgasmo, perché sono entrate in campo componenti emotive e mentali, che spesso inibiscono il piacere corporeo, rendendolo meno fisico e più “di testa”. Se a ciò si aggiunge un’educazione bacchettona, con genitori che hanno colpevolizzato il concetto di piacere al femminile, le cose si complicano. In questo senso, il sesso anale – con la sua implicita richiesta di fortissima intimità e fiducia nell’altro – riesce a riportare la donna a un livello più carnale e “diretto”. Entra poi in campo la componente psicologica di trasgressione ed esplorazione di qualcosa di nuovo, che – specie quando è vissuta con la persona amata – diventa un elemento scatenante del piacere, oltre che un potente collante erotico. Da un punto di vista prettamente anatomico, infine, l’alta concentrazione di terminazioni nervose localizzate in prossimità dell’apertura anale e nell’area circostante l’ano spiegano l’alta probabilità di raggiungere l’orgasmo. Ciò detto, ci tengo a ricordare che qualsiasi donna dovrebbe sentirsi nella posizione di scegliere se assecondare o meno la richiesta del partner di fare sesso anale: il fare sesso in un certo modo per compiacere il proprio lui non fa mai rima con piacere».
Barbara Costa per Dagospia il 25 ottobre 2021. Sia lode al sesso anale, quant’è bello il sesso anale, concordo, ma: vi siete lavati, sì? Bene? Dentro? Perché la paura si sa non sta tanto nel dolore, ma nella vergogna di "uscite" indesiderate. Per ovviare a tali problemi e analmente divertirsi senza pensieri, non serve ricorrere a invasivi e pericolosi clisteri, ma spendere qualche minuto del proprio tempo nella scelta della doccetta anale preferita. Sul web se ne trovano di ogni tipo, per tutti i gusti e esigenze, a prezzi modici, per una pulizia profonda nella privacy del proprio bagno, se non in pratici kit da viaggio. Sono cannule in plastica o in acciaio o in alluminio che si avvitano al rubinetto del bidet o al tubo della doccia al posto del soffione. Avanti con la domanda: perché devo comprarmi un doccino anale apposito, non va bene il tubo della doccia liberato dal soffione? No, non va bene per niente, perché il tubo della doccia non pulisce a fondo, e non è indicato infilarlo nel retto e stringerlo tra i glutei i massimi 10 secondi necessari per farci entrare l’acqua e poi espellerla finché non esce pulita in quanto esso può provocare irritazioni e micro lacerazioni fastidiosissime. Meglio bene e veloce pulirsi dietro e dentro col doccino anale, che ad inserirlo non fa male (ci si può aiutare spalmando nella zona lubrificante anale) e il suo sporco lavoro lo sa fare, e il cui gettito regolabile non è molesto come quello del tubo della doccia, perché l’acqua è direzionata e incanalata in piccolissimi fori distribuiti tutt’intorno al doccino. Vi sono in commercio versioni con testine a diverse dimensioni e forme, il cui gettito lava e pure massaggia l’ano (simili doccini massaggianti sono gli stessi che usiamo noi donne per lavaggi vaginali profondi post-ciclo mestruale). Basta regolarne il gettito e la temperatura (sempre tiepida) e si ottiene la pulizia desiderata, accovacciati sul bidet, in doccia o in vasca. Non capisco come possa trovarcisi comodo chi attacca la cannula al bidet e però la doccia anale se la fa sul water, ma tant’è. Dopo l’uso, il doccino si pulisce con sapone neutro. Se è cosa buona e giusta farsi la doccia una volta al giorno, non bisogna esagerare con la doccia anale: si consiglia di farla ogni 15 giorni. E una doccia anale è doverosa prima di praticare il fisting. Il "traffico" del nostro retto dipende da ciò che mangiamo: ci sono cibi che facilitano la più completa evacuazione? A farsi gli affari anali delle pornostar, loro prima di una scena anale ovvio non mangiano, e c’è chi sta a digiuno le 12 ma addirittura le 24 ore precedenti, e chi dice di ingerire per 72 ore fibre solubili per facilitare le feci, e chi fa l’esatto contrario. Mah. Se la questione fibre è personale e rimane controversa (almeno a me che me ne dicono di ogni e suggeriscono altrettante) mi pare lecito fidarsi del proprio intestino e regolarità: stare a digiuno per qualche ora prima di analmente darsi da fare non mi pare poi tutto 'sto male. Una persona deve esser pulitissima pure per ricevere il rimming, e vorrei vedere: lo so che l’odore del detergente a contatto con la bocca è spiacevole, ma vogliamo parlare di quanto sia disgustoso il contrario?!? Sono argomenti scomodi, lo so, fastidiosi, lo so, ma reali. È vita, di tutti i giorni, con le sue relative fregature: se non sempre è vero che i doccini anali sono compatibili con ogni tipo di rubinetto, leggo tra gli acquirenti scontenti di G., meccanico, che, insoddisfatto della prestazione del doccino anale comprato, lo ha riciclato “per pulirci cilindri e pistoni, e in officina va da dio!”.
Da "donnaglamour.it" il 30 ottobre 2021. Il sesso anale è una delle pratiche sessuali più controverse. Un sacco di persone lo adorano e molte persone non capiscono nemmeno la tentazione di provarlo. Anche non è più un tabù, ci sono ancora molte idee sbagliate a riguardo, prima fra tutte quella secondo cui non si possano prendere malattie sessualmente trasmissibili. Nonostante i progressi nel diffondere la consapevolezza su questi importanti argomenti, le false credenze continuano ad essere perpetuate. Alcuni di voi potrebbero già conoscerle, ma l’importante è che queste cose siano dette apertamente. L’ignoranza non fa la felicità quando si tratta della tua salute sessuale. Questi miti sono dannosi per il nostro progresso verso una società più positiva e informata sul sesso. Ricorda però che se fai sesso anale solo per paura di perdere la relazione, probabilmente non ti piacerà comunque. I miti “fisici” da sfatare sul sesso anale – Non serve un clistere per fare sesso anale. Questa è senz’altro una delle false credenze più diffuse. Prima di tutto, è altamente improbabile che tu possa effettivamente fare la cacca a causa della stimolazione anale. Ma se sei estremamente preoccupata, ci sono alcune cose che puoi fare per sentirti più tranquilla. La cosa più ovvia è naturalmente quella di utilizzare il bagno prima di avere un rapporto, ed evitare cibi che potrebbero darti problemi. Il sesso anale può essere fisicamente doloroso. La verità è che il sesso anale non dovrebbe far male. E se fa male è perché viene fatto in modo errato. Molte donne lo trovano incredibilmente piacevole, e alcuni addirittura riferiscono di avere orgasmi più intensi. Se prepararti alla penetrazione utilizzate attrezzi più piccoli come dita e giocattoli sessuali e usate un sacco di lubrificante. Il dolore sarà l’ultima cosa nella vostra mente. Inoltre c’è un bel trucco per rilassarti: se stimoli anche il tuo clitoride allo stesso tempo, può incoraggiare il piacere della risposta al dolore. Non hai bisogno di usare il preservativo. Questo è un equivoco perché molte persone pensano che, poiché non c’è rischio di gravidanza, non è necessario usare il preservativo. Sbagliato, sbagliato, sbagliato. La maggior parte delle IST sono trasferibili attraverso l’ano (clamidia, gonorrea, epatite infettiva e HIV). Alcune in maniera ancora più facile, perché il rivestimento dell’ano è molto più sottile e può essere rotto più facilmente se si verifica troppo attrito (di nuovo, si prega di fare riferimento all’importanza dell’uso del lubrificante). I miti culturali e sociali da sfatare sul sesso anale – Solo le “prostitute” fanno sesso anale. Hai sempre sentito che le ragazze cattive sono le uniche a voler fare sesso anale. In realtà, il sesso anale era una volta il comportamento tabù numero uno che le coppie eterosessuali desideravano provare. C’è una naturale curiosità nei confronti dei nostri corpi e se c’è piacere, dovresti sentirti in grado di esplorarlo in modo sano e sicuro. Considera inoltre che, stando ad uno studio pubblicato sul Journal of Sexual Medicine ha rilevato che una vasta maggioranza – 94%! – di donne che hanno ricevuto una sorta di stimolazione anale durante il loro più recente incontro sessuale ha avuto un orgasmo. – Il sesso anale è piacevole solo se sei un uomo. Anche questo è sbagliato! Pure senza una ghiandola prostatica e tutte le terminazioni nervose che contiene, il sesso anale può ancora dare piacere. Uno studio pubblicato sul Journal of Sexual Medicine ha rilevato che una vasta maggioranza – 94%! – di donne che hanno ricevuto una sorta di stimolazione anale durante il loro più recente incontro sessuale ha avuto un orgasmo. – Fare sesso anale salverà la tua vita sessuale. Alcuni uomini vedono il sesso anale come il Santo Graal e se riescono a far partecipare le mogli e le fidanzate, allora le porte (per così dire) del sesso si apriranno in generale. Ma se lo fai solo per paura di perdere la relazione, probabilmente non ti piacerà comunque.
Barbara Costa per Dagospia il 30 gennaio 2021. Certe donne… ce l’hanno. Infilato lì, nascosto lì… dietro. E ci godono. Ci si masturbano. Accese, infoiate pazze. Lo portano con le mutandine, alcune pure senza, lo indossano coi jeans che lo nasconde bene, e altre, le più sfacciate, anche sotto la gonna la più velata, ma pure al mare, in piscina, sotto il costume meglio se intero. Basta sceglierli a base piatta e larga! Sì, hai capito, sto parlando dei plug anali, quei giocattolini che si mettono nell’ano, e ti regalano "effetti" unici, e ti sfregolano come nessun dito, né lingua, ma nemmeno nessun pene può, perché il piacere che ti procura quello spinotto lì, nel tuo sedere, è particolarissimo. Se così non fosse, non sarebbe tra i sex-toys i più scelti e venduti, soprattutto dalle coppie! Infatti, uomo, dico a te: credi di essere escluso dai giochi? Non girarti dall’altra parte e non diventare rosso che non ne hai motivo: un plug lì dietro ogni tanto, quando ne hai voglia, te lo infili pure tu, o te lo fai infilare, credi che non lo sappia? Non mi dire di no, che lo rifiuti o che non lo fai perché sei etero, e lo consideri roba da gay. Non passare per omofobico, non lo sei, e che devo fare, venire a frugare nei tuoi cassetti, per smascherarti? Ce l’hai lì, bello nascosto, il plug anale (o più di uno) con cui te la spassi: quello a forma arrotondata, o curva, con cui ti piace stuzzicarti la prostata! E dai, ma che male c’è? Certo è che lì dietro, se ti fa male, sei tu che sei maldestro, non hai seguito le istruzioni giuste, e sei stato parco di lubrificante: cosa che non si deve mai fare con un plug anale, il lubrificante va usato e alla grande e a ripetizione (per il sesso anale, va usato un lubrificante anale, serve specificarlo?). Se indossi un plug anale e senti male, lo devi togliere subito, e quando dico subito significa all’istante, perché se lo tieni peggiori l’irritazione che ti sta causando. Questa irritazione è data da un ano o un plug non ben pulito (e perché non te lo sei lavato, o non hai lavato il plug, pigrone!?), ma più comunemente da un plug non adatto al tuo ano. Basta fare gli anal-eroi: perché secondo te si trovano in commercio plug delle più varie forme e taglie? Un ano vergine non può allegramente accettare un plug più grande di 3 cm, e guarda che questi 3 cm fanno il loro dovere! Un ano vergine va abituato, deve prenderci confidenza: deve fare pian piano "amicizia" col plug per darti il piacere che vuoi. Non conta quanto il tuo ano sia di per sé avvezzo a dita, e lingua: un plug anale è tutt’altra cosa. E non spingerlo, che non serve! Un plug anale va sempre inserito delicatamente, e super lubrificato. Chi ti ha detto che più spingi, più piacere provi e fai provare? Le terminazioni nervose che, solleticate, ci fanno mugolare, nell’ano stanno in gran parte nei primi 5 cm. Solo un ano svezzato a plug piccoli può via via essere avviato a plug di dimensioni (e piaceri) più grandi. E inoltre: un ano vergine non può tenere un plug per più di 20 minuti. Una volta che hai il tuo ano plug-educato, lo puoi tenere più a lungo, anche un’ora, o più, e io so di sboroni/e che vantano di tenerlo ore e ore, ma bene non fa: la moderazione allontana l’irritazione! Non è una gara di resistenza, e più tempo non equivale a più godimento. Se sei un sadomasochista, ci sono i plug "slave", collegati a polsi, collo, caviglie, e c’è pure quello allacciato a guinzaglio al pene, con mini imbracatura adeguata. Ci sono plug anali BDSM il cui diametro lo decide e imposta e blocca la/il tuo padrone e, se ti tiene schiavo, e pure casto, c’è la cintura di castità con plug estraibile. Occhio ai plug gonfiabili: solo per esperti, dall’ano dilatato e allenato a "patire" calibri. Ti dicevo, delle donne che se lo portano dietro, a spasso, magari mentre vanno a fare la spesa, sicure di non esser scoperte dacché hanno optato per un plug anale a modello mutandina: è questo un sano vizio, forse un feticismo, è un trastullo onanistico quello di tenere questo piccolo godente segreto tra le chiappe, ma può sì essere affascinante come gioco a due, a distanza. Ci sono infatti donne (e uomini) che col sedere così occupato, vanno in giro, e inviano foto e video al loro partner lontano, o rimasto a casa, arrapato di sapere, scoprire, vedere, la sua metà in tal anal modo servita. Ma oggi i plug anali più diffusi sono quelli al neon, con luci stroboscopiche, e sono quelli che azioni a distanza, via app, ma pure a voce, e sono quelli piccoli o grandi ma vibranti, a più velocità, e sono quelli che stimolano punti interni erogeni, e sono pure quelli che, nell’intimità, puoi usare a due, ad esempio il plug dentro l’ano di lei e tu dentro la vagina di lei che godi di lei e delle plug-vibrazioni che ti arrivano, o in doppia penetrazione anale per chi la sa fare e farsi fare, e ci sono plug che stimolano l’ano di lei più la prostata di lui, o ancora ve ne mettete ciascuno dentro uno, mentre con mani e lingua e bocca vi pungolate altro! Lo so: la paura più grande che ci prende davanti a questo vizioso giocattolino, è: e se mi rimane incastrato dentro? È questa una paura legittima, e però in larga parte immotivata, perché i plug anali sono costruiti apposta, in modo da non poter rimanere incastrati, se non in eccezionali casi: rimuovi ogni timore perché il paventato "effetto vuoto", dato dall’aria del retto che risucchia il plug impedendoci di sfilarlo, è evitato lubrificando al massimo e a ripetizione plug e pareti anali. Un’altra paura è quella verso i plug anali di vetro: che faccio se mi si rompe e, oddio, pezzetti di vetro mi graffiano, o mi restano incastrati dentro? Mio caro, i plug anali di vetro sono resistentissimi, a meno che tu non ne abbia comprato uno a prezzo stracciato, su un sito vattelappesca, e ti ritrovi nel c*lo la fregatura che da taccagno meriti. I plug in vetro sono creati per essere altresì riscaldati o congelati, così che si possa godere con brividi caldi/freddi. Come gli altri, hanno la base più larga della circonferenza dell’ano, e sicuri sono quelli a base T, e piatta, svasata, con impugnatura a anello, approntata a modo di non finire dentro. Nella sciaguratissima ipotesi che tu il tuo plug non riesca a sfilarlo, stai calmo, rilassa i muscoli anali, un bel respiro, accovacciati e spingi a evacuarlo. Nella più infausta ipotesi che il plug proprio non voglia uscire, non fare stupidate, e fila al pronto soccorso. Non ti vergognare coi medici, loro sono lì per salvarti: dei tuoi svaghi privati gli frega un fico secco. Un plug bloccato nell’ano è un fatto rarissimo, e le storie che senti a riguardo, eccetto le inventate e gonfiate, toccano chi si è trastullato l’ano con plug improvvisati, fatti in casa. Sicché, caro furbetto con l’ano intasato, che diavolo ti ci sei infilato?
Roberto D’Agostino per “Vanity Fair” il 30 gennaio 2021. Però è bello sapere che, di questi tempi spietati, in cui non sappiamo dove ci porta il virus e la socialità ha preso la brutta piega di rimare con vita isolata, almeno l'espressione più classica del piacere vive, e bene, insieme a noi: l'autoerotismo. Quella che è stata la prima attività sessuale del genere umano, col Covid dilagante, si è trasformata: se nel secolo XIX era una malattia; oggi è una cura. Ma parlare di masturbazione resta ancora oggi una tema per lo meno imbarazzante. Passi l'orgia, l'ammucchiata a tre, il sesso gay e lesbo e trans, ma la pippa no. Il "ditalino", poi, manco a parlarne. “Non posso farmi santa perché ho sempre in mano l'arma del desiderio”, poetava Alda Merini. Per certa gente è ancora forte la voce del prete che, protetto dallo scuro del confessionale, domandava: "Hai commesso atti impuri? Da solo? In compagnia?". Come è vicinissima la minacciosa frase: "Non fatelo, altrimenti diventerete ciechi!". Oggi, ammettiamolo, il mondo dovrebbe essere in mano ai non vedenti. Invece l'onanistico trastullo non è più un tabù nemmeno per la Chiesa cattolica, apostolica, romana. "Masturbarsi ha qualcosa di progettuale, perché la fantasia che accompagna un atto di questo genere può prefigurare gusti e situazioni, e, nel contempo, mette a contatto i ragazzi con parti di se stessi che dovranno entrare nel gioco interattivo della sessualità adulta" ("Per un posto nel mondo", autore padre Domenico Barillà, Edizioni Paoline) Anche se i lati positivi dell’autosoddisfazione hanno ricevuto applausi sia dalle femministe degli anni ’70 (“Col dito, col dito, orgasmo garantito!”), sia dai maschietti un po’ pigri (“Non c'è bisogno di riaccompagnare a casa l'ultima conquista. Non si è costretti a pagare una cena. Sviluppa l'intelligenza perché, per farlo bene, ci vuole fantasia. Esteticamente è meno ridicolo della copula. Infine, non devi chiedere il permesso a nessuno, tutto l'occorrente è sempre a portata di mano"), il piacere solitario è rimasto un tabù a metà. A parte che è un tema che non levita mai nella chiacchiere anche tra amici del cuore, molti, tantissimi vivono questo piacere, anche in tempi di vita coatta come quelli del Covid, come una diminuzione, quasi con vergogna. Per Franco Califano invece era un'abitudine bellissima, che non ci si deve negare neppure quando si ha un compagno/a amoroso e gentile: “Confessare a una donna di essersi masturbati pensandola è uno dei complimenti più belli che esistono”. Non solo il miglior passatempo possibile. “Le più belle trombate della mia vita le ho fatte da solo”, motteggiava per Giorgio Gaber. In fondo il fai-da-te erotico è un modo per conoscersi, e anche per imparare a condurre la danza della sessualità. Spesso gli uomini sono goffi con le donne perché le donne stesse non hanno il coraggio e l'autorevolezza di spiegar loro come intendono essere amate. Chiudiamo il prosaico argomento con il grande scrittore austriaco Karl Kraus che ci rivela l’altra faccia del sesso a portata di mano: “Talvolta la donna è un utile surrogato dell'onanismo. Naturalmente ci vuole un sovrappiù di fantasia”.
Dagotraduzione dalla Bild il 5 maggio 2021. Oggi è la giornata internazionale della masturbazione. Fu istituita quando, nel 1994, la dottoressa Joycelyn Elders, allora consulenta di Bill Clinton, venne licenziata per sostenuto detto che «la masturbazione dovrebbe essere insegnata a scuola», in quanto pratica sessuale da conoscere e rispettare. Anche se da allora le cose sono migliorate, nelle scuole si continua ad ignorare il tema. Uno studio anonimo del produttore di giocattoli sessuali Arcwave su 3.500 uomini rivela alcuni fatti concreti sulla masturbazione: In media gli uomini si masturbano 156 volte l'anno, tre volte a settimana. Il 27% afferma che l'orgasmo dura di solito tra i 4 e i 6 secondi, solo il 18% arriva tra i 7 e i 9 secondi, quasi come le donne. Poco più della metà (il 56%) preferisce masturbarsi in camera da letto, il 22% in bagno, l'1% in ufficio. I giocattoli sessuali vengono acquistati da sei uomini su dieci (il 61%) per migliorare l'orgasmo, e quasi un terzo dei maschi (il 29%) ne usa già uno. Quasi un uomo su cinque (il 19%) usa entrambe le mani per masturbarsi. «È sorprendente che la masturbazione maschile sia spesso ancora oggi un argomento tabù» ha detto Christopher Ryan Jones, terapista sessuale statunitense. «La masturbazione non è qualcosa di riservato a coloro che sono soli o che non hanno un partner. È una parte importante della scoperta di sé e della cura di sé e ha così tanti vantaggi. La masturbazione allevia lo stress, ti aiuta a dormire meglio, migliora il tuo umore e ti dà un senso di piacere. Ma ti consente anche di conoscere le tue simpatie e antipatie sessuali, che puoi condividere in seguito con il tuo partner, in modo che non sia solo un bene per te personalmente, ma anche per la tua relazione». Gli fa eco il dotto Gilbert Bou Jaoudé, medico e sessuologo francese: «Per molto tempo la masturbazione è stata vista da una prospettiva socio-culturale e plasmata dal pregiudizio religioso. Si diceva che la masturbazione fosse fonte di problemi di salute come infertilità, perdita di facoltà mentali o sordità. Ovviamente non è così. Al contrario, la masturbazione può avere effetti positivi sulla salute mentale riducendo ansia e disturbi del sonno. Gli studi dimostrano anche che le eiaculazioni ripetute possono aiutare a ridurre il rischio di cancro alla prostata».
DAGONEWS il 6 gennaio 2021. Non importa quanto tu sia eccitato: la maggior parte degli uomini non può fare sesso una seconda volta dopo aver avuto un orgasmo senza fare una pausa. Per anni la colpa è stata data a un “fastidioso” ormone chiamato prolattina e c’è chi si è sottoposto a trattamenti e cure per ridurre il cosiddetto "periodo refrattario". Ma adesso un nuovo studio del Champalimaud Center for the Unknown in Portogallo porta cattive notizie per gli uomini che pensavano di aver trovato il segreto per trombare due volte di fila: la prolattina potrebbe non essere il problema, come suggerisce un nuovo studio sui topi. Secondo i ricercatori né l'aumento né la riduzione dei livelli di prolattina nei topi di diverse specie hanno modificato i loro tipici periodi refrattari. «Nei roditori sottoposti a trattamenti per aumentare o diminuire l’ormone il dato ero lo stesso: entrambi dopo la eiaculazione avevano bisogno di tempo a prescindere dalla variabilità dell’ormone». Mentre le donne possono fare sesso più volte di seguito e persino raggiungere l'orgasmo più volte di seguito, la stragrande maggioranza degli uomini deve aspettare un certo periodo di tempo prima di poter essere eccitato abbastanza per il sesso o l'orgasmo. Ciò cambia con l'età, così come altri fattori come i livelli di stress: i periodi refrattari per gli uomini di 18 anni durano in media solo circa 15 minuti, mentre un uomo di 70 anni avrà probabilmente bisogno di tutto il giorno - circa 20 ore - prima di essere pronto a ripartire. Perché gli uomini devono aspettare non è mai stato completamente scoperto.
DAGONEWS il 30 gennaio 2021. Se non ricordi l’ultima volta che hai fatto sesso, allora questi suggerimenti di Tracey Cox fanno per te. Ecco otto facili passaggi che salveranno anche la vita sessuale più amara.
Fase uno: affrontare il problema. Sforzati di parlare di quello che sta succedendo. Anche se ti senti imbarazzata, ferita e tesa devi farlo, anche se non è divertente. Se non ci riesci rivolgiti a un terapista e pensa sempre che non esiste chi è dalla parte della ragione e chi è dalla parte del torto. La persona che più vuole fare sesso non è "più sexy" o "migliore". La persona che vuole meno sesso non è "frigida" o quella con "il problema". Se c'è una mancata corrispondenza tra desideri, uno di voi si sente rifiutato, l'altro si sente sotto pressione e stressato. Alla fine non si sta bene in entrambe le posizioni.
Fase due: fissare insieme obiettivi realistici. Prenditi cura dei tuoi bisogni da sola. Il tuo partner non è un robot che puoi programmare quando hai voglia di farlo. Aiutati da sola e usa un vibratore fino a quando le cose non si saranno sistemate. Non limitarti a parlare di quanto spesso ti piacerebbe fare sesso, parla di ciò che ti piacerebbe e di cosa no, esprimi i tuoi desideri, tutti e due focalizzatevi su quella notte bollente che ancora ricordate. Non aspettarti che venga risolto tutto durante la notte: dopo la conversazione ti sentirai liberata, ma non è tutto.
Fase tre: rimettiti in forma per il sesso. L'esercizio fisico aumenta i livelli di libido e ti fa sentire migliore. Scendi dal divano e vai a fare una passeggiata insieme al tuo partner piuttosto che guardare una serie tv. Rivolgiti al medico per risolvere eventuali condizioni croniche che interferiscono con il sesso: emicrania, mal di schiena, un ginocchio dolorante, difficoltà di erezione, secchezza vaginale e sesso doloroso. Prendi tutte le medicine necessarie e chiedi al medico se potrebbero influire con il tuo desiderio sessuale. Gli antidepressivi, le pillole per la pressione del sangue, la pillola contraccettiva possono influire. Chiedi delle alternative.
Fase quattro: esci. Esci insieme al partner e agli amici. Il desiderio si nutre di novità e vedere il tuo partner in compagnia degli altri te lo farà vedere attraverso occhi nuovi. Non uscire sempre con la stessa compagnia e non impazzire se il tuo partner sembra "diverso". Questa è una buona cosa. Tendiamo sempre a trasformare i nostri partner in qualcuno che non ci sorprenderà, perché le sorprese ci fanno sentire insicuri. Ma c’è il rovescio della medaglia: siamo al sicuro, ma annoiati.
Fase cinque: fai cose eccitanti. Qualsiasi tipo di attività adrenalinica aumenta il livello di dopamina nel cervello, facendoti sentire più appassionata e più innamorata. Fai qualcosa che ti spaventa un po' e applica la stessa regola al sesso.
Passo 6: agisci e lanciati nelle situazioni. Non limitarti a riflettere sul fatto che vorresti saltare sopra al tuo partner: fallo e basta! Gli studi dimostrano che più tempo passa tra un'idea e la realizzazione, più è probabile che tu perda la motivazione. Non sto dicendo che dovresti irrompere sul posto di lavoro del tuo partner e trascinarlo fuori, ma non lasciare che le cose si appiattiscano. Pensa alla tua vita sessuale come a un conto bancario: è necessario effettuare depositi regolari per mantenere l'equilibrio.
Punto sette: sii la prima a fare la prima mossa. Chiunque abbia meno desiderio deve fare la prima mossa nella coppia. La persona con basso desiderio imposta la frequenza perché è solo quando c’è l’approvazione che si fa sesso. Se sei tu, lanciati e trascina il partner sotto le coperte. Essere quella che richiede il sesso, ti fa sentire immediatamente più sexy e più potente. Ovviamente bisogna aiutarsi a vicenda a creare la giusta situazione. Fai ciò che ti ha fatto sentire sexy l'ultima volta. Questo consentirà di inviare un segnale al tuo cervello - "Fai di nuovo sesso" - innescando le giuste risposte fisiche.
Punto otto: cambia il tuo modo di fare sesso. Più a lungo stai insieme a una persona, più conoscerai a menadito cosa piace e cosa non piace all’altro. La ripetizione, però, smorza il desiderio: prova cose nuove, esplora e cerca di capire cosa piacerebbe al tuo partner. Riscopri zone erogene dimenticate e non avere fretta di arrivare fino in fondo.
DAGONEWS il 23 gennaio 2021. Prendere l’iniziativa per fare sesso è uno dei punti che divide il mondo maschile da quello femminile. Per gli uomini pare sia quasi un istinto, mentre le donne fanno più fatica. Secondo le ricerche sul mondo delle relazioni sessuali, il partner è ben felice se la propria compagna prende l’iniziativa ed uno degli aspetti sul quale si soffermano negativamente se non accade. Essere sedotti invia un messaggio forte e salutare al partner: ti voglio, ti desidero. Sei attraente per me. Allora perché le donne prendono il comando? Uno dei motivi è che non sanno come fare. La sexperta Tracey Cox rivela le strategie più facili per l’approccio al sesso.
Comunica al tuo partner cosa stai facendo. Bisogna iniziare comunicando al partner l’intenzione di iniziare un percorso di questo tipo. Solo dicendo di voler fare sesso si avrà una relazione straordinaria e convinceremo il partner che amiamo farlo con loro.
Fate un patto: chiedete al partner di interrompere questi approcci per due settimane o un mese dandoti la possibilità di prendere l’iniziativa.
Non aspettarti una situazione perfetta. Non pensateci troppo. Non rimandate il momento in cui dovete saltare addosso al vostro partner. È infantile aspettarsi che sentirai il desiderio sessuale nello stesso momento del tuo partner. Molti studi, tra l’altro, dimostrano che le donne devono superare il primo ostacolo: l’eccitazione spesso scatta solo quando si iniziano i preliminari. Il potere, inoltre, è un'enorme fonte di eccitazione e se sei tu quella che improvvisamente è pronto per farlo e fa tutte le mosse, sarai sorpresa da come ti sentirai eccitata.
Fai la tua mossa e rendi ovvie le tue intenzioni. Accertati del fatto che stai mandando dei messaggi chiari. Pensa a cosa faresti se fossi in un film e dovessi sedurre un uomo. Se non vedi risposta rendi i tuoi segnali ancora più ovvi. Se non è abituato al fatto che tu prenda l'iniziativa certe cose posso essere male interpretate. Se si è entrambi abbastanza timidi avere un codice per far capire al partner di voler fare sesso è la via più facile.
Il trucco del magnete sul frigorifero. Per ovviare al difficile approccio potete optare per la tecnica dei due magneti. Teteli sul frigo e ogni giorno spostateli in alto in base al vostro desiderio sessuale. Sarà un gioco divertente, ma ricordatevi di coinvolgere il vostro compagno che è tenuto a spostare il suo magnete.
Non prendere male i rifiuti. È normale sentirsi imbarazzati se non si è abituati a prendere l’iniziativa: ci vuole coraggio per uscire dalle vecchie abitudini. Ricorda, il tuo partner è umano. Per quanto possano essere estasiati dal fatto che stai facendo una mossa, se sono stressati, sfiniti o preoccupati, potrebbero tirarsi indietro. Non prendetela male e non fermatevi al primo ostacolo. Sarà capitato tante volte di rifiutare il partner senza dare molte spiegazioni. Quindi se lo hai fatto tu, perché non può farlo pure lui? Essere respinti fa parte del sesso. Non ti farà affatto male sapere come si è sentito il tuo lui.
Valeria Montebello per rivistastudio.com il 27 gennaio 2021. Le persone si dividono in porno e non porno. Se fai parte della prima categoria, non avrai così tanti problemi, solo più possibilità di prendere la clamidia. Se fai parte della seconda, hai due strade: vivere una vita triste o fare finta di essere una persona porno. La Oxford University sta portando avanti una ricerca sul dirty talking: oltre a parlarne ovunque (con gli amici, al supermercato, in chat, qui) bisogna parlare di sesso anche mentre lo si fa per avere la caption del momento. “Vieni”, “duro”, “bagnata”, “ora”, “piano”, “veloce”, “bocca”, “lingua” sono le più usate. Le frasi che si dicono sono sempre le stesse, da “Sei una troia” a “Ti amo”. Se sei fortunata qualcuno te le dirà insieme: “Sei una troia e ti amo”. Nessuno si azzarda a pronunciare cose come: “Mi eccito quando pulisci bene la casa. Quando sul cesso non resta nemmeno una gocciolina di pipì”. Ma voglio sul serio mimare lo script di un rapporto visto in un porno? Seguire i suggerimenti di una sex influencer che ti spiega come essere una troia etica? La domanda è: cosa voglio dire davvero (se voglio dire qualcosa)? Le Cosmogirl del 2021 sono convinte che lasciarsi andare a parole sporche a letto sia un “urlo primordiale”, “liberatorio”, perché “farti vedere così selvaggia lo farà impazzire”. Mentre si fa sesso, a volte, si smette di essere responsabili di quello che si dice ma proprio per questo non c’è parola o frase adatta, potrebbe anche uscirti dalla bocca “Peccato che Trump ha perso le elezioni” o “Il tuo modo di toccarmi mi ha fatto ricordare che devo comprare un saturimetro”. Non lo dici perché sennò che penserebbe di me, eppure è romantico. Significa che ci tengo a sopravvivere per continuare a farlo con te. In chat si fingono doti e desideri. Si può essere molto bravi nel sexting – dettagliati, mettere anche bene i punti – ma se poi mi tocchi come se ti stessi mettendo le dita nel naso serve a poco. Ci vuole cautela. Ora che tutti hanno un corso in scrittura di longform, in quest’epoca pandemica, c’è bisogno di un corso di sexting. Di imparare a farlo secondo le proprie capacità. Non scrivere “Infilamelo in bocca fino a farmi soffocare” se vomiti al solo pensiero. Le frasi sporche che si scrivono o dicono durante il sesso nascondono paure inconfessabili, insicurezze, pensieri di morte e desolazione. Forse per questo sono eccitanti. Quelle più popolari si possono mettere insieme, in ordine crescente, dirle tutte durante lo stesso rapporto sessuale, verrà fuori un trattato esistenzialista.
“Chiamami troia” significa che non ti senti abbastanza troia, hai bisogno di qualcuno che ti sproni e rassicuri. È molto simile a “Ti è piaciuto il mio pompino?”. È come quando chiedevi a tuo padre “Ti è piaciuto il mio disegno?”. Strizzi le tette ma è solo la disperazione che straborda dalla tua coppa c.
“Adoro il cazzo”. Questa frase ha un suo fascino vorace. Il tono deve essere sincronizzato con il momento. Qui la grammatica è fondamentale. Bisogna. Stare. Attenti. Devi dire “Adoro il TUO cazzo” altrimenti sfoci nell’universalismo e il tuo partner vedrà i cazzi di tutti gli uomini del mondo davanti ai suoi occhi e capirà di essere fallibile, mortale, forse anche gay.
“Il tuo cazzo mi appartiene”. Qui è direttamente il verbo divino a parlare. Evoca torture medioevali (è come se lo mettessi in una gabbietta) ma è anche una quote capitalista (il tuo cazzo è merce, il tuo cazzo vale poco e adesso è mio).
“Strappami i vestiti”. Voglio spogliarmi dalla mia identità ed essere tutt’uno con la galassia.
“Mi piace quando mi sculacci / tiri i capelli / sputi in faccia”. Non è niente rispetto al calvario che dobbiamo sopportare qui sulla terra. Ricordamelo e anticipamelo. Guarda in basso in modo languido così nessuno si accorgerà che stai pensando alla morte.
“Puniscimi”. Frase sentita in un porno BDSM e ripetuta spesso senza sentimento di sottomissione assoluta. È difficile essere consapevoli dell’umiliazione, non subirla ma volerla. Per allenarti guarda Bella di giorno, puoi vedere Catherine Deneuve nuda o con i suoi outfit YSL sporcati di cacca invece di una bielorussa drogata che geme mentre la frustano con l’ortica.
“Cosa vuoi che ti faccia adesso?”. Una frase competente, sinistramente burocratica. Quando la fantasia più hot che puoi avere in questo periodo è che la tua padrona di casa ti abbassi l’affitto la risposta è: “Fai le cose normali che si fanno in questi casi”. Cercare di controllare quello che succederà fra poco nel tuo letto non ti farà essere più tranquillo sul futuro: domani è l’abisso.
“Farò qualsiasi cosa per te”. Magari per dirlo interrompi un momento intenso, che non tornerà mai più. Per distogliere l’attenzione dal tuo corpo nudo o dal verso strano che hai fatto usi questa frase per nascondere la tua vulnerabilità.
“Fammi venire con la tua lingua”. Lingua lunga, morbida, appuntita. Attenzione a non focalizzarti sulla forma del corpo, «Meglio non usare troppi aggettivi», dice la Durex insieme a Umberto Eco.
Potrebbero urtare la sensibilità del partner che non si sente a suo agio con la forma della sua lingua. Potresti ricordargli quello che effettivamente è. Un pezzo di carne dilaniata.
“Vieni per me”. Il regno dei cieli è vicino. Voglio che arrivi il giorno del giudizio quindi gli chiedo – lo prego – di venire per me, per redimermi e farmi diventare un corpo glorioso che non deve più preoccuparsi di peli e fluidi corporei.
“Sei così duro”. Ogni volta che qualcuno pronuncia queste parole in realtà era mezzo duro. È un falso incoraggiamento, un po’ come “Andrà tutto bene”. Ma non andrà bene, non va mai bene.
“Vestiamoci da alieni”. Non sopporto di essere me stesso. Come il tuo corpo, in alcuni giorni, l’intero mondo potrebbe sembrarti estraneo. Questo è davvero il mio pianeta? Il mio corpo? Sono queste le domande dietro ad ogni role play.
“Oh mio Dio, vengo”. Sembra un orgasmo finto. Sai cosa dice una ragazza che viene per finta? “Oh mio Dio, vengo”.
Se fingi con un uomo penserà che ha fatto bene e che ha un pene magico, ma la prossima che si troverà a fare sesso con lui subirà la stessa tortura e dovrà fingere anche lei. È una catena che non verrà mai spezzata. Non fingere è una questione umanitaria, più femminista del farsi crescere i peli sotto le braccia.
Se proprio bisogna fare dirty talking che sia ideologico. Si strappa il suo blazer, mi butta sul letto, mi avvolge la sua cravatta rossa intorno ai polsi e mi sussurra all’orecchio una frase di Ronald Reagan: «Alcune persone vivono a lungo e si chiedono se abbiano mai fatto la differenza al mondo; i marine non hanno questo problema». Se non trovate nessuno capace di declamare cose del genere mentre riceve sesso orale meglio tornare ai classici.
Al perverso ma educato “Sì”. “Di Più”. “Per favore”. “Grazie”. O al silenzio. Se vuoi essere strozzata basta che prendi la mano del tuo partner e gliela posizioni sul tuo collo. Mettersi a quattro zampe è efficace da quando gli umani hanno iniziato a camminare dritti. È animalesco, primordiale, più eloquente di qualsiasi frase porno.
Da leggo.it il 3 gennaio 2021. Sesso, croce e delizia di ogni coppia. Se infatti fare l'amore fa bene alla salute, allontanando lo stress, non raggiungere l'orgasmo può essere, al contrario, molto frustrante. E spesso il problema riguarderebbe le donne. Ma niente paura, ecco le posizioni ideali per aiutare la propria lei a "toccare il cielo con un dito". Come riporta il sito di Radio105, sarebbero 4 le posizioni che favoriscono l'orgasmo femminile.
1) POSIZIONE DELL'INCUDINE - La donna si trova sotto e poggia le gambe distese sulle spalle del partner, facilitando la stimolazione del punto G.
2) TORO SEDUTO - Questa volta, l'uomo è seduto a gambe piegate e divaricate. La compagna si siede su di lui nella stessa posizione. In questo caso la penetrazione sarà più profonda.
3) L'ANDROMACA - È la posizione più tradizionale, ma anche tra le più amate. L'uomo sdraiato e la donna sopra. Lascia grande libertà di movimento.
4) L'ELEFANTE - In questo caso, la donna è supina e l'uomo dietro.
Da stile.it il 2 gennaio 2021. Grida durante il sesso. Una sequenza di rumori, esclamazioni, parole che variano da persona a persona. Spesso il rumore non è nemmeno rumore. Solo un tratto sopra il silenzio più totale. Ma cosa raccontano questi suoni emessi in un momento piuttosto particolare della persona che li fa, appunto, suonare? A occuparsi del tema è il magazine Live Strong. Il giornale spiega come a ogni urlatore diverso corrisponda una caratteristica differente di personalità. Ecco quali sono. Grida durante il sesso: gli urlatori sono tutti diversi
IL GUTTURALE. Secondo l’educatrice sessuale O.school Kenna Cook. “Questo è il tipo di persona che vuole asserire che la sua capacità di dominare. Il suo suono serve a manifestarsi come più potente, grande e più rumoroso”.
L’ANSIMANTE. C’è per esempio chi decide di non parlare e di non urlare ma intensifica il proprio respiro. Secondo l’esperta questo è un segnale di grande partecipazione all’atto in quanto il respiro intenso non è un qualcosa che si può facilmente intensificare. Quindi, sincero.
QUELLO CHE PARLA IN TERZA PERSONA. Esistono amanti dallo spirito descrittivo. Sono quelle persone che amano parlare durante il sesso e farlo in terza persona. Per l’esperta si tratta di un modo per attivare il cervello. Uno stratagemma considerato come positivo visto che il cervello è un grande organo sessuale.
PARLARE COME SI PARLA A UN BAMBINO. Esistono amanti che a letto adottano registri di linguaggio infantile. Sia nel tono di voce sia nelle parole che scelgono. Secondo l’esperta si tratta di persone che amano avere il controllo sulla persona che hanno davanti.
IL DIRTY TALKER. Quello che ama parolacce ed espressioni volgari tra le lenzuola. Secondo l’esperto queste persone sono quelle che poi nella vita reale sono assolutamente gentili. Per loro dire parolacce è solo un modo per trasgredire in maniera controllata e circoscritta.
Tracy Clark-Flory per “Cosmopolitan” il 2 gennaio 2021. A volte il sesso è noioso e ci sono ostacoli all’orgasmo che sembrano insuperabili.
Emily, 35 anni, stava per avere un rapporto con un nuovo ragazzo che ha sfoggiato un preservativo Magnum. Lei ha riso per la spavalderia ma poi lui ha sciolto il drago ed effettivamente era il più grosso che avesse mai visto. Il rapporto è stato doloroso per lei, disagevole per lui. Cosa fare in questi casi? Se il pene è troppo grosso, meglio che la donna stia sopra e che si usi lubrificante. Se è troppo lungo, fategli mettere la mano alla base prima di infilarlo, in modo che non entri tutto. Evitate la posizione a pecorina, che porta ad una penetrazione profonda.
Esiste anche il caso contrario, cioè che l’uomo ha il pene troppo piccolo. Sara, 28 anni, si è trovata davanti il più piccolo che avesse mai visto, ma la misura conta poco se si sa come usare le risorse. Ad esempio può aiutare chiedergli di fare un moto circolare con i fianchi, così si sente di più che facendo dentro e fuori.
Il suo pene è un martello pneumatico? Karen, 23 anni, si è trovata in una simile condizione. Il suo partner spingeva troppo forte e troppo velocemente, trattava la sua vagina come se dovesse rompere il pavimento in un cantiere. La soluzione è rallentare, mettendo la donna sopra. Se lei fa lentamente un moto circolare con i fianchi, gli mostra come procedere. Se il martellamento inizia solo verso fine rapporto, significa che lui ha bisogno di stimolazione extra. A volte per raggiungere l’orgasmo, l’uomo ha bisogno di una combinazione di frizione e pressione sul pene, perciò provate a dare colpi veloci o a succhiare il Black and Decker per il suo gran finale.
Il problema di Kelsie, 28 anni, è che il suo partner eiacula troppo presto. Il consiglio è dedicarsi molto ai preliminari per allontanare qualsiasi pressione sulla prestazione di lui e per preparare meglio la strada all’orgasmo di lei. Ancora meglio sarebbe se lui praticasse prima il cunnilingus, lo calmerebbe sul resto.
Kylie, 27 anni, ritiene noioso il sesso con il fidanzato. La routine e la solita posizione del missionario possono spegnere la scintilla. Il consiglio è rompere gli schemi: se in genere fate sesso la sera, provate di giorno. Date al vostro partner appuntamento altrove, fuori casa, e godetevi una sveltina. Concedetevi un po’ di “dirty talk”: far sapere al vostro uomo quanto siete eccitate, renderà le cose più eccitanti.
Infine, aldilà delle misure del partner, alcune donne soffrono durante il rapporto sessuale. Può dipendere da squilibri ormonali, ansia, infezioni, mancanza di lubrificazione, o dagli effetti collaterali di certi farmaci (tipo antidepressivi e pillole). Se sanguinate può dipendere da polipi o comunque altre infezioni, perciò è consigliabile andare da un ginecologo.
Dagotraduzione dall'articolo di Tracey Cox per il Daily Mail il 24 dicembre 2021. Potrebbero non essere scritti nella pietra, ma tutti sanno che ci sono alcune cose che ci si aspetta dalle persone quando si tratta di sesso, in particolare se sei una donna. Idealmente, dovresti aspettare il sesso se vuoi essere preso sul serio. Dovresti mirare a uscire con un uomo più grande di te o della tua stessa età. Gli uomini sposati sono vietati e i capi sposati ancora di più. Il pericolo di non conformarsi alle aspettative della società è un giudizio rapido e severo da parte di coloro che ti sono vicini. Avere il segno di approvazione da parte di familiari e amici è importante: è uno dei principali predittori del successo di una relazione. Ma uscire dalla piazza non finisce sempre in un disastro: può favorire un rapporto migliore. Ho parlato con tre donne che non sono rimaste nella norma... e non se ne pentono per un istante.
Abbiamo fatto sesso entro un'ora dall'incontro
Lara ha 46 anni ed è felicemente sposata da 20 anni
«Sono cresciuta con genitori conservatori e tradizionalisti e ho ricevuto molto presto il messaggio che il sesso era qualcosa che si faceva con qualcuno che ami.
I miei genitori non erano ridicoli al riguardo - non hanno imposto il divieto di sesso prima del matrimonio, per esempio. Mi hanno solo insegnato che il sesso è qualcosa di speciale e che non dovresti farlo con il primo che passa.
Quando avevo 25 anni, ho fatto amicizia con una ragazza che era molto più sessualmente avventurosa di me. Ero andata a letto con tre uomini quando l'ho incontrata, aveva la mia stessa età ed era stata insieme a 15 ragazzi.
Non direi che ha avuto una cattiva influenza, ma mi ha incoraggiato a perseguire il sesso per amore del sesso, piuttosto che farlo solo con uomini con cui pensavo di poter avere una relazione.
Un venerdì sera, siamo andate in un pub vicino a casa e abbiamo chiacchierato con alcuni ragazzi che lavoravano nella finanza. Il mio ragazzo era simpatico e rideva e ho pensato: «Stai per essere fortunato!». Il pub stava per chiudere e sono tornata a casa con lui dopo aver parlato per circa 15 minuti. Nel giro di un'ora stavamo facendo sesso.
Sono svenuta subito dopo e mi sono svegliata il giorno dopo con i peggiori postumi di una sbornia che abbia mai avuto.
Mi sentivo sia malata che mortificata e pensavo di saltare su un taxi e tornare a casa per riprendermi. Invece, il ragazzo mi ha preparato caffè e toast e mi ha fatto bere litri di acqua fredda e si è davvero preso cura di me. Ho dormito di nuovo e mi sono svegliata sentendomi per metà decente. Dopodiché abbiamo chiacchierato a letto, ci siamo coccolati, abbiamo guardato film e mangiato. Non sono tornata a casa fino a lunedì mattina ed è stato solo per prendere dei vestiti nuovi da indossare al lavoro.
Da allora siamo stati insieme. Ironico, che l'unica volta che ho deciso di fare sesso senza vincoli, ho finito per sposare il ragazzo.
Dice che nemmeno lui ha mai fatto sesso così velocemente prima, ma non voleva respingermi perché avrebbe dovuto?
Abbiamo una figlia che ha 16 anni e conosce la storia di come ci siamo incontrati e cosa è successo. Sa anche che era fuori dal personaggio per entrambi, ma voglio che sappia che i cosiddetti "errori" sessuali - cose di cui molte persone si vergognano - non devono per forza finire male.
Le consiglierei di fare sesso la prima notte? Probabilmente no. Dovrebbe vergognarsi se lo fa? Assolutamente no».
Ho avuto una relazione con il mio capo sposato
Marika ha 27 anni e lavora nel settore immobiliare commerciale.
«Lavoravo per l'azienda da circa due anni quando è arrivato un nuovo capo. Eravamo un marchio noto ma di vecchia scuola e lui era lì per modernizzare l'azienda.
Il mio capo precedente era vecchio e poco attraente. Questa nuova versione era sulla trentina, alto ed estremamente attraente. Era scandinavo e aveva occhi azzurri in modo allarmante e grandi zigomi. Era atletico, quindi aveva anche un bel corpo. Sua moglie è entrata in ufficio molto presto, ma solo una volta. L'abbiamo notata tutti - era altrettanto bella - e abbiamo sospirato. Tutti lo adoravano!
Ho gestito una piccola squadra e riferivo direttamente a lui, quindi abbiamo avuto molte interazioni. Era amichevole e siamo diventati subito amici e colleghi. Sono stato attratta da lui fin dall'inizio, ma non ho mai avuto intenzione di agire su questo. Era sposato e io e il mio capo non avevamo intenzione di diventare un cliché.
Ma col passare del tempo ci siamo avvicinati sempre di più. Non ammettevo con me stessa di essere innamorata di lui, ma lo sapevo nel profondo. Il personale scherzava dicendo che eravamo «moglie e marito di lavoro», ma penso che la maggior parte pensasse semplicemente che fosse amicizia.
Non abbiamo parlato di sua moglie: tutto quello che sapevo era che stavano insieme da sei anni e non avevano figli. Se avesse parlato molto di lei, con amore e affetto, onestamente non credo che ci sarei andata a letto. Non sono un mostro: non mi sarei propostadi rompere un matrimonio felice o di mettermi in gioco.
C'è stato un periodo in cui sembrava stressato e irritabile, cosa strana per lui. Gli ho chiesto se stava bene e ha detto che aveva problemi con il suo matrimonio.
Mi vergogno di dire che il mio cuore è salito alle stelle. Non avevo osato pensare che potesse non essere innamorato di sua moglie. La mia determinazione a non farmi coinvolgere vacillava, ma non avevo ancora idea se avesse mai pensato a me in un senso romantico o sessuale, anche se a volte lo sorprendevo a guardarmi.
Non molto tempo dopo, sono andata in vacanza all'estero con alcune amiche.
Non abbiamo comunicato al di fuori del lavoro, ma ho ricevuto un messaggio da lui mentre ero via dicendo che sperava che stessi passando una buona vacanza e che gli mancavo.
Pensavo di morire per la felicità. Ho corso un rischio e ne ho mandato uno indietro dicendo che mi mancava anche lui, più di quanto potesse immaginare. Mi ha mandato un bacio e basta.
Due settimane dopo sono tornata in ufficio. Non credo di essere mai stato così nervosa. Mi ha fatto il sorriso più grande e mi ha detto di entrare nel suo ufficio e chiudere la porta.
Mi ha detto che non gli era mai mancato così tanto nessuno in vita sua e che era innamorato di me. Era inutile fingere che non mi sentissi allo stesso modo. Tutti possono vedere nel suo ufficio, quindi non abbiamo potuto abbracciarci o baciarci e abbiamo dovuto fingere che fosse una conversazione normale.
Ci siamo incontrati in un hotel quella notte e abbiamo fatto il miglior sesso che abbia mai fatto. Abbiamo fatto l'amore per ore! Ha detto che avrebbe lasciato sua moglie, ma che avremmo dovuto mantenere un profilo basso fino a quando non fosse successo.
Sua moglie ha trovato uno scambio di messaggi circa due settimane dopo e si è precipitata in ufficio a cercarmi. Tutto il personale l'ha vista accusarmi di andare a letto con suo marito. L'ho negato ma non in modo terribilmente convincente.
Il mio capo si è precipitato fuori dal suo ufficio e l’ha portata fuori dalla stanza. Singhiozzava, singhiozzi enormi e strazianti, ed era terribile. Mi sono vergognata così tanto e sentita così umiliata.
Qualcuno ovviamente ha riferito il tutto ai grandi capi e siamo stati trascinati al dipartimento delle risorse umane per dare spiegazioni nel giro di poche ore. Avevamo accettato di dire la verità, sapendo che ci sarebbe costato il lavoro. Ci ha licenziato ma, ad essere onesti, non mi importava.
Sono passati cinque mesi e questo sarà il nostro primo Natale insieme. Lavoriamo entrambi per aziende diverse ora, quindi nessuno sa come ci siamo messi insieme.
Non sono orgogliosa di quello che ho fatto, ma so che ci amiamo disperatamente e che la nostra relazione è stata costruita sull'amicizia piuttosto che sul sesso.
Sto con un uomo di 20 anni più giovane di me
Jackie ha 51 anni e il suo compagno 31
«Avevo divorziato poco prima che ci incontrassimo: ero arrabbiata e non interessata ad avere una relazione. Ma mi interessava fare sesso: uscivo da un matrimonio asessuato e volevo recuperare il tempo perduto.
Con poche speranze ho scaricato alcune app di appuntamenti, ma sono rimasta piacevolmente sorpresa. Ho un bell'aspetto per la mia età (all'epoca avevo 48 anni) e ricevevo molte attenzioni. Erano tutti uomini più giovani, nessun uomo della mia età ha mai mostrato alcun interesse.
Mi sono collegata con alcuni di loro e il sesso è stato fantastico. Avevo dimenticato quanto sia meraviglioso l'aspetto e la sensazione di un corpo giovane. Questi uomini erano divertenti: nessun programma, solo felici di stare con qualcuno che amava il sesso tanto quanto loro. Un ragazzo ha detto che le donne anziane non avevano idea di quanto fossero calde, ma mi permetto di non essere d'accordo. Sapevo di essere attraente per gli uomini più giovani, semplicemente non avevo intenzione di farmi coinvolgere da uno.
È stato divertente finché è durato, ma dopo un po' mi sono annoiata e non sono andata sulle app per mesi. Poi, una notte, ho avuto voglia di sesso e ho trovato un ragazzo di cui mi piaceva l'aspetto. Era indiano, bello e giovane e aveva un sorriso che avrei voluto guardare per sempre. Ci siamo dati appuntamento in un pub nelle vicinanze, pensavo per il sesso. Ma quando siamo arrivati lì, abbiamo finito per chiacchierare per ore e ore davanti a una bottiglia di vino. Niente sesso quella notte. Invece, ci siamo organizzati per rivederci.
Di certo non abbiamo lesinato sul sesso quel primo fine settimana: non abbiamo lasciato il letto né la casa. Ma questo era diverso: mi interessava lui, non solo il sesso o il bel corpo. C'era un divario di età di 20 anni tra di noi, ma non sembrava così. Lui è un'anima vecchia in un corpo giovane e io sono un'anima giovane in un corpo (più) vecchio. I nostri punti di riferimento non erano affatto dissimili. È partito lunedì mattina e mi è mancato appena è uscito.
È stata la facilità della relazione che mi ha attratto. Io e il mio ex abbiamo gareggiato - quest'uomo non voleva dimostrare nulla. Aveva un buon lavoro ma niente di speciale. Era più interessato a me e alla mia carriera (che è, devo dire, piuttosto impressionante). Non ho mai incontrato nessuno che mi facesse più domande o mi facesse più complimenti su di me.
Ho iniziato a preoccuparmi di come mi sentivo per lui: si sentiva sempre più un fidanzato che un amante. Ma come potevo prendere sul serio la relazione con una differenza di età così grande?
Quando ci avventuravamo fuori, vedevo gli occhi della gente fermarsi e viaggiare su entrambi. Cronometravano la combo di razza mista e poi la differenza di età, gli occhi che guizzavano avanti e indietro. Sono madre e figlio o amanti? Non mi tenevo per mano né mostravo affetto in pubblico. Non volevo vedere il giudizio sui volti delle persone.
Un giorno mi ha preso la mano mentre stavamo passeggiando per il mio quartiere e l'ho ripreso. Quella è stata la prima volta che l’ho visto arrabbiato e sconvolto. Mi ha chiesto perché non mi tenevo per mano in pubblico e se mi vergognavo di lui.
Gli ho detto che la nostra differenza di età significava che non avremmo mai potuto lavorare a lungo termine e lui si è girato, mi ha guardato dritto negli occhi e ha detto: «Ma perché no? Non ho mai avuto più cose in comune con nessuno in vita mia. O volevo stare con qualcun altro per il resto della mia vita. Siamo perfetti insieme».
Dopo di che, ho confessato la relazione ai miei amici più stretti. Nessuno sembrava così scioccato, anche se alcuni erano cauti e temevano che potessi farmi male. L'ho presentato e tutti sono andati d'accordo.
Ho trovato il coraggio di dirlo a mia figlia, sposata con bambini, e sebbene inizialmente fosse rimasta sconcertata, ha accettato di incontrarlo. È stato difficile per me: hanno quasi la stessa età. Mi chiedevo se si sentisse imbarazzata o strana per tutto questo, io di certo lo ero.
Ci ha messo più tempo a convincersi dei miei amici, ma ora sono passati due anni ed è felice che noi siamo così felici.
In privato, la nostra relazione è rilassata e la più felice che abbia mai avuto. Raramente litighiamo e ci piacciono le stesse cose. In pubblico, mi sento ancora a disagio quando vedo persone che ci fissano. Rimarresti stupito da quante persone lo fanno: viviamo in una società anagrafica.
Se i ruoli si fossero invertiti e si fosse trattato di un uomo più anziano con una donna più giovane, nessuno avrebbe battuto ciglio. In realtà, forse non è neanche più vero. Forse la gente resterebbe a bocca aperta lo stesso.
Non credo che alle persone importi molto se la differenza di età è inferiore a 10 anni. Ma una volta superato quel periodo, le persone giudicano sempre. Forse è gelosia?»
(* I nomi sono stati cambiati.)
· Il Priapismo: l’erezione involontaria.
Laura Avalle per “Libero quotidiano” il 22 agosto 2021. Avercelo sempre duro non è una fortuna e chi soffre di priapismo ne sa qualcosa. Ci riferiamo a quella condizione clinica che implica un'erezione involontaria del pene, spropositata e prolungata nel tempo (oltre le sei ore), che prende il nome dal dio della mitologia Priapo, che presiedeva alle attività sessuali ed era per questo raffigurato con un fallo di grandi dimensioni sempre eretto. Come mai si verifica e quali sono i rischi? Lo abbiamo chiesto ad Alessandro G. Littara, sessuologo e andrologo di Milano: «Si tratta di una condizione molto dolorosa e molto pericolosa, non associata ad eccitazione sessuale, ma conseguente ad un'alterazione della vascolarizzazione del pene. Nella forma più comune tale meccanismo è innescato dall' ostruzione delle vene che drenano il sangue dai corpi cavernosi del pene. Se questo meccanismo è particolarmente potente e persistente, con il passare delle ore il flusso di sangue arterioso in arrivo al pene si arresta completamente. La quantità di ossigeno nel pene si azzera e quindi si realizza una condizione di shock dell'organo, con un'erezione che si auto mantiene. Quanto più tempo permane tale situazione, tanto più aumenta la possibilità di fibrosi dei corpi cavernosi, con conseguente danno funzionale permanente quale la disfunzione erettile. Per tale motivo, il priapismo deve essere sempre trattato come un'emergenza. Può verificarsi a tutte le età, anche se i dati attuali indicano che l'incidenza nella popolazione è modesta, un caso ogni centomila persone l'anno». Perché non provoca piacere sessuale? «Si tratta di un'erezione non controllabile che nasce spesso indipendentemente dal desiderio sessuale e non si calma neppure dopo l'orgasmo», dice Littara. «Questo non solo non provoca alcun piacere sessuale, ma l'aumentata tensione interna determina un fastidio che diventa dolore, acuito dall' angoscia che la situazione determina. Il dolore diviene insopportabile e bisogna chiedere aiuto. L'imbarazzo di dover confessare il problema allunga ulteriormente i tempi, mentre sappiamo che la tempestività gioca un ruolo fondamentale nel trattare questa condizione». In che modo questo disturbo può essere curato? «Il priapismo richiede sempre un trattamento urgente, per prevenire le complicanze come la fibrosi e la necrosi del tessuto erettile», mette in guardia l'andrologo. «Questo accade per cattiva ossigenazione o trombosi dei corpi cavernosi legata alla stasi sanguigna, che porta velocemente a relativa disfunzione erettile. Nell' immediato, le cure possono prevedere impacchi di ghiaccio nella zona interessata, per ridurne gonfiore e rossore. A lungo termine, la terapia mira a svuotare il pene dal sangue per riattivare la circolazione con farmaci che servono a interrompere l'erezione. Se la terapia non è sufficiente, si ricorrere a un intervento chirurgico per effettuare uno scarico artificiale del sangue venoso contenuto nel pene. Più tardi si interviene, maggiori saranno le conseguenze».
Marco Belpoliti per “la Repubblica” il 3 giugno 2021. Quanti tipi di baci esistono? Tanti. Di passione, di gioia, di piacere, d’amore, di tenerezza, d’attaccamento, di conforto, di saluto, di cortesia, di necessità, di rincrescimento, di supplica, e altri ancora. Per un anno e mezzo abbiamo smesso di baciare, forse salvo le persone con cui viviamo in stretto contatto nella medesima casa, ma sempre con timore, e spesso rinunciando a farlo. Il bacio ha bisogno della bocca e il nostro rapporto con il mondo è di tipo orale poiché seno materno, o biberon, per sopravvivere, dopo essere venuti al mondo, abbiamo dovuto succhiare protendendo le labbra. Questo non significa che il bacio sia sempre esistito o che sia rimasto identico nel corso di migliaia d’anni. Come ci ricordano Elisabetta Moro e Marino Niola nel loro bel libro Baciarsi (Einaudi), richiamandosi all’antropologo Lévi-Strauss il bacio è “un significante fluttuante”, che può veicolare significati virtualmente diversi: civiltà che trovi, bacio che dai. Per questo i due autori definiscono il bacio un fatto transculturale. Anche nelle civiltà che non lo praticano (e ci sono), il contatto bocca a bocca è subito riconoscibile, e si traduce in tutti i linguaggi corporei. E, poiché il corpo è l’entità che, non solo ci consente di stare al mondo, ma condiziona i nostri modi per farlo, sarà proprio al corpo che i significati dovranno rinviare. Per quanto in certe culture e momenti storici — si pensi al nostro Medioevo — sia stato messo al bando e disconosciuto, tutti sanno bene cosa significa baciare. La parola viene probabilmente dal greco, baskaino, che significa sussurrare, mormorare, ammaliare, affascinare. Baciare vuol dire trasmettere all’altro qualcosa di sé: “Un po’ dirsi e un po’ darsi”. Del resto, gli etologi sostengono che all’origine di tutto c’è la premasticazione materna; per svezzare il bambino dopo l’allattamento, la madre mette la propria bocca a contatto con quella del figlio o figlia, e le passa il cibo. Se si ritiene questa pratica disgustosa, bisogna ricordare che fino al 1927 non esistevano molti modi pratici per svezzare i bambini, e furono due coniugi americani, Dorothy e Daniel Gerber, a preparare i primi cibi solidi pressati da dare ai pargoli. Secondo Desmond Morris noi continuiamo ad associare al bacio l’idea di sicurezza e amore per via dell’esperienza infantile di pressione delle labbra sul seno della madre, idea non condivisa da Freud, che pure parla di origine orale delle nostre esperienze. Per il padre della psicoanalisi il bacio è un sintomo di deprivazione del seno materno. Chi avrà ragione? Per Moro e Niola il bacio unisce e non divide e si presenta come “il più unisex fra i gesti d’amore”. Il lessico del bacio è molto interessante e ci deriva dalla cultura latina, che distingueva tra osculum, saviume e basium. Il primo è un diminutivo di os-oris, bocca, e significa boccuccia; con questo termine s’indicano le manifestazioni d’affetto tra famigliari, parenti e amici; lì l’eros è proibito, ma il contatto tra i corpi consentito. Savium è il contatto labiale, di tipo passionale. Basium è la parola con cui si esprimono tutte le altre forme affettive e sentimentali, per cui è diventato il calco da cui viene il nostro “bacio”, e tutti i vari modi di baciare, eccezion fatto per il kataglottisma, il bacio con la lingua, di cui parla già Aristofane nelle Nuvole, oggi detto “alla francese”. Nel loro libro Moro e Niola scandagliano le varie aree del bacio, dal bacio di perdono a quello di tradimento, dal bacio d’odio a quello di misericordia, passando per i baci satanici a quelli di umiltà per arrivare sino ai baci di desiderio. Ci ricordano poi che Margaret Mead nei suoi studi sugli adolescenti, il sesso e il rapporto tra uomo e donna, pubblicati tra il 1928 e il 1949, era giunta a sostenere che “il nostro corpo biologico è poco più di una tabula rasa, sulla quale l’educazione, la cultura e l’esperienza scrivono ininterrottamente le loro regole e deduzioni”, stabilendo le forme e i limiti di gusto e disgusto, di piacere e dovere, di libertà e morale, che sono spesso determinate dalle singole esperienze personali e dalla cultura di appartenenza. Una questione che non si applica solo al bacio, ma alla gran parte dei comportamenti sessuali e alla stessa definizione di identità personale. Poiché noi siamo, nel bene e nel male, figli della cultura cristiana, il capitolo “Assaggiare Dio” aiuta a capire il valore anche simbolico che il bacio ha nella nostra civiltà. I primi cristiani si baciavano nel salutarsi e la parola agape indica, l’amore dei fratelli nella fede; per i luterani e i riformati l’elemento erotico è invece in agguato nel bacio. Quale sarà il futuro del bacio nel mondo virtuale? Stiamo passando dal mondo dei baci fisici ai “Kiss data”? La risposta non c’è, ci dicono Moro e Niola al termine del loro affascinante viaggio, intanto però abbiamo ricominciato a baciarci “in presenza”.
Elvira Santagata per alfemminile.com il 27 novembre 2021. Quando parliamo di tecnica della gola profonda parliamo proprio dell'abilità di migliorare le tue competenze nel sesso orale, per dargli il massimo piacere, senza strozzarti. Quante volte ci è capitato durante un approfondimento orale di avere quella spiacevole sensazione di strozzamento? In un attimo il nostro rapporto orale potrebbe trasformarsi in una scena da film horror, e temiamo non solo di andare in embolia polmonare ma anche di fare una pessima figura con il nostro partner. In generale, se si vogliono migliorare le proprie prestazioni e garantire una fellatio superiore a quella media, esiste la tecnica della gola profonda e di seguito qualche consiglio per praticarla e rendere le tue performance di un livello superiore, e non solo!
1. Fare pratica
Gli esseri umani hanno un riflesso naturale che impedisce alle cose di scendere lungo la gola. Come fare per controllare quella sensazione che potremmo associare al conato di vomito? Vi suggeriamo di spingere la lingua verso la gola, in modo da accogliere il pene limitando lo sforzo. È possibile imparare a controllare questi riflessi e inserire oggetti in bocca, ma bisogna fare pratica signore. Se il vostro compagno vuole percorrere la navata della passione con voi, allora sarà pronto alla sperimentazione pratica, mentre voi migliorerete un centimetro alla volta
2. Ricercare la posizione
A quanto pare ci sono due posizioni che facilitano l'entrata della nave nel canale: una vi vede riverse con la testa penzoloni sul letto e il ricevitore alle vostre spalle, l'altra è un classico 69. Ricercare un allineamento perfetto gola-ospite è frutto di sperimentazione perché ogni gola è a sé e anche ogni pene. Ma ci sarà un click e scoverete la posizione ottimale per voi.
3. Respirare con il naso e fermarsi se si ha dolore
Come una sessione di Yoga, il corpo si rilassa con il respiro e il ritmo giusto. Cercate di fare respiri lenti, profondi e controllati durante l'esecuzione dell'atto. Inspirate profondamente prima di prendere un boccone e non trattenete il respiro. Il naso è l'unico modo per respirare mentre la gola è impegnata. Ma attenzione! Se sentite dolore fermatevi. Comunque state praticando qualcosa di molto delicato e sforzarsi sì, ma farsi del male...meglio evitarlo!
4. Andare molto piano
Nonostante si immagini il contrario, anche a causa dei porno, la gola profonda è più una maratona chilometrica che uno sprint. Se cominciate ad affrettare le cose, potreste danneggiare il tessuto della gola che è sensibile. In un primo momento, concentratevi sull'andare lentamente lungo il pene del partner e fermatevi quando si raggiunge un punto scomodo. Chi va sano va piano e va lontano. Molto lontano. Dopo aver approfondito le tue competenze in ambito di Gola, ti consigliamo di concentrarti su un'altra tipo di "G"...
Francesca Favotto per vanityfair.it il 7 novembre 2021. Il cunnilingus è l’atto orale migliore per raggiungere l’orgasmo. Anche se alcune donne non lo apprezzano o non lo vivono con serenità, va considerato di vivere l’atto essendo aperte all’esplorazione e alla sperimentazione. Ci sono tanti modi di dare (e ricevere) sesso orale ed è bello sperimentarli tutti. Alcune tecniche le trovate elencate e spiegate qui sotto e nella nostra gallery. Ma un consiglio: assicuratevi di comunicare in modo chiaro e onesto cosa vi piace e cosa no. Una corretta comunicazione significa che entrambi otterrete ciò che desiderate: ovvero una sex session soddisfacente e appagante.
Orale laterale
Questa è una versione “girata” della classica posizione sessuale del 69. Invece di montare il partner (o viceversa) dall’alto, concedetevi reciprocamente sesso orale poggiati su un lato. Una posizione più rilassante e distesa, forse, di quella classica, che offre una vista ravvicinata sui genitali dell’altro e richiede meno sforzo da parte del partner che di solito sta sopra. Assicuratevi solo di sollevare leggermente la parte superiore della gamba per non soffocare nessuno.
Il classicone
Non c’è niente di meglio di un classico collaudato. Questa posizione di cunnilingus consente a chi lo pratica un accesso completo alla vulva. Ha anche un ampio accesso al clitoride e alla vagina se lui/lei è interessat* a “ravvivarlo” con la penetrazione con le dita o con i sex toys. Lei giace supina con le ginocchia piegate sul letto (potete scegliere di stendere le ginocchia in una posizione a farfalla aperta o giocare con diverse posizioni delle gambe per sensazioni diverse). Chi lo pratica si stende pron* con il viso tra le gambe. Si può posizionare anche un cuscino sotto i fianchi, se volete più supporto ai lombi e togliere un po’ di tensione al collo, dando un migliore accesso alla vagina.
Face-sitting
Il face-sitting (tradotto “seduta sulla faccia”) è una delle migliori posizioni per il sesso orale per chi cerca un po’ di trasgressione, ma soprattutto controllo sull’azione. Chi lo pratica giace supin*, mentre lei si inginocchia sul suo viso, rivolto con il volto verso di lui/lei e le ginocchia su entrambi i lati della testa. Potreste appoggiare le braccia sopra la testiera o il muro (se a disposizione) per sollevare leggermente la vulva in modo da non esercitare troppa pressione sul petto del partner. Controllate se è a suo agio. In questa posizione di sesso orale, la ricevente ha molto controllo sul ritmo e sulla pressione della vulva, ed entrambe le mani di chi pratica sono libere di afferrare le natiche o di stimolare i capezzoli, per una dose extra di piacere.
Accesso completo
Questa posizione di cunnilingus è un pass per l’accesso completo alla vulva. Lei giace distesa sulla schiena con il sedere proprio sul bordo del letto/bancone/divano. Chi pratica si inginocchia (o si alza, a seconda dell’altezza) sul pavimento di fronte alla vulva, mettendo un cuscino sotto le ginocchia per rendere più agevole la situazione. Se lo desiderate, potete mettere i piedi o le gambe sulle spalle di lui/lei per un po’ più di equilibrio. Questa posizione di sesso orale libera le mani di chi lo pratica per una penetrazione con le dita o per la stimolazione dei capezzoli, ma permette anche la penetrazione con la lingua.
Orale doggy style
Ecco una posizione versatile per il sesso orale. Lei si mette carponi, mentre chi pratica si inginocchia dietro di lei, dandole il controllo della pressione e dell’angolo a causa della capacità di piegarsi all’indietro sul viso di chi lo pratica. Potete stare carponi o sdraiarvi con le gambe divaricate, a seconda di quale vi è più comodo.
Face-sitting inverso
Questa interpretazione del face-sitting offre una nuova svolta. È come una cowgirl inversa: chi pratica giace supin*, mentre la ricevente si inginocchia sul viso, rivolta verso i piedi, le ginocchia su entrambi i lati della testa di lui/lei. Potete mettere le mani sul petto, sui fianchi del partner o sul letto per mantenere l’equilibrio. Volendo, potete piegarvi anche in avanti, facendo un 69, o dando piacere a lui/lei con le mani o la bocca.
In piedi, contro il muro
Appoggiate la schiena contro il muro o una porta. Chiedete a lui/lei di inginocchiarsi davanti a voi e se vi è comodo, mettete un piede o una gamba sulla sua spalla per dargli più accesso al clitoride. Non abbiate paura di inserire anche un sex toys con questa posizione di sesso orale.
Dagotraduzione dal DailyMail l'8 dicembre 2021. Ti stai annoiando con la solita vecchia routine ma ti sembra di averle provate tutte? Scommetto che non hai mai provato queste stravaganti tecniche di sesso! Potrebbero sembrare ridicolmente inverosimili, ma ottengono recensioni entusiastiche da parte degli utenti e tutte sono state messe alla prova dai miei coraggiosi volontari. Otto anni fa, una donna di nome Auntie Angel ha pubblicato un video su YouTube che mostra come «far piacere al tuo uomo» facendo sesso orale con un pompelmo intorno alla base del suo pene. Da allora, il sesso orale al pompelmo è diventato una «cosa».
Perché dovrei provarlo?
Se guardi il video originale, non sono del tutto sicuro che riuscirai a farlo senza ridere. Ma fallo comunque! Dire che è un'esperienza nuova è affermare l'ovvio, ma è divertente – e diventiamo tutti troppo seri riguardo al sesso. La tecnica del pompelmo è perfetta anche per le donne a cui non piace fare sesso orale perché vomitano facilmente. Indossare il pompelmo richiede tre pollici di lunghezza, quindi non c'è alcun potenziale per una «gola profonda».
Sarà la prima volta per la maggior parte di voi e qualcosa con cui divertire i vostri amici quando racconterete la storia dopo un paio di bicchiere di vino.
Come lo faccio?
Usa un pompelmo rosso rubino (o la varietà più dolce che riesci a trovare) e mettilo in acqua tiepida per portarlo a temperatura ambiente. (Se sei allergico al pompelmo, puoi usare una grande arancia marina.)
Quindi fallo rotolare su un banco per un minuto o due per ammorbidire il frutto e rendere la polpa più succosa. Taglia le due estremità dell'ombelico, in modo che assomigli a una ruota spessa, e pratica un piccolo foro al centro del pompelmo. (Più piccolo è il foro, più stretto sarà quando lo spingerai per la prima volta sul pene).
Poiché gli agrumi sono acidi, controlla sempre prima per assicurarti che il suo pene non abbia piccoli tagli o bruciature da rasoio per evitare che pizzichi. Quindi, aspetta che sia eretto, spingi lentamente il pompelmo verso la base del pene: il frutto si espande mentre lo premi verso il basso.
Come puoi immaginare, il succo va ovunque, quindi metti giù un paio di asciugamani, fallo stare in piedi nella vasca da bagno (sì davvero) o su un pavimento che puoi pulire facilmente in seguito. Il succo, tra l'altro, fa tutto parte dell'esperienza - e il po' che molti uomini hanno detto che era il migliore.
Quindi esegui il sesso orale, come faresti di solito, ruotando il pompelmo attorno all'asta e spingendolo su e giù. Continua a succhiare e torcere il pompelmo fino all'orgasmo.
Consiglio vivamente di lavargli il pene e i testicoli subito dopo, semplicemente perché il succo è acido, anche se gli urologi dicono che non ci sono rischi per la salute.
Il verdetto: 6.5/10
«Non fraintendetemi: è stato fantastico e tutti dovrebbero provarlo almeno una volta. Ma è solo comico e il mio partner continuava a ridere, il che mi ha fatto impazzire. In seguito le è scoppiata anche un'eruzione cutanea sul mento: il succo le ha irritato la pelle».
«Mi fa sentire stranamente bene però: il pompelmo sembrava molto più freddo di quanto mi aspettassi e una lingua calda e qualcosa di freddo erano una buona combinazione».
In poche parole, si tratta di fare sesso orale lateralmente. Quasi tutti noi lo facciamo con il nostro amante posizionato dritto tra le nostre gambe.
Il metodo Kivin prevede che la persona che agisce metta il proprio corpo perpendicolare – invece che parallelo – rispetto alla persona che sta ricevendo. Confuso? Guarda le foto.
A proposito, è un mistero completo da dove provenga il nome, ma è stato usato per descrivere l'orale laterale dal 2001.
Perché dovrei provarlo?
Perché consente al tuo partner di esplorare l'intera vulva, non solo di mirare al clitoride. Molte donne trovano la stimolazione diretta su e giù troppo intensa o scoprono che a loro piace leccare un lato del clitoride più dell'altro.
La stimolazione laterale sembra sorprendentemente insolita e più intensa per alcune donne, motivo per cui alcuni educatori sessuali affermano che le fa raggiungere l'orgasmo più velocemente (le prove aneddotiche dicono tra i tre e i cinque minuti).
Consente inoltre un facile accesso al perineo, la parte glabra tra la vagina e l'ano. Quest'area è ricca di terminazioni nervose altamente sensibili e risponde bene a un massaggio deciso (usando le dita o un giocattolo sessuale).
Come lo faccio?
Se sei la fortunata destinataria, sdraiati sul letto (nella posizione in cui dormiresti, la testa vicino alla parte superiore del letto) con una gamba sollevata.
Il tuo partner giace lateralmente sul letto, a pancia in giù sul letto e scivola sotto la tua gamba sollevata, posizionando la bocca tra le tue gambe. Quindi appoggia la gamba sul collo o sulla parte superiore della schiena del tuo partner.
Alcuni donatori trovano più comodo essere appoggiati sulle ginocchia e sporgersi in avanti. Una posizione alternativa per il ricevitore: tiri su entrambe le gambe, in modo che le ginocchia siano contro il petto.
Possono quindi stimolare facilmente il clitoride e la vulva, scegliendo l'angolo, la velocità e la pressione che preferisci. Fagli provare a leccare fianco a fianco e avanti e indietro sul clitoride mentre contemporaneamente usa due dita per premere con decisione sul perineo, massaggiando con decisione.
O per combinare la stimolazione del clitoride della lingua con un dito inserito nella vagina o nell'ano. Un'altra fantastica combinazione: utilizzare un sex toy penetrante per via vaginale e/o inserire un plug anale per una stimolazione anale aggiuntiva.
Aggiungi un cuscino rigido sotto il sedere se vuoi alleviare la pressione sulla schiena del tuo partner, che sta sopportando il peso della tua gamba.
Il verdetto: 9/10
«Sono un grande fan del sesso orale, ma non ho mai nemmeno pensato di provare a farlo di lato. Ho adorato la novità e sicuramente mi è sembrata più intensa. Penso che mi piaccia di più del "normale" sesso orale!»
La tecnica di allineamento del coito è una versione modificata del sesso in stile missionario, in cui l'uomo cavalca più in alto del solito, permettendo alla base del suo pene di sfregare contro il clitoride.
Un famoso studio su donne incapaci di raggiungere l'orgasmo facendo sesso in stile missionario, ha riportato un aumento del 56% della frequenza dell'orgasmo, una volta che loro e i loro partner lo hanno padroneggiato.
CAT aggiunge l'importantissimo ingrediente mancante che impedisce alla maggior parte delle donne di raggiungere l'orgasmo solo con la penetrazione: la stimolazione del clitoride.
Probabilmente è più facile tenere un vibratore in posizione: la tecnica richiede pratica per farlo bene. Ma questo metodo può essere più intimo e conosco personalmente molte coppie che considerano CAT un punto di svolta e che ora raramente hanno rapporti sessuali "vecchia scuola".
Perché dovrei provarlo?
Dai retta alle statistiche convincenti e il passaggio a CAT raddoppierà istantaneamente le sue possibilità di raggiungere l'orgasmo e lo rallenterà all'incirca allo stesso ritmo. Una combinazione vincente, non direste?
Come lo faccio?
Lui è in sopra e si sposta verso l'alto, il suo corpo si muove verso la tua testa rimanendo vicino invece che tenendosi sulle braccia. Tieni il bacino vicino, in modo che la base del suo pene sfreghi contro il tuo clitoride e rimanga lì mentre ti muovi insieme. Immagina un movimento regolare della sedia a dondolo: lei guida nel movimento verso l'alto, spingendo su e avanti per forzare il bacino all'indietro. Lui costringe il bacino all'indietro e verso il basso. È pressione e contropressione, non spinta, con penetrazione superficiale non profonda.
Il verdetto: 5/10 da principiante
«L'ho trovato così innaturale. La spinta è naturale perché lo è: è così che gli animali fanno sesso. Ho trovato davvero difficile trovare un ritmo perché è l'opposto di quello che ho fatto per tutta la mia vita. Sembrava forzato, artificioso e davvero insoddisfacente. Il mio partner non ne è stato entusiasta, ma probabilmente questo ha avuto molto a che fare con me che chiaramente non ci sono entrato.'
10/10 da un esperto: «Non è così difficile come sembra, ma è così allettante all'inizio tornare alla spinta a cui sei abituato quando senti di voler raggiungere l'orgasmo. Che poi è la rovina per lei, a meno che non sia arrivata prima. Devi essere una persona controllata e paziente per perfezionarlo. Ma, se puoi, il tuo partner ti ringrazierà davvero. Non siamo mai tornati indietro».
Da liberoquotidiano.it il 20 maggio 2021. Il cunnilingus perfetto esiste, ma non sembra facilissimo da praticare. A fornire una serie di delucidazioni in materia ci hanno pensato le pornostar del sito Woodrocket. In un video postato sul web queste donne raccontano le loro esperienze dando agli interessati alcuni consigli utili in materia. Prima di partire però ci tengono a precisare che quella del cunnilingus è una pratica molto complessa, ammettendo che fare sesso orale ad un uomo sia molto più facile. Innanzitutto mai fare un cunnilingus con la lingua di lato o orizzontalmente. Posizione rigorosamente frontale e labbra della bocca da schiacciare contro quelle vaginali. L'intrigo e l'attesa però sono fondamentali: è necessario cominciare lentamente, preferibilmente dall'interno coscia. E’ importante spingere il basso ventre con la mano per far emergere di più il clitoride e poi l'effettivo movimento della lingua: deve disegnare un otto sulla vagina. Si può lubrificare usando anche le dita facendo però particolare attenzione alle unghie: non devono essere troppo lunghe e non devono arrivare a toccare il punto G. Le difficoltà sono evidenti, ma non bisogna demordere e soprattutto non farsi scoraggiare: "La vagina è un grande mistero e ognuna ha una sensibilità diversa. La soluzione è chiedere cosa vuole la donna e cosa le piace. E’ un’esperienza da personalizzare".
Dagotraduzione da Le Monde il 3 magio 2021. Non tutti praticano con riluttanza il sesso orale, oppure al contrario lo considerano un must. Alcuni ne traggono il piacere più intenso, egoista e/o altruista. Eppure ... Internet è piena di utenti che cercano disperatamente di sfuggirgli, lamentando odori, mancanza di desiderio, crampi alla mascella o partner troppo «lenti» (secondo quale standard? Non lo sapremo mai). Il discorso sessuale non rassicura i refrattari. Non solo la relegazione del sesso orale al campo dei preliminari diminuisce la sua importanza (queste pratiche non farebbero parte del «sesso reale»), ma il sesso orale è strettamente codificato: un partner dà, un partner riceve. Il sesso orale non è intrinsecamente noioso, né ripetitivo. Se alcuni di noi raggiungono stati euforici mentre praticano il lavoro a maglia o la falegnameria, se ad altri piace affettare le carote quanto vogliono mangiarle, dovremmo riuscire a cavarcela. Il modo più semplice consiste nell'aggirare l'aspetto meccanico di questa pratica, invertendo la nostra concezione su di essa. Il preconcetto di base (sesso + bocca = eccitazione + forse orgasmo) costituisce una meraviglia della razionalità, ovviamente. Ma l'equazione troppo spesso suona come un pigro minimalismo: come investire la quantità minima di tempo ed energia per ottenere un risultato accettabile. La questione del risultato è il più grande ostacolo alla soddisfazione del donatore poiché la motivazione riguarda la fine del processo. Un po' come se il cinema consistesse nel «trattenere» gli spettatori per 90 minuti prima di arrivare ai titoli di coda, e peccato per il contesto, i personaggi e lo scenario. Spesso chi pratica sesso orale solleva la questione della comodità. Ma non bisogna confondere "dare piacere" con il "dimenticare se stessi". Il problema si può risolvere con un minimo di praticità: prendersi cura del collo, delle mascelle e delle ginocchia (aiutandosi con i cuscini, il divano, un tutore per il collo, un tappetino d'angora). Non esitate a cambiare posizione al primo segno di stanchezza. Fate delle pause, subentrate con le mani o con degli oggetti. In secondo luogo, cercate di rinunciare alla rigida divisione dei ruoli tra donatore e ricevente. Non è perché ci inginocchiamo che ci sottomettiamo, non è perché allarghiamo le gambe che perdiamo il controllo. In una logica di collaborazione, bisogna poter chiedere al proprio partner di «farsi carico» di alcune cose in determinati momenti (se devi trovare il lubrificante, o per rispondere alla tua prozia su Messenger), così come è lecito chiedere di essere accarezzati. Puoi masturbarti mentre onori il tuo partner: non è barare. Poi, e qui arriviamo a un punto cruciale: la noia si nutre della nostra confusione - la noia non cade dal cielo. È più facile essere soddisfatti quando sappiamo cosa stiamo facendo, come lo stiamo facendo, perché lo stiamo facendo. Per dirla senza mezzi termini: se sei annoiato, non stai facendo abbastanza. Non avresti tempo di annoiarti se usassi la bocca in combinazione con una o due mani, fornendo una stimolazione ambidestra o aritmica aggiuntiva, monitorando la cottura del tofu. Per raggiungere un livello ragionevole di competenza è importante prendere in mano le conoscenze esistenti, ma anche darsi il permesso di definirsi competente. Altrimenti, la mancanza di fiducia impedisce di prendersi delle libertà. Peggio ancora, l'altro si riduce a un corpo inerte, con reazioni arbitrarie. Senza arrivare a proclamare il tuo status di «miglior fornitore di cunnilingus nella categoria dei pesi medi» o «miglior succhiatore dell'Alto Reno», concentrati sull'esperienza più immediatamente gratificante che è essere un esperto del tuo partner. Per fare questo, combina una buona comunicazione (per sapere cosa piace all'altro) e una buona iniziativa (per offrire sfide e sorprese). Quindi mettiti egoisticamente al centro della pratica. Anche se sembra paradossale, perché non cercare tutte le opportunità per aumentare il tuo piacere fisico e intellettuale? Alcuni usano il culto del pene o della vagina, altri si proiettano in fantasie di dominio o sottomissione («Controllo completamente il tuo pene / Sono in balia del tuo pene»). Altri potrebbero preferire concentrare la loro attenzione su sensazioni piacevoli, come il gusto, il tatto o l'olfatto. Il sesso orale può essere utilizzato anche come un gioco: parlando con il proprio partner, mettendosi nei suoi panni, avendo intenzioni che non si limitano necessariamente a questioni di pura efficienza. La situazione della donazione permette di esercitare il controllo: cosa fare di questo grande potere, di questa grande responsabilità? Possiamo ritardare o accelerare il piacere, aumentare o ridurre la pressione, fingere di lasciare la stanza nel momento peggiore, praticare la bordatura. Possiamo ridere. Possiamo anche procedere con assoluta regolarità, come se fossimo una macchina, cercando stati di trance. Se riuscite a praticare del sesso orale per il vostro piacere, utilizzando un ricco ventaglio di tecniche, emozioni e interazioni, e senza spaccarvi la schiena, uscirete dalla logica del dono per entrare in una logica di scambio.
Da liberoquotidiano.it il 31 gennaio 2021. Il cunnilingus perfetto esiste, ma non sembra facilissimo da praticare. A fornire una serie di delucidazioni in materia ci hanno pensato le pornostar del sito Woodrocket. In un video postato sul web queste donne raccontano le loro esperienze dando agli interessati alcuni consigli utili in materia. Prima di partire però ci tengono a precisare che quella del cunnilingus è una pratica molto complessa, ammettendo che fare sesso orale ad un uomo sia molto più facile. Innanzitutto mai fare un cunnilingus con la lingua di lato o orizzontalmente. Posizione rigorosamente frontale e labbra della bocca da schiacciare contro quelle vaginali. L'intrigo e l'attesa però sono fondamentali: è necessario cominciare lentamente, preferibilmente dall'interno coscia. E importante spingere il basso ventre con la mano per far emergere di più il clitoride e poi l'effettivo movimento della lingua: deve disegnare un otto sulla vagina. Si può lubrificare usando anche le dita facendo però particolare attenzione alle unghie: non devono essere troppo lunghe e non devono arrivare a toccare il punto G. Le difficoltà sono evidenti, ma non bisogna demordere e soprattutto non farsi scoraggiare: "La vagina è un grande mistero e ognuna ha una sensibilità diversa. La soluzione è chiedere cosa vuole la donna e cosa le piace. E’ un’esperienza da personalizzare".
Da "agi.it" il 13 gennaio 2021. Il papillomavirus umano, o HPV, può infettare anche bocca e gola e provocare neoplasie del cavo orofaringeo, e il contagio può avvenire anche in caso di rapporti sessuali orali frequenti con diversi partner. A evidenziarlo uno studio, pubblicato sulla rivista Cancer, a cura dell’American Cancer Society, condotto dagli esperti della Johns Hopkins University, che hanno scoperto che un numero di partner di rapporti orali maggiore di dieci sembra associato a una probabilità 4,3 volte maggiore di sviluppare un cancro orofaringeo correlato all'HPV. “Praticare rapporti orali in giovane età – afferma Virginia Drake della Johns Hopkins University – e con un’intensità elevata, quindi con diversi partner in brevi periodi di tempo, potrebbe essere associato a un rischio maggiore di neoplasie del cavo orofaringeo”. Il team ha condotto un sondaggio su 508 partecipanti, 163 dei quali affetti da cancro della bocca e della gola correlato all'HPV, chiedendo loro informazioni sull’intensità, la tempistica e la frequenza con cui avevano praticato rapporti orali. “Dai risultati – riporta l’esperta – emerge che gli individui che avevano avuto partner più anziani da giovani e quelli che avevano avuto rapporti extraconiugali avevano maggiori probabilità di sviluppare un cancro orofaringeo correlato all'HPV. Il nostro studio si basa su ricerche precedenti per dimostrare che il solo numero di partner non è sufficiente a determinare l’incidenza di neoplasie, ma che esiste una serie di fattori precedentemente poco considerati che influenzano queste eventualità”. “Dato che l'incidenza del cancro orofaringeo correlato all'HPV continua ad aumentare negli Stati Uniti – conclude Drake – il nostro studio offre una valutazione contemporanea dei fattori di rischio per questa malattia. Abbiamo scoperto ulteriori sfumature di come e perché alcune persone possono sviluppare questa problematica, il che può aiutare a identificare i soggetti potenzialmente più vulnerabili”.
Francesca Favotto per vanityfair.it il 26 aprile 2021. Il cunnilingus è l’atto orale migliore per raggiungere l’orgasmo. Anche se alcune donne non lo apprezzano o non lo vivono con serenità, va considerato di vivere l’atto essendo aperte all’esplorazione e alla sperimentazione. Ci sono tanti modi di dare (e ricevere) sesso orale ed è bello sperimentarli tutti. Alcune tecniche le trovate elencate e spiegate qui sotto e nella nostra gallery. Ma un consiglio: assicuratevi di comunicare in modo chiaro e onesto cosa vi piace e cosa no. Una corretta comunicazione significa che entrambi otterrete ciò che desiderate: ovvero una sex session soddisfacente e appagante.
Orale laterale. Questa è una versione “girata” della classica posizione sessuale del 69. Invece di montare il partner (o viceversa) dall’alto, concedetevi reciprocamente sesso orale poggiati su un lato. Una posizione più rilassante e distesa, forse, di quella classica, che offre una vista ravvicinata sui genitali dell’altro e richiede meno sforzo da parte del partner che di solito sta sopra. Assicuratevi solo di sollevare leggermente la parte superiore della gamba per non soffocare nessuno.
Il classicone. Non c’è niente di meglio di un classico collaudato. Questa posizione di cunnilingus consente a chi lo pratica un accesso completo alla vulva. Ha anche un ampio accesso al clitoride e alla vagina se lui/lei è interessat* a “ravvivarlo” con la penetrazione con le dita o con i sex toys. Lei giace supina con le ginocchia piegate sul letto (potete scegliere di stendere le ginocchia in una posizione a farfalla aperta o giocare con diverse posizioni delle gambe per sensazioni diverse). Chi lo pratica si stende pron* con il viso tra le gambe. Si può posizionare anche un cuscino sotto i fianchi, se volete più supporto ai lombi e togliere un po’ di tensione al collo, dando un migliore accesso alla vagina.
Face-sitting. Il face-sitting (tradotto “seduta sulla faccia”) è una delle migliori posizioni per il sesso orale per chi cerca un po’ di trasgressione, ma soprattutto controllo sull’azione. Chi lo pratica giace supin*, mentre lei si inginocchia sul suo viso, rivolto con il volto verso di lui/lei e le ginocchia su entrambi i lati della testa. Potreste appoggiare le braccia sopra la testiera o il muro (se a disposizione) per sollevare leggermente la vulva in modo da non esercitare troppa pressione sul petto del partner. Controllate se è a suo agio. In questa posizione di sesso orale, la ricevente ha molto controllo sul ritmo e sulla pressione della vulva, ed entrambe le mani di chi pratica sono libere di afferrare le natiche o di stimolare i capezzoli, per una dose extra di piacere.
Accesso completo. Questa posizione di cunnilingus è un pass per l’accesso completo alla vulva. Lei giace distesa sulla schiena con il sedere proprio sul bordo del letto/bancone/divano. Chi pratica si inginocchia (o si alza, a seconda dell’altezza) sul pavimento di fronte alla vulva, mettendo un cuscino sotto le ginocchia per rendere più agevole la situazione. Se lo desiderate, potete mettere i piedi o le gambe sulle spalle di lui/lei per un po’ più di equilibrio. Questa posizione di sesso orale libera le mani di chi lo pratica per una penetrazione con le dita o per la stimolazione dei capezzoli, ma permette anche la penetrazione con la lingua.
Orale doggy style. Ecco una posizione versatile per il sesso orale. Lei si mette carponi, mentre chi pratica si inginocchia dietro di lei, dandole il controllo della pressione e dell’angolo a causa della capacità di piegarsi all’indietro sul viso di chi lo pratica. Potete stare carponi o sdraiarvi con le gambe divaricate, a seconda di quale vi è più comodo.
Face-sitting inverso. Questa interpretazione del face-sitting offre una nuova svolta. È come una cowgirl inversa: chi pratica giace supin*, mentre la ricevente si inginocchia sul viso, rivolta verso i piedi, le ginocchia su entrambi i lati della testa di lui/lei. Potete mettere le mani sul petto, sui fianchi del partner o sul letto per mantenere l’equilibrio. Volendo, potete piegarvi anche in avanti, facendo un 69, o dando piacere a lui/lei con le mani o la bocca.
In piedi, contro il muro. Appoggiate la schiena contro il muro o una porta. Chiedete a lui/lei di inginocchiarsi davanti a voi e se vi è comodo, mettete un piede o una gamba sulla sua spalla per dargli più accesso al clitoride. Non abbiate paura di inserire anche un sex toys con questa posizione di sesso orale.
· I Feticisti.
DAGONEWSil 17 aprile 2021. La maggior parte di noi ha dei segreti. Ma alcuni di noi nascondo le loro voglie sessuali con il partner per paura di non essere compresi: sono coloro che amano il fetish o le pratiche BDSM che spesso tendono a nascondersi e gestiscono le loro voglie da soli. Altri invece vorrebbero essere accettati e condividere i propri desideri con il partner. La sexperta Tracey Cox rivela quali sono gli indizi che possono portarci a pensare che il nostro partner ha delle voglie particolari.
I loro vestiti e il comportamento possono darvi un indizio. Le persone che amano il BDSM indossano spesso cose che rimandano al loro “segreto”: un girocollo in pelle o un cinturino in pelle con borchie. Se è un feticista dei piedi presterà una quantità anormale di attenzione alle tue scarpe e guarderà anche le scarpe degli altri.
Ti chiedono qual è la cosa più bizzarra che hai fatto sessualmente. L'idea è di capire quanto sei aperto a nuove esperienze senza uscire allo scoperto. A volte, ti fanno domande casuali su quanto sei stato avventuroso. “Hai mai fatto una cosa a tre? Hai mai frustato qualcuno/sei stato legato?. Altri vanno al punto chiedendoti apertamente se hai mai provato.
Ti suggeriscono di guardare un porno a tema. Se guardi il porno insieme, questo è il modo più probabile in cui il tuo partner scoprirà se sei aperto o meno ad esplorare il loro lato perverso. «Ho letto di/mi sono imbattuto/ho sentito parlare di questo porno davvero interessante. Vuoi guardarlo con me?». Se dici di sì, ti guarderanno ansiosamente in faccia mentre lo fai alla ricerca di segni di eccitazione o disgusto.
Fanno uno scherzo. Se la tua reazione al porno è stata “Perché stiamo guardando questo?” a quel punto lui reagirà in due modi. Continueranno a soddisfarsi masturbandosi con un porno a tema. Oppure cercheranno qualcuno in grado di soddisfarlo. Se, invece, sei sembrato divertito, il passo successivo è spesso un suggerimento scherzoso a provare.
Proveranno una versione annacquata di ciò che vogliono. Se ti tira i capelli e si eccita davvero, potrebbe avere voglia di provare il BDSM.
Quella sculacciata "giocosa" che lo eccitata, potrebbe essere un suggerimento che desiderano ardentemente tirare fuori la frusta o la pagaia nascosta sotto il letto.
Vogliono fare la stessa cosa tutto il tempo. Il tuo partner vuole che tu indossi calze e tacchi a letto per eccitarsi o raggiungere l’orgasmo? Non c’è dubbio che ti stia nascondendo qualcosa.
Cosa fare quando il tuo partner confessa. Non importa quanto tu sia scioccato, una risposta istintiva negativa a una confessione farà male.
Cerca di non giudicare. Invece, fai domande e chiedi maggiori informazioni. Essere dei feticisti non è sempre malsano o è segno di un disturbo psicologico. Diventano un problema solo se danno frutto a un comportamento non consensuale, se rappresentano un livello inaccettabile di rischio o se causano grave disagio psicologico.
· Durante la Menopausa.
Da blitzquotidiano.it il 6 agosto 2021. La fine della vita riproduttiva femminile, dovuta alla menopausa, è influenzata dal Dna. Sono infatti 290 le variazioni genetiche e circa 80 i geni che modulano l’arrivo della menopausa, precoce o tardiva che sia. Ma, manipolando alcuni di questi geni, diventa possibile ritardarne l’inizio, come hanno dimostrato alcuni esperimenti in laboratorio sui topi. Il risultato ottenuto nei roditori è la prova di principio che in futuro potrebbe aiutare a sviluppare nuove terapie per l’infertilità, come spiega lo studio pubblicato sulla rivista Nature.
Menopausa, cosa dice la ricerca. Alla ricerca, coordinata dall’Università britannica di Cambridge, hanno partecipato ben 180 istituzioni di tutto il mondo. Tra cui anche diversi centri italiani, fra i quali l’istituto San Raffaele di Milano, il Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) di Cagliari e il Burlo Garofolo di Trieste. I ricercatori, guidati da John Perry, hanno lavorato su due fronti: uno di analisi genetica e statistica, e l’altro di laboratorio. In particolare hanno analizzato i dati genetici presenti in due banche dati di 210.323 donne di origine europea, entrate in menopausa tra i 40 e 60 anni. E di 80.000 donne di origine asiatica, per un totale di circa 13,1 milioni di varianti genetiche. Di queste, si è visto che 290 regolano il processo di invecchiamento delle ovaie e il periodo di comparsa della menopausa. Molti di questi geni, inoltre, sono collegati ai processi di riparazione del Dna. Alcuni di essi sono attivi già prima della nascita e altri continuano a esserlo per tutta la vita.
Le varianti della menopausa. “Complessivamente sono state identificate 290 varianti e circa 80 geni che regolano l’età naturale della menopausa. Molti di questi sono coinvolti nella morte cellulare e nella riparazione del Dna. Un meccanismo quest’ultimo che porta anche alla perdita degli ovociti”, spiega all’ANSA Daniela Toniolo, ricercatrice del Centro di scienze omiche del San Raffaele. Tra questi ci sono i geni CHEK1 e CHEK2, che regolano diversi processi di riparazione del Dna. In particolare, i test sui topi hanno indicato che spegnendo il gene CHEK2 e facendo lavorare di piú CHEK1 si riesce a prolungare la vita riproduttiva di circa il 25%. Un elemento coerente con il fatto che le donne prive del gene CHEK2 vanno in menopausa circa 3,5 anni piú tardi delle altre donne. “I topi non vanno in menopausa ma hanno un calo della fertilità – conclude Toniolo – Questi risultati ci fanno pensare che potrebbero esserci dei modi farmacologici per allungare il periodo di fertilità nelle donne, in particolare chi l’ha persa precocemente”. I ricercatori hanno infatti verificato che l’arrivo prima del tempo della menopausa aumenta il rischio di avere il diabete di tipo 2, osteoporosi e fratture, mentre riduce la probabilità di avere alcuni tipi di tumore influenzati dagli ormoni sessuali.
Menopausa, perchè alcune donne hanno un calo del desiderio sessuale e altre no. Alice Politi il 18/3/2021 su Vanityfair.it. Uno studio rivela cosa determina il rischio di disfunzioni sessuali femminili durante la menopausa. Il passaggio alla menopausa è spesso accompagnato da problematiche sessuali, quali il calo del desiderio. Tuttavia, non tutte le donne lo sperimentano allo stesso modo. Un nuovo studio ha identificato gli elementi che influenzano il rischio di disfunzioni sessuali in una donna e ha cercato di determinare l’efficacia della terapia ormonale nel ridurre tale rischio e modificare il comportamento sessuale. I risultati di tale studio sono pubblicati online su Menopause, la rivista della North American Menopause Society (NAMS). Sebbene le vampate di calore siano facilmente classificabili come il sintomo più comune della menopausa, la transizione è spesso accompagnata da altri problemi, inclusi i cambiamenti che influenzano la libido di una donna, la soddisfazione sessuale e il comportamento sessuale generale. Poiché la terapia ormonale è l’opzione di trattamento più efficace per aiutare le donne a gestire i sintomi della menopausa, è stata al centro di questo nuovo studio al fine di determinare il motivo per cui alcune donne sperimentano una disfunzione sessuale maggiore di altre. Lo studio ha coinvolto più di 200 donne di età compresa tra 45 e 55 anni e ha rilevato che le donne con istruzione secondaria e superiore e un maggior numero di partner sessuali a vita avevano meno probabilità di sperimentare disfunzioni sessuali. Al contrario, le donne con comportamenti più ansiosi durante l’attività sessuale e quelle con sintomi della menopausa più gravi erano più a rischio di disfunzione sessuale. Non è emerso che la terapia ormonale possa mitigare il rischio di disfunzione sessuale, né ha svolto un ruolo importante nel determinare i comportamenti sessuali. Tuttavia, le donne che fanno uso della pillola hanno in genere una maggiore stima del corpo durante le attività sessuali; migliore funzione sessuale in tutti i sensi, ad eccezione del desiderio/interesse; migliore qualità delle relazioni; e meno lamentele sessuali (diversi dai problemi di eccitazione) rispetto a quelle donne che non lo fanno. Importanza nell’aiutare a mantenere la funzione sessuale di una donna rivestivano le esperienze sessuali positive, gli atteggiamenti nei confronti del sesso, l’immagine del corpo e l’intimità relazionale. «Questi risultati sono coerenti con i risultati di studi precedenti», ha commentato Stephanie Faubion, Direttore medico NAMS, «e sottolineano che fattori diversi dall’uso della terapia ormonale, come la maggiore importanza del sesso, atteggiamenti positivi verso il sesso, la soddisfazione del proprio partner e un minor numero di sintomi genito-urinari associati alla menopausa sembrano essere protettivi e sono collegati a una migliore funzione sessuale durante la transizione della menopausa».
Non solo menopausa: cos'è l'andropausa e come si cura. Rosa Scognamiglio il 28 Ottobre 2021 su Il Giornale. L'andropausa riguarda circa il 70% della popolazione maschile over 60 ed è caratterizzata da una carenza di testosterone: quali sono i sintomi e come curarla. Dopo i 60 anni, moltissimi uomini sono costretti a fare i conti con l'andropausa. Contrariamente ai luoghi comuni, si tratta di una condizione transitoria che riguarda circa il 71% della popolazione maschile in età adulta. Se diagnosticata tempestivamente, l'andropausa può essere curata in modo efficace. Uno stile di vita sano ed equilibrato, in abbinamento a una terapia farmacologica adeguata, garantisce il ripristino della produzione ormonale a beneficio dell'attività sessuale.
Cos'è l'andropausa
Quando parliamo di andropausa siamo soliti pensare che sia l'equivalente della menopausa femminile: niente di più sbagliato. Se nelle donne si assiste a una totale cessazione della capacità riproduttiva (la menopausa è una sindrome clinica universalmente riconosciuta), nell'uomo si registra un calo fisiologico della produzione ormonale. La letteratura medica contemporanea preferisce utilizzare l'acronimo PADAM (Partial Androgen Deficiency in Aging Male – Parziale Carenza di Androgeni negli Uomini Anziani) in alternativa alla definizione tradizionale. A fronte di quanto accertato, possiamo definire l'andropausa come una condizione caratterizzata da un deficit di ormoni maschili, in primis del testosterone. Poi ci sono, nell'ordine:
LH: un ormone secreto dall'ipofisi che stimola la produzione di testosterone;
Deidroepiandrosterone: un precursore degli ormoni sessuali (sia maschili che femminili) prodotto dal surrene;
Androstenedione: un ormone secreto dai testicoli;
Androstenediolo: regolatore dell'LH;
Androsterone: un ormone androgeno che è presente negli organi genitali (testicoli e ovaie).
Quanto alla casistica, i dati riferiscono di un'incidenza relativamente bassa fino ai 50 anni, mentre è più alta tra gli uomini che abbiano raggiunto il 65esimo anno di età.
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Cause e sintomi
Generalmente l'andropausa si manifesta con un calo della libido, ovvero, una riduzione del desiderio sessuale. In buona sostanza, diminuisce la reattività alle stimolazioni erotiche di tipo fisico e psicologico.
Dal punto di vista sintomatologico, le principali caratteristiche dell'andropausa sono:
calo del desiderio sessuale;
assenza di erezione;
perdita di tono dei tessuti genitali;
ipogonadismo (riduzione della funzionalità dei testicoli);
riduzione dell'espulsione spermatica;
impossibilità nel raggiungimento del piacere orgasmico.
Ci sono poi dei sintomi che possiamo definire di natura extra-sessuale (secondari) trattandosi di campanelli d'allarme anticipatori dell'andropausa vera e propria. E sono:
difficoltà a urinare;
ingrandimento della prostata;
caduta dei capelli;
riduzione dei peli pubici;
ginecomastia (ingrossamento delle mammelle);
insonnia;
ansia e irritabilità;
depressione.
Quanto alle cause di questa patologia, gli esperti ritengono siano imputabili (anche) a uno stile di vita malsano. Altri fattori di rischio possono essere il consumo eccessivo di bevande alcoliche, il tabagismo e l'assunzione di alcuni farmaci.
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Diagnosi e terapia
L'andropausa viene diagnosticata con un esame del sangue utile a misurare i dosaggi ormonali e segnalare l'eventuale deficit di testosterone. In alternativa, possono essere eseguite specifiche analisi strumentali quali, ad esempio, l'ectomografia che serve a misurare il volume testicolare.
Quanto alla terapia è estremamente soggettiva e variabile da un caso all'altro. Generalmente, il trattamento prevede l'uso di farmaci in grado di colmare le carenze di ormoni androgeni. La somministrazione, da concordare con un andrologo, può avvenire in tre modi differenti:
via intramuscolare, con una iniezione che deve essere ripetuta circa ogni 15 giorni;
via topica, mediante l'applicazione di un gel sulle spalle, braccia e addome;
via transdermica, con dei cerotti che rilasciano una quantità costante di testosterone.
Infine, uno stile di vita sano ed equilibrato può favorire il ripristino della produzione ormonale a beneficio di una rinnovata attività sessuale. In ogni caso, si sconsigliano le iniziative personali e i rimedi casalinghi.
Silver sex, a 60 anni si fa più che a 30: tutti i consigli. Rosa Scognamiglio l'8 Settembre 2021 su Il Giornale. Esplode la tendenza del silver sex, a 60 anni si fa più sesso che a 30: è questa l'ultima evidenza degli esperti, ecco i consigli per una vita di coppia gratificante. A 60 anni si fa più sesso che a 30. Lungi dall'immaginario collettivo per cui la libido affievolisce durante la terza età, il silver sex può riservare momenti di piacere intenso rendendo l'esperienza sessuale ancor più appagante che in gioventù. Studi recenti hanno dimostrato che i senior hanno una vita sessuale molto più gratificante dei cosiddetti Millenial (generazione tra i 30 e i 40), a testimonianza del fatto che l'età anagrafica è ininfluente sulla qualità delle performance in camera da letto. Lo scorso anno, ad esempio, i Centers for Disease Control and Prevention degli Stati Uniti hanno pubblicato un rapporto che dimostra come gl over 50 e 60 facciano molto più sesso rispetto ai Millennial, i nati tra il 1980 e il 2000, e la successiva Gen Z. Sfatiamo subito un tabù: dopo i 60 anni non c'è solo il burraco o la bocciofila. Fior fior di ricerche, condotte da alcune delle più autorevoli università di tutto il mondo, hanno accertato che mantenere una vita sessuale attiva riduce il rischio di sviluppare patologie (anche severe) a carico del sistema endocrino o cardiovascolare. Ma non è tutto.
I benefici del silver sex sono molteplici:
Modera lo stress;
Rallenta il processo di senescenza;
Riduce il rischio di tumore alla prostata;
Evita l'ispessimento del pavimento pelvico;
Limita l'insorgenza di patologie cardiovascolari;
Rafforza il tono muscolare;
Migliora la coordinazione motoria.
Durante l'attività sessuale, inoltre, l'organismo produce alcune sostanze utili al benessere psicofisico della persona. In primis la serotonina, ovvero una sorta di antidepressivo naturale che regola il ciclo sonno/veglia e la pressione sanguigna, garantendo una gradevole sensazione di rilassamento. Al di là dei risvolti emotivi, è chiaro che fare sesso dopo i 60 anni non è come a 20 o a 30: il corpo cambia e bisogna ricalibrare le proprie energie. Ma non per questo motivo vale la pena scoraggiarsi. Anzi. Prendendo le dovute precauzioni, è possibile cimentarsi in una performance piacevole e soddisfacente. Non è così raro che gli uomini, specie durante la terza età, riscontrino problemi di disfunzione erettile o prostatiti. A tal riguardo, sarebbe opportuno rivolgersi preventivamente a un urologo in modo da scongiurare il rischio di patologie che potrebbero inibire l'attività sessuale. Lo stesso si dica per le donne che, complice la menopausa, potrebbero imbattersi in disturbi urinari con conseguente infiammazione delle mucose vaginali. Dunque, il consiglio è quello di contattare un ginecologo per un check up di controllo. In linea generale, una visita specialistica può essere di grande aiuto e rassicurazione. Affrancato l'aspetto "tecnico" della faccenda, resta da snocciolare quello emotivo. Dopo i 60 anni, la libido tende a diminuire e le pulsioni sessuali diventano più contenute. Tuttavia, il cambiamento non deve in alcun modo spaventare: rientra nel corso naturale degli eventi. Per aumentare i livelli di testosterone, l'ormone che più degli altri incide sulla libido maschile, occorre rivedere alcune abitudini e rimodularle in base alle nuove esigenze del corpo. Ecco qualche suggerimento:
Praticare sport: aiuta a mantenere la tonicità muscolare e favorisce la produzione dell'ormone steroideo;
Mangiare bene: consente di mantenersi in salute rendendo il corpo più performante. Inoltre, alcuni cibi sono stimolanti il piacere sessuale fungendo da vasodilatatori degli organi genitali;
Assumere integratori naturali: gli estratti erbali, come la maca, possono essere utili per dare sprint alla libido.
Riscoprire la sessualità durante la terza età non è sempre facile, specie se la relazione col proprio partner è già consolidata da molti anni. La routine può incidere negativamente sul rapporto di coppia a danno, in particolar modo, dell'intesa sessuale. Per ritrovare il feeling sotto le lenzuola bisogna impegnarsi e avere pazienza. Ci sono però dei piccoli accorgimenti che potreste adottare per dare nuova linfa alla relazione. Si tratta di semplici suggerimenti che, magari, potranno esservi utili nel caso in cui stiate provando a "recuperare terreno" in camera da letto. Ecco quali sono:
Curare l'aspetto fisico: la trasandatezza è nemica dell'eros. Rendetevi attraenti, magari sorprendendo il vostro partner con un capo di abbigliamento insolito o aggiungendo qualche dettaglio al vostro look abituale;
Concedetevi una cena romantica: sorprendete la vostra metà con uno spuntino afrodisiaco o invitandola fuori a cena;
Praticate i preliminari: sono fondamentali per approcciare al vostro partner. L'esperienza tattile stimola i sensi e riaccendere la passione.
Coccolatevi: dopo un rapporto sessuale, trascorrete un po'di tempo sotto le lenzuola. Un abbraccio racchiude il senso più intimo e profondo dell'intimità di coppia. E non c'è nulla di più sensuale.
Rosa Scognamiglio. Nata a Napoli nel 1985 e cresciuta a Portici, città di mare e papaveri rossi alle pendici del Vesuvio. Ho conseguito la laurea in Lingue e Letterature Straniere nel 2009 e dal 2010 sono giornalista pubblicista. Otto anni fa, mi sono trasferita in Lombardia dove vivo tutt'oggi. Ho pubblicato due romanzi e un racconto illustrato per bambini. Nell'estate del 2019, sono approdata alla redazione de IlGiornale.it, quasi per caso. Ho due grandi amori: i Nirvana e il caffè. E un chiodo fisso...La pizza! Di "rosa" ho solo il nome, il resto è storia di cronaca nera.
Dagotraduzione dal Daily Mail il 16 agosto 2021. Sempre più persone ascoltano storie di amici e parenti mai sposati, vedovi o divorziati che si innamorano. Che si stiano semplicemente frequentando a lungo termine o a distanza, che vadano a vivere insieme, che si sposino o che facciano una combinazione di quanto sopra, i soggetti di queste storie sono così spesso sorprendentemente, inaspettatamente felici. La ricerca mostra che la durata della vita più lunga, il cambiamento dell'atteggiamento nei confronti del matrimonio e del divorzio e l'evoluzione delle opinioni culturali stanno alimentando uno tsunami di amore in età avanzata. Siamo la prima generazione a vivere così a lungo in così buona salute e a divorziare in così grande numero nella mezza età. Ma, sempre di più, anche le vedove stanno tornando felicemente a collaborare tra i 50 e i 60 anni. Sorprendentemente, il 67 per cento dei divorziati di età compresa tra 55 e 64 anni si risposa, e anche il 50 per cento di quelli di 65 anni e più. Dati recenti dell'Ufficio per le statistiche nazionali mostrano che i matrimoni tra gli over 65 sono aumentati in qualsiasi fascia di età nell'ultimo decennio. Di conseguenza, milioni di persone si stanno godendo il miglior sesso della loro vita. Sorprendentemente, nonostante i nostri anni che avanzano, non abbiamo rinunciato al sesso: lo abbiamo ampliato. Quando siamo giovani, alcuni di noi hanno la fortuna di fare sesso passionale che esplode nell'orgasmo. Altri potrebbero fare "sesso così così", senza mai sentirsi completamente a proprio agio con l'idea di esprimere quei bisogni sessuali. Coloro che hanno una relazione a lungo termine potrebbero essersi abituati a strappare tempo per il sesso in un programma caoticamente fitto di lavoro e figli e di gestione della vita. Se sei divorziato o vedovo, potresti aver passato anni senza sesso. Qualunque siano le tue esperienze precedenti, che tu abbia 50 o 80 anni, lascia che ti dica che una nuova relazione ti dà l'opportunità di sperimentare la sessualità in modi nuovi e profondamente soddisfacenti. Coloro che hanno relazioni a lungo termine in cui l'energia sessuale potrebbe essere svanita potrebbero – e dovrebbero – anche usare questa opportunità per trarre ispirazione dalla coppia e reinserire un po' di brillantezza tra le lenzuola. Per un ottimo sesso dopo i 60 anni, dovrai rivedere le tue aspettative. Non aspettarti che i corpi più anziani si comportino come quelli più giovani. Probabilmente hai perso massa muscolare. Forse ti fanno male le articolazioni. Con l'invecchiamento, il flusso sanguigno alle terminazioni nervose nei genitali, maschili e femminili, diminuisce. Problemi cardiaci, ipertensione, diabete e altre patologie mediche hanno un impatto sulla sessualità. Alcuni farmaci da prescrizione interferiscono con il desiderio sessuale e il funzionamento. Ognuno è diverso. Molti uomini iniziano a perdere le loro erezioni intorno ai 50 anni. Alcuni sul finire dei 70 invece non hanno problemi. Alcuni si allenano regolarmente in palestra e rimangono forti e agili. Altri hanno avuto attacchi di cuore o problemi respiratori e lottano per essere attivi, sia in camera da letto che fuori. Se sei una donna, è probabile che i tuoi estrogeni siano evaporati, e se sei un uomo, il tuo testosterone sarà diminuito. Sarai più lento a ottenere e mantenere un'erezione (per non parlare di averne un'altra dieci minuti dopo). Puoi eiaculare o non eiaculare affatto. Le ginocchia potrebbero limitare il tuo repertorio di posizioni. Ma niente di tutto questo dovrebbe impedirti di divertirti a letto. Parlarne prima porta a un sesso migliore. Se sei una donna ansiosa di sapere se ti farà male, se sei un uomo preoccupato di perdere l'erezione, è meno probabile che tu faccia del buon sesso. Tu e il tuo partner dovete risolverlo insieme. Collaborare. Ditevi cosa potete e non potete fare, cosa vi fa sentire bene e cosa no, cosa vi serve per sentirvi sexy. La chiave per un ottimo sesso è parlare. Dire ciò che si vuole aiuta a ottenerlo, purché lo si faccia al momento giusto e nel modo giusto. Prima di avvicinarti alla camera da letto, è meglio informare il tuo partner dei possibili problemi in anticipo, magari davanti a un bicchiere di vino a tavola o durante una passeggiata. Se ritieni che sia troppo presto per rivelare cose che ti imbarazzano, è troppo presto anche per fare sesso. Quando hai conversazioni imbarazzanti, è bene sapere che puoi fidarti che questa persona sia gentile. Quando sarai più anziano, esporrai il tuo corpo che invecchia, con i suoi inevitabili limiti e le cicatrici. Stare nudi con una persona nuova può essere spaventoso. Vuoi sapere che il tuo partner non ti giudicherà. Quando andate a letto, la comunicazione non verbale di solito è la migliore. Guida la mano del tuo partner e usa le parole (più veloce, più lento, più morbido, vai a sinistra, a sinistra, oh, rimani lì: non muoverti, non muoverti, non muoverti: ora muoviti!). Sintonizzati sul respiro, sui ritmi e sui gemiti di piacere (o sull'occasionale "ahi!"). Non dire mai cosa fa di sbagliato il tuo partner; invece, dì cosa ti piacerebbe e come ti piacerebbe. Se uno di voi si sente a disagio per quello che è successo (o non è successo), evita lo scenario imbarazzante in cui qualcuno chiede scusa. Le scuse e il buon sesso non vanno d'accordo. Una delle cose meravigliose dell'avere la nostra età è che siamo tutti cambiati e siamo vulnerabili in modi diversi, e nessuno di noi ha nulla di cui scusarsi. Non ci resta che capire cosa farà piacere a ciascuno di noi. Più facciamo di questa impresa comune, migliori saranno il nostro sesso e la nostra intimità. Se il tuo matrimonio è stato in bianco per molto tempo, potrebbe volerci del tempo per considerarti un essere sessuale capace sia di dare che di ricevere piacere. Se hai trovato la persona giusta, ricomincia da capo. Non fare supposizioni su te stesso o sul tuo partner. Apriti a nuove possibilità e sensazioni. Probabilmente conosci abbastanza bene il tuo corpo, ma preparati anche a sperimentare. Potresti scoprire sensazioni esagerate che non sapevi esistessero. Dopo decenni di crescita, è probabile che tu sia più sicuro di te, più a tuo agio nel rivelarti e nell'essere coraggiosamente vicino. Questa capacità di onestà e intimità può intensificare il sesso. La sfida è espandere il tuo pensiero sul sesso. Potete aiutarvi a vicenda a farlo. Puoi persino diventare orgasmico in nuovi modi. Non tutti sanno, ad esempio, che gli uomini possono raggiungere l'orgasmo senza un'erezione. Se sei una donna che ha avuto un orgasmo ogni volta che hai avuto rapporti sessuali, sei davvero una donna rara. Ma se non puoi o preferisci non avere rapporti, chiedi il tipo di tocco che ti piace. Sperimenta sensazioni su tutto il corpo, luoghi che di solito non consideri sessuali: la schiena, l'incavo del ginocchio, le dita dei piedi. Potresti essere sorpresa da ciò che trovi erotico. Anche se non raggiungi l'orgasmo, potresti sperimentare picchi erotici che ti soddisfino. Una volta raggiunta la mezza età e oltre, il sesso non riguarda solo la lussuria; si tratta di amore. Quindi cogli ogni occasione per esprimerlo. Usa parole, gesti e un tenero contatto visivo. Bacia appassionatamente. Rannicchiatevi l'uno nelle braccia dell'altro. Invia messaggi dolci o sexy quando sei lontano. Salutatevi con abbracci e baci. Se vivete insieme, potete connettervi frequentemente in modi diversi. Puoi segnalare la passione con un intenso contatto visivo, scompigliarvi i capelli a vicenda, strofinarvi la schiena a vicenda. Se dici "ti amo" quando l'affetto esplode, l'amore può trasformarsi in passione, caricando il sesso e rendendolo tenero. L'intimità più profonda è tra pari. Così è il sesso più appassionato. Quando ami come una persona anziana, ti unisci a vite passate, relazioni, figli, carriere, interessi e credenze. Potresti essere più vecchio, ma ora hai molte più possibilità di essere una persona uguale e indipendente nella tua relazione romantica. E, all'interno della tua partnership, puoi continuare a crescere come individuo. Ciò che rende il sesso non solo possibile ma sorprendente per le coppie anziane ha poco a che fare con il bilancio dell'età sui tuoi corpi. Riguarda la connessione emotiva tra amanti uguali ed emotivamente saggi. Se non fai sesso da molto tempo, consulta prima il tuo medico di famiglia. Una prescrizione per una crema agli estrogeni (per le donne) e/o un farmaco per la disfunzione erettile (DE) (per lui) potrebbe sicuramente valere la pena di prendere in considerazione. Farmaci come il Viagra e il Cialis agiscono aumentando il flusso sanguigno al pene in modo che si gonfi e rimanga duro più a lungo, ma non è un effetto automatico: funzionano solo se sei emotivamente eccitato. Alcune coppie lo adorano. Alcune donne si lamentano che l'erezione è troppo dura o dura troppo a lungo. Alcuni uomini sperimentano spiacevoli effetti collaterali come mal di testa, vampate di calore, disturbi di stomaco e alterazioni della vista. Il Viagra dura solo poche ore, mentre il Cialis può avere un effetto più delicato che dura quasi due giorni e permette rapporti più spontanei durante quel periodo. Se il tuo medico dice che sei abbastanza in salute da prendere queste compresse e fare sesso, provane una e scopri se va bene per entrambi. Per le donne, anche il tipo di lubrificante che usi è importante. Dimentica il farmacista locale: devi controllare una gamma più ampia di opzioni in un sexy shop di classe o ordinare discretamente online (spesso puoi ottenere campioni). Ogni lubrificante ha i suoi vantaggi. Quelli a base d'acqua si lavano facilmente, ma potresti doverli reintegrare durante il sesso. I lubrificanti a base di silicone durano più a lungo e alcune persone li preferiscono come si sentono. Prova entrambi.
Dagotraduzione dal Times il 3 settembre 2021. Secondo la ricerca, il Viagra potrebbe essere preso per proteggere il cuore. I ricercatori hanno scoperto che il farmaco per la disfunzione erettile sopprime fortemente i ritmi cardiaci anormali, noti come aritmie, che possono portare a morte cardiaca improvvisa. Il farmaco, noto anche come sildenafil, è stato in grado di sopprimere un'aritmia chiamata torsione di punta entro 90 secondi riducendo la frequenza dei ritmi cardiaci irregolari causati dalla manipolazione anormale del calcio. Le aritmie cardiache spesso seguono un infarto o sono il risultato di malattie cardiache. Sono spesso benigni ma possono causare palpitazioni, affanno, svenimenti e talvolta morte improvvisa. Esistono trattamenti, come betabloccanti e defibrillatori impiantabili, ma non sono sempre efficaci. Un team dell'Università di Manchester, finanziato dalla British Heart Foundation, ha testato l'impatto del Viagra sul cuore usando le pecore, ma ha dichiarato che i risultati potrebbero avere importanti implicazioni per l'uomo. Lavorando su cellule muscolari cardiache isolate di pecora, il team è stato anche in grado di misurare le loro riserve di calcio. Il calcio è un fattore chiave dell'azione di pompaggio del cuore e un sovraccarico può essere la causa principale delle aritmie. Secondo lo studio, pubblicato su Circulation Research, il Viagra è stato in grado di sopprimere il meccanismo nella cellula che causa il sovraccarico di calcio. Il dottor David Hutchings, l'autore principale, ha detto: «Non solo questo studio ha dimostrato che il Viagra ha un potente effetto antiaritmico sul tessuto cardiaco vivente, ma i nostri studi sulle cellule hanno anche scoperto il meccanismo con cui ciò accade. Anche se abbiamo studiato l'effetto nelle pecore, riteniamo che questa scoperta possa essere rilevante per l'uomo. Il cuore umano è di dimensioni simili a quello di una pecora, così come la sua anatomia e i relativi circuiti elettrici». «Quindi questa scoperta potrebbe un giorno generare il potenziale per un trattamento efficace su quello che può essere un problema devastante. Chiaramente, chiunque abbia un'aritmia cardiaca non dovrebbe auto-medicarsi e dovrebbe consultare il proprio medico di famiglia per un consiglio sulle attuali opzioni di trattamento». Il professor Metin Avkiran, direttore medico associato presso la British Heart Foundation, ha detto che «una migliore comprensione di come si verificano i disturbi del ritmo cardiaco potrebbe aprire la strada a migliori prevenzioni e trattamenti per loro. Sono necessarie ulteriori ricerche, tuttavia, prima che il Viagra e farmaci simili possano essere riutilizzati per il trattamento dei ritmi cardiaci anormali nei pazienti». Lo studio si basa su ricerche precedenti che hanno scoperto che nei pazienti con diabete il Viagra riduce il rischio di infarto.
Che cos'è il «maintenance sex», il sesso di mantenimento. Miriam Tagini il 16 agosto 2021 su vanityfair.it. Molte coppie hanno probabilmente intrapreso la pratica del maintenance sex senza neanche saperlo. Ecco di cosa si tratta e quali sono i pro e i contro. Avete mai sentito parlare di maintenance sex? È il sesso di mantenimento. Suona strano? Forse perché associamo più probabilmente la parola manutenzione a qualcosa che dobbiamo fare per un’auto o per una proprietà. Ma da qualche tempo, questo stesso termine è stato sempre più usato in relazione al sesso e alla vita di coppia. Chiunque abbia avuto una relazione duratura sa che prima o poi il periodo rosa e fiori dei primi mesi bollenti va a scemare, e che quando la vita si mette di mezzo, è facile sentirsi troppo impegnati per darsi da fare sotto le lenzuola. Per coloro che hanno relazioni a lungo termine, la differenza tra la vita sessuale sul nascere della coppia e quella attuale potrebbe sembrare assai netta. Che si tratti di orari di lavoro frenetici con turni troppo lunghi, o lo stress di portare avanti un lavoro full time e al tempo stesso prendersi cura dei figli e della casa, spesso alla fine della giornata le coppie sono troppo stanche per amoreggiare. Se vi rispecchiate in quanto fin qui descritto, forse troverete conforto nel sapere che la diminuzione dell’intimità sessuale è normale in molte relazioni. È infatti comune per molte coppie in una relazione da anni avere quelli che in gergo vengono chiamati “periodi di siccità”. Si tratta di periodi di tempo, più o meno lunghi, in cui semplicemente non c’è sesso. Un recente sondaggio online ha dimostrato che che molte coppie sposate, fidanzate o con relazioni a lungo termine sono passate da avere rapporti quattro volte a settimane a una volta sola. «C’è un momento in una relazione in cui si è superata la fase di infatuazione e scoperta. Siete al sicuro l’uno con l’altro e lo stress e gli obblighi della vita iniziano a diventare una priorità – ha affermato il dottor Sanam Hafeez, psicologo clinico di New York – Ci sono un sacco di fattori di stress esterni e cose che possono minacciare la possibilità di essere “dell’umore giusto” per il sesso nonostante si sia innamorati». Tuttavia, la vita sessuale (così come la sua mancanza) svolgono un importante ruolo all’interno di una relazione. La connessione a livello fisico ha infatti una funzione fondamentale nella vita di coppia. Anche se non esiste un numero magico in grado di indicare quante volte va consumato un rapporto (la frequenza ideale può variare significativamente da coppia a coppia a seconda dell’età, libido, dello stato di salute e altri fattori), uno studio del 2017 ha indicato una frequenza ideale di una volta alla settimana per mantenere un certo livello di felicità di coppia. Ecco allora che entra in scena il maintenance sex. Ma di che cosa si tratta esattamente? Con il termine maintenance sex si intende la pratica di incorporare consapevolmente il sesso all’interno della propria relazione, con l’obiettivo di mantenere una certa frequenza di attività fisica sotto le lenzuola. A seconda della coppia, questo potrebbe significare pianificare il sesso in anticipo o semplicemente prendere la decisione di farlo anche quando si è stanchi e non molto dell’umore. Ciò però non deve essere interpretato erroneamente come una pressione su uno dei due partner per fare sesso. Il maintenance sex è un sesso concordato da entrambi gli individui. E secondo gli esperti, questa pratica potrebbe essere vitale per le relazioni a lungo termine. Ma è davvero così?
I BENEFICI DEL MAINTENANCE SEX. Quando la vita diventa frenetica e gli orari di lavoro si allungano, il sesso di mantenimento può aiutare le coppie a riaccendere l’intimità. Secondo gli esperti, quando le coppie fanno sesso consensuale, anche se non sono magari “dell’umore”, sperimentano in ogni caso gli effetti positivi dell’atto. Il sesso infatti riduce i livelli di cortisolo, conosciuto anche come l’ormone dello stress, e rilascia sostanze chimiche per il benessere nel cervello, tra cui serotonina e ossitocina. L’ossitocina è un elemento chiave nelle interazioni sociali e nelle reazioni sentimentali, per questo ha preso il soprannome di ormone dell’amore. Ecco perché solitamente dopo un rapporto ci si sente più vicini al proprio partner. Non solo. Svariate ricerche affermano che il sesso ha molteplici benefici per la salute che vanno oltre il benessere mentale e di coppia. Tra i vari comprovati benefici a livello fisico è stato dimostrato che il sesso aiuta a diminuire la pressione sanguigna e di conseguenza migliorare il sistema cardiovascolare. Il sesso rafforza anche il sistema immunitario e fornisce un sollievo totale o parziale dall’emicrania e dai dolori ossei. Ciliegina sulla torta, il sesso riduce stress e ansia e migliora il sonno. Motivo per cui si è automaticamente più produttivi sul lavoro e meglio predisposti verso gli altri. Rachel Needle, direttrice del Modern Sex Therapy Institutes, spiega che il maintenance sex non deve necessariamente essere l’unico momento in cui una coppia ha rapporti, ma serve come un buon promemoria durante quelle settimane (o mesi) in cui non si ha tempo o voglia di niente. «Il nostro desiderio sessuale cresce e diminuisce nel corso di tutta la vita, e a volte dobbiamo fare uno sforzo cosciente per essere fisicamente intimi con il nostro partner – spiega Rachel Needle – Ma dobbiamo scardinare il mito secondo cui il sesso deve essere spontaneo. La vita può essere piena di impegni e la vita quotidiana può intralciare l’intimità fisica di coppia. Pianificare in anticipo può creare aspettativa ed eccitazione».
IL MAINTENANCE SEX RIMANE PER MOLTI UNA QUESTIONE COMPLESSA. Il maintenance sex è davvero una buona idea? I vantaggi, fisici e mentali, che si traggono dal sesso sono innegabili, ma esperti e psicologi hanno qualche dubbio e non tutti sono convinti che questa sia una pratica da suggerire e esaltare. Inoltre, da quando questo termine è diventato sempre più diffuso, molte persone hanno condiviso opinioni sull’argomento, condannando il maintenance sex e mettendo in luce i problemi relativi al consenso e ad altre questioni sociali come politiche di genere e stereotipi. Uno dei problemi fondamentali del maintenance sex è che è spesso rivolto solo alle donne. Facendo una velocissima ricerca su Google, troverete infatti svariati articoli che consigliano come intraprendere questa pratica. Tali consigli sono però rivolti sempre alle donne, mai agli uomini. Il concetto stesso di maintenance sex si basa su un’idea eteronormativa delle relazioni, in cui la sessualità maschile è incarnata da un desiderio fisico più elevato rispetto a quella femminile. Ciò rafforza l’idea che i desideri e la passione delle donne non siano mai messi alla pari con quelli degli uomini. Audrey Tang, psicologa e autrice di svariati libri sull’argomento, ribadisce questo punto, dichiarando apertamente che il fare sesso quando uno dei due partner non è sicuro o non ne ha voglia non è affatto qualcosa da celebrare. «Il sesso è spesso uno degli atti più amorevoli e intimi che si possa condividere con qualcuno- osserva la dottoressa – È qualcosa che gratifica tutte le parti coinvolte, per via della connessione emotiva e fisica. Quando però si cambia la narrativa in cui viene offerto questo bellissimo dono del sé ‘per mantenere la felicità del proprio partner in una relazione’, questo svaluta non solo l’atto, ma peggio, il proprio valore personale, probabilmente erodendo l’autostima e la fiducia in se stessi».
Cos’è il sesso di mantenimento ed è davvero utile per la coppia? Il parere del sessuologo. Francesca Parlato il 9/9/2021 su donna.fanpage.it. Cos’è il sesso di mantenimento ed è davvero utile per la coppia? Il parere del sessuologo. Gli inglesi lo chiamano maintenance sex, sesso di mantenimento. Nelle coppie di lunga durata alcuni lo consigliano come un’opzione valida per tenere attiva la sessualità. Ma programmare il sesso una o due volte a settimana è davvero una buona idea? Ne abbiamo parlato con il sessuologo Matteo Merigo. Intervista a Dott. Matteo Merigo, Psicologo, psicoterapeuta e sessuologo clinico. In quasi tutte le relazioni arriva sempre il momento in cui ci si accorge che il sesso sta compiendo una parabola discendente. Dopo i primi mesi passati sulle montagne russe, quando la voglia e il desiderio di scoprirsi, di toccarsi sembrano prevalere su tutto, nel diagramma cartesiano della coppia, la curva del sesso comincia a virare verso il basso. Così da qualche anno circola l'idea della necessità del maintenance sex, in italiano sesso di manutenzione o mantenimento, che consiste nello stabilire uno o due giorni a settimana da dedicare al sesso. Esatto. Proprio come si fa con il dentista, la palestra o il volontariato. "All'inizio di ogni rapporto le coppie hanno una grandissima intesa sessuale – spiega a Fanpage.it il dottor Matteo Merigo psicologo e sessuologo – I rapporti sono sempre particolarmente numerosi, ma poi man mano che la coppia si struttura la sessualità tende a diventare soltanto una piccola parte della vita a due". Secondo una recente indagine Doxapharma, l’insoddisfazione sessuale genera crisi nel 23% delle coppie. "Ed è per questo che si parla di maintenance sex: la sessualità viene portata avanti per mantenere una costanza e una continuità all'interno della vita quotidiana". Ma si tratta davvero di un'abitudine salutare?
Il sesso è un segnale di salute della coppia
Il sesso ci mette di buon umore, abbassa i livelli di cortisolo (l'ormone dello stress) ed è anche un indicatore della ‘salute' di una coppia. "Per questo trasformare il sesso in una routine, come se fosse una parte della nostra vita da calendarizzare, è rischioso per diversi motivi – continua Merigo – Intanto il sesso smetterà di essere un piacere diventando un dovere o un obbligo coniugale e poi si azzera il romanticismo e si azzera l'intimità diventando così deleterio per la coppia". In alcuni casi avere quest'approccio al sesso potrebbe causare anche disturbi di origine psicogena: "Disfunzioni erettili, eiaculazione precoce, rifiuto della sessualità sono tra le conseguenze più gravi tra chi approccia al sesso in maniera così schematica".
Se la sessualità diventa un obbligo
Molte coppie forse praticano già maintenance sex senza saperlo. "Ci sono coppie in cui si fa sesso una volta a settimana, il sabato magari, tra il telegiornale e il programma in prima serata, in camera da letto e sempre nelle stesse posizioni. Quando arrivano in terapia e si indagano le cause della crisi viene fuori che il sesso occupava una parte piccolissima della loro vita". La sessualità per essere soddisfacente e appagante deve essere invece vissuta come uno spazio di desiderio e non di obbligo. "Il rischio ulteriore è che il sesso diventi un motivo di discussione, di incomprensione e di risentimenti, soprattutto se si prova a fare dei paragoni rispetto agli standard iniziali".
Come preservare la sessualità
Ogni tanto invece può far bene programmare un appuntamento romantico. La fase della preparazione, dell'attesa verso una cena speciale, un momento ritagliato tutto per la coppia possono essere funzionali a stimolare fantasie e a ritrovare l'intimità perduta. "Attenzione però a non renderlo un automatismo non funziona, a non far diventare questi momenti speciali maintenance sex. Non si tratterebbe di un automatismo godurioso, ma soltanto di un obbligo. Quando parliamo di sessualità dobbiamo pensare non agli organi e ai doveri, ma al desiderio e al piacere". Stravolgere i soliti schemi, cambiare orari, posizioni e luoghi serve proprio a combattere la routine. "Se ci sono rispetto, attrazione e feeling all'interno di una coppia il sesso di mantenimento non esiste".
Il sex maintenance è sessista
L'altro problema del maintenance sex è che spesso viene consigliato alle donne. Come se fossero loro a dover accontentare dei partner, come se fossero le donne ad essere meno disponibili e predisposte al sesso rispetto agli uomini. Si tratta di un'idea sessista del sesso. "Alle donne viene dato come consiglio eterodiretto. A volte si dice loro ‘Fai sesso anche se non hai voglia perché così tieni tranquillo tuo marito'. Nei maschi arriva come consiglio auto indotto: ‘Devo fare sesso così la mia compagna, non pretenderà altro da me'". Si tratta di ragionamenti e consigli che oltre a dare una rappresentazione falsata del modo in cui le donne vivono il sesso possono anche comportare problemi come quelli già citati in precedenza (eiaculazione precoce e rifiuto della sessualità). "Il maintenance sex può funzionare per una percentuale bassissima della popolazione. Il mio consiglio, per le coppie che vogliono vivere una buona armonia e intesa, è sentirsi liberi di poter sempre parlare di sessualità tra di loro, senza tabù e ritrosie".
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Ilaria Sacchettoni per il "Corriere della Sera" il 26 novembre 2021. Frivoli naviganti del web in cerca di affinità elettive purché digitali e di amorose corrispondenze rigorosamente online, gli italiani (soprattutto anziani) giocano con i sentimenti in Rete e fatalmente perdono. Impietosi i numeri. Poche (e tardive) le denunce. Malinconiche le storie. Un'umanità sprovveduta e fragile, talvolta agiata, istruita ed egoriferita passa per l'ufficio della polizia postale di Cinecittà, Roma, dove le segnalazioni di raggiri ammantati da profferta amorosa salgono a circa 15 la settimana. Dall'Italia intera ci si offre fiduciosi sui social e altri «motori» di incontri sentimentali e dietro il romanticismo da tastiera si nasconde spesso la sfiducia nelle relazioni di sempre, la fretta di surrogare sentimenti che, diversamente, richiederebbero tempo, investimenti, rischio. Si chatta per non esser feriti ma, invece, si finisce truffati. Non solo Roberto Cazzaniga, il pallavolista raggirato via smartphone e alleggerito di 700mila euro. Ma anche Carla, Lucia e Corrado, nomi di fantasia per storie autentiche. Così la sessantacinquenne di Torino, convinta di intrattenere una affettuosa corrispondenza con il principe Andrea d'Inghilterra. Se non che questi l'aveva convinta che per incontrarsi era necessaria una dispensa reale conseguibile dietro pagamento di 10mila euro, da lei regolarmente bonificati. Fu la nipote, in quel caso, a intervenire con prosaico tempismo e a segnalare il principe come probabile truffatore alla Procura locale. Quindi fu la volta della settantacinquenne, anche lei piemontese, che aveva versato 3mila euro (e altri 24mila ne preparava) per un sedicente vedovo che dalla Turchia avrebbe dovuto rientrare in Italia e, per l'occasione, prometteva appassionati incontri. In questo caso fu la figlia a supplicare gli agenti della Postale a far presto e a intervenire. E ancora: la dentista padovana che aveva corrisposto 70mila euro al partner online salvo poi riconoscere d'essere stata raggirata e denunciare. Inascoltati spesso gli appelli degli investigatori della Postale a superare la paura d'essere giudicati, come accaduto con il professionista della comunicazione romano che, a 68 anni, si era fatto promettere una notte di intensa follia da un account su Facebook, teoricamente appartenente a una giovane militare di stanza in Afghanistan. Lei, la seduttrice virtuale, in procinto d'essere trasferita a Damasco ed ereditare 2 milioni di euro, necessitava di un piccolo finanziamento a suo dire. Accontentata: il professionista ormai in pensione s'era convinto a inviarle 9mila 800 euro con grande disappunto delle due figlie. La fatica è stata convincerlo a denunciare la soldatessa virtuale che lo aveva ammaliato. Infine la disoccupata di Potenza che a 44 anni si è indebitata per inviare 17mila euro a un (presunto) militare statunitense in difficoltà. Il Covid ha moltiplicato il fenomeno, trasformando in certezza quello che fino a poco tempo fa era solo un sospetto. Si flirta via Internet più per solitudine che per sensualità salvo pentirsi di fronte al dubbio che si tratti di un prezzolato ammiratore. Non finisce al primo bonifico: «Le denunce ci arrivano da figli, nipoti, parenti. Spesso sono loro ad accorgersi di come la ricerca di un partner si sia trasformata nella scoperta di essere caduti in una truffa sentimentale. I meccanismi di autodifesa impediscono di riconoscersi come vittime, meglio credere nella «storia virtuale», negando a sé stessi di essere entrati in un tunnel lastricato da richieste di denaro» spiega Ivano Gabrielli, direttore del Centro anticrimine informatico della polizia postale. Donna, sui 50 anni ma anche più: il profilo della vittima perfetta. La battaglia contro i truffatori seriali è tutta in salita.
Alessandro Fulloni per corriere.it il 27 novembre 2021. Cinquanta euro sono arrivati «da quello che si siede in fondo al campo». La stessa somma gliela dona uno «abituato a vederti forte e determinato sul parquet, anche se come avversario». Da un tifoso giungono 350 euro «per continuare a farci sognare nei palazzetti». In 72 ore sono stati raccolti in tutto 10.326 euro. Circa 230 microdonazioni — per ora — oscillanti tra i 10 euro e i 400 euro. Serviranno ad aiutare Roberto Cazzaniga, il giocatore di pallavolo raggirato online — per 15 anni — da quella «voce» telefonica di donna della quale si era perdutamente innamorato, «come una pera cotta», capace però di estorcergli, con scuse varie, la cifra di 700.000 euro. Una vicenda al limite dell’incredibile sulla quale sta indagando anche la Guardia di Finanza.
Un ragazzo «introverso» e «ingenuo»
Roberto, fortunatamente per lui, ha trovato anche degli amici, soprattutto i suoi compagni di squadra della «New Mater», dove gioca in Serie B, capaci di comprenderlo e soprattutto incoraggiarlo nel troncare quel rapporto unicamente telefonico che lo aveva gettato nel lastrico. La storia è ormai nota, virale ovunque: «l’opposto» del volley — definito da chi lo conosce «introverso» e «ingenuo» — si imbatte, presentata da una conoscente che gli parla di una ragazza che lo vuole conoscere telefonicamente, nella voce di «Maya». Al cellulare e poi su Messenger, la donna sostiene che quello è solo uno pseudonimo: lei sarebbe essere Alessandra Ambrosio, la celebre modella brasiliana con 10 milioni di follower sui social. In realtà non è vero niente, la top model in questa vicenda non c’entra proprio nulla. Fatto sta che Roberto si innamora di quelle telefonate. Che però hanno un solo fine: spillargli soldi di continuo con mille pretesti.
«Ho 60.000 euro di debiti»
Al Corriere della Sera, il giocatore — «salvato» anche da un intervento delle Iene che hanno rintracciato le artefici del raggiro, denunciato poi alla Finanza — il giocatore ha detto di avere circa 60.000 euro di debiti. Ed ecco la ragione della sottoscrizione online avviata da Danilo Rinaldi, il compagno di squadra che più di tutti ha aiutato Roberto contattando, tra l’altro, proprio gli inviati della trasmissione di Italia 1. Sulla piattaforma di Gofundme.com si leggono tanti messaggi di solidarietà. Tania, che ha donato 30 euro, scrive di «averti conosciuto poco ma ricordo la tua bontà, onestà ed educazione! Spero che il mio contributo possa aiutarti ad andare avanti, ma soprattutto a farti giustizia verso chi ti ha ingannato! Forza Roberto!».
Tutti gli aiuti di tifosi e giocatori avversari
Nicola, Katia, Daniele e Mattia lo salutano così: «Ciao Roberto, nostro figlio la prima volta al palazzetto ha tifato per te gridando “vai Virus!”, oggi alla soglia dei 13 anni mi ha guardato e ha detto: “Papo, io tifo ancora per Cazza... sono sicuro che come sempre non ci deluderà!”. Nella vita come nel campo, ti vogliamo vincitore». Pietro, speaker delle partite (30 euro) lo incoraggia: «Sei sempre stato un temibile e terribile avversario. E te ne ho dette... mamma mia quante!!! Quest’anno siamo finalmente dalla stessa parte. Lo dico ogni domenica e lo ripeto forte oggi... Forza Virus Cazzaniga. Schiaccia forte».
Da leggo.it il 27 novembre 2021. Si faceva chiamare 'Maya'. Ma in realtà era una donna disoccupata con due figli. La finta modella che ha truffato Roberto Cazzaniga, 42enne ex azzurro ed attuale capitano di Gioia del Colle, si sarebbe ristrutturata casa con i soldi da lui inviati. La donna, disoccupata con due figli, lo ha convinto per 15 anni di essere un'altra persona, ha lasciato che si innamorasse di lui e le facesse costosi regali e donazioni. Una truffa vera e propria che ha coinvolto una persona descritta da tutti come buona, generosa e disponibile. Per anni Cazzaniga ha creduto di vivere un sogno d'amore fino a quando i compagni della sua vecchia squadra hanno deciso di presentare un esposto contro ignoti sulla vicenda e hanno mobilitato Le Iene per appurare la verità. La presunta truffatrice, come riporta il quotidiano La Nuova Sardegna, avrebbe ottenuto un gruzzolo di 700mila euro inviati nel corso degli anni dall'ex nazionale azzurro. Parte di questo sarebbero serviti per la ristrutturazione della casa di Valeria Satta a Frutti d'oro, frazione di Capoterra vicino Cagliari dove vive la donna insieme ai suoi due figli. Ora la Procura procederà nei confronti della donna per cercare di fare finalmente giustizia dopo tanti anni.
Cazzaniga truffato dalla finta fidanzata, coach Montali e i compagni: «Provavamo a parlargli, ma lui si irrigidiva». Flavio Vanetti su Il Corriere della Sera il 25 Novembre 2021. Roberto Cazzaniga ha dato 700mila euro a una finta fidanzata conosciuta solo per telefono. Gavazzi, suo ds a Cremao: « Una volta mi lasciò il cellulare in allenamento: “Tra poco operano Maya al cuore”, ci credeva». Montali: «Una vittima che merita rispetto». «Da uno a dieci quanto sorpreso di quanto capitato a Roberto Cazzaniga: zero, perché dopo averlo avuto a Milano all’allora Asystel Volley, l’ho ritrovato a Crema in serie A2. Ed in quel periodo che è cominciato tutto…». Alberto Gavazzi ha trascorso 25 anni nella pallavolo, prima come giocatore e poi come dirigente, arrivando anche nel giro della Nazionale. Il ragazzo che è stato truffato da una inesistente fidanzata brasiliana, con l’aiuto di complici, lui lo conosce molto bene. E ne parla con affetto: «È la classica persona semplice e umile, tutto palestra, volley e casa. Uno, tra l’altro che ha sempre fatto la formichina nella vita, spendendo poco o nulla per sé stesso. Un uomo introverso, ma sensibile». È la stessa idea di Paolo Cozzi, suo ex compagno a Milano («Posso dire che sul piano pallavolistico siamo cresciuti assieme fin dalle giovanili, lo conosco fin da quando era ragazzino») che adesso ha solo parole dure per chi l’ha trattato in quel modo («Hanno fatto del male a una persona fragile», e di Gianpaolo Montali, l’allenatore che lo lanciò in un’Asystel che sarebbe arrivata fino a una finale scudetto: «La sua battuta in salto, potente e precisa, era un’arma tattica che ci ha permesso di risolvere non poche partite. Roberto è un generoso (ndr, anche in senso concreto, una volta arrivò a regalare telefoni cellulari a tutti i compagni), uno che si allenava anche quando era infortunato. Hanno fatto del male a un ragazzo buono infilandolo in una vicenda assurda e dai tratti surreali, dal momento che non può sfuggire una domanda: com’è possibile essere fidanzati via etere, senza mai vedere la persona alla quale dici di essere legato?». Già, com’è possibile? Ma questo appartiene al mistero dell’uomo Cazzaniga, il giocatore (ruolo opposto) che un tempo si faceva chiamare «Virus» (poi però il soprannome l’ha abbandonato ed è rimasto solo l’altro nickname, «Cazz») vuoi perché le bordate che tirava erano come un «alieno» che penetrava nelle difese avversarie, vuoi perché dai virus si sta alla larga. E a lui, tutto sommato, pur nelle dinamiche sociali di un gruppo e di una squadra, non dispiaceva rimanere per i fatti suoi anche se non era certo un isolato grazie anche alle piacevoli e simpatiche incursioni della madre, che spesso partiva da Villasanta (in Brianza) con pentole di pizzoccheri da consumare in spogliatoio. Negli anni di Crema, dicevamo, compare nella sua vita Maya e Gavazzi ci sintetizza trama e qualche retroscena della vicenda. «Roberto girava assieme a questa Emanuela che tutti noi pensavamo fosse la sua fidanzata. Ma in breve venne fuori Maya, che ci risultava in quel periodo abitasse in Toscana: lui la sentiva solo al telefono, anche più volte al giorno, senza mai incontrarla. Ma era ugualmente felice, così diceva. Il problema è che quando si cercava di sapere di più della relazione, magari anche con le classiche battutacce da spogliatoio, lui si irrigidiva: ad un certo punto abbiamo preferito lasciar perdere, pur essendo evidente che tante cose non quadravano. Ho fatto un tentativo pure assieme a Paolo Bongiorno, il general manager: nulla da fare; Roberto era nel suo mondo e nelle sue convinzioni. Così mi ha colpito la sua faccia sbigottita quando Emanuela ha provato a sostenere di non conoscerlo: penso che a Cazzaniga sia caduto un baluardo e che in quel momento abbia capito tutto. Deve essere stato terribile, per lui». La passione comportava anche situazioni particolari, addirittura estreme. «Un giorno prima dell’allenamento Roberto mi consegnò il suo cellulare e mi chiese di tenerlo d’occhio: “Tra poco operano Maya al cuore, potrebbero telefonarmi dall’ospedale. Credeva davvero a tutto…». Dopo un’infortunio, rimediato in una delle esperienze (non di altissimo profilo) con la Nazionale, Gavazzi gli rimase vicino e lo aiutò durante la riabilitazione: «Quando si ristabilì mi portò due costose bottiglie di champagne Cristal: “Da parte mia e di Maya”, disse. Gli feci notare che poteva bastarne una, ma lui dissentì. Aggiunsi allora che una l’avremmo bevuta assieme a lei, alla sua ragazza. Rispose convinto: “No, ma lei ti ringrazia del pensiero». La risposta mi stupì, d’altra parte era un altro indizio di quello che avevamo cominciato a sospettare. Come faceva a spendere così tanto? L’ho detto: Cazzaniga è uno dalla vita frugale, non spendeva per vestirsi e per togliersi sfizi; dopo una Punto, per dire, ha guidato una Tipo… Ed è comunque un giocatore che è riuscito ad avere buoni contratti. Ha risparmiato tutto e adesso quei soldi glieli hanno soffiati». Paolo Cozzi – che non vede Roberto da anni – mette peraltro l’accento sulla componente umana della vicenda e su un risvolto fin qui non ancora considerato: «La butto lì: e se lui ad un certo punto si fosse reso conto ma non potesse liberarsi da quelle catene in quanto ricattato? Ad ogni modo, hanno approfittato della sua fragilità: questo è vergognoso perfino di più della truffa reiterata e dei quattrini che gli hanno sottratto. Chi l’ha aiutato ad uscire da questi 15 anni di buio è stato un grande». La lettura di Montali va oltre: «Il fatto che Cazzaniga abbia girato l’Italia per giocare a pallavolo, per lui la stella polare, significa probabilmente che era aggredito dalla solitudine. Paradossalmente questa gente che lo circondava, mediando il rapporto con Maya, gli dava una sorta di sicurezza: può essere che abbia capito, salvo non avere la forza di reagire». La morale è dunque semplice, nella tristezza della vicenda: «Roberto è una vittima da rispettare, non da compatire o da irridere: questa è una storia che potrebbe capitare anche ad altri perché di mezzo ci sono le debolezze dell’essere umano e le trappole dell’esistenza».
Alessandro Fulloni per corriere.it il 26 novembre 2021. «No, non ci siamo mai visti, mai una volta. Lei accampava mille scuse, la malattia, il lavoro. Eppure di quella voce, telefonata dopo telefonata, mi sono innamorato lo stesso, come una pera cotta. Contatti solo al cellulare, quasi quotidiani. Chiamate prima che io andassi agli allenamenti. O la sera, al momento di coricarmi. Come ho fatto a elargirle tutti quei soldi? Neanche lo so con certezza, mille euro qui, altri duemila là... Alla fine siamo arrivati a un totale di 700 mila. Ora che questo incubo è finito è come se mi fossi risvegliato da un coma che mi ha fatto perdere tre lustri di vita». Roberto Cazzaniga, 42 anni, spilungone brianzolo, è un giocatore professionista di pallavolo dal discreto presente — gioca in serie B con la «New Mater», a Gioia del Colle, nel Barese — e un passato che, tra Superlega e A2, lo ha visto indossare anche la maglia azzurra. «L’incubo» che adesso Roberto descrive pacato al telefono è un raggiro cominciato nel 2008 e nel quale è stato trascinato da una voce di donna per cui ha perduto la testa. Una vicenda che pare incredibile e sulla quale c’è anche un accertamento della Guardia di Finanza, attivata con una denuncia dai compagni di squadra di Roberto. Tutto comincia quando un’amica, una certa Manuela, gli passa al telefono una ragazza che lo vorrebbe conoscere, si presenta come Maya, ma poi sostiene che quello è solo uno pseudonimo, dice di essere Alessandra Ambrosio, la celebre modella brasiliana con 10 milioni di follower sui social. In realtà non è vero niente, la top model in questa vicenda non c’entra proprio nulla. Ma la donna che si spaccia per lei, con quella voce così seducente, recita bene la sua parte: e fa credere al giocatore che a cercarlo in continuazione è proprio la celebre star della moda. «Mai avuto nessun dubbio: per me era proprio lei» prosegue Roberto che riceveva su Messenger raffiche di foto - tutte raccolte sul web - della modella mentre si truccava o si cambiava nel backstage. «Quella voce mi faceva stare a mio agio, mi confortava» ammette il giocatore della New Mater descritto dai compagni di squadra come «introverso» e «ingenuo». Una volta che Cazzaniga, sempre più innamorato, si trasforma in una «pera cotta» la sedicente Maya inizia a chiedergli soldi «con scuse plausibili» tipo che lei doveva fare un regalo, «ma il bancomat era bloccato per una complicata vicenda ereditaria». Quanto al vederla «era impossibile per i continui viaggi di lavoro e per quella grave malattia al cuore per cui mi diceva che spesso era ricoverata». Fatto sta che quelle continue regalie di danaro che «inviavo su bonifici online mi hanno gettato sul lastrico». Roberto, tartassato, chiede soldi a genitori, fratello, amici. «Ma se poi sono riuscito a uscire da quell’incubo è stato grazie allo “spogliatoio” della New Mater». Sulle prime i compagni lo prendevano in giro perché quella Maya di cui lui favoleggiava nessuno l’aveva mai vista. Ma quell’insistenza nel chiedere quattrini li aveva allarmati. E qualcosa della truffa — insistendo con lui che non voleva parlarne, rabbuiato — avevano subodorato, tanto da firmare un esposto contro ignoti per avviare gli accertamenti. Poi un altro compagno di squadra, Danilo Rinaldi, ha contattato le Iene. È stato l’inviato Ismaele La Vardera a rintracciare quella Manuela - a cui Roberto aveva regalato una Alfa MiTo, usata dal compagno di lei - collegata a Maya, e raggiungerla in Sardegna, dove vive: si chiama Valeria, ha 50 anni, ed è sbiancata quando la Iena, nel servizio dell’altra sera, le ha chiesto dei 700.000 euro spillati. Intanto lo «spogliatoio» ha avviato una raccolta fondi per aiutare «l’opposto» con un debito da 60 mila euro. Lui ora guarda al futuro fiducioso: «È come se fossi rinato».
Da leggo.it il 4 dicembre 2021. Intanto il profilo Instagram dell'ex Angelo di Victoria's Secret si è riempito di commenti. Una storia che ha fatto il giro del mondo e ha reso increduli tutti. È quella di Roberto Cazzaniga, il giocatore di volley che ha creduto per 15 anni di essere fidanzato con la modella brasiliana Alessandra Ambrosio e invece era stato truffato. E proprio in Brasile, il giocatore è stato intervistato dall'emittente RecordTV, dove ha raccontato la sua vicenda, costatagli 700mila euro. Qui ha parlato anche della bellissima e celebre top model: «Ovviamente mi dispiace non stare con lei, perché come tutti sanno è una bellissima donna — ha detto il giocatore —. Ma chissà, tra noi può nascere un’amicizia. In questo momento credo poco nell’amore, ho bisogno di superare un trauma di 15 anni». Intanto il profilo Instagram dell'ex Angelo di Victoria's Secret si è riempito di commenti che riguardano questa «storiaccia», nella quale la top non ha alcun ruolo, ovviamente, se non quello di essere stata usata inconsapevolmente come immagine. «Ora all'italiano viene un infarto», si legge accanto a una foto di lei in bikini. «Che dici del fidanzato italiano che ti ama da 15 anni?», e una sfilza di faccine che ridono.
Roberto Cazzaniga a confronto con la finta fidanzata, spuntano altri possibili raggirati. Alessandro Fulloni su Il Corriere della Sera il 2 dicembre 2021. Il giocatore in Sardegna, accompagnato dall’inviato de Le Iene, per incontrare l’accusata della truffa. Lei «Non ero sola e lui non è stato scelto a caso». Un’altra possibile truffa. Non una vittima scelta a caso. E nemmeno l’unica. Quell’incubo, durato un quindicennio, nel quale è piombato il giocatore di pallavolo Roberto Cazzaniga, spilungone brianzolo di 42 anni, riguarda anche altri casi. Altri uomini raggirati dalla stessa voce — quella di Valeria, 47 anni, disoccupata che vive nel Cagliaritano con la madre — capace di estorcere, parlando d’amore, 700.000 euro all’«opposto» del Gioia del Colle, squadra di Serie B. Roberto non l’ha mai vista, quella donna. Ma del suo fiume di parole si è perdutamente innamorato, addirittura convinto che lei fosse Alessandra Ambrosio, la celebre modella brasiliana con 10 milioni di follower sui social. Non era vero, ovviamente: ma questa fu la prima delle colossali bugie rifilate al telefono, da subito, da Valeria al giocatore allora 28enne. F u una comune conoscente a passargli la telefonata: «Robi, c’è questa mia amica che ti vuole conoscere...». Il passo che poi ha fatto cadere nel buio Cazzaniga, «innamorato — come ha detto al Corriere — come una pera cotta». Che la truffa riguardi altre vittime lo ha scoperto Ismaele La Vardera, la Iena capace di convincere Cazzaniga a raccontare di getto tutto quel che si teneva dentro dal 2006. «Anche mio fratello è stato truffato da Valeria» ha detto nella trasmissione andata in onda martedì una donna che ha lasciato nome e cognome e indicato circostanze. La Iena intanto ha fatto parlare ancora la quarantasettenne cagliaritana. Quella truffa «non l’ho architettata da sola» e Cazzaniga «non è una vittima scelta da un elenco» ha detto sibillina la donna negando però altri raggiri. Il servizio su Italia 1 mostra il giocatore, visibilmente emozionato, mentre si avvicina al citofono di Valeria, la «voce». La donna è in casa, lo si capisce dal fatto che nel parcheggio, nei pressi di una spiaggia alla periferia di Cagliari, c’è la Ford Fiesta comperata con i soldi di Cazzaniga. Roberto suona, insiste: «Non puoi uscire? Ti affacci? Almeno rispondimi, cosa ti costa...». Ma dall’altra parte non giunge alcuna parola. Fine, almeno per il momento. Ora Roberto «è stanco, provato, stiamo cercando di proteggerlo. Quello che ha scoperto in questi utimi giorni lo ha sconvolto» spiega il fratello Danilo. La Vardera aggiunge che «Cazzaniga si è fidato di persone che volevano solo fargli del male. Gli hanno chiesto soldi persino per comprare patatine e wurstel». A risollevarlo è però «l’esito della sottoscrizione avviata per aiutarlo a saldare i circa 60.000 euro di debiti che si ritrova adesso», aggiunge Danilo Rinaldi, l’ex compagno di squadra decisivo nel recupero dell’amico per aver denunciato la vicenda, raccogliendo anche le firme dei genitori, alle forze dell’ordine. Sulla piattaforma Gofundme.com sono già arrivate oltre 700 donazioni per un totale di 20 mila euro. Soldi giunti da amici, tifosi, sportivi, sconosciute e sconosciuti. Federica lo incoraggia così: «Spero che tu possa trovare l’amore vero, te lo meriti». Mara e Monia lo rincuorano: «Non sei solo!». Cinquanta euro sono arrivati «da quello che tifa per te sedendosi in fondo al campo» e che gli augura di «tornare a schiacciare presto» mentre altri cinquecento sono piovuti da Massimo Righi, presidente di Lega Pallavolo Serie A. Da altri campioni e altre squadre arriveranno aiuti nei prossimi giorni. Poi c’è «l’interessamento delle televisioni in Brasile — a raccontarlo è sempre Rinaldi, titolare di un’agenzia di comunicazione — dove il caso Cazzaniga è seguitissimo». C’è pure l’ipotesi di un incontro con Alessandra Ambrosio, sollecitato tra l’altro da numerosissimi follower della top model su Instagram. In italiano e portoghese, sono in tanti a suggerirle di «fare qualcosa per Roberto». Che intanto, per arrotondare le magre entrate, si è messo a fare il dog sitter. Quanto all’indagine, accertamenti sono stati disposti sui bonifici inviati dalla banca monzese di Roberto a Valeria anche se le avvocate della donna, Elisabetta Mura e Romina Usai, sostengono che «la nostra assistita non ha ricevuto alcuna convocazione da una Procura».
Da "le Iene" il 7 dicembre 2021. Stasera, martedì 7 dicembre, in prima serata su Italia 1, a “Le Iene”, Ismaele La Vardera torna sulla vicenda che ha colpito Roberto Cazzaniga, il pallavolista truffato per 700mila euro da una sedicente modella con cui riteneva di essere fidanzato da 15 anni. Al centro del servizio una nuova testimonianza: Massimo, un ragazzo pugliese di 25 anni, dice di aver riconosciuto la voce di Valeria Satta - la donna con cui anche Cazzaniga parlava a telefono e di cui era innamorato – come quella della sua fidanzata. A differenza di quanto successo all’ex giocatore di pallavolo, Massimo racconta di aver ricevuto dalla donna - che però a lui si è presentato come Chloe Madison, modella e attrice statunitense - nell’arco dell’ultimo anno molti regali, soldi accreditati sul suo conto, viaggi e addirittura una proposta di automobile, per un valore superiore a 100.000 euro. Che fossero i soldi di Cazzaniga? Dalle verifiche svolte da La Vardera risulterebbero intestate a Valeria Satta ben 12 utenze telefoniche e, chiedendosi quante fossero le vittime cadute nella sua rete, incontra il ragazzo per sentire il suo racconto, una storia ben diversa da quella di Roberto: “A Roberto chiedeva dei soldi, a me li dava”. Massimo parte da come sia avvenuta la loro conoscenza poco prima del lockdown, motivo per cui spiega all’inviato di aver pensato fosse normale non vedersi, per via della pandemia. “L’ho conosciuta tramite social, mi ha commentato delle foto, abbiamo iniziato a scriverci. Si spacciava per un’altra ragazza, Chloe Madison, una modella benestante. Ha anche finto di essere stata vittima di violenza”. “Abbiamo iniziato a sentirci, era una relazione virtuale e tante volte le ho chiesto di vederci perché non sapevo chi ci fosse dall’altra parte.” Poi racconta dei regali: “Mi ha comprato abiti, scarpe, regali ai miei nipoti tra cui una Nintendo Switch, giocattoli, un iPad, un’infinità di fiori. A un mio amico ha regalato dei guantoni e un pantalone per fare boxe”. L’uomo dice che i regali non erano solo materiali: “Quando sapeva che ero a cena in qualche posto telefonava lì e io mi trovavo il conto pagato”, “Mi ha regalato anche una stella con il certificato e tutto”. All’inviato racconta poi dei bonifici ricevuti: “Mi ha fatto fare una Poste Pay dove mi versava i soldi, cento, duecento, cinquecento, mille euro, che io utilizzavo qualsiasi cosa volessi fare”. A questo punto La Vardera gli domanda: “Ma in un anno, secondo te, quanti soldi ti ha mandato?”. “Quantificando, 70, 80 mila euro”, risponde lui, e aggiunge: “Sicuramente i soldi che mandava a me erano rubati al povero Roberto”. Massimo oggi si dice molto dispiaciuto di aver forse sfruttato soldi che Valeria Satta aveva sottratto a Roberto Cazzaniga: “Lei fingeva di essere molto benestante, e che quei soldi poteva spenderli. Diceva di essere figlia e nipote di proprietari di catene di hotel, tra Italia e Londra”, inventandone di ogni – a suo dire - pur di conquistarlo. “Casa mia era diventata il centro di smistamento di Amazon. Ogni giorno arrivavano pacchi”. Quando Massimo si rende conto di non conoscere veramente la persona con cui passa ore a telefono, mette un freno alla relazione virtuale ma Valeria non si arrende e, innamorata, organizza nuove sorprese per lui: “Ha fatto passare un furgone vela con un messaggio per me in giro per il paese. Chiamava mia madre disperata e mi mandava messaggi infiniti in cui diceva che voleva stare con me”.
Verissimo, Cazzaniga sconvolge la Toffanin: “La donna che mi ha truffato? Mi manca, da quanto non le scrivo”. Libero Quotidiano l'11 dicembre 2021. “È più di un mese che non scrivo a Maya e ogni tanto mi manca”. Nonostante le sia costata circa 700mila euro, Roberto Cazzaniga continua a pensare alla persona che lo ha truffato per anni. Ospite di Silvia Toffanin nel salotto di Verissimo, il pallavolista ha ripercorso la storia che è venuta fuori dopo un servizio delle Iene, che hanno scoperto che una donna ha vinto di essere la top-modem Alessandra Ambrosio, riuscendo a scucire centinaia di migliaia di euro a Cazzaniga. Una vera e propria truffa sentimentale: “Per 15 anni mi sono sentito con lei - ha raccontato alla Toffanin - e poi all’improvviso mi sono svegliato e non esisteva più: fa più male di un pugno in faccia. In tutti questi anni avrei voluto vederla, ma ogni volta sorgevano dei problemi e lei inventava scuse per non incontrarmi. Ci sono stati campanelli d’allarme, ma era molto brava a rigirare la vicenda a suo favore. Si innervosiva e tirava in ballo i suoi problemi cardiaci, facendomi sentire in colpa”. Tra l’altro per tutti questi anni Cazzaniga non ha voluto vedere altre donne: “No ho avuto alcun contatto fisico con nessun’altra ragazza perché rispettavo le persone con cui stavo. Tante volte non sono uscito con gli amici per colpa della sua gelosia. Io non riuscivo a dire basta perché sentivo il dolore dall’altra parte. Grazie ai miei amici e alla mia famiglia sono riuscito ad uscirne”.
Da Mattino 5 il 26 novembre 2021. Flavia Vento, in collegamento con Federica Panicucci a “Mattino Cinque”, ha raccontato il raggiro via social da parte di qualcuno che si è finto Tom Cruise. “Tutto è iniziato a maggio”, spiega la Vento. “Avevo scritto un commento sul profilo ufficiale di Tom Cruise e poi sono stata contattata da un altro account col suo nome. Ho pensato che fosse davvero lui e ci siamo scambiati il numero di telefono. Non ho avuto dubbi sulla sua identità, perché sapeva troppe cose. Le mie amiche mi dicevano di stare attenta, quindi ho provato a videochiamarlo, ma cadeva sempre la linea. Credevo che mi volesse conoscere prima, soltanto in chat”. Una truffa durata cinque mesi, smascherata solo dopo la richiesta di soldi: “Ho capito che non era lui, perché mi ha chiesto del denaro. Mi riempiva di complimenti, mi diceva che assomigliavo al sole e mi chiamava dea. Mi mandava canzoni d’amore stupende. C’erano tante cose che avevamo in comune”. “Sono troppo ingenua e sensibile”, prosegue la Vento. “Non potevo pensare che una persona fingesse così bene, solo per soldi. È stata una manipolazione mentale e mi sono innamorata”. Alla domanda se abbia fatto denuncia, Flavia Vento ha risposto: “Non l’ho denunciato… con me è stato dolce e mi ha dato molti consigli… perdono sempre…”.
Dagospia l'1 dicembre 2021. Da “Un Giorno da Pecora - Radio1”. Flavia Vento e quell'incredibile love story, nata via chat, con qualcuno che la showgirl pensava fosse nientemeno che Tom Cruise. Ospite di Un Giorno da Pecora, su Rai Radio1, la Vento ha raccontato ai conduttori i risvolti di questa strana vicenda, che l'ha vista scriversi per mesi con una persona che si spacciava per la star di Hollywood. “Ho vissuto un sogno quando a maggio del 2021 mi sono vista arrivare un messaggio su Twitter dall'account 'Tom Cruise fan esclusivo', scritto in inglese. Lui mi ha detto subito che quello era il suo profilo privato e quello ufficiale era gestito dal suo team”. E poi cos'è successo? “Ci siamo scambiati il numero e ci siamo scritti su WhatsApp fino a giorni fa”. Perché da maggio ad oggi non gli ha chiesto di fare una videochiamata? “Una volta me l'ha fatta ma non ho risposto, perché vado a dormire presto. E poi ha riprovato un'altra volta ma ha fatto finta che ricadesse la linea”. Si è fatta mandare una foto? “Sì certo, e l'ha mandata. E mi diceva che non dovevo dubitare che lui fosse Tom Cruise, altrimenti non mi avrebbe più scritto. Con lui parlavo di tutto, anche di Scientology, a cui sono iscritta da 8 anni fa”. Cosa le scriveva? “Era romantico, mi mandava canzoni, mi scriveva cose dolci e mi diceva che ero una dea. E pian piano mi sono innamorata”. Poi però è emerso qualcosa di strano. “Alla fine io mi sono scocciata, lo volevo conoscere, e glielo ho detto 'vediamoci, vengo a Londra'. Lui mi ha detto di scrivere a una mail, e dopo averla mandata però mi hanno risposto che per incontrarlo dovevo pagare una card. E lì ho capito che era un fake”. Lei gli aveva creduto. “Certo, perché parla proprio come lui. Tom nelle sue interviste dice sempre 'all right' e anche la persona che mi scriveva lo diceva. E poi ci sono tante altre confidenze”. In questi mesi lei ha frequentato anche altri uomini? “No, sono casta da sette anni, sono in una fase spirituale ormai, non mi interessano gli uomini”. Oggi pensa ancora a quella situazione? “Ci penso ancora ma voglio incontrare il vero Tom Cruise, nel mio cuore c'è sempre lui”. Prima però il vero Cruise dovrebbe conoscerla... "Sa tutto, penso che le notizie gli siano arrivate, tutta questa vicenda è su internet”.
Da tgcom24.mediaset.it l'1 dicembre 2021. Per sei mesi ha creduto di chattare con Tom Cruise. Flavia Vento racconta anche a "Le Iene" perché si sarebbe fidata del suo truffatore. "Le nostre conversazioni sono state sempre carine - spiega la showgirl - diceva che ero una Dea e mi chiamava Sole, riteneva che provenissi da una costellazione. È stato molto romantico". Vento racconta di essere stata contattata da un profilo social dopo aver scritto su Twitter su quello ufficiale dell'attore di Top Gun. "Tom mi ha detto che mi scriveva dal suo profilo personale, diverso appunto da quello ufficiale". "Ho vissuto un sogno e per tanto tempo, non ho ascoltato una mia amica che diceva di svegliarmi", fa sapere la showgirl che spiega che avrebbe chiesto più volte al finto Cruise di videochiamarla, ma che lui con varie scuse avrebbe sempre evitato preferendo conoscerla prima via chat. Dopo mesi, però, finalmente arriva il momento dell'incontro e alla showgirl arriva un messaggio dove le vengono chiesti dei soldi, un vero e proprio abbonamento per incontrare l'attore. A quel punto, però, non è stato più possibile per Vento credere che quell'uomo fosse davvero Tom Cruise. "Sono rimasta male, non sono cretina fino a questo punto", spiega la showgirl che, però, sembra decisa a non denunciare: "È come se mi fossi affezionata, in cuor mio spero ancora che sia Tom", conclude.