Denuncio al mondo ed ai posteri con i miei libri tutte le illegalità tacitate ed impunite compiute dai poteri forti (tutte le mafie). Lo faccio con professionalità, senza pregiudizi od ideologie. Per non essere tacciato di mitomania, pazzia, calunnia, diffamazione, partigianeria, o di scrivere Fake News, riporto, in contraddittorio, la Cronaca e la faccio diventare storia. Quella Storia che nessun editore vuol pubblicare. Quelli editori che ormai nessuno più legge.

Gli editori ed i distributori censori si avvalgono dell'accusa di plagio, per cessare il rapporto. Plagio mai sollevato da alcuno in sede penale o civile, ma tanto basta per loro per censurarmi.

I miei contenuti non sono propalazioni o convinzioni personali. Mi avvalgo solo di fonti autorevoli e credibili, le quali sono doverosamente citate.

Io sono un sociologo storico: racconto la contemporaneità ad i posteri, senza censura od omertà, per uso di critica o di discussione, per ricerca e studio personale o a scopo culturale o didattico. A norma dell'art. 70, comma 1 della Legge sul diritto d'autore: "Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l'utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali."

L’autore ha il diritto esclusivo di utilizzare economicamente l’opera in ogni forma e modo (art. 12 comma 2 Legge sul Diritto d’Autore). La legge stessa però fissa alcuni limiti al contenuto patrimoniale del diritto d’autore per esigenze di pubblica informazione, di libera discussione delle idee, di diffusione della cultura e di studio. Si tratta di limitazioni all’esercizio del diritto di autore, giustificate da un interesse generale che prevale sull’interesse personale dell’autore.

L'art. 10 della Convenzione di Unione di Berna (resa esecutiva con L. n. 399 del 1978) Atto di Parigi del 1971, ratificata o presa ad esempio dalla maggioranza degli ordinamenti internazionali, prevede il diritto di citazione con le seguenti regole: 1) Sono lecite le citazioni tratte da un'opera già resa lecitamente accessibile al pubblico, nonché le citazioni di articoli di giornali e riviste periodiche nella forma di rassegne di stampe, a condizione che dette citazioni siano fatte conformemente ai buoni usi e nella misura giustificata dallo scopo.

Ai sensi dell’art. 101 della legge 633/1941: La riproduzione di informazioni e notizie è lecita purché non sia effettuata con l’impiego di atti contrari agli usi onesti in materia giornalistica e purché se ne citi la fonte. Appare chiaro in quest'ipotesi che oltre alla violazione del diritto d'autore è apprezzabile un'ulteriore violazione e cioè quella della concorrenza (il cosiddetto parassitismo giornalistico). Quindi in questo caso non si fa concorrenza illecita al giornale e al testo ma anzi dà un valore aggiunto al brano originale inserito in un contesto più ampio di discussione e di critica.

Ed ancora: "La libertà ex art. 70 comma I, legge sul diritto di autore, di riassumere citare o anche riprodurre brani di opere, per scopi di critica, discussione o insegnamento è ammessa e si giustifica se l'opera di critica o didattica abbia finalità autonome e distinte da quelle dell'opera citata e perciò i frammenti riprodotti non creino neppure una potenziale concorrenza con i diritti di utilizzazione economica spettanti all'autore dell'opera parzialmente riprodotta" (Cassazione Civile 07/03/1997 nr. 2089).

Per questi motivi Dichiaro di essere l’esclusivo autore del libro in oggetto e di tutti i libri pubblicati sul mio portale e le opere citate ai sensi di legge contengono l’autore e la fonte. Ai sensi di legge non ho bisogno di autorizzazione alla pubblicazione essendo opere pubbliche.

Promuovo in video tutto il territorio nazionale ingiustamente maltrattato e censurato. Ascolto e Consiglio le vittime discriminate ed inascoltate. Ogni giorno da tutto il mondo sui miei siti istituzionali, sui miei blog d'informazione personali e sui miei canali video sono seguito ed apprezzato da centinaia di migliaia di navigatori web. Per quello che faccio, per quello che dico e per quello che scrivo i media mi censurano e le istituzioni mi perseguitano. Le letture e le visioni delle mie opere sono gratuite. Anche l'uso è gratuito, basta indicare la fonte. Nessuno mi sovvenziona per le spese che sostengo e mi impediscono di lavorare per potermi mantenere. Non vivo solo di aria: Sostienimi o mi faranno cessare e vinceranno loro. 

Dr Antonio Giangrande  

NOTA BENE

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ANNO 2021

 

L’AMMINISTRAZIONE

 

DECIMA PARTE

 

 

 

 

DI ANTONIO GIANGRANDE

 

 

  

 

 L’ITALIA ALLO SPECCHIO

IL DNA DEGLI ITALIANI

 

 

L’APOTEOSI

DI UN POPOLO DIFETTATO

 

Questo saggio è un aggiornamento temporale, pluritematico e pluriterritoriale, riferito al 2021, consequenziale a quello del 2020. Gli argomenti ed i territori trattati nei saggi periodici sono completati ed approfonditi in centinaia di saggi analitici specificatamente dedicati e già pubblicati negli stessi canali in forma Book o E-book, con raccolta di materiale riferito al periodo antecedente. Opere oggetto di studio e fonti propedeutiche a tesi di laurea ed inchieste giornalistiche.

Si troveranno delle recensioni deliranti e degradanti di queste opere. Il mio intento non è soggiogare l'assenso parlando del nulla, ma dimostrare che siamo un popolo difettato. In questo modo è ovvio che l'offeso si ribelli con la denigrazione del palesato.

 

IL GOVERNO

 

UNA BALLATA PER L’ITALIA (di Antonio Giangrande). L’ITALIA CHE SIAMO.

UNA BALLATA PER AVETRANA (di Antonio Giangrande). L’AVETRANA CHE SIAMO.

PRESENTAZIONE DELL’AUTORE.

LA SOLITA INVASIONE BARBARICA SABAUDA.

LA SOLITA ITALIOPOLI.

SOLITA LADRONIA.

SOLITO GOVERNOPOLI. MALGOVERNO ESEMPIO DI MORALITA’.

SOLITA APPALTOPOLI.

SOLITA CONCORSOPOLI ED ESAMOPOLI. I CONCORSI ED ESAMI DI STATO TRUCCATI.

ESAME DI AVVOCATO. LOBBY FORENSE, ABILITAZIONE TRUCCATA.

SOLITO SPRECOPOLI.

SOLITA SPECULOPOLI. L’ITALIA DELLE SPECULAZIONI.

 

L’AMMINISTRAZIONE

 

SOLITO DISSERVIZIOPOLI. LA DITTATURA DEI BUROCRATI.

SOLITA UGUAGLIANZIOPOLI.

IL COGLIONAVIRUS.

 

L’ACCOGLIENZA

 

SOLITA ITALIA RAZZISTA.

SOLITI PROFUGHI E FOIBE.

SOLITO PROFUGOPOLI. VITTIME E CARNEFICI.

 

GLI STATISTI

 

IL SOLITO AFFAIRE ALDO MORO.

IL SOLITO GIULIO ANDREOTTI. IL DIVO RE.

SOLITA TANGENTOPOLI. DA CRAXI A BERLUSCONI. LE MANI SPORCHE DI MANI PULITE.

SOLITO BERLUSCONI. L'ITALIANO PER ANTONOMASIA.

IL SOLITO COMUNISTA BENITO MUSSOLINI.

 

I PARTITI

 

SOLITI 5 STELLE… CADENTI.

SOLITA LEGOPOLI. LA LEGA DA LEGARE.

SOLITI COMUNISTI. CHI LI CONOSCE LI EVITA.

IL SOLITO AMICO TERRORISTA.

1968 TRAGICA ILLUSIONE IDEOLOGICA.

 

LA GIUSTIZIA

 

SOLITO STEFANO CUCCHI & COMPANY.

LA SOLITA SARAH SCAZZI. IL DELITTO DI AVETRANA.

LA SOLITA YARA GAMBIRASIO. IL DELITTO DI BREMBATE.

SOLITO DELITTO DI PERUGIA.

SOLITA ABUSOPOLI.

SOLITA MALAGIUSTIZIOPOLI.

SOLITA GIUSTIZIOPOLI.

SOLITA MANETTOPOLI.

SOLITA IMPUNITOPOLI. L’ITALIA DELL’IMPUNITA’.

I SOLITI MISTERI ITALIANI.

BOLOGNA: UNA STRAGE PARTIGIANA.

 

LA MAFIOSITA’

 

SOLITA MAFIOPOLI.

SOLITE MAFIE IN ITALIA.

SOLITA MAFIA DELL’ANTIMAFIA.

SOLITO RIINA. LA COLPA DEI PADRI RICADE SUI FIGLI.

SOLITO CAPORALATO. IPOCRISIA E SPECULAZIONE.

LA SOLITA USUROPOLI E FALLIMENTOPOLI.

SOLITA CASTOPOLI.

LA SOLITA MASSONERIOPOLI.

CONTRO TUTTE LE MAFIE.

 

LA CULTURA ED I MEDIA

 

LA SCIENZA E’ UN’OPINIONE.

SOLITO CONTROLLO E MANIPOLAZIONE MENTALE.

SOLITA SCUOLOPOLI ED IGNORANTOPOLI.

SOLITA CULTUROPOLI. DISCULTURA ED OSCURANTISMO.

SOLITO MEDIOPOLI. CENSURA, DISINFORMAZIONE, OMERTA'.

 

LO SPETTACOLO E LO SPORT

 

SOLITO SPETTACOLOPOLI.

SOLITO SANREMO.

SOLITO SPORTOPOLI. LO SPORT COL TRUCCO.

 

LA SOCIETA’

 

AUSPICI, RICORDI ED ANNIVERSARI.

I MORTI FAMOSI.

ELISABETTA E LA CORTE DEGLI SCANDALI.

MEGLIO UN GIORNO DA LEONI O CENTO DA AGNELLI?

 

L’AMBIENTE

 

LA SOLITA AGROFRODOPOLI.

SOLITO ANIMALOPOLI.

IL SOLITO TERREMOTO E…

IL SOLITO AMBIENTOPOLI.

 

IL TERRITORIO

 

SOLITO TRENTINO ALTO ADIGE.

SOLITO FRIULI VENEZIA GIULIA.

SOLITA VENEZIA ED IL VENETO.

SOLITA MILANO E LA LOMBARDIA.

SOLITO TORINO ED IL PIEMONTE E LA VAL D’AOSTA.

SOLITA GENOVA E LA LIGURIA.

SOLITA BOLOGNA, PARMA ED EMILIA ROMAGNA.

SOLITA FIRENZE E LA TOSCANA.

SOLITA SIENA.

SOLITA SARDEGNA.

SOLITE MARCHE.

SOLITA PERUGIA E L’UMBRIA.

SOLITA ROMA ED IL LAZIO.

SOLITO ABRUZZO.

SOLITO MOLISE.

SOLITA NAPOLI E LA CAMPANIA.

SOLITA BARI.

SOLITA FOGGIA.

SOLITA TARANTO.

SOLITA BRINDISI.

SOLITA LECCE.

SOLITA POTENZA E LA BASILICATA.

SOLITA REGGIO E LA CALABRIA.

SOLITA PALERMO, MESSINA E LA SICILIA.

 

LE RELIGIONI

 

SOLITO GESU’ CONTRO MAOMETTO.

 

FEMMINE E LGBTI

 

SOLITO CHI COMANDA IL MONDO: FEMMINE E LGBTI.

 

 

 

 

 

 

L’AMMINISTRAZIONE

INDICE PRIMA PARTE

 

 

SOLITO DISSERVIZIOPOLI. LA DITTATURA DEI BUROCRATI. (Ho scritto un saggio dedicato)

La Burocrazia Ottusa.

Il Diritto alla Casa.

Le Opere Bloccate.

Il Ponte sullo stretto di Messina.

Viabilità: Manutenzione e Controlli.

Le Opere Malfatte.

La Strage del Mottarone.

Il MOSE: scandalo infinito.

Ciclisti. I Pirati della Strada.

 

INDICE SECONDA PARTE

 

SOLITO DISSERVIZIOPOLI. LA DITTATURA DEI BUROCRATI. (Ho scritto un saggio dedicato)

L’Insicurezza.

La Strage di Ardea.

Armi libere e Sicurezza: discussione ideologica.

 

INDICE TERZA PARTE

 

SOLITA UGUAGLIANZIOPOLI. (Ho scritto un saggio dedicato)

Il Volontariato e la Partigianeria: Silvia Romano e gli altri.

Lavoro e stipendi. Lavori senza laurea e strapagati.

La Povertà e la presa per il culo del reddito di cittadinanza.

Le Disuguaglianze.

Martiri del Lavoro.

La Pensione Anticipata.

Sostegno e Burocrazia ai “Non Autosufficienti”.

L’evoluzione della specie e sintomi inabilitanti.

Malasanità.

Sanità Parassita.

La cura maschilista.

L’Organismo.

La Cicatrice.

L’Ipocondria.

Il Placebo.

Le Emorroidi.

L'HIV.

La Tripanofobia (o Belonefobia), ovvero la paura degli aghi.

La siringa.

L’Emorragia Cerebrale.

Il Mercato della Cura.

Le cure dei vari tumori.

Il metodo Di Bella.

Il Linfoma di Hodgkin.

La Diverticolite. Cos’è la Stenosi Diverticolare per cui è stato operato Bergoglio?

La Miastenia.

La Tachicardia e l’Infarto.

La SMA di Tipo 1.

L'Endometriosi, la malattia invisibile.

Sindrome dell’intestino irritabile.

Il Menisco.

Il Singhiozzo.

L’Idrocuzione: Congestione Alimentare. Fare il bagno dopo mangiato si può.

Vi scappa spesso la Pipì?

La Prostata.

La Vulvodinia.

La Cistite interstiziale.

L’Afonia.

La Ludopatia.

La sindrome metabolica. 

La Celiachia.

L’Obesità.

Il Fumo.

La Caduta dei capelli.

Borse e occhiaie.

La Blefarite.

L’Antigelo.

La Sindrome del Cuore Infranto.

La cura chiamata Amore.

Ridere fa bene.

La Parafilia.

L’Alzheimer e la Demenza senile.

La linea piatta del fine vita.

Imu e Tasi. Quando il Volontariato “va a farsi fottere”.

 

INDICE QUARTA PARTE

 

IL COGLIONAVIRUS. (Ho scritto un saggio dedicato)

Introduzione.

I Coronavirus.

La Febbre.

Protocolli sbagliati.

L’Influenza.

Il Raffreddore.

La Sars-CoV-2 e le sue varianti.

Il contagio.

I Test. Tamponi & Company.

Quarantena ed Isolamento.

I Sintomi.

I Postumi.

La Reinfezione.

Gli Immuni.

Positivi per mesi?

Gli Untori.

Morti per o morti con?

 

INDICE QUINTA PARTE

 

IL COGLIONAVIRUS. (Ho scritto un saggio dedicato)

Alle origini del Covid-19.

Epidemie e Profezie.

Quello che ci dicono e quello che non ci dicono.

Gli errori dell'Oms.

Gli Errori dell’Unione Europea.

Il Recovery Plan.

Gli Errori del Governo.

Virologi e politici, i falsi profeti del 2020.

CTS: gli Esperti o presunti tali.

Il Commissario Arcuri…

Fabrizio Curcio, capo della Protezione Civile.

Al posto di Arcuri. Francesco Paolo Figliuolo. Commissario straordinario per l'attuazione e il coordinamento delle misure sanitarie di contenimento e contrasto dell'emergenza epidemiologica Covid-19.

Fabrizio Curcio, capo della Protezione Civile.

 

INDICE SESTA PARTE

 

IL COGLIONAVIRUS. (Ho scritto un saggio dedicato)

2020. Un anno di Pandemia.

Gli Effetti di un anno di Covid.

Il costo per gli emarginati: Carcerati, stranieri e rom.

La Sanità trascurata.

Eroi o Untori?

Io Denuncio.

Succede nel mondo.

Succede in Germania. 

Succede in Olanda.

Succede in Francia.

Succede in Inghilterra.

Succede in Russia.

Succede in Cina. 

Succede in India.

Succede negli Usa.

Succede in Brasile.

Succede in Cile.

INDICE SETTIMA PARTE

 

IL COGLIONAVIRUS. (Ho scritto un saggio dedicato)

Vaccini e Cure.

La Reazione al Vaccino.

 

INDICE OTTAVA PARTE

 

IL COGLIONAVIRUS. (Ho scritto un saggio dedicato)

I Furbetti del Vaccino.

Il Vaccino ideologico.

Il Mercato dei Vaccini.

 

INDICE NONA PARTE

 

IL COGLIONAVIRUS. (Ho scritto un saggio dedicato)

Coronavirus e le mascherine.

Il Virus e gli animali.

La “Infopandemia”. Disinformazione e Censura.

Le Fake News.

La manipolazione mediatica.

Un Virus Cinese.

Un Virus Statunitense.

Un Virus Padano.

La Caduta degli Dei.

Gli Sciacalli razzisti.

Succede in Lombardia.

Succede nell’Alto Adige.

Succede nel Veneto.

Succede nel Lazio.

Succede in Puglia.

Succede in Sicilia.

 

INDICE DECIMA PARTE

 

IL COGLIONAVIRUS. (Ho scritto un saggio dedicato)

La Reclusione.

Gli Irresponsabili: gente del “Cazzo”.

Il Covid Pass: il Passaporto Sanitario.

 

INDICE UNDICESIMA PARTE

 

IL COGLIONAVIRUS. (Ho scritto un saggio dedicato)

Il tempo della Fobocrazia. Uno Stato Fondato sulla Paura.

Covid e Dad.

La pandemia è un affare di mafia.

Gli Arricchiti del Covid-19.

 

 

 

 

 

L’AMMINISTRAZIONE

DECIMA PARTE

 

IL COGLIONAVIRUS. (Ho scritto un saggio dedicato)

·        La Reclusione.

Antonio Giangrande 13 marzo 2020: Coronavirus: rinchiudono i sani per difenderli dai malati. La logica vorrebbe: relegare gli infettati in quarantena. Come? Individuarli col tampone a tappeto. Il costo sarebbe inferiore rispetto al blocco dell'economia. Ci hanno sottoposto alla cultura del sospetto. Diffidiamo, addirittura, dei nostri affetti. Ristretti ai domiciliari perdiamo gli ultimi momenti importanti con i nostri vecchi e i primi dei nostri giovani.

Franco Giubilei per “la Stampa” il 3 luglio 2021. Trent' anni fa una generazione che aveva rotto i ponti musicali col passato si mise a ballare nelle fabbriche abbandonate dell'Inghilterra, ai ritmi ossessivo-ipnotici di derivati della house-music: trance, techno, jungle, in un variare di battiti al minuto che potevano, al parossismo della massima accelerazione immaginabile, diventare un muro di suono tale da stordire i ragazzi che si mettevano davanti agli amplificatori, a farsi investire dai watt. Erano feste clandestine, pubblicizzate col passa-parola per sfuggire alla polizia, cui è dedicato il documentario inglese Free party: a folk history. 

RIVIERA. Anche in Italia si ricorda quella stagione, con due documentari, Riviera Clubbing - The movie, di Luca Santarelli, viaggio nel panorama dance a partire dalla Baia degli Angeli fino all' avvento della techno, e Disco Ruin, quarant' anni di club culture italiana, che sarà riproposto nei cinema. Per ricordare Claudio Coccoluto, principe italiano della console recentemente scomparso, la sera del 4 luglio l'Arena lido di Rimini ospiterà Tenera è la notte insieme alla proiezione di Disco Ruin. A differenza di quanto accaduto col rock, prog a parte, stavolta i selezionatori italiani seppero farsi largo sulla scena internazionale: Dj Ralf, Benny Benassi, lo stesso Coccoluto sono solo alcuni dei nostri dj che si fecero guru mondiali dei giradischi. I documentari raccontano non tanto le feste nei capannoni, che pure non mancavano, ma piuttosto la cultura che aveva fatto invecchiare di colpo disco-music e dance Anni 80, sfogandosi nelle piste dei locali più sensibili a quanto si muoveva sotto il cielo dell'elettronica, oltre che nei centri sociali più attenti, come l'Isola del Cantiere e il Link a Bologna. 

DISCO RUIN. Interessante anche l'esperienza dei Sud Sound System, pugliesi, che in nome della stessa parola d' ordine che agitava i ragazzi inglesi, cioè la liberà di ballare in luoghi alternativi alle discoteche, animarono i primi rave nella loro terra portando l'impianto audio nei campi di tabacco o d' ulivo quando era solo il 1989 e il movimento era agli albori. Pierfrancesco Pacoda, che ha dedicato al fenomeno i saggi Sulla rotta del rave e Riviera club culture, spiega come la diffusione in Italia si debba alle "tribe" inglesi, gruppi di performer e dj che davanti all' ostracismo delle autorità inglesi calarono in Italia: i Mutoid si stabilirono a Santarcangelo di Romagna, dove risiedono tuttora, gli Spiral tribe fecero un'incursione nella Sarajevo assediata con un grande rave party, prima di trasferirsi nel nostro Paese. «Qui da noi, prima ancora dei rave, va registrata la moda degli afterhour nei locali come Vae Victis e Diabolik - aggiunge Pacoda -, ma l'elettronica in realtà è approdata da noi grazie ai centri sociali». 

BAIA DEGLI ANGELI. Fra i locali che fecero la svolta c' è la Baia degli Angeli a Gabicce, un'ex palestra affacciata sul mare che dal 1975 si propose come un locale all' avanguardia dove, per la prima volta, le vere star erano i dj invece dei classici cantanti. E mentre a New York lo Studio 54 celebrava il decennio della disco, sulla Riviera romagnola si accendevano i riflettori su nuove mode e stili musicali. Il Cocoricò, che ha festeggiato di recente trent' anni di vita, «si presentò per primo sulla scena techno italiana già nell' estate 1989», ricorda Davide Nicolò, fondatore e art director del "Cocco": «Fra l' 89 e il '92 andavo a Londra per rave party, che in Italia sono cominciati nel '94 - aggiunge Nicolò -, Noi al Cocoricò ci inventammo gli after-hour che si ispiravano proprio ai rave inglesi». Erano i tempi delle migrazioni del popolo della notte, quando le discoteche della Riviera si affollavano il venerdì e il sabato «per interminabili tempi supplementari fino al pomeriggio del giorno dopo», rovesciando poi sulle spiagge orde di ragazzi esausti che smaltivano stanchezza e sostanze sotto gli sguardi inquieti delle famigliole in vacanza. 

COCORICO' ANNI '90 6. «Sale, sale, e non fa male», scandivano in coro i ragazzi dalla pista alludendo all' ecstasy. La scena techno in questo senso aveva genitori illustri nei protagonisti degli Anni 60, da Woodstock ai concerti acidi dei Grateful Dead, quando il pubblico si strafaceva di marijuana e Lsd. Al netto di coloriture politiche presenti allora e assenti trent' anni più tardi, l'anima psichedelica era molto simile a quella della scena hippy, in uno spirito di pace universale favorito dall' effetto delle pastiglie.

Stefania Parmeggiani per “il Venerdì di Repubblica” il 28 giugno 2021. Le anime della notte hanno deciso di mostrarsi. E vederle adesso, nei giorni del Covid e del distanziamento sociale, è ancora più straniante che negli anni in cui riempivano le cronache, non proprio lusinghiere, dei giornali: migliaia di ragazzi accalcati uno sull' altro, pelle nuda, corpi sudati, trucco disfatto, lustrini. Tanti lustrini. Travestiti sui tacchi a spillo, labbra cariche di rossetto. Musica, arte, sesso, ambiguità. Di certo, anche se a luglio torneremo a ballare dimostrando di essere vaccinati o negativi al tampone, immagini come queste che vedete in pagina, frammenti di ciò che accadeva un tempo nelle cattedrali del divertimento, sono ormai storia. La racconta Disco Ruin, film-documentario di Lisa Bosi e Francesca Zerbetto (nelle sale dal 5 al 7 luglio), 115 minuti per ripercorrere 40 anni di club culture italiana attraverso i racconti di quattro generazioni: dj, gestori, creativi, performer, giovani che facevano di tutto per essere "messi in lista" ed entrare in luoghi dove non contava più cosa facessi di giorno, ma solo chi interpretavi durante la notte. «Il nostro film» dice Lisa Bosi «racconta un'Italia che non esiste più e che in molti non si sono mai accorti che esistesse». Lei, classe 1979, architetto di formazione, è partita dalle rovine di centinaia di discoteche abbandonate in tutta Italia: spazi vuoti, vetri rotti, muri scrostati, poltrone abbandonate, scheletri di luci al neon, piloni di cemento armato inghiottiti dalla vegetazione. Silenzio. «Luoghi come l'Ultimo Impero, il Woodpecker, il Madrugada, la Mecca o il Maskò sono la nostra Pompei». Per comprenderla è andata indietro nel tempo di oltre mezzo secolo. Roma, 1965, Piper. Più di un locale, l'inizio di una rivoluzione: fino a quel momento c' erano le balere, i gruppi che suonavano dal vivo, il ballo della mattonella e i lenti. In quell' immenso locale le ragazze arrivano con le gonne al ginocchio, se le arrotolano nei bagni e si dimenano al ritmo dello shake. Nessun passo prestabilito, solo corpi in movimento, roba da fare accapponare la pelle ai matusa, i genitori benpensanti dell'epoca. Ed è solo l'inizio, perché ben presto nascono luoghi come lo Space Electronic di Firenze, una «scatola magica» ricavata in un ex garage alluvionato, arredato coi materiali rinvenuti nelle fabbriche dismesse: lavatrici rotte per sedersi e serpentoni rossi come divani, diapositive proiettate a raffica sui muri, trionfo delle teorie di Marshall McLuhan. «Sono gli architetti a capire per primi che stanno nascendo nuovi comportamenti sociali e che c' è bisogno di contenitori per il ballo» continua Bosi «e così costruiscono dei veri templi, luoghi della creatività, della libertà, dell'utopia, sempre in bilico tra avanguardia e kitsch». La febbre del sabato sera La consacrazione arriva negli anni 70. Fino a quel momento chi stava in console era una specie di juke-box umano, passava la notte ad alternare i dischi, tre lenti e tre shake. La musica disco è tutta un'altra storia, il suono della diversità sessuale che nasce nei club underground americani e poi invade l'Europa. Giancarlo Tirotti, pioniere delle notti italiane, apre nel 1975, due anni prima dello Studio 54 e del Paradise Garage di New York, la Baia degli Angeli di Gabicce Mare, tremila metri quadri a picco sull' Adriatico. Dall' America fa arrivare Bob e Tom, due ragazzi che hanno dischi mai sentiti prima e li mixano usando un foglio di carta al posto del panno. Quando fanno le valige lasciano la console a Mozart e Baldelli. È un'altra stagione: quella dei dischi con l'etichetta oscurata dalla plastica perché nessuno veda il nome dei musicisti, quella della via Emilia di Pier Vittorio Tondelli citato, più volte, da Disco Ruin. «Arrivò l'eroina e ci trovò impreparati, anche per questo scelsi di passare la mano» dice oggi Tirotti. edonismo ed eccessi Sono gli anni Ottanta: finisce la grande stagione della politica e iniziano gli anni dell'edonismo, i giovani smettono di dormire. Tutto ciò che accade, accade di notte in posti come il Plastic di Milano - tra gli ospiti Keith Haring, Grace Jones e Andy Warhol - o il Kinki di Bologna. Entrare non è semplice: non conta l'estrazione sociale, ma ciò che uno sogna di essere e come lo esprime. La selezione è ferrea perché quel che accade nei club underground è roba forte: droga e sesso compresi. L' avvento dell'ecstasy, sconosciuta e almeno per il momento legale, «è come gettare benzina su un fuoco già acceso». In Disco Ruin si evocano coppe di vetro piene di pasticche, basta allungare la mano e cade ogni inibizione. La festa finisce all' improvviso perché si trasforma in un cimitero: arriva l'Aids e la libertà sessuale diventa veicolo di morte. Ma è solo una battuta d' arresto, come era accaduto negli anni Settanta con l'eroina. Dall' America arrivano l'house e poi la techno, in una parola il futuro. La Riviera romagnola diventa il centro di tutto. Pensare al clubbing italiano è pensare alle sue discoteche, il Diabolik' a, l'Echoes, l'Ethos Mama Club o il Cocoricò, la piramide in cui il ballo assume la forma di un rito. La notte non basta più. Dalle colline di Riccione ogni mattina all' alba scendono migliaia di giovani, ballano in spiaggia, in strada, sui tetti delle auto. Nascono i primi "after hour", il Club dei Nove Nove entra nella storia, Isabella Santacroce scrive Fluo: «Intanto fuori suonano le campane della chiesa vicina, invitando i fedeli alla funzione-religion. Il mix giù in strada è mitico: vecchiette tremolanti con copricapo e rosario alla mano e young people paura, dal look esasperato, in pieno round discotechereccio». Boa di piume e tatuaggi, bomboloni con gin tonic, calze a rete e copricapezzoli (fecero storia quelli di Nacha World, icona del Cocoricò, chiamata da Dolce & Gabbana e Vivienne Westwood ad animare i loro party post sfilata). Un altro mondo «Il popolo della notte attira l'attenzione dei media» continua Bosi, «il nomadismo dei giovani che attraversano l'Italia diventa un problema. I giornali, le televisioni, l'opinione pubblica, tutti parlano di alcol e droga, ma si dimenticano il resto, il teatro performativo, le sperimentazioni musicali, la moda». Disco Ruin racconta soprattutto questo, grazie alla voce di performer, gestori, creativi e dj, tra cui Claudio Coccoluto, scomparso recentemente, uno dei primi a capire che per contrastare le droghe era necessario riempire i locali di cultura. Le loro parole descrivono un mondo che accettava la diversità, ignorava le differenze di classe sociale, puntava tutto sulla creatività e si nutriva della curiosità di chi non aveva già visto tutto nella vita. Un Altromondo, appunto, come la discoteca di Rimini che resiste da oltre mezzo secolo e che ha già fatto sapere che anche quest' estate riaprirà. Nonostante il Covid, con green pass e mascherina, ancora in pista.

Nell’Italia bianca via le mascherine. Liberi da lunedì 28 ma solo all’aperto. Michele Bocci su La Repubblica il 21 giugno 2021. Ok del Comitato tecnico scientifico e arriva anche il sì del governo. Bisognerà però avere con sé le protezioni e indossarle se si è troppo vicini. Via le mascherine quando si sta all'aperto e non ci si avvicina troppo alle altre persone, cioè si resta a più di un metro di distanza. Il Cts ha dato il suo consenso alla cancellazione di una misura simbolica, anche per questo richiesta con forza ormai da tempo dalla politica. Gli esperti, riuniti per rispondere a un questo del ministro alla Salute Roberto Speranza sollecitato dal premier Mario Draghi, hanno anche indicato la data nella quale si può far entrare in vigore il cambiamento, che sarà poi sancito da un atto del governo. Il giorno è lunedì prossimo, 28 giugno: "Superiamo l'obbligo di indossare le mascherine all'aperto in zona bianca, ma sempre nel rispetto delle indicazioni precauzionali stabilite dal Cts", commenta il ministro Speranza. In quella data anche l'ultima Regione, cioè la Valle d'Aosta, sarà entrata in zona bianca. Tutta Italia sarà così nello scenario con meno restrizioni, grazie a un'incidenza inferiore ai 50 casi 100mila abitanti (in certi casi ormai di moltissimo) da almeno tre settimane consecutive. In tutto il Paese i dati di circolazione del virus sono bassissimi da tempo. E si continua a scendere. Nella settimana appena conclusa ci sono stati 8.112 nuovi casi, cioè poco più di mille al giorno, per una riduzione del 35% rispetto ai sette giorni precedenti. "Il Cts ritiene che nell'attuale scenario epidemiologico a partire dal 28 giugno ci siano le condizioni per superare l'obbligatorietà dell'uso delle mascherine all'aperto salvo i contesti in cui si creino le condizioni per un assembramento, come mercati, fiere, code, eccetera". Il Comitato in fondo recupera una regola della prima fase dell'epidemia, quando non era obbligatorio, appunto, usare le mascherine all'aperto. Bisogna comunque portarle sempre con sé, per indossarle nel caso in cui ci si trovi in una situazione nella quale non è possibile rispettare le norme sul distanziamento, cioè principalmente il metro di distanza dalle altre persone. Chi ad esempio esce di casa e si reca in un mercato all'aperto a fare la spesa, può stare senza mascherina finché non arriva di fronte ai banchi, dove c'è il rischio di avvicinarsi troppo ad altre persone. Da tempo gli esperti hanno chiarito che all'aperto è molto più difficile contagiarsi, cosa che unita al basso numero di persone infettate ha spinto a prendere la decisione. Di certo, comunque, hanno pesato anche le pressioni della politica a vari livelli, sia centrale che regionale. "Le persone devono portare con sé una mascherina in modo da poterla indossare ogni qualvolta si creino tali condizioni - scrive sempre il Cts - Deve essere raccomandato fortemente l'uso della mascherina nei soggetti fragili e immunodepressi e a coloro che stanno loro accanto". Per quanto riguarda l'utilizzo al chiuso, nulla cambia, nel senso che valgono i protocolli attualmente in vigore ad esempio per i mezzi pubblici o gli spettacoli. Per questo tipo di eventi che si svolgono all'aperto resta tutto com'è e appunto bisogna indossare la mascherina e sedere nei posti indicati dal gestore, che deve rispettare il distanziamento tra gli spettatori. Anche al ristorante le indicazioni restano le stesse. Cioè si deve entrare indossando la mascherina e la si può abbassare una dopo che ci si è seduti al tavolo. Chi lavora in questi come in altri esercizi invece non può mai toglierla. Gli esperti, che sottolineano come "le mascherine rappresentano uno dei mezzi più efficaci per la riduzione della circolazione del virus", ribadiscono che vanno sempre indossate "negli ambienti sanitari ed ospedalieri secondo i protocolli. Deve sempre essere mantenuto l'obbligo di indossare la mascherina in tutti i mezzi di trasporto pubblico. Devono essere rispettate le disposizioni e i protocolli stabiliti per l'esercizio in sicurezza delle attività economiche, produttive e ricreative".

Francesco Malfetano per “Il Messaggero” l'11 giugno 2021. Una Penisola finalmente a prevalenza bianca. È quella in cui si risveglieranno gli italiani a partire da lunedì 14 giugno. Ovvero da quando, in base ad un'ordinanza del ministro Roberto Speranza attesa per oggi, altre 6 regioni entreranno ufficialmente nella fascia di rischio più bassa. Lazio, Lombardia, Piemonte, Emilia-Romagna, Puglia e provincia autonoma di Trento quindi, diranno addio in un colpo solo a coprifuoco e limiti agli spostamenti, raggiungendo Sardegna, Friuli Venezia Giulia e Molise - in questa fascia dal 31 maggio - e Liguria, Veneto, Umbria e Abruzzo - in bianco dal 7 giugno. In altre parole, quello di lunedì è un passo in avanti fondamentale per la ripartenza del Paese perché per la prima volta dall'introduzione del sistema dei colori, la maggior parte delle regioni italiane si troverà nella fascia di minor rischio. Perché ciò avvenga davvero però, bisognerà attendere - prima ancora dell'ordinanza di Speranza - la consueta valutazione dei dati del monitoraggio settimanale da parte della cabina di regia del ministero della Salute che si terrà oggi. In ogni caso dovrebbero esserci sorprese. I dati delle regioni attenzionate infatti sembrano confermare il trend iniziato ormai più di due settimane fa. Sì perché l'ingresso in zona bianca si ottiene registrando per 21 giorni consecutivi meno di 50 nuovi casi su 100mila abitanti e, In base agli ultimi dati a disposizione (che oggi saranno appunto aggiornati), non paiono esserci grossi dubbi: questa settimana il Lazio ha registrato 23 nuovi casi ogni 100mila residenti, la Lombardia 22, il Piemonte 25, l'Emilia-Romagna 23, la provincia di Trento 26 e la Puglia 23. Numeri assolutamente positivi confermati anche dal monitoraggio indipendente di Gimbe. Nel suo report settimanale infatti, la fondazione testimonia non solo l'ulteriore riduzione dei casi riscontrata negli ultimi 7 giorni (-31,8%) e dei decessi (-34,9%) ma anche, grazie alla vaccinazione di anziani e fragili, l'ulteriore decongestione degli ospedali. L'occupazione dei posti letto Covid a livello nazionale, secondo Gimbe, si attesta ormai all'8% sia in area medica che in terapia intensiva. Nonostante questi numeri, proprio per tener fede al meccanismo trisettimanale che consente di entrare in zona bianca, dovranno attendere un'altra settimana in giallo Toscana, Marche, Campania, Basilicata, Calabria, Sicilia e Provincia di Bolzano. Anche per loro però, il conto alla rovescia va rapidamente esaurendosi e, salvo sorprese, entreranno in bianco a partire dal 21 giugno. Così facendo in zona gialla resterà la sola Valle d'Aosta che invece dovrà aspettare il 28 giugno per il passaggio in bianco e quindi la rinuncia anche alle ultime restrizioni.

LE REGOLE. In zona bianca infatti, per quanto restino sempre in vigore le regole base come distanziamento e mascherina anche all'aperto, vengono meno diverse misure anti-contagio introdotte nei mesi scorsi. In primis decade la necessità di rispettare il coprifuoco. Il limite orario agli spostamenti semplicemente non esisterà più. E lo stesso vale per i vincoli relativi agli spostamenti verso casa di amici e parenti. Inoltre in zona bianca sono consentite le feste private, i banchetti nuziali (che pure dal 15 giugno sono autorizzati in tutta Italia), riaprono i centri termali e le palestre al chiuso e vengono eliminati tutti i discussi divieti numerici per i ristoranti all'aperto (all'interno resta il limite di 6 fino al 21 giugno, in deroga solo se a sedere allo stesso tavolo sono due nuclei familiari).

Monica Guerzoni e Fiorenza Sarzanini per il “Corriere della Sera” il 2 giugno 2021. Feste di compleanno, banchetti per battesimi, cresime, matrimoni civili e religiosi, pranzi e cene tra parenti e amici: ogni occasione ha le sue regole. Ecco tutto quello che bisogna sapere prima di organizzare festeggiamenti e incontri: dal numero degli invitati alla possibilità di ballare. Con un obbligo previsto nel decreto: per le feste organizzate dopo le cerimonie in zona gialla e in zona bianca è obbligatorio per gli invitati avere il «pass». 

Per chi è vaccinato con la prima dose, vale il certificato a partire dal 15mo giorno dopo l'inoculazione.

Per chi ha fatto entrambe le dosi vale la certificazione rilasciata dopo l'inoculazione.

Per chi è guarito dal Covid serve il certificato dell'ospedale, del medico curante o del pediatra.

Per chi fa il tampone è necessaria la certificazione di esito negativo ottenuta nelle 48 precedenti. 

Fino al 15 giugno in zona gialla gli incontri in casa sono limitati. È infatti «consentito lo spostamento verso una sola abitazione privata abitata, una volta al giorno, nel limite di quattro persone rispetto a quelle già conviventi, oltre ai minorenni».

In zona bianca non ci sono limiti.

Dopo il 15 giugno sarà consentito lo spostamento verso le abitazioni private senza limitazioni nel numero delle persone.

Fino al 15 giugno le feste sono vietate.

Dal 15 giugno è possibile organizzare feste e banchetti, sia pur con alcune limitazioni legate al luogo dove si decide di ospitare gli invitati.

Fino al 6 giugno in zona gialla il coprifuoco è in vigore dalle 23 alle 5.

Dal 7 giugno in zona gialla il coprifuoco è in vigore dalle 24 alle 5.

Dal 21 giugno in zona gialla non c' è più coprifuoco.

In zona bianca non c' è coprifuoco. 

Per chi vuole festeggiare al ristorante le regole sono quelle previste per tutti i clienti, uguali per la zona gialla e per la zona bianca. Varia soltanto l'orario del coprifuoco.

I tavoli devono essere al massimo per quattro persone, tranne che si tratti di conviventi. Devono essere disposti «in modo da assicurare il mantenimento di almeno 1 metro di separazione tra i clienti di tavoli diversi negli ambienti al chiuso e di almeno 1 metro di separazione negli ambienti all' aperto». 

Quando non si sta al tavolo bisogna indossare la mascherina.

Il buffet può essere organizzato solo «mediante somministrazione da parte di personale, escludendo la possibilità per i clienti di toccare quanto esposto e prevedendo in ogni caso, per clienti e personale, l'obbligo del mantenimento della distanza e dell'utilizzo della mascherina». È consentita la «modalità self-service ma soltanto per buffet con prodotti confezionati in monodose».

Si possono organizzare eventi musicali ma mantenendo il distanziamento di 3 metri dal pubblico. Non è consentito ballare.

Per chi vuole organizzare una festa in un locale pubblico - bar o luoghi che comunque non prevedano i posti assegnati - «è consentito l'ingresso ad un numero limitato di clienti, in base alle caratteristiche dei singoli locali, in modo da assicurare il mantenimento di almeno 1 metro di separazione tra le persone».

Si possono organizzare eventi musicali ma mantenendo il distanziamento di 3 metri dal pubblico.

Non è consentito ballare.

Gli invitati devono avere la certificazione verde.

Non ci sono limitazioni rispetto al numero di persone ai tavoli che devono essere disposti «in modo da assicurare il mantenimento di almeno 1 metro di separazione tra gli ospiti di tavoli diversi negli ambienti al chiuso e di almeno 1 metro di separazione negli ambienti all' aperto». 

Il buffet è consentito soltanto con «somministrazione da parte del personale, senza possibilità per gli ospiti di toccare quanto esposto e prevedendo l'obbligo di distanziamento e mascherina». Oppure con «prodotti monodose che gli ospiti possono prendere da soli».

Si possono organizzare eventi musicali ma mantenendo il distanziamento di 3 metri dal pubblico.

All' esterno si potrà ballare.

Seconde le linee guida approvate dal Comitato tecnico scientifico «si potrà ballare negli spazi interni ma garantendo una superficie pro capite pari a 2 metri quadri, potenziando il ricambio d' aria dei locali».

Compromesso tra Regioni e Governo. Al ristorante in sei a tavola al chiuso, nessun limite all’aperto: le nuove regole. Carmine Di Niro su Il Riformista il 3 Giugno 2021. Dopo lo strappo e le liti è arrivato l’accordo: tra Governo e Regioni è stata infatti raggiunta una faticosa intesa sulle regole da seguire nell’ambito della ristorazione. L’escutivo Draghi ha dato via libera alla proposta formulata dal presidente della Conferenza delle Regioni Massimiliano Fedriga, così formulata: esteso in in via temporanea, per farlo decadere dopo due settimane (a fine giugno quando l’Italia sarà tutta in zona bianca, ndr), il tetto massimo al chiuso da 4 a 6 persone per tavolo nella zona bianca. La proposta di Fedriga proponeva un numero di commensali più alto, otto, ma l’intesa si è raggiunta su un compromesso fissando il numero di persone al tavolo a sei. Il tetto di 6 persone a tavola al chiuso potrà essere superato in caso di due nuclei familiari. Un esempio: una famiglia con due figli e una con tre figli, dunque 9 persone, possono stare insieme, mentre con le attuali regole dovrebbero mangiare in tavoli separati. Per quanto riguarda i tavoli all’aperto, invece, non sarebbe previsto alcun limite. Il presidente Fedriga, riporta l’Ansa, avrebbe inoltre rilanciato sull’opportunità di valutare l’abolizione di limiti all’aperto anche per le zone gialle e, a tal proposito, si sarebbe impegnato a coinvolgere il tavolo tecnico nazionale. La proposta delle Regioni avrebbe superato quindi lo stallo che si era venuto a creare nel governo con lo scontro tra il ministro della Salute Roberto Speranza e quello degli Affari Regionali Mariastella Gelmini: il primo chiedeva di  mantenere il limite di quattro persone sia all’aperto che al chiuso, la seconda giudicava questa una regola “troppo restrittiva”. Un’ordinanza è attesa da parte del ministro della Salute domani, per regolamentare quindi il mondo della ristorazione. Su Twitter quindi il ministro Gelmini rassicura: “Governo e Regioni verso una sintesi positiva sul numero massimo dei commensali nei ristoranti, tanto al chiuso quanto all’aperto – scrive –  . La zona bianca è un "premio", non avrebbe avuto senso mantenere le stesse regole previste per la zona gialla. Torniamo alla normalità”. Speranza, impegnato nel G7 di Oxford, ha invece sottolineato che “le cose vanno meglio” in Italia sul fronte Covid “grazie alla campagna di vaccinazioni e alle misure che abbiamo avuto in questi mesi”, ora occorre “proseguire in un percorso di gradualità perché è giusto riaprire ma passo dopo passo” visto che “un passo troppo lungo ci potrebbe far pagare un prezzo”. Quanto all’alleggerimento delle regole sui tavoli nei ristoranti ha precisato: “Bisogna sempre distinguere l’aperto dal chiuso perché al chiuso ci sono molti più rischi. Siamo sulla strada giusta, dobbiamo insistere su questa strada”.

Carmine Di Niro. Romano di nascita ma trapiantato da sempre a Caserta, classe 1989. Appassionato di politica, sport e tecnologia

Ristoranti, "al chiuso massimo in 6 per tavolo": dopo il vertice, il ripensamento sul limite che fa infuriare le Regioni. Libero Quotidiano il 03 giugno 2021. La concessione delle otto persone a tavolo per i ristoranti al chiuso sembrava essere cosa fatta. E invece non solo non è arrivata l’ufficialità da parte dell’esecutivo presieduto da Mario Draghi, ma a quanto pare tutto è stato rimesso in discussione. Fonti di governo avevano fatto trapelare l’ok alla proposta delle Regioni, che vogliono alzare a 8 il numero massimo di persone a tavolo al chiuso, togliendo il limite all’aperto. Ovviamente tale concessione sarebbe limitata alle zone bianche: entro il 21 giugno - data in cui verrà finalmente abolito il coprifuoco - praticamente tutte le Regioni italiane rientrerebbero in questa fascia, fatta eccezione per la Valle d’Aosta. Fonti ministeriali hanno però fatto sapere all’Ansa che, dopo un confronto con i governatori, il limite sarebbe stato abbassato da otto a sei persone per tavolo: sarebbe questo il punto di caduta su cui si starebbe convergendo in queste ore, a testimonianza che ormai è stato superato di parecchio il ridicolo. Probabilmente c’è lo zampino di Roberto Speranza dietro tutto questo, la cui linea della prudenza sta diventando stucchevole alla luce della reale situazione epidemiologica e dell’avanzamento della campagna di vaccinazione. Domani, venerdì 4 maggio, è attesa un’ordinanza del ministro della Salute per definire le regole per la ristorazione: salvo ulteriori colpi di scena, dovrebbero essere quindi sei le persone concesse a tavolo. “Governo e regioni verso una sintesi positiva sul numero massimo dei commentali nei ristoranti, tanto al chiuso quanto all’aperto - ha twittato la ministra Mariastella Gelmini - la zona bianca è un "premio", non avrebbe avuto senso mantenere le stesse regole previste per la zona gialla. Torniamo alla normalità”. 

Ristoranti, il dubbio di Gianfranco Vissani: "Al tavolo tecnico erano quattro o di più?", l'ipocrisia di Speranza. Libero Quotidiano il 03 giugno 2021. “Al tavolo tecnico di oggi quanti saranno: quattro o di più? Vabbè, tanto diranno che avevano la mascherina… mentre al ristorante con la mascherina non si può mangiare”. È un’ironia amara, quella che Gianfranco Vissani ha usato per commentare la riunione tra il governo e le Regioni sulla regola delle quattro persone a tavola al ristorante. Assurdo tenerla anche in zona bianca, tanto è vero che l’esecutivo avrebbe dato l’ok alla richiesta delle Regioni, che prevede un massimo di otto persone a tavola nei locali al chiuso e nessuna restrizione all’aperto. “Stiamo davvero esagerando - ha dichiarato Vissani all’Adnkronos - danno i numeri: quattro, cinque, sei posti, mentre intanto ci massacrano, dato che dopo 14 mesi gli aiuti ancora non ci sono. Arrivano milioni di dosi di vaccino, l’Italia è in zona bianca e ancora discutono su quanti commensali fare sedere a tavola, come se il coronavirus lo portassero i ristoranti”. A fare eco a Vissani è anche lo chef Antonello Colonna: “Secondo me la regola dei quattro posti a tavola non ha più senso, così come non avevo senso la riapertura dei ristoranti soltanto all’esterno”.  “Sono d’altronde insensate molte regole che penalizzano soltanto alcuni settori - ha aggiunto - come bar e ristoranti, a fronte dell’affluenza massiccia, ad esempio ieri sui Navigli, di tanta gente, anche senza mascherina. Per non parlare dei mezzi di trasposto, come sempre pieni, e degli stadi riaperti alle tifoserie. Esiste una buona dose di pressappochismo in questo genere di disposizioni - ha fatto notare Colonna all’Adnkronos - cosa cambia fra due tavoli vicini fra loro con quattro persone ciascuno e un tavolo da otto?”. 

Nuove aperture dal 1 giugno: sì a bar e ristoranti al chiuso, stadi e feste. Rossella Grasso su Il Riformista l'1 Giugno 2021. I numeri dei contagi e delle vaccinazioni sono incoraggianti e con il 1 giugno iniziano le nuove aperture: un passo decisivo verso la normalità. Resta l’obbligo di mascherina all’aperto e al chiuso, di distanziamento e il divieto di assembramento. Come cambia la vita degli italiani dal 1 giugno?

Green pass. Dal primo giugno entra in uso un nuovo strumento: il green pass. Per partecipare a molti eventi in fascia gialla e bianca e per andare all’estero c’è bisogno di questo certificato che viene rilasciato al momento del vaccino oppure quando si guarisce dal Covid o dopo essersi sottoposti a un tampone con esito negativo. Ha validità “dal quindicesimo giorno successivo alla somministrazione fino alla data prevista per il completamento del ciclo vaccinale”. Vale per 9 mesi. Se si è guariti bisogna avere il certificato dell’ospedale o del medico di base o del pediatra. Se si fa il tampone si può fare l’antigenico, il molecolare o il salivare nelle 48 ore precedenti. Serve per partecipare a banchetti e cerimonie e per andare all’estero, salvo che il paese di destinazione non abbia regole diverse. Anche i minori dai 2 anni in su dovranno avere il pass.

Riaprono bar e ristoranti al chiuso. Finalmente si potrà consumare un caffè al bancone. Fino ad oggi era possibile consumare nei bar solo seduti all’esterno. Nei bar che non dispongono di posti a sedere “si deve consentire l’ingresso a un numero limitato di clienti per volta, in base alle caratteristiche dei singoli locali, in modo da assicurare il mantenimento di almeno un metro di separazione”. Quando non si mangia e si beve è sempre obbligatorio indossare la mascherina. È vietato sostare nelle adiacenze dei locali. Come nei ristoranti, anche nei bar vale la regola del buffet: il cibo deve essere servito dal personale e i clienti possono servirsi da soli soltanto se si tratta di porzioni monodose.

Feste e banchetti. Dal 15 giugno sarà possibile organizzare feste e banchetti dopo le cerimonie civili e religiose. non c’è un numero massimo di invitati, dipende dalla capienza del locale. È consentita la presenza dei gruppi musicali, a distanza di 3 metri dal pubblico. Non è consentito il ballo, perché le discoteche sono chiuse.

Riaprono gli stadi al pubblico. È consentita “la presenza di pubblico in eventi e competizioni sportive all’aperto”. I posti a sedere per le persone non conviventi dovranno prevedere il distanziamento e sarà obbligatoria la mascherina. La capienza non può essere superiore al 25% di quella massima e comunque non può superare le 1.000 persone. È preferibile la prenotazione dei biglietti online che possa consentire il tracciamento delle persone e per evitare gli assembramenti agli ingressi. Si devono prevedere percorsi differenziati tra ingressi e uscite.

Rossella Grasso. Giornalista professionista e videomaker, ha iniziato nel 2006 a scrivere su varie testate nazionali e locali occupandosi di cronaca, cultura e tecnologia. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Tra le varie testate con cui ha collaborato il Roma, l’agenzia di stampa AdnKronos, Repubblica.it, l’agenzia di stampa OmniNapoli, Canale 21 e Il Mattino di Napoli. Orgogliosamente napoletana, si occupa per lo più video e videoreportage. E’ autrice del documentario “Lo Sfizzicariello – storie di riscatto dal disagio mentale”, menzione speciale al Napoli Film Festival.

Ristorante, da lunedì cambia tutto: le nuove regole. Rosa Scognamiglio il 29 Maggio 2021 su Il Giornale. A partire da giugno, cambiano le regole: cade il limite del quattro commensali al ristorante; sì alla musica in discoteca ma senza balli. A partire dalla prossima settimana, potrebbero esserci importanti novità per quanto riguarda il consumo di cibi e bevande nei bar e nei ristoranti. Per certo, cadrà il limite di stare seduti al tavolo in 4 persone anche se ciascun commensale dovrà indossare la mascherina prima e dopo il pasto. Stando a quanto si apprende dal quotidiano La Repubblica, sono queste - in linea di massima - le nuove linee guida per "la ripresa di attività economiche e sociali" che andranno ad integrare quelle già fissate nel decreto di maggio delle riaperture.

I requisiti del green pass. Sono state quasi tutte contestate dai tecnici delle amministrazioni locali, i requisiti del green pass. Ieri, durante l'incontro tra Cts e Regioni, si è deciso di apportare delle modifiche sostanziali al cosiddetto "passaporto vaccinale". Secondo il Comitato tecnico scientifico avrebbero dovuto essere vaccinati - oppure aver già contratto la malattia nei sei mesi precedenti alla ripresa delle attività - tutti i lavoratori impiegati nei settori dell'intrattenimento, della ristorazione e, più in generale, a stretto contatto con il pubblico. Una condizione tanto utopistica quanto irrealizzabile dal momento che, soprattutto molti giovani under 30, non hanno ancora avuto la possibilità di vaccinarsi. E sottoporsi al tampone ogni 48 ore sarebbe stato pressoché impossibile. Per questo motivo, i rappresentati delle Regioni si sono battuti affinché le linee del green pass fossero riviste ottenendo, alla fine dell'incontro, un punto a favore. In buona sostanza, le regole sono state eliminate.

Cosa cambia per i ristoranti. Cade l'obbligo di stare seduti al tavolo in 4 persone. Tuttavia, ogni commensale dovrà essere dotato di mascherina che dovrà mettere prima e dopo il pasto. A tal riguardo, non è passata quindi la proposta del Cts di fare indossare il dispositivo di protezione sempre quando non si mangia o non si beve (ad esempio mentre si aspetta il servizio). Inoltre, i gestori dovranno adottare misure per evitare che si creino assembramenti all'esterno dei rispettivi locali. Quanto ai menù, dovranno essere consultabili attraverso soluzioni digitali oppure su carta plastificata.

Le regole per i matrimoni. Non servirà più il green pass per partecipare ai matrimoni, cerimonie civili o religiose. La regola generale per gli operatori del settore wedding è quella di assicurare il rispetto delle norme anti-covid, vale a dire, il distanziamento e l'uso della mascherina. Alle feste, sarà consentito anche l’intrattenimento musicale ma, anche in questo caso, tra gli invitati e i musicisti dovrà essere garantita sempre la distanza minima di un metro.

Le spiagge libere. Si potrà andare al mare. Le spiagge libere non saranno più a numero chiuso - come lo erano fino allo scorso anno - e si potranno praticare sport singoli o che consentono di mantenere la distanza tra i partecipanti. Vietate, invece, le attività ludico-sportive di gruppo. In buona sostanza, niente balli né partite in spiaggia. I gestori degli stabilimenti balneari, invece, dovranno premurarsi di ampliare le zone d’ombra per evitare affollamenti nelle ore più calde.

Discoteche aperte ma niente balli. In zona bianca, riapriranno anche le discoteche. Tuttavia, le limitazioni saranno comunque inevitabili. Ritorna la musica dal vivo ma i clienti dovranno rimanere seduti ai tavoli durante le esibizioni. IL Cts ha ribadito la necessità di mantenere il distanziamento tra i clienti e i tavoli nonché l’obbligo di indossare la mascherina ad eccezione del momento in cui si mangia o beve. Ciononostante, non si esclude l'ipotesi di consentire "l’attività danzante" in pista a chi è in possesso del green pass.

Le regole per i centri benessere. Riapriranno a pieno ritmo le piscine termali e centri benessere, con anche il ripristino dei trattamenti alla persona e l'utilizzo delle docce. Il Cts raccomanda il distanziamento di due metri con postazioni alternate negli spogliatoi e ricambio d’aria, pulizia e disinfezione continua. Vietato l’uso promiscuo degli armadietti e il consumo di cibo. Gli indumenti devono essere risposti in borse o sacchetti . Obbligatoria la doccia saponata prima di entrare in piscina.

Rosa Scognamiglio. Nata a Napoli nel 1985 e cresciuta a Portici, città di mare e papaveri rossi alle pendici del Vesuvio. Ho conseguito la laurea in Lingue e Letterature Straniere nel 2009 e dal 2010 sono giornalista pubblicista. Otto anni fa, mi sono trasferita in Lombardia dove vivo tutt'oggi. Ho pubblicato due romanzi e un racconto illustrato per bambini. Nell'estate del 2019, sono approdata alla redazione de IlGiornale.it, quasi per caso. Ho due grandi amori: i Nirvana e il caffè. E un chiodo fisso...La pizza! Di "rosa" ho solo il nome, il resto è storia di cronaca nera.

Zona bianca, le regole: niente coprifuoco, riaperture, mascherine e distanziamento. Debora Faravelli il 29/05/2021 su Notizie.it Assenza del coprifuoco, obbligo di indossare le mascherine, riaperture di tutte le attività: le regole in vigore in zona bianca. Entro la fine di giugno l’Italia si avvia ad essere in prevalenza in zona bianca, la fascia di minor rischio dove la maggior parte delle restrizioni scompaiono e restano in vigore solo le norme basiche di prevenzione: quali sono le regole e cosa si può fare? L’accordo siglato tra Governo e Regioni prevede che quando una regione entra in zona bianca non sia più sottoposta al coprifuoco. Ciò vuol dire che i cittadini si potranno spostare liberamente a tutte le ore della giornata senza limitazioni di orario. Fermi restando i criteri base della prevenzione quali obbligo di indossare le mascherine, distanziamento, areazione e sanificazione dei luoghi chiusi, nei territori bianchi si potranno anticipare, al momento del passaggio, le riaperture delle attività economiche e sociali per le quali la normativa vigente aveva disposto la ripresa in un momento successivo.

In zona bianca non sono previsti ingressi contingentati nei mercati all’aperto e sulle spiagge libere. Il protocollo prevede che possano riaprire le discoteche ma per il momento resta ancora vietato ballare e si potrà solo ascoltare la musica, mangiare e bere. 

Regole zona bianca: mascherine obbligatorie. Come predetto, anche in fascia bianca rimarrà l’obbligo di indossare le mascherine. Gli unici soggetti per i quali non è obbligatorio l’utilizzo di un dispositivo di protezione sono i bambini sotto i 6 anni di età, le persone che, per la loro invalidità o patologia, non possono indossarlo e tutti gli operatori o persone che, per assistere una persona esente dall’obbligo, non possono a loro volta indossare la mascherina (per esempio chi deve interloquire tramite la Lingua dei Segni con i non udenti). Inoltre non vige l’obbligo di utilizzare le mascherine sia all’aperto che al chiuso, mentre si effettua attività sportiva, mentre si mangia o si beve, nei luoghi e negli orari in cui è consentito, o quando si sta da soli o esclusivamente con i propri conviventi.  

Matteo Bassetti asfalta Roberto Speranza: "Le chiusure non c'entrano. Mi dispiace contraddirlo, ma...", sfogo da incorniciare. Libero Quotidiano il 21 maggio 2021. Basta parlare dell'abbassamento dei contagi dovuto alle chiusure e ai lockdown. Matteo Bassetti non ne vuole più sapere: se la curva scende è grazie alla campagna di vaccinazione. Se l'Italia diventerà tutta gialla insomma sarà perché le persone fragili saranno tutte immunizzate. "Mi dispiace contraddire il ministro della Salute Roberto Speranza ma il beneficio in termini di riduzione dei casi non è legato alle chiusure ma è legato ai vaccini. Negarlo è un errore", dice il direttore della Clinica di Malattie infettive dell'ospedale San Martino di Genova ad Adnkronos salute: "Questi buoni risultati sono legati per un 80 per cento alle immunizzazioni che hanno messo al sicuro gli anziani e fragili, poi il 20 per cento sarà legato alle altre misure". Quindi Bassetti dà un quadro della situazione di chi è in prima linea come lui contro il coronavirus: "Qui nell'ospedale dove lavoro a Genova registro per il terzo giorno di fila neanche un ingresso Covid al Pronto soccorso, cosa che non si verificava dall'estate 2020", dice l'infettivologo che è anche componente dell'Unità di crisi Covid-19 della Liguria, replicando a quanto scritto dal ministro Speranza sui social: "L’Italia sarà tutta in area gialla. È il risultato delle misure adottate, del comportamento corretto della stragrande maggioranza delle persone e della campagna di vaccinazione". Adesso, aggiunge Bassetti, "serve più coraggio". Questo significa prendere "iniziative sulle mascherine o evitare di fare tamponi ai vaccinati: lavoriamo per togliere l'obbligo della mascherina all'aperto iniziando con i vaccinati. Poi chi vorrà potrà continuare anche ad usarla. Ma siamo in una situazione molto buona", commenta l'infettivologo. "Mi auguro che nel breve si possa tornare a fare tutto: cinema e teatri pieni, stadi con i tifosi. Lo spero vivamente", conclude Bassetti. Chiaro il messaggio?

L'affondo di Clementi: "Coprifuoco? Problema politico, non sanitario". Federico Garau l'8 Maggio 2021 su Il Giornale. Il direttore del laboratorio di Microbiologia e Virologia del San Raffaele non usa giri di parole: "Questa storia del coprifuoco alle 22 deve finire". Dopo i primi segnali di una parziale riapertura del paese, la questione più spinosa resta, in vista dei mesi più caldi ormai in arrivo, quella del coprifuoco. Sono sempre più numerosi, infatti, i politici ad insistere sulla necessità di rimuovere completamente tale limitazione, con lo scopo in primis di non ostacolare la stagione turistica. La proposta di abolire il coprifuoco, arrivata tra gli altri da Salvini e Renzi, ha trovato tuttavia la strenua opposizione di alcuni virologi: tra i più accaniti sostenitori della misura, che se non dovessero intervenire modifiche rimarrà tale fino al prossimo 31 luglio, il direttore del reparto Malattie infettive del Sacco di Milano Massimo Galli ed il direttore del dipartimento di Microbiologia dell'Università di Padova Andrea Crisanti.

La posizione di Massimo Clementi. Una voce fuori dal coro degli oltranzisti è rappresentata dal professor Massimo Clementi, direttore del laboratorio di Microbiologia e Virologia dell'ospedale San Raffaele di Milano e docente all'Università Vita-Salute, che parla senza mezzi termini di un problema di carattere politico piuttosto che di natura squisitamente sanitaria. "Quello del coprifuoco è un problema più 'politico' che virologico", spiega il professore, "perché i virus non girano di notte, tra le 22 e le 23 più che in altre ore. È dunque una questione più di valutazione politica ed economica, perché vediamo che alcune categorie sono fortemente penalizzate. Sebbene qualche mio collega virologo ritenga che questa sia e debba essere una battaglia di trincea, io invece non ritengo il coprifuoco una cosa così importante", aggiunge. "Questa è la mia opinione che si basa sul alcune considerazioni personali dell'andamento dell'epidemia", precisa ancora il dottor Clementi all'AdnKronos, "non ritengo il coprifuoco importante per vincere la battaglia contro il virus, che si vince invece con i vaccini e il rispetto di alcune regole fondamentali. Non con discorsi su un'ora in più o in meno". È quindi necessario portare nuovamente l'attenzione sulla pesante crisi economica che il nostro Paese sta attraversando, e far ripartire appieno l'attività dei locali: "Quindi mi viene da dire: facciamo lavorare i ristoratori con un turno in più, facciamo uscire le persone rispettose delle regole un'ora in più e basta". Quando si tocca il tasto del "coprifuoco" salta sempre fuori il tema dei presunti dati scientifici che chiarirebbero la necessità dell'adozione di questo provvedimento, ma il professore resta decisamente perplesso a riguardo. "Io non riesco a vederli questi dati scientifici che dicono che un'ora in più fa la differenza", aggiunge Clementi. "Nel momento in cui ci avviciniamo all'estate e ci troviamo nella situazione di dover riaprire, sempre con alcune regole caposaldo che devono essere senz'altro mantenute, questa storia del coprifuoco alle 22 deve finire". Dopotutto risulta abbastanza evidente il calo del numero di contagi, puntualizza il professore. Un decremento "che in parte è dovuto alle misure prese in precedenza, ma anche alla particolare stagione verso cui ci avviamo". Certo non cambierà tutto dall'oggi al domani: "Qualche ritorno fiamma ci potrà essere, riaprendo scuole, sport e quant'altro. Ma spero e credo sia gestibile", si auspica Clementi, "soprattutto per come stanno andando le vaccinazioni anti-Covid. Sulla campagna di immunizzazione sono molto positivo, perché sta procedendo veramente molto bene", conclude.

Matteo Bassetti picchia duro sul coprifuoco alle 23: "Liberticida, nessun dato dice che funziona". Libero Quotidiano il 07 maggio 2021. “Vietare di uscire di casa dopo le 22 per ben 7 mesi non è solo un provvedimento liberticida, ma il più liberticida fra quelli che sono stati presi”: questo il pensiero dell’infettivologo Matteo Bassetti sul coprifuoco. Secondo il direttore della Clinica di Malattie Infettive dell’Ospedale San Martino di Genova, questa misura non ha “basi scientifiche”. E ancora: “Una misura non compresa è inutile e può essere persino controproducente”. Si è tornati a parlare di coprifuoco dopo le dichiarazioni di Luigi Di Maio, che ha indicato la data del 16 maggio come ipotesi concreta per superare il limite delle 22 per gli spostamenti. Parlando dal punto di vista scientifico, Bassetti all’Ansa ha chiarito: “Non abbiamo dati per dire che funzioni. Sappiamo che da quando è stato istituito ha dato risultati, ma insieme ad altri provvedimenti, come la chiusura di bar e ristoranti. Oggi però non so a cosa serva tra le 22 e le 23, nel momento in cui locali e ristoranti sono comunque aperti”. Se l’obiettivo della misura è quello di limitare la circolazione delle persone la sera, il coprifuoco non riesce comunque a raggiungere quello scopo: “Se le persone sono in giro per tre ore la sera invece che per quattro ore, si ha solo l’effetto contrario a quello voluto, perché fanno la stessa cosa per un’ora in meno, quindi si concentrano di più, si assembrano di più e ci sono più contatti”. Completamente diversa la reazione di Massimo Galli, primario dell’ospedale Sacco di Milano: “Io ho la nausea dei discorsi sul coprifuoco. Le limitazioni serali servono a questo: a disincentivare i movimenti. Se non si capisce questa cosa si andrà avanti a discutere all’infinito, ma non dovrebbe esser difficile da capire. Se poi ci si vuol fare polemica politica è un’altra questione”.

Bassetti affossa il coprifuoco: "Non c'è nessun dato scientifico". Valentina Dardari il 7 Maggio 2021 su Il Giornale. Il medico genovese considera la norma “il provvedimento più liberticida preso finora”. Questa volta Matteo Bassetti c’è andato giù pesante in fatto di coprifuoco, cioè il divieto di uscire di casa dopo le 22 ormai da ben 7 mesi, e non ha usato mezzi termini quando lo ha definito “non solo un provvedimento liberticida, ma il più liberticida fra quelli che sono stati presi”. Il direttore della Clinica di Malattie Infettive dell’Ospedale San Martino di Genova ha spiegato che non vi sono dati scientifici a sostegno di questa norma e che “una misura non compresa è inutile e può essere persino controproducente”. Ancora una volta l’argomento principale è stato il coprifuoco, soprattutto in seguito alle ultime dichiarazioni fatte da Luigi Di Maio, che ha parlato del 16 maggio come ipotesi di data concreta per superare il limite delle 22 per gli spostamenti. Il professor Bassetti ha tenuto quindi a precisare all’Ansa che non abbiamo dati in mano per poter dire che il divieto funzioni davvero. Ha poi tenuto a dire che da quando è entrato in vigore ci sono stati dei risultati, ma è anche stato associato ad altri provvedimenti, come per esempio la chiusura di bar e ristoranti. Inoltre, se l’obiettivo del coprifuoco è quello di limitare gli spostamenti serali dei cittadini, Bassetti ha fatto notare che “se le persone sono in giro per tre ore la sera invece che per quattro ore, si ha solo l’effetto contrario a quello voluto, perché fanno la stessa cosa per un’ora in meno, quindi si concentrano di più, si assembrano di più e ci sono più contatti”. Ovviamente, in totale disaccordo con quanto detto dal professore, c’è il primario dell’ospedale Sacco di Milano, Massimo Galli, che si è sempre detto favorevole alle restrizioni, di qualsiasi tipo. “Io ho la nausea dei discorsi sul coprifuoco. Le limitazioni serali servono a questo: a disincentivare i movimenti. Se non si capisce questa cosa si andrà avanti a discutere all’infinito, ma non dovrebbe esser difficile da capire. Se poi ci si vuol fare polemica politica è un’altra questione” ha asserito l’infettivologo rigorista che in più di una occasione è arrivato allo scontro verbale con l’aperturista Bassetti. Secondo quanto annunciato questa mattina dal ministro degli esteri, Luigi Di Maio, il prossimo 16 maggio potrebbe davvero essere la data da segnare sul calendario. Potremmo finalmente superare il coprifuoco, che dallo scorso 6 novembre ci costringe a restare chiusi in casa dalle 22 di sera alle 5 del mattino, togliendo agli italiani la possibilità di poter circolare liberamente.

Zecchi vuole il "processo di Norimberga" e Fiano si infuria. A Quarta Repubblica scatta la rissa. Libero Quotidiano il 05 aprile 2021. Parlando del ministro della Salute Roberto Speranza, il filosofo Stefano Zecchi, in collegamento da Milano con gli studi di “Quarta Repubblica” lunedì 5 aprile, non usa mezzi termini. “Noi abbiamo un ministro incapace, un ministro che a giugno dell’anno scorso ha scritto un libro sul fatto che aveva risolto il problema del Covid. Libro che poi ha ritirato - attacca Zecchi nella trasmissione condotta da Nicola Porro su Rete4 - Siamo in una guerra terribile. Ma nelle guerre ci sono generali capaci di comandare il proprio esercito e generali incapaci che mandano allo sbaraglio la loro gente. La mandano a crepare". Ma la ‘gente’ "siamo noi italiani che moriamo come mosche quando si sarebbe dovuto realizzare questo piano vaccinale già con il governo precedente. Il governo Draghi eredita una situazione disastrosa, ma non sta facendo assolutamente meglio. Sta dando soltanto obiettivi. La realtà è disperante", dice il filosofo che è un fiume in piena. "È inutile qui continuare a fasciarci la testa. Qui non si è capaci. Il governo non è capace di organizzare minimamente le aperture che significano "vita". Sono soltanto capaci di dare "morte"", attacca lanciando un paragone che fa saltare sulla sedia Emanuele Fiano. "Qui ci vuole un processo. Il processo di Norimberga. Perché i morti che sono caduti in questa battaglia sono morti sulla coscienza della politica”, sbotta Zecchi. E il parlamentare del Pd non si tiene, e ribatte: “Il processo di Norimberga lasciamolo stare, lì si sterminarono 6 milioni di ebrei. Se fosse vero significherebbe che Speranza è come Goebbels e Draghi è come Hitler. Le consiglio di moderare le parole. La storia ha un peso e le parole sono sacre”. I due si sovrappongono, il parallelismo usato da Zecchi tocca nell'intimo il parlamentare Pd che poco prima aveva anche ricordato la morte dei genitori, in tempi recenti, soprattutto del padre sopravvissuto alla Shoah, Nedo Fiano, al quale il dem ha dedicato anche un libro.

Ecco perché il coprifuoco è sbagliato". Matteo Carnieletto il 25 Aprile 2021 su Il Giornale. Intervista al professor Simone Regazzoni: "Noi dobbiamo fare una battaglia non solo per sopravvivere ma per sentirci vivi, per sentire tutta la forza della vita". "Abbiamo affrontato un fenomeno complesso come il Covid-19, articolato su più livelli della vita sociale e privata delle persone, solo in termini di salute. Così facendo, il discorso sanitario è diventato l'unico modo per risolvere questo problema. Abbiamo considerato i virologi - che come sempre accade nella scienza non hanno nessuna verità oggettiva e procedono per tentativi ed errori - come fossero i custodi di una verità a cui affidare la riorganizzazione intera sia dello spazio pubblico che privato. Se questo era comprensibile quando la pandemia è iniziata, è stato un errore grave continuare a farlo per gestire l'emergenza nel corso dell'anno seguente". Così Simone Regazzoni, filosofo, allievo di Jacques Derrida, amante (e praticante) degli sport di contatto.

Professore, è da un anno che, a targhe alterne, veniamo confinati in casa. Come mai?

Il primo grande errore è stato di mentalità: abbiamo risposto con una mentalità ristretta che ragionava solo in termini di sopravvivenza al problema Covid. Ora ci chiedono di continuare a usarla anche per il futuro, proprio ora che il fenomeno inizia ad avere una portata diversa attraverso i vaccini e altri tipi di risorse. Continuiamo ad avere i medici che, in tv, fanno il loro discorso a mo' di predica; hanno assunto un ruolo diverso dal medico, a metà strada tra un prete e un poliziotto: fanno la morale e pretendono che la loro morale abbia forza di legge. La politica troppo spesso è subalterna.

Per esempio?

La questione del coprifuoco, su cui ultimamente si è discusso, è un chiaro sintomo di questa mentalità ristretta. Tra l'altro, stiamo parlando di una misura estrema per una democrazia, che viene messa in atto quando ci sono minacce davvero epocali. In questo momento, coloro che sostengono il coprifuoco affermano anche che questa misura non ha alcun effetto positivo e che si tratta solo di un deterrente psicologico. Ma in una democrazia non è accettabile limitare le libertà fondamentali semplicemente perché i cittadini potrebbero far cattivo uso della propria libertà.

Sembra che ora ci siano i medici, e in particolare i virologi, al comando del Paese...

È giusto che i medici tutelino la nostra vita nei limiti delle loro competenze e del loro spazio, ma non possono e non devono occuparsi della totalità delle nostre vite: un cittadino non è un potenziale paziente. Una volta che sono tutelate le categorie più fragili, bisogna aprirsi al rischio, vale a dire alla vita. La vita è strutturalmente aperta al rischio e pensare di cancellare tutti pericoli non ha senso. C'è anche chi dice: "Saremo vaccinati ma, per anni, dovremo continuare a portare le mascherine". Tutto questo è politicamente pericoloso. Non è accettabile. Si è parlato di rischio ragionato: oggi dobbiamo rieducarci all'indocilità ragionata, come sosteneva il filosofo Michel Foucault. Noi non possiamo essere docili di fronte a tutto ciò che il medico di turno dice. Lui è libero di dire le sue opinioni, ma non è libero di decidere delle nostre vite.

Ma com'è possibile che tutto questo sia passato senza che nessuno abbia osato dire nulla?

Perché siamo stati esposti a un trauma. Non a caso le prime reazioni, un anno fa, erano: non è reale, è un film. Di fronte a qualcuno che dice "so io come salvarti", ci si adegua. È una reazione psicologica normale. Ma - passato il momento del trauma, dove è abbastanza razionale ragionare in termini di protezione assoluta - bisogna iniziare a costruire una risposta che vada al di là della semplice sopravvivenza. Ed è qui che c'è stato un vuoto discorsivo e il discorso medico ha monopolizzato la risposta. C’era bisogno di filosofi, psicologi, artisti, antropologi, e invece abbiamo affidato a qualche virologo questioni esistenziali su cui ha la stessa competenza del primo che passa.

Non è che forse era anche più comodo rimanere in casa?

Ci siamo abituati subito perché la società è strutturata attorno a vari dispositivi che ci rendono sopportabile, e anche amabile, lo stare rinchiusi in casa. Gli abbonamenti a Netflix, Zoom e tutto il resto. Sono diventate le nostre nuove zone di comfort. Questi dispositivi funzionano però per un certo periodo, poi si inceppano, soprattutto quando si inizia a sentire il bisogno di vita, della vitalità della vita. Ed è a questo punto che l'insofferenza viene criminalizzata, come abbiamo già visto (la scorsa estate andare in vacanza sembrava essere un comportamento immorale). Questo discorso va rigettato in toto. Noi non possiamo andare avanti così. Ciò che è accaduto ci stava nel momento del trauma, siamo diventati docili perché un tipo di discorso era efficace in quel momento (e poi perché noi non amiamo davvero la libertà, ma “stiamo bene” quando c'è un potere paternalista), poi l'insofferenza emerge. Ora è tempo di ringraziare i virologi, congedarli dalle tv e tornare a fare quella cosa rischiosa e bellissima che si chiama vita. Ci giochiamo ora l’avvenire... Dobbiamo riappropriarci dello spazio della vita. Questa è la vera scommessa.

Come ci si abitua al rischio? È possibile che la mia generazione, quella dei ragazzi che oggi hanno trent'anni, non contempli alcun tipo di rischio?

Credo ci sia stato un cattivo progetto pedagogico della generazione precedente. Abbiamo eliminato tutti i riti di passaggio perché erano traumatici (dall'esame a scuola a qualsiasi commento che mettesse in discussione la persona) e, non contenti, cerchiamo anche di eliminare qualsiasi cosa che possa fare male (cioè lasciare una qualche ferita). Questo non prepara a possibili traumi. Se uno ha una formazione del genere, appena arriva un trauma rischia di crollare.

Ci spieghi meglio, per favore...

A scuola qualsiasi cosa possa mettere in difficoltà i ragazzi viene esclusa ed è per questo che dobbiamo cambiare il discorso pedagogico. Dobbiamo tornare a far misurare le persone con le prove, perché una vita senza prove (eventi che accadono) è una vita che non è pronta alla vita. Il Covid-19 è stato uno di questi eventi, che ci dà la misura della difficoltà del nostro rapporto con il reale. L'esperienza è traumatica, significa misurarsi con qualcosa che può lasciare un segno. Imparare a vivere significa dare un significato a queste ferite. Siamo una società che ha detto che "non bisogna ferirsi". Ma così cancelliamo l’esperienza.

Gli sport di combattimento vengono citati a sproposito, sostenendo che chi pratica sport simili è un teppista. In realtà, seguendo il suo ragionamento, queste attività, che contemplano prove e sofferenza, potrebberpo rappresentare una grande alternativa pedagogica...

Perché ci dobbiamo allenare in palestra? Ce lo insegna la storia: per affrontare le difficoltà della vita ed essere in grado di combattere. Ma oggi qualsiasi termine che rimandi al combattimento, al conflitto, è stato eliminato perché politicamente scorretto. Quando il conflitto arriva restiamo imbelli e ci chiudiamo in casa con internet. Se non abbiamo una disciplina dei corpi, questi saranno docilissimi al potere. Il potere in questo lockdown, in questo anno, ha agito sui nostri corpi perché li ha privati di movimento, di contatto.

Che rapporto abbiamo con il nostro corpo?

Siamo la società dell'immagine del corpo che rimuove i corpi in carne e ossa. Gli sport da contatto, dove possiamo sempre farci male, sono qualcosa che, nella tradizionale occidentale, rappresentava un elemento formativo fondamentale. I corpi sono docili perché manca consapevolezza di ciò che fai e la disciplina come cura e costruzione di sé. Gli sport da combattimento sono consapevolezza e disciplina. Chi fa sport da combattimento sa bene che deve misurarsi con il rischio, la paura, sa che ci si può far male, ma tutto questo non è altro che la vita. In un rapporto ci sono ferite, nella vita quotidiana ci sono sconfitte e traumi, e il soggetto è proprio chi sa costruire se stesso a partire da ferite, traumi, sconfitta.

Il segreto della palestra di Platone: così ci insegna a lottare

Noi dobbiamo fare una battaglia non solo per sopravvivere ma per sentirci vivi, per sentire tutta la forza della vita. Senza disciplina manca la forza che dice: "Bene, passato il colpo traumatico troviamo la modalità per tornare là fuori". C'è questa voglia di tornare ai corpi oggi. È un passaggio fondamentale perché i nostri sono corpi spaesati, perduti. Abbiamo chiuso le palestre quando, in termini di risposta anche sanitaria, rimanere in forma e avere una buona massa magra sarebbe stato una cosa positiva. La nostra logica si è incardinata solamente su chiusure e vaccini. E ciò che c'è in mezzo? I corpi che non si allenano più e sono permeabili all'attacco virale? Le persone non si tengono in forma, non c'è modo di fornire una risposta attiva. "Uscite e allenatevi": questa sarebbe stata una risposta attiva, anziché "rinchiudetevi e non fate niente". C'è una partita interessante da giocare ora, ed è davvero la partita della vita.

Per Crisanti, Galli e Sileri «il rischio ragionato» di Draghi non è stato ragionato poi tanto bene. Da ilnapolista.it il 18 aprile 2021. E’ troppo presto, dicono, ci sono ancora troppi positivi e troppe persone ancora da vaccinare. Pensare alle riaperture ora vuol dire che «l’estate sarà a rischio e dovremmo richiudere». Draghi ieri ha parlato di «rischio ragionato», ha chiarito che è diverso da dire «calcolato», ma è tempo di riaprire, di riprendere a vivere, dal 26 aprile prossimi. Riapriranno i ristoranti, le scuole, le palestre e le piscine. L’andamento dei vaccini lascia ben sperare. C’è però chi non ritiene che i rischi siano stati ragionati a sufficienza.

Come il direttore del reparto di Malattie Infettive del Sacco di Milano, Massimo Galli, che ospite ieri a Otto e Mezzo, su La7, ha dichiarato: «Abbia pazienza: decidiamo di riaprire e abbiamo ancora più di 500 mila casi di attualmente positivi. Il rischio calcolato del governo è calcolato male».

Anche il sottosegretario alla Salute, Pierpaolo Sileri ci va piuttosto cauto. In un’intervista a Open, dichiara: «Dobbiamo essere realisti. I dati di oggi raccontano di un miglioramento e questo fa ben sperare. Ma riaprire così in anticipo può essere sbagliato. C’è un decreto che scade il 30 aprile. La soluzione poteva essere quella di arrivare alla scadenza e ragionare sul mese di maggio con le colorazioni delle regioni. Già dai primi del mese alcuni territori sarebbero tornati in giallo, forse qualcuna in arancione o rossa. Sarebbe potuto essere necessario un sacrificio per lasciar consolidare i numeri e quindi riaprire progressivamente cinema, teatri e ristoranti, considerando come periodo sicuro quello a partire dal 15 maggio. E poi ancora più libero e sicuro quello a partire dai primi di giugno». Ci sono ancora troppe persone da vaccinare, la popolazione non è ancora in sicurezza, dichiara Sileri.

Sulla stessa linea di pensiero è anche Andrea Crisanti, direttore di Microbiologia e virologia dell’Università di Padova, ex consigliere del governatore del Veneto, Luca Zaia. All’Adnkronos ha dichiarato: «Con una situazione di contagio elevato, pensare alle riaperture vuol dire che tra un mese avremo un aumento dei casi di Covid-19 e l’estate sarà a rischio e dovremmo richiudere».

Andrea Crisanti contro Mario Draghi: “Con le riaperture l’estate è a rischio”. Giampiero Casoni il 18/04/2021 su Notizie.it. Andrea Crisanti contro Mario Draghi: “Con le riaperture l’estate è a rischio”. L'esperto ritiene che il governo abbia fatto solo una scelta economica. Andrea Crisanti implacabile contro Mario Draghi: “Con le riaperture l’estate è a rischio”, e l’esperto punta il dito contro la decisione, fortemente voluta proprio dal premier, di riaprire definendola una “stupidaggine epocale”. A parere del professore ordinario di Microbiologia all’università di Padova infatti “il vero rischio è giocarci l’estate”. In che senso? Crisanti ritiene che consentire le riaperture di bar e ristoranti per fine mese e nelle regioni con numeri dei contagi in calo sarebbe controproducente. Perché? Qui l’esperto punta chiaramente il dito: perché quelle riaperture sarebbero non il frutto di una valutazione empirica dei dati epidemiologici, ma di soli parametri economici. Insomma, secondo Crisanti l’Esecutivo è sceso a patti con l’aggressività di covid per sostenere l’economia ma così facendo rischia di ottenere esattamente il risultato opposto. Non mancano le allusioni a poteri terzi e camarille occasionali. Crisanti le ha fatte a La Stampa: “Purtroppo l’Italia è ostaggio di interessi politici di breve termine, che pur di allentare le misure finiranno per rimandare la ripresa economica. Da settimane viaggiamo tra i 15 e i 20 mila casi al giorno: un plateau altissimo, che non consente di progettare riaperture”. E ancora: “La decisione è stata presa e il governo se ne assumerà la responsabilità. Non è una mia opinione, ma di chiunque si basi sui dati. Sento parlare di rischio calcolato, ma come? Di calcolato vedo ben poco e il vero rischio è giocarci l’estate. Allora diciamolo chiaramente: la scommessa è riaprire ora per vedere se a giugno dobbiamo richiudere tutto”. In scia con Crisanti anche Massimo Galli. Per lui il famoso rischio calcolato è “calcolato male”. La soluzione di Crisanti passa per i vaccini, ma ci sono i però atavici che conosciamo tutti. “L’unica sarebbe potenziare la vaccinazione, ma tra forniture, disorganizzazione e diffidenza verso AstraZeneca pare difficile superare quota 350 mila”. A replicare a Crisanti ci ha pensato Gianni Rezza del Cts: “Nel momento in cui si allenta, è normale che l’epidemia possa ripartire e un rischio riaperture c’è, ma abbiamo un sistema di allerta precoce per intervenire subito. Il rischio accettabile per un epidemiologo è zero, per un economista può essere 100. È legittimo che la politica trovi una sintesi”.

Giampiero Casoni. Giampiero Casoni è nato a San Vittore del Lazio nel 1968. Dopo gli studi classici, ha intrapreso la carriera giornalistica con le alterne vicende tipiche della stampa locale e di un carattere che lui stesso definisce "refrattario alla lima". Responsabile della cronaca giudiziaria di quotidiani come Ciociaria Oggi e La Provincia e dei primi free press del territorio per oltre 15 anni, appassionato di storia e dei fenomeni malavitosi. Nei primi anni del nuovo millennio ha esordito anche come scrittore e ha iniziato a collaborare con agenzie di stampa e testate online a carattere nazionale, sempre come corrispondente di cronaca nera e giudiziaria.

Nicola Porro contro Massimo Galli: "Draghi riapre, sapete perché il professore rosica?". Pesantissima accusa. Libero Quotidiano il 17 aprile 2021. “Il solito Galli ne dice un’altra delle sue. Stavolta non gli sta bene il primo passo in avanti fatto da Draghi sulle riaperture”. Così Nicola Porro ha commentato l’intervento di Massimo Galli da Lilli Gruber a Otto e Mezzo, dove si è detto molto pessimista riguardo alle decisioni assunte da Mario Draghi. Il quale ha parlato di “rischio calcolato” in relazione alle riaperture, che saranno graduali e partiranno dal 26 aprile. Ma l’infettivologo del Sacco di Milano è assolutamente contrario: “Rischio calcolato male, abbiamo ancora più di 500mila attualmente positivi, il che vuol dire che sono almeno il doppio quelli che ci sono sfuggiti”.  “Insomma: il solito ritornello - ha commentato Porro sul suo sito - e poco importa se pure l’ad di Pfizer, Albert Bourla, ha assicurato che presto il coronavirus diventerà come una normale influenza. Poco importa se gran parte delle Regioni hanno ormai dati utili per allentare le maglie delle restrizioni. Per l’oracolo del lockdown dovremmo restare chiusi a oltranza, in barba alla crisi economica”. Poi il conduttore di Quarta Repubblica ha chiuso con un po’ di ironia: “È sicuro che gli italiani tra dieci giorni si riverseranno nei dehors per godersi un aperitivo. Tutti tranne uno: il rigorista Galli non ci sarà”. Dalla Gruber l’infettivologo era stato molto netto nel suo intervento contrario alle riaperture: “Abbiamo ancora una importantissima parte di 70enni, 80enni e 90enni non vaccinati. Rispetto a un Paese come la Gran Bretagna che ha chiuso per un periodo lungo e molto duramente e che ha circa 41 milioni di dosi somministrate, la situazione nostra è diversa. Il sistema dei colori è evidente che non ha funzionato, basta vedere soltanto l’esempio della Sardegna”. 

Riaperture, Pregliasco: “Avranno un prezzo, c’è un rischio oggettivo”. Riccardo Castrichini il 19/04/2021 su Notizie.it. Il virologo Pregliasco parla di rischio oggettivo in riferimento alle riaperture che riguarderanno l'Italia dal prossimo 26 aprile. Il virologo dell’università degli Studi di Milano, Fabrizio Pregliasco, ha parlato delle imminenti riapeture previste in Italia affermando che il rischio oggettivo che i contagi possano riprende c’è ed è molto elevato. “Questa decisione – ha detto Pregliasco nel corso del suo intervento ad Agorà su Rai3 – sicuramente potrà avere un prezzo da pagare e questo è oggettivo”. “Dal punto di vista della sanità pubblica, dal punto di vista scientifico – ha spiegeto il virologo – il rischio dovrebbe tendere a zero, quindi dovrebbe comprendere in questo momento un lockdown stretto, strettissimo e prolungato“. È lo stesso Pregliasco però a riconoscere che in questo momento non sia più possibile muoversi in tal senso e dunque si vada verso quel rischio calcolato di cui aveva parlato il Presidente del Consiglio Mario Draghi in conferenza stampa. “Il sistema dei colori – ha proseguito Pregliasco – ha mitigato la velocità con cui la malattia si è diffusa. Non si è riusciti a ottenere una riduzione dell’incidenza sotto livelli tali da permetterci un tracciamento, però ha reso meno pesante l’impatto sul Servizio sanitario nazionale. Io credo che un rischio c’è – ha aggiunto il direttore sanitario dell’Irccs Galeazzi di Milano – è oggettivo e dipenderà da tante cose: in primis dalla velocità con cui la vaccinazione potrà progredire e dalla responsabilità di ognuno di noi”.

Riccardo Castrichini. Nato a Latina nel 1991, è laureato in Economia e Marketing. Dopo un Master al Sole24Ore ha collaborato con TGcom24, IlGiornaleOff e Radio Rock.

 Riaperture, Lopalco: “Rischiamo ripresa circolazione del virus”. Debora Faravelli il 20/04/2021 su Notizie.it. Con le riaperture si rischia di far riprendere la circolazione del Covid prima della stagione estiva: lo ha affermato il virologo Lopalco. Secondo il virlogo Pier Luigi Lopalco le riaperture in programma dal 26 aprile rischiano di far riprendere la circolazione del virus. Il Meridione è ancora in bilico e con molti contagi giornalieri e il cosiddetto stop-and-go in questo momento potrebbe allungare il periodo di sofferenza prima dell’arrivo dell’estate. Intervistato dall’Adnkronos, l’esperto ha fornito un quadro della situazione epidemiologica in Italia spiegando che mentre il Nord è stato colpito in anticipo dalla cosiddetta terza ondata, il Sud sta ancora facendo i conti con molte positività. Per questo ritiene che un’apertura dell’attività ora potrebbe portare ad un aumento dei contagi tale da danneggiare la stagione estiva. Per quanto riguarda l’ipotesi di prevedere un tampone per i ragazzi che torneranno a scuola dal 26 aprile, ha affermato che uno screening una tantum prima del rientro non porterebbe ad un risultato significativo. “Il tampone ha senso solo se ripetuto sistematicamente, la qual cosa non è fattibile visti i numeri degli studenti“, ha aggiunto. Quanto invece all’utilità di strumenti come il passaporto vaccinale o il green pass, ha sottolineato che il combinato di tamponi, vaccinazione e avvenuta infezione potrebbe selezionare una larga platea di popolazione che permetterebbe una ripresa di numerose attività. Il rischio però deve sempre essere messo in relazione al livello di circolazione del virus nella popolazione. Se è basso, quelle misure azzererebbero il rischio in caso di aggregazioni come cinema o ristoranti. “Ma se la circolazione è ancora alta, da soli tamponi e vaccinazioni non offrono la garanzia necessaria per riaperture complete“, ha concluso.

Coprifuoco, Viola: “Spostarlo alle 23 non cambia nulla sui contagi”. Alberto Pastori il 20/04/2021 su Notizie.it. In attesa delle decisioni del Governo, l'immunologa Viola dice: "Coprifuoco alle 23 non cambierebbe nulla per i contagi ma aiuterebbe molte persone". Lunedì 26 Aprile 2021 è una data molto attesa. In quel giorno, dopo settimane di restrizioni, diverse Regioni potrebbero tornare in zona gialla. Questo significherebbe respirare un po’ di quella libertà che tanto ci manca. Nel pomeriggio di martedì 20 Aprile Governo e Regioni discuteranno proprio sulle riaperture. L’incontro sarà preceduto da una riunione del Comitato Tecnico Scientifico e seguito, mercoledì o giovedì, dal Consiglio dei Ministri sul Decreto. In tutto sono undici le Regioni (più Trento e Bolzano) che aspirano alla zona gialla mentre il tasso di positività è ancora al 6 per cento. L’immunologa dell’Università di Padova, Antonella Viola, ha pubblicato sui social la sua opinione circa il possibile allentamento delle restrizioni anti-Covid. “Sono piccoli passi che vanno incontro alle esigenze di tante persone” scrive la dott.ssa Viola “e che farebbero la differenza”. L’immunologa sostiene che spostare il coprifuoco in là di un’ora, alle 23.00, “permetterebbe ai ristoratori che stanno investendo nelle strutture all’aperto di affrontare con maggiore fiducia la ripartenza. Così come aiuterebbe il mondo dello spettacolo, duramente colpito dalle restrizioni. E non cambierebbe invece nulla dal punto di vista dei contagi, a patto che continuino i controlli”.  Sono giorni molto importanti in cui molte categorie sperano di poter tornare a lavorare con più continuità. La speranza è che questo possa accadere presto e irreversibilmente.

Alberto Pastori. Nato a Magenta (MI), classe 1984, è laureato in Teoria e Metodi per la Comunicazione presso l'Università Statale di Milano. Prima di collaborare con Notizie.it, ha scritto per ChiliTV, That's All Trends e Ultima Voce.

Enrico Mentana, affondo a Galli e compagni: "I nuovi esperti di diritto smettano di indignarsi sulle riaperture". Libero Quotidiano il 18 aprile 2021. Un chiaro messaggio in difesa di Matteo Salvini sembra quello di Enrico Mentana. Il direttore del tg di La7 ha voluto condividere su Facebook un lungo sfogo in cui difende la decisione presa dal governo sulle riaperture. Nel dettaglio il giornalista si scaglia contro quegli esperti che definiscono la decisione dell'esecutivo "politica". "Un anno di guerra alla pandemia fa male a tutti, certo. Anche alla democrazia. Torme di nuovi esperti di diritto costituzionale si indignano perché la decisione di riaprire gradualmente è stata presa dalla politica e non dagli esperti, alcuni dei quali erano più dubbiosi o ostili. Ora è giunto il momento che si sappia che l'esecutivo si chiama così non per ornamento, ma perché dotato del ruolo decisionale di cui è investito dal parlamento, che su ogni decreto è chiamato a dibattere e votare". Finita qui? Neanche per sogno. Mentana infatti fa leva sulla capacità "in tempi eccezionali" di fare "scelte dirimenti, e drastiche". Quella di questi giorni non è da meno, "perché presa da un governo di unità nazionale, "all'unanimità" come ha rimarcato il premier. Vuol dire M5s e Forza Italia, Speranza e Salvini, Pd e tutte le regioni". Il ragionamento del giornalista è chiarissimo: "La scelta l'ha imposta chi aveva tutta la legittimazione per farlo". Ossia "un esecutivo nato dall'indicazione diretta del Capo dello Stato, con la maggioranza più ampia degli ultimi 40 anni". Una chiara frecciatina a Massimo Galli che a Otto e Mezzo ha preso di mira "il rischio ragionato" annunciato da Draghi e Speranza. "La soluzione - ha tuonato da Lilli Gruber - è vaccinare e sapere che non puoi fare certe riaperture se non si vaccina abbastanza". 

Da video.corriere.it il 7 aprile 2021. Momenti di tensione in piazza a Roma davanti Montecitorio per la protesta dei ristoratori. I manifestanti, molti senza mascherina, hanno forzato le transenne nel tentativo di occupare la piazza davanti al Parlamento. Pochi minuti prima la piazza aveva ascoltato il comizio di Vittorio Sgarbi, che si è unito alla protesta contro le chiusure e i divieti.

Antonio Rapisarda per "Libero quotidiano" il 14 aprile 2021. Per Nicola Zingaretti è decisamente un momento "no". Nemmeno il tempo di liberarsi dalla zavorra della segreteria del Pd che gli è crollato addosso lo scandalo di Concorsopoli, scoperchiato da Fratelli d' Italia in quel Lazio che il governatore considerava la sua comfort zone. Stesso discorso con le apparizioni tv. Se da leader è stato attaccato dal cotè radical-chic per aver "osato" recarsi nel salotto di Barbara D' Urso, da ex segretario non gli è andata meglio: è stato azzannato "da destra" per un clamoroso scivolone pronunciato, stavolta, a "Mezz' ora in più". A stanare la vicenda è stata Giorgia Meloni: «Zingaretti definisce "lavoretti" le occupazioni di tanti italiani che lavorano nei bar e nelle palestre. Ora capisco la loro scarsa considerazione nei confronti di migliaia di lavoratori disperati». La stoccata è riferita all' intervista del presidente del Lazio, chiamato in causa sulla vicenda degli autonomi in piazza contro le mancate riaperture. «Mi permetto di invitare a questo tavolo coloro che facevano quelli che si chiamavano i lavoretti...», così l' ex segretario dem ha definito - con tono paternalistico - interi comparti distrutti non «dalla crisi» ma dal lockdown con indennizzi farsa: quello ispirato dal governo Conte. Un tentativo maldestro di connettersi con una piazza abbandonata e di fatto ormai sconosciuta alla sinistra "Ztl". Non è tutta colpa sua se il Pd vive su un altro pianeta. Con Enrico Letta non è cambiato il registro. Proprio nei giorni cui in cui il ceto medio impoverito presidia le piazze, dal partito del ceto medio "riflessivo" che cosa si è levato? Proposte quali «il ddl Zan», definito «una misura di civiltà», e lo ius soli, «una norma a cui il Paese è pronto». A rilanciare ciò è stata Simona Malpezzi, una delle due capogruppo giunte in nome dell' altra "emergenza" di Letta: le quote rosa...

Tornano i Bauli in piazza, la protesta dei lavoratori dello spettacolo. Il Dubbio il 17 aprile 2021. Sono stati suonati 419 colpi, tanti quanti sono i giorni di stop del mondo dello spettacolo a causa della pandemia. I lavoratori dello spettacolo, messi in ginocchio dalla pandemia, chiedono sostegni e certezze sulla ripartenza. Mille bauli, 1500 operatori registrati, circa 200 volontari oggi nel flash mob organizzato in Piazza del Popolo a Roma. Sono stati suonati 419 colpi, tanti quanti sono i giorni di stop del mondo dello spettacolo a causa della pandemia, da attori, cantanti, maestranze e, più in generale, da tutti i lavoratori dello spettacolo uniti nella protesta volta a centrare obiettivi stringenti e urgenti: istituire un fondo da erogare in soluzioni mensili; offrire sostegno economico alle imprese della filiera basato sul fatturato annuo legato a spettacolo ed eventi; calendarizzare un tavolo interministeriale che imposti i modelli graduali di ripartenza del settore ed un altro per riformare previdenza e assistenza del settore. Dopo il Duomo di Milano, la piazza ai piedi del Pincio è stata invasa da un esercito di bauli, l’oggetto-simbolo dei lavoratori del “dietro le quinte” del mondo dello spettacolo, e da migliaia di operatori in silenzio, nel rispetto delle norme anti covid e vestiti di nero, in segno di lutto per le professioni che rappresentano. Fra gli artisti scesi in piazza, tutti vestiti di nero, tutti in silenzio e nel rispetto delle norme anti-Covid Alessandra Amoroso, Alessia Barela, Alessio Bertallot, Carlotta Natoli, Anna Foglietta, Barbara Begala, Brunori sas, Chiara Tomarelli, Daniele Silvestri, Diodato, Emma Marrone, Fabrizia Sacchi, Fiorella Mannoia, Flavio Insinna, Francesca De Martini, Francesca Figus, Francesco Bolo-Rossini, Galatea Ranzi, Giorgia Cardaci, Giorgio Marchesi, Giulia Michelini, Giuliano Sangiorgi, Jacopo Olmo Antinori, Laura Nardi, Liliana Massarini, Livio Magnini, Manuel Agnelli, Marco Bonini, Margherita Vicario, Maurizio Lombardi, Max Gazzè, Paolo Calabresi, Rodrigo D’Erasmo, Roy Paci, Sabina Guzzanti, Saturnino Piotta. Per prendere parte a questa seconda iniziativa sono arrivati a Roma diversi pullman da tutta Italia (due solo da Milano, uno da Bologna). Al momento della convocazione alle ore 14 tutti gli iscritti hanno ricevuto mascherine, gel e t-shirt da indossare durante il flash mob. Niente altoparlanti ma un Media Corner, moderato da Maura Gancitano ed Andrea Colamedici di Tlon, la scuola permanente di filosofia e immaginazione con cui Bauli In Piazza collabora. La manifestazione si inserisce in una campagna di comunicazione internazionale promossa dalla rete We Make Events, nata in Inghilterra, oggi adottata in tutto il mondo e sostenuta da artisti come Mick Jagger, per dare voce e visibilità al settore, sia a livello governativo che sensibilizzando l’opinione pubblica. Ricorrendo il triste anniversario di completa inattività che perdurerà ancora almeno per tutto il 2021, l’obiettivo è ribadire l’urgenza di un sostegno strutturale e continuativo alle imprese e soprattutto alle lavoratrici e ai lavoratori, molti dei quali autonomi o con contratti atipici.

Quegli ultrà delle chiusure che odiano i commercianti. Vittorio Macioce il 17 Aprile 2021 su Il Giornale. La Guzzanti esalta gli artisti e sbeffeggia i negozianti per lei tutti ricchi ed evasori. Ma i social la inchiodano. Aprire o chiudere. Zero o uno. La pandemia è finita dentro un sistema binario. Non c'è più un come, un dove, un quando e neppure un perché. Non c'è più il buon senso e perfino gli indici del contagio ognuno alla fine li legge a modo suo. Le scelte, anche questa volta, sono diventate ideologiche. Siamo arrivati così a due tribù che non si riconoscono, si ingiuriano, si maledicono e si accusano a vicenda di rovinare ciò che resta dell'Italia. Aprire o chiudere non è più un dilemma. Non è una scelta razionale. Non è una questione pratica e neppure politica. È uno scontro. È un modo per rivendicare chi sei, cosa vuoi, chi ti assomiglia, chi ami e chi odi. È identità. È barricata. È colore. È appartenenza. È classe sociale. È chiudere contro aprire. È l'ennesima guerra civile di parole di questo maledetto paese dove buongiorno non vuol mai dire davvero buongiorno. Lo vedi anche nei titoli dei giornali. C'è chi come Il Fatto, e in parte Domani, vede nelle riaperture una debolezza, una scelta irresponsabile che serve solo a assecondare le paure di commercianti e artigiani. C'è chi come Michele Serra li invita a non lamentarsi e a accettare come Giobbe i capricci del cielo. La chiama sfiga e così sia. Non sono il loro popolo. C'è chi, anche al governo, vede nelle chiusure non più un sacrificio, un'emergenza, ma quasi una regola di vita, il ritorno a una società più sobria e libera dal peccato del denaro, dell'impresa, del capitalismo. Il virus come rivoluzione dei costumi. È in questo scenario che appare la variante Sabina Guzzanti. È un salto nella discussione pubblica. Il dilemma non è più aprire o chiudere, ma chi aprire e chi lasciare al buio, magari per sempre, come una punizione, come una vendetta, come una resa dei conti. È una nuova logica binaria: artisti contro «bottegai». Gli artisti, giusto per chiarire, non sono gli artigiani. La sintesi è che i teatri sono moralmente superiori ai negozi. Tutto comincia a Foligno, centro del centro del mondo. Il comune fa il bando per «Estate al Trinci». L'idea è questa: noi mettiamo a disposizione il palazzo Trinci e gli artisti vengono qui a fare i loro spettacoli, gratis. Sabina Guzzanti fa notare con un messaggio su twitter che anche attori e cantanti devono mangiare. Quel gratis stona. «È vero che chi sceglie l'arte non lo fa per soldi, però...». Non tutti sono d'accordo. C'è chi commenta: «Come mai esercenti e artigiani sono evasori, mentre gli artisti meritano rispetto?». La risposta dell'attrice è uno sputo in faccia. «Immagino dipenda dal fatto che buona parte dei commercianti possiede appartamenti, macchinone e a volte barche mentre la maggior parte degli artisti vive con lo stretto necessario». Non si ferma qui: «Mi viene anche in mente che molti non paghino le tasse». È inutile raccontare a Sabina Guzzanti come vive un commerciante. Potrei scrivere di mia madre, di cosa significa crescere quattro figli alzandosi tutte le mattine alle quattro per aprire il forno, ma a che serve? L'ideologia chiude gli occhi. Non ti fa vedere la fatica di chi fa una vita diversa dalla tua. Questa storia poi che chi ha un negozio non ama la cultura è il pregiudizio di chi non sa, di chi ignora. Mia madre non mi comprava «macchinoni» ma libri. Il suo orgoglio era: farmi studiare. Questo vale per tanti, tantissimi commercianti. È il desiderio di dare un futuro diverso ai propri figli. Diverso significa più facile. Non farli vivere con quell'ansia di non sapere se domani riuscirai a restare aperto oppure no. Basta poco per fallire: una malattia, un investimento sbagliato, un supermercato che ti apre di fronte, un virus. Una attrice, un'artista, dovrebbe riconoscersi in chi rischia e per una passione si gioca ogni giorno il tutto per tutto. Se non lo fa o è poco sensibile oppure non ha mai rischiato. Stop alla parentesi personale. Chissà se Sabina Guzzanti si aspettava la risposta di Matteo Salvini. Forse sì e infatti è arrivata: «La invito a vergognarsi e a rispettare la gente che lavora. #sinistramarziana». Tutto ritrova la sua logica. La pandemia come scontro di classe. È questa ormai la ferita politica più profonda dell'Italia. Se apri sei di destra, se chiudi sei di sinistra, se apri solo scuole e teatri sei intellettuale e di sinistra. Pietà. Non stiamo più cercando una via di uscita dalla pandemia. Tutto quello che vogliamo è una bandiera.

"Sono solo lavoretti". Così Zingaretti umilia gli italiani in difficoltà. Daniele Dell'Orco il 14 Aprile 2021 su Il Giornale. A Mezz'ora in più, ospite di Lucia Annunziata, l'ex segretario del Partito democratico definisce "lavoretti" quelli svolti in attività che sono chiuse ormai da un anno e rischiano di non riaprire. Un leader politico in confusione totale. Nicola Zingaretti è l'ombra di se stesso, da quando si è dimesso (è stato fatto dimettere) dalla segreteria del Pd non ne ha azzeccata una. Dal punto di vista pratico. Il fratello di Montalbano però è molto apprezzabile come teorico, artista dell'anti-politica e del distacco dalla realtà. Per il suo ultimo scivolone, difatti, ha persino scelto una rima. Zingaretti, infatti, ha pensato bene di definire in diretta sulla tv pubblica, "lavoretti" quelli svolti in bar, palestre etc. Il virgolettato non è casuale, perché a Mezz'ora in Più, di fronte a una Lucia Annunziata più attenta a redarguirlo per l'uso politicamente scorretto del detto "botte piena e moglie ubriaca", l'ex leader dei dem ha proprio scelto di optare per l'air quotes, il gesto con le due dita delle mani per enfatizzare una parola. La parola in questione, lavoretti, che fa rima con Zingaretti, è il modo perfetto per capire come gli esponenti della sinistra in cachemire dipingono milioni di persone che lavorano, o per dirla alla Zingaretti, lavoravano, in alcuni dei settori che trainano, o per dirla sempre alla Zingaretti, trainavano l'Italia. Quando si parla della ristorazione, ad esempio, poiché per "lavoretti" è pressoché evidente che Zinga intendesse anche, chissà, un cameriere o un lavapiatti, si deve fare riferimento ad uno dei pochi settori che, prima della pandemia, cresceva a dismisura. Oltre, ovviamente, a rappresentare un'eccellenza italiana nel mondo e un biglietto da visita per decine di milioni di turisti l'anno. Sì, perché specie i piccoli esercizi, quelli dove si svolgono parecchi "lavoretti", erano aumentati del 7%, con alla mano i dati del 2019, il numero più alto d'Europa. Tradotto in cifre: 80 miliardi l'anno di fatturato e 730mila dipendenti impiegati, oltre la metà a tempo indeterminato. Per non parlare dei cibi d'asporto e dello street food. Volavano, letteralmente, tra catering (+9,4%), servizi a domicilio (+13,8%) e appunto le tanto popolari attività "di strada" (+40,9%). Contando anche i bar, cresciuti meno in termini percentuali ma poiché già numerosissimi (+0,8%), Zingaretti ha praticamente offeso un milione di persone, che da un anno sono a braccia conserte per via delle restrizioni che l'onnipresente Pd (c'era nel Conte II e c'è anche nel Draghi I) ha sempre approvato. Anzi, molti dei ministri dem sono grandi fan del chiusurismo di Roberto Speranza e anche per questo rivali dei "secessionisti" di Italia Viva. Ma Zingaretti, si sa, pensa in grande. E non pago ha menzionato anche le "palestre", air quotes. Per palestre intenderà più in generale il settore fitness? Perché, nel qual caso, comprende anche piscine, associazioni sportive, centri sportivi, personal trainer freelance etc. Il 40% di loro rischia di non avere più un'attività, portandosi via altri 350/400 mila posti di lavoro. Robe da poco, insomma. E poi non si parla certo di impieghi importanti come il suo, Governatore di una Regione nota alle cronache per l'acquisto di dispositivi di protezione mai arrivati. O impieghi come quelli che i tesserati del suo partito, il Pd, hanno ottenuto grazie ai concorsi "dei miracoli". Ce lo immaginiamo su una terrazza nel centro di Roma, Zingaretti, mentre si gode il clima mite della primavera italiana, con occhiali da sole e completo di lino, circondato da piante d'agrumi mentre sorseggia Bourbon invecchiato 6 anni, sventolare il Rolex affacciandosi sulle piazze gremite di centinaia di migliaia di persone disperate che implorano di poter tornare a fare il proprio lavoro, e commentare: "Tutto questo chiasso solo per qualche lavoretto, quando per non avere problemi vi sarebbe bastato partecipare al bando di Allumiere".

Coronavirus, Filippo Facci: morire di fame o di Covid? Italiani a un bivio, ma i divieti non servono. Filippo Facci su Libero Quotidiano il 14 aprile 2021. Si può morire solo da vivi, ma in Italia la differenza tra le due condizioni sta trascolorando in una zona che è non più rossa né arancione né gialla: è una zona grigia immutabile che non è buio né luce infondo al tunnel, è una vivida realtà primaverile in cui la scelta tra morire di Covid o morire di fame non sembra più una battuta, non sembra più un paradosso o una semplificazione inaccettabile.Ci sono un paio di verità che non abbiamo il coraggio di dirci, e la recentissima sospensione del vaccino di Johnson& Johnson – proprio ieri, con le prime dosi sbarcate in Italia – rende queste verità più evidenti perlomeno a chi è disposto a vederle. Una è che il treno delle vaccinazioni è passato, e non l’abbiamo preso. Abbiamo il dovere di non mollare, di corrergli dietro, di fare come se potessimo ancora saltare sull’ultimo vagone come nei vecchi film, e sia benedetto chi ci prova e ci proverà con tutto l’impegno possibile: quello che non possiamo più fare, però, è restare ad ammuffire in sala d’aspetto come se quel treno dovessero ancora annunciarlo. Non esistono soluzioni all’italiana: quel treno è andato – il treno che l’Inghilterra e altri paesi hanno preso, per dire – e certo passeranno altri convogli, e sarà così per tutti gli sforzi che intanto si continueranno a fare: ma per oggi, ripetiamo, quel treno è andato e tutti i vaccini che servono non ci sono o non ci sono stati, il famoso «vaccino italiano» non l’abbiamo sviluppato – con colpe che hanno nomi e cognomi, ma non è questo l’articolo – e comunque non c’è nessuna immunità di gregge all’orizzonte, nessuna data attendibile su niente, non c’è «domani»: c’è solo «oggi» e noi che all’oggi dobbiamo guardare, prima che un Paese muoia per eccesso di prevenzione.

L’arte di arrangiarsi. L’oggi in effetti basta guardarlo: è fatto di zone rosse che già non esistono più, perché nessuno le rispetta o rispetterebbe più, è fatto di gente che si arrangia e sopravvive solo perché qualche regola ha deciso di violarla, e magari lavora poco e male e di nascosto; l’oggi è fatto di gente che scende in piazza perché vuole lavorare e non smetterà più di scendere in piazza, è fatto di gente civilissima che non rispetta più la legge o che l’ha adattata alla realtà che ha imparato a conoscere in un anno e oltre di lockdown, interruzioni, riprese, ondate vere o presunte, promesse fatte con i granai ormai vuoti, e arte di arrangiarsi – quella sì –molto italiana, troppo italiana: quasi obbligatoria. È anche questo lo «scollamento» che c’è tra una larga parte della popolazione e le istituzioni, di cui parla qualche politico: nessuno è più disposto a regolarsi solo in base a punti di vista «scientifici» che ogni volta ci ricordano soltanto, con parole sempre diverse, che si muore perché si vive; nessuno è più disposto a vedere un fattore decisivo nella mascherina che copra bene il naso o in un Ibrahimovic che passi al ristorante di un amico; nessuno è più disposto a credere che tra morte virale o morte civile, rischio per rischio, non si possa scegliere anche la seconda, come altri paesi hanno fatto: magari cominciando a prospettare un timido crono-programma delle riaperture che dia almeno qualcosa di certo da attendere, preparare, scegliere, appunto programmare.

Provare a convivere. Dicono che Mario Draghi l’abbia capito, che stia rompendole scatole al farraginoso Comitato Tecnico scientifico affinché prepari dei protocolli per le prime riaperture; dicono che da metà maggio si potrà andare al ristorante anche la sera, dicono che qualche arcigno virologo abbia detto che uno spettacolo all’aperto si potrebbe anche contemplare, dicono che qualche farmaco l’hanno anche inventato, che le cellule monoclonali funzionano, che le terapie intensive traboccano di gente ma non certo come un anno fa, dicono che persino una gran parte degli italiani abbia capito che non si può campare di sostegni che peraltro non sostengono. Dicono – anzi, è l’unica cosa certa – che la stagione calda si avvicina e ci darà tregua: e approfittarne all’eccesso sarebbe un suicidio, ma blindarsi nel terrore sarebbe anche peggio. Dicono e ci hanno sempre detto, insomma, che a convivere col Covid dovremmo abituarci: ecco, forse siamo pronti.

Scontri e petardi alla protesta dei ristoratori: In 800 in piazza San Silvestro con le manette ai polsi. Elena Del Mastro su Il Riformista il 12 Aprile 2021. Una Roma blindata ha accolto circa 500 manifestanti che sono scesi in piazza san Silvestro per protestare contro le chiusure. La manifestazione si prospettava pacifica ma dopo poco è salita la tensione: i manifestanti hanno lanciato di petardi ed oggetti contro le forze dell’ordine schierate in tenuta antisommossa. I manifestanti, alcuni con le manette, e le mani alzate hanno chiesto di andare in corteo verso Montecitorio. Sulle magliette domina l’hashtag #nonsonoessenziale e il grido è “Dimissioni dimissioni, dimettetevi tutti” e “libertà, libertà”. Piazza San Silvestro è piena di ristoratori, commercianti, artigiani, lavoratori del turismo e dello sport per il sit-in IoAPro. “Stanno bloccando il nostro diritto a manifestare (riferendosi alla Questura che domenica ha negato l’autorizzazione a manifestare nella piazza già occupata per un’altra mobilitazione), ma noi arriveremo comunque, io arriverò a Roma anche a nuoto, a piedi, su un tappeto volante, perché è un mio diritto manifestare”, ha detto durante una diretta Facebook sul canale del movimento “Io Apro”, Momi El Hawi. “Siamo in tanti, tutta Italia si sta muovendo per prendersi i propri diritti – ha aggiunto – oggi dovranno darci una data e noi faremo di tutto per sederci a un tavolo sulle riaperture che sia il 19 aprile, il 20, o il 21 aprile. Oltre non andremo”. “Noi ci saremo, ci vediamo in piazza Montecitorio – ha concluso Momi – non alzeremo un dito ovviamente, nessuno dovrà alzare un dito. Sarà una rivoluzione ghandiana”. In piazza si sono radunati ristoratori, negozianti, lavoratori di palestre e piscine. Tra loro anche alcuni militanti di Casapound che hanno raggiunto piazza San Silvestro a Roma e si stanno unendo ai manifestanti di IoApro. Molti di loro, per lo più senza mascherina, gridano ‘Fateci passare siamo lavoratori’. “La paura di morire non ci sta facendo vivere” recita uno striscione esposto. “Siamo qui a sostegno delle categorie colpite perchè lavorare è un diritto” dice un militante. Molti manifestanti lamentano di essere stati bloccati alle porte di Roma e quelli provenienti dalla Sicilia già da Catania. Molte le bandiere col tricolore sventolate tra i fumogeni bianchi, rossi e verdi. “Diranno che siamo dell’estrema destra – dicono dal palchetto attrezzato – ma siamo solo padri di famiglia che vogliamo dare da mangiare ai nostri figli”. Molti i manifesti funebri che annunciano la morte di Palestre e Piscine, oltre ai cartelli con scritto “Dalla padella di Conte alla brace di Draghi” e “Siamo tutti un autogrill”. “Vogliamo un incontro con Mario Draghi o con il ministro Giorgetti. Il governo Draghi ci deve ascoltare perché siamo capaci di portare avanti l’Italia anche senza di loro”. “Non siamo venuti qua non per fare casino – aggiungono – ma per aprire un dialogo, siamo qui per dare dei cioccolatini alle persone perché vogliamo affrontare quanto sta accadendo con la dolcezza”.

Rinaldo Frignani per il “Corriere della Sera - Edizione Roma” il 12 aprile 2021. Qualcuno è arrivato ieri. Altri nella notte. Il tam tam sui social non si è mai fermato. Come l'accoglienza di alcuni albergatori che per pochi euro hanno messo a disposizione le loro camere. Oggi il popolo di «#IoApro» tornerà a Roma, l'intenzione è assediare nel pomeriggio «Montecitorio con 20 mila persone, anche 50 mila», dicono gli organizzatori della protesta per sollecitare le riaperture delle attività commerciali, in particolare dei ristoranti. La Questura ha negato piazza Montecitorio, già teatro di scontri, spiegando che non solo è occupata da un'altra iniziativa già autorizzata - quella dei movimenti di destra, come Magnitudo -, ma non può contenere più di 100 persone per le norme anti-Covid. Da San Vitale invitano a non credere a quanto scritto su Facebook dal movimento, perché la richiesta di sit-in è già stata respinta il 9 aprile. Fallita la trattativa per piazza del Popolo, ieri sui social è stato annunciato però un altro sit-in, non autorizzato, al Pantheon. Da qui il rafforzamento della vigilanza ai caselli autostradali, sulle consolari, agli svincoli del Raccordo anulare, nelle stazioni ferroviarie per intercettare l'arrivo di persone che vogliono partecipare alla protesta. Oggi poi il centro sarà blindato. Ma da «#IoApro» non mollano: «Centotrenta pullman partiranno da tutta Italia, invaderemo Montecitorio. Utilizzate anche auto e treni, nessuno può fermarvi per riconquistare i vostri diritti. Circonderemo il Parlamento in maniera pacifica e lì costringeremo a uscire dal palazzo». Il timore reale è quello di infiltrati pronti allo scontro che si aggireranno nei dintorni di via del Corso e piazza Colonna, pronti a infilarsi verso Montecitorio. Intanto però fra i ristoratori c'è già chi ha riaperto comunque. Gabriele Sacchi, seguendo le indicazioni del Mio (Movimento italiano ospitalità), lo ha fatto mercoledì scorso. «Anche oggi (ieri, ndr) - racconta - sono venute una decina di persone. Avvisiamo i clienti che rischiano una multa: c'è chi risponde "chissene..." e chi se ne va prendendo il cibo in asporto». Con il titolare di «Margot», vicino a via Crescenzio, ci sono «Agrodolce» in via dei Crociferi, l'«Ottavo Colle» all'Eur e «Le Fraschette» di Ariccia. C'è Armando Minotti di «Loste Ria», all'Ostiense, un irriducibile nonostante multe e sigilli. Ma se da «Margot» i vigili non sono passati, sono invece andati da «Agrodolce». Multa sospesa. «Qui mai più di 7-8 clienti - raccontano Maria Soldatova e il fidanzato Antonio Russo -. Cerchiamo di metterli nella saletta dietro». Va meno bene all'Ottavo Colle, all'Eur: «I clienti arrivano - dice il titolare Lino Valente - ma da queste parti ci si spaventa facilmente: prendono il cibo in asporto». Ad Ariccia aperte le fraschette come l'«Antico Grottino» e l'«Osteria da Angelo». Ma «è un piccolo paese - spiega il loro leader Maurizio Zamparini - e più che qualche panino non abbiamo venduto». Anche a Viterbo è tutto fermo. «Non viene nessuno», ammette Paolo Bianchini, leader del Mio e titolare dell'«Osteria del vecchio orologio».

Rinaldo Frignani per roma.corriere.it il 12 aprile 2021. Scontri e bombe carte nel centro di Roma, alla manifestazione di piazza San Silvestro dove 800 manifestanti del settore delle palestre e della ristorazione stanno protestando contro le chiusure. Lancio di oggetti contro gli agenti, mentre i manifestanti sono schierati, pronti all’attacco. E le forze dell’ordine rispondono con gli idranti. Un gruppo nutrito di partecipanti al sit-in è arrivato a piazza San Lorenzo in Lucina, davanti al cordone della polizia. Urla: «Libertà! Siamo pronti alla guerra». Una sessantina di persone sono riuscite invece ad arrivare all’angolo con via di Montecitorio. Ristoratori, titolari di palestre, qualche infiltrato. Radunati a piazza San Silvestro intonano cori, urlano «Libertà, libertà». «Non siamo partite Iva, siamo persone, siamo famiglie - spiega un ristoratore arrivato da Napoli - non siamo delinquenti, siamo persone che lavoravano 14 ore al giorno». Mentre un altro aggiunge: «Ci negano anche il diritto di manifestante. È stata un’impresa arrivare qui». Molti i manifesti funebri che annunciano intanto la morte di palestre e piscine, oltre a cartelli con la scritta «Dalla padella di Conte alla brace di Draghi» e «Siamo tutti un autogrill». Un pullman diretto al sit-in non autorizzato è stato fermato dalla polizia per un controllo al casello di Roma Nord. A bordo c’erano 39 persone, tutte identificate. Altre tredici dirette al sit in organizzato sono state bloccate dalle forze dell’ordine alla stazione Termini e identificate. Provenivano dalla Sicilia. Intanto è cambiato il programma degli organizzatori: hanno scelto piazza San Silvestro come luogo di ritrovo per poi dare vita ad un corteo verso Montecitorio. L’intenzione è quella di raggiungere il Pantheon dove è in corso un’altra protesta. «Stanno bloccando il nostro diritto a manifestare (riferendosi alla Questura che domenica ha negato l’autorizzazione a manifestare nella piazza già occupata per un’altra mobilitazione), ma noi arriveremo comunque, io arriverò a Roma anche a nuoto, a piedi, su un tappeto volante, perché è un mio diritto manifestare»: in una diretta Facebook sul canale del movimento «Io Apro», Momi El Hawi, il pizzaiolo di Firenze tra gli organizzatori della protesta aveva confermato l’appuntamento davanti a Montecitorio. «Siamo in tanti, tutta Italia si sta muovendo per prendersi i propri diritti - ha aggiunto - oggi dovranno darci una data e noi faremo di tutto per sederci a un tavolo sulle riaperture che sia il 19 aprile, il 20, o il 21 aprile. Oltre non andremo». «Noi ci saremo, ci vediamo in piazza Montecitorio - ha concluso Momi - non alzeremo un dito ovviamente, nessuno dovrà alzare un dito. Sarà una rivoluzione ghandiana».

IoApro, la bugia sulla protesta. Ecco la verità sui "saluti romani". Giuseppe De Lorenzo il 13 Aprile 2021 su Il Giornale. Ieri in piazza ristoratori e lavoratori piegati dal lockdown. Con loro anche CasaPound. Ma sui saluti romani la verità è un'altra. Se ci limitassimo ad ascoltare i commentatori alla Twitter, tipo l’intrepida Selvaggia Lucarelli, sulla manifestazione #IoApro ne ricaveremmo un racconto più o meno così: ieri in piazza a Roma non sono scesi ristoratori, lavoratori e disperati vari, ma una mandria di violenti che marciavano intonando l’inno “aperitivo e moschetto, fascista perfetto”. Per capire un po' meglio, invece, basterebbe leggersi il resoconto di Tpi, giornale online non esattamente tacciabile di connivenza coi fasci. Riassunto: ci sono stati alcuni brevi scontri, provocati - pare - da esponenti di CasaPound, ma “la maggior parte dei manifestanti" sono andati "in piazza con intenti pacifici e nel pieno rispetto delle norme anti-Covid”. A parte il fatto che il corteo non era autorizzato (ma se protesti, viva Dio!, ci può anche stare che non aspetti la bollinatura della Questura) non pare insomma sia stato un pomeriggio di fuoco e fiamme. Chi scrive in passato si è infiltrato tra i Black Bloc e sa bene cosa significhi la guerriglia organizzata. Tutta un’altra cosa. Tuttavia sui social è partita la gara a puntare il dito contro i fascisti infiltrati alla manifestazione. Vero: CasaPound c’era. E allora? È un partito che si presenta alle elezioni, e voi volete impedirgli di protestare? E se anche tutti i ristoratori fossero di destra, pure estrema, avrebbero meno diritto di lamentarsi di un commerciante di sinistra? Poi sia chiaro: se fossimo nei promotori di #IoApro, CasaPound la lasceremmo alla porta. Ma non per un pregiudizio: solo perché è scontato - in questo strano, assurdo Paese - che se in mezzo alla piazza ci metti quel gruppetto lì, poi nessuno ti prenderà sul serio. Se infine ci aggiungi che nel parapiglia esplodono pure un paio di petardi (oggi chiamati “bombe carta”), allora è scontato che passi dalla ragione al torto. Anche perché pigliarsela coi poliziotti è idiota oltre che criminale: loro sono lì per eseguire degli ordini. Se gli hanno comandato di non far entrare nessuno in Piazza Montecitorio, e voi insistete nel farlo, è normale che prima o poi parte il manganello. Lanciare bottiglie di vetro sugli agenti è inaccettabile, sia che a farlo sia un anarchico, un populista o un disoccupato senza più cibo. Punto. Tuttavia le fotografie circolate ieri non raccontano tutta la verità. Abbiamo visto e rivisto i video: le “mani alzate” di cui parla Lucarelli non sono saluti romani, come invece tanti altri scrivono online e alcuni furbetti con la penna fanno intendere. I manifestanti in prima fila stavano “alzano le mani” come ad arrendersi o per cantare slogan di vario tipo. Fa comodo - cara Lucarelli - lasciar intendere che #IoApro non sia altro che gentaglia fascista senza ristoratori. Ma non è vero: così finisce col delegittimare un disagio che invece è reale, vero, doloroso. Quello di imprenditori senza più un soldo, lasciati in attesa di ristori inesistenti, la cui unica possibilità di sopravvivenza si riduce ad un’unica parola: riaprire. Chi si mischia con CasaPound sbaglia strategia, ogni violenza va condannata, ma smettetela di vedere solo saluti romani.

Coronavirus, scoppia la rivolta dei commercianti: per uno che va in piazza mille soffrono in silenzio. Pietro Senaldi su Libero Quotidiano il 07 aprile 2021. La rivolta di chi vuol lavorare e non vuole morire in ginocchio. La manifestazione di ieri dei ristoratori davanti a Montecitorio è degenerata. Dal grido «buffoni, fateci riaprire» si è passati alla forzatura delle transenne e allo scontro con le forze dell’ordine, a due agenti feriti e ad alcuni arresti. Scene analoghe si sono viste in altre città. Usiamo pure due righe per dire che non sono spettacoli edificanti. Ma non è questo il punto. I commercianti furibondi davanti alla Camera non sono i giovani viziati del '68, quelli che Pasolini rimproverava di assaltare, in nome dell'uguaglianza, ragazzi messi peggio di loro. Quella di ieri era una guerra tra poveri: categorie disperate messe in ginocchio da un potere squattrinato e sconclusionato ma arrogante e dispotico che si fa difendere da agenti dei quali si ricorda solo quando ne ha bisogno per salvarsi la pelle. Il Paese da tempo non è più scomposto tra destra e sinistra; e ora, che da un anno interi settori sono stati messi nell'impossibilità di guadagnare, non è più neppure spaccato tra Nord e Sud. L'Italia è divisa tra i sudditi, spolpati e abbandonati, e lo Stato, che prima pareva fregarsene dei cittadini e ora pare chiaro che non è in grado di fare nulla per loro. Il cambio di governo, senza un cambio di passo nelle misure anti-virus e nei sostegni economici, ha gettato nello sconforto quanti avevano riposto nel nuovo premier ogni speranza. Purtroppo Draghi non è solo, la sinistra delle chiusure lo tira per la giacca e non può permettersi di rischiare sul Covid, perché tutti, il segretario del Pd Letta in testa, gli salterebbero al collo. Però sempre più italiani scalpitano e sempre meno capiscono. Se solo un contagio su mille avviene all'aperto, perché durante la bella stagione bar e ristoranti devono rimanere chiusi? Perché gli ambulanti, in piazza ieri, non possono lavorare? Troppi divieti sembrano estratti a sorte dal cappello di un matto. Possiamo fare jogging, ansimando come dannati, ma non stenderci a prendere il sole in spiaggia. Ci si può assembrare nei supermercati ma restano chiusi esercizi commerciali dove entrano a dir tanto dieci persone in un giorno. È la follia delle misure anti-Covid che fa ammattire. Le difficoltà economiche sono la miccia, il tergiversare inconcludente del ministro Speranza, incapace di dare una data per le riaperture, e le prime promesse disattese del generale Figliuolo, che continua a spostare un po' più in là le date di una piena vaccinazione di massa, sono il fiammifero che ha acceso gli animi. La sinistra, tanto per cambiare, andrà avanti con il ritornello di Salvini e Meloni che incendiano la protesta, ma la contestazione è spontanea e apolitica. In piazza si vede la punta dell'iceberg. Per uno che si agita, ce ne sono mille che soffrono in silenzio perché talmente sfiduciati da ritenere inutile perfino alzare la voce.

L’IRA DELL’ITALIA CHE NON CE LA FA PIÙ ORE DI GUERRIGLIA SOTTO IL PARLAMENTO. Una barista si inginocchia davanti a un agente il quale si toglie il casco per consolarla. Vincenzo Damiani su Il Quotidiano del Sud il 7 aprile 2021. Scontri a Roma davanti a Montecitorio, tensioni a Milano, autostrada occupata a Caserta. Giornata di proteste e rabbia in Italia, da Nord a Sud ristoratori, mercatali, commercianti, fieristi hanno dato vita a manifestazioni in piazza e bloccando le principali arterie stradali. Ma è nella Capitale che la situazione è degenerata quando un gruppo ha cercato di sfondare il cordone della polizia davanti a Montecitorio e sono scoppiati dei tafferugli. Due poliziotti sono stati feriti, una donna è stata colta da malore ed è stata soccorsa dal 118. Dopo il lancio di lacrimogeni, la situazione è tornata alla calma. Per oltre quattro ore i manifestanti hanno tenuto in scacco la piazza, mentre la polizia di Stato, in tenuta antisommossa, l’ha tenuta blindata, separando piazza Montecitorio da Palazzo Chigi, dove attorno alle 17 è rientrato il premier Mario Draghi dopo la trasferta in Libia. È stata una giornata di tensione in tutta Italia, le categorie più colpite dalle restrizioni anti Covid e dalle chiusure sono allo stremo. “Ormai lavoro per un euro all’ora. Gli investimenti di una vita erano nel mio bar”, l’immagine della disperazione è rappresentata da una barista di Bologna: Lorena, 62 anni, si è inginocchiata in lacrime davanti al cordone della polizia in piazza Montecitorio e un agente, togliendosi il casco, si è accovacciata vicino a lei per consolarla ed aiutarla a rialzarsi. E’ la fotografia di una Italia che non ce la fa più. “Sono qui per me e per i miei figli. Noi siamo come voi – ha detto la donna agli agenti – non siamo negazionisti vogliamo solo lavorare e poter riaprire”. “Libertà, libertà”, è stato lo slogan urlato davanti alla Camera. Tra i manifestanti, molti senza mascherina, anche le bandiere blu di Italexit, il movimento del senatore ex M5S Gianluigi Paragone, e un uomo, Ermese, ristoratore modenese, vestito come Jake Angeli, l’appartenente al movimento Q-Anon che fece irruzione al Congresso Usa a Washington. In piazza pure i militanti di CasaPound. “Lavoro, lavoro”, è stato il coro del folto gruppo di commercianti ambulanti che si è riunito in piazza Duca d’Aosta, davanti alla stazione centrale di Milano, per chiedere di poter riaprire “prima possibile” e “immediati ristori” per il comparto “allo stremo”. Da piazza Duca d’Aosta i duecento manifestanti, con un centinaio di automezzi, hanno improvvisato un corteo che si è fermato a poca distanza, in via Vittor Pisani, bloccando la strada, con il traffico che è stato deviato nelle vie limitrofe. Anche una cinquantina di bus turistici si sono radunati davanti al palazzo della Regione Lombardia in via Melchiorre Gioia. Oltre 200 mercatali, invece, hanno bloccato l’autostrada A1 Roma-Napoli all’altezza di Caserta: notevoli i disagi tra gli automobilisti, con code di chilometri e rallentamenti su tutta la rete. Gli operatori hanno occupato la sede autostradale con i furgoni. “La nostra intenzione – ha spiegato Peppe Magliocca presidente dell’Ana-Ugl di Caserta – è arrivare a Roma per protestare contro una situazione assurda, con tanti operatori sul lastrico, che si sentono abbandonati”. Sul posto è arrivata la polizia in assetto antisommossa; sull’asfalto sono stati srotolati alcuni striscioni: “Se non guadagno come ti pago”, “Commercio aree pubbliche commercio sicuro” e “Dpcm non funziona, cambiatelo”, alcune delle frasi. “Mercati chiusi e senza aiuti”; “Gli ambulanti se non muoiono di Covid moriranno di fame” e, ancora, “gli ambulanti vogliono lavorare”: sono gli slogan con i quali ieri mattina hanno protestato a Bari i venditori ambulanti dei mercati pugliesi, chiedendo la riapertura e ristori per il periodo di chiusura imposto dalla zona rossa. Anche a Bari circa 200 i manifestanti che si sono riuniti con i loro furgoni nell’area mercatale di piazzale Lorusso e si sono poi spostati in un’altra area mercatale della città, in viale della Maratona. “È assurdo, se vendi mutande puoi stare aperto, perché? Coi vestiti prendi il Covid e con le mutande no? In un anno siamo stati chiusi cinque mesi, non possiamo più reggere”: Roberta Bacarelli, presidente di Federmoda di Confcommercio Napoli lo chiede dall’uscio del suo negozio in via Carlo Poerio, dove ha esposto degli slip da donna, come ieri hanno fatto altre centinaia di negozi a Napoli e in tutta la provincia da Pompei a Pozzuoli. “Al signor De Luca, al signor Speranza, al signor Draghi – dice Salvatore Amente, commerciante di moda maschile a Chiaia – diciamo che siamo ai limiti della sopportazione. Siamo tutti sotto sfratto, appena finisce questa pandemia, ne avremo un’altra, perché ci cacciano tutti. Dovranno trovare un vaccino anche per gli affitti”. Tanti i negozi aperti, senza ricevere i clienti, con mutande esposte come provocazione. A Napoli da Chiaia al Vomero, da Corso Umberto a via Toledo e in alcuni esercizi è arrivata la polizia per assicurarsi che non ci fosse vendita in atto, verificando che i negozi fossero aperti solo per protesta. “Lo Stato ci ha abbandonato”: è uno dei tanti cartelli esposti dagli oltre duecento venditori ambulanti provenienti da tutta la provincia di Foggia che hanno protestato, non a caso, nel piazzale di fronte al cimitero cittadino. La mobilitazione continuerà anche oggi per gli ambulanti toscani aderenti ad Assidea: “Il tempo della pazienza è finito – dice il presidente Assidea, Alessio Pestelli – adesso è il tempo di dire basta alle chiusure che, di fatto, penalizzano quasi esclusivamente gli ambulanti e i mercati ed è arrivato il momento di chiedere interventi di sostegno strutturali e non più misure tampone che non servono a niente”.

Non violenti, ma disperati: giù le mani dai lavoratori. La rivolta dei buoni è cominciata. Emanuele Ricucci il 7 aprile 2021 su Il Giornale.

Un crollo dei consumi pari a 128 miliardi di Euro.

300mila imprese del commercio a rischio chiusura.

945mila posti di lavoro persi in un anno.

Ciò che è accaduto ieri a Roma, in piazza Montecitorio, è fin troppo poco rispetto a ciò che sarebbe potuto succedere. È difficile smorzare gli effetti di una tensione ossessiva che avrebbe dovuto essere prevenuta nel tempo e non lasciata esplodere. Delatori contro runner, stipendio fisso contro privati, divano contro piazza, anziani contro giovani, lavoratori contro altri lavoratori (manifestanti contro la Polizia). La nuova guerra (in)civile striscia nel fallimento della classe di uomini politici. Che spettacolo meraviglioso, applausi! Chi ha permesso ciò, pur avendo avuto il tempo di evitarlo, è colui che sta accompagnando la bara della democrazia al proprio funerale, per farsi farlocco profeta del prossimo futuro politico: la mediocrazia, il governo dei mediocri. Leggiamo tutti insieme, in prigionia, Alain Deneault, che per primo ne ha teorizzato l’esistenza presente. Si fa ancora più forte il mio grido personale: la battaglia più grande, in questo nostro tempo, è quella contro l’autoannullamento degli uomini, contro la fine della loro intelligenza, delle loro dimensioni di profondità, della loro integrità, della loro coltivazione e della loro capacità di ragionare sopra le cose, criticamente. Ieri ero lì, a Roma, a sentir lievitare la frustrazione dovuta al senso di impotenza. Crediamo di essere utili, noialtri praticanti dei pensieri e delle parole, ma non lo siamo. Già è tanto se riusciamo a provocare qualche riflessione. Dal Palazzo fosse sceso qualcuno (eccetto il deputato Federico Mollicone, che si è presentato tra i manifestanti). Si fosse affacciato anche solo per capire che forma ha la povertà. Loro che pensavano di averla abolita. Vomito! Dovreste avere il coraggio di guardarli negli occhi i manifestanti di ieri, mentre cantavano l’inno d’Italia, mentre strillavano “Libertà! Libertà!”. Ristoratori, gestori di palestre, di centri estetici, di discoteche, grossisti, produttori, partite Iva, baristi, privati, donne e uomini, madri e padri – non militanti di professione – che si sono fatti centinaia di chilometri per arrivare a Roma a tirare in faccia al Governo la rabbia, l’angoscia, la disperazione di chi non ha più un soldo in tasca, non ha più risparmi, e viene trattato come il figlio stupido che non deve far alzare la curva, a costo di schiantarcisi addosso, ma che può campare di insufficiente elemosina e per questo, ingrato, dovrebbe tumularsi nella propria immobile angoscia. Cittadini e governo divisi da un obelisco e da un cordone di polizia, così vicini e mai così lontani (basti vedere le pretese infantili del Pd di dare il voto ai sedicenni, mentre i loro padri perdono il posto di lavoro). Non può essere la paura e l’imposizione a generare il rapporto civile e democratico tra un governo e la sua gente. Pare che noi disturbiamo il virus, non viceversa. La vita, così come il lavoro, non sono un’eccezione. A ogni strillo di quella gente, una coltellata, profonda, secca. Eppure quella gabbia di improvvisati aborti umani, i mai nati come uomini, figuriamoci come politici, non ha il coraggio nemmeno di guardarli negli occhi, mentre piangevano. Piangevano per davvero, anche se, come dimostra la scelta della maggior parte dei media, per la dittatura dell’immagine-verità, l’uomo con le corna, quello con la mascherina abbassata o quell’altro che sposta la transenna per andare sotto al Parlamento, sono ben più fotogenici e degni di rappresentare la mattinata rabbiosa di ieri. L’Italia mi fa male. Mi scarnifica. Mi rende scemo più di quanto non lo sia già. Mi fa impazzire. Berlino brucia mentre noi disegniamo estremisti sul muro della rivolta dei miti, come la chiama Daniele Capezzone. Gli eventuali atti idioti degli ultras della devastazione non possono coprire la reale disperazione e sono, comunque, passati per la legge, come è giusto che sia. Ma cosa deve fare un semplice cittadino disperato per farsi ascoltare? Per avere giustizia? Ma cosa vi aspettate? Se si impicca al trave del salone alle 3.30 di notte è stato uno sciocco, perché la vita non si spreca; se scende in piazza, strillando, piangendo a cinquantacinque anni come un ragazzino di venti, facendosi mezza Italia in auto, è un pericoloso scemo di destra, xenofobo, catcaller, no mask, negazionista, nazista, analfabeta non funzionante, provocatore, suprematista bianco privilegiato; se apre la propria attività per protesta, è un pazzo immaturo. Certo, chi oggi critica i lavoratori (leggasi LA VO RA TO RI) mette fiori nei cannoni, gli stessi che si è fumato con tanta veemenza da aver dimenticato che, l’altro ieri, operai, autonomi, privati, ultimi, quei lavoratori, erano al centro dei loro pensieri. Sminuire, ridicolizzare, la manifestazione romana di ieri, depotenziare la forza del disperazione privata, tangibile, a livello mediatico e politico, significa sminuire, ridicolizzare e depotenziare la Costituzione stessa. Ridurre la fame, l’angoscia, la rabbia di chi non può lavorare a capriccio, è un atto vergognoso. Che l’Italia sia una bagnarola in decomposizione umana, anzitutto, e, poi, politica ed economica, lo sapevamo. Poiché la più consistente rivoluzione attuabile, in questa fogna a cielo aperto, è quella che riguarda gli uomini, anzitutto. È quella che, all’alba del mantra odierno del “discolparsi da tutto per l’incapacità di assumersi le proprie responsabilità”, dovrà rigenerare una classe di uomini, ancora prima che di politici. Ma i furbi e i fessi prezzoliniani, governanti e governati, quei cittadini de iure e sudditi de facto, pare non vogliano smettere di scavare il fondo con un cucchiaino. Prima di giungere al magma ribollente, non si potrebbe prendere in considerazione alcune idee? Quella, per esempio, di una riapertura a tappe (mese dopo mese, a partire dai negozi in aprile, magari a maggio con i teatri e i musei e da giugno col resto delle attività, coerentemente con l’aumento delle temperature e delle vaccinazioni di massa e tenendo sempre conto, ovviamente, delle regole di prevenzione), di creare accordi a tappeto tra il trasporto pubblico e quello privato, turistico, affinché si possano raddoppiare i mezzi e le corse, evitando assembramenti selvaggi là dove il Covid prospera (32 casi di positività riscontrati su autobus, treni e vagoni metro dei trasporti di molte città italiane, a seguito di una campagna di controllo dei Nas sui mezzi pubblici in tutta Italia, con oltre 763 tamponi effettuati). O ancora, la possibilità di favorire vaccinazioni in ambito aziendale, di riaprire gradualmente, e con protocolli ferrei, le attività all’aperto (dove è stato testimoniato che avviene un solo contagio su mille. Dai  dehors dei ristoranti, ai parchi archeologici, come quello di Sutri e Selinunte, come sottolinea Vittorio Sgarbi, che conciliano arte, cultura e necessità di profonda serenità). Non si può proprio prendere in considerazione tutto ciò? Evidentemente dobbiamo rimanere parcheggiati nell’inferno della devastazione psicologica ed economica fintanto che il balletto (geo)politico dei vaccini non ci permetterà di considerare la vita un affare essenziale e non il contorno del consenso elettorale. La rivolta dei miti è appena cominciata e stavolta non sarà né ideologica, né dimostrativa.

Coronavirus, la rabbia degli imprenditori esplode a piazza Montecitorio: scontri con la polizia, spunta Vittorio Sgarbi. Libero Quotidiano il 06 aprile 2021. La manifestazione in piazza Montecitorio contro le chiusure è degenerata in uno scontro corpo a corpo con le forze dell’ordine: ad un certo punto c’è stato un tentativo di scavalcare le transenne ed è partita un’azione di alleggerimento da parte della polizia, ma un agente è rimasto ferito alla testa a causa di una bottiglia di vetro che lo ha colpito. Il lancio di oggetti è stato piuttosto prolungato: addirittura è arrivato un megafono dalle parti delle forze dell’ordine e degli operatori televisivi impegnati nelle riprese: a Tagadà Tiziana Panella ha trasmesso tutto in diretta, compreso il poliziotto insanguinato ma per fortuna non in condizioni gravi. “Buffoni” e “Libertà” sono state le grida più diffuse che si sono levate dal gruppo di manifestanti, che sono stati respinti dalle forze dell’ordine. Tra loro, prima che la situazione degenerasse, c’erano le bandiere blu di Italexit, il movimento fondato dal senatore ex M5s Gianluigi Paragone, e persino un uomo travestito come Jake lo sciamano, il membro del movimento Q-Anon divenuto famoso per aver fatto irruzione al congresso americano. Inoltre in piazza aveva preso la parola anche Vittorio Sgarbi, da sempre contrario alle chiusure e anche all’utilizzo della mascherina all’aperto. Molti dei presenti non l’hanno indossata. “Siamo imprenditori, non delinquenti”, hanno urlato ai megafoni in piazza Montecitorio i commercianti e i ristoratori che chiedevano le riaperture. Poi però la situazione è degenerata e la violenza di certo non favorirà la loro causa.

"Se non si muore di Covid si muore di fame". Proteste a Roma, manifestanti vogliono entrare alla Camera: “Fateci passare”. Aldo Torchiaro su Il Riformista il 6 Aprile 2021. Tira un vento insolito a Roma. Davanti a Montecitorio fa da sfondo a una manifestazione di trecento persone che si sono date appuntamento in rete. Un vento che strappa quasi le bandiere tricolori che una dopo l’altra si sono aggiunte davanti a Montecitorio. Protestano i ristoratori, gli unici ad avere avuto l’autorizzazione della Questura. Poi si sono aggiunti altri che come loro pretendono che la politica decida di riaprire tutto e subito; gruppi spontanei, no-Mask, elementi della destra romana. Premono contro le transenne poste dalla polizia a guardia della piazza. La fronteggiano, la polizia, a male parole. Vola qualche oggetto, uno sgabello di plastica. Ma non è più il vento. O forse sì, quello che viene da Capitol Hill: spunta infatti un emulo italiano di Jack Angeli. Ha la pelliccia sul petto e le corna da vichingo, e grida più degli altri. Una carica di alleggerimento laterale provvede ai primi due fermi di polizia, ammanettati a terra alla sbrigativa. “Fateci entrare!” è il grido di battaglia. Arriva anche Vittorio Sgarbi, lo applaudono e lui improvvisa un discorso: “Ci chiudono, ci affamano. Se non si muore di Covid si muore di fame”. È solo un segnale, forse. Ma la sensazione è che la gente non tenga più, per molti la sopportazione è esaurita e la tenuta sociale è messa sempre più a dura prova.

Vittorio Feltri per "Libero quotidiano" il 6 aprile 2021. Evviva, anche il Corriere della Sera si è accorto che il risparmio privato degli italiani è aumentato a dismisura. Un fenomeno non nuovissimo, ma sorprendente se si considera che da oltre un anno il Paese è in catalessi a causa del Covid : la chiusura generalizzata degli esercizi commerciali ha provocato enormi danni economici alla collettività. Quindi, stando a una logica terra terra , la gente dovrebbe essere ora più in bolletta rispetto al passato. Invece accade il contrario. Perché? Evidentemente il popolo, essendo costretto dalle note restrizioni a non frequentare assiduamente negozi, ristoranti, bar e luoghi di villeggiatura, spende meno del solito e di conseguenza accantona denaro e lo deposita in banca, almeno in parte cospicua. Dalle statistiche risulta che coloro che dispongono di molti contanti sono le persone mature e anziane, mentre i giovani, forse perché guadagnano meno e sono più inclini a spendere a capocchia, non hanno accumulato un gruzzolo significativo. Inoltre emerge dai dati: chi ha un titolo di studio più elevato, laureati o almeno diplomati, riesce a conservare più soldi di chi ha un lavoro più modesto. Tutto ciò a me appare normale, rientra nell' ordine naturale della umanità. Viceversa leggo qua e là che molti politici puntano alla riduzione delle disuguaglianze, operazione velleitaria, dal momento che non esiste al mondo la cosiddetta parità. E imporla a tavolino è un esercizio inutile. Basti valutare che pure dal punto di vista genetico è impossibile che voi e io troviamo un sosia. Poiché non c' è. Due persone simili magari è probabile incontrale, uguali no. Ciascuno di noi è un pianeta a se stante. Ovvio che un governo debba impegnarsi a combattere le ingiustizie sociali, però non si illuda di abolire le disuguaglianze che sono una caratteristica ineliminabile degli esseri viventi. Io ho un fratello e una sorella che non mi somigliano per niente, e ho quattro figli differenti completamente. Se si tiene conto di queste verità incontestabili si capisce che la diversità è un fattore tipico della razza non soltanto umana, ma caratterizza anche gli animali: due gatti identici non li ho mai visti per una semplice ragione: non sono mai nati. Invece di puntare alla eliminazione delle disuguaglianze, la politica deve assicurare a chiunque il minimo vitale. La collettività non può essere appiattita, chi tenta di farlo non sa in che mondo campa. I ricchi e i poveri ci sono sempre stati, e ci sarà un perché. Molti individui nati in miseria muoiono lasciando una eredità da capogiro. Non è detto che fossero ladri.

Tafferurgli in piazza Montecitorio tra ristoratori e polizia. Cori contro Speranza e Salvini. Davide Ventola martedì 6 Aprile 2021 su Il Secolo d'Italia. Prima i cori "buffoni" e "libertà" poi il lancio di un fumogeno e di alcuni oggetti. Infine il tentativo di sfondare il cordone delle polizia davanti alla Camera. Momenti di tensione a piazza Montecitorio durante la manifestazione di ristoratori e di diverse categorie di commercianti i cui negozi sono chiusi per via delle norme anti Covid. Le forze dell’ordine hanno respinto i manifestanti che stavano rovesciando le transenne che circondano la piazza. Alcune persone sono state fermate. Come riporta La 7, la piazza ha pronunciato insulti e cori contro il ministro della Salute Roberto Speranza, ma anche toni critici nei confronti del leader della Lega Matteo Salvini. Alcuni manifestanti, a Montecitorio, tra cui ristoratori, ambulanti e esercenti di attività chiuse per le norme anti-covid, sono stati fermati. Poi la situazione è tornata tranquilla. A contenere la piazza anche Enrico Montesano che ha portato la sua solidarietà ma ha incitato a evitare azioni di impulso. I manifestanti, si legge nel comunicato di Io Apro puntano “alla riapertura di tutte le attività che sono state gravemente colpite dagli effetti economici della pandemia. Dunque non solo ristoratori e bar a Montecitorio, ma gestori di palestre e piscine, estetisti, parrucchieri e tutti quegli esercenti che da mesi non riescono più a lavorare a causa delle varie restrizioni dettate di Dpcm per contenere la diffusione del contagio. Per questo "Io apro", Mio Italia, La rete delle partite Iva, Apit Italia e Pin hanno deciso di unirsi e scendere in piazza contro le chiusure”. La preoccupazione c’è, la tensione è alta. Siamo consapevoli che bisogna riaprire in sicurezza e che bisogna dare i ristori. Al Senato c’è il Dl sostegni, sono previste molte iniziative per aiutare chi è in difficoltà. Bisogna fare di più, per questo è stato annunciato un ennesimo scostamento di bilancio”. Lo ha detto Debora Serracchiani a Oggi è un altro giorno, su Raiuno, commentando le immagini degli scontri in piazza Montecitorio. “La tensione è comprensibile, noi siamo qui per ascoltare e dare risposte, che stanno arrivando con il Dl sostegni e altre risorse. Ma non è questo il modo migliore per risolvere problemi”, ha aggiunto la capogruppo del Pd alla Camera.

Da ilmessaggero.it il 6 aprile 2021. Roma, in migliaia stanno manifestando davanti a Montecitorio, tutti gestori del comparto ricettivo ed enogastronomico, titolari delle tipiche fraschette di Ariccia, delle trattorie, ristoranti dei Castelli Romani, di Roma e provincia e anche da altre parti della regione Lazio e d'Italia. Al grido di "Vogliamo Lavorare o Moriremo di Fame " con striscioni, megafoni e cartelli, chiedono di poter tornare ad aprire i loro locali dopo oltre un Anno di chiusure continue in zona rossa e arancione. Aderiscono alla protesta di piazza anche molte associazioni di categoria come il Mio (Movimento Italiano Ospitalità) e l'Afa (Associazione Fraschette Ariccia), domani in tanti per far sentire il loro grido di disperazione apriranno anche le loro attività. "Ormai siamo allo stremo delle forze, noi, le nostre famiglie, i nostri lavoranti, a breve non avremo nemmeno un euro in tasca, saremo costretti a chiudere per sempre e mandare a casa migliaia di lavoratori ", ha detto uno dei rappresentanti dei ristoratori e dei fraschettari. Anche l'onorevole Vittorio Sgarbi, è sceso in strada dal Parlamento e sta manifestando con la grande folla in piazza Montecitorio. A centinaia sono partiti con pullman organizzati per raggiungere la sede del Governo e protestare contro i continui lockdown che li costringono a chiudere le serrande.  

Federico Capurso per "la Stampa" il 7 aprile 2021. Non sono le cariche della polizia su una frangia di manifestanti, né i fumogeni lanciati contro gli agenti o le transenne gettate a terra a dare l' impressione che qualcosa nell' aria sia cambiato. Le forze dell' ordine sostengono che la piazza di fronte a Montecitorio, a Roma, dove si stava tenendo una manifestazione per chiedere le riaperture di negozi e attività, si sia infiammata per colpa di alcune frange estremiste infiltrate nella protesta. Gruppi di estrema destra c' erano, Casapound in testa, e c' erano anche semplici ristoratori, commercianti, titolari di palestre. Il rischio di disordini era previsto, come raccontano le circolari inviate mesi fa ai prefetti dal capo della polizia Franco Gabrielli. Quello che non era previsto era che non ci fosse nessuno, distante dai tafferugli, tra i manifestanti pacifici e tra i passanti che si avvicinavano incuriositi, che condannasse la violenza che aveva di fronte agli occhi. Due agenti feriti, sette manifestanti fermati: «A questo ci hanno portato», è l' unica risposta che si ottiene dalla piazza romana. A Milano, nello stesso momento, gli ambulanti stanno fermando il traffico nei pressi della stazione centrale. Alle porte di Napoli, gli operatori dei mercati bloccano con i loro furgoni l' autostrada A1. «In questo momento le proteste sono alimentate dalla situazione estremamente delicata per il Paese - riconosce in serata la ministra dell' Interno Luciana Lamorgese -, ma è inammissibile qualsiasi comportamento violento nei confronti di chi è impegnato a difendere la legalità e la sicurezza». Per il senatore Gianluigi Paragone, che con la sua Italexit è in piazza Montecitorio, «una reazione del genere non potevano non aspettarsela. Hanno passato un anno a promettere: questo è il risultato». In piazza c' è anche il deputato forzista Vittorio Sgarbi, che prende la parola per ribadire l' inefficacia della mascherina, oltreché delle altre misure prese dal governo. «Non ho visto alcuna forma di violenza - dice -, hanno solo cercato di passare la soglia della piazza. D' altronde, non si capisce perché quello spazio debba essere off limits per i manifestanti». Dietro di lui, quasi a rispondergli, spunta il copricapo con corna di bufalo che rese celebre l' assalitore di Capitol Hill a Washington, membro di Q-Anon. Questa volta lo indossa Ermes, ristoratore di Modena, con il tricolore dipinto sul viso e il segno di una manganellata presa poco prima sul braccio. «Lo faccio per attirare l' attenzione su di noi», dice. Il palchetto da cui parlavano organizzatori e invitati è rimasto vuoto, dopo la prima carica della polizia. Intorno ci sono tra le seicento e le mille persone, bandiere di ogni tipo, da quella di Alitalia a quella dell' Italia dei valori, fino ai cartelli con su scritto #IoApro. In molti dichiarano che da oggi terranno aperte le loro attività, qualunque siano le restrizioni imposte del governo. «Domani (oggi, ndr) tiro su la saracinesca della mia palestra», assicura Marco, titolare del Boxing Club a Fiumicino, alla sua ottava manifestazione. «È un luogo fondamentale per i ragazzi, soprattutto nelle periferie. Alleniamo gratuitamente chi è povero e togliamo i giovani dalle strade». Non vogliono i ristori, «vogliamo solo lavorare, senza questo inutile assistenzialismo», dice Luigi, che sfoggia una maglietta con una montagna colorata disegnata dai suoi tre bambini. Luigi ha un albergo a Roccaraso, in Abruzzo, e la stagione l' ha persa «praticamente senza ricevere nulla. Abbiamo finito di indebitarci con i fornitori e ora abbiamo iniziato a indebitarci con la banca», racconta. Si tiene lontano dall' area di tensione, quella che separa il reparto celere dai manifestanti, «ma non me la sento di condannarli. Devono rendersi conto - dice indicando Montecitorio - che il rischio è quello di un' insurrezione». Da una finestra della Camera si sposta una tenda, fa capolino qualcuno, e la piazza torna a infiammarsi, volano fischi, insulti ai giornalisti e bottigliette d' acqua contro la polizia. Insultano i giornalisti, ma vogliono raccontargli il loro disagio. Attaccano la polizia, ma gli chiedono solidarietà: «Giù il casco», si solleva il coro. È una rabbia che non ha argini e non ha obiettivi precisi. Quando arriva la notizia che una delegazione verrà ascoltata dal Pd, la tensione cala. La piazza è una mescolanza di idee e di nemici, che ognuno costruisce con la propria logica. E di cui la violenza, ormai, inizia a essere parte.  

Claudio Rinaldi per il "Corriere della Sera" il 7 aprile 2021. «Mi sono travestito da sciamano perché solo così ero sicuro di essere ascoltato». Ermes Ferrari ha 51 anni ed è un ristoratore di Modena. Per partecipare alla manifestazione ha deciso di indossare un cappello di pelliccia e le corna da vichingo, imitando Jake Angeli, lo «Sciamano» di Capitol Hill. Si è poi dipinto il volto con la bandiera italiana e ha attirato l' attenzione di fotografi e telecamere. «Per farmi sentire, mi sarei vestito anche da zebra. Sono qui perché non ce la faccio più, chiedo soltanto di lavorare. Non mi sembra una richiesta così assurda». Ferrari racconta di avere due ristoranti, uno aperto pochi mesi fa, e di essere in grande difficoltà tanto da essersi rivolto a un usuraio: «Non avevo altra scelta. Ho chiesto diecimila euro per pagare gli stipendi dei dipendenti che non ricevevano la cassa integrazione e non sapevamo più cosa mangiare». E sugli scontri tra polizia e manifestanti dice: «Francamente non mi aspettavo di prendere le bastonate. Noi volevamo solo entrare nella piazza per spiegare le nostre ragioni. Ce lo hanno impedito e in quel momento la situazione è degenerata. Ma d' altronde se una persona si deve travestire da clown per farsi ascoltare - conclude Ferrari - vuol dire che siamo davvero un Paese finito».

Mauro Grasselli per gazzettadireggio.gelocal.it - 8 luglio 2012. Hermes Ferrari è stato arrestato e, questa volta, condotto in carcere. Il “re” delle strade di Scandiano – protagonista di tanti episodi che nel corso del tempo hanno reso inquieta la vita della cittadina – di recente era stato avvistato in centro a Scandiano, nonostante il 42enne tecnico manutentore di macchine utensili – ex venditore di lampade abbronzanti e anche buttafuori nei locali – avesse l’obbligo di restare a casa, essendo agli arresti domiciliari dopo l'aggressione del 7 giugno scorso nei confronti di Angelo Santoro, console d’Albania "colpevole" di essere troppo lento sulle strisce pedonali. Ferrari aveva chiesto il permesso di uscire in determinate circostanze, per motivi di salute e per poter aiutare la madre, ma a Scandiano gli avvistamenti “pubblici” continuavano a tenere in apprensione la cittadinanza. Di fatto, sabato pomeriggio ad attendere Ferrari c’erano i carabinieri. Non un paio di militari, ma tre gazzelle. Schieramento opportuno, viste le caratteristiche fisiche (body builder) e le propensione a risolvere le cose con modalità non esattamente in linea con i manuali di bon ton. Risultano ormai numerose, infatti, le vicende che lo hanno visto protagonista di episodi molto movimentati, quasi sempre scaturiti da banali divergenze sul “comportamento” stradale. Episodi che hanno determinato un vero e proprio problema di ordine pubblico, al punto da indurre il sindaco Alessio Mammi ad incontrare i vertici dell’Arma provinciale per decidere come affrontare una questione diventata ormai un problema di carattere sociale, oltre che di ordine pubblico. E infatti anche sabato pomeriggio Hermes Ferrari non si è mostrato del tutto felice alla vista dei carabinieri. Al punto che, per cause da accertare, poco dopo l’uomo è stato condotto al pronto soccorso dell’ospedale di Scandiano. Dove tuttavia il “cinema” non si è arrestato: l’ira dell’ex buttafuori ha creato scompiglio anche al pronto soccorso, e lui stesso ha riportato altre ferite. Il tutto si è concluso con il suo trasferimento in carcere. Il precedente episodio – quello che ha acceso per davvero i fari su Hermes Ferrari e sui tanti episodi che lo hanno visto protagonista – è quello accaduto il 7 giugno scorso sempre a Scandiano.  "Colpevole" di aver attraversato le strisce pedonali troppo lentamente, Angelo Santoro viene aggredito prima verbalmente, con frasi offensive e minacce, poi fisicamente: una botta al collo che porterà ad un referto attestante 30 giorni di prognosi. Santoro, consulente, console emerito della Repubblica d'Albania, già candidato sindaco, conosciuto per varie iniziative a carattere sociale, tra cui una petizione contro il traffico d'organi umani, alle 18 di quel giorno esce dal suo ufficio in viale Mazzini, dove esercita anche la funzione di console, e attraversa la strada, sulle strisce pedonali. Una Mercedes scura lo sfiora e si ferma poco dopo il passaggio pedonale. Il conducente scende, lascia la portiera aperta e aggredisce verbalmente il pedone, invitandolo a camminare più velocemente. Episodio sgradevole che potrebbe chiudersi in pochi istanti. Ma nonostante Santoro dica «non è successo nulla, è una reazione immotivata», non finisce lì. Le urla di Ferrari attirano l'attenzione dei passanti. La situazione degenera e Santoro viene colpito al collo. Numerose le testimonianze.

Da gazzettadireggio.gelocal.it - 13 giugno 2012. Il caso Hermes Ferrari stava diventando un problema di ordine pubblico per la comunità scandianese. L’aggressione del 7 giugno ai danni del console Angelo Santoro, “colpevole” di aver attraversato troppo lentamente le strisce pedonali, ha riacceso le luci su precedenti episodi analoghi, dai quali, in svariati casi, sono scaturite denunce (anche se poi in parte ritirate) e l'arresto dell'11 marzo scorso per aver "pestato" un vicino di casa, "reo" di aver parcheggiato male l'auto nel cortile. Ora il gip del tribunale di Reggio Emilia, concordando con la richiesta della procura reggiana che ha pienamente condiviso le richieste dei carabinieri della tenenza di Scandiano, il 42enne e’ stato nuovamente arrestato a seguito dell’aggravamento della misura cautelare, passata dal’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria agli arresti domiciliari presso la sua abitazione. L’ultimo episodio che ha fatto scattare il nuovo provvedimento nei confronti di Ferrari, secondo la denuncia presentata da Angelo Santoro – consulente, console emerito della Repubblica d’Albania, già candidato sindaco, noto per varie iniziative a carattere sociale – è avvenuto giovedì 7 giugno poco dopo le 18 in viale Mazzini. Secondo la denuncia, Hermes Ferrari, 42 anni, rappresentante scandianese, ha perso le staffe per un banale attraversamento della strada sulle strisce pedonali da parte di Santoro. Proprio nel momento in cui il console era sulle strisce, è arrivato Ferrari, che a bordo di una Mercedes scura ha sfiorato Santoro, fermandosi poco più avanti. Una volta sceso dall’auto, secondo la denucia, Ferrari ha insultato, minacciato e percosso Santoro, “reo” di essere stato troppo lento sulle strisce. Numerosi passanti hanno fornito testimonianze ai carabinieri, mentre lo stesso Santoro ha sporto denuncia, dopo essere andato al pronto soccorso per accertamenti. Trenta i giorni di prognosi, comunque, per il colpo vibrato a mano aperta al collo del console. Altri episodi sono riemersi “grazie” a quest’ultima aggressione, al punto che ieri anche sui social network circolavano commenti di questo tenore: «Come dissi mesi fa... Ma che c... aspettano a rinchiuderlo? Aspettano che ci scappi il morto?». Oppure: «Lo dico da tempo, a chi di dovere e non, ma sembra che nessuno voglia interessarsene». E ancora: «E’ da queste piccole cose che capisci che c’è qualcosa nella giustizia che non funziona. E’ un individuo davvero pericoloso». C’è anche chi suggerisce di farlo curare, d’autorità. Ma prima ancora che questa serie di commenti a livello di opinione pubblica cominciasse a circolare a Scandiano e dintorni, era intervenuto il sindaco Alessio Mammi, che la mattina successiva all’ultimo episodio è andato a Reggio per incontrare i vertici dell’Arma reggiana – in particolare il comandante colonnello Fichera e il maggiore D’Amore – ai quali ha illustrato la situazione con l’obiettivo di arrivare a decidere come affrontare quello che, sempre più, sta diventando un problema di carattere sociale, ed anche di ordine pubblico, per la comunità scandianese. Intanto Ferrari sarà processato il 13 luglio per l'episodio accaduto l’11 marzo scorso nella palazzina di viale Europa in cui abita. Secondo l’accusa, nell’occasione Ferrari sfondò la porta di un vicino e lo aggredì causandogli lesioni. I carabinieri lo arrestarono, poi venne scarcerato con obbligo di firma.

Dagospia l'8 aprile 2021. Da “Radio Cusano Campus”. Hermes Ferrari, il ristoratore di Modena che l’altro ieri è sceso in piazza Montecitorio vestito da sciamano imitando Jack Angeli, è intervenuto ai microfoni della trasmissione “Un Giorno Da Ascoltare” su Radio Cusano Campus con Arianna Caramanti e Luca Rossi. “Ho già manifestato il 4 maggio scorso a Reggio Emilia davanti al Comune portando avanti da sempre la nostra battaglia. Non volevo emulare Jack Angeli perché non mi interessa la politica americana, volevo solo dare nell’occhio perché la figura di questo ragazzo americano ha fatto il giro del mondo e in effetti il mio travestimento ha destato attenzione nell’opinione pubblica cosa che invece non è accaduta quando poco prima mi ero incatenato a una transenna. Chiaramente ho ricevuto tantissime critiche per questo mio voler emulare Jack Angeli ma bisogna anche valutare i pro e i contro però penso che siamo riusciti a far capire il nostro problema, ormai siamo arrivati alla fine, non ce la facciamo più!” “Chiediamo due cose: o le riaperture dei locali con tutte le misure di sicurezza, i distanziamenti, ecc… o almeno che possiamo pagare gli affitti con credito di imposta che versiamo e non dover in questo periodo pagare le utenze che invece dobbiamo continuare a pagare ogni mese anche se siamo chiusi. Inoltre chiediamo la cassa integrazione immediata per i nostri dipendenti che hanno dovuto aspettare tanto tempo per poi ricevere una miseria quando c’è gente che nella vita non ha mai fatto nulla e percepisce magari 700 euro al mese di reddito di cittadinanza! Questo è il Paese dei controsensi.” “Penso che non andiamo contro la Legge ma rispettiamo il diritto al lavoro e ciò è incontestabile! Sto continuando a tenere aperto da mesi, certo la gente è molta di meno rispetto a prima ma almeno si lavora. Le multe che ci vengono fatte vanno contestate e ad ogni modo io non mi nascondo, tengo aperto il mio locale con tanto di insegna illuminata e pubblicità sui miei social e le forze dell’ordine che entrano a volte sono anche empatiche e capiscono bene la nostra situazione. Io lavoro come se questi DPCM non esistessero”. “Abbiamo anche 20mila euro di debiti tutti i mesi, tra l’altro in queste situazioni di crisi si annida anche la criminalità: molti lavoratori hanno già svenduto per necessità i loro locali per pochi soldi, questa situazione sta diventando una guerra tra poveri! Il nostro movimento è partito il 15 gennaio ed eravamo in pochissimi, oggi abbiamo dimostrato che siamo sempre di più ad avere difficoltà a vivere. Gli episodi accaduti negli scontri a Montecitorio non sono dovuti a noi ristoratori: quando siamo andati a mani alzati e disarmati senza alcuna protezione verso la parte superiore della piazza siamo stati presi a bastonate, ho ancora i lividi per le botte prese. La ministra Lamorgese non può dire che la colpa è stata nostra.  Se il governo non ci dà una risposta siamo pronti a scendere di nuovo in piazza sperando di essere ancora di più”.

Da repubblica.it il 4 agosto 2021. Dovrà stare lontano da Fidenza per tre anni, Hermes Ferrari, il ristoratore reggiano salito agli onori delle cronache, negli scorsi mesi, come lo "sciamano" dopo essersi recato a Roma per protestare insieme ad altri commercianti contro le chiusure per la pandemia da Covid-19 ed essersi incatenato a una transenna a Montecitorio con il volto dipinto e indossando un copricapo da vichingo. L'allontanamento triennale dalla cittadina emiliana è legato ad un foglio di via emesso nei confronti dell'uomo che lo scorso giugno, all'interno di un un grande centro commerciale di Fidenza, aveva prima inveito contro due agenti della vigilanza privati, che gli chiedevano di indossare la mascherina all'interno della struttura e poi aveva colpito con una testata un altro cliente. I fatti erano stati ripresi da un avventore del centro commerciale e il video aveva fatto il giro dei social, divenendo virale. Sul posto erano intervenuti i carabinieri e il ristoratore emiliano era stato denunciato per aggressione e per il mancato rispetto delle norme anti-Covid. Adesso il foglio di via che gli vieta di fare ritorno a Fidenza per tre anni.

Alessandro Barbera Alberto Mattioli per "la Stampa" il 7 aprile 2021. A evitargli la prima piazza piena di rabbia a pochi passi dall' ufficio è stata la missione lampo in Libia. Quando Mario Draghi è rientrato a Palazzo Chigi, ieri intorno alle 17, su Roma iniziava a spirare la tramontana e i manifestanti avevano già lasciato piazza del Parlamento. Per il presidente del Consiglio non è soltanto l'inevitabile fine della luna di miele con un pezzo di Paese, ma anzitutto un problema politico che rafforza le ragioni di chi dentro al governo preme per mandare un segnale al lavoro autonomo sfiancato da un anno di restrizioni. «Noi non c' entriamo nulla. Non abbiamo avuto nessun ruolo nell' organizzazione di queste proteste», fa sapere il portavoce di Matteo Salvini. Eppure a dettare la linea di lotta nel palazzo è lui. E poiché il bombardamento mediatico finora non ha dato risultati, il segretario leghista ci prova coi suoi governatori. Giovedì, a margine della Conferenza Stato-Regioni, i presidenti leghisti proporranno a tutti i colleghi un tavolo. Obiettivo: elaborare una proposta da sottoporre al Comitato tecnico scientifico e al governo per allentare la stretta delle chiusure. «Non sarà una proposta solo leghista e nemmeno del centrodestra. Vogliamo tenere unita la Conferenza delle Regioni, non dividerla», giura il governatore del Friuli Massimiliano Fedriga, designato a succedere a Stefano Bonaccini come leader dei presidenti: «Si tratta di fare come lo scorso anno, quando le linee guida della riapertura furono appunto elaborate dalle Regioni e poi sottoposte al governo». Alla base, una constatazione: «Ormai le zone rosse sono tali soltanto per modo di dire. Prendiamo per esempio i parrucchieri: hanno la serranda abbassata ma lavorano tutti a domicilio. La gente non ne può più. Serve un piano di riaperture in sicurezza, modulabile, flessibile e consensuale». La linea Salvini, insomma, che ripete di volerne parlare a quattr' occhi con Draghi non appena rientrerà a Roma da una breve vacanza con la famiglia. Nel concreto, le proposte sono ancora un po' nebulose.

Sempre Fedriga: «Potrebbero riaprire i ristoranti che dispongono di posti all' aperto e distanziati, le piscine e le palestre purché l' attività sia individuale o al massimo con l' istruttore, i cinema e i teatri con posti contingentati». E qui c' è da segnalare una non frequentissima attenzione leghista per la cultura, con Salvini che cita come esempio di «nuovo protocollo» quello dell' Arena di Verona per accogliere la prossima estate seimila spettatori invece dei 3.500 dell' anno scorso. «È fatto bene, 52 pagine dettagliatissime. Potrebbe diventare un modello per tutti», chiosa Lucia Borgonzoni, sottosegretaria leghista, al Mibac, del rigorista Dario Franceschini Resta da capire come l' idea targata Lega sarà recepita dagli altri partiti e dal governo.

Fedriga scommette: «Non sono proposte né di destra né di sinistra, solo di buonsenso. Le ho anticipate a Bonaccini ed è d' accordo anche lui». Bonaccini conferma che se ne parlerà. «L' anno scorso ci fu un tavolo tecnico con alcuni assessori che funzionò e permise quasi tutte le riaperture. Si tratta di rimetterli al lavoro. Sia chiaro, però: dobbiamo essere pronti e programmare, ma oggi occorre essere anzitutto prudenti perché il virus non è vinto». Su questo Bonaccini, la cui Regione è tuttora in zona rossa, è allineato al governo. «Non si può fare politica sull' epidemia», dice il ministro della Salute, Roberto Speranza. Ma a Palazzo Chigi hanno ormai chiaro che nemmeno i numeri della pandemia riescono più a fermare la protesta dei non garantiti. Draghi ha dato mandato al ministro del Tesoro, Daniele Franco, di accelerare con il nuovo decreto Sostegni, per il quale è necessaria un' altra autorizzazione del Parlamento per 20, forse 30 miliardi di spesa aggiuntiva. Arriverà in coincidenza con il Documento di economia e finanza, probabilmente entro una decina di giorni. «Dobbiamo in ogni caso monitorare i dati e vedere come procede la campagna vaccinale. Quando arriverà la proposta delle Regioni, la valuteremo», spiegano da Palazzo Chigi. Perché la situazione permetta parziali riaperture di bar e ristoranti, almeno di giorno, Draghi vuole vedere un calo sensibile e duraturo dei contagi. Lega e Forza Italia da giorni premono perché si possano allargare le maglie delle restrizioni già a partire dal 25 aprile, ma gli esperti del Cts consigliano al premier la massima prudenza. In questi giorni tornano a scuola circa sei milioni fra bambini e ragazzi, e per capire l' impatto della novità sulla curva epidemiologica occorrono le ormai canoniche due settimane.

Covid, magistrato denuncia l’operato del governo al Tribunale dell’Aja: “Crimini contro l’umanità”. Rec News il 31 Marzo 2021. I governi stanno finendo a ruota sotto la lente del Tribunale dell’Aja per le misure improprie propugnate con la scusa di un virus a bassissima letalità. Questa volta a essere sottoposta all’attenzione della Corte Penale Internazionale è l’Italia di Conte e Draghi, quella delle chiusure immotivate – come ammetteva lo stesso Cts in uno dei verbali resi noti ad agosto del 2020 – e delle limitazioni incostituzionali alla libertà personale. Tutto parte dalla denuncia del magistrato Angelo Giorgianni, che in un esposto di oltre 30 pagine si è soffermato tra le altre cose sull’obbligo di indossare la mascherina, sull’allontanamento sociale e sulle chiusure indicandoli come “crimini contro l’umanità”, “in quanto – scrive il magistrato – costituiscono reati di reclusione e tortura e sono atti che provocano grandi sofferenze alla salute mentale e fisica”. “I costi economici, umani, psicologici e sociali di queste politiche – chiosa ancora il magistrato – sono notevolmente superiori alla loro efficacia nel salvare vite umane e ridurre la diffusione del virus”. Una presa di posizione chiara, netta e motivata che sta già scuotendo il mainstream che da oltre un anno si è adagiato supinamente sulle posizioni del governo e sui dati istituzionali che già lo scorso anno si rivelavano fallaci  e gonfiati. Tanto che magistrato, co-autore del libro “Strage di Stato – Le verità nascoste della Covid-19”, al pari di chiunque si permetta di esprimere pareri critici sull’affare coronavirus è vittima da giorni di una campagna di fango mediatico. Giorgianni tuttavia non demorde: annuncia la volontà di tutelarsi nelle opportune sedi e tira dritto.

Luca Serranò per repubblica.it l'1 luglio 2021. "La delibera dichiarativa dello stato di emergenza adottata dal Consiglio dei ministri il 31.1.2020 è illegittima per essere stata emanata in assenza dei presupposti legislativi, in quanto non è rinvenibile alcuna fonte avente forza di legge, ordinaria o costituzionale, che attribuisca al Consiglio dei ministri il potere di dichiarare lo stato di emergenza per rischio sanitario". E ancora: "A fronte della illegittimità della delibera, devono reputarsi illegittimi tutti i successivi provvedimenti emessi per il contenimento e la gestione dell’emergenza epidemiologica". Così il tribunale di Pisa impallina la gestione dell'emergenza coronavirus da parte del Governo Conte. Le "censure" sono messe nero su bianco nelle motivazioni di una sentenza con cui il tribunale ha prosciolto due cittadini marocchini, sorpresi fuori casa durante il primo lockdown senza giustificato motivo. Il giudice Lisa Manuali li ha assolti "perché il fatto non sussiste", considerando illegittimi alla radice i decreti del governo. "A causa della epidemia da Covid -19 sono state emanate disposizioni che hanno comportato la compressione di alcune libertà garantite dalla nostra Carta Costituzionale - si legge nella sentenza-  libertà che concernono i diritti fondamentali dell’uomo e costituiscono il “nucleo duro “ della Costituzione stessa".  Secondo il giudice, "un Dpcm, fonte meramente secondaria, non atto normativo, non può disporre limitazioni della libertà personale", motivo per cui "non si ritiene di poter dubitare della illegittimità e invalidità dei decreti che hanno imposto la compressione di diritti fondamentali".

L'aria che tira, Pietro Senaldi contro Roberto Speranza: "Un comunista che ci condanna a non avere una vita". Libero Quotidiano il 31 marzo 2021. Pietro Senaldi è stato ospite nello studio de L’aria che tira, la trasmissione in onda tutti i giorni su La7 e attualmente condotta da Francesco Magnani al posto di Myrta Merlino. Il direttore di Libero è partito dalla vicenda del giorno, ovvero dal pasticcio combinato dal governo presieduto da Mario Draghi sui viaggi all’estero mentre sul suolo italiano non è consentito spostarsi, per esporre il suo giudizio sul ministro Roberto Speranza. Il quale in precedenza da Magnani era stato definito un pedagogo, ma Senaldi è stato di tutt’altra opinione: “Secondo me lui non è un pedagogo, ma un comunista, come d’altronde ha sempre detto. Nel suo libro sul Covid che non è mai stato pubblicato ha detto che l’epidemia era una grande occasione per la sinistra, che avrebbe dovuto riformarsi. Invece qui si è capito che finché c’è Speranza non c’è più vita. Poi sul caso specifico non vedo perché se uno va all’estero rischia di contagiarsi di più che in Italia, dove siamo tra quelli messi peggio”. Magnani gli ha fatto notare però che il provvedimento sui viaggi all’estero è stato avallato anche da Mario Draghi: “Io credo che il premier utilizzi in parte Speranza come un bersaglio. Per qualsiasi provvedimento antipatico del governo c’è Speranza che è lieto di assumersene la responsabilità. I politici si danno dei ruoli, lui fa quello dell’uccello del malaugurio ed è contento di farlo, anche perché magari poi capitalizzerà”. 

Il lockdown è la nuova euroausterità. Fabio Dragoni il 31 Marzo 2021 su Nicolaporro.it. Secondo Bloomberg al 30 marzo 2021, il bilancio della Banca centrale europea arriva a 7.500 miliardi di euro. Per intendersi oltre il 75% del Pil dell’eurozona. Giusto per darvi un’idea era il 15% al momento dello scoppio della grande crisi finanziaria del 2008. Il 30% al momento dello scoppio della grande crisi dei debiti sovrani del 2011 tutta indotta dalle politiche restrittive di Commissione Ue e Bce e colpevolmente raccontate dai nostri media come crisi di credibilità dei governi italiano, greco e spagnolo. Ed il 45% prima dell’arrivo della pandemia. Insomma, un “crescendo di violini e guai” canterebbero Colapesce e Dimartino. L’omologa Fed negli Stati Uniti d’America ha un bilancio in valore assoluto grosso modo analogo a quella della Bce: 7.720 miliardi di dollari secondo le stime aggiornate di Compound Advisor. Vale a dire 6.500-6.600 miliardi di dollari. Più o meno arriva al 36% del Pil. Il motore dell’Eurozona è praticamente ingolfato. Pieno di liquidità che non arriva all’economia ferma da anni. Prima a causa delle politiche di austerità indotte dalla Commissione Ue. Poi dal lockdown quale misura adottata per fermare i contagi. In poche parole, la musica europea conosce un solo ed unico spartito: arrestare la crescita. Cosa che del resto spiegava magistralmente Mario Draghi in uno dei suoi ultimi discorsi da banchiere centrale nell’autunno del 2019: “La politica di bilancio deve giocare il suo ruolo stimolando l’economia quando questa è debole e non lasciando alla sola Bce questo compito. Nell’ultimo decennio l’aggiustamento macroeconomico è toccato in modo sproporzionato alla politica monetaria. Abbiamo persino visto casi in cui la politica fiscale è stata pro-ciclica andando in direzione contraria allo stimolo monetario”. Il Pil italiano nel 2020 arretra di 154 miliardi. Il 9%. Mai così tanto in tempo di pace. E nello stesso periodo i depositi bancari aumentano di 155 miliardi. Neanche a farlo apposta. Ciò che non viene speso nei ristoranti chiusi non fa Pil. Ma si trasforma in deposito che ingrassa il passivo dello stato patrimoniale delle banche. Il cui attivo però si riempirà di sofferenze bancarie. Quei ristoranti che a causa della chiusura forzata non potranno rimborsare il loro debito verso le banche. Finita l’austerità arriva il lockdown. Nel primo caso si abbassava il reddito dopo averlo prodotto con una tassazione spropositata. Nel secondo caso si impedisce invece la formazione del reddito non facendo austerità ma proprio impedendo alle imprese di produrre reddito. Senza peraltro aver abbassato le tasse. Se non è zuppa è pan bagnato. Fabio Dragoni, 31 marzo 2021

All’estero si viaggia, in Italia lockdown. Ribelliamoci alla deficienza! Emanuele Ricucci il 28 Marzo 2021 su culturaidentita.it su ilgiornale.it. Pasqua all’estero, ma non in Italia. Puoi andare al mare in Grecia, ma non a quaranta chilometri da casa tua. Vaccini sì, vaccini no, se famo du spaghi. Speranza, Figliuolo, orsù! Non lasciarti abbattere dalla devastazione psicologica. Mentre il Regno Unito registra zero morti nelle scorse ore, vengono vaccinati anche i pali della luce e, lentamente, si riaffaccia alla normalità, qui ci troviamo Nicola Zingaretti che afferma, in un’intervista, che l’economia potrà ripartire solo sconfitto il covid, Luca Bottura che, su Twitter, vuole segnarsi i nomi dei dissidenti di #ioapro – e menomale che i “compagni” erano dalla parte dei lavoratori. Ormai siamo alla sinistrash – e il governo di unità nazionale litiga sulla possibilità di riaprire una palestra e un paninaro dopo Pasqua. L’ennesimo 8 settembre dell’intelligenza. A un certo punto, non si può più fare altro: chi è sveglio si salvi, chi è sano si ribelli – dove per sano non si intende chi non ha contratto o non ha il coronavirus, ma chi ancora vive sulla base di un pensiero critico, chi ancora possiede un barlume di integrità e di reattiva lucidità -. Suvvia, non possiamo essere figli di Balilla e Masaniello, di Cola di Rienzo e trovarci nipoti di Speranza e di Ricciardi. Qualcuno ancora attende Batman, figurarsi…Il lockdown, qui da noi, è uno stato della mente e un modo di governare. Prendete Walter Ricciardi con le sua costante richiesta: più lockdown!Ricciardi non è un modello filosofico, ma un esempio pratico. Poteva essere Speranza, Crisanti o altri, in tal senso, uomini secondo cui noi disturbiamo il virus, non viceversa. Contro (le affermazioni di) Ricciardi perché non si imponga un modello che faccia tremare le fragili gambette italiane, nel Bel Paese con la sindrome di Stoccolma, in cui ci si innamora dei propri rapitori. Dunque, bisogna camminare oltre Ricciardi perché non si generi il Ricciardismo (o il Crisantesimo – forzando un po’ – ancor meglio, effettivamente, come fiori sulla tomba della dignità di un Paese defunto). Contro l’ossessione, l’esasperazione, la colpevolizzazione, l’eccezione, la diminuzione, il terrore mediatico come metodo di governo che non prevede un patto nazionale tra cittadini e Stato fondato sulla fiducia, ma sulla imposizione, spesso acritica. Contro lo Stato di deficienza. Lo Stato di deficienza ha superato quello di eccezione: non ci potete chiedere di comprendere e accettare un lockdown totale in questa condizione, non più. È questione di modalità, non di ristori. Contro la pericolosa abitudine a essere ridotti in vacche stupide, in cittadini de iure e sudditi de facto. In onore di quella libertà verghiana, poco adatta a noi italiani, che si rende vana nell’individuazione e nella personificazione di un odio momentaneo da eliminare con ogni forza, al quale ne segue un altro, e poi un altro e un altro ancora, in un eterno loop, eterno riposo, ma che si mostra, contrariamente, nell’abbattimento del patimento e delle sue radici, nel non permettere a una tendenza umiliante di manifestarsi nel tempo e con forza. I popoli proseguono la storia e devono riconfermare la propria maturità. Le grandi battaglie non bastano. Potevano non ammazzare i notabili a colpi d’ascia, i popolani del verista, ma dovevano impedire eccessi d’ingiustizia a tempo debito. Senza il giusto impiego, anche la libertà può essere insidiosa. Il pericolo, di per sé, non è Walter Ricciardi ma la pigrizia, il vizio antico, il tappeto di buonismo e ingegneria sociale, gli uomini folla che venderebbero anche la madre pur di veder garantita la propria gratificazione istantanea, acefala, continuativa, gente che ha rinunciato a un pensiero critico, segnaposto virtuali, replicanti incapaci di reagire o di generare un dubbio, e sono i dubbi che costruiscono le certezze più durature. Tutto ciò che ha contribuito a impastare, nel tempo e da diverse direzioni, il ruolo di Ricciardi o, quantomeno, gli ha permesso di utilizzare quei modi e a generare i prodromi di un pericoloso Ricciardismo.

Di carciofini sott’odio, direbbe Longanesi, che frignano libertà dall’imposto, altrimenti, non ce ne facciamo nulla. Il Ricciardismo. No, tutto non è ora, nonostante si viva compressi in compromessi, tra le pareti tonde e finissime del puntillistico, ricorderebbe Bauman, nella dittatura dell’attimo in cui prosperano i tecnici e i dilettanti senza visione, nel regime dell’immagine-verità, a cui non occorre mediazione, né ragionamento, poiché è visibile e manifesta, quindi assolutamente vera, nel regime del “titolo senza articolo”, in quella dimensione in cui l’identità, la necessità, la rabbia vengono plasmate dall’alba al tramonto, poi si spengono e ripartono. Estrema velocità di fuga e decomposizione. No, tutto non è nel punto. Tutto non è ora. La storia non non è un punto. Dunque, oltre Ricciardi, contro il Ricciardismo. Perché non prosperi la modalità attuale, perché non sia abitudine, perché non sia rassicurante sogno bagnato di chi ha mandato il cerebro in pensione.

Contro lo Stato di deficienza, appunto. Di mancanza, di stupidità. Rinchiusi nel puntino concesso e arredato di miseria, caduta in disgrazia di chiunque: qui non si salva più nessuno, le tasche e la mente. Puntillistico, nell’identità d’emergenza, limitatissima, che si crea all’alba e muore al tramonto, in un punto del tempo e tanti piccoli punti che ogni giorno i media, i virologi e il governo apre e chiude. Ed entro cui siamo stati infilati a forza, grassi, magri, ambiziosi, appassionati, espansi o ristretti, in estasi e sulla cresta di una vita che, finalmente, cresceva, finalmente ti dava quello per cui avevi studiato o lottato per anni e che, ora, ti ritrovi tra le mani come un pène secco al momento di portarlo a urinare.

Non sappiamo cosa farcene di una vita così. Impotenza. E invece voglio lasciare solo due riflessioni: chi è sveglio si salvi, chi è lucido reagisca, chi è sano si ribelli, affinché si blocchi il processo di Ricciardismo (nel tempo) e non tanto, o non solo Ricciardi (punto momentaneo). Non c’è altro da fare. Si comincia a sentire il peso specifico dell’impotenza, ora per davvero. Dell’insulto, dell’offesa, si comincia a sentire cadere le ultime, appena accennate, certezze. Si sentono esaurire le riserve. E monta la paura dell’ignoto, non quello sociale. Quello interiore, quel buio privato che diventa abisso e che più lo fissi, più esso fisserà te, disse qualcuno.

Contro lo stato di deficienza.

Covid, un agente confessa: “La gente si sta ribellando”. Max Del Papa, 2 marzo 2021 su nicolaporro.it. È partita la rivoluzione all’italiana. “La gente non la teniamo più” mi confida un amico nelle forze dell’ordine. “Prima capivano, collaboravano, adesso se li fermi ti rispondono: perché a me sì e a quell’altro no? Infatti sono sempre di più a ribellarsi, dovremmo sanzionare tutti, fermare tutti ma come si fa? Poi fare la faccia dura non serve e c’è da capirli, dopo un anno così nessuno è più disposto ad adeguarsi”. La rivoluzione all’italiana è paracula, emolliente. Non usa i forconi, le escandescenze di piazza, semplicemente, un bel giorno, per qualche misterioso meccanismo il contagio dell’esasperazione, della reazione esplode, si propaga ovvero ciascuno fa come gli pare. Magari continuando a stigmatizzare gli altri. “Io obbedisco, ma quell’altro?”. Dice il cittadino che non ne può più: io al gioco ci sono stato, ho perso il lavoro e magari la casa, la salute ma la situazione non è mutata, non è migliorata e voi adesso venite a parlarmi di altri sacrifici, di soldi che non ci sono, di vaccini che non ci sono. Entro in una bottega e sento discorsi da bottega: “Conte era prepotente ma almeno fingeva umanità, questo invece fa cadere tutto dall’alto e poi chi lo vede mai?”. Draghi il tecnico considera Palazzo Chigi come il consiglio d’amministrazione di una banca, le istituzioni come sancta sanctorum del potere, stanze ovattate con le quali il popolino non ha niente a che fare. La chiamano sobrietà ma è qualcosa di diverso, di molto diverso e non troppo democratico, qualcosa che in breve ti si ritorce contro. Ma il giornale unico del regime: “Draghi fa colazione col cappuccino e il cornetto biologico, si fa la barba da solo”. Come un giorno si diceva del re Vittorio Emanuele. L’informatore unico è molto bravo a servire, meno a capire; la sua insistenza sul disprezzo e la criminalizzazione dei normali, quel chiamare movida, degrado attività del tutto umane e naturali come uscire, sfiorarsi, respirare finisce per esasperare ancora di più, per rivelarsi controproducente. “Bisogna vaccinarsi tutti”, ma i vaccini non arrivano e non c’è niente di misterioso. Diciamo le cose come stanno: le case farmaceutiche hanno il coltello per il manico e pretendono i loro pedaggi. Il Regno Unito, uscito dall’Europa, ha pagato, anche caro e poi è andato avanti. Ma nel falansterio europeo i cosiddetti centri decisionali sono venti, trenta, cinquanta e ognuno esige la sua tariffa. Ne deriva una confusione pari alla corruzione e la conseguente paralisi. Chi ci crede più che occorre “chiudere adesso per salvare la Pasqua”? Chi, quando le vere ragioni, di opportunismo politico, sono sotto gli occhi di tutti? La rivoluzione all’italiana finisce all’italiana e con la morale puttanesca all’italiana: che la popolazione anarcoide non osserverà più nessun obbligo e nessun divieto e allora il governo quale che sia farà di impotenza virtù: avete visto, la pandemia è sconfitta, grazie ai nostri sforzi, alla prudenza che vi abbiamo imposto. Tutti faranno finta di crederci e anche le fanatiche in fama di giornaliste, convertite dagli involtini cinesi alla caccia all’untore, si riconvertiranno alla libertà degli involtini. In souplesse, come sempre e come sempre senza il minimo ritegno. Max Del Papa, 2 marzo 2021

Le proteste anti lockdown mettono nel mirino la polizia. Alberto Bellotto su Inside Over il 29 marzo 2021. La luce infondo al tunnel della pandemia sembra ancora lontana. L’Europa è ancora alle prese con la terza ondata e il piani vaccinali faticano a decollare. In mezzo cresce la rabbia e il mal contento dei cittadini. Tutti i governi del Vecchio continente proseguono il loro approccio fatto di rigore e chiusure. Ma dopo oltre un anno il giocattolo sembra essersi rotto. E le continue limitazioni alla libertà dei movimenti stanno diventando il detonatore della rabbia sociale. Su InsideOver avevamo già gettato uno sguardo al 2020, un anno turbolento sul piano delle manifestazioni di piazza nonostante i vari lockdown nazionali. Nelle ultime settimane il termometro del malcontento ha fatto segnare temperature in crescita. La stampa americana ha provato a fotografare la situazione dopo i recenti disordini di Bristol, nel Regno Unito e a Kassel in Germania. In entrambi i casi, hanno scritto i giornali d’oltreoceano, l’obiettivo principale erano le forze dell’ordine.

Un continente agitato. Attraverso il database dell’Acled (Armed Conflict Location & Event Data Project) abbiamo provato a capire se i casi tedeschi e inglesi fossero un fenomeno isolato. In realtà i numeri mostrano che tutto il continente ribolle e prende di mira le forze di sicurezza. Per equilibrio abbiamo preso in considerazione tutti quelli eventi che hanno coinvolto come attore secondario la polizia. Stiamo quindi parlando sia di proteste con semplice presenza di agenti, che scontri più violenti. Partiamo con alcune precisazioni. Nel conteggio viene considerata l’Europa come continente, conteggiando non solo i Paesi Ue ma anche quelli più a Est, la Svizzera e parte dei Balcani. Come si vede nella mappa qui sopra ci sono diverse cose che saltano all’occhio. La prima riguarda la Bielorussia. Nel periodo considerato – 21 marzo 2020 – 21 marzo 2021 – il Paese ha visto infiammarsi le piazza a margine del voto di agosto che ha riconfermato al potere Alexander Lukashenko. La seconda è che i focolai di tensioni più intensi sono quelli del Centro e Nord Europa. È il caso ad esempio della Francia con oltre 300 episodi legati all’incontro-scontro tra manifestanti e forze dell’ordine. A seguire la Germania con 202, il Regno Unito con 170 e l’Olanda con 149. Nella fascia mediterranea Spagna (149) e Grecia (140) si mostrano più “calde” rispetto all’Italia che in un anno ha visto poco più di un centinaio di episodi. Nel complesso se diamo uno sguardo generale sui numeri vediamo che per tutto il periodo considerato c’è una tensione di fondo continua, con dei picchi soprattutto verso la fine dell’anno. Spinti non solo da quanto succedeva a Minsk e dintorni, ma anche dalle proteste francesi di fine anno contro le nuove norme al vaglio in materia di sicurezza e controllo della polizia.

La rabbia che monta nel Regno Unito. Le rivolte francesi in un certo senso sono state l’antipasto di quanto successo a nel Regno Unito a metà marzo quando si sono create le condizioni per nuovi scontri tra manifestanti e polizia. Il 21 marzo scorso, ad esempio, diversi agenti di polizia sono rimasti feriti in una serie di scontri nel cuore di Hyde Park a Londra. Clifford Stott, docente di Psicologia sociale della Keele University, ha raccontato al New York Times che c’è “un crescente livello di malcontento tra i cittadini che vedono un’illegittimità fondamentale nelle forze dell’ordine durante la pandemia”. Per il professore si stanno creando una serie di strane saldature tra le componenti diverse della società inglese. Da un lato le formazioni più conservatrici chiedono allentamenti alle misure di contenimento per questioni economiche e legate al soffocamento delle attività commerciali e produttive. Dall’altro frange radicali come il movimento ambientalista Extinction Rebellion spinge per chiedere la fine delle norme che vietano i raduni. Sempre secondo Stott la situazione rimane molto tesa con il rischio di nuovi confronti e questo per una serie di elementi come la durata dei blocchi e “la crescente insoddisfazione tra le sezioni della comunità per l’imposizione di misure di controllo”. È il caso, ad esempio, di quello che è successo a Bristol. Lì il fattore scatenante è stato proprio l’introduzione di una nuova legge che permetterebbe alle forze dell’ordine di limitare drasticamente le manifestazioni. In quell’occasione al grido di “Kill the Bill”, uccidi la legge, una frangia dei manifestanti ha preso d’assalto una vicina stazione di polizia lanciando fuochi d’artificio e petardi contro gli agenti di guardia. La città si era resa protagonista di manifestazioni radicali già nell’estate scorsa quando una serie di marce di solidarietà con il movimento Usa di Black Lives Matter si erano concluse con la distruzione della statua di Edward Colson, mercante di schiavi del XVII secolo. Secondo il governo di Boris Johnson le norme per controllare le manifestazioni sono necessarie soprattutto per proteggere progetti e piani infrastrutturali. Alcuni ministri, ha scritto il Times, hanno spiegato che le motivazioni sono soprattutto economiche. In fondo, aggiungono, proteggere un collegamento ferroviario ad alta velocità dai sabotaggi degli ambientalisti è arrivato a costare 50 milioni di sterline (quasi 60 milioni di euro). È plausibile che nelle prossime settimana la tensione possa però diminuire, almeno lentamente. Se la campagna vaccinale di Londra dovesse continuare agli stessi ritmi e la curva epidemica flettere in maniera considerevole, è probabile che il governo inizi ad allenare le misure di contenimento già all’inizio di aprile.

La tensione crescente a Berlino. Un clima incandescente si è registrato anche in Germania, dove nelle ultime settimane è aumentata la confusione anche per scelte discutibili da parte del governo guidato da Angela Merkel. A differenza del caso inglese in terra teutonica le manifestazioni sono tendenzialmente permesse purché rispettino il distanziamento fisico. Questo però non ha impedito confronti anche violenti contro le forze dell’ordine. A Kassel, nel cuore della Germania, il 20 marzo scorso una serie di proteste, cui hanno partecipato almeno 20 mila persone, è diventata violenta dopo che alcuni manifestanti anti lockdown hanno preso di mira gli agenti di polizia preposti al servizio di sicurezza. I fatti di Kassel hanno scioccato l’opinione pubblica tedesca perché molte immagini controverse hanno acceso i riflettori sulla posizione della polizia. Le immagini hanno infatti mostrato sia reazioni violente da parte di qualche agente contro una donna che sfilava in una contro-manifestazione per chiedere la fine del corteo anti-lockdown, che forme di supporto a chi sfilava per chiedere la fine delle misure di contenimento.

Un continente sul piede di guerra. Focolai simili si trovano poi in molti altri Paesi. In Finlandia sempre a metà marzo, circa 400 persone hanno sfilato per le vie di Helsinki senza mascherina per protestare contro le misure anti Covid del governo. A Vienna, in Austria, altre mille persone hanno marciato nei pressi della stazione ferroviaria, chiedendo la fine del lockdown. In Svizzera circa 5 mila persone hanno sfilato nei pressi di Liestal, a 15 km dalla capitale Basilea, sempre contro forme di limitazione della libertà. In Romania, a Bucarest, nel bel mezzo di un aumento dei contagi, un migliaio di manifestanti sono scesi per le strade senza mascherine sventolando bandiere nazionali e vessilli no-vax. Nei Paesi Bassi a ridosso del voto circa duemila persone sono tate sgomberate dal centro de L’Aia mentre marciavano per chiedere la fine delle misure di contenimento. Le forze dell’ordine, ha scritto la Bbc, sono intervenute con agenti a cavallo e poliziotti in tenuta antisommossa. In tutta l’Olanda sta crescendo il sentimento anti chiusure. Come hanno sottolineato diversi manifestanti il sentimento di insoddisfazione e la sensazione di vedere i propri diritti calpestati, stanno aumentando. In molte città olandesi si contano manifestazioni e raduni. Il coprifuoco notturno – dalle 21 alle 4.30 – diventa sempre meno apprezzato anche perché a gran parte della popolazione ricorda un periodo buio della propria storia, dato che non veniva attuato dall’occupazione nazista durante la Seconda guerra mondiale. In Grecia una manifestazione contro la polizia a inizio marzo è ovviamente finita nella violenza. Circa 5 mila persone si sono radunate in piazza Nea Smyrni, ad Atene, per poi scontrarsi attivamente contro le forze di polizia. Le manifestazioni anti-lockdown si sono però propagate anche in molti altri contesti, come Bulgaria, Croazia e Serbia, ma anche diverse città della Svezia. Quasi nessun Paese, Italia compresa, è rimasto immuni a questa “pandemia”. Non solo. I rallentamenti nelle vaccinazioni, accompagnati da curve epidemiologiche ancora preoccupati rischiano di continuare ad alimentare questa spirale in modo sempre più violento.

Dantedì? Se Dante potesse ci picchierebbe, altroché. Per lui la libertà era sacra, per noi il lockdown è infinito. Emanuele Ricucci il 25 marzo 2021 su Il Giornale. Lui uscì a riveder le stelle, liberandosi dal male, noi, a malapena, possiamo uscire per fare la spesa. Celebrare Dante in galera, leggerne i suoi versi, musealizzarne l’essenza disinnescandola in maratone di lettura online. Feticismo fariseo. Pareva brutto non fare niente nel giorno dei settecento anni della sua nascita, ovvio. Anche oggi, ci siamo puliti la coscienza. L’equilibrio è ristabilito. Possiamo evocare il nome dei padri, possiamo disturbare il sonno glorioso dei giusti, possiamo leggerne i versi, persino masturbarci sopra le loro pagine, ma ormai il bluff è svelato: nel profondo nostro, profondo rosso, non sentiamo più accendersi il motivo del nostro esistere e reagire, combattere ed ambire, strettamente legato ai loro insegnamenti, se non per dimostrazione di stile. Quasi sempre, ormai per la totalità, così va. L’eredità si è rotta, la trasmissione interrotta. Riempiamoci pure la bocca, ma domani saremo gli stronzi di sempre. Ogni nostro sforzo quotidiano dovrebbe essere volto alla ricerca della giustizia, in questi mesi. Sì dovrebbe respirare tensione, non solo generata dalla continua privazione ma dalla necessità di liberarci dal male che buca lo stomaco. Tripartire la nostra volontà quotidiana: famiglia, lavoro e ricerca della giustizia. Ognuno dovrebbe cavalcare il disagio. Eppure sembriamo atomi che non si legano e, per questo, non producono effetti. Passivi, sodomizzati, strillanti su un social network: eccoli i “botoli ringhiosi”, nel Dantedì, che siamo diventati, chiusi nell’infinito pandemico, a gridare nel Purgatorio che osa punire anche solo l’idea di Bene con le fruste dei virologi che lasciano segni sulla schiena: non permetterti di vivere, di sperare, la curva non cala, i contagi esplodono, i morti aumentano, serve un nuovo lockdown, serve altra prigione. E noi qui, oggi, a celebrare Dante che della libertà fece ambizione assoluta?

Ma forse non ci rendiamo pienamente conto. Io mi chiedo: cos’altro debbano fare, dal governo, per non meritarsi una vera e propria sommossa popolare? Forse, dare della mignotta a nostra madre? Come si riesce a intavolare, in ogni disgraziato giorno italiano, un dibattito su questo e quello, quando ad Anagni vengono scoperte magicamente oltre venti milioni di dosi di vaccino, in un Paese che lagna assenza di vaccini e che, proprio per questo, è ancora agli arresti domiciliari ad aspettare che il caldo sciamano, santo e magico, venga a salvarci tutti, o meglio, quelli che, di questo passo, saranno rimasti poiché fuori pericolo rispetto al fallimento economico o psicologico? Ma come si fa? Con quale coscienza? Con quale visione di uomo, di cittadino e di Stato? Questi cavoli della Boldrini e della figlia di Fedez; questi grandissimi cavoli della corsa scudetto e delle uscite di Michele Serra; questi ingombranti cavoli di Enrico Letta e del nuovo suicidio del Pd. Questi rampanti cavoli di ogni cosa mobile o immobile, compreso il Dantedì, tanto siamo sempre meno degni di ricordare un padre nobile. Quel padre ci disconoscerebbe: “Libertà va cercando, ch’è sì cara, come sa chi per lei vita rifiuta (Pg I 71). La vita rifiuta per lei. E noialtri, poveri farisei virtuali, me in primis, non stiamo rifiutando la vita per giungere alla libertà, non compiamo il sacrificio della ribellione – eppure c’è chi ancora va definendosi tale in un giubilo mistico di infantilismo e tenerezza -, ma abbiamo accettato, supinamente, la riduzione della vita stessa a un’eccezione. Dante, nei suoi passi, mostra una continua tensione alla redenzione, alla libertà come fondamento dell’integrità degli uomini, in continuo equilibrio tra libero arbitrio e sfera morale: “dalle prime opere fino alla Commedia, dove continuamente presente è la tensione dell’anima verso la purificazione degli affetti, sostenuta dalla ragione e illuminata dalla grazia”, ci ricorda Bruno Bernabei nell’Enciclopedia Dantesca, “Libertade è tra i vocaboli centrali del mondo dantesco, pervaso dall’ideale della libertà”. Il rovesciamento dalla servitù. Quella dantesca appare non come una libertà “di” (che oggi pretendiamo come se ciò che facciamo determina la nostra esistenza, specie in rapporto agli altri), ma una libertà “da”. E qui risuona più forte di tutte le letture online della Divina commedia online del cacchio di questa giornata, l’ammonimento di Alighieri esiliato ai concittadini, che possiamo oggi leggere non solo con accezione al Divino, ma anche come evocazione più alta di cosa sarebbe giusto fare per non essere più considerati cittadini de iure e sudditi de facto: “Non vi accorgete…che è la cupidigia che vi domina,…che vi tiene costretti con minacce fallaci e vi imprigiona nella legge del peccato e vi proibisce di ubbidire alle santissime leggi […] l’osservanza delle quali…non solo è dimostrato che non è servitù, ma anzi, a chi guardi con perspicacia, appare chiaro che è la stessa suprema libertà”. Libertà dantesca, nobile affrancamento che dovrebbe essere anzitutto dalle macerie di noi stessi e dalle nostre aspettative: attendiamo, e i giorni della pandemia ne sono testimonianza, che la libertà ci venga data, ci venga offerta, peggio ancora, ci venga concessa. Dunque eccoci qui a celebrare il cimitero, la Cultura come rito forzato, atto dimostrativo, il ricordo come ricorso. Eccoci, oggi, a spolverare le bomboniere nella cristalliera, ricordando i tempi che furono. Nel frattempo ci ricordo che, quasi sicuramente, le restrizioni dureranno anche dopo Pasqua, fino al 13 o al 18 aprile, nonostante le dichiarazioni del ministro Franco e dello stesso Draghi “sull’ultimo sforzo” e su “da dopo Pasqua ricomincia gradualmente una parvenza di normalità”. E chi gli impedisce di non proseguire con le zone rosse fino a metà maggio? Ancora una volta: i padri sono sempre più giovani di noi, anche se hanno settecento anni. Mentre lo ricordiamo e mentre lui ricorda chi siamo e come siamo fatti, chiediamo scusa a Dante della nostra inconsistenza. E questo Regno cretino, se voleva dare vita a qualcosa di concreto, poteva almeno regalare una copia della Divina a ogni studente. Una casa, una Divina commedia, che è lettura degli uomini, del tempo, di Dio. Ben più di un’interrogazione. “Color che ragionando andaro al fondo, s’accorser d’esta innata libertate; però moralità lasciaro al mondo “. Quale moralità può lasciare un mondo umano in rovina che si limita a farsi sterilizzare, a replicare, a godere dell’immagine-verità, a prostituirsi verso chiunque politicamente possa garantire le proprie necessità di sopravvivenza, che campa di mera gratificazione istantanea, che rinuncia al proprio pensiero critico per cucire in fretta e senza approfondire, il reale e i suoi accadimenti, morendo nel nozionismo, nelle porzioni di dichiarazioni dei media, del web, dei leader che dà vita a una percezione di conoscenza? Anche oggi ci siamo puliti la coscienza. Anche oggi abbiamo constatato, in gran parte, l’inutilità degli intellettuali in questo mondo, l’inutilità degli intellettuali che si esprime nell’impossibilità di tradurre e declinare, di contaminare la sfera morale, e non solo pompare le possibilità infinite del libero arbitrio, e la volontà degli stessi di apparire, di monetizzare, di farsi riconoscere. Vuoti simulacri. Nello sforzo dell’anima per uscire dal peccato, nel riportare il mondo ad un salvifico antropocentrismo. È Massimo Dapporto, nei suoi ragionamenti sulla libertà dantesca, a ricordarcelo: “Ancora la dialettica fra libertà e schiavitù; tra un giudizio non compromesso dalla passione e il condizionamento dell’appetito. Perché la libertà in Dante è “de la volontà la libertate”, come dirà in Paradiso o, nelle parole ancora della Monarchia, “principio primo della nostra libertà si è la libertà dell’arbitrio”. Anche qui, l’io della modernità non può che sentirsi lontano, forse dolorosamente lontano, dalle certezze dantesche. L’io spodestato del soggetto moderno, non più padrone a casa sua; l’io invaso dall’inconscio, o disturbato dal progresso delle neuroscienze, che non sanno dove collocare l’organo della libertà nella contemporanea topografia del cervello, rischiano di rendere il concetto di libertà dantesca remoto, supremamente inattuale. Dante vive in un regime intellettuale e morale di orgogliosa alterità antropocentrica; in cui la diversità radicale della ragione apparenta l’uomo al divino e alla sua trascendenza”, così come fu per il genio dell’imperfezione, Leonardo, e così come fu per quell’uomo rinascimentale, che mise in asse Natura, Bellezza e Assoluto, che noialtri, poveri topi da laboratorio, andiamo cercando ma che sempre meno riusciamo a capire.

 “Covid-19 Freedom Index”, l’Italia maglia nera in fatto di libertà garantite. Rec News il 15 Marzo 2021. Lo strumento che monitora i comportamenti dei governi di tutto il mondo in fatto di libertà personali e diritti umani in tempi di “pandemia” RT ha lanciato l’osservatorio “Covid-19 Freedom Index“, uno strumento che monitora i comportamenti dei governi di tutto il mondo in fatto di libertà personali. Perché – riflettono oggi dalla testata – “i ricoveri e le morti per Covid-19 sono in calo, ma alcuni governi non hanno avuto fretta di restituire libertà e diritti ai propri cittadini. Devono essere tenuti in conto”. Da qui il quesito: “La pandemia ha trasformato il tuo Paese in totalitario?”. La risposta nel caso dell’Italia non è incoraggiante. Lo Stivale ne esce distrutto, tinto di bordeax e di bordeaux scuro. Quest’ultima catalogazione è riferita alla Campania di Vicenzo De Luca – il governatore del lanciafiamme sulle festicciole – che no a questo momento ha guadagnato un posto vicino all’Arabia Saudita e alla Cina di Xi Jinping, anche loro tinte di scuro. Per quanto riguarda la metodologia di base, l’osservatorio ha provveduto a incasellare ogni aspetto quotidiano in settori. Ad ogni settore viene assegnato un punteggio a seconda dell’area di appartenenza, no ad arrivare all’elaborazione di un valore numerico indicativo, tendenzialmente superiore a 1 per i Paesi che manifestano criticità trascurabili o moderate, e inferiore a 1 per quelli che presentano criticità preoccupanti e dunque limitazioni di rilievo. L’Italia – divisa in fasce geografiche – rimane ovunque al di sotto della soglia di tolleranza, con un punteggio che varia a seconda delle aree geografiche compreso tra 0,89 e 0,68 (la totalitaria Cina è a 0,65, immediatamente sotto, l’Arabia Saudita della negazione dei diritti fondamentali universalmente riconosciuti è a 0,69). Migliore la situazione della Sardegna per il recente ingresso nella cosiddetta “Zona bianca”. Scendendo nel dettaglio, l’Italia supervisionata da Mario Draghi e dal Generale Figliuolo – ereditata da Conte – si contraddistingue per il tentativo di legittimare la pratica del coprifuoco obbligatorio, per le ingerenze dei viaggi nazionali, per la consegna di poteri alla Polizia e l’utilizzo di sanzioni amministrative per punire i disobbedienti, per la libertà di informazione limitata e normata quando si parla di covid. Ancora, per la soppressione del diritto al lavoro (negozi, luoghi pubblici ed eventi chiusi o fortemente limitati), per la mancata erogazione dei servizi legati all’istruzione e per le restrizioni che riguardano perno la libertà di riunirsi e di spostarsi. Sulla libertà dalla sorveglianza, l’Italia al momento è in zona “Monitoraggio dei cittadini tramite app di monitoraggio COVID-19 volontarie“, ma la situazione potrebbe degenerare nei prossimi mesi con l’introduzione di Mitiga, attualmente prevista per giugno. In tema di vaccini, i preparati delle case farmaceutiche che stanno presentando un po’ ovunque criticità sono “consigliati ma non obbligatori“, per quanto ieri il Generale Figliuolo abbia agitato lo spettro del “vacciniamo chi passa“. L’osservatorio è nella sua fase iniziale di monitoraggio, per questo non è ancora esaustivo per quanto riguarda alcuni territori.

Lettera a un giovane covidisperato. Emanuele Ricucci il 15 marzo 2021 su Il Giornale.

Andrà tutto bene, all’inferno, ragazzo. Là andrà tutto bene. Avrai tempo, là, di fondere la tua PlayStation.

Come va nel tuo inferno?

Quanto hai fissato il monitor, oggi?

Quanto ti annoia vivere così?

Sai che tutti ti accuseranno di essere sciocco, dimenticando, forse, di quando lo furono loro?

Tu non conti nulla, piccolo mio, non sei che una stitica statistica.

Sei una giustificazione al delirio.

Ogni giorno del tuo silenzio, riduce il tuo peso. Rischi di crepare ancor prima di nascere, rischi di diventare l’anima che infesta le stanze della tua casa. Passando da qui a lì. E da lì a qui. E qui, e lì.

Cosa ti manca, ragazza?

Non ti manca niente?

Non ti viene voglia di spaccare tutto? Di lasciarti al vuoto che ti riempie?

Non senti che hai sempre meno voglia di parlare? Quanto pensi possa pesare l’inutilità? Essa vale un pianto di sei ore?

Potrei scriverti di tuoi simili che, messi di fronte al muro della fine della propria libertà, si sono dati fuoco, si sono sono ammazzati, hanno raccolto le budella, con un ultimo attimo di vita, sul Carso, mentre strillavano come gattini appena nati “Mamma!” tra fiondate di pallottole, a seicento chilometri da casa; potrei scriverti di quanti tuoi simili si sono fatti la galera, hanno preso le botte per strada, da un altro loro simile che aveva fatto una scelta diversa, in un momento in cui non tutti erano reclusi, umiliati e disperati. Avevano gli occhi aperti.

Potrei citarti fonti e morti, ma non faremo la fine inutile dei morti di fonti. Arriverà il momento di aggregare conoscenza sugli esempi, oggi devi reagire e non lo devi fare per loro: lo devi fare per te. Devi a te la tua autostima, devi a te l’esistenza dei sogni, devi a te la gioia sconfinata, devi a te l’amore, devi a te una coltivazione, devi a te i dubbi e la ricerca delle soluzioni per correggerli, devi ricordare a te stesso che la vita, anche la tua, non è un crimine. Potrei citarti libri che non leggerai ora e, per cui, non hai alcun interesse. A me basterebbe che tu potessi acquisire consapevolezza della tua attuale condizione, consapevolezza del ruolo e dell’importanza che la tua vita, il tuo studio, la tua serenità hanno per questo Stato (delle cose).

Pensaci e rispondimi: stai bene? Ti senti bene? Qual è il tuo ruolo, ora, secondo te? Pensi di essere importante?

Potrei romperti le palle con la potenza della vita, e invece voglio romperteli lo stesso ma con la vicinanza della morte, della fine, del sacrificio, atti di cui, prima o poi, dovrai renderti conto. Oggi si muore forte, ragazzo. Di coronavirus, certo, ma soprattutto stando fermi. Oggi si muore stando fermi a vedersi decomporre. Perciò voglio solo chiederti, in realtà, se senti la puzza di morto che esce da te. Se non ti senti inutile, se non ti senti umiliato. Ti hanno dato dell’untore, ti hanno reso colpevole, hanno caricato le tue spalle ancora fragili di pesi che non ti spettavano, hanno provato a trasformarti in un mostro capriccioso e viziato solo perché vuoi vivere i tempi del tuo tempo. Hanno fatto di te come farebbero con una sgradita foto vecchia che si fissa un’ultima volta, giusto il tempo di capire che non serve più e va buttata senza troppi rimorsi di coscienza, senza accusare troppe responsabilità. Ti hanno buttato nell’umido, insieme alla merda dei gatti e agli avanzi del pranzo degli statali. Nonostante non vi sia certezza che questo trattamento sia scientificamente giusto, non ha certezze accademiche ferree, dopo un anno, ti hanno costretto a non andare a scuola, a non vedere i tuoi amici, hanno violentato la tua privatezza con la privazione. Ti hanno tolto il sonno e la cultura, ma, soprattutto, delittuoso, ti hanno tolto la voglia, la passione, la curiosità.

Rispetta le regole di tutela della salute pubblica, quelle uniche tre regole fondamentali valevoli, ancora. Ma non farti schiacciare. Sii rispettoso del tuo tempo ma non fartelo annullare.

Insomma, vorrei capire se ti senti morto. Potrei e vorrei incoraggiarti, ma preferisco richiamarti all’attenzione: ciò che non capisci, non significa non esista. Se non cogli i danni che questo momento ti arreca, non basteranno cento anni di gratificazione istantanea su Tik Tok. Sarai fritto perché avrai perso la connessione con te stesso e con quelle rare possibilità che hai di salvarti in un mercato umano e del lavoro come quello odierno.

Ricorda, ragazzo, che hai solo un tempo. Il tuo tempo. Mi risponderai, forse arrossendo, “e io che ci posso fare?”, o magari, “tu hai ragione ma io non posso cambiare niente!”. E invece puoi, smettendo di concederti. Non ti concedere. Non farti trovare, quando vogliono farti credere che vita sia quella cosa che si realizza in quel lasso di tempo che intercorre tra l’arrivo del corriere di Amazon e l’inizio della seconda puntata della serie. Non farti trovare, quando ti convincono che il coprifuoco sia utile a salvare la tua vita. Non farti trovare, ora che ti stanno consegnando una società senza lavoro, senza istruzione, senza uomini, piena di debiti e disperazione, di macerie, in cui un figlio potrai solo sognartelo, in cui gioirai sapendo che per nove ore di lavoro al giorno, senza tutele, né garanzie, in nero, ti lanceranno addosso da un Bmw 400 euro al mese. Portafoglio vuoto, portfolio pieno. Sciopera dalla fine, ragazzo.

Rompi.

Non sei solo, non pagherai solo te. Riprenditi il tuo spazio che è forma del tuo tempo. Riprenditi il tuo tempo perché, e lo capirai a tue spese, la gioventù non tornerà, quella sregolatezza, quella lucida follia, quella voglia di sesso, quelle ore infinite con l’orecchio alla cassa dritta, senza responsabilità come sentenze di esecuzione, quella disillusione, quella dolcezza di chi si fida dei più grandi, quella voglia di vivere, appunto, che da te emana come un profumo d’alloro, non torneranno. Tua madre e tuo padre, giovani anche loro, non torneranno, se non in una foto incollata nel marmo rosa e tu a fissarli, ancora vicini, mentre un cipresso si piega alla tramontana, ripenserai a quando avevi tempo.

Una società con una gioventù che non esplode a un simile sopruso, a una simile violenza psicologica, è fallita come classe di uomini. Uomini che assurgono a replicanti di un volere imposto, sterilizzati, incapaci di reagire. Anestetizzati, surgelati.

Pensi che tutto ciò che stai vivendo non avrà effetto su di te? Sulle tue acerbe certezze, sulle tue paure, sulla tua ansia, sulla tua asfissia? L’ossigeno si corrompe ad alta quota. Alla quota in cui ti hanno portato per poi lasciarti cadere giù. Ma non provi senso di schifo, non ti viene voglia di rigettare il terrorismo mediatico? Non ti viene voglia di vomitare sulla jpeg di chi ti sta trattando come un figlio scemo, inutile e inutilizzabile, convinto che sbattendoti agli arresti domiciliari con la trap nelle orecchie, davanti a uno schermo, tutto il giorno, a fare il segnaposto virtuale, faccia il tuo bene? Qual è il tuo bene, secondo te? Qual è il bene, ora, secondo te? Ma soprattutto qual è il male, ora, ragazzo? Cos’è male, ragazza?

Ribalta la Cultura della debolezza: vai a cercare la paura per dominarla, la fatica per trionfare, la difficoltà per vincerla. Parla delle tue paure, di cosa ti angoscia, ora, e ti toglie il fiato. Non mollare. Non è questo il tempo per crepare.

Scusami, ma non riesco a fare più di questo. Anche io, impotente e atrofizzato, non riesco a difenderti, a sostenerti.

Ti voglio bene, fratellino. Ti voglio bene, sorellina.

Perché i lockdown ormai non servono più a nulla. Paolo Mauri su Inside Over il 15 marzo 2021 su Il Giornale. “I lockdown non servono”. Sono le parole al Wall Street Journal di Philippe Lemoine, dottorando in filosofia alla Cornell University ma soprattutto analista presso il Center for the Study of Partisanship and Ideology (Cspi). La conclusione a cui è arrivato il ricercatore è frutto di un lungo e ben documentato rapporto che prende le mosse da un fatto di cronaca di oltre Atlantico: il governatore del Texas Greg Abbott (Rep) ha annunciato la scorsa settimana che il suo Stato sta ponendo fine all’obbligo di indossare la mascherina ed è ai limiti della propria capacità aziendale. I Dem statunitensi e molti funzionari della sanità pubblica hanno denunciato la mossa di Abbott, ma secondo Lemoine ora esistono ampi dati per dimostrare che i benefici di misure così rigorose non valgono i costi che derivano dall’averle messe in atto.

Un anno di chiusure forzate. Il ricercatore però tende a sottolineare che non è sempre stato così. Un anno fa, infatti, aveva pubblicamente sostenuto l’utilità delle serrate perché sembravano le uniche mosse prudenti dato quanto poco si sapeva all’epoca sul virus e sui suoi effetti. Fa notare, però, che oggi bloccare la società è diventata l’opzione predefinita dei governi di tutto il mondo, indipendentemente dai costi. A più di un anno dall’inizio della pandemia, la vaccinazione è in corso sia in Europa sia negli Stati Uniti, ma su entrambe le sponde dell’Atlantico sono ancora in vigore severe restrizioni. Germania, Irlanda, Regno Unito e adesso anche l’Italia sono ancora sotto regime di chiusura restrittiva, mentre la Francia fa registrare due mesi dall’inizio della decisione di imporre il coprifuoco alle 18:00, che il governo francese dice durerà per almeno altre quattro settimane. Senza considerare che, da noi in Europa come negli Stati Uniti, la scuola in presenza è ancora una rarità. Lemoine afferma, giustamente, che guardando ad un anno fa, in questo stesso periodo non si aveva idea di come controllare la diffusione del virus e di quanto sarebbe stato difficile farlo. Data la velocità con cui si era diffuso, le persone presumevano ragionevolmente che la maggior parte della popolazione sarebbe stata infettata in poche settimane a meno che non si fosse ridotta in qualche modo la trasmissione. A quel tempo le proiezioni dell’Imperial College Covid-19 Response Team di Londra avevano previsto che più di due milioni di americani avrebbero potuto morire in pochi mesi, pertanto l’unica via per interrompere la trasmissione del virus era quella del blocco totale che, sebbene non possa prevenire tutti i contagi, ha comunque impedito che gli ospedali venissero sopraffatti dai pazienti infetti: in una parola le serrate, allora, hanno “appiattito la curva” impedendo ai sistemi sanitari nazionali di collassare.

Il ruolo della paura sulle abitudini. Da allora, però, ne è passata di acqua sotto i ponti, e Lemoine fa notare che “abbiamo imparato che il virus non si diffonde esponenzialmente a lungo, anche senza restrizioni”. L’epidemia, dati alla mano, recede molto prima che sia raggiunta la cosiddetta immunità di gregge, ovvero la copertura immunitaria di una larga fetta della popolazione (mediamente tra il 70 e il 90%). Una delle cause, individuate dal ricercatore, che è responsabile di questo andamento più lineare che esponenziale della diffusione dei contagi risiede in un fattore sociale (il campo di studi di Lemoine), ovvero la “paura” insita nella popolazione che cresceva col crescere delle ospedalizzazioni (e dei morti), cambiandone le abitudini. Del resto è sotto gli occhi di tutti come siano cambiate: oggi, oltre a indossare la mascherina, siamo molto più attenti nella nostra vita sociale mantenendo le distanze dal prossimo (quando possibile, ovvero non sui mezzi pubblici), e siamo anche più attenti alla nostra igiene personale avendo preso l’abitudine di lavarci spesso le mani; senza considerare che molti, oggi, evitano comportamenti a rischio come quello di toccarsi parti sensibili di veicolare il contagio all’interno del nostro corpo (occhi, bocca, naso) senza prima aver provveduto alla pulizia della mani.

I limiti dei lockdown. Tuttavia, dice il ricercatore nel suo documento, fino a quando un numero sufficiente di persone non avrà acquisito l’immunità attraverso l’infezione naturale o la vaccinazione, questo effetto è solo temporaneo e alla fine l’incidenza ricomincia a crescere perché la popolazione torna a un comportamento più regolare. Secondo Lemoine i lockdown e altre restrizioni rigorose non hanno un effetto molto ampio perché sono uno strumento “spuntato” e hanno difficoltà a prendere di mira i comportamenti che contribuiscono maggiormente alla trasmissione. La convinzione che i blocchi siano molto efficaci, tuttavia, persiste perché le autorità reagiscono allo stesso modo agli stessi cambiamenti nelle condizioni epidemiche, quindi tendono a implementare blocchi e altre restrizioni fortemente limitanti nel momento in cui le persone iniziano a modificare il loro comportamento. Ciò significa che l’effetto dei cambiamenti comportamentali volontari è attribuibile ai blocchi anche se l’epidemia avrebbe comunque iniziato a recedere in assenza di restrizioni rigorose. È possibile affermarlo perché è esattamente quello che è successo in luoghi dove le autorità non hanno messo in atto tali restrizioni, che sono estremamente diverse dal punto di vista economico, culturale e geografico e quindi è improbabile che condividano alcune caratteristiche che consentono loro di ridurre la trasmissione senza un “lockdown”. Il ricercatore afferma che la letteratura scientifica, per quanto riguarda gli studi sull’effetto delle restrizioni sulla trasmissione, ha ottenuto molti risultati incoerenti, ma soprattutto è metodologicamente debole e quindi completamente inaffidabile. Molti studi hanno scoperto che le restrizioni hanno avuto un effetto molto ampio sulla trasmissione, cosa che i sostenitori del blocco amano citare, tuttavia, questi risultati non superano un’analisi solo leggermente più attenta poiché è sufficiente osservare alcuni grafici per convincersi che gli studi sono stati effettuati “terribilmente fuori campione”, il che non sorprende poiché la maggior parte presume che il comportamento volontario non abbia alcun effetto di sorta sulla trasmissione o non utilizzano metodi che possano stabilire la causalità separando l’effetto delle restrizioni da quello dei cambiamenti volontari del comportamento.

L’esempio del caso svedese. L’analisi di Lemoine procede valutando il rapporto costi/benefici, e cita il caso svedese. Il ricercatore afferma che anche se si formulano ipotesi completamente non plausibili sull’effetto delle restrizioni sulla trasmissione e si ignorano tutti i loro costi tranne il loro effetto immediato sul benessere delle persone, nessuna supera una valutazione costi-benefici. Per quanto riguarda la Svezia (dove l’incidenza sta crescendo di nuovo e il governo sta considerando di inasprire le restrizioni), se si presume che un blocco salverebbe 5mila vite (che è approssimativamente il numero totale di morti durante la prima ondata, quando la popolazione non sapeva come comportarsi e la vaccinazione non era in corso), un blocco di 2 mesi seguito da una riapertura graduale nei successivi 2 mesi avrebbe dovuto ridurre il benessere delle persone al massimo dell’1,1% in media nei 4 mesi successivi al fine di superare un rapporto costi-benefici. In altre parole, affinché un blocco superi una valutazione di tale tipo, in base a tali presupposti si dovrebbe presumere che in media le persone in Svezia non dovrebbero essere disposte a sacrificare più di 32 ore (circa) nei prossimi 4 mesi per continuare a vivere una vita semi-normale di cui attualmente godono, invece di essere rinchiusi.

Il legame tra indice Rt e lockdown. Secondo Lemoine, dal punto di vista dei costi/benefici, la strategia tanto criticata della Svezia è stato di gran lunga superiore a quello che hanno fatto la maggior parte dei paesi occidentali, anche se rapportata all’esempio di Australia e Nuova Zelanda, che hanno adottato la cosiddetta strategia “zero Covid” dopo la prima ondata; strategia che probabilmente non sarebbe riuscita comunque nemmeno allora in Europa e Usa, figuriamoci ora. Questo ragionamento, per il ricercatore, rimane valido anche se si tiene conto della minaccia rappresentata dalle nuove varianti di Sars-CoV-2. Lemoine, quindi, sostanzialmente dice che molti sovrastimano l’impatto dei blocchi e di altre restrizioni rigorose, ma non sta dicendo che non abbiano alcun effetto, solo che non è così incisivo come molte persone sostengono e, in particolare, sembra che la popolazione cambi volontariamente il suo comportamento in modo da impedire che sia raggiunta la diffusione esponenziale del contagio anche in assenza di restrizioni rigorose. Nel frattempo, blocchi e altre restrizioni rigorose sembrano essere strumenti che hanno difficoltà a prendere effettivamente di mira i comportamenti che influenzano maggiormente la trasmissione. Questo è probabilmente il motivo per cui sembrano non funzionare molto bene fintanto che l’incidenza è bassa e le persone non hanno paura, il che a sua volta spiega perché l’indice R(t) spesso non crolli immediatamente dopo il blocco e perché risalga anche mentre le restrizioni sono ancora in vigore.

Gli effetti non calcolati delle chiusure. Lemoine afferma poi che non solo i sostenitori del lockdown sovrastimano drammaticamente l’effetto delle restrizioni, ma sembrano preoccuparsi solo dei risultati immediati riguardanti la salute escludendo quasi tutto il resto. In particolare, sono eccessivamente preoccupati per il possibile collasso degli ospedali, mentre non si preoccupano abbastanza dei costi che le restrizioni impongono alla popolazione. Certo, il collasso del sistema ospedaliero sarebbe un dramma, ma, dice ancora il ricercatore, lo è anche privare i bambini di un’infanzia normale impedendo loro di frequentare la scuola di persona o socializzare con i loro amici, chiudendo o limitando fortemente piccole attività che hanno esternalità positive per le comunità locali. Anche una rapida e superficiale analisi costi/benefici sarebbe sufficiente, viene detto nel rapporto, per convincersi che i costi di restrizioni rigorose superano i loro benefici con un margine così enorme che solo l’isteria collettiva può spiegare perché così tante persone continuano a sostenere quelle politiche assurde. Non solo le società nel loro insieme sarebbero molto più vicine all’optimum dal punto di vista di questo rapporto se si iniziasse immediatamente a revocare le restrizioni rigorose, ma molte persone, individualmente, potrebbero migliorare il proprio benessere non astenendosi da determinate attività che non sembrano hanno un grande impatto sulla trasmissione, di cui non si rendono conto a causa di tutto l’allarme. Sfortunatamente, non solo i sostenitori del lockdown non stanno imparando dall’esperienza passata, ma molti di loro stanno enfatizzando la politica “zero Covid”, che è ancora più ridicola dal punto di vista dei costi/benefici rispetto a quella dei lockdown. Lemoine termina la sua lunga analisi affermando che anche se molti governi in tutto il mondo hanno abolito molte delle libertà individuali di cui godono le loro popolazioni per mesi, per quanto ne sappia, nessuno di loro ha mai pubblicato un’analisi costi/benefici per giustificare questa politica, anche se è qualcosa che dovrebbero fare per prendere decisioni molto meno incisive di un lockdown, e se non l’hanno fatto è perché sanno perfettamente quale sarebbe il risultato che otterrebbero.

Coronavirus, Paolo Spada: "Il virus sta già arretrando. Ecco perché chiudere è un errore". Pietro Senaldi su Libero Quotidiano il 16 marzo 2021. «Le istituzioni e i media hanno seminato terrore. Ma picchiare solo sugli aspetti negativi è contrario a tutti i principi base di una terapia medica» «Per fortuna, i numeri ci dicono che stavolta la pandemia non ha la forza e le dimensioni di ottobre o del marzo scorso» Sono parole di Paolo Spada, chirurgo milanese in servizio presso l'Humanitas e, con il virologo Guido Silvestri, scienziato che da trent'anni lavora negli Stati Uniti, creatore della pagina Facebook "Pillole di ottimismo", resoconto quotidiano sull'andamento medico-sociale del Covid votato a non far precipitare i cittadini nel panico. «E questo si può fare con un'informazione trasparente e capillare, che analizzi i dati provincia per provincia e li spieghi, non con gli elenchi di morti e ricoverati senza contestualizzazione».

Professore, è passato un anno e torniamo a chiudere: qual è il motivo del suo ostinato ottimismo?

«L'ottimismo è alla base della medicina. Chi è ottimista è un combattente, quando va bene non si distrae e tiene accorte le persone, quando va male tiene duro e infonde coraggio. In un anno la scienza ha trovato i vaccini. Le pare poco? È un risultato straordinario».

Non si sente un po' solo?

«È vero, sono uno dei pochi che cantano fuori dal coro ma continuerò a farlo, anche se le cose dovessero peggiorare. Durante quest' anno le istituzioni, e purtroppo anche i mezzi d'informazione, hanno seminato terrore trascurando del tutto l'importanza di affrontare le difficoltà con un approccio empatico. Picchiare solo sugli aspetti negativi in realtà è contrario a tutti i principi base di una terapia medica. Non bisogna farsi travolgere dalle emozioni negative».

Quindi professore lei non chiuderebbe l'Italia come invece ha deciso il governo?

«L'avrei fatto prima, e non dappertutto. Chiudere tutto è la cosa più semplice; ma è anche la più grossolana».

I contagi però attualmente sono in salita e le chiusure, in teoria, li limitano

«Non c'è dubbio. Ma il discorso è più complesso. Si dice che bisogna imparare a convivere con il virus e poi non ci si prova nemmeno. Le restrizioni erano state fatte il 5 marzo, forse si poteva evitare di imprimere un ulteriore giro di vite dopo solo una settimana, prima cioè che sia valutabile il risultato delle misure contenitive prese».

Ma la terza ondata c'è o no?

«Certo che c'è, ed è fuori discussione che sia un fatto allarmante. Ma deve essere chiaro che è l'inizio dell'ondata che fa la differenza, la rapidità con la quale il contagio sale nei primi giorni. È lì che bisogna essere pronti. Quello che segue è in gran parte una conseguenza ritardata e inevitabile. Per fortuna, i numeri ci dicono che stavolta l'ondata non ha la forza e le dimensioni di quelle di ottobre o del marzo scorso. I contagi continuano a crescere ma abbiamo già superato da diversi giorni il flesso, che è il momento in cui il loro aumento inizia a rallentare. Questo significa che tra qualche giorno raggiungeremo il picco, ci assesteremo e poi torneremo a scendere. E tutto ciò è accaduto prima di entrare in zona rossa».

Non è che il rallentamento lo vede solo lei?

«No. In sette giorni siamo passati da un aumento dei contagi del 24% a una crescita del 14%. E la diffusione marginale sta iniziando a rallentare perfino in Emilia-Romagna, la regione attualmente più colpita».

A cosa imputa la frenata?

«La prima ondata ci ha colto dormienti, la seconda ci ha trovati svagati e superficiali, ma ora eravamo preparati: abbiamo tutti un livello maggiore di conoscenza del virus e di protezione collettiva, sappiamo meglio come difenderci e abbiamo una percezione del pericolo superiore rispetto a un anno fa, quando eravamo terrorizzati ma inconsapevoli dei meccanismi del contagio. E poi le epidemie lavorano sempre sul terreno della suscettibilità degli individui, che non è infinito: alcuni si sono già ammalati, altri appartengono a quel 30% della popolazione che ha di suo difese immunitarie in grado di tenere lontano il virus, altri ancora sono già stati vaccinati. Ogni ondata ha di fronte a sé un minore potenziale di vittime. L'immunità della popolazione verso la malattia sta aumentando gradualmente: al terzo giro, chi ancora non si è ammalato ha meno possibilità di contagiarsi rispetto alla prima ondata».

E allora perché siamo rientrati in lockdown: masochismo?

«Le dimensioni di questa ondata sono già definite abbastanza bene e si può prevedere uno svolgimento non catastrofico. Purtroppo il governo e gli scienziati che lo consigliano decidono in base al cosiddetto Rt, ossia l'indice di riproduzione, un valore che racconta una realtà vecchia di dieci giorni; ed è da 10 giorni appunto che la crescita sta calando».

Non si può sostituire l'Rt come indice calcolatore?

«In parte lo stanno già facendo, con l'introduzione del parametro dei 250 casi ogni centomila abitanti in una settimana per entrare in zona rossa, ma il punto è un altro: bisogna finirla di ragionare in termini di regioni, i dati vanno analizzati su base provinciale, o anche su realtà più piccole. Guardi il caso Lombardia, ci sono situazioni totalmente differenti: Brescia ha avuto per molte settimane livelli di contagio intollerabili ed era da chiudere, altre province, più occidentali, no».

Si finisce sempre a parlare di Lombardia

«Perché è la regione di gran lunga più popolosa. Ma insistere nel dire che è la realtà più colpita è una vergogna comunicativa: la Lombardia ha più contagi in numero assoluto ma non sempre in relazione agli abitanti».

C'è uno studio americano, pubblicato dalla rivista accademica Science Nature, che sostiene che le chiusure totali non servano

«Ho letto quello studio: è stato strumentalizzato in chiave negazionista. In realtà il messaggio forte dell'analisi è che il Covid è destinato verosimilmente nei prossimi anni a perdere virulenza e diventare una malattia endemica più lieve, come il raffreddore».

Quindi non ci libereremo mai del Covid?

«Continuerà a esistere ma sotto forma di una malattia meno importante, con un'immunizzazione naturale e acquisita per le forme più gravi».

C'è un altro studio, dell'università di Edimburgo, che sostiene che il lockdown sia controproducente perché poi, quando viene il momento di riaprire, il Paese si ritrova con una vasta percentuale di popolazione rimasta vulnerabile, cosa che non accadrebbe se il virus si facesse circolare...

«I tentativi all'inglese di sviluppare un'immunità di gregge sono falliti. È vero che la circolazione del virus crea immunità, ma è ancora presto per lasciarlo libero. Ci arriveremo».

Professore, da oggi mezza Italia è in zona rossa e l'altra metà è comunque semichiusa: cosa ne pensa?

«Senza entrare in polemica su quel che poteva essere fatto in termini di tracciamento, tamponi e misure preventive, penso che si potrebbe migliorare la strategia per fronteggiare il virus. Non sempre ha senso prendere provvedimenti validi per regioni con cinque o addirittura dieci milioni di abitanti. Bisogna avere come riferimento territori più piccoli e agire su di essi: le province, ma anche realtà minori, perché più restringi i territori, meglio li monitori e più accorci i tempi di clausura. Brescia è fuori controllo da un mese e ancora oggi è stata trattata come Milano e Pavia, dove la terza ondata è molto meno violenta».

Perché non si impara dagli errori?

«Perché c'è troppa lentezza negli indicatori e nella catena di comando. Se si rimpiccioliscono i territori si riesce anche meglio a sensibilizzare la popolazione e orientarla verso comportamenti virtuosi. Pensi al caso della prima zona rossa di Codogno o a quella di Medicina. I focolai oggi sono tanti, ma la curva del contagio è sempre la somma di piccole curve locali che possono essere seguite a più corto raggio, dobbiamo adeguarci noi alla realtà e non viceversa, perché il virus non fa quel che vogliamo».

Insomma, secondo lei stiamo chiudendo tutto in maniera un po' troppo grossolana?

«Spiace dirlo in questo modo, ma il lavoro avrebbe potuto e dovuto essere più raffinato. E poi ammettiamolo, non si può chiudere tutto: ha dei costi economici e sociali insostenibili. Con la nostra pagina Facebook, "Pillole di ottimismo" sono in contatto ogni giorno con migliaia di persone e le assicuro che l'allarme sociale è alto».

A proposito di ottimismo, mi dica una cosa positiva

«In estate ne saremo fuori in gran parte e, grazie ai vaccini, il prossimo ottobre non sarà l'anticamera dell'inferno come lo è stato quello scorso. Dovremo usare ancora le mascherine nei luoghi pubblici, ma il futuro è dalla nostra parte, anche per la tendenza del virus a mutare».

Ma come, le varianti non sono una maledizione?

«Guardi che il Covid continua a variare fin dall'inizio. Quello che si è sviluppato in Italia, a Codogno, non è uguale al virus che ha colpito Wuhan, dove tutto ha avuto origine. Anche l'influenza varia di continuo e probabilmente il Covid è destinato a diventare simile a un'influenza, anzi forse addirittura a un semplice raffreddore».

Ma quanti morti ci vorranno nel frattempo?

«Se ci vacciniamo tutti, sempre meno».

Non la fa troppo facile?

«Da medico ho il dovere di essere vicino alle persone angosciate e trasmettere empatia a chi non riesce più a dormire di notte per le preoccupazioni. Penso che dovrebbero usarne un poco anche la stampa e le istituzioni, mitigando un approccio spinto troppo verso la drammatizzazione, che alla fine va a braccetto con la disinformazione».

Feltri: “Non sanno vaccinarci e ci trattano come bambini. Draghi e Conte due carcerieri”. Alessandra Danieli sabato 13 Marzo 2021 su Il Secolo d'Italia. Sferzante, come di consueto, Vittorio Feltri. Che non le manda a dire al professor Draghi. Scettico fin dall’esordio del governissimo di presunta "unità nazionale" il direttore di Libero affida a Twitter le sue amare riflessioni sulle nuove restrizioni che fanno ripiombare l’Italia nel confinamento di un anno fa. “Siccome non sono capaci di comprare vaccini e di iniettarceli ci trattano come bambini dell’asilo e ci tengono segregati nel girello”.  È il primo cinguettìo di Feltri. Poco dopo un nuovo attacco. Che mette alla berlina il ‘fantomatico’ nuovo passo del premier. Sul quale la grande stampa ha ricamato per giorni e giorni.  “Vi prego amici di aiutarmi a capire che differenza c’è nella sostanza tra Conte e Draghi. Entrambi sono agenti carcerari“. Alla vigilia del temuto decreto sulle zone rosse dalle colonne del suo giornale era stato esplicito. “Aspettiamo l’ennesima condanna alla solita pena detentiva basata su un concetto grossolano. Diciamo pure poco intelligente, massì, scemo. Siccome aumentano i morti di Covid, il governo automaticamente, sull’onda del reiterato esempio di Conte, ferma l’Italia”. Morale: invece di fermare il virus, ferma gli italiani. “Se questa è una soluzione , io sono Einaudi. Tra l’altro proprio oggi pubblichiamo uno studio da cui si evince che paralizzare i cittadini e le loro attività professionali non serve a nulla. Se andiamo avanti con questi metodi arriveremo a un punto drammatico. O moriremo di Corona oppure di fame. Giacché chi non lavora non mangia e a forza di tirare la cinghia tirerà anche le cuoia”. Alle inutili chiusure si aggiunge il flop drammatico della campagna vaccinale. Altro che immunità di gregge. “Il problema è noto”, scrive Feltri senza tanti giri di parole. “O ti vaccini o campi provvisoriamente col terrore di ammalarti. Ma questo dato incontestabile non turba il governo. Il quale se ne infischia di provvedere ad acquistare dosi sul libero mercato. Alcune regioni si sono date una svegliata e qualcosa di buono stanno combinando, facendo iniezioni a tutto spiano. Altre, non so perché, promettono di fare miracoli e in realtà fanno schifo”. La Lombardia non è da meno. Lo dico per esperienza personale – aggiunge il direttore di Libero – mia moglie aspetta da oltre venti giorni un cenno. Ma nessuno le fornisce una informazione. Siamo a livello del Congo. Una certa fretta si riscontra solo se si tratta di paralizzare le città. Impedendo alla popolazione di circolare. E ora l’esecutivo si accinge ancora una volta a violare la Costituzione. “Noi non vogliamo puntare la pistola alla tempia di Draghi. Perché non disponiamo di armi da fuoco. Ma non riscontriamo un cambiamento di musica a Palazzo Chigi. È sempre il consueto requiem.

Giorgia Meloni, la foto con cui travolge Mario Draghi: "Italiani esausti, da lui ci saremmo aspettati un cambio di passo". Libero Quotidiano il 12 marzo 2021. Giorgia Meloni unica voce all'opposizione. Sfornate le ultime restrizioni per rallentare la pandemia, la leader di Fratelli d'Italia ci va giù pesante. Poche infatti le differenze con il governo precedente, criticato a lungo per i suoi dpcm. "Da Mario Draghi - cinguetta al vetriolo la Meloni - ci saremmo aspettati un deciso cambio di passo rispetto a Conte, ma le nuove misure restrittive decise oggi sono in perfetta continuità con la strategia fallimentare adottata dall’inizio dell’emergenza Covid". Finita qui? Neanche per sogno. La leader di FdI non lascia passare nulla: "Il Governo continua a chiudere attività come ristoranti e palestre invece di potenziare trasporto pubblico, impedisce di andare a scuola anziché mettere in sicurezza anziani e persone fragili, non investe come dovrebbe su assistenza domiciliare e terapie nella fase precoce". E infine: "Gli italiani sono esausti di sacrifici che non portano a nulla e non ne possono più di un governo incapace di assumersi le proprie responsabilità". Uno sfogo che arriva dopo la bocciatura dell'emendamento presentato da Fratelli d'Italia in Aula per riaprire palestre, piscine e scuole di danza. Per l'occasione Lega e Forza Italia si sono astenute, mandando su tutte le furie Daniela Santanchè. Ospite a L'Aria Che Tira, la senatrice di FdI non ci è andata per il sottile quando si è parlano di alleati del centrodestra: "Salvini e Berlusconi si sono astenuti perché non vogliono assumersi le loro responsabilità". Insomma, il partito della Meloni non ha alcuna intenzione di tirarsi indietro. E guerra sia.

Giancarlo Giorgetti e Carfagna, retroscena Cdm: "Gente esasperata", la rivolta contro Draghi e Speranza. Cartabia e Lamorgese d'accordo. Libero Quotidiano il 13 marzo 2021. Il premier Mario Draghi ascolta l'ala chiusurista della sua maggioranza, incarnata dal ministro della Salute Roberto Speranza, e si apre la prima crepa politica nel governo. Il Consiglio dei ministri che ha approvato il decreto che di fatto richiude l'Italia fino a Pasqua (almeno) è stato agitato dalla protesta composta ma ferma del centrodestra. "Presidente, la gente è esasperata. Giusto tenere in considerazione i dati sanitari preoccupanti, ma bisogna fare i conti anche con altri fattori", è stata la prima affermazione uscita dalla bocca di Giancarlo Giorgetti, numero 2 della Lega e ministro dello Sviluppo economico, una volta acceso il microfono. È stato lui, secondo un retroscena di Repubblica, a riassumere il malcontento comune di Forza Italia. "Non siamo d'accordo con questa impostazione eccessivamente rigorosa sugli spostamenti personali in zona rossa", ha sottolineato ancora Giorgetti, spalleggiato dal collega di partito e governo Massimo Garavaglia. Esprimono la linea di Matteo Salvini e della stragrande maggioranza del ceto produttivo, dalle Partite Iva ai negozianti, dai piccoli imprenditori alle grandi imprese, soprattutto al Nord. Al coro si aggiunge Mara Carfagna, big di Forza Italia e ministra per il Sud: "Si potrebbe valutare la possibilità di consentire anche in zona rossa la visita una volta al giorno per due persone da un amico o parente. Come avvenuto a Natale e Capodanno e come è già previsto per Pasqua. Sarebbe una sorta di conforto sociale". Le mani tese e i suggerimenti di "paracadute" dei ministri del centrodestra trovano l'appoggio della ministra della Giustizia Marta Cartabia e di quella degli Interni, Luciana Lamorgese. Contro di loro però si alza il muro della sinistra, quella che aveva diretto i giochi durante il Conte 2. "La situazione è drammatica, non possiamo permetterci alcuna concessione, non ora", ribattono Speranza e Dario Franceschini, ministro Pd dei Beni culturali. E alla fine ancora una volta è questa linea ad avere la meglio, con Draghi che decide per le chiusure per non mettere a rischio la campagna di vaccinazione, considerata la vera priorità di questa prima fase. Di riaperture si parlerà, si spera, dal 6 aprile, il giorno dopo Pasquetta.

UNA NUOVA FIGURACCIA PER “GIUSEPPI” CONTE: “DECISIONI ILLEGITTIME DURANTE L’EMERGENZA”. Il Corriere del Giorno il 10 Agosto 2021. La sentenza del Tar del Lazio “stabilisce che non è stata fatta alcuna valutazione di impatto preventivo. È stata una decisione illegittima, fatta senza valutare i pro e i contro della scelta”. Un obbligo che, si precisa nel dispositivo di sentenza, è stato imposto “senza fornire alcun supporto a sostegno di tale determinazione”. La prima sezione del Tar del Lazio, presieduta da Antonino Savo Amodio, ha stabilito che il Dpcm del 14 gennaio 2021, che prevedeva l’obbligo di mascherine a scuola per i bambini sotto i 12 anni, è illegittimo ai soli fini risarcitori. La sentenza è stata promulgata dopo il ricorso dai genitori di una bambina di 9 anni che, all’epoca dei fatti, frequentava la scuola primaria in Alto Adige. Con l’assistenza degli avvocati Linda Corrias e Francesco Scifo, la coppia si è opposta all’obbligo previsto dal Dpcm a firma di Giuseppe Conte. Il decreto firmato dall’ ex-presidente del Consiglio, che è stato uno degli ultimi del governo Conte, prevedeva che la mascherina dovesse essere indossata a scuola, anche al banco, dai bambini tra i 6 e gli 11 anni. Nel ricorso si legge che i ricorrenti “lamentano che l’imposizione dell’obbligo di indossare la mascherina, per tutto il tempo delle lezioni ‘in presenza’, sia immotivata e sia viziata da difetto di istruttoria in quanto adottata in contrasto con le indicazioni fornite dal Comitato tecnico Scientifico e dall’Organizzazione Mondiale della Sanità”. Un obbligo che, si precisa nel dispositivo di sentenza, è stato imposto “senza fornire alcun supporto a sostegno di tale determinazione”. I due genitori che hanno presentato il ricorso contro Conte hanno definito come “sproporzionata e irragionevole” la decisione che era stata adottata dal governo Conte, evidenziando “che non sia stata adottata alcuna misura al fine di garantire che un minore, pur privo di patologie conclamate, possa essere esonerato dall’uso della mascherina in classe ove risenta di cali di ossigenazione o di altri disturbi o difficoltà”. Scifo, uno dei due legali dei genitori ha espresso la sua soddisfazione per la sentenza del Tar del Lazio, per il risultato: “Stabilisce che non è stata fatta alcuna valutazione di impatto preventivo. È stata una decisione illegittima, fatta senza valutare i pro e i contro della scelta”. L’avvocato ha aggiunto: “La sentenza è importantissima, perché permette il risarcimento dei danni per un obbligo che è abusivo, quello di portare le mascherine al chiuso senza che sia stata fatta prima alcuna prescrizione o valutazione medica”. La conseguenza della decisione del Tar del Lazio è una causa legale che verrà intentata contro l’ex premier: “Agiremo contro Conte e i suoi ministri ai sensi dell’articolo 28 della Costituzione per responsabilità personale, con volontà di dolo”.

La decisione della Corte. La Consulta “assolve” Conte e i suoi Dpcm: “Legittimi per il contrasto al Covid”. de Il Riformista il Fabio Calcagni de Il Riformista il 23 Settembre 2021. La Consulta boccia le prime censure ai Dpcm, i Decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, firmati dall’ex premier Giuseppe Conte per le misure di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica provocata dall’epidemia di Coronavirus. La Corte costituzionale ha esaminato oggi le questioni sollevate dal Giudice di pace di Frosinone sulla legittimità costituzionale dei decreti legge n. 6 e n. 19 del 2020 sull’adozione dei Dpcm ‘anti Covid’. Nel caso concreto, un cittadino aveva proposto opposizione contro la sanzione amministrativa di 400 euro inflittagli per essere uscito dall’abitazione durante il lockdown dell’aprile 2020, in violazione del divieto stabilito dal Dl e poi dal Dpcm. Secondo il Giudice di pace, i due decreti legge avrebbero delegato al Presidente del Consiglio una funzione legislativa e perciò sarebbero in contrasto con gli articoli 76, 77 e 78 della Costituzione. In attesa del deposito della sentenza, l’Ufficio stampa fa sapere che la Corte ha ritenuto inammissibili le censure al Dl n. 6, perché non applicabile al caso concreto. Ha poi giudicato non fondate le questioni relative al Dl n. 19, poiché al Presidente del Consiglio non è stata attribuita altro che la funzione attuativa del decreto legge, da esercitare mediante atti di natura amministrativa. 

LA REAZIONE DI CONTE – Ovviamente soddisfatto l’ex presidente del Consiglio Conte, ora leader del Movimento 5 Stelle. Impegnato in un punto stampa a Roma prima del comizio a villa Lazzaroni con Virginia Raggi, Conte ha spiegato che “le notizie che arrivano dalla Consulta ci confortano, sul fatto che siano state respinte le censure contro il nostro operato e i Dpcm. Ma, lo dico da giurista, quando si tratta di mettere in sicurezza il Paese nulla deve fermare chi ha una responsabilità di governare il Paese”.

Fabio Calcagni. Napoletano, classe 1987, laureato in Lettere: vive di politica e basket.

La sentenza che inchioda Conte. “Dpcm illegittimo”, così il giudice assolve una coppia per l’autocertificazione falsa. Fabio Calcagni su Il Riformista l'11 Marzo 2021. Incuranti delle normative in materia di Covid una coppia di Correggio, in provincia di Reggio Emilia, decide di uscire di casa nonostante la zona rossa. Siamo al 13 marzo 2020, prima volta che il Paese ‘assaggia’ le restrizioni di questo tipo, e i due per poter uscire di casa compilano le autocertificazioni indicando dei motivi falsi. Scrivono che la donna deva fare delle analisi e vuole essere accompagnata, ma non è così. I carabinieri li fermano, scoprono il ‘trucco’ e li denunciano, con uomo e donna che finiscono dunque sotto processo. Ma come si legge nella sentenza pubblicata dal sito Cassazione.net, il 27 gennaio scorso il Tribunale di Reggio Emilia li ha assolti “perché il fatto non costituisce reato”. Una sentenza che farà sicuramente discutere per le motivazioni utilizzate dal giudice Emilia Dario De Luca, che ha dichiarato “l’illegittimità” del Dpcm dell’8 marzo 2020, il primo firmato dall’ex premier Giuseppe Conte, che dava la possibilità di uscire di casa solo “per comprovate esigenze lavorative, situazioni di necessità, spostamenti per motivi di salute”. Per il giudice, infatti, “in forza di tale decreto, ciascun imputato è stato "costretto" a sottoscrivere un’autocertificazione incompatibile con lo stato di diritto del nostro Paese e dunque illegittima“. Inoltre “siccome è costituzionalmente illegittima, va dunque disapplicata, la norma giuridica contenuta nel Dpcm che imponeva la compilazione e sottoscrizione della autocertificazione” e proprio per questo “il falso ideologico contenuto in tale atto è, necessariamente, innocuo“. Secondo il giudice di Reggio Emilia infatti il Dpcm, un atto amministrativo, non può imporre l’obbligo di permanenza domiciliare, neanche in presenza di un’emergenza sanitaria. L’obbligo di permanenza domiciliare infatti è una sanzione penale che può essere decisa dal magistrato per singole persone “per alcuni reati, e soltanto all’esito del giudizio”. Nel motivare l’assoluzione della coppia il giudice ricorda come la  Costituzionale stabilisce garanzie molto forti a tutela della libertà di movimento, citando in tal caso l’esempio del Daspo nei confronti dei tifosi violenti, che impedisce a questi di recarsi allo stadio durante le partite, una misura che “richiede una convalida del giudice in termini ristrettissimi”. La pensa diversamente il professor Enzo Balboni, ordinario di diritto Costituzionale all’Università Cattolica di Milano, che a LaPresse spiega cosa succederà nelle prossime settimane dopo la sentenza di Reggio Emilia. “Adesso si andrà davanti alla Corte Costituzionale – dice – la presidenza del Consiglio dei Ministri si costituirà in giudizio e vediamo la Corte cosa deciderà. Se dovessi scommettere qualcosa, scommetterei sul fatto che il Dpcm alla fine verrà considerato legittimo”. “A mio avviso – sottolinea il professor Balboni – a che cosa è ‘appeso’ il Dpcm in tema costituzionale è un problema che è stato risolto. Un appiglio di cui il governo si fa garante c’è”.”Siamo solo noi in tutta Europa che ci inventiamo le autocertificazioni fasulle per uscire di casa – conclude Balboni – . Se l’autodisciplina non c’è, deve darla chi ha il potere e il dovere di farlo. La gente comprenderà e non credo farà ricorso in massa contro le sanzioni ricevute”.

(ANSA il 25 marzo 2021) Finito a processo con l'accusa di falso per aver mentito nel dichiarare nell'autocertificazione che stava tornando a casa dal lavoro, durante un controllo a Milano nel marzo dello scorso anno in pieno lockdown da emergenza Covid, un 24enne è stato assolto. E ciò perché "un simile obbligo di riferire la verità non è previsto da alcuna norma di legge" e, anche se ci fosse, sarebbe "in palese contrasto con il diritto di difesa del singolo", previsto dalla Costituzione. Lo ha deciso, accogliendo la richiesta della Procura di Milano di assoluzione "perché il fatto non sussiste", il gup Alessandra Del Corvo con rito abbreviato. Per il giudice, si legge nella sentenza, "è evidente come non sussista alcun obbligo giuridico, per il privato che si trovi sottoposto a controllo nelle circostanze indicate, di "dire la verità" sui fatti oggetto dell'autodichiarazione sottoscritta, proprio perché non è rinvenibile nel sistema una norma giuridica" sul punto. Il giovane, difeso dall'avvocato Maria Erika Chiusolo, fermato per un controllo alla stazione Cadorna il 14 marzo, aveva dichiarato di lavorare in un negozio e che in quel momento stava rientrando a casa. Una decina di giorni dopo, però, un agente per verificare se avesse detto la verità aveva mandato una email al titolare del negozio, il quale aveva risposto dicendo che il 24enne quel giorno non era di turno. Per il giudice non solo mancano una norma specifica sull'obbligo di verità nelle autocertificazioni da emergenza Covid e pure una legge che preveda l'obbligo di fare autocertificazione in questi casi, ma è anche incostituzionale sanzionare penalmente "le false dichiarazioni" di chi ha scelto "legittimamente di mentire per non incorrere in sanzioni penali o amministrative".

Una sentenza inchioda i Dpcm: violare zona rossa non è reato. Il giudice smonta i dpcm di Conte: "Incostituzionali". Una coppia dichiara il falso nell'autocertificazione e viene assolta. Giuseppe De Lorenzo - Gio, 11/03/2021 - su Il Giornale. Infrangere la zona rossa in barba ad ogni Dpcm e scrivere una bugia nell’autocertificazione non è reato. Almeno secondo il Tribunale di Reggio Emilia che, “in nome del popolo italiano”, ha emesso una sentenza storica destinata a far discutere. Una coppia in pieno lockdown era uscita di casa senza un valido motivo e, fermata dai carabinieri, aveva presentato un autocertificazione poi risultata farlocca. Denunciati per falso ideologico in atto pubblico, sono stati assolti “perché il fatto non costituisce reato” e perché il Dpcm di Conte era “illegittimo”. I fatti risalgono al primo lockdown nazionale. Il 13 marzo 2020 la coppia di imputati viene fermata dai carabinieri di Correggio, in provincia di Reggio Emilia, senza un buon motivo per starsene in giro. Alla richiesta dell’autocertificazione, i due dichiarano che la donna era andata a sottoporsi ad esami clinici e l’uomo l’aveva accompagnata. Tutto falso. I militari si rivolgono all’Ospedale di Correggio e scoprono che la donna quel giorno non ha fatto alcun accesso in corsia. Immediata scatta la denuncia e la richiesta da parte del pm di un decreto penale di condanna, poi rigettato dal Gip. Per il giudice Dario De Luca, infatti, è acclarata “l’indiscutibile illegittimità del Dpcm dell’8 marzo 2020”, come pure di “tutti quelli successivamente emanati dal Capo del governo”, quando questi prevedono il divieto di muoversi in città. “Tale disposizione - scrive il magistrato - stabilendo un divieto generale e assoluto di spostamento al di fuori della propria abitazione, con limitate e specifiche eccezioni, configura un vero e proprio obbligo di permanenza domiciliare. Tuttavia, nel nostro ordinamento giuridico, l’obbligo di permanenza domiciliare consiste in una sanzione penale restrittiva della libertà personale che viene irrogata dal Giudice penale per alcuni reati all’esito del giudizio". Può verificarsi anche nei casi custodia cautelare, certo, ma comunque deve essere disposta da un giudice. Non da un dpcm. I decreti anti-Covid sono allora incostituzionali? Sì, almeno secondo la toga. Lo si evince dal’articolo 13 della Costituzione, il quale vieta proprio le limitazioni alle libertà personali, se non con “atto motivato dall’autorità giudiziaria”. “Primo corollario di tale principio costituzionale - aggiunge il magistrato - è che un dpcm non può disporre alcuna limitazione della libertà personale, trattandosi di fonte meramente regolamentare di rango secondario e non già di un atto normativo avente forza di legge”. A ben vedere, secondo De Luca, neppure una legge (o un decreto legge) potrebbe rinchiudere in casa "una pluralità indeterminata di cittadini”: l'obbligo può essere imposto solo ad uno specifico soggetto e solo previa autorizzazione del giudice, non certo con una norma generale. Va detto però che diversi giuristi ritengono la legittimità dei dpcm si fondi sull’articolo 16 della Carta, secondo cui la libertà di movimento può essere ridotta dalla legge per motivi “di sanità o di sicurezza”. In sostanza, sostengono alcuni, le prescrizioni dei vari dpcm anti-Covid sarebbero una limitazione della libertà di circolazione e non della libertà personale, dunque pienamente legittima e costituzionale. Differenza minima, eppure sostanziale. Il giudice De Luca, però, ribadisce che “la libertà di circolazione riguarda i limiti di accesso a determinati luoghi, come ad esempio l’affermato divieto di accedere ad alcune zone circoscritte che sarebbero infette, ma giammai può comportare un obbligo di permanenza domiciliare”. Inoltre, "quando il divieto di spostamento è assoluto", come nel caso del dpcm, "in cui si prevede che il cittadino non può recarsi in nessun luogo al di fuori della propria abitazione", allora è "indiscutibile che si versi in chiara e illegittima limitazione della libertà personale”. Una libertà che l'autorità amministrativa non può in alcun modo precludere. Neppure il presidente del Consiglio. Di conseguenza, senza neppure ricorrere alla Corte Costituzionale (non essendo il dpcm una legge), il giudice ha "disapplicato" il decreto risultato incostituzionale. Se era illegittima la norma che prescriveva l’obbligo di rimanere in casa, “incompatibile con lo stato di diritto” era anche l’autocertificazione che i cittadini sono stati costretti a compilare. Dunque, sebbene sia vero che i due imputati emiliani hanno commesso un falso ideologico, la loro condotta non è tuttavia punibile perché “integra un falso inutile”. Non essendoci nessun obbligo a compilare l'autocertificazione, poiché il dpcm che lo prevede va disapplicato, “il falso ideologico contenuto in tale atto è necessariamente innocuo”. Tradotto: proscioglimento per gli imputati. E prossima bagarre giuridica in arrivo.

Perché dichiarare il falso nell’autocertificazione non è reato. Lanotiziagiornale.it il 29/3/2021. Non è obbligatorio dire la verità nell’autocertificazione o modulo autodichiarazione per gli spostamenti Covid-19 che bisogna compilare per giustificare l’uscita per ragioni di lavoro, salute o necessità. E ciò perché “un simile obbligo di riferire la verità non è previsto da alcuna norma di legge”. E, anche se ci fosse, sarebbe “in palese contrasto con il diritto di difesa del singolo”, previsto dalla Costituzione. Lo ha deciso, accogliendo la richiesta della Procura di Milano di assoluzione “perché il fatto non sussiste”, il gup Alessandra Del Corvo con rito abbreviato. Ma questa è la terza sentenza in cui chi è stato mandato a processo per aver dichiarato il falso nell’autocertificazione finisce assolto. Trattandosi di un’autocertificazione, disciplinata dal Dpr n. 445 del 2000, la falsità delle dichiarazioni ivi contenute sembrava poter essere punita dall’art. 483 c.p., che sanziona chi attesti al pubblico ufficiale «fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità». Invece i giudici sono stati in altri due casi di parere contrario. Un gip di Milano ha assolto un imprenditore che dichiarava di recarsi presso un fornitore e poi da un cliente. I controlli avevano dimostrato che dal cliente l’imprenditore era andato prima, ma il gip, nel rigettare la richiesta di decreto penale di condanna, affermava che sono estranei all’ambito di applicazione dell’art. 483 c.p. dichiarazioni che, come quelle “sotto processo”, non riguardano fatti del passato, di cui può essere attestata la verità ma mere manifestazioni di volontà, intenzioni o propositi. La seconda vicenda riguarda due persone che compilavano l’autocertificazione dichiarando di essersi recate una a sottoporsi ad esami clinici, l’altra ad accompagnarla. Una verifica presso l’ospedale mostrava la falsità del dato. Anche qui il Gip non accoglieva la richiesta di decreto penale. Secondo il magistrato i Dpcm 8 marzo 2020 e 9 marzo 2020 nonché «tutti quelli successivamente emanati dal Capo del Governo» sono affetti da «indiscutibile illegittimità» proprio nella parte in cui introducono un divieto di spostamento salvo che per «comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità ovvero spostamenti per motivi di salute». Poi c’è il terzo caso. Il giovane, difeso dall’avvocato Maria Erika Chiusolo, fermato per un controllo alla stazione Cadorna il 14 marzo, aveva dichiarato di lavorare in un negozio. In quel momento stava rientrando a casa. Una decina di giorni dopo, però, un agente per verificare se avesse detto la verità aveva mandato una email al titolare del negozio. Il quale aveva risposto dicendo che il 24enne quel giorno non era di turno. Per il giudice non solo mancano una norma specifica sull’obbligo di verità nelle autocertificazioni da emergenza Covid e pure una legge che preveda l’obbligo di fare autocertificazione in questi casi. Ma è anche incostituzionale sanzionare penalmente “le false dichiarazioni” di chi ha scelto “legittimamente di mentire per non incorrere in sanzioni penali o amministrative”. Per il giudice, si legge nella sentenza, “è evidente come non sussista alcun obbligo giuridico, per il privato che si trovi sottoposto a controllo nelle circostanze indicate, di "dire la verità sui fatti oggetto dell’autodichiarazione sottoscritta. Proprio perché non è rinvenibile nel sistema una norma giuridica” sul punto.

I medici voglion chiuder tutto: "Il Piemonte in zona rossa". I medici piemontesi lanciano un appello al governo per mandare immediatamente la loro regione in zona rossa a causa degli alti contagi. Francesca Galici - Mer, 10/03/2021 - su Il Giornale. Il Piemonte è una di quelle regioni che rischia il passaggio in zona rossa ma la cabina di regia ancora deve prendere una decisione. In ogni caso, se cambiamento sarà, non avverrà prima di lunedì, secondo quanto deciso dal neonato governo Draghi. Tuttavia, la situazione nella regione è molto grave, al punto che l'Ordine dei medici di Torino si è esposto per richiedere a gran voce che il Piemonte passi immediatamente nella zona di massima restrizione per arginare i contagi. "Come Ordine dei Medici di Torino riteniamo invece che la zona rossa debba partire immediatamente: aspettare ancora altri giorni prima di procedere con nuove misure, che in ogni caso dovranno essere adottate, non ha alcuna logica né dal punto di vista sanitario né dal punto di vista economico e sociale", spiegano i medici piemontesi, preoccupati per l'aggravarsi dei contagi nella regione. Gli esperti, infatti, sottolineano che "la situazione epidemiologica attuale in Piemonte vede un costante aumento, giorno dopo giorno, dei contagi e dei ricoveri per Covid-19, con il concreto rischio di saturazione dei reparti ospedalieri". La situazione degli ospedali è quella che desta maggiore preoccupazione nei medici, memori di quanto accaduto nel corso della prima ondata esattamente un anno fa: "Il pericolo maggiore è infatti che la situazione di qui alla prossima settimana possa aggravarsi ulteriormente causando, di conseguenza, un più marcato aumento dei contagi, dei pazienti ricoverati e purtroppo dei decessi. Ma non solo: una chiusura tardiva, oltre a essere meno efficace rischia anche di rivelarsi più lunga e quindi meno sopportabile per le attività economiche e per le ripercussioni sotto il profilo sociale e psicologico". L'allarme dei medici del Piemonte di basa su alcune stime, secondo le quali "l'incidenza di persone positive in Piemonte, che al 7 marzo era di 277 ogni 100.000 abitanti, potrebbe raddoppiare entro le prossime due settimane a parità di condizioni". Per questa ragione è necessario intervenire subito, anche perché, spiegano i medici piemontesi, "è demenziale che il Governo assuma decisioni sulla base di rilevazioni risalenti a 10 giorni prima, utilizzando un sistema farraginoso che non tiene conto di tutti i dati già a disposizione e delle proiezioni possibili. Intervenire quando la situazione è ormai fuori controllo non serve". Questa mattina anche il presidente della Regione Piemonte Alberto Cirio si è espresso nella direzione tracciata dall'Ordine dei medici di Torino: "Sulla eventualità di nuovi provvedimenti restrittivi attendiamo di capire quali saranno le indicazioni del governo che ha chiesto al CTS una valutazione sullo stato di salute di tutto il Paese. Qualsiasi cosa decidano però ce lo dicano in fretta, in modo che la gente possa organizzare la propria vita".

Il populismo va bene se lo usa Mattarella. Max Del Papa, 10 marzo 2021 su Nicolaporro.it. La scenetta di Mattarella che va in ospedale a farsi vaccinare “dopo avere atteso il suo turno” va ascritta al classico populismo progressista. Difatti l’hanno esaltata i giornali d’ordine e di regime. Non è da queste cose che si misura la dignità della democrazia: trattasi con tutta evidenza di pura propaganda, il capo dello Stato, “dopo avere aspettato il suo turno come qualunque altro cittadino” avrebbe potuto far venire un infermiere al Quirinale senza spesa e senza chiasso mediatico.

Basta con “l’uno vale uno”. Ma c’era da dare l’esempio, c’era da offrire l’immagine icastica del Presidente che, la mascherina in faccia, si fa immunizzare. La democrazia paternalista, ammonitrice. Ma i privilegi, reali, restano ed è normale sia così. Un capo di Stato non è come gli altri, le sue responsabilità, il suo potere, sono enormi, la pressione anche: cosa c’è di strano se vive al Quirinale, se gode della tenuta di Castelporziano? È un fatto di rappresentanza, di immanenza e di potenza delle istituzioni e solo gli sciocchi possono contestarlo al grido “uno vale uno”, formula ipocrita come nessuna, subito tradita dai suoi apostoli. La democrazia evoluta non pretende l’eguaglianza di facciata, pauperistica ma meccanismi di controllo del potere e dei suoi privilegi. Per esempio, la possibilità di contestare un lockdown che viene escluso a parole, col gioco delle formule, ma ribadito nei fatti con altre parole ed altre trovate, le zone colorate rinforzate, le serrate del fine settimana, le regioni formalmente aperte ma “come se” fossero impedite.

No Paura Day, arriva la censura. La democrazia ha anche a che fare con la tutela delle minoranze, vale a dire la possibilità per queste ultime di esprimersi, di manifestare pur con le cautele del caso: a Cesena, sede del No Paura Day dove da 14 sabati si radunano cittadini scettici verso l’ossessione sanitaria, il Pd è riuscito a bloccare la prossima riunione, pubblica, all’aperto, col pretesto della sicurezza. In realtà la sinistra cesenate non aspettava che di impedire questo dissenso poco organizzato, molto spontaneista che stava sul gozzo all’ortodossia locale visto che chiamava a parlare medici, scienziati, commentatori non allineati. “Ora basta!” tuona su Facebook il Pd cesenate “le regole valgono per tutti!”. Per tutti, salvo le dovute eccezioni fra le quali: magistrati che giudicano Salvini (e si fanno aprire appositamente il ristorante), Sardine trasmigranti in funzione di frondismo al partito, guitti e istrioni al Festival di Sanremo: su questi ed altri casi il Pd non trova niente da eccepire, né a Cesena né altrove. Il legalismo come strumento di censura, come clava contro i dissidenti. Dicono gli organizzatori del No Paura Day: quattro mesi che ci riuniamo e neanche un contagiato di Covid. E non siamo negazionisti, non contestiamo il virus quanto le strategie finora adottate, la chiusura ossessiva che non ha salvato nessuno e ha condannato, in forme diverse, 400 mila attività e spinto due milioni di persone alla miseria. Tanto è bastato per bollarli come negazionisti, fascisti, sovranisti, stragisti. Fino a qualche sabato fa anche leghisti, ma per il momento quest’ultimo stigma è stato accantonato. Gente comune ai sabati No Paura Day, mascherine il giusto, freddo boia e nessuna escandescenza: interventi pacati, articolati, a volte demagogici, altrimenti più concreti.

Rivoluzione draghesca cercasi. Ma al Pd la voce degli scontenti e disperati stride, l’espansione della povertà non gli interessa, primum vivere e trovare candidati per le amministrative d’autunno e in quest’ottica la paralisi sine die del Paese è ottima anche perché l’unica opzione disponibile. Arriva il cambio di passo? Come no, sta arrivando: Draghi annuncia di tenere nella massima considerazione la Cgil barricadera di Landini e quanto alla burocrazia disperante ha pronta la soluzione: più soldi, più assunzioni, più garanzie “in cambio” dice “di maggiore efficacia”. Che cambio di passo! La rivoluzione draghesca si legge come segue: privilegi subito, a patto che non venga intaccato il tradizionale blocco elettorale e di potere, la maggiore efficacia a babbo morto. Come da settant’anni a questa parte.

Chiaro che al Pd cesenate non piaccia si vadano a dire queste cose in piazza. Nel nome del regime salvifico, delle regole uguali per tutti, ci mancherebbe. Max Del Papa, 10 marzo 2021

Un weekend di controlli e multe a tappeto. Dai viaggi allo sport, i chiarimenti al decreto. Da oggi divieti, transenne e posti di blocco. Solo a Milano 2.492 controlli. Chiara Giannini - Lun, 15/03/2021 - su Il Giornale. Forze dell'ordine impegnate lo scorso weekend nei controlli anti assembramenti. Le verifiche sono iniziate sabato mattina e sono proseguite ieri. A Roma nelle vie del centro città, nelle aree individuate, sono state piazzate transenne al fine di creare un corridoio per il traffico pedonale in transito nella zona di piazza del Popolo e in quella del Pincio e per un eventuale contingentamento dell'afflusso pedonale nell'area del Tridente. Le persone controllate sono oltre 2 mila, 94 gli esercizi commerciali, 79 i veicoli. Mentre le sanzioni amministrative emesse per il mancato rispetto della normativa anti Covid sono state 9. Da segnalare che ieri nella Capitale i maggiori assembramenti si sono verificati in via del Corso. Anche a Milano super lavoro per le Forze dell'ordine con 2.492 persone identificate e 47 sanzionate. Le verifiche, oltre al centro cittadino, soprattutto nella zona del Duomo, hanno riguardato anche le stazioni ferroviarie, con le persone in partenza prima della chiusura in zona rossa. Ma anche le strade di grande comunicazione hanno visto controlli a tappeto. Da oggi scattano numerosi divieti e qualcuno potrebbe aver deciso di scappare, soprattutto in Toscana, che è ancora zona arancione. In tutte le città italiane gli agenti hanno avuto il loro bel da fare. Da oggi saranno rafforzate le misure di contenimento in tutta Italia, anche con posti di blocco e verifiche delle autocertificazioni, visto che ci si potrà muovere solo per motivi di lavoro, salute o reale necessità. Chi trasgredirà a quanto previsto dal nuovo Dpcm emesso dal governo rischierà multe salatissime. Intanto il governo ha definito le regole per il lockdown. Nei giorni 3, 4 e 5 aprile sarà consentito una sola volta al giorno, spostarsi verso un'altra abitazione privata abitata della stessa Regione, tra le ore 5.00 e le 22.00. Vietati fino al 2 aprile e nella giornata del 6 aprile far visita a amici e parenti. Possibile andare a messa nella chiesa più vicina. In auto per i non conviventi è consentita «la presenza del solo guidatore nella parte anteriore della vettura e di due passeggeri al massimo per ciascuna fila di sedili posteriori, con obbligo per tutti i passeggeri di indossare la mascherina. Nell'area rossa si può fare sport «solo nel proprio comune dalle 5.00 alle 22.00 mantenendo la distanza interpersonale di due metri». Per chi lavora in una Regione ed è residente in un'altra e il partner lavora in una terza Regione «si potrà spostarsi per raggiungere il primo soltanto se ha la residenza o il domicilio nel Comune di destinazione o se in quel Comune c'è l'abitazione solitamente utilizzata dalla coppia». Gli spostamenti per raggiungere i figli minorenni presso l'altro genitore «oppure per condurli presso di sé sono consentiti anche tra Regioni e tra aree differenti».

Tutte le multe per chi non rispetta le norme anti-Covid. Tutti i cittadini che non rispettano le regole anti-Covid vanno incontro a delle sanzioni. Ecco quali sono. Redazione Money.it - Mar, 02/03/2021 - su Il Giornale. Tutti i cittadini che non rispettano le regole anti-Covid vanno incontro a delle sanzioni che possono essere ridotte nel caso in cui vengano pagate nei termini previsti dalla legge (entro 5 giorni dal momento in cui è stata commissionata). Money.it ha riassunto tutte le multe per chi non rispetta la norme anti-Covid. La prima regola da rispettare per contrastare la diffusione del virus è quella di indossare la mascherina nei luoghi pubblici all’aperto e al chiuso: per i trasgressori sono previste multe da 280 a 560 euro. Gli stessi importi si applicano anche per coloro che non rispettano il divieto di assembramento o il corretto distanziamento sociale di almeno un metro dalle altre persone o di almeno due metri nel momento in cui si svolga attività sportiva all’aperto (un metro in caso di attività motoria). Per coloro che, invece, non rispettano l’isolamento domiciliare, in caso di temperatura corporea superiore a 37.5° C, è prevista una sanzione ai sensi dell’articolo 452 del Codice penale. Anche chi non rispetta il divieto di organizzazione di manifestazioni pubbliche, anche in forma statica, va incontro a una multa da 280 a 560 euro. Stessa cifra per la sanzione che spetta a coloro che organizzano feste nei luoghi al chiuso o all’aperto, sagre, feste civili o religiose con più di 30 invitati. Infine, la sanzione amministrativa fino a 560 euro si applica anche a coloro che svolgono fiere o congressi in presenza. Alle suddette sanzioni occorre aggiungere le multe previste per coloro che non rispettano gli orari di coprifuoco e per chi infrange il divieto di spostamento tra Regioni.

Fabrizio Caccia per il "Corriere della Sera" il 2 marzo 2021. Ad aprile dell' anno scorso, in pieno lockdown nazionale, le forze dell' ordine controllarono quasi 8 milioni di persone (7.771.348) e ne multarono più di 250 mila (255.876, è il numero esatto). Un anno dopo, febbraio di quest' anno, nell' Italia a tre fasce, le cifre calano vertiginosamente: le persone controllate, secondo il Viminale, sono state in un mese meno di 3 milioni (2.763.754) e i multati appena 30 mila (30.182 per la precisione). Eppure abbiamo ancora negli occhi l' ultimo sabato di follia alla Darsena di Milano, i party clandestini scoperti in centro a Roma con decine di persone assembrate dentro gli appartamenti eppoi la folla spensierata sul lungomare di Napoli e le passeggiate gomito a gomito di Torino: cosa sta succedendo? A tutti ora è concesso tutto? «Non è così, l' impegno delle forze dell' ordine è addirittura maggiore - eccepisce il prefetto di Roma, Matteo Piantedosi -. Rispetto a un anno fa, nella Capitale, il numero degli uomini sul territorio è rimasto immutato. È cambiata piuttosto la filosofia, sono cambiati gli assetti operativi. Il calo dei numeri non è sintomo di un disimpegno. Un esempio: durante il lockdown del 2020 le persone venivano fermate e identificate. Adesso, nei weekend, noi gestiamo decine di migliaia di persone senza fermarle. Quando apriamo e chiudiamo via del Corso perché è affollata, tutti quei cittadini non finiscono nella statistica ma sono comunque numeri importanti». Sono cambiati gli assetti, dice il prefetto Piantedosi: durante il lockdown c' erano posti di blocco ovunque nelle città deserte. Ora invece le città sono in movimento: esagerare con i posti di blocco significherebbe mandarle in tilt, creare ingorghi pazzeschi. Le maglie, quindi, non si sono affatto allargate, dicono al ministero dell' Interno. Nell' ultimo fine settimana, anzi, s' è registrato un record di multe in tutta Italia. Da venerdì 26 febbraio a domenica 28 ci sono state 4.634 persone sanzionate per non aver rispettato le norme anti-Covid: è il record dall' inizio dell' anno. Sarà. Ma certo i numeri dell' anno scorso dicono altro: a marzo 2020 (il 9 iniziò il lockdown) le persone controllate in Italia furono quasi 4 milioni (3.882.000) e fioccarono 150 mila (144.557) tra sanzioni e denunce. Durante la seconda ondata del virus, è cambiata la musica: appena 2 milioni e 300 mila persone controllate a novembre 2020; 2 milioni e 400 mila a dicembre. «Una differenza invece c' è ed è netta - dice Maurizio Fiasco, sociologo della sicurezza pubblica -. Anche i controlli oggi risentono di un clima che è cambiato. Durante il lockdown ci fu una straordinaria reazione di comunità, era la gente stessa che avvertiva il dovere di rispettare le regole, il poliziotto era percepito come uno di noi nella guerra contro il virus. Nessuno alla vista di una pattuglia si sarebbe mai sognato di cambiare strada. Come invece accade adesso. E lo dimostrano i party clandestini, le scene della Darsena di Milano, le liti tra i virologi, tra lo Stato e le Regioni. Alla fine si è come indebolito il messaggio, quel noi comune che funzionava da collante. E i controlli pure si diradano perché faticano essi stessi a trovare un senso».

Quanto ci costano le chiusure a oltranza. Fabio Dragoni il 29 Marzo 2021 su Nicola Porro.it. “Se sia pensabile o impensabile la chiusura dipende esclusivamente dai dati che vediamo”. Mario Draghi risponde indirettamente ed in maniera irridente a Matteo Salvini parlando in conferenza stampa a proposito di chiusure. Ma visto che è soprattutto di economia che Draghi si intende, è su questa che vorremmo riflettere quando si parla di chiusure. E visto che è ai dati che ci si affida, vorremmo vederli spiegati bene. Noi – nel nostro piccolo – spieghiamo un anno di pandemia vista coi dati dell’Istat. Abbiamo scoperto di avere il virus in casa il 22 febbraio 2020. Il predecessore Giuseppe Conte apparve quella domenica in tv più di una decina di volte. Impossibile non incrociarlo facendo zapping. Tutta colpa di Codogno e Vo Euganeo, ricorderete tutti. All’inizio le zone rosse sembravano essere limitate a questi due comuni. Dopo due tre giorni l’intera Lombardia e tutto il Veneto. Il motore della nostra economia. Dall’8 marzo, Festa della Donna, l’incubo diventa nazionale. In quel primo quarto dell’anno, l’Italia registrerà un Pil di 407 miliardi di euro. 24 miliardi in meno rispetto al primo trimestre del 2019, quando il Pil italiano si fermò a quota 431 miliardi. Considerato che l’incubo parte il 22 febbraio possiamo rapportare questo crollo del reddito ad appena 38 giorni. Sono grosso modo 641 milioni di Pil in meno ogni giorno. Ed il peggio doveva ancora arrivare. Avevamo sperimentato un lockdown duro ma ancora per poche settimane. Il secondo quarto del 2020 è stato veramente terribile. 870 milioni di reddito in meno ogni giorno. In quel trimestre l’Italia ha totalizzato un Pil di 354 miliardi contro i circa 432 miliardi del secondo trimestre del 2019. Mediamente prima del Covid il nostro reddito trimestrale oscillava – come vedete e come vedrete – intorno a 430-432 miliardi. Poi arriva il dato del terzo trimestre. L’estate “pazza” a sentire i soliti virologi da salotto che non curano un paziente che uno. Pazza “un par di palle” verrebbe da dire. In quell’estate abbiamo avuto un Pil di 410 miliardi circa contro i soliti 432 del terzo trimestre di un anno prima. Per intendersi “soltanto” -240 milioni ogni giorno. Infine, dopo il lockdown duro di primavera e la clausura morbida dell’estate arrivano le chiusure “striscianti” del quarto trimestre. Ristoranti aperti (forse) a pranzo ma dipende dal colore. Ristoranti chiusi comunque a cena. Indipendentemente dal colore. Follie su follie. Gialli, arancioni, arancioni rafforzati e rossi. I colori con cui il governo Conte allegramente condannava alla miseria una parte del Paese senza aver messo a disposizione un protocollo di cura decente per i malati di (o con il) Covid. -313 milioni di Pil ogni giorno. Dai “soliti” 431 miliardi del quarto trimestre del 2019 ai 402 dell’ultimo quarto del 2020. Insomma, mediamente nel 2020 abbiamo perso quasi 500 milioni al giorno. A tanto ammonta il reddito giornaliero bruciato. Fra lockdown morbidi, duri e striscianti. Ecco, vorremmo che si parlasse di questi dati. Le nostre imprese non vogliono elemosina. Ma semplicemente lavorare. Non è difficile da comprendere. Fabio Dragoni, 29 marzo 2021

Si può andare all'estero ma non fuori la regione: la "follia" delle vacanze. In un nota il Viminale ha chiarito che sono consentiti gli spostamenti, anche tra Regioni, per raggiungere un aeroporto per andare in vacanza. Federalberghi all’attacco. Gabriele Laganà - Lun, 29/03/2021 - su Il Giornale. Anche la Pasqua 2021 sarà celebrata e vissuta sotto il segno di forti limitazioni per limitare i contagi di coronavirus. Eppure non tutto è perduto. Perché chi deve andare all’estero, anche per una semplice vacanza, ne avrà la possibilità. Il viaggiatore, infatti, potrà raggiungere l’aeroporto anche se si trova in una Regione arancione o rossa. È stato il ministero dell’Interno a confermarlo nelle scorse con una nota protocollata. Una buona notizia? Solo in parte. È vero che questa decisione può rappresentare un primo segnale che attesta un ritorno, seppur lento, alla normalità. Ma, al contempo, ha scatenato un mare di polemiche. Perché c’è chi ha fatto notare che questa scelta crea una sorta di disparità tra il sistema di ospitalità italiano, duramente colpito da restrizioni e divieti nel corso dell’ultimo anno, e quello straniero. Tra i primi a far sentire la sua voce sulla delicata questione degli spostamenti per effettuare una vacanza all'estero è stato Bernabò Bocca, presidente di Federalberghi, che non ha risparmiato critiche al governo. "Gli alberghi e tutto il sistema dell’ospitalità italiana sono fermi da mesi, a causa del divieto di spostarsi da una regione all’altra. Non comprendiamo come sia possibile autorizzare i viaggi oltre confine e invece impedire quelli in Italia", ha protestato Bocca in una intervista al Corriere della Sera. Lo stesso Bocca ha evidenziato quanto sia contraddittoria la situazione: "Non mi posso muovere dal mio Comune, ma posso volare alle Canarie: è assurdo, mentre l’85% degli alberghi italiani è costretto a restare chiuso". Il presidente di Federalberghi ha annunciato di aver ricevuto, solo tra sabato e domenica, centinaia di telefonate di albergatori arrabbiati per la disparità di trattamento e preoccupati per il loro futuro. "Si sentono presi in giro. Se ci sono delle regole da rispettare si rispettano, ma poi se queste valgono solo per alcuni, non possiamo accettarlo", ha spiegato Bocca evidenziando come da un lato si chiudono gli italiani in casa “ma poi li facciamo andare in tutto il mondo: così si ammazza il turismo italiano. Sembra che la mano destra non sappia cosa fa la sinistra". Lo stesso Bocca ha ricordato che gli albergatori fossero pronti a riaprire per Pasqua. Molti avevano già riaperto, "come il Gritti di Venezia ad esempio. Poi è arrivato il nuovo decreto sulla zona rossa durante le vacanze, con il divieto di circolazione tra le regioni e siamo dovuti ritornare indietro". Secondo il presidente di Federalberghi si poteva percorrere un’altra strada, così da dare un primo segnale di ripartenza: "Nelle città d’arte, dove non arrivano turisti da un anno, si poteva pensare di lasciare andare gli italiani. Invece, sono fermi in casa. Oppure possono andarsene liberamente all’estero, o perfino in crociera". Questa disparità di trattamento sul tema spostamenti e vacanza proprio non piace a Bocca che ha sottolineato come il nostro turismo subirà altri gravi danni dal fatto che gli italiani non possono muoversi nel nostro Paese ma sono liberi di andare all’estero praticamente senza restrizioni. "Basta un tampone alla partenza e al rientro", ha evidenziato il presidente di Federalberghi che ha ammesso di aver pensato, al momento della proclamazione della zona rossa per Pasqua, che fosse prevista almeno la quarantena per chi va all’estero. Per Bocca, così facendo "gli altri Paesi ne approfittano. Sembra che la Spagna ci dica “venite da noi”, così come la Grecia dove da mesi si stanno organizzando per l’estate". Un esempio concreto è rappresentato dalle migliaia di turisti tedeschi che si stanno riversando alle Baleari. Una situazione che potrebbe replicarsi in estate. Il tutto a danno del nostro settore turistico. Bocca ha, poi, espresso amarezza per le prospettive future ancora poco chiare in merito alle vacanze degli italiani. "Siamo ancora appesi alle zone colorate e non sappiamo come organizzarci, non c’è alcuna prospettiva, anzi, per ora si parla solo di un aprile senza zone gialle, quindi ancora con il blocco tra le Regioni", ha spiegato il presidente di Federalberghi che ha ricordato come, nel frattempo, il turismo, nazionale e internazionale si organizza "perché è adesso che si pianifica" la vacanza estiva. "Ma senza alcuna indicazione certa- ha proseguito- i turisti vanno altrove: stiamo regalando turisti all’estero". Federalberghi ha un piano per ripartire in tutta sicurezza. Tra le misure vi era quella dei tamponi negli alberghi da fare all’arrivo e alla partenza. Ma la proposta è stata bocciata. "Ci hanno detto no e ci hanno chiuso, sembra che non si rendano conto di cosa stiamo rischiando", ha proseguito Bocca che ha snocciolato alcuni dati preoccupanti sulla crisi del settore alberghiero: "Abbiamo l’85% degli alberghi chiusi; i più piccoli e chi era in affitto non riapriranno più. Se non si riapre almeno a maggio, molti altri non riusciranno a salvarsi". E per salvare la situazione ed evitare chiusure a catene i ristori non bastano. "Dodicimila euro per due milioni di euro persi possono aiutare?", ha infine commentato Bocca. In merito alla questione netta è la presa di posizione di senatore Roberto Calderoli, vice presidente del Senato e parlamentare della Lega. "Le disposizioni normative attualmente vigore prevedono che nessuno, se non per i soliti ben noti comprovati motivi, durante il periodo di Pasqua possa abbandonare il proprio Comune di residenza. Eppure grazie a disposizioni e interpretazioni provenienti dai ministeri degli Interni e degli Esteri qualcuno prevede che addirittura si possa uscire dalla propria Regione, nonostante le zone rosse, per recarsi in aeroporto per andare in vacanza in luoghi esteri che sono stati predefiniti", ha ricordato Calderoli che poi si è chiesto: “Qualcuno vuole spiegarmi la ratio che consente di derogare alle regole basilari per andare in vacanza all’estero, e conseguentemente per portare soldi all’estero, senza consentire che lo stesso possa accadere sul territorio nazionale? Qualcuno vuole spiegarmi perché un cittadino potrebbe andare a Ibiza o Formentera e non andare in un’altra Regione a poche decine di chilometri da casa, dando tra l’altro anche un ristoro vero ad una località turistica nostrana?". "Queste sono proprio cose che non comprendo", ha aggiunto il senatore della Lega che ha spiegato come si possano accettare "misure restrittive aventi una finalità preventiva rispetto alla diffusione del virus, ma devono essere applicate ad ogni livello e devono valere anche per coloro che vogliono andare all’estero". "Oppure- ha concluso- in alternativa dobbiamo consentirlo anche a casa nostra…". La situazione, però, sembra non essere destinata a cambiare. Ecco le regole in vigore fino al prossimo 30 aprile sugli spostamenti.

Raggiungere l’aeroporto. Lo scorso 3 marzo l’Astoi, l’Associazione dei tour operator italiani, si è rivolta al Viminale per sapere se fosse consentito andare in aeroporto "in caso di viaggi per turismo verso destinazioni estere non interdette". Va ricordato che nelle Regioni arancioni è vietato uscire dal proprio Comune di residenza se non per lavoro, necessità e urgenza mentre in quelle rosse il divieto riguarda addirittura l’uscita dalla propria abitazione. Attraverso una nota, dal gabinetto del ministro Luciana Lamorgese è stato chiarito che "sono giustificati gli spostamenti finalizzati a raggiungere il luogo di partenza di questo tipo di viaggi che, in quanto generalmente consentiti, non possono subire compressioni o limitazioni al proprio svolgimento". Quindi è consentito muoversi ma bisogna essere in possesso dell’autocertificazione. In base alle regole attuali si può andare per una vacanza nei seguenti Stati (elencati in ordine alfabetico): Belgio, Bulgaria, Cipro, Croazia, Danimarca (incluse Isole Faer Oer e Groenlandia), Estonia, Finlandia, Francia, (inclusi Guadalupa, Martinica, Guyana, Riunione, Mayotte mentre sono esclusi altri territori situati al di fuori del Vecchio Continente), Germania, Grecia, Irlanda, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi (esclusi territori situati al di fuori del continente europeo), Polonia, Portogallo (incluse Azzorre e Madeira), Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia, Slovenia, Spagna (inclusi territori nel continente africano), Svezia, Ungheria, Islanda, Norvegia, Liechtenstein, Svizzera, Andorra, Principato di Monaco. In ogni caso devono essere rispettate le restrizioni locali.

Obblighi al rientro. Al ritorno in Italia dalla vacanza, invece, nella maggior parte dei casi è obbligatorio sottoporsi al tampone. Ma sono previsti anche altri obblighi per il viaggiatore che rientra nel nostro Paese. Chi torna dall’Austria, dal Regno Unito e dagli Stati Uniti deve sottoporsi alla quarantena di 14 giorni. Isolamento fiduciario al ritorno in Italia è previsto anche per chi va in Australia, Nuova Zelanda, Repubblica di Corea, Ruanda, Singapore, Thailandia. È, invece, vietato andare negli altri Stati non inclusi in queste liste per motivi di turismo.

Viaggiare per turismo in Italia. Nel nostro Paese ci sono forti limitazioni agli spostamenti. Non è consentito, infatti, muoversi tra le Regioni fino al 30 aprile se non per motivi di lavoro, salute e necessità. Per di più chi si trova in zona arancione non può uscire dal proprio Comune di residenza. Peggio va a chi vive in una Regione classificata come rossa. In questo caso è vietato uscire dalla propria abitazione. Quindi altro che vacanza in Italia.

Le visite a parenti ed amici. Piccole novità in vista della Pasqua. Dal 3 al 5 aprile tutta Italia sarà zona rossa ma saranno consentite visite a parenti ed amici, massimo in due adulti e minori di 14 anni. Rientro nelle proprie case entro le 22, quando scatterà il coprifuoco.

Andare nelle seconde case. È consentito andare nelle seconde case, anche se si trovano in zona rossa. Ma ciò vale solo per il nucleo familiare, purché la casa non sia abitata da altri. Ma in questo ambito ci sono regole che varano da Regione e Regione. In Campania e in Puglia, ad esempio, il divieto vale anche per i residenti nella Regione. In Toscana e Valle d’Aosta non possono entrare i non residenti. In Alto Adige è vietato andare nella seconda casa se non si è residenti mentre in Sardegna possono entrare soltanto i residenti ma chi arriva deve esibire un tampone negativo effettuato nelle 48 ore precedenti o il certificato di avvenuta vaccinazione anti Covid.

Fiorenza Sarzanini per il “Corriere della Sera” il 29 marzo 2021. Chi deve andare all' estero per turismo può raggiungere l' aeroporto anche se si trova in una regione arancione o rossa. È stato il ministero dell' Interno a confermarlo con una nota protocollata e in vista delle vacanze pasquali esplode la polemica. «Gli alberghi e tutto il sistema dell' ospitalità italiana sono fermi da mesi, a causa del divieto di spostarsi da una regione all' altra. Non comprendiamo come sia possibile autorizzare i viaggi oltre confine e invece impedire quelli in Italia», protesta Bernabò Bocca, presidente di Federalberghi. Ecco dunque le regole in vigore fino al 30 aprile. Il 3 marzo l' Astoi, associazione dei tour operator italiani, si è rivolta al Viminale per sapere se - sulla base delle restrizioni imposte dal Dpcm del 2 marzo - era consentito andare in aeroporto «in caso di viaggi per turismo verso destinazioni estere non interdette». Nelle regioni arancioni è infatti vietato uscire dal proprio Comune di residenza se non per lavoro, necessità e urgenza e nelle regioni rosse lo stesso divieto riguarda l' uscita dalla propria abitazione. Con una nota del gabinetto della ministra Luciana Lamorgese è stato chiarito che «sono giustificati gli spostamenti finalizzati a raggiungere il luogo di partenza di questo tipo di viaggi che, in quanto generalmente consentiti, non possono subire compressioni o limitazioni al proprio svolgimento». È dunque consentito muoversi purché «muniti di autocertificazione». Si può andare per turismo in Belgio, Bulgaria, Cipro, Croazia, Danimarca (incluse isole Faroe e Groenlandia), Estonia, Finlandia, Francia, (inclusi Guadalupa, Martinica, Guyana, Riunione, Mayotte ed esclusi altri territori situati al di fuori del continente europeo), Germania, Grecia, Irlanda, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi (esclusi territori situati al di fuori del continente europeo), Polonia, Portogallo (incluse Azzorre e Madeira), Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia, Slovenia, Spagna (inclusi territori nel continente africano), Svezia, Ungheria, Islanda, Norvegia, Liechtenstein, Svizzera, Andorra, Principato di Monaco ma rispettando le restrizioni locali e al ritorno in Italia nella maggior parte dei casi è obbligatorio sottoporsi al tampone. Chi rientra dall' Austria, dal Regno Unito e dagli Stati Uniti deve sottoporsi alla quarantena di 14 giorni. Isolamento fiduciario al ritorno in Italia è stato stabilito anche per chi va in Australia, Nuova Zelanda, Repubblica di Corea, Ruanda, Singapore, Tailandia. È vietato andare negli altri Stati non inclusi in queste liste per motivi di turismo, ma poiché il ritorno presso la propria abitazione è sempre consentito molti aggirano l' impedimento con motivazioni diverse e poi rientrano in Italia sottoponendosi alla quarantena. In Italia non è invece consentito muoversi tra le regioni fino al 30 aprile se non per motivi di lavoro, salute e necessità. Ma ci sono ulteriori limitazioni perché chi si trova in zona arancione non può uscire dal proprio Comune di residenza, mentre chi è in zona rossa non può uscire dalla propria abitazione. L'unica eccezione riguarda le visite a parenti e amici massimo in due adulti e minori di 14 anni, ma con rientro entro le 22. Dal 3 al 5 aprile tutta Italia sarà in zona rossa, vietato dunque uscire dalla propria abitazione se non per motivi di lavoro, salute, urgenza. Unica eccezione sono le visite a parenti e amici massimo in due adulti e minori di 14 anni, ma anche in questo caso è obbligatorio fare rientro presso la propria abitazione. Si può andare invece nelle seconde case - anche se si trovano in zona rossa - ma solo il nucleo familiare, dimostrando di averne titolo prima del 14 gennaio 2021 e purché la casa non sia abitata da altri. In Alto Adige è vietato andare nella seconda casa se non si è residenti. In Campania e in Puglia il divieto vale anche per i residenti nella regione. In Toscana non possono entrare i non residenti così come in Valle d' Aosta. In Sardegna possono entrare soltanto i residenti e comunque si deve esibire un tampone negativo effettuato nelle 48 ore precedenti o il certificato di avvenuta vaccinazione anti Covid. In Sicilia si può entrare con un tampone negativo effettuato 48 ore prima dell' arrivo.

Claudia Voltattorni per il “Corriere della Sera” il 29 marzo 2021. «Non mi posso muovere dal mio Comune, ma posso volare alle Canarie: è assurdo, mentre l' 85% degli alberghi italiani è costretto a restare chiuso». Tra sabato e domenica, Bernabò Bocca, presidente di Federalberghi, ha ricevuto centinaia di telefonate di albergatori preoccupati e arrabbiati.

Presidente, cosa le hanno detto gli imprenditori?

«Si sentono presi in giro. Se ci sono delle regole da rispettare si rispettano, ma poi se queste valgono solo per alcuni, non possiamo accettarlo. Da un lato, chiudiamo gli italiani in casa, ma poi li facciamo andare in tutto il mondo: così si ammazza il turismo italiano. Sembra che la mano destra non sappia cosa fa la sinistra».

Gli albergatori erano pronti a riaprire per Pasqua?

«Sì, molti avevano già riaperto, come il Gritti di Venezia ad esempio. Poi è arrivato il nuovo decreto sulla zona rossa durante le vacanze, con il divieto di circolazione tra le regioni e siamo dovuti ritornare indietro. Nelle città d' arte, dove non arrivano turisti da un anno, si poteva pensare di lasciare andare gli italiani. Invece, sono fermi in casa. Oppure possono andarsene liberamente all' estero, o perfino in crociera».

All' estero si può andare senza restrizioni?

«Certo, basta un tampone alla partenza e al rientro. Quando abbiamo visto la zona rossa per Pasqua, pensavamo che almeno per l' estero ci fosse la quarantena, invece basta un tampone. E gli altri Paesi ne approfittano. Sembra che la Spagna ci dica "venite da noi", così come la Grecia dove da mesi si stanno organizzando per l' estate».

Alle Baleari sono già arrivati migliaia di turisti tedeschi, succederà lo stesso in estate?

«Temiamo di sì. Basti pensare che la Grecia quest' anno è la prima destinazione del mercato statunitense e già non si trovano alloggi e barche. Ma loro sono partiti in tempo, hanno creato le isole "Covid free" e dal 14 maggio chiedono l' obbligo di vaccino o tampone per chi arriva».

E in Italia? Come saranno le vacanze italiane?

«Non lo sappiamo ancora, siamo ancora appesi alle zone colorate e non sappiamo come organizzarci, non c' è alcuna prospettiva, anzi, per ora si parla solo di un aprile senza zone gialle, quindi ancora con il blocco tra le regioni. Ma nel frattempo, il turismo, nazionale e internazionale si organizza, perché è adesso che si pianifica la villeggiatura estiva. Ma senza alcuna indicazione certa, i turisti vanno altrove: stiamo regalando turisti all' estero».

Federalberghi ha un piano per ripartire in tutta sicurezza?

«Avevamo proposto tamponi negli alberghi, da fare all' arrivo e alla partenza: ci hanno detto no e ci hanno chiuso, sembra che non si rendano conto di cosa stiamo rischiando».

In che condizioni è ora il settore alberghiero?

«Abbiamo l' 85% degli alberghi chiusi; i più piccoli e chi era in affitto non riapriranno più. Se non si riapre almeno a maggio, molti altri non riusciranno a salvarsi».

I ristori non aiutano?

«Dodicimila euro per due milioni di euro persi possono aiutare?».

Dl Pasqua: limitazioni alle visite per amici e parenti. Italia tutta in zona rossa tranne le regioni con Rt virtuoso in zona bianca: per il Paese è la seconda Pasqua in lockdown. Francesca Galici - Ven, 12/03/2021 - su Il Giornale. Il decreto legge firmato dal Consiglio dei ministri e valido a partire dal 15 marzo e fino al 6 aprile porta tutta l'Italia in zona arancione e rossa, eccezion fatta per la Sardegna che al momento rimane in zona bianca. Le nuove misure hanno stabilito nuovi parametri molto più stringenti per lo slittamento di fascia per cercare di contenere l'impatto della terza ondata. A tal proposito, sono state previste misure ancora più restrittive per il periodo di Pasqua, quando tutto il Paese, tranne le zone bianche, saranno rosse. Al pari di quanto accaduto per il periodo natalizio, il governo ha dato indicazioni in merito agli spostamenti possibili in zona arancione e in zona rossa, con alcune deroghe proprio per il periodo festivo.

Gli spostamenti in zona arancione.

Dal 15 marzo al 6 aprile, nelle regioni che si collocano in zona arancione, è possibile lo spostamento all'interno del territorio comunale ma non sarà possibile uscire dai confini. Per quanto concerne le visite ad amici e parenti, in queste regioni è consentito lo spostamento verso una sola abitazione privata, una volta al giorno, nell'arco temporale compreso tra le 5 e le 22. Permane, dunque, il coprifuoco dalle 22 alle 5 del mattino successivo.

Le visite sono consentite in un numero massimo di due persone oltre a quelle già conviventi, a meno che non ci si sposti con minori di 14 anni oppure con soggetti conviventi disabili e/o non autosufficienti. In quel caso non viene considerato il numero massimo.

Gli spostamenti in zona rossa

Con il nuovo decreto legge, che riprende le indicazioni fornite dal dpcm già in vigore, nelle regioni che ricadono nella zona rossa non è consentito nessun tipo di spostamento verso altre abitazioni private, nemmeno entro l'orario del coprifuoco e nel numero massimo previsto. In queste regioni ogni spostamento dev'essere giustificato da un comprovato motivo di necessità.

Gli spostamenti a Pasqua

Il 3,4 e 5 aprile 2021, che corrispondono ai giorni del weekend di Pasqua, l'intero territorio nazionale sarà zona rossa. Faranno eccezione solamente le regioni che nella rilevazione precedente avranno i numeri da zona bianca, quindi è lecito supporre che solo la Sardegna sarà esclusa da questo provvedimento. Tuttavia, benché ci sarà la stretta totale del Paese in zona rossa, il Consiglio dei ministri ha acconsentito a una deroga per permettere gli spostamenti previsti normalmente all'interno della zona arancione, nei limiti dei confini comunali. A Pasqua, quindi, si potrà andare a trovare i parenti entro i limiti dei confini comunali, purché non si superino le due unità in più rispetto a quelle residenti, al netto dei minori di 14 e delle persone disabili e/o non autosufficienti conviventi con chi fa visita.

Pasqua in zona rossa: le regole per spostamenti, messe e visite ai parenti. Notizie.it il 13/03/2021. Spostamenti, bar e ristoranti, messe e visite: le regole della zona rossa in vigore durante le vacanza di Pasqua. Il decreto in vigore dal 15 marzo al 6 aprile approvato dal Consiglio dei Ministri contiene regole specifiche volte a limitare i contatti durante le vacanze di Pasqua: il 3, 4 e 5 aprile in tutta Italia – ad eccezione delle regioni bianche – sarà infatti in vigore la zona rossa.

Le regole per la Pasqua in zona rossa

Come già accaduto durante le vacanze di Natale, anche i territori con parametri da zona gialla o arancione finiranno in lockdown e dovranno rispettare le misure più stringenti: di seguito i dettagli.

Visite a parenti e amici

Il decreto chiarisce che sabato 3, domenica 4 e lunedì 5 aprile sarà consentito spostarsi all’interno della propria regione per recarsi in un’abitazione privata di parenti o amici. Ci si potrà però muovere solo una volta al giorno, dalle 5 alle 22, in massimo due (esclusi figli minori di 14 anni e soggetti non autosufficienti) oltre alle persone già conviventi nella dimora in cui si è diretti.

Messe

Le chiese rimarranno aperte anche in zona rossa, dunque sarà possibile recarsi a messa purché nel luogo di culto vicino a casa. In base all’ultimo decreto “l’accesso individuale ai luoghi di culto si deve svolgere in modo da evitare assembramenti” e durante la permanenza all’interno si dovrà rispettare una distanza interpersonale pari ad almeno un metro laterale e frontale.

Spostamenti

Durante le suddette giornate sarà vietato ogni spostamento non comprovato da esigenze di salute, lavoro o necessità (tra queste ultime rientrano le visite a parenti o amici). Gli italiani dovranno quindi rinunciare ai viaggi per turismo.

Bar e ristoranti

In occasione della festività bar e ristoranti dovranno rimanere chiusi e potranno effettuare soltanto asporto e consegne a domicilio. Rimane vietato consumare cibi e bevande nei pressi dei locali come stabilito dal Dpcm firmato da Draghi il 2 marzo.

Decreto Draghi: spostamenti, lavoro e scuola in zona rossa. Le Faq. Valentina Mericio su Notizie.it il 14/03/2021. Dagli spostamenti, alla scuola, all’apertura dei pubblici esercizi. Sono molte le regole da rispettare in zona rossa. Tutti chi più chi meno ci saremo chiesti in queste ultime ore cosa fare o quando è possibile spostarsi verso una determinata destinazione senza incappare in una sanzione. A poche ore dall’entrata di buona parte dell’Italia in zona rossa tante sono le domande così come altrettante sono le risposte. Dagli spostamenti passando per la scuola o ancora il lavoro sono molti dettagli a cui bisognerà fare attenzione a partire da lunedì 15 marzo. Cosa si potrà fare e non si potrà fare in zona rossa? Ci si potrà spostare da un comune ad un altro? Ci si potrà recare in chiesa o fare sport? Per chi studia cosa cambia? Queste sono alcune delle domande che ci saremo posti almeno una volta. I dubbi tuttavia sono tanti per cui sarà fondamentale in questi giorni mantenere massima l’attenzione. Ecco quali sono le casistiche principali.

Lavoro

Il datore di lavoro è tenuto a fornire la strumentazione atta alla prestazione lavorativa?

Sia che si tratti di un contesto pubblico o privato, il datore di lavoro non può fornire la strumentazione necessaria allo svolgimento della prestazione lavorativa agile. Ciònonostante le faq del Governo specificano che: “Il datore di lavoro è tenuto ad adottare le misure organizzative e gestionali atte ad agevolare lo svolgimento delle prestazioni lavorative in modalità agile”.

Scuola

In che modalità si svolgono le attività in Università?

Le faq del Governo su questo punto sono molto chiare. Le attività scolastiche si svolgono di norma in modalità a distanza anche se determinate attività didattiche o curriculari potranno svolgersi in presenza fermo restando tuttavia che quest’ultime “dovranno svolgersi nel rispetto dei protocolli, specificamente dedicati alle università”.

Rimangono altresì attive anche le biblioteche universitarie che potranno erogare i servizi agli studenti “laddove previsto dai piani di organizzazione della didattica e delle attività curriculari predisposti dai singoli atenei, sentito il Comitato universitario regionale” e naturalmente nel pieno rispetto delle norme vigenti.

Per chi svolge tirocini e laboratorio?

Risposta analoga a quella relativa alle biblioteche. Chi svolge un tirocinio curriculare o un’attività di laboratorio può continuare a svolgerlo anche in questo caso “laddove previste dai piani di organizzazione della didattica e delle attività curriculari predisposti dai singoli atenei, sentito il Comitato universitario regionale”.

Eventi, cerimonie e riunione

Musei e luoghi di cultura eccezione fatta per le biblioteche rimangono chiuse. Unica eccezione la possibilità di utilizzare lo spazio ad esempio di un teatro allo scopo di: “trasmettere in streaming o di utilizzare gli spazi come ambienti per riprese cinematografiche e audiovisive, nel rispetto delle misure di sicurezza previste per tali attività”.

Posso andare a messa?

Secondo le faq del Governo sarà possibile partecipare alle funzioni religiose. Consentite inoltre le tumulazioni e le sepolture: “rispettando la distanza interpersonale di un metro tra le persone che vi assistono ed evitando ogni forma di assembramento”.

Gli spostamenti consentiti

Si potrà fare visita a parenti o amici?

Le visite a parenti autosufficienti o ad amici e verso “abitazioni private abitate diverse dalla propria non dovuti a motivi di lavoro, necessità o salute”, non saranno permessi fino al 2 aprile e nella giornata del 6 aprile. Sarà invece consentito nelle giornate dal 3 al 5 aprile una volta al giorno e nella fascia dalle 5 alle 22. Ci si potranno inoltre spostare due persone più i figli minori fino a 14 anni.

Saranno invece consentiti sempre gli spostamenti per lavoro, necessità o salute.

Monica Guerzoni e Fiorenza Sarzanini per il “Corriere della Sera” il 14 marzo 2021.

IN QUALI DATE SCATTANO LE ULTERIORI RESTRIZIONI PER CONTENERE I CONTAGI?

Il nuovo decreto per contenere i contagi da Covid-19 sarà in vigore da domani 15 marzo fino al 6 aprile. Il governo ha deciso di inasprire le regole, facendo scattare la zona arancione anche per le regioni gialle dal 15 marzo al 2 aprile e nella giornata del 6 aprile. Quindi ristoranti e bar chiusi (tranne che per asporto e consegna) e divieto di uscire dal proprio comune. Il 3, 4 e 5 aprile, sull'intero territorio nazionale (tranne regioni «bianche») si applicano le misure della zona rossa. Oltre alla chiusura di bar e ristoranti e alla serrata di molti negozi, ci sono limitazioni severe agli spostamenti. Dal 15 marzo al 6 aprile i presidenti delle Regioni possono applicare le misure della zona rossa nelle province in cui i contagi superano i 25o casi a settimana ogni 100 mila abitanti e nelle aree dove la circolazione delle varianti «determina alto rischio di diffusione o induce malattia grave».

A PASQUA È CONSENTITO ANDARE A TROVARE GLI AMICI E I PARENTI ?

Come nel 2020, quando l'esplosione del virus impose il lockdown nazionale, anche la Pasqua del 2021 sarà blindata. A causa della corsa del Covid-19 e delle sue varianti non sarà possibile onorare il proverbio «Natale con i tuoi, Pasqua con chi vuoi». Gli incontri dovranno essere contingentati e non si vedranno le classiche tavolate al ristorante. Il nuovo decreto dice che nei giorni 3, 4 e 5 aprile l'Italia intera è in zona rossa (tranne le regioni «bianche», come attualmente la sola Sardegna). Ci si può spostare soltanto per le «comprovate esigenze», ma è stata conservata la deroga che era in vigore durante le festività natalizie: una sola volta al giorno due adulti e minori di 14 anni possono fare visita ad amici o parenti all'interno della regione. Al comma 4 dell'articolo 1 è scritto che lo spostamento deve avvenire tra le 5 e le 22 e che si può andare «verso una sola abitazione privata abitata».

CHI SI TROVA IN ZONA ROSSA PUÒ USCIRE DAL COMUNE PER FARE ATTIVITÀ MOTORIA?

In zona rossa è consentito svolgere l'attività sportiva solo nell'ambito del territorio del proprio comune, dalle 5 alle 22, in forma individuale e all'aperto, a distanza di 2 metri. È tuttavia possibile, nello svolgimento di un'attività sportiva che comporti uno spostamento (per esempio la corsa o la bici), entrare in un altro comune, purché tale spostamento resti funzionale unicamente all'attività sportiva stessa e la destinazione finale coincida con il comune di partenza. «Le attività di palestre, piscine, centri natatori, centri benessere e centri termali sono sospese», salvo che per le attività riabilitative o terapeutiche e gli allenamenti degli atleti che devono partecipare a competizioni ed eventi riconosciuti di rilevanza nazionale con provvedimento del Coni o del Cip. Sospese anche le attività sportive di base e l'attività motoria presso centri e circoli sportivi, pubblici e privati, all'aperto e al chiuso.

QUALI SONO I DIVIETI E LE DEROGHE PER GLI SPOSTAMENTI?

Resta in vigore il divieto di spostamento tra le regioni. Dal 15 marzo al 6 aprile tutte le regioni (tranne quelle «bianche») sono sottoposte alle restrizioni della fascia arancione, che non consente di uscire dal comune. «È vietato ogni spostamento in entrata e in uscita dai territori in zona arancione salvo che per gli spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità, ovvero per motivi di salute». In zona rossa non solo è vietato uscire ed entrare ma non ci si può spostare nemmeno all'interno del comune, se non per «comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità, ovvero per motivi di salute». Il coprifuoco è sempre in vigore, dalle 22 alle 5 del giorno successivo. Anche per il resto della giornata è fortemente raccomandato non spostarsi, con mezzi pubblici o privati, se non per validi motivi o situazioni di necessità: come fare la spesa o recarsi nei negozi aperti.

QUALI TIPI DI NEGOZI RESTANO APERTI NELLE DIVERSE FASCE?

In fascia arancione e rossa bar e ristoranti sono chiusi al pubblico. Resta consentita solo la ristorazione con consegna a domicilio e l'asporto, fino alle 22. Consumare sul posto o nelle adiacenze del locale è vietato. Per i bar invece l'asporto è consentito solo fino alle ore 18. In fascia arancione tutti i negozi sono aperti, mentre i centri commerciali sono chiusi nei giorni festivi e prefestivi (tranne edicole, farmacie, tabaccai presenti all'interno). In fascia rossa «sono sospese le attività commerciali al dettaglio, fatta eccezione per le attività di vendita di generi alimentari e di prima necessità». Sulla base dei codici Ateco non possono lavorare i negozi di abbigliamento, di calzature e le gioiellerie. Chiusi anche parrucchieri, barbieri e centri estetici. «Indipendentemente dalla tipologia di attività svolta» sono chiusi anche i mercati, salvo le attività di vendita di alimentari, prodotti agricoli e florovivaistici. 

Da "corriere.it" il 12 marzo 2021. Il consiglio dei ministri ha approvato il decreto per il contenimento dei contagi da Covid 19 che sostituisce l’ultimo Dpcm. Ecco tutto quello che si può fare e quello che, invece, è vietato.

Le date del decreto. Il decreto legge è in vigore il 15 marzo al 6 aprile 2021. «Nei giorni 3, 4 e 5 aprile 2021, sull’intero territorio nazionale, ad eccezione delle Regioni i cui territori si collocano in zona bianca, si applicano le misure stabilite per la zona rossa».

Le fasce di colore e il nuovo parametro. Dal 15 marzo al 2 aprile e il 6 aprile tutte le regioni saranno almeno in zona arancione.

I governatori «possono disporre l’applicazione delle misure stabilite per la zona rossa nelle Province per due motivi:

- Dove «l’incidenza cumulativa settimanale dei contagi è superiore a 250 casi ogni 100.000 abitanti»

- Nelle aree «in cui la circolazione di varianti di Sars-Cov-2 determina alto rischio di diffusività o induce malattia grave».

Gli spostamenti. Confini regionali

Rimane il divieto di spostamento tra le regioni. Si può uscire dalla propria regione di residenza soltanto per motivi di lavoro, salute e urgenza, con il modulo di autocertificazione.

Coprifuoco. Dalle ore 22 alle 5 del giorno successivo «sono consentiti esclusivamente gli spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative, da situazioni di necessità ovvero per motivi di salute. È in ogni caso fortemente raccomandato, per la restante parte della giornata, di non spostarsi, con mezzi di trasporto pubblici o privati, salvo che per esigenze lavorative, di studio, per motivi di salute, per situazioni di necessità o per svolgere attività o usufruire di servizi non sospesi».

Fascia arancione

- «È vietato ogni spostamento in entrata e in uscita dai territori in zona arancione salvo che per gli spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità ovvero per motivi di salute».

- Sono «consentiti gli spostamenti strettamente necessari ad assicurare lo svolgimento della didattica in presenza nei limiti in cui la stessa è consentita».

- È consentito «il rientro presso il proprio domicilio, abitazione o residenza».

- Il transito «sui territori in zona arancione è consentito qualora necessario a raggiungere ulteriori territori non soggetti a restrizioni negli spostamenti o nei casi in cui gli spostamenti sono consentiti ai sensi del decreto». 

- «È vietato ogni spostamento con mezzi di trasporto pubblici o privati, in un comune diverso da quello di residenza, domicilio o abitazione, salvo che per comprovate esigenze lavorative, di studio, per motivi di salute, per situazioni di necessità o per svolgere attività o usufruire di servizi non sospesi e non disponibili in tale comune».

Fascia rossa

- « È vietato ogni spostamento in entrata e in uscita dai territori in zona rossa nonché all’interno dei medesimi territori, salvo che per gli spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità ovvero per motivi di salute».

- È consentito il rientro presso il proprio domicilio, abitazione o residenza.

- Il transito «sui territori in zona rossa è consentito qualora necessario a raggiungere ulteriori territori non soggetti a restrizioni negli spostamenti o nei casi in cui gli spostamenti sono consentiti ai sensi del presente decreto».

Parenti e amici

Fascia arancione

«Dal 15 marzo al 2 aprile 2021 e nella giornata del 6 aprile 2021, nelle Regioni nelle quali si applicano le misure stabilite per la zona arancione, è consentito, in ambito comunale, lo spostamento verso una sola abitazione privata abitata, una volta al giorno, in un arco temporale compreso fra le ore 5 e le ore 22, e nei limiti di due persone ulteriori rispetto a quelle ivi già conviventi, oltre ai minori di anni 14 sui quali tali persone esercitino la responsabilità genitoriale e alle persone disabili o non autosufficienti conviventi». 

Fascia rossa

«Dal 15 marzo al 2 aprile 2021 e nella giornata del 6 aprile 2021, nelle Regioni nelle quali si applicano le misure stabilite per la zona rossa non è consentito lo spostamento verso una sola abitazione privata abitata, una volta al giorno, in un arco temporale compreso fra le ore 5 e le ore 22, e nei limiti di due persone ulteriori rispetto a quelle ivi già conviventi, oltre ai minori di anni 14 sui quali tali persone esercitino la responsabilità genitoriale e alle persone disabili o non autosufficienti conviventi». 

Bar e ristoranti

Fascia arancione

Bar e ristoranti sono chiusi.

- Resta consentita la sola ristorazione con consegna a domicilio.

- Fino alle 22 è consentita la ristorazione con asporto, con divieto di consumazione sul posto o nelle adiacenze per ristoranti, enoteche.

- Per i bar l’asporto è consentito esclusivamente fino alle ore 18,00. 

Fascia rossa

Bar e ristoranti sono chiusi.

- Resta consentita la sola ristorazione con consegna a domicilio.

- Fino alle 22 è consentita la ristorazione con asporto, con divieto di consumazione sul posto o nelle adiacenze per ristoranti, enoteche.

- Per i bar l’asporto è consentito esclusivamente fino alle ore 18,00. 

Seconde case

Come previsto dalle Faq del governo si può andare nelle seconde case se si trovano in fascia bianca, gialla, arancione e rossa.

- Nelle seconde case può andare soltanto il nucleo familiare e solo se la casa non è abitata da altri. Bisogna dimostrare di essere proprietari o affittuari da una data antecedente il 14 gennaio 2021». 

Negozi e centri commerciali

Fascia arancione

I negozi sono aperti, i centri commerciali sono aperti dal lunedì al venerdì, chiusi i giorni festivi e prefestivi.

Fascia rossa

- «Sono sospese le attività commerciali al dettaglio, fatta eccezione per le attività di vendita di generi alimentari e di prima necessità».

- Sulla base dei codici Ateco rimangono chiusi negozi di abbigliamento, calzature e gioiellerie.

- Sono chiusi, indipendentemente dalla tipologia di attività svolta, i mercati, salvo le attività dirette alla vendita di soli generi alimentari, prodotti agricoli e florovivaistici.

- Restano aperte le edicole, i tabaccai, le farmacie e le parafarmacie. 

Parrucchieri e centri estetici

Fascia arancione

I parrucchieri, i barbieri e i centri estetici sono aperti.

Fascia rossa

I parrucchieri, i barbieri e i centri estetici sono aperti. 

Pasqua e le deroghe

Per Pasqua tutta Italia entra in zona rossa. Secondo il decreto «il 3, 4 e 5 aprile 2021, sull’intero territorio nazionale, ad eccezione delle Regioni i cui territori si collocano in zona bianca, si applicano le misure stabilite per la zona rossa».

Parenti e amici

Nei giorni «3, 4 e 5 aprile 2021, è consentito, in ambito comunale, lo spostamento verso una sola abitazione privata abitata, una volta al giorno, in un arco temporale compreso fra le ore 5 e le ore 22, e nei limiti di due persone ulteriori rispetto a quelle ivi già conviventi, oltre ai minori di anni 14 sui quali tali persone esercitino la responsabilità genitoriale e alle persone disabili o non autosufficienti conviventi».

Le nuove zone rosse e arancioni, ecco le regole: si può andare nella seconda casa anche se in un'altra regione. La Repubblica il 13 marzo 2021. Da lunedì le nuove disposizioni: nelle aree di lockdown si potrà fare visita in casa d'altri soltanto a Pasqua, chiusi parrucchieri e centri estetici. Passeggiate consentite solo vicino all'abitazione. Possibile il ricongiungimento tra partner e spostarsi verso le secondo case. Da lunedì scattano le nuove regole per cercare di fermare la crescita dei contagi in aumento da sei settimane. Il ministro della Salute, Roberto Speranza, sulla base dei dati e delle indicazioni della Cabina di Regia, ha firmato le nuove ordinanze che saranno in vigore da lunedì 15 marzo, per una durata di 15 giorni. Passano in area rossa le Regioni Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Lombardia, Marche, Piemonte, Puglia, Veneto e la Provincia autonoma di Trento che si aggiungono a Campania e Molise che restano in area rossa. Tutte le altre Regioni saranno in area arancione. È in corso una verifica sui dati della Basilicata. La sola Sardegna resta in area bianca. Bolzano passa in area arancione alla luce dei dati aggiornati relativi all'incidenza. Cambiano, rispetto ai provvedimenti del lockdown presi a Natale, alcune disposizioni nelle zone rosse, dove sarà vietato andare a fare visita ad amici e parenti, tranne nei giorni di Pasqua, cioè il 3, 4 e 5 aprile. In zona arancione ristoranti e bar chiusi al pubblico, possibili soltanto asporto e servizio a domicilio. Ecco nel dettaglio le misure.

In zona arancione

Le scuole sono aperte?

Sì. Dagli asili alle scuole medie tutti gli alunni vanno regolarmente in aula mentre nelle scuole superiori è prevista la didattica in presenza a rotazione degli alunni in una percentuale tra il 50 e il 75 per cento e per gli altri la Dad. A seconda delle situazioni di contagio, però, i governatori possono decidere limitazioni nei Comuni o nelle province dove l’incidenza del contagio dovesse superare i 250 casi ogni 100.000 abitanti o in caso di improvvisi focolai e chiudere le scuole.

È possibile andare a pranzo fuori?

No, bar e ristoranti chiudono al pubblico. Possono rimanere aperti solo per effettuare servizio a domicilio o per l’asporto, in questo caso fino alle 22, tranne che per gli esercizi senza cucina che dalle 18 in poi non possono più vendere per asporto. È comunque vietato consumare nei pressi del locale. 

Si può andare a fare visita a parenti o amici?

È consentito, una sola volta al giorno, tra le 5 e le 22, spostarsi ( al massimo due persone con al seguito bambini sotto i 14 anni o persone disabili in affidamento) verso una sola abitazione e andare a trovare chi vi abita. Ma soltanto all’interno del proprio comune visto che nelle zone arancioni non è possibile uscire dal territorio comunale. Nei tre giorni festivi e prefestivi, dalla vigilia di Pasqua a Pasquetta compresa, lo spostamento per far visita ad amici e parenti, alle stesse condizioni, sarà consentito all’interno della regione. 

Quali sono gli spostamenti consentiti?

Nel proprio comune ci si può muovere liberamente, per andare fuori invece occorre un’autocertificazione per motivi di lavoro, di studio, di salute o di necessità. 

È possibile andare nelle seconde case?

Sì, le seconde case sono intese come abitazione in cui si può fare rientro sempre, dentro e fuori regione anche se questa si trova in zona rossa, unicamente al proprio nucleo familiare e se non sono abitate da altre persone. Bisogna essere proprietari o affittuari della casa in data precedente al 15 gennaio scorso e sono esclusi gli affitti brevi.

Dove è possibile praticare sport?

Dovunque, all’interno del proprio comune, anche in parchi e giardini ma sempre all’aperto e in forma individuale mantenendo la distanza di due metri da altre persone. Anche in circoli e centri sportivi all’aperto. Restano chiuse palestre e piscine. 

I negozi sono aperti?

Sì, i negozi sono tutti aperti con i consueti orari, tranne nel fine settimana quando sono chiusi i centri commerciali e le gallerie e sono invece disponibili gli alimentari e i negozi di generi di prima necessità. I musei e le mostre sono aperti? No,restano chiusi come cinema, teatri e luoghi culturali.

In zona rossa

Le scuole sono aperte?

No, a differenza di quanto accadeva fino a qualche tempo fa, in zona rossa sono chiuse tutte le scuole di ogni ordine e grado, anche quelle dell’infanzia e tutte le lezioni sono in Dad, tranne che per i ragazzi con disabilità. 

Bar e ristoranti sono aperti?

Come in zona arancione, bar e ristoranti restano chiusi. Possono solo lavorare con il servizio a domicilio o con l’asporto fino alle 18 tranne che per i locali senza cucina. Possono invece continuare a vendere in asporto dopo quell’ora le enoteche e i negozi di bibite. 

Si può uscire da casa liberamente?

No, in zona rossa, per qualsiasi spostamento è necessaria l’autocertificazione che attesti che ci si sta muovendo solo per ragioni di lavoro, di salute o di necessità. Ed è sempre consentito il ritorno alla propria residenza, domicilio o abitazione.

È consentito uscire da casa per andare a trovare i familiari?

No, nessuna visita è consentita se non a persone non autosufficienti che necessitano di aiuto o assistenza e in questo caso può andare un adulto al massimo con due minorenni. Il divieto però cade nei giorni, 3,4 e 5 aprile quando è consentito andare ( al massimo in due con due bambini sotto i 14 anni) a trovare amici e familiari in una abitazione, una sola volta al giorno, spostandosi anche all’interno della propria regione. 

Si può andare nelle seconde case?

Lo spostamento verso una seconda casa di cui si ha la proprietà o l’affitto lungo da prima del 15 gennaio è sempre consentito, insieme al nucleo familiare. Si possono raggiungere le seconde case, anche in un'altra Regione e anche in zona rossa. Ci sono però alcune regioni che hanno emesso ordinanze che lo vietano espressamente. Lo possono fare però solo coloro che abbiano un titolo per provare la proprietà (possono esibire copia o autocertificarlo) e a condizione che la casa di destinazione non sia abitata da persone non appartenenti al nucleo familiare del proprietario. 

Due partner che lavorano in città diverse possono ricongiungersi?

Sì, sempre, possono ritrovarsi nella casa in cui vivono abitualmente quando sono insieme. 

Quali sport si possono praticare?

L’attività motoria, dunque la semplice passeggiata, può essere fatta solo nei pressi della propria abitazione mentre l’attività sportiva all’interno del proprio comune. Ma sempre da soli e all’aperto mantenendo una distanza di due metri da altre persone. Chiusi circoli e centri sportivi anche all’aperto. 

I parrucchieri e i centri estetici sono aperti?

No, diversamente da prima, in zona rossa, parrucchieri, barbieri e centri estetici devono rimanere chiusi. E chiusi sono anche tutti i negozi tranne gli alimentari, le farmacie, le edicole, le librerie, le tabaccherie, i negozi di casalinghi, le profumerie, cosmetica, ferramenta, negozi di informatica, meccanici, lavanderie o per la cura degli animali. E tutti i servizi essenziali per la casa e per la cura della persona.

Sport al parco sì, ma solo vicino a casa: le regole dell'Italia in rosso. Viola Giannoli. La Repubblica il 14 marzo 2021. Domande e risposte su cosa si può fare, e cosa è vietato, nel Paese che dal 15 marzo rafforza le misure anti Covid: dalle scuole chiuse agli spostamenti da un comune all'altro. Ecco cosa bisogna sapere nell'Italia in semi lockdown.

Si può uscire di casa?

In zona arancione ci si può muovere liberamente nel proprio comune o, se si vive in un paese con meno di 5 mila abitanti, verso un altro centro che non sia capoluogo di provincia, entro un raggio di 30 km. Altrimenti l’autocertificazione è obbligatoria per motivare la necessità. In zona rossa si può uscire di casa solo per lavoro (tra questi rientra il dog sitting, ma non le guide turistiche) o urgenza: buttare la spazzatura, fare la spesa.

In zona rossa si può andare a fare una passeggiata?

Sì, ma vicino a casa, da soli o con minori e persone non autosufficienti.

Si può andare da parenti e amici?

In zona arancione sì, ma solo all’interno del proprio comune, una sola volta al giorno tra le 5 e le 22 in massimo due persone più under 14 o disabili. In zona rossa no. Ma il 3, il 4 e il 5 aprile per le feste di Pasqua è concessa ovunque una sola visita ad amici e parenti all’interno della stessa regione e sempre in due al massimo.

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Ci si può ricongiungere col proprio partner se si lavora in due comuni o regioni diverse?

Sì, se il luogo scelto per vedersi coincide con la residenza o il domicilio in cui si convive.

Si possono portare i figli dai nonni per motivi di lavoro?

Sì, ma resta sconsigliato perché gli anziani sono i più fragili.

Le scuole sono aperte?

In zona rossa no. Lezioni in classe solo per gli alunni con disabilità o bisogni educativi speciali, per gli altri Dad. In zona arancione didattica a distanza alle superiori a rotazione al 50 o al 75%.

Bar e ristoranti sono aperti?

Sì, ma solo per l’asporto dalle 5 alle 22. Così anche pasticcerie e gelaterie. Dalle 18 in poi la vendita è vietata ai locali senza cucina. Via libera a oltranza alle consegne a domicilio. In hotel, per i soli clienti che hanno una stanza, è consentita la consumazione. Aperti i bar di ospedali e aeroporti e gli autogrill.

Si può usare il bagno nei bar?

No, salvo casi di assoluta necessità (non meglio precisati).

I negozi sono aperti?

Dipende. In zona arancione sì, ma nel weekend chiudono centri commerciali e mercati non alimentari. In zona rossa aperti solo i negozi che vendono prodotti essenziali: supermercati, farmacie, tabaccai, benzinai, librerie, edicole, profumerie, negozi di intimo, elettronica, articoli sportivi, vestiti per bambini, giochi. Chi chiude può consegnare a domicilio. Fermi pure barbieri, parrucchieri, estetisti.

I parchi e i giardini sono aperti?

Sì, salvo ordinanze locali. I bimbi possono usare scivoli e altalene.

I musei sono aperti?

No, né in zona arancione né rossa.

Si possono fare riunioni di condominio?

Sì, ma è fortemente consigliata la modalità a distanza.

Che sport si possono praticare?

Tutti quelli all’aperto, individuali, senza contatto, a due metri di distanza da altri. Non c’è obbligo di mascherina. In zona arancione sono aperti circoli e centri sportivi. In zona rossa l’attività sportiva va svolta sotto casa o nel parco più vicino.

Si può fare sport in un altro comune?

In zona arancione sì, se ad esempio nel proprio comune mancano campi da tennis. In bici o di corsa, si può sconfinare di comune, ma sempre facendo sport e tornando poi al punto di partenza. In zona rossa si può praticare attività sportiva solo nel proprio comune.

Si può raggiungere la seconda casa?

Sì, anche in un’altra regione, purché già di proprietà o affittata prima del 14 gennaio. Ci si può andare solo con il proprio nucleo familiare. A proposito di case: per comprare, vendere o visitare un immobile da acquistare ci si può spostare anche in un altro comune.

Regole e divieti del nuovo Dpcm. Nuovo Dpcm Draghi in vigore da oggi: le regole su spostamenti, scuola, sport, seconde case. Carmine Di Niro su Il Riformista il 6 Marzo 2021. È entrato in vigore dalla mezzanotte di oggi, 6 marzo, il primo Dpcm firmato dal presidente del Consiglio Mario Draghi che fissano le regole e i divieti in tutta Italia, che cambiano in base alla fascia di rischio della propria Regione.  Anche il Dpcm Draghi, che resterà in vigore fino al 6 aprile prossimo, compresa dunque la Pasqua, prevede la divisione in colori: dalla bianca alla gialla, passando all’arancione e rossa. Novità di questi giorni è la ‘creazione’ di una zona arancione scuro decisa però direttamente da sindaci e presidente di Regione a livello locale in cui si vietano gli spostamenti in seconde case e si chiudono le scuole.

SCUOLA –  La campanella resterà silente nelle zone rosse e in quelle gialle e arancioni con incidenza su 100.000 abitanti in 7 giorni pari o superiore a 250 casi. La misura è disposta dai presidenti di Regione e province autonome, anche di ambito comunale. 

COPRIFUOCO E MASCHERINE – Restano invariate le misure rispetto ai precedenti Dpcm. È obbligatorio indossare la mascherina nel luoghi al chiuso diversi dalle abitazioni private e in quelli all’aperto, tranne se è garantita in maniera continuativa la condizione di isolamento da persone non conviventi. Quando al coprifuoco, resta in vigore dalle 22 alle 5 del giorno seguente e in quelle ore “sono consentiti esclusivamente gli spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative, da situazioni di necessità ovvero per motivi di salute”.

SPOSTAMENTI TRA REGIONI E SECONDE CASE – Con un primo decreto il governo Draghi ha vietato fino al 27 marzo gli spostamenti tra Regioni, anche se queste si trovano in zona gialla o bianca: ci si può muovere solo per motivi di lavoro, salute e urgenza, con il modulo di autocertificazione. Si può andare nelle seconde case, ma soltanto se si trovano in fascia gialla o arancione. A spostarsi può essere solo il nucleo familiare: si deve dimostrare inoltre di essere proprietari o affittuari da una data antecedente il 14 gennaio 2021.

VISITE – Resta per zona gialla e arancione la possibilità di fare visita a parenti amici, ma solo “in due adulti e minori di 14 una sola volta al giorno dalle 22 alle 5”. Una possibilità vietata invece in zona rossa. 

BAR E ASPORTO – In zona gialla bar e ristoranti possono restare aperti fino alle 18. Da quell’orario in poi è consentito l’asporto, fino al coprifuoco delle 22, e la consegna a domicilio, senza limiti di orario. In tutte le zone è stato eliminato il divieto di asporto dopo le ore 18 solo per gli esercizi di commercio al dettaglio di bevande, comprese le enoteche (ma senza degustazione): da questi si potranno acquistare bevande alcoliche e analcoliche ‘da asporto’, senza consumo sul posto, fino alle 22. Dopo le 18 per bar e simili (senza cucina) resta sempre il divieto dell’asporto dopo le 18. Dunque gli alcolici possono essere acquistati per l’asporto dopo le 18 ma non dai bar.

MOSTRE, MUSEI, CINEMA E TEATRI – In zona gialla l’ingresso in musei e luoghi di cultura è possibile “dal lunedì al venerdì, con esclusione dei giorni festivi, a condizione che detti istituti e luoghi, tenendo conto delle dimensioni e delle caratteristiche dei locali aperti al pubblico, nonché dei flussi di visitatori (più o meno di 100.000 l’anno), garantiscano modalità di fruizione contingentata o comunque tali da evitare assembramenti di persone e da consentire che i visitatori possano rispettare la distanza tra loro di almeno un metro”. Dal prossimo 27 marzo sarà possibile l’ingresso anche il sabato e nei giorni festivi, ma con obbligo di prenotazione con almeno un giorno di anticipo. Sempre dal 27 marzo e in fascia gialla riaprono gli spettacoli aperti al pubblico in sale teatrali, sale da concerto, sale cinematografiche, live-club ma “esclusivamente con posti a sedere preassegnati e distanziati e a condizione che sia comunque assicurato il rispetto della distanza interpersonale di almeno un metro sia per il personale, sia per gli spettatori che non siano abitualmente conviventi. La capienza consentita non può essere superiore al 25 per cento di quella massima autorizzata e, comunque, il numero massimo di spettatori non può essere superiore a 400 per spettacoli all’aperto e a 200 per spettacoli in luoghi chiusi, per ogni singola sala”.

PARRUCCHIERI E BARBIERI – Novità rispetto al precedente Dpcm è che barbieri e parrucchieri resteranno chiusi in zona rossa. 

SPORT – Resta il divieto di apertura per palestre e piscine. In zona gialla e arancione resta consentito svolgere attività sportiva o motoria all’aperto “purché comunque nel rispetto della distanza di sicurezza interpersonale di almeno due metri per l’attività sportiva e di almeno un metro per ogni altra attività”. Diversa la situazione in rossa dove è consentita l’attività motoria solo in prossimità della propria abitazione sempre nel rispetto della distanza di almeno un metro da ogni altra persona e con obbligo di utilizzo di dispositivi di protezione delle vie respiratorie.

CENTRI COMMERCIALI – I centri commerciali sono chiusi nelle giornate festive prefestive in tutta Italia, a prescindere dal colore della Regione. In zona rossa, inoltre, sono chiusi i mercati, “salvo le attività di vendita di soli generi alimentari, prodotti agricoli e florovivaistici”.

DISCOTECHE E FESTE – Discoteche ancora chiuse in tutta Italia, così come le feste restano vietate anche in fascia bianca. 

EMERITOCRAZIA. Marco Travaglio per il "Fatto quotidiano" il 3 marzo 2021. Non so voi, ma io sono seriamente preoccupato per l'emerito Sabino Cassese, scomparso dai radar da alcuni giorni: più o meno da quando, dopo l'annuncio "Mai più Dpcm, solo decreti", si è saputo che Draghi stava per firmare il primo Dpcm, che conferma e anzi inasprisce l'ultimo di Conte. Sappiamo bene quali atroci sintomi provochi ciascun Dpcm al fisico del pur arzillo Cassese: arrossamenti cutanei, orticarie, eczemi, bolle, piaghe da decubito. Tant'è che si sospettava che quel diavolo di Conte ne sfornasse a getto continuo per farlo soffrire. […] Ora però il governo Draghi - buono per definizione perché non è presieduto da Conte e recluta protégé di Cassese come se piovesse (da Mattarella jr. alla Cartabia) - ha un'ottima occasione per rimediare. Come? "Condividendo dati e valutazioni con la conferenza Stato-regioni, preparando insieme le decisioni e monitorando congiuntamente la loro esecuzione". Proprio come faceva Conte all'insaputa di Cassese. […] proprio quando servirebbe un Cassese con la consueta grinta per avviare anche Draghi alla colonia penale anzi in Siberia per abuso e usurpazione di poteri, l'Emerito scompare. Si chiami dunque Chi l'ha visto?, si mobiliti il soccorso alpino, si sciolgano i cani da valanga. O almeno un altro generale degli Alpini.

Tommaso Rodano per il "Fatto quotidiano" il 3 marzo 2021. Orrore! Il Dpcm di Draghi somiglia terribilmente al Dpcm di Conte. Non solo è lo stesso strumento normativo - anche se tacciono le legioni di politici e giuristi in ansia per la tenuta democratica - ma sono proprio spiccicati: stessi colori, stessi paragrafi, stesse formulazioni, stesse parole, contenuti quasi identici. […] L'ultimo Dpcm contiano del 14 gennaio 2021 era di 29 pagine suddivise in 14 articoli più 25 allegati. Il primo Dpcm del governo dei migliori è di 38 pagine, però divise in 57 articoli molto più snelli, con meno commi, suddivisi a loro volta in 7 capi riassuntivi. Per adesso la rivoluzione draghiana è una riorganizzazione degli spazi all' interno di un documento in pdf. […]

Monica Guerzoni e Fiorenza Sarzanini per corriere.it il 3 marzo 2021. Obbligo di mascherina e di mantenere la distanza, divieto di assembramento, coprifuoco dalle 22 alle 5: nel Dpcm firmato da Mario Draghi non cambiano le misure per il contenimento da Covid-19 in vigore dal 6 marzo al 6 aprile. Arriva una stretta decisa nelle zone rosse e non vengono previsti allentamenti per i locali pubblici la sera e per le piscine e le palestre, ancora chiuse senza una prospettiva di riapertura. Ma una deroga c’è e riguarda l’asporto delle bevande da enoteche e vinerie che in tutta Italia sarà consentito fino alle 22. La programmazione del governo prevede regole valide per un mese, anche se per i cinema e teatri si apre uno spiraglio fissato al 27 marzo. Quel giorno, se la curva epidemiologica lo consentirà, le sale potranno infatti essere riaperte al pubblico. Saranno ancora vietate le feste e chiuse le sale giochi e le discoteche anche in zona bianca, l’isola felice dove — con 50 nuovi contagi settimana ogni 100.000 abitanti per 21 giorni — ripartono le altre attività con mascherina e distanziamento. Sull’eventuale coprifuoco — che può anche essere abolito — deciderà invece un «tavolo tecnico».

Spostamenti. «Fino al 27 marzo 2021, sull’intero territorio nazionale è vietato ogni spostamento in entrata e in uscita tra i territori di diverse regioni o province autonome, salvi gli spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative o da situazioni di necessità ovvero per motivi di salute. È comunque consentito il rientro alla propria residenza, domicilio o abitazione».È anche « vietato ogni spostamento in entrata e in uscita dai territori in zona arancione e rossa» salvo che «comprovate esigenze». Per chi abita in zona arancione «è vietato ogni spostamento in un comune diverso». Per chi abita in zona rossa «sono vietati gli spostamenti».

Bar e ristoranti. La novità contenuta nel Dpcm prevede in tutta Italia «l’asporto fino alle 22 dalle enoteche o esercizi di commercio al dettaglio di bevande». Rimane «vietato il consumo sul posto». Le attività di «bar, pub, ristoranti, gelaterie, pasticcerie sono consentite dalle 5 alle 18» in zona gialla. A tavola solo in 4 «salvo che siano tutti conviventi». Dopo le ore 18 «è vietato il consumo di cibi e bevande nei luoghi pubblici e aperti al pubblico». È «sempre consentita la consegna a domicilio» e «fino alle 22 la ristorazione con asporto», con divieto di consumazione sul posto o nelle adiacenze. Per i bar «l’asporto è consentito esclusivamente fino alle ore 18». In zona arancione e rossa bar e ristoranti sono chiusi.

Attività. In zona gialla e in zona arancione i negozi sono aperti. Nelle «giornate festive e prefestive sono chiusi gli esercizi commerciali presenti all’interno dei mercati e dei centri commerciali, gallerie commerciali, parchi commerciali ed altre strutture ad essi assimilabili, a eccezione di farmacie, parafarmacie, presidi sanitari, lavanderie e tintorie, punti vendita di generi alimentari, di prodotti agricoli e florovivaistici, tabacchi, edicole e librerie». In zona rossa sono chiusi i negozi di abbigliamento, calzature e gioiellerie. Chiusi «i mercati, salvo la vendita di soli generi alimentari, prodotti agricoli e florovivaistici». In zona rossa sono chiusi parrucchieri, barbieri e centri estetici».

Visite. Chi vive in zona gialla «può andare dalle 5 alle 22 a casa di amici e parenti una sola volta al giorno, nei limiti di due persone ulteriori rispetto a quelle ivi già conviventi, portando con sé minori di 14 anni, persone disabili o non autosufficienti conviventi», rimanendo all’interno della regione di residenza. Chi vive in zona arancione può andare a far visita a parenti e amici in due e con minori di 14 anni, soltanto rimanendo all’interno del proprio comune di residenza. Le visite a parenti e amici sono vietate in zona rossa. «È fortemente raccomandato di non ricevere persone diverse dai conviventi, salvo che per esigenze lavorative o situazioni di necessità e urgenza».

I luoghi di vacanza. Si può andare nelle seconde case se si trovano in zona gialla e arancione. Può andare nella seconda casa «il nucleo convivente, ma solo se la casa è disabitata». Bisogna dimostrare di averne avuto titolo (proprietà o affitto) da una data antecedente al 14 gennaio 2021». Non si può andare nella seconda casa con amici e parenti. È vietato andare nelle seconde case se si trovano in zona rossa. Chi vive in zona rossa non può andare nelle seconde case anche se si trovano in fascia bianca, gialla o arancione perché ha il divieto di spostamento. Alcune ordinanze locali vietano lo spostamento nelle seconde case a chi vive in arancione scuro e l’ingresso a chi giunge da un’altra zona.

Sport e palestre. Sono «sospese le attività di palestre, piscine, centri natatori, centri benessere, centri termali». Sono invece consentite «l’attività sportiva di base e l’attività motoria in genere svolte all’aperto presso centri e circoli sportivi, pubblici e privati», ma «nel rispetto delle norme di distanziamento interpersonale e senza alcun assembramento». In zona arancione è consentita l’attività motoria e sportiva. In zona rossa le attività «anche se svolte nei centri sportivi all’aperto, sono sospese». È consentito «svolgere individualmente attività motoria in prossimità della propria abitazione con obbligo di mascherina e attività sportiva esclusivamente all’aperto e in forma individuale».

Cinema e teatri. In zona gialla «a decorrere dal 27 marzo 2021, gli spettacoli aperti al pubblico in sale teatrali, sale da concerto, sale cinematografiche, live-club e in altri locali o spazi anche all’aperto sono svolti esclusivamente con posti a sedere preassegnati e distanziati e a condizione che sia comunque assicurato il rispetto della distanza interpersonale di almeno un metro sia per il personale, sia per gli spettatori che non siano abitualmente conviventi». Secondo le nuove regole «la capienza consentita non può essere superiore al 25 per cento di quella massima autorizzata e, comunque, il numero massimo di spettatori non può essere superiore a 400 per spettacoli all’aperto e a 200 per spettacoli in luoghi chiusi, per ogni singola sala».

Musei e gallerie. In zona gialla «sono aperti al pubblico i musei e gli altri istituti e luoghi della cultura dal lunedì al venerdì, con esclusione dei giorni festivi, a condizione che detti istituti e luoghi, tenendo conto delle dimensioni e delle caratteristiche dei locali aperti al pubblico, nonché dei flussi di visitatori (più o meno di 100.000 l’anno), garantiscano modalità di fruizione contingentata o comunque tali da evitare assembramenti di persone e da consentire che i visitatori possano rispettare la distanza tra loro di almeno un metro». «Dal 27 marzo 2021, il sabato e i giorni festivi, nei musei e negli altri luoghi il servizio è assicurato a condizione che l’ingresso sia stato prenotato on line o telefonicamente con almeno un giorno di anticipo».

Viaggi dall'estero. Chi torna dall’estero «all’atto dell’imbarco deve presentare la certificazione di essersi sottoposto, nelle 48 ore antecedenti ad un test molecolare o antigenico, effettuato per mezzo di tampone e risultato negativo». Chi torna da Stati Uniti, Austria, Brasile, Regno Unito e Irlanda del nord è obbligato a sottoporsi «nelle 48 ore antecedenti all’ingresso nel territorio nazionale, ad un test molecolare o antigenico, effettuato per mezzo di tampone e risultato negativo». La quarantena per chi torna da questi Paesi rimane obbligatoria. A chi è stato in Brasile nei 14 giorni precedenti «è consentito l’ingresso in Italia anche per raggiungere domicilio, abitazione o residenza dei figli minori».

Draghi copia Conte: marzo blindato. Dpcm, le novità: divieto di uscire con febbre a 37.5 e barbieri chiusi in zona rossa. Redazione su Il Riformista il 26 Febbraio 2021. Parrucchieri e barbieri chiusi in zona rossa e il divieto di lasciare il proprio domicilio i soggetti con infezione respiratoria caratterizzata da febbre (maggiore di 37,5°). Sono le poche, sostanziali, novità del nuovo Dpcm che entrerà in vigore da sabato 6 marzo e sarà valido fino a martedì 6 aprile, due giorni dopo la domenica di Pasqua. Per il resto confermate le chiusure di palestre, piscine e impianti sciistici (che di fatto riapriranno direttamente a dicembre 2021). L’esecutivo guidato da Mario Draghi conferma la linea della prudenza, in continuità con il governo precedente guidato da Giuseppe Conte, con l’unica differenza di comunicare le decisioni prese agli italiani con qualche giorno di anticipo (dovrebbe essere firmato lunedì primo marzo, cinque giorni prima dell’entrata in vigore). Una linea del rigore dettata dall’aumento costante dei contagi e l’allarme degli scienziati sulle varianti, troppo veloci nella trasmissione del virus tra i giovani. Il testo del decreto, nella serata di venerdì 26 febbraio, è arrivato sul tavolo della Conferenza delle Regioni e degli enti locali, che lo esamineranno per poi consegnare le proprie osservazioni all’esecutivo entro sabato mattina. Intanto i ministri Gelmini e Bianchi, titolari degli Affari regionali e dell’Istruzione, hanno portato all’attenzione della cabina di Regia di palazzo Chigi la richiesta, avanzata dai governatori, di affidare proprio agli scienziati una valutazione del rischio varianti nelle scuole di ogni ordine e grado. SCUOLE APERTE – La linea del governo, e soprattutto di Draghi, è quella di mantenere aperte le scuole (oggi c’è stato l’annuncio del governatore campano Vincenzo De Luca della chiusura degli istituti a partire da lunedì primo marzo) e non riconsegnare gli alunni alla Dad. La scuola resta dunque in presenza per gli alunni dell’infanzia, delle elementari e delle medie mentre per quelli delle superiori la didattica e’ in presenza almeno al 50% e fino ad un massimo del 75%. Il percorso sembra ancora molto incidentato tra l’incognita varianti e un piano vaccinale da far ripartire.

MUSEI, TEATRI E CINEMA APERTI DAL 27 – Un’altra novità  è rappresentata a fine mese, dal 27 marzo, dall’apertura di cinema, teatri e sale da concerto, che dovranno seguire precise condizioni per contrastare anti-Covid 19. Il servizio di apertura al pubblico dei musei e degli altri istituti e luoghi della cultura sarà assicurato, dal lunedì al venerdì, con esclusione dei giorni festivi, a condizione che detti istituti e luoghi, tenendo conto delle dimensioni e delle caratteristiche dei locali aperti al pubblico, nonché dei flussi di visitatori (piu’ o meno di 100.000 l’anno), garantiscano modalità di fruizione contingentata o comunque tali da evitare assembramenti di persone e da consentire che i visitatori possano rispettare la distanza tra loro di almeno un metro. Il sabato e i giorni festivi il servizio è assicurato a condizione che l’ingresso sia stato prenotato on line o telefonicamente con almeno un giorno di anticipo.

STOP BARBIERI ZONA ROSSA – Nelle zone rosse, invece, serrande abbassate per barbieri e i parrucchieri, che invece restavano aperti con il precedente provvedimento.

A CASA CON FEBBRE – “I soggetti con infezione respiratoria caratterizzata da febbre (maggiore di 37,5 ) devono rimanere presso il proprio domicilio, contattando il proprio medico curante” si legge nella bozza.

CAMBI DI COLORE A PARTIRE DAL LUNEDì – Cambia il metodo di comunicazione con gli eventuali cambi di fascia che saranno attivi dal lunedì (e non dalla domenica come la scorsa settimana), per salvare i ricavi dei weekend delle attività commerciali. Restano chiuse palestre, piscine, centri benessere e termali, tranne quelli che rientrano nei livelli essenziali di assistenza. Confermato il coprifuoco dalle 22 . Regolata invece dal decreto Covid la mobilità tra regioni che resta vietata come la visita a parenti – concessa durante il periodo natalizio – per chi vive in zona rossa.

TAVOLO PER REVISIONE PARAMETRI – “Al fine di dare attuazione agli indirizzi forniti dalle Camere” “con decreto del Ministro della salute è istituito presso il medesimo Ministero un tavolo tecnico di confronto, composto da rappresentanti del Ministero della salute, dell’Istituto Superiore di Sanità, delle Regioni e delle Province autonome su designazione del Presidente della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, nonché da un rappresentante del Ministro per gli affari regionali e le autonomie, con il compito di procedere all’eventuale revisione o aggiornamento dei parametri per la valutazione del rischio epidemiologico individuati dal decreto del Ministro della salute 30 aprile 2020”.E’ quanto si legge nella bozza del nuovo Dpcm che LaPresse ha potuto visionare.

Visite, spostamenti, zone rosse: ecco il primo decreto di Draghi. La decisione del Cdm: in zona rossa vietate anche le visite a parenti e amici. Questa possibilità resta solo per chi si trova in fascia gialla o arancione. Valentina Dardari - Lun, 22/02/2021 - su Il Giornale. Nella mattinata di oggi, lunedì 22 febbraio, il Consiglio dei ministri ha approvato un nuovo decreto Covid. Prorogato il divieto, in scadenza giovedì 25 febbraio, di spostarsi da una regione all’altra almeno fino al prossimo 27 marzo. Per chi si trova in fascia gialla o arancione resterà in vigore fino a venerdì 5 marzo il decreto che rende possibile spostarsi, una sola volta nelle 24 ore, per raggiungere un'altra abitazione privata abitata, tra le 5 e le 22, ovvero non in orario di coprifuoco. A spostarsi potranno essere al massimo due persone, con “minori di anni 14 sui quali tali persone esercitino la potestà genitoriale e con persone disabili o non autosufficienti conviventi”. Questa deroga perde però potere nelle zone rosse, nelle quali infatti sarà anche vietato fare visita a parenti e amici. Gli spostamenti oltre i confini regionali saranno possibili con autocertificazione solo per comprovate necessità lavorative, di salute o situazioni di emergenza. Il ritorno alla propria abitazione o residenza o domicilio sarà sempre consentito.

Da “il Messaggero” l'1 febbraio 2021. Aumentano la tensione e la frustrazione in Europa contro le restrizioni anti coronavirus. In diverse capitali, migliaia di no-vax e negazionisti hanno sfidato i divieti per protestare contro quelle che ritengono norme troppo oppressive e limitanti della libertà personale.

BELGIO. Ieri a Bruxelles, dove è stato introdotto il coprifuoco notturno e disposta la chiusura di bar e ristoranti, erano in programma due manifestazioni, vietate dalle autorità per i rischi legati all' aggressività delle nuove varianti del Covid. Centinaia di persone, rispondendo agli appelli sui social, si sono date appuntamento alla stazione centrale e alla gare du Nord. Ad attenderle c' era un vasto schieramento di agenti in assetto anti-sommossa, che ha sgomberato le piazze ed eseguito numerosi fermi: 488. Tra loro anche ultrà di calcio, venuti in città armati di coltelli e bengala. Un altro raduno è stato disperso all' Atomium.

OLANDA. Nella vicina Olanda ci sono stati cortei in diverse città, tra cui Amsterdam, nella centrale Museumplein. La polizia ha rimandato a casa circa 600 persone e ne ha arrestate una trentina. Niente di paragonabile alla guerriglia dei giorni scorsi in tutte le grandi città e in centri minori.

AUSTRIA. Più pesante la situazione a Vienna, dove si sono verificati scontri con la polizia in tenuta antisommossa durante una manifestazione, non autorizzata, dell' estrema destra. Erano circa cinquemila nella piazza del centro, vicina agli uffici del cancelliere Kurz e del presidente Van der Bellen. Le autorità avevano vietato numerose proteste programmate per lo scorso fine settimana, inclusa quella del Partito della Libertà, sottolineando come nella maggior parte dei casi i manifestanti non rispettassero le regole sul distanziamento sociale. Il 26 dicembre l' Austria è entrata nel suo terzo lockdown nazionale, con negozi non essenziali e molte altre attività chiuse. Ieri la polizia ha impedito al corteo, composto anche da neonazisti, di sfilare per i viali del Ring ed ha fermato diverse persone. L' ultradestra del Fpoe aveva promosso la protesta, definendo il terzo lockdown imposto dal governo dei popolari e dei verdi «scandaloso».

UNGHERIA. A Budapest la polizia ha disperso la folla a una manifestazione, dove i lavoratori del settore dell' ospitalità, uno dei più in difficoltà del paese, hanno invocato la disobbedienza civile e un ripensamento delle restrizioni durante il lockdown. All' iniziativa hanno preso parte anche proprietari e lavoratori dei ristoratori. Nella capitale ungherese almeno 100 locali hanno annunciato che riapriranno, nonostante il governo abbia minacciato multe salate.

Seneca insegna: la vita va vissuta non solo protetta. Seneca ha una vita favolosa, politico, scrittore, filosofo e soprattutto maestro di Nerone. Nicola Porro, Domenica 17/01/2021 su Il Giornale. A qualcuno potrà apparire ridicolo, anche perché chi scrive queste note nella Biblioteca liberale non ha certo la presunzione di essere colto. La lettura è fatta alla rinfusa: non esattamente il primo libro che capita, ma il primo liberale sì. E allora Seneca che c'entra? Niente. Ma l'arte di vivere e le sue sagge Lettere a Lucilio (la mia versione è quella mitica della Bur) non possono, diavolo, essere fonte di ispirazione solo per i Baci Perugina. Seneca ha una vita favolosa, politico, scrittore, filosofo e soprattutto maestro di Nerone. Quest'ultimo lo condannerà poi al «suicidio» che, narra la leggenda, sarà faticoso e dunque epico. E proprio da Seneca ci dobbiamo sentir dire: «Fa che io non fugga la morte e intanto non mi sfugga vanamente la vita. Confortami di fronte alle difficoltà, di fronte all'inevitabile, allunga la brevità del mio tempo, insegnandomi che il bene della vita non consiste nella sua durata, ma nell'uso che se ne fa, e può avvenire, anzi molto spesso avviene, che proprio chi sia vissuto a lungo sia vissuto poco». Vabbè Seneca ce l'ha con i ricconi patrizi del suo tempo, dediti all'ozio, senza passioni e letture, sfruttatori di schiavi che non considerano uomini; gli stessi che lo hanno prima idolatrato e poi esiliato. «La verità - diceva Euripode - ha un linguaggio semplice e non bisogna complicarlo». E la verità è che oggi noi viviamo «fuggendo la morte» che potrebbe portarci il virus, e nel frattempo bruciamo la nostra vita. E vale per tutte le età. Per i più anziani, per i quali un anno di vita a novant'anni ha un valore relativo altissimo, e per i più giovani che pensano, a buon ragione, che ciò che perdono non gli ritornerà più indietro. E nessuno parla un linguaggio semplice di verità: chi stiamo proteggendo? A quale prezzo? Chi ne paga le conseguenze più gravi? E ancora, sono tutti davvero disposti a fuggire dalla vita, per scansare la morte? Certo non ci prendete troppo sul serio. Seneca si prende sul serio. Detesta addirittura perdere tempo negli spettacoli di metà pomeriggio, perché li considera volgari, è un saggio. Odia Epicuro e lo cita ad ogni lettera per un motivo molto semplice e bellissimo: «ho infatti l'abitudine di passare in campo altrui, ma come esploratore, non come disertore».

C'è qualcuno là fuori nel giornale unico del virus e nel pensiero unico della pandemia, che abbia mai fatto un'esplorazione nel campo di chi pensa che la vita vada vissuta e non solo protetta?

Il lockdown senza fine, ovvero come abituarsi al golpe permanente. Il Dubbio il 29 gennaio 2021. L’atto d’accusa del penalista francese Arié Alimi, autore del libro-pamphet “Le Coup d’état d’urgence”. «Hanno manomesso la democrazia e distrutto lo Stato di diritto, sostituendo il soggetto giuridico con il soggetto- virus». Sono parole pesantissime quelle di Arié Alimi, avvocato penalista francese, militante della Ligue des droits de l’homme (Ldh) e autore del pamphlet Le Coup d’état d’urgence – Surveillance, répression et liberté. Alimi lancia un atto d’accusa nei confronti del potere politico e giudiziario e delle misure di contrasto della pandemia da coronavirus che, da quasi 12 mesi, hanno portato alla sospensione di fatto della democrazia, permettendo di instaurare in tutta la Francia una specie di «Stato di polizia». Lo testimoniano le decine di clienti che ha difeso nell’ultimo anno, persone rimaste vittime di abusi e violenze da parte delle forze dell’ordine, quasi sempre poveri, immigrati, senza tetto, sgomberati a colpi di manganello dai ripari di fortuna dei sobborghi metropolitani, additati come “untori”, trattati peggio di pericolosi terroristi. Un’emergenza sanitaria che ha permesso di realizzare in sordina un “colpo di Stato permanente” parafrasando la definizione che François Mitterrand diede delle istituzioni golliste della Quinta Repubblica ( salvo poi approfittarne in pieno quando divenne lui il presidente). E la Francia nell’ultimo decennio è stata un laboratorio della repressione e della legislazione d’emergenza, la sua polizia troppe volte protagonista di violazioni e abusi di potere. Secondo Alimi la stretta autoritaria che sta vivendo il suo paese viene da lontano, almeno dai provvedimenti antiterrorismo che hanno seguito gli attacchi da parte dei jihadisti affiliati ad al Qaeda o all’Isis. Gli attentati alla redazione di Charlie Hebdo, al Bataclan, sul lungomare di Nizza oltre a lasciare dietro di loro una lunga scia di sangue hanno avuto l’effetto collaterale di sfibrare le garanzie e le libertà democratiche con l’implicito consenso da parte dei cittadini storditi e impauriti. E la ferocia con cui le forze di sicurezza transalpine hanno inscenato la caccia all’uomo è stata direttamente proporzionale alla loro incapacità nell’individuare in tempo i veri responsabili degli attacch, quasi sempre individui già noti ai servizi di intelligence d’oltralpe: «Nel 2015 ho assistito una quindicina di persone colpite dalle misure dello stato d’emergenza proclamato dal presidente socialista Hollande. Erano tutti musulmani praticanti, estranei a qualsiasi gruppo radicale: sono stati intercettati, perquisiti, hanno subito blitz notturni con la porta sfondata a colpi di ariete, malmenati davanti ai propri figli, messi agli arresti domiciliari. Nessuno di loro è stato poi condannato per reati associati al terrorismo, semplicemente perché si trattava di fermi e arresti illegali compiuti senza lo straccio di una prova. I risarcimenti invece sono stati simbolici se non inesistenti», scrive Alimi. Che denuncia l’indifferenza e la sciatteria con cui i media parlano di questi abusi: «Quando vengono mostrate le immagini di un uomo che viene arrestato con brutalità e trascinato via in manette il condizionamento mediatico e sociale ce lo fanno percepire come qualcuno che merita quel trattamento. È molto difficile provare empatia, sentire il dolore, le sofferenze, il trauma di qualcuno sbattuto in prima pagina come fosse un mostro». L’obbligo di rimanere confinati nel proprio domicilio ha riguardato migliaia di sospetti durante le inchieste sugli attentati jihadisti, di solito il confinamento è di 12 ore, dalle 8 di sera alle otto del mattino con obbligo diurno di firma al commissariato più vicino. Alimi è convinto che tra quel sistema di confinamento temporaneo riservato ad alcune categorie specifiche della popolazione e l’odierno lockdown ci sia una chiara continuità, non necessariamente una strategia voluta ma un rapporto oggettivo: «In pochi lo hanno fatto notare, ma c’è una stretta relazione giuridica e politica tra l’ondata di arresti domiciliari del 2015 e l’odierno lockdown. La legge sullo stato d’emergenza sanitario come quella sullo stato d’emergenza anti terrorismo è stata prorogata dal governo in modo indefinito, di decreto in decreto, hanno seguito lo stesso metodo». Dispositivi giuridici speciali che, oltre ad alterare il diritto comune, diventano strumenti di sospensione permanente delle libertà individuali e collettive. Il ragionamento di Alimi tocca poi il cuore filosofico- giuridico del problema, il rapporto tra gli individui e lo Stato, tra la necessità e la libertà: «Il meccanismo essenziale del passaggio dallo stato ordinario a quello emergenziale riguarda il cambiamento della nozione di individuo; nel diritto comune siamo soggetti giuridici, abbiamo protezioni e garanzie, abbiamo diritto a rimanere in silenzio, a consultare il nostro fascicolo a disporre di un avvocato quando finiamo sotto accusa. Con lo scoppio della pandemia e il confinamento generalizzato di tutta la popolazione il soggetto giuridico, che è una finzonie atta a difenderci dalla macchina dello Stato, diventa improvvisamente un soggetto biologico passibile di contagiarsi e di contagiare tutti gli altri, un “soggetto- virus”. Quest’ultimo non dispone più di alcun diritto è una vera e propria preda dell’onnipotenza dello Stato, spogliato delle sue prerogative democratiche elementari, della propria intimità, del proprio habeas corpus». Il presupposto della stretta securitaria è la protezione della popolazione da un nemico letale e impalpabile come il Sars cov- 2 che da un anno flagella il pianeta e colpisce più o meno tutte le democrazie mondiali. Ma in Francia più che altrove le conseguenze di questa fuga in avanti ( o piuttosto di ritorno all’indietro) dello Stato di diritto rischiano di diventare un corredo fisso della vita civile, di venire incorporate dai nostri ordinamenti e dalla stessa opinione pubblica. La psicologia si massa si adatta in fretta al nuovo quadro emergenziale, che, come sottolinea Alimi, prende in esame i comportamenti e le stesse intenzioni, una semplice passeggiata nei pressi della propria abitazione è così associata a un attentato alla salute collettiva, il divieto di assembramento si estende concettualmente all’attività politica di base, una manifestazione di protesta garantita dalla costituzione può in questo modo venire liquidata come un’adunata sediziosa e trattata come tale. «È un movimento a macchia d’olio che progressivamente invade tutti gli spazi democratici; sei anni fa si è iniziato a colpire i musulmani e qualche piccolo gruppo di militanti politici, con le misure di confinamento domiciliare, si è proseguito nel 2018 contro migliaia di partecipanti alle manifestazioni dei gillet gialli è infine si è arrivati a questo stato d’emergenza sanitario che ora si applica a tutti i cittadini residenti in Francia. Il confinamento generale come modello di governo sta facendo a pezzi lo Stato di diritto e molto poche sono le voci di protesta»

Con questa pandemia anche la nostra Costituzione è stata indebolita…Alessandro Parrotta su Il Dubbio il 28 gennaio 2021. Con la sentenza del 18 novembre 2020, n. 278, la Corte Costituzionale ha ritenuto infondate le questioni di illegittimità costituzionale sollevate a più battute in ordine alla sospensione dei termini di prescrizione così come disposta dall’art. 83, comma 4, del Decreto Legge n. 18 del 2020. Nelle sue intenzioni il decreto, volendo far fronte alla crisi pandemica in atto, ha deciso di congelare tutte le attività del settore Giustizia, disponendo la sospensione dei processi dal 9 marzo us all’ 11 maggio del 2020. L’effetto freezer andava applicandosi, ancorché in forza di una legge intervenuta a posteriori, anche a fatti antecedenti la data di entrata in vigore del decreto, con un evidente vulnus del principio di legalità penale. In particolare, la pronuncia nel respingere le censure elevate, ammette la sospensione in utilizzando quale “Cavallo di Troia” l’art. 159 c. p. p., per il quale «il corso della prescrizione» rimane sospeso «ogni qualvolta la sospensione del procedimento o del processo penale sia imposta da una particolare disposizione di legge». Secondo la Consulta, infatti, l’art. 159 c. p. p. consentirebbe al Dpcm 18/ 2020 e 23/ 2020 di eludere il principio di legalità, rectius rispettarlo, perché giustificato dal comma 1 del summenzionato articolo. Si legge infatti nella sentenza che l’art. 159 c. p. p. «rispetta il principio di legalità di cui all’art. 25, secondo comma, Cost., avendo un contenuto sufficientemente preciso e determinato, aperto all’integrazione di altre più specifiche disposizioni di legge, le quali devono comunque rispettare – come si dirà infra al punto 14 – il principio della ragionevole durata del processo ( art. 111, secondo comma, Cost.) e quello di ragionevolezza e proporzionalità ( art. 3, primo comma, Cost.)». Ed è in questo frangente che entra in campo la ragionevole durata del processo che non verrebbe minacciata da una semplice sospensione di pochi mesi. Parimenti rispettato il principio di ragionevolezza, dal momento che la norma interverrebbe per far fronte ad una situazione emergenziale del tutto imprevedibile, singolare e per certi versi traumaticamente ingravescente, che pone in risalto la tutela di un interesse altrettanto meritevole di protezione: la salvaguardia della salute pubblica. Infine il provvedimento è stato giudicato proporzionale – ai sensi dell’art. 3 Cost. – in quanto il congelamento di tutti i termini procedimentali comporta un equilibrio di tutti gli interessi in gioco. Infatti la stasi procedimentale è valida per tutte quante le parti del procedimento: «la pubblica accusa, la persona offesa costituita parte civile e l’imputato. Come l’azione penale e la pretesa risarcitoria hanno un temporaneo arresto, così anche, per preservare l’equilibrio della tutela dei valori in gioco, è sospeso il termine di prescrizione del reato per l’indagato o l’imputato». Tuttavia in merito a quest’ultimo aspetto va sottolineato che, se da un lato è vero come, almeno proceduralmente, è rispettato l’equilibrio e parità delle parti, non è altrettanto vero che simile bilanciamento intervenga in toto anche dal lato più propriamente sostanziale. La Corte Costituzionale, infatti, omette di evidenziare che il tempo nel quale l’imputato è costretto a trovarsi in virtù della sua condizione, viene inevitabilmente prolungato per scelte, sì condivisibili, ma non giustificabili, dal punto di vista giuridico- sostanziale. La Consulta, insomma, nel rilevare la sussistenza del criterio di “proporzionalità”, non si pone nell’ottica di chi vede il giorno del proprio giudizio sempre più lontano. La criticità era già stata sollevata da chi scrive allorquando si parlò del venir meno dell’istituto della prescrizione con l’effetto a catena del “fine processo mai”. Vi è di più. Ad un occhio allenato non può sfuggire che tale sentenza risulta confliggente con le stesse pronunce della Corte, in particolare con la cd. sentenza “Taricco”, allorquando la Consulta affermava con forza che la prescrizione, quale principio di carattere sia procedurale, ma soprattutto sostanziale, non può soffrire eccezioni. Un Giano Bifronte che guarda al passato ed al futuro quindi? La prescrizione, in allora, veniva incasellata tra tutta una serie di garanzie, tra cui la tassatività, irretroattività, garanzie che oggi parrebbero venir meno. Ne consegue che, l’art. 159 c. p. p., pur essendo stato ritenuto idoneo ad aprire le porte del sistema nei suddetti termini, non è di per sé solo sufficiente, essendo stato il decreto valutato, in subordine, alla luce di ulteriori principi. D’altra parte, è corretto evidenziarlo, il precedente sì creato ha di fatto scalfito quello che fino alla sentenza “Taricco” era uno dei supremi principi dell’ordinamento, ponendo in luce la verità che, ogni principio, anche quelli più elevati nella gerarchia costituzionale, possono venire meno avanti a situazioni di necessità. La pandemia, insomma, ha cancellato la certezza che principi immutabili siano tali, ponendo in luce l’evidenza che anche i presidi più inscalfibili possono essere declassati qualora ve ne siano altri – come la tutela della salute collettiva – sottoposti a rischio. L’esigenza di tutelare il bene primario della salute costringe a realizzare un ragionevole bilanciamento tra diritti fondamentali, nessuno dei quali può essere assoluto e inderogabile. Evidente appare il piegarsi del dogma ad esigenze di carattere pragmatico, mettendo a rischio quell’immutabilità di cui la Costituzione da sempre gode, o dovrebbe godere, quale tutela dei diritti di tutti. Ammettere infatti una flessibilizzazione della Carta costituzionale per renderla più accomodante alle esigenze della realtà storica, se da un lato comporta una più agevole capacità di affrontare le emergenze, dall’altra rende il testo costituzionale meno forte a mantenere il ruolo per cui è stato creato che è la tutela dei diritti fondamentali, soprattutto in stagioni di emergenza. A parere di chi scrive, la Consulta pur entrando nettamente in conflitto con il principio di legalità ex art. 25 Cost. e creando per certi versi il precedente di retroattività della legge penale, non apporta eccessivi cambiamenti interni al sistema: è pacifico ritenere che la Consulta sia perfettamente consapevole delle motivazioni e della loro portata e, anzi, è assolutamente probabile la Corte sia solamente mossa da ragioni di estrema necessità, quale la battaglia al Covid- 19 che porta, con lo sforzo di tutti, una tutela rafforzata a salvaguardia degli interessi di salute del Paese.

Le incertezze popolano la nostra vita. La pandemia ci ha condannato ad un’inguaribile Limbo. Lucrezia Ercoli su Il Riformista il 28 Gennaio 2021. Vi è un luogo di sospiri che fanno tremare l’aria eterna. Un dolore insopportabile per l’eternità, non provocato da pene fisiche, ma insostenibile nell’animo. Un malanimo che sale da una folla addolorata «d’infanti e di femmine e di viri». Gente che «sanza speme vive in disio» e che staziona nel luogo più buio della Divina Commedia, gente di molto valore «che ’n quel Limbo eran sospesi». Il Limbo, dal latino limbus “orlo, bordo”; di più non sappiamo di questa parola di origine sconosciuta. Un bordo, un margine, un orlo, un limite. Un al di qua e un al di là del fiume Acheronte, le acque destinate per l’eternità a separare il mondo dei vivi dagli inferi. Una soglia che ha rappresentato, in tutte le culture del mondo occidentale, la transizione dalla vita alla morte, il primo viaggio senza ritorno verso l’Oltretomba. Il termine e il luogo non li ha coniati Dante, anche se all’inizio del Trecento il Limbo era stato inventato da poco. Questo inferno più mite, maturato a partire dall’espressione limbus inferni usata dai teologi occidentali alla fine del XII secolo, racconta il «destino dell’umanità non battezzata ma innocente: un’umanità il cui statuto divenne così residuale» come scrive Chiara Franceschini nella sua imponente e documentata Storia del limbo, da Agostino a Lutero. La teologia scolastica concettualizza il limbo dei padri (limbus patrum) e il limbo dei bambini (limbus puerorum). Il limbo non fu una invenzione da poco, perché aiutava a risolvere la difficoltà secolare del mondo cristiano di decifrare l’anomalia della morte senza battesimo, dai neonati innocenti alla «gente di molto valore», dai profeti dell’Antico Testamento ai grandi dell’antichità. In un sol colpo rasserenava la nevrosi ossessiva dei credenti che finalmente trovavano una risposta a interrogativi insormontabili (che poi tali sono rimasti) sulla storicità della figura di Cristo. Che fine avrebbero fatto tutti quelli che per motivi geo-anagrafici non avevano avuto occasione di essere cristiani? Un dubbio lancinante nella logica consequenziale dei credenti. Inferno, purgatorio o paradiso? Nessuno dei tre, ma un quarto aldilà, dove collocare i buoni non-cristiani, non-battezzati, morti dopo una vita esemplare, tanto da non dannarsi, ma senza il requisito irrinunciabile per aspirare al Paradiso. Una collocazione geniale che sistemava in un colpo solo passato e presente e incentivava in maniera formidabile quel rimedio rappresentato dal battesimo in minore età. Da allora, consenzienti e non consenzienti, ci si iscrive appena possibile all’anagrafe dei beati. La questione, in realtà, viene da lontano e non è una prerogativa della teologia medievale. Lo stesso Virgilio, che rimane pur sempre l’intellettuale di riferimento, sul Limbo fa da apripista e descrive bene l’infelice condizione dei bambini nell’Ade nel sesto libro dell’Eneide. Enea, accompagnato dalla Sibilla, supera il fiume Stige e ode il lamento di quei neonati che una funesta sorte ha portato alla tomba. Il “limine primo” virgiliano è una regione speciale dell’Oltretomba dove sono sistemati i bambini, quando «un nero giorno li strappò, privi della dolce vita e, rapiti dalla poppa, li sommerse con morte acerba». Insomma il Limbo non lo ha inventato Dante, ma sono le sue parole a configurare il concetto che ce ne siamo fatti. Non vi è dubbio che il modo in cui usiamo questa parola è condizionato in maniera decisiva dai versi nel IV canto dell’Inferno della Divina Commedia. Una immagine ben consolidata nel senso comune e nella consapevolezza collettiva, durata ben sette secoli, fino allo sfratto dei giusti dal nobile castello sulle rive dell’Acheronte decretato dal documento papale di Benedetto XVI del gennaio 2007 che lascia cadere quella che è sempre stata soltanto “un’ipotesi teologica”, dopo il rapporto di 41 pagine della Commissione teologica internazionale dal titolo La speranza della salvezza per i bambini che muoiono senza battesimo. Un “problema pastorale urgente” perché i casi sono “in aumento” e riguardano anche le “vittime di aborti”. La tramandata immagine di un luogo dove i non battezzati vivono per l’eternità, privati della comunione con Dio, inaridisce il cuore: «la Grazia ha priorità sul peccato». La chiesa spera addirittura in una soluzione più comprensiva, perché un quarto aldilà riflette una «visione eccessivamente restrittiva della salvezza». Comunque non è facile privarsene del tutto, perché si tratta pur sempre di «motivi di speranza nella preghiera, e non di elementi di certezza». La chiesa dunque lo abolisce, ma non lo sostituisce. Il Limbo è stato escluso dalle verità di fede, ma non esce definitivamente di scena e continua a dar forma al nostro immaginario. La visione del «primo cerchio che l’abisso cigne» rimane potente e soprattutto indimenticabile. Non tanto la descrizione del luogo e delle sue caratteristiche, quanto la situazione dei suoi ospiti. Dante coraggiosamente si schiera a favore della salvezza dei pagani e degli infedeli disinteressati vissuti anche dopo il sacrificio di Cristo. Relega al margine i bambini e pone al centro i non cristiani virtuosi. Ma tralasciamo i tanti particolari che hanno eccitato il voyeurismo dei lettori sulla passerella di celebrità che stazionano ai confini del mondo dei morti e occupiamoci della loro condizione interiore rileggendo i versi di Dante. «Per tai difetti, non per altro rio,/ semo perduti, e sol di tanto offesi che sanza speme vivemo in disio/ Gran duol mi prese al cor quando lo ’ntesi,/ però che gente di molto valore/conobbi che ’n quel Limbo eran sospesi». La rappresentazione dantesca non descrive una condizione fisica, di dolore, ma psichica, di attesa. La chiave sta proprio nell’aggettivo “sospeso”, parola ripetuta nella Commedia sempre per le anime del Limbo, e che rimane risolutiva nel nostro modo di immaginarlo. Una sospensione atemporale, una incertezza permanente, un’attesa irrimediabilmente perduta. Una aspettativa sfiduciata della futilità di ogni speranza. Forse lo stoicismo degli antichi ci aiuta a comprendere il malessere di questa disperazione perché, come scrive Seneca, «i mali incerti sono quelli che ci tormentano di più». Le incertezze delle anime dei giusti che popolano il Limbo ci sono vicine e comprensibili; avvertiamo nei loro lamenti e nei loro sospiri qualcosa di molto terreno e di molto umano. Sentiamo l’insicurezza delle anime dei giusti vicina alla nostra inquietudine e nessuno è riuscito a spiegarlo meglio di Blaise Pascal: «Sempre in balia dell’incertezza, spinto da un estremo all’altro, l’uomo sente la sua nullità, la sua disperazione, la sua insufficienza, la sua dipendenza, la sua debolezza e salgono immediatamente dal profondo del suo cuore la noia, la melanconia, la tristezza, il cattivo umore, l’irritazione, la disperazione». È questa l’immagine del Limbo che sopravvive nella contemporaneità, l’età dell’instabilità in cui tutte le verità vacillano e tutte le certezze si incrinano, l’epoca di «limbes insondés de la tristesse» nelle parole di Baudelaire che voleva intitolare proprio Les limbes la sua raccolta di “fiori del male”. Siamo noi «color che son sospesi» nel limbo dell’incertezza, alla ricerca di una felicità stabile che – come ha scritto il teorico della società liquida Zygmunt Bauman che proprio all’età dell’incertezza ha dedicato uno dei suoi saggi più belli – «sembra rimanere costantemente a una certa distanza da noi: come un orizzonte che, come tutti gli orizzonti, si allontana ogni volta che cerchiamo di avvicinarsi a esso». E oggi più che mai sospiriamo malinconici, vinti da speranze vane e desideri insoddisfatti, prigionieri di un mondo sospeso e in attesa di un futuro fosco. Il nostro limbo assomiglia sempre di più alla descrizione della voragine infernale dantesca: «Oscura e profonda era e nebulosa, tanto che, per ficcar lo viso a fondo, io non vi discernea alcuna cosa». Nel nostro «nobile castello sette volte cerchiato d’alte mura» ha «un bel fiumicello» e «un prato di fresca verdura», ma fuori l’orizzonte è avvolto da una fitta nebbia, sempre più impenetrabile. Il lamento sale dai nostri smartphone e si diffonde nell’etere: la pandemia ci ha inchiodato in una condizione impotente e “sanza speme”, ha condannato un’intera generazione a un’inguaribile e languida forma di depressione. A proposito di stati depressivi, non è un caso che proprio ad apertura del testo più celebre della psicanalisi, Sigmund Freud elegga Virgilio a tutore del suo viaggio nella psiche umana, ponendo a esergo de L’interpretazione dei sogni un verso dell’Eneide: «Flectere si nequeo superos, Acheronta movebo»: «Se non potrò piegare gli dei celesti, muoverò l’Acheronte». Il messaggio è chiaro. Il Limbo esiste ancora ed è affollatissimo. Solo che dall’epoca di Dante si è spostato il fiume, dall’aldilà dei morti all’al di qua dei vivi. I lamenti e i sospiri provengono da noi, il Limbo è casa nostra.

Il circo folle delle chiusure. Vien da pensare che forse questo è davvero il virus più pazzo del mondo. Anzi, forse a essere diventati pazzi siamo proprio noi, almeno a cercar di inseguire questo caleidoscopio di colori con cui il governa cerca di vestire i nostri arresti domiciliari. Giannino Della Frattina, Domenica 17/01/2021 su Il Giornale. Vien da pensare che forse questo è davvero il virus più pazzo del mondo. Anzi, forse a essere diventati pazzi siamo proprio noi, almeno a cercar di inseguire questo caleidoscopio di colori con cui il governa cerca di vestire i nostri arresti domiciliari e le troppe lingue diverse parlate dai Palazzi del potere: politico, economico e giudiziario a cui sembra essersi aggiunto oggi anche quello scientifico. Ci sarebbe da ridere se non ci fosse da piangere per i troppi morti che continuano a rendere così lugubre il bollettino di fine giornata e i nostri pensieri. E così succede che il sindaco filo Pd di Milano Giuseppe Sala aggredisca alle spalle il governatore leghista Attilio Fontana che vorrebbe difendere i lombardi da una «zona rossa» imposta da Roma con i dati di quindici giorni prima. Cosa che pare evidentemente assurda. L'accusa è di aver chiuso le scuole chiedendo ora di aprire le strade, a cominciare da quelle dello shopping. Potrebbe essere anche vero, se non fosse che la prima a voler suonare la campanella delle superiore è proprio la ministra dell'Istruzione Lucia Azzolina che fa parte di un governo a guida 5Stelle e di cui quel Pd che tanto ama Sala (essendone riamato) è evidentemente il socio di maggioranza. Ma non basta, perché a chiedere a Regione Lombardia di riaprire le scuole è stato anche un atto ufficiale come la sentenza pronunciata dal Tar giusto tre giorni fa per imporre a Fontana di rimandare i ragazzi in classe. E così un governo che chiede con un suo ministro di riaprire le scuole, appoggiato per di più dalla pronuncia delle toghe, impone con un decreto del suo primo tra i ministri la chiusura dell'intera regione. Mentre il sindaco della principale città di Lombardia rimprovera il suo governatore di aver chiuso le scuole e allo stesso tempo di voler aprire i negozi. In tutto questo, tanto per non farci mancare niente, un altro fiore all'occhiello del Pd come Giorgio Gori, il sindaco di una città che è appena stata nell'occhio del ciclone e della pandemia e che ha gridato per settimane alla mancata istituzione per tempo della «zona rossa», oggi vorrebbe invece chiedere una deroga e tenerla aperta. Una specie di lasciapassare, la richiesta di privilegi da piccola città Stato che non potranno che generare proseliti fra altri sindaci desiderosi di mettersi in buona luce con i loro concittadini contestando il governo. In tutto questo continuano le campane a morto battute dai virologi, le nuove virostar che in diretta tivù a ogni ora del giorno danno ai politici degli incapaci e ordinano come ricetta le chiusure il più totale possibile. Tante voci diverse e nessuna soluzione. Per una situazione grave e che di sicuro non è semplice, ma a cui questa gran Babele non fa certo bene.

Michele Boldrin fa a pezzi Selvaggia Lucarelli: "Moralista dei miei stivali, feccia venduta al potere". Libero Quotidiano il 17 gennaio 2021. Crisi di nervi per Selvaggia Lucarelli, che perde il suo aplomb, ammesso che esista, con Michele Boldrin, il celebre economista. Tutto nasce perché la blogger alza come al solito il ditino, lo punta contro gli italiani che si "permettono" di uscire di casa e riempire i negozi in uno dei pochi giorni in cui possono farlo (ieri, sabato 16 gennaio): "Oggi a Milano supermercati, strade, i pochi negozi aperti strapieni di gente. Strapieni", scandisce la Lucarelli, con evidente indignazione nei confronti del popolino che mette il becco fuori dalle quattro mura. Ed ecco che a quel punto entra in campo Boldrin, che la infilza: "A occhio e croce c'eri anche tu. Perché non sei rimasta chiusa a casa? Moralista dei miei stivali". Dunque la blogger replica: "Vivo accanto ad uno dei grandi centri commerciali all'aperto di Milano, genio". E dopo la risposta, ecco che la sincera democratica Selvaggia blocca Boldrin. Il quale né da conto sempre su Twitter: "La moralista ipocrita non ama sentirselo dire. Feccia venduta al potere", scrive a corredo dello screenshot che mostra il blocco. Un massacro.

Fiorenza Sarzanini e Monica Guerzoni per il “Corriere della Sera” il 16 gennaio 2021.

Andare nelle seconde case, anche se si trovano fuori dalla propria regione, non è più vietato. A stabilirlo è il nuovo Dpcm in vigore da oggi che elimina l' impedimento introdotto durante le festività natalizie. Il provvedimento firmato dal presidente del consiglio Giuseppe Conte per limitare il contagio da Covid-19, impone nuove regole e restrizioni ma consente gli spostamenti verso le abitazioni purché limitate al nucleo familiare. Rimangono chiuse palestre e piscine, serrati anche cinema e teatri. Confermato il coprifuoco dalle 22 alle 5, l' obbligo di mascherina all' aperto e al chiuso e quello di mantenere il distanziamento. Ecco tutto quello che si potrà e non si potrà fare fino al prossimo 5 marzo.

1 Perché si può andare nelle seconde case?

Nel decreto sulle festività natalizie era stabilito che «è comunque consentito il rientro alla propria residenza, domicilio o abitazione, con esclusione degli spostamenti verso le seconde case ubicate in altra Regione». Nel nuovo Dpcm si dice invece che «è comunque consentito il rientro alla propria residenza, domicilio o abitazione», senza la specifica esclusione relativa alle seconde case. Palazzo Chigi conferma che per «abitazione si intende dunque anche una seconda dimora, anche in affitto» che si trovi in una regione in fascia gialla, arancione o rossa. L' unico limite riguarda il fatto che potrà spostarsi soltanto il nucleo familiare. Si potrà poi rientrare nella residenza o nel domicilio in qualsiasi momento.

2 Si può andare a fare una gita in un' altra regione?

No, lo spostamento tra regioni rimane vietato fino al 15 febbraio. Oltre al trasferimento nelle seconde case i motivi per spostarsi sono quelli di lavoro, necessità e urgenza.

3 Si può andare a trovare amici e parenti?

Anche se si vive in una regione gialla si può andare solo da persone che si trovano nel proprio Comune. Ma soltanto «una volta al giorno, in un arco temporale compreso fra le 5 e le 22, e nei limiti di due persone ulteriori rispetto a quelle ivi già conviventi, oltre ai minori di anni 14 sui quali tali persone esercitino la potestà genitoriale e alle persone disabili o non autosufficienti conviventi».

4 La regola delle due persone vale per tutti gli spostamenti in auto?

Sì, a meno che non si tratti di persone conviventi.

5 Si può uscire dai piccoli Comuni?

Rimane la deroga sugli «spostamenti dai Comuni con popolazione non superiore a 5.000 abitanti e per una distanza non superiore a trenta chilometri dai relativi confini, con esclusione in ogni caso degli spostamenti verso i capoluoghi di provincia».

6 Quando entrano in vigore le ordinanze che cambiano colore alle regioni?

L' ordinanza del ministro della Salute Roberto Speranza entra in vigore alla mezzanotte del 17 gennaio, quindi da domenica scattano i divieti e le restrizioni previsti dalle varie fasce.

7 Quali sono le regole della fascia arancione?

Gli spostamenti sono liberi dalle 5 alle 22 ma è vietato uscire dal proprio Comune. I negozi sono tutti aperti fino alle 22. Aperti anche parrucchieri e centri estetici. I bar e i ristoranti sono chiusi, consentita la consegna a domicilio.

8 Quali sono le regole della fascia rossa?

Gli spostamenti sono vietati se non per motivi di lavoro, urgenza e salute. Sono aperti i supermercati, le farmacie, le edicole e i tabaccai e tutti i negozi ad esclusione di vendita al dettaglio di abbigliamento, calzature, gioielli. I parrucchieri sono aperti, i centri estetici sono chiusi. Si può fare attività motoria e attività sportiva all' aperto ma individualmente.

9 È consentito l' asporto da bar e ristoranti?

Dai ristoranti è sempre consentito, dai bar è consentito soltanto fino alle 18. In tutti i casi rimane il divieto di consumare cibi e bevande nelle vicinanze dei locali pubblici.

10 Si può andare a cena negli alberghi?

La ristorazione negli alberghi e nelle altre strutture ricettive è «consentita senza limiti di orario limitatamente ai propri clienti, che siano ivi alloggiati».

11 Quando si può andare a visitare mostre e musei?

«Dal lunedì al venerdì, con esclusione dei giorni festivi, a condizione che detti istituti e luoghi, tenendo conto delle dimensioni e delle caratteristiche dei locali aperti al pubblico, nonché dei flussi di visitatori (più o meno di 100.000 l' anno), garantiscano modalità di fruizione contingentata o comunque tali da evitare assembramenti di persone e da consentire che i visitatori possano rispettare la distanza tra loro di almeno un metro».

12 Quando riaprono gli impianti da sci?

Gli impianti potranno riaprire «a partire dal 15 febbraio 2021», ma soltanto dopo l' approvazione delle linee guida delle Regioni validate dagli esperti del Comitato tecnico-scientifico.

Zona Arancione: Chiuso per Covid? La buona sorte per evitare le multe. Per chi infrange il divieto può scattare la multa da 400 a 1000 euro. Ma ognuno fa quello che vuole.

Dipende, però, tutto da chi ti ferma: Controlli mancanti o interpretazioni estensive della norma.

E le chiamano Regole della zona arancione. Cosa si può fare? Tutto!

Il cittadino ligio al dovere si chiede: come mai, nonostante le regole del confinamento il Covid dilaga?

Bar, ristoranti, gelaterie e pasticcerie sono chiusi al pubblico tutto il giorno e sono in funzione soltanto per l’asporto e la consegna a domicilio. Per quanto riguarda le visite in casa, fino al 5 marzo, sono consentiti due invitati al massimo.

Le regole della zona arancione consentono di muoversi liberamente all’interno del comune, senza motivazioni particolari e senza obbligo di autocertificazione, nei limiti del coprifuoco, come in guerra. Il coprifuoco dalle 22.00 alle 5.00, confermato nel decreto legge in vigore dal 16 gennaio. Chi ha necessità di uscire durante il coprifuoco deve compilare il modulo di autocertificazione dichiarando uno dei motivi consentiti, ovvero salute, comprovate esigenze di lavoro e altri motivi di necessità.

Esigenze valide anche per uscire dal comune in qualunque orario: serve un motivo di salute, lavoro e necessità.

Sul concetto di necessità c'è da scrivere un trattato, così come permesso dai nostri governanti.

Spostamenti liberi all’interno del comune. Per uscire di casa, passeggiare, fare jogging e recarsi negli esercizi commerciali aperti nel Comune non ci sono limitazioni e non è richiesta l’autocertificazione. Mascherina sempre obbligatoria e assembramenti sempre vietati, al chiuso e all’aperto.

Si può fare la spesa in un altro comune se non è possibile reperire i beni di prima necessità o per motivi di convenienza economica.

Già. Per il sentire comune: UNA OFFERTA ECONOMICA NON SI NEGA A NESSUNO. ANCHE SE LA SPESA NON VALE L'IMPRESA DEL TRAGITTO.

Faq del Governo: Posso fare la spesa in un comune diverso da quello in cui abito? 

Gli spostamenti verso Comuni diversi da quello in cui si abita sono vietati, salvo che per specifiche esigenze o necessità. Fare la spesa rientra sempre fra le cause giustificative degli spostamenti. Laddove quindi il proprio Comune non disponga di punti vendita o nel caso in cui un Comune contiguo al proprio presenti una disponibilità, anche in termini di maggiore convenienza economica, di punti vendita necessari alle proprie esigenze, lo spostamento è consentito, entro tali limiti, che dovranno essere autocertificati.

Ergo. Spostamenti consentiti presso il Comune confinante che abbia almeno un punto vendita con prodotti maggiormente convenienti. Punto vendita e prodotto indicati nell'autocertificazione per la comparazione, in caso di controllo, con i prodotti locali. 

Il governo ha confermato la deroga per gli spostamenti tra piccoli comuni fino a 5mila abitanti; questi sono consentiti nel raggio di 30 km, ma senza poter raggiungere i capoluoghi di provincia.

Seconde case in zona arancione. E' ammesso il rientro presso la seconda casa ubicata in un’altra Regione se la persona che si sposta (da sola o con il nucleo familiare) può provare di avere effettivamente avuto un titolo per recarsi nello stesso immobile prima del 14 gennaio 2021.

Quando serve l’autocertificazione in zona arancione. Isabella Policarpio il 22 Gennaio 2021 su Money.it 

Ricapitolando, in zona arancione l’autocertificazione serve in queste ipotesi:

uscire durante il coprifuoco (22.00-5.00) per motivi di salute, lavoro, necessità/urgenza

uscire dai confini del comune, sempre per uno dei motivi previsti dal Ministero (salute, comprovate esigenze lavorative, necessità) e per raggiungere la seconda casa, se ne ha diritto

raggiungere un’altra regione per i motivi indicati nel modulo e per tornare al luogo di abitazione, residenza e domicilio

Chi non ha il modulo con sé può chiederlo direttamente alle Forze dell’ordine durante i controlli a campione e compilarlo in loco.

Bar, ristoranti, gelaterie e pasticcerie

Ristoranti, bar, gelaterie e pasticcerie sono chiusi al pubblico h24 ma è sempre consentito il servizio di asporto fino alle 22.00 (fino alle 18.00 per le bevande) e la consegna a domicilio senza limitazioni orarie.

Sono aperte mense e catering su base contrattuale e i ristoranti all’interno degli alberghi (soltanto per gli ospiti della struttura).

Sempre aperti gli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande nelle aree di servizio in autostrada, ospedali e aeroporti.

Palestre, teatri e cinema

In tutta Italia ed anche in zona arancione restano chiusi palestre, piscine, cinema, teatri, gallerie d’arte, musei, sale gioco/scommesse e bingo.

Visite a congiunti e parenti non conviventi

Dal 16 gennaio al 5 marzo 2021 per le visite in casa altrui c’è il tetto massimo di due invitati, al netto di figli under 14 e persone disabili/non autosufficienti con loro conviventi. 

Centri commerciali e negozi

Librerie, negozi al dettaglio e di abbigliamento (sia per adulti che per bambini) sono aperti normalmente mentre chiudono i centri commerciali di sabato e domenica. Al loro interno restano aperti soltanto supermercati, farmacie, parafarmacie e tabacchi.

Parrucchiere ed estetista

Parrucchieri, barbieri e centri estetici sono aperti.

Jogging, passeggiate e attività motoria: regole in zona arancione

Si può fare attività fisica e motoria anche lontano da casa senza oltrepassare i confini del comune di residenza.

L’attività fisica/motoria deve essere svolta in maniera individuale e nel rispetto della distanza di sicurezza. La mascherina è obbligatoria per la camminata veloce ma non per la corsa.

Il governo ammette una deroga per le attività che non sono disponibili sul territorio: in tal caso si può uscire dal comune, ma lo spostamento deve essere finalizzato esclusivamente allo svolgimento di sport o escursioni. Ad esempio si può andare in un altro comune per ciaspolate e sci alpinismo.

Si può andare a messa

Le chiese sono aperte e si può andare a messa. Gli ingressi sono contingentati e durante la liturgia è obbligatoria la mascherina.

Assemblee di condominio

Si possono fare le riunioni di condominio ma è consigliabile procedere in teleassemblea, ovvero in videoconferenza. Se ciò non fosse possibile, durante la riunione di condominio si deve rispettare il metro di distanza e indossare la mascherina.

Trasporti pubblici

La capienza sui mezzi di trasporto pubblico è ridotta al 50% ad eccezione di quelli adibiti al trasporto scolastico.

·          Gli Irresponsabili: gente del “Cazzo”.

I pazienti riuscivano così a ottenere il Green Pass. Fingeva di vaccinare i no vax, arrestato medico: “Agiva per ideologia”. Roberta Davi su Il Riformista il 31 Dicembre 2021. Fingeva di vaccinare dei pazienti no vax, in modo che potessero ottenere il Green Pass. Un medico di medicina generale è così finito agli arresti domiciliari e dovrà ora rispondere di falso, peculato, truffa al Servizio Sanitario nazionale e omissione di atti d’ufficio. Attivo nelle zone di Abetone Cutigliano, Marliana e San Marcello Pistoiese, in provincia di Pistoia, come pubblico ufficiale vaccinatore avrebbe falsamente attestato l’avvenuta vaccinazione contro il Covid-19 nei confronti di varie persone residenti in diverse province della Toscana. Oltre a Pistoia, anche Prato, Lucca, Pisa e Firenze. Tra i suoi pazienti due minorenni.

L’indagine

Sono ben 19 le persone indagate nell’inchiesta della Procura di Pistoia, condotta dai carabinieri di Prato e dai Nas di Firenze. Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, l’uomo non avrebbe agito per soldi o per ottenere dei favori, bensì per motivazioni personali, essendo fermamente convinto che il vaccino contro il Covid-19 sia inutile. L’indagine è partita dalla segnalazione di una madre, preoccupata che il figlio potesse contrarre il Covid-19 dato che era stato falsamente vaccinato dal medico. Le dichiarazioni della donna hanno quindi confermato i sospetti dei Nas. Da alcuni controlli effettuati, infatti, erano già emerse anomalie nelle registrazioni delle vaccinazioni da parte del dottore. Elementi, che insieme alla testimonianza arrivata ai Carabinieri, hanno permesso di avviare determinate verifiche sul suo operato. Il medico di base è indagato anche per le ipotesi di peculato, perché gettava via le dosi di vaccino nonostante non fossero stati in realtà utilizzati; di truffa al Servizio sanitario nazionale e di omissioni di atti d’ufficio. È sospettato infatti di aver percepito indennità aggiuntive per ogni vaccinazione falsamente registrata e di non aver prescritto i tamponi ai propri pazienti presumibilmente malati di Covid. Sequestrate false certificazioni Green pass sulla piattaforma del sistema sanitario della Regione.

“Un tradimento della fiducia di un’intera comunità”

“È una vergogna, un tradimento della fiducia di un’intera comunità.” Matteo Biffoni, sindaco di Prato, ha usato parole molto dure per condannare l’operato del medico arrestato. “A oggi in Toscana sono 7.558 le donne e gli uomini morti per Covid, in queste ore il Paese è quasi paralizzato da casi di positività e quarantene, sono due anni che attendiamo la vaccinazione di massa per poter tornare alla normalità e qualcuno crede di poter fare il furbo. È inaccettabile. E tanto più è inaccettabile sia stato innanzitutto un medico“.

Biffoni ha poi ringraziato i carabinieri di Prato e la Procura di Pistoia: “Li ringrazio per il lavoro svolto a partire dalla denuncia di una mamma. E ringrazio ancora una volta i medici, il personale sanitario e i volontari che anche nei giorni di festa stanno lavorando per garantire la somministrazione del vaccino. Se un medico non crede nella scienza può cambiare mestiere, la salute e il futuro delle nostre comunità non possono venire messe a rischio da chi delinque”.

  (ANSA il 21 dicembre 2021) - Indagine della Polizia di Stato su falsi vaccini ai no vax a Palermo. Gli agenti della Digos di Palermo hanno eseguito un decreto di fermo nei confronti di tre persone, indagate per corruzione propria antecedente, falso ideologico in atto pubblico e peculato. I fermati sono Filippo Accetta, leader locale del movimento No Vax e protagonista anche di alcune manifestazioni nazionali, Giuseppe Tomasino e Anna Maria Lo Brano, un'infermiera che lavora all'ospedale Civico e faceva finta di inoculare i vaccini nell'hub della Fiera del Mediterraneo. L'infermiera che lavorava nell'hub vaccinale della Fiera del Mediterraneo di Palermo avrebbe incassato 100 euro per ogni finto vaccino anti covid. Tra i falsi vaccinati, oltre al leader dei No vax Filippo Accetta e all'amico Giuseppe Tomasino, anche due parenti di quest'ultimo. Gli agenti della Digos sono risaliti ai tre grazie a intercettazioni telefoniche ed ambientali e riprese video nel centro di vaccinazione, che hanno permesso di accertare che l'infermiera avrebbe effettuato altre otto false vaccinazioni, tra cui un'altra infermiera che operava presso la Fiera del Mediterraneo ed un poliziotto della questura di Palermo. Sono stati infine sequestrati i dati informatici inseriti presso la "Piattaforma nazionale digitai green certificate" del Ministero della Salute - con conseguente sospensione e blocco della loro operatività dei Green Pass di tutti i soggetti che hanno effettuato i falsi vaccini.

(ANSA il 21 dicembre 2021) - L'infermiera dell'hub vaccinale di Palermo Anna Maria Lo Brano, fermata oggi dalla Polizia di Stato nell'ambito dell'indagine sui falsi vaccinati, agiva sempre nello stesso modo come ricostruito grazie alle immagini dei sistemi di videosorveglianza. Dopo avere svuotato il siero contenuto nella siringa, già precedentemente preparata, in una garza in cotone, inseriva l'ago nel braccio del finto vaccinato senza iniettare alcunché e senza muovere lo stantuffo della siringa. La truffa è evidente, basta guardare le immagine registrate nel corso delle indagini. Gli agenti per giorni hanno intercettato la donna accertando contatti tra l'infermiera e chi si sottoponeva al finto vaccino, disposto a sborsare cento euro pur di ottenere il Green pass. Le indagini svolte hanno escluso il coinvolgimento dei medici che lavorano al centro vaccinale e dei funzionari responsabili.

Palermo, i prezzi delle finte vaccinazioni: fino a 450 euro per ottenere la certificazione. Riccardo Lo Verso su Il Corriere della Sera il 21 dicembre 2021. L’indagine partita da un controllo al porto di Palermo ha portato al fermo di un’infermiera, del leader del movimento no vax palermitano e di un suo amico. Scoperti una decina di casi: ma si sospetta un giro molto più ampio. Il grande bluff è stato smascherato grazie alle telecamere dei poliziotti della Digos di Palermo. Finte vaccinazioni anti Covid in cambio di soldi. Poco prima dell’iniezione l’infermiera svuotava il contenuto della siringa su una garza. L’infermiera si chiama Maria Lo Brano. Lavora all’ospedale Civico, il più grande della città, ma faceva gli straordinari all’Hub vaccinale allestito alla Fiera del Mediterraneo. Adesso è in stato di fermo assieme a Filippo Accetta, leader palermitano del movimento ‘no vax’, e ad un amico di quest’ultimo, Giuseppe Tomasino. Sono indagati per falso e corruzione. Sarebbero stati loro a pagare per la messinscena. Fino a 450 euro per fare finta di essersi vaccinati, ottenere la certificazione e scaricare il green pass. Anche una collega di Lo Brano e un poliziotto avrebbero approfittato dei favori dell’infermiera che risponde pure di peculato: si sarebbe appropriata di un bene dello Stato, i vaccini.

L’indagine è partita da un controllo al porto di Palermo. Accetta, in compagnia dei figli, lo scorso settembre mostrò dei referti «alterati» di tampone negativo. L’obiettivo della Procura era scovare chi li avesse falsificati e i telefonini sono finiti sotto intercettazione. Gli indagati sono stati seguiti passo dopo passo il giorno in cui andarono a vaccinarsi. Saltarono il passaggio dell’anamnesi e andarono dritti dall’infermiera. Non c’era motivo di conoscere eventuali patologie pregresse. Cosa accadde si è scoperto dalla voce dei protagonisti. Accetta e Tomasino parlavano del vaccino visto «buttare nella bambagia» e «altri 400 euro» che non intendevano pagare per la seconda dose. I poliziotti, d’intesa coni vertici della struttura sanitaria, hanno deciso di accendere le telecamere. Non è stato complicato stabilire dove piazzarle, visto che il telefono dell’infermiera ha iniziato ad essere bollente.

«Ci vediamo al corridoio C» , diceva a persone a cui dava del tu. Le telecamere hanno registrato una decina di finte vaccinazioni. E potrebbero non essere le uniche. L’assessore regionale alla Salute Ruggero Razza ha annunciato il licenziamento dell’infermiera. Il procuratore di Palermo Francesco Lo Voi e l’aggiunto Sergio Demontis spiegano che le indagini «hanno permesso di escludere, allo stato, il coinvolgimento dei medici operanti all’interno del centro vaccinale e dei funzionari responsabili dello stesso». Renato Costa, commissario per l’emergenza Covid a Palermo, che alla Fiera del Mediterraneo ha il suo quartier generale, ribadisce di aver fornito «tutto il supporto possibile agli investigatori. Con gli arresti di oggi - aggiunge - si chiude un capitolo triste, e insieme, sconcertante. In questa vicenda, tutti i lavoratori della Fiera del Mediterraneo ci sentiamo traditi e danneggiati».

Le indagini, però, vanno avanti. I numeri potrebbero essere molto più ampi dei casi finora scoperti. Si guarda soprattutto alla figura di Accetta, leader del movimento no vax che voleva candidarsi con la Lega alle prossime elezioni comunali di Palermo. Scendeva in piazza in giro per d’Italia. Invitata il popolo ad aprire gli occhi contro io vaccini perché, diceva, «dobbiamo solo resistere, la verità verrà a galla». Sui social postò un video in cui fingeva di vaccinarsi con una boccetta di un prodotto per il corpo della Johnson & Johnson. Solo che, secondo l’accusa, ad un certo punto la finzione sarebbe stata al centro di un patto corruttivo.  

Riccardo Lo Verso per il "Corriere della Sera" il 22 dicembre 2021. L'appuntamento per la seconda dose era fissato nelle prossime ore. Anche stavolta, dicono gli investigatori, sarebbe stata una messinscena, con la siringa svuotata del vaccino anti Covid un istante prima dell'iniezione. Filippo Accetta, 52 anni, non si presenterà. Da ieri è in stato di fermo, assieme ad un amico, Giuseppe Tomasino, 48 anni, e ad Anna Maria Lo Brano, un'infermiera, pure lei 52enne, che in cambio di soldi avrebbe organizzato il bluff dei vaccini nell'hub della Fiera del Mediterraneo a Palermo. La Procura contesta agli indagati i reati di corruzione, falso e peculato per quel bene dello Stato, il vaccino, gettato via. Dieci i casi finora accertati, ma c'è il sospetto che siano di più. Si guarda soprattutto ad Accetta, che con la sua presenza in piazza e sui social si è cucito addosso il ruolo di capopopolo palermitano dei no vax. Potrebbe avere suggerito ad altre persone di rivolgersi all'infermiera, dipendente dell'ospedale Civico, il più grande della città, che faceva lo straordinario alla Fiera. In più avrebbe incassato cifre comprese fra 100 e 450 euro per svuotare la siringa in una garza prima dell'iniezione. L'indagine è partita da un controllo al porto di Palermo. Accetta lo scorso settembre mostrò un referto «alterato» di negatività al tampone ed è finito sotto intercettazione. «La dottoressa vi aspetta qua», diceva Accetta ai figli il 10 novembre scorso. I poliziotti della Digos li hanno pedinati. Tomasino, che nella vita fa il commerciante di detersivi, spiegava: «Però vedi che io nella bambagia ce l'ho visto buttare...». «Pure a me», confermava Accetta. Il bruciore al braccio avvertito da suo figlio era dettato dal «panico». Gli indagati parlavano degli «altri 400 euro» che servivano per la seconda dose, dopo che Accetta ne aveva già sborsati 450. «Ci vediamo al corridoio C», diceva Lo Brano ad altre persone a telefono. Si era sparsa la voce. All'altro capo della cornetta c'era gente disposta a tutto pur di non vaccinarsi e ottenere il green pass. Come «un padre di famiglia» che ha «pagato 450 euro per tre». O come la madre di una ragazza che «è in ansia, è andata fuori di testa». Le telecamere della Digos, d'intesa con i vertici dell'hub, hanno registrato le finte vaccinazioni, comprese quelle di un poliziotto e di una collega dell'infermiera. L'assessore regionale alla Salute Ruggero Razza ha avviato le procedure per il licenziamento. Gli investigatori, coordinati dal procuratore Francesco Lo Voi e dall'aggiunto Sergio Demontis, scavano nella rete di relazioni di Accetta, venditore ambulante di prodotti tipici della cucina siciliana. «Quelli come noi non mollano mai», ripeteva su Facebook prima di manifestare in giro per l'Italia contro governo, vaccini e green pass. In passato è stato leader di un gruppo di precari negli anni in cui Palermo veniva messa a ferro e a fuoco per avere la stabilizzazione. Di recente ha pensato di trasformare il seguito social in consenso elettorale. Voleva candidarsi alle prossime comunali con la Lega. In rete circolano ancora le sue foto con Matteo Salvini, incontrato ad una cena elettorale. Ma i rapporti con il Carroccio sono interrotti da qualche mese, e Accetta ha smesso di parlare della candidatura. «Nessuno gliel'ha mai prospettata e con Salvini non c'è stato nulla di più di un selfie in mezzo a centinaia di persone in occasione di una tappa a Palermo», dicono dallo staff del leader leghista. Accetta è tornato a sparare contro «i vaccini che non fermano i contagi». C'è un video su TikTok in cui finge di vaccinarsi con un prodotto per il corpo della Johnson & Johnson. In maggio, durante la trasmissione «Dritto e rovescio» su Rete 4, raccontava in lacrime la sua disastrosa condizione economica dopo 15 mesi di stop forzato dell'attività per le restrizioni anti Covid. 

Palermo, giro di false vaccinazioni alla Fiera: 3 arresti. In manette il leader No Vax Filippo Accetta e un’infermiera. “400 euro per una finta dose”. Salvo Palazzolo su La Repubblica il 21 dicembre 2021.  Una telecamera piazzata dalla Digos nell’hub ha svelato il raggiro, la polizia ha documentato diversi casi. La procura dispone il fermo d’urgenza. Il questore di Palermo, Laricchia: "Siamo entrati nelle trame oscure dei No Vax". Tra i fruitori del servizio illecito anche un poliziotto e un'infermiera. Un’infermiera infedele scaricava il vaccino su una garza, e poi faceva finta di iniettare la dose. I poliziotti della Digos di Palermo l’hanno smascherata grazie ad una telecamera piazzata nell’Hub della Fiera e ad alcune intercettazioni. A lei si era rivolto uno dei leader del movimento No Vax, Filippo Accetta, molto vicino alla Lega tanto da partecipare a una cena con Salvini all'inizio di agosto. In manette è finito anche un amico di Accetta, Giuseppe Tomasino, commerciante di detersivi. Questa notte, i tre sono stati arrestati. L'infermiera si chiama Anna Maria Lo Brano, lavora all'ospedale Civico. Il procuratore Francesco Lo Voi e l’aggiunto Sergio Demontis hanno disposto un provvedimento di fermo urgente, per bloccare il prosieguo dell'attività illecita. L’inchiesta condotta dal sostituto Felice De Benedittis ha scoperto una decina di false vaccinazioni, ma c’è il sospetto che il sistema fosse più ampio. Un sistema ben oliato da un giro di soldi, 400 euro per ogni falsa vaccinazione. Dice il questore di Palermo Leopoldo Laricchia: "Siamo entrati nelle trame oscure e fraudolente di quei No Vax irriducibili che non esitano a violare la legge, anche commettendo reati odiosi come la corruzione. Tra i fruitori del servizio illecito purtroppo siamo incappati in un poliziotto della questura di Palermo. Dopo la discovery odierna delle indagini per il rispetto del segreto istruttorio, saranno immediatamente avviati i provvedimenti sanzionatori previsti dalle norme disciplinari e la sospensione dal servizio e dallo stipendio disposta dalle recenti norme sull'obbligo vaccinale per le forze di polizia". Fra i fruitori della falsa vaccinazione, anche un’infermiera che lavora all'Hub.

Le accuse

Nel provvedimento, vengono contestate a vario titolo le accuse di corruzione, peculato e falso. Sarebbero stati costruiti ad arte anche dei green pass. Un’inchiesta complessa, che si è avvalsa della collaborazione dei vertici della struttura commissariale per l’emergenza Covid, diretta da Renato Costa. "Le indagini svolte - dice un comunicato firmato dal procuratore capo Francesco Lo Voi - hanno permesso di escludere, allo stato, il coinvolgimento nelle condotte per cui si procede, dei medici operanti all'interno del centro vaccinale e dei funzionari responsabili dello stesso".

In una nota, anche Costa ribadisce di aver fornito con i suoi più stretti collaboratori "tutto il supporto possibile agli investigatori. Con gli arresti di oggi - commenta - si chiude un capitolo triste, e insieme, sconcertante. In questa vicenda, tutti i lavoratori della Fiera del Mediterraneo ci sentiamo traditi e danneggiati".

Filippo Accetta, leader dei "No vax" Nella notte, la polizia ha fatto anche perquisizioni, alla ricerca di riscontri a quanto è emerso nel corso delle intercettazioni. Sono stati sequestrati telefonini e computer, lì ci sarebbe la prova di una fitta rete di relazioni, l'inchiesta promette sviluppi.

Il leader "No Vax"

La Digos diretta da Giovanni Pampillona vuole approfondire soprattutto la posizione di Filippo Accetta, già leader dei disoccupati, poi degli ambulanti: negli ultimi mesi era diventato uno dei più attivi leader del movimento "No Vax". Soprattutto attraverso le sue dirette Facebook e in tante manifestazioni in giro per l’Italia: “Non mollate, bisogna resistere – aveva scritto ieri in un post – che a giorni ne sentiremo delle belle, la verità è vicina credetemi, la gente come noi non molla”. Ma non immaginava che ad essere molto vicina era la verità che nascondeva, quella sulla sua falsa vaccinazione. E continuava ad arringare il Web: “Popolo sveglia, apritevi gli occhi, come ve lo devo dire… non basta con gli adulti, ora pure con i bambini se la prendono, dobbiamo solo resistere, la verità verrà a galla”.

Qualcuno lo aveva attaccato per le sue frasi spesso sgrammaticate, Filippo Accetta aveva replicato a muso duro con una citazione, “di autore anonimo” precisava lui: “Non mi preoccupa un errore grammaticale se il pensiero è intelligente…un congiuntivo lo si può sempre correggere, un idiota no”. E si preparava all’ennesima diretta, con i toni del santone: “Fratelli e sorelle”. Una cosa giusta però l’aveva scritta: “Il bene vince sempre”. La Digos lo stava già intercettando.

Covid, effetto metropoli: ecco perché Milano è l'epicentro dei contagi. E tra 15 giorni ci sarà il picco. Alessandra Corica su La Repubblica il 30 dicembre 2021. La provincia cresce al ritmo di oltre 10 mila nuove diagnosi. L’infettivologa della Statale, Antonella D'Arminio Monforte: “Guardiamo  a Londra per capire l’evoluzione”. Un'incidenza settimanale che, a ieri sera, era sopra i 1.500 casi ogni 100 mila abitanti. E 54.253 diagnosi registrate dal 22 dicembre a ieri nell'area metropolitana, con un Rt che, secondo l'ultimo report dell'Ats di corso Italia, ieri per il solo Comune di Milano era a quota 2.36. Segno che il virus corre veloce, velocissimo. Eccola, la Milano epicentro della nuova ondata da contagi di Covid-19 in Lombardia: ieri oltre un terzo delle nuove diagnosi notificate nella regione facevano riferimento all'area metropolitana, che ha contato 13.650

Sara Bettoni per il Corriere della Sera il 29 dicembre 2021. Mai così tanti positivi in Lombardia in un solo giorno: quasi 29 mila, un terzo degli infetti emersi ieri in Italia a fronte di una popolazione che è un sesto di quella nazionale. Sono 150 mila i cittadini in quarantena perché contagiati, senza contare gli isolati in quanto contatti stretti. In tutto, almeno 600 mila persone. Già si vedono le prime ripercussioni sui servizi, con Trenord costretta a cancellare alcune corse per mancanza di personale e Atm, la società di trasporti milanese, che guarda con preoccupazione la ripresa di gennaio.

Numeri altissimi di contagi, per la corsa del virus ma anche per il record di tamponi effettuati. Sono oltre 224 mila i test registrati ieri, che hanno causato code chilometriche negli ospedali e nelle farmacie. Molti, moltissimi non hanno sintomi o ne hanno pochi. Merito del vaccino che protegge dalla malattia grave, spiegano i medici, e che permette di limitare la pressione sugli ospedali, pur in risalita. 

«Se fossimo tutti immunizzati, avremmo una situazione molto tranquilla in reparto» sintetizza Andrea Gori, direttore di Malattie infettive al Policlinico di Milano. «Le percentuali dei ricoverati sono superiori tra chi non è protetto - ricorda il presidente della Regione Attilio Fontana ai microfoni di Rai Radio Uno -. In Lombardia abbiamo il dieci per cento di non vaccinati, ma i non immunizzati in ospedale sono il 55 per cento. Questo chiarisce come la vaccinazione sia fondamentale».

Sono state raggiunte le soglie d'occupazione delle terapie intensive (193 pazienti), dei ricoveri ordinari (1.698) e dell'incidenza di contagi settimanale. Dati tuttavia molto più bassi rispetto alle precedenti ondate, quando si è arrivati ad assistere fino a 12 mila malati. «Siamo al limite tra la zona bianca e la zona gialla» ammette Fontana. Il passaggio non comporterebbe restrizioni significative per i cittadini, già da ora obbligati alla mascherina all'aperto. Si guarda con attenzione a quello che succede in corsia. «Vediamo due epidemie diverse - dice ancora Gori -. I vaccinati normalmente hanno sintomi molto modesti, i non vaccinati invece corrono più rischi».

Circa 8,5 milioni di lombardi hanno detto sì al vaccino, il 58 per cento di chi ha diritto ha già ricevuto la terza dose. Basterà a evitare di mandare in tilt i reparti? «Solo una piccola quota degli immunizzati viene ricoverata. Ma se le infezioni aumentano di molto, anche il secondo numero cresce» spiega Gori. «Il 3 per cento degli attuali infettati finirà in reparto - secondo Stefano Centanni, pneumologo dell'Asst Santi Paolo e Carlo di Milano -. Servono collaborazione con i medici di famiglia e strutture per assistere i malati lievi. Solo così potremo occuparci anche degli "altri" pazienti. E ai cittadini chiediamo di usare la mascherina e di vaccinarsi: la differenza si vede».

Cesare Giuzzi per il Corriere della Sera il 29 dicembre 2021.

La Lombardia ha segnato il record di nuovi contagi: 28.795, quasi 5 mila a Milano città. Stiamo affondando, dottor Bertolaso? 

«Evitiamo di farci travolgere dai numeri. I dati vanno analizzati sulla base di quello che conosciamo oggi del virus. Stiamo attenti anche a come comunichiamo. Chi vive in prima linea, negli ospedali, ha una fotografia del virus molto diversa rispetto a un anno fa». 

E cosa sappiamo? 

«Omicron è più contagiosa e questo spiega un numero così alto. Ma è meno letale, tra i vaccinati con tre dosi poi la sintomatologia è molto diversa da Delta. Il parametro dei positivi è ingannevole. Per questo nonostante il record cambia poco, per fortuna».  

Cosa dobbiamo fare? 

«I vaccini funzionano, rendono gestibile il contagio e anche la malattia tra coloro che hanno completato le tre dosi. La chiave sta qui. Accelerare sempre di più sulla campagna vaccinale. In Lombardia siamo quasi al 60 per cento di terze dosi, dobbiamo accelerare ancora». 

Guido Bertolaso è il consulente di Regione Lombardia per la campagna vaccinale. Dal suo osservatorio racconta una realtà diversa rispetto alle scene di isteria collettiva viste a Milano, con polizia e carabinieri intervenuti per calmare gli animi tra chi è in fila per i tamponi e l'assalto ai test degli ultimi giorni. 

Dottor Bertolaso, Milano e la Lombardia sono l'epicentro dell'ondata di Omicron?  

«Il sistema sta reggendo bene, mi creda. I numeri sono seri, ma in qualche modo viziati da un lavoro straordinario che si sta facendo sulla ricerca del virus».

Quale?

«Dal 20 al 27 dicembre, la Lombardia ha fatto 270 mila tamponi molecolari e 830 mila antigenici. Un milione di test. Nel resto d'Italia sono 4 milioni. Quindi il rapporto è di un milione contro quattro. Significa che qui c'è più attività diagnostica, più controllo e più indagine del virus. Ricordiamoci che la Lombardia seppure per poco è ancora in zona bianca, la pressione sugli ospedali è più bassa rispetto ad altre aree d'Italia».  

Ad esempio?

«I reparti non sono chiusi, si fanno gli ambulatori, gli interventi. Un anno fa tutto era molto diverso». 

Omicron è davvero meno letale? 

«Abbiamo uno studio con l'Università Bicocca: su 540 casi testati solo 14 hanno richiesto il ricovero ospedaliero. La curva di incidenza è massima tra i non vaccinati o tra chi non ha completato la terza dose. E tra i bambini fino a 10 anni che poi sono quelli che portano il virus a casa. Dobbiamo aumentare i vaccini tra bambini e adolescenti. Oggi è vaccinato solo il 10% dei bambini, ma rispetto al dato nazionale siamo al 30%».  

Ritardi, tempi di attesa lunghissimi per le prenotazioni, code chilometriche. Il sistema dei tamponi è in tilt? 

«La task force regionale ha fissato delle priorità. Sappiamo chi è più fragile, chi rischia di più, chi viene colpito in modo più serio. Conosciamo il virus e abbiamo imparato a comprendere come si muove la nuova variante. La priorità va data a chi non ha completato il ciclo vaccinale e a chi ha sintomi. Un vaccinato con tre dosi, anche se entra in contatto con un positivo, ha poche probabilità di sviluppare la malattia e in forma lieve. Dobbiamo considerarlo». 

Quindi basta assalti ai tamponi? 

«I vaccinati con tre dosi non devono essere testati se non hanno sintomi. Il contact tracing deve avere la precedenza per i non vaccinati, i più fragili o chi non ha completato il ciclo. Se eliminiamo dalle code chi non ha l'urgenza di essere testato, perché ha tre dosi, perché non ha sintomi o solo per il green pass, allora riduciamo la pressione anche sui tamponi. Al netto che sono stati aumentati i centri e le linee vaccinali». 

Ma non è un liberi tutti? Non c'è il rischio di avere positivi in giro che non si sottopongono al tampone? 

«Chi ha effettuato le tre dosi è meno "pericoloso" per sé e per gli altri. Bisogna pensare a una contagiosità mitigata che dobbiamo governare».  

In che senso? 

«Omicron è seria ma non provoca quello che abbiamo visto l'anno scorso. La situazione da un punto di vista epidemiologico va gestita grazie alle tante conoscenze che abbiamo adesso. E occorre considerare le conseguenze sanitarie, economiche e sociali». 

Lei è favorevole a una revisione delle quarantene, quindi? 

«Chi ha tre dosi di vaccino, a mio parere, può evitare la quarantena se non ha sintomi. Deve aumentare l'autocontrollo della temperatura e le precauzioni sanitarie, ma se non ci sono sintomi anche in caso di contatto stretto non ha senso isolarlo dal mondo».  

Crede che il Cts sposerà questa linea?

«Penso che ci saranno cambiamenti. Magari più graduali in vista della ripresa del 10 gennaio, ma sono necessari». 

Realisticamente cosa dobbiamo aspettarci a Milano e in Lombardia? 

«Se aumentiamo le vaccinazioni, unica arma per ridurre gli effetti del virus, considerati anche i casi immunizzati e asintomatici, in due mesi saremo completamente fuori da Omicron». 

Graziella Melina per “il Messaggero” il 17 dicembre 2021. Mentre le Regioni si adeguano ai nuovi colori assegnati dal governo, negli ospedali si cerca di trovare un punto di equilibrio tra i ricoveri, sempre crescenti, e le risorse disponibili. La situazione è complicata ovunque, e così alla fine si è costretti ad una sorta di gioco ad incastri, che funziona solo se i medici danno una maggiore disponibilità di turni, a volte con la promessa di incentivi economici, e se il numero dei posti letto, laddove possibile, viene aumentato. In alternativa, pur di evitare maggiori restrizioni, si decide di riconvertire interi reparti da destinare ai pazienti Covid. In ogni caso, a farne le spese, oltre ai medici che devono sostenere un maggiore carico di lavoro, come sempre sono poi i pazienti non Covid, costretti a vedersi rimandare interventi programmati da mesi perché le sale operatorie sono state ridotte e i medici e gli infermieri spesso sono impegnati a somministrare vaccini o a effettuare tamponi. Da Nord a Sud, in sostanza, la priorità ce l'hanno i pazienti Covid, spesso non vaccinati. Tutti gli altri, con patologie non gravi, dovranno attendere che si liberi un posto. In Veneto, Luciano Flor, direttore generale della Sanità regionale, ha stabilito che se necessario si dovranno sospendere le attività giornaliere e settimanali di intervento medico programmato. «La situazione dal nostro punto di vista è preoccupante - ammette Massimiliano Dalsasso, presidente dell'Associazione Anestesisti Rianimatori Ospedalieri Italiani Emergenza Area Critica (Aaroi-Emac) del Veneto - Abbiamo una quantità di contagi molto elevata. Un discreto numero di posti delle terapie intensive vengono occupati dai pazienti Covid e questo inevitabilmente va a impattare con l'organizzazione sia degli interventi critici che di quelli programmati. Bisogna trovare le combinazioni giuste per curare i pazienti fragili e quelli che non sono urgenti. Le sale operatorie e le terapie intensive sono in altissima pressione». Anche in Alto Adige l'andamento dell'epidemia preoccupa. Andrea Brasola, responsabile provinciale dell'Aaroi-Emac, lavora al servizio di anestesia e rianimazione dell'ospedale di Bolzano: «Da lunedì scorso abbiamo registrato circa il 25 per cento in meno di attività operatoria programmata - racconta Brasola - Questo in parte è dovuto alla riduzione delle sale operatorie e in parte alla diminuzione del personale che è stato impiegato per curare i pazienti Covid». Ma a complicare la situazione ci sono poi altre incognite, che nulla hanno a che fare con il Covid. «Considerando che in Alto Adige è iniziata la stagione turistica - mette in guardia Brasola - se la pressione per gli interventi dovuti ai traumi è forte, si farà fatica a collocare nei reparti ospedalieri tutti i pazienti che ne hanno bisogno, anche perché è stato ridotto il numero dei professionisti che si occupa delle aree ad intensità di cura normale». Senza contare poi che la richiesta di ferie degli operatori sanitari renderà ancora più difficoltoso garantire ovunque le cure. «Ormai andiamo verso la riduzione delle attività prenatalizie e di inizio anno, che consente lo spostamento degli interventi programmati - ammette Marco Chiarello, presidente regionale Aaroi Emac - Le liste di attesa per le operazioni non urgenti, ma già definite, possono arrivare a sei mesi. La maggioranza di questi ritardi è senz' altro dovuta alla pandemia, ma poi ci portiamo dietro anche diversi interventi precedenti ancora da recuperare». Difficile, però, smaltire le liste di attesa se nel frattempo non si risolve il problema della carenza dei medici. «Nel 2015 - ricorda Emanuele Scarpuzza, presidente dell'Aaroi - Emac della Sicilia - con il decreto ministeriale firmato dall'allora ministro Beatrice Lorenzin, è stato deciso di ridurre la disponibilità delle cure ospedaliere a 3 posti letto per acuti per mille abitanti. Quindi, alcuni reparti sono stati cancellati e il personale non è mai stato incrementato in ragione di una potenziale emergenza, tanto che durante la pandemia abbiamo fatto ricorso agli specializzandi. Ma se il numero dei ricoveri continua ad aumentare la situazione sarà difficile da gestire».

Dagospia il 15 dicembre 2021. EVITARE O RITARDARE LA ZONA GIALLA, AUMENTANO LA DOTAZIONE DEGLI OSPEDALI, SOPRATTUTTO IN TERAPIA INTENSIVA: LO HANNO GIÀ FATTO LOMBARDIA, FRIULI E TRENTINO, E ORA SI PREPARA ANCHE IL LAZIO - PECCATO CHE STIANO SOLO SPOSTANDO I LETTI DAI REPARTI DESTINATI ALLA CURA DEI PAZIENTI NON COVID. E A RIMANERE SCOPERTI FINISCONO PER ESSERE I MALATI COMUNI...

Paolo Russo per "La Stampa" il 15 dicembre 2021. Lentamente, ma il tasso di occupazione dei letti ospedalieri riservati ai pazienti Covid cresce e minaccia di portare mezza Italia in giallo già per Natale. Il prossimo lunedì, salvo improbabili inversioni di rotta della pandemia, Liguria e Trentino andranno a far compagnia a Friuli Venezia Giulia e Alto Adige, che nella fascia delle prime restrizioni ci sono già. Ma a sfiorare la prima soglia di sicurezza dei letti occupati sono anche Lombardia, Lazio e Veneto, con quest'ultima che ha il 13,3% dei posti presi in terapia intensiva, dove il limite per non tingersi di giallo sarebbe il 10%, mentre sfiora di due soli decimali, con il 14,8%, l'asticella fissata per i reparti ordinari. Lombardia e Lazio potrebbero invece aggiungersi al quintetto proprio nell'antivigilia di Natale, visto che il monitoraggio settimanale che decreta i passaggi di colore la prossima settimana verrà anticipato di un giorno a giovedì 23 dicembre.

Il rischio restrizioni

Ma anche se le regioni si dicono per la linea del rigore, all'atto pratico nessuno vuol poi rovinare vacanze e incassi natalizi con maggiori restrizioni, che a parte l'obbligo di mascherina all'aperto, ricomprendono anche la riduzione al 50% della capienza di cinema, teatri, sale da concerto e stadi. Tutti luoghi di svago solitamente presi d'assalto durante le feste di fine anno. E così nelle tabelle sui letti ospedalieri che quotidianamente aggiorna Agenas da un po' di tempo si assiste ad una specie di miracolo, quello che quotidianamente vede i ricoverati Covid aumentare e il tasso di occupazione dei letti, almeno momentaneamente, scendere. Per un motivo molto semplice: le regioni per evitare o solo ritardare la retrocessione in zona gialla aumentano la dotazione dei loro letti, soprattutto quelli delle terapie intensive. Lo hanno già fatto Lombardia, Friuli e Trentino, si accinge a farlo ora anche il Lazio, che a breve sarà probabilmente seguito da altre regioni. Tutto bene si dirà. Ma i medici, tanto quelli che lavorano in reparto che i camici bianchi delle terapie intensive e dei pronto soccorso non ci stanno, perché sostengono che quei letti non sono in più, ma vengono solo spostati dai reparti destinati alla cura dei pazienti non Covid e quelli dei positivi al virus. E siccome la coperta è corta, anche per le carenze in pianta organica di medici e infermieri, a rimanere scoperti finiscono per essere i malati comuni. «I pronto soccorso sono in una morsa, stritolati dai contagi in aumento, mentre dall'altro lato non diminuisce come l'anno passato la pressione esercitata da anziani e fragili per le complicanze da mali di stagione», spiega Fabio De Iaco, presidente della società scientifica della medicina di emergenza e urgenza, Simeu. «Il risultato - denuncia - sono gli anziani lasciati anche 4 giorni sulle barelle, che ci facciamo in quattro per assistere, ma che come dimostrano gli studi clinici, con la permanenza eccessiva nei pronto soccorso vedono poi peggiorare il loro quadro clinico e allungarsi i tempi di degenza». I camici bianchi sono già in rivolta nel Lazio, dove si è deciso un aumento considerevole dei posti letto, 322 in più per i ricoveri ordinari e 83 in terapia intensiva, che porterebbero il totale rispettivamente a 1.265 e 229 letti. «Sarebbe il colpo di grazia per i pronto soccorso - spiega il primario di un ospedalone romano - e il prezzo finirebbero per pagarlo i pazienti non positivi al virus, che rischiano di rimanere ancora più a lungo parcheggiati in barella». «È un momento difficile - gli fa eco Vincenzo Bua, direttore del pronto soccorso dell'ospedale Maggiore di Bologna - vedo arrivare la mattina i colleghi con le facce stravolte perché a differenza di un anno fa ci sono due emergenze in una che provocano un effetto domino: i ricoveri Covid aumentano e i reparti di medicina interna vengono riconvertiti per i positivi; a quel punto i pronto soccorso si ingolfano perché non riescono a trasferire i pazienti in reparto; si cercano allora letti negli ospedali della provincia, che devono ridurre a loro volta l'attività chirurgica, come già accaduto a Bentivoglio e Budrio». E se i reparti ordinari sono messi male nelle terapie intensive va peggio. Perché qui è anche vero che da prima della pandemia ad oggi i letti sono passati da 5.179 a 9.054, più altri 793 attivabili, ma il personale scarseggia come prima, medici e infermieri specializzati per lavorare dove l'intensità di cura è al massimo sul mercato non ce ne sono.

Pochi specialisti

I numeri del sindacato dei camici bianchi ospedalieri Anaao parlano chiaro: calcolando che nelle terapie intensive serve un infermiere ogni due letti e un medico specializzato ogni sei, al massimo otto, si sarebbero dovuti assumere almeno 6mila infermieri e 2.500 anestesisti rianimatori. Merce rara sul mercato sanitario. E così, spiega De Iaco, «si fa ricorso agli anestesisti pagati a gettone per le prestazioni aggiuntive». Che si traducono in turni massacranti, magari non spezzati dal giusto riposo che serve per non commettere errori con pazienti in pericolo di vita. Ma anche così le terapie intensive cominciano a non reggere più. Non a caso ieri il Veneto ha annunciato che «là dove necessario», sospenderà tutte le attività chirurgiche che prevedono un successivo ricovero in terapia intensiva. E parliamo di interventi programmabili tipo trapianto di valvola cardiaca, o per aneurisma. Situazioni già vissute prima dell'era dei vaccini, che ci si augurava di non vedere più. 

Francesco Moscatelli per "la Stampa" il 26 novembre 2021. Centesimo su 101 Comuni della provincia di Padova. Maglia nera, quasi nerissima, con una percentuale di cittadini «non vaccinati-non prenotati», come vengono definiti i No-Vax nel lessico neutrale dei funzionari sanitari, pari al 18,7%, ovvero 557 persone sulle 2.975 vaccinabili (e su 3.277 residenti). Quattro punti in più della media Veneta, quasi sei rispetto al resto d'Italia. «All'opposto il dato sull'incidenza di casi positivi è di 213,16 su 100 mila abitanti, il diciottesimo del territorio padovano» conferma il dottor Piero Realdon, coordinatore della Ulss 6 Euganea. Il paradosso di Vo' è tutto in questi numeri. L'avamposto della battaglia contro il Covid, la comunità che il 21 febbraio del 2020 subì lo choc di finire in zona rossa circondata dall'esercito e che poche ore dopo pianse la prima vittima italiana del coronavirus, il pensionato di 78 anni Adriano Trevisan, è precipitata in fondo alle classifiche delle località virtuose nell'affrontare la nuova ondata. Il crollo di un simbolo. Al di là delle percentuali. «Hanno sperimentato il fuoco nemico eppure...Bisognerebbe fare un'analisi sociologica più che clinica. Anzi, forse ci vorrebbe un antropologo» azzarda Realdon. Davanti al ristobar «Locanda al sole», dove tutto è iniziato, i giorni dei tamponi di massa e degli studi scientifici del microbiologo Andrea Crisanti sembrano lontani. «Siamo nauseati da tutta questa storia» taglia corto un signore, prima di infilarsi in auto. Dentro il locale all'ora di pranzo non c'è nessuno. Sopra il tavolo dove ogni giorno si trovavano per una partita a carte Trevisan e Renato Turetta, anche lui morto a causa del Covid, c'è una fotografia scattata nello stesso punto con la dedica «In ricordo di nostri amizi dea brìscola». A poche decine di metri c'è la farmacia del dottor Giuliano Martini, che è anche il sindaco. «Comunque siamo sopra l'80% di vaccinati - chiarisce il primo cittadino, fermandosi per un caffè nel retro del negozio -. E per fortuna pur facendo tanti tamponi trovo pochi positivi: lunedì e martedì nessuno, mercoledì soltanto uno su 75 test. Per provare a migliorare le cose a metà dicembre faremo anche un Vax Day: in un Comune vicino ha funzionato». La relativamente bassa percentuale di vaccinati non è l'unico paradosso di Vo'. Ce n'è un altro, che forse spiega un po' anche il primo. Nonostante i camici bianchi siano i primi influencer, soprattutto nelle realtà più piccole, e in queste settimane ci sia bisogno di loro per spronare anche i più riluttanti a vaccinarsi, a metà novembre uno dei tre medici di Vo' ha lasciato il suo incarico. Da tempo non nascondeva il suo scetticismo sulle misure decise dal governo, scrivendo su Facebook che «chi ha deciso l'obbligatorietà del Green Pass ai matrimoni è senza cervello», e pure sul vaccino, ironizzando sempre sui social: «Dato che non è sperimentale modificano il bugiardino con nuovi effetti collaterali». «Frasi inopportune» spiega il presidente dell'Ordine dei medici di Padova Domenico Crisarà. Una possibile violazione deontologica su cui l'Ordine ha già preso una decisione, che nei prossimi giorni verrà comunicata al diretto interessato. Rischia una sospensione fino a cinque mesi. I due medici rimasti, in compenso, fanno gli straordinari. Nel suo ambulatorio di viale Rimembranza alle 13 il dottor Luca Rossetto, si prepara a un altro pomeriggio di iniezioni booster. «I vaccini sono una nota dolente - conferma-. Ovviamente ci si aspetterebbe che in un Comune segnato da questa esperienza ci sia una sensibilità particolare e non il contrario. Io ai vaccini ci ho sempre creduto e sono soddisfatto di aver convinto l'85% dei miei pazienti. Con questa nuova ondata di variante Delta ho già contato 25 infettati, e fra questi c'erano venti non vaccinati. Ora spero negli effetti del Super Green Pass». All'uscita del paese c'è la rotonda con l'ulivo piantato in memoria di tutte le vittime della pandemia e la targa con la citazione di Ugo Foscolo: «Un uomo non muore mai se c'è qualcuno che lo ricorda». Proprio da lì parte la strada per Vo' Vecchio, dove ha sede l'impresa edile della famiglia Trevisan. Vladimiro, il figlio di Adriano, ha poca voglia di parlare. Si limita a una considerazione: «Vaccinarsi è l'unica soluzione per saltar fuori da questa situazione. Se mio padre avesse avuto la possibilità di vaccinarsi l'avrebbe fatto e forse oggi sarebbe ancora qua».

Il trucco delle regioni sui posti letto per non finire in zona gialla e arancione. Violetto Gorrasi, Giornalista, il 7 novembre 2021 su  today.it. Il governo Draghi ha dato un ruolo di primo piano al tasso di occupazione degli ospedali per stabilire i colori delle regioni. Ecco perché il conteggio dei numeri per evitare misure restrittive va preso con molta cautela. Il governo Draghi ha affidato un ruolo di primissimo piano al tasso di occupazione degli ospedali - ossia al rapporto tra ricoverati e posti letto disponibili nelle strutture - per stabilire i colori delle regioni, insieme all'incidenza settimanale dei contagi su 100mila abitanti. Il meccanismo di conteggio dei posti letto attraverso cui si "fotografa" la situazione di pressione sugli ospedali e si determina il cambio di colore di una regione, però, è fallace. Va preso con molta cautela, può ingannare. La possibilità data alle regioni di mettere nel calderone parte dei posti letto potenzialmente attivabili in caso di emergenza, anche se non c'è personale ospedaliero specializzato realmente disponibile in terapia intensiva, può essere l'escamotage per evitare misure più restrittive. In soldoni: aumentare i posti di rianimazione o di area medica disponibili, ma disponibili a volte solo sulla carta, permette di rimanere più a lungo al di sotto delle soglie critiche stabilite dal governo, per non finire in zona gialla, arancione o rossa.

I numeri dei posti letto "sballati" per non finire in zona gialla e arancione

Un trucco? Una furbata? Fatto sta che ci risiamo. Il problema, già noto e denunciato nei mesi scorsi, torna al centro dell'attenzione in questi giorni con l'aumento dei casi di coronavirus in Italia. Anche se per ora tutte le regioni sono in fascia bianca, alcune aree rischiano di finire in zona gialla nelle prossime settimane, con nuove restrizioni per contenere l'aumento dei contagi. Ecco perché si torna a parlare del sistema a colori, introdotto poco più di un anno fa. Al momento sono due le regioni messe peggio: il Friuli-Venezia Giulia (intensive 14% e reparti ordinari 13%) e la provincia autonoma di Bolzano (intensive 9% e reparti ordinari 14%).

Andiamo con ordine, ripassando in breve le regole per il cambio di colore, con le modifiche introdotte dal governo Draghi con un decreto legge a luglio. Sono tre gli indicatori che sanciscono il cambio di fascia di rischio Covid, con soglie precise, e devono verificarsi contemporaneamente:

l'incidenza settimanale dei contagi ogni 100mila abitanti;

la percentuale di posti letto in terapia intensiva occupati da pazienti positivi al coronavirus;

la percentuale di posti letto occupati nei reparti in area medica, ossia quelli di malattie infettive, medicina generale e pneumologia. Una regione passa in zona gialla se ha un'incidenza settimanale di oltre 50 contagi ogni 100mila abitanti, un'occupazione delle terapie intensive superiore al 10% e quella negli altri reparti superiore al 15%. Per entrare in zona arancione bisogna invece avere un'incidenza settimanale di oltre 150 contagi ogni 100mila abitanti, un'occupazione delle terapie intensive superiore al 20% e quella negli altri reparti superiore al 30%. Infine, si finisce in zona rossa se l'incidenza è di oltre 150 contagi ogni 100mila abitanti, se l'occupazione delle terapie intensive è superiore al 30% e quella degli altri reparti superiore al 40%.

Le soglie da superare per il cambio di colore. Fonte: Vittorio Nicoletta

Il limite del sistema a colori, con il problema dei dati sull'occupazione degli ospedali, è noto da tempo. In sostanza, gli unici dati pubblici sui ricoveri sono quelli aggiornati dall'Agenas, l'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, che ogni giorno dà conto dei posti letto presenti, occupati e attivabili. Ma il decreto che ha modificato i criteri per i cambi di colore non prevede l'utilizzo di questi numeri. La cabina di regia di Roma non usa i posti letto come indicati su Agenas, ma quelli comunicati direttamente dalle regioni/province autonome. Secondo il decreto legge Covid 105 del luglio 2021, i posti letto notificati direttamente "a Roma" dalle regioni, e usati la settimana precedente, non dovrebbero cambiare per almeno un mese.

Queste regole, certamente non ferree ma interpretabili, rischiano di "incoraggiare" le regioni a far rientrare tra i posti di terapia intensiva attivi anche quelli potenzialmente attivabili in caso di emergenza, includendo anche i semi intensivi. Ciò, per giunta, a volte avviene senza che ci sia una valutazione razionale del personale ospedaliero specializzato realmente disponibile in terapia intensiva. In teoria basta "attaccare" un ventilatore a un letto già disponibile - senza preoccuparsi di avere un numero sufficiente di anestesisti-rianimatori o operatori socio-sanitari - per aumentare di un'unità i posti in terapia intensiva.

Nel caso dei ricoveri di pazienti non gravi, una regione può riconvertire sulla carta i posti al momento dedicati ad altre specializzazioni in posti letto disponibili per pazienti Covid-19 in area medica. Il risultato non cambia: aumentando il numero dei posti letto a disposizione, scende l'indicatore della pressione sui reparti e non si finisce nella fascia di rischio più elevata.

Il caso del Friuli-Venezia Giulia

Il caso del genere più recente è quello del Friuli-Venezia Giulia, il territorio italiano al momento con i dati più critici sui ricoveri ospedalieri e per questo a rischio zona gialla. In regione risulta un tasso di occupazione da pazienti positivi di tutti i posti letto in terapia intensiva del 14.3% (25 posti letto occupati su 175 posti letto totali). Secondo AaroiEmac (Associazione anestesisti rianimatori ospedalieri italiani emergenza area critica), i posti in rianimazione reali sarebbero però circa 90 e non 175, perché la regione conteggia anche i posti letto attivabili e quelli di semi intensiva, senza peraltro menzionare il personale disponibile.

Un'interpretazione, non una regola

Come fa notare su Twitter Vittorio Nicoletta, dottorando in sistemi decisionali e analisi dei dati all'Università Laval in Canada, "il monitoraggio del ministero della Salute si porta dietro questi problemi da sempre. È stato ripetuto innumerevoli volte". Calcolare l'occupazione dei posti letto negli ospedali anche su quelli convertiti o futuribili vanifica il fine della norma. Perché se lo scopo principale delle misure è quello di evitare il sovraccarico delle strutture, convertire i posti letto per non finire in zona gialla e arancione impedisce all'ospedale di funzionare come dovrebbe. E rende il sistema del cambio colore più simile a un'interpretazione che a una regola.

Michele Serra per “la Repubblica” il 23 novembre 2021. C'è chi rischia la pelle per fare il reporter su un fronte di guerra. Molti giornalisti e fotografi (pagati sempre peggio, tra l'altro) lo fanno. Ma rischiare la propria incolumità per seguire una manifestazione No Vax, ha senso? Me lo sono chiesto dopo l'ennesimo pestaggio di una giornalista (Selvaggia Lucarelli: solidarietà a lei) aggredita da un energumeno in una piazza No Vax. E non è una domanda retorica: è una domanda funzionale, riguarda lo scopo stesso dell'informazione, che è cercare di capire meglio la realtà, i problemi, i conflitti. La guerra si può raccontare. Il suo orribile farsi ha comunque una logica, ragioni economiche, religiose, ideologiche, politiche, tribali armano gli uomini. Mettere a fuoco quelle ragioni serve a capire per quali cause migliaia di persone uccidono e muoiono. Se la guerra è uno dei motori della storia - e purtroppo lo è - bisogna guardarla in faccia. Dunque scapicollarsi in Afghanistan, in Crimea, nel Corno d'Africa, nel Kurdistan, è un rischio che vale la pena correre. Ma andare al Circo Massimo per sentirsi sputare e insultare da alcuni ossessi, e poi colpire al volto da uno di costoro, a che serve? Le frasi urlate sono le stesse ripetute all'infinito sui social, la dittatura sanitaria e bla-bla, le sappiamo già a memoria, niente di utile, di nuovo, di specialmente efferato o specialmente demente può essere aggiunto. Per cogliere che cosa muove nel profondo il fenomeno No Vax, e per dimostrare ascolto e rispetto ai suoi infelici attori, non servono giornalisti, servono psichiatri e psicologi. Un esercito di psichiatri e psicologi. Così almeno la dittatura sanitaria, tanto evocata, avrebbe una sua evidenza.

Filippo Facci per “Libero Quotidiano” il 23 novembre 2021. Nel giornalismo ci sono le storie vere, ci sono le storie false e poi ci sono le storie a cui, personalmente, io non credo neanche quando sono vere. Selvaggia Lucarelli ha preso una testata da un No vax e può darsi che solidarizzare sia obbligatorio: nessuno mi impedirà di notare, però, che capitano tutte a lei. Non credo all'alibi che fosse irriconoscibile, dubito che non l'avessero notata dopo che si era messa a fare tremila domande. Non è una giornalista professionista e difetta di esperienza, ma nel provocare incidenti ha veri doni di natura. Ma a interessarmi, ora, è la tendenza di certi colleghi a diventare una notizia non avendone trovate altre: nei contesti a rischio, un tempo, si inviavano cronisti strutturati che prendevano le botte come un incidente professionale, da nascondere, non da ostentare: oggi, se c'è un'aggressione senza conseguenze, magari con immagini - ci sono sempre - nelle redazioni brindano a champagne. Accade perché c'è un pubblico interessato tantopiù ai personaggi nazionalpopolari, lo so: ma ricordo il vecchio mestiere dove il miglior cronista era chi spariva dietro le sue cronache. La Lucarelli, da sola, è andata a una manifestazione di quattromila invasati, ha cercato di intervistarli quasi tutti e forse non hanno riconosciuto tanto la sua faccia mascherata, ma le sue note (e percepibili) ansie di passare inosservata. 

Michele Marangon per il “Corriere della Sera” il 23 novembre 2021. Si chiama Roberto Di Blasio ed è un maestro di pugilato della provincia di Roma l'autore dell'aggressione alla giornalista Selvaggia Lucarelli, colpita dall'uomo durante la manifestazione no green pass sabato scorso. La giornalista ha reso nota la sua identità pubblicando una breve clip dell'aggressione che si è consumata al Circo Massimo. Qui si vede il manifestante colpire la telecamera di Lucarelli con la testa, non prima di averle intimato di abbandonare il luogo della protesta. La giornalista ha poi scritto nome e cognome dell'aggressore pubblicando un'altra foto sui social dove Di Blasio è immortalato in palestra con i suoi giovani allievi di boxe. «Pubblico il loro nomi e i loro messaggi perché queste persone sono scollegate dalla realtà. Voglio fargli provare per 24 quello che si prova. Un bagno di realtà», ha spiegato Lucarelli ai microfoni della Rai raccogliendo tantissima solidarietà dopo l'attacco subito. Di Blasio, 60enne di Manziana, Comune a nord di Roma, gestisce una palestra nella cittadina dell'hinterland, la «Olimpic romans boxe» da lui fondata. Un passato da sportivo, imprenditore e commerciante, l'uomo è un attivista no vax che ha partecipato a molte manifestazioni di protesta. Già l'anno scorso si era reso protagonista di una violazione sanzionata dai carabinieri della stazione di Manziana: il 60enne, che a marzo 2020 aveva contratto il Covid, aveva violato la quarantena per andare a fare la spesa ed era stato pizzicato fuori casa dai militari dopo una segnalazione. Attivista politico a livello comunale, l'ex pugile si era anche candidato in una lista civica di Manziana nel 2017 e nelle precedenti elezioni del 2012. Nel suo curriculum professionale figurano la gestione di una impresa edile e di un negozio di abbigliamento, mentre a livello sportivo diviene maestro federale per aprire, nel 2009, la palestra. Nei confronti del 60enne Lucarelli ha annunciato querela, anche se lui si sarebbe scusato per l'insano gesto: non l'unico che si è consumato nella stessa giornata a opera dei manifestanti. Ha fatto il giro del web, scatenando un moto di grande solidarietà, l'assalto subito da Isabella Massaccesi, titolare del bar «075» in via dei Cerchi, a ridosso del Circo Massimo, compiuto da un gruppetto di facinorosi che si sono rifiutati di mostrare il green pass. Uno di loro si sarebbe anche abbassato i pantaloni come insulto sessista verso la titolare del locale.

Ai cortei “de sinistra” il virus non c’è, il rischio contagi nemmeno. Cirinnà in piazza a Roma con i trans. Hoara Borselli il 20 novembre 2021 su Il Secolo s'Italia. È passata una settimana da quando è arrivata dal Viminale la direttiva firmata dalla Lamorgese sulla stretta per le manifestazioni e i cortei No Vax e No Green Pass. Finché durerà lo stato di emergenza, in “specifiche aree urbane sensibili, di particolare interesse per l’ordinato svolgimento della vita della comunità”, non si potranno fare manifestazioni.

La stretta vale solo per i cortei No vax?

Da ricordare bene anche questa data: fino al 31 dicembre, alcune zone come il quadrilatero della moda a Milano o piazza del Popolo a Roma, saranno chiuse alle manifestazioni di ogni tipo. Questi passaggi, condivisibili o meno, seguono una linea che demarca una netta presa di posizione verso i cortei rei di aver causato un’accelerazione dei contagi. Un significativo ’Fermi tutti’: in questi spazi non ci si può più muovere, non si può manifestare. Tutto apparentemente chiaro e semplice.

L’annuncio di Monica Cirinnà

Il paradosso antitetico però, il precedente che fa riflettere, lo lancia dalle sue pagine social la senatrice Monica Cirinnà che annuncia la sua presenza Sabato 20 Novembre ad un corteo: ‘Sarò in piazza, a Roma, per la Trans Freedom March, organizzata nel TDOR, il giorno in cui si ricordano le vittime dell’odio fondato sull’identità di genere. A tre settimane da quel vergognoso applauso in Senato, le persone trans scenderanno in piazza, a Roma e altrove, per chiedere riconoscimento e protezione… Un esercizio di partecipazione politica e di consapevolezza civile. Per tutte e tutti noi. A domani!’ .

Il motto: “Mi rivolto, dunque siamo”

Il tutto pubblicizzato con il cartello del manifesto il cui claim è ‘Mi RIVOLTO dunque SIAMO’. Lo stesso significato della parola “rivolta” è ribellione collettiva, anche violenta, contro il potere costituito, ovvero volontà di rottura, rifiuto di un assetto morale, di un sistema culturale. Un focus comunicativo per nulla azzeccato con ciò che rappresentano oggi le manifestazioni e i loro presunti pericoli. Il climax totale di questa esegesi informativa della Cirinnà raggiunge l’apice con la fotografia della cartina in cui si svolgerà il raduno pubblico. Partenza e arrivo di un percorso in movimento per le vie centrali della Capitale.

Sei untore solo se manifesti contro il governo

Se si devono fare le cose scorrette viene da pensare, allora vanno fatte bene. È palese in questo senso che in merito alle nuove regole adottate dal Viminale per le manifestazioni, il messaggio della senatrice dem accoglie due pesi e due misure verso chi manifesta e soprattutto se si tratta di piazze a favore della sinistra. Qui nasce l’incongruenza, se ci si ritrova in piazza per manifestare contro i provvedimenti del governo si diventa temibili untori, se la piazza diventa il luogo per contestare ciò che è accaduto al Ddl Zan o battaglie lgbt il peccato originale viene cancellato e si diventa democratici responsabili e in/coerenti.

Il sottosegretario Sibilia aveva detto: dal 10 novembre basta cortei

Fa ancora di più riflettere questo illogico e curioso paradigma perché lo stesso sottosegretario dell’Interno M5s Carlo Sibilia aveva annunciato: “Da domani 10 novembre saranno vietati i cortei, e questo vale per tutte le manifestazioni non solo per quelle No Vax.

Siamo a 15 settimane di fila di cortei con situazioni che sfociano nella cronaca di ogni giorno, creando problemi alla sicurezza pubblica. Mi auguro siano misure momentanee e circoscritte”.

Alla fine di tutto ciò che emerge in maniera lampante è che per le manifestazioni del fronte progressista, a prescindere dalla legittimità dei loro valori e credenze che nessuno vuole discutere, non esistono rischi di assembramento o contagio del virus mentre per tutte le altre nascono limitazioni e divieti a prescindere. Paradossi democratici.

Rinaldo Frignani per "Il Messaggero" il 10 novembre 2021. Piazza Fontana a Milano, così come la zona del Duomo e di Brera. Piazza del Popolo a Roma, Santa Croce e Santa Maria Novella a Firenze, piazza Unità d'Italia a Trieste - e gran parte del centro -, il lungomare di Napoli, con piazza Dante e piazza del Plebiscito. Ma anche piazza Maggiore a Bologna, piazza del Ferrarese a Bari e piazza Sant'Oronzo a Lecce, piazza Garibaldi a Cagliari e piazza Verdi a Palermo. È solo una parte della mappa dei luoghi dove saranno vietate manifestazioni pubbliche, come raccomandato nei giorni scorsi dal Viminale. Niente cortei e sit-in spostati in altre aree valutate volta per volta per evitare blocchi della circolazione e rischio di impennata dei contagi, come si è visto nelle ultime settimane soprattutto a Milano e Trieste, e prima ancora a Roma. In attesa di una circolare del ministero dell'Interno, i prefetti hanno comunque già iniziato a pianificare, in accordo con i sindaci, una serie di provvedimenti che possano venire incontro anche alle esigenze e alle richieste dei commercianti. «In una fase ancora difficile della pandemia, è più che mai necessario che prevalga la responsabilità e la ragionevolezza da parte di tutti», spiega il presidente della Confcommercio Carlo Sangalli, soddisfatto dalla decisione del Viminale «di riportare nel perimetro della legalità le proteste contro il green pass: manifestare per le proprie idee è giusto e doveroso - aggiunge - ma nel rispetto dei diritti e della libertà di tutti. Diritto e libertà di vivere la propria città, e delle imprese di poter lavorare. In particolare quelle del commercio, dei servizi e del turismo che più di tutte hanno pagato un prezzo durissimo alla crisi sanitaria». Le linee guida sarebbero proprio quelle già tracciate dall'ordinanza d'inizio novembre del prefetto di Trieste Valerio Valenti, con la quale fino al prossimo 31 dicembre sono vietate manifestazioni pubbliche in tutto il centro. Un primo passo al quale si potrebbero adeguare nelle prossime ore anche altri prefetti in tutto il territorio nazionale anche sull'onda della preoccupazione per quanto accade ad esempio a Milano da 16 settimane consecutive con manifestazioni itineranti dei no green pass, culminate in ripetuti scontri con le forze dell'ordine, ma anche in blocchi della circolazione, che sono avvenuti negli ultimi tempi anche a Genova e Firenze. Come del resto a Roma, dove il discorso blocco cortei e sit-in rimane per ora interlocutorio, con la possibilità del Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica di spostare - e in casi limite vietare - iniziative di protesta dal centro in zone non molto distanti, come San Giovanni e Bocca della Verità (Circo Massimo), nel caso di incompatibilità con situazioni legate sia alle necessità dei cittadini sia alle misure anti-assembramento. I punti chiave di un'eventuale circolare, e comunque delle decisioni che i prefetti prenderanno nelle prossime ore a partire da oggi, sono legate al divieto di manifestare vicino a obiettivi sensibili e sedi istituzionali, nei centri storici, nelle zone dedicate allo shopping, in particolare nel periodo natalizio, in aree a forte richiamo turistico e anche in determinati orari della giornata, per evitare di congestionare la circolazione stradale. La parola d'ordine è nessun divieto di protestare, ma allo stesso tempo creare meno disagi possibili alla cittadinanza e a chi lavora. Ma la Capitale, quantomeno per una questione di spazi, è un caso unico, con un ventaglio di scelte alternative che le altre città non hanno. Da qui, per cominciare, le misure prese con ordinanze dai sindaci di Verona e Padova per l'obbligo delle protezioni per i partecipanti ai sit-in. Al vaglio a Trento la possibilità di non concedere più piazza Dante per le proteste dei no green pass e dei no vax, come anche piazza della Vittoria a Genova, dove le associazioni come Libera Piazza Genova hanno annunciato una mobilitazione in caso di divieto di manifestare. La stessa presa di posizione dei gruppi organizzati di Milano e Trieste, mentre quelli di Torino sono rimasti più cauti e disponibili ad accettare location alternative.

Andrea Siravo e Monica Serra per “la Stampa” il 14 novembre 2021. Circondati in gruppi. Accerchiati da polizia e carabinieri in tenuta antisommossa che hanno blindato piazza Duomo e spento ogni tentativo di protesta. Complice la pioggia, tra i fischi e le urla, la prova di forza annunciata dalla Questura per il primo sabato dal 24 luglio ha impedito il corteo contro il Green Pass a Milano. Uno per uno, i più violenti sono stati bloccati. Il bilancio della serata è stato di due fermati, due denunciati e una trentina di attivisti identificati, mentre un agente della Digos è rimasto lievemente contuso. Molto più numerosi, in almeno cinquemila, i militanti si erano radunati alle 15 davanti all'Arco della Pace, per la manifestazione promossa da Children's Health Defense, in cui ha preso la parola il leader negazionista Robert F.Kennedy Jr., terzogenito di Bob e nipote di JFK, che per le sue posizioni è stato disconosciuto dalla famiglia. No Vax, Boh Vax (cioè gli scettici) e no Green Pass, con figli e passeggini al seguito, hanno accolto con un lungo applauso l'arrivo dell'avvocato 67enne promotore di battaglie ambientaliste. Sotto al palco c'erano anche l'ex dirigente Rai Carlo Freccero e Gian Marco Capitani, leader del movimento «Primum non nocere» che il mese scorso a Bologna aveva insultato la senatrice a vita Liliana Segre, per poi scusarsi il giorno dopo. «Il Green Pass è un colpo di stato ed è lo strumento che usano per negare i vostri diritti», ha tuonato Kennedy Jr. davanti alla folla. «Non è una misura sanitaria ma uno strumento di controllo dei vostri movimenti e dei vostri conti correnti». E ancora: «Se il Green Pass è una misura sanitaria perché non viene emesso dal ministero della Salute, ma dal ministero delle Finanze. Credono che siamo stupidi?», ha incitato la folla che intanto scandiva i soliti cori: «Libertà, libertà» e «La gente come noi non molla mai». Poi Kennedy Jr. ha virato sui vaccini: «Non sono contrario a tutti, solo a quelli cattivi» come quelli anti-Covid. «Dicono che evitano la trasmissione e fermano la pandemia, ma non è vero. Quindi a cosa serve essere tutti vaccinati?». Ha concluso e si è allontanato a bordo di un van nero, mentre la piazza era ancora gremita di sostenitori. Quando il presidio stava per terminare, blindati e cordoni della polizia avevano già circondato l'intera area, lasciando l'unica via d'uscita verso parco Sempione. Così oltre un migliaio di No Vax, in gruppi più o meno grandi, ha provato a raggiungere piazza Fontana, come nei precedenti sedici sabati di mobilitazione. All'ingresso però, c'erano già decine gli agenti in tenuta antisommossa che l'avevano chiusa e che, per tutta la serata, hanno continuato a isolare i nuclei di militanti al loro arrivo. Di fatto la protesta è stata così spezzettata in piccoli tronconi, a partire da via Dante. E ogni tentativo di alzare i toni o unirsi in corteo, mescolandosi tra i passanti e i turisti che passeggiavano in centro, è stato sedato sul nascere da poliziotti e carabinieri che hanno «limitato i danni» a negozi e commercianti della sola piazza Duomo, «facendo rispettare - sottolineano da via Fatebenefratelli - le linee guida del Viminale». Anche nelle altre piazze d'Italia, dopo la stretta del ministro Luciana Lamorgese, la mobilitazione è stata un flop. A Roma, al Circo Massimo, sono arrivati in poche centinaia, molti meno di quelli previsti. Accompagnata dal coro «giù le mani dai bambini», una «bambina simbolo» è stata fatta salire sul palco. Circa tremila si sono incontrati a Torino, in Piazza Castello, l'unico luogo del centro non interdetto alle manifestazioni perché «connotato da una maggiore valenza simbolica per la comunità». Tra loro anche una delegazione di alcune decine di No Tav. A Novara ha preso di nuovo la parola Giusy Pace, l'infermiera finita nella bufera per la trovata dei manifestanti di travestirsi da deportati nei lager, quindici giorni fa. Dopo una settimana di polemiche, degli oltre mille No Vax previsti, a Gorizia se ne sono presentati 250. L'unico corteo si è tenuto a Genova, dove circa 500 manifestanti sotto la pioggia battente si sono incontrati davanti al palazzo della Regione e sono riusciti a spaccare il centro città, per poi sciogliersi in piazza della Vittoria.

L'aria che tira, Pietro Senaldi oltre i No Green pass. "Cortei vietati? Sì, anche alla Cgil". Libero Quotidiano il 10 novembre 2021. Bene la stretta sulle manifestazioni di piazza di no vax e No green pass, ma non basta. Pietro Senaldi, in collegamento con Myrta Merlino a L'Aria che tira su La7, punta il dito anche su chi è abituato a scendere in piazza a sinistra: "Devono essere vietati tutti i cortei, anche quelli della Cgil". Matteo Salvini, sottolinea la Merlino, sembra essersi riallineato con Confindustria e i commercianti: "Dopo aver sostenuto Puzzer, ha capito che una buona base dei suoi elettori è contrario alle manifestazioni di piazza...". "Sì ma tutte le manifestazioni", sottolinea ancora il condirettore di Libero. Misure estreme, dunque, sono comprensibili vista la situazione, anche se non tutto è concesso a un governo.  "Noi come Libero siamo stati sostenitori fin da subito del vaccino, ma per esempio non sono d'accordo con Singapore. Se mi levi le cure (ai non vaccinati per scelta, ndr) allora mi devi anche restituire le tasse. Se vuoi fare una cosa del genere devi prenderti la responsabilità di mettere l'obbligo vaccinale. Io non capisco perché l'Italia che è all'avanguardia di tante cose non possa essere all'avanguardia anche su questo". 

"In pochi secondi mi hanno aggredita così": il racconto del medico vittima dei No pass. Valentina Dardari il 25 Ottobre 2021 su Il Giornale. Il medico è stato aggredito a bordo di un vagone della metro sul quale viaggiavano anche dei manifestanti. Sono sette i ricercati a Roma e provincia. Venerdì scorso, a Roma, una dottoressa è stata aggredita e picchiata da alcuni No pass mentre si trovava a bordo di un vagone della metro. L’aggressione è avvenuta verso le 19 del 22 ottobre. “Mi sono presentata come medico per dare informazioni corrette, stavano parlando del Covid ripetendo concetti fuori da ogni logica, non ho avuto il tempo di fare nulla. In una manciata di secondi sono stata aggredita. Nessuno mi ha difesa, ora ho paura” ha raccontato il medico. Gli aggressori stavano viaggiando sul suo stesso vagone. Tutto ha avuto inizio quando altri passeggeri hanno chiesto al gruppo di indossare le mascherine. Al loro rifiuto ha preso corpo una violenta discussione che ha coinvolto diversi pendolari. Come riportato da Il Messaggero, le persone contrarie alle mascherine hanno ribattuto: “Questa è una dittatura sanitaria, il virus non esiste. Siete servi dello stato”. A quel punto la dottoressa, 37 anni, non è riuscita a lasciar correre ed è intervenuta nel violento dibattito, ma una componente del gruppeto le si è subito rivolta contro. Anche una volta scesi dal convoglio la lite è proseguita sulla banchina della stazione San Paolo, facendosi sempre più violenta. Una delle componenti del gruppo ha infatti sferrato una testata alla dottoressa facendola cadere al suolo. Quando è arrivato un altro treno il gruppetto è salito facendo perdere le proprie tracce.

Intanto è già partita la caccia ai sette aggressori, sulle loro tracce si sono messi gli agenti aiutati dalle immagini, consegnate ieri al dirigente Roberto Cioppa, riprese dalle telecamere di sorveglianza presenti sia nelle stazioni che sul treno della linea B, dalla stazione San Paolo alla Laurentina. Le indagini sono state affidate ai poliziotti del distretto Cristoforo Colombo. Secondo una prima ricostruzione il gruppo aveva preso parte poco prima alla manifestazione No vax al Circo Massimo, con indosso gilet gialli e bandiere italiane. Gli agenti hanno precisato che “molto dipenderà dalla qualità delle immagini”. Hanno però aggiunto: “Abbiamo più di un indizio per risalire alla loro identità. Le ricerche si allungano anche fuori dalla città. Molti partecipanti ai cortei di sabato non erano di Roma quindi non è escluso che il gruppo sia arrivato da un'altra regione. Non escludiamo nulla”. In mano alle forze dell’ordine anche un video girato da una dei pendolari con il suo telefono, presente alla lite, che ha dichiarato: “Ho avuto paura ecco perché non sono intervenuta”. I periti sono già al lavoro per analizzare i fotogrammi che hanno in mano. Quella tragica sera è stata la stessa dottoressa, vittima dell’aggressione, a chiamare il 112 per essere aiutata. Gli agenti hanno quindi mandato immediatamente un’ambulanza sul posto e, una volta arrivata, il personale sanitario del 118 ha disposto il trasporto della donna al Cto della Garbatella in codice arancione. La dottoressa è stata quindi medicata e dimessa con una prognosi di 20 giorni e la conferma di una contusione al setto nasale. Nei prossimi giorni la vittima, che per il momento non ha ancora sporto denuncia, verrà ascoltata presso il commissariato Colombo di via Giovanni Maria Percoto. Il medico ha più volte ribadito:“Durante la discussione nessuno è intervenuto, nessuno mi ha difesa”. In una nota, l'Assessore alla Sanità della Regione Lazio, Alessio D'Amato, ha espresso la sua solidarietà alla professionista:“Una vile aggressione nei confronti di una professionista colpevole di aver espresso la propria opinione. Spero che le autorità facciano presto piena luce sugli aggressori”.Segui già la pagina di Roma de ilGiornale.it?

Valentina Dardari. Sono nata a Milano il 6 marzo del 1979. Sono cresciuta nel capoluogo lombardo dove vivo tuttora. A maggio del 2018 ho realizzato il mio sogno e ho iniziato a scrivere per Il Giornale.it occupandomi di Cronaca. Amo tutti gli animali, tanto che sono vegetariana, e ho una gatta, Minou, di 19 anni. 

Estratto dell’articolo di Simone Canettieri per ilfoglio.it l'11 ottobre 2021. "Enrico lascia stare: Roma è cosa loro. Fanno di tutto per attaccarti. Lascia stare". Dai microfoni di Radio Radio, l'emittente romano che ha lanciato Enrico Michetti, questa mattina è partito l'appello alla resa. A lanciarlo Ilario Di Giovambattista, patron di Radio Radio e da sempre sponsor del candidato di centrodestra. Durante la trasmissione Accarezzami l'anima, uno spazio mattutino che prima era occupato da Michetti, Di Giovambattista si è rivolto a Michetti. Gli ha consigliato di gettare subito la spugna. Perché tutto complotta contro il tribuno.

Da radioradio.it l'11 ottobre 2021. Che l’Italia sia uno dei Paesi occidentali con il sistema mediatico più orientato verso gli organi politici è fattuale, risaputo e anche teorizzato a livello accademico. Mai, però, si sarebbe potuto immaginare un incollamento tale da giustificare un vero e proprio accanimento nei confronti di un candidato avverso a gran parte della stampa nostrana. È quello che vede travolto in queste ore il professor Enrico Michetti, passato dall’essere proveniente dalla “destra, destra, destra, forse neofascista” (Gruber, Otto e Mezzo, La7) ad aver pronunciato “frasi antisemite” in un articolo risalente al febbraio 2020 (Andrea Carugati, Il Manifesto), fino all’essere “pilotato da Radio Radio, l’emittente dei No Vax” (Lorenzo D’Albergo, la Repubblica). In verità già prima della sua discesa in campo, alle prime voci di candidatura, l’esperto amministrativista era stato oggetto della propaganda di quotidiani, tv, radio. “La Corte dei Conti indaga sulla Fondazione di Michetti, il professore che Meloni vorrebbe candidato sindaco di Roma”, titolava il Fatto Quotidiano nella fasi calde della scelta da parte del centrodestra. E come non dimenticare la farsa instaurata sul saluto romano più igienico, che “in una delle sue trasmissioni a Radio Radio il possibile candidato di Fratelli d’Italia a sindaco di Roma ha rivalutato in tempo di Covid” (Marina de Ghantuz Cubbe, la Repubblica/Roma). Così il “tribuno della Radio” (altra definizione che voleva essere dispregiativa) è stato bersagliato negli ultimi mesi. Sul costante attacco che verosimilmente si consumerà fino al ballottaggio del 17 e 18 ottobre è intervenuto in diretta il direttore Ilario Di Giovambattista a “Accarezzami l’Anima”. Ecco le sue parole. “Io sono molto preoccupato perché in questa campagna elettorale io ho avuto la conferma di quello che già pensavo: in Italia c’è una stampa della quale mi vergogno. Io vorrei raccontarvi quello che è successo ieri, credo che ormai le cose siano abbastanza chiare. Guardate il titolo di Repubblica di oggi: "l’uomo nero contro le città". Io sono molto preoccupato perché Roma deve essere cosa loro. Roma è cosa loro, nessuno può azzardarsi da persone perbene a entrare in un agone politico. Siamo a una settimana dal voto e per fortuna non hanno trovato nei confronti di Michetti che negli ultimi 30 anni ha aiutato soprattutto i sindaci di sinistra. Vi giuro: io ho paura. Ho paura perché se i cittadini si informano attraverso la stampa, attraverso i mainstream, purtroppo siamo un Paese truffato. È una stampa truffatrice, una stampa della quale mi vergogno. Non c’è niente di deontologico nella stampa italiana, si salvano in pochi, ma veramente in pochi. Sono tutti sotto un padrone, soprattutto politico. Non vedo l’ora che finisca questa settimana, perché tanto ho capito come la stanno mandando. Ho capito come la stanno indirizzando. Anche la manifestazione di Piazza del Popolo: erano tutti fascisti vero? Se decine di migliaia di persone sono tutte fasciste allora si dovrebbero interrogare i nostri capi. Sanno bene che non è così. Sanno bene a un certo punto è successo qualcosa, forse li hanno chiamati loro. Non ci possiamo permettere di parlare di niente, di niente, zero. Io ho capito come vogliono mandarle le elezioni, fossi il professor Michetti mi ritiro. Io sto invitando ufficialmente il professor Michetti a farli vincere così. Enrico ritirati, non sono degni di te. Dammi retta, è cosa loro, ti distruggono. Io sono spaventato. E chiedo veramente a Enrico Michetti: Enrico ritirati, falli vincere. Roma è cosa loro, se non vincono questa volta vanno fuori di testa. Se la sono già venduta, già spartita. È inutile. È tutto apparecchiato. È tutto fatto. Però di mezzo ci sono i cittadini. L’unica speranza sono i cittadini, ma se i cittadini si informano attraverso questa stampa corrotta è la fine. Ecco perché in Italia tante cose non vanno, perché hanno creato un sistema. Il sistema politico-giornalistico è una delle cose più marce, più schifose del nostro Paese. Non voglio avere proprio niente a che fare con questa feccia”.

Vittorio Sgarbi, "a Giorgia Meloni lo avevo detto": complotto prima del ballottaggio? Una inquietante teoria. Libero Quotidiano l'11 ottobre 2021. "L’ho già detto a Giorgia Meloni all’indomani del primo turno: vedrai, faranno qualsiasi cosa per etichettare Enrico Michetti come neofascista. E i fatti mi hanno dato ragione. Tutto è partito da quella che io chiamo la “congiura di Fanpage”. Si è usato un infiltrato clandestino alla ricerca di un reato che non c’è. E gli effetti si sono visti. La verità è che siamo di fronte a una profonda violazione delle regole democratiche da parte dell’informazione e di certa politica. Come non pensare alla Gruber che ha definito Michetti come un neofascista davanti a Calenda che ha cercato addirittura di correggerla?”. Così Vittorio Sgarbi parla del prossimo ballottaggio di Roma e delle conseguenze politiche nate dopo il voto delle amministrative del 3 e 4 ottobre. "Nello spostare il tiro sul fantasma del fascismo che non c’è, evitando di parlare delle migliaia di persone che hanno manifestato liberamente per un sacrosanto diritto di libertà. C’erano sì Fiore e Castellino, ma è anche vero che non si manganellano le persone civili, non si fa sanguinare chi ha idee diverse", spiega Sgarbi puntando il dito sull'informazione. "La gente non capirà che il pericolo fascista non esiste. Per quanto riguarda Michetti, tutti gli elettori che lo hanno votato al primo turno, devono tornare a votare, questo è il mio invito. Devono capire che la pressione mediatica che stiamo subendo sta facendo diventare santo il governo e fascista la gente che scende in piazza", chiarisce in una intervista al Giornale. Sulla manifestazione di Landini per la democrazia e per il lavoro, contro i fascismi, annunciata a Roma il 16 ottobre, raccomta che "farà un’interrogazione parlamentare perché non è accettabile che si faccia politica col sindacato nel giorno di silenzio elettorale. Landini non è un corpo apolitico, ma attraverso il sindacato fa politica e non può farla il giorno del silenzio elettorale, condizionando le urne. La facciano piuttosto il 18, il 19, non il 16. È un’azione chiaramente contro la Meloni". Infine un consiglio al candidato sindaco di Roma Enrico Michetti. "Da soli né io né lui abbiamo la possibilità di potere fare un comizio in piazza dicendo che non è vero che siamo fascisti. Ma ormai Gruber, Fanpage e Landini, i tre finti democratici, hanno imposto un taglio eversivo alla comunicazione. Spero ora che vadano a votare quelli che vengono chiamati fascisti senza esserlo e che siano più numerosi di quelli che vengono chiamati al voto contro i fascisti inesistenti. Ripeto, il rischio fascista non c’è. C’è un rischio eversivo da parte dell’informazione", conclude Sgarbi. 

Quarta Repubblica, il sospetto di Sallusti sugli scontri a Roma: "Qualcuno ha lasciato che accadesse". Libero Quotidiano il 12 ottobre 2021. I sospetti su quanto accaduto nella giornata di sabato 9 ottobre a Roma sono tanti. In particolare ci si interroga come tutto ciò sia stato possibile. A chiederselo anche Alessandro Sallusti, ospite di Quarta Repubblica su Rete 4. "La cosa è talmente strana che o il Paese è in mano ad un branco di incapaci o qualcuno dentro lo Stato ha lasciato che accadesse. È evidente che questo fa gioco alla sinistra". In piazza, con il pretesto di protestare contro il Green pass anche Roberto Fiore e Giuliano Castellino, leader di Forza Nuova. I due sono stati arrestati, ma com'è possibile che potessero manifestare indisturbati? Una domanda che si è posto lo stesso Matteo Salvini, da giorni con Giorgia Meloni attaccato su tutti i fronti. "Ho fatto il ministro dell'Interno e qualunque cosa accadesse era colpa mia – ha detto Salvini sui suoi canali social – Ora, mi domando: se questo estremista di destra era tranquillamente in piazza del Popolo, con il microfono in mano e davanti a migliaia di persone, chi lo ha permesso? Chi non lo ha impedito? L'attuale ministro dell'Interno ha fatto tutto quello che poteva, ha fatto tutto quello che doveva?". Il leader della Lega punta il dito contro Luciana Lamorgese, ministro dell'Interno: "Non prevedere le necessarie misure di sicurezza e non prevenire gli incidenti, anche gravi, significa che è la persona sbagliata, nel posto sbagliato e nel momento sbagliato". Non solo, perché a indignare maggiormente il direttore di Libero è anche l'uscita di Beppe Provenzano. Il vicesegretario del Partito democratico ha detto che Fratelli d'Italia "è fuori dall'area democratica e repubblicana". Parole fortissime che hanno scatenato la polemica: "Quello che è più inquietante è che il vice segretario del Pd ha buttato lì che forse si dovrebbe chiudere Fratelli d'Italia". E infine: "Stasera hai dimostrato che chi di dovere doveva sapere cosa succedeva e non ha fatto nulla". 

Dentro il Matrix di Giorgia Meloni. Mauro Munafò su L'Espresso l'11 ottobre 2021. Le prese di distanza dalle manifestazioni romane, con molti distinguo, non hanno trovato alcuno spazio sui social solitamente così aggiornati della leader di Fratelli d’Italia. Per un motivo molto chiaro. La leader di Fratelli d’Italia ha fatto finta di condannare le violenze fasciste della manifestazione no Green pass a Roma tirando fuori dal cilindro la frase: «È sicuramente violenza e squadrismo, poi la matrice non la conosco. Nel senso che non so quale fosse la matrice di questa manifestazione, sarà fascista, non sarà fascista, non è questo il punto. Il punto è che è violenza, è squadrismo e questa roba va combattuta sempre». L’ironia sulla matrice che Meloni non conosce, in effetti difficile da rilevare tra saluti romani e canti contro i sindacati “boia”, rischia di oscurare un altro interessante fenomeno. Ovvero come dentro la bolla meloniana e i suoi canali ufficiali sia stata del tutto nascosta questa storia e questa presa di distanza. Ennesima dimostrazione dell’ambiguità utilizzata da Meloni per non perdere il consenso delle frange estreme della destra nazionale. Ma andiamo nel dettaglio. Sui canali ufficiali di Giorgia Meloni, al momento in cui scriviamo e a due giorni dagli eventi di cui parliamo, non è comparso nessun messaggio o video dedicato a condannare le manifestazioni romani. Nelle ultime 48 ore i social media manager di Meloni hanno però trovato il modo di parlare di partite Iva, mazzette in Sicilia, della destra presentabile, di Brumotti e della partecipazione della leader di Fratelli d’Italia all’evento di Vox in Spagna. Non si tratta quindi di una dimenticanza ma di una scelta precisa per non scontentare i fan. E allora quella “condanna” che è servita a fare i titoli sui giornali, da dove arriva? È la risposta alle domande fatte dai giornalisti domenica mattina e di cui non c’è traccia sui canali social di Meloni, di solito sempre pronti a immortalare ogni uscita della politica. Di più, l’unico segno “ufficiale” di queste frasi arriva da una pagina interna del sito di Giorgia Meloni: con un breve comunicato che non è stato neppure messo sulla sua homepage. E che comunque, in un momento in cui la comunicazione politica passa interamente dai social, non avrebbe visto nessuno. Ripescando un vecchio adagio della professione giornalistica: se vuoi nascondere una notizia non devi censurarla ma pubblicarla in piccolo in qualche pagina secondaria. Più che di matrice quindi, qua siamo di fronte a un vero e proprio “Matrix” di Giorgia Meloni. La sua realtà parallela.

Mirella Serri per "la Stampa" l'11 ottobre 2021. L'attacco dell'altroieri da parte di sedicenti no Green Pass alla sede centrale della Cgil voleva colpire un ganglio vitale dello Stato democratico, la rappresentanza sindacale dei lavoratori. Ricorda molto le aggressioni delle squadracce fasciste contro le Camere del lavoro, le Case del popolo e le leghe durante il "biennio nero" 1921-22. Però secondo la leader di Fratelli d'Italia, Giorgia Meloni, si tratta «sicuramente di violenza e squadrismo, ma la matrice non la conosco»: un modo furbetto per evitare di dire che siamo di fronte a un rigurgito di fascismo. Da qualche tempo questa politica dello struzzo è sempre più ricorrente fra gli esponenti della destra. La verifichiamo sia in circostanze gravissime, come l'attacco al cuore dello Stato dei giorni scorsi, che in episodi apparentemente minori ma rivelatori della presenza di un nocciolo duro di neofascismo nelle pieghe delle due principali formazioni della destra. Cosa testimonia, ad esempio, il boom di voti ricevuti nella Capitale da Rachele Mussolini junior, candidata alle comunali per il partito della Meloni? Il fatto che la giovane Mussolini, con un cognome così evocativo, abbia fatto il pieno di preferenze non si deve prendere sottogamba. Come ha scritto ieri il direttore de "la Stampa", l'onda nera che ha invaso le piazze italiane affonda le sue radici nell'"album di famiglia". E la nipote di Rachele Guidi, moglie di Mussolini, agli occhi dei suoi elettori ha rappresentato proprio questo nero album. Da una parte c'è il cognome del Duce, che i più fanatici militanti di destra rivalutano per tutto il suo operato, incluse le leggi razziali. Ma dall'altra c'è anche il nome di nonna Rachele che piace ai meno estremisti fra gli estremisti perché è ricco di storia fascista. Molti italiani, non solo i romani, associano la consorte del capo del fascismo all'immagine di una casalinga fedele e icona della memoria del dittatore, a una donna lontana dall'agone politico, timida e discreta. Ma questo ritratto le corrisponde? Oppure è una mistificazione dei cultori del passato che non passa, così come, ad esempio, le recenti esternazioni su quell'Arnaldo Mussolini presentato come il fratello mite e buono del Duce. Alla domanda su cosa pensasse del fascismo, Rachele junior ha glissato: «È una storia troppo lunga». Ma di fronte anche a quello che è accaduto sabato, la storia non è troppo lunga e va al più presto riportata alla luce. Quando il leghista Claudio Durigon propose di intitolare il parco comunale di Latina ad Arnaldo Mussolini, si fece finta di dimenticare chi fosse veramente costui. Non solo un fascista tra i tanti: aveva intascato le maxi-tangenti pagate dalla Sinclair Oil per assicurarsi il monopolio delle ricerche petrolifere in tutta Italia. Giacomo Matteotti, per coincidenza, venne assassinato mentre era in procinto di denunciare la corruzione del fratello del Duce. La stessa volontaria dimenticanza del passato si ripete con la storia di nonna Rachele: anche lei, proprio come Arnaldo, fu molto attiva negli affari di famiglia e del regime di cui con passione sostenne anche tutte le violenze. Rachele senior fu anche cinica e feroce nei confronti degli antifascisti e perfino dei fascisti: prima della seduta del Gran Consiglio che destituì il Duce, gli suggerì di incarcerare tutti i gerarchi che ne facevano parte. Caldeggiò inoltre la condanna a morte di Galeazzo Ciano per il "tradimento". La vita di Rachele, incluso il periodo della Rsi, è stata parte integrante della più cruenta storia del fascismo e rientra in quell'album di famiglia che le componenti nostalgiche di Fratelli d'Italia e della Lega fingono di ignorare dando il loro voto a Rachele Mussolini junior, un nome e un cognome che sono una garanzia per i nostalgici del Ventennio.

Otto e Mezzo, "matrice cercasi": Gruber a senso unico sin dal titolo, plotone schierato contro Giorgia Meloni. Libero Quotidiano l'11 ottobre 2021. “Matrice neofascista cercasi”, è il titolo scelto da Lilli Gruber per la puntata di Otto e Mezzo di lunedì 11 ottobre. Un chiaro riferimento alle prime dichiarazioni di Giorgia Meloni dopo la notizia delle violenze fasciste e squadriste verificatesi a Roma, tra l’assalto ai blindati della polizia e soprattutto alla sede della Cgil. La Gruber ha scelto un parterre di ospiti tutt’altro che casuale per affrontare l’argomento, a partire da Tomaso Montanari - che con la leader di Fratelli d’Italia ha delle “storie tese” passate - e da Paolo Mieli. “Non c’è neanche un dubbio sulla matrice - ha dichiarato il giornalista del Corriere della Sera - erano lì presenti i leader di Forza Nuova a guidare l’assalto. Casomai si dovrebbero distinguere le cose, non riduciamo tutta la questione dei no-green pass ai neofascisti. È accaduta una cosa deprecabile, non c’è alcun dubbio che la matrice sia quella”. Inoltre Mieli si è detto stupito dalla difficoltà che fanno Lega e Fratelli d’Italia a prendere le distanze e a condannare fermamente le violenze fasciste: “Possibile che non ce ne sia uno che dica basta, bisogna fare una guerra senza quartiere e sbatterli fuori? A me non interessa nulla, lo dico per loro: cosa devono aspettare? Un assalto ad una sede della Lega?”.

Da huffingtonpost.it l'11 ottobre 2021. Solleva un polverone la dichiarazione del vicesegretario del Pd, Giuseppe Provenzano, contro Fratelli d’Italia e la sua leader Giorgia Meloni. “Ieri Meloni aveva un’occasione: tagliare i ponti con il mondo vicino al neofascismo, anche in FdI. Ma non l’ha fatto. Il luogo scelto (il palco neofranchista di Vox) e le parole usate sulla matrice perpetuano l’ambiguità che la pone fuori dall’arco democratico e repubblicano” ha detto l’ex ministro del Sud. “In questo modo Fdi si sta sottraendo all’unità delle forze democratiche e repubblicane contro i neofascisti che attaccano lo Stato. Un evidente passo indietro rispetto a Fiuggi”. Parole a cui replica Giorgia Meloni su Facebook: “Il vicesegretario del partito ’democratico’ vorrebbe sciogliere il primo partito italiano (oltre che l’unica opposizione al governo). Un partito a cui fanno riferimento milioni di cittadini italiani che confidano e credono nelle nostre idee e proposte. Spero che Letta prenda subito le distanze da queste gravissime affermazioni che rivelano la vera intenzione della sinistra: fare fuori Fratelli d’Italia” afferma la leader di FdI. “O forse i toni da regime totalitario usati dal suo vice rappresentano la linea del Pd? Aspettiamo risposte”. Diversi gli esponenti di Fratelli d’Italia che si scagliano contro Provenzano. “Il presidente del Consiglio Draghi e tutti i partiti che appoggiano il suo governo condannino immediatamente le parole di chi sembra essere più vicino alle censure imposte dalle dittature di sinistra che non alle posizioni di libertà cui si ispira Fratelli d’Italia” dichiara il capogruppo alla Camera, Francesco Lollobrigida. E Giuseppe Provenzano chiarisce: “Una batteria di attacchi nei miei confronti da Fdi. Chiariamo. Nessuno si sogna di dire che Fdi è fuori dall’arco parlamentare o che vada sciolta. Ma con l’ambiguità nel condannare matrice fascista si sottrae all’unità necessaria forze dem. Sostengano di sciogliere Forza Nuova”.

Dagospia il 13 ottobre 2021. Da “La Zanzara - Radio24”. Vittorio Feltri esordisce così come consigliere comunale a Milano.  A La Zanzara dice: “Non mi sono votato, mi hanno dato due lenzuolate e non ho un capito un cavolo di quello che c’era scritto. Penso di aver votato Sala. Il nome Feltri non l’ho scritto”. “In Consiglio comunale andrò qualche giorno, poi me ne vado. Negli ultimi quarant’anni non ho mai visto un consiglio comunale”. “Gay Pride? Dovrebbe chiamarsi Froci Pride, però facciano quello che vogliono, a me di quello che fanno i froci non interessa nulla”. “Gay è parola inglese, omosessuale è un termine medico, preferisco chiamarli froci o culattoni”. “Il fascismo? E’ morto nel ‘45, non è un pericolo, non ho mai conosciuto un fascista in vita mia”. “Il fascismo? L’unica cosa buona che ha fatto è farsi uccidere. E’ riuscito a fare una guerra assurda, per soggiacere agli ordini di Hitler. Ma fu una piccola cosa rispetto al comunismo, che ha fatto molti più morti e molti più danni. Mussolini era alla guida di una nazione di poveracci, mentre il comunismo uccise molte più persone”. “I novax? Sono degli imbecilli, dei cretini. Rischiano di ammalarsi e morire, non hanno capito un cazzo”.

Vittorio Feltri per "Libero quotidiano" il 15 ottobre 2021. In Italia c'è un nuovo nemico che eccita gli animi di una fetta di popolazione: il Green pass, un documento necessario alle persone per certificare di aver ricevuto il vaccino anticovid. Chi non lo può esibire perché non si è immunizzato non può frequentare locali pubblici né recarsi al lavoro, in quanto rischia di infettare i propri simili. Da notare che in Italia l'ottantacinque per cento dei cittadini si è fatto iniettare le dosi salvifiche, pertanto coloro che non si sono avvantaggiati dell'antidoto costituiscono una netta minoranza. Essi per essere autorizzati a circolare liberamente in ogni luogo debbono sottoporsi ogni 48 ore al tampone che dimostri l'assenza della malattia. Questa è la legge e non mi sembra un abuso di autoritarismo: è un'espressione concreta di buon senso. Ma i non vaccinati protestano vibratamente perché pretendono che il succitato tampone sia gratuito. E minacciano scioperi che limiterebbero le attività economiche. I portuali in particolare dichiarano dies sere pronti a incrociare le braccia. Se realizzassero il loro intento rischierebbero di non ricevere la paga per la durata della loro assenza dal lavoro. Il che non mi pare una buona idea. Indubbiamente doversi pagare il tampone ogni 48 ore non è divertente: da questo punto di vista capisco il loro cattivo umore. Tuttavia a costoro consiglio di farsi vaccinare (operazione che avviene gratis) il che consentirebbe di ottenere immediatamente il famoso Green pass e di non avere più problemi per svolgere ogni attività, senza dover sborsare quattrini allo scopo di sottoporsi al periodico tampone. Ci vuole tanto per afferrare questo concetto elementare? Il vaccino non è lesivo come un colpo di pistola alla nuca. Si tratta di una punturina innocua che garantisce di non finire all'ospedale o peggio al cimitero. Forza ragazzi, datevi una mossa e che sia finita questa storia assurda. Il costo del vaccino è a carico dello Stato e non grava sulle vostre tasche. È già un bel vantaggio. Chiedere con prepotenza che anche i tamponi siano a spese dell'amministrazione pubblica è un atto di insopportabile arroganza. Significa costringere il governo a recuperare i capitali necessari tramite un aumento delle tasse, che gravano poi sul bilancio della comunità, la quale ovviamente si arrabbia. È assurdo pensare che per accontentare gli avversari del Green pass si debba forzosamente incidere in modo negativo sui cittadini che con disciplina si sono fatti immunizzare secondo le regole imposte saggiamente da Palazzo Chigi. Cari ribelli, mettetevi in testa che la battaglia contro il virus non è una partita di bocce: chi perde non versa una bottiglia di vino, ma la vita, e pure voi col vostro atteggiamento neghittoso vi predisponete alla vita, ma a quella eterna. Le vostre scelte scellerate sono oltretutto illogiche.

FABIO MARTINI per la Stampa il 13 ottobre 2021. Gianfranco Fini da quattro anni si è chiuso nel silenzio. Non un intervento pubblico e non un’intervista, ma il protagonista della più importante svolta nella storia della destra italiana non ha smesso di pensare politicamente, di consigliare, di parlare con gli amici di un tempo. E anche se ripete a tutti che lui si limita ad «osservare» e per questo non si esprimerà pubblicamente su Giorgia Meloni, però Fini ha confidato a più d’uno i suoi pensieri su quel che si muove in queste ore a destra: «Come la penso? La penso esattamente come la pensavo ai tempi della svolta di Fiuggi a proposito del fascismo e dell’antifascismo come momento storicamente essenziale per il ritorno dei valori democratici che erano stati conculcati». E Fini non dimentica l’asprezza degli scontri che lo divisero dagli oltranzisti e dai nostalgici, nello storico congresso di scioglimento dell’ Msi a Fiuggi nel 1995 e anche dopo: «Non a caso ero considerato in quegli ambienti il traditore per antonomasia!». In effetti la rottura della destra missina e post-missina non solo con i terroristi neri ma anche con i picchiatori e i movimenti violenti, 25-30 anni fa, è stata così radicale e memorabile da indurre Fini, nelle sue chiacchierate di questi giorni con gli amici di un tempo, a ragionare sul possibile scioglimento di Forza Nuova. Ieri scherzava sulla «fake news» che attribuiva proprio a lui la sottoscrizione di una mozione Change.org che chiede un intervento risolutivo contro l’organizzazione neo-fascista, ma l’ex leader di Alleanza nazionale confida che condividerebbe un eventuale provvedimento di questo tipo. Da ex presidente della Camera, Fini si sente di obiettare su alcuni strumenti per raggiungere l’obiettivo: «Trovo paradossale che sia il Parlamento in quanto tale ad assumere l’iniziativa con una mozione che peraltro non ho letto. In realtà il Parlamento può al massimo chiedere al governo di sciogliere quelle formazioni». Naturalmente Fini conosce la diatriba che divide giuristi e costituzionalisti sulla potestà repressiva, se la competenza spetti all’esecutivo o alla magistratura dopo apposita sentenza, ma sul punto l’ex capo di Alleanza nazionale non sembra aver dubbi: «In realtà i governo può intervenire subito, ope legis, anche senza un’iniziativa parlamentare. È già accaduto nel passato, sia pure in circostanze diverse, nei confronti di Ordine Nuovo e di Avanguardia nazionale». Ma c’è una storia, soffocata nel ricordo, che parla più di ogni altra circa i riflessi politici prodotti dalla rottura che Fini portò a termine col mondo che si muoveva anni fa alla destra dell’Msi-An. Ne parla lui stesso in questi giorni: «Nel gennaio del 1995, al congresso di Fiuggi, io fui agevolato da Rauti e Pisanò che si portarono dietro tutti coloro che avevano avversato la nascita di An e la sua carta d’intenti». Ma nei mesi successivi si consumò qualcosa di più grande di una banale scissione. E si produsse un evento elettorale, da allora rimosso da tutti, a destra e a sinistra. Dopo la svolta “anti-fascista” di Fiuggi e la nascita di An, Pino Rauti che per decenni era stato il principale ideologo del movimentismo di estrema destra, e Giorgio Pisanò, repubblichino mai pentito, ri-rifondarono la Fiamma missina e nella primavera del 1996 proprio i “neo-fascisti” furono decisivi in 49 collegi marginali per fare perdere il centro-destra. Disse Rauti: «Se Prodi ha vinto, lo deve a noi…». E in effetti, per quanto a sinistra possa apparire non subito comprensibile, la reticenza di Giorgia Meloni a prendere le distanze dai picchiatori di Forza Nuova in quanto neo-fascisti, in qualche modo è fuori linea anche rispetto a Giorgio Almirante. Il repubblichino capo storico della destra post-fascista italiana, tra 1978 e 1979 si incontrò in modo segretissimo col segretario del Pci Enrico Berlinguer e sinché i due furono vivi non se ne seppe nulla ma - come racconta Federico Gennaccari, editore e storico della destra missina - «i due leader pur così diversi colsero il rischio di una deriva terroristica di aree giovanili da loro oramai lontane ma che in qualche modo appartenevano ai rispettivi album di famiglia. E si scambiarono informazioni e pareri sulla pericolosa deriva in corso».

Giorgia Meloni, la menzogna di Giulia Cortese: "Eccola a casa, dietro di lei la foto di Mussolini". Ma è tutto falso. Libero Quotidiano il 13 ottobre 2021. La macchina del fango per minare la tornate elettorale non si ferma qui. La giornalista Giulia Cortese ha deciso di sferrare l'ultimo attacco a Giorgia Meloni. Peccato però che si tratti una notizia falsa. La Cortese ha infatti pubblicato un frame di un video in cui alle spalle della leader di Fratelli d'Italia, collegata da casa, appare una foto di Benito Mussolini. A corredo il commento: "Dietro c'è la sua matrice preferita". Il riferimento è alle parole pronunciate dalla Meloni dopo l'assalto alla sede della Cgil da parte di alcuni estremisti. Premettendo di condannare tutti gli atti di violenza, la leader ha ammesso di non sapere di che "matrice" fossero. Da qui il livore della sinistra. Ma la Meloni non ci sta e sotto alla foto diffusa dalla giornalista ha replicato: "Reputo che questa foto falsificata, pubblicata da una giornalista iscritta all’ordine, sia di una gravità unica. Ho già dato mandato al mio avvocato per procedere legalmente contro questa ignobile mistificazione. A questo è arrivato certo giornalismo di sinistra?!". Una risposta che ha scatenato la diretta interessata, già impegnata a cancellare il post: "Ho rimosso la foto, anche se non è molto lontana dalla realtà. Comunque cara Giorgia Meloni, la gogna mediatica che hai creato sulla tua pagina Facebook contro di me ti qualifica per quello che sei: una donnetta", ha scritto la giornalista. Ma se la Meloni non ha risposto all'ultimo attacco, ecco che ci ha pensato per lei Giovanni Donzelli, deputato di Fratelli d'Italia: "Invece di chiedere scusa continua a insultare?".

Incontri, guerriglia, devastazione: così i neofascisti si sono presi le piazze no vax per fare pressioni su Fratelli d’Italia. I carabinieri del Ros hanno segnalato decine di eventi gestiti e amplificati da Forza Nuova e CasaPound. E il medico no green pass Pasquale Bacco racconta come Salvini e soprattutto la Meloni e il suo partito li abbiano sostenuti: «Erano i politici a procurarci le risorse per le nostre iniziative». Antonio Fraschilla e Carlo Tecce su L'Espresso il 15 ottobre 2021. C’è un anno e mezzo di rapporti pericolosi fra movimenti cittadini contro il vaccino e il certificato verde, teppisti fascisti in cerca di ribalta, partiti assetati di voti, per spiegarsi le vergogne di sabato nove ottobre e cercare di capire quel che potrebbe accadere. L’assalto alla sede del sindacato Cgil, la capitale d’Italia in ostaggio degli estremisti di Forza nuova ma anche gli scenari futuri, vista la galassia composita che agita il movimento contro il green pass. Con immagini che rischiano di ripetersi nei prossimi grandi appuntamenti pubblici nella Capitale e non solo che vedono il loro culmine nel G20 in programma a fine mese. Ci sono somiglianze col passato, secondo gli inquirenti che ripescano la stagione dei cattivi maestri e di chi giocava con le piazze: perché oggi come ieri chi manifesta è trascinato dalle rivendicazioni più disparate. E spetta alla politica, alla Lega di Matteo Salvini e a Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, evitare che il passato si ripeta. L’estrema destra di oggi è già pronta a prendersela questa piazza, a partire proprio da Forza nuova che da almeno un anno e mezzo lavora per animare la protesta e acciuffare il potere. 

LA STRATEGIA NERA

Quello che è accaduto a Roma non è la conseguenza del caso, ma l’arrivo di un percorso che Roberto Fiore e Giuliano Castellino, che hanno preso le redini di Forza nuova da Roma in giù dopo la frattura interna con le sedi del Nord e dei cosiddetti “scissionisti” guidate da Giustino D’Uva e dalla Rete dei patrioti, hanno pianificato da tempo. Cavalcare il risentimento scatenato dalla pandemia. Infiltrarsi nei gruppi sui social che veicolano il malcontento non più intercettato dalla Lega e soltanto in parte da Fdi. I carabinieri del Ros da oltre un anno seguono le azioni di Forza nuova, soprattutto, ma anche di CasaPound che pesca nello stesso bacino pur avendo forti contrasti con il movimento di Fiore e Castellino. E hanno registrato un aumento costante della tensione dall’aprile dello scorso anno fino ai fatti di Roma. Andati via gli scissionisti della Rete dei patrioti, che non hanno condiviso le scelte dei leader storici di Forza nuova di ritornare movimentisti abbandonando la possibilità di presentarsi al voto, Fiore ha cominciato a fomentare la protesta. All’inizio con scarsi risultati: la prima manifestazione legata al Covid-19, quella dei No Mask il 20 aprile 2020, registra una ridotta partecipazione, anche se in molte piazze da Roma a Napoli e Palermo i Ros segnalano una forte presenza di uomini di Forza nuova e in parte di CasaPound. Fiore e i suoi si insinuano allora nelle chat con più iscritti che crescono su Telegram dall’estate del 2020 in poi. Non a caso in ottobre i carabinieri, con le loro antenne puntate sui movimenti di estrema destra, analizzano altre azioni: il 24 ottobre a piazza del Popolo una prima manifestazione contro le mascherine e le imposizioni del governo sul Covid-19, dove si salda un nuovo asse tra Forza nuova con settori degli ultras della Lazio e della Roma, gli scontri poi ci saranno a viale Flaminio; il 25 ottobre a una protesta contro le mascherine che vede tra i partecipanti sempre i movimenti di estrema destra e una bottiglia incendiaria viene lanciata contro i carabinieri; il 27 ottobre nel quartiere Prati ci sono tafferugli tra polizia ed esponenti di Forza nuova e CasaPound; il 28 ottobre la stessa scena si ripete a Ostia dove però, precisano i Ros, si segnalano anche insulti e minacce tra Forza nuova e CasaPound come due squadre che giocano nello stesso campo ma da avversari. Il 31 ottobre altra manifestazione, quella delle «mascherine tricolore», e anche qui forte presenza di esponenti dei due movimenti di estrema destra. Fiore per recuperare risorse dopo l’uscita degli scissionisti crea una sigla, Area, dove confluiscono una serie di gruppetti di destra extra parlamentare: Gruppo San Giovanni casa dei patrioti, Comunità Evita Peron, Comunità Avanguardia, Comitato di solidarietà nazionale, Comunità militante Castelli Romani, solo per citarne alcuni. Poi entra in gioco il secondo pilastro della strategia della tensione: manipolare le chat di Telegram. Tra quelle che i carabinieri indicano come manipolate anche da esponenti di destra ci sono Guerrieri per la libertà (40mila iscritti), No green pass adesso basta (18mila), Generazione popolare fuoco che avanza (4mila). Dopo la fiammata dell’ottobre del 2020 la tensione viene contenuta, fino al maggio del 2021 quando si riaccendono le proteste dei commercianti sotto la sigla «io apro». Fiore e Castellino provano anche qui a incunearsi, cercando lo scontro con le forze dell’ordine, come nella manifestazione organizzata dai commercianti tra la Bocca della Verità e piazza Venezia. Ma non ci riescono e Castellino rimprovera i promotori della manifestazione perché non hanno avallato gli incidenti con la polizia. I due leader di Forza Nuova non demordono e, passata l’estate, eccoli a settembre ritornare in azione. Il primo settembre chiamano tutti alla protesta davanti alle stazioni ferroviarie e alle sedi delle Regioni, ma la partecipazione è bassissima. I Ros si appuntano numerosi atti dimostrativi contro vaccini e green pass: il 6 settembre Forza nuova partecipa alla manifestazione lanciata su Telegram dai «no Green pass» e da piazza del Popolo provano a rompere il blocco e dirigersi in piena notte verso piazza Montecitorio. La tensione aumenta. Il 14 settembre va a fuoco un gazebo di una farmacia a Trastevere dove si facevano tamponi, il 16 settembre un altro gazebo viene distrutto in via Taranto, zona San Giovanni. Il 18 settembre in piazza Santi Apostoli si trovano a guidare le proteste non solo esponenti di Forza nuova, ma anche gli scissionisti di Rete dei patrioti guidati da D’Uva e i militanti di CasaPound, con Castellino che critica le altre due fazioni perché a suo dire istituzionalizzate, avendo chiesto perfino l’autorizzazione alla Questura per questa manifestazione. Il 25 settembre Castellino partecipa invece alle proteste contro il Green pass di piazza San Giovanni. Ogni sabato nelle vie del centro di Roma, registrano i Ros, Forza nuova organizza piccoli cortei. CasaPound non lascia le piazze a Forza nuova, ma preferisce camuffarsi. Il movimento guidato da Luca Marsella punta ancora alla via istituzionale, cioè quella elettorale, tant’è che alcuni esponenti di CasaPound vengono candidati a Roma nelle liste a sostegno di Enrico Michetti e soprattutto con la Lega, partito che con la guida di Matteo Salvini ha sempre dialogato intensamente con questa area della destra estrema: nel XIII municipio si candida Simone Montagna, militante di CasaPound, come nell’XI municipio nelle liste della Lega compare Alessandro Calvo, altro attivista del movimento. La strategia di Forza nuova, che ha sempre avuto invece un dialogo forte con Fratelli d’Italia, è adesso più aggressiva. Impadronirsi delle piazze per avere una merce di scambio con i partiti di destra. Anzi, con il partito di destra: Fratelli d’Italia. 

LA MATRICE

Arriviamo al 9 ottobre. Il dottore in attesa di sospensione Pasquale Mario Bacco, salernitano di origine, una candidatura alla Camera con CasaPound e autore del libro “Strage di Stato” assieme all’ex sottosegretario all’Interno nel governo Prodi I eletto con la lista Dini, e ormai ex magistrato, Angelo Giorgianni, con la prefazione del procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri, non c’era in piazza del Popolo. Bacco avvertiva una strana sensazione. Le premesse per una guerriglia. Perché mai, in un anno e mezzo di messaggi, telefonate e incontri, quelli di Forza nuova si erano così esposti. Il capo Roberto Fiore e il suo vice Giuliano Castellino gli avevano offerto un ruolo al vertice di Forza nuova. Un volto spendibile, un medico, per raccogliere più consenso tra i no vax. Bacco ci ha meditato su fra un convegno, un comizio e un intervento con i negazionisti della pandemia come la deputata ex grillina Sara Cunial. Aveva conosciuto Matteo Salvini alla Camera e poi Giorgia Meloni. E aveva ricevuto un insistente corteggiamento, che lo lusingava, e certo come si fa a esserne immuni, non c’è un vaccino per la vanità, alle carezze politiche del deputato e coordinatore pugliese di Fdi Marcello Gemmato: candidature, programmi, successo. C’era la fatica. Due eventi al giorno, il palco di qua, il treno di là, una volta ospite dei salviniani, un’altra dei meloniani: «I partiti di destra ci hanno cresciuto, ci hanno fornito il supporto necessario per avere le autorizzazioni e sobbarcarci le spese. Fdi più di ogni altro». Se lo contendevano il dottor Bacco che contestava la pandemia e i provvedimenti del governo e poi col magistrato Giorgianni fondava l’Organizzazione mondiale per la vita. L’internazionale dei complottisti ben ramificata in Sudamerica e poi sparpagliata fra Oman, Cipro, Malta, Germania, Francia, Spagna e l’Europa mitteleuropea: «Fdi ci aveva proposto di andare al Parlamento europeo a parlare di vaccini», sussurra con il tono di chi sa che rischia di esagerare. Salvini e Meloni erano incuriositi dalla capacità di aggregazione, dalla massa creatasi dal nulla.

Finché col tempo l'interesse è «scemato», l’avvento di Mario Draghi ha normalizzato la Lega e ammorbidito le sembianze di Fratelli d’Italia, la campagna elettorale volgeva alla fine, i no mascherine e no vaccini forse erano diventati più dannosi che utili, e sono subentrati quelli di Forza nuova. Bacco non si è stupito. Sin dal primo momento erano in strada fra la gente un po’ incazzata e un po’ negazionista, lì accanto ai salviniani e ai meloniani senza poterli facilmente distinguere. Però Bacco ha notato per piazza del Popolo un attivismo eccessivo di Castellino che comunica quello che Fiore fa intendere. Avevano preparato il pulpito tricolore, studiato il percorso e spedito gli inviti sui gruppi: «Se Fiore si è fatto riprendere a volto scoperto c’è un motivo. Ho contezza di contatti fra esponenti di Forza nuova e Fratelli d’Italia». Giorgianni si è scambiato il microfono con Castellino, Bacco ha assistito da lontano alla «presa» della Cgil: «È uno schifo. Noi non c’entriamo nulla con la violenza. Siamo diventati dei pagliacci». «Ragazzi mai vista una cosa del genere. Ci hanno messo sotto con i blindati. Corpi a corpi di mezz’ora. Entrati dentro. Siamo ancora sotto assedio!», ha scritto Castellino con un selfie a suggellare l’impresa inviato a tutta la sua rubrica. La prova di forza di Fiore e sodali serviva a mettere pressione, a dimostrare agli amici di Fdi che quel «popolo», migliaia di elettori orfani di rappresentanza, è ormai roba di Fn e che se lo rivogliono, devono riprenderselo e rispolverare gli antichi compromessi. La timida reazione di Giorgia Meloni, che ha impiegato tre giorni per dissociarsi e condannare senza perifrasi, testimonia le profonde ambiguità di Fratelli d’Italia e le sue inquietanti contiguità con quel giro. Che l’inquisito e sorvegliato Castellino fosse il gestore della manifestazione, come illustrato dai fatti, lo sapeva chiunque e a chiunque, pure agli agenti della Digos, aveva annunciato la volontà di condurre il corteo non autorizzato verso la sede della Cgil (non potendo avvicinarsi a Palazzo Chigi). Queste certezze producono due annotazioni: la prima che i responsabili dell’ordine pubblico hanno sottovalutato gravemente la vicenda, la seconda che bloccati Castellino e soci si smantella la parte più violenta. E ciò rassicura gli apparati di sicurezza alla vigilia di altre manifestazioni di protesta per il green pass e dall’arrivo a Roma dei grandi della Terra per il G20. Nel governo, però, c’è il timore che il G20 possa attrarre i no mascherine e no vaccini stranieri, produrre un effetto emulazione, trasformare il vertice nel santuario mondiale dei negazionisti. Forza nuova è molto romana, ma Fiore ha aderenze nei gruppi di ispirazione fascista d’Europa. La prevenzione con l’intelligence è determinante. Il comportamento dei partiti di destra è fondamentale. In quello spazio elettorale e ideologico diversamente presidiato si tiene da anni un duello fra CasaPound e Forza nuova che riflette il duello fra Salvini e Meloni. Dalla pandemia i duelli si svolgono nell’ampio e oscuro terreno dei negazionisti. O i partiti rimuovono ogni pulsione fascistoide o ne verranno travolti.

"Vi dico io la verità sul fascismo... Cosa penso di Landini". Marta Moriconi il 16 Ottobre 2021 su Il Giornale. Guerriglia, scontri, l’assalto alla sede della Cgil. E la singolare manifestazione di oggi con Landini in pieno silenzio elettorale. Parla Marco Rizzo, segretario generale del Partito Comunista. Guerriglia, scontri, l’assalto alla sede della Cgil. E la singolare manifestazione di oggi, sabato 16 ottobre, con Landini in pieno silenzio elettorale. IlGiornale.it ne parla con Marco Rizzo, segretario generale del Partito Comunista.

Lei è stato il primo a parlare di strategia della tensione, concetto ripetuto in Aula dalla Meloni dopo le risposte disarmanti del ministro Lamorgese. Perché?

“Quando ci sono delle violenze di questo genere, che sono da condannare con forza perché molto gravi, cerco sempre anche di interpretare e comprendere i fatti. Poi, in seconda battuta, mi domando a chi giovi un assalto squadristico oggi. Iniziamo da come sia potuto accadere che un gruppo ampio di persone si sia staccato da una manifestazione a piazza del Popolo e abbia proceduto per chilometri a piedi e per tre quarti d’ora minimo, alla presenza delle Forze dell’Ordine in campo. Mi domando come è possibile che non siano stati fermati prima dagli agenti in tenuta antisommossa. Ed è ridicola, appunto, la difesa del ministro dell’Interno Lamorgese che ha spiegato di non averli bloccati perché altrimenti avrebbero fatto ancora peggio. Ma cosa vuol dire? Mi pare fossero anche disarmati, non avevano chiavi inglesi, bombe molotov o altri strumenti lesivi. Ma che gli facevamo prendere il Parlamento?”.

A chi giova tutta questa faccenda?

“Provo a fare un elenco. Rafforza il governo, ma soprattutto dà fiato a un sindacato concertativo che era moribondo. Poi, dà corpo ai sindacati di base che lunedì facevano una manifestazione contro il governo, contro quei lavoratori licenziati col green pass. E non ultimo dà una stretta a tutte le manifestazioni. Noi stessi che il 30 ottobre avremmo dovuto avere una manifestazione nel centro di Roma, siamo stati spostati in piazza San Giovanni”.

Però se è vero che tutte le manifestazioni subiranno dei restringimenti, come è successo alla sua, non pare che questo accadrà a quella antifascista di sabato di Landini e dei sindacati uniti però…

“E’ una sinistra questa, responsabile di non aver difeso i lavoratori. Mentre la destra fa sempre il suo lavoro, la sinistra non l’ha più fatto. Io oggi non scenderò con loro. Non mi riconosco e sono rimasto colpito dall’immagine di Draghi che ha messo la mano sulla spalla a Landini da un gradino più in alto. I presidenti degli Stati Uniti mettono sempre la mano sulla spalla dei Capi di Stato che incontrano, è un segno di comando. E se permetti questo vuol dire che ti senti dominato, protetto da tipi del genere. Basta andare a vedere la foto di Obama e Raul Castro e come il secondo gli levi in maniera rapida la mano che si avvicinava”.

Oggi il fascismo cos’è?

“Mi rifaccio alle parole di Gian Carlo Pajetta: noi abbiamo chiuso i conti col fascismo il 25 aprile 1945. Oggi l’antifascismo è essere anticapitalisti. Tutto il resto sono due cretini, che vanno condannati, che fanno il saluto romano”.

Ma quanto guadagnerà il Pd da questa faccenda? Pensiamo al ballottaggio di Roma per esempio...

“Gualtieri è l’altra faccia della stessa medaglia. E il suo partito è il più conseguente a questo meccanismo. E’ logico che il Pd gode e godrà di questa situazione. Questa vicenda ha un indubbio peso a favore loro. La domanda è sempre la stessa: a chi giova? Facile la risposta”. Marta Moriconi

 Massimo Cacciari contro la sinistra: "Allarme-fascismo? Realistico come un'astronave in un buco nero". Libero Quotidiano il 15 ottobre 2021. "Il pericolo "fascista" è realistico come l’entrata di un’astronave in un buco nero": Massimo Cacciari smonta l'allarmismo che si è diffuso dopo la protesta No-Green pass a Roma, poi degenerata con l'assalto alla sede della Cgil e con scontri violenti tra polizia e manifestanti. Per il filosofo, è sbagliato paragonare i due momenti storici: "Le condizioni storiche, sociali, culturali di quel caratteristico fenomeno totalitario non hanno alcun remoto riscontro nella realtà attuale di nessun Paese". Basti pensare che un secolo fa, scrive Cacciari su La Stampa, il fascismo trovò l’appoggio di settori decisivi dell’industria, della finanza e di importanti apparati dello Stato. Cosa che adesso non avviene. Secondo il filosofo, "i movimenti  che si richiamano a quella tragedia sono farse, per quanto dolorose, che nulla politicamente potranno mai contare". Cacciari ha spiegato anche che "decenni di stati d'emergenza" certo non favoriscono un regime democratico. Allo stesso tempo però ha scritto: "Più difficile è tener salda quell’idea di democrazia, più diventa necessario. E, per carità, tranquilli: nessun fascismo sarà comunque nei nostri destini". Il pericolo che tutti rischiano di correre oggi è un altro, stando all'analisi fornita dal filosofo. "Il pericolo che cresce quotidianamente è tutto un altro: che la persona scompaia fagocitata dalle paure, dalle avarizie, dalle invidie, dai risentimenti dell’individuo, in cerca affannosamente di chi lo rassicuri, lo protegga, lo consoli", ha sottolineato Cacciari". Ed è qui che entra in gioco la politica: "Se le forze e le culture politiche si divideranno nella rappresentanza di queste pulsioni, 'specializzandosi' ciascuna nel rassicurare intorno a questo o quell’altro 'pericolo', affidandosi a mezzi anch’essi sempre più di emergenza, invece di individuarne e affrontarne le cause strutturali, dove finiremo nessuno lo sa o può dirlo". In ogni caso, non si finirebbe comunque in un regime fascista: "Certo sarà un regime che assolutamente nulla ha a che fare con i mantra democratici che continuiamo a ripetere, pietoso velo del naufragio che ha subito fino a oggi ogni tentativo di riforma del nostro sistema istituzionale e del rapporto tra le sue funzioni e i suoi poteri".

La sinistra prova il blitz: vogliono abolire la Meloni. Laura Cesaretti il 12 Ottobre 2021 su Il Giornale. L'aiutino a Giorgia Meloni, messa in serio imbarazzo dalle prodezze neofasciste di Roma, arriva da dove meno te lo aspetti. Addirittura dal Nazareno. L'aiutino a Giorgia Meloni, messa in serio imbarazzo dalle prodezze neofasciste di Roma, arriva da dove meno te lo aspetti. Addirittura dal Nazareno: è infatti il vicesegretario del Pd Peppe Provenzano che, proprio mentre i Fratelli d'Italia si dibattevano faticosamente tra la condanna per le violenze di Roma e la solidarietà ai novax/nopass antigovernativi, inciampa in un clamoroso incidente politico via Twitter. Offrendo così generosamente ai meloniani l'ambito ruolo di vittime della sinistra neo-stalinista. Provenzano, che nel Pd rappresenta la sinistra dura e pura, se la prende con Meloni che da Madrid (dove è corsa ad arringare in uno spagnolo maccheronico la platea dei nostalgici franchisti di Vox) ha dichiarato di non conoscere la matrice di Forza Nuova, e accusa: «Il luogo scelto e le parole usate sulla matrice perpetuano l'ambiguità che la pone fuori dall'arco democratico e repubblicano». Bum: sul vice di Enrico Letta che mette FdI fuori dal consesso democratico si scatena la tempesta. E siccome nel frattempo il Pd sta raccogliendo le firme su una mozione che chiede lo scioglimento di Forza Nuova, il gruppetto fascista che ha assaltato Cgil e ospedali spaccando bottiglie in testa agli infermieri, quelli di Fdi fanno la sintesi: Provenzano vuole sciogliere anche noi. «Spero che Letta prenda subito le distanze da queste gravissime affermazioni che rivelano la vera intenzione della sinistra: fare fuori Fratelli d'Italia», tuona Meloni. «O forse i toni da regime totalitario usati dal suo vice rappresentano la linea del Pd? Aspettiamo risposte». Meloni si affretta ad assicurare che lei condanna «ogni violenza di gruppi fascisti». E che il suo partito «non ha rapporti con Fn», e invita il Pd a manifestazioni e azioni comuni contro ogni violenza». Le fa subito eco il capogruppo meloniano Francesco Lollobrigida: «Non è certo il vice segretario del Pd che può concedere patenti di ingresso nel perimetro repubblicano. I suoi toni somigliano più a quelli dei regimi comunisti, in cui affonda le sue radici il Pd, che non a quelli del civile e rispettoso confronto parlamentare». Seguono a ruota tutti i parlamentari di Fdi, chi chiedendo le dimissioni di Provenzano, chi ingiungendo a Letta e persino a Mario Draghi e Sergio Mattarella di pronunciarsi, chi chiamando il vicesegretario Pd «stalinista». Con Meloni si schiera Matteo Salvini: «Il vice-segretario del Pd taccia ed eviti di dire idiozie, non è certo lui che può dare patenti di democrazia a nessuno. Fascismo e comunismo per fortuna sono stati sconfitti dalla Storia, e non ritorneranno». I dem devono correre ai ripari: a Provenzano viene chiesto di mettere una pezza al pasticcio combinato, con un ulteriore tweet che però non riesce col buco. L'ex ministro del Mezzogiorno («E meno male che adesso c'è la Carfagna», lo punge Matteo Renzi) assicura: «Nessuno si sogna di dire che FdI è fuori dall'arco parlamentare (in effetti aveva detto fuori dall'arco democratico e repubblicano, ndr) o che vada sciolto, ma con l'ambiguità nel condannare la matrice fascista si sottrae all'unità necessaria delle forze democratiche». Letta ribadisce il «gravissimo errore» della Meloni nel non condannare lo «squadrismo» dei no vax e la invita a sottoscrivere la mozione contro l'organizzazione neofascista, mentre dal nazareno si accusa la leader Fdi di «falsificare la realtà rifugiandosi nel vittimismo: il Pd non ha chiesto di sciogliere il suo partito ma Fn». Laura Cesaretti 

Giorgia Meloni contro Beppe Provenzano: "Vuole sciogliere FdI per legge? Ecco che roba è la sinistra". Libero Quotidiano l'11 ottobre 2021. L'assalto alla Cgil e le manifestazioni estremiste a Roma di sabato? Tutta colpa di Giorgia Meloni. Questo il pensiero di Beppe Provenzano. L'ex ministro del Partito democratico si scaglia contro Fratelli d'Italia in un post su Twitter intriso di livore: "Ieri Meloni aveva un'occasione: tagliare i ponti con il mondo vicino al neofascismo, anche in Fdi. Ma non l'ha fatto. Il luogo scelto (il palco neofranchista di Vox) e le parole usate sulla matrice perpetuano l'ambiguità che la pone fuori dall'arco democratico e repubblicano". Peccato però che la Meloni abbia denunciato "la violenza e lo squadrismo" andato in scena, ricordando che "questa roba va combattuta sempre" per poi precisare di non conoscere la matrice. E in effetti non è l'unica. Alla protesta partecipavano più di diecimila persone, molte addirittura scampate ai controlli. Dura condanna anche da parte del capogruppo alla Camera di FdI, Francesco Lollobrigida: "Il governo può sciogliere le organizzazioni eversive. Draghi prenda provvedimenti". Da qui la replica della Meloni alla provocazione del dem: "Il vicesegretario del partito 'democratico' vorrebbe sciogliere il primo partito italiano (oltre che l’unica opposizione al governo). Un partito a cui fanno riferimento milioni di cittadini italiani che confidano e credono nelle nostre idee e proposte". Messaggio indirizzato a Enrico Letta: "Prenda subito le distanze da queste gravissime affermazioni che rivelano la vera intenzione della sinistra: fare fuori Fratelli d’Italia. O forse i toni da regime totalitario usati dal suo vice rappresentano la linea del Pd? Aspettiamo risposte". Solo in parte Provenzano ha raddrizzato il tiro chiarendo quanto scritto: "Significa semplicemente che in questo modo Fdi si sta sottraendo all'unità delle forze democratiche e repubblicane contro i neofascisti che attaccano lo Stato. Un evidente passo indietro rispetto a Fiuggi. Tutto qui". Ma la proposta rimane ugualmente grave".

"Nemmeno il Pci si sognò di metter fuori legge il Msi". Fabrizio Boschi il 12 Ottobre 2021 su Il Giornale. L'intervista al direttore del Riformista Piero Sansonetti. Secondo l'ex ministro per il Sud nel governo Conte II, Giuseppe Provenzano, oggi vicesegretario del Pd, Giorgia Meloni sarebbe «fuori dall'arco democratico e repubblicano». Sentiamo cosa ne pensa l'antifascista direttore del Riformista, Piero Sansonetti. 

Direttore, cosa gli è preso a Provenzano?

«Credo abbia avuto un colpo di caldo fuori stagione. Non si capisce di che parli».

Come se la spiega?

«Deve aver sentito parlare dei partiti facenti parti dell'arco costituzionale. Ma senza studiare la storia: oggi i partiti che hanno partecipato alla Costituzione non ci sono più. Perciò sono tutti fuori. Forse solo il Psi di Nencini si può definire partito costituzionale. Gli altri son nati dopo».

È preoccupante?

«Fa pensare a manovre autoritarie».

Addirittura.

«Dire che la Meloni è fuori dall'arco democratico è una manovra autoritaria che riduce la democrazia in regime. Ricordo a questo ragazzo che nella storia italiana i partiti sono stati cancellati solo da quei fascisti che lui tanto odia. Ci provò Scelba ma senza riuscirci. E ora lui cosa vorrebbe fare? Riprendere questa bella tradizione?».

Lo conosce?

«No, cosa è ministro?»

No, non più, ora è vice segretario del Pd.

«E Letta non ha detto niente? Questo sì che è preoccupante. Figuriamoci che una cosa del genere non l'hanno mai pensata nemmeno i comunisti. Il terribile e feroce Pci non ha mai chiesto di mettere fuori legge l'Msi che certamente era molto più legato al fascismo di Fdi. Persino Potere operaio, che Provenzano nemmeno saprà cos'è, era contrario. Solo Lotta continua lo gridava. Ed eravamo negli anni Settanta, quando Provenzano nemmeno era nato, in un clima ben diverso dal nostro».

Allora a cosa attribuisce le sue parole?

«Al decadimento della nostra classe politica che denota una totale assenza di preparazione che poi è la caratteristica di questo Parlamento, dal M5s in poi. Tutto è inquinato da un personale politico con capacità di ragionare ridotte e con una cultura politica assente. Si salvano solo poche decine di persone».

E di chi vuole cancellare Forza Nuova cosa ne pensa?

«Un'altra idiozia. Se ogni volta che ci sono incidenti mettiamo fuori legge coloro che partecipano alle manifestazioni allora metteremo fuori legge tutti. E i militanti di sinistra sono quelli che farebbero fuori per primi. Non ha nessun senso a meno che non si voglia creare un regime. Io sono anche contrario ai reati di apologia, figuriamoci».

Cioè?

«Sono reati di opinione e nessun pensiero per me andrebbe punito, punire i pensieri è ignobile. Penso ci sia qualcosa di fascista nel proibire i pensieri. Tutte le azioni repressive sono fasciste».

E della Meloni a Vox cosa ne pensa?

«Lei può andare dove gli pare. Il problema è che questi vogliono fare i partigiani perché non riescono a fare nient'altro e confondono la politica con la raccolta di figurine Panini».

Da repubblica.it l'11 ottobre 2021. "Vogliamo fare una cosa seria? Tutto il Parlamento si unisca per approvare un documento contro ogni genere di violenza e per sciogliere tutte le realtà che portano avanti la violenza, non è che la violenza dei centri sociali lo è meno". Replica così Matteo Salvini al segretario del Pd, Enrico Letta, dopo che i dem hanno presentato alla Camera questa mattina una mozione per chiedere lo scioglimento di Forza Nuova e di tutti gli altri movimenti dichiaratamente fascisti. Una richiesta nata dopo gli scontri di sabato scorso a Roma durante la manifestazione non autorizzata dei No Green pass a cui hanno preso parte molti esponenti di FN e durante la quale la sede nazionale della Cgil è stata devastata. Intanto, su richiesta della Procura di Roma la Polizia Postale ha notificato un provvedimento di sequestro del sito internet del movimento di estrema destra Forza Nuova. L'attività rientra nell'indagine avviata dai pm della Capitale  e relativa anche agli scontri avvenuti sabato nel centro della Capitale e che ha portato all'arresto di 12 persone. Il reato per cui si è proceduto è quello di istigazione a delinquere aggravato dall'utilizzo di strumenti informatici o telematici. 

Mattarella: "Molto turbati, non preoccupati"

E proprio rispetto a quanto accaduto durante la manifestazione nella Capitale, il Capo dello Stato Sergio Mattarella a Berlino rispondendo a una domanda del presidente Frank-Walter Steinmeier ha sottolineato che "il turbamento è stato forte, la preoccupazione no. Si è trattato infatti di fenomeni limitati che hanno suscitato una fortissima reazione dell'opinione pubblica".

Il no di Forza Italia

Ma il leader della Lega non è l'unico a non appoggiare la mozione del Pd. Oltre al no di Fratelli d'Italia, oggi arriva anche quello di Forza Italia. E fonti della Lega fanno sapere che il centrodestra "condanna le violenze senza se e senza ma ed è pronto a votare una mozione per chiedere interventi contro tutte le realtà eversive, non solo quelle evidenziate dalla sinistra". Questo, riferiscono dal Carroccio, è quanto sarebbe emerso "da alcuni colloqui telefonici tra Matteo Salvini, Silvio Berlusconi e Giorgia Meloni". Mentre l'azzurro Elio Vito si dichiara disponibile a firmare la mozione del Pd, il resto del partito di Silvio Berlusconi si dice contrario. "I fatti di sabato scorso, le aggressioni alle forze dell'ordine, l'assalto alla Cgil, sono stati condannati da tutte le forze politiche. Non ci possono essere ambiguità contro la violenza e contro chi usa una manifestazione di piazza per secondi fini", chiariscono in una nota i capigruppo di Forza Italia alla Camera e al Senato, Roberto Occhiuto e Anna Maria Bernini. "Ma non esistono totalitarismi buoni e totalitarismi cattivi - proseguono - e per questo motivo non è possibile per i nostri gruppi firmare o sostenere la mozione presentata dal Pd". Per, da FI si dicono aperti ad altre soluzioni. "Proprio per superare le divisioni - dicono - proponiamo di lavorare ad una mozione unitaria contro tutti i totalitarismi, nessuno escluso".

Conte: "M5S in prima fila contro Forza Nuova"

Dai grillini arriva invece il sostegno alla proposta dei dem. "Il Movimento 5 Stelle aderisce e rilancia le iniziative volte allo scioglimento di Forza Nuova e delle altre sigle della galassia eversiva neofascista", assicura il leader Giuseppe Conte. "Saremo in prima fila per tutte le iniziative parlamentari che muoveranno in tal senso - aggiunge - Siamo però consapevoli che non basterà questo, così come sappiamo che ignorare le proteste di piazza - quelle legittime e pacifiche - non aiuta a lavorare al bene del Paese". Per questo, Conte in un post su Facebook invita ad "ascoltare la rabbia di chi guarda al futuro con angoscia e preoccupazione".

La mozione di LeU

Come il Pd, anche Liberi e Uguali ha scelto di presentare, ma al Senato, un analoga mozione per chiedere lo scioglimento di Forza Nuova.  " Dopo gli assalti squadristi di sabato e la delirante rivendicazione di FN che promette di proseguire su quella strada non si può più essere tolleranti.  Bisogna agire, far rispettare la Costituzione e le leggi, sciogliere i gruppi fascisti", sottolinea la capogruppo di LeU al Senato, Loredana De Petris. Che poi dice: "Anche FdI, se fosse onesta e coerente, dovrebbe votare a favore della mozione. Invece Giorgia Meloni prosegue con la tattica dell'ambiguità, senza mai nominare i fascisti perché sa che da quelle aree le arrivano voti, ma fingendo di voler invece combattere la violenza per non inimicarsi altre fasce del suo elettorato".

Claudio Del Frate per corriere.it l'11 ottobre 2021. La mozione presentata in Parlamento che chiede lo scioglimento di Forza Nuova (che di conseguenza diventerebbe una organizzazione fuorilegge) può essere attivata grazie alla legge Scelba del 20 giugno 1952. Quest’ultima dava attuazione pratica alla dodicesima disposizione transitoria e finale della Costituzione che vieta in Italia la ricostituzione del partito fascista (il testo recita: «È vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista. In deroga all’articolo 48, sono stabilite con legge, per non oltre un quinquennio dall’entrata in vigore della Costituzione, limitazioni temporanee al diritto di voto e alla eleggibilità per i capi responsabili del regime fascista».) La legge Scelba, in questo senso, è stata applicata poche volte in Italia; per sciogliere un movimento ritenuto epigono del fascismo è necessario un decreto del ministero dell’Interno, oppure una sentenza della magistratura. E proprio la magistratura, in serata, ha rotto gli indugi: la polizia postale, su ordine del tribunale di Roma, ha sequestrato e oscurato il sito di Forza Nuova. Il reato per cui si procede è istigazione a delinquere. Tornando alla possibilità di sciogliere Forza Nuova il primo articolo della legge stabilisce che «si ha riorganizzazione del disciolto partito fascista quando una associazione, un movimento o comunque un gruppo di persone non inferiore a cinque persegue finalità antidemocratiche proprie del partito fascista, esaltando, minacciando o usando la violenza quale metodo di lotta politica o propugnando la soppressione delle libertà garantite dalla Costituzione o denigrando la democrazia, le sue istituzioni e i valori della Resistenza, o svolgendo propaganda razzista, ovvero rivolge la sua attività alla esaltazione di esponenti, principi, fatti e metodi propri del predetto partito o compie manifestazioni esteriori di carattere fascista». I fatti accaduti sabato a Roma sembrano rientrare in pieno dentro questo perimetro. Di più: senza il bisogno di attendere gli assalti alla Cgil, a Palazzo Chigi, al Policlinico Umberto I, Forza Nuova non ha mai fatto mistero della sua inclinazione per i metodi violenti. La valutazione, comunque, e il relativo decreto di messa al bando della formazione di Roberto Fiore e Giuliano Castellino toccherà al Viminale. In Italia sono pochissimi i precedenti di applicazione della legge Scelba in relazione al tentativo di resuscitare il partito fascista; l’ostacolo giuridico è sempre quello che divide la legittima manifestazione del libero pensiero in politica dall’azione eversiva. Nel novembre del 1973 i dirigenti di Ordine Nuovo, fuoriusciti dal Msi, vengono condannati per ricostituzione del partito nazionale fascista e l’organizzazione viene sciolta per decreto. Nel giugno del 1976 stessa sorte tocca ad Avanguardia Nazionale. Non incorrerà invece nelle sanzioni della legge la formazione di Giorgio Pisanò «Fascismo e libertà», che potrà anche presentarsi alle elezioni ostentando sul simbolo un fascio littorio. La ricomparsa di una estrema destra eversiva è un problema che non riguarda solo l’Italia; in Germania nel gennaio 2020 è stato messo fuorilegge il gruppo neonazista Combat 18, di dichiarate simpatie hitleriane; Berlino ha varato una serie di leggi che inaspriscono ogni richiamo al nazismo (compreso l’uso del saluto romano in pubblico) dopo l’uccisione da parte di terroristi di estrema destra del politico della Cdu Walter Lübcke. In Grecia la formazione di estrema destra Alba Dorata è stata dichiarata fuorilegge da una sentenza della Corte d’appello di Atene che ha condannato i suoi leader a pesanti pene. Alba Dorata era arrivata a sfiorare il 10% dei consensi alle elezioni politiche. Stesso copione in Francia, dove il governo ha dichiarato illegale il gruppo di estrema destra Generation Identitaire nel marzo del 2021 per i suoi messaggi fortemente razzisti.  

Da liberoquotidiano.it il 13 ottobre 2021. Sciogliere Forza Nuova? Si può, in punta di diritto. Parola di Piercamillo Davigo, che ospite di Giovanni Floris a DiMartedì su La7 ascolta imperturbabile il "curriculum" dei due leader del movimento di estrema destra, Giuliano Castellino e Roberto Fiore, coinvolti nelle violenze di piazza dei No Green pass sabato scorso a Roma concluse con l'occupazione della sede della Cgil. "Castellino, capo romano di FN, è stato condannato a 5 anni e 6 mesi in primo grado per aggressione a due giornalisti - ricorda Floris -, a 4 anni in primo grado per aggressione e resistenza a poliziotti e rinviato a giudizio per truffa da un milione di euro al Sistema sanitario nazionale. Fiore invece, fondatore, è stato condannato negli anni 80 per associazione sovversiva e banda armata, latitante a Londra è tornato in Italia una volta prescritti quei reati". "Questo implica qualcosa per le sorti di queste persone", chiede Floris. "La recidiva vale solo per condanne passate in giudicato. In piazza sabato non c'è stata premeditazione ma organizzazione di reato in corso". Secondo molti commentatori Castellino, già oggetto di Daspo, poteva essere fermato: "Il Viminale però non è onnisciente, non ha la sfera di cristallo ed è anche molto difficile programmare l'ordine pubblico perché c'è il rischio di creare incidenti anche più gravi", spiega l'ex pm di Mani Pulite ed ex membro del Csm, difendendo Luciana Lamorgese. Sul reato di apologia di fascismo, sottolinea ancora Davigo, bisogna distinguere perché "la ricostituzione del Partito fascista (proibita dalla Costituzione, ndr) è nei fatti cosa abbastanza complicata". Diverso il discorso su Forza Nuova. "Lo scioglimento è possibile con una legge o un decreto del presidente della Repubblica su proposta del Consiglio dei ministri".

Lo scioglimento dei partiti e la legge. La legge Scelba va usata solo per tentati golpe. Beniamino Caravita su Il Riformista il 13 Ottobre 2021. I partiti politici, nell’ordinamento italiano, sono tutelati a livello costituzionale, genericamente attraverso l’articolo 18, che tutela la libertà di associazione, più specificamente ai sensi dell’art. 49, che riguarda la libertà dei cittadini di associarsi in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale. Una disposizione costituzionale, collocata fra quelle finali e transitorie, prevede il divieto di ricostituzione del partito fascista, in evidente collegamento storico, istituzionale, finalistico con la genesi della Costituzione italiana, con il valore della Resistenza, con il giudizio che – anche attraverso il referendum del 1946– il popolo italiano diede del ventennio fascista. In attuazione della disposizione costituzionale fu approvata nel 1952 una apposita legge, la cosiddetta “Legge Scelba” dal nome dell’allora ministro degli Interni, che prevede, se ricorrono determinati presupposti, lo scioglimento di un partito qualora si sia di fronte alla ricostituzione del partito fascista. Titolare del potere di scioglimento è il ministro degli Interni, sentito il Consiglio dei ministri, sulla base di una sentenza di cui non è richiesto passaggio in giudicato ovvero, nel caso ricorrano gli estremi dell’art. 77 Cost., vale a dire un caso straordinario di necessità e urgenza, il Governo, con un evidente spostamento del livello di responsabilità politica. Sotto il profilo materiale, l’art. 1 della legge Scelba prevede che «si ha riorganizzazione del disciolto partito fascista quando una associazione, un movimento o comunque un gruppo di persone non inferiore a cinque persegue finalità antidemocratiche proprie del partito fascista, esaltando, minacciando o usando la violenza quale metodo di lotta politica o propugnando la soppressione delle libertà garantite dalla Costituzione o denigrando la democrazia, le sue istituzioni e i valori della Resistenza, o svolgendo propaganda razzista, ovvero rivolge la sua attività alla esaltazione di esponenti, principi, fatti e metodi propri del predetto partito o compie manifestazioni esteriori di carattere fascista». Da un punto di vista rigorosamente giuridico, nessun dubbio può essere nutrito sul fatto che si tratta di disposizioni di stretta interpretazione, incidendo su fondamentali diritti di libertà. Ne derivano tre ordini di conseguenze. In primo luogo, quale che sia il giudizio politico, la disposizione non può essere applicata per colpire movimenti di ispirazione egualmente totalitaria e autoritaria, caratterizzati dalla denigrazione delle istituzioni democratiche e da prassi violente, ma di ispirazione e matrice diverse da quella fascista. In secondo luogo, deve essere accertata in maniera rigorosa l’esistenza di quei presupposti materiali (qui soccorrono le tre decisioni giudiziarie già intervenute: il caso di Ordine Nuovo, sciolto nel 1973, quello di Avanguardia Nazionale, sciolta nel 1976, e quello più recente del Fronte nazionale, sciolto nel 2000). Se si provvede direttamente con decreto legge, deve sussistere il caso straordinario di necessità e urgenza, accertato secondo i criteri più severi, non secondo le blande valutazioni a cui finora ci ha abituato in materia la Corte costituzionale e che hanno permesso la sostanziale emarginazione della produzione legislativa parlamentare. Occorre cioè che il governo, il presidente della Repubblica, in sede di emanazione, e poi comunque il Parlamento in sede di conversione del decreto legge, si assumano la responsabilità politica e giuridica di affermare che il pericolo costituito da Forza Nuova non è, almeno hic et nunc, affrontabile con gli ordinari strumenti preventivi e repressivi che l’ordinamento mette a disposizione. Fermo rimanendo che i presupposti materiali possono esistere (e allora viene da chiedersi perché nessuno abbia agito prima in tal senso), e impregiudicata rimanendo la risposta sull’opportunità politica di una simile iniziativa governativa, la questione giuridica che va posta è: siamo veramente sull’orlo di una situazione che, per giustificare un intervento extra ordinem, dovrebbe apparire paragonabile ad una sorta di colpo di stato o di guerra civile? Beniamino Caravita

Francesco Bechis per formiche.net il 13 ottobre 2021. Non chiamatela eversione. Luca Ricolfi non ci sta: sciogliere Forza Nuova e le altre organizzazioni estremiste che fomentano il malcontento di piazza contro il green pass e i vaccini è un precedente pericoloso, dice a Formiche.net il sociologo, professore ordinario di Analisi dei dati all’Università di Torino.  

Ricolfi, se non è eversione cos’è?

Parlare di eversione è una forzatura. La violenza di piazza è un fenomeno endemico in Italia e non ha targa politica. Destra, sinistra, anarchici, centri sociali, Casapound. E i no-Tav in Val di Susa, dove li mettiamo?  

Sulle chat di chi ha organizzato il caos a Roma si parlava di assalto al Parlamento. Questo non è eversivo?

Prendiamo la legge. Un atto è eversivo se determina un rischio concreto per le istituzioni democratiche. Non vedo questo rischio oggi. Ma le faccio un esempio dall’estero.

Prego.

In Germania esiste un partito neonazista, l’Npd. Ha perfino ottenuto un milione di voti, ora ne ha cento, duecentomila. Il Bundestag ha chiesto di scioglierlo, la Corte Costituzionale ha risposto di no, perché non pone un pericolo per l’ordine democratico. Se poi in Italia vogliamo proibire qualsiasi manifestazione di violenza con lo scioglimento, benissimo. Purché si dica apertamente.

L’assalto al Congresso americano di gennaio non è un monito anche per l’Italia?

Certo, ma il paragone regge poco. In quel caso si sarebbe dovuto sciogliere il Partito repubblicano, perché i manifestanti, piaccia o meno, erano sostenitori di Trump. Un esito evidentemente paradossale.

Però il problema rimane. Il vicesegretario del Pd Provenzano in un tweet ha detto che Fratelli d’Italia rischia di finire fuori dall’“arco democratico e repubblicano”. È un’esagerazione?

È preoccupante, molto. Giorgia Meloni ha dato una lettura di questo tweet: vogliono sciogliere Fdi, come a suo tempo volevano sciogliere l’Msi. Io ci vedo un passaggio ancora più pericoloso. 

Sarebbe?

Qui non si propone di sciogliere un partito, ma di escluderlo dalla dialettica democratica. Un boicottaggio in piena regola da qualsiasi posizione di potere. C’è una lottizzazione del potere fra i partiti e si decide di lasciare fuori l’unica opposizione esistente. 

Si chiama conventio ad excludendum. Per vent’anni l’hanno fatto con i comunisti e nessuno si è scandalizzato…

Attenzione. I comunisti erano esclusi dal governo centrale, non dal “sottogoverno”. Per decenni hanno concordato riforme, riempito posti di potere, seggi in Rai. Insomma, hanno partecipato senza problemi al banchetto del potere economico italiano.

Va bene, ma qui stiamo aggirando un punto. La destra italiana fatica a fare i conti con il suo passato? Da Lega e Fdi ci potrebbe essere una parola in più su queste frange?

Sì, siamo tutti d’accordo. Ma farei una distinzione. Salvini non ha problemi a fare i conti con la propria storia, la Lega di Bossi era antifascista. Quando nel 1994 fu proposto l’accordo con Berlusconi, tanti tentennavano perché rifiutavano di allearsi al Sud con Alleanza nazionale. Il problema, semmai, è che alcune frange estremiste, come Casapound, vedono nella Lega uno sbocco.

Come se ne esce?

Semplice. Salvini e Meloni devono dire ad alta voce: “Noi i vostri voti non li vogliamo”. Possibilmente prima, non dopo, che queste persone mettano a ferro e fuoco Roma. Potrebbero evitarsi un’analisi del sangue da parte della sinistra, che ha una certa allergia a fare i conti con il passato. 

A che si riferisce?

Qualcuno chiede alla sinistra di fare i conti? No. E sa perché? Perché in Italia nessuno chiede ai post-comunisti di rinnegare il comunismo. I fascisti sono considerati per i loro comportamenti, i comunisti per le loro intenzioni. Ha mai sentito chiedere a Marco Rizzo di condannare i crimini dell’Urss o della Cina? 

Quella piazza a Roma gridava no-pass e anche no-vax. Sul Fatto Quotidiano Marco Travaglio scrive che il governo non può usare il green-pass per sopprimere l’articolo 1 della Costituzione, il diritto al lavoro. Lei che idea si è fatto?

Premessa: sono vaccinato, favorevole al vaccino e ritengo il green pass uno strumento utile. E sì, a questo giro sono d’accordo con Travaglio. Non si può arrivare al punto di togliere il lavoro a chi non vuole vaccinarsi. 

C’è chi risponde: quindi chi si vaccina sta dalla parte del torto?

Non è questione di torto o ragione ma di garanzie costituzionali. C’è una via d’uscita: i tamponi gratuiti. In altri Paesi lo hanno fatto.

Che ricadono sui contribuenti italiani, tutti.

Giusto così. C’è una ragione perché questo vaccino deve cadere sulle spalle dello Stato. A differenza di altri vaccini nel passato, è stato sperimentato per soli dieci mesi, sia pure su miliardi di persone. 

Quindi?

Quindi un trattamento sanitario del genere non si può imporre. Se fossimo sicuri, non dovremmo firmare un nulla osta ammettendo che non conosciamo gli effetti di lungo periodo. C’è il calcolo del rischio statistico, e da statistico sono il primo a farvi affidamento. Ma chi ha paura non può essere tagliato fuori dalla vita sociale.

"Sciogliere Fn, minaccia fascista". Ma Mattarella smentisce i dem: solo casi isolati. Fabrizio De Feo il 12/10/2021 su Il Giornale. Con il ballottaggio alle porte la temperatura dello scontro politico si mantiene alta. Il desiderio di polarizzare e riaccendere antiche contrapposizioni è palpabile. La frontiera del confronto diventa lo scioglimento di Forza Nuova e delle formazioni dell'estrema destra, con il Pd che presenta una mozione in tal senso. Emergenza democratica alle porte, insomma. Il tutto nel giorno in cui a Milano scattano le contestazioni contro la Cgil da parte dei Cobas e si scopre che decine di manifestanti fermati sabato sono riconducibili al mondo degli anarchici. Una realtà, insomma, più complessa di come è stata raccontata. E che Sergio Mattarella analizza senza incorrere in allarmismi fuori misura: «Il turbamento è stato forte, la preoccupazione no. Si è trattato infatti di fenomeni limitati che hanno suscitato una fortissima reazione dell'opinione pubblica». Ma la sinistra tira dritto e la mozione per sciogliere Forza Nuova e «tutti i movimenti politici di chiara ispirazione neofascista» arriva in Parlamento. I parlamentari di M5s, Iv e Leu sottoscrivono in blocco. E il segretario dem Enrico Letta chiama tutti i partiti all'unità e lancia un appello perché lo scioglimento di Forza Nuova «sia vissuto come un gesto unitario e non di parte. Dopo i gravi fatti di sabato tutti si riconoscano in una decisione che rende attuale e viva la Costituzione», azzarda. Sullo sfondo si muove anche l'inchiesta romana. La polizia postale sequestra e oscura il sito internet di Forza nuova. Il reato ipotizzato è quello di istigazione a delinquere aggravato dall'utilizzo di strumenti informatici. Si muovono anche i leader di centrodestra. «Berlusconi ha avuto un colloquio telefonico con Meloni e Salvini» fa sapere una nota. «Al centro della conversazione la condanna per le violenze perpetrate a Roma come a Milano, di ogni colore, a danno del sindacato e delle forze dell'ordine e la necessità di una posizione - unitaria - del centrodestra in vista dei prossimi appuntamenti parlamentari e dei ballottaggi». E Salvini non ha problemi nel far sapere che «se ci sono movimenti che portano avanti le loro idee con la violenza, vanno chiusi a chiave. Come a Roma ne hanno arrestati di cosiddetta destra, a Milano di cosiddetta sinistra. Per me pari sono». Sulla mozione, invece, il centrodestra invita a evitare «strumentalizzazioni politiche» e fa sapere di non poterla votare. Forza Italia con Roberto Occhiuto e Anna Maria Bernini sottolinea che «non esistono totalitarismi buoni e cattivi, e per questo non è possibile sostenere la mozione del Pd. Ma proprio per dare un forte segnale di unità tutti i gruppi lavorino a una mozione contro tutti i totalitarismi». Giovanni Donzelli di Fdi, intervenendo a «Domani è un altro giorno», non si tira certo indietro rispetto alla matrice fascista. «Certo, chiunque attenti alla democrazia è contro di noi. Questi odiano più noi del Pd...». Donzelli poi fa notare il pericolo di far votare lo scioglimento di una forza politica. «In un sistema democratico esistono equilibri istituzionali importantissimi. Pensare di far votare il Parlamento è una deriva autoritaria gravissima. Lo scioglimento spetta normalmente alla magistratura e in casi di emergenza al governo».

Giuseppe Scarpa per "il Messaggero" l'11 ottobre 2021. È un mondo parcellizzato, quello dell'estremismo nero italiano. Tanti piccoli reucci e nessun vero re. Una condizione che porta turbolenza all'interno della galassia neofascista. L'obiettivo dei vari movimenti è riuscire ad acquisire la leadership. Ma questa condizione, nel frattempo, crea grande instabilità. Quindi conflitto e violenza. Ecco, allora, che serve mostrare i muscoli nelle manifestazioni per imporsi definitivamente sugli altri gruppi. E allora quale migliore vetrina se non le proteste contro il vaccino e il green pass. Ma tutto questo, però, non è sufficiente. In un mondo globalizzato non basta solo conquistare il neofascismo in Italia. Bisogna intessere alleanze con l'estremismo di destra europeo. L'internazionale nera. Ma se nel nostro Paese Forza Nuova fa vedere il volto aggressivo, al contrario, in Europa cerca partnership, appoggi e forse anche soldi, come emerge da una recente inchiesta dei carabinieri del Ros. «C'è una competizione nell'estrema destra tra Forza Nuova e Casapound per affermarsi come movimento egemone della galassia neofascista. Negli ultimi anni Cp aveva preso nettamente il sopravvento. Allora Fn, per riconquistare il terreno perso, ha iniziato a compiere una serie di atti violenti. L'assalto di ieri alla Cgil rappresenta il punto massimo di questa strategia. Un'azione su cui imprimere un inconfondibile marchio fascista per riprendere quota all'interno di quel mondo». A fotografare con lucidità l'attuale situazione è Francesco Caporale, magistrato esperto e scrupoloso, oggi in pensione, che ha ricoperto dal 2016 fino all'estate del 2021 la carica di procuratore aggiunto dell'antiterrorismo a Roma. «Questa escalation di violenza in capo ai forzanovisti - sottolinea Caporale - dura ormai da tre anni, il mio ufficio la stava monitorando». Occorre, però, capire in quale contesto si muovano gli uomini e le donne di Roberto Fiore, il segretario di Fn e Giuliano Castellino, il leader romano. «Quest' ultimo - spiega un investigatore al Messaggero - è diventato il frontman del partito perché Fiore ha troppi problemi con la giustizia, rischierebbe parecchio. Castellino, oggi, rischia meno. Non vengono contestati reati particolarmente pesanti. La cabina di regia è però sempre in mano a Fiore». Dalle carte dell'inchiesta dei carabinieri del Ros emerge la rete internazionale di contatti del movimento. Fiore viaggia per l'Europa, arriva fino al Medio Oriente, in Siria. A novembre del 2014 vuole organizzare una conferenza a Damasco in piena guerra civile. Un incontro con «le comunità mediorientali che sto riorganizzando come Aliance for Peace and Freedom», dice il segretario di Forza Nuova a un militante di Fn in una conversazione intercettata dai militari dell'Arma. Poi, a gennaio del 2015, Fiore vola in Grecia per far sentire la sua vicinanza al leader di Alba Dorata Nikolaos Michaloliakos, rinchiuso in carcere perché accusato di appartenere a un'organizzazione criminale. Un incontro talmente positivo che un forzanovista (intercettato dai Ros) sostiene che ora i vertici del partito di estrema destra greco «vogliono bene a Forza Nuova». Assieme a Fiore ad Atene, a trovare Michaloliakos, annotano gli investigatori, sarebbe andato anche un altro pezzo da novanta del neofascismo europeo. L'eurodeputato Udo Voigt eletto con il partito Nazionaldemocratico di Germania, nel 2012 condannato per sedizione a 10 mesi per aver lodato in un comizio le Waffen-SS. Ma non sono solo i forzanovisti a viaggiare in giro per l'Europa. Anche altri camerati vengono a Roma per suggellare alleanze. È il caso dei neofascisti polacchi arrivati nella Capitale a settembre del 2014 per far visita ai forzanovisti. L'incontro, si legge nelle carte della procura, avviene nell'allora sede romana del partito in via Amulio. Anche la questione russa e i nuovi equilibri europei suscitano l'attenzione del gruppo di estrema destra. Un militante di Fn, in una conversazione discute dei «rapporti crescenti del leader di Fn Fiore con altri politici russi». Ma «Salvini ci ha fregato i contatti con la Russia», si rammaricano gli uomini di Fiore al cellulare, »era il cavallo nostro». La necessità di intessere rapporti «di tipo economico/commerciale - sottolineano gli inquirenti - in particolare per la produzione di vino», risultava vitale per i nuovi scenari creatisi in Crimea. Il conflitto ucraino veniva inquadrato «meramente in chiave utilitaristica» con l'unico obiettivo di sfruttare la precaria situazione governativa e incunearsi nei centri di potere per ricavarne benefici economici. Sempre nel 2014 con un esponente di Fn, parlando dell'imminente viaggio in Crimea insieme a Fiore per un incontro col ministro dell'Agricoltura dice che andrà «per fare una cosa coi russi, per cercare di prendere la cittadinanza del nuovo governo della Crimea: il governatore è un amico di amici».

Tagadà, Roberto Castelli contro la sinistra: "Si indignano per Roma. Ma nemmeno una parola sul brigatista eletto". Libero Quotidiano l'11 ottobre 2021. "Insopportabile quello che sta accadendo in questi giorni perché è venuto alla luce il doppiopesismo della sinistra": l'ex senatore della Lega Nord, Roberto Castelli, ha commentato così le violenze e l'assalto alla sede nazionale della Cgil da parte dei no green pass sabato scorso. A tal proposito, ospite di Tiziana Panella a Tagadà su La7, ha ricordato un episodio ben preciso: "Voglio ricordare questo: alla Camera un po' di anni fa venne eletto con i voti della sinistra un brigatista. Ora tutti quelli che si stracciano le vesti - giustamente, perché non si devastano le sedi delle organizzazioni, siano essi partiti o altro - non mi pare che si stracciarono le vesti in quel caso, quando venne eletto un ex brigatista". Per Castelli, quindi, non bisogna fare due pesi e due misure. Quello dell'ex brigatista, inoltre, pare non sia stato nemmeno l'unico caso in cui è venuta fuori questa disparità di giudizio: "Io ricordo mille manifestazioni in cui sono stati devastati i centri urbani dalla sinistra, ricordo gli attacchi alle sedi della Lega per cui la sinistra non ha mai mosso un dito". Ecco perché poi alla fine del suo intervento, l'ex senatore leghista ha fatto un appello accorato a tutte le parti: "Per favore cerchiamo di condannare tutti i fascismi, tutti i totalitarismi e tutti gli squadrismi, non solo quelli che fanno comodo soprattutto a cinque giorni dalle elezioni". 

Da Hitler all’assalto alla Cgil: cos’hanno in testa? Chi sono i nuovi fascisti: vecchi, irrazionali e depressi. Franco "Bifo" Berardi su Il Riformista il 14 Ottobre 2021. Per gentile concessione delle Edizioni Tlon e dell’autore, anticipiamo qui di seguito ampi stralci della postfazione a “Come si cura il nazi”, saggio di Franco «Bifo» Berardi, ormai diventato un classico, che torna in libreria in versione aggiornata per la stessa casa editrice

Quando scrissi questo libretto, nel 1992, stavano emergendo due processi sulla scena del mondo: il primo era la proliferazione della rete digitale destinata nel medio periodo a mutare nel profondo l’economia e le forme di vita. Il secondo era la ricomparsa di una belva che per mancanza di concetti migliori definivamo fascista, e si era ripresentata nel continente europeo, in un Paese un tempo chiamato Iugoslavia, e si delineava all’orizzonte delle subculture anche in Gran Bretagna e perfino in Italia, che col fascismo credevamo avesse chiuso i conti per sempre. In apparenza i due fenomeni erano eterogenei, del tutto indipendenti. Ma non lo erano affatto a uno sguardo più attento, e a me interessava proprio l’interdipendenza che lavorava nel profondo della cultura, della psicologia sociale, della psicopatia di massa. A questa relazione fra i due processi allora emergenti è dedicato in gran parte questo libretto. Oggi che entrambe le tendenze si sono pienamente sviluppate, la loro interdipendenza appare più visibile. Nelle sue varie forme, spesso contraddittorie, l’ondata neo-reazionaria ha preso uno spazio centrale con il fiorire dei movimenti razzisti, nazionalisti, suprematisti che hanno avuto il loro punto più alto nella vittoria di Trump alle elezioni del 2016, ma non sono certo finiti con la sconfitta dell’uomo arancione nel 2020. Ma le manifestazioni di questa ondata neo-reazionaria sono talmente diverse, sorprendenti e assurde che spesso rischiamo di confondere le diverse figure del dramma, e di usare parole vecchie per parlare di fenomeni nuovi. Il movimento trumpista, ad esempio, ha dato vita a enunciazioni talmente assurde e a manifestazioni talmente demenziali che spesso si può supporre di trovarsi di fronte a messe in scena rituali, a grottesche rappresentazioni di consapevole disprezzo per la ragione. Ma proprio questa enigmatica sfida alla ragione è uno dei caratteri salienti di un movimento che esprime la progressiva (e forse irreversibile) discesa nella demenza di larga parte della società. Riconoscere il carattere demente e grottesco delle enunciazioni e delle azioni del movimento neo-reazionario non significa affatto sottovalutarne la pericolosità. Al contrario, dobbiamo capire che la demenza non è affatto un fenomeno marginale e provvisorio, ma è probabilmente un carattere destinato a espandersi poiché l’umanità sperimenta l’impotenza della Ragione di fronte agli effetti devastanti della Ragione medesima. La potenza della ragione umana ha generato mostri spaventosi come la bomba atomica, e quindi ci sentiamo umiliati dai prodotti della nostra stessa potenza, a tal punto che l’abbandono della ragione sembra essere la sola via d’uscita. Ai tempi in cui scrivevo questo libretto mi chiedevo come curare il nazi. Dunque consideravo il riemergere della belva come un effetto psicopatologico, e non ho alcuna ragione di ripensarci. I trumpisti col berrettino rosso e le corna da bisonte sono essenzialmente degli idioti, come lo sono i leghisti con lo spadone indignati per l’invasione dei marocchini, come lo sono i popolani inglesi che riaffermano l’orgoglio imperiale britannico barcollando di ritorno dal pub. Ma non possiamo considerare irrilevante la moltiplicazione del numero di idioti, perché anche le folle che marciavano nelle notti tedesche del 1933 erano folle di idioti. Forse piuttosto che di idioti dovremmo parlare di sonnambuli, come nella scena iniziale e in quella finale del film di Ingmar Bergman L’uovo del serpente: una folla di persone normalissime in bianco e nero cammina per strada, ma il loro incedere si fa sempre più barcollante e automatico, come se la folla metropolitana perdesse coscienza del suo esistere medesimo, trasformata in una folla di zombie. Il serpente è il capitalismo, e il suo uovo si schiude per generare la violenza di folle che hanno perduto il senso della propria esistenza, che non sono più capaci di percepire la collettività solidale né la singolarità della persona, e quindi si trasformano in indifferenziato “popolo”, in nazione, corpo collettivo solo capace di riconoscersi in un’origine, in una identità, in un’appartenenza, che per lo più è solo immaginaria, mitologica. Dunque non mi allontano dall’intuizione che ebbi nel 1992, ma adesso è tempo di mettere in chiaro alcune questioni terminologiche e concettuali che trent’anni fa erano difficili da focalizzare. Dobbiamo davvero definire “nazisti” o “fascisti” gli attori inconsapevoli della tragica farsa che si sta svolgendo in larga parte del mondo? La farsa del nazionalismo che ritorna, del razzismo che si incarognisce, la farsa delle retoriche militaresche e patriottarde? E inoltre: cosa è stato davvero il nazismo nella sua versione storica, e che rapporto c’è stato in passato tra nazismo e fascismo, e in che misura quel rapporto si ripresenta oggi? La sconfitta militare tedesca nel 1918 e l’impoverimento sociale conseguente generarono un sentimento di impotenza che nella Germania del primo dopoguerra prese la forma dell’odio contro coloro che erano considerati traditori della nazione (ebrei, comunisti) e che l’avevano consegnata all’umiliazione di Versailles. Dall’umiliazione collettiva emerse un Führer capace di riaffermare il destino del popolo tedesco: sottomettere il continente ed eliminare la malattia razziale e ideologica dal corpo sano della nazione. Similmente in Italia la convinzione di essere stati privati di una vittoria conquistata sui campi di battaglia alimentò l’ascesa di Mussolini. Non importa che la vittoria italiana fosse una menzogna assoluta, perché l’Italia era entrata in guerra con un tradimento delle alleanze preesistenti, e aveva accumulato una disfatta dopo l’altra. Come non importa che il mito tedesco della pugnalata alle spalle fosse una menzogna per nascondere il fallimento della vecchia classe militare prussiana. Non conta niente la storia, quando le folle si eccitano per la mitologia. Ma allora il problema è: in quale orizzonte si delinea la mitologia? Quale soggettività sociale esprime la mitologia? La soggettività sociale che esprime la mitologia del nazionalismo aggressivo nel XX secolo è quella di una popolazione prevalentemente giovane, e di nazioni emergenti nella scena dell’imperialismo occidentale. Germania, Italia, e, non dimentichiamolo, il Giappone, avevano questo in comune: erano nazioni giovani che ambivano ad affermare la propria potenza con la conquista militare e l’espansione imperialistica, come la Francia, e la Gran Bretagna avevano fatto nei secoli precedenti. Le folle che seguirono il duce italiano e il Führer tedesco, per parte loro, erano composte da giovani reduci, disoccupati, aspiranti conquistatori che credevano in un futuro garantito dall’esuberanza fisica e mentale di un popolo giovane. La follia del fascismo novecentesco era una follia euforica, esuberante. L’identitarismo aggressivo del XXI secolo, al contrario, è espressione di un mondo declinante, di popolazioni senescenti. Perciò nel movimento neoreazionario del XXI secolo emerge l’espressione di una demenza senile, di una depressione psichica senza speranze eroiche, ma piuttosto sordida, rancorosa, ossessionata dall’impotenza politica e dall’impotenza sessuale. La tesi del mio libretto di trent’anni fa appare dunque in qualche misura confermata: all’origine delle varie forme di identitarismo aggressivo ci sta la sofferenza. Ma i caratteri della sofferenza psichica non sono gli stessi oggi rispetto al Novecento. Questi caratteri sono mutati perché l’Occidente è entrato nel suo declino irreversibile, e perché l’esaurimento si disegna come prospettiva generale del pianeta: esaurimento delle risorse, esaurimento delle possibilità di espansione economica, esaurimento dell’energia psichica. Questa è solo la prima parte della storia. Poi c’è la seconda, che nel mio libretto d’antan manca completamente e che ora emerge invece con brutale chiarezza. Di che sto parlando? Sto parlando del fatto che l’esperienza che abbiamo fatto nei primi decenni del XXI secolo ci obbliga a rivedere la periodizzazione del secolo passato. Siamo stati abituati a pensare che nel Novecento si sia svolta una battaglia gigantesca nella quale si distinguono tre attori principali: il comunismo, il fascismo e la democrazia. Questa visione della storia novecentesca è legittima, se ci poniamo dal punto di vista degli anni Sessanta, del trentennio glorioso in cui borghesia e classe operaia realizzarono un’alleanza progressiva. Ma da quando, nel 1973, un colpo di Stato nazista venne ordito contro il presidente cileno Salvador Allende con la collaborazione attiva del segretario di Stato degli Stati Uniti, e con la consulenza scientifica degli economisti della scuola di Chicago, da quando quel colpo di Stato spianò la strada all’affermazione dapprima locale, poi occidentale, poi globale dell’assolutismo capitalistico, autoproclamatosi democrazia liberale, le cose hanno cominciato a presentarsi sotto un’altra luce. Nella nuova luce a me pare di vedere che gli attori non sono mai stati tre, ma sempre due: il dominio assoluto del capitale (in forme democratico-liberali o in forme nazional-suprematiste) è il primo attore, il secondo è l’autonomia egualitaria della società, il movimento del lavoro contro lo sfruttamento. Certo, è vero che il nazismo e la democrazia liberale si scontrarono tra loro nella più cruenta delle guerre, ed è vero che dalla seconda guerra mondiale in poi la democrazia liberale ha dovuto incorporare forme economiche e culturali del socialismo. Certo, i trent’anni dell’alleanza socialdemocratica tra capitale progressivo e movimento sindacale e politico dei lavoratori sono stati una parentesi lunga di contenimento degli istinti animali del capitalismo. Ma non era che una parentesi, appunto, e non appena il capitale ha intravisto il pericolo di un diffondersi del potere operaio, e dell’autonomia sociale egualitaria, il suo istinto si è manifestato nella sola maniera in cui si poteva manifestare: ristabilendo il patto di acciaio con il nazismo. Il contrasto fra democrazia liberale e sovranismo aggressivo, che sembra fortissimo negli anni della presidenza Trump, non è in effetti che una messa in scena piuttosto labile. Certamente gli elettori di Trump o di Salvini si sentono umiliati dalla violenza economica del capitale assolutistico finanziario. Ma non vi è alcuna strategia di fuoriuscita dal capitalismo nel sovranismo delle destre, e infatti coloro che abusivamente si definiscono come “populisti” una volta al governo perseguono politiche di totale dipendenza dal capitale finanziario, di riduzione delle tasse per i ricchi, di piena mano libera sulla forza lavoro. Credo che non si sia mai tentata un’analisi spregiudicata di ciò che accomuna profondamente nazismo e neoliberismo, parola edulcorata ed equivoca con cui si intende l’assolutismo del capitale. Il cosiddetto “neoliberismo” infatti afferma che la dinamica economica è autonoma dalla regola giuridica, perché la legge della selezione naturale non può essere contenuta da nessuna volontà politica. Naturalmente in questa pretesa arrogante c’è un nucleo di verità scientifica che la sinistra ha generalmente sottovalutato, e prende nome di darwinismo sociale. Ma proprio in questo nucleo di verità scientifica, riducibile alla formula “nell’evoluzione naturale prevale il più forte, o meglio il più adatto all’ambiente”, si trova la ragione di un’alleanza obiettiva tra neoliberismo e pulsione nazista mai definitivamente cancellata. Come negare la verità dell’assunto evoluzionista, che in fondo è un puro e semplice truismo, una verità auto-evidente? L’ovvia constatazione che il più forte vince, viene tradotto in una strategia politica per effetto di un paralogismo, di una dimenticanza, o di una menzogna. Si omette semplicemente il fatto che la civiltà umana si fonda proprio nello spazio aperto dal salto dalla natura alla sfera della cultura. E si omette il fatto che Darwin non ha mai preteso di estendere il suo modello esplicativo alla società umana. E infatti la civiltà umana si trova in estremo pericolo nel momento attuale, dopo quaranta anni di dominio neoliberale, di devastazione sistematica dell’ambiente planetario, di impoverimento sociale e decadimento delle infrastrutture della vita pubblica. In questa situazione di estremo pericolo per la civiltà umana stessa, nel momento in cui la dimensione della libertà politica scompare nelle maglie sempre più strette dell’automatismo tecnico e dell’assolutismo capitalistico, ecco emergere di nuovo la soggettività rabbiosa, un tempo euforica e oggi depressa, un tempo isterica e oggi demente che solo a prezzo di una imprecisione (perdonabile) possiamo chiamare “fascismo”. Si rimodula quindi anche la relazione tra fascismo e nazismo. Già nel XX secolo il nazismo fu la manifestazione organizzata di una volontà di potenza suprematista, l’espressione di una cultura che si considerava superiore per ragioni storiche, etniche, ma anche per ragioni culturali, e tecniche. Il nazismo, come il cosiddetto “neoliberismo”, sono espressione dell’arroganza dei vincitori. Il fascismo novecentesco aveva un carattere diverso, perché era espressione, talora petulante talora rabbiosa, di una cultura considerata inferiore (gli italiani e i mediterranei in generale occupavano una posizione intermedia tra la razza eletta e i popoli decisamente inferiori, nell’immaginario razzista del Terzo Reich). La potenza tecnica ed economica del Paese di Mussolini non era paragonabile alla potenza dei Paesi “demoplutocratici”, e neppure della Germania di Krupp e di Thyssen. Allo stesso modo nel movimento neoreazionario del XXI secolo si deve distinguere il nazismo dei vincitori, che si incarna particolarmente nella cultura del ceto tecno-finanziario, dal Fascismo dei perdenti. Razzismo e xenofobia si manifestano in maniere diverse nella cultura dei vincenti nazi-liberisti e in quella dei perdenti sovranisti e fascistoidi. Per questi ultimi è volontà di esclusione, di respingimento se non di sterminio, mentre nuove ondate di migrazione sono continuamente suscitate dalle guerre, dalla miseria, dai disastri ambientali provocati dal colonialismo passato e presente. I vincenti nazi-liberali vedono di buon occhio le migrazioni, purché i migranti non pretendano di istallarsi nei quartieri alti, e accettino le condizioni di lavoro che vengono loro imposte dai tolleranti liberal à la Benetton. Per i fascistoidi identitari delle periferie i migranti sono un fattore di concorrenza sul lavoro e un pericolo quotidiano. La classe dirigente democratico-liberale predica la tolleranza ma costruisce alloggi per migranti nelle periferie povere, non certo ai Parioli o in via Montenapoleone. Per questo il razzismo attecchisce tra i miserabili delle periferie, mentre ai quartieri alti si tratta con cortesia la serva filippina. Il razzismo non è un cattivo sentimento dei maleducati rasati a zero che si ritrovano negli stadi a gridare slogan dementi, ma qualcosa di molto più profondo e di molto più organico: esso si radica nella storia di secoli di colonizzazione, sottomissione schiavistica, estrazione delle risorse dei Paesi colonizzati. E quella storia non è affatto conclusa. Non è possibile emanciparsi dal razzismo fin quando non si riconosce che la miseria dei Paesi del Sud è il prodotto dello sfruttamento bianco, e che questa miseria continuerà a provocare miseria, disperazione, emigrazione fin quando non saranno state rimosse le conseguenze del colonialismo e dell’estrattivismo. Ma rimuovere quelle conseguenze non sarà possibile fin quando l’assolutismo del capitale continuerà a essere la forma generale dell’economia del mondo. Forse dunque non sarà possibile mai. Trent’anni fa mi chiedevo come sia possibile curare il nazi. Ora mi sembra di dover dire che è stato il nazi a curare noi, per guarirci dell’infezione che ci rendeva umani. Al punto che se un tempo pensavamo che non avremmo accettato di convivere con il fascismo, ora siamo tentati di chiederci se il fascismo vorrà convivere con noi. Franco "Bifo" Berardi

Nessuna di queste decisioni è mai servita ad arginare il neofascismo. Scioglimento di Forza Nuova, i precedenti: da Ordine Nuovo a Avanguardia Nazionale e Fronte Nazionale. David Romoli su Il Riformista il 14 Ottobre 2021. La settimana prossima le Camere discuteranno e voteranno le mozioni che chiedono al governo di sciogliere Forza Nuova, il gruppo neofascista più attivo e soprattutto più vistoso nelle manifestazioni No Vax e No Green Pass, indicato come artefice dell’assalto alla sede della Cgil. Alla Camera c’è una sola mozione, presentata dal Pd e sottoscritta da tutti. Al Senato, dove il Pd ha presentato la sua mozione in anticipo rendendo così impossibile concordare il testo con gli altri affini ce ne sono quattro, sostanzialmente identiche nel dispositivo, anche se quella di LeU, firmata anche da Liliana Segre, estende la richiesta di scioglimento ad altre due organizzazioni, Casapound e Lealtà Azione. Alcuni dei firmatari delle mozioni avrebbero preferito tempi più rapidi. Il governo ha preferito rallentare, alla ricerca di una via d’uscita dal dilemma in cui lo porrebbe l’approvazione. Lo scioglimento di formazioni neofasciste, ai sensi della legge Scelba del 1952 che, dando attuazione alla disposizione costituzionale transitoria, punisce la ricostituzione del Partito fascista, è stato già disposto tre volte nella storia repubblicana: contro Ordine nuovo nel 1973, contro Avanguardia nazionale nel 1976 e contro il Fronte nazionale nel 2000. In tutti i casi, però, i governi si erano mossi dopo una sentenza della magistratura che, sia pure solo in primo grado, aveva emesso condanne per violazione della legge Scelba e, nel caso del Fronte nazionale, della legge Mancino del 1993, che ha reso fattispecie di reato anche la propaganda razzista. Stavolta invece si chiede al governo di procedere per decreto anche in assenza di una sentenza. La legge Scelba lo consente, ma solo in casi di straordinaria necessità e urgenza. Draghi esita, comprensibilmente, a considerare eccezionalmente urgente lo scioglimento di una formazione minore, ancorché rumorosa, di estrema destra. In realtà l’allora ministro degli Interni Paolo Emilio Taviani, uno degli “uomini forti” della Dc, più volte ministro della Difesa, rivendicò nel 1974 il merito di aver deciso lo scioglimento di Ordine nuovo, un anno prima, prescindendo dalla magistratura: «Fu un atto politico: perché i giudici discutevano se la sentenza del Tribunale, non essendo definitiva, fosse sufficiente presupposto dell’atto governativo». La sentenza contro il Movimento politico Ordine nuovo era stata emessa il 21 novembre 1973. Era la prima volta che la legge Scelba veniva applicata a un’intera organizzazione. Fu una sentenza molto pesante: 30 condanne, 10 assoluzioni, 2 posizioni stralciate tra cui quella di Sandro Saccucci, che fu condannato più tardi. Il leader di On, Clemente Graziani, fu condannato a 5 anni e mezzo e si rese latitante, come tutti gli altri leader condannati. Due giorni dopo il ministro Taviani, sentito il consiglio dei ministri, firmò l’ordine di scioglimento. Aldo Moro non partecipò alla riunione, in segno di protesta contro la decisione che, a suo parere, somigliava più ai provvedimenti della giustizia fascista che di quella antifascista.

Il Movimento politico Ordine nuovo era nato nel dicembre 1969, dopo lo scioglimento del Centro studi Ordine nuovo fondato 13 anni prima da Pino Rauti. Dopo l’ascesa di Almirante alla segreteria del Msi Rauti era rientrato nel partito con molti altri dirigenti e militanti. Graziani aveva dato vita al Movimento politico. La divisione era però più profonda. Rauti, in nome dell’anticomunismo, aveva aderito alla politica atlantista mettendo da parte l’antiamericanismo delle origini e, come avrebbe lui stesso ammesso decenni più tardi, si era schierato a favore di un eventuale colpo di Stato militare. Graziani e il Movimento ritenevano che un colpo di Stato sarebbe stato “controrivoluzionario”. Per questo Ordine nuovo non aderì al tentativo di golpe organizzato nel dicembre 1970 da Junio Valerio Borghese. L’inchiesta su On era iniziata nel gennaio 1971, condotta dal magistrato Vittorio Occorsio. Al processo gli imputati, difesi da uno dei principali avvocati della destra italiana, Nicola Madia, si rifiutarono di rispondere, consegnando invece una memoria difensiva: “Processo alle idee”. Non era un titolo eccessivo. L’atto di accusa si basava sulla somiglianza tra citazioni dell’età del fascismo o spezzoni di discorsi di Mussolini e documenti e volantini di On. Le violenze materiali contestate, nel clima dell’epoca, erano insignificanti. Un pestaggio, una manifestazione di fronte a una sezione del Pci, una sassaiola contro la sede nazionale della Dc in piazza del Gesù, a Roma. Un secondo processo si svolse a partire dal 1974 a Roma. Lo scioglimento, nonostante Graziani sperasse di poter proseguire l’attività di On in clandestinità, mise fine alla lunga parabola del principale gruppo della destra radicale in Italia. Alcuni dei militanti scelsero la via delle armi e tra questi Pierluigi Concutelli, che nel 1976 uccise il pm che aveva guidato all’accusa nei processi contro On, Vittorio Occorsio. Di certo l’esplosione e la frammentazione di un gruppo che, nonostante l’aura di sinistra leggenda, aveva in realtà responsabilità penali molto minori di quanto non ci si immagini oggi, impresse una spinta drastica verso la militarizzazione della destra radicale negli anni ‘70.

Nel 1976 fu il turno di Avanguardia nazionale, il secondo gruppo per importanza della destra extraparlamentare. Era il prodotto di una scissione di On. I giovani che non si accontentavano del ruolo di Centro studi e volevano passare all’azione fondarono nel 1959 Avanguardia nazionale giovanile. Sciolta nel ‘66, l’organizzazione si formò di nuovo nel 1970, guidata da Adriano Tilgher. Molto più coinvolta di On nelle battaglie di strada, presente in forza a Reggio Calabria nei mesi della più lunga rivolta urbana della storia recente, colonna del partito del golpe e la vera truppa del tentato colpo di Stato Borghese, probabilmente legata all’Ufficio affari riservati del Viminale, An era nel ‘76 ridotta all’osso. Pochi dirigenti, pochissimi militanti. La condanna per violazione della legge Scelba arrivò nel giugno 1976. Il fondatore, Delle Chiaie, era da anni all’estero, prima in Spagna, poi nel Cile di Pinochet. Furono condannati a pene minori di quelle chieste dall’accusa 30 imputati su 64 indagati. Un giorno prima del decreto di scioglimento, Tilgher anticipò la decisione del governo sciogliendo lui il gruppo.

Passarono 24 anni prima che venisse sciolto un terzo gruppo con poche decine di militanti, il Fronte nazionale ispirato da Franco Freda (che nonostante la mitologia non aveva mai fatto parte di On). In questo caso la condanna e il successivo decreto di scioglimento furono dovuti a violazione della legge Mancino. Nessuna di queste decisioni è mai servita ad arginare il neofascismo. I decreti degli anni ‘70, al contrario, ebbero un ruolo notevole nel determinare a fine decennio l’esplosione del terrorismo nero, in particolare dei Nar. Non perché tra questi gruppi e quelli della generazione precedente ci fossero nessi diretti ma perché il clima che si era creato era ormai quello della contrapposizione estrema e poi armata con lo Stato. David Romoli

 "Questo è un plotone contro la Meloni". Crosetto lascia lo studio di Formigli. Marco Leardi il 14 Ottobre 2021 su Il Giornale. L'imprenditore ha lasciato la trasmissione di La7 in aperta polemica. "Quando tutti sparano su persone che non possono difendersi, non è giornalismo né democrazia", ha detto prima di abbandonare la diretta 

"Questo è un plotone di esecuzione nei confronti di Giorgia Meloni e del centrodestra". Così, ieri sera Guido Crosetto ha deciso di abbandonare lo studio di Piazzapulita, dove da più di un'ora si stava discutendo della controversa inchiesta di Fanpage su Fratelli d’Italia e Lega. Nello studio di La7, i toni del confronto e dei servizi trasmessi erano palesemente monocordi, ostili ai suddetti partiti e ai loro leader. Dunque – arrivato il momento di prendere la parola – l’imprenditore ed ex sottosegretario alla Difesa ha preferito andarsene in aperta polemica con l'impostazione del talk show. "Io ascolto da un’ora la trasmissione. Man mano che la sentivo andare avanti mi chiedevo: 'Che cosa ci faccio qua? '. Perché io ho una grandissima stima nei confronti del giornalismo, ancora più della politica con la p maiuscola e della democrazia. E penso che la democrazia si fondi sul confronto, non sui plotoni d’esecuzione. Quando vedo dei plotoni d’esecuzione dico che sarebbe giusto che si difendessero le persone che poi vengono uccise", ha dichiarato Crosetto, unico ospite in studio a prendere le difese di Giorgia Meloni e del centrodestra. Davanti a lui, la sardina Mattia Santori (ora tra le fila del Pd) e il vicesegretario dem Giuseppe Provenzano, che nei giorni scorsi aveva addirittura definito la leader di Fratelli d’Italia "fuori dall’arco democratico". Poco prima, in apertura di trasmissione, aveva preso la parola pure Romano Prodi. Incalzato dal conduttore Corrado Formigli, che lo invitava a spiegare meglio la propria contestazione, Crosetto ha aggiunto: "Il plotone d’esecuzione è quello che è stato sinora la trasmissione, nei confronti di Giorgia Meloni e dell’intero centrodestra (…) Io sono inadatto nel recitare il ruolo di foglia di fico e faccio l’unica cosa che può fare una persona che si sente inadatta. La saluto, mi scuso e me e vado". A quel punto, l’imprenditore si è alzato dal tavolo della discussione e si è incamminato verso l'uscita dello studio. Trattenuto con fastidio dal padrone di casa, che gli rinfacciava di aver voluto fare una "uscita di scena teatrale", Crosetto ha tenuto il punto. E ha ribadito: "Quando tutti sparano su persone che non possono difendersi, non è giornalismo né democrazia, secondo me". Poco più tardi, mentre in diretta su La7 proseguiva la discussione, l’ex sottosegretario alla Difesa è tornato a motivare il suo gesto con un tweet. "Non dividetevi, come al solito, tra squadre di tifosi per commentare il mio gesto. Non ha nulla di politico. È altro. Riguarda il modo di fare le cose. Anche di contrapporsi. Mi è costato molto farlo e ho deciso 5 minuti prima di alzarmi. Mi scuso con Piazzapulita", ha scritto.

Marco Leardi. Classe 1989. Vivo a Crema dove sono nato. Ho una Laurea magistrale in Comunicazione pubblica e d'impresa, sono giornalista. Da oltre 10 anni racconto la tv dietro le quinte, ma seguo anche la politica e la cronaca. Amo il mare e Capri, la mia isola del cuore. Detesto invece il politicamente corretto. Cattolico praticante, incorreggibile interista. 

PiazzaPulita, Guido Crosetto abbandona lo studio: "Plotone d'esecuzione contro Meloni, me ne vado". Libero Quotidiano il 15 ottobre 2021. Guido Crosetto inaspettatamente abbandona lo studio di PiazzaPulita durante la diretta del programma su La7 del 14 ottobre per protesta: "Cosa ci faccio qui? Non è giornalismo. Ho sbagliato io a venire qui da libero cittadino e libero pensatore. Secondo me la trasmissione è stata un plotone d'esecuzione nei confronti di Giorgia Meloni e del centrodestra. Non voglio fare la foglia di fico.". Quindi, rivolto a Corrado Formigli: "La saluto, mi scuso e me ne vado". Il fondatore di Fratelli d'Italia, che ha detto addio alla politica tre anni fa e oggi fa l'imprenditore, si è irritato per la puntata dedicata in parte ancora all'inchiesta di Fanpage sulle vicende legate alla campagna elettorale delle comunali di Milano e alla condotta di esponenti del centrodestra, compreso l'europarlamentare di Fdi Carlo Fidanza. "Sono inadatto e me ne vado". "Mi sembra una scena teatrale, mi dispiace, non mi pare sia accaduto nulla di grave. Abbiamo invitato Giorgia Meloni fino all'ultimo momento. Non rincorro gli ospiti", ribatte Formigli. Quindi interviene Alessandro Sallusti: "Si sta facendo passare Fratelli d'Italia come un partito di corrotti. Un marziano, se avesse visto la trasmissione, avrebbe pensato che Fratelli d'Italia è un covo di briganti e di corrotti. Il problema è far passare il primo partito di questo paese come una banda di disperati", chiosa il direttore di Libero. Crosetto torna poi sulla questione con un post pubblicato sul suo profilo Twitter: "Non dividetevi, come al solito, tra squadre di tifosi per commentare il mio gesto. Non ha nulla di politico. È altro. Riguarda il modo di fare le cose. Anche di contrapporsi. Mi è costato molto farlo e ho deciso 5 minuti prima di alzarmi. Mi scuso con Piazzapulita".

"Ho lasciato gli studi di Piazza Pulita: plotone di esecuzione contro la Meloni". Fabrizio De Feo il 16 Ottobre 2021 su Il Giornale. Il j'accuse del cofondatore di Fdi: "Stavano costruendo un teorema in tv". «Credo che la democrazia si fondi sul confronto e non sui plotoni di esecuzione. Qui ho visto un plotone di esecuzione nei confronti di Giorgia Meloni e del centrodestra. Ho lasciato la politica perché mi sentivo al di sopra di questo modo becero di farla. Mi sento inadatto a fare la foglia di fico. Per questo faccio l'unica cosa che può fare una persona quando si sente inadatta: la saluto, mi scuso e me ne vado». Con questo j'accuse Guido Crosetto, fondatore di Fdi giovedì ha abbandonato gli studi di Piazza Pulit a La7.

Come è maturata la sua decisione?

«Ho ascoltato per mezz'ora il monologo di Corrado Formigli e del direttore Cancellato sulla risposta data da Giorgia Meloni all'inchiesta di Fanpage. A quel punto è stata data la parola a Lilli Gruber che indossava le vesti di arbitro del bene e del male, per arrivare poi alle conclusioni di Prodi. Nel mirino c'era un unico obiettivo: Giorgia Meloni, tirata in ballo per fatti in cui evidentemente non c'entra nulla. Mentre aspettavo non potevo fare a meno di pensare che mi trovavo di fronte a una impostazione inaccettabile per chiunque, per Conte, Letta o Renzi. La trasmissione non stava facendo informazione corretta ed imparziale ma stava semplicemente costruendo un teorema».

Quale sarebbe stata l'impostazione giusta?

«Io credo che il conduttore debba fare l'arbitro tra due interlocutori, non diventare parte in causa».

Non sarebbe stato più giusto controbattere a quelle tesi?

«Dopo un'ora, in 3 minuti? Non ho nulla contro Corrado Formigli, sono stato suo ospite e certo non perdo il rispetto per lui. Ma ritengo si possa portare civiltà anche in un dibattito politico. Giorgia Meloni fino a pochi mesi fa veniva descritta come la faccia buona del sovranismo, ora visti i sondaggi è diventata una Mussolini in gonnella o un Hitler in sedicesimo. Con queste iperboli la si espone al rischio che qualche pazzo possa sceglierla come obiettivo, lei che, in un Paese in cui hanno scorte e tutele anche quelli che si spediscono da soli un proiettile, non ha mai voluto la scorta».

Lei fa politica da molti anni, sa bene che l'evocazione del fascismo è uno spartito consueto da circa 28 anni.

«Ho visto anch'io il titolo di un giornale del 1993 su Berlusconi fascista. Sì, la riesumazione del pericolo nero è un classico pre-elettorale, ma francamente applicarlo a una donna di 44 anni che da anni ha un atteggiamento molto fermo verso qualunque forma di nostalgismo è un po' deprimente. Conosciamo bene queste artiglierie sperimentate per distruggere, ma non è detto che sia scontato abituarcisi e fare finta che sia tutto normale. Gli avversari di Giorgia Meloni dovrebbero cercare di combatterla sui contenuti, non cercando di delegittimare lei».

C'è un elemento di autocritica che si sente di fare rispetto alle prese di posizione di Fratelli d'Italia di queste settimane?

«I movimenti di destra esistono così come i loro tentativi di usare Fdi come veicolo. L'attenzione è alta, a volte si può fare meglio, a volte peggio, ma pensare che i leader di partito possano avere responsabilità per episodi o atteggiamenti che avvengono in periferia è lunare. Qualche giorno fa è stato eletto un consigliere circoscrizionale della lista Manfredi a Napoli che sul suo profilo Facebook ha riferimenti al Ventennio. Nessuno, giustamente, ne ha chiesto conto a Manfredi o a Letta. Se fosse stato di Fdi avrebbero avuto lo stesso atteggiamento con la Meloni? Questa comunicazione è il modo per tenere ferma la democrazia. La sinistra preferisce vincere spaventando il proprio elettorato piuttosto che confrontarsi sulle idee». Fabrizio De Feo

Che vergogna il bullismo televisivo. Davide Bartoccini il 15 Ottobre 2021 su Il Giornale. Nell'epoca in cui viviamo, il bullismo si combatte a scuola ma si insegna in televisione. E nessuno, professore, politico o giornalista, darebbe la vita - come Voltaire - per permettere a chi che sia di contraddirlo. Non so quando sia iniziato né perché. Non so come gli editori lo consentano, né perché i conduttori televisivi, nella maggior parte dei casi giornalisti fin troppo navigati sempre appellatisi alla democrazia e alle più buone maniere, lo esercitino senza pudore; ma finiamo sempre più spesso con l'assistere a imbarazzanti siparietti che sfociano nel "bullismo televisivo" che scandisce quest'epoca. E francamente è vergognoso. Fa bene dunque un Guido Crosetto, che giovedì si è riconfermato un sobrissimo gentiluomo, ad abbandonare un talk televisivo dove il copione scritto dagli autori poteva e doveva avere un solo epilogo: mettere nell'angolo l'unico contraddittorio presente in studio, sapendo che l'altrettanto gentiluomo, sempre sobrio e rispettoso nei toni, Alessandro Sallusti, non si sarebbe messo a fare la fronda dell'ultimo dei mohicani. Destrorso chi scrive? Ma per favore. Difensore di Giorgia Meloni, detrattore dei giornalisti che in "tre anni di barbe finte", come hanno scritto sul Riformista, hanno "svelato" le malefatte del Barone Nero? Ma per carità. Non è una questione di "vittimismo da camerati", come scherzano sui social. È una questione di coerenza e onestà intellettuale: non si possono continuamente camuffare da talk televisivi delle trasmissione disegnate per "moralizzare" metodicamente la propria audiance. Alle lunghe i non maoisti sono costretti a cambiare canale. Le altre emittenti, per bilanciare le forze, a costruire gli stessi siparietti al contrario, e chiunque abbia conservato un po' di buon gusto, a spegnere il televisore e ad aprire un libro. Questo j'accuse potrà apparire banale, anche fuori tempo, perché è da anni che si consumano queste pantomime. Ma la pandemia che ci ha costretti a guardare più televisione del necessario, e tutto il dibattito tra vaccinisti coatti e no-vax da protesi di complotto, sembrerebbe aver alzato il livello di spocchia di un'ampia schiera di conduttori e ospiti che in virtù delle loro competenza - chi gliele nega per carità - vogliono apparire senza essere contraddetti come dei narratori onniscienti e non come quello che dovrebbero in vero essere: moderatori e interlocutori accreditati. Chi viene chiamato in una trasmissione, in presenza o in collegamento esterno, dovrebbe essere in primis ascoltato, e poi rispettato, anche dovesse abbandonarsi al delirio. Senza dover ripetere l'immancabile "Non mi interrompa perché io non l'ho interrotta" che ormai occupa metà nel minutaggio delle trasmissioni. E senza che il conduttore s'innalzi a paladino della lotta alle fake news: se ti colleghi con un terrapiattista, quello a domanda risponderà che la "terra è piatta". Risibile? Non obietto. Ma neppure si può deriderlo in diretta. Altrimenti è un evidente caso di bullismo. E noi siamo tutti contrari al bullismo no? Facciamo corsi per estirpare il problema nelle scuole e poi lo consentiamo in televisione tra gli adulti con lauree, cattedre e ministeri? Eh no. Così non va. Oggi per esempio, giornata di fuoco per l'opinionismo data l'entrata in vigore nel Green pass per i lavoratori di tutti i settori, ho sentito un ospite del quale non ricordo il nome, che derideva a microfono aperto un camionista che aveva detto di chiamarsi Sirio, e che non si è vaccinato per scelta. Gli diceva ghignando: "Sirio, ma che vivi su una stella?" E poi rincarava con una doppia dose di classismo: "Si vede che sei uno scienziato". Gli altri del "plotone d'esecuzione opinionistico", come siamo ormai abituati a vedere, scuotevano la testa ad intervalli regolari scambiandosi battute ed encomi. Ecco, se non è bullismo questo. Chissà dov'è finito quello spirito voltariano del "Non sono d’accordo con quello che dici, ma darei la vita perché tu possa continuare a dirlo". Forse nei vecchi palinsesti. Nelle vecchie trasmissioni. Nell'epoca del tubocatodico e dei telecomandi Mivar dello zapping fantozziano. Tempi più civilizzati.

Davide Bartoccini. Romano, classe '87, sono appassionato di storia fin dalla tenera età. Ma sebbene io viva nel passato, scrivo tutti giorni per ilGiornale.it e InsideOver, dove mi occupo di analisi militari, notizie dall’estero e pensieri politicamente scorretti. Ho collaborato con il Foglio e sto lavorando a un romanzo che credo sentirete nomina

Giorgia Meloni, fango di Repubblica: "Gli effetti del sabato fascista", ai limiti della legge. Libero Quotidiano il 14 ottobre 2021. Secondo Repubblica il “sabato fascista” della scorsa settimana a Roma starebbe frenando l’ascesa di Giorgia Meloni. Tesi però che viene mezzo smentita da Repubblica stessa, dato che riporta il sondaggio Swg realizzato per il TgLa7 di lunedì, dal quale è emersa ben altra realtà: ovvero che Fratelli d’Italia - nonostante l’inchiesta di FanPage e i più recenti fatti romani - è ancora il primo partito nazionale al 21 per cento, con un punto di vantaggio sulla Lega e sul Pd. “Qualsiasi cosa faccia - avrebbe ironizzato la Meloni con la sua cerchia - qualsiasi cosa io tocchi diventa fascismo. Sono una specie di Re Mida mussoliniano”. Una battuta per sdrammatizzare un momento pesante a livello personale e di partito, con gli attacchi che piovono costanti da tutte le direzioni, in particolare da sinistra. Quando ha visto il sondaggio Swg, la leader di Fdi sarebbe rimasta piacevolmente sorpresa e avrebbe confidato ai suoi che “con la campagna di delegittimazione che ci hanno fatto mi aspettavo un tracollo. Evidentemente la gente non è così stupida come pensa la sinistra”. “Prima Berlusconi, poi Salvini e infine Meloni… curiosamente diventa sempre impresentabile chi è in testa”, sarebbe stato il senso del discorso della leader di Fdi. Ora però arrivano i ballottaggi, e soprattutto quello di Roma è molto importante per la Meloni: per questo ha attaccato in aula la ministra Lamorgese, avvertendo una “strategia della tensione” per condurre alla sconfitta il suo candidato, Enrico Michetti. In ogni caso Giorgia sarebbe convinta di non essere davanti a un bivio: una volta passata la tempesta, e anche in caso di sconfitta a Roma, sarà ancora artefice del suo destino politico.

Alessia Morani, vergogna senza precedenti: "Una molotov alla Cgil e la Meloni..." Libero Quotidiano il 14 ottobre 2021. Alessia Morani tocca il fondo. La deputata del Partito democratico con un tweet affianca il nome di Giorgia Meloni a una notizia di cronaca. "Queste immagini arrivano da Jesi. Pare abbiano piazzato una molotov alla sede della Cgil. Aspettiamo di capire cosa è accaduto ma credo che i distinguo di questi giorni e le accuse della Meloni al Viminale siano molto gravi. Il clima è preoccupante e serve responsabilità". Un cinguettio che manda la leader di Fratelli d'Italia su tutte le furie. Ed ecco la replica: "Cosa ne pensa Letta di questo modo indegno di fare propaganda da parte del suo partito?". Semplice: il leader dem non ha ancora proferito parola, mentre la Morani rincara invece la dose: "Ribadisco: le accuse della Meloni nei confronti del Viminale sono gravissime. Mi auguro che prima o poi comprenda la responsabilità che ha nei confronti del Paese".  Insomma, una vera e propria guerra contro la leader di FdI. Giusto qualche giorno fa Beppe Provenzano, altro esponente del Pd, aveva detto che la Meloni è fuori dall'area democratica. Una frase che ha fatto pensare a FdI a un chiaro suggerimento di sciogliere il partito. "Il che - aveva commentato la Meloni - a norma di legge significa che anche noi, primo partito italiano, andremmo sciolti. Magari con il voto a maggioranza di Pd e 5Stelle in parlamento, capito? Il primo partito italiano va sciolto perché lo ha deciso il Pd, questo è il gioco".

Manifestazione dei sindacati a San Giovanni: selfie, Bella ciao e operai in tuta tra Letta e Di Maio. «Su questo palco c’era Berlinguer».  Fabrizio Roncone su Il Corriere della Sera il 16 ottobre 2021. Nella piazza blindata, striscioni e bandiere arcobaleno: prove generali di un «Ulivo Bis». Lo sguardo scorre sulla folla. Massiccia, forte ma non nervosa, e però consapevole, ostinata, questo sì. Nel cielo limpido centinaia di palloncini (rossi, verdi e azzurri, come i colori dei tre sindacati) galleggiano allegramente su una scena piena di striscioni e bandiere arcobaleno, pugni chiusi e Bella Ciao, Resistenza, i metalmeccanici sono venuti con la tuta, i disoccupati con i loro cartelli, le mamme con i bambini, i giovani accanto agli anziani che raccontano di quando lassù c’era Enrico Berlinguer, molta tenerezza, molta luce. Piazza San Giovanni: un pomeriggio di antifascismo martellante, vivo, attuale; in dissolvenza, da qualche parte nella mente e nel cuore di tutti, le immagini delle squadracce nere, del canagliume che, sette giorni fa, esattamente a quest’ora, assaltò la sede della Cgil, indifesa. Nel dubbio, nonostante il Viminale stavolta abbia organizzato le cose per bene, agenti e carabinieri in quantità, e i blindati, e gli elicotteri che volano bassi, è tornato a schierarsi anche il leggendario servizio d’ordine della Fiom.

Transenne. Sottopalco. Capire chi c’è. 

Ecco Enrico Letta. Il segretario del Pd arriva a piedi e cerca subito Maurizio Landini. Fotografi e cameraman, eccitati, in semicerchio: tra i due un abbraccio lungo, sinceramente affettuoso; poi si aggiunge Pier Luigi Bersani, dicendo una cosa nell’orecchio di Landini. («Anche negli anni Settanta, in una stagione ben più dura di questa, era il sindacato che toglieva tutti dall’imbarazzo delle bandiere. E infatti, in alcune manifestazioni, c’era sempre una certa destra liberale, costituzionale — riflette Bersani — Mi chiedo allora dove sia quella attuale. Lo sanno o no che questa è una Repubblica fondata sull’antifascismo?»).

Arrivano pizzette calde e pasticcini nel gazebo della Cisl. I compagni della Cgil, più sobri, vanno di pizza con la mortadella. Arrivano anche i sindaci di Palermo e di Firenze, Leoluca Orlando e Dario Nardella. Vigili urbani in alta uniforme con i gonfaloni della Campania, dell’Emilia-Romagna, della Puglia («Michele Emiliano non è potuto venire, ma è qui con il cuore», dice un tipo in ghingheri come un generale napoleonico). Gira voce che laggiù ci sia Massimo D’Alema. Molto intervistata Susanna Camusso. Sergio Cofferati, noto anche come «il Cinese» (che parlò davanti a un milione di lavoratori): «Osservo la risposta democratica che mi aspettavo».

Sugli appunti, dopo mezz’ora, c’è scritto: Pd al completo, visti i ministri Franceschini e Orlando, cercare di parlare con Orlando, Franceschini tanto non ti dirà niente, molto a suo agio — in quest’atmosfera operaista/militante — il vice-segretario Provenzano, Nicola Zingaretti è con l’assessore alla Sanità della Regione Lazio Alessio D’Amato (ricordare che è merito suo se, da queste parti, ad un certo punto, ci siamo vaccinati tutti con ordine e rapidità), non dimenticarsi di citare Valeria Fedeli, sottolineare la lucidità e la rara sobrietà politica di Walter Verini che, essendo tesoriere del partito, potrebbe anche tirarsela. 

Nessuno degna Carlo Calenda, grande assente, di mezza parola. Calenda s’è sfilato dicendo che in questa piazza unitaria non si fa solo antifascismo, ma politica. Ruvido: però, forse, un po’ ci ha preso. 

Prove di Ulivo bis, di Unione bis? Fate voi. Ci sono pezzi di Italia Viva (Nobili, Migliore, Bellanova: chissà cos’ha in testa Renzi), ci sono il verde Angelo Bonelli e Roberto Speranza, seguito da tutta la complessa truppa sinistrorsa. Da Nicola Fratoianni, segretario nazionale di Sinistra Italiana, a Stefano Fassina. Nichi Vendola semplifica il dubbio: «Come si traduce, politicamente, la potenza di questa piazza?».

Vendola va via incrociando Roberto Gualtieri, che per diventare sindaco di Roma deve giocarsela al ballottaggio con Enrico Michetti (il quale si conferma un personaggione: ignorando il divieto assoluto di Meloni e Salvini, aveva espresso il desiderio di venire. «Scusate: ma quale occasione migliore per dimostrare che sono davvero antifascista?»; l’hanno incenerito con due sguardi). Gualtieri invece è venuto ma resta muto, rispetta le regole, mette su una smorfia fissa, tra rammarico e ironia. Fotografo: «A Gualtié, te lo dico: pare che te fa male un dente…».

Poi, all’improvviso, sotto la Basilica, compare un corteo di auto blu. Al centro, un grosso suv blindato. Vetri neri. Guardie del corpo. 

Stupore. Curiosità. Chi sarà? 

Una della Uil: «È Draghi!». Cameraman: «Ma no! Draghi ha solo due macchine di scorta. Questo sembra Biden». «Escluso — fa un delegato Cisl — Biden mica è a Roma». 

Lo sportello del suv, dopo lunghi minuti, finalmente si apre. E compare la testa di Luigi Di Maio. 

«E meno male che nun te piaceveno le auto blu!», gli grida una signora con i capelli ricci aggrappata alle transenne. Di Maio la ignora e incede nel mischione dei fotografi, nel groviglio di microfoni e telecamere (intanto, dall’ultima auto, è sceso Alfonso Bonafede, ignorato da tutti). 

Un tipo forzuto dello staff soffia a Di Maio: guarda che c’è pure Conte. I due si osservano da lontano. Gelo? Gelo. Segue foto di gruppo con Paola Taverna (solito meraviglioso fotografo: «Aho’, e mica v’hanno condannato a morte!»). 

Enrico Letta capisce che l’aria s’è fatta appiccicosa, si fa aprire le transenne e va a mischiarsi con la folla (dove trova le due capogruppo di Camera e Senato, Serracchiani e Malpezzi). Grida di evviva, selfie, pacche sulle spalle, accoglienza notevole. 

Intanto Landini sta per cominciare il suo intervento. Tra gli alberi, tirano su uno striscione: «Noi con i fascisti abbiamo finito di parlare il 25 aprile del 1945».

Rinaldo Frignani per corriere.it il 16 ottobre 2021. «C’è da progettare un futuro che applichi i principi fondamentali della nostra Costituzione». Così sabato mattina il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, nel corso del corteo per le strade dell’Esquilino che ha portato i manifestanti dell’iniziativa di solidarietà alla Cgil al sit-in nazionale dei sindacati in piazza San Giovanni a Roma. «Libertà, diritti, pluralismo, libera informazione e lavoro», le richieste della piazza sulla quale sventolano le bandiere dei tre sindacati confederali Cgil, Cisl e Uil tra palloncini rossi, verdi e blu. Il lungo applauso alla richiesta di «sciogliere le forze neofasciste». «Siamo in piazza per ribadire la forza della democrazia nel nostro Paese, la voglia di cambiare e la forza della Costituzione. Silenzio elettorale? Credo che i fascisti che hanno assaltato la Cgil non si sono posti li problema se erano in campagna elettorale o meno - aggiunge Landini -. Questa è una manifestazione per la democrazia nel nostro Paese quindi di tutti e non di parte. Tutto il mondo ha capito quello che è successo, che non bisogna abbassare la guardia. Ringrazio Lamorgese per il lavoro compiuto e le forze di polizia per quello che hanno fatto». Tanti i temi abbracciati da Landini, non ultimo, il caso Regeni: «Vogliamo la verità». «Mai più fascismi» lo slogan scelto per chiedere lo scioglimento delle organizzazioni neofasciste. L’appuntamento con Cgil, Cisl e Uil a partire dalle 14 in piazza San Giovanni, ma con un prologo: un corteo partito da piazzale dell’Esquilino alle 12.30. Flussi da tutta Italia a bordo di 800 pullman, 10 treni speciali e qualche volo dalle isole. La stima finale secondo gli stessi sindacati è di 200 mila persone in piazza, mentre per la Questura i partecipanti sono circa 50 mila. Di sicuro c’è che ci sono tantissimi pensionati, con bandiere e palloncini delle sigle delle tre categorie Spi Cgil, Fnp Cisl e Uilp: sotto il palco, le «pantere grigie» sono il gruppo più nutrito. All’indomani dell’obbligo di presentazione del Green Pass sul luogo di lavoro, e alla vigilia del secondo turno delle elezioni amministrative nella Capitale e in altre grandi città,i sindacati richiamano l’attenzione sull’attacco «squadrista» alla sede della Cgil ritenuto una sfida a tutto il sindacato confederale, al mondo del lavoro e alla democrazia: mercoledì 20 ottobre è attesa l’apertura della discussione in Senato sulle mozioni proposte da Pd, Leu, M5s e Italia viva per lo scioglimento di Forza Nuova e dei gruppi neofascisti. «Una grande festa democratica senza colore politico» per Giuseppe Conte, presidente del M5s. «Una grande risposta di popolo per sottolineare i valori costituzionali» il commento a distanza di Luigi Di Maio, ministro degli Esteri ed esponente del M5s. «In questa piazza c’è la nuova Resistenza — afferma il segretario generale della Uil Bombardieri —. La Resistenza è quella che ha combattuto il fascismo; vogliamo riaffermare i valori della democrazia, della partecipazione e il rifiuto della violenza». Per il segretario della Confederazione europea dei sindacati, Luca Visentini, l’impegno è «per ottenere la sospensione dei brevetti a livello internazionale e per l’aumento della capacità tecnologica e di produzione dei vaccini in Europa e nel mondo». E ancora: «Ai fascisti del nuovo millennio diciamo che non passeranno. Noi li fermeremo». Intento condiviso anche da Luigi Sbarra, segretario generale della Cisl: «L’Italia riparte con il lavoro», con «le riforme e gli investimenti concertati. Un campo largo di responsabilità che produca risultati concreti e prosciughi gli stagni in cui si abbeverano le `bestie´ degli estremismi». E Sbarra affonda la stoccata sui vaccini: «Cosa si aspetta a renderli obbligatori? Grave che il governo e il Parlamento non l’abbiamo ancora fatto per mera convenienza politica. È grave che per non affrontare queste contraddizioni si siano scaricati i conflitti sul mondo del lavoro». Nella folla anche il candidato sindaco di Roma del centrosinistra, Roberto Gualtieri, rispettoso del silenzio elettorale. Sotto il palco anche il ministro della Salute, Roberto Speranza e il presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti. E Massimo D’Alema: «La violenza fascista non è una forma qualsiasi di violenza, ma è una violenza di impronta totalitaria messa al bando dalla Costituzione e che nasce dal rifiuto del totalitarismo fascista». Il segretario del Pd, Enrico Letta, abbraccia il segretario della Cgil, Maurizio Landini. Per lui in regalo una maglietta con la scritta «La matrice dell’Europa è antifascista», realizzata dall’associazione EuropaNow. «Studenti antifascisti - lavoro, reddito, istruzione e diritti contro ogni fascismo» la scritta sullo striscione di Rete della Conoscenza, Unione degli Studenti e Link. «Da tutta Italia siamo arrivati a Roma per una manifestazione urgente e necessaria: sciogliere le organizzazioni neofasciste e chiuderne le sedi è oggi una priorità» dicono gli studenti. Tra la folla, diverse magliette blu con scritto: «Vaccinato dal 25 aprile 1945». Tante e diverse le bandiere, tra cui quelle dell’Anpi e di Legambiente. «L’antifascismo è il vaccino per una forte e robusta costituzione», si legge su un cartello di un manifestante firmato «Cgil Bari». Presenti anche le realtà arcobaleno, insieme al movimento Disability Pride. Presidiato il centro storico di Roma durante tutta la manifestazione. Sorvegliati dalle forze dell’ordine, non solo i palazzi istituzionali, ma anche alcuni obiettivi ritenuti sensibili come cantieri edili che si trovano nell’area, palazzi occupati e sedi dei sindacati. Sotto la lente, inoltre, la sede di CasaPound.

“Bella Ciao” e pugni chiusi: a piazza San Giovanni la passerella di sinistra beffa il silenzio elettorale. Eleonora Guerra sabato 16 Ottobre 2021 su Il Secolo d'Italia. Pugni chiusi, Avanti popolo, bandiere rosse e l’immancabile Bella Ciao, che ha chiuso il comizio. Pardon, la manifestazione. A piazza San Giovanni oggi ha fatto sfoggio di sé tutto l’armamentario tipico della sinistra più a sinistra, ma a sentire gli organizzatori in piazza c’era «l’Italia». Si badi bene, però, non un’Italia qualsiasi, ma «l’Italia migliore» come non ha mancato di rivendicare la capogruppo di Leu al Senato, Loredana De Petris. Insomma, tutto come da copione, compreso l’immancabile vizio della sinistra di mettersi su un piedistallo, che in questo caso aveva la forma di un palco. Il palco antifascista. Gli organizzatori hanno parlato prima di 100mila, poi di 200mila partecipanti. La Questura ha nettamente ridimensionato il dato a 60mila. Si tratta comunque di un numero di tutto rispetto, ma abbastanza per sostenere, come ha fatto il leader della Cgil, Maurizio Landini, che «tutta Italia vuole cambiare questo Paese»? Il leader Cgil non si è limitato a dire che «tutta Italia vuole chiudere con la violenza», ma anche che «vogliamo essere protagonisti del cambiamento economico. Tutto il governo assuma questa sfida e apra una fase di cambiamento sociale del Paese». Insomma, va bene l’antifascismo, va bene il ripudio della violenza, va bene la solidarietà, ma perché farsi sfuggire l’occasione di mettere in chiaro che qua si rivendicano anche i temi prettamente legati all’agenda politica? D’altra parte che si trattasse di un’occasione politica imperdibile era evidente fin dalle premesse, ovvero dalla scelta di fissare la manifestazione in pieno silenzio elettorale. Lo svolgimento è stato all’altezza delle aspettative. A piazza San Giovanni hanno fatto passerella tutti i big della sinistra, affiancati dagli aspiranti sindaci, un Roberto Gualtieri molto fotografato in testa. Per il Pd c’erano, tra gli altri, Enrico Letta, Andrea Orlando e Dario Franceschini. Per Articolo 1, Roberto Speranza, Pier Luigi Bersani e Massimo D’Alema. Per la sinistra Nicola Fratoianni e Nichi Vendola. Per Italia Viva Teresa Bellanova. Per il M5S Giuseppe Conte e Luigi Di Maio. «È una bella festa senza colore politico nel nome della democrazia», ha sostenuto Conte. Sipario e sigla di chiusura, sulle note di Bella ciao.

Fascismo e quota 100. Da anni la Fiom scrive il programma con cui la destra poi vince le elezioni. Carmelo Palma su L'Inkiesta il 16 Ottobre 2021. La Fiom ha pubblicato una piattaforma politica in cui è vaga su tutto tranne nell’anticipare le pensioni e condannare la globalizzazione. Non stupisce. Lega e Fratelli d’Italia usano le stesse parole gridate dalla sinistra sociale: lotta alle multinazionali, alle banche e alla (qualunque cosa significhi) finanza. Per la manifestazione “Mai più fascismi”, convocata per oggi a Roma da CGIL, CISL e UIL, come risposta all’invasione squadristica della sede del maggiore sindacato italiano, la FIOM ha predisposto una piattaforma (come si dice in sindacalese), che partendo dalla condanna «di ogni forma di fascismo e di violenza» e dalla richiesta «dello scioglimento immediato di tutte le organizzazioni di matrice neo-fascista e neo-nazista», arriva a chiedere di «ridurre l’età pensionabile, introducendo elementi di flessibilità in uscita (41 anni di contribuzione o 62 anni di età anagrafica)», passando per tutto il repertorio di evocazioni (precariato, progressività fiscale, sanità pubblica…), che descrivono l’immaginario ideologico e sentimentale di sindacati da anni in crisi di ruolo e di identità. Però su tutto, fuorché sulle pensioni, si rimane nel vago. Insomma, lo scioglimento di Forza Nuova e la sostituzione di quota 100 con quota 41 sono le sole due precise richieste antifasciste dei metalmeccanici della CGIL. Manca nella piattaforma della FIOM il riferimento testuale al liberismo, che da quelle parti non si ha troppi scrupoli a rubricare come una versione economica evoluta del produttivismo fascista. È comunque decisamente chiaro che nel mirino c’è quell’idea di società che, nelle analisi del mondo sindacale e della CGIL in particolare, è considerata la matrice dei rigurgiti reazionari dell’Occidente, sia nel senso del modello di riferimento (il capitalismo globalizzato come universalizzazione del “sistema Pinochet”), sia nel senso della causa della frustrazione e del disagio sociale, destinato a capitolare nell’illusione fascista. Purtroppo, la discussione sul fascismo in Italia è condannata a confrontarsi con gli obblighi e i divieti, di un antifascismo da guerra fredda anni ‘50 o da autunno caldo anni ‘60. L’idea conformistica del fascismo come regime dei padroni e dei fascisti come mazzieri del Capitale impedisce di vederne la seduzione sempre ricorrente, soprattutto in forme più subdole, pervasive, strutturalmente interclassistiche e potenzialmente maggioritarie della violenza di piazza di infime minoranze, che hanno più parentele con la criminalità organizzata e con le curve ultrà che con il fascismo del Ventennio, inteso come regime, come sistema di consenso e come vera e propria ideologia nazionale. Nessuno (o pochi e quasi tutti silenti) nel mondo sindacale sembra rendersi conto che non tanto nelle organizzazioni dichiaratamente neo-fasciste, come Forza Nuova, ma in quelle della destra ultra-fascista, a partire dai primi due partiti italiani, Lega e FdI, l’aggregazione del consenso è fatta sulle stesse parole d’ordine sterilmente gridate dalla sinistra sociale negli ultimi decenni: guerra alla globalizzazione, lotta alle multinazionali, alle banche e alla (qualunque cosa significhi) finanza, protezionismo e pensionismo, antagonismo nazionalista sulle regole di bilancio e di mercato imposte dai trattati Ue. Possibile che nessuno abbia visto che proprio su quota 100 Salvini ha resuscitato e nazionalizzato il territorialismo leghista e che il «fermiamo il mondo, vogliamo scendere», biascicato dal sindacato italiano confederale (anche qui con pochissime eccezioni), è, questo sì, il canone retorico di quella destra nazionalista, che, in senso proprio, cioè storico e ideologico, è più fascista delle bande di picchiatori sottoproletarizzati e ampiamente manovrabili di Forza Nuova? Tanti auguri, allora, a chi pensa di combattere il fascismo contemporaneo con la legge Scelba e con un nazionalismo economico leftist.

La Cgil dei furbetti: pensioni antifasciste e spot di piazza per il ballottaggio coi leader giallorossi. Lodovica Bulian e Tiziana Paolocci il 17 Ottobre 2021 su Il Giornale. I sindacati in corteo a Roma: 50 mila persone. Landini: "Grande festa senza colore politico" ma con lui sfila tutto il centrosinistra. E dicono no a Quota 100. Salvini: "Campagna elettorale inseguendo i fascisti che non ci sono". Dall'antifascismo alle pensioni. Tutto nella stessa piazza, alla vigilia del voto dei ballottaggi, sotto lo slogan «Mai più contro i fascismi». Il motivo per cui Carlo Calenda, leader di Azione, aveva deciso di annullare la sua presenza ieri a San Giovanni («Doveva essere una manifestazione in difesa della democrazia, è diventata una questione di lotta politica, fatta tra l'altro il giorno prima delle elezioni durante il silenzio elettorale»), si è plasticamente manifestato sul palco nelle parole del segretario generale Maurizio Landini. «C'è da progettare un futuro che applichi i principi fondamentali della nostra Costituzione. Silenzio elettorale? Credo che i fascisti che hanno assaltato la Cgil non si sono posti il problema se erano in campagna elettorale o meno. Questa è una manifestazione per la democrazia nel nostro Paese quindi di tutti e non di parte. Tutto il mondo ha capito quello che è successo, che non bisogna abbassare la guardia». Tra i cori antifascisti Landini rilancia i temi della piattaforma sindacale, invoca il superamento di Quota cento, misura bandiera della Lega, e incalza il governo: «Bisogna rinnovare i contratti salariali pubblici e privati, ma anche varare una riforma del fisco, delle pensioni e degli ammortizzatori sociali. La riforma del fisco deve avere un effetto chiaro: la lotta all'evasione fiscale deve aumentare il netto in busta paga e delle pensioni». Con lui in piazza molti esponenti del centrosinistra e del governo, dal segretario del Pd, Enrico Letta, al leader del M5s Giuseppe Conte con il ministro Luigi Di Maio e il ministro dem Andrea Orlando. «È una grande festa democratica senza colore politico», dice il leader dei cinque stelle. Ma dal palco c'è spazio anche per un comizio dei sindacati contro le delocalizzazioni delle imprese, contro i condoni che sono «uno schiaffo» a tutti quelli che pagano le tasse, per poi passare agli incidenti sul lavoro e alla neonata Ita: per i sindacati è «inaccettabile» che non applichi il contratto nazionale. Una lista programmatica indirizzata all'esecutivo Draghi. Eppure Landini rivendica: «Non è una piazza di parte. È una manifestazione che difende la democrazia di tutti». Una risposta indirizzata al leader della Lega Matteo Salvini che accusava la manifestazione di violare il silenzio elettorale alla vigilia dei ballottaggi: «A Roma la sinistra fa campagna elettorale inseguendo fascisti che, per fortuna, non ci sono più». In piazza a rispondere al richiamo di Cgil, Cisl e Uil dopo l'assalto di sabato scorso alla sede del sindacato da parte di Forza Nuova, hanno risposto 50mila persone secondo la questura, 200mila invece secondo gli organizzatori. Nessuno scontro, né si verificano le temute infiltrazioni di estremisti. Una festa colorata, con canti, striscioni e un cielo di palloncini, lontana dalle premesse dei giorni precedenti, che già vedevano piazza San Giovanni trasformata in campo di battaglia nella Capitale. Questa volta era invece blindata dal dispositivo di sicurezza messo in campo dal Viminale per scongiurare le violenze di sabato scorso. Un corteo partito da piazzale dell'Esquilino alle 12.30, con un esercito di lavoratori, molti addetti del settore scuola giunti da ogni parte d'Italia a bordo di 800 pullman, 10 treni speciali e qualche volo dalle isole ha raggiunto piazza San Giovanni alle 14. Tantissimi i pensionati, che sollevavano cartelloni con scritto «l'antifascismo è il vaccino per una forte e robusta costituzione» e «Zero morti sul lavoro». Non sono mancati anche questa volta i nostalgici con le magliette rosse con la faccia di Che Guevara. E mentre i segretari parlavano dal palco, nella folla tutti a discutere dell'appuntamento di mercoledì prossimo quando si aprirà in Senato la discussione sulle mozioni proposte da Pd, Leu, M5s e Italia viva per lo scioglimento di Forza Nuova e dei gruppi neofascisti. «L'Italia riparte solo con il lavoro le riforme e gli investimenti concertati - dice Luigi Sbarra, segretario generale della Cisl, che chiede il vaccino obbligatorio per tutti -. Un campo largo di responsabilità che produca risultati concreti e prosciughi gli stagni in cui si abbeverano le bestie degli estremismi». Lodovica Bulian e Tiziana Paolocci

Vittorio Sgarbi contro il corteo Cgil: "Ridicola passerella. C'era anche Di Maio, che passa la vita a schivare il lavoro". Libero Quotidiano il 16 ottobre 2021. "Triste che la CGIL si sia prestata a squallida strumentalizzazione alla vigila del ballottaggio di Roma. Ridicola passerella politica che con il lavoro non ha nulla a che fare. C’era anche Luigi Di Maio, uno che ha passato la sua vita a schivarlo, il lavoro". Questo il tweet di Vittorio Sgarbi a proposito della manifestazione indetta dalla Cgil dopo l'assalto alla sede del sindacato da parte di alcuni appartenenti a Forza Nuova. Per Sgarbi è inaccettabile che una manifestazione si svolga alla vigilia del voto politico sul sindaco di Roma, concetto ribadito più volte negli ultimi giorni. Si strumentalizza, secondo il critico d'arte, per dare contro a Fratelli d’Italia in vista del ballottaggio tra Enrico Michetti e Roberto Gualtieri. E non perde, ovviamente e sempre Sgarbi, l'occasione per attaccare uno dei suo0i bersagli preferiti: il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, presente alla manifestazione indetta dalla Cgil. Vittorio Sgarbi è candidato nella Lista Civica Michetti come assessore alla Cultura e questo sarà il suo ruolo in caso di vittoria del centrodestra al ballottaggio. Ma alla vigilia del voto ha voluto dire il suo punto di vista sulla questione. Una questione per lui politica e ha deciso di attaccare la Cgil. Le polemiche certo non mancheranno.

Corteo Cgil, Matteo Salvini all'attacco: "Mentre in Europa scorre il sangue del terrorismo, inseguono fascisti inesistenti". Libero Quotidiano il 16 ottobre 2021. La manifestazione antifascista organizzata dalla Cgil a Roma non ha alcun senso secondo Matteo Salvini, che su Twitter ha commentato: "Mentre in Europa scorre il sangue per mano del terrorismo islamico, unico reale pericolo di questi tempi, a Roma la sinistra fa campagna elettorale (nel giorno del silenzio) inseguendo fascisti che, per fortuna, non ci sono più". Il riferimento è ai due episodi che sono successi nei giorni scorsi in Europa. Il primo in Norvegia, dove un uomo armato di arco e frecce ha ucciso 5 persone, pare dopo essersi convertito all'Islam. Il secondo episodio invece riguarda l'uccisione di un deputato nel Regno Unito, un omicidio probabilmente legato all’estremismo islamico. La manifestazione di questo pomeriggio a Roma, comunque, è stata organizzata in risposta all'assalto di una settimana fa alla sede della Cgil, nel bel mezzo di una protesta contro il Green pass. Continuando a commentare sui social, il leader della Lega ha citato Leonardo Sciascia: "Il più bell'esemplare di fascista in cui ci si possa imbattere oggi…è quello del sedicente antifascista unicamente dedito a dare del fascista a chi fascista non è". Già prima dell'inizio della manifestazione, comunque, il segretario del Carroccio aveva aveva fatto sapere che la Lega non avrebbe presenziato oggi, così come Fratelli d'Italia. Salvini ha motivato la sua assenza spiegando di non voler violare il silenzio elettorale, in vista dei ballottaggi di domani e dopodomani.

La "Reductio ad Hitlerum": l'abitudine ridicola di "fascistizzare" l'interlocutore per ogni cosa. Andrea Cionci Libero Quotidiano il 16 ottobre 2021.

Andrea Cionci. Storico dell'arte, giornalista e scrittore, si occupa di storia, archeologia e religione. Cultore di opera lirica, ideatore del metodo “Mimerito” sperimentato dal Miur e promotore del progetto di risonanza internazionale “Plinio”, è stato reporter dall'Afghanistan e dall'Himalaya. Ha appena pubblicato il romanzo "Eugénie" (Bibliotheka). Ricercatore del bello, del sano e del vero – per quanto scomodi - vive una relazione complicata con l'Italia che ama alla follia sebbene, non di rado, gli spezzi il cuore

“Reductio ad Hitlerum”: con questa curiosa ed efficace espressione latina viene definita l’abitudine ridicola di nazificare o fascistizzare qualsiasi interlocutore non allineato alle proprie idee. Ciò che colpisce è come la sinistra, nella sua spirale di declino cognitivo ormai senza ritorno, non riesca a esercitare ormai più alcun controllo su questo piede di porco dialettico che, pure, usato cum grano salis, a volte ha dimostrato la sua efficacia. Uno esprime un parere contrario, magari appena venato di un approccio al reale meno zuccherosamente emotivo, un filo più pragmatico, un poco più orientato verso un equilibrato sistema diritti/doveri, diventa automaticamente un membro del Nationalsozialistische Deutsche Arbeiterpartei, ruolo d'onore, camicia bruna, stivali e pugnaletto al fianco. Di converso, a destra, non ci sono cascati. Quando Berlusconi indulgeva un po’ troppo nel definire i piddini come “comunisti”, da sinistra lo spernacchiavano: “Eh, sì, noi comunisti mangiamo i bambini”. E infatti, poi, la battuta è caduta in disuso e nessuno ha seguito il Cavaliere per questa china pericolosa. Invece, dall’altra parte, la fascio-psicosi si dimostra sempre viva, tanto da aver fatto creare numerosi “meme” che circolano sui social. Quello più noto raffigura Sigmund Freud con la scritta: “Riguardo a questi “fascisti”, li vede spesso? Sono nella stanza qui con noi, adesso?”. Ma ancor più surreale è che, con l’abuso della Reductio, i sinistri stanno facendo del Nazifascismo … un’”icona del libero pensiero”. Uno dei tanti paradossi del Mondo alla Rovescia in cui siamo immersi. Non si rendono conto, infatti, che loro stessi, negli ultimi anni, hanno sposato il più cupo e tetragono pensiero unico: ormai schiacciati su un politically correct vittoriano, sono divenuti le Sturmtruppen della Ue, i secondini di un conformismo piccolo-medio borghese asfissiante. Al motto di "FEDEZ HA SEMPRE RAGIONE", qui censurano, là bloccano, lì confinano o mettono fuori legge, riscrivono il linguaggio, questo si dice, questo no: ci manca solo l’olio di ricino.  E poi “nazificano” chiunque osi protestare. Ovvio che, per un banale meccanismo psicologico, avvenga il ribaltamento di cui sopra. E così, il tale si compra il vino con Hitler sull’etichetta e lo porta alle grigliate, con matte risate; un altro, si mette il bustino del Duce in ufficio e l’edicolante smercia a pacchi i calendari col Crapùn. Anche le grandi aziende sfruttano la “boccata d’ossigeno” inconscia che offre – oggi - la premiata ditta nero-bruna. Persino giornaloni come il Corriere ci danno dentro con le collane di libri dedicate ai due dittatori perché, si sa, se metti Hitler o Mussolini in copertina vendi 10 volte di più. Il cinema, non ne parliamo: lo scorso anno, nelle sale, otto film a tema olocaustico per la Settimana della Memoria. Dagli e dagli, nell’inconscio collettivo i ruoli si invertono, ma a sinistra non ci arrivano. Il senso della misura non fa parte del loro Rna, oggi meno che mai. E’ il “Murgia effect”. Ricordate quando la nostra critica letteraria preferita elaborò il test su “Quanto sei fascista”? Ovunque gente che si disperava per aver raggiunto un punteggio troppo basso, dopo aver risposto a quiz tipo: “Credi che l’immigrazione sia un tantino fuori controllo?”. La sensazione è che gli elettori siano completamente immunizzati alla Reductio, un po’ come avviene per i soliti provvedimenti giudiziari a 16 ore dal voto. Gli unici a subirla ancora un poco sono i politici meloniani. Tranquillizzatevi, la soluzione è a portata di mano: risata pronta e una bella lingua del Negus Menelicche. 

Corteo Cgil, Giorgia Meloni all'attacco: "Manifestazione contro i fascismi, ma c'è la bandiera dell'Urss". Libero Quotidiano il 17 ottobre 2021. Per Maurizio Landini era "la piazza di tutti". Per Massimo D'Alema, che l'ha buttata direttamente in polemica politica, gli assenti "hanno perso una bella occasione". Si sta parlando del corteo di ieri, sabato 16 ottobre, a Roma, la manifestazione di solidarietà alla Cgil e "contro ogni fascismo" organizzata dopo gli scontri del weekend precedente e dopo l'assalto alla sede del sindacato. Eppure, quella piazza, "di tutti", non è affatto sembrata. E non solo per chi sfilava, ossia tutti tranne le forze di centrodestra, Forza Italia compresa. Ma anche per "come" si sfilava: la colonna sonora, incessante e invariabile, era Bella Ciao. E ancora una volta, non è tutto. Già, perché una plastica dimostrazione relativa al fatto che quella piazza non fosse di tutti arriva direttamente da Giorgia Meloni, che sui suoi profili social rilancia quanto segue. Una foto di una bandiera dell'Urss, rossa e con falce e martello, che dominava nella piazza. Insomma, il simbolo di uno dei regimi più violenti, totalitari e omicidi che la storia dell'uomo conosca. Alla faccia della manifestazione "apartitica" e della piazza di tutti. A corredo della foto rilanciata su Instagram, la Meloni ha scritto: "Nella manifestazione contro tutti i fascismi e gli estremismi sventola la bandiera dell'Unione Sovietica, ovvero uno dei regimi più sanguinari della storia dell'umanità. Alè". Niente da aggiungere.

Giorgia, lezione di antifascismo sulla Shoah. Fabrizio De Feo il 17 Ottobre 2021 su Il Giornale. La leader Fdi: "L'antisemitismo è un abominio". Ma evita la passerella. È una presa di posizione forte, non equivocabile e non manipolabile, quella che Giorgia Meloni prende in occasione della ricorrenza del rastrellamento nel Ghetto Ebraico di Roma. Un messaggio inviato per ribadire, se mai ce ne fosse bisogno, la distanza di Fratelli d'Italia dall'antisemitismo e l'amicizia verso la Comunità ebraica. «Il rastrellamento del ghetto di Roma a opera della furia nazifascista è una profonda ferita per ogni italiano. Un abominio che si è abbattuto sulla Comunità Ebraica più antica d'Europa e che per questo ha toccato le nostre stesse radici» scrive la leader di FdI in un messaggio. Giorgia Meloni avrebbe voluto fare anche di più. Qualche giorno fa, infatti, durante la conferenza stampa al Jerusalem prayer Breakfast a Roma prima si era detta «contenta di partecipare» a questo evento «come romana e cattolica, qui risiede la più antica comunità ebraica dell'occidente». E ricordando la «terribile deportazione dei 1259 ebrei del ghetto a opera della follia nazi-fascista», aveva annunciato che sarebbe stata presente alla deposizione della corona di fiori in ricordo delle vittime del rastrellamento nazifascista del 16 ottobre 1943 del Ghetto di Roma, «rappresentando la vicinanza e l'amicizia di Fratelli d'Italia e dei Conservatori europei di ECR alla comunità ebraica romana e italiana in questa terribile ricorrenza di dolore per l'intera comunità nazionale». Insieme a Giorgia Meloni avrebbero dovuto partecipare il vicepresidente della Camera Fabio Rampelli, il capogruppo a Montecitorio Francesco Lollobrigida e Giovanbattista Fazzolari. Una telefonata tra Giorgia Meloni e Ruth Dureghello, presidente della Comunità Ebraica Romana ha poi fatto scattare un rinvio. «La visita è stata rinviata per questioni di opportunità nell'imminenza del voto, non ci sono altri temi, sarà riprogrammata», la spiegazione di Dureghello. A determinare il rinvio una doppia vigilia: quella del ballottaggio a Roma, ma anche il rinnovo del Consiglio dell'Unione delle Comunità Ebraiche in programma oggi, con liste e candidati in lizza per i 20 seggi di spettanza della Comunità di Roma. Di fronte allo stop la leader di Fratelli d'Italia aveva commentato: «Il rastrellamento del ghetto di Roma a opera della furia nazifascista è una profonda ferita per ogni italiano. Un abominio che si è abbattuto sulla Comunità Ebraica più antica d'Europa e che per questo ha toccato le nostre stesse radici. Il virus dell'antisemitismo non è stato ancora debellato e ribadiamo il nostro impegno per combatterlo senza reticenze e in ogni forma, vecchia e nuova, nella quale si manifesta». I rapporti di FdI con la Comunità Ebraica romana in realtà sono ottimi, così come sono ottimi quelli con l'ambasciata di Israele, alla luce delle posizioni fortemente filo-israeliane del partito. La vicinanza di Giorgia Meloni, d'altra parte, è di antica data. Parecchi anni fa, in veste di ministro della Gioventù visitò il Museo Yad Vashem a Gerusalemme e scrisse: «C'è sempre un'alternativa all'odio, alla sopraffazione, alla violenza e alla guerra. Nostro dovere, ovunque e per sempre, è costruire». Fabrizio De Feo

"Antisemitismo? L'ho subìto da sinistra". Alberto Giannoni il 17 Ottobre 2021 su Il Giornale. Il portavoce della sinagoga di Milano: "Inutile sciogliere le sigle come Fn". Milano. Davide Romano, lei è portavoce della sinagoga Beth Shlomo ed è stato assessore alla Cultura della Comunità di Milano, cosa pensa di questo «allarme fascismo» che torna a essere agitato dopo l'assalto di estrema destra alla Cgil di Roma?

«Penso che in questo momento la situazione sociale sia problematica. Che sfoci in violenza è grave, la violenza va fermata in modo rapido ed efficiente, che sia di destra o di sinistra è meno rilevante.

Il suo mondo è molto attento a questa minaccia. Sta dicendo che non è rilevante ciò che sono quei gruppi ma ciò che fanno.

«Dico che non mi interessa la battaglia simbolica. Mi interessa che le persone violente vengano fermate, isolate, eventualmente punite per quel che fanno. Poi certo, io provo odio per fascisti e nazisti, per quel che hanno fatto ai miei nonni e bisnonni, ma se penso a mente fredda dico: facciamo ciò che è utile, non per istinto o partito preso. Se li chiudo cosa succede?».

Cosa succede secondo lei?

«Magari andiamo a letto tranquilli se sciolgono una sigla, ma se cambia nome o i militanti si aggregano ad altre siamo punto e a capo. Forse la priorità è un canale preferenziale e veloce per perseguire i fatti di violenza politica».

Meglio far emergere le realtà estremiste?

«Le forze dell'ordine, dicono che è meglio sapere chi si ha di fonte. Se finiscono in clandestinità non sai dove sono, dov'è la sede. Anni fa non c'erano social, oggi esistono canali irraggiungibili. Mi interessano risultati concreti e non si ottengono facendo scomparire le sigle».

La rassicura di più una realtà polverizzata?

«Sono ben contento che l'estrema destra sia divisa in mille gruppi. Invece potrebbe esserci un'eterogenesi dei fini, magari i militanti di Forza Nuova vanno su altre formazioni rafforzandole. Parafrasando Andreotti, meglio avere venti gruppi dello 0,1% che uno del 2».

Parlarne tanto è utile?

«La sinistra è forte su questo tema e insiste pensando che sia sentito da tutti in Italia. Non so, è stato molto usato».

Una destra integrata nelle istituzioni è un bene? Fdi?

«A Fini, all'epoca della svolta l'intero ebraismo strinse la mano. Ma non voglio parlare di politica. Posso dire che il Pdl di Berlusconi era una cosa, Fdi un'altra. Dentro Fdi ci sono personalità democratiche e amiche di Israele e delle comunità, ma anche frange più inquietanti. Meloni dovrebbe accelerare le pulizie, è interesse suo e del Paese. Di Salvini, tutto si può dire tranne che non sia amico di Israele».

Comunque, l'antisemitismo non è solo di destra.

«Se devo essere sincero, io nella mia vita sono stato aggredito sempre dai centri sociali, gente di sinistra o estrema sinistra. Parlo di Milano. Alla fine degli anni Ottanta da qualche fascista, poi tutti gli attacchi, al Gay pride con la bandiera israeliana o al 25 aprile con la Brigata ebraica, sono arrivati da sinistra».

Un sondaggio, due anni fa, ha rilevato che l'antisemitismo alberga più nell'elettorato di sinistra e «grillino».

«Non mi sorprende. Nelle istituzioni no, ma sui social, dietro certi svarioni su Israele tipici di una certa sinistra ci sono stereotipi sulla Shoah. Mi dispiace ma è così». Alberto Giannoni

Giovanni Orsina smaschera la sinistra: "No green pass? Ma quale fascismo, il vero obiettivo è il Quirinale". Libero Quotidiano il 15 ottobre 2021. "Devastare la sede della Cgil a Roma è stato un atto di teppismo che va punito con la massima durezza": Giovanni Orsina, professore e storico della Luiss-Guido Carli, ha commentato così la protesta di sabato scorso nella Capitale. Secondo lui, è sbagliato mettere sullo stesso piano la manifestazione di una settimana fa e il fascismo del secolo scorso: "I livelli di violenza attuali non sono in alcun modo comparabili con quelli del primo dopoguerra". Orsina, intervistato da Italia Oggi, ha poi definito "ridicolo" qualsiasi paragone di questo tipo. "Enfatizzare il pericolo fascista è una strategia storica della sinistra italiana, utilizzata dal Partito comunista per rilegittimarsi ed egemonizzare lo schieramento progressista e poi, dopo il 1989, necessaria a ricompattare un centro sinistra diviso e rissoso": questa l'analisi fatta dallo storico. Secondo lui, comunque, tutto questo avrà effetti modesti sul ballottaggio dei prossimi giorni. Gli effetti potranno vedersi più avanti, quando arriverà il momento di eleggere il futuro capo dello Stato dopo Sergio Mattarella: "Dietro c'è una partita più grossa. Mettere in mora Salvini e Meloni sulla base dell'antifascismo è un modo per indebolirli, magari isolarli, nella partita del Quirinale". Sull'imposizione del Green pass da parte del governo in molti settori della vita quotidiana, quello del lavoro in primis, Orsina ha detto di comprendere la misura ma solo fino a un certo punto: "Continuo a chiedermi se, visti i livelli di vaccinazione spontanea raggiunti in Italia, fosse davvero necessario rendere il pass obbligatorio. Ossia sottoporre a un'ulteriore fonte di irritazione uno spirito pubblico piuttosto precario".

Gli insulti alla Segre? Sputati dal No Vax di sinistra. Francesco Curridori il 17 Ottobre 2021 su Il Giornale. Gian Marco Capitani, esponente del movimento novax "Primum non nocere", ha attaccato duramente la senatrice Liliana Segre. Un feroce antisemita, dire? E, invece, no... È un anti-fa. “La Segre dovrebbe sparire”. La senatrice a vita, superstite della Shoah, è stata vittima degli insulti che un novax gli ha rivolto dal palco di una manifestazione contro il green-pass. Immediatamente è arrivata la condanna unanime dal mondo della politica per le offese che il novax Gian Marco Capitani, le ha rivolto. L'esponente del movimento "Primum non nocere" ha definito Liliana Segre "una donna che ricopre un seggio che non dovrebbe avere perché porta vergogna alla sua storia, che dovrebbe sparire da dove è", salvo poi pentirsi e fare mea culpa. Ma chi è Capitani? La sinistra si è lanciata nelle solite accuse di fascismo, ma il novax in questione è un 'kompagno' a tutti gli effetti. Il movimento “Primum non nocere”, infatti, sui social si descrive come un gruppo “formato esclusivamente per segnalare gli effetti collaterali dei farmaci e delle terapie comunemente usati, all'interno del quadro scientifico” eppure, come fa notare il quotidiano Libero, è un gruppo dichiaratamente antifascista e di sinistra. Tra gli slogan"El pueblo unido jamás será vencido", mentre Capitani, lo scorso 25 aprile si trovava in piazza ad arringare la folla contro il governatore Stefano Bonaccini con argomentazioni dichiaratamente novax. Capitani, infatti, è un analista programmatore che proviene dalla “rossa Bologna” dove si è laureato in Ingegneria delle Telecomunicazioni all'Alma Mater. Ieri, in una lettera aperta, affidata all'Ansa, si è scusato con la Segre precisando: "Non sono un razzista non ho mai negato la Shoah e di certo non sono antisemita”. E ha aggiunto: “Ho provato ad interloquire con Lei nella certezza di poter trovare ascolto e mi son ritrovato giudicato per una singola parola. Nell'ultimo anno e mezzo non si contano le frasi violente e le istigazioni alla violenza espresse nei confronti di chi ha una diversa opinione sulla campagna di vaccinazione di massa in corso. A reti unificate, 24 ore su 24, si è scatenata un'autentica campagna d'odio che, temo, abbia fatto molto male al Paese" . Capitani si dice dispiaciuto di non essersi espresso “in modo più appropriato", ma ha ribadito che “la sua opinione è semplicemente legata al ruolo di presidenza della commissione per il contrasto dell'intolleranza da Lei ricoperto. In quel ruolo ritengo che Lei abbia il dovere di esprimersi contro ogni violenza, anche se è rivolta a chi non la pensa come Lei". 

Francesco Curridori. Sono originario di un paese della provincia di Cagliari, ho trascorso l’infanzia facendo la spola tra la Sardegna e Genova. Dal 2003 vivo a Roma ma tifo Milan dai gloriosi tempi di Arrigo Sacchi. In sintesi, come direbbe Cutugno, “sono un italiano vero”. Prima di entrare all’agenzia

L'altra faccia della protesta: sindacalisti e centri sociali, ecco i No Pass di sinistra in concorrenza coi fascisti. Matteo Pucciarelli su La Repubblica il 18 ottobre 2021. La discussione attorno al lasciapassare verde accende gli animi e finisce per dividere una realtà già per propria natura assai incline alla frantumazione. Per dirla con le parole di Luciano Muhlbauer, una vita nei movimenti a partire dalla Pantera, questa storia del Green Pass "produce spaccature trasversali e una polarizzazione inutile, anche nel nostro mondo". Cioè a sinistra, in quella più radicale: dai sindacati di base fino ai centri sociali. La discussione attorno al lasciapassare accende gli animi e finisce per dividere una realtà già per propria natura assai incline alla frantumazione.

Volevano assaltare la Cgil a Milano: 40 anarchici denunciati. Letta ammetterà la matrice comunista? Lucio Meo domenica 17 Ottobre 2021 su Il Secolo d'Italia. Green pass e violenza, gli anarchici sono in prima fila e nessuno lo dice. A Milano volevano assaltare la Cgil E’ di due persone arrestate e otto denunciate per interruzione di servizio pubblico, violenza privata, istigazione a disobbedire alle leggi e per manifestazione non preavvisata il bilancio dell’attività della polizia di Milano, che ieri ha bloccato in più occasioni il corteo dei 10mila no Green pass iniziato alle 17.30 e finito dopo più di cinque ore in piazzale Loreto. Si tratta di anarchici, provenienti dai centri sociali. La matrice “comunista” e di sinistra è evidente, senza alcuna responsabilità del Pd, ovviamente. Ma se è stati chiesto a Fratelli d’Italia e alla Meloni di condannare, con un esplicito riferimento alla violenza fascista, gli assalti alla Cgil dell’altro sabato, Enrico Letta e gli altri leader del centrosinistra faranno altrettanto con le violenze di Milano. La manifestazione, senza preavviso, ha attraversato il centro della città tentando, senza riuscirci, di avvicinarsi alla stazione, alla Regione Lombardia, alla sede del Corriere della Sera e alla Cgil. Degli oltre 100 manifestanti identificati, la polizia sta valutando la posizione di circa 40 persone aderenti all’area anarchica milanese e varesina per il deferimento all’autorità giudiziaria. Dell’inchiesta su quanto accaduto durante il corteo No Green pass si occupa il capo del Pool antiterrorismo della Procura di Milano, Alberto Nobili, il quale ha elogiato le Forze dell’ordine per la loro capacità, come accade da settimane, di “gestire il disordine”, ovvero di riuscire a contenere cortei variegati e senza una guida precisa.  Il pm milanese ha più volte sottolineato come in questi cortei vi sia il rischio di infiltrazioni di estremisti di destra e anarchici e ieri, in alcune circostanze, sono stati questi ultimi a cercare di prenderne la testa, inutilmente. “Con decisione, ma allo stesso tempo senza arrivare a scontri aperti, le Forze dell’ordine sono riuscite a tenere sotto controllo migliaia di persone”, ha spiegato il magistrato.

I partiti litigano sulla piazza della Cgil. Ancora tensione nel giorno del voto. Il centrodestra sulla manifestazione: violato il silenzio elettorale. Il centrosinistra replica: occasione per tutti, sbagliato disertarla. Paola Di Caro su Il Corriere della Sera il 17 ottobre 2021. La certezza è che, comunque vada il voto, se ne tornerà a parlare. Perché la manifestazione dei sindacati di San Giovanni ha spaccato il mondo politico: da una parte il centrosinistra, che ha trovato doveroso partecipare e incalza gli avversari: «Nessuno doveva sottrarsi — spiega la capogruppo alla Camera del Pd, Debora Serracchiani — era un momento di unità»; dall’altra l’intero centrodestra che ha disertato un appuntamento «strumentale» e «in violazione del silenzio elettorale». Facile immaginare che da oggi il centrodestra, soprattutto per Roma, chiamerà in causa la manifestazione come fattore distorsivo, sia in caso di sconfitta sia di vittoria. Ha già attaccato ieri Giorgia Meloni: «Nella manifestazione contro tutti i fascismi e gli estremismi sventola la bandiera dell’Unione Sovietica, ovvero uno dei regimi più sanguinari della storia dell’umanità. Ale’», il commento su Facebook a una foto di San Giovanni. E poi, al seggio, ha aggiunto che «votare è importantissimo», i politici «sono lo specchio della società che rappresentano: ce n’è di buoni e di cattivi, bisogna saper scegliere» ma sulla manifestazione è stata definitiva: «Mica sono come il Pd che viola il silenzio elettorale». «C’è un regime totalitario (ancora al potere in certi Paesi) che ha lasciato dietro sé morte e povertà. È lo stesso che tra pugni chiusi e bandiere rosse veniva omaggiato in piazza ieri. Per chi non volesse rinunciare alla memoria, si chiama comunismo?», ha aggiunto per FdI Daniela Santanché.Se il candidato Enrico Michetti ha scelto un polemico no comment («Noi rispettiamo la legge sempre»), e Salvini ieri non è intervenuto dopo aver censurato duramente il giorno prima la manifestazione, è Licia Ronzulli a dar voce all’irritazione di Forza Italia: «Abbiamo scelto di non andare in piazza a Roma con chi nel corso di una crisi sanitaria, economica e sociale senza precedenti, si vuole arrogare il diritto di dividere l’Italia tra buoni e cattivi, tolleranti e intolleranti, fingendo che gli estremismi siano solo di una parte». E dunque a una «inopportuna passerella abbiamo preferito essere sui territori, tra i nostri elettori e tra i cittadini». «Purtroppo —chiosa Fabrizio Cicchitto — la manifestazione dei sindacati si è tradotta in una sostanziale rottura del giorno del silenzio elettorale e in una manifestazione politica a favore del centrosinistra». Accuse respinte da sinistra. Enrico Letta, su Twitter, pubblica una sua foto al seggio e si limita a un «Buon voto a tutti. Viva la democrazia». Ma è la capogruppo Pd Serracchiani a replicare: «È stata la piazza dei lavoratori, della democrazia, dei valori costituzionali. Una piazza di tutti gli italiani, così come chiesto e voluto dai sindacati, per dare una risposta popolare e democratica all’assalto fascista alla Cgil. Una risposta di unità a cui nessuno avrebbe dovuto sottrarsi», è la contro accusa. Condivisa da Nicola Fratoianni, segretario di Sinistra Italiana: «C’era un popolo pieno di dignità. Antifascista. Perché antifascista è il cuore dell’Italia».

Alla faccia della par condicio: la Cgil ha stracciato le regole. Analisti concordi: "Manifestazione per influenzare il voto". Cardini: "In piazza c'era un'oligarchia". Domenico Di Sanzo su Il Giornale il 18/10/2021. La materia è scivolosa. E se molti costituzionalisti sono convinti che la manifestazione di sabato organizzata dai sindacati non abbia violato - almeno formalmente - la legge sul silenzio elettorale, la politica e l'opinione pubblica sono divise sull'opportunità di convocare un grande evento in cui non sono mancate le coloriture identitarie nel giorno precedente l'apertura dei seggi per i ballottaggi in alcune delle principali città italiane. Compresa Roma, la sfida regina di questo turno. Teatro, a Piazza San Giovanni della sfilata della triplice sindacale e del centrosinistra al gran completo. Dal segretario del Pd Enrico Letta al presidente del M5s Giuseppe Conte. La chiamata a raccolta nel segno dell'antifascismo ha finito per provocare divisioni. Con il centrodestra che ha parlato di «manifestazione di parte» e ha stigmatizzato la violazione del silenzio elettorale e delle leggi sulla par condicio, particolarmente severe prima delle elezioni. Basti pensare alle polemiche, al primo turno, sulla mancata messa in onda da parte della Rai del film Hammamet su Bettino Craxi, ufficialmente per un cambiamento del palinsesto, secondo il figlio del leader socialista Bobo, invece lo sbianchettamento sarebbe stato dovuto alla sua candidatura al consiglio comunale di Roma a sostegno di Gualtieri. Surreale la discussione sulla trasmissione di Rai1 È sempre mezzogiorno condotta da Antonella Clerici. Nella puntata del cooking show del 4 ottobre è stato fatto ascoltare uno spezzone di una canzone di Pippo Franco e si sono registrati risentimenti perché il comico era candidato a Roma con il centrodestra. Per Lorenzo Pregliasco, analista politico e fondatore di You Trend, tutto parte dagli eventi violenti di sabato 9 ottobre, con l'assalto alla Cgil della frangia violenta dei No Pass guidata dai neofascisti di Forza Nuova. «Secondo me - dice al Giornale - sono gli eventi di due sabati fa ad aver avuto come conseguenza potenziale un compattamento del centrosinistra in vista dei ballottaggi, con effetti che potrebbero essere più favorevoli al centrosinistra che al centrodestra». E sulla manifestazione di sabato sottolinea: «In piazza c'erano molti politici di centrosinistra e nel manifesto della Cgil erano presenti temi dell'agenda politica del sindacato come ad esempio l'età pensionabile», riflette. Alessandro Campi, politologo e direttore dell'Istituto di Politica, va oltre e ci spiega che «un sindacato come la Cgil invece di ergersi a paladino dell'antifascismo e custode della democrazia dovrebbe interrogarsi sullo sfilacciamento del suo rapporto con i lavoratori». Molti settori del lavoro «non si sentono rappresentati dai sindacati e con le trasformazioni in atto rischiano di diventare disoccupati anche gli stessi sindacalisti oltre ai lavoratori che dovrebbero rappresentare». Franco Cardini, storico e medievalista, non ha dubbi. Con il Giornale parla di «una manifestazione di potere da parte di un'oligarchia». «È ovvio che la manifestazione della Cgil a poche ore dall'apertura delle urne serva anche a raccogliere dei voti per il ballottaggio - continua lo studioso - soprattutto in questi tempi in cui il colpo d'occhio di una piazza piena può influenzare le elezioni, sta di fatto che sabato lì c'era più che altro il paese legale, completamente scollato dal paese reale».

Fotografie dal passato: i soliti comunisti in piazza. Andrea Indini il 17 Ottobre 2021 su Il Giornale. Alla manifestazione della Cgil i soliti gesti nostalgici: da Bella ciao al pugno chiuso. E i volti in piazza ricordano una sinistra ancorata al passato comunista. Come se il tempo non fosse mai trascorso. Di colpo ieri pomeriggio, mentre Maurizio Landini arringava i 60mila in piazza, è stato come essere catapultati nel passato. Eccola lì la sinistra, radunata sotto il vessillo dell'intramontabile brand dell'antifascismo. Eccola lì, in piazza San Giovanni ("La stessa di Enrico Berlinguer...", fanno presente in molti), a infrangere il silenzio elettorale (loro possono) e tirare la volata a Roberto Gualtieri nella corsa al Campidoglio. I volti sono sempre gli stessi, forse un po' più stanchi, ma comunque i medesimi che calcavano quella stessa piazza e quegli stessi slogan decenni fa. Le foto sbiadite di ieri ci riportano, tutto d'un botto, indietro nel tempo: esattamente come durante i corti del primo maggio e del 25 aprile, rivive uno stanco rito nostalgico che non troverebbe più spazio nell'Italia di oggi se non servisse a dare ossigeno a una parte politica fiaccata dal Partito democratico di Enrico Letta e compagni. L'impatto è una marea rossa. Rosso Cgil, rosso comunista. Ma qua e là, a guardar bene, oltre alle bandiere del sindacato, spuntano anche i drappi russi, non della Russia di Vladimir Putin ma della sanguinaria Unione sovietica, quella dei gulag e delle purghe. Sfondo rosso con la falce e il martello incasellati nell'angolo in alto a destra. Nessuno tra i "democratici" presenti in piazza sembra notare la macabra ironia. Giorgia Meloni sì. "Nella manifestazione contro tutti i fascismi - annota - sventolava la bandiera di uno dei regimi più sanguinari della storia dell'umanità". Forse Landini non l'ha vista, esattamente come non ha visto tutto quello che di stonato c'è stato alla manifestazione indetta dopo l'assalto dei no pass alla sede della Cgil a Roma. "Questa piazza rappresenta tutta l'Italia che vuole cambiare questo Paese e chiudere la storia con la violenza politica", tuona il segretario del sindacato che, in quanto a slogan, sembra rimasto ai tempi in cui incitava allo sciopero le tute blu della Fiom. Quello che Landini sembra non vedere è il vero volto della piazza. Ieri, al suo fianco, non c'era certo "l'Italia che vuole cambiare", ma chi è drammaticamente rimasto ancorato a un passato che non ha saputo evolversi. La rappresentazione plastica di questa nostalgia sta nei gesti e nei volti che spuntano tra i palloncini colorati della Triplice e le bandiere dell'Anpi. A guardarli, mentre si stringono in onore dei fotografi, tornano in mente i tempi dell'Ulivo di Romano Prodi. Ci sono un po' tutti. Immortalato mentre abbraccia Susanna Camusso, troviamo Pier Luigi Bersani. E poi, poco più in là, c'è Massimo D'Alema. I due, il premier mancato e l'ex premier, entrambi rottamati dall'ondata renziana che travolse il Pd, tornano a sentirsi a casa e a spendere buone parole per Gualtieri. "L'Italia siamo noi", recita un cartellone sbandierato con forza da un manifestante. "Bisogna bandire la violenza da qualsiasi iniziativa politica", fa eco un altro ex Cgil, il "Cinese" Sergio Cofferati. Accanto ai big del presente (vedi Letta, Zingaretti e Franceschini) e del passato, sfilano a proprio agio gli outsider che hanno risposto alla chiamata alle armi di Landini. C'è la truppa pentastellata: Giuseppe Conte, teorico del fallimentare matrimonio tra Pd e Movimento 5 Stelle, i ministri Luigi Di Maio e Alfonso Bonafede e la vice presidente del Senato Paola Taverna. "È una grande festa democratica senza colore politico", dice l'avvocato del popolo che in questi giorni, proprio a causa delle nozze coi dem, deve tenere a bada i mal di pancia della base grillina. Le dichiarazioni, tutte di maniera, sembrano fatte con lo stampino. "Oggi non c'è alcuna bandiera, è pretestuoso definirla una piazza elettorale", si accoda pure la sardina Mattia Santori che una decina di giorni fa, in piena campagna elettorale per il Comune di Bologna, aveva sugellato il patto con la sinistra dei salotti andando a pranzo a casa Prodi. Ieri pomeriggio la manifestazione si è conclusa sulle note di Bella ciao. Qua e là molti pugni chiusi puntati verso il cielo terso di Roma. Non avrebbe potuto essere altrimenti. Tutto come sempre. La solita sinistra ancorata al passato e ai suoi fantasmi. 

Andrea Indini. Sono nato a Milano il 23 maggio 1980. E milanese sono per stile, carattere e abitudini. Giornalista professionista con una (sincera) vocazione: raccontare i fatti come attento osservatore della realtà. Provo a farlo con quanta più obiettività possibile. Dal 2008 al sito web del Giornale, ne sono il responsabile dal 2014. Con ilGiornale.it ho pubblicato Il partito senza leader (2011), ebook sulla crisi di leaders 

"È pericolosa la nostalgia degli anni Settanta. Ora stiamo tutti all'erta se no ci scappa il morto". Luigi Mascheroni il 18 Ottobre 2021 su Il Giornale. Quanti sabati e domenica di fila sono, ormai, che la gente va in piazza? Giornate di cortei, manifestazioni, scontri con la polizia, assalti a sedi politiche, città bloccate, feriti... Qualcuno ha evocato gli anni Settanta. Quanti sabati e domenica di fila sono, ormai, che la gente va in piazza? Giornate di cortei, manifestazioni, scontri con la polizia, assalti a sedi politiche, città bloccate, feriti... Qualcuno ha evocato gli anni Settanta, uno dei momenti più tragici della storia recente del Paese. C'è chi magari ne ha nostalgia, altri giustamente paura. Come Pierluigi Battista, scrittore, giornalista e attento osservatore della realtà politica, che nel suo nuovo romanzo «La casa di Roma» (La nave di Teseo) - presentato qui al Salone del Libro di Torino con un grande successo di pubblico è come se ci mettesse in guardia su alcune insidiose analogie. Nel romanzo - storia di una famiglia romana che lungo tre generazioni attraversa il Novecento, dal fascismo a oggi - un intero capitolo è dedicato a due cugini, schierati politicamente su fronti contrapposti, i quali precipitano dentro l'uragano ideologico di disordini e scontri di piazza che esploderà nell'omicidio di Mikis Mantakas, lo studente e militante del Fronte universitario d'azione nazionale, il Fuan, abbattuto da due proiettili davanti alla sezione del Msi di via Ottaviano a Roma era il 28 febbraio 1975 - nel corso degli scontri di strada nei giorni del processo agli imputati accusati del rogo di Primavalle.

Pierluigi Battista: «La casa di Roma» racconta di quello che potrebbe succedere ancora.

«Speriamo di no. Ma sento in giro una insidiosa nostalgia di quei terribili anni 70, una stagione infernale di antifascismo militante, di attacchi a sedi di partiti, di demonizzazione dell'avversario politico che diventa il nemico da annientare, o da escludere dal dibattito pubblico. Dimenticandosi che quegli anni, che qualcuno oggi rimpiange, furono il decennio che ha battuto ogni record degli omicidi politici, e non solo sul piano delle stragi e del terrorismo, nero o rosso che fosse, ma sul piano della vita quotidiana: aggressioni, spranghe, agguati, macchine incendiate, cariche della polizia, morti in strada. Un perenne scontro tra fascismo e antifascismo di bassa intensità ma sanguinoso. Attenzione a evocare spettri... Stiamo parlando di un momento tragico della nostra storia, scherzare è pericoloso».

Può scapparci il morto.

«Certo. Io non voglio fare facili similitudini. Dico solo: stiamo attenti. Negli anni 70 mettere fuori legge piccoli movimenti politici come Avanguardia nazionale o Ordine Nuovo non fu per niente utile. Non ricadiamo nello stesso errore. Prendere un'idea malata e cacciarla dentro il recinto infetto dell'illegalità sarà foriero di ulteriori violenze. Se Giuliano Castellino e Roberto Fiore commettono un crimine, come l'assalto alla sede della Cgil, devono essere arrestati e rispondere di quell'atto. Ma sciogliere il loro movimento porterebbe pericolosamente indietro l'orologio della Storia. E metto in chiaro le cose: io non ho alcuna simpatia per Forza Nuova, anzi mi hanno portato a processo per averli definiti cialtroni. Ma un conto è perseguire un reato, un altro voler cancellare una forza politica, piccola o grande che sia».

L'impressione è che si voglia demonizzare Forza Nuova per colpire meglio Fratelli d'Italia e Giorgia Meloni, che hanno grandi consensi, collegando strumentalmente le due cose.

«E riecco gli anni Settanta. Lo ripeto: attenzione, attenzione, attenzione. In quella stagione gli estremisti di sinistra gridavano: Msi fuorilegge, a morte la Dc che lo protegge. Volevano mettere fuori gioco l'Msi imbrattando di fascismo anche la Democrazia cristiana, che era il loro vero avversario. Anzi: il nemico, cioè il Male assoluto. Tutto ritorna».

È ritornata anche un'espressione che volevamo dimenticare: «strategia della tensione».

«Sì, ma usata malamente, come se dietro gli scontri di piazza e le proteste ci fosse una regia occulta, un qualcuno che ha deciso nell'ombra come manovrare a suo piacimento il Paese. Quell'espressione è la radice di tutti i complottismi, è l'idea paranoica degli anni 70 che ci fosse un filo segreto che collega tutto e tutti, da piazza Fontana alle Br, in un unico disegno eversivo pensato da oscuri burattinai. Un'idea completamente sbagliata allora come è sbagliata oggi. E allora come oggi non c'era e non c'è una strategia, ma una forte tensione sì: una paura e un'inquietudine diffuse. Io non sono preoccupato di una possibile regia, che non c'è, ma del clima di violenza che si diffonde, e del ritorno di quel fantasma creato negli anni 70 che si chiama neofascismo: è da allora che il nemico da azzerare lo si chiama fascista. Così non si fa altro che radicalizzare lo scontro. Ma poi: proprio quella sinistra che vuole essere inclusiva con tutti chiede di cancellare qualcuno? L'avversario non va cacciato in un ghetto, ma costituzionalizzato».

Quello della costituzionalizzazione degli estremismi è un discorso vecchio, e irrisolto

«Infatti. E comunque, sia chiaro: ciò vale per la sinistra come per la destra. È altrettanto sbagliato voler chiudere i centri sociali, come a volte chiedono Salvini e Meloni. Compito della politica è ricomprendere le ali estreme, non di buttarle in galera. Non si deve chiudere niente! Che democrazia è quella che accetta di vedere sparire i centri sociali o anarchici o neofascisti? E poi è irresponsabile: il rischio è che esploda una guerra civile».

Qualcuno dice che è irresponsabile anche come si è gestita la protesta contro il green pass. Chi c'è dentro o dietro questo movimento?

«Dietro direi nessuno. Dentro c'è un po' tutto: per me è un calderone in cui ribollono - pericolosamente tante cose: neofascisti, anarco-insurrezionalisti, estremismi di destra come di sinistra. Solo che la sinistra, con il solito doppiopesismo che la contraddistingue, tende a ingigantire i primi e dimenticare i secondi. Preferisce l'unidirezionalità: più semplice e più utile. E poi dentro il movimento che dice no al green pass ci sono anche rabbie e paure che vanno a toccare nodi delicatissimi del diritto al lavoro. Attenzione: quando si dice che un'azienda che ha meno di 15 lavoratori può sostituire chi non ha il green pass, si sta dicendo che può licenziare. Io sono graniticamente a favore del green pass, ma non sottovaluto la forte fiammata di tensione sociale cui stiamo assistendo e in cui convergono risentimenti, rancori, crisi economica, posti di lavoro perduti, dolore e lo sciacallaggio dei politici che in tutto questo ci nuotano come pesci...».

Quale sarà l'effetto di tutte queste giornate di manifestazioni e scontri?

«Non lo so. Ma mi ha molto colpito una cosa nelle rivolte delle scorse settimane: che accanto ai gruppi diciamo militarizzati che cercavano lo scontro con la polizia ci fossero anche persone non inquadrate in precisi movimenti politici, ma che non indietreggiavano quando i poliziotti caricavano, e dicevano: Uccideteci tutti!. Ho paura di quello che cova sotto la cenere. E dico di stare all'erta».

In quel capitolo del suo romanzo La casa di Roma racconta proprio questo: come si iniziò con i cortei, poi si arrivò agli scontri, poi le spranghe, poi alle molotov e le pistolettate

«Infatti. E in tutto questo il terrorismo non c'entra. Qui non stiamo parlando di Br ma del movimento del 77, cioè di qualcosa che alimentò una violenza endemica diffusa che mise in ginocchio il Paese. E rischiare tutto questo - lo dico alla Sinistra - per uno strumentale gioco politico e mettere in difficoltà un partito, sto parlando di Fratelli d'Italia, che comunque ha un importante consenso popolare, è una cosa da pazzi. E pericolosa».

Luigi Mascheroni lavora al Giornale dal 2001, dopo aver scritto per le pagine culturali del Sole24Ore e del Foglio. Si occupa di cultura, costume e spettacoli. Insegna Teoria e tecniche dell'informazione culturale all’Università Cattolica di Milano. Tra i suoi libri, il dizionario sui luoghi

L'antifascismo corrotto dalla sinistra. Fiamma Nirenstein il 14 Ottobre 2021 su Il Giornale. L'antifascismo è una battaglia sacrosanta, le leggi che ci conservano la democrazia contro i cosiddetti «rigurgiti» (che strana espressione) sono la cassaforte che ne proteggono l'universalità. L'antifascismo, però, deve appunto essere propagato e protetto in nome della democrazia, tutta. Invece non funziona così quando l'antifascismo diventa «militante». In quest'ottica, il nemico è stato storicamente di destra. Dalla fine della Seconda guerra mondiale, la sinistra ha avuto buon gioco a lavare i suoi crimini e i suoi errori tingendo solo di «nero» le acque della violazione dei diritti umani. La battaglia antifascista e l'esaltazione dell'epopea partigiana si sono sviluppate lasciando che al sogno della libertà si sovrapponesse quello di una società socialista o comunista. L'antifascismo ha così perso la sua universalità, ed è stato un peccato. Una parte della Resistenza, quella cattolica di Dossetti, Gorrieri, Tina Anselmi e dei preti fuggiti in montagna, è stata cancellata dalla figura del partigiano rosso. Inoltre, per la narrazione antifascista la vittoria russa sui tedeschi è stata mitizzata nonostante il comunismo mostrasse sin dal principio molte somiglianze con il totalitarismo di destra: ipernazionalismo, militarismo, glorificazione e uso della violenza, feticizzazione della giovinezza, della mascolinità, del culto del leader, della massa obbediente, gerarchica e militarizzata, e anche razzismo e odio antisemita. Il doppio standard è da sempre una caratteristica dell'antifascismo militante. La Brigata Ebraica, che in un miracolo di eroismo, in piena Shoah, portò dei giovani «palestinesi» ebrei a combattere sul nostro suolo contro i nazifascisti, è stata sconfessata e vilipesa nelle manifestazioni Anpi perché Israele non è gradita a sinistra. Non erano antifascisti? E non era invece nazi-fascista il muftì Haj Amin Al Husseini che con Hitler progettava lo sterminio degli ebrei? Quanti sono stati tacciati di fascismo solo perché non di sinistra? Il lavoro di bonifica dell'unità nazionale intorno alla Resistenza è stato valoroso, ma il termine antifascista deve prescindere dall'appartenenza politica, perché la genesi della Repubblica Italiana deve diventare finalmente patrimonio comune. Ma quanto è duro mandare giù questo rospo quando le radici culturali affondano nel terreno comune, acquisito, politicamente stratificato, del socialismo. La cosa vale per l'Europa intera, ambigua e ammiccante: dici democrazia, ma alludi a un'utopia socialista, almeno sospirata. Molte delle difficoltà della Ue, infatti, risiedono nel sogno palingenetico post bellico, quando l'antifascismo caricò a bordo il sogno socialista invece di fare i conti con la soggettività dei Paesi europei. Perché anche «nazione» può non essere una parolaccia, se non ha mire oppressive ed espansive. Occorre deporre sul serio le ideologie del Novecento per restare antifascisti veri. Cioè, amanti della democrazia. Fiamma Nirenstein

Anche l'Anpi soffia sul fuoco: "FdI ha cultura fascista". Giuseppe De Lorenzo il 14 Ottobre 2021 su Il Giornale. I partigiani si schierano con Provenzano per mettere fuori Meloni dall'arco democratico: "Giusto il paragone con Msi fuori dall'arco costituzionale". In fondo c’era da aspettarselo. La sparata di Peppe Provenzano su Fdi e l’”arco democratico e repubblicano” non poteva che trovare l’appoggio dell’Anpi. Scontato. Non poteva essere altrimenti: la fantomatica lotta al fascismo, oggi che il fascismo rimane solo negli incubi di certi ossessionati, si traduce nella guerra a Fratelli d’Italia, colpevole di conservare nel cuore del proprio simbolo la fiamma ardente del Movimento Sociale Italiano. E l'Anpi su questo è sempre in prima fila. “Provenzano si è riferito a un presupposto politico degli anni ’70 - ha detto Gianfranco Pagliarulo, presidente dell’Associazione dei partigiani all'agenzia AdnKronos- quando si parlava dell’arco costituzionale riferendosi a tutti i partiti ad eccezione del Movimento Sociale Italiano”. Una “metafora” corretta perché “la cultura fascista è talmente incistata in Fratelli d'Italia che il simbolo è lo stesso dell'Msi, la fiamma tricolore, segno di una scelta consapevole di continuità politica”. Per carità, per Pagliarulo i contesti sono diversi (deo gratias), ma il discorso non cambia. Se il Msi era da tagliare fuori, lo è oggi anche FdI. E Fiuggi? E An? E il partito di destra che ha governato il Paese segnando un decennio? Cosa facciamo: li buttiamo nel water e tiriamo lo sciacquone antifascista, per far tornare la lotta destra-sinistra all’età degli anni di Piombo? Evidentemente sì. Sono però almeno tre gli errori commessi dall’Anpi. Primo. Nel passato con “arco costituzionale” ci si riferiva ai quei partiti che avevano eletto deputati alla Costituente e che dunque avevano partecipato alla scrittura della Carta. Il Msi, per ovvi motivi, venne escluso da questo consesso, anche se neppure il Pci si sognò mai di chiudere il partito di Almirante. Tutto questo, comunque, con FdI non c'entra un bel nulla: anche il Pd, che alla scrittura della Costituzione non ha partecipato, sarebbe tecnicamente “fuori dall’arco costituzionale”. Chiaro? Secondo strafalcione: Provenzano ha utilizzato termini differenti e ben più gravi. Il piddino ha infatti posto FdI fuori dall’arco “democratico e repubblicano”, che è molto peggio. Intanto perché non ha motivazioni storiche. E poi perché “democratico” e “repubblicano” FdI lo è sicuramente, checché ne dica Provenzano. Primo: partecipa alle elezioni legittimamente, come richiede “democrazia”. Secondo: non ha mire monarchiche né tantomeno dittatoriali. È così difficile da accettare? Il terzo errore dell’Anpi è quello di imputare a FdI l’eredità del Msi prima e di An poi. Senza dubbio vi è continuità ideale. E quindi? La paura che il Movimento Sociale tentasse di instaurare una nuova dittatura fascista poteva esistere nei primi anni della neonata Repubblica, non oggi. Chiediamo forse ai romani di dichiararsi anti-papisti per paura che torni lo Stato Pontificio? O ai francesi di firmare un documento anti-napoleonico? Suvvia. Rivendicare la fiamma che arde nel proprio simbolo significa collegarsi idealmente ad un comune sentire. Non significa essere “fascisti” o avere una “cultura fascista”. Significa riconoscersi in una comunità, in una cultura politica che è cresciuta nel Msi, è maturata in An ed è diventata oggi Fratelli d’Italia. Si può essere di destra, senza per questo diventare automaticamente delle squadracce nere fasciste. In fondo l’ultimo segretario del Msi fu Massimo Fini, che è stato terza carica dello Stato. Nessuno oggi potrebbe dire che An, che pure nel simbolo faceva ardere la stessa fiamma, sia stata una minaccia per la democrazia o la repubblica. O no? Anche perché, se applicassimo lo stesso metro, dovremmo dire che “la cultura” dell’Anpi è “incistata” dalle violenze del triangolo della morte emiliano. O che si pone in continuità con le stragi partigiane. È così? Ovviamente no. Allo stesso modo, Bersani può tranquillamente dire nel 2021 che il comunismo significhi ancora per lui “uguaglianza come uguale dignità”. Qualcuno gli fa mai notare che il “comunismo” significa Gulag, Stalin, Praga, Budapest e le foibe di Tito? No. Perché una cosa è la storia, un’altra le idee. Che crescono, si modificano, evolvono. Senza necessarie abiure totali. Meloni, peraltro, ha già condannato tutto il condannabile sul fascismo. Senza ambiguità.

Giuseppe De Lorenzo. Sono nato a Perugia il 12 gennaio 1992. Stavo per intraprendere la carriera militare, poi ho scelto di raccontare quello che succede in Italia e nel mondo. Rifuggo l'ipocrisia di chi sostiene di possedere la verità assoluta: riporto la realtà che osservo con i miei occhi. Collaboro con ilGiornale.it dal 2015. Nel 2017 ho pubblicato Arcipelago Ong (La Vela), un'inchiesta sulle navi umanitarie che operano nel Mediterraneo. Poi nel 2020 insieme ad  

"La scuola progressista genera disuguaglianza. Sanzioni ai docenti che attestano il falso". Gabriele Barberis il 15 Ottobre 2021 su Il Giornale. "Ecco il vero danno scolastico". Il saggio del sociologo e della scrittrice Paola Mastrocola. Torna in campo il sociologo Luca Ricolfi, mente lucida e voce critica dell'area liberal-progressista. Con la moglie Paola Mastrocola (scrittrice, premio Campiello 2004 ed ex docente) ha appena scritto il libro «Il danno scolastico» che denuncia le gravi responsabilità della sinistra sullo scadimento dell'istruzione pubblica.

Professor Ricolfi, un saggio sulla scuola progressista come macchina della disuguaglianza. Scusi la provocazione, ma dove sarebbe la novità?

«Forse non è una novità per lei, ma forse non sa che la stragrande maggioranza dei miei colleghi sociologi non ha mai riconosciuto né analizzato l'impatto della qualità dell'istruzione sulla diseguaglianza. In questo libro noi dimostriamo, credo per la prima volta, che più la scuola abbassa il livello, più si allarga il divario fra le chance di promozione sociale dei ceti bassi e quelle dei ceti alti: la scuola senza qualità è un regalo ai ricchi. E la dispersione scolastica, su cui da decenni ci si straccia le vesti, è anche un effetto non voluto dell'abbassamento».

I danni dell'«istruzione democratica» sono il fardello finale del Sessantotto o ci sono responsabilità più recenti da parte di una sinistra ideologica?

«Sì, ci sono responsabilità posteriori al '68, ma ce ne sono anche di anteriori, prima fra tutte la istituzione della scuola media unica (1962), con la progressiva eliminazione del latino e il costante annacquamento dei programmi. Per non parlare dei danni del donmilanismo (Lettera a una professoressa è del 1967), un'ideologia che avrebbe avuto un senso negli anni '50, ma che alla fine dei '60, quando si diffuse, era divenuta del largamente inattuale e profondamente anti-popolare».

E le responsabilità successive al Sessantotto?

«Sono innumerevoli, a tutti i livelli. A partire dalla liberalizzazione degli accessi (1969), passando per la soppressione della figura del maestro unico alle elementari (1990), fino alle grandi riforme della fine degli anni '90 nella scuola e nell'università, con la trasformazione delle scuole in pseudo-aziende e delle università in esamifici: il capolavoro del ministro Berlinguer».

Lei elenca casi concreti di totale ignoranza o scarsa capacità di comprensione da parte di studenti universitari preparati male. Prevede una classe dirigente nazionale fatta da figure incompetenti e inadeguate?

«Più che prevederla, la osservo. L'abbassamento è iniziato quasi 60 anni fa, e quindi ha avuto tutto il tempo di produrre un ricambio completo di classe dirigente. Direi che lo spartiacque è negli anni '70: chi è nato dopo non ha più usufruito di un'istruzione decente, semplicemente perché la maggior parte di coloro che avrebbero potuto impartirgliela era uscito di scena, e la maggior parte dei nuovi docenti avevano un livello di preparazione decisamente meno soddisfacente. Naturalmente non mancano le eccezioni (pessimi docenti di ieri, ottimi docenti di oggi), ma il trend è quello che è: chiaro e inesorabile».

Vogliamo parlare anche di docenti non all'altezza, se non imbarazzanti in certi casi? Anche loro sono passati attraverso le maglie larghe dell'egualitarismo?

«Il problema non è solo l'egualitarismo, o meglio l'egualitarismo malinteso che ha dominato la scena per mezzo secolo. Il punto cruciale, quello che rende i problemi dell'istruzione maledettamente complicati (e probabilmente irrisolvibili), è che la maggior parte delle famiglie e degli studenti hanno oggi altre priorità, e nuove scale di valori: la priorità numero 1 è il consumo, e la sciatteria non è considerata un difetto. Bastano queste due circostanze, che ogni docente trova bell'e fatte davanti a sé, a ostacolare enormemente il lavoro di chi prova a insegnare qualcosa».

Le riforme Moratti e Gelmini, varate durante i governi di centrodestra, hanno tentato di correggere storture ideologiche del passato. Come ne giudica gli effetti ad anni di distanza?

«Direi che, se ci hanno provato, hanno fallito completamente. Ma a mio parere non ci hanno provato granché, probabilmente perché condividevano un punto centrale delle mode degli anni '90: l'idea che la scuola vada pensata come un'azienda, di cui va valutata l'efficienza, e i cui azionisti di maggioranza sono le famiglie. Su questo punto cruciale vedo poche differenze fra destra e sinistra».

Se lei fosse il ministro dell'Istruzione quale provvedimento adotterebbe d'urgenza?

«Come sociologo, penso che dovremmo avere il coraggio di ammettere che ci sono problemi sociali non risolvibili. O meglio, ormai non più risolvibili perché si è lasciato passare troppo tempo. Quindi non ho proposte, tutt'al più provocazioni per far capire qual è il problema.

Una provocazione?

«Beh, un'idea ce l'avrei. Così come si parla di responsabilità civile dei giudici, si dovrebbe introdurre il principio di responsabilità certificativa (si può dire così?) del docente: se attesti che un allievo possiede certe conoscenze e competenze, ma lui ne risulta evidentemente sprovvisto, tu docente ne rispondi, come un perito che è responsabile della perizia che firma. Basterebbe questo a frenare lo scandalo più grave della scuola e dell'università, ossia il rilascio di certificati che attestano il falso».

Doppia domanda come analista politico. Dove sfocerà la tensione politica sul green pass? Se Draghi diventerà presidente della Repubblica, si immagina un'Italia che torna alle urne tra pochi mesi al culmine di un clima di odio?

«Alla fine credo che il governo dovrà concedere qualcosa a chi non vuole né vaccinarsi, né accollarsi, per poter lavorare, 100-150 euro al mese di spesa per i tamponi. Quanto a Draghi presidente della Repubblica, la conseguente andata alle urne a primavera mi pare difficilmente evitabile. Però mi chiedo: siamo sicuri che votare nel 2022 sarebbe un male peggiore che andare alle urne nel 2023? In fondo prima o poi al voto dovremo andare. E sarebbe anche ora, visto che è da 13 anni che non riusciamo più a scegliere i nostri governanti».

Chiudiamo con la giustizia. Le continue invasioni di campo della magistratura condizionano la politica. Anche per lei sarebbe positivo il pieno ritorno dell'immunità costituzionale per i parlamentari per frenare lo strapotere delle procure?

«Anche in questo caso, come in quello della scuola, bisognerebbe prendere atto che una soluzione soddisfacente non esiste, e che siamo costretti a scegliere fra due mali. Nel 1993 il male maggiore era, o sembrava, il vizietto del Parlamento di negare in automatico l'autorizzazione a procedere. Dopo quasi trent'anni, il male maggiore è, o sembra, il protagonismo dei Pm, che ora si accanisce anche nei confronti dei sindaci. Di qui, per noi liberali e garantisti, il paradosso: la magistratura è caduta così in basso che siamo tentati di invocare l'immunità per un ceto politico che sappiamo essere il peggiore di sempre».

Gabriele Barberis Caporedattore Politica, Il Giornale

Orlando Sacchelli per ilgiornale.it il 14 ottobre 2021. Milano, 25 aprile 2016. Al campo X del cimitero Maggiore si ritrovano alcune centinaia di persone per commemorare i caduti della Repubblica sociale italiana. Lo fanno ogni anno. A un certo punto, alla chiamata del "presente", fanno il saluto romano. Alcuni vengono identificati e indagati, sulla base di quanto prevede la Legge Mancino, per apologia del fascismo. Ora, a distanza di cinque anni, la Cassazione scrive la parola fine e annulla la condanna dei quattro imputati, tra cui il presidente dell'associazione Lealtà Azione, Stefano Del Miglio. Nel processo di primo grado gli imputati furono tutti assolti, con la riqualificazione del fatto in articolo 5 della legge Scelba. Ma la procura si oppose e ricorse in appello, con la V sezione penale che riqualificò il fatto riportando l'articolo 2 della legge Mancino: gli imputati furono condannati a due mesi e 10 giorni di carcere. La sentenza fu impugnata e si è arrivati davanti ai giudici della Cassazione. All'udienza del 12 ottobre, discussa davanti alla I sezione penale, il procuratore generale ha chiesto il rigetto del ricorso proposto dalla difesa e la conferma della sentenza di appello. La suprema corte però ha riconosciuto le ragioni esposte dalla difesa, annullando senza rinvio la sentenza di appello perché "il fatto non sussiste". "Siamo soddisfatti del risultato ottenuto all'udienza del 12 ottobre - commenta all'Adnkronos l'avvocato Antonio Radaelli -. Attendiamo il deposito delle motivazioni per capire l'iter logico della Suprema Corte di Cassazione. Resta il punto che compiere il saluto romano in ambito commemorativo, proprio come è accaduto in questo caso, non è reato".

La sinistra non è di sinistra. Pietrangelo Buttafuoco su Il Quotidiano del Sud il 12 Ottobre 2021. «Se sindacati, partiti (di sinistra?), pseudo-intellettuali e giornaloni si fossero scagliati contro l’abolizione dell’articolo 18, lo sblocco dei licenziamenti, le delocalizzazioni, i salari da fame e la trasformazione della FIAT in una multinazionale di diritto olandese controllata dai francesi come oggi si stanno scagliando contro il ‘presunto’ ritorno del fascismo, beh, l’Italia sarebbe un paese migliore». Così parla Alessandro Di Battista – sempre diretto – e il suo ragionamento non fa una grinza, non fa una grinza, non fa una grinza. A riprova che la sinistra non è di sinistra (è solo radical, e moralista).

La galassia comunista che incita a "insorgere". Ma nessuno s'indigna. Dai Carc ai leninisti, tutti contro il green pass. Ieri incendiata l'immagine di Draghi.  Paolo Bracalini il 12/10/2021 su Il Giornale. Sul fronte dei disordini sociali e dei cortei violenti la sinistra estrema non ha nulla da invidiare a Forza Nuova e affini, anzi. Nelle manifestazioni no green pass erano infatti presenti anche i centri sociali, anche se il protagonismo del gruppetto di Fn ha dirottato l'attenzione e fatto passare l'idea che il mondo no vax e no green pass sia animato solo della destra estrema. Non è così, anzi in generale tra i movimenti che vedono nel «banchiere» Mario Draghi uno strumento delle élite finanziarie per chissà realizzare in Italia chissà quale piano occulto (il «grande reset» è l'ultima fantasticheria di questi ambienti), la sinistra radicale è presente in forze. Giusto ieri un gruppo di studenti antagonisti durante il corteo dei sindacati di base a Torino ha dato fuoco a una gigantografia del premier Draghi, mentre a Milano cori e insulti contro la Cgil e Landini «servi dei padroni». La matrice ideologica è opposta (là il neofascismo, qui il marxismo-leninismo) ma con esiti identici e spesso anche slogan identici (entrambi parlano di «lavoratori» e «popolo» oppressi dai «poteri forti»). Le organizzazioni che si richiamano esplicitamente alla lotta di classe leninista e alla resistenza contro il «governo capitalista italiano» sono svariate. Il «Partito Marxista-Leninista Italiano» con sede a Firenze, ad esempio, sostiene che «il governo del banchiere massone Draghi, al servizio del regime capitalista neofascista, deve ritirare immediatamente il decreto sul green pass perché le lavoratrici e i lavoratori che sono contrari non possono e non devono essere sospesi dal lavoro e privati del salario». Il partito, che pubblica un settimanale dal titolo Il Bolscevico (foto di Mao), a settembre ha organizzato una commemorazione per il 45 anni dalla scomparsa di Mao, per riflettere sugli insegnamenti sulla «lotta di classe per il socialismo». Nei suoi manifesti Draghi viene rappresentato come un drago con i simboli di Bce, euro e massoneria, mentre gli ebrei di Israele sono «criminali nazisti sionisti» che vanno fermati con la resistenza palestinese fino alla vittoria» (foto di un palestinese a volto coperto che lancia una pietra con una fionda). Poi ci sono il «Partito dei Carc» (Comitati di Appoggio alla Resistenza per il Comunismo), sede a Milano, il cui obiettivo è «insorgere», che significa - spiegano - costruire un fronte per cacciare Draghi e imporre un governo che sia espressione delle masse popolari organizzate». Anche i Carc sono no-pass, la loro tesi è che i fascisti sono stati infiltrati dal governo per screditare il movimento popolare contro il green pass, «imposto da Draghi e da Confindustria». I Carc negli anni scorsi sono stati protagonisti di scontri e vicende giudiziarie, insieme al «Nuovo Partito Comunista Italiano», che invita i compagni rivoluzionari a «violare la legalità borghese», cioè a commettere reati, sull'esempio di Mimmo Lucano. Con toni un po' meno minacciosi, anche altre due organizzazioni di estrema sinistra, «Rete Comunista» e «Partito di Alternativa Comunista» a lottare contro il governo Draghi e i suoi mandanti, e contro il green pass, uno strumento creato «per tutelare gli interessi economici della borghesia». Idee e posizioni, come si vede, speculari a quelle di Forza Nuova. E spesso, come per i centri sociali e i movimenti antagonisti, altrettanto violente.

Gli apprendisti stregoni. Tutti uniti contro i fascisti, ma parliamo anche di un altro paio di cosette tra noi. Francesco Cundari su L'Inkiesta l'11 ottobre 2021. In troppi hanno attizzato il fuoco, rilanciando e legittimando posizioni completamente infondate, notizie semplicemente false e teorie politiche deliranti. Una volta spento l’incendio, bisognerà discuterne molto seriamente. L’assalto di sabato alla sede della Cgil, invasa e devastata da fascisti e no vax provenienti dal corteo contro il green pass, e il tentativo di fare lo stesso con il Parlamento, sventato in extremis dalle forze dell’ordine, rappresentano quanto di più vicino all’attacco del 6 gennaio al Congresso americano sia capitato in Italia, almeno finora. Dietro il paradossale connubio di movimenti di estrema destra e parole d’ordine anarco-libertarie s’intravede un sommovimento profondo che non tocca soltanto il nostro Paese. Dietro i neofascisti che gridano slogan contro la dittatura (sanitaria, s’intende), dietro gli squadristi che hanno devastato la sede della Cgil – e che in piazza gridavano «Libertà! Libertà!» – non è difficile vedere lo stesso magma che in Francia alimenta le proteste di piazza in cui Emmanuel Macron viene paragonato a Hitler e le misure anti-Covid al nazismo, raccogliendo il consueto impasto di estrema destra, gilet gialli e ultrasinistra populista (Jean-Luc Mélenchon, il massimo esponente di quella che potremmo definire la linea giallorossa d’Oltralpe, si è schierato contro il green pass con parole analoghe a quelle usate qui da Giorgio Agamben e Massimo Cacciari). Per non parlare degli Stati Uniti, dove la presa di Donald Trump sul Partito repubblicano è ancora fortissima, i no vax numerosissimi e aggressivi, e la situazione assai più pericolosa di quanto possa sembrare a prima vista. Il rischio di un cortocircuito tra crisi sanitaria e crisi sociale è alto ovunque, e l’Italia non fa eccezione, come denuncia proprio l’inatteso richiamo delle manifestazioni di sabato e la violenza che da quelle dimostrazioni si è sprigionata. Si tratta di episodi gravi, in se stessi e per quello che promettono per il futuro, in vista del 15 ottobre, data in cui entrerà in vigore l’obbligo del green pass sui luoghi di lavoro. È dunque altamente auspicabile una presa di coscienza generale del pericolo, anzitutto da parte delle forze politiche, ma anche dei mezzi di comunicazione e di tutti coloro che hanno una qualche influenza sul dibattito pubblico. C’è bisogno della più larga unità e della massima fermezza, ed è giusto subordinare a questa priorità ogni altra esigenza. Compresa quella di chiarire un paio di cose, che prima o poi andranno chiarite comunque, ai tanti che finora hanno giocato sul filo dell’ambiguità, per non dire di peggio, rilanciando e legittimando posizioni completamente infondate, notizie semplicemente false e teorie politiche deliranti, offrendo ai propalatori di una simile spazzatura tribune autorevoli e spazi assolutamente ingiustificati. In troppi hanno contribuito irresponsabilmente ad attizzare il fuoco, e bisognerà discuterne a fondo, perché una simile tendenza mette in luce una fragilità strutturale della democrazia italiana, o perlomeno del nostro dibattito pubblico. Adesso, però, occorre pensare a spegnere l’incendio, che fortunatamente, nonostante tutto, appare ancora relativamente circoscritto. Delle sue origini parleremo poi. Ma presto o tardi ne dovremo parlare. Eccome se ne dovremo parlare.

"Una protesta pacifica infiltrata da utili idioti. Le teste rasate usate: si scredita il dissenso". Luigi Mascheroni l'11 Ottobre 2021 su Il Giornale. Il filosofo del "pensare altrimenti": "Dire No al pass non è né di destra né di sinistra, il movimento è a-politico. Ora si limiteranno le manifestazioni". Diego Fusaro, filosofo del «pensare altrimenti», né di destra né di sinistra, lo ha scritto in modo chiaro nel suo nuovo libro, Golpe globale. Capitalismo terapeutico e grande reset (Piemme): l'emergenza è diventata un metodo di governo, che sfrutta la paura del contagio per ristrutturare società, economia e politica mentre è la sua tesi - diritti e libertà fondamentali vengono sospesi.

Diego Fusaro, cosa è successo ieri a Roma?

«È successo che sono scesi in pazza moltissimi italiani in forma pacifica e democratica: uomini, donne, famiglie, anziani e lavoratori che vogliono dire no all'infame tessera verde chiamarla green pass è già legittimarla e poi, puntualmente, è arrivato un gruppo di scalmanati con la testa rasata che ha usato una violenza oscena e inqualificabile che, a sua volta, ha giustificato una violenza di ritorno da parte del potere. E così sono stati etichettati come violenti tutti quelli che hanno manifestato, quando invece così non è».

Perché dice puntualmente?

«Perché accade sempre così: movimenti di protesta pacifici e democratici vengono infiltrati da gruppi di utili idioti che il potere usa di volta in volta per creare una tensione per citare la celebre strategia - che non ha nulla a che vedere con i pacifici manifestanti che in maniera democratica si oppongono a un provvedimento che reputano illegittimo».

Quindi ieri un movimento moderato di piazza è stato inficiato da un una minoranza di teste calde.

«Una modalità prefetta per screditare il dissenso».

È possibile che gli opposti estremismi, a destra e sinistra, si saldino nella protesta contro il green pass?

«Non ho elementi per dirlo. Ciò almeno non avviene nelle piazze Non finora. Quello che so invece è che dire No al green pass non è né di destra né di sinistra né di centro. È una protesta che non ha matrici ideologiche e davvero trasversale - tanto è vero che ci sono anche pezzi dell'estrema destra e dell'estrema sinistra invece favorevoli al green pass - che tiene dentro tutte le anime della politica, da quella socialista a quella liberale Al di là delle teste rasate che vanno in piazza e dei filosofi di sinistra che stanno nei talk show o sui social, è un movimento a-ideologico che riguarda gente comune che non accetta l'esproprio dei diritti costituzionali. Che poi qualcuno voglia capitalizzare politicamente il dissenso, questo va da sé».

Ci sono delle colpe in quello che è successo ieri? Qualcuno ha soffiato sul fuoco?

«No, non credo. Chi doveva vigilare ha fatto quello che doveva fare. La gente che era in piazza era gente tranquilla, fino a che è arrivato qualcuno che mi è sembrato organizzato - col compito di rovinare la protesta pacifica. Le colpe non sono né delle forze ordine né dei manifestanti, ma di qualcun altro».

Cosa succederà ora?

«Temo che adesso ci sarà un inasprimento nel modo di trattare chi si oppone alla famigerata infame tessera verde. Si limiteranno spazi e modi di aggregazione e raggruppamento, si generalizzerà dicendo che tutti sono facinoroso e violenti E così chi ha organizzato devastazioni e assalti di ieri avrà raggiunto lo scopo. Screditare chi va in piazza e criminalizzare la protesta in quanto tale. Io resto fermamente convinto che occorra opporsi, in maniera pacifica e democratica, alla tessera verde della discriminazione e del controllo totalitario delle esistenze».

Luigi Mascheroni lavora al Giornale dal 2001, dopo aver scritto per le pagine culturali del Sole24Ore e del Foglio. Si occupa di cultura, costume e spettacoli. Insegna Teoria e tecniche dell'informazione culturale all’Università Cattolica di Milano. Tra i suoi libri, il dizionario sui luoghi comuni dei salotti intellettuali "Manuale della cultura italiana" (Excelsior 1881, 2010);  "Elogio del plagio. Storia, tra scandali e processi, della sottile arte di copiare da Marziale al web" (Aragno, 2015); I libri non danno la felicità (tanto meno a chi non li legge) (Oligo, 2021). 

Gli sfascisti. Francesco Maria Del Vigo l'11 Ottobre 2021 su Il Giornale. Più che fascisti chiamiamoli sfascisti, i delinquenti che hanno devastato Roma. Perché sabato in piazza non c'era solo qualche vecchio arnese dell'estrema destra. Più che fascisti chiamiamoli sfascisti, i delinquenti che hanno devastato Roma. Perché sabato in piazza non c'era solo qualche vecchio arnese dell'estrema destra. Capiamo che la sinistra, a corto di idee, abbia la necessità elettorale di trovare un nemico a tutti i costi, se possibile il «nemico assoluto», cioè quel fascismo morto e sepolto più di settant'anni fa. Tra pochi giorni si tornerà alle urne e, crollato l'impianto accusatorio del caso Morisi e finita l'eco delle inchieste giornalistiche su Fidanza e Fdi, c'era bisogno di resuscitare il cadavere delle camicie nere per colpire anche tutta la destra, che con testoni del Duce, fez e labari non ha nulla a che spartire. L'assist lo offrono gli imbecilli squadristi che hanno assaltato le camionette della polizia, devastato la sede della Cgil e assediato il cuore della Capitale in nome di non si sa quale libertà. Probabilmente quella di essere criminali. Un attacco al cuore dello Stato e delle istituzioni che deve essere punito con il massimo rigore, non solo con i sacrosanti arresti del giorno dopo, ma possibilmente con un'opera di intelligence e prevenzione. Però sabato nelle piazze, oltre a Forza Nuova, c'erano le frange più violente degli ultras, la galassia dei vari «No» a tutto - ovviamente a partire dai vaccini e dal green pass - e c'erano anche gli anarchici. Perché i delinquenti tra loro si attraggono, sono la manovalanza della violenza a ogni costo, quelli che appena c'è un'occasione scendono in strada per spaccare tutto. A Milano, su cinquanta fermati, la metà proveniva dalla galassia dei centri sociali. Anche se è brutto dirlo e qualcuno fa finta di non saperlo. Perché la sinistra chic ama flirtare con le ali più estreme e quando la «meglio gioventù» si trastulla devastando i centri urbani, c'è sempre un clima di tolleranza, riecheggia lo stomachevole ritornello di «compagni che sbagliano». Come se la violenza rossa fosse un po' meno violenta. Ecco, la fermezza bipartisan con la quale sono stati condannati gli scontri di Roma ci piacerebbe vederla sempre, di fronte a ogni atto di violenza. Noi, da queste colonne, abbiamo sempre chiesto il massimo della severità per chi devasta le città: che sia di destra o di sinistra. E continueremo a farlo.

Francesco Maria Del Vigo è nato a La Spezia nel 1981, ha studiato a Parma e dal 2006 abita a Milano. E' vicedirettore del Giornale. In passato è stato responsabile del Giornale.it. Un libro su Grillo e uno sulla Lega di Matteo Salvini. Cura il blog Pensieri Spettinati.

Mario Ajello per "il Messaggero" l'11 ottobre 2021.  

Guido Crosetto, qual è il significato di queste piazze e di queste violenze?

«Da una parte c'è il legittimo diritto di ognuno di noi a protestare o comunque a manifestare il proprio pensiero. Questo le Costituzioni democratiche lo concedono anche a un solo cittadino su 60 milioni. Quando i cittadini che protestano sono decine di migliaia, e nel caso di non possessori di Green pass parliamo di milioni di persone, uno Stato il problema deve porselo e affrontarlo con serietà ed equilibrio».

Sta dicendo che non si deve semplificare e considerare tutti violenti?

«Per fortuna, non sono tutti violenti. I violenti sono quelli che utilizzano ogni manifestazione legittima di protesta, per auto-promuoversi, distruggendo le città e smontando con le loro violenze qualunque ragione, anche sbagliata, delle manifestazioni». 

Sta naturalmente parlando di Forza Nuova?

«Ma certo. Non è la prima volta che questi nazi-fascisti (di cui non capisco come possano essere liberi i capi, visto che hanno la proibizione di uscire di casa) approfittano per prendersi visibilità mediatica e politica. E non mi stupirei che guadagnassero pure. Mi sono sempre chiesto come facciano a sostenersi queste organizzazioni estremiste. E come mai le loro violenze molto spesso hanno come risultato solo quello di annullare il messaggio di alcune manifestazioni».

Sta dicendo che c'è qualcuno che li paga?

«Non lo so, ma non mi stupirebbe». 

Quelli che legittimamente protestano finiscono per essere strumentalizzati dai peggiori?

«Purtroppo, sì. Vengono strumentalizzati e purtroppo tacitati. Tra quei 10mila in piazza penso ci siano persone di destra, di sinistra, di centro, apartitici, apolitici, astensionisti. C'è di tutto». 

Un mondo di non rappresentati che si sente vittima dei violenti?

«E' un mondo che non trova interlocuzioni con le istituzioni. Quando una democrazia perde la capacità di discutere e di confrontarsi con un pezzo del Paese, fa un passo indietro e lascia spazio a quelli che, come Forza Nuova, vogliono minare e distruggere la democrazia». 

I 5 stelle, quando erano forti, dicevano: noi siamo l'argine alla rabbia sociale. Senza di noi sarà solo violenza. Non c'è il rischio che sia così?

«Il tema è che l'argine alla rabbia sociale deve essere lo Stato, devono essere le Istituzioni. E' lo Stato che deve avere meccanismi di dialogo, di convincimento, di approccio con chiunque, anzi quelli di cui non capisce le ragioni. Chi pensa che si possano cavalcare movimenti di protesta, solo per incalanarli in un voto a un partito e in violenza, gioca contro lo Stato e contro ognuno di noi. I partiti non devono assecondare le proteste ma devono ascoltarle e proporre soluzioni alle tematiche sollevate. E semmai aiutare lo Stato a riprendere un dialogo interrotto. Mi è sempre sembrata superficiale l'auto-descrizione di M5S come argine. Basti vedere dove è finito l'argine».

Salvini e Meloni però vengono accusati di fomentare sotto sotto queste piazze. 

«Questo è un altro modo per alimentare, per motivi politici, fratture tra partiti che diventano ferite nel corpo dello Stato. I partiti hanno il dovere di rappresentare nelle istituzioni tutte le istanze sociali, se queste hanno una legittimità, tutte. Questa consapevolezza, pare mancare. Fratelli d'Italia e Lega non sono mai stati partiti No Vax. Hanno però posto questioni, sollevato dubbi su alcune scelte politiche riguardanti la lotta alla pandemia. Ad esempio sul Green pass non hanno attaccato lo strumento, ma l'estensione di questo strumento ad alcuni ambiti, come il lavoro, che portano a conseguenze molto dure. Ricordo inoltre che le questioni sul Green pass che questi partiti pongono al governo provocano spaccature anche al loro stesso interno. Lega ed Fdi hanno loro stesse un fortissimo dibattito interno, molto duro, tra chi sostiene scelte rigoriste vicine alle posizioni del governo e chi invece cita le posizioni anti Green pass di pensatori di sinistra come Cacciari, Agamben e Barbero». 

Guai a minimizzare però gli attacchi squadristi?

«Mai. Vanno condannati con durezza. Dopo queste orrende vicende, anche chi guardava a quella piazza con rispetto, anche se non la condivideva, oggi non ne può neanche parlare. Io mi preoccupo se qualcuno, che ha sempre rispettato le idee di tutti, comincia ad avere paura di esprimere le proprie. A me ad esempio capita sui social. Per non aver assecondato una lettura sulla Meloni in tivvù, subisco attacchi come se fossi un fascista. Ed invece sono da sempre un cattolico liberal democratico, da tempo fuori dalla politica».

Lei è Giorgia. Non è fascista, la Meloni, ma nemmeno antifascista. Così le prende da tutti ed è colpa sua. Mario Lavia su L'Inkiesta l'11 ottobre 2021. La leader di FdI, frastornata da accuse di cui si sente vittima, condanna una generica zuppa di “ismi” ma non serve: in Italia esiste un problema specifico, storico, concreto. Fini lo sanò in An e ora rampolla di nuovo tra gli eredi del Msi. Proviamo a fare lo sforzo di entrare nella testa di Giorgia Meloni, nella psicologia di una giovane donna che improvvisamente rischia di passare dalle stelle alle stalle per qualcosa che non riesce ad afferrare, a capire, e che vive queste ore con un certo sgomento oscurato solo dal suo arrogante sbuffare. Fascismo? Quale fascismo? Che c’entro io, che non ero nemmeno nata eccetera eccetera?

Lei probabilmente si sente come un pesce finito nella rete di un complotto che non può che essere stato ordito, nell’ordine: dai poteri forti; dalla sinistra; dai giornali; dalla tecnocrazia europea. Tutto un armamentario tecnicamente reazionario: torna l’Europa cattiva, hanno ragione polacchi e ungheresi. Lei è la vittima. «Sono Giorgia», ricordate? Sembra tanto tempo fa, stava prevalendo nei sondaggi, vendeva tante copie del suo libretto, giusto? Ed eccoli là, da Fanpage a Ursula von der Leyen me la stanno facendo pagare: dopo Matteo Salvini (che starà godendo) adesso tocca a me – si dirà nel suo flusso di coscienza – certo i gravi fatti di Roma vanno condannati, senza dubbio, quella non è gente “nostra”, i Fiore e i Castellino anzi ci odiano, dunque che volete da noi? E poi si fa presto a dire fascisti, ma io non so quale fosse «la matrice» degli squadristi che hanno assaltato la Cgil, ho preso le distanze, che altro volete da me… Già chissà a chi gli può venire in mente di sfondare il portone della Cgil, un bel rebus, Giorgia, ma perché ieri non sei andata da Landini invece che dai franchisti di Vox? Appare chiaro che Meloni non ha capito la situazione. Vede la strumentalizzazione anche laddove c’è persino una indiretta sollecitazione a venir fuori una volta per tutte dalla melma della Storia. Non è capace di intendere che i conti con il passato bisogna farli non solo per mondarsi di certe sozzure ma che la chiarezza è un’opportunità per disegnare per sé e la propria parte un nuovo inizio. Non ha la forza d’animo né la passione intellettuale per cogliere che la politica è anche dolore, fatica, dialettica. Altrimenti non farebbe di tutto per impedire che il passato diventi il fantasma che la innervosisce tanto. E inciampa di continuo: non lo sapeva che Enrico Michetti scriveva frasi antisemite? Scriveva il filosofo marxista György Lukács: «I burocrati settari obiettano: non si deve rivangare il passato, ma soltanto rappresentare il presente; il passato è passato, già del tutto superato, scomparso dall’oggi». Ce l’aveva con i sovietici del post-destalinizzazione, ma la frase ben si attaglia alla destra italiana di oggi: «Non ero nata», che c’entro col fascismo? È una risposta burocratica, se non sciocca, che ignora che la Storia è un rapporto tra il passato e il presente. Che il passato va elaborato, come il vissuto personale, e non rimosso come fa lei, perché altrimenti i nodi prima o poi vengono al pettine. Ecco perché la sua intervista al Corriere della Sera è intrinsecamente debolissima, perché non fa conto di quel rapporto, non prende in considerazione che certi germi di ieri – un po’ come la variante Delta – si rinnovellano, forse non spariscono mai. Ecco, dovrebbero essere questi germi l’oggetto del discorso della leader dei Fratelli d’Italia più che l’aggiunta, che pare fatta tanto per farla, del fascismo tra le cose brutte. FdI tolga la fiamma missina dal simbolo, o compia comunque un atto forte di rottura. Perché non lo fa? Perché in certi quartieri di Roma, in alcuni posti del Sud, in diverse zone disagiate del Paese, non si rinuncia al voto nostalgico, maschio, tosto. Meglio non strappare quei fili. Peccato, perché così non diventerà mai grande, Giorgia Meloni, che non ce la proprio a impersonare una destra moderna. È un discorso che lei non sente perché Giorgia pensa che i brutti “sogni neri” siano finiti. Infatti ancora ieri, sulle squadracce romane, è tornata con quella sua vaghezza infastidita: «È sicuramente violenza e squadrismo, poi la matrice non la conosco, sarà fascista, non sarà fascista, non è questo il punto». E così ci risiamo. Fascismo, nazismo, comunismo, totalitarismo: stessa zuppa. Non comprendendo, al di là delle evidenti lacune storiche, che in Italia esiste un problema specifico, storico, concreto, che si chiama fascismo. Gianfranco Fini, alla fine, aveva compreso che questo era il punto e che non si poteva più girare intorno. «Anche io ero in An», dice Giorgia. Vero, ma lei a Gerusalemme a dire che il fascismo è il male assoluto non ci è mai andata. Né si ricorda una qualche sua elaborazione a sostegno della svolta finiana, probabilmente vissuta come mossa tattica, marketing politico, nulla più, tanto è vero che lei non seguì la vicenda di Futuro e libertà ma restò con Silvio Berlusconi in attesa di rifare prima o poi un Msi 2.0. Non capendo che «la storia non ha nascondigli», soprattutto la propria storia. Giorgia Meloni, se andasse al governo, farebbe molti pasticci ma certo non abolirebbe le libertà democratiche. Non è questo il punto. Il punto è che lei è estranea all’antifascismo – probabilmente considera la Resistenza una roba dei comunisti per nulla edificante – e dunque al valore fondante della Costituzione. È questo che le impedisce da stare al di qua della barricata contro i neofascisti per i quali prova soprattutto un’enorme animosità perché le rendono impervia la strada verso il governo, e solo questo. Non è fascista, Giorgia, e nemmeno antifascista. Nel mezzo, le prende da entrambi i fronti, ed è solo colpa sua. 

Il cortocircuito delle idiozie. L’appropriazione culturale del neofascismo sull’umana scemenza no vax.

Guia Soncini su L'Inkiesta l'11 ottobre 2021. C’è una parte della popolazione che non capisce un cazzo di niente. Neppure l’istruzione obbligatoria ha risolto questo problema, figuriamoci se lo risolve l’uso delle stigmatizzazioni sciatte (“fascisti!”) che usiamo per fare delle analisi sociologiche che rientrino in una storia su Instagram. La didascalia della foto in apertura della prima pagina di Repubblica, ieri, diceva: «Il momento in cui NoVax e neofascisti irrompono nella sede nazionale della Cgil». Di spalle, si vedono un po’ di bomber neri (il 1985 non è mai finito), pochi passamontagna, alcune teste rasate, un paio di bandiere tricolore. Nella parte bassa della foto, in primo piano, si vedono soprattutto tre cellulari. Tre persone – due uomini e una donna, perdonate la binarietà – che, mentre noi indichiamo il fascismo, pensano alla storia da postare su Instagram. Nell’ipotesi improbabile in cui una dittatura d’ottant’anni fa costituisse un pericolo imminente nelle democrazie occidentali del Ventunesimo secolo, il presente avrebbe già trovato l’antidoto: scriversi «antifa» nelle bio sui social. Non mi meraviglierei se tra quelli che hanno devastato alcune strade di Roma sabato ci fossero alcuni di coloro che sui social si definiscono «antifa»: per loro la dittatura è fargli il vaccino gratis, mica fare i teppisti (e in effetti i teppisti, in dittatura, finiscono in galera, mica nelle storie di Instagram). “Fascismo” è una parola confortevole. È comoda per mettere una distanza – loro sono fascisti, noi no – e per evitare di pensare. Per evitare di fare un’analisi del presente invece d’impigrirsi a liquidare qualunque teppista come nostalgico d’un’ideologia che neppure ha vissuto, durante la quale neppure era nato. Un’ideologia che, per inciso, l’avrebbe preso a coppini (eufemismo) se a una regola imposta dallo Stato, fosse stata una mascherina o un lasciapassare, avesse risposto con dei capricci da cinquenne. Sì, lo so che hanno assaltato la Cgil, facendo subito commentare ai social di sinistra: «E perché non Confindustria?». Forse perché sta due ore di strada più a Sud, in quell’ingorgo cinghialesco che è il traffico romano? È solo un’ipotesi, per carità. E lo so che, tra gli assalitori d’un’istituzione di sinistra, c’erano dei capetti neofascisti: ma non sarà che sono semplicemente andati ad appropriarsi d’una scemenza (malcontento, bisognerebbe dire: “scemenza” è troppo diretto) che esisteva a prescindere da loro? Quella del neofascismo nei confronti dell’umana scemenza non sarà appropriazione culturale? Dice eh, ma erano violenti, la violenza è fascista. Mah, mi sembra che gli esseri umani fossero violenti da un bel po’ prima che venisse immaginato il fascismo e abbiano continuato a esserlo quando il fascismo è finito (sì, lo so che secondo voi non è mai finito perché non siete disposti a rinunciare a una categoria così comoda per stigmatizzare chiunque non la pensi come voi: fascisti, radical chic, populisti – una volta svuotate di senso, le categorie sono comode come vecchi cashmere slabbrati). Forse “lassismo” è uno slogan più adatto. Sono quasi due anni che facciamo – parlo a nome della maggioranza – tutte le cose richieste dalla logica, dal buonsenso, dallo Stato. Ci mettiamo la mascherina, stiamo a casa, compriamo l’amuchina, ci vacciniamo, urliamo dentro le mascherine all’ufficio postale e dalla manicure perché tra distanziamento e plexiglas e mascherine è come esser diventati tutti sordomuti (che è una frase abilista, ma ora non cambiamo settore di scemenza sennò ci perdiamo). Sono quasi due anni che quotidianamente c’è qualche notizia di gente che – con continuità caratteriale, come prima parcheggiava in seconda fila «solo due minuti» – concede a sé stessa deroghe. Falsifica certificazioni verdi, si affolla ad aperitivi, tiene la mascherina abbassata perché si sente soffocare: scegliete voi la cialtronata del giorno. A quel punto la cittadinanza si divide in minoranza isterica che urla «si metta quella cazzo di mascherina» (sì, ogni tanto anch’io: bisogna pur sfogarsi); e maggioranza lassista che sospira «eh, ma la gente è stanca». Ma stanca di cosa? I manuali di autoaiuto non dicono che per acquisire una nuova abitudine ci vogliono tre settimane? Non dovrebbe ormai essere un automatismo, mettersi quella cazzo di mascherina su quel cazzo di naso? Non hai preso l’abitudine, se quest’anno e mezzo l’hai passato a rimuginare che la mascherina è una vessazione, il vaccino è un sopruso, la dittatura sanitaria no pasará. Non al fascismo, hai aderito, ma all’assai più contemporanea dittatura del vittimismo, che usa l’eccezione – sia essa costituita da un infinitesimale numero d’intersessuali o di allergici al vaccino – per spacciare per vessazione qualunque ovvietà, da «i mammiferi appartengono a uno dei due generi sessuali» a «se c’è una malattia mortale e un vaccino che la previene, ci si vaccina»; e a quel punto, se vessazione è, la ribellione violenta è non solo consentita ma plaudita. L’altro giorno il governatore del Veneto, Zaia, ha detto che l’obbligo della certificazione verde sarà un casino perché solo in Veneto ci sono 590mila non vaccinati in età lavorativa, e non si riesce a fare a tutti loro il tampone ogni due giorni. Ricopio dall’intervista di Concetto Vecchio: «Non si tratta di contestare il Green Pass, bensì di guardare in faccia la realtà: gran parte di questi 590mila probabilmente non si vaccineranno mai». Zaia non lo dice, perché i politici non possono permettersi il lusso di dire che l’elettorato è scemo, ma la questione quella è. C’è un’ampia parte dell’umanità che non capisce un cazzo di niente, è un problema che non s’è risolto con l’istruzione obbligatoria, figuriamoci se si risolve con stigmatizzazioni sciatte quali “fascismo”. E invece siamo qui, a chiederci se Cacciari abbia preso le distanze dalla manifestazione degenerata, Giorgia Meloni dalle leggi razziali, Muhammad Ali dagli attentati alle Torri Gemelle. Siamo come quelli che stavano sulla prima pagina di Repubblica ieri: alla ricerca di analisi sociologiche che rientrino in quindici secondi di storia Instagram.

Sinistra e Cgil si mobilitano. "Ora Forza Nuova va sciolta". Pasquale Napolitano l'11 Ottobre 2021 su Il Giornale. Il sindacato lancia un corteo antifascista per sabato prossimo. Pd e M5s: è un partito contro la Costituzione. In piazza sabato 16 ottobre e scioglimento di Forza Nuova: sono due richieste che partono dall'assemblea generale della Cgil convocata ieri in risposta all'assalto avvenuto contro la sede di Roma del sindacato dai manifestanti del corteo no green pass. Al presidio in Corso Italia a Roma fanno tappa tutti i leader dei partiti: Nicola Zingaretti ed Enrico Letta (Pd), Giuseppe Conte (M5S), Teresa Bellanova ed Ettore Rosato (Italia Viva), Francesco Lollobrigida (Fdi), i candidati sindaco di Roma Roberto Gualtieri ed Enrico Michetti, l'ex presidente della Camera Laura Boldrini. Tra bandiere rosse e cori antifascisti, centinaia di dimostranti manifestano intonando «Bella Ciao». Il clima è quello dei grandi raduni. Ad aprire la manifestazione, l'intervento del segretario generale della Cgil Maurizio Landini: «Ci attaccano perché siamo sulla strada giusta ma noi non ci fermeremo. Da domani all'apertura, alla ripresa del lavoro, in ogni città in ogni condominio dobbiamo riprenderci la parola senza paura. Tutte le formazioni che si rifanno al fascismo vanno sciolte, e questo è il momento di dirlo con chiarezza. Sabato 16 abbiamo deciso, insieme a Cisl e Uil, che è giunto il momento di organizzare una manifestazione nazionale antifascista e democratica: il titolo sarà Mai più fascismi». L'appuntamento è per sabato 16 ottobre: tutti in piazza alla vigilia del voto per i ballottaggi. Il leader della Cgil chiede uno scatto in più: «È molto importante che le forze politiche oggi qui ci siano, la difesa della democrazia e della Costituzione è centrale. Mi auguro che tutti siano coerenti con la loro presenza qui davanti». L'ex presidente del Consiglio Conte annuncia l'adesione del M5s alla manifestazione di sabato e chiama in ballo i partiti di destra: «Auspico che anche Salvini e Meloni partecipino». Poi si unisce alla richiesta di scioglimento per Forza Nuova: «Non possiamo accettare che nel nostro paese ci siano aggressioni di questo tipo. Quindi su Forza Nuova è una valutazione che affidiamo alla magistratura ma anche io ritengo che ci siano le condizioni per lo scioglimento. È evidente che ci sia una volontà deliberata di condurre attacchi squadristi e questo non lo possiamo accettare». Letta fa tappa nel pomeriggio al presidio e avverte: «Esiste un fermento e cova un malessere fortissimo. Credo che bisogna alzare la guardia, ed essere netti sulla questione dello scioglimento Forza Nuova. Le immagini sono chiare, non ci sono molti dubbi. Presenteremo una mozione, poi sono altri i meccanismi che portano allo scioglimento. Ma la Costituzione è chiarissima, non ci sono dubbi che Forza Nuova debba essere sciolta». La presidente del Pd Valentina Cuppi, sindaca di Marzabotto, il paese dell'Appennino bolognese colpito dal grande eccidio nazifascista alla fine della Seconda Guerra Mondiale, lancia su Change.org una petizione per sciogliere organizzazioni e partiti neofascisti. «I fatti di Roma sono solamente l'ultima goccia. È ora i dire basta alla violenza squadrista e fascista. Un basta definitivo. È ora, come già richiesto dall'Anpi nell'appello Mai più fascismi, di sciogliere Forza Nuova, CasaPound, Lealtà Azione, Fiamma Tricolore e tutti i partiti e movimenti che si rifanno alle idee e alle pratiche del fascismo» - rilancia Cuppi. Per Fratelli d'Italia arrivano Francesco Lollobrigida ed Enrico Michetti. «Sono andato a Corso Italia perchè noi condanniamo ogni forma di violenza politica, specie quando colpisce i lavoratori e le loro rappresentanze» spiega il capogruppo Fdi alla Camera dei deputati. Pasquale Napolitano

Forza Nuova? Perché con la destra non c'entra niente: anzi, ne è nemica. Andrea Morigi su Libero Quotidiano l'11 ottobre 2021. Sono vent' anni o giù di lì che Forza Nuova si presenta alle elezioni andando sì a pescare consensi negli ambienti di destra, ma in alternativa alla destra. Sono gli avversari e i concorrenti di Fratelli d'Italia, come lo sono stati di Alleanza Nazionale e lo furono del Msi. Non contigui e nemmeno ramificazioni dello stesso albero. Soltanto che, ai tempi di Giorgio Almirante, non accadeva mai di assistere a superamenti a destra. Al massimo vi fu la sfortunata scissione a sinistra, cioè centrista, di Democrazia Nazionale. Qui però, destra sembra ormai un termine improprio. "Le destre", come le chiamano i nostalgici della Resistenza, semplicemente non esistono. Semmai quella che si è radunata sabato in piazza del Popolo a Roma è un'organizzazione antisistema, "oltre la destra e la sinistra", che non accetta etichette sebbene affondi le sue radici politico-culturali nella cosiddetta "autonomia nera", da sempre estranea al "partito", giudicato borghese e compromissorio. Sono realtà nemiche l'una dell'altra, con obiettivi politici diversi e un atteggiamento opposto nei confronti delle istituzioni democratiche. Mancano loro infatti un terreno e un nemico comune, paragonabili a quelli che condivide la sinistra quando va in piazza il 25 aprile per festeggiare la Liberazione. A meno che s' intenda l'opposizione al gender, al ddl Zan e all'aborto come un tema unificante, ma a quel punto occorrerebbe includere nel fronte reazionario anche il Sommo Pontefice. Le frange neofasciste tuttavia si pongono fuori dalla Chiesa, in opposizione al Concilio Vaticano II. Forza Nuova, comunque, non gradisce nemmeno la definizione di "fascista" e forse non sarà soltanto per ottenere lauti risarcimenti se i loro dirigenti hanno querelato - vincendo in giudizio - gli organi d'informazione che hanno osato definirli tali. La genealogia è un'altra. È l'area che, almeno a partire dalla pubblicazione nel 1969 del manualetto La disintegrazione del sistema di Franco Giorgio Freda, teorizza l'unificazione fra movimenti rivoluzionari, dopo essersi alimentata dell'antiamericanismo dei reduci della Repubblica Sociale Italiana e perfino dell'opposizione alla Nato del primo Msi. Da quelle parti e a quell'epoca, i cosiddetti nazimaoisti ammirano Ernesto Che Guevara e i vietcong, perché sono nemici giurati degli Stati Uniti tanto quanto i "camerati" che hanno combattuto contro le truppe alleate durante la Seconda Guerra mondiale. Qualche riferimento nazionalbolscevico o al fascismo immenso e rosso, in fondo, conferisce anche un'atmosfera romantica all'ideale totalitario del patto Molotov-Ribbentrop. Il trasbordo ideologico si può dire pienamente compiuto nel 1979, quando vede la luce il numero zero del periodico Terza Posizione, che saluta il trionfo della rivoluzione khomeinista in Iran. "Né Usa né Urss!", slogan da Paesi non allineati, cessa così di inneggiare all'Europa Nazione e acquista da quel momento una sinistra e cupa deriva verso il fondamentalismo islamico. Forza Nuova, in realtà, subisce già dalle sue origini l'influenza di un tradizionalismo cattolico che vede nelle gesta dei combattenti maroniti un esempio di testimonianza cristiana, salvo poi trovare negli anni un punto di contatto anche con Hezbollah, il partito sciita libanese. Anche questi ultimi, del resto, salutano col braccio teso. Come i militanti che si ritrovano a Predappio alla tomba di Benito Mussolini, senza trascurarne il passato socialista.

"Quali prove vogliono ancora contro il fascismo". Meloni, gioco sporco a sinistra: fin dove si spingono, persecuzione? Alberto Busacca su Libero Quotidiano il 10 ottobre 2021. Le avevano chiesto di dire parole chiare sul fascismo. E ieri, sul Corriere della Sera, Giorgia Meloni le ha dette. «Nel dna di Fratelli d'Italia», ha spiegato, «non ci sono nostalgie fasciste, razziste, antisemite. Non c'è posto per nulla di tutto questo. Nel nostro dna c'è il rifiuto per ogni regime, passato, presente e futuro». E ancora, se non fosse stata abbastanza netta: «I nostalgici del fascismo non ci servono: sono solo utili idioti della sinistra, che li usa per mobilitare il proprio elettorato». Insomma, piacciano o meno le sue dichiarazioni, non si può dire che Giorgia sia stata vaga o non abbia voluto affrontare la questione. Quindi? Archiviamo le polemiche di queste settimane sul pericolo fascista e torniamo ad occuparci di quello che succede nel ventunesimo secolo? Ovviamente no. Perché la sinistra non è soddisfatta. E chiede ulteriori prove...

UN CRIMINE

«Anche oggi», attacca Andrea De Maria, deputato del Partito democratico e già sindaco di Marzabotto, «Giorgia Meloni fa finta di non capire: nella sua intervista non c'è alcuna condanna del fascismo né l'intenzione di chiudere con quel mondo che ancora si ispira agli orrori del Ventennio. C'è invece la presunzione di mettere sullo stesso piano fascismo e comunismo. Come se non conoscesse la storia del nostro Paese e il ruolo dei comunisti italiani per la conquista della libertà e la costruzione della democrazia. Per una che vorrebbe guidare il Paese non solo è ormai tardi ma è ancora davvero troppo poco». Anche i Cinque Stelle, poi si sentono in diritto di chiedere alla Meloni ulteriori prove di democraticità. «Sul fascismo», sostiene Mario Perantoni, deputato M5S e presidente della commissione Giustizia della Camera, «ha detto parole definitive un uomo che lo aveva subito, Sandro Pertini. Spiegò che il fascismo non è un'opinione ma un crimine. In commissione Giustizia abbiamo avviato l'iter della proposta di legge contro l'uso di simboli e immagini che possano propagandare le idee nazifasciste: è un testo di iniziativa popolare sostenuto dal sindaco di Sant' Anna di Stazzema Maurizio Verona al quale personalmente tengo molto e che credo debba essere condiviso da ogni forza democratica». E poi: «La leader di Fdi, impegnata in questi giorni a prendere le distanze da personaggi e vicende raccontate nel video di Fanpage, è disposta, in concreto, a sostenere questa proposta?».

LA COSTITUZIONE

E non poteva mancare la solita Anpi. «La Meloni afferma che l'Anpi chiede lo scioglimento di Fratelli d'Italia», dice l'associazione dei partigiani. «È falso. L'Anpi chiede lo scioglimento di Lealtà Azione, Forza Nuova, CasaPound. Dato che lei, folgorata sulla via di Damasco, anzi di Fanpage, nega qualsiasi nostalgia del Ventennio e si erge a baluardo democratico, perché non propone lo scioglimento delle organizzazioni neofasciste come previsto dalla Costituzione?». Insomma, la fondatrice di Fdi, oltre prendere le distanze dal fascismo, dovrebbe anche esaltare il ruolo storico del Partito comunista, sottoscrivere una legge contro la propaganda fascista e pure chiedere lo scioglimento dei gruppi di estrema destra. Ed è probabile che non basterebbe ancora...

Meloni: “Noi fascisti? Nel dna di Fdi c’è il rifiuto per ogni regime”. In un'intervista al Corriere della Sera, Giorgia Meloni rifiuta l'accostamento con le ideologie "fasciste, razziste e antisemite". E su Lavarini dice...Il Dubbio il 9 ottobre 2021. Nel dna di Fratelli d’Italia “non ci sono nostalgie fasciste, razziste, antisemite“, c’è “il rifiuto per ogni regime, passato, presente e futuro. E non c’è niente nella mia vita, come nella storia della destra che rappresento, di cui mi debba vergognare o per cui debba chiedere scusa. Tantomeno a chi i conti con il proprio passato, a differenza di noi, non li ha mai fatti e non ha la dignità per darmi lezioni”. Lo dice in un’intervista al Corriere della Sera Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia. «Il “pericolo nero”, guarda caso, arriva sempre in prossimità di una campagna elettorale…» aggiunge, parlando dell’inchiesta di Fanpage, sottolineando però che la più arrabbiata per quelle immagini è lei, che ha “allontanato soggetti ambigui, chiesto ai miei dirigenti la massima severità su ogni rappresentazione folkloristica e imbecille, anche con circolari ad hoc”. Perché “i nostalgici del fascismo non ci servono: sono solo utili idioti della sinistra, che li usa per mobilitare il proprio elettorato”. Immaginare «che Fratelli d’Italia possa essere influenzato o peggio manovrato da gruppi di estrema destra è ridicolo e falso”. Meloni ricorda che certi nostalgici il partito li ha sempre cacciati, “a partire da Jonghi Lavarini, ora “lo faremo ancora di più”. La colpa di Fidanza “è aver frequentato una persona come Jonghi Lavarini che con noi non ha niente a che fare per ragioni di campagna elettorale. Un errore molto grave, infatti adesso è sospeso. Poi vedremo cosa verrà fuori da un’inchiesta a tratti surreale”. Fdi è il primo partito in Italia “perché non guardiamo indietro ma avanti, ai problemi veri degli italiani, le tasse, la casa, il lavoro, la povertà”. Nella battaglia politica, la leader di Fratelli d’Italia difende anche scelte come quella della candidatura di Rachele Mussolini: “È una persona preparatissima, competente, consigliera uscente che è stata rieletta perché ha fatto bene e non la discrimino per il nome che porta”.

Guerriglia. La fatwa in Tv contro la consigliera di FdI. Per il "ducetto" Formigli, Rachele Mussolini è apologia del fascismo solo per il cognome…Piero Sansonetti su Il Riformista il 10 Ottobre 2021. Sono rimasto di pietra, l’altra sera, quando ho sentito Corrado Formigli, su La 7, annientare Rachele Mussolini – in contumacia – e contestarle, in sostanza, il diritto di presentarsi alle elezioni con quel cognome. Ha fatto bene Guido Crosetto (che ha idee politiche, spesso, molto lontane dalle mie) a indignarsi e ad alzare la voce. Formigli ha reagito all’intervento di Crosetto togliendogli la parola con l’aria… (posso dirlo?) con l’aria del ducetto che il potere ce l’ha e non lo cede a nessuno. Io non conosco neppure alla lontana Rachele Mussolini. So che è una signora che fa politica da molti anni, che è di destra, che si presenta alle elezioni e le vince. E mi hanno abituato a pensare che chi vince le elezioni è bravo, e che se gli elettori lo votano lui è democraticamente legittimato. Non ha bisogno del timbro di Formigli e neppure del timbro del mio amico Bersani. Dove me le hanno insegnate queste cose? Nel Pci. Circa 50 anni fa me le spiegò Luigi Petroselli, che era il capo della federazione romana del partito e del quale l’altro giorno abbiamo celebrato i quarant’anni dalla morte, che avvenne a Botteghe Oscure, mentre scendeva dal palchetto dopo aver pronunciato – nella solenne seduta del Comitato centrale – un intervento critico verso il segretario. Che era Berlinguer. Rachele Mussolini è accusata di tre cose. La prima è di portare il nome che porta. La seconda è di non avere abiurato. La terza è di avere detto che lei non festeggia il 25 aprile. Accusare una persona per il nome che porta, dal mio punto di vista di vecchio antifascista, è una manifestazione di fascismo. Tra qualche riga provo a spiegare cosa intendo per antifascismo. Chiedere a una persona di abiurare, chiedere a chiunque qualunque tipo di abiura, per me è ripetizione delle idee e dei metodi della Santa Inquisizione. È una richiesta oscena, che getta discredito e vergogna su chi la avanza. Sul 25 aprile ci sono due cose da dire. La prima è che Rachele Mussolini ha dichiarato in questi giorni di avere sbagliato a postare (due anni fa) quella foto nella quale mostrava un cartello con su scritto che il 25 aprile lei festeggia solo San Marco. Ma a me questo non interessa. Per me chiunque è legittimato a festeggiare o no le feste di Stato. Legittimato e libero. Non so se la capite questa parola: li-be-ro. Io da ragazzo non festeggiavo il 4 novembre, festa della vittoria dell’Italia nella prima guerra mondiale. Non perché io fossi, o sia, anti italiano o filoaustriaco, ma perché sono – e sono libero di esserlo – antimilitarista. E vi dico le verità: se il 25 aprile fosse una festa per ricordare la fucilazione di mio nonno, il papà di mio padre (in realtà Mussolini fu fucilato il 28 aprile e poi appeso per i piedi a Milano, in piazzale Loreto, il giorno dopo, e però è il 25 aprile il giorno nel quale si celebra e si festeggia la sua morte) io in nessun caso la festeggerei, a prescindere dalle mie idee politiche. Democrazia, liberalità, modernità, onestà – butto giù a caso un po’ di parole perché non è che io abbia capito bene quali siano i nuovi valori della politica di oggi – chiedono ai nipoti di sputare sul corpo dei propri genitori o nonni prima di essere ammessi in società? Beh, ma allora perché ce l’avevate con Pol Pot? Io tutti gli anni festeggio il 25 aprile. Lo festeggio, e penso che sia una grande festa, proprio perché so che è legittimo non festeggiarlo. Se fosse una festa obbligatoria, per me, non sarebbe più il 25 aprile. Sarebbe un rito sciocco. Infine Formigli ha detto che aveva invitato Giorgia Meloni per chiederle se era pronta a ripetere la frase attribuita a Gianfranco Fini una quindicina di anni fa, e cioè “il fascismo è il male assoluto”. Io penso che non ci sia niente di male a credere che il fascismo sia il male assoluto – forse sarebbe meglio dire che l’olocausto, del quale il fascismo fu complice, è stato il male assoluto – ma a me non sembra normale che un conduttore televisivo pensi di poter convocare nello studio televisivo il capo di un partito (forse, addirittura, del primo partito) per umiliarlo e costringerlo a piegarsi ai suoi diktat. A questo punto è ridotta la politica? È l’ancella di conduttori televisivi rudi e sceriffi? Delle nuove guardie? Ommammamia. Questi atteggiamenti, e anche il fatto che non facciano indignare nessuno, a me fanno paura. Sì, mi fanno paura perché il vero rischio fascismo, per me, è esattamente questo. Tutti sanno che il pericolo non è né Borghese, né questo nuovo personaggio che mi pare si chiami Jonghi Lavarini. Non è Casapound, né Forza Nuova, né l’incombere della tradizione del vecchio regime. I rischi sono tre: antisemitismo, razzismo e autoritarismo. Quando penso a un antifascismo serio e moderno penso esattamente a questo. A un ordine di idee e di lotte contro l’antisemitismo, il razzismo e l’autoritarismo. Dove sono queste tre malattie? In vastissime zone del populismo italiano. L’antisemitismo, purtroppo, è diffuso, sotterraneo e terribile. Vive e prospera a destra e anche a sinistra. Anche il razzismo (che comunque non va confuso con la xenofobia, che è anche questa una malattia della politica moderna, ma diversa dal razzismo) è diffuso a destra e a sinistra, soprattutto a destra. L’autoritarismo, che spesso si confonde e si salda col giustizialismo, è forte in tutto lo schieramento politico, e, misurato a spanne, è più diffuso a sinistra e dilaga tra i 5 Stelle dove è quasi l’ideologia dominante. Bene, se le cose stanno così, lo dico francamente, antifascismo vuol dire opporsi al formiglismo. Che è un costume diffusissimo nel giornalismo italiano. Prepotente, maschilista, narciso e sopraffattore.

Piero Sansonetti. Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019. 

Solo i regimi sciolgono i partiti. Sciogliere Forza Nuova è un’idea cretina, tentazione autoritaria e illiberale. Piero Sansonetti su Il Riformista il 12 Ottobre 2021. La legge Scelba è del 1952. Prevede il reato di apologia di fascismo. Probabilmente era stata immaginata per poi permettere un secondo passo e la messa fuorilegge del Msi, partito neofascista fondato nel 1947 da Giorgio Almirante e Arturo Michelini. Pochi mesi dopo la legge Scelba nacque l’idea della nuova legge elettorale – che la sinistra ribattezzò “legge truffa” – la quale doveva servire a consegnare il 65 per cento dei seggi parlamentari ai partiti che – dichiarandosi alleati – avessero ottenuto più del 50 per cento dei voti alle elezioni. La Dc disponeva nel 1952 del 48 per cento dei voti e il successo della legge truffa era quasi assicurato, e avrebbe ridotto in modo evidentissimo la forza parlamentare delle opposizioni. In particolare del Psi e del Pci. Che si opposero fieramente, insieme al Msi. La legge fu approvata, dopo una feroce battaglia parlamentare, dopo l’ostruzionismo e lotte persino fisiche tra Dc e sinistre. Ma alle successive elezioni il blocco centrista prese solo il 49,9 per cento dei voti, il premio di maggioranza non scattò, De Gasperi fu travolto, la legge cancellata. E nessuno più pensò l’idea balzana di sciogliere il Msi. Poi, negli anni settanta, la questione tornò a porsi. Lotta Continua, nei cortei, gridava lo slogan “Emme esse i / fuorilegge/ a morte la Diccì / che lo protegge”. Però il Pci si oppose sempre a questa linea. Il Pci – dico – quello ancora legato stretto stretto a tutte le sue tradizioni e litanie comuniste. Però il Pci era un partito politico. Faceva politica. Era guidato da dirigenti colti, preparati, esperti. Nel Pci si capiva quali conseguenze devastanti poteva avere lo scioglimento del Msi. Specialmente per le opposizioni, che sarebbero finite tutte sotto tiro e minacciate. Ma anche – in generale – per la tenuta della democrazia. Il Pci ci teneva molto alla saldezza della democrazia, perché era l’acqua nella quale nuotava. Del resto si sapeva benissimo che la stessa legge Scelba, varata per colpire il Msi, apriva la prospettiva di iniziative legislative contro il Pci, se non anche contro il Psi. Mario Scelba, ministro dell’Interno, era l’espressione della parte più reazionaria della Democrazia cristiana. Ho scritto queste cose perché mi pare che l’idea di sciogliere Forza Nuova sia una assoluta idiozia. È chiaro che non è possibile nessun paragone tra Forza Nuova e il Msi anni 50. Forza Nuova è un gruppetto, il Msi era un partito strutturato e popolare. Ed era anche – nessuno credo che lo possa negare – un partito abbastanza nettamente fascista. Il problema sta nella natura del provvedimento, a prescindere dal bersaglio. Sciogliere un partito, un gruppo, un’organizzazione, per motivi ideologici è una stupidaggine gigantesca, che porta all’immagine della democrazia una ferita molto più grande della modestia del gesto. E che apre varchi pericolosissimi. Se oggi si scioglie Forza Nuova niente esclude che tra qualche mese o tra qualche anno qualcuno chieda lo scioglimento di organizzazioni di sinistra. Anche più forti e radicate di Forza Nuova. Riducendo sempre di più i margini del possibile dissenso politico. Oltretutto alle richieste di scioglimento di Forza Nuova – che sembrano un po’ ripetizioni quasi automatiche di slogan e atteggiamenti di 30 anni fa – si accompagna la folle idea del vicesegretario del Pd di mettere il partito di Giorgia Meloni (che forse oggi, secondo i sondaggi, è il più grande partito italiano) fuori dall’arco democratico e repubblicano. Siamo al diapason della tentazione autoritaria e illiberale. Io mi auguro che Letta intervenga in fretta. Può restare vicesegretario del Partito democratico una persona che chiede di prendere a frustate la nostra democrazia?

Piero Sansonetti. Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.

A destra ferve il dibattito per appurare quale sia la matrice di tutte le stronzate che fanno. Francesco Cundari su L'Inkiesta il 13 ottobre 2021. Rampelli si autosmentisce, La Russa denuncia una strategia della tensione e Meloni rivendica in spagnolo il suo essere italiana. Ma se in piazza i neonazi protestano contro la dittatura e invocano una nuova Norimberga, forse la causa non è così chiara nemmeno a loro. Scoccata l’ora delle decisioni irrevocabili, poco dopo pranzo, Fabio Rampelli ha annunciato ieri la scelta di votare la mozione che chiede lo scioglimento di Forza Nuova – ma no, che avete capito? Mica quella del centrosinistra. A chi ha l’ingrato compito di raccontare o commentare la politica italiana, ormai, conviene partire dalle precisazioni. Ecco dunque la precisazione di Rampelli, vicepresidente della Camera e dirigente di primo piano di Fratelli d’Italia: «Il voto favorevole di Fratelli d’Italia cui mi riferivo in un’intervista radiofonica è sulla mozione unitaria proposta dal centrodestra che, partendo dall’assalto alla sede della Cgil, chiede la condanna di ogni forma di totalitarismo e auspica lo scioglimento di tutte le formazioni eversive che utilizzano la violenza come strumento di lotta politica. Quindi non riguarda Forza Nuova, ma tutti i soggetti che utilizzano i suoi stessi metodi». Avendo riportato, preventivamente, il testo integrale della precisazione, mi permetto di sottolineare quello che mi pare il passaggio-chiave: «Non riguarda Forza Nuova». Ricapitolando, siccome sabato scorso esponenti di Forza Nuova hanno guidato un assalto alla sede della Cgil, devastandone gli uffici, per poi tentare di attaccare anche Palazzo Chigi e il Parlamento, il centrodestra ha ritenuto giusto presentare una mozione che condanna «ogni forma di totalitarismo» e auspica «lo scioglimento di tutte le formazioni eversive che utilizzano la violenza come strumento di lotta politica». Ma perché – si chiederanno a questo punto i miei piccoli lettori – c’erano forse altri partiti, movimenti, associazioni culturali o circoli ricreativi, a parte Forza Nuova, a dare l’assalto alla Cgil? No, nessun altro. Fermamente intenzionato a spezzare le reni alla logica, sempre ieri, Rampelli dichiara inoltre all’Huffington post: «Per coincidenza astrale, questi fatti accadono solo sotto elezioni. Ne deduco che Forza Nuova ha un’alleanza di ferro con il Partito democratico». Coincidenza astrale o congiunzione casuale che sia, l’affermazione sembra riecheggiare la teoria di Ignazio La Russa, altro autorevolissimo esponente di Fratelli d’Italia, riportata due giorni fa dal Corriere della sera, circa la reale motivazione per cui, fino alla settimana scorsa, né l’attuale esecutivo né i precedenti si sarebbero preoccupati di sciogliere partiti e movimenti neofascisti: «Delle due l’una: non avevano le motivazioni per scioglierli o hanno preferito tenerli lì, magari come strumenti utili per la strategia della tensione?».

L’ipotesi che nessuno lo abbia fatto prima semplicemente perché fino alla settimana scorsa nessuno aveva assaltato la sede della Cgil, evidentemente, non ha sfiorato né La Russa né Rampelli nemmeno per un attimo. Eppure, considerando da dove erano partiti, l’intero dibattito potrebbe sembrare persino un passo avanti. La prima dichiarazione a caldo di Giorgia Meloni, che di Fratelli d’Italia è la leader, cominciava infatti con le parole: «È sicuramente violenza e squadrismo, poi la matrice non la conosco». E pensare che sarebbe bastato cercare la parola «squadrismo» su un buon dizionario. D’altronde, nel momento in cui faceva queste dichiarazioni, Meloni si trovava nel contesto non troppo adatto di una manifestazione di Vox, il partito neofranchista spagnolo, impegnata a ripetere dal palco, in perfetto castigliano, perché si sente orgogliosamente italiana. Riciclando per l’occasione la traduzione letterale del suo cavallo di battaglia: «Yo soy Giorgia, soy una mujer, soy una madre, soy italiana, soy cristiana…». In pratica, una via di mezzo tra un comizio di Giorgio Almirante e un balletto su Tik Tok. Nonché la conferma del fatto che, se mai un giorno lontano rivivremo la tragedia di una dittatura fascista, al posto dei cinegiornali Luce ci sarà Striscia la notizia. E questa sarà la sigla. Del resto, stiamo parlando del partito che ha candidato a sindaco di Roma un signore, Enrico Michetti, che l’anno scorso, non settant’anni fa, a proposito dell’Olocausto, scriveva: «Mi chiedo perché la stessa pietà e la stessa considerazione non viene rivolta ai morti ammazzati nelle foibe, nei campi profughi, negli eccidi di massa che ancora insanguinano il pianeta. Forse perché non possedevano banche e non appartenevano a lobby capaci di decidere i destini del pianeta». Una frase talmente vergognosa che ha spinto Guido Crosetto, fondatore di Fratelli d’Italia, a twittare subito (pur senza alcun diretto riferimento a Michetti, beninteso): «Il ricordo della Shoah non può e non deve essere patrimonio degli ebrei ma di tutti ed ognuno. Perché la Shoah è l’emblema del male, il male ontologico, come direbbe Heidegger, l’essenza categoriale del male. Ed il male si combatte tutti uniti, senza dubbi, senza divisioni». Forse però un dubbio sarebbe stato meglio farselo venire, considerato che Martin Heidegger, oltre che un grande filosofo, era un nazista convinto. Ma queste ormai sono sottigliezze cui non fa più caso nessuno. Alla manifestazione dei no green pass, non so se l’avete notato, esponenti di un partito neofascista hanno sfilato per protestare contro la «dittatura sanitaria» e gridando «libertà! libertà!», prima di assaltare la sede della Cgil e dopo che il magistrato Angelo Giorgianni, dal palco, aveva invocato contro il governo nientemeno che un nuovo «processo di Norimberga». E quelli, con le loro belle svastiche tatuate sul braccio, ad applaudire a più non posso. Forse allora aveva ragione la mujer italiana, madre y cristiana di cui sopra: la matrice non è poi così chiara. Nemmeno agli autori. D’altra parte, parafrasando Altan, a chi di noi non capita di domandarsi, almeno ogni tanto, quale sia la matrice di tutte le stronzate che fa? 

Dagospia il 12 ottobre 2021. Da radioradio.it. L’autunno caldo sembra essere arrivato, ma a una certa corrente politico-mediatica non fa di certo piacere. Cittadini, lavoratori, persone di ogni fascia sociale scendono in piazza contro imposizioni e restrizioni del Governo Draghi, Green Pass in primis. Le proteste che vanno avanti da questa estate fanno sempre più rumore, anche se il grido di rabbia del popolo resta inascoltato a causa di un ristretto gruppo di estremisti infiltrati tra i manifestanti. Quello di sabato scorso partito da Piazza del Popolo a Roma è stato solo l’ultimo atto di una rivolta di migliaia di persone diventata presto una rappresaglia di altra natura. Il risultato, ancora una volta, è stato riaccendere l’allarme eterno di un ritorno del fascismo. Tra chi ritiene sbagliato ridurre a ciò la portata delle recenti sommosse c’è anche il giornalista Massimo Fini, che ne ha parlato ai microfoni di Francesco Vergovich a Un Giorno Speciale. Queste le sue parole. 

 “Questa è una democrazia malata”

“Ogni idea in democrazia ha diritto di esistere a meno che non si faccia valere con la violenza. Sarebbe riduttivo pensare che non ci sia un malcontento e una diffidenza nei confronti della democrazia. Lo dice il 48% di astensione. Non posso pensare che siano tutti degli eversivi. I partiti dovrebbero ragionare sul dato dell’astensione e sulla diffidenza di molti sul sistema democratico-partitocratico. Questo sistema è malato, una partitocrazia. Si sbaglierebbe se si dicesse che è solo un fenomeno fascista, ma è qualcosa di più diffuso. Molti cittadini non si sentono più rappresentanti. Sono contrario allo scioglimento di Forza Nuova, ogni idea deve poter esistere purché non si faccia valere con la violenza. Quelli che hanno assaltato la CGIL o la Polizia devono andare in prigione. La stampa racconta malissimo. Il dato più impressionante era l’astensione, hanno perso tutti“. 

“È stato creato un clima di terrore”

“Per quanto riguarda l’epidemia hanno fatto un terrorismo costante e continuo. Se ogni giorni ti parlano dell’epidemia e dei morti, hai una reazione di rigetto. È stato creato un clima di terrore. La stampa ha assecondato il peggiore allarmismo. Sull’Afghanistan hanno detto solo balle per esempio. C’è una miopia della classe politica e della stampa che spesso è a servizio della prima invece di svolgere una funzione di critica. L’uso sistematico del termine fascismo è controproducente. Se tu ogni giorno ne parli ha un effetto contrapposto, sono strumentalizzazioni“.

“Il cittadino si irrita di fronte a ciò che è subdolo”

“Puoi fare una legge per l’obbligo del vaccino, ma non puoi non proibire formalmente la scelta opposta e poi renderlo obbligatorio, questo irrita moltissimo. Dovevano avere il coraggio di dire che il vaccino era obbligatorio per legge. Il cittadino si irrita di fronte a ciò che è subdolo, a ciò che è fatto in modo subdolo. Il farlo in forma obliqua lo rende iniquo“.

Altro che minaccia fascista: ecco cosa interessa davvero agli italiani. Francesca Galici il 13 Ottobre 2021 su Il Giornale. L'ultima rilevazione social ha evidenziato il solco tra i Palazzi e il popolo, preoccupato per il suo futuro in vista dell'introduzione del Green pass per i lavoratori. Il weekend di scontri nelle principali città italiana ha inevitabilmente influenzato il dibattito settimanale. La politica e i cittadini si sono confrontati su diversi temi legati a quanto è accaduto a Roma e a Milano e Socialcom ha restituito una fotografia fedele del sentimento del Paese attraverso il flusso delle discussioni social che, ormai, può essere considerato uno specchio affidabile del cosiddetto Paese reale. Le rilevazioni Socialcom hanno messo in evidenza come ci sia ormai una grande distanza tra i temi affrontati dal Paese reale e quelli che, invece, vengono spinti da una certa politica, che continua a muoversi sull'onda della propaganda ideologica, cieca davanti ai veri problemi degli italiani che riguardano soprattutto il lavoro. Al centro del dibattito nazionalpopolare c'è soprattutto il Green pass e ogni altro argomento, anche gli scontri, sono a questo correlato. Tra il 1 e l'11 ottobre, in Italia, "sono state oltre 1,53 milioni le conversazioni in rete sul tema, che hanno prodotto 7,26 milioni di interazioni". Numeri importanti che hanno raggiunto il picco il 10 ottobre, giorno successivo all'assalto alla Cgil e agli scontri, con 872mila pubblicazioni. È vero che le immagini di Roma in stato di guerriglia urbana hanno colpito l'opinione pubblica ma sono state le preoccupazioni per la possibile perdita del posto di lavoro e la conseguente sospensione del salario a catalizzare maggiormente l'attenzione. Il Paese reale è più interessato a capire come farà a mantenere le proprie famiglie piuttosto che a una ipotetica minaccia fascista, argomento che da sinistra viene sostenuto fin dai momenti immediatamente successivi allo scontro. Ma la percezione dei cittadini in questo momento è un'altra ed è alienata dalla preoccupazione per il proprio futuro lavorativo. Non c'è connessione tra le due posizioni e lo certifica anche il report Socialcom: "I termini legati al mondo del lavoro sono utilizzati con più frequenza rispetto al termine 'fascista'. Segno che gli italiani percepiscono con maggior preoccupazione il pericolo della perdita dell’impiego, o del salario, piuttosto che una minaccia estremista". Nella classifica dei termini correlati al macro argomento "Green pass", nei primi tre posti per numero di interazioni si trovano, in quest'ordine: "vaccinare", "15 ottobre", "vaccino". Seguiti da "entrare", "Italia", "vivere", "lavorare". Il termine "fascista" è scivolato al 14esimo posto.

E proprio questa distanza è alla base di un'altra importante rilevazione effettuata da Socialcom. Tutti i politici hanno subìto un contraccolpo nel sentiment ma, come si legge nel report, "a sorprendere più di tutti è il crollo del sentimento positivo nei confronti di Maurizio Landini, leader della Cgil". In particolare, in sole 48 ore il sentimento negativo verso Landini è passato dal 50% dell’8 ottobre al 91,21% del 10 ottobre. E questo nonostante l'assalto alla sede romana del sindacato di cui Landini è segretario. Socialcom fornisce un'ipotesi per giustificare questo calo, correlato a quello di Enrico Letta: "È presumibile ipotizzare che gli utenti abbiano giudicato affrettate le conclusioni dei due relative alla matrice degli atti di violenza".

Francesca Galici

Giornalista per lavoro e per passione. Sono una sarda trapiantata in Lombardia. Amo il silenzio.

No pass, disoccupati, complottisti, centri sociali: le (molte) anime della protesta. Goffredo Buccini su Il Corriere della Sera il 14 ottobre 2021. Non solo estremisti di destra o sinistra: c’è anche chi è in povertà, chi teme il futuro, precari, rider e pensionati. Il sociologo Domenico De Masi: ci sono cinque milioni di poveri assoluti e sette di poveri relativi, una insicurezza che tracima. Come i sanfedisti d’un tempo lontano, anche i ribelli del green pass possono pensare che lassù qualcuno li ami. Carlo Maria Viganò, dopo aver tuonato in videomessaggio contro «la tirannide globale» ed essersi spinto, crocefisso al collo, a sostenere che «i camion di Bergamo contenevano poche bare» e che ai medici d’ospedale era stato «vietato di somministrare cure» anti Covid, ha benedetto i diecimila di piazza del Popolo invitandoli a recitare il Padre Nostro prima della pugna. La predica complottista del controverso monsignore ostile a Bergoglio è stata poi oscurata dall’assalto di Castellino, Fiore e dei camerati di Forza nuova contro la sede della Cgil. E tuttavia sarebbe miope derubricare a folclore antilluminista da un lato o a rigurgito neofascista dall’altro il magma ribollente che da sabato scorso a sabato prossimo ha unito e unirà, in decine di sit-in e marce, sindacati di base e antagonisti, disoccupati e camalli, camionisti, mamme spaventate e pensionati indigenti, rider e insegnanti, contro il lavoro povero, l’esclusione dalla ripresa, la precarietà, le scorie di un anno e mezzo di reclusione collettiva: un mix di rivendicazioni per un nuovo autunno caldo al quale l’obbligo di passaporto sanitario sembra fare da collante e casus belli. Siano centomila come i manifestanti delle quaranta piazze di sabato scorso o il milione in sciopero lunedì secondo le sigle di base o, ancora, siano quelli che già domani si sono dati nuovi appuntamenti di battaglia, i disagiati di questa stagione ribollente si muovono veloci e si autoconvocano sui social (quarantuno le chat e i canali Telegram censiti a settembre dagli analisti di «Baia.Tech», con circa duecentomila partecipanti). Fatte salve le buone ragioni per sciogliere un’organizzazione che pare ricadere in pieno nelle previsioni della legge Scelba, le manifestazioni successive, da Milano a Trieste, da Torino a Napoli e in mezza Italia, dicono molto altro. «Al netto della violenza, la tensione sociale e le preoccupazioni per lavoro e condizioni di vita sono oggettive», ammette Valeria Fedeli, senatrice pd dalla lunga militanza sindacale: «È un passaggio anche drammatico, con scadenze come lo stop al blocco dei licenziamenti a fine mese e la necessità di riformare gli ammortizzatori sociali. La responsabilità delle organizzazioni confederali è aumentata, le associazioni minoritarie cercano di sfruttare la situazione a loro vantaggio». Le ricorda il clima del ’77? «Con una differenza, però: stavolta abbiamo risorse di sostegno che dobbiamo fare arrivare, effettivamente, alla gente. Politica e sindacato devono controllare che avvenga».

Un carico di rancore

La sfilata di Milano sotto la Camera del Lavoro, con Cobas, Usb, neocomunisti e centri sociali che hanno strillato «i fascisti siete voi!» ai militanti della Cgil, in cordone a difesa della loro sede, ha impressionato per il carico di rancore in giornate (dopo il sabato egemonizzato da Forza nuova a Roma) che avrebbero dovuto portare solidarietà nella sinistra: pia illusione. Ai microfoni di Radio Radio (l’emittente romana cara al candidato del centrodestra capitolino Enrico Michetti), il segretario comunista Marco Rizzo (stalinista mai davvero pentito), dopo aver bastonato il Pd come «geneticamente mutato» e il green pass quale «misura discriminatoria», s’è avventurato a intravedere una «nuova strategia della tensione» (teoria peraltro rilanciata ieri alla Camera da Giorgia Meloni) che avrebbe «permesso» l’aggressione alla Cgil di Roma: «La polizia aveva tutti gli strumenti per fermare quel gruppo di persone. O hanno lasciato fare o qualcosa di peggio. Dopo quell’episodio si rafforza il governo e vengono criminalizzati i movimenti di opposizione. Si stringe sulle manifestazioni e i cortei d’autunno. Questo governo vuole la divisione del popolo perché così non si vedono 60 milioni di cartelle esattoriali che arriveranno, non si vedono le nuove norme sulla Green economy con un aumento delle bollette dell’energia». Se radicalismi di destra e sinistra s’incrociano nel complottismo, teorie di sapore antico si mescolano e si moltiplicano, oggi, tramite i moderni strumenti del mondo globale. Su Telegram i legali del Movimento Libera Scelta indottrinano chi, fra i tre milioni e passa di lavoratori sprovvisti di green pass, voglia tenere duro e chiamano allo sciopero generale per domani: «Non presentatevi al lavoro e impugnate la sanzione, il governo non ha dimostrato la persistenza dell’epidemia, si viola l’articolo 13 della Costituzione». L’avvocata Linda Corrias, citando Gandhi, invita anche «alla preghiera e al digiuno, che necessitano di dedizione e pertanto di astensione dal lavoro per essere in pienezza di grazia: questo l’informazione di regime non ve lo dirà mai».

Veri dolori e assurde paranoie

E mentre rimbalzano di post in post locandine sulle manifestazioni di domani (a Messina in piazza Antonello ore 10, a Roma in Santi Apostoli con la pasionaria Sara Cunial), Hard Lock si chiede se «qualcosa di concreto si organizzerà anche a Napoli» (dove sbucano gli immancabili neoborbonici), Michele impreca perché «le ore passano e tra poco resterò senza lavoro, Paese gestito da parassiti velenosi», si minacciano blocchi a porti, trasporti e rifornimenti, Gianluca è convinto che «ricattano i giovani con la discoteca e li spingono a vaccinarsi», e Angelo scolpisce il suo aforisma: «Non ci sono più i giovani d’una volta!». È questo insondabile minestrone di pubblico e privato, veri dolori e assurde paranoie a complicare le analisi. Perché se è ovvio che vadano presi molto sul serio gli 800 (su 950) portuali triestini i quali (cantilenando «Draghi in miniera/Bonomi in fonderia/questa la cura per l’economia») minacciano di fermare lo scalo, o i loro compagni di Genova che già hanno fermato Voltri non tanto per il green pass quanto per il contratto integrativo, una vertigine coglie chi si imbatta nella teoria del «transumanesimo» di cui Draghi sarebbe apostolo («fautore del benessere di tutti gli esseri senzienti, siano questi umani, intelligenze artificiali, animali o eventuali extraterrestri...») o nelle «rivelazioni» sulla soluzione fisiologica inoculata a Speranza in luogo del vaccino e sulla letalità dei vaccini medesimi (un caso su due su un campione di... dieci) propugnata da una dottoressa altoatesina assai contrita. Per una testa balenga di «Io Apro» finito in copertina per essersi filmato durante l’incursione nella Cgil, «si sfonda! si sfonda!», ci sono tanti gestori di bistrot, bar e ristoranti piegati da diciotto mesi di provvedimenti ballerini. Per un violento, cento violentati.

Autobiografia della nazione. Fascisti, imbecilli e il medesimo disegno populista di Meloni, Salvini e Grillo. Christian Rocca su L'Inkiesta l'11 ottobre 2021. La battaglia contro la violenza politica è urgente e necessaria. Va bene fermare i responsabili, ma non si possono trascurare le evidenti pulsioni antidemocratiche dentro le istituzioni. Resta un mistero perché i leader delle tre forze parlamentari meno repubblicane non se ne rendano conto. Sono complici o solo incapaci? I fascisti e gli imbecilli ci sono, ci sono sempre stati, adorano farsi notare, anche se raramente sono stati così visibili e rumorosi come nell’era dell’ingegnerizzazione algoritmica della stupidità di massa. I fascisti e gli imbecilli si fanno sentire sia in remoto sia in presenza, all’assalto della Cgil, nei cortei no mask, no vax, no greenpass e contro la casta, ma anche in televisione e in tre delle quattro forze politiche maggiori del paese. In termini di adesione ai principi fascisti e dell’imbecillità, non c’è alcuna differenza tra le piazze grilline e quelle dei forconi, tra i seguaci del generale Pappalardo e i neo, ex, post camerati della Meloni, tra i baluba di Pontida e i patrioti del Barone nero, tra i vaffanculo di Casaleggio e i gilet gialli di Di Maio, tra i seguaci di Orbán e quelli di Vox, tra i mozzorecchi di Bonafede e i giustizialisti quotidiani, tra i talk show complici dell’incenerimento del dibattito pubblico e gli intellettuali e i politici illusi di poter romanizzare i barbari. Si tratta del medesimo disegno populista a insaputa degli stessi protagonisti, alimentato dagli agenti internazionali del caos, facilitato dal declino americano e semplificato da una classe dirigente politica mediocre e senza scrupoli.

Negli anni Ottanta, Marco Pannella ha aperto i microfoni di Radio Radicale a chiunque avesse voglia di dire qualcosa e il risultato è stato Radio Parolaccia, una versione impresentabile dello Speaker’s corner di Hyde Park. Alla radio non sentimmo soltanto dei logorroici fuori di testa parlare di qualsiasi cosa, ma anche i portatori patologici di rabbia e risentimento, di spinte autoritarie e di nostalgie del Ventennio. Con la rivoluzione giudiziaria del 1993 e con l’idea che il sospetto fosse l’anticamera della verità, quella rabbia e quel risentimento sono diventati opinione corrente e siamo entrati nella fase embrionale dell’attuale stagione populista e antipolitica. In questi ultimi dieci anni di populismo ne abbiamo viste di ogni tipo, come neanche in un film dell’orrore, con personaggi improbabili assurti a statisti e con neo, ex e post fascisti risuscitati ma non come ai tempi in cui Berlusconi li aveva «sdoganati» dopo averli ripuliti facendogli rinnegare il fascismo, abbandonare i simboli nostalgici e omaggiare la cultura e la tradizione politica e religiosa ebraica. Adesso non c’è più bisogno di trucco e parrucco, la destra ha perso quella sottilissima patina liberale e conservatrice, libertaria in alcuni casi, ed è tornata nazionalista, reazionaria e autoritaria. La fiamma tricolore ha ripreso a scaldare i cuori e le spranghe dei militanti, lo sputtanamento è diventata la regola principale della politica e altre dottrine manganellatrici digitali si sono aggiunte a metodi più oliati e tradizionali. Giusto chiedere adesso lo scioglimento di Forza Nuova e di Casa Pound per il  tentativo di riorganizzazione del disciolto partito fascista, anche se non c’era bisogno di aspettare l’inizio di ottobre del 2021 per accorgersene. Ma non si possono considerare diversi o legittimi quei partiti presenti in Parlamento che invocano Mussolini, che si radunano con i saluti romani, che ammiccano alla marcia su Roma, che millantano di essere pronti ad aprire il Parlamento come una scatoletta del tonno, che diffondono fake news dei Savi di Trump e di Putin, che schierano la navi militari per impedire di salvare i naufraghi in mare, che si fanno dettare gli interessi nazionali da regimi autoritari non alleati, che invocano soluzioni liberticide, che pensano di lucrare politicamente sull’emergenza sanitaria, che parteggiano per il disfacimento delle istituzioni europee, che professano il superamento della democrazia rappresentativa. La battaglia contro i vecchi e i nuovi fascismi è urgente e necessaria. È una battaglia globale e non solo italiana, la vittoria di Joe Biden è stata una condizione necessaria ma non sufficiente e non basta scrivere «antifa» nella bio di Twitter per depotenziare le spinte fasciste.

Sciogliere tutte le organizzazioni antidemocratiche di vecchio e nuovo conio è auspicabile ma non è possibile, va bene cominciare con quelle più violente, ma sarebbe sufficiente intanto non legittimare chi democratico non è ed evitare che i gruppi neo fascisti si possano infiltrare nelle proteste contro i green pass per manipolare i fessi e amplificare le proprie adunate. Resta un grande mistero perché Giorgia Meloni continui ad ammiccare ai nostalgici del Duce e a omaggiare i nemici strategici dell’Italia e dell’Europa, così come perché i grillini non prendano le distanze dai no Vax e dagli antisemiti che hanno portato in Parlamento e perché Matteo Salvini non colga l’occasione di Draghi al governo per trasformare il centrodestra in una coalizione europea, presentabile, votabile. 

Una spiegazione è che si trovino a loro agio a riscrivere in eterno l’autobiografia fascista della nazione, un’altra è che siano semplicemente delle schiappe.  

I vigilanti dell’antifascismo sono come gli stalker. E la loro vittima è Giorgia Meloni. Annalisa Terranova mercoledì 6 Ottobre 2021 su Il Secolo d’Italia. Gli animi sono sovreccitati. Un po’ troppo. La sinistra crede che la destra sia già liquidata. I talk show si stanno attrezzando per la caccia al nostalgico. Ora hanno trovato un consigliere circoscrizionale di FdI a Torino che in un messaggio privato ringrazia i “camerati” che lo hanno sostenuto in campagna elettorale. Sono cose gravi, cose che allarmano, cose che devono mobilitare le coscienze. Poi ci sono quelli della redazione di Fanpage che pensano di meritare il Pulitzer. E quelli che sui social vanno facendo loro complimenti da una settimana. Sono veri ghostbusters, acchiappafantasmi, dovrebbero fare un film su questi eroi del bene. In questo impazzimento generale, occhio, possono rimproverarti di tutto. Tipo: hai votato Rachele Mussolini. Che brutto segnale. Il Paese si preoccupa, il Paese non lo meritava. Dice: ma scusate era in lista, era candidabile, era tutto ok, non è mica un reato darle la preferenza. E no caro elettore: prima di votarla dovevi dire che eri antifascista. Che so al presidente del seggio, oppure scriverlo sulla scheda, una notarella a margine: scusate, voto Rachele Mussolini ma sono antifascista eh, tranquilli. Dice: ma prima di lei è stata votata e rivotata Alessandra Mussolini. Non fa niente. Alessandra ora è una “pentita”. C’è del fascismo strisciante, signori. Occorre denunciarlo. La Meloni non lo denuncia, vergogna.  Ma chi lo dice? Lo dice un certo Andrea Scanzi. Ma anche Enrico Letta, quello che crede di avere l’Italia in pugno ed è diventato più querulo di un cardellino. E allora bisogna fare molta attenzione, perché i vigilanti dell’antifascismo sono sempre in agguato, proprio come gli stalker che non mollano la vittima un secondo. Ogni segnale, anche il più innocente, rientra nel pacchetto “fascista perfetto”. Pure se ti vesti di nero. Il look è importante. Il nero evoca lo squadrismo, non sia mai. Tutto è ormai sotto il loro controllo. Sono pervasivi, sono maestri del lessico. Meloni dice che non c’è posto per i nazisti nel suo partito? Mica basta eh. Deve dire non c’è posto per i fa-sci-sti. Se dice che è contro ogni regime totalitario vuol dire che si rifugia in un artificio dialettico. Dice: ma nella Costituzione non c’è l’obbligo di dichiararsi antifascisti. Ma stiamo scherzando? I vigilanti antifascisti non ti consentono questa osservazione. Bisogna perpetuare gli schemi del 1945 perché altrimenti la sinistra che fine fa? A che serve? Chi se la fila più? Va bene, allora condanniamo il fascismo e finalmente storicizziamo il periodo. Non l’ha già fatto Alleanza nazionale a Fiuggi? Ma siamo matti? Non si può fare. Il fascismo è eterno. Lo dice Umberto Eco. E poi certi riti di purificazione vanno ripetuti nel tempo. Tutte le “religioni” lo impongono, e quella antifascista non fa eccezione.

Dice: ma allora siete ossessionati dal fascismo. E no, non si è mai abbastanza adoratori della religione dell’antifascismo. Mica lo si fa per fanatismo, ma per essere buoni cittadini. E chi non vuole aderire a questa religione? Lasciamo stare, per loro “a Piazzale Loreto c’è sempre posto”. Dice: ma fior di storici hanno confutato la tesi crociana del fascismo come “malattia morale” degli italiani. Storici? E chi sono? Noi si guarda ai topic trend, ai troll di Putin. E’ così che la Bestia ti azzanna…Ma non si potrebbe guardare avanti? Lasciarsi alle spalle il passato? Consegnare gli odi della guerra civile alla storia? No, mica si può. E perché? Eppure lo disse un comunista, uno che si chiamava Luciano Violante. Siamo impazziti? E Saviano poi cosa scrive sui social? E Jonghi Lavarini, lo vuoi lasciare lì a ricostituire il partito fascista senza battere ciglio? I vigilanti antifascisti non ti mollano un secondo. Ti spiano i messaggi su whatsapp, già è tanto che non pretendano di guardarti in biblioteca. Ascoltano come parli, che sport fai, cosa ordini dal menu, osservano i like che hai messo sui social, e magari te ne è scappato uno a un post della cugina di tuo cognato che dava ragione a Salvini. E magari sei passato una volta nella vita vicino a Predappio. O ti sei fatto un selfie al Foro Italico (ex Foro Mussolini). E allora non c’è scampo. Il fascismo è un’infezione che ritorna come un herpes e i guardiani lo devono segnalare al primo sintomo. Guai a distrarsi. Lo fanno per tutti noi. Per renderci più democratici, per renderci migliori. Loro sono i detentori del tampone ideologico che scova il contagio. Non c’è obiezione che tenga. Lo stalking politico ti insegue ovunque. Siamo tutti sotto sorveglianza.

Antonio Rapisarda per “Libero Quotidiano” il 12 ottobre 2021. «È impossibile che Beppe, nato a Milena, abbia fatto un errore così enorme...».

E invece Peppe Provenzano, vice di Letta, lo ha detto eccome: vuole Giorgia Meloni fuori dall'arco repubblicano...

 «Uno come lui, formato alla scuola del Pci siciliano, un allievo di Emanuele Macaluso - il comunista che fece in Sicilia il governo col Msi - non può conoscere l'odio politico. Due sono le cose: o lo ha rovinato Roma o non è stato lui ad aver scritto tale follia. Ma il suo fake...».

Pietrangelo Buttafuoco, quando si parla dei suoi compatrioti di Sicilia, adotta la moratoria della polemica. Li affonda, quando il caso lo richiede, con l'ironia. La stessa cosa capita quando la fiction della politica lo costringe ad intervenire su un tema che reputa lunare come il procurato allarme chiamato "onda nera".

Prima l'inchiesta sulla fantomatica "lobby sovranista". Poi la tirata di giacchetta dopo l'assalto alla sede della Cgil, ad opera di facinorosi che nulla hanno a che fare con FdI. E mancano ancora cinque giorni al ballottaggio...

«Strategia della tensione, per tutta questa settimana saremo negli anni '70... Detto ciò, se al posto di Giorgia Meloni ci fosse Gianfranco Rotondi al 20%, in contrapposizione alla sinistra, Fanpage e Formigli avrebbero di certo approntato un reportage con un infiltrato mettendo insieme la lobby dei pedofili della Chiesa, le tangenti della neo-Dc, la Mafia e le organizzazioni clandestine inneggianti a Sbardella o a Salvo Lima...».

Si è capito che il "metodo Fanpage" non ti piace...

«No, anzi, mi piace. Peccato sprecarlo per così poco. Sarebbe stato utile un infiltrato sulla rotta della Via della Seta alle calcagna di Romano Prodi a Pechino: un bel Watergate. Così invece fa ridere: troppo olio per un cavolo...».

Che poi fa sorridere che con tutti questi presunti "neri" in azione sia sempre la sinistra ad occupare i ' posti di governo senza vincere un'elezione.

«Premessa. È perfettamente inutile vincere le elezioni se non sei nelle condizioni di poter comandare. Dal dopoguerra a oggi c'è un unico sistema di potere: che è quello guelfo. In assenza di ghibellini, i guelfi hanno preso tutte le parti in commedia: ereditando un sistema di potere che è figlio dei due fondamentali partiti, il Pci e la Dc, con un'unica metodologia, che è quella gesuitica. Ora non c'è dubbio che per fare carriera una signorina di buona famiglia debba avere la tessera del Pd: questa gli consente di avere carriere in tutti gli ambiti a prescindere da qualunque sia il risultato elettorale».

Diciamo poi che questa cospirazione sembra una copia venuta male de "Vogliamo i colonnelli" di Monicelli...

«Non Monicelli, Renzo Arbore piuttosto. Il Barone Nero su cui Formigli mobilita l'allarme nero altro non è che la prosecuzione di Catenacci in altro canale radio».

Catenacci?

«Era il personaggio interpretato da Giorgio Bracardi in Alto Gradimento, la trasmissione di Renzo Arbore. Il Barone Nero di oggi, invece, prende notorietà grazie ai microfoni de La Zanzara di Cruciani. Soltanto la malafede e la raffinata furbizia può costruire un capitolo del giornalismo su personaggi simili. Altrimenti l'ultimo Nobel lo avrebbero già dato a loro». 

Il punto è che il pueblo unido nelle redazioni sembra essersi messo in testa un obiettivo: spegnere la Fiamma. Fare del 20% di FdI una caricatura.

«Il metodo è sempre quello: o ridicolizzi o criminalizzi. Accadde col Psi di Bettino Craxi. E il berlusconismo naturalmente: c'erano le donne che venivano considerate alla stregua di puttane; il partito di plastica; "il banana" e "al Tappone". Sono cose che abbiamo già visto. È Karl Mark ad avere dato un indirizzo e un metodo: calunniate, calunniate, calunniate, qualcosa resterà. Ma poi soprattutto è una capacità di distrazione rispetto ai fatti veri».

 Si aggrappano a un saluto romano, fatto come sfottò...

«Ti confesso che chi mi ha insegnato come si fa perfettamente è Eugenio Scalfari. Ora, con questa logica da cancel culture che succede, che lo tolgono dalla gerenza del suo giornale e invece che Fondatore di Repubblica diventa Fondatore dell'Impero? C'è anche molto provincialismo in queste cose. È un'applicazione psicotica della cancel culture».

Come si risponde a questa campagna nevrotica?

«Avendo una struttura d'industria editoriale davvero autorevole, professionale e incisiva. Quelli parlano di saluti romani? E tu parlagli invece dello scandalo delle mascherine di Arcuri - cosa loro - e dei traffici in seno alla magistratura, sempre cosa loro, delle lottizzazioni in Rai, cosissima loro...».

Dimenticavo. Non si contano le esortazioni a Giorgia Meloni da parte dei soliti noti: devi fare come Fini. Ossia, per dirla con la critica di Tarchi, rinnegare senza elaborare...

«Ha ragione Tarchi ma questa formulazione retorica - devi fare, devi fare - è l'estremo collante della malafede italiana. Finirà quando Meloni non diventerà più "pericolosa" per il sistema di potere. L'argomento disarmante è quello che ha usato lei stessa: Rachele Mussolini che prende i voti è pericolosa. Alessandra Mussolini, la sorella, che invece è a favore del ddl Zan è meravigliosa. Nel frattempo ti buttano nel '900 con l'aiuto dell'arbitro: perché sanno che quando tu subirai fallo - grazie agli utili idioti sempre presenti - l'arbitro chiuderà un occhio sì, ma per l'altro». 

Questa caccia alle streghe durerà fino alle Politiche. Cosa deve fare la destra per scansare la trappola?

«Misurarsi con la realtà. Come dice sempre Giancarlo Giorgetti "quando sei all'opposizione devi approfittarne per studiare e per farti trovare pronto". L'unica cosa da fare è quella di avere una prospettiva... uscire fuori dalla pesca delle occasioni». 

FdI al 20% non sembra frutto del caso.

«È il 20% di Giorgia Meloni, non di FdI. La vera scommessa è costruire un progetto politico, non un partito». 

La sinistra, invece, continuerà a sperare politicamente - come scrivesti più di dieci anni fa - di cavasela con un "fascista"...

«Tutti quelli che fanno professione d'antifascismo in assenza di fascismo, oggi - compresi tanti degli attuali vertici di potere - hanno l'aria e la faccia di quelli che, ieri, in presenza di fascismo, se ne sarebbero stati in orbace, fascistissimi. E già li vedi: gli scrittori sinceramente democratici reclutati nei Littoriali, gli attori dell'impegno al seguito di Vittorio Mussolini, il Corriere della Sera in camicia nera e con Otto e Mezzo - ogni sera - a segnare l'ora del destino»!

Il solito vizietto della sinistra: l'allarme fascismo scatta alla vigilia di ogni elezione. Francesco Giubilei il 13 Ottobre 2021 su Il Giornale. ​A volte ritornano. O, per meglio dire, ci sono parole d'ordine e una retorica che non è mai scomparsa ma semmai sopita in attesa di essere utilizzata alla miglior occasione che, guarda caso, coincide con l'avvicinarsi di importanti scadenze elettorali. A volte ritornano. O, per meglio dire, ci sono parole d'ordine e una retorica che non è mai scomparsa ma semmai sopita in attesa di essere utilizzata alla miglior occasione che, guarda caso, coincide con l'avvicinarsi di importanti scadenze elettorali. Siano elezioni politiche, regionali o amministrative, le accuse della sinistra al centrodestra di essere fascista o di strizzare l'occhio al fascismo, tornano in auge e le elezioni di questi giorni non sono da meno. Poco importa se la coalizione di centrodestra non abbia nulla a che fare e abbia preso le distanze in modo netto dall'attacco alla Cgil e da Forza Nuova, la retorica della destra fascista è dura a morire ed è funzionale agli scopi politici della sinistra. D'altro canto, come sottolinea la trasmissione Quarta Repubblica, le tempistiche degli ultimi giorni sono quantomeno sospette: a poche ore dal voto è uscita l'inchiesta di Fanpage, la settimana successiva è stata mandata in onda la seconda puntata fino ai fatti di Roma in cui c'è stata un'evidente falla nella sicurezza. Il pericolo fascista evocato da più parti torna con cadenza ciclica nonostante i leader del centrodestra si siano espressi con chiarezza contro ogni forma di estremismo e violenza. Basta scorrere le cronache degli ultimi trent'anni per rendersi conto di come lo spauracchio fascista sia utilizzato dalla sinistra con finalità politiche ed elettorali. Vale la pena rileggere la prima pagina de l'Unità del 12 settembre 2003 che titola a carattere cubitali «Berlusconi come Mussolini». Sin dalla sua discesa in campo, Berlusconi si è dovuto difendere dalle accuse di fascismo nonostante la sua estrazione liberale, in particolare per l'alleanza con An. Così, mentre Gustavo Zagrebelsky nel 1994 affermava «c'è il rischio di un nuovo regime», Berlusconi rispondeva «Fascismo? L'ho già condannato, i pericoli sono altri». Una condanna non sufficiente visto che nel 2009 il vicedirettore de l'Unità firmava un editoriale dal titolo emblematico: «Il fascista di Arcore». Nonostante la svolta di Fiuggi e la lezione di Pinuccio Tatarella di allargare la destra fondando Alleanza Nazionale, Giorgio Bocca, intervistato su l'Unità, bollava il nuovo partito come composto da «veri fascisti». A poco sono servite le parole di Gianfranco Fini nel 2003 sul «fascismo male assoluto» che fecero tanto discutere e, se oggi Fini è riabilitato dalla sinistra per attaccare gli attuali leader del centrodestra, al tempo le accuse ad An di essere un partito neofascista erano quotidiane. Più o meno lo stesso che accade a Fdi nonostante Giorgia Meloni, già nel 2016, alla domanda di Lucia Annunziata «lei è fascista?», avesse risposto: «Io sono di destra. Sono nata nel 1977, quindi mai stata fascista». Non è andata meglio alla Lega e, se le dichiarazioni contro Salvini si sprecano, già nel 2005, l'allora parlamentare socialista Ugo Intini, intervistato su l'Unità, affermava: «gli estremismi di Pontida sono di tutto il Polo» aggiungendo «il fascismo leghista è sottovalutato». Gli attacchi peggiori a Salvini avvengono proprio nelle settimane precedenti le elezioni come nel caso delle europee del 2019 quando Furio Colombo dichiarava: «Salvini fascista, ma nega come facevano i mafiosi», stessa accusa rivolta dal fotografo Oliviero Toscani, mentre a inizio 2019 lo storico Luciano Canfora a l'Espresso sosteneva «Matteo Salvini alimenta la mentalità fascista». Ma c'è chi, come lo scrittore Claudio Gatti, si è spinto oltre intitolando un suo libro I demoni di Salvini. I postnazisti e la Lega. Un modus operandi utilizzato anche in occasione delle elezioni del 2018 e testimoniato da un articolo di Annalisa Camilli del 5 febbraio 2018 su Internazionale intitolato «Da Fermo a Macerata, la vera emergenza è il fascismo». Come se non bastassero i media nostrani, anche il New York Times, a poche settimane dalle politiche, denunciava il rischio di «antieuropeismo e ritorno al fascismo». Ripercorrendo questi episodi, viene da chiedersi se non esista un altro problema nel nostro paese: una sinistra incapace di accettare un confronto democratico con il centrodestra senza dover in ogni occasione attualizzare un clima da guerra civile polarizzando il dibattito e accusando di fascismo anche chi non ha nulla a che fare con violenti ed estremisti e, pur riconoscendosi nei valori democratici, non si definisce di sinistra.

FRANCESCO GIUBILEI, editore di Historica e Giubilei Regnani, professore all’Università Giustino Fortunato di Benevento e Presidente della Fondazione Tatarella. Collabora con “Il Giornale” e ha pubblicato otto libri (tradotti negli Stati Uniti, in Serbia e in Ungheria), l’ultimo Conservare la natura. Perché l’ambiente è un tema caro alla destra e ai conservatori. Nel 2017 ha fondato l’associazione Nazione Futura, membro del comitato scientifico di alcune fondazioni, fa parte degli Aspen Junior Fellows. È stato inserito da “Forbes” tra i 100 giovani under 30 più i 

Smascherata l'ipocrisia della sinistra: "Quando Fn li faceva vincere..." Francesco Boezi il 12 Ottobre 2021 su Il Giornale. Storace ricorda quando, con Forza Nuova sulla scheda, il centrodestra perse voti. E sulla fiamma nel simbolo rammenta la parabola di Fini. É un Francesco Storace in vena di ricordi quello che ha commentato le recenti vicende riguardanti Forza Nuova e la relativa mozione di scioglimento dell'organizzazione estremista avanzata da parte del Partito Democratico. Storace ha infatti elencato una serie di circostanze in cui, la presenza del partito di Roberto Fiore sulle schede elettorali, ha a parer suo penalizzato la destra parlamentare, contribuendo ad una dispersione di voti che è servita al centrosinistra per trionfare in determinati appuntamenti elettivi. La prima riflessione del vicedirettore de Il Tempo, però, è dedicata all'accomunare la destra in generale:"La gravità del comportamento politico della sinistra - ha fatto presente l'ex presidente della Regione Lazio - è voler assimilare chi ha fatto violenze a una comunità che le violenze le subisce. Mentre parliamo, in questi mesi si sono accumulate azioni criminali contro FdI, Lega e addirittura il sindacato Ugl, senza che nessuno abbia condannato o si sia sognato di sciogliere le organizzazioni di sinistra". Insomma, la destra che siede in Parlamento sarebbe la prima vittima delle violenze. E l'associazione con Forza Nuova sarebbe unicamente strumentale. Poi l'ex Alleanza Nazionale, che è stato sentito in merito dall'Agi, presenta un excursus sui rapporti tra la destra di governo ed i microcosmi posizionati sul lato dell'estremismo ideologico: "È evidente - ha continuato l'ex leader laziale - che c’è la strumentalità. Chi conosce la destra sa che c’è sempre stato fin dai tempi del Msi uno spartiacque tra i partiti e le formazioni extraparlamentari. Ci sono state occasioni di contatto - ha ammesso - ma mai sulla pratica della violenza, e comunque si è trattato di occasioni contingenti. Si vuol far partire una sorta di abiura per un’operazione politica di parte". Quindi Forza Nuova e Fratelli d'Italia, ad esempio, sono due universi ben distanti, pure per via del pregresso. A questo punto, arriva il passaggio sulle sconfitte subite, secondo Storace, pure per via di Forza Nuova: "Fiore e Casapound - ha ricordato alla fonte sopracitata - li ho avuti contro alle Regionali, quando correvo contro Zingaretti ma all’epoca la sinistra non insorgeva perchè toglievano i voti a me. Nel 2005 stessa storia, con la Mussolini, che fece vincere Marrazzo". Due episodi precisi in cui il centrodestra non è riuscito ad affermarsi pure a causa dei voti andati a finire tra le sacche di Forza Nuova e dintorni. Sulla mozione di scioglimento, peraltro, l'ex vertice di An segnala la mancata unità persino tra gli esponenti della sinistra, citando Stefano Fassina: "Ho letto le sue affermazioni e ha ragione: se la mozione sullo scioglimento di Forza Nuova venisse votata solo dalla sinistra, vorrebbe dire che solo quella parte è depositaria di valori come la democrazia". E ancora: "Tutto appare quindi strumentale, in campagna elettorale. Addirittura è stata indetta una manifestazione sindacale durante il silenzio elettorale. Che ci andrebbero a fare Salvini e la Meloni, a prendersi i fischi?". Dunque la manifestazione antifascista annunciata sarebbe, in buona sostanza, una trappola. C'è, infine, chi ha attaccato Giorgia Meloni per via della presenza della fiamma nel simbolo del partito che presiede. Ebbene, Storace ha ancora pescato dalla memoria, rammentando a tutti come la vicenda non sia proprio una novità, per usare un eufemismo: "Ebbene - ha detto riferendosi a Gianfranco Fini - lui è andato al governo nel 1994 come ultimo segretario del Msi, è stato vicepresidente del Consiglio, ministro degli Esteri e presidente della Camera, e nessuno gli ha mai rinfacciato la Fiamma tricolore. Addirittura Mirko Tremaglia - ha chiosato Storace - ex-combattente della Rsi, è stato ministro. Punire violenza d’accordo, ma che c’entra con l’abiura".

Francesco Boezi. Sono nato a Roma il 30 ottobre del 1989, ma sono cresciuto ad Alatri, in Ciociaria. Oggi vivo in Lombardia. Sono laureato in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali presso la Sapienza di Roma. A ilGiornale.it dal gennaio del 2017, mi occupo e scrivo soprattutto di Vaticano, ma tento spesso delle sortite sulle pagine di politica interna. Per InsideOver seguo per lo più le competizioni elettorali e

Quei fantasmi del Novecento. Vittorio Macioce il 12 Ottobre 2021 su Il Giornale. Rare tracce di Novecento. Non basta un nome per essere democratici. Il Pd chiede alla Meloni la patente di antifascismo, ma con una manciata di parole avvelena la politica italiana. Rare tracce di Novecento. Non basta un nome per essere democratici. Il Pd chiede alla Meloni la patente di antifascismo, ma con una manciata di parole avvelena la politica italiana: evoca l'ostracismo contro l'avversario parlamentare. Non lo riconosce e lo indica come nemico. A tracciare la linea è Giuseppe Provenzano, ex ministro del governo Conte e soprattutto vice segretario del Partito democratico. Dice Provenzano: «L'ambiguità della Meloni la pone inevitabilmente fuori dall'arco democratico e repubblicano». È un foglio di via. Alla base di questo discorso ci sono gli squadristi di Forza Nuova, un movimento che si definisce fascista e da tempo sguazza nel caos e nella paura. Sono perfetti per il ruolo e si godono il quarto d'ora di celebrità. Non si preoccupano più di tanto di essere messi fuori legge. È quello che in fondo aspettano da tempo. È la loro reale legittimazione. È il segno che la democrazia li teme, li porta al centro del discorso, dentro la storia. Non sono mai stati così centrali. L'assalto alla sede dalla Cgil, violento e vergognoso, sembra una citazione del «biennio rosso», vecchia un secolo. È il teatro delle camicie nere. L'obiettivo è spargere pezzi di Novecento per sentirsi protagonisti. È prendere i fantasmi, le questioni irrisolte, e incarnarli nelle nostre paure, vomitando vecchie parole d'ordine e nuovi razzismi. E sono furbi, perché ottengono le contromosse sperate. Al Novecento si risponde con il Novecento e ci si impantana nel passato, riesumandolo, scommettendo sull'eterna roulette del rosso e del nero. Come disarmare Forza Nuova? La strada più diretta è punirli per quello che fanno: la violenza è un reato. Non sottovalutarli, ma neppure farli diventare i protagonisti di una campagna elettorale. Non giocare questa partita per conquistare Roma. Non sciogliere Forza Nuova solo per colpire la Meloni. Il rischio è fare danni, perché delegittimi l'opposizione e disconosci più o meno il 18 per cento degli elettori. Non è un bene per nessuno. Se la Meloni è fascista allora tutto torna in discussione. È fascista un ex ministro. È fascista un partito che sta in Parlamento e partecipa alla vita democratica. È fascista il presidente dei conservatori europei e sono fascisti i suoi alleati. È fascista chi la vota. Davvero il Pd è pronto a sottoscrivere tutto questo? Non c'è democrazia se un solo partito concede patenti di legittimità a tutti gli altri. E questo perfino Enrico Letta e Giuseppe Provenzano, forse, lo sanno. Il buon senso è quello di Mattarella: «Il turbamento è forte, la preoccupazione no. Si è trattato di fenomeni limitati». Vittorio Macioce

L'aria che tira, Guido Crosetto gela Fiano: "Per fortuna che sono un ex democristiano, altrimenti..." Libero Quotidiano il 12 ottobre 2021. Ora tocca a Giorgia Meloni. Ospite di Myrta Merlino a L'aria che tira, Guido Crosetto, fondatore di Fratelli d'Italia, riflette sulla "strategia" contro FdI messa in atto anche da esponenti ufficiali del Pd come Beppe Provenzano. "Un classico di ogni campagna elettorale - spiega Crosetto -. Ma è un tema che deve porsi innanzitutto la Meloni: deve togliere queste frecce dalle mani dei suoi avversari, che alla fine non la fanno parlare delle sue proposte e la costringono a difendersi". Dietro l'onda di indignazione "a comando" che si sta riversando sulla Meloni per effetto dell'inchiesta Lobby nera di Fanpage e Piazzapulita prima e delle violenze di piazza dei No Green pass di sabato scorso a Roma (e frettolosamente spedite nel "campo" della Meloni, secondo Crosetto però c'è una buona dose di strumentalizzazione politica. E a Emanuele Fiano, big democratico anche lui in collegamento con La7, forse fischieranno le orecchie. "Parlate di Fratelli d'Italia come un partito nato ieri da quello Nazista - sottolinea Crosetto in collegamento -. Il percorso di Giorgia Meloni è passato attraverso la svolta di Fiuggi, non ha mai avuto legami col fascismo. Ricordo che La Russa è stato ministro della Difesa e non ha invaso Libia ed Etiopia, che anche la Meloni è stata ministra...". Qualora non bastasse questo elenco, arriva l'ironia amara di Crosetto: quelli di Fratelli d'Italia "sono gli avversari principali di Forza Nuova o degli elementi estremistici di destra. Fossi in loro mi sentirei offeso di questa necessità di chiedere patenti di democrazia a persone che sono sempre state democratiche. Io ho la fortuna di essere stato democristiano, altrimenti pelato così chissà cosa mi direbbero...". Qualcuno ride di fronte a questa battuta, ma la situazione è decisamente deprimente.

Ecco chi sono i veri violenti: estremisti rossi e anarchici. Lo dice lo studio Ue. Chiara Giannini il 13 Ottobre 2021 su Il Giornale. I dati del rapporto sul terrorismo: nel 2020 mai attacchi da destra. L'Italia è il Paese più colpito dagli assalti degli ultrà di sinistra. I partiti di sinistra chiedono di sciogliere Forza Nuova e tutte le realtà legate al neofascismo, ma la realtà è che la maggior parte degli attacchi terroristici non di matrice jihadista avvenuti negli ultimi anni in Europa e in Italia sono stati messi in atto da gruppi di estrema sinistra o anarco-insurrezionalisti. La conferma arriva dalla pubblicazione del report annuale Te-Sat (Terrorism situation and trend report 2021) che riporta come nel corso del 2020 gli attacchi di tipo terroristico avvenuti in Europa sono stati 422. Di questi 314 sono attribuibili a jihadisti e 48 a gruppi di estrema sinistra. In Italia lo scorso anno non si è avuto alcun episodio terroristico legato all'estrema destra, mentre 23 sono stati i casi di attacchi da parte dei gruppi anarco-insurrezionalisti o similari. Basti ricordare i cortei violenti di Torino, l'attacco ai cantieri Tav e molti altri episodi che quando si tratta di attaccare tutto ciò che è di destra magicamente scompaiono dai ricordi degli esponenti di sinistra. Nel rapporto 2021 dell'osservatorio ReAct sul radicalismo e il contrasto al terrorismo si specifica che «gli attacchi terroristici perpetrati da gruppi di estrema sinistra e anarco-insurrezionalisti nel 2018 in Europa - 19 eventi, di cui 13 in Italia - si situano al secondo posto dopo quelli di matrice jihadista - 24 azioni con 13 morti. Nel complesso si impone l'inconsistenza degli attacchi attribuiti a gruppi di estrema destra, storicamente marginali nelle statistiche del terrorismo in Europa: un solo evento nel 2018, a fronte dei 5 del 2017». Si chiarisce anche che l'Italia «nella graduatoria europea, è il Paese più colpito da attacchi di estrema sinistra: il 70% di tutti gli attacchi in Europa». Claudio Bertolotti, direttore di Start InSight e dell'Osservatorio ReaCt, specifica: «La pandemia da Covid-19 ha avuto effetti rilevanti sulla società, andando ad alimentare e a fomentare forme di disagio sociale latente che sono presto esplose. Un fenomeno sommerso che si diffonde e consolida con le chat di Telegram, di Signal o con la diffusione di video e notizie false attraverso altri social. E sono proprio le notizie false, spesso associate a fittizi studi scientifici o informatori anonimi, che alimentano il fenomeno di un sempre più pericoloso e diffuso fenomeno cospirazionista». Peraltro sempre più ampio e tutt'altro che imprevedibile. «Questo - dice ancora - accomuna per le strategie operative e le metodologie comunicative sia gli ambienti di estrema destra che quelli di estrema sinistra, come dimostrano i numerosi episodi di violenza, anche in Italia, nelle manifestazioni del 9 ottobre che richiamano alla memoria gli episodi di violenza insurrezionale alimentata dall'ideologia di QAnon dello scorso 6 gennaio a Washington e alle immagini evocative che sono giunte da Capitol Hill». Bertolotti chiarisce che «l'estremismo violento di destra si sta evolvendo in un fenomeno transnazionale, mentre sviluppa una preoccupante relazione simbiotica e una stretta interdipendenza con l'estremismo di matrice islamista e si pone in un rapporto di competizione collaborativa, condividendone alcune ragioni di fondo (in particolare l'opposizione all'imposizione da parte dello Stato di regole e presidi sanitari, recepiti come minaccia alla libertà), con la violenza della sinistra estrema e dei movimenti anarco-insurrezionalisti. Un'evoluzione che avviene attraverso il comune terreno dell'ideologia No vax e, ora, No green pass».

Chiara Giannini. Livornese, ma nata a Pisa e di adozione romana, classe 1974. Sono convinta che il giornalismo sia una malattia da cui non si può guarire, ma che si aggrava con il passare del tempo. Ho iniziato a scrivere a cinque anni e ho solcato la soglia della prima redazione ben prima della laurea. Inviata di guerra per passione, convinta che i fatti si possano descrivere solo guardandoli dritti negli occhi. Ho raccontato l’Afghanistan in tutte le sue sfumature e nel 2014 ho rischiato di perdere la vita in un attentato sulla Ring Road, tra Herat e Shindand. Alla fine ci sono tornata 13 volte, perché quando fai parte di una storia non ne esci più. Ho fatto reportage sulle missioni in Iraq, Libano, Kosovo, il confine libico-tunisino ai tempi della Primavera araba e della morte di Gheddafi e sull’addestramento degli astronauti a Star City (Russia). Sono scampata all’agguato di scafisti a Ben Guerdane, di ritorno da Zarzis, tre le poche a documentare la partenza dil barconi. Ho scritto due libri: “Come la sabbia di Herat” e l’intervista al leader della Lega, dal titolo “Io sono Matteo Salvini”, entrambi per Altaforte. Sono convinta che nella vita contino solo due cose: la verità e la libertà. Vivo per raccontare il mondo, ma è sempre bello, poi, tornare a casa e prendere in mano un giornale e rileggere il tuo articolo. 

Altro che galassia fascista. Le chat No Vax inneggiano alle Br. Francesca Galici il 12 Ottobre 2021 su Il Giornale. Gli scontri di Roma e Milano sono stati solo "un'anteprima": i no pass alzano il tiro e minacciano azioni sempre più violente in vista del 15 ottobre. I no pass non si arrendono e dopo gli scontri di Roma lo dicono chiaro e tondo nelle ormai celebri chat su Telegram: "Sabato 9 ottobre è stata solo un'anteprima". Annunciano un crescendo di tensioni nelle città italiane per arrivare al 15 ottobre quando, dicono, "sarà guerrà". Il Viminale si sta organizzando per scongiurare altre piazze calde come quelle di Roma e di Milano dello scorso weekend, si stanno predisponendo controlli serrati e strette sulle manifestazioni ma dall'altra parte non sembrano intenzionati ad arrendersi, alzi, considerano le azioni del governo come una sfida nei loro confronti. "Che guerra sia, per come si stanno muovendo le cose", dicono spavaldi facendosi forza gli uni con gli altri. Al momento, nei gruppi Telegram e su Facebook si stanno organizzando per scendere in piazza dal 15 ottobre, giorno in cui il Green pass diventerà obbligatorio per tutti i lavoratori. Vogliono manifestare a oltranza e il 19 ottobre pare sia in programma un "girotondo" a Montecitorio. Sono tanti quelli che spingono per la protesta pacifica ma quelli che, invece, vogliono arrivare allo scontro frontale non sono certo pochi. "Gli devi tirare le bombe a questi per capire come si lotta", si legge scorrendo nei loro discorsi, spesso deliranti, che inneggiano alle "bombe a mano per i poliziotti antisommossa". I due grandi cortei di sabato 9 si sono svolti a Milano e a Roma. In entrambe le città i manifestanti e le forze dell'ordine sono arrivati allo scontro ma è nella Capitale che la lotta si è fatta più dura. "La prossima volta non ci troverete a mani nude", minacciano i no pass violenti, come se a Roma non siano state lanciate bombe carta nei pressi di Montecitorio. E sono proprio i palazzi di piazza Colonna l'obiettivo di parte dei manifestanti, che nelle loro intenzioni vorrebbero occupare palazzo Chigi e il parlamento per spingere i politici al passo indietro. "Prendete i Palazzi", "Draghi, ti veniamo a prendere sotto casa", si legge ancora. Ma gli obiettivi sono molto più ampi, perché l'auspicio di qualcuno è che "brucino in piazza tutti quei criminali". Ma la strategia sembra più complessa di quello che non appare limitandosi a leggere questi discorsi, perché scorrendo nelle chat si intuisce che i fronti sui quali vogliono combattere sono molteplici e non si fanno scrupoli nel portare in piazza i più deboli da utilizzare come scudi umani davanti alle forze dell'ordine. "Ma se mettiamo anziani e bambini davanti alle manifestazioni, che faranno?", si domanda qualcuno. Il popolo dei "pronti a tutto", come si definiscono in alcuni scambi di vedute, ha principalmente tre obiettivi: la politica, la stampa e le forze dell'ordine. I giornalisti vengono definiti "servi del potere", "schiavi della dittatura" ed ecco che arrivano anche le proposte di "sfasciare" le redazioni perché "dicono una marea di cazzate", oppure di "occupare le emittenti tv". Ai manifestanti di Milano è stato chiesto di andare a Mediaset e alla Rai e i giornalisti, come si è visto sabato 9 ottobre, hanno rischiato in più di un'occasione di essere aggrediti dai manifestanti mentre documentavano gli scontri. E così, tra chi incita alla violenza al grido di "speriamo di bruciarli tutti", ci sono anche i nostalgici, non solo quelli neri, che rimpiangono gli anni di piombo: "Purtroppo non ci sono più le Br". E ci sono anche gli irriducibili dei primi Duemila: "Sono qui, no Global 100%, insieme a molti altri. Combattevo allora per diritti di altri che sono nati in altri Paesi, oggi combatto per il mio, dove i diritti sono stati corrotti e negoziati per Big pharma. Ora come oggi mi oppongo allo strapotere delle multinazionali. Di black block non voglio sentir parlare". Nelle chat le minacce non sono più troppo velate e nemmeno la consapevolezza che i gruppi siano strettamente attenzionati dalle forze dell'ordine che, nello svolgimento del loro lavoro, controllano le frange più eversive funziona come deterrente. "Guardarli in faccia e poi aspettarli sotto casa... Vedi come gli passa", è la promessa fatta ai poliziotti, ai politici e ai giornalisti.

Francesca Galici. Giornalista per lavoro e per passione. Sono una sarda trapiantata in Lombardia. Amo il silenzio. 

Landini vittima di se stesso: suoi gli slogan più feroci contro il green pass. Laura Cesaretti il 13 Ottobre 2021 su Il Giornale. È stato il leader Cgil ad aizzare il popolo No Vax: "Non si può pagare per lavorare". E anche il ministro Orlando l'ha bacchettato: "Ambiguo". La nemesi, a volte: «Non si può pagare per lavorare», era lo slogan più ripetuto per eccitare le caotiche piazze novax che manifestavano contro il Green Pass obbligatorio. Compresa la piazza di Roma, quella che ha prodotto l'assalto teppistico dei manifestanti, guidati da neofascisti noti alle cronache giudiziarie della Capitale, alla sede della Cgil. Peccato che l'inventore del fortunato slogan fosse proprio il padrone di casa, Maurizio Landini, che per settimane lo ha ripetuto in ogni microfono a sua disposizione, guidando una bellicosa resistenza alla decisione del governo Draghi di introdurre l'obbligo di vaccino o tampone per accedere ai luoghi di lavoro e di socialità. «Il lavoro è un diritto - era il suo ragionamento - non può esistere che si debba pagare per poter entrare in fabbrica o in ufficio». Una questione di principio, per Landini, che (siamo a metà settembre) sfidava Draghi: «Il governo non ha saputo prendere la decisione dell'obbligo vaccinale per le sue divisioni interne, abbia il coraggio di dirlo. Hanno fatto tutto senza consultarci, come sempre, e ora pretendono che a pagare siano i lavoratori». La soluzione proposta dal leader sindacale era la stessa escogitata ora da Beppe Grillo: tamponi gratis (ossia a spese dei «padroni» e dei contribuenti vaccinati) per i novax: «Il costo non può essere a carico del lavoratore: siano le aziende, con l'aiuto dello Stato, a sostenere le spese per garantire a tutti il diritto di lavorare». Rivendicazioni simili a quelle arrivate dai tumulti no-green pass, in sostanza. È una classica vicenda da apprendisti stregoni, che prima invocano e animano la sarabanda, e poi ne rimangono vittime. Prova ne sia il fatto che non sono stati solo gli squadristi di Forza Nuova a prendersela col capo della Cgil, ma anche il fronte uguale e contrario della «protesta rossa»: dai Cobas a Rifondazione comunista, passando per centri sociali e studenti di sinistra, che hanno bersagliato Landini e la Cgil, che ha contestato prima ma non impedito poi l'introduzione del pass, a suon di «venduti» e «servi dei padroni». Che la posizione iniziale di Landini sia stata ambigua lo ha riconosciuto anche il ministro del Lavoro Andrea Orlando: «Si è illuso, secondo me sbagliando, che l'obbligo vaccinale gli risparmiasse la gestione dei conflitti sui luoghi di lavoro: credo sia stata una scelta errata». E non è un caso che, dopo l'assalto novax alla Cgil, Landini abbia un po' pattinato sui fatti, negando l'evidenza: «L'attacco squadrista non c'entra nulla con il Green Pass», ha sostenuto. «È stato un assalto contro il mondo del lavoro e il sindacato». E subito ha convocato una manifestazione pro-Cgil (da tenere, certo del tutto casualmente, alla vigilia dei ballottaggi) con parole d'ordine sufficientemente vaghe da non entrare minimamente nel merito delle agitazioni degenerate in vandalismo: «Per il lavoro e la democrazia». Vaste programme, avrebbe detto il generale De Gaulle. Ma non un fiato contro i novax del no-green pass. Laura Cesaretti 

I disordini, i terribili giorni del Quirinale e le Porte dell'Inferno. Piccole Note l'11 ottobre 2021. “Né con lo Stato né con i No Vax è un lusso che nessuno può concedersi”. Così Michele Serra sulla Repubblica (vedi Dagospia) a commento delle recenti violenze di piazza. L’azione degli estremisti di destra, che è riuscita a dirottare una manifestazione contro il Green pass su lidi violenti e contro la sede della Cgil, si è così realizzata con successo, avendo conseguito il risultato di criminalizzare la resistenza a un’iniziativa politica discutibile e che si vuole indiscutibile. Ciò non perché lo scriva il povero Serra, ma perché egli dà voce alla narrativa che va consolidandosi e che porta in tale direzione. Gli estremi, al solito, fanno il gioco del potere, anzi ne sono utilizzati, una pratica che l’Italia conosce dai tempi della strategia della tensione. Ma allora occorreva cercare i manovratori dei fili – i Burattinai, come da titolo di un interessante libro di Philip Willan, cronista inglese e quindi più libero di altri – oltre i nostri confini, come ad esempio la scuola parigina di lingue Hyperion, frequentata da Mario Moretti e Corrado Simioni, alti funzionari della macchina del Terrore. Oggi le scuole dove si intrecciano tali indebiti rapporti sembrano essere più prossime, dato che quelle che un tempo erano infiltrazioni negli apparati dello Stato e nella politica hanno ormai rotto gli argini e dilagato. Peraltro, la funzionalità al potere di tali frange estreme la denota l’obiettivo delle violenze: la sede della Cgil, che nulla ha a che vedere con l’introduzione del green pass. Si restringono così i già esigui spazi di resistenza al provvedimento, diventato, agli occhi di tanti, un simbolo di un’asserita deriva autoritaria, nonostante forse tale deriva si concretizzi in altro e ben più stringente (anche se un pass per lavorare, in una Repubblica democratica fondata sul lavoro, così il primo articolo della Costituzione, lascia ovviamente perplessi). In realtà, reputare che il green pass sia un mezzo di controllo dei cittadini, almeno al momento e in tali forme, appare tema controverso, per il fatto che, ad esempio, tale controllo si verifica da tempo e in modo ben più capillare attraverso la rete e l’intelligenza artificiale che la scandaglia a strascico a uso e consumo del potere reale.

Certo, il pass è un simbolo, ma la guerra ai simboli rischia di diventare anch’essa simbolica, cioè distaccata dal reale e, come tale, si presta alle strumentalizzazioni del caso. Il potere, quello reale, vive di simboli, e nella dialettica simbolica si rafforza. Servirebbe un singulto di realismo, ma sembra ormai troppo tardi, dato che l’Italia è stata consegnata, e si è consegnata, a certo potere transnazionale, con la politica inerme o funzionale a esso (ma meglio gli inermi, ovviamente). Da questo punto di vista, le elezioni amministrative sembrano aver confermato tale deriva: non per nulla, all’indomani di queste, Dagospia, l’ultimo media italiano e come tale organo ufficiale del potere reale (con labili spazi alternativi), dichiarava con enfasi: “Ha vinto Draghi”. E ciò non tanto per la vittoria del cosiddetto centro-sinistra (che di sinistra non ha più nulla) nelle città più importanti, un risultato che dopo i disordini di sabato sembra doversi confermare nel secondo turno romano – dove tale vittoria era più che probabile, ma non certa -, quanto per la stretta che il potere ha operato in questa occasione, come confermato dai disordini in oggetto. Da questo punto di vista, per tornare nel campo dei simboli, come il crollo del ponte Morandi ha salutato, con saluto nefasto, l’intemerata sfida al potere reale posta, nonostante le tante ambiguità, dal cosiddetto governo giallo-verde, le fiamme che hanno divorato il ponte di ferro di Roma sembrano inaugurare una nuova stagione italica. Una stagione che vede aprirsi i terribili giorni del Quirinale, come ebbe a definirli l’ex presidente Francesco Cossiga al momento di dimettersi prima della scadenza naturale del suo mandato. Giorni che, in maniera simbolica, si aprono con una mostra realizzata presso le Scuderie del Quirinale, dedicata all’Inferno, con i visitatori che verranno accolti al loro ingresso, come recita la guida, dall’opera di Rodin “Le porte dell’Inferno“. In realtà, si tratta di una celebrazione in onore di Dante, nella quale le artistiche evocazioni infernali vanno a concludersi col noto finale della sua Commedia divina, cioè con “e quindi uscimmo a riveder le stelle”. Conclusione di una commedia, appunto, che, come tale, ha il lieto fine ascritto nella sua essenza. Nel caso italico, che più che commedia appare tragedia, tale conclusione resta tutta da vedere.

Alessandro Sallusti, tra le spranghe di Forza Nuova e le parole del Pd non vedo grande differenza. Alessandro Sallusti su Libero Quotidiano il 12 ottobre 2021. È vero, la democrazia è in pericolo. Ma non perché quattro pregiudicati di estrema destra hanno trascinato qualche decina di idioti a sfasciare una sede della Cgil, tanto è vero che sono stati arrestati e denunciati. No, la democrazia è più in pericolo perché ieri il vicesegretario del Pd ed ex ministro per il Mezzogiorno, Giuseppe Provenzano, ha buttato lì l'idea di chiudere per legge Fratelli d'Italia, unico partito democratico di opposizione di questo Paese, oltre che di governo in quasi tutte le più importanti regioni italiane senza che ciò provochi alcun turbamento democratico. Tra le spranghe di Fiore, leader di Forza Nuova a capo dell'assalto alla Cgil, e le parole di Provenzano non vedo una grande differenza: l'avversario va distrutto materialmente con la forza dei bastoni o con quella della legge. C'è però una differenza non da poco: quelli di Forza Nuova vivono ai margini della società e oggi sono in galera, Provenzano e quelli come lui siedono in Parlamento. Ricordate il teorema secondo il quale "Berlusconi non è legittimato a governare" espresso più volte dalla sinistra (anche giudiziaria) nonostante gli oltre dieci milioni di voti raccolti ad ogni elezione? Ecco, ci risiamo. In Italia o sei di sinistra - e allora i conti con la storia e con le tue frange estreme puoi non doverli fare - oppure sei fuori dall'arco costituzionale a prescindere. Altro che fascismo, questa è la peggiore forma di totalitarismo perché non dichiarata, subdola. Ci fu un momento nella storia recente d'Italia - primi anni Settanta - in cui il Pci e i sindacati furono, loro sì, se non collaterali almeno omertosi e quindi protettivi nei confronti del nascente terrorismo rosso, che stava attecchendo nelle fabbriche e nei quartieri popolari come ha raccontato uno che c'era, Giuliano Ferrara. Ma nessuno si permise di chiedere la messa al bando del Pci e il terrorismo fu sconfitto anche dall'argine che quel partito poi innalzò contro la violenza. Ecco, Fratelli d'Italia è l'argine più sicuro e democratico che abbiamo contro rigurgiti fascisti e chi lo nega è in evidente malafede. Se non fosse ridicola, se dovessimo prenderla sul serio, la proposta di Provenzano metterebbe di fatto il Pd fuori dall'arco costituzionale.

Giampiero Mughini per Dagospia il 12 ottobre 2021. Caro Dago, il mio amico e conterraneo Francesco Merlo, che non è soltanto uno dei più valorosi giornalisti della sua generazione ma anche uno dei più colti (Il che non guasta persino nell’attività giornalistica), mi fa via mail alcune obiezioni alla mia riluttanza a usare il termine “fascismo” a proposito di quelle oscene macchiette che hanno sfondato le finestre per poi devastare gli arredi della sede nazionale della Cgil. A me che sul “Foglio” avevo scritto che Benito Mussolini e Giuseppe Bottai si stanno rivoltando nella tomba a sentire chiamare “fascisti” le suddette macchiette. Francesco replica che nel fascismo non c’erano soltanto tipi come Bottai ma anche come il famigerato Alessandro Carosi, strenuo combattente nella Prima guerra mondiale, uno che da squadrista e uomo di fiducia del capo della federazione fascista pisana si autoproclamava autore a colpi di una rivoltella Mauser di 11 omicidi e 20 ferimenti. Se è per questo era un fascista cento per cento anche Amerigo Dumini (accento sulla “u”), quello che a capo di altri quattro squadristi agguantò per una strada di Roma il deputato socialista Giacomo Matteotti per poi martoriarlo e ucciderlo nella stessa auto con cui lo avevano rapito. Ebbene, nell’usare noi il termine “fascista” a cento anni dalla marcia su Roma è su personaggi alla maniera di Carosi e di Dumini che dobbiamo fare perno - e dunque stabilire eguaglianze tra ieri e oggi - o valutare il fascismo italiano (forse sarebbe più esatto dire “il mussolinismo”) nel quadro dello spaventoso collasso delle democrazie occidentali nel primo dopoguerra, e tanto più alla luce della minaccia che su quelle democrazie proveniva dal riuscitissimo colpo di mano bolscevico nella San Pietroburgo dell’ottobre 1917? A cento anni di distanza dobbiamo valutare il fascismo (e la sua riuscita e la sua durata) come un fenomeno storico-politico o come un fenomeno meramente criminale? A cento anni di distanza, ripeto. E’ assurdo dire che il fascismo storico è morto e sepolto il 25 aprile 1945, e che da quel giorno tutti coloro che levano la mano destra nel saluto fascista rientrano in una tutt’altra narrazione civile e culturale? E’ assurdo, caro Francesco, dire che a usare il termine “fascismo” oggi come un randello con cui bastonare i più volgari tra quelli che ci stanno antipatici non spieghi nulla di ciò che è proprio alle democrazie complesse dell’Europa del terzo millennio? A me sembra evidente che non è assurdo affatto, anzi è salutare a voler fronteggiare i pericoli odierni che incombono sulla nostra democrazia. Dirò di più. E’ totale la mia riluttanza a usare termini generalissimi nati nei contesti i più drammatici del Novecento. Fosse per me non userei mai e poi mai il termine “Resistenza”, e bensì il termine “guerra civile”, un termine che fino a vent’anni fa era off-limits fra le persone politicamente dabbene e che invece spiega cento volte meglio che cosa accadde lungo tutto lo stivale in quei due anni stramaledetti. Certo che nel fascismo c’era anche Carosi. Epperò nella Resistenza c’erano anche quei partigiani che al limitare di Bologna - non ricordo più se alla fine del 1945 o all’inizio del 1946 - intercettarono un diciassettenne in bicicletta e gli chiesero chi fosse. Era il figlio di Giorgio Pini, un giornalista fascista (e persona immacolata) che era in quel momento in carcere e al quale suo figlio aveva appena fatto visita. Il cadavere di quel diciassettenne non è mai più stato ritrovato. Per essere un episodio meramente criminale, fa adeguatamente il paio con l’atroce itinerario umano e politico di Carosi. Non per questo noi useremo il termine “Resistenza” a partire da questo episodio. Semplicemente, almeno per quanto mi riguarda, lo useremo il meno possibile. Tutto qui. Un abbraccio, Francesco

Leggere Pasolini contro il fascismo "antifascista". Nicola Porro il 12 Maggio 2019 su Il Giornale. «I giovani fascisti di oggi non li conosco e spero di non aver occasione di conoscerli». Quando Italo Calvino scrive queste parole sul Messaggero del 18 giugno 1974, Pier Paolo Pasolini s'infuria e risponde con una lettera aperta su Paese Sera: «Augurarsi di non incontrare mai dei giovani fascisti è una bestemmia, perché, al contrario, noi dovremmo far di tutto per individuarli e per incontrarli. Essi non sono i fatali e predestinati rappresentanti del Male». «Pasolini non c'è più. Però - ha rassicurato Michela Murgia, in un servizio andato in onda su Quarta Repubblica - ci siamo noi». Cioè, loro: i nuovi intellettuali della sinistra impegnata. Che, come Calvino, non hanno nessuna voglia di incontrare un fascista. Nemmeno per sbaglio, tra gli stand del Salone del Libro. Pasolini, invece, con i fascisti parlava. La sua ultima poesia, Saluto e augurio, inizia così: «voglio parlare a un fascista,/ prima che io, o lui, siamo troppo lontani». Contro l'atteggiamento di Calvino e degli altri antifascisti militati, Pasolini scrive: «Ci siamo comportati coi fascisti (parlo soprattutto di quelli giovani) razzisticamente: abbiamo cioè frettolosamente e spietatamente voluto credere che essi fossero predestinati razzisticamente a essere fascisti». È il famoso fascismo degli antifascisti. Così lo definisce Pasolini negli Scritti corsari. Mentre nelle Lettere luterane, testo più nascosto, e per questo lo suggeriamo, Pasolini si spinge ancora più in là: fa a pezzi i giovani della nuova sinistra, tutti con il certificato dell'antifascismo doc. Perché, scrive, «essi aggiungono, dentro lo schema del conformismo assimilato - come ai tempi delle orde - dall'ordine sociale paterno, una nuova dose di conformismo: quello della rivolta e dell'opposizione».

Nicola Porro è vicedirettore de il Giornale e si occupa in particolare di economia e finanza. In passato ha lavorato per Il Foglio e ha condotto il programma radiofonico "Prima Pagina" su Rai Radio Tre. Attualmente, oltre a scrivere per il Giornale, gestisce il blog "Zuppa di Porro" su

La lezione di Pasolini a Fiano: “Antifascismo, arma di distrazione di massa”. Redazione martedì 12 Dicembre 2017 su Il Secolo D’Italia. “Mi chiedo, caro Alberto, se questo antifascismo rabbioso che viene sfogato nelle piazze oggi a fascismo finito, non sia in fondo un’arma di distrazione che la classe dominante usa su studenti e lavoratori per vincolare il dissenso. Spingere le masse a combattere un nemico inesistente mentre il consumismo moderno striscia, si insinua e logora la società già moribonda”. Un’arma di distrazione di massa, scriveva Pier Paolo Pasolini nel 1973 in una lettera ad Alberto Moravia, con la quale, se oggi fosse vivo, sarebbe stato additato di collateralismo con Mussolini e la destra estrema e magari sarebbe sto sbattuto in prima pagina con un editoriale su Repubblica. Pasolini, oggi, non piacerebbe Fiano, l’artefice della legge contro la nostalgia del fascismo, ma neanche a Laura Boldrini, paladina della sinistra partigiana che getta benzina sul fuoco per alimentare una vecchia contrapposizione ormai inattuale. E che per Pasolini lo era già negli anni Settanta, altro che onda nera. Ecco cosa scriveva nei suoi “Scritti corsari”. “Non c’è più dunque differenza apprezzabile, al di fuori di una scelta politica come schema morto da riempire gesticolando, tra un qualsiasi cittadino italiano fascista -e un qualsiasi cittadino italiano antifascista. Essi sono culturalmente, psicologicamente e, quel che è più impressionante, fisicamente, interscambiabili…». E i fascisti dell’epoca? “Si tratta di una definizione puramente nominalistica e che porta fuori strada. È inutile e retorico fingere di attribuire responsabilità a questi giovani e al loro fascismo ,-nominale e artificiale. La cultura a cui essi appartengono è la stessa dell’enorme maggioranza dei loro coetanei». Oggi, ovviamente, la distrazione di massa impone di cavalcare l’allarme fascista, unico collante di una sinistra che forse stava iniziano a morire fin dai tempi di Pasolini…

“MI CHIEDO, CARO ALBERTO, SE QUESTO ANTIFASCISMO RABBIOSO…” – DALLA SECONDA LETTERA DI PASOLINI A MORAVIA (?) “Mi chiedo, caro Alberto, se questo antifascismo rabbioso…” – dalla seconda lettera di Pasolini a Moravia (?)  Shadow Ranger 3 Aprile 2019 su Bufale.net. La lettera del caro Alberto è uno degli apocrifi più famigerati della storia Italiana, seguito solo dall’apocrifo di Pertini cavernicolo armato di mazze e pietre. Ricostruzione di uno dei memes originali dell'”apocrifo di Pasolini del “Caro Alberto”. 

L’apocrifo del Caro Alberto, per intero, recita così: Mi chiedo, caro Alberto, se questo antifascismo rabbioso che viene sfogato nelle piazze oggi a fascismo finito, non sia in fondo un’arma di distrazione che la classe dominante usa su studenti e lavoratori per vincolare il dissenso. Spingere le masse a combattere un nemico inesistente mentre il consumismo moderno striscia, si insinua e logora la società già moribonda. E sostanzialmente non è mai comparso in alcuna produzione letteraria prima di un post (ora rimosso e non più accessibile) di un blog del 2016, archiviato e censito dalla fondazione Elia Spallanzani. Il linguaggio è un evidente centone Pasoliniano nel quale l’imitazione del linguaggio dello scrittore è quasi perfetta, un falso creato a tavolino da un autore zelante ma non troppo. In primo luogo, la locuzione arma di distrazione, che nelle versioni più arcaiche del testo viene addirittura esplicitata nella forma estesa “arma di distrazione di massa” non è apparsa nell’orizzonte letterario e linguistico italiano prima del 1997. Come ricorda Internazionale, tale frase fu resa popolare dapprima da un film di quegli anni, e poi, sei anni dopo, da una trasmissione satirica di Sabina Guzzanti (chiamata appunto RaiOT – Armi di distrazione di massa). E sarebbe ben strano per Pasolini, morto nel 1975, arricchire il suo linguaggio con costrutti e metafore introdotti dopo la sua morte. Neppure possiamo credere all’immagine di un Pasolini “teledipendente” che si abbassa a svilire il suo ricercato linguaggio coi tormentoni del piccolo schermo come l’ultimo dei vidioti, i teledipendenti drogati dal piccolo schermo descritti dalla fantascienza del fumetto americano Machine Man. In secondo luogo, come anticipato non esistono iterazioni della frase precedenti al post del 2016 che ha dato origine a questa singolare buriana. Non esistono nell’epistolario di Pasolini, né alla data indicata e neppure altrove. Non esistono in alcun altro luogo testuale possibile, o malamente attribuito da ulteriori iterazioni della bufala.

La querelle epistolare tra Moravia, Pasolini e Calvino infatti non era ancora partita. L’avrebbe inaugurata un articolo pubblicato sul Corriere della Sera il 10 giugno 1974, intitolato “Gli italiani non sono più quelli”, poi incluso negli Scritti corsari con il titolo “Studio sulla rivoluzione antropologica in Italia”. Il che ci porta a dover ricercare le origini del Caro Alberto dapprima in un periodo letterario in cui semplicemente Pasolini si occupava di tutt’altro, per poi cercare, anche volendo posdatarla, una sua traccia negli Scritti Corsari nel quale… appunto non ve ne è traccia. Siamo quindi al confine tra l’inversione dell’onere della prova ed il sempiterno analfabetismo funzionale del la notizia è su Internet, e quindi non vi è ragione di dubitarne, quel triste fenomeno in cui domani potrei dichiarare convinto che Albert Einstein è il noto autore della frase “Due mucche fanno muu, ma una fa mu-mu!” e limitarmi, dichiarando di essere convinto che Albert Einstein abbia proferito una simile frase, a rispondere a chiunque mi dica di aver analizzato l’opera omnia del noto scienziato alla ricerca della stessa con: E chi ti dice che magari non l’ha scritta ma l’ha solo pensata, o l’ha detta a suo cugino una volta che erano chiusi in una stanza senza testimoni e poi il cugino è morto professorone?!?! E non solo: come tutte le bufale, la bufala del Caro Alberto si è evoluta nel tempo. La misteriosa ed ineffabile “epistola al caro Alberto Moravia” si trasfigura infatti in un intervento televisivo alla RAI del 1973 (del quale, altrettanto curiosamente, non si trova traccia in alcuna delle ricche Teche RAI) o un “dialogo”se non, ancora più grottescamente, in una lettera o intervento televisivo dove il “Caro Alberto” non è più Moravia, ma diventa l’amato attore comico, regista, sceneggiatore, compositore e doppiatore Alberto Sordi. Se questi non fosse spirato nel 2003 (tredici anni prima della presumibile creazione della bufala) avrebbe col suo sorriso buono ed il suo senso dell’umorismo trovato assai divertente diventare il centro di una storia sfuggita di mano e finita nel novero degli apocrifi rilanciati dalla stampa e dalla politica nazionale. Da una lettura del corpus Pasoliniano inoltre non si evince mai, in una singola riga, una critica contro un presunto “antifascismo”, bensì una teoria per cui Il Pasolini degli ultimi anni sostiene, tornando più volte sul tema, che il vecchio fascismo, coi suoi codici, le sue retoriche, il suo rapporto tra capo e massa, è stato superato da un “fascismo” peggiore, quello del neocapitalismo, della “società dei consumi”. I fascisti non scompaiono né diventano innocui, ma sono integrati nel nuovo sistema, omologati e funzionali alla sua logica. Del tutto antitetica rispetto al meme costruito scimmiottandone il linguaggio. Rimandiamo a questa analisi pubblicata su Internazionale per chi volesse approfondire il tema: l’oggetto di questa pagina si ferma ad appurare l’esistenza di una bufala.

L’antifascismo più dannoso del fascismo, l’eterna lezione di Pasolini all’Italia. Gian Luca Campagna e Redazione il 13 Febbraio 2018 su nazionefutura.it. Se parli ti tacciano di (estrema) destra o di (estrema) sinistra, anche se poi dentro si è anarcoindividualiberisti (e talvolta anarcoindividuaibertini). Se non parli ti indicano come un qualunquista menefreghista lontano dalla res publica. Allora, cito. Non in giudizio, per carità, che una volta m’è bastato per il senso del grottesco che alberga nelle aule giudiziarie. Mi ripeto, allora cito. E citiamo. PPP. Cioè PierPaolo Pasolini, che resta il più grande intellettuale italiano del Novecento, visionario e anticipatore. Mi limito a due sue citazioni, che faccio mie. La prima, caro PierPaolo (tanto questa confidenza me l’avrebbe concessa, abbiamo un poker di passioni comuni: il mare-lago-dune di Sabaudia, il calcio come sacra rappresentazione della vita, la narrativa e il senso di obiettività fotografando la realtà anticipando il futuro) affonda il parallelo col brutale pestaggio di un carabiniere a Piacenza durante un corteo pacifico. Ecco, appunto, fotografiamo il reale, con l’obiettivo di PPP. Eccola la prima citazione. “II PCI ai giovani! È triste. La polemica contro il PCI andava fatta nella prima metà del decennio passato. Siete in ritardo, figli. E non ha nessuna importanza se allora non eravate ancora nati… Adesso i giornalisti di tutto il mondo vi leccano il culo. Io no, amici. Avete facce di figli di papà. Buona razza non mente. Avete lo stesso occhio cattivo. Siete paurosi, incerti, disperati (benissimo) ma sapete anche come essere prepotenti, ricattatori e sicuri: prerogative piccoloborghesi, amici. Quando ieri a Valle Giulia avete fatto a botte coi poliziotti, io simpatizzavo coi poliziotti! Perché i poliziotti sono figli di poveri. Vengono da periferie, contadine o urbane che siano”. Beh, il blob coraggioso che sfilava per la lama d’asfalto di Piacenza in un corteo pacifico (!) in nome del razzismo e dell’antifascismo poi ha preso a sberle e calci un (uno!) carabiniere, che era lì per scortarli, per salvaguardarli, per proteggerli, che ha giurato sulla Costituzione che difenderà sempre questo Paese dal Fascismo. Bella prova di coerenza da parte di chi inneggiava alla pax. E poi, ancora, la seconda citazione di PPP. Uno dei maggiori pensatori del secolo scorso e della storia italiana scriveva a Moravia: “Mi chiedo, caro Alberto, se questo antifascismo rabbioso che viene sfogato nelle piazze oggi a fascismo finito, non sia in fondo un’arma di distrazione che la classe dominante usa su studenti e lavoratori per vincolare il dissenso. Spingere le masse a combattere un nemico inesistente mentre il consumismo moderno striscia, si insinua e logora la società già moribonda”. È il 1973. E siamo nel brutto mezzo degli anni di piombo. Ah, vorrei continuare con la parte finale dell’ode al poliziotto da parte di PPP, tornando alla prima citazione: “Ma prendetevela contro la Magistratura, e vedrete! I ragazzi poliziotti che voi per sacro teppismo di figli di papà, avete bastonato, appartengono all’altra classe sociale. A Valle Giulia, ieri, si è cosi avuto un frammento di lotta di classe: e voi, amici (benché dalla parte della ragione) eravate i ricchi, mentre i poliziotti (che erano dalla parte del torto) erano i poveri. Bella vittoria, dunque, la vostra! In questi casi, ai poliziotti si danno i fiori, amici”. Ecco, appunto, che fine ha fatto il mantra peace and love che scandiva le vostre giornate? I più grandi nemici degli italiani sono gli italiani, appartenenti a un Paese evidentemente fermo a quarant’anni fa (secondo PPP) e a oltre settant’anni fa (secondo me, perché non abbiamo fatto i conti con la Storia) e che fatica a immaginare che possa esserci un domani, altrimenti spiegatemi – perché ancora non l’ho capito – che a Macerata sfila il corteo antirazzista e antifascista contro un povero demente (tal Traini) mentre ci si è dimenticato che tre (ora sono diventati quattro) spacciatori in carriera (neri rossi verdi o gialli o bianchi non ha importanza) hanno squartato una povera ragazza. Gian Luca Campagna

(Nessuna) Pietà per la nazione che crede alle bufale su #Pasolini. Pubblicato il 06.07.2018 da Wu Ming su wumingfoundation.com. Una poesia di Lawrence Ferlinghetti, per giunta scritta trentadue anni dopo la morte di Pasolini, prima viene attribuita a quest’ultimo, poi viene usata come pezza d’appoggio per sostenere che era… cosa? Nazionalista? «Sovranista»? Non l’hanno nemmeno letta: plausibilmente, qualcuno ha visto la parola «nazione» e si è eccitato all’istante.  Wu Ming 1 (con la collaborazione di Yàdad de Guerre e Nicoletta Bourbaki)

INDICE

1. Pietà per la nazione?

2. Ancora il tormentone del «Caro Alberto»

3. Chi ha fabbricato il meme del «Caro Alberto»

4. Due parole in più su questo “network”

5. Scritti corsari fa ormai più danni delle cavallette

6. Ma sempre Pasolini? Come mai?

Lo psichiatra di destra e personaggio televisivo Alessandro Meluzzi è solo uno dei tanti diffusori del meme che vedete qui sopra. È composto da una delle più celebri foto di Pier Paolo Pasolini e da una traduzione italiana di Pity The Nation, componimento di Lawrence Ferlinghetti, 99 anni, poeta e scrittore, libraio ed editore, esponente di spicco e mentore della Beat Generation, pilastro della letteratura e della controcultura americana del XX secolo. Un libertario che si è sempre espresso contro ogni nazionalismo, bigottismo, razzismo e ha scritto: «I am waiting for the final withering away of all governments» [Attendo la scomparsa definitiva di ogni governo]. Nel meme, la poesia è però firmata «P. P. P.». Meluzzi, poi, l’introduce con una balzana domanda retorica: «Anche Pasolini era fascista?» Il senso sembra essere: voi che chiamate “fascista” chi ama la propria nazione, beccatevi questa poesia di Pasolini contro chi non la ama! Vale a dire: se hanno letto la poesia (cosa di cui dubito), l’hanno capita esattamente al contrario. Diamole un’occhiata.

Pietà per la nazione?

Ferlinghetti scrisse Pity The Nation nel 2007, ultimo anno dell’amministrazione Bush Jr. Un’epoca segnata a fondo dalla «War on Terror», dal liberticida Patriot Act, da imperialismo e militarismo imbellettati con la retorica sull’«esportare la democrazia», dalle torture nel carcere di Abu Ghraib, dalle detenzioni illegali nella base di Guantanamo (che peraltro proseguono). La poesia rimane attualissima. Al titolo si accompagna una specificazione tra parentesi: «(After Kahlil Gibran)», che potremmo rendere con «Alla maniera di Kahlil Gibran». La poesia, infatti, è anche un omaggio al grande poeta libanese-americano morto nel 1931. È costruita su un’anafora, figura retorica che consiste nel cominciare ogni frase con la stessa parola o sequenza di parole. L’anafora «Pity the nation» — che sarebbe più corretto tradurre con «compatite la nazione» o «commiserate la nazione» — si trova nel libro postumo di Gibran Il giardino del profeta (1933), nel quale il profeta Almustafa, «l’eletto e l’amato», pronuncia un sermone di questo tenore:

«Compatite la nazione il cui uomo di stato è un furbo, il cui filosofo è un giocoliere e la cui arte è l’arte del raffazzonare e dello scimmiottare». [Se volessimo fare il giochino ozioso delle allegorie a chiave retroattive, tradurremmo: compatite la nazione dove al governo c’è Salvini, dove l’intellettuale organico è Fusaro e dove si fabbricano memi con false citazioni.]

Ecco il testo completo, in inglese, della poesia di Ferlinghetti, con mia traduzione di ogni strofa.

«PITY THE NATION»

(After Khalil Gibran)

Pity the nation whose people are sheep And whose shepherds mislead them

(Compatite la nazione il cui popolo è un gregge che i suoi pastori mal conducono)

Pity the nation whose leaders are liars Whose sages are silenced And whose bigots haunt the airwaves

(Compatite la nazione i cui capi sono bugiardi e i cui saggi sono messi a tacere e i cui bigotti infestano le frequenze radio e tv)

Pity the nation that raises not its voice Except to praise conquerers And acclaim the bully as hero And aims to rule the world By force and by torture

(Compatite la nazione che non alza la voce se non per lodare i conquistatori e acclamare il bullo come eroe e punta a dominare il mondo con la forza e con la tortura)

Pity the nation that knows No other language but its own And no other culture but its own

(Compatite la nazione che non conosce altra lingua che la propria e altra cultura che la propria)

Pity the nation whose breath is money And sleeps the sleep of the too well fed

(Compatite la nazione il cui fiato è denaro e dorme il sonno del troppo ben pasciuto)

Pity the nation oh pity the people who allow their rights to erode and their freedoms to be washed away My country, tears of thee Sweet land of liberty!

(Compatite la nazione, oh, compatite la gente che lascia erodere i propri diritti e spazzare via le proprie libertà. Mio paese, lacrime per te dolce terra di libertà!)

Gli ultimi due versi sono ironici, parodiano la canzone patriottica My Country, ‘Tis Of Thee [Paese mio, parlo di te], scritta da Samuel Francis Smith nel 1831 e rimasta per un secolo inno nazionale ufficioso degli USA, finché nel 1931 non fu imposto per legge Star Spangled Banner. In questo finale Ferlinghetti si autocita, perché il verso «My country, tears of thee» lo aveva già usato nella sua raccolta più famosa, A Coney Island Of The Mind (1958), per la precisione nella poesia Junkman’s Obbligato.

Dovrebbe risultare evidente a chiunque che Pity The Nation non esprime alcun «amore per la nazione», né veicola alcunché di «sovranista» o che altro. Ferlinghetti, del resto, ha definito il nazionalismo «la superstizione idiota che può far saltare in aria il mondo», e in una celebre intervista rilasciata a Robert Dana ha detto: «I nazionalismi devono scomparire. Sono i postumi barbarici di tempi antichi.» Perché usare questa poesia per inventarsi un Pasolini nazionalista? Pasolini una poesia dedicata alla sua nazione la scrisse, si intitola proprio Alla mia nazione, ed è difficilmente appropriabile dai “sovranisti”: negli ultimi versi si augura che l’Italia, paese di «milioni di piccoli borghesi come milioni di porci», sprofondi in mare e «liberi il mondo». Eccola musicata dal gruppo metal bolognese Malnàtt: Ma l’uso di memi pseudo-pasoliniani come pezze d’appoggio per discorsi di destra, nazionalisti, a volte razzisti e tout court fascisti, non si limita a questo caso.

Ancora il tormentone del «Caro Alberto»

Nei giorni scorsi qualcuno ha provato a rimettere in circolazione il meme del «Caro Alberto», del quale ci siamo occupati un mese fa. Si tratta di una frase che Pasolini non ha mai scritto né pronunciato, inventata di sana pianta nel gennaio 2017, circolante con la dicitura «Lettera di Pasolini a Moravia, 1973». 

La bufala anti-antifascista del «Caro Alberto», riproposta dalla pagina FB Fronte dei Popoli il 4 luglio 2018. Su questa pagina e sul milieu di cui fa parte, si veda sotto.

Nel mio articolo su Internazionale facevo notare che:

la frase non si trova in nessun punto dell’opera omnia di Pasolini;

nel 1973 la polemica pasoliniana sul «nuovo fascismo della società dei consumi» non era ancora cominciata;

l’espressione «arma di distrazione» non era in uso nell’Italia degli anni Settanta;

soprattutto, ricostruendo il contesto, dimostravo che Pasolini non avrebbe mai potuto scrivere una frase così, perché se è vero che individuava il «nuovo fascismo» nel consumismo, è altrettanto vero che non sottovalutò mai la violenza dei neofascisti. Come avrebbe potuto, lui che diverse volte l’aveva subita? Pasolini, in quegli anni, non solo non condannò mai le manifestazioni antifasciste, ma chiamò più volte i fascisti «assassini» e li additò come esecutori materiali di stragi e attentati. Nel marzo 1974, in un intervento poi incluso negli Scritti corsari, Pasolini chiamò a un «impegno totale» per il quale indicava «ragioni oggettive», tra le quali la necessità di difendersi dai «vecchi assassini fascisti che cercano la tensione non più lanciando le loro bombe, ma mobilitando le piazze in disordini in parte giustificati dal malcontento estremo». Dopo aver letto il mio pezzo, il blogger Yàdad de Guerre, in un commento pubblicato su Giap il 24 giugno scorso, ha ricostruito la genesi del meme, dimostrando che è nato in ambienti a cavallo tra neofascismo e rossobrunismo. Ripropongo qui la sua ricostruzione.

Chi ha fabbricato il meme del «Caro Alberto» di Yàdad de Guerre. Quando la farlocca citazione sull’antifascismo «rabbioso» attribuita a Pasolini cominciò a girare cercai di spiegarmela. Eppure, nonostante le varie spiegazioni che cercavo di darmi, una cosa non tornava mai, insieme alle parole «arma di distrazione»: l’uso dell’aggettivo «rabbioso». Avrebbe mai potuto Pasolini usare l’aggettivo «rabbioso» in quel modo, così sbrigativo e approssimativo? Non solo e non tanto per il film del 1963 intitolato La rabbia, ma anche per il documentario televisivo del 1966 realizzato da Jean-André Fieschi e intitolato Pasolini l’enragé, ossia Pasolini l’arrabbiato. In uno dei momenti del film, Pasolini parla apertamente del concetto di rabbia, associandola alla rivolta, alla rivoluzione, alla Resistenza, al marxismo. Dice chiaramente: «In fondo la Resistenza è stata una sorta di grande rabbia organizzata, organizzata e impiantata soprattutto sull’ideologia marxista». Questa sua definizione di «rabbia», cioè di motore primario per una rivoluzione condivisa (innanzitutto contro il fascismo e la borghesia, evidentemente), serve a Pasolini per spiegare la mancanza di “arrabbiati” nell’Italia degli anni Sessanta. Per il Pasolini intervistato da Fieschi, i giovani (borghesi) del tempo trovavano conforto in uno schema di critica già pronto ma invecchiato – invecchiato «come tutti gli schemi» – quello della Resistenza e della cultura marxista italiana. Uno schema che non funzionava più perché il tempo l’aveva reso borghese. Quindi, per Pasolini, l’arrabbiato (principalmente giovane) «sent[iva] immediatamente il dovere di non essere arrabbiato, ma rivoluzionario». Questo non vuol dire che Pasolini rinnegasse la rivoluzione, chiaramente. Voleva piuttosto indicare come il senso dell’essere rivoluzionario fosse stato svuotato, privato della rabbia come motore. Il “rivoluzionario” è qui associato a una forma di morale borghese, già sussunta dalla borghesia, tanto da permettere a certi «comunisti rivoluzionari italiani» di essere nient’altro che piccolo-borghesi «in doppio petto» schiacciati dai «dogmi» dell’ideologia marxista. Fin qui la lettura dell’antifascismo «rabbioso» potrebbe ancora trovare un suo senso, se non fosse che – come ricorda il titolo stesso del documentario – Pasolini rivendica la rabbia, la sua rabbia «non catalogabile», e precisa che l’arrabbiato ideale, il «meraviglioso arrabbiato della tradizione storica», è Socrate. Pasolini, a me pare, cerca cioè una strada per attualizzare e rinnovare la rabbia, renderla collettiva, cercando strumenti che portino alla rivolta e alla rivoluzione contro la borghesia. Questo non può voler dire disconoscere le forme di fascismo o la Resistenza. «Rabbioso» e «arrabbiato» hanno due significati differenti, ovviamente, ma proprio in questa differenza si è fondata la mia diffidenza nei confronti di quella citazione. Avrebbe mai potuto Pasolini usare la parola «rabbioso» nel 1973, lui che sul concetto di rabbia ci aveva costruito un discorso nella metà degli anni ’60? Avrebbe mai potuto disconoscere la «rabbia! con tanto sdegno, medicalizzandola mi verrebbe da dire, sminuendola a una sorta di malattia animalesca e momentanea? Avrebbe potuto associare un antifascismo «rabbioso» alla classe dominante, se la rabbia è uno strumento (emotivo e politico) di azione che non fa gli interessi della borghesia? Avrebbe potuto Pasolini associare la rabbia, anche solo in una sua versione deformata, alla classe dominante che – si ricava dal suo ragionamento – mai potrebbe essere arrabbiata (e forse neanche «rabbiosa»)? Mi sono quindi concentrato sulle parole «antifascismo rabbioso» e le ho cercate ovunque nei testi di Pasolini che possiedo, nelle interviste e nei documentari. Non sono mai venute alla luce. Ho usato Google, ristretto i campi di ricerca. Quando è spuntata la prima volta quella citazione e quell’uso delle parole «antifascismo rabbioso» da parte di Pasolini? Prima del 29 gennaio 2017, non spunta nulla, da nessuna parte. In quel giorno, su Facebook si sono moltiplicati i post con la citazione: «Mi chiedo, caro Alberto…» accompagnata da foto di Pasolini e Moravia o di Pasolini e basta. Il più vecchio risultato che avevo ottenuto non è più online, ma era di un tale che lavora per il sito fascista Oltre la Linea (ho ancora l’URL, se mai qualcun* volesse controllare da sé). La citazione, però, non era riferita a una fantomatica lettera del 1973 a Moravia, bensì recitava: «Pier Paolo Pasolini ad Alberto Moravia, “Incontro con…”, Rubrica Rai 1973, Trasmesso da Rai Storia». Cito qui, a mo’ d’esempio, l’uso che si modifica col tempo da parte di una stessa pagina Facebook, cioè La Via Culturale, «network» fondato da Alessandro Catto. Il 31 gennaio 2017, La Via Culturale pubblica la citazione con gli stessi riferimenti che ho dato prima. L’11 luglio 2017, in un attacco di rimozione mnemonica, la stessa pagina Facebook pubblica la stessa citazione con riferimenti più generici da un punto di vista temporale ma più precisi rispetto al momento: «Pier Paolo Pasolini in una discussione con Alberto Moravia». Non sappiamo più quando, ma sappiamo che c’era una discussione tra Pasolini e Moravia. Ancor meglio fa la pagina Facebook Il RossoBruno che, addirittura, scrive che la citazione deriverebbe da «Pierpaolo [sic] Pasolini ad Alberto Moravia, Incontro con Ezra Pound, Rubrica Rai 1973, Trasmesso da Rai Storia».

Che cosa c’entri Ezra Pound non è chiaro;

che cosa ci facesse Alberto Moravia tra Ezra Pound e Pier Paolo Pasolini e perché si parlasse di antifascismo italiano è un non-sense;

come Ezra Pound potesse nel 1973 essere vivo, quand’è morto nel 1972, resta un miracolo divino;

perché un’intervista di Pasolini a Pound del 1967 sia celebre e discussa ancora oggi e una rubrica RAI con Pound, Pasolini e presumibilmente Moravia del 1973 non la conosca nessuno è un mistero.

Comunque sia, il 29 gennaio 2017 su RaiStoria, in tempi coincidenti con le prime apparizioni della citazione, andava in onda Italiani con Paolo Mieli. Forse la puntata dedicata ad Alberto Moravia, «Appunti di viaggio», in cui effettivamente si parla dello scontro intellettuale tra Moravia e Pasolini ma, ovviamente, mai si citano quelle esatte parole. Né, a scanso di equivoci, se ne trova traccia nell’episodio dedicato a Pasolini stesso, «Il santo infame», recuperabile tranquillamente sul web. Dicembre 2017: dopo l’invenzione e “tornitura” della falsa frase di Pasolini, Antonio Marras la riprende sul Secolo d’Italia, ex-organo ufficiale del MSI, oggi sito crivellato di pubblicità. Sarà, invece, Antonio Marras per Il Secolo d’Italia a trasformare la citazione in uno stralcio di lettera, il 12 dicembre 2017, quando — già da qualche mese — aveva cominciato a strabordare fuori da Facebook per via del disegno di legge contro la propaganda fascista, il cosiddetto DDL Fiano. Da quel momento in particolare, la citazione ha cominciato a viaggiare da sé perché, tanto, chi va a controllare le lettere di Pasolini, anche quelle non raccolte e pubblicate da Nico Naldini? (Disclaimer: non esiste alcuna lettera scritta da Pasolini a Moravia che contenga quelle parole.) Una cosa è certa, in tutto questo: non solo nessun@ ha compiuto mai alcun lavoro di ricerca per portare alla luce la citazione (che su internet non si trova se non in forme ridicole), ma soprattutto nessun@ si è preso la briga di insegnare a Matteo Salvini che cos’è, davvero, la rabbia.

Due parole in più su questo «network»

Abbiamo visto che il meme del «Caro Alberto», prima di essere ripreso dal Secolo d’Italia, è circolato per mesi e ha preso la sua forma odierna in un certo arcipelago di blog e pagine Facebook. Descriviamolo brevemente. Oltre La Linea, Giano Bifronte e Azione culturale sono sigle riconducibili allo stesso progetto rossobruno. Il simbolo è Giano che guarda sia a destra sia a sinistra. Un altro simbolo ricorrente è la bandiera dell’Eurasia, progetto geopolitico caro ai rossobruni e teorizzato principalmente dal guru russo Aleksandr Dugin. Animatore di Oltre La Linea (che è solo un altro nome di Giano Bifronte) è almeno fino al maggio 2017 tale Luigi Ciancio, che oggi su Facebook si firma «Luigi Cianciox». 

Alessandro Catto

Azione Culturale — come dichiarano loro stessi  —  è stata formata da Giano Bifronte e La Via Culturale (già La Via Culturale al Socialismo), blog “sovranista” gestito da Alessandro Catto sul sito de Il Giornale.

A quanto sembra, la “mente” è Catto. Tanto per capirci, Catto, per conto di Azione Culturale, ha intervistato Simone Di Stefano di Casapound per cercare una sinergia tra “comunismo” e fascismo. Ecco uno stralcio dell’intervista: 

Simone Di Stefano

Lei è aperto ad un dialogo con formazioni coerentemente comuniste che si rifanno alle esperienze di governo del socialismo reale, per come abbiamo imparato a conoscerle nel ‘900? Se sì, su quali temi? 

«Come detto precedentemente la base del dialogo deve essere il riconoscimento della nazione Italia, l’esistenza dei suoi confini e del suo popolo. I temi possono essere la critica al liberismo, la lotta alla globalizzazione e tanti altri. Resta un fatto: siamo incompatibili con l’idea di abolizione della proprietà privata e della esclusiva proprietà pubblica dei mezzi di produzione. Il fine ultimo della nostra rivoluzione è la potenza della nazione Italia e di conseguenza la piena giustizia sociale […]» 

Stelio Fergola

Oltre a Ciancio e Catto, in relazione a tutto questo va menzionato Stelio Fergola, direttore responsabile e co-fondatore di Azione Culturale, Oltre la Linea, ecc. Fergola è autore del libro L’inganno antirazzista, che ha pubblicato con Passaggio al bosco, casa editrice la cui impronta ideologica è chiarissima.

In questo milieu telematico troviamo anche Fronte dei Popoli, pagina Facebook attualmente gestita dal bolognese Dario Giovetti. Nel dicembre 2016 Fronte dei Popoli annunciava soddisfatto e ammiccante «la nuova stagione di Azione Culturale».

Fronte dei Popoli condivide spesso contenuti delle pagine di Ciancio e Catto, come del resto fa Ufficio Sinistri, pagina FB gestita dal sanremese Roberto Vallepiano, autore di un libro dallo stesso titolo. Vallepiano condivide e commenta favorevolmente contenuti di Ciancio, Catto e Giovetti, che a loro volta condividono e commentano favorevolmente le prese di posizione di Vallepiano.

Il campionario ha poco di sorprendente: contro l’immigrazione, il complotto di Soros, chiudere i porti alle ONG, la sinistra “buonista”, la nazione ecc. Il tutto ornato di specchietti rossi, per le allodole che volano nei dintorni.

Attualmente, la vecchia pagina Facebook di Azione Culturale rimanda a Il Mondo Nuovo.

Da quest’arcipelago di siti e pagine FB, come dimostrato nei dettagli da Nicoletta Bourbaki, è partita anche la diffusione di una falsa frase di Samora Machel contro i migranti.

In costante interazione con tutte queste pagine è il sito rossobruno L’Antidiplomatico.

Si incazzino pure, descrivano il paragrafo che avete appena letto come una «lista di proscrizione». È la reazione standard ogni volta che qualcuno, fuori e contro una certa omertà «tra compagni», ha l’onestà di fare nomi e cognomi.

I rossobruni non sono miei compagni, perché, molto semplicemente, non sono compagni.

Scritti corsari fa ormai più danni delle cavallette

Il meme del «Caro Alberto» è stato riproposto il 4 luglio — insieme ad altre citazioni pasoliniane formalmente corrette ma decontestualizzate — da Fronte dei Popoli, evidentemente non contento della figuraccia appena rimediata con la frase falsa di Samora Machel.

Quando gli è stato fatto notare — a un certo punto anche da Nicoletta Bourbaki  — che pure quella frase era un fake, per giunta “debunkato” settimane prima, Giovetti ha arrampicato specchi unti, ha più volte citato come “fonte” il — per la precisione: dato la colpa al  —  Secolo d’Italia, infine si è “incantato”, come un vinile graffiato, a ripetere «anche Wu Ming 1 ha detto che la frase era verosimile!». Una balla presto ripetuta a pappagallo da altri commentatori. 

Due esempi tra i molti rinvenibili sulla pagina Facebook «Fronte dei Popoli».

Ovviamente, costoro si sono ben guardati dal riportare il passaggio del mio articolo in cui la parola «verosimile» compariva. Ebbene, lo faccio io, con tanto di sottolineature for dummies. 

Clicca per leggere l’articolo completo Pasolini e il neofascismo come merce.

Vorrei però soffermarmi sulla cosa più interessante scritta dall’amministratore di Fronte dei Popoli: secondo lui Pasolini

«in “Scritti corsari”, come del resto nell’editoriale per il “Corriere della Sera” “il fascismo degli antifascisti” esprimere [sic] concetti che risultano assolutamente compatibili con quelli della citazione di cui stiamo parlando».

Abbiamo già spiegato che non è così: gli Scritti corsari contengono molte condanne della violenza neofascista, e i neofascisti vi sono chiamati più volte «sicari», «assassini» e quant’altro. Basterebbe leggere l’intero libro, anziché ravanare nel web in cerca di virgolettati. Addirittura, nell’intervento intitolato «Fascista», incluso nella sezione «Documenti e allegati», Pasolini dice che la violenza dei neofascisti suoi contemporanei è peggiore di quella del vecchio regime mussoliniano: «Vent’anni di fascismo credo che non abbiano mai fatto le vittime che ha fatto il fascismo di questi ultimi anni. Cose orribili come le stragi di Milano, di Brescia, di Bologna [quella del treno Italicus, N.d.R.] non erano mai avvenute in vent’anni. C’è stato il delitto Matteotti certo, ci sono state altre vittime da tutte due le parti, ma la prepotenza, la violenza, la cattiveria, la disumanità, la glaciale freddezza dei delitti compiuti dal 12 dicembre del 1969 in poi non s’era mai vista in Italia.» Pasolini sbagliava: il fascismo “storico” di stragi ne aveva fatte eccome, non solo all’estero ma anche in Italia, e anche prima della RSI. Basti dire che era andato al potere sull’onda del terrorismo squadrista, che aveva ucciso mezzo migliaio di persone e ne aveva ferite migliaia.

Il punto, tuttavia, non è questo: il punto è che negli Scritti corsari Pasolini non sminuisce mai la violenza dei neofascisti, anzi, delle due la accentua.

Il commento di Fronte dei Popoli contiene altri sfondoni:

quello uscito sul Corriere il 16 luglio 1974 non era un «editoriale»;

sul giornale l’articolo si intitolava «Apriamo un dibattito sul caso Pannella»;

nel testo l’espressione «fascismo degli antifascisti» non compariva mai;

l’oggetto della critica non erano affatto gli antifascisti tout court bensì i sedicenti «antifascisti» che stavano al governo e sedevano in parlamento, colpevoli di non accogliere alcune richieste di Marco Pannella che digiunava da settanta giorni.

Se non si fosse fermato alla parola «verosimile» e avesse letto il mio pezzo per intero, Giovetti queste cose le saprebbe: sono spiegate in un apposito paragrafo, intitolato proprio «L’equivoco sul “fascismo degli antifascisti”». Problemi ed equivoci, ad ogni modo, sono a monte, e conviene esporli con la massima chiarezza. Il primo riguarda specificamente Pasolini, o meglio: la sua ricezione nell’Italia di oggi. Scritti corsari è una raccolta di articoli di giornale e interventi estemporanei risalenti a quasi mezzo secolo fa. Il libro è pieno zeppo di riferimenti alla cronaca e alla situazione politica di quei giorni, di allusioni oggi indecifrabili ai più, di nomi e cognomi oggi ricordati da pochissime persone. Il senso di molti interventi può essere ricostruito solo con la loro, spesso faticosa, ricontestualizzazione. Non solo del libro manca un’edizione critica, ma è stato eternato, pietrificato dalla morte e dalla santificazione post mortem di Pasolini, ergo continua a essere ristampato e a tornare in libreria completamente fuori contesto e come una sorta di «libro sacro». Posizioni transitorie, che di certo l’autore avrebbe approfondito o superato, sono diventate comandamenti incisi su pietra. Formulazioni ambigue sono diventate corpi contundenti da usare nelle tenzoni di oggi. Se aggiungiamo che su alcuni fenomeni allora in corso Pasolini sbagliò clamorosamente il giudizio, non penso di esagerare se dico che Scritti corsari, suo malgrado, si è trasformato in qualcosa di molto simile a uno sciocchezzaio. L’altro problema è la generale ignoranza su cosa sia una fonte. 

– E dove starebbe ‘sta frase di Pasolini?

– Cosa credi, di cogliermi in castagna? Sta sul Secolo d’Italia!

Ieri, su Twitter, Benedetta Pierfederici ha citato una frase di Marc Bloch: Marc Bloch (1886 – 1944) «In tutti i casi in cui non si tratti dei liberi giochi della fantasia, un’affermazione non ha il diritto di presentarsi se non a condizione di poter essere verificata; per uno storico, se usa un documento, indicarne il più brevemente possibile la collocazione, cioè il modo di ritrovarlo, non equivale ad altro che a sottomettersi ad una regola universale di probità. Avvelenata dai dogmi e dai miti, la nostra opinione, anche la meno nemica dei “lumi”, ha perduto persino il gusto del controllo. Il giorno in cui noi, avendo prima avuto cura di non disgustarla con una vana pedanteria, saremo riusciti a persuaderla a misurare il valore di una conoscenza dalla sua premura di offrirsi in anticipo alla confutazione, le forze della ragione riporteranno una delle loro più significative vittorie.» (Apologia della storia o Mestiere di storico, Einaudi, Torino 1998, pp. 68-69)

Benedetta aggiungeva: «Cosa significa “poter essere verificata”? Significa che chi presenta, ad esempio, una citazione deve rintracciarne e poi dirne l’origine (la fonte, appunto). Chi legge la citazione deve poter rifare la strada a ritroso e, se necessario, confutarla. Se chiedo conto di una citazione “Pasolini a Moravia”, la fonte non è un articolo online o un blog o un tweet. La fonte è il documento che contiene la citazione. È faticoso trovare le fonti e presentarle? Il più delle volte, in effetti, lo è. Risalire la corrente, evitare le rapide, non perdersi negli affluenti… Ma non ci sono altri modi per procedere nella conoscenza.» Dovrebbe essere l’ABC, ma non lo è, per tanti motivi. Per questo Nicoletta Bourbaki ha scritto il suo “manuale” su come riconoscere le bufale, intitolato Questo chi lo dice? E perché?

Ma sempre Pasolini? Come mai?

Pasolini, lo abbiamo visto, non è l’unico intellettuale di sinistra morto e impossibilitato a difendersi il cui pensiero viene decontestualizzato, distorto, falsificato. Ma è di gran lunga il più utilizzato. Perché? Ripropongo qui, per discuterne insieme, uno spunto di riflessione risalente a qualche mese fa, quando il lavoro di debunking del Pasolini «anti-antifascista» era ancora agli inizi. «Prima o poi andrà ricostruita la genealogia di quest’utilizzo di Pasolini come auctoritas per ogni stagione e occasione. Un processo di lungo corso che, banalizzandone l’opera e la figura, lo ha trasformato in fashion icon per ipse dixit pronti da indossare. Di sicuro c’entra la sua “santificazione” dopo il martirio, ma non basta a spiegare tutto. C’entra anche la contraddittoria complessità del suo percorso, unita all’oltraggiosità di molte sue prese di posizione. E c’entra il suo modo di esprimersi, il suo “senso della frase” […] Il contesto discorsivo costruito da Pasolini è un campo di tensioni, un vasto reticolo di corde tese all’estremo, a collegare vari temi, concetti, momenti. Corde sempre sul punto di spezzarsi. Seguendole con lo sguardo si trovano vere e proprie “rime narrative” e tematiche, ed è ciò che più affascina nell’installazione. Ma c’è anche un aspetto spaventoso: si capisce che per snaturare un’affermazione di Pasolini basta davvero pochissimo. Il modo più facile di snaturarla è dire, su qualunque argomento: “Pasolini la pensava così, punto”.» Questo punto, che rende perentorie affermazioni spesso insensate, toccherà ogni volta farlo saltare, finché, un giorno, non smetteranno di usare Pasolini, e si concentreranno su qualcun altro. Noi dobbiamo restare vigili.

Nel suo The Mexican Night Ferlinghetti si fa una domanda che vale la pena riproporre: «From which way will the fascists come this time, baby?»

“Il fascismo secondo Pasolini (1942-1975)”, di Alessandro Viola il 13 maggio 2021 su centrostudipierpaolopasolinicasarsa.it. Tra i libri dedicati a Pier Paolo Pasolini usciti nel corso del 2020 non si può non ricordare l’interessante volume di Alessandro Viola intitolato Il fascismo secondo Pasolini (1942-1975), pubblicato a maggio dalla casa editrice Mimesis. «Il fascismo secondo Pasolini (1942-1975)», di Alessandro Viola (Mimesis, 2020). La riflessione pasoliniana sul fascismo è complessa, peculiare, controversa. Complice la natura letteraria del suo linguaggio, Pasolini è diventato in tempi recenti un’autorità ambigua, contesa e rivendicata, a colpi di citazioni, dalle parti politiche più varie. Questo lavoro si propone di affrontare tale ambiguità, comprendendola. Che cosa pensava Pasolini del fascismo, vecchio e nuovo? E che cosa pensava dell’antifascismo e degli antifascisti del suo tempo? Il saggio cerca di rispondere a questi interrogativi calandoli all’interno del pensiero e della poetica dell’autore, a partire dai primi contributi giornalistici degli anni Quaranta, fino a culminare con gli interventi critici e polemici degli anni Settanta. Ne viene fuori una genealogia a tutto tondo della riflessione pasoliniana, che contempla tanto la natura intimamente letteraria quanto l’ispirazione politica della sua prospettiva. Il volume che è dedicato “A Guido Pasolini, caduto durante la Resistenza; e al nostro Guido, che ancora resiste” si apre con, in exergo, un brano della “celebre” lettera che Pasolini avrebbe scritto ad Alberto Moravia nel 1973: “Mi chiedo, caro Alberto, se questo antifascismo rabbioso che viene sfogato nelle piazze oggi a fascismo finito, non sia in fondo un’arma di distrazione che la classe dominante usa su studenti e lavoratori per vincolare il dissenso. Spingere le masse a combattere un nemico inesistente mentre il consumismo moderno striscia, si insinua e logora la società già moribonda”. Questo presunto brano pasoliniano, che è stato usato perfino da Matteo Salvini in un suo comizio del 24 febbraio 2018 in piazza Duomo a Milano, sempre più frequentemente viene citato dalla destra in modo strumentale per minimizzare la portata della violenza squadristica e razzista di questi ultimi tempi. In realtà l’autore di questo lavoro svela, dopo aver setacciato i tanti scritti pasoliniani ed in particolare l’epistolario pubblicato da Einaudi nel 1988 per la cura di Nico Naldini, l’inesistenza di tale lettera a Moravia. Affermazione che trova ulteriore conferma in un articolo apparso su “L’Internazionale” dal titolo Pasolini, Salvini e il neofascismo come merce, dove il collettivo Wu Ming 1 è in grado di dimostrare, dopo un’attenta analisi linguistica, che si tratta di una citazione assolutamente falsa. Alessandro Viola nel suo approfondito studio cerca anche di mettere in guardia il lettore dal rischio che anche chi cerca di dimostrare l’antifascismo intransigente di Pasolini finisce per trascurare il rigore nell’analisi dei suoi testi. Per questo motivo l’autore ha scelto di analizzare i testi e il suo autore calandoli all’interno della cornice storica corrispondente, tentando in questo modo di far emergere la visione che Pasolini ha del fascismo il più possibile in stretta aderenza con i testi considerati. Il volume si suddivide in due ampi capitoli: nel primo, intitolato “Le due strade che sole potevano portarmi all’antifascismo (1942-1948)”, si cerca di dare una panoramica della formazione culturale di Pasolini, e della sua prima opposizione al fascismo. Nel secondo capitolo, “Il fascismo secondo Pasolini”, si entra nel cuore dell’analisi pasoliniana introducendo anche il nuovo punto di vista che assimila il nuovo fascismo alla mutazione antropologica in atto causata dal consumismo e dalla nuova cultura edonistica imperante. L’autore in conclusione pone l’attenzione sui versi bilingui della poesia Saluto e Augurio contenuta nella raccolta La nuova gioventù (1975) dove si rivolge ad un giovane ragazzo fascista come già aveva fatto nel testo teatrale Bestia da stile (1974). – Alessandro Viola è dottorando di ricerca all’Università degli Studi di Napoli L’Orientale. Si occupa di Storia culturale e di Letteratura italiana moderna e contemporanea. 

Ma Pasolini non stava con i poliziotti. Il 1° marzo ’68 gli scontri di Valle Giulia che gli ispirarono la famosa (e fraintesa) poesia contro gli studenti borghesi. Giovanni De Luna l'1 Marzo 2018 modificato il 16 Giugno 2019 su La Stampa. Si è aperto una sorta di supermarket Pasolini. Ognuno prende dai suoi lavori quello che gli serve: brandelli di frasi, spezzoni di poesie, piegando le argomentazioni pasoliniane alle proprie strumentalizzazioni, distorcendone il senso, in un’operazione che somiglia molto al modo in cui oggi si confezionano le fake news. Ma fu così anche 50 anni fa, quando ancora non c’era la Rete con le sue bufale. Fu subito dopo gli scontri di Valle Giulia, infatti, che Pasolini pubblicò, sull’Espresso del 16 giugno, la sua poesia Il Pci ai giovani. L’emozione suscitata dalle botte che erano volate il 1° marzo 1968 tra la polizia e gli studenti che avevano occupato la facoltà di Architettura era stata molto forte: dai moti antifascisti del luglio ’60 in poi, mai le forze dell’ordine erano state contrastate con tanta efficacia proprio sul piano della violenza fisica. Mentre lo stesso movimento studentesco si mostrava come sbigottito dalla radicalità degli scontri e dalla sua stessa capacità di reazione, Pasolini sentì il bisogno di prendere posizione rispetto a una situazione politica che presentava aspetti largamente inediti. Lo fece a modo suo, con una poesia che oggi come allora appare tutta immediatezza e spontaneità. Una poesia lunga che, nel discorso pubblico, fu precipitosamente etichettata come una invettiva contro gli studenti e una difesa dei poliziotti. L’invettiva c’era, esplicita fragorosa: «siete paurosi, incerti, disperati […] ma sapete anche come essere prepotenti, ricattatori e sicuri». E c’era anche la scelta a favore degli agenti: «Quando ieri a Valle Giulia avete fatto a botte coi poliziotti, io simpatizzavo coi poliziotti». Ma se non ci si ferma a questi versi e si legge il seguito della poesia…I versi che Pasolini dedica ai poliziotti sono esattamente questi: «E poi, guardateli come li vestono: come pagliacci, con quella stoffa ruvida che puzza di rancio, fureria e popolo. Peggio di tutto, naturalmente, è lo stato psicologico in cui sono ridotti (per una quarantina di mille lire al mese): senza più sorriso, senza più amicizia col mondo, separati, esclusi (in una esclusione che non ha eguali); umiliati dalla perdita della qualità di uomini per quella di poliziotti (l’essere odiati fa odiare)». Vestiti come pagliacci, umiliati dalla perdita della qualità di uomini: no, Pasolini non «sta con i poliziotti», e non poteva essere altrimenti, viste le persecuzioni a cui era continuamente sottoposto. In quel momento, Pasolini sta con il Pci e sta con gli operai. E quella poesia è una sollecitazione per gli studenti a lasciarsi alle spalle la loro appartenenza borghese e andare verso il Pci e verso gli operai. Quando questo succederà, l’anno dopo, nel 1969, quello dell’autunno caldo, Pasolini accetterà di fare un film sulla strage del 12 dicembre, quella di piazza Fontana, insieme con i giovani di Lotta Continua. Ma questo nessuno lo ricorda. Così come vengono ignorate le sue argomentazioni su fascismo e antifascismo, tanto da permettere a Salvini, in un comizio, di «usare» il poeta friulano per svelare «l’impostura» dell’antifascismo, tenuto in vita dalle sinistre per far dimenticare «i veri problemi del paese». Il ragionamento pasoliniano del 1974, quello da cui nascono le citazioni di Salvini, scaturiva dalla constatazione del successo ottenuto da due «rivoluzioni»: quella delle infrastrutture e quella del sistema di informazione. Le distanze tra centro e periferia si erano notevolmente ridotte grazie alle nuove reti viarie e alla motorizzazione; ma era stata soprattutto la televisione a determinare in modo costrittivo e violento una forzata omologazione nazionale, provocando un tramestìo che aveva colpito in alto come in basso, ridefinendo contemporaneamente gli assetti del potere e quelli dei suoi antagonisti. Il nuovo Potere, nonostante le parvenze di tolleranza, di edonismo perfettamente autosufficiente, di modernità, nascondeva un volto feroce e repressivo e appariva, «se proprio vogliamo conservare la vecchia terminologia, una forma totale di fascismo al cui confronto il vecchio fascismo, quello mussoliniano, è un paleofascismo». «Nessun centralismo fascista», aggiungeva Pasolini, «è riuscito a fare ciò che ha fatto il centralismo della civiltà dei consumi. Il fascismo proponeva un modello reazionario e monumentale che però restava lettera morta. Le varie culture particolari (contadine, sottoproletarie, operaie) continuavano imperturbabili a uniformarsi ai loro antichi modelli: la repressione si limitava a ottenere la loro adesione a parole […]. Ora, invece, l’adesione ai modelli imposti dal centro è totale e incondizionata. I modelli culturali reali sono rinnegati - l’abiura è compiuta -, si può dunque affermare che la tolleranza della ideologia edonistica voluta dal nuovo potere è la peggiore delle repressioni della storia umana». Per Pasolini c’era un nemico esplicito anche in questo caso: ed era il mercato, con la sua logica implacabile di «religione dei consumi»; esattamente quella che ha permesso alla Lega di avanzare con successo la sua proposta agli italiani di sentirsi tutti «figli dello stesso benessere», portando a termine la parabola «dalla solidarietà all’egoismo» che Pasolini aveva intravisto e aveva cercato inutilmente di contrastare.

Pier Paolo Pasolini. Lo ricordiamo con questo articolo per l'interpretazione autentica, scritto per il Corriere della Sera il 24 giugno 1974, che fa parte dei famosi scritti corsari. Pier Paolo Pasolini Il Potere senza volto, in Il Corriere della Sera (1974) in Scritti corsari, Garzanti, Milano (1975). «Che cos’è la cultura di una nazione? Correntemente si crede, anche da parte di persone colte, che essa sia la cultura degli scienziati, dei politici, dei professori, dei letterati, dei cineasti ecc.: cioè che essa sia la cultura dell’intelligencija. Invece non è così. E non è neanche la cultura della classe dominante, che, appunto, attraverso la lotta di classe, cerca di imporla almeno formalmente. Non è infine neanche la cultura della classe dominata, cioè la cultura popolare degli operai e dei contadini. La cultura di una nazione è l’insieme di tutte queste culture di classe: è la media di esse. E sarebbe dunque astratta se non fosse riconoscibile – o, per dir meglio, visibile – nel vissuto e nell’esistenziale, e se non avesse di conseguenza una dimensione pratica. Per molti secoli, in Italia, queste culture sono stato distinguibili anche se storicamente unificate. Oggi – quasi di colpo, in una specie di Avvento – distinzione e unificazione storica hanno ceduto il posto a una omologazione che realizza quasi miracolosamente il sogno interclassista del vecchio Potere. A cosa è dovuta tale omologazione? Evidentemente a un nuovo Potere. Scrivo “Potere” con la P maiuscola – cosa che Maurizio Ferrara accusa di irrazionalismo, su «l’Unità» (12-6-1974) – solo perché sinceramente non so in cosa consista questo nuovo Potere e chi lo rappresenti. So semplicemente che c’è. Non lo riconosco più né nel Vaticano, né nei Potenti democristiani, né nelle Forze Armate. Non lo riconosco più neanche nella grande industria, perché essa non è più costituita da un certo numero limitato di grandi industriali: a me, almeno, essa appare piuttosto come un tutto (industrializzazione totale), e, per di più, come tutto non italiano (transnazionale). Conosco, anche perché le vedo e le vivo, alcune caratteristiche di questo nuovo Potere ancora senza volto: per esempio il suo rifiuto del vecchio sanfedismo e del vecchio clericalismo, la sua decisione di abbandonare la Chiesa, la sua determinazione (coronata da successo) di trasformare contadini e sottoproletari in piccoli borghesi, e soprattutto la sua smania, per così dire cosmica, di attuare fino in fondo lo “Sviluppo”: produrre e consumare. L’identikit di questo volto ancora bianco del nuovo Potere attribuisce vagamente ad esso dei tratti “moderati”, dovuti alla tolleranza e a una ideologia edonistica perfettamente autosufficiente; ma anche dei tratti feroci e sostanzialmente repressivi: la tolleranza è infatti falsa, perché in realtà nessun uomo ha mai dovuto essere tanto normale e conformista come il consumatore; e quanto all’edonismo, esso nasconde evidentemente una decisione a preordinare tutto con una spietatezza che la storia non ha mai conosciuto. Dunque questo nuovo Potere non ancora rappresentato da nessuno e dovuto a una «mutazione» della classe dominante, è in realtà – se proprio vogliamo conservare la vecchia terminologia – una forma “totale” di fascismo. Ma questo Potere ha anche “omologato” culturalmente l’Italia: si tratta dunque di un’omologazione repressiva, pur se ottenuta attraverso l’imposizione dell’edonismo e della joie de vivre. La strategia della tensione è una spia, anche se sostanzialmente anacronistica, di tutto questo. Maurizio Ferrara, nell’articolo citato (come del resto Ferrarotti, in « Paese Sera », 14-6-1974) mi accusa di estetismo. E tende con questo a escludermi, a recludermi. Va bene: la mia può essere l’ottica di un «artista», cioè, come vuole la buona borghesia, di un matto. Ma il fatto per esempio che due rappresentanti del vecchio Potere (che servono però ora, in realtà, benché interlocutoriamente, il Potere nuovo) si siano ricattati a vicenda a proposito dei finanziamenti ai Partiti e del caso Montesi, può essere anche una buona ragione per fare impazzire: cioè screditare talmente una classe dirigente e una società davanti agli occhi di un uomo, da fargli perdere il senso dell’opportunità e dei limiti, gettandolo in un vero e proprio stato di «anomia». Va detto inoltre che l’ottica dei pazzi è da prendersi in seria considerazione: a meno che non si voglia essere progrediti in tutto fuorché sul problema dei pazzi, limitandosi comodamente a rimuoverli. Ci sono certi pazzi che guardano le facce della gente e il suo comportamento. Ma non perché epigoni del positivismo lombrosiano (come rozzamente insinua Ferrara), ma perché conoscono la semiologia. Sanno che la cultura produce dei codici; che i codici producono il comportamento; che il comportamento è un linguaggio; e che in un momento storico in cui il linguaggio verbale è tutto convenzionale e sterilizzato (tecnicizzato) il linguaggio del comportamento (fisico e mimico) assume una decisiva importanza. Per tornare così all’inizio del nostro discorso, mi sembra che ci siano delle buone ragioni per sostenere che la cultura di una nazione (nella fattispecie l’Italia) è oggi espressa soprattutto attraverso il linguaggio del comportamento, o linguaggio fisico, più un certo quantitativo – completamente convenzionalizzato e estremamente povero – di linguaggio verbale. È a un tale livello di comunicazione linguistica che si manifestano: a) la mutazione antropologica degli italiani; b) la loro completa omologazione a un unico modello. Dunque: decidere di farsi crescere i capelli fin sulle spalle, oppure tagliarsi i capelli e farsi crescere i baffi (in una citazione protonovecentesca); decidere di mettersi una benda in testa oppure di calcarsi una scopoletta sugli occhi; decidere se sognare una Ferrari o una Porsche; seguire attentamente i programmi televisivi; conoscere i titoli di qualche best-seller; vestirsi con pantaloni e magliette prepotentemente alla moda; avere rapporti ossessivi con ragazze tenute accanto esornativamente, ma, nel tempo stesso, con la pretesa che siano «libere» ecc. ecc. ecc.: tutti questi sono atti culturali. Ora, tutti gli Italiani giovani compiono questi identici atti, hanno questo stesso linguaggio fisico, sono interscambiabili; cosa vecchia come il mondo, se limitata a una classe sociale, a una categoria: ma il fatto è che questi atti culturali e questo linguaggio somatico sono interclassisti. In una piazza piena di giovani, nessuno potrà più distinguere, dal suo corpo, un operaio da uno studente, un fascista da un antifascista; cosa che era ancora possibile nel 1968. I problemi di un intellettuale appartenente all’intelligencija sono diversi da quelli di un partito e di un uomo politico, anche se magari l’ideologia è la stessa. Vorrei che i miei attuali contraddittori di sinistra comprendessero che io sono in grado di rendermi conto che, nel caso che lo Sviluppo subisse un arresto e si avesse una recessione, se i Partiti di Sinistra non appoggiassero il Potere vigente, l’Italia semplicemente si sfascerebbe; se invece lo Sviluppo continuasse così com’è cominciato, sarebbe indubbiamente realistico il cosiddetto «compromesso storico», unico modo per cercare di correggere quello Sviluppo, nel senso indicato da Berlinguer nel suo rapporto al CC del partito comunista (cfr. «l’Unità », 4-6-1974). Tuttavia, come a Maurizio Ferrara non competono le «facce», a me non compete questa manovra di pratica politica. Anzi, io ho, se mai, il dovere di esercitare su essa la mia critica, donchisciottescamente e magari anche estremisticamente. Quali sono dunque i miei problemi? Eccone per esempio uno. Nell’articolo che ha suscitato questa polemica («Corriere della sera», 10-6-1974) dicevo che i responsabili reali delle stragi di Milano e di Brescia sono il governo e la polizia italiana: perché se governo e polizia avessero voluto, tali stragi non ci sarebbero state. È un luogo comune. Ebbene, a questo punto mi farò definitivamente ridere dietro dicendo che responsabili di queste stragi siamo anche noi progressisti, antifascisti, uomini di sinistra. Infatti in tutti questi anni non abbiamo fatto nulla:

1) perché parlare di « Strage di Stato » non divenisse un luogo comune, e tutto si fermasse lì;

2) (e più grave) non abbiamo fatto nulla perché i fascisti non ci fossero. Li abbiamo solo condannati gratificando la nostra coscienza con la nostra indignazione; e più forte e petulante era l’indignazione più tranquilla era la coscienza.

In realtà ci siamo comportati coi fascisti (parlo soprattutto di quelli giovani) razzisticamente: abbiamo cioè frettolosamente e spietatamente voluto credere che essi fossero predestinati razzisticamente a essere fascisti, e di fronte a questa decisione del loro destino non ci fosse niente da fare. E non nascondiamocelo: tutti sapevamo, nella nostra vera coscienza, che quando uno di quei giovani decideva di essere fascista, ciò era puramente casuale, non era che un gesto, immotivato e irrazionale: sarebbe bastata forse una sola parola perché ciò non accadesse. Ma nessuno di noi ha mai parlato con loro o a loro. Li abbiamo subito accettati come rappresentanti inevitabili del Male. E magari erano degli adolescenti e delle adolescenti diciottenni, che non sapevano nulla di nulla, e si sono gettati a capofitto nell’orrenda avventura per semplice disperazione. Ma non potevamo distinguerli dagli altri (non dico dagli altri estremisti: ma da tutti gli altri). È questa la nostra spaventosa giustificazione. Padre Zosima (letteratura per letteratura!) ha subito saputo distinguere, tra tutti quelli che si erano ammassati nella sua cella, Dmitrj Karamazov, il parricida. Allora si è alzato dalla sua seggioletta ed è andato a prosternarsi davanti a lui. E l’ha fatto (come avrebbe detto più tardi al Karamazov più giovane) perché Dmitrj era destinato a fare la cosa più orribile e a sopportare il più disumano dolore. Pensate (se ne avete la forza) a quel ragazzo o a quei ragazzi che sono andati a mettere le bombe nella piazza dì Brescia. Non c’era da alzarsi e da andare a prosternarsi davanti a loro? Ma erano giovani con capelli lunghi, oppure con baffetti tipo primo Novecento, avevano in testa bende oppure scopolette calate sugli occhi, erano pallidi e presuntuosi, il loro problema era vestirsi alla moda tutti allo stesso modo, avere Porsche o Ferrari, oppure motociclette da guidare come piccoli idioti arcangeli con dietro le ragazze ornamentali, si, ma moderne, e a favore del divorzio, della liberazione della donna, e in generale dello sviluppo… Erano insomma giovani come tutti gli altri: niente li distingueva in alcun modo. Anche se avessimo voluto non avremmo potuto andare a prosternarci davanti a loro. Perché il vecchio fascismo, sia pure attraverso la degenerazione retorica, distingueva: mentre il nuovo fascismo – che è tutt’altra cosa – non distingue più: non è umanisticamente retorico, è americanamente pragmatico. Il suo fine è la riorganizzazione e l’omologazione brutalmente totalitaria del mondo.

Pier Paolo Pasolini Il Potere senza volto, in Il Corriere della Sera (1974) in Scritti corsari, Garzanti, Milano (1975)

L'intervista del 74 a Pier Paolo Pasolini: "Oggi buona parte dell'antifascismo è ingenuo, stupido o in malafede". Massimo Fini il 7 Novembre 2021 su Il Giornale. Massimo Fini chiese il parere dello scrittore che sorprese tutti: "La società dei consumi è peggio del Regime". Mai come in questi anni in Italia si è sentita risuonare la parola «antifascista», insieme ai suoi due corollari «laico» e «democratico». Non c'è persona oggi in Italia (a parte i fascisti dichiarati) che non si proclami tutta insieme «laica, democratica e antifascista». Eppure mai come in questi anni la Repubblica è stata, al di là di certe apparenze permissive, percorsa da sindromi di intolleranza, di corporativismo, di antidemocrazia: di fascismo, infine, se fascismo significa anche la prepotenza del potere... Il fatto è che essere genericamente antifascista oggi in Italia non costa nulla, anzi spesso e volentieri paga. Ecco perché il termine è diventato ambiguo, si è consumato al punto da non voler dire quasi più nulla. Del resto è già abbastanza straordinario che a trent'anni dalla Resistenza e dalla caduta del regime si ragioni ancora in termini di fascismo e antifascismo. Questo vuol dire solo due cose: o che siamo rimasti perfettamente immobili e che trent'anni sono passati invano, o che dietro un certo antifascismo di maniera (che nulla ha a che vedere con l'antifascismo reale pagato di persona) si nascondono sotto mentite spoglie i vizi di ieri, le intolleranze, il conformismo, il servilismo di fronte al potere. Un «antifascismo» oltretutto pericoloso perché rischia con il suo conformismo e la sua intolleranza di fare dei fascisti reali dei martiri ingiustificati, e rischia di fare apparire quasi dalla parte della ragione chi ha indiscutibilmente torto. Da questi dubbi nasce la nostra inchiesta. Un'inchiesta, come si vede, delicata (l'accusa che ci verrà immediatamente rivolta, lo sappiamo, è di «fare il gioco delle destre»). Per questo abbiamo chiamato a rispondere a questi dubbi e a queste domande uomini della cui reale, antica e provata fede antifascista non è lecito dubitare.

PASOLINI: «Esiste oggi una forma di antifascismo archeologico che è poi un buon pretesto per prendersi una patente di antifascismo reale. Si tratta di un antifascismo facile facile che ha per oggetto ed obiettivo un fascismo arcaico che non esiste più e che non esisterà mai più. Partiamo dal recente film di Naldini: Fascista. Ebbene quel film, che si è posto il problema del rapporto fra un capo e la folla, ha dimostrato che sia quel capo, Mussolini, che quella folla sono due personaggi assolutamente archeologici. Un capo come quello oggi è assolutamente inconcepibile non solo per la nullità e per l'irrazionalità di quello che dice, per il nulla logico che sta dietro quello che dice, ma anche perché non troverebbe assolutamente spazio e credibilità nel mondo moderno. Basterebbe la televisione per vanificarlo, per ucciderlo politicamente. Le tecniche di quel capo andavano bene su di un palco, in un comizio, di fronte alle folle oceaniche, non funzionerebbero assolutamente su uno schermo a 22 pollici... Ecco perché buona parte dell'antifascismo di oggi, o almeno di quello che viene chiamato antifascismo, o è ingenuo e stupido o è pretestuoso e in malafede: perché dà battaglia o finge di dar battaglia ad un fenomeno morto e sepolto, archeologico appunto, che non può più far paura a nessuno. È insomma un antifascismo di tutto comodo e di tutto riposo... Io credo, io credo profondamente che il vero fascismo sia quello che i sociologi hanno troppo bonariamente chiamato la società dei consumi. Una definizione che sembra innocua, puramente indicativa. E invece no. Se uno osserva bene la realtà, e soprattutto se uno sa leggere intorno negli oggetti, nel paesaggio, nell'urbanistica e, soprattutto, negli uomini, vede che i risultati di questa bonaria e grassoccia società dei consumi sono i risultati di una dittatura, di un fascismo bello e buono. Nel film di Naldini noi abbiamo visto i giovani inquadrati, in divisa. Ma se noi guardiamo i giovani di oggi, anch'essi sono inquadrati, in divisa. Con una differenza però. Allora i giovani, nel momento stesso in cui si toglievano la divisa e riprendevano la strada verso i loro paesi e i loro campi, ritornavano gli italiani di cento, di cinquant'anni addietro, come prima del fascismo. Il fascismo in realtà li aveva resi dei pagliacci, li aveva repressi, e forse in parte anche convinti, ma non li aveva toccati sul serio nel fondo dell'anima, nel loro modo di essere. Questo nuovo fascismo, questa società dei consumi, invece, ha profondamente trasformato i giovani, li ha toccati nell'intimo, ha dato loro altri sentimenti, altri modi di pensare, di vivere, altri modelli culturali. Non si tratta più, come all'epoca mussoliniana, di una irreggimentazione superficiale, scenografica, ma di una irreggimentazione reale che ha rubato e cambiato la loro anima. Il che significa, in definitiva, che questa civiltà dei consumi è una civiltà dittatoriale. Insomma se la parola fascismo significa la prepotenza del potere, la società dei consumi ha bene realizzato il fascismo... Secondo me, la vera intolleranza è quella della società dei consumi, della permissività fatta cadere dall'alto, voluta dall'alto, che è la vera, la peggiore, la più subdola, fredda e spietata forma di intolleranza. Perché è intolleranza mascherata da tolleranza. Perché non è vera. Perché è revocabile ogni qualvolta il potere ne senta il bisogno. Perché è il vero fascismo da cui viene poi l'antifascismo di maniera: inutile, ipocrita, sostanzialmente gradito al regime. Se vogliamo fare dell'antifascismo sul serio noi non dobbiamo pronunciare nei confronti dei fascisti dei giudizi intellettuali o moralistici ma dei giudizi storici e politici. Non sono dei peccatori: sono dei nemici. Dei nemici di cui si deve tener conto, della cui cultura si deve tener conto. In questo senso gli intellettuali italiani di sinistra hanno delle gravissime colpe. Perché hanno sempre giudicato con sufficienza, con boria, con stupida superficialità la cultura di destra. Hanno sempre preferito ignorare la cultura di destra, chiudere gli occhi, basti pensare al caso clamoroso di Nietzsche. Le tesi di destra non vanno respinte a priori. Vanno giudicate. Perché, per quanto possa sembrare strano, i fascisti hanno un pensiero, una filosofia, una cultura. Che è una grande cultura che partecipa strettamente della cultura democratica e antifascista: perché il pensiero di Gentile è l'altra faccia di Croce. Perché la filosofia di Gentile la ritroviamo in Hegel. Ci si vergogna a dover spiegare ancora queste cose. Infine l'antifascismo, anche il più vero, anche quello vissuto e pagato sul campo non significa mancanza di misericordia. E voglio concludere col distico che Paul Éluard, poeta comunista, dedicò alle ragazze rapate a zero perché erano state con i nazisti: A quel tempo per non punire i colpevoli si rapavano delle ragazze». Massimo Fini

Moravia, uno scrittore passato dagli omissis all’oblio. Marcello Veneziani il  30 Settembre 2020 su La Verità. È passato quasi inosservato nei giorni scorsi il trentennale della morte di Alberto Moravia. Quando era in vita Moravia era lo Scrittore per antonomasia, l’Intellettuale civile impegnato, il personaggio pubblico. Veniva citato e omaggiato come un Classico vivente. La sua immagine era dappertutto, al centro dei dibattiti, punto di riferimento dell’Intellettuale Collettivo. Le sue prese di posizione, i suoi ritratti, come quello che gli fece Guttuso (nella foto), le sue pose, le sue donne – da Elsa Morante che grandeggia su di lui a Dacia Maraini che alla sua ombra prende corpo come scrittrice – i suoi reportage di viaggi, il cinema, la sua Sabaudia che fu la Capalbio ante litteram, il suo moralismo ideologico, il suo vibrante discorso alla morte di Pasolini. Tanti suoi libri diventarono film. Poi subito dopo la sua morte, il suo nome scomparve, i suoi libri pure, tutto apparve passato remoto e polveroso. Di lui restò solo il secondo cognome a Carmen Llera, l’ultima sua consorte. E un paio di folte sopracciglia grandeggianti come cespugli nei suoi ritratti.

Pasolini

Eppure si parlava e si parla ancora tanto del suo sodale PierPaolo Pasolini, morto molto prima di lui, si ripubblicano i suoi scritti, si ridiscutono le sue tesi; invece di Moravia si sono perse le tracce. Dimenticato. Ora, a trent’anni dalla morte, quasi coeva alla morte del Pci, è difficile risvegliare interesse intorno a lui. Eppure, nonostante tutto alcune sue opere, dagli Indifferenti, opera più che precoce, alla Noia e La Ciociara, hanno il respiro di testi significativi. Rispecchiano una condizione, riflettono un’epoca e un mondo. Moravia restò il prototipo dell’Intellettuale Impegnato, antifascista, vicino al Pci, di cui fu pure europarlamentare seppure “laico”.  La macchina del consenso che a volte è macchina dell’oblio, aveva dimenticato il suo primo libro pubblicato con la casa editrice di Arnaldo Mussolini, fratello del Duce, l’Alpes; e poi la lettera col cappello in mano che Moravia aveva scritto a Galeazzo Ciano, genero del duce e ministro, per rassicurarlo che il suo libro Le ambizioni sbagliate era “tutt’altro che antitetico alla Rivoluzione fascista”; aveva dimenticato le coperture fasciste assicurategli da suo zio Augusto de Marsanich, gerarca e viceministro ai tempi del regime e poi primo presidente dell’Msi nel dopoguerra; non ricordava che suo cugino antifascista Carlo Rosselli lo riteneva un esponente scettico ma verace della “nuova generazione fascista”.

Prezzolini

Si dimenticò di Prezzolini che ai tempi del fascismo lo aveva invitato alla Columbia University negli Stati Uniti per far conoscere i suoi romanzi in America e che il famigerato Minculpop lo reclutò per un viaggio di Cina degli intellettuali nazionali (che poi, sull’onda di Malaparte, diventerà anni dopo la sua infatuazione maoista). Nessuno ricordava più, ai tempi del suo antifascismo militante e del suo ruolo di vetrina, gli aiutini di regime e la protezione dello stesso Duce ai suoi “Indifferenti”. Nessuno ricordava più che per anni Alberto Moravia era stato nel dopoguerra il segretario personale dell’Arcitaliano Curzio Malaparte a partire dalla sua rivista Prospettive. Può essere ancora istruttivo scorrere libri come Intellettuali sotto due bandiere di Nino Tripodi o Camerata dove sei? di Claudio Quarantotto (che si firmava Anonimo Nero) per rendersi conto di lui e dei suoi tanti compagni di viaggio che voltarono gabbana. Col passare del tempo, Moravia era diventato “Il Conformista”, per citare il titolo di un suo libro, incarnava il Canone ideologico della cultura italiana. E dava la linea, sgridava gli eretici che non seguivano la linea progressista, marx-freudiana e filocomunista. Per esempio, nell’aprile del 1963 su L’Espresso Moravia rimproverava il compagno Pasolini per aver accettato di girare un film con Giovannino Guareschi un conservatore che era stato nel campo di concentramento nazista per la sua fedeltà al regno d’Italia.

Guareschi

Moravia scriveva che “in questi tempi ci accade di vergognarci degli altri, riferendosi a Guareschi e invitando Pasolini a non cadere nella “trappola”. Sei troppo candido per Guareschi, diceva Alberto a Pierpaolo, non contaminarti. E usava proprio l’espressione “candido” per alludere all’omonimo settimanale di battaglia di Guareschi. Divertente era il perbenismo di Moravia che accusava Guareschi di scrivere per una rivista “pornografica” che era poi Il Borghese, per via delle foto osé al centro della rivista. Eppure alla letteratura pornografica in salsa psicanalitica Moravia avrebbe presto dato i suoi contributi (per esempio il pessimo romanzo Io e lui, solo per fare un esempio, dove lui è il suo organo sessuale).

Certo, uno scrittore non si può ridurre al suo ruolo civile e alle sue amnesie, alle sue piccole viltà, ai suoi camaleontismi e alle sue opere peggiori. E gli scrittori in fondo vanno giudicati per le opere e non per la biografia o il mondo in cui si comportarono nella vita pubblica. Però è bene non dimenticare l’emisfero in ombra di Moravia, soprattutto quando tutti gli altri tendono a non ricordarsene. MV, La Verità

Il Pci si celebra Cento anni di menzogne. Alessandro Gnocchi il 19 Gennaio 2021 su Il Giornale. Antonio Gramsci era un santo. Palmiro Togliatti un fior di riformista, sulla scia del socialista Filippo Turati. Antonio Gramsci era un santo. Palmiro Togliatti un fior di riformista, sulla scia del socialista Filippo Turati. Il Partito comunista era non solo del Migliore (Togliatti, appunto), ma anche dei migliori, essendo i suoi elettori colti e moralmente irreprensibili. La svolta della Bolognina e la trasformazione in Partito democratico della sinistra fu una geniale intuizione di Giorgio Napolitano, e non di Achille Occhetto. Botteghe Oscure prese le distanze da Mosca un poco alla volta, ma con decisione, fin dal dopoguerra, quando scelse di partecipare al processo democratico. Budapest non è mai esistita. La Primavera di Praga, neppure. I Gulag sono un'invenzione della propaganda. L'Unione Sovietica era pacifista a differenza dei guerrafondai statunitensi. I dissidenti erano fascisti sotto mentite spoglie. Questo, a sommi capi, è il ritratto del Partito comunista italiano, nato cento anni fa con la scissione di Livorno, che abbiamo potuto leggere sui quotidiani, in pratica tutti, spesso in articoli firmati da... (ex?) comunisti. Massì. Non facciamo i bastian contrari a tutti i costi. È stupido ricordare fatti sgradevoli. San Gramsci disse che la piccola e media borghesia erano «la barriera di umanità corrotta, dissoluta, putrescente, con cui il capitalismo difende il suo potere economico e politico, umanità servile, abietta, umanità di sicari e di lacchè». Quindi proseguiva, con divino afflato, che la classe sociale in questione bisognava «espellerla dal campo sociale, come si espelle una volata di locuste da un campo semidistrutto, col ferro e col fuoco». Col ferro e col fuoco, che carino. Sul riformismo di Togliatti, sarebbe proprio cercare il pelo nell'uovo il voler ricordare queste parole del Migliore: «Nella persona e nell'attività di Filippo Turati si sommano tutti gli elementi negativi, tutte le tare, tutti i difetti che sin dalle origini viziarono e corruppero il movimento socialista italiano, che lo condannarono al disastro, al fallimento, alla rovina. Per questo la sua vita può bene essere presa come simbolo e, come un simbolo, anche la sua fine. L'insegna sotto cui questa vita e questa fine possono essere poste è l'insegna del tradimento e del fallimento. Nella teoria Turati fu uno zero». Uno zero, dai Palmiro, non fare l'invidioso, sappiamo tutti (?) che in realtà Turati fu il tuo maestro. Quanto alla guerra di Liberazione, chiedere informazioni nel triangolo rosso e lungo il confine orientale: regolamento di conti a mano armata (quella comunista), brigate tradite e sotterrate (dai gappisti), infoibamenti (dai gappisti e dai compagni titini). La «svolta» democratica era tatticismo, voluto e ordinato da Mosca, che stava rafforzando la presa sull'Europa dell'Est e non poteva permettersi l'apertura di un fronte in Italia. In quanto alle posizioni del Partito comunista davanti all'ingresso dei carri armati in Ungheria, sono limpide. Ecco qua cosa scriveva Giorgio Napolitano: «L'intervento sovietico ha non solo contribuito a impedire che l'Ungheria cadesse nel caos e nella controrivoluzione ma alla pace nel mondo». Secondo l'Unità, gli insorti non erano socialisti in cerca di riforme ma «teppisti, spregevoli provocatori e fascisti». Beh, direte voi, però a Praga nel 1968... No, signori, davanti alla repressione, il Partito comunista, con Berlinguer in ascesa a fianco di Luigi Longo, non riuscì ad andare oltre un «forte dissenso». Ah, il dissenso. Vogliamo parlare del tentativo, andato a vuoto, di impedire la pubblicazione del Dottor Zivago di Boris Pasternak? Rossana Rossanda si prese la briga di far capire all'editore Giangiacomo Feltrinelli che quel romanzo era brutta propaganda anti-comunista. Darlo alle stampe significava «passare il segno». Non solo Rossana Rossanda. Scese in campo tutta la prima linea della dirigenza: Pietro Secchia, Paolo Robotti, Palmiro Togliatti, Luigi Longo, Mario Alicata. E quando il premio Nobel per la letteratura Aleksandr Solgenitsin fu esiliato? I comunisti di casa nostra giudicarono l'atto proporzionato, una dimostrazione di responsabilità da parte dei sovietici. Certo, l'esilio era una misura restrittiva dei diritti individuali, ma Solgenitsin aveva sfidato lo Stato e sostenuto aberranti tesi controrivoluzionarie. Sì, però dopo... a un certo punto le cose saranno cambiate. Nel 1977, non ancora. Quello fu l'anno della Biennale del dissenso voluta da Carlo Ripa di Meana. Ordine diretto di Mosca, subito raccolto dai compagni italiani: boicottate la mostra veneziana. Inutilmente cercherete notizia di questi o analoghi fatti. Prevale, nella stampa e nell'editoria, l'adorazione per la storia formidabile del comunismo italiano, senza macchia e senza paura. D'altronde, il comunismo ha perso come sistema politico ma ha vinto come sistema culturale, come mentalità di massa. Facciamo un esempio. Chi ha pagato il conto più salato in questi mesi piagati dalla pandemia? La piccola o media borghesia, impossibilitata a lavorare e ingannata dai mitici ristori, ovvero soldi a pioggia che non arriveranno mai nella misura necessaria e promessa. D'altro canto come potrebbe lo Stato italiano, che non ha un centesimo, provvedere davvero a tutto? Bene, ricordate le parole di Gramsci da cui siamo partiti? La borghesia «da espellere... col ferro e col fuoco»? Alessandro Gnocchi 

VERITÀ STORICA E STRATEGIA DELLA MENZOGNA: IL TOTALITARISMO COMUNISTA. Renato Cristin il 24 aprile 2019 su opinione.it. «Ciò che più colpisce gli studiosi che hanno esaminato con attenzione i regimi comunisti non è tanto l’entità e la mostruosità dei crimini commessi, quanto la vastità delle complicità e delle omertà che essi sono sempre riusciti a trovare nei Paesi occidentali». Infatti, «il comunismo è riuscito, per durata e diffusione, a condizionare la vita politica e sociale di tanti popoli e a soggiogare, con i suoi metodi e con le sue menzogne, interi continenti», ma «la sua influenza è stata enorme anche perché era sorretta da una formidabile organizzazione internazionale», che consisteva in una incomparabile potenza ideologica e in un vastissimo appoggio negli ambienti culturali, accademici e giornalistici occidentali. Così scriveva Sandro Fontana dieci anni fa in un libro intitolato Le grandi menzogne della storia contemporanea (Edizioni Ares, Milano 2009). In quanto entità statale, a parte alcune sacche marginali di persistenza (la Cina, pur essendo guidata dal partito comunista, è un fenomeno più complesso e non immediatamente classificabile), il comunismo è crollato, ma la sua idea, deflagrata oggi in molte metamorfosi, è sopravvissuta, e il sostegno a questa ideologia sanguinaria (oltre cento milioni di morti, secondo gli studi più accurati, come quello a cura di R. Conquest, Il costo umano del comunismo, Edizioni del Borghese, Roma 1973), è ancora forte in tutti gli ambienti che sono in grado di plasmare l’opinione pubblica occidentale. Le forme di questo sostegno sono svariate e dalle molteplici sfumature, ma hanno in comune l’affermazione di una presunta superiorità intellettuale e l’intento di consolidamento del potere, istituzionale quando possibile e culturale in ogni caso. In questa logica, detto in breve, ideologia comunista e produzione culturale sono diventate sinonimi: dove c’è l’una, dovrà per forza esserci anche l’altra. Su questo assioma si sono rette per decenni molte delle coordinate politiche dell’Europa occidentale e su di esso hanno fatto la loro fortuna i partiti della sinistra europea. Questa però è una menzogna che ha potuto passare per verità solo perché l’ideologia che l’ha spacciata ha un intrinseco carattere violento e totalitario, come aveva perfettamente visto il bulgaro Tzvetan Todorov: «mentre i Paesi occidentali hanno imboccato la via della democrazia, scelta per decisione maggioritaria della popolazione, i loro intellettuali hanno invece optato per regimi violenti e tirannici. Se in quei Paesi il voto fosse stato riservato ai soli intellettuali, oggi vivremmo sotto regimi totalitari». A questa tendenza ideologica va aggiunto il fatto che la retorica sinistrista si è, quasi sempre, fondata sulla falsità, perché, uso ancora parole di Sandro Fontana, «con la menzogna è facile distruggere l’avversario politico e anche conquistare il potere». Tuttavia l’impostura, per quanto grande e ramificata, non consente di governare Stati di grande complessità e di grande autoconsapevolezza come quelli europei, e quindi il limite di quella ideologia consiste nella sua stessa strategia. Per poter avere successo, la strategia della menzogna deve spingere ogni discorso al parossismo, deve portare ogni situazione al suo estremo, deve torcere il linguaggio a scopi sofistici. Se non viene scoperta, questa tecnica offre esiti pragmatici durevoli, ma se viene smascherata, il velo cade, il fumo si dirada e si svela la verità.

L’eccezione e la legge

Un filo di questa trama pende oggi in una polemica che le sinistre genericamente definibili hanno lanciato contro l’amministrazione regionale del Friuli-Venezia Giulia, il cui Presidente Massimiliano Fedriga ha deciso di recepire una mozione approvata dal Consiglio finalizzata a «sospendere ogni contributo finanziario e di qualsiasi altra natura a beneficio di soggetti pubblici e privati che, direttamente o indirettamente, concorrano con qualunque mezzo o in qualunque modo a diffondere azioni volte a non accettare l’esistenza di vicende quali le Foibe o l’Esodo, ovvero a sminuirne la portata». Da qualunque parte del mondo una simile mozione verrebbe classificata nella normale attività legislativa: è normale che la politica contribuisca a custodire la memoria storica, difendendola da menzogne e mistificazioni. È normale che il crimine forse più spregevole che ha colpito gli italiani, in quanto comunità etnica-nazionale, in tutta la loro storia venga definito come tale e, in quanto tale, diventi una sorta di unicum che non può essere associato ad altri, pur gravi. Se dunque quella pulizia etnica contro gli italiani in quanto tali ha il carattere di eccezione storica, eccezionale dev’essere anche la considerazione che la riguarda, e quindi anche il potere legislativo deve trattarla in forma di eccezione. Con ciò, la ricerca storica non viene inficiata nella sua libertà, ma, analogamente a quanto accade per la legislazione tedesca in materia di Shoah, fatte ovviamente salve tutte le differenze, per portata e per conseguenze, fra queste due tragedie storiche, quando si scalfisce il perimetro che protegge l’eccezione si infrange un limite. Da qui la mozione e la decisione del Presidente Fedriga. È normale dunque che una eccezione sia trattata distintamente dagli altri casi. Ma in Italia, e soprattutto a Trieste, sembra che questa normalità non venga accettata da coloro che, dunque, non ritengono che quella spaventosa tragedia costituisca eccezione, e la ridimensionano, la minimizzano. Le forme di questa denegazione (termine psicoanalitico quanto mai appropriato) sono svariate: si rifiuta la realtà storica (oggi però i casi di questa forma estrema non sono più molto frequenti), le si nega dignità, le si nega visibilità, le si nega memoria piena, le si nega il senso dell’unicità, ma tutte queste versioni si discostano dalla verità, che dunque sarebbe oggetto di confutazione storica, non di esperienza esistenziale, come se la verità dovesse essere stabilita dalla storiografia e non dalla memoria delle persone, sempre vivente perché incarnata nell’esperienza. Agli storici spetterebbe sancire la verità dell’esperienza esistenziale? L’oggettività dello storico sarebbe superiore all’esperienza della vittima o alla memoria di coloro che ne rivivono la testimonianza? Alla denigrazione diretta si affianca lo scherno: oltre al disconoscimento di un crimine eccezionale nella sua portata etnico-politica, si mostra qui un positivismo gretto e totalitario, che pretende di imporre agli individui, ai popoli e allo spirito le tabelle del computo storiografico. La tesi della superiorità intellettuale della sinistra applicata al terreno dell’esperienza vissuta: l’ideologia di sinistra ci dice cosa è politicamente giusto; la storiografia di sinistra determina come interpretare gli eventi storici. Ma poiché questi ultimi sono un intreccio inestricabile di fatti reali e di vissuti esistenziali, la loro verità – nel senso filosofico e quindi nel senso originario – non è riducibile agli schemi storiografici. E, in questo senso, il caso di cui sto parlando è paradigmatico.

Il totalitarismo dell’ideologia comunista

Siamo di fronte a un frutto velenoso del pensiero totalitario, perché il totalitarismo si produce mediante la negazione della verità e l’imposizione di schemi strumentali. E a questo scopo si dice pure che quella mozione e la sua conseguente adozione sarebbero divisive. È uno schema talmente vecchio da risultare noioso, se non fosse però sempre dannoso: solo ciò che propone o impone la sinistra sarebbe unitivo, tutto il resto è divisivo. Se si accettano i dettami della sinistra si ha la pace, altrimenti scatenano la guerra. Questa miscela tra sofisma e intimidazione è micidiale, ma da qualche tempo si intravedono alcune crepe nella corazza politicamente corretta, si incominciano a vedere le menzogne che la strutturano; gli italiani si stanno rendendo conto, e lo hanno spesso dimostrato nell’esercizio democratico del voto, che quella retorica è finalizzata all’inganno. Infatti, sotto la maschera di un appello alla libertà di ricerca si vogliono imporre schemi ideologici e, molto più in basso, sistemi di finanziamento che retroalimentano quegli schemi, in un circolo che serve a consolidare e magari rafforzare posizioni acquisite nel corso di decenni di dominio culturale. In gioco dunque è il potere che per decenni la sinistra, la sua retorica e la sua storiografia sono riuscite a imporre all’opinione pubblica. Il confine orientale continua ad essere aggredito da un’ideologia che, nonostante il passare del tempo, nonostante l’affermarsi delle verità storiche, nonostante i suoi fallimenti planetari, sembra la stessa di settant’anni fa, con la stessa struttura logica e con le stesse formule. È la prova che, detto sommariamente, il comunismo, come teoria e come prassi, è vivo, e non è limitato solo all’estremo lembo del Nordest, ma è diffuso in tutto il Paese e, in forme diverse, ovunque nel mondo. Dopo un secolo di aggressioni verbali (per non parlare delle violenze fisiche e degli stermini di massa), i militanti di questa ideologia, oggi mascherati da buonisti e proliferati nella galassia progressista, hanno la spudoratezza di ergersi a paladini del discorso pacato e da inflessibili fustigatori di quelli che, furbescamente, essi chiamano «i discorsi d’odio» e che, invece, sono argomenti teorico-politici avversi al dilagante politicamente corretto o, talvolta, semplici espressioni di buon senso. Con la sicumera che solo i professionisti della menzogna e della dissimulazione riescono ad avere, gli apologeti del buonismo si sono ritagliati uno spazio ragguardevole nel discorso pubblico, nei media e nei social, e lo consolidano con la sistematica aggressione nei confronti di qualsiasi espressione che possa anche solo minimamente mettere in crisi la loro ideologia. È la solita e arcinota mossa dell’attacco preventivo: da un punto di vista politico, tutto ciò che minaccia il piedestallo etico-linguistico su cui si ergono questi sinistri censori va attaccato con accuse pesanti anche se infondate: nazionalismo, populismo, xenofobia, fascismo e così via; da un punto di vista psicologico, bisogna diffamare qualsiasi persona e qualunque idea che possa smascherare la menzogna su cui si regge il politicamente corretto. Che questa truce ideologia, in più di un secolo di vita, non abbia mai cambiato questo schema è un fatto inquietante e al tempo stesso risibile. L’assurda tesi della superiorità etica e politica della sinistra, pur essendo palesemente errata è talmente diffusa da esser diventata luogo comune. Nonostante il crollo dei consensi ai partiti della sinistra, dovuta anche alla diffusione delle idee liberali, del liberal-conservatorismo e del cattolicesimo non di sinistra, nonostante il lavoro di smascheramento ideologico che dal 1994 il centrodestra italiano ha realizzato (e a cui bisognerà attribuire il giusto riconoscimento storico e teorico), le carte continuano a darle gli esponenti di quella ideologia: politici, intellettuali, giornalisti, docenti che assegnano patenti di democraticità, di antifascismo e di qualsivoglia definizione utile ai propri scopi. E gran parte della popolazione, spesso inconsciamente o per timore reverenziale, con comprensibile ma immotivata sudditanza, accetta quelle classificazioni, quelle categorie che hanno la pretesa di regolare i processi culturali, i rapporti sociali e perfino le dinamiche psicologiche degli individui: una pretesa chiaramente totalitaria. Si tratta di una sceneggiata ideologica i cui numerosi attori però hanno fatto e continuano a fare tremendamente sul serio: un tempo agivano per conto dell’internazionale comunista, sul sottile e rovente filo che congiunge l’impegno politico al terrorismo; oggi agiscono in nome dell’internazionale buonista (camuffamento di quella precedente), non più contigui alle frange terroristiche, ma con il medesimo atteggiamento di terrorismo psicologico e linguistico di un tempo. Se, come sosteneva Guglielmo Ferrero, il terrore è lo sbocco inevitabile della rivoluzione, e se il terrore si pratica non solo con la violenza fisica ma pure con quella linguistica, il terrore della nostra epoca è quel blocco culturale che chiamiamo «il politicamente corretto», forma modificata e aggiornata del rivoluzionarismo comunista.

Il diritto democratico di governare

Se la sofistica classica, detestabile ma eccellente, porta al limite ogni ragionamento, la deprimente sofistica attuale, che è un perfetto impasto di leninismo e di postmodernismo (e che nel nostro caso specifico è la sofistica con cui agiscono i negazionisti, i riduzionisti e i loro conniventi, in tutte le numerose sfumature), adotta lo stesso canone eristico, ma poiché è oggettivamente molto al di sotto del livello di quella antica, non riesce a reggere il discorso al limite, tradendo una volontà che sotto la nuova retorica sofistico-decostruzionistica continua a riprodurre la vecchia pretesa di superiorità, la tendenza alla sopraffazione, la concezione totalitaria. Difficile stare sul limite senza varcarlo, se si è tronfi di suprematismo ideologico, culturale, politico e perfino morale. Il vizio antico della sinistra trova in se stesso la causa del suo fallimento. Questo recente episodio – che dalle cronache locali si è esteso alla ribalta nazionale, sia perché, riguardando la pulizia etnica anti-italiana, tocca un nodo molto sentito nella coscienza nazionale, sia perché fra i contestatori di quella mozione del centrodestra ci sono istituti di importanza nazionale – mostra infatti che, in un crescendo di risentimento, la sinistra, che pur raccoglie studiosi seri insieme a ciarlatani, che raggruppa moderati ed estremisti, persone oneste e faccendieri in malafede, negazionisti e riduzionisti, ha oltrepassato quel limite. Forse non lo ha nemmeno visto, ritenendosi infallibile e al di sopra di ogni vincolo morale, ma di fatto ha superato una linea di demarcazione: la tragedia delle foibe è intangibile. Questo è il limite invalicabile, al di là del quale si aprono scenari raccapriccianti, che ci fanno ripiombare a epoche in cui l’ideologia comunista imperava. E forse proprio questa è la nostalgia segreta che spinge a spostare sempre più in avanti il limite del discorso, in una pulsione di autoaffermazione che vuole distruggere, tacitare o negare l’avversario politico e culturale. Sul crimine delle foibe non si transige, come non si transige sulla criminale aberrazione della Shoah. Tutto qui. Al di là di questa linea c’è il divieto, perché si entra nella zona oscura in cui tutto è possibile, anche Auschwitz, in un territorio mefitico in cui si nega l’essenza dell’essere umano. Con questo divieto la libertà della ricerca non viene impedita né minimamente compromessa, e consiste nella responsabilità scientifica e morale di ciascuno, che può liberamente decidere se valicare o meno il limite. Ma la politica, quando ha la responsabilità di governare, ha anche il diritto di decidere come perseguire nel modo migliore il bene comune, perché il potere democratico si fonda su tale diritto. E poiché la nozione di bene comune non è soltanto oggettiva ma si determina anche in base alla concezione della società e del mondo propria di chi è stato eletto per governare, questi decide come indirizzare gli investimenti pubblici per il conseguimento di ciò che è ritenuto bene e giusto. Questo è il senso di legittimità del potere, di quello costituente e di quello ordinario, perché in ciò consiste il principio della democrazia nella sua applicazione concreta. Si può contestare una decisione, e anche questo è un aspetto della dialettica democratica, ma non si può discutere il diritto di decidere, perché se il potere è legittimato dalla maggioranza degli elettori, negare questo diritto è un atto eversivo.

I crimini del comunismo

Il linguaggio è un’arma a doppio taglio, come ben sapeva Freud. Infatti può anche tradire intenzioni nascoste, come nel caso di un recente documento di un istituto di ricerca storica, nel quale la parola «crimini», che è la più adatta per designare gli eventi delle foibe e dintorni, viene usata solo per i «crimini di guerra italiani». I crimini delle foibe vengono chiamati «stragi», con un termine neutro, semanticamente ambiguo, ideologicamente idoneo. E ancora, in una lettera di protesta contro la mozione del Consiglio Regionale FVG, sarebbero «velenose nostalgie» gli sforzi che l’amministrazione regionale e le associazioni a difesa della memoria della tragedia istriano-dalmata stanno compiendo affinché l’intangibilità di quella memoria venga preservata nella sua integrità. Ma in realtà quell’espressione è una parola, freudianamente, caduta, che tradisce la volontà di riprodurre gli inganni ideologici su cui si sono costruite le strutture del potere culturale e che, quindi, evoca la nostalgia di un predominio parzialmente compromesso e, ci si augura, in esaurimento. Questa sì che è nostalgia, e pure venefica. E su questa linea semantica si inserisce pure uno schiaffo denigratorio lanciato contro la Lega Nazionale, associazione insignita benemerita per l’italianità, che nella medesima lettera di protesta viene definita «un ente privo delle necessarie credenziali di competenza e serietà sul terreno della ricerca storica». Ancora una volta la prassi della denigrazione, ma la Lega Nazionale non necessita di difensori: la sua storia, la sua caratura scientifica e la sua integrità morale bastano, da sole, a rintuzzare qualsiasi aggressione, qualsiasi diffamazione. Il modulo è sempre il medesimo: i migliori stanno a sinistra, e chiunque altro, singolo o associazione, si collochi dall’altra parte è per definizione peggiore. E così si svela il nucleo teorico e ideologico da cui discendono, come conseguenze applicative, tutte le pratiche qui brevemente descritte e molte altre non esaminate. I crimini del comunismo sarebbero, per varie ragioni, meno gravi di quelli del nazionalsocialismo: questa è la logica, chiamiamola così, che ancora oggi sembra guidare, talvolta anche come un riflesso condizionato (imposto da decenni di ideologico lavaggio del cervello), le mosse degli intellettuali di sinistra e, più in generale, l’azione del politicamente corretto applicato alla storia. Contro l’essenza criminogena e gli esiti criminali del nazionalsocialismo abbiamo, tutti, non solo la sinistra, detto parole definitive, che si riassumono in un’espressione un poco usurata ma del tutto adeguata: male assoluto. Lo stesso però va detto, e su ciò una parte non marginale della sinistra continua a non essere d’accordo, nei confronti dell’essenza e degli esiti, parimenti criminali del comunismo, pur nella diversità di scenario, di implicazioni e di conseguenze. Di qui la necessità, ormai improcrastinabile, di affiancare oggi al sacrosanto Processo di Norimberga (e a tutti i sotto-processi che hanno permesso di catturare e condannare altri criminali nazionalsocialisti; uno per tutti: il processo che a Gerusalemme ha visto alla sbarra Eichmann) una Norimberga del comunismo, ovviamente nelle forme che la nostra epoca può concedere. O si accetta di stare su questo piano culturale, scientifico ed etico, oppure si sta dalla parte del comunismo: tertium non datur. 

Comunismo: quando il falso diventa vero. Marco Gervasoni il 23 Giugno 2020 su culturaidentita.it. Sorvegliare e mentire: se c’è un distico che caratterizza il comunismo, come ideologia e come regime, è proprio questo. Sorvegliare e pure reprimere, ovvio; anzi in questo il comunismo non accetta confronti, salvo forse con il nazional-socialismo tedesco. Il mentire però è una caratteristica che definisce ancor più l’esperienza storica comunista, ne è anzi il tratto saliente: il comunista è comunista soprattutto perché mente. Bisogna intendersi sul concetto di menzogna e in ciò ci aiuta l’etimologia. Proveniente dal latino mentiri, che sta anche per “indicare”, condivide la radice sanscrita men, cioè “ricordare”. Mentire quindi non significa tanto celare la verità, quanto indicarne un’altra, alternativa a quella vera. Una verità che deve essere intesa in tre forme: empirica (vero è ciò che vedo), logica (vero è ciò che è conforme al principio di non contraddizione) e ontologica (vero è ciò che è coerente con il senso metafisico). Per questo distinguere ciò che è vero da ciò che è falso, fin dall’antica Grecia diventa uno degli obiettivi fondamentali della filosofia. Perché il falso si maschera da vero o si confonde con esso e anzi, come scrive Sant’Agostino nel De Mendacio, il falso è tanto più dannoso quanto più si presenta come vero, come gli dei pagani.

Il comunismo rappresenta l’esempio più compiuto nella storia di falso che si presenta vero. Dal punto di vista dottrinale, è infatti figlio dell’Illuminismo e della idea settecentesca di “critica”. Secondo la celebre definizione di Paul Ricoeur, Marx assieme a Nietzsche e Freud, è uno dei tre “maestri del sospetto”. E infatti per Marx quello che si presenta come “vero” è, in realtà, frutto della costruzione del mondo ideologico della classe dominante. Per Marx la realtà è già una narrazione e in qualche modo egli è il primo decostruzionista, non per caso Michel Foucault e Jacques Derrida si definivano seguaci di Marx. Compito dei comunisti è quindi criticare, cioè decostruire, la narrazione dominante. Alla quale però, essi oppongono un’altra narrazione, che si presenta come vera: non vera in assoluto, perché la verità per Marx non esiste, ma vera agli occhi della classe operaia. Finché i marxisti stanno all’opposizione, la critica prevale sulla costruzione della verità alternativa, anche se essa è già presente nella propaganda moderna, di cui i partiti socialisti della Seconda Internazionale, a fine Ottocento, sono gli inventori. I problemi si pongono quando il comunismo, da opposizione, diventa governo, cioè regime. Ciò avviene per la prima volta in Russia, dove la cultura politica marxista si incontra con un’altra, pure di matrice europea occidentale, ma che aveva molto attecchito nel populismo russo. Vale a dire il nichilismo di Sergej Gennadievič Nečaev, seguace del tedesco Max Stirner, per il quale la realtà è solo proiezione della volontà del soggetto individuale, il mondo esterno essendo una sua costruzione. Nonostante la cultura positivista, che pure Lenin e i bolscevichi condividono, nel regime comunista si affermano l’idea e la prassi nichilistiche che è il partito a costruire la realtà. Da quel momento verità sarà solo ciò che viene affermato, deciso e messo in pratica dal Partito comunista. Ma poiché il Partito comunista coincide con lo Stato, i comunisti si impegnano a costruire una realtà e una verità alternative. Cosicché, da quel momento, nella propaganda comunista la menzogna diventa ciò che è vero, mentre ciò che è falso dal punto di vista empirico, logico ed ontologico, diventa il vero. Si potrebbero riportare centinaia di esempi della realtà alternativa, fondata sulla menzogna, che i regimi comunisti, da quello sovietico a quelli sudamericani e asiatici a quello cinese, hanno costruito nel corso dei decenni, tanto che i visitatori stranieri, invitati dai regimi in quei paesi, si trovavano di fronte una sorta di Disneyland comunista: i più smaliziati se ne accorgevano e magari cambiavano idea, ma la maggioranza dei compagni di strada ci cascava o faceva finta di cascarci. Vecchia storia, si dirà. Mica tanto. In primo luogo, mentre nazismo e fascismo sono spariti da decenni, i regimi comunisti sono vivi e vegeti: da Cuba al Vietnam fino, ovviamente, alla Cina. Che sul tema della menzogna è perfettamente in linea con la tradizione di Marx, Lenin, Stalin, Mao (del resto tutti, tranne il georgiano, sempre rivendicati laggiù). In secondo luogo, gli eredi dei Partiti comunisti sono ben attivi: dal Pd in Italia alle varie opposizioni in paesi come Ungheria e Polonia. Molti dei loro dirigenti sono cresciuti nelle scuole di partito che, anche se alle Frattocchie, condividevano l’idea di “verità” di Mosca, cioè la logica della menzogna. E che ora, nel governo Conte, ammiratori di XI ed eredi di Togliatti e di Berlinguer siano fianco a fianco spiega molte cose: tutte preoccupanti.

La storia a metà. Il 25 aprile e la menzogna rossa che impedisce la riconciliazione nazionale. Alfonso Baviera il 25 aprile 2021 su loccidentale.it. E’ un nuovo 25 aprile, data che per la Repubblica Italiana segna un momento di svolta storico. Terminava la seconda guerra mondiale e con essa doveva scomparire ogni traccia del regime fascista che aveva governato il Paese per oltre 20 anni. Per ancora pochi giorni truppe dello sconfitto esercito fascista repubblichino avrebbero ancora imbracciato le armi, più in azioni di autodifesa che di vera e propria guerra. La guerra in Italia era stata brutale. Non solo tra gli eserciti regolari che combattevano al fronte, ma anche per “gli eserciti di partito”, da un lato i fascisti e dall’altro i partigiani (comunisti e non), che forse si combatterono con ancor più brutalità con episodi di impiccagioni e fucilazioni quasi quotidiane. Non mancarono episodi di violenza inaudita che coinvolsero anche le inermi popolazioni civili. Tanto brutale fu questa guerra civile che non fu possibile interromperla all’improvviso e, purtroppo, fece ancora molte vittime nei mesi successivi al 25 aprile 1945 tra fascisti, ex fascisti, conservatori, cattolici ed anche gente innocente. Questa scia di sangue fu dovuta ad un semplice fatto che storicamente in Italia si è sempre cercato di far dimenticare. Oltre alla guerra di liberazione nazionale era in corso una vera e propria rivoluzione “rossa” con il tentativo delle forze comuniste sia di egemonizzare il movimento partigiano (anche con atti violenti come la strage di Porzus che vide la morte di 17 partigiani cattolici per mano di partigiani comunisti) sia di favorire l’ingresso in Italia di eserciti stranieri ma di fede comunista (l’esercito nazionale yugoslavo del regime comunista guidato da Tito che condusse numerose azioni violente come le stragi delle foibe). Purtroppo per chi era favorevole a tale progetto, ma fortunatamente per molti altri, altri eserciti si trovarono ad invadere il territorio nazionale. Gli inglesi e gli americani oramai dilagavano per tutta pianura padana e, in un clima di diffidenza reciproca in embrione tra gli alleati vincitori, riuscirono ad arginare sia le forze partigiane, portando avanti un processo di rapida smilitarizzazione, che quelle dell’esercito yugoslavo. Risulta, quindi, evidente che tale circostanza ha sempre avuto un posto secondario nella Storia italiana (quella con la lettera S maiuscola), poiché ammettere tale fatto storico avrebbe significato allargare il concetto di “liberazione” collegato alla ricorrenza del 25 aprile. Perché se fu liberazione, ed è certo che lo fu, lo fu riferita a due pericoli antidemocratici che avevano dominato in passato il Paese o cercavano di farlo in futuro: quello fascista e quello comunista. Purtroppo per l’onestà storica i partiti di origine comunista si trovarono dalla parte dei vincitori e, quindi, ebbero facile gioco ad accreditarsi come “liberatori” e difensori della democrazia. Per comprendere come questo dato sia falsato basta verificare il livello di democrazia che è stato presente in tutti i regimi comunisti europei dopo la seconda guerra mondiale. Elezioni truccate, opposizioni arrestate, militarizzazione dell’apparato statale, costruzioni di barriere e muri quasi invalicabili, crollo del benessere popolare. Tutto questo “percorso democratico comunista” all’Italia fu evitato grazie alla presenza di migliaia di militari americani e inglesi e non perché le forze partigiane comuniste mirassero ad instaurare realmente un regime democratico nel nostro Paese. Chi lo affermava, e lo continua ad affermare, mentiva allora e mente oggi. E questa menzogna costringe l’attuale sinistra a mantenere costantemente un livello di scontro ideologico contro tutti coloro che o dichiaravano o dichiarano legami ideologici con il passato regime fascista. Questo scontro è servito a mantenere le forze ideologiche di origine comunista dalla parte dei vincitori e, quindi, gli ha permesso di creare una barriera nebulosa sui fatti storici di quegli anni. Sappiamo bene quante critiche furono indirizzate allo storico Renzo De Felice, che per molti anni cercò di riportare la “verità storica istituzionale” sui binari “della verità Storica”. Purtroppo, accettare questa verità storica, porterebbe molti di coloro che oggi sventolano la bandiera dell’antifascismo militante, in versione di forza democratica, a dover considerare proprio avversario anche chi rappresenta una ideologia come quella comunista, con la possibilità di potersi trovare nello stesso momento nella duplice posizione di democratico e antidemocratico. Forse accettare la verità storica sarebbe il primo passo fondamentale per iniziare un vero percorso di riconciliazione nazionale. Fascisti e comunisti, ex fascisti ed ex comunisti, post fascisti e post comunisti, tutti insieme messi dalla stessa parte della barricata, non avrebbero più motivo di continuare uno scontro politico e dialettico che oramai dura da oltre 75 anni e si potrebbe realmente considerare la data del 25 aprile come la “festa della riconciliazione nazionale”.

Berlusconi: Il comunismo é un grande viaggio dentro la menzogna. Il Presidente alla presentazione del libro ''Il sangue di Abele'' su forzaitalia.it. "Il comunismo fu un grande viaggio dentro la menzogna che coinvolse anche il mondo libero. E ancora oggi sul comunismo l’occidente fa fatica ad accettare e riconoscere la verità storica. E’ come se si dovesse fare conti con la propria coscienza e con l’indifferenza e la superficialità con cui molti intellettuali spalleggiarono il comunismo e qualcuno continua così ancora. Con questo libro ho avuto la conferma di ciò che sapevo e pensavo: l’ideologia comunista é la più criminale e disumana della storia dell’uomo. 16 anni fa ho voluto che Mondadori pubblicasse una testimonianza, forse la più vasta, di cosa è’ stato il comunismo e credo che tutti si siano resi conto dell’efferatezze di quell’ideologia. L’Ideologia comunista mirava a prendere il potere, era il potere per il potere. Ho letto questo libro e non sono riuscito a dormire. Sono poi d’accordo sul fatto che sia stato una malattia, una vera follia tanto e’ stata esasperata la sua realizzazione. E’ una speranza di tutti noi, seguiamo le vicende e vediamo se davvero la sinistra italiana riuscirà a fare quello che fece l’Inghilterra 100 anni fa. Sarebbe una cosa meravigliosa se anche il Pci che ha fatto molti lifting cambiando molte volte il nome si trasformerà in un partito socialdemocratico"

PILLOLE LETTERARIE. I maiali comunisti e le loro menzogne, in George Orwell. Simone Chiani il 20 luglio 2021 su lacittanews.it. In “La Fattoria degli Animali” George Orwell (pseudonimo di Eric Arthur Blair) compie un’impressionante denuncia allegorica al comunismo, colpevole di distruggere nella pratica tutto ciò che promette nella teoria. Il tradimento della rivoluzione bolscevica osservato da vasta distanza ha permesso allo scrittore britannico di comporre questa pungente novella in maniera impeccabile. Gli animali sono stufi di sottostare alle ingiuste prepotenze degli uomini, così decidono di ribellarsi tutti insieme: nella Fattoria Padronale gli esseri su due zampe sono cacciati durante una rivoluzione e rimangono, in “autogestione”, le bestie; la fattoria, pertanto, diviene “degli animali”. Tuttavia dopo un’iniziale gioia incontenibile, data dal fatto che per la prima volta sono coloro sempre consideratisi “schiavi” al potere, si iniziano a delineare nuove dinamiche, e nuove gerarchie. I maiali, capitani dell’insurrezione, sembrano via via dimenticarsi sempre più delle promesse fatte durante la rivolta, e arrivano ad accomodarsi così tanto al potere da divenire, alla fine del racconto, veri e propri umani. E’ l’utopia del comunismo raccontata con una pungente allegoria: i maiali, cioè i principali comunisti autori della rivoluzione, finiscono per diventare come i padroni, cioè i ricchi/borghesi/industriali/aristocratici, e per tradire dunque il resto degli animali, cioè il popolo che aveva creduto nella rivoluzione ed è finito per essere più schiavo di quanto non fosse in partenza. Con la sua lucidità disarmante, Orwell riesce a cogliere il declinare della situazione giorno dopo giorno, mese dopo mese, anno dopo anno, finendo per regalare al lettore una favola socio-politica facilmente rapportabile alla realtà per tutta la durata del racconto. Il popolo (cioè il resto degli animali) finisce, come avviene in 1984, per perdere addirittura la memoria, pilotato dall’abile Gazzettino (chiamato così nella traduzione di Luca Manini per Liberamente) e da alcuni comandamenti che paiono cambiare nel corso del tempo. E allora non è difficile rivedere alcuni grandi nomi della storia russa nei principali personaggi della novella: Lenin è il “Vecchio Maggiore”, che dà il via alla rivolta con i più buoni propositi ma vedrà poi, dopo la sua morte, svanire ogni progetto di parità e uguaglianza; Stalin è “Napoleone”, il colpevole di aver tramutato, con metodi scorretti, la rivolta dei pari in un nuovo totalitarismo; infine, “Palla di Neve” è Trockij, comunista incorruttibile costretto a scappare dalla fattoria perché fedele sostenitore dei principi contro le nuove pieghe impresse dal nuovo Capo. In molte porzioni di testo, in realtà, pare di rivedere anche tutti gli altri totalitarismi: il culto del capo, la modifica perpetua della memoria popolare e una sorta di schiavitù lavorativa eretta a incontestabile virtù, oltre che l’allontanamento dalle proposte iniziali, possono facilmente rimandare anche a situazioni viste in dittature realmente avvenute sotto la fazione politica opposta, ossia l’Estrema Destra. Rimane comunque il fatto che, nei caldissimi anni ’40, con questa novella Orwell preferì scagliarsi contro il comunismo, in maniera incontestabilmente evidente. Forse scioccato dal totale ribaltamento degli ideali utopici pre-rivoluzione, e forse preoccupato che qualcosa di simile potesse avvenire anche negli altri Paesi europei, sentì la necessità di farsi portavoce di tutte le menzogne e dell’impossibilità effettiva di concretizzarsi che sono proprie dell’Estrema Sinistra. Sono esemplari, sennonché lapidarie, le battute finali dell’opera, nelle quali i maiali comunisti che avevano promesso la rivoluzione, dopo un climax prolungato per tutto il racconto, finiscono con l’assimilarsi confusamente agli umani, ossia proprio coloro contro i quali insorsero molti anni prima, anche a livello fisiologico: “Dodici voci gridavano piene di rabbia e tutti loro erano uguali. Non importava ormai che cosa fosse accaduto alle facce dei maiali. Le creature, da fuori, spostavano lo sguardo da maiale a uomo e da uomo a maiale, e ancora da maiale a uomo; ma già era impossibile dire chi fosse chi.”

Alcuni spezzoni allegorici evidentemente riferiti al regime comunista sovietico: “Dopo di che, non parve strano che, il giorno seguente, i maiali che sovrintendevano il lavoro della fattoria reggessero tutti una frusta nella zampa. Non parve strano venire a sapere che i maiali si erano comprati una radio senza fili, che stavano facendo i preparativi per installare un telefono e che si erano abbonati a John Bull, Tit-Bits e al Daily Mirror. Non parve strano quando si vide Napoleone che passeggiava nel giardino della casa padronale con una pipa in bocca… no, neppure quando i maiali tolsero dall’armadio del signor Jones i vestiti e li indossarono. Napoleone si fece vedere con indosso una giacca nera, calzoni da caccia e gambali di pelle, mentre la sua scrofa favorita apparve nell’abito di seta marezzata che la signora Jones indossava solitamente la domenica.” – A sottolineare, nel finale, l’assoggettamento e asservimento degli ormai ex-rivoluzionari al mondo capitalista/borghese del resto d’Europa. “Non si parlava più, però, dei lussi che Palla di Neve aveva insegnato agli animali a sognare: le stalle con la luce elettrica e l’acqua calda e fredda. e la settimana lavorativa di tre giorni. Napoleone aveva dichiarato che quell’idea era contraria allo spirito dell’Animalismo. La felicità più autentica, diceva, consisteva nel lavorare duramente e nel vivere frugalmente.” – L’allontanamento progressivo dagli ideali bolscevichi. “Gli anni passarono. Le stagioni vennero e se ne andarono, le brevi vite degli animali fuggirono via. Venne il giorno in cui non ci fu più nessuno che ricordasse i giorni prima della Ribellione […]” – Il tempo (e l’informazione corrotta) che cancella la memoria ed elimina le premesse iniziali della rivoluzione “Verrà il giorno, o presto o tardi, che abbattuto sarà l’Uomo Tiranno e che d’Inghilterra i fertili campi solo dalle bestie saranno calpestati” – Un canto popolare degli animali che intende mostrare la bellezza priva di concretezza delle utopiche promesse comuniste. “Ben presto fu svelato il mistero di dove andasse a finire il latte. Ogni giorno, veniva mescolato al pastone per i maiali. Le prime mele stavano in quel periodo giungendo a maturazione e l’erba del frutteto era cosparsa di mele cadute. Gli animali supponevano che, naturalmente, esse sarebbero state distribuite in modo equo. Un giorno, però, giunse l’ordine che tutte le mele […] fossero portate alla selleria per l’uso esclusivo dei maiali. […] Gazzettino fu mandato in giro per dare la necessaria spiegazione: ‘Compagni! Non immaginerete, spero, che i maiali lo stiano facendo per puro egoismo e per avere un privilegio? A molti di noi in verità non piacciono né il latte né le mele. Non piacciono neanche a me. […] Il latte e le mele contengono sostanze assolutamente necessarie al benessere di un maiale. Noi maiali lavoriamo di cervello. Da noi dipende completamente la gestione e l’amministrazione di questa fattoria. Giorno e notte noi vegliamo sul vostro benessere. E’ per il vostro bene che noi beviamo quel latte e mangiamo quelle mele. […] Così, senza ulteriori discussioni, tutti furono d’accordo che il latte e le mele cadute dai rami dovessero essere riservati ai soli maiali.” – Il paradosso implicito di un regime comunista.

Simone Chiani. Nato nel 1997. Viterbo. Diplomato al Liceo Psicopedagogico e laureato in Lettere Moderne. Autore dei libri Evasione (Settecittà, 2018) e Impronte (Ensemble, 2020).

Ballottaggi, Giorgia Meloni: "Centrodestra sconfitto. Ma la sinistra lotta nel fango per criminalizzarci". Libero Quotidiano il 18 ottobre 2021. "Buona sera, diciamo per mordo di dire". Esordisce così Giorgia Meloni nella conferenza stampa post-ballottaggi, che hanno visto il centrodestra sconfitto. "Si deve riconoscere che il centrodestra esce sconfitto e ne siamo tutti consapevoli. Lega, Fratelli d'Italia e Forza Italia confermano Trieste, ma non riescono a strappare le altre cinque grandi città". Per la leader di FdI non si tratta affatto di una débâcle come molti vogliono far credere. Piuttosto, chi esce ampiamente battuto è il Movimento 5 Stelle. Una buona notizia per la Meloni, perché "si sta lentamente tornando a un sistema bipolare". In ogni caso, confermato Fratelli d'Italia il primo partito nei sondaggi a livello nazionale, la Meloni non intende indietreggiare: "Anche noi ci prenderemo le nostre responsabilità".  Non sono comunque mancate le difficoltà. In particolare la leader di FdI ne rivela due: "Prima tra tutte l'astensionismo. Nessuno può veramente gioire con i dati con cui viene eletto un sindaco di Roma. Questa è una crisi a cui tutti devono rispondere e per me è legata a una politica che con i suoi giochi di palazzo ha mortificato il voto". Ma non è l'unico problema. "Poi - prosegue - la campagna elettorale è stata trasformata dalla sinistra in una lotta nel fango, criminalizzando l'avversario e rendendolo impresentabile. Questo ha portato i cittadini interessati al lavoro e all'economia a non presentarsi alle urne. Questo ha comportato la mobilitazione di un elettorato molto ideologico della sinistra lasciando invece indietro tutti gli altri". Un capolavoro per cui la Meloni vorrebbe "farei i complimenti alla sinistra", se non fosse che così "si distrugge la democrazia". A quel punto a FdI non resta che guardare al futuro ragionando sugli errori commessi: "Condivido con Salvini l'idea che la prossima volta dobbiamo scegliere i candidati più in fretta e questi dovranno essere politici anche a dispetto di queste campagne elettorali aggressive dei nostri avversari". Da qui l'auspicio: "Fra un anno e mezzo votiamo e voglio chiedere alla sinistra se farà ancora così criminalizzando l'avversario e non scendendo ad armi pari, a loro d'altronde basta stare al potere".

Mattia Feltri per "la Stampa" il 19 ottobre 2021. Giorgia Meloni, persuasa di aver perso per la lotta nel fango in cui la sinistra ha trasformato la battaglia elettorale, scorda che il fango è l'elemento naturale in cui la politica sguazza ormai da un trentennio e la gara è a chi ne rimane addosso di meno. E scorda che per quanto gliene abbiano tirato addosso, Silvio Berlusconi nelle città perdeva e spesso vinceva, e quando Massimo D'Alema nel 2008 tirò fuori l'onda nera, a Roma vinse lo stesso Gianni Alemanno. Il fango e le onde nere e le onde rosse non sono mai servite per disincentivare l'elettorato avversario, piuttosto per incentivare il proprio, e sulle pulsioni più elementari. Ma stavolta è capitato qualcosa di diverso: i candidati di destra hanno preso il prendibile al primo turno e non hanno preso un voto in più al secondo, tutti gli altri voti sono diventati voti contro di loro. Una specie di Fronte repubblicano, quello francese contro Jean-Marie e Marine Le Pen, adattato ai ballottaggi italiani. A furia di chiedere l'affondamento delle barche dei migranti, di invocare celle piene e chiavi buttate, di accompagnarsi coi peggiori ceffi del mercato internazionale, da Putin a Orban, di tratteggiare l'Europa come una congrega di borseggiatori e massoni, di tenere su il capino ai No Vax e ai no Green Pass, senza rendersi conto che il nemico comune, alla stragrande maggioranza del Paese, è il Covid e solo il Covid, insomma a furia di ritirarsi nella ridotta del peggio della destra, hanno respinto il meglio della destra. Oggi c'è un pezzo di destra a cui questa destra fa ribrezzo, e preferisce votare a sinistra o rimanersene a casa.

Quarta Repubblica, "Giorgia Meloni a piazzale Loreto": ecco chi c'era in piazza per la Cgil. Libero Quotidiano il 19 ottobre 2021. “Giorgia Meloni la immagino più a piazzale Loreto”, ovvero a testa in giù. Lo ha dichiarato ai microfoni di Quarta Repubblica uno dei manifestanti che sabato è sceso in piazza, rispondendo alla chiamata della Cgil e della sinistra per sfilare contro il fascismo. Quella convocata dal sindacato in risposta alla violenza squadrista e all’assedio di Forza Nuova non è stata propriamente una piazza “trasversale”. Addirittura c’era una bandiera dell’Unione Sovietica, oltre all’immancabile Bella Ciao e ad inni del tipo “fascisti, carogne, tornate nelle fogne”. Il Giornale lo definisce “armamentario ideologico” schierato al suo completo, senza dimenticare nostalgici dell’Urss, marxisti, leninisti e castristi. E allora alla luce di tutto ciò forse il centrodestra ha fatto una scelta saggia a non presentarsi in piazza, pur condannando fermamente le violenze squadriste e fasciste perpetrate ai danni della Cgil. Probabilmente se Giorgia Meloni e Matteo Salvini si fossero presentati alla manifestazione - aperta a tutti solo apparentemente, ma poi si è rivelata a dir poco “schierata” - sarebbero stati sommersi dai fischi una volta saliti sul palco, seppur per condannare il fascismo. Ufficialmente i due leader hanno disertato perché non ritenevano fosse il caso di tenere una manifestazione proprio alla vigilia dei ballottaggi: difficile dargli torto, anche se ormai l’esito della tornata elettorale era già scritto. 

Milano, anarchici assaltano la sede della Cgil ma stavolta la sinistra tace...Libero Quotidiano il 18 ottobre 2021. Mentre a Roma, sabato scorso, il segretario della Cgil Maurizio Landini riempiva piazza San Giovanni per denunciare la «minaccia fascista» dopo l’assalto alla sede del sindacato ad opera di militanti di Forza Nuova, nel mezzo delle manifestazioni contro il Green pass, a Milano nelle stesse ore veniva presa di mira un’altra sede della Cgil. Sempre durante una manifestazione contro il lasciapassare verde, ma questa volta con tre differenze. La prima: a puntare sulla sede del sindacato questa volta sono stati gli anarchici. La seconda: a differenza di quanto accaduto con il blitz di Forza Nuova, a Milano le forze dell’ordine hanno prontamente bloccato i manifestanti. Due di loro sono stati arrestati e otto denunciati al pool antiterrorismo della procura lombarda. La terza differenza: da sinistra non si sono sentite voci allarmate contro il «pericolo anarchico». E chissà se adesso la Cgil vorrà organizzare un’altra manifestazione per denunciare, dopo la minaccia fascista, questa minaccia di diverso colore.

"Rimandare tutto". Covid, come saremo ridotti a Natale. No global e "Sentinelli" parte la caccia al fascista.

Chiara Campo il 19 Ottobre 2021 su Il Giornale. Giovedì presidio davanti a Palazzo Marino Verri (Lega): «Noi pensiamo ai problemi seri». Sul volantino c'è un wc a muro e lo slogan: «Fascisti, il loro posto non è in consiglio comunale». Opera dei Sentinelli di Milano, l'associazione per i diritti gay che ha organizzato per giovedì alle 17.45, in concomitanza con la prima seduta del nuovo consiglio comunale, un presidio davanti a Palazzo Marino. «Un'eletta in Fratelli d'Italia orgogliosamente fascista e tre eletti nella Lega grazie al sostegno di Lealtà e Azione» tuona il portavoce Luca Paladino sull'onda dell'inchiesta di Fanpage sulla presunta «Lobby nera». I Sentinelli saranno in buona compagnia, visto che anche sui canali social dei centri sociali gira la chiamata a radunarsi in piazza Scala dalle 18 per «pretendere la chiusura delle sedi delle organizzazioni neofasciste subito» e «le dimissioni» dei consiglieri citati nell'inchiesta. E, guarda un po', osservano «con sgomento e orrore come ancora in queste ore ci siano tentativi a livello cittadino e nazionale di riproporre vecchie e irricevibili equiparazioni» tra orrori del fascismo e di matrice comunista, «no al revisionismo storico con mozioni e contromozioni». Il centrodestra ha già anticipato una mozione di condanna a ogni forma di estremismo. Il coordinatore di Fdi Stefano Maullu già giorni fa ha anticipato che sarà depositato un documento «contro ogni forma di violenza e totalitarismo, seguendo esattamente la risoluzione approvata esattamente due anni fa dal Parlamento europeo dove si equipara nazismo, fascismo e comunismo ricordando la tragedia di questi totalitarismi che hanno commesso omicidi di massa, genocidi, deportazioni e perdite di libertà. Vedremo se il sindaco Beppe Sala sarà con noi e voterà questa mozione oppure preferirà la solita scorciatoia a uso e consumo dei soliti noti a sinistra». Approderà in aula però la prossima settimana. Il deputato milanese di Fdi Marco Osnato osservato il volantino dei Sentinelli e commenta: «Immagino che questa elegante proposta sia il massimo della capacità democratica di queste persone». Il neo capogruppo della Lega Alessandro Verri ribadisce che «stanno facendo una caccia alle streghe senza senso. Noi pensiamo al bene di Milano e stiamo lavorando su questioni più impellenti, come la sicurezza dopo gli accoltellamenti in zona corso Como dello questo weekend. E siamo già pronti a portare la questione in aula per chiedere all'assessore Granelli cosa farà per controllare la movida violenta». Sulla movida violenta Sala ha premesso ieri che «è un problema in tutte le grandi città, è inutile nasconderlo, e se tutte le forze dell'ordine sono necessariamente concentrate nel contrasto di manifestazioni che avvengono, non sono illimitate, anche questo può essere parte del tema. Inutile negare che le tensioni che ci sono nelle città dopo la pandemia vanno gestite, i più giovani spesso in mancanza di luoghi dove incontrarsi sono più difficili da gestire». E dopo l'ennesimo sabato di proteste No Pass e caos ha rimarcato: «Era incontrollabile. Per ogni corteo in Italia bisogna indicare e autorizzare il percorso, con loro non avviene e questa è l'unica eccezione che ho visto in questi anni». Chiara Campo

 L'allarme fascismo finisce con le elezioni. Ma presto ritornerà. Paolo Bracalini il 20 Ottobre 2021 su Il Giornale. Anche progressisti come Mieli, Mentana e Mauro lo ammettono: era strumentale. Finite le elezioni, finito l'allarme fascismo. È stato il tema che ha dominato la campagna elettorale, anche se c'entrava pochissimo con l'amministrazione delle città al voto, eppure ha monopolizzato il dibattito come se fossimo all'alba di una nuova marcia su Roma. Dal filmato-trappolone su Fratelli d'Italia, alla caccia ai «neonazisti» infiltrati anche nella Lega, alle dichiarazioni sulla shoah di Michetti, ex tesserato Dc trasformato in un nostalgico dell'olio di ricino. Ma tutto lascia supporre che il clima sia cambiato in un sol colpo, con la chiusura delle urne. Puff, svanite le camicie nere, fino a nuovo ordine. Improvvisamente diventa chiaro che parlare di un ritorno al Ventennio sia una manipolazione a fini elettorali. Ed è una evidenza testimoniata da opinionisti di chiara fama antifascista, come Paolo Mieli. L'altro giorno a La7 ha colto di sorpresa lo studio: «Com'è possibile che questo tema spunti magicamente in ogni tornata elettorale?» si è domandato l'ex direttore del Corriere della Sera, ricordando come già nel 1946 un simile trattamento era toccato ad Alcide De Gasperi, e da allora in poi «fascisti sono diventati Fanfani, Craxi, Berlusconi e persino Renzi», tutti gli avversari della sinistra postcomunista. Una analisi che ha trovato concorde Enrico Mentana, direttore del Tg di La7, rete che sull'«allarme fascismo» ci ha costruito ore e ore di talk show: «Il fascismo ha osservato, chiosando Mieli - è come il conflitto d'interesse di Berlusconi. Ricordate? Lo tiravano fuori solo quando il Cavaliere era al governo e spariva magicamente quando tornava all'opposizione». Quel che era incosciente anche solo pensare fino a pochi giorni fa, diventa una constatazione elementare, innocua. Dopo il voto.

Una circostanza che colpisce Guido Crosetto, che l'altro giorno si ha lasciato gli studi di Piazza Pulita perché il programma era orchestrato come «un plotone di esecuzione contro Giorgia Meloni». «Anche per questa volta il pericolo dell'insediamento di un regime nazi-fascista è scongiurato. Riemergerà con estrema gravità, nei 45/60 giorni prima della prossima scadenza elettorale. La Meloni da oggi torna ad essere una peracottara pesciaiola della Garbatella» twitta il cofondatore di Fdi. Anche Pierluigi Battista sfotte la propaganda: «Ora che il nazismo è stato sbaragliato a Romagrad vogliamo sbaragliare pure la monnezza?». Ma addirittura su Repubblica, e a firma del suo ex direttore Ezio Mauro, si prende coscienza di quel che appare lampante, ma che ha alimentato paginate sullo stesso giornale. Il chiarimento chiesto alla Meloni «non significa automaticamente evocare il pericolo di una riemersione del fascismo - scrive Mauro -. È chiaro che il dramma italiano del secolo scorso non potrà riproporsi in mezzo all'Europa delle costituzioni liberali e nel cuore dell'Occidente democratico. Nessuno lo pensa». A Repubblica forse qualcuno sì, vista la frequenza con cui compare la parola fascismo nei pezzi e titoli del quotidiano («Fondi illeciti e culto del fascismo. Il volto nero di Fratelli d'Italia», «Fascismo e Tolkien. L'educazione sentimentale di Giorgia-Calimera», due titoli a caso). Ieri scambio di tweet tra una giornalista appunto di Repubblica e la Meloni. La prima appunta che la leader Fdi, alla Camera per sentire la ministra Lamorgese sugli scontri di Roma, è «vestita interamente di nero». Le risponde la Meloni: «È blu. Interamente vestita di blu. Quanto vi piace la mistificazione». Paolo Bracalini

Le ideologie sono finite ma ancora ci tormentano. Stenio Solinas il 19 Ottobre 2021 su Il Giornale. "I rondoni" mette in scena gli strascichi, anche famigliari, delle guerre politiche del XX secolo. Cinquantenne, professore di filosofia che detesta i colleghi quanto gli studenti, un matrimonio fallito alle spalle, un figlio difficile, un unico amico, nessuna vita affettiva, Toni, il protagonista di I rondoni, il nuovo libro di Fernando Aramburu (Guanda, traduzione di Bruno Arpaia, pagg. 720, euro 22), si dà ancora un anno di tempo prima di togliersi la vita. Proprio perché è in buona salute, non vuole correre il rischio di ritrovarsi un domani solo, vecchio e malato. Proprio perché la sua è stata al fondo un'esistenza noiosa ritiene che a un certo punto anche la noia rischi di farsi insopportabile. Viene in mente quella frase di André Malraux: «Al mercato della vita le cose si comprano in azioni. La maggior parte degli uomini non compra nulla». Toni, almeno in questo, fa parte della maggioranza. I rondoni appartiene a quel genere di narrativa che si potrebbe definire minimalista nella storia, consolatrice nello stile. Non succede nulla, ma è il nulla che in fondo ci accomuna tutti, dissapori familiari, insoddisfazioni sul lavoro, rimpianti e rimorsi, stanchezza esistenziale, lutti. Nel leggerla ci si può insomma identificare, il che non è esaltante, ma fa sentire meno soli. Una scrittura familiare, quasi colloquiale funge poi da anestetico, una sorta di lungo fiume che si snoda tranquillo, senza mulinelli ritmici che impegnino la mente del lettore-nuotatore, senza correnti di pensiero che lo obblighino a riflettere più di tanto. Ci si lascia trascinare, semplicemente, e che questo possa funzionare, nel caso in questione, per più di settecento pagine è comunque una prova d'autore. Naturalmente, Aramburu è uno scrittore interessante e basterebbe Patria, il libro che lo ha fatto conoscere in Italia, per rendersene conto. Ma mentre lì si aveva a che fare con le passioni ideologiche e politiche, con la violenza della Storia e delle idee, con la cecità che spesso si accompagna alla prima come alle seconde, qui siamo come di fronte a un'atarassia dei sentimenti come del pensiero, un'atarassia non appagata però e che rimanda all'unico gesto possibile per dare un senso al non senso dell'esistere. Spagnolo, Aramburu è un autore contemporaneo e la Spagna novecentesca ha molti tratti in comune con l'Italia, una dittatura, una democrazia che ne prende il posto, ma che comunque deve fare i conti con un passato che non si decide a passare. Toni, il protagonista come abbiamo già detto del suo romanzo, ha un padre comunista, come si può essere comunisti nella Spagna franchista degli anni Cinquanta e Sessanta. È anche lui un professore, universitario, però, la cui carriera dipende dal grado di acquiescenza al regime, e quindi il suo è un comunismo sommerso, non esibito, che però non gli ha evitato una volta il carcere e la tortura E però il nonno di Toni, e quindi il padre di suo padre, era un falangista caduto nella Guerra civile e non sorprende che il figlio comunista se ne vergogni e gli inventi un passato e una morte da eroe repubblicano. Sono gli scherzi della storia quando ci si ostina a vederla in bianco e nero, Bene e Male. I compromessi del padre, il suo conformismo, per quanto riluttante, rispetto al franchismo in cui è vissuto, Toni non li ha dovuti fare. Quando ha vent'anni quel regime non c'è più e lui in fondo è un conformista-eroe del nostro tempo: è uno studente universitario di sinistra, il che, «volente o nolente, ti dava in facoltà una specie di salvacondotto, così come nei secoli passati per evitare problemi con il Sant'Uffizio, la gente approfittava di qualunque pretesto per affermare in pubblico la sua fedeltà alla fede. Tutti noi studenti eravamo di sinistra. Essere di destra, alla nostra età, ci sembrava una disgrazia; non so, come avere una deformità o la faccia punteggiata dall'acne». Il problema di Toni è che la sua è una sinistra mainstream, nel ventre di vacca del progresso, quella che, illudendosi, pensa che il non essere di destra sia la condizione sufficiente perché tutto vada avanti e vada bene. Più che una sinistra all'acqua di rose, è una sinistra insapore, che non nutre dubbi semplicemente perché non ha idee, se non generiche, ecumeniche, rassicuranti. Sotto questo aspetto, lì dove Toni si è ritrovato in democrazia grazie semplicemente all'anagrafe, il padre ha fiutato subito che non era roba per lui: «Mi sono ricordato della sua amarezza politica, dell'uscita dal partito due anni dopo la sua legalizzazione. Per questo ho rischiato la pelle?' si lamentava. Per continuare con la stessa bandiera, lo stesso inno, e restaurare la monarchia?'» Andando più in profondità, anche Toni però si rende conto che «papà sognava una Spagna simile a quella di Franco, ma con un leader comunista al posto di un caudillo ultracattolico e militare» Del resto, è un marito manesco e un padre che non sopporta figli piagnucolosi, tanto meno effemminati Il mainstream di oggi lo definirebbe un fascista, il che aggiunge confusione, ma rassicura comunque le coscienze. Se un comunista si comporta male è perché si comporta da fascista, evidentemente una categoria dello Spirito ignota a Kant. Alla fine, il risultato a cui il cinquantenne Toni arriva, mentre contempla l'idea del proprio suicidio, è quello di essere un militante «da lunghi anni del PPSS, del Partito di chi preferisce Stare Solo, in cui non ho alcun incarico. Tutto il programma del mio partito si riduce a uno slogan: lasciatemi in pace». È un approdo interessante che riguarda molti della sua generazione, e non solo in Spagna, ma anche in Italia, dove a un certo punto il mainstream del politicamente corretto va in tilt per il troppo uso, per il voler essere sempre e comunque in accordo con le idee «giuste», con il ron ron benpensante del mondo senza guerre, dove tutti si devono voler bene, dove non si devono avere pensieri cattivi, dove c'è spazio solo per i buoni sentimenti e dove, va da sé, ci si deve sempre scusare di qualcosa Per quanto seppellito, c'è sempre un fondo reazionario che spunta fuori quando la misura è colma e l'acqua del politicamente corretto tracima: «I nostri attuali legislatori si sono inventati un cosiddetto delitto di odio'. Immagino che pensino al terrorismo e cose del genere; ma dov'è il limite fra dimensione pubblica e quella privata? Ci mancherebbe soltanto che una legge approvata alla Camera dei Deputati mi proibisse di odiare la preside della mia scuola. Il giorno dopo mi incatenerei con un cartello di protesta al carro della Fontana di Cibele. Ora i governanti si mettono a regolare a scopi restrittivi i nostri sentimenti come chi detta le norme del traffico. Fa un po' schifo quest'epoca». Sulla stessa lunghezza d'onda si situa del resto il programma ministeriale spagnolo volto alla Prevenzione del Suicidio, con annessa Giornata Mondiale dedicata all'argomento: «Mi domando come faranno a dissuadermi dalle mie intenzioni. Circuendomi con denaro pubblico? Ricoverandomi in un frenocomio? Mandandomi ogni mattina un cantautore a casa a cantarmi Gracias a la vida? Il programma ministeriale contempla il rilevamento precoce di indizi chiamati, in linguaggio burocratico, ideazioni suicide', per la qual cosa si richiede la collaborazione delle persone vicine all'imminente suicida». Senza scomodare la Spagna, vale la pena ricordare che anni fa andava di moda in Italia lo slogan «intercettateci tutti», una sorta di polizia del pensiero travestita da principio etico. Torneremo alla fine sul tema del suicidio, che è poi il tema centrale di I rondoni. Prima però l'altro elemento di questo mainstream progressista cui Aramburu accenna nel libro è un tipo di letteratura «superficiale nel suo pretenzioso psicologismo, nell'eccessivo peso dell'introversione sentimentale», tipico di chi «si unisce al coro dei grilli che cantano alla luna, per vedere se pensando in gruppo la sua mediocrità passi inosservata». È un po' quella narrativa ombelicale da cui siamo partiti, che è una cosa diversa dal solipsismo di certa grande letteratura che sente il suo io diverso dagli altri e perciò lo racconta. Qui l'importante è essere assolutamente come gli altri, cercarne e/o vellicarne il consenso. Anche I rondoni qui e lì cade in questa trappola-cliché, non fosse che Aramburu ha sufficiente padronanza di scrittore per limitarne i danni. Lo salva anche, è una considerazione di Toni, mai come in questo caso alter ego dell'autore, il suo essere «di sinistra, ma non in forma permanente». Applicato al tema del suicidio, questa intermittenza suona tuttavia paradossale. Toni ritiene che la celebre frase di Camus «c'è soltanto un problema filosofico davvero serio. Il suicidio», sia «una trovata gratuita». Vivere, dice, non è un compito filosofico e quindi «ci mancava soltanto questo: suicidarsi perché non quadrano gli enunciati di un sillogismo!». Per quello che lo riguarda, il suo è una forma di stanchezza e di noia nello «svolgere un ruolo in un film che mi sembra mal concepito e peggio realizzato. Questo è tutto, Nuland». Anche il nulla è però un tema filosofico, e se Camus non lo convince non si capisce perché dovrebbe andargli bene Sartre... Ma è, sia pure ironicamente, la «permanenza» della sinistra a prevalere alla fine, l'idea di una sorta di solidarietà: «Perché non avere l'eleganza, persino la dignità, di lasciare il posto ad altri? Uscire di scena sulle mie gambe non potrebbe anche essere interpretato come un apporto?» Il gesto più individuale che ci sia, diventa un surrogato del benessere altrui, il che è tipicamente del mainstream del progresso. Noi restiamo con Montherlant: «Essere padroni del proprio destino: almeno del suo strumento, e della sua ora». Stenio Solinas

Il suo “marchio indelebile” è il dispotismo. Eredità bolscevica, ecco perché non regge il paragone dello storico Luciano Canfora. Biagio De Giovanni su Il Riformista il 12 Ottobre 2021.

1917 – Rivoluzione Russa. Piazza di Pietroburgo con rivoluzionari attorno alla statua dello zar. Luciano Canfora mette talvolta le sue grandi qualità di storico antico al servizio di tesi anche polemicamente molto delineate, e di solito il terreno fertile ed estemporaneo su cui esercita la sua intelligenza è quello della politica. Avviene talvolta che da lui si apprenda, altre volte che stimoli lo spirito critico, sempre buono, dunque, l’effetto. Mi è capitato di leggere un suo articolo sul Corriere della sera, sintesi della Prefazione che ha scritto per un volume di Sergio Romano, un articolo intitolato così: “L’Urss è morta e vive ancora. Nella Russia di oggi rimane incancellabile il marchio della rivoluzione bolscevica”. A prima vista questa idea registra una cosa ovvia, essendo evidente che una vicenda lunga e complessa come quella di cui si parla abbia lasciato tracce nelle società e tra i popoli fra i quali è avvenuta, e nella stessa storia del mondo. Ma non coincidendo affatto il testo di Canfora con la filiera dell’ovvio, esso racconta una tesi ben più articolata, ma assai discutibile. E proprio perché sostenuta da un autorevole storico, val la pena parlarne. Marchio incancellabile della Rivoluzione nella Russia di oggi? Vediamo. L’Urss è morta quando la Rivoluzione del 1917 è finita nel nulla, come Rivoluzione che aveva promesso e profetizzato la redenzione dell’umanità -espressione che si trova nelle “Tesi sulla storia” di Walter Benjamin– o, a essere meno ambiziosi, a promuovere il superamento del 1789: questa, Rivoluzione borghese, l’altra Rivoluzione proletaria, dei vinti che non avevano che da liberarsi delle loro catene, una storia che avrebbe visto i vinti della storia vincere sui vincitori di sempre. Oggi la Russia è una democrazia di massa illiberale e dispotica, gli oppositori in carcere, chiusa nei suoi confini culturali e politici. Il “marchio incancellabile” del dispotismo, proprio della rivoluzione bolscevica, resta, certo in tono minore, ma deprivato di ogni aspettativa più o meno salvifica. La Russia non è più quella dello zar, per cui ha ragione Canfora quando afferma che è sbagliato parlare dello “zar Putin”, ma questo fa ancora parte di quella filiera dell’ovvio di cui si è detto. Il fatto è che le ambizioni dell’autore sono ben altre. E si rivelano per intero con il paragone -il cuore dell’articolo- tra gli esiti della Rivoluzione francese, 1789, e gli esiti del 1917, e qui, per davvero, i conti non tornano, nel confronto “neutrale” del testo. È vero, e peraltro ben noto, che le vicende successive al 1789 furono talmente diverse tra loro, dall’impresa napoleonica al ritorno del sovrano, fratello di quello decapitato, all’esperienza di varie forme di Stato, da escludere osmosi dirette e coerenti con le idee della Rivoluzione. Ma quella data, nei principii che affermò, innestandoli nella storia concreta, tra molte e contrastate vicende, ha contribuito a produrre la costituzionalizzazione dell’Europa, ha portato il “marchio incancellabile” dei suoi principii in una idea di libertà politica e di tolleranza, preparata dal pensiero dell’Illuminismo. Un’idea che sta tra noi, nel nostro pur contraddittorio e certe volte tragico presente, sta dentro le nostre costituzioni, è la vicenda che segna un progresso politico incancellabile della storia umana. Il paragone con il 1917 non regge. Dove questa data è diventata Rivoluzione, in Russia, ha dominato ininterrottamente, fino al 1989, per un tempo lungo e omogeneo, prima il terrore politico, poi l’oppressione di popoli confinanti e dello stesso popolo russo. Il “marchio incancellabile della rivoluzione bolscevica” resta, dunque, all’interno di quella società, a testimoniare un fallimento, l’esito povero, chiuso, rovesciato, dell’ultima filosofia della storia che voleva decidere del destino dell’umanità e finì nel terrore staliniano, ma val la pena di ricordare che quella del 1917 fu una “Rivoluzione contro il Capitale”, contro l’opera di Marx, come scrisse Antonio Gramsci. Poco a che vedere, nell’articolazione della sua storia, con la filosofia di Karl Marx. Essa non fu preparata da una filosofia, fu un colpo di Stato ben riuscito. Il terrore incominciò con Lenin, non con Stalin, un marchio incancellabile resta, in forma certo minore, ed è il dispotismo. Biagio De Giovanni

L’anticomunismo non è solo un valore della destra, risponde Aldo Cazzullo su Il Corriere della Sera il 23 ottobre 2021.

Caro Aldo, oltre all’antifascismo non di sinistra, esiste anche l’anticomunismo non di destra? Ritengo di sì, forse più marcatamente. Sono due movimenti non uguali ma simili? O è più corretto parlare di singoli antifascisti e di singoli anticomunisti? Lei ha scritto che l’antifascismo non è solo un valore di sinistra. Anche l’anticomunismo non è solo un valore di destra? Ed entrambi dovrebbero essere un valore condiviso? Fino a quando le parole «fascismo» e «comunismo» circoleranno, non finiremo mai di porci domande. Alessandro Prandi

Caro Alessandro, Assolutamente sì. Così come l’antifascismo non è un valore soltanto di sinistra, allo stesso modo l’anticomunismo non è — o non dovrebbe essere — un valore soltanto di destra. Mário Soares — l’uomo che fu undici volte nelle carceri di Salazar e tre volte primo ministro del Portogallo; confinato sull’isola di São Tomé, esiliato, eletto presidente della Repubblica — mi ha raccontato che, quando sembrò che i comunisti di Álvaro Cunhal e i militari ancora più a sinistra guidati da Otelo de Carvalho potessero prendere il potere, il primo ministro laburista James Callaghan gli assicurò che avrebbe fatto intervenire la Raf (Royal Air Force) a Lisbona, pur di sostenere il governo socialista guidato appunto da Soares. Sempre per restare a Londra, il più grande scrittore civile del Novecento, George Orwell, uomo di sinistra, che aveva preso posizione contro Franco («Omaggio alla Catalogna»), era un convinto anticomunista. Proprio a Barcellona vide gli stalinisti fucilare gli anarchici. Non a caso legò il proprio nome a un romanzo costato al totalitarismo comunista più di una battaglia perduta, «La fattoria degli animali». I socialdemocratici tedeschi combatterono gli spartachisti; e più tardi Brandt, per quanto sostenesse la necessità di dialogare con l’Est, prese nettamente le distanze dal comunismo e dal marxismo. In Italia le cose come d’abitudine si complicano. Bettino Craxi fu un leader socialista e anticomunista (sia pure con un uso spregiudicato del denaro; ma questo è un altro discorso). Qui però entriamo nel terreno minato del mito del comunismo italiano, per cui un’idea rivelatasi sbagliata e spesso con applicazioni criminali da Vladivostok a Trieste da noi diventava giusta, o almeno nobile. Certo Togliatti aveva fatto la svolta di Salerno, schierando il Pci nel fronte antifascista con cattolici e monarchici; migliaia di partigiani comunisti diedero la vita per combattere il nazifascismo; e gli eletti comunisti alla Costituente scrissero la Carta con democristiani e liberali. Però era lo stesso Togliatti che aveva fatto fucilare gli anarchici di Barcellona.

Fascista o comunista purché sia arte autentica. Vittorio Sgarbi il 24 Ottobre 2021 su Il Giornale. Chi grida allo scandalo per le mostre di Depero sappia che lì a fianco c'è quella del marxista Perilli. Agli imbecilli e ignoranti che la buttano in politica, e che non sono in grado di capire né concetti, né battute, né paradossi, occorre dire che, in tanto parlare di fascismo e antifascismo, una cosa sola è certa: che l'unico fascista, amato, idolatrato e onorato in Trentino, è Fortunato Depero, al quale io, in qualità di presidente del Mart, ho, dopo molte pressioni locali, consentito fossero dedicate due belle e importanti mostre in tutta la città di Rovereto, nella sede principale di Mario Botta e nel museo d'arte futurista, insieme ad altre, volute dal Comune, nel Museo della città, nel Museo storico italiano della guerra e alla Fondazione Campana dei caduti, e all'omaggio a Depero dalla sua valle, a Cles. La fantasia dell'artista, le sue creazioni, soprattutto negli anni '20, '30 e '40 sono, in tutto il mondo, la più straordinaria esaltazione del Fascismo. Nel '32 è proprio il grande artista a scrivere: «l'arte nell'avvenire sarà potentemente pubblicitaria». Il suo percorso fascista inizia nel 1923 con due veglie futuriste e con la ridecorazione della casa d'arte che apparirà nella rivista Rovente futurista. Per quelli che pretendono di demonizzare qualunque manifestazione del Fascismo, l'esperienza di Depero è la più clamorosa smentita; ed è esattamente quello che io ho detto, strumentalizzato da beceri ignoranti che pretendono di chiamarsi «Sinistra italiana», oltre che da modesti giornalisti locali, ricordando ciò che tuttora vive nella cultura, nell'esperienza, nella conservazione dei monumenti, nei teatri italiani, con l'impresa della Treccani, con le opere di Pirandello, con le conquiste di Marconi e di Fermi, iscritto al partito fascista dal 1929, con la legge di tutela del patrimonio artistico italiano che è ancora quella voluta dal gerarca Bottai nel 1939, con la grande architettura dell'Eur e delle città di fondazione, il cui pieno riconoscimento è toccato ad Asmara, città coloniale, dichiarata dall'Unesco patrimonio dell'umanità. Quanto a Marconi, si iscrisse al Partito fascista nel giugno del 1923, otto mesi dopo la formazione del primo governo Mussolini. Fu la scelta di un conservatore che era stato testimone dei duri scontri del biennio rosso, aveva visto nella occupazione delle fabbriche la minaccia del contagio bolscevico e dava del leader del fascismo un giudizio non diverso da quello di una larga parte della classe politica europea fra cui, in particolare, Winston Churchill. Così ho detto e così è. Vi è chiaro, imbecilli? E così come Asmara, Depero indica, con la sua creatività, la perfetta coincidenza della sua arte con la visione del Fascismo, in cui si rispecchia anche l'impresa transoceanica di Balbo. E puntualmente il futurismo si esprime nella Aeropittura. Depero era una persona «coi piedi per terra», e per nulla affascinato da aeroplani e nuvole. Il suo punto d'osservazione era paradossalmente più alto di quello raggiungibile con gli aeroplani futuristi: era stato a New York e aveva toccato con mano quel futuro solo vagheggiato e teorizzato dai Futuristi italiani. Nel 1931 pubblica Il Futurismo e l'Arte Pubblicitaria, già in bozze a New York nel 1929. Secondo Depero l'immagine pubblicitaria doveva essere veloce, sintetica, fascinatrice, con grandi campiture di colore a tinte piatte, per così poter aumentare la dinamicità della comunicazione. Nel 1932 espone prima in una sala personale alla XVIII Biennale di Venezia, e poi alla V Triennale di Milano. A Rovereto pubblica una rivista di cui usciranno solo cinque numeri nel 1933: Dinamo Futurista. In seguito, nel 1934, le Liriche Radiofoniche, che declamerà anche all'EIAR fascista (la Rai di allora). Molti saranno i Futuristi di terza generazione ad andare in pellegrinaggio a Rovereto, come altri da d'Annunzio, protetto e locupletato dal fascismo (diversamente da me che esercito gratuitamente la funzione di presidente del Mart, e che non ho alcun interesse economico nelle iniziative che promuovo), per rendergli omaggio o per coinvolgerlo in qualche iniziativa. I principali committenti di Depero sono corporazioni, segreterie di partito, grandi alberghi, amministrazioni pubbliche, industrie locali. Le opere richieste sono eminentemente didascaliche, propagandistiche, decorative. Rispettosamente fasciste. Verso la seconda metà degli anni '30, a causa dell'austerità dovuta alla politica autarchica da lui condivisa, contribuisce al rilancio del Buxus, un materiale economico a base di cellulosa atto a sostituire il legno delle impiallacciature, brevettato e prodotto dalle Cartiere Bosso. Nel '40 pubblica l'autobiografia. Nel '42 realizza un grande mosaico per l'E42 di Roma, mentre nel '43 con A Passo Romano cerca di dimostrare il suo allineamento sostanziale con il Fascismo anche per ottenerne lavori e commesse. Finita la guerra, nel tentativo di giustificarsi di fronte al nuovo ordine dello Stato italiano per quel libro apertamente fascista, afferma che loro, i Futuristi, credevano fermamente che il Fascismo avrebbe concretizzato il trionfo del Futurismo, e che lui aveva anche «bisogno di mangiare». Nel '47, in parte sponsorizzato dalle Cartiere Bosso, ritenta di riproporsi in America, ma la trova ostile al Futurismo perché ritenuto l'arte del Fascismo. Nel '49 torna quindi in Italia, disilluso e dimenticato dall'antifascismo di regime. È la solita storia, come nelle proclamazioni di oggi. Ennio Flaiano scriveva: «i fascisti si son sempre divisi in due categorie: i fascisti e gli antifascisti». Agli antagonisti di Depero e agli opportunisti di oggi rispondeva Pasolini: «nulla di peggio del Fascismo degli antifascisti». Per ciò che riguarda i teppisti, che si nascondono dietro la sigla «Sinistra italiana», è utile ricordare Leonardo Sciascia: «il più bell'esemplare di fascista in cui ci si possa oggi imbattere è quello del sedicente antifascista unicamente dedito a dar del fascista a chi fascista non è». Per rimuovere l'accusa di Fascismo, Fortunato Depero aderisce al progetto della collezione Verzocchi sul tema del lavoro, nella già fascista e ora comunista Forlì. Contestualmente (1955) entra in polemica con la Biennale di Venezia, accusata di censurare lui e il Futurismo, pubblicando il saggio Antibiennale contro le penose critiche politiche al Futurismo. E proprio perché io non ho voluto lasciare spazio soltanto all'arte di propaganda di Depero, alla grande mostra sul pittore fascista, nei suoi anni migliori, ho affiancato quella sul profondamente intimista e spirituale Romolo Romani, che ritira subito la sua adesione al manifesto futurista e muore precocemente nel 1916. Si tratta di una palese e dichiarata contrapposizione tra arte applicata e arte implicata, come ho spiegato in diverse occasioni. I disegni di Romani hanno, rispetto alle invenzioni dei futuristi, una verità e una necessità spirituale che si esprimono in forme nuove attraverso una ricerca profonda che non ha niente di propagandistico. Ogni disegno è una ossessione o la trascrizione di una visione. Per questo Romani si ritirò. Ai futuristi interessava il mondo, e Depero lo ha dimostrato. A Romani importava seguire la propria anima, trascriverne i palpiti, registrare apparizioni in segni necessari perché ne potessimo conservare memoria. E, se non fosse chiaro questo, aggiungerò che, nell'offerta di mostre del Mart, vi è un artista di cui si conosce la professione di antifascismo nei tempi giusti, non oggi: Alceo Dossena, morto nel 1937, quando il Fascismo c'era. È facile fare gli antifascisti quando il regime è finito, e accusare di Fascismo ridicoli facinorosi che, con la collaborazione delle Forze dell'Ordine che smanganellano innocui manifestanti, occupano la sede della Cgil! Non si può dire? E come collegare le proteste contro il green pass con l'assalto al sindacato? Ecco allora gridare «al fuoco al fuoco!» chi si piega devotamente alle prescrizioni autoritarie del governo, docili come furono durante il Fascismo. Mentre non deve essere abbastanza chiaro che l'altra mostra proposta nel museo, con il confronto fra Guccione e Perilli, onora due artisti dichiaratamente comunisti. Il settore culturale, da sempre priorità della sinistra, in quegli anni incarnata dal Partito Comunista Italiano, vede l'adesione di artisti e intellettuali, e tra questi anche gli esponenti di Forma 1, fra i quali Perilli. I giovani pittori nel 1947 si trovano di fronte a un bivio: aderire o disobbedire alle linee estetiche realiste proprie dell'iconografia sovietica? E la risposta arriva con la stesura del Manifesto redatto dal gruppo di artisti militanti. Gli esponenti di Forma 1 si proclamano ufficialmente «formalisti e marxisti», opponendosi all'idea che l'arte abbia una funzione sociale e politica esprimibile esclusivamente attraverso un realismo di carattere illustrativo. E vero comunista fu, con queste legittime riserve, Achille Perilli. Non meno progressista fu Piero Guccione, il cui ritratto di Antonio Gramsci, una grande tela di 1,50 x 1,50 m, è stato per quasi quarant'anni esposto nelle varie sedi delle sezioni del Partito della sinistra sciclitana, costituendone il simbolo e il riferimento per intere generazioni. Sarebbe buona cosa che i vigliacchi e gli ignoranti che parlano di cose che non conoscono avessero l'umiltà di studiare, visto che non hanno la capacità di capire. Vittorio Sgarbi

L'antifascismo senza memoria è solo un'arma. Stenio Solinas il 27 Ottobre 2021 su Il Giornale. Non le è bastato, già un ventennio fa, il "lavacro" di Fiuggi, né l'essere già stata ministro della Repubblica, né l'essere tutt'ora un deputato nonché il segretario di un partito riconosciuto a pieno titolo nella dialettica parlamentare. Non le è bastato, già un ventennio fa, il «lavacro» di Fiuggi, né l'essere già stata ministro della Repubblica, né l'essere tutt'ora un deputato nonché il segretario di un partito riconosciuto a pieno titolo nella dialettica parlamentare. Non le è bastato aver detto, ridetto, stradetto e in più lingue (visto che ne parla niente male almeno un paio) che lei con il fascismo non ha niente a che spartire, per età, per rifiuto di ogni tentazione totalitaria, e tantomeno con il neofascismo, palla al piede per ogni partito che intenda rifarsi a un'idea di destra. Non le basterà, come ha appena fatto, intervistata da Bruno Vespa nel suo ultimo libro fresco d'uscita (Come Mussolini rovinò l'Italia. E come Draghi la sta risanando) dire che «il 25 aprile celebra la liberazione dell'Italia dal nazifascismo»... Qualsiasi cosa abbia detto, dica e dirà Giorgia Meloni sul tema non muterà di una virgola ciò che c'è dietro a esso: un'Italia fragile, un Paese senza, aggrappato a una memoria di comodo, non avendo mai voluto fare veramente i conti con la sua storia. Diceva Renan che la nazione «è un plebiscito quotidiano». A giudicare dalle ultime amministrative, siamo una nazione in sciopero. L'antifascismo è la chiave che serve a tener chiuse le miserie italiane. Abbiamo perso una guerra e ci siamo crogiolati con l'idea che l'avesse persa il fascismo e vinta gli italiani... Non è un caso che la vulgata più popolare sull'argomento sia stata un film comico, Tutti a casa. Ricordate? «Colonnello è successa una cosa straordinaria», diceva il tenente Innocenzi, Alberto Sordi sullo schermo: «I tedeschi si sono alleati con gli americani e ci stanno sparando contro». Dalla tragedia ci stavamo specializzando nella farsa. Nel tempo è diventata la nostra maschera nazionale. Il film è degli anni Sessanta, quando l'antifascismo strumentale si accinge a blindare la nascita del centro-sinistra da future tentazioni di centro-destra. Prima non era stato così, e in fondo gli anni della ricostruzione sono quelli di un Paese troppo vicino a ciò che è successo per giocarci sopra o per fare finta di avere in maggioranza resistito lì dove invece in maggioranza aveva acconsentito. Per ogni antifascista improvvisato che punta il dito sul fascista non pentito c'è sempre qualcuno che ricorda al primo che no, che non ha i titoli per ergersi a coscienza civile... Nella Milano degli anni Cinquanta, Leo Longanesi, uno che ha fatto e disfatto il fascismo, salta sul tavolo di un ristorante e grida all'indirizzo di chi lo denunciò all'indomani della Liberazione: «Prendetelo, è un antifascista». Quello si alza e imbocca di corsa l'uscita. Il fatto è che siamo sempre più un Paese senza memoria. Avevamo il più forte Partito comunista d'Occidente. Si è sciolto come neve al sole e non trovi nessuno fra i suoi politici di lungo corso, fra i suoi mâitres à penser intellettuali che sull'argomento vada mai veramente a fondo. Ti guardano seccati, come se gli stessi chiedendo di rivelare chissà quali oscenità private. Per anni sono stati al servizio di un'idea, poi sono passati ad altro, come si cambia d'abito al mutare delle stagioni. Il comunismo prêt à porter. Naturalmente, memoria e identità sono legate fra loro e in politica l'esserne privi è tanto più dannoso perché sono le classi dirigenti che costruiscono il carattere di una nazione. La fine della Prima repubblica, il non essere mai nata della Seconda, il proliferare di sigle parlamentari, il nascere e il morire di maggioranze di governo senza legittimazione di voto, la moratoria alle elezioni politiche, che cosa ci raccontano se non un Paese senza timone né rotta? Ci si affida così a un feticcio nominale, residuo postbellico riesumato a comando, immagine di comodo costruita su una lettura parziale e autoconsolatoria di cosa sia stato il ventennio fascista, la sua pervasività, le sue connivenze, il grado di partecipazione, di consenso, persino di entusiasmo. Era stato un antifascista serio, Piero Gobetti, a definire il fascismo «l'autobiografia della nazione». Per anni si è continuato a far finta che quell'autobiografia fosse antifascista I conti non tornano, non possono tornare, non torneranno mai. Giorgia Meloni se ne faccia una ragione, si metta l'anima in pace e si candidi alla guida del Pd. Stenio Solinas

Budapest 1956: tragedia e eroismo della rivoluzione ungherese. Andrea Muratore su Inside Over il 24 ottobre 2021. La rivoluzione ungherese del 1956 fu uno degli eventi chiave della storia europea della Guerra Fredda e un punto di svolta per l’area del Vecchio Continente controllata dall’Unione Sovietica. L’epopea dei “ragazzi di Buda” che per due settimane, tra la fine di ottobre e l’inizio di novembre sfidarono il potere sovietico e il suo dominio sull’Ungheria è passata alla storia e tuttora è considerata una parte chiave della storia europea. La durissima repressione operata dall’Armata Rossa sancì un rafforzamento del controllo sovietico sulle aree occupate con la fine della Seconda guerra mondiale.

L'Ungheria post-bellica

Occupata nel 1945 dall’Armata Rossa dopo aver partecipato a fianco della Germania alla seconda guerra mondiale, l’Ungheria aveva subito uno dei più traumatici declini mai capitati a uno Stato europeo nell’era contemporanea. In meno di trent’anni, dal 1918 in avanti, Budapest era passata dall’essere la seconda città di un impero, l’Austria-Ungheria, a diventare la capitale di uno Stato ristretto di oltre due terzi del suo territorio e diventato satellite di una delle due superpotenze mondiali.

L’Ungheria, nazione abitata da una popolazione politicamente molto dinamica, legata ai valori pubblici e identitari, fu sottoposta a una delle più repressive dittature mai insediatesi nella zona, che avrebbe avuto come unico termine di paragone futuro la Romania di Nicolae Ceaucescu.

Il regime di Matyas Rakosi, al potere dal 1948 al 1956, fu uno dei maggiormente duri in termini di stretta sulle libertà politiche, di espressione e di confessione religiosa; complice la natura di ex Paese alleato della Germania, l’Ungheria fu sottoposta a una sorveglianza speciale da parte di Mosca e a una vera e propria esternalizzazione dei metodi staliniani tristemente famosi in Russia. Purghe, persecuzioni delle minoranze, ghettizzazione di membri dello stesso Partito Comunista accusati di revisionismo o vicinanza alla Jugoslavia di Tito erano all’ordine del giorno, così come le azioni dell’Autorità per la Sicurezza Pubblica, il servizio segreto di Budapest (Avh).

L’onda lunga della destalinizzazione dopo la morte del dittatore sovietico nel 1953 raggiunse anche Budapest. Negli anni precedenti nelle purghe era caduto vittima anche Laszlo Rajk, ex ministro dell’Interno e fondatore dell’Avh, mentre per spostare l’attenzione dalla crescente problematica della crisi economica il regime provò, tardivamente, a incentivare dibattiti e riflessioni interne.

L'anomalia ungherese

Il problema dell’Ungheria era, in quella fase, triplice. In primo luogo, il Paese era costretto nonostante la formale alleanza a pagare pesanti riparazioni di guerra a Unione Sovietica, Repubblica Ceca e Jugoslavia che, nell’era Rakosi, assorbivano circa un quinto del budget nazionale, oltre a dover mantenere sul suo territorio le forze dell’Armata Rossa.

In secondo luogo, l’Ungheria era vittima di iperinflazione, depauperamento dei salari e problemi legati all’assenza di prospettive nella fase dell’industrializzazione post-bellica, che aveva portato i redditi nel 1952 a due terzi del livello del 1938.

In terzo luogo, l’insicurezza economica e sociale si sommava con un contesto interno che vedeva una popolazione dinamica, istruita e abituata a standard di vita ben più elevati depauperata nelle prospettive di sviluppo e ostacolata nella volontà di commerciare e confrontarsi con i Paesi occidentali.

In quest’ottica maturarono le condizioni perché si sviluppasse una magmatica esplosione che ebbe nella messa in discussione dei miti del conformismo bolscevico il suo innesco.

Ottobre 1956: esplode la rivoluzione

L’innesco della rivoluzione ungherese avvenne per eventi accaduti in Polonia. Tra il 19 e il 21 ottobre 1956 in Polonia, il “revisionista” Władysław Gomułka venne riabilitato ed eletto a capo del Partito Operaio Unificato Polacco, dopo una “prova di forza” con i sovietici.

In sostegno a Gomulka si mossero movimenti politici di tutta l’Europa orientale, tra cui un gruppo di studenti dell’Università di Tecnologia e di Economia di Budapest ritrovatosi il 23 ottobre a Pest sotto la statua di Sándor Petőfi, il poeta che secondo la tradizione storica del Paese avrebbe scatenato la rivoluzione del 1848 con la lettura di una sua poesia e a cui nome era stato intitolato un gruppo interno al partito favorevole alle politiche riformiste dell’ex primo ministro Imre Nagy.

L’acclamazione della folla di Pest per Nagy, ritenuto l’oppositore numero uno di Rakosi e fautore della recente caduta di quest’ultimo dalla guida del partito, si tradusse in sostegno aperto quando la folla acclamò il politico del centro del partito e inneggiò in suo favore. Nel timore di non riuscire a placare la rivolta, il Comitato centrale del Partito comunista decise nella notte di richiamare a capo del governo Nagy, conscio del fatto che le proteste stavano ricevendo il sostegno della popolazione e si stavano trasformando in rivolta anti-sovietica.

Nagy tentò di restare nel solco della disciplina di partito, ma impostò una linea decisionista. Come ricorda Il Giornale, Nagy fece sciogliere “la terribile polizia segreta stalinista”, ordinando inoltre di liberare i prigionieri dai campi di detenzione, mentre “i nuovi patrioti” liberano il cardinale József Mindszenty, oppositore del regime comunista incarcerato nel 1948. Giornalisti, pensatori, oppositori del regime tornano ad aver voce ovunque nella nazione. Nel primo giorno di novembre, l’Ungheria, paese satellite che nello scacchiere della Guerra Fredda rappresenta una bandierina in più, annuncia l’intenzione di uscire dall’alleanza politico-militare dei Paesi comunisti”, suscitando il definitivo tracollo della pazienza sovietica per l’esperimento ungherese.

La repressione

Ovunque l’Ungheria entrò in subbuglio: i fedelissimi della linea stalinista e repressiva del Partito Comunista furono messi all’angolo e in certi casi cacciati dalle loro posizioni politiche armi in pugno, nelle fabbriche del Paese formarono consigli operai anarco-sindacalisti e fu indetto lo sciopero generale. Mosca rispedì due membri del Comitato Centrale del Pcus, Mikojan e Suslov, a Budapest e mobilitò le truppe nella regione magiara, mentre ovunque si apriva una strisciante guerra civile tra lealisti e rivoluzionari sovrapposta ai combattimenti tra i protestanti e le truppe sovietiche stanziate in Ungheria.

In seguito alla comparsa dei blindati sovietici, si estese l’insurrezione. I comandanti sovietici spesso negoziavano dei cessate il fuoco a livello locale con i rivoluzionari. In alcune regioni le forze sovietiche riuscirono a fermare l’attività rivoluzionaria. In Italia, nel frattempo, crollava nella fila del Partito Comunista Italiano il mito dell’infallibilità sovietica e un centinaio di intellettuali (tra cui Renzo De Felice, Lucio Colletti, Alberto Asor Rosa, Antonio Maccanico) firmarono un manifesto di netta condanna delle azioni di Mosca.

Per due settimane, il governo di Budapest cantò apparentemente vittoria sul futuro del Paese, conscio inoltre del fatto che la parallela crisi di Suez attirasse l’attenzione degli attori occidentali facendo cadere la pretesa sovietica di un possibile intervento occidentale nella zona d’influenza di Mosca. Del resto gli Stati Uniti espressero con precisione il 27 ottobre la loro posizione per bocca del Segretario di Stato dell’amministrazione Eisenhower, John Foster Dulles, dichiarandosi contrari a ogni intervento in Ungheria.

Ciononostante, a Budapest si preparavano barricate, milizie armate con il tricolore ungherese verde-bianco-rosso strappato per rimuovervi i simboli comunisti sul braccio combattevano fianco a fianco con i militari dell’esercito regolare passati ai rivoluzionri, il governo temeva un intervento sovietico. Col senno di poi legittimamente: l’Urss il 31 ottobre ufficializzò i piani d’invasione dell’Ungheria, che entrò in azione quattro giorni dopo.

L’attacco sovietico fu una vera e propria guerra all’Ungheria: combinando  incursioni aeree, bombardamenti di artiglieria e azioni coordinate tra carri e fanteria i sovietici travolsero, passo dopo passo, ogni ostacolo di fronte a loro. Il successore di Stalin, Nikita Krushev, non potè esimersi dall’applicare una linea diversa da quella del dittatore suo predecessore, conscio che perdere l’Ungheria avrebbe leso la posizione geostrategica di Mosca.

Gli scontri terminano poco prima di Natale e lasciano sulle strade di una Budapest distrutta e ben 3.000 morti, mentre l’Armata Rossa subì a sua volta perdite non indifferenti, superiori ai 700 caduti. Mosca insediò a capo del governo di Budapest un fedelissimo, Janos Kadar. Negli anni successivi sotto la sua guida sarebbero stati migliaia gli ungheresi incarcerati e centinaia quelli giustiziati per questioni legate alla rivoluzione del 1956, tra cui l’appena diciottenne Péter Mansfeld, vittime della retorica secondo cui “il 1956 è stata una contro-rivoluzione“ a cui le forze del proletariato mondiale avevano legittimamente risposto.

Un dramma epocale

L’Urss temeva un effetto contagio. A Cluj, in Transilvania, si era protestato contro il governo romeno, mentre a Bratislava, in Cecoslovacchia, il tema principale era la questione universitaria. Inoltre, l’Urss aveva bisogno di rafforzare la sua presa su un Paese di confine e non lesinò le forze: l’Ungheria fu invasa, occupata e gradualmente schiacciata assieme al suo popolo perché aveva scelto la linea deviazionista.

Tra novembre e dicembre l’esperienza della primavera fuori stagione di Budapest finì in uno spazio ancor più breve di quello in cui era fiorita. Nagy fu arrestato e sarebbe stato giustiziato due anni dopo, nel quadro dell’ennesima purga contraddistinta da processi-farsa. Troppo importante la posta in palio per l’Urss, che avrebbe però subito un grave danno d’immagine dalla sua azione. Pietro Nenni, leader del Partito Socialista Italiano, andò ancora oltre i compagni del Pci e sull‘Avanti! del 28 ottobre scrisse: “Si può schiacciare una rivolta, ma se questa, come è avvenuto in Ungheria, è un fatto di popolo, le esigenze ed i problemi da essa poste rimangono immutati. Il movimento operaio non aveva mai vissuto una tragedia paragonabile a quella ungherese, a quella che in forme diverse cova in tutti i paesi dell’Europa orientale, anche con i silenzi, i quali non sono meno angosciosi delle esplosioni della collera popolare”.

Nenni non aveva, di fatto, torto: trent’anni dopo, col collasso del regime comunista, il pensiero dei cittadini della nuova Ungheria libera e indipendente andò proprio ai martiri del 1956. Caduti per l’indipendenza nazionale prima ancora che per il socialismo reale. Tanto che nel giugno 1989 proprio la commemorazione pubblica di Imre Nagy segnò l’inizio della fine del potere sovietico in Ungheria. Nella giornata del 16 giugno, durante questa commemorazione, ebbe modo di far conoscere il suo volto al mondo un giovane politico capace in futuro di segnare a sua volta la storia ungherese, Viktor Orban. Capace di far decollare la sua carriera proprio commemorando lo spartiacque decisivo della storia del Paese nel Novecento. A testimonianza della natura unificante e universale che l’epopea dei “ragazzi di Buda” ha per la nazione magiara.

Alessandro Sallusti: "Non tocca alla Meloni, ma a Veltroni e compagni", chi si deve scusare per il proprio passato. Alessandro Sallusti su Libero Quotidiano il 23 maggio 2021. «Io sono Giorgia», l'autobiografia edita da Rizzoli di Giorgia Meloni, è appena uscita e già è in testa alle classifiche di vendita. Tanto per cambiare, il successo di pubblico non coincide con quello di critica. Sui giornali si parla del libro per stroncarlo a prescindere: c'è la spocchia del critico letterario che scambia una biografia per un romanzo, cosa che non è, e c'è chi l'ha spulciato a caccia di anomalie nel racconto, manco fossimo in tribunale. E poi c'è chi - come ha fatto anche ieri Gad Lerner sul Fatto Quotidiano - contesta alla Meloni «amnesie e buchi neri» rispetto al fascismo. Premesso che non sono l'avvocato difensore di Giorgia Meloni, mi chiedo come in una sua autobiografia avrebbe potuto trovare spazio il fascismo, essendo la signora nata nel 1977, anno in cui Gad Lerner di anni ne aveva 23 e già faceva politica nel quotidiano Lotta Continua, l'organo della sinistra extraparlamentare il cui vertice fu condannato per l'omicidio del commissario Calabresi. Intendo dire che ci risiamo con il solito vizio della sinistra radical chic, quello di non voler fare i conti con il proprio passato ma pretendere che lo facciano gli avversari, anche quando questi sono totalmente estranei ai fatti che gli vengono rinfacciati. Se un politico, solo perché di destra, può essere tranquillamente inchiodato al fascismo, che dire dei politici che hanno militato nel partito che incarnava l'ideologia che ha provocato la più grande tragedia del Novecento, cioè quella comunista? Gad Lerner è stato convintamente comunista e non mi risulta, per esempio, che abbia mai rinfacciato a Napolitano di essere non erede ma entusiasta sostenitore di alcuni dei crimini del regime sovietico. Gad Lerner e i suoi emuli, all'uscita di uno dei tanti libri di Veltroni o di D'Alema, non hanno mai scritto: sì, però non dici che sei stato comunista, cioè parente contemporaneo di chi ha prodotto i gulag, la privazione di libertà fondamentali e tanta povertà. No, si sono tutti genuflessi per tessere elogi, peraltro immeritati, alle capacità narrative dei compagni. Caro Gad, fattene una ragione. Giorgia Meloni non ha nulla a che fare con il fascismo, e se qualche nostalgico le si accoda in scia non è colpa sua. Se uno come Napolitano ha potuto indisturbato rimuovere il proprio passato e salire al Colle, significa che ognuno ha le sue amnesie. E quelle della sinistra sono grandi come una casa.

L’ossessione fascista degli antifascisti. LO SPAURACCHIO DELL’ETERNO FASCISMO È ORMAI USATO PER DEMONIZZARE L’AVVERSARIO POLITICO.  Beatrice Nencha il 2 Novembre 2021 su Nicola Porro.it. Abbiamo un problema: il ritorno dell’eterno fascismo. Prima ancora dell’incursione di Forza Nuova dentro la sede della Cgil, la parola Fascismo stava già tornando in auge, in tutto il mondo, grazie alla pandemia. Non a caso la rivista spagnola Vanguardia, nel dossier di marzo 2021 intitolato “El mundo después de la Covid 19”, si interroga sul risorgere delle pulsioni fasciste, parallelamente all’imporsi di quello che è stato denominato il “Nuovo ordine mondiale”.

Covid come strumento di potere

Nel reportage “Autocracias y populismo en los nuevos tiempos”, l’autore Joshua Kurlantzick – giornalista e membro del sud-est asiatico presso il Council on Foreign Relations – riflette su cosa, durante l’emergenza dovuta al Covid-19, abbia accomunato il tragitto politico di numerosi governi, in ogni parte del mondo. Da quello del presidente delle Filippine Rodrigo Duerte, passando per l’Ungheria di Viktor Orbàn e l’India del primo ministro Narendra Modi, per arrivare al partito conservatore “Legge e giustizia” in Polonia fino ai governi di Israele, Canada, Australia, Russia. Solo per citarne alcuni.

“Un contagio della magnitudine del Coronavirus offre alle figure autoritarie una opportunità di consolidarsi al potere superiore a qualsiasi altro avvenimento, eccetto una guerra” scrive Kurlantzick, elencando come l’uso dei poteri emergenziali sia avvenuto, in moltissimi Paesi, a scapito delle libertà civili della popolazione. La compressione dei principali diritti costituzionali è stata compensata solo in parte dalla promessa di sicurezza offerta dallo Stato ai propri cittadini. A questa promessa si è poi saldata, da parte di dirigenti autocrati, “l’opportunità di stigmatizzare determinate minoranze nella popolazione, incolpandole dell’epidemia. Di fatto, dalle Filippine all’Ungheria, attraverso l’India e la Cambogia, i governanti di molti Paesi stanno usando il Coronavirus per accumulare poteri e stabilire nuove regole che saranno difficili da eliminare quando l’emergenza sarà cessata. Molti di questi nuovi poteri non hanno un limite temporale come scadenza. E la pandemia avrà consolidato il potere di questi despoti in modo indefinito” sottolinea l’autore.

Stato d’emergenza perenne

Queste riflessioni dovrebbero colpirci, anche se non viviamo in Cambogia. Dall’inizio della pandemia, quasi due anni fa, l’Italia è impantanata in uno stato di emergenza perenne. Nonostante da tempo l’emergenza non sia più così evidente, né nei numeri né nella logica dei provvedimenti emanati da enti spesso nemmeno di rango istituzionale ma, nei fatti, dotati di maggiori poteri e di una trasparenza a dir poco carente. Comitati e istituti che emanano norme spesso in contrasto tra di loro: da un lato c’è l’assoluta rigidità di protocolli (più politici che sanitari) come il lasciapassare verde per accedere al posto di lavoro; dall’altro l’assoluto disinteresse a conoscere quali siano i luoghi di maggior contagio del virus, i soggetti ad esso più esposti (in maggioranza, a leggere i dati dell’Istituto superiore di Sanità, soggetti non più in età lavorativa) e il modo più efficace per proteggerli. Mentre appaiono totalmente ignorati, da questi apparati, i costi sociali, economici e psicofisici generati da uno stato di emergenza endemico, che non può che erodere la fiducia dei cittadini nelle istituzioni democratiche rappresentative. La scarsa partecipazione politica alle più recenti tornate elettorali, anche se locali, dovrebbe suonare come un campanello di allarme.

Bastano queste forti compressioni dello stato di diritto e del principio di checks and balances dei poteri per connotare l’operato di un governo con l’aggettivo “fascista”? O neofascita? O populista? O autoritario? Qui entriamo in un campo spinoso da maneggiare, persino per i politologi, che non concordano su una definizione condivisa del fenomeno. Sicuramente, la pandemia ha fatto risorgere l’uso demagogico, e talvolta improprio, di tutte queste denominazioni per qualificare quei governi che hanno imposto limitazioni durature dei diritti costituiti ai propri popoli. Ma questo è avvenuto solo nei governi e nei regimi dittatoriali considerati di destra? Su questo tema si interroga la rivista Il Mulino, che ha dedicato la sua ultima pubblicazione trimestrale all’analisi del concetto di Fascismo come “eterno ritorno”.

Fascismo immaginario

“La tesi del fascismo eterno è una conseguenza della banalizzazione del fascismo stesso, al punto in cui il passato storico viene continuamente adattato ai desideri, alle speranze, alle paure attuali” scrive Steven Forti, professore di Storia Contemporanea presso l’Universitat Autònoma de Barcelona e ricercatore presso l’Instituto de Historia Contemporanea dell’Universidade Nova de Lisboa. In questo modo personalità del tutto diverse come Trump, Bolsonaro, Salvini, Meloni e Orbàn possono essere etichettate come “fasciste” dai media, e dai loro oppositori, pur non avendo tratti né obiettivi in comune col fenomeno politico conosciuto come “fascismo” storico”. Tanto che per Trump è stata coniata, tra le tante, anche la magmatica definizione di “leader postfascista senza fascismo”. Come spiega Emilio Gentile, la tesi del “fascismo eterno” – o Ur Fascismo, avanzata da Umberto Eco in una conferenza tenuta negli Usa nel 1995 – “ha portato a una sorta di astoriologia in cui il passato storico viene continuamente adattato ai desideri, alle speranze, alle paure attuali”. Ma leggiamo quali elementi, secondo Eco, sono caratteristiche tipiche del Fascismo: il culto della tradizione, il rifiuto del modernismo, il culto dell’azione per l’azione, il rifiuto di qualsiasi critica, la paura dell’Altro, l’appello alle classi medie frustrate, l’ossessione del complotto, l’elitismo popolare, l’eroismo, il machismo, un “populismo qualitativo” e la creazione di una neolingua. Secondo il semiologo e filosofo piemontese, la presenza di almeno una di queste caratteristiche sarebbe sufficiente a creare una “nebulosa fascista”.

Demonizzare l’avversario politico

Tuttavia, la facilità con cui si possono addebitare alcune di queste connotazioni a governi considerati oggi di centro o di sinistra, oltreché a quelli populisti o conservatori, dovrebbe portare a maneggiare la definizione di “fascismo” con più onestà intellettuale e accortezza. E non come spauracchio demagogico e retorico per guadagnare facile consenso elettorale o demonizzare l’avversario politico. L’analisi politica dovrebbe essere non solo più precisa, ma anche più profonda. Come osserva lucidamente Forti “né il concetto di fascismo né quello di populismo ci aiutano a capire cosa sono e quali obiettivi hanno Trump o Salvini: tempi nuovi richiedono nuove categorie”.

Provate a elencare alcuni degli ultimi provvedimenti di un governo a caso, sia esso italiano o francese o americano: imporre un pass per frequentare luoghi di svago, di cultura o di lavoro, discriminando chi non lo possiede; imporre l’uso di una neo lingua per rifondare la grammatica e rendere impersonale (“equa”) la definizione di genere; enfatizzare le differenze tra oppressi e oppressori in chiave razziale (crical race theory); stigmatizzare la pandemia come risultato di un comportamento irresponsabile dei “non vaccinati”, creando divisioni all’interno del corpo sociale; usare la tecnologia per censurare opinioni e articoli che non corrispondono alla narrativa ufficiale di governo, intaccando la libertà di espressione, la libertà di stampa e la libertà di manifestare per i propri diritti da parte delle minoranze.

Se mettete su queste azioni, o su una di esse, la faccia di Salvini o di Trump, sarebbe facile bollarle come imposizioni autoritarie o “fasciste”. Anche se non sono loro ad averle imposte bensì leader democratici per i quali, oggi, servirebbe un nuovo Eco per definirne le gesta.

Beatrice Nencha, 1° novembre 2021

Enzo Risso per editorialedomani.it il 3 novembre 2021. La cronaca delle ultime settimane ha posto nuovamente all’ordine del giorno il tema della presenza nel nostro paese di nostalgie e pulsioni verso il fascismo. L'inchiesta di Fanpage sulla campagna elettorale di Milano; l’assalto alla sede della Cgil a Roma; il video, corredato di saluto romano e cori pro duce allo stadio Olimpico, sono solo gli ultimi casi. Nelle viscere di una parte della nostra società il fascismo resta un tema irrisolto. Per poco più di un terzo degli italiani (36 per cento) i regimi fascisti hanno realizzato cose importanti nei loro paesi. Ne sono conviti i residenti a Nordest (41 per cento) e in Centro Italia (43 per cento), nonché la maggioranza degli elettori di Giorgia Meloni (69 per cento). Significativo, per identificare l’animus che aleggia lungo lo stivale, è osservare quanti ritengano attuale o anacronistico parlare del fascismo. Per il 43 per cento è un tema superato, anzi è bollato come la «solita manovra retorica cui ricorre la sinistra quando non ha argomenti». Questa opinione è particolarmente vivida tra le fila degli elettori di Fratelli d’Italia (70 per cento), ma è ben presente nei ceti popolari (52 per cento), nel ceto medio-basso (47 per cento), nonché tra i residenti delle isole (50 per cento) e del Nord-est (47 per cento). Il senso anacronistico non coinvolge solo i partiti di centrodestra (57 per cento in Forza Italia, 67 nella Lega), ma lo ritroviamo tra gli elettori indecisi (42 per cento), tra i pentastellati (36 per cento) e, in forma ridotta, anche tra le fila del Pd (15 per cento). Tra i giovani, il 40 per cento reputa sorpassato il discorso sul fascismo, mentre nella Generazione X (i nati dal 1965 al 1979 e cresciuti nel cuore degli anni Ottanta) la percentuale lievita al 46 per cento. Il dato più significativo, nonostante il clamore suscitato dall’assalto alla sede della Cgil, è quello relativo alla necessità di reprimere i movimenti che inneggiano al duce e al regime. La quota di favorevoli è rimasta, più o meno, la stessa rispetto a un anno fa. Nel dicembre 2020, il 70 per cento degli italiani si diceva favorevole alla repressione. Una quota che, allora, saliva al 76 per centro nelle fila dei giovani della Generazione Z (nati tra il 1997 e il 2010), ma scendeva al 65 per cento tra le fila delle Generazione X. Fra quanti erano favorevoli alla repressione c’erano porzioni non secondarie di elettori di Fratelli d’Italia (43 per cento), anche se il dato toccava il suo apice tra i supporter di Pd (92 per cento) e M5s (80 per cento). Pochi giorni dopo l’assalto alla sede della Cgil la percentuale di quanti ritengono giusto mettere fuori legge le associazioni o i partiti che si richiamano al fascismo è cresciuta di un solo punto (71 per cento). Se la vicenda non ha mutato gli equilibri complessivi, ha inciso su una parte dell’elettorato di Giorgia Meloni. La sua base, dopo la vicenda della Cgil, si spacca in due, con una metà (50 per cento) favorevole alla repressione (con un incremento di 7 punti rispetto al 2020) e l’altra metà suddivisa tra i nettamente contrari (18 per cento) e i silenti (32 per cento che non sa). Il dato, tuttavia, non sembra essere il risultato di una riflessione autocritica sul tema, bensì il prodotto dell’ampliamento della base elettorale di Fratelli d’Italia. La crescita di consensi registrata nell’ultimo anno ha inglobato persone provenienti da storie politiche differenti, ex Pdl, Lega, M5s o centristi. Elettori che non hanno legami nostalgici e che, anzi, sono particolarmente infastiditi da questi rigurgiti. Dal punto di vista dei segmenti sociali, l’ipotesi di repressione dei movimenti fascisti trova più freddi, rispetto la media, i ceti popolari (66 per cento), gli operai (64 per cento), i disoccupati (63 per cento) e i lavoratori autonomi (59 per cento). Il tema del rapporto col fascismo mostra, oggi come ieri, il carattere anomalo e anti-sistema che la destra italiana porta con sé dalle origini. In particolare, come sottolineava il politologo Marco Revelli, sfoggia il permanere, in alcuni segmenti della società, di tratti anti-liberali e totalitari, in cui la pulsione nostalgica verso il fascismo si coniuga con la tensione critica e il rifiuto epidermico e empatico dei valori e delle regole del modello democratico.  

 Salvini e Bolsonaro? La sinistra si indigna, ma sono i compagni ad omaggiare sempre i "cattivi". Gianluca Veneziani su Libero Quotidiano il 03 novembre 2021. Ma da che pulpito viene la predica! Vi indigna, eh, vedere Salvini incontrare un presidente democraticamente eletto, come il brasiliano Jair Bolsonaro. E ritenete che la sua «presenza sia indigesta», come ha detto il grillino Mario Perantoni. E pertanto vi considerate legittimati a protestare, come hanno fatto ieri a Pistoia centri sociali e antagonisti, o a disertare, come ha fatto il vescovo della città. Peccato che voi cattocomunisti, grillini e gente varia di sinistra, soffrite di un doppio male: la memoria corta e lo strabismo cronico. Non vi ricordate di quando i vostri leader incontravano brutti ceffi. E, se pure ve ne ricordate, guardate a quegli incontri con occhio indulgente perché, quando il personaggio ingombrante è di sinistra o islamico, allora è solo un compagno che sbaglia (non troppo) o una simpatica canaglia. Se invece è un sovranista, è un nemico del popolo. Visto che i compagnucci sono smemorati o strabici, glieli ricordiamo noi quegli incontri scomodi. Che ne pensate di quella passeggiata nel 2006 tra Massimo D'Alema, allora ministro degli Esteri, e un deputato di Hezbollah, gruppo terroristico anti-israeliano, con cui l'altro se ne andava a braccetto per le strade di Beirut? E che ne dite di quei suoi incontri con un altro presidente brasiliano, il comunista Lula, condannato per corruzione e riciclaggio (accuse dalle quali, sebbene le condanne siano state annullate, non è stato assolto) e tuttavia ritenuto frequentabile dagli italo-comunisti? Non solo da D'Alema, ma anche dal sindaco di Roma Roberto Gualtieri, che da ministro dell'Economia lo ha incontrato a febbraio 2020, dopo essere andato a trovarlo in carcere in Brasile due anni prima. Un abboccamento dal quale non poteva esimersi l'allora segretario del Pd Nicola Zingaretti che, poco prima che impazzasse la pandemia, trovava il tempo di stringere la mano a Lula. Cioè l'uomo che si è sempre rifiutato di consegnarci Cesare Battisti. Quanto a frequentazioni sudamericane discutibili non si può non ricordare il doppio incontro di delegazioni grilline, nel 2017 e 2019, coi ministri di Maduro, il presidente venezuelano che sta affamando il suo popolo. Forse volevano emulare D'Alema, che nel 2008 aveva siglato un accordo con Chávez, predecessore di Maduro. Ma parliamo di poca cosa rispetto alle reiterate strette di mano sinistre con Fidel Castro. Lo incontra ripetutamente Romano Prodi negli anni da premier: ne resterà positivamente impressionato tanto da definire, alla sua morte, quella incarnata da Castro «la speranza di un comunismo diverso». E lo va a trovare Fausto Bertinotti, da segretario rifondarolo, definendo la Cuba castrista «una terra miracolosa». Con lo stesso interesse con cui ha guardato ai tiranni latinoamericani, la sinistra ha mostrato sorrisi a personaggi controversi del mondo arabo. Il palestinese Arafat è stato il campione degli esponenti rossi, da D'Alema a Prodi che lo hanno accreditato come interlocutore, fino a Federica Mogherini, immortalata da giovane fan col leader palestinese. Ma anche Gheddafi, per l'amicizia col quale Berlusconi ha subito insulti, è stato incontrato più volte da Prodi, in veste di presidente della Commissione Ue. Caso singolare è quello del curdo Ocalan, artefice di azioni terroristiche, nel 1998 prima accolto in Italia come richiedente asilo grazie all'appoggio di Rifondazione Comunista (fu Bertinotti a incontrarlo) e poi scaricato dal premier D'Alema. Ma uno come Baffino, che ha abbracciato i peggiori leader, avrebbe potuto anche non fare lo schifiltoso con Ocalan. All'elenco manca Di Maio, che forse avrebbe voluto incontrare Pinochet, prima di scoprire che era già morto e non era il dittatore del Venezuela. 

Il Partito fascista che non rinascerà dopo 100 anni. Giordano Bruno Guerri il 9 Novembre 2021 su Il Giornale. Chi sbandiera il pericolo fascista lo fa per una deprecabile mancanza di studi, che lo metterebbero in grado di interpretare i nessi storici. Oppure per distrarre l'opinione pubblica da problemi concreti. Esattamente 100 anni fa Benito Mussolini trasformò il suo movimento in Partito Nazionale Fascista. Non è un ricordo festoso, ma stupiscono, imbarazzano, i timori di chi sventola a ogni passo il pericolo della «ricostituzione» di quel partito. La temevano, più a ragione, gli autori della nostra Costituzione, che nel XII emendamento provvisorio scrissero asciuttamente «È vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista». Quasi nessuno, però, ricorda il secondo capoverso di quell'emendamento (lo ha fatto pochi giorni fa Stefano Bruno Galli): «In deroga all'articolo 48, sono stabilite con legge, per non oltre un quinquennio dall'entrata in vigore della Costituzione, limitazioni temporanee al diritto di voto e alla eleggibilità per i capi responsabili del regime fascista». L'articolo 48 è quello per cui «sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età. ... Il diritto di voto non può essere limitato se non per incapacità civile o per effetto di sentenza penale irrevocabile o nei casi di indegnità morale indicati dalla legge». I costituenti dunque stabilivano che, a partire dal 1953, «i capi responsabili del regime fascista» avrebbero potuto votare e addirittura essere eletti alla Camera o al Senato: una decisione non da poco, visto che erano ancora vivi per citare solo i due più brillanti Giuseppe Bottai e Dino Grandi. Curiosamente, il vezzo di diffondere il timore della possibile ricostituzione di un partito fascista è cresciuto con gli anni, invece di diminuire. L'ultima volta, recentissima, è stata per l'ignobile - abietta, infame, meschina, miserabile, nefanda, spregevole, turpe - aggressione di alcuni facinorosi alla sede della Cgil. La nostra condanna va da sé, ma occorre ricordare che per procedere legislativamente allo scioglimento di una forza politica (per esempio Forza Nuova) occorre prima una sentenza della magistratura che certifichi il tentativo di ricostituire un partito fascista. Questa sentenza non c'è. C'è il pericolo? Giurerei che non lo credano neanche quelli di Forza Nuova e dei movimenti simili. Il fascismo storico non può rinascere perché non ci sono le condizioni che lo permisero: l'immensa crisi del dopoguerra, gli scontri armati in piazza con socialisti e comunisti e - non ultimo - la mancanza di un capo carismatico come Mussolini. Non può rinascere anche perché il sistema internazionale (a partire dall'Ue) non lo consentirebbe, e soprattutto perché nessuno ne ha voglia, a parte qualcuno che confonde Dio, Patria e Famiglia con Punizione, Disciplina e Tristezza. Chi sbandiera il pericolo fascista lo fa per una deprecabile mancanza di studi, che lo metterebbero in grado di interpretare i nessi storici. Oppure, temo più spesso, per distrarre l'opinione pubblica da problemi concreti, quelli che davvero dovremmo affrontare ogni giorno. Per esempio un sistema scolastico che aiuti a capire le differenze fra storia e attualità. Giordano Bruno Guerri

Antifascisti, siete anticomunisti? Marco Gervasoni il 4 Ottobre 2021 su Il Giornale. La vicenda della cosiddetta «lobby nera» e la ricorrente accusa a Giorgia Meloni, ma anche a Matteo Salvini, di non dichiararsi "antifascisti" ci ricorda quando la sinistra attaccava ossessivamente il Berlusconi assente dalle celebrazioni del 25 aprile. La vicenda della cosiddetta «lobby nera» e la ricorrente accusa a Giorgia Meloni, ma anche a Matteo Salvini, di non dichiararsi «antifascisti» ci ricorda quando la sinistra attaccava ossessivamente il Berlusconi assente dalle celebrazioni del 25 aprile. Quando poi nel 2009 a Onna, sulle rovine del terremoto, il Cavaliere presidente del Consiglio vi prese parte e pronunciò anche un bel discorso, la sinistra spostò il tiro su altre questioni, e accadde quel che sappiamo. Questo per dire che, in buona parte dei casi, come questo di una «inchiesta» diffusa a due giorni dal voto, l'antifascismo è solo un pretesto, e anche molto ipocrita e peloso. Sarebbe tuttavia limitativo fare spallucce e rispondere solo in questo modo. In primo luogo perché l'argomento fa parte della lotta politica ed è utilizzato come arma, a cui bisogna rispondere. In secondo luogo, perché l'antifascismo è si qualcosa che appartiene al passato ma il passato, anche quello antico, fa sempre parte del presente - la storia è sempre storia contemporanea, noto adagio crociano. E tra fascismo e antifascismo non ha solo vinto quest'ultimo ma la ragione stava da questa parte: da quella di Roosevelt, di Churchill, di De Gaulle, di De Gasperi, di Sturzo, di Einaudi, di Matteotti e dei Fratelli Rosselli, e così via. A un regime che si impose con la violenza, soffocando la libertà e la democrazia, come quello fascista, Giorgia Meloni, Carlo Fidanza e tutti i militanti ed elettori di Fdi sono lontani anni luce; e oggi sicuramente lo combatterebbero. Dal nostro punto di vista quindi, non dovrebbe esserci problema alcuno a dichiararsi antifascisti. Purché ci si dica al tempo stesso anticomunisti. I due termini dovrebbero essere inseparabili: non si può essere antifascisti se non si è anche anticomunisti. Come scriveva François Furet, tutti i democratici sono antifascisti ma non tutti gli antifascisti sono democratici: basti pensare a Stalin, a Tito, e via dicendo. Allo stesso tempo, non si può essere anticomunisti se non ci si definisce pure antifascisti: perché la lotta al comunismo va condotta avendo in mente la democrazia e la libertà, non esperimenti autoritari. Si tratta di questioni storiche passate? Forse. Sta di fatto che il fascismo è morto nel 1945 mentre il comunismo è vivo e vegeto (la Cina, a Cuba, alla Corea del Nord ecc) e alle Comunali si parano miriade di liste con falce e martello. E allora rivolgiamo noi la domanda agli antifascisti (a fascismo morto) in servizio permanente ed effettivo: siete disposti a dichiararvi anticomunisti? Marco Gervasoni 

Filippo Facci per “Libero quotidiano” il 6 ottobre 2021. Io voglio sapere come fa Michele Serra a scrivere che «è risaputo» che gli italiani di estrema destra sarebbero «qualche milione, storicamente attorno al 10-15 per cento dell'elettorato». Voglio sapere come fa a scrivere che «la destra non ha mai fatto i conti con il fascismo» senza che gli si spezzi la penna, e definendo la frase, anzi, «per niente retorica», e non spiegando perché Casapound e Forza Nuova abbiano consensi da entomologi. Voglio sapere come lo storico Franco Cardini (ex scritto al Msi che faceva il saluto romano, poi nel 1965 si innamorò di Fidel Castro) faccia a dire che «l'eredità neofascista non è stata sufficientemente elaborata». Voglio sapere dalla politologa Sofia Ventura che cosa intenda quando parla di «contraddizione irrisolta». Voglio sapere da Serra, Cardini e la Ventura se ricordano che Gianfranco Fini disse che le leggi razziali furono «un'infamia», che «Salò fu una pagina vergognosa», che «il fascismo fu il male assoluto», che visitò le Fosse Ardeatine, la Risiera di San Sabba e il museo dell'Olocausto (con la kippah in testa) e che non servì a nulla, anzi, rese Fini ridicolo in un Paese dove sopravvivono l'Anpi, i negazionisti delle foibe, e dove qualche sindaco che ha dedicato vie al Maresciallo Tito, a Lenin, Ho Chi Minh, Mao Tze Tung, financo a Josef Stalin il quale persino Putin, nel 2015, definì ufficialmente un criminale comunista.

Valeria Costantini per il "Corriere della Sera" l'11 ottobre 2021. «La sala emergenze era isolata, se fosse arrivato un paziente grave, in quei minuti l'accesso sarebbe stato impedito. Mai vista una tale furia». La voce di Francesco Pugliese, direttore del pronto soccorso del Policlinico Umberto I, è più venata di amarezza persino rispetto a un anno fa: a ottobre 2020 lottava coi colleghi contro la seconda ondata del Covid. Oltre 120 pazienti al giorno da curare, ma il nemico aveva un volto solo. La notte di sabato ha portato un'altra guerra. Insensata. 

Dottor Pugliese, come è andato l'assalto?

«Avevamo questo paziente, arrivava dalla manifestazione, ma rifiutava i trattamenti, persino il tampone. Inveiva contro il personale. Dieci persone si erano radunate fuori dal pronto soccorso per lui, come fossero venuti a liberarlo. La tensione è salita quando sono diventati quaranta».

Ma chi erano?

«Non saprei, parenti, amici, ma anche no vax e no green pass a sentire quello che urlavano». 

Cosa urlavano?

«Insulti irripetibili, minacce. Mai i colleghi si erano sentiti addosso parole di tale violenza. Cieca. Pura. Eppure parliamo di personale formato, con anni di esperienza, sanno gestire tossici, ubriachi, pazienti psichiatrici. Queste persone hanno fatto irruzione nell'area accettazione, in pratica isolando la sala rossa, quella dei pazienti critici. Se fosse arrivata un'urgenza in quei minuti...».

Poi cosa è successo?

«Prima che arrivasse la polizia, nella zona sanitaria c'è stato l'assalto vero, con i medici, gli infermieri, le guardie che tentavano di respingere queste persone. Aggressioni, spintoni, bottigliette lanciate addosso. 

Hanno rotto la porta di ingresso del pronto soccorso, ci sono stati altri danni, ma soprattutto hanno costretto il personale a barricarsi dietro le porte blindate della sala gialla. Era piena di pazienti, anche loro terrorizzati. Una rabbia mai vista, in un luogo dove si curano malati, moribondi. Un pronto soccorso è come la Croce Rossa in zona di guerra: sacro, intoccabile».

Bilancio della notte di follia?

«Abbiamo curato tre colleghi e due poliziotti feriti, non sono gravi. Siamo tutti sotto choc, ma anche demotivati. Vediamo questo atteggiamento estremista anche nei no vax che curiamo, ci chiedono "che mi fate, che mi iniettate?". Per un medico vedersi morire tra le mani queste persone che si potevano salvare, veder buttar via così delle vite... mi scusi non trovo le parole».

Fla. Sav. per "il Messaggero" l'11 ottobre 2021. «Il paziente era nella sala accettazione e fin dall'inizio ha iniziato ad aggredirci verbalmente. Gridava: Siete servi del potere, della dittatura. Non mi dovete toccare. Ci siamo avvicinati per calmarlo poi è letteralmente esploso quando gli abbiamo detto che dovevamo eseguire un tampone Covid, la procedura obbligatoria per escludere o meno il virus». A parlare è uno dei 20 sanitari, tra medici e infermieri, che sabato era in turno di notte al pronto soccorso del Policlinico Umberto I quando un gruppo di trenta violenti No Green pass si è riversato nell'ospedale. Chiede di restare anonimo perché teme ritorsioni: «Alcuni di loro, degli estremisti che hanno tentato di forzare gli ingressi, mi hanno visto e sono molto spaventato» spiega. La miccia si è accesa intorno a mezzanotte quando uno di loro è arrivato al pronto soccorso in forte stato di agitazione. 

Cosa è accaduto?

«Gli abbiamo dato una bottiglietta d'acqua. Dopo averla aperta, l'ha lanciata contro di noi e ha colpito una collega. A quel punto la situazione è precipitata. Cercavamo ancora di calmarlo ma ci respingeva e ci spingeva. Avevo notato che aveva fatto diverse telefonate, diceva che lo stavamo tenendo prigioniero ma nessuno di noi si era reso conto che aveva chiamato i suoi amici».

Cioè?

«Eravamo ancora nella stanza dell'accettazione, c'era confusione perché continuava a urlare, a insultarci. Quando abbiamo iniziato a sentire gridare anche fuori dalla stanza: Lasciatelo andare maledetti e Fateci passare».

Quindi cosa ha fatto?

«Tra i pazienti in attesa c'erano anche dei poliziotti. Erano gli agenti rimasti feriti durante il corteo del pomeriggio. Fin dai primi momenti ci hanno dato supporto. All'inizio però, lo ammetto, pensavo che quell'uomo si sarebbe calmato. Non è la prima volta che ci troviamo in difficoltà per le intemperanze dei pazienti che arrivano agitati. Ma quando sono arrivati gli altri violenti si è scatenato il caos. Gli agenti hanno subito sbarrato ogni porta e hanno chiamato i colleghi in supporto». 

I rinforzi sono arrivati subito?

«Le pattuglie erano già nel piazzale quindi noi medici, insieme agli agenti che dovevano essere refertati, abbiamo messo in sicurezza l'interno del pronto soccorso. Gli altri poliziotti, invece, sono rimasti fuori. Ma sentivo le urla e i colpi ripetuti e violenti contro le porte che stavano cercando di forzare. Un inferno».

Una volta messo in sicurezza il pronto soccorso, le sono state date disposizioni? 

«Abbiamo blindato il primo piano e chiuso tutte le vie di accesso. Io, come i miei colleghi, ho proseguito il turno spostandomi nei diversi reparti all'interno della struttura. Sapevo che fuori c'era la polizia e che la situazione era tesa. Abbiamo fatto tutti un grosso sforzo per mantenere la calma e la lucidità. Quando l'uomo che era qui da noi è stato portato via, tutto è tornato quasi alla normalità. I colleghi hanno poi chiesto di mettere in sicurezza anche l'ingresso nel piazzale principale e di chiudere tutto anche lì. Ero scosso e lo sono tutt' ora. Tutti abbiamo continuato a occuparci dei nostri malati».

Non ha avuto paura che provassero ancora a entrare?

«Fino alle quattro del mattino ho sentito grida e urla provenire dal piazzale. Ma dopo che è scattato l'allarme, c'era il cordone di poliziotti che ha evitato altre incursioni». 

Quando ha terminato il turno cosa ha fatto?

«Sono corso a casa. Ora sto cercando di riprendermi perché le emozioni sono state fortissime. Sono molto amareggiato perché da un anno lavoro in questo ospedale, in prima linea contro il Covid, e non riesco a capire come si possa arrivare a tanto. Mi riferisco chiaramente alle aggressioni verbali e a quelle fisiche. Stavo solo svolgendo il mio lavoro e mi sono ritrovato al centro di una guerriglia».

Fiorenza Sarzanini per il "Corriere della Sera" l'11 ottobre 2021. Le immagini ritenute intollerabili sono quelle dei manifestanti che sabato sera a Roma assaltano il portone della Cgil, entrano negli uffici e poi si mostrano nei video trasmessi via social. Si vantano per la conquista, rivendicano di aver portato a termine l'attacco. Istantanee di una giornata nera che il presidente del Consiglio Mario Draghi ha voluto stigmatizzare in maniera netta. Perché «non può passare l'idea che quattro facinorosi tengano in scacco le istituzioni». La linea è tracciata: adesso la strategia deve cambiare, il sistema di prevenzione - questa la posizione di Palazzo Chigi - deve essere più incisivo e attento. Il via libera alle manifestazioni dovrà arrivare dopo una valutazione rigorosa dei rischi, limitando al massimo i cortei. Nessuna limitazione a chi vuole esprimere dissenso, ma le regole dovranno impedire che la situazione degeneri, «dimostrare che lo Stato c'è e interviene per contrastare i violenti, per stroncare gli estremismi e le iniziative di chi mira a creare tensione e instabilità». Il presidente del Consiglio ha parlato in queste ore con la ministra dell'Interno Luciana Lamorgese, con il sottosegretario delegato Franco Gabrielli, con i collaboratori più stretti. Nessuno ha potuto negare gli errori e le sottovalutazioni. Perché il dispositivo di sicurezza messo a punto in vista della manifestazione di sabato in piazza del Popolo a Roma prevedeva che i partecipanti potessero essere al massimo tremila e invece le forze dell'ordine si sono trovate a fronteggiare oltre diecimila persone, e centinaia di loro sono sfuggite al controllo. Ma anche perché molti «obiettivi sensibili» sono rimasti scoperti, nessuno ha evidentemente ritenuto indispensabile proteggere le sedi sindacali con i mezzi blindati nonostante il leader romano di Forza Nuova Giuliano Castellino avesse detto di voler arrivare proprio alla Cgil e minacciato dal palco: «Stasera ci prendiamo Roma». Come è possibile - ci si chiede a Palazzo Chigi - che non siano state intercettate le intenzioni dei leader di Forza Nuova, degli estremisti di CasaPound che partecipavano alla manifestazione, quelle dei cittadini no vax e no green pass che, richiamati attraverso i social network, hanno voluto esprimere la propria rabbia partecipando all'incursione squadrista alla Cgil e al tentativo di arrivare fino alla sede del governo oppure a Montecitorio. I prossimi giorni si annunciano difficili per la gestione dell'ordine pubblico. Oggi i sindacati di base saranno in piazza per uno sciopero generale, altre mobilitazioni di no vax sono state programmate e annunciate attraverso i social network e i messaggi spediti con Telegram. Venerdì 15 ottobre scatta l'obbligo di green pass per tutti i lavoratori, la protesta potrebbe coinvolgere numerose città. Ecco perché il capo della polizia Lamberto Giannini ha già sensibilizzato - come ormai accade quasi quotidianamente - le questure «alla massima attenzione di tutte quelle aree di malcontento» che potrebbero pianificare azioni eclat anti, ma anche aggregare personaggi che mirano a fomentare le paure e le contestazioni dei cittadini. E la ministra Lamorgese ha convocato per mercoledì un comitato nazionale per l'ordine e la sicurezza che servirà ad analizzare che cosa non ha funzionato sabato, ma soprattutto a fornire indicazioni per evitare che si ripetano situazioni analoghe alle forze dell'ordine e agli apparati di intelligence che hanno tra i compiti primari il monitoraggio degli ambienti più pericolosi per la sicurezza nazionale e la possibilità di portarli a termine con strumenti adeguati. Durante la fase acuta della pandemia erano stati vietati i cortei e consentiti soltanto i sit-in all'aperto con mascherine e distanziamento, comunque in casi davvero particolari. Adesso che la situazione sanitaria sembra uscita dalla crisi grave si era deciso di accogliere alcune richieste di svolgimento dei cortei. Un «allentamento» che si è deciso di rivedere drasticamente. E anche le autorizzazioni alle manifestazioni statiche potranno essere rilasciate soltanto con garanzie reali di rispetto delle regole da parte degli organizzatori. Si dovrà valutare se il luogo richiesto sia adeguato, se ci siano possibili vie di fuga in caso di scontri e possibilità di presidiare le vie limitrofe in modo da impedire a chi protesta in maniera violenta di andare altrove. E, sempre, dovrà essere stilata la lista dei luoghi che potrebbero essere presi di mira da chi protesta, predisponendo un cordone di protezione. Se si riterrà che non ci siano le condizioni per garantire la sicurezza, la manifestazione dovrà essere vietata impedendo in ogni modo a chi ha presentato richiesta di riuscire comunque a scendere in piazza.

ALESSANDRA ARACHI per corriere.it il 10 ottobre 2021. La prima reazione del segretario generale della Cgil Maurizio Landini è arrivata con un comunicato stringato ma molto denso: «L’assalto alla sede della Cgil nazionale è un atto di squadrismo fascista. Un attacco alla democrazia e a tutto il mondo del lavoro che intendiamo respingere. Nessuno pensi di far tornare il nostro Paese al ventennio fascista». La seconda reazione del numero uno della Cgil è stata una chiamata decisa, rivolta ai sindacalisti di tutta Italia: la convocazione di un’assemblea generale per domenica mattina davanti alla sede ferita di Corso Italia. Un’emergenza democratica. La terza reazione è stata una convocazione per il 16 ottobre a Roma di una manifestazione per chiedere lo scioglimento delle organizzazioni neofasciste e neonaziste. Alle cinque e mezza di sabato pomeriggio la sede della Cgil nazionale è stata presa d’assalto da un gruppo di manifestanti no vax arrivati urlando da piazza del Popolo, attraverso Villa Borghese. Hanno scaricato la loro furia sfondando il portone d’ingresso della sede del più antico sindacato d’Italia, divelto la finestra della portineria, sfasciato tutto quello che si trovavano davanti. Alle otto di sera è stato il presidente del Consiglio Mario Draghi che non ha esitato ad alzare il telefono e chiamare Maurizio Landini. Lo hanno fatto sapere da Palazzo Chigi diramando una nota ufficiale. La sede ferita è alle soglie delle Mura Aureliane, una roccaforte storica ieri sfregiata. E anche dal Quirinale hanno fatto uscire una nota per far sapere che il capo dello Stato Sergio Mattarella ha voluto chiamare il numero uno della Cgil per esprimere la propria solidarietà. È stata una reazione indignata quella della segretaria generale della Fiom Francesca Re David: «È stato un attacco alla democrazia oltre ad essere una gravissima azione squadrista», ha commentato. Al governo chiede «di fare chiarezza per accertare le responsabilità» (qui il pezzo sulla caccia con le telecamere ai teppisti del raid) e, soprattutto, che «le organizzazioni fasciste vengano sciolte, come prevede la Costituzione». La violenza dell’assalto spinge il segretario del Partito democratico a stringersi attorno al sindacato dei lavoratori. È deciso Enrico Letta: «Cambio i miei programmi e torno a Roma per andare alla sede della Cgil a portare la solidarietà mia e di tutto il Pd. No alla violenza fascista». Anche le sedi regionali si stringono attorno alla sede madre della Capitale. Quella del Veneto sembra la più preoccupata: «In tanti hanno rievocato gli anni Settanta. È molto peggio. Quanto è accaduto riporta piuttosto la memoria agli anni Venti del secolo scorso», dichiara Christian Ferrari, segretario generale della regione. E poi aggiunge: «Qui in Veneto avevamo già avuto delle avvisaglie: alle nostre sedi erano state fatte intimidazioni e anche minacce. Non ci faremo intimidire e il Veneto sarà a Roma per l’assemblea generale». Un pericoloso attacco efferato al partito dei lavoratori: per dare un segnale forte domenica tutte le sedi regionali della Cgil rimarranno aperte.  

Estratto dell'articolo di PAOLO BERIZZI per La Repubblica il 10 ottobre 2021. (..) Confluiti a Roma, entravano in piazza quelli che in teoria dovrebbero essere i più tranquilli e che già in altre occasioni non lo sono stati per niente: i ristoratori di "Io apro", quelli del "Jack Angeli" italiano, al secolo Hermes Ferrari, da Scandiano. Una piazza marchiata dall'estrema destra, sì, ma che schiumava feroce rabbia No Green Pass in declinazioni diverse. L'ultradestra di Forza Nuova, CasaPound, Veneto Fronte Skinhead, Area, l'ha monopolizzata e l'ha aizzata (foto e filmati mostrano chiaramente i leader di Forza Nuova Roberto Fiore e Giuliano Castellino alla testa di quei manifestanti che si sono staccati dal corteo per dare l'assalto alla sede della Cgil). E lo ha fatto con un obiettivo preciso: strumentalizzare la rabbia sociale e infilarsi nel varco della confusione post elettorale che regna nel centrodestra a una settimana dalla data cruciale del 15 ottobre, quando il Green Pass sarà obbligatorio. Da qui, la mobilitazione inattesa e violenta che ha colto di sorpresa la polizia. Perché 10mila, adesso, non se li aspettava nessuno: men che meno gli organizzatori. Ma torniamo alla piazza. Ecco l'avvocato Carlo Taormina in sintonia con Castellino, sorvegliato speciale e pluri-daspato, eppure lì ad arringare la folla contro il «nuovo ordine mondiale», la «tirannia tecno-sanitaria». Giù addosso a Draghi, Zaia, la Cgil. Ecco il messaggio fatto pervenire da monsignor Carlo Maria Viganò, sostenitore della teoria del Great Reset che avrebbe lo scopo a di ridurre l'umanità in una sorta di dittatura sanitaria. «La pandemia è stata causata da Dio per punire peccati individuali e sociali», è la tesi del filo-lefebvriano Viganò. Applausi. Poi il coro: «Libertà! Libertà!». E il ringhio: «Assassini! Assassini!". In un'adunata che per loro è diventata da mesi una specie di "sabato fascista" sono rispuntati vecchi arnesi del neofascismo romano: Giuseppe Meloni, detto Pinuccio la Rana, ex capo dei Boys della curva sud romanista ed ex consigliere di municipalità dell'Msi: fu tra i protagonisti, nel '94, della guerriglia allo stadio di Brescia culminata con l'accoltellamento del vicequestore Giovanni Selmin. La Rana aspetta che risuonino le note di Mameli e tende braccio e mano destra verso la folla. Ad applaudire si è rivisto Andrea Insabato, ex Terza Posizione, già vicino a Forza Nuova e Militia Christi, condannato in primo grado a 12 anni per il maldestro attentato alla redazione del Manifesto (22 dicembre 2000): oggi è attivo sui social col nickname "Andrea Rinascita". (...)  «Stasera ci prendiamo Roma». È il grido di Castellino prima che i manifestanti si dirigano verso Palazzo Chigi. In testa al corteo gli stessi che a maggio hanno sfilato a Ponte Milvio con le magliette "fascismo secolo XXI". Allora erano un centinaio o poco più. A questo giro sono riusciti a tirare su diecimila persone. 

Assalto alla Cgil a Roma, i leader di Forza nuova e l’ex Nar «Pantera»: così i neofascisti si mischiano alla piazza no vax. Giovanni Bianconi su Il Corriere della Sera l'11 ottobre 2021. Giuliano Castellino e Roberto Fiore di Forza Nuova, ma anche Biagio Passaro del movimento «Io apro», tra gli arrestati per l’assalto alla sede romana della Cgil. I no vax su social: «Niente violenza», ma c’è chi ribatte: «Far paura serve». La rivendicazione è arrivata in diretta: «L’occupazione della sede della Cgil, simbolo della connivenza col potere della triplice sindacale, è stato solo l’antipasto di un giorno di battaglia che potrebbe essere decisivo». Erano le 20,32 di sabato, quando sui social network di Forza nuova è comparso questo proclama, che annunciava: «Roma è invasa dal popolo che sembra deciso ad attuare la resa dei conti contro la tirannia e i suoi servi. Il Parlamento è sotto assedio!». A parte l’enfasi e l’autoesaltazione, nei comunicati scritti dalla strada c’era il tentativo di fagocitare la protesta. Un movimento più ampio del gruppo neofascista che ha guidato l’attacco alla sede del più grande sindacato italiano; agguerrito quanto si vuole, ma certamente minoritario. Della dozzina di arrestati per le aggressioni e gli scontri di sabato, la metà non è conosciuta alla polizia per militanza politica. Tra questi c’è un signore di settant’anni, uno di 58 e uno di 54. E c’è Biagio Passaro, quarantaseienne manager di una catena di pizzerie e leader di «Io apro», in stato di agitazione dai tempi delle prime chiusure anti-Covid. Anche sui network ufficiali di questo raggruppamento — che conta 8.088 iscritti, di cui 164 in linea alle 18,18 di ieri — c’era chi esultava: «Roma in pieno caos, abbiamo occupato la Cgil», e un quarto d’ora più tardi: «Ora direzione palazzo Chigi/Montecitorio». Dopo il raduno a piazza del Popolo, i dimostranti hanno chiesto ai responsabili dell’ordine pubblico di andare in corteo verso la sede del sindacato. Permesso negato, ma sfondare il cordone di protezione non è stato troppo difficile per una massa di centinaia di persone che ne aveva alle spalle qualche migliaio apparentemente pacifiche; così è scattata l’aggressione forse pianificata dai dimostranti più determinati. Quelli di Forza nuova appunto. Tra i quali il fondatore Roberto Fiore, 62 anni e un passato tanto turbolento quanto noto: dalle associazioni sovversive nere degli anni Settanta (ricercato e condannato per questo reato, con pena mai scontata e prescritta durante gli anni di latitanza all’estero) fino alle formazioni del nuovo millennio. Passando anche dal Parlamento europeo, tra il 2008 e il 2009. Con la sua storia, sulle scale d’ingresso del palazzo della Cgil, lui può aver immaginato di ripetere l’opera dei fascisti che attaccavano le Camere del lavoro un secolo fa, accendendo i primi fuochi del Ventennio. E come lui Giuliano Castellino, leader romano del gruppo, protagonista onnipresente delle piazze in subbuglio; anche il 18 settembre scorso, contro altri estremisti scissionisti di Forza nuova, sferzati da un suo commento: «Mai vista una piazza difesa dalla celere! Sedicenti “camerati” hanno fatto allontanare dalla polizia chi voleva gridare “lavoro e libertà” contro la tirannia sanitaria». Con Castellino e Fiore c’era pure Luigi Aronica — un altro degli arrestati — soprannominato «Pantera», 65 anni, cresciuto nella sede romana del Fuan (l’organizzazione universitaria del Msi), passato ai Nuclei armati rivoluzionari e tornato all’attività politica dopo diversi lustri trascorsi in carcere. «Ero bambino e sui muri scrivevo “Pantera libero”. Buon compleanno ultimo degli eroi», è la dedica pubblica di Castellino quando ha compiuto 63 anni. Una comunità neofascista che da un anno e mezzo, con le proteste anti-chiusure, ha trovato l’occasione per celebrarsi, aggregare e provare a rispolverare un’immagine che negli ultimi tempi si era un po’ appannata. Sopravanzata soprattutto da CasaPound, che attraverso occupazioni e iniziative anche sociali aveva conquistato la leadership dell’estrema destra, a Roma e non solo. Con l’emergenza Covid e relative restrizioni sono invece tornati in auge loro: dal tentativo di violare il lockdown nella Pasqua 2020 («venimmo arrestati in sei, colpevoli di voler andare a messa», si è autocelebrato oggi Castellino), alle rivolte di un anno fa dove si sono mescolati a «comitati di quartiere, movimenti spontanei e popolari, mamme, partite Iva... Popolo!». È successo anche l’altro giorno, con i No Vax «esterni» utilizzati come copertura per l’assalto al sindacato, ora divisi su una commistione che può rivelarsi controproducente. «Io sono d’accordo con la manifestazione, ma così si parla solo di violenza» commentava l’altra sera via social un «guerriero per la libertà», ma un altro gli ha risposto: «No, anzi. Per fare paura ci vuole un po’ di assalto»; e un altro ancora: «Ma chissenefrega! Tanto avrebbero trovato altro».

Manifestazioni no green pass, i timori di un’escalation. Volti mai visti tra i «soliti noti»: chi era in piazza. Giovanni Bianconi su Il Corriere della Sera il 10 Ottobre 2021. La piazza che sfugge di mano e mette a soqquadro un pezzo di città è un segnale di doppio allarme: per la sottovalutazione di ciò che sarebbe potuto accadere e per quello che potrebbe succedere nei prossimi giorni e settimane. L’accerchiamento a palazzo Chigi dopo gli attacchi in altre parti di Roma, a cominciare dall’assalto squadrista alla Cgil, ha forse colto di sorpresa l’apparato della prevenzione e della sicurezza. Preparato a una manifestazione sulla falsariga delle precedenti, con qualche tensione ma senza degenerazioni. Invece è andata diversamente, anche se la giornata s’è conclusa senza bilanci troppo pesanti. Tuttavia resta l’immagine dei blindati che vacillano sotto la pressione dei manifestanti, che fa il paio con il furgone piazzato davanti al portone della sede del governo, come un ultimo sbarramento preventivo. Di qui la grande attenzione del ministero dell’Interno e della presidenza del Consiglio per la possibile escalation delle proteste, di cui gli episodi di ieri sono una spia. Soprattutto in un clima di tensione in vista della scadenza del 15 ottobre, quando scatterà l’obbligo del Green pass per tutti i lavoratori, e in un clima elettorale che potrebbe non limitarsi ai ballottaggi in programma domenica prossima. Ecco perché sul turbolento sabato pomeriggio romano sono già in corso, nei palazzi della sicurezza, analisi e considerazioni per individuare strategie e interventi più adeguati rispetto a quanto programmato. Soprattutto sul piano della prevenzione, per evitare che situazioni simili possano ripetersi e degenerare in maniera più grave. Decisioni da prendere sulla scia dell’atteggiamento ribadito dal governo: garantire il diritto al dissenso, ma senza aggressioni e intimidazioni, nella consapevolezza che sulla campagna di vaccinazione non ci saranno retromarce. Conciliare tutto questo con una piazza in subbuglio non è semplice, come s’è visto ieri. Dopo il raduno in piazza del Popolo — che ha visto una presenza più massiccia del previsto, decisa ma apparentemente pacifica — i dimostranti si sono sparpagliati dando vita ai primi incidenti. Innescati dai «professionisti dello scontro»: quelli che agiscono incappucciati e ben conosciuti, radunati intorno a gruppi come il movimento di ultradestra Forza nuova e ad alcuni noti capipopolo. Ma accanto a queste abituali presenze, è comparso qualcosa di diverso. In strada, pronte a fronteggiare i celerini in tenuta antisommossa, c’erano persone a viso scoperto, uomini e donne non più giovani che gridavano esasperati, immobili e quasi indifferenti al getto degli idranti. Presenze quasi «spiazzanti» per chi deve resistere e se del caso caricare. Per di più in un pomeriggio prefestivo dal clima primaverile, con tanta altra gente che occupava il centro di Roma per passeggiare e fare acquisti. Un anno fa, quando si annunciavano nuove chiusure per la seconda ondata della pandemia, la protesta dei commercianti venne infiltrata da estremisti politici e gruppi di ultras che volevano sfruttare l’occasione per tornare a menare le mani e mettere in difficoltà le forze dell’ordine. Stavolta non sembra così. A sostegno, o a rimorchio, di chi potrebbe fomentare e strumentalizzare i disordini c’è una parte di popolazione — minoritaria, ma capace di cambiare volto ai raduni — decisa a non arrendersi alle decisioni del governo. Persone che hanno poco o niente a che fare con le frange violente conosciute, ma che evidentemente sono pronte alla sfida. Anche se può degenerare. Lo scorso fine settimana, a Milano, un altro raduno no vax è finito con scontri tra dimostranti e forze dei polizia. Cinque persone sono state arrestate e denunciate per resistenza aggravata a pubblico ufficiale, e nessuno di loro era conosciuto per militanza politica o precedenti analoghi. Sono le «nuove leve» dei possibili tumulti, che destano preoccupazione perché possono ingrossare le file della protesta in maniera imprevedibile e incontrollata sul piani dell’ordine pubblico. L’attenzione del Viminale e di palazzo Chigi deriva proprio da questo. Anche perché una scintilla, se anche non accende fuochi o incendi, può provocarne altre. E le occasioni future non mancano: dallo sciopero di lunedì proclamato dai sindacati di base, con relativa manifestazione a Roma, al vertice dei capi di Stato e di governo del G20, il 30 e 31 ottobre. Passando per altri «sabato pomeriggio».

Guerriglia a Roma dei no vax, superato il livello di guardia. Fiorenza Sarzanini Il Corriere della Sera il 9 Ottobre 2021. Per una giornata Roma, la capitale d’Italia, è stata ostaggio di poche centinaia di violenti che sono riusciti ad aggregare migliaia di persone. La risposta delle forze dell’ordine è apparsa inadeguata, debole rispetto alla minaccia. Le scene dei manifestanti che protestano contro l’obbligo di green pass tentando l’attacco ai palazzi delle istituzioni sono immagini che sfregiano un intero Paese. Ma soprattutto offendono le vittime di questa pandemia, i cittadini che si sono ammalati e ancora portano i segni e le conseguenze del virus. Per una giornata Roma, la capitale d’Italia, è stata ostaggio di poche centinaia di violenti che sono riusciti ad aggregare migliaia di persone. La risposta delle forze dell’ordine è apparsa inadeguata, debole rispetto alla minaccia. L’assalto alla sede della Cgil è un’azione intollerabile, la dimostrazione che la protesta ha evidentemente passato il segno. Anche perché rende visibili gli effetti della degenerazione che può causare. Da giorni le forze politiche — comprese quelle che sostengono il governo Draghi — si fronteggiano sull’obbligo di green pass. E in alcuni casi sembrano fomentare o addirittura sfruttare il malcontento di una parte dei cittadini che rifiutano il vaccino. Decidere di non immunizzarsi è un diritto, almeno fino a che non dovesse essere ritenuto necessario imporlo con una legge. Ma in questa situazione di emergenza sanitaria deve prevalere il diritto di chi invece non vuole ammalarsi e per questo si è già sottoposto alla doppia dose, pronto — se necessario — alla terza. È l’unica strada, come più volte è stato chiarito dagli scienziati, per uscire davvero da una tragedia che ci attanaglia tutti da quasi due anni. L’unico rimedio per tornare a lavorare in sicurezza, fare vita sociale, riaprire le attività, sostenere l’economia. L’unica possibilità che abbiamo di riprenderci la vita, quella normale. La manifestazione di ieri ha superato il livello di guardia. Altre mobilitazioni sono già annunciate per i prossimi giorni e per questo è necessario attrezzarsi. Mettere a punto un dispositivo di sicurezza che renda possibile l’espressione del dissenso, ma isoli i violenti. Sono i politici a doversene fare carico impartendo disposizioni chiare alle forze dell’ordine che sono in piazza e pagano il prezzo più alto quando la situazione degenera. Ma soprattutto abbassando i toni di una polemica che troppo spesso si trasforma in contrapposizione aspra, se non addirittura in ricatto sulla tenuta del governo. Siamo all’ultimo miglio, il presidente del consiglio Draghi non ha avuto esitazione a dire che siamo alla fine della pandemia. È la fase cruciale per quello che ci stiamo lasciando alle spalle, ma in particolare per quello che deve arrivare. È il momento della ripresa dove non può e non deve esserci spazio per chi ha come obiettivo primario l’assalto al potere, la delegittimazione delle istituzioni, lo sfascio. Non c’è più spazio per le ambiguità e per le false promesse. Dalla pandemia si esce tutti insieme, facendo ognuno la propria parte. Mostrando un senso di responsabilità che va ben al di là degli interessi di parte o di una ricerca di consenso che — quando l’emergenza sarà davvero finita — si rivelerà per quello che è davvero: effimera e dannosa.

Jacopo Iacoboni per "la Stampa" l'11 ottobre 2021. Il primo, o uno dei primi a porre gravemente la domanda è stato un ex ministro del governo Monti, Fabrizio Barca: «Guardo e riguardo il filmato. Come può la polizia non avere previsto e impedito questo?». Ma un forte malumore sulla gestione della piazza è cominciato a circolare anche nell'opinione pubblica: com' è stato possibile che le forze dell'ordine a Roma non siano state in grado di impedire che una teppaglia di fascisti mettesse a ferro e fuoco la Cgil? Nel recente passato l'uomo che ha oggi la responsabilità più alta dell'ordine pubblico a Roma, il prefetto della Capitale Matteo Piantedosi, è stato attaccato perché la sua nomina avrebbe avuto un imprimatur politico (il governo Conte1, con Matteo Salvini al Viminale). Fu proprio Salvini, con nomina ministeriale firmata l'11 giugno 2018 (forse il suo primo atto significativo da ministro), a nominarlo nel ruolo cruciale di capo di gabinetto del ministro dell'Interno (dal 17 agosto 2020 Piantedosi è poi diventato prefetto di Roma, resistendo alla stagione post-salviniana). Il Capitano leghista, allora al culmine del potere, profetizzò: «Piantedosi farà ottime cose». Si tratta di un funzionario con una lunghissima esperienza (tra l'altro a Bologna negli anni delle minacce brigatiste a Marco Biagi), ma la sua nomina da parte di Salvini, e i mesi del primo governo Conte, lo hanno visto subire anche durissime critiche. Per esempio è stata al centro di aspre polemiche la gestione della linea dura contro i migranti, che fu decisa da Salvini e fu Piantedosi ad attuare. Entrambi finirono indagati per il trattenimento illegale dei migranti soccorsi dalla nave Diciotti. Nel novembre 2019, come noto, il Tribunale dei ministri archiviò sia Salvini sia Piantedosi. È anche vero che le radici di Piantedosi non sono a destra. Semmai nel moderatismo democristiano irpino: originario di Cervinara, Piantedosi è figlio di un papà preside, che era amico dell'ex ministro dc della Pubblica istruzione negli anni del sessantotto, Fiorentino Sullo. «In pratica apparteneva alla squadra della dc perdente, quella alla quale anche io mi onoravo di appartenere», disse Gianfranco Rotondi. La Lega arrivò soltanto dopo, a innamorarsene e portarlo dentro la battaglia che si è combattuta, negli anni del populismo, anche dentro il cuore del Viminale e dei nostri apparati di sicurezza.

Rinaldo Frignani per corriere.it l'11 ottobre 2021. Maxi retata nella notte dei vertici di Forza nuova dopo gli scontri che hanno devastato il centro di Roma nella giornata di sabato fino a notte fonda. In manette il fondatore del movimento di estrema destra Roberto Fiore, il leader romano Giuliano Castellino e altre 10 persone. Tra queste il ristoratore Biagio Passaro, leader del movimento «IoApro» e l’ex Nar - ora esponente di Forza Nuova - Luigi Aronica, soprannominato «er pantera di Monteverde», uno dei fondatori dei primi Nuclei Armati Rivoluzionari, coinvolto in diverse vicende giudiziarie. In manette sono finiti anche la promotrice della manifestazione, Pamela Testa, 39 anni, che aveva preavvisato il sit-in a piazza del Popolo per conto dell’associazione «Liberi cittadini». Il provvedimento è stato deciso dalla questura su disposizione del pm sulla base dei riscontri su quanto avvenuto fra Piazza del Popolo e altre zone del centro, nonché per l’assalto alla sede storica della Cgil in corso d’Italia, e il ferimento di poliziotti e carabinieri. Le indagini sono tuttora in corso, per stabilire le responsabilità anche di altre persone. La Digos è al lavoro sui filmati delle telecamere di videosorveglianza del Primo Municipio per ricostruire ogni singolo episodio ed individuare le responsabilità di chi ha commesso reati di vario genere. Nel bilancio dei feriti ci sono peraltro anche tre carabinieri aggrediti durante il raid alla Cgil e la successiva operazione per sgomberare gli uffici che erano stati occupati dai manifestanti. Dei 12 arresti sei sono stati effettuati in flagranza di reato e altri sei con l’arresto differito, compresi quelli di Castellino e Fiore. Le accuse sono di vario genere: dal reato di devastazione e saccheggio, alla resistenza, violenza e lesioni a pubblico ufficiale, dal danneggiamento al lancio di oggetti atti ad offendere. Ma proprio nel pomeriggio di domenica sul canale Instagram di Forza Nuova (oltre 2mila iscritti, aperto nel 2015) è comparso un messaggio a firma di Giuseppe Provenzale, Luca Castellini, Davide Pirillo, Stefano Saija: «Altro che Forza Nuova - c’è scritto - il popolo ha alzato il livello dello scontro e non si fermerà. Il regime è in difficoltà, la giornata romana di ieri fa da spartiacque tra vecchio e nuovo, ma media mainstream, questure e partiti del sistema non sono in grado di leggere i fatti, (perché non gli conviene e hanno paura), e danno la croce addosso ad un movimento politico che non rappresenta che una piccolissima componente delle centinaia di migliaia di italiani esasperati, perché minacciati nello stesso diritto elementare al lavoro e alla sopravvivenza, che hanno invaso prima piazza del popolo e poi le strade del centro della Capitale per puntare ai palazzi dell’odiato potere». Secondo i responsabili di Fn «il popolo deve solo difendere con le unghie e con i denti la propria libertà e non è certo arrestando alcuni nostri dirigenti che il sistema impaurito e nervoso potrà fermarlo; nemmeno lo scioglimento di Fn potrebbe invertire la rotta di quanto sta avvenendo e avverrà nelle prossime settimane. La violenza viene dal potere, il popolo si difende perché ha il dovere di resistere. Mesi di piazze pacifiche non hanno fermato l’attuazione accelerata del Great Reset, ora la musica è cambiata e il direttore d’orchestra e compositore è solo il popolo in lotta. Da domani, dal 15 ottobre, e fino a che il green pass non verrà ritirato definitivamente la rivoluzione popolare non fermerà il suo cammino, con o senza di noi».

CAMILLA MOZZETTI per il Messaggero il 10 ottobre 2021. Fermi in quella piazza che era stata loro concessa, dopo il preavviso comunicato in Questura, ci sono rimasti meno di un'ora. L'intento era chiaro ma è stato sottovalutato. E quella che doveva essere una protesta statica si è trasformata in una guerriglia urbana tra le strade del centro di Roma come non se ne vedevano da tempo. Dal dissenso al Green pass che doveva - ancora una volta - essere espresso da un palco in una piazza si è passati in un attimo al lancio di bombe carta, fumogeni, bottiglie di vetro, bastoni e pezzi di ferro contro lo Stato.

LA RICOSTRUZIONE Poco dopo le 16 i manifestanti da piazza del Popolo decidono di muoversi, sono capitanati dal movimento Io Apro - che lancia perfino una diretta social annunciando lo show - ma anche da Forza Nuova. Tra le chat di Telegram si legge: «Stasera ci prendiamo Roma». In piazza c'è sempre lui, Giuliano Castellino - che verrà portato via in serata dalle forze dell'ordine e fermato in Questura - insieme al suo entourage che spinge e fomenta. Così in poco tempo l'onda di persone - almeno 6 mila - inizia a sfilare per i lunghi viali di Villa Borghese. Puntano al centro e le forze dell'ordine non riescono a contenerle. Arrivati a Porta Pinciana i manifestanti si dividono: una parte assalterà la sede della Cgil, colpevole, secondo questo manipolo di esaltati, di non difendere i lavoratori che saranno obbligati dal 15 ottobre a presentare il Green pass in tutti i posti di lavoro pubblici o privati. Distruggeranno portoni, finestre e sistemi di video sorveglianza nella speranza di cancellare ogni ripresa. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella esprimerà la propria solidarietà al sindacato, telefonando al segretario nazionale Maurizio Landini e lo stesso farà il presidente del Consiglio Mario Draghi: «I sindacati sono un presidio fondamentale di democrazia e dei diritti dei lavoratori. Qualsiasi intimidazione - si legge in una nota di Palazzo Chigi - nei loro confronti è inaccettabile e da respingere con assoluta fermezza». L'altro fronte invece prosegue dritto lungo via Veneto. Ed è qui, quando il gruppo arriva ai piedi di piazza Barberini, che partono i primi disordini ed esplode la violenza. «Libertà, Libertà», gridano i manifestanti che a volto coperto afferrano bottiglie e tutto quello che gli capita a tiro iniziando a lanciarli contro le forze dell'ordine che rispondono con i lacrimogeni.

LA PAURA I commercianti si barricano nei negozi, i turisti e le famiglie a passeggio per il centro della Capitale, in quello che doveva essere un normale sabato di ottobre, chiedono di entrare per mettersi al riparo. Poi ci sono le deviazioni che diventano difficili da controllare: via Sistina viene presa di mira da un gruppo di rivoltosi, alcune vetrine dei locali vanno in frantumi. Non c'è modo di fermarli e loro continuano la discesa. L'obiettivo adesso è chiaro: puntano ad arrivare a piazza Montecitorio e il corteo sfila su via del Tritone. Metro dopo metro la situazione diventa sempre più incandescente, aumentano le bombe carta e aumenta di riflesso la risposta con i lacrimogeni. L'aria è quasi irrespirabile. Jared Leto, cantante dei 30 Seconds to Mars e premio Oscar, posta su Instagram: «Asfissiato dai lacrimogeni». Un agente di polizia viene ferito. Le stesse scene si replicano a Milano dove sempre altri manifestanti contro il certificato verde provano a sfondare i cordoni delle forze dell'ordine per accedere alla stazione Centrale e bloccare il traffico. Partono le cariche qui come a Roma. A piazza Colonna un blindato viene piazzato davanti all'ingresso principale di Palazzo Chigi, non esiste memoria recente che ci possa far ricordare quest' immagine. I manifestanti vengono respinti con gli idranti e i primi rivoltosi vengono fermati, caricati e portati in Questura. A fine serata il conto sarà elevato: più di quindici le persone identificate, sei gli arresti. Ma loro non demordono e oltre alla guerriglia su largo Chigi ne scatta un'altra su via del Corso raggiunta da altri manifestanti che di fatto hanno invaso le vie del Centro della Capitale. Le persone afferrano sampietrini e pale da un vicino cantiere stradale, riparte l'attacco: sono le 21. Montecitorio è circondato ormai da ore. Dal mondo politico arriva la forte condanna bipartisan ma in piazza c'è di tutto: estremisti di destra, persone che si definiscono anarchiche, giovani dei centri sociali che accusano il governo di violare le libertà individuali mentre loro, i manifestanti, si sentono autorizzati per più di quattro ore a tenere in pugno con la violenza Roma e Milano.

GRAZIA LONGO per la Stampa il 10 ottobre 2021. La parola d'ordine è una sola: «contenere». Di fronte alla guerriglia urbana che ieri ha seminato il panico nel centro storico di Roma, l'obiettivo delle forze dell'ordine, polizia in testa, è stato quello di arginare le espressioni del dissenso. Il dispositivo di sicurezza messo in atto dalla Questura, di cui era a conoscenza anche il prefetto che segue le direttive del Viminale, era organizzato per presidiare il regolare svolgimento del sit in autorizzato in piazza del Popolo. Ma non solo, aveva anche l'obiettivo di controllare eventuali degenerazioni durante il corteo non autorizzato in via del Corso, con l'invasione di via Veneto, l'avvicinamento a Palazzo Chigi e l'assalto alla sede della Cgil in corso d'Italia. Questo è stato il punto nevralgico più critico perché era il meno presidiato dalla polizia. Ma al di là del caos creato dai manifestanti - quattro i fermati, con la posizione del leader di Forza Nuova Giuliano Castellino sotto esame, e un poliziotto ferito - la situazione sarebbe potuta essere ancora più problematica e con un bilancio ben più grave. Perché è vero che gli agenti hanno fatto ricorso agli idranti, ai lacrimogeni e al monitoraggio della folla con un elicottero, ma non si è mai arrivati a una battaglia frontale vera e propria tra manifestanti e poliziotti. È tuttavia evidente che c'è stato più di un problema nella gestione dell'ordine pubblico, su cui dovrà essere realizzata un'accurata analisi da parte del Viminale, soprattutto in vista delle eventuali proteste dopo l'entrata in vigore del Green Pass per poter lavorare dal prossimo 15 ottobre. L'onda critica è stata gestita e affrontata seguendo il paradigma cardine dell'ordine pubblico: l'elasticità. Ovvero quella flessibilità indispensabile a far sbollire gli animi cercando di ridurre al minimo i danni. Il problema vero, ieri, come sempre in casi analoghi, è stato quello di isolare i violenti da chi manifestava in modo pacifico. La Digos sta lavorando per accertare la presenza, oltre a Forza nuova, di altre frange estremiste. La prima impressione è quella che, oltre a una regia dietro agli exploit della folla inferocita, ci siamo stati anche tanti cani sciolti. Uomini e donne di diversa estrazione sociale e di diverso colore politico, anche se la regia di questa piazza è da tempo in mano all'estremismo di destra, da Forza Nuova a Casapound. Tutti insieme uniti nella lotta contro il certificato verde e la "dittatura sanitaria". Gruppi organizzati e persone singole chiamati a raccolta nei giorni scorsi anche attraverso le chat in cui è stata lanciata la nuova protesta. La ministra dell'Interno Luciana Lamorgese ha parlato di «intollerabili atti di violenza» e ha auspicato che «tutte le forze politiche esprimano ferma e incondizionata condanna contro inammissibili manifestazioni violente che, per la loro inquietante carica eversiva, nulla hanno a che fare con la legittima espressione del dissenso».

Servizi di sicurezza presi di sorpresa dal boom violento. Anarchici a Milano Allarme ai massimi. Patricia Tagliaferri l'11 Ottobre 2021 su Il Giornale. Per lo più anarchici a Milano, Forza Nuova ed ex Nar a Roma. C'erano loro in piazza, sabato, a infiammare la folla dei manifestanti no green pass. Per lo più anarchici a Milano, Forza Nuova ed ex Nar a Roma. C'erano loro in piazza, sabato, a infiammare la folla dei manifestanti no green pass. Pronti a cavalcare il malcontento contro l'obbligo del certificato verde. Quello che chiamano «passaporto schiavitù» e di fatto considerano un obbligo vaccinale. È un malcontento che cova da settimane, sapientemente alimentato dai social e da appositi canali Telegram. Iniziative e mobilitazioni in tutta Italia, ogni fine settimana. Contro la «dittatura», come la chiamano loro. Ma mai, prima d'ora, il dissenso era degenerato come è accaduto nella capitale, tenuta sotto assedio per ore, con i manifestanti arrivati ad accerchiare Palazzo Chigi e a devastare la sede nazionale della Cgil. Un salto di qualità che lo stesso apparato di sicurezza non si aspettava. E che adesso fa temere per le prossime piazze, in vista del 15 ottobre quando scatterà l'obbligo di green pass nei posti di lavoro pubblici e privati. Gli arresti non basteranno a frenare il dissenso, anzi il Viminale e la presidenza del Consiglio temono un'escalation delle proteste e gli investigatori stanno cercando di fare terra bruciata intorno ai violenti. A Milano la manifestazione di sabato ha avuto risvolti meno drammatici, ma non sono mancati momenti di forte tensione e scontri con la polizia. Cinquantasette persone sono state denunciate e metà di esse sono riconducibili al mondo anarchico, il che fa ipotizzare una possibile saldatura tra la galassia dei centri sociali e il popolo dei No Vax e dei No Pass. Roma è stata invece tenuta sotto scacco dai manifestanti grazie al supporto dell'estrema destra. Dodici arresti sono già scattati. Ma Digos e Antiterrorismo stanno analizzando i filmati degli scontri per accertare le responsabilità di ciascuno e valutare altre condotte. Tra gli arrestati, oltre ai capi di Forza Nuova Giuliano Castellino e Roberto Fiore e all'ex Nar Luigi Aronica, anche Biagio Passaro, che nella vita fa l'imprenditore nel settore della ristorazione, leader di «Io Apro», da tempo in prima fila contro le misure di contenimento anti Covid. Un ristoratore esasperato dai recenti lockdown, dunque, come tanti altri. Ma che sabato era tra la folla, a documentare la protesta in diretta Facebook. «Si sfonda la sede della Cgil», il video condiviso sulla pagina del movimento per mostrare la folla che saccheggiava l'ingresso del sindacato. La sua presenza tra le frange più esaltate conferma i timori degli analisti sulla composizione di questi cortei No Pass, dove accanto ai soliti professionisti dei disordini capaci di sfruttare l'inquietudine sociale, ci sono migliaia di persone nuove a proteste di questo genere, senza una militanza politica alle spalle, ma determinate a resistere in nome di quella che ritengono una battaglia di libertà. Pronte a non arrendersi di fronte a quelle che ritengono imposizioni del governo, anche a costo di combattere al fianco dei più agitati. Gente qualunque, arrabbiata e facilmente strumentalizzabile attraverso l'uso dei social. Il ministero dell'Interno teme che la loro presenza in piazza possa alimentare ancora di più la protesta e rendere più difficile la gestione dell'ordine pubblico in vista dei prossimi appuntamenti. Basta leggere il comunicato diffuso su Telegram da Forza Nuova: «Da domani, dal 15 ottobre, e fino a che il green pass non verrà ritirato definitivamente, la rivoluzione popolare non fermerà il suo cammino, con o senza di noi». Patricia Tagliaferri 

Zigomi rotti e costole a pezzi: il massacro dei poliziotti. Federico Giuliani il 10 Ottobre 2021 su Il Giornale. Il bilancio degli scontri avvenuti a Roma è pesantissimo. Per capirlo basta dare un'occhiata ai numeri: 38 poliziotti feriti, 600 dimostranti identificati e 12 arresti. I violenti scontri scoppiati a Roma e Milano in occasione della manifestazione no vax e no Green Pass hanno scosso l'Italia intera. Il bilancio di una "giornata di ordinaria follia" è pesante, e per capirlo basta dare un'occhiata ai numeri, soprattutto quelli romani: 38 poliziotti feriti, 600 dimostranti identificati, 12 arresti, oltre ai vari danni economici figli di molteplici atti vandalici.

38 feriti tra le Forze dell'Ordine

Come ha spiegato la Questura di Roma, sono 38 gli appartenenti alle Forze dell’Ordine rimasti feriti. Tra loro figurano anche un dirigente della stessa Questura, che ha riportato la frattura di una costola, e un operatore della polizia scientifica, a cui è stato invece fratturato uno zigomo.

I poliziotti hanno fatto di tutto per contrastare la furia dei manifestanti. Per ore, le strade della capitale italiana si sono trasformate in un vero e proprio campo di battaglia. Da una parte una folla formata da migliaia di persone – fortunatamente solo qualche centinaio responsabile dei tafferugli – dall'altra gli agenti della polizia intenti a fronteggiare una violenza apparentemente senza fine. Clima pesante anche a Milano dove, tra cariche e lanci di sassi, si sono registrati feriti tra cittadini e Forze dell'Ordine. Il primo bilancio era di tre contusi, due manifestanti urtati da altrettanti veicoli mentre occupavano la strada, e un agente.

Un prezzo carissimo

Il prezzo più caro è stato tuttavia pagato dalle Forze dell'Ordine, alle quali è andata la solidarietà bipartisan di tutti i partiti. Mentre a Roma gli agenti venivano colpiti da sassi e bastoni, a Milano gli stessi agenti hanno dovuto bloccare l'assalto dei manifestanti alla stazione ferroviaria. "Ora avete superato i limiti. Rispettateci da vivi", ha tuonato, al termine di un pomeriggio infernale, Francesco Paolo Russo, sindacalista del Siap (sindacato delle forze di polizia).

Adesso sono in corso le indagini per ricostruire quanto avvenuto nei minimi dettagli e identificare i colpevoli di ogni nefandezza. Al fine di fare luce sui fatti di Roma, indagherà anche un magistrato dell'antiterrorismo. Al momento si segnalano 12 manifestanti arrestati. I reati per cui vengono segnalati sono numerosi, fra i quali, danneggiamento aggravato, devastazione e saccheggio, violenza e resistenza a pubblico ufficiale. La posizione di queste persone è al vaglio della Procura della Repubblica di Roma. Sei persone sono state arrestate in fragranza, altre sei nella notte con arresto differito.

In queste ore intanto sono in corso le verifiche dei filmati registrati dal personale della Polizia Scientifica, per valutare altre condotte relative ai fatti accaduti. Alla manifestazione in Piazza del Popolo, promossa da "Liberi Cittadini" per protestare contro l'adozione delle misure sanitarie disposte a contrasto del contagio epidemiologico da Covid 19, scrive la questura, hanno preso parte complessivamente circa 10.000 persone. Nel corso dei servizi preventivi sono stati intercettati ed identificati numerosi manifestanti provenienti da varie regioni d'Italia; sono stati individuati e controllati complessivamente 56 minivan e 5 pullman e numerose moto, per un totale di circa 600 manifestanti provenienti da Reggio Emilia, Padova, Mantova, Brescia, Verona, Torino, Milano, Bergamo, Pesaro Ancona, Firenze, Trieste, Bolzano, Modena, Treviso, Rovereto ed Arezzo.

Federico Giuliani è nato a Pescia (Pistoia) nel 1992. Si è laureato in Comunicazione, Media e Giornalismo presso la Facoltà di Scienze Politiche "Cesare Alfieri" di Firenze. Si è poi specializzato in Strategie della Comunicazione Pubblica e Politica con una tesi sul sistema politico della

No Green Pass, denunciato il poliziotto in borghese ripreso mentre picchia un manifestante. Viola Giannoli,  Romina Marceca su La Repubblica l'11 ottobre 2021. Nelle immagini girate durante la manifestazione del 9 ottobre si vede un uomo con una maglietta grigia prima in mezzo al corteo e poi durante un fermo aggressivo in via del Corso. Il poliziotto si è presentato in questura dopo il tam tam delle immagini sui social: è stato deferito alla Procura della Repubblica. Un poliziotto in borghese che prima si mischia tra i manifestanti No Green Pass nel centro di Roma, nella giornata buia degli scontri violenti tra polizia e manifestanti e dell'assalto neofascista alla sede nazionale della Cgil. E poi picchia un manifestante con calci e pugni. Nel pomeriggio di oggi il poliziotto si è presentato in questura dopo il tam tam delle immagini sui social e ha fornito le sue generalità.

Fabio Tonacci per repubblica.it l'11 ottobre 2021. Pamela Testa è il volto nuovo e sanguinante della manifestazione No Pass di sabato scorso. In un video che circola in Rete la si vede con il viso imbrattato dal sangue che le esce da una ferita sul capo e la maglietta con la scritta "Boia chi Molla", a rimarcare la sua fede politica dichiaratamente fascista. "Sono stati i poliziotti, ci hanno caricato", dice. Testa, 39 anni, nata a Roma, militante di Forza Nuova, per conto dell'associazione "Liberi Cittadini" ha promosso (è lei che ha chiesto l'autorizzazione per il sit-in alla questura di Roma), organizzato e in qualche modo guidato la protesta di Piazza del Popolo, culminata con l'attacco alla sede nazionale della Cgil, il più grande e antico sindacato dei lavoratori. Per questo è stata arrestata in flagranza differita insieme con i leader di Forza Nuova Roberto Fiore e Giuliano Castellino per "manifestazione non autorizzata" e "resistenza a pubblico ufficiale". Gli investigatori la considerano il trait d'union tra la destra eversiva e il tumulto cieco dei No Vax. Non c'è dubbio, infatti, che il tentato assalto a Palazzo Chigi e la devastazione alla Cgil fossero premeditati. Prova ne è un audio di sei minuti che Pamela Testa - la voce però è di un suo amico - ha fatto girare sui gruppi Telegram aperti per raccogliere adesioni contro il Green Pass. "Cari, in vista della manifestazione di sabato abbiamo creato un gruppo whatsapp nel quale andrà inserito il nome, il cognome e gli indirizzi mail. Inoltre sarà importante scrivere cosa sapete fare, in modo da mettere a disposizione di tutti quanti le vostre capacità: chi è avvocato, chi è meccanico, la professionalità o un hobby che può essere utile. Se avete un'attività commerciale, segnalatela anche perché potrà essere utile per il percorso che faremo in questa lotta. Questa manifestazione è soltanto un simbolo ma l'obiettivo è crescere, finché ci sarà la libertà da difendere...(...) Cambieremo percorso da un momento all'altro. Noi siamo contrari a ogni forma di violenza, ma sappiamo perfettamente cosa sia la legittima difesa. E noi saremo gli angeli custodi di quelle mamme, di quegli uomini che combattono la loro battaglia per la libertà. Con tutti i mezzi", spiega la voce del messaggio inviato da Pamela Testa.

"Sono stati i poliziotti, ci hanno caricato". Chi è Pamela Testa, la militante di Forza Nuova ferita durante gli scontri No Green Pass a Roma. Vito Califano su Il Riformista l'11 Ottobre 2021. Pamela Testa e il suo volto insanguinato stanno facendo il giro del web in queste ore. “È stata la polizia, ci hanno caricato”, accusa lei. Era tra i promotori della manifestazione No Green Pass a Roma che da sit-in autorizzato in Piazza del Popolo è sfociato in corteo non autorizzato nel centro della Capitale. Con scontri, lanci di oggetti, blindati della polizia assaltati, la sede del sindacato CGIL vandalizzata e guerriglia nei pressi di Palazzo Chigi. Per i fatti di sabato scorso a Roma sono state arrestate 12 persone. E tra questi i leader di Forza Nuova Roberto Fiore e Giuliano Castellino, l’ex Nar Luigi Aronica, il ristoratore Biagio Passaro tra i leader di “Io apro” e alcuni militanti di Militia. Arrestata in flagranza anche la stessa Pamela Testa, come fatto sapere da Forza Nuova. Le accuse: “manifestazione non autorizzata” e “resistenza a pubblico ufficiale”. Testa potrebbe essere definita come il volto nuovo delle manifestazioni di sabato. La sua immagine sta facendo il giro dei social. Il volto insanguinato e una maglietta con il motto fascista “boia chi molla”. “Prima ero solo una mamma lavoratrice che ha sempre pagato le tasse. Ora sono diventata una terrorista che combatte per la libertà”. Ha 39 anni, protesta da tempo contro la “dittatura sanitaria” e si diceva “libera, senza nessuna ideologia politica e nessuna bandiera di partito”. La scritta sulla felpa e le attenzioni dell’ufficio stampa di Forza Nuova suggeriscono intanto il contrario. Qualche volta interviene con dei post sul sito de L’Italia mensile. Sarebbe stata lei a chiedere l’autorizzazione alla Questura di Roma per il sit-in di sabato per conto dell’associazione “Liberi Cittadini”. Stando a quanto scrive Repubblica – che la descrive proprio come militante di Forza Nuova – gli investigatori la considerato uno dei trait d’union tra la destra eversiva e la galassia indefinita di No Vax e No Green Pass scesa in piazza. Fonti dell’intelligence hanno sottolineato come il ministero dell’Interno temesse, già nelle settimane scorse, che movimenti estremisti di destra neofascista e neonazista avrebbero potuto capitalizzare il malcontento di una fascia di popolazione ostile ai vaccini e all’estensione del Green Pass per lavoratori pubblici e privati, in vigore da venerdì 15 ottobre. Secondo lo stesso quotidiano sarebbe stata lei a far girare un audio sui gruppi Telegram, anche se a parlare è la voce di un uomo, nel quale si segnala un gruppo Whatsapp e che il percorso della manifestazione sarebbe cambiato. “Cari, in vista della manifestazione di sabato abbiamo creato un gruppo whatsapp nel quale andrà inserito il nome, il cognome e gli indirizzi mail. Inoltre sarà importante scrivere cosa sapete fare, in modo da mettere a disposizione di tutti quanti le vostre capacità: chi è avvocato, chi è meccanico, la professionalità o un hobby che può essere utile. Se avete un’attività commerciale, segnalatela anche perché potrà essere utile per il percorso che faremo in questa lotta. Questa manifestazione è soltanto un simbolo ma l’obiettivo è crescere, finché ci sarà la libertà da difendere … (…) Cambieremo percorso da un momento all’altro. Noi siamo contrari a ogni forma di violenza, ma sappiamo perfettamente cosa sia la legittima difesa. E noi saremo gli angeli custodi di quelle mamme, di quegli uomini che combattono la loro battaglia per la libertà. Con tutti i mezzi”. Testa è difesa dall’avvocato Carlo Taormina. “Ho visionato tutte le registrazioni che sono state fatte e che mi hanno mandato. Di attacchi fatti in maniera pretestuosa e violenta, anche da parte delle persone che sono state arrestate, io personalmente non ne ho visti. Questo non significa che non ci siano stati, ma non li ho riscontrati. Io difenderò cinque degli arrestati – ha detto l’avvocato ad AdnKronos – tra i quali Giuliano Castellino e Roberto Fiore, ma sarà molto complicato fare questo processo perché dobbiamo veramente ricostruire bene come sono andate le cose, da una parte il comportamento degli arrestati, dall’altra quelli delle forze dell’ordine. Non voglio criminalizzarli, ma credo sia anche opportuno avere molta cautela nel ritagliare sulla testa dei fermati responsabilità che potrebbero risultare non fondate”.

Vito Califano. Giornalista. Ha studiato Scienze della Comunicazione. Specializzazione in editoria. Scrive principalmente di cronaca, spettacoli e sport occasionalmente. Appassionato di televisione e teatro.

Chi è Pamela Testa, la 39enne di Forza Nuova ferita al volto e arrestata a Roma durante gli scontri No green pass.  Fabrizio Caccia su Il Corriere della Sera l'11/10/2021. Pamela Testa, romana, era in piazza sabato con una felpa con la scritta «Boia chi molla» e la testa insanguinata. «Prima ero solo una mamma lavoratrice che ha sempre pagato le tasse. Ora sono diventata una terrorista che combatte per la libertà» «Pagine proiettili contro il regime, il pensiero unico e il politicamente corretto». Così recita la locandina online. È uscito nelle edicole romane l’ultimo numero de «L’Italia mensile», quello di settembre. Per il mese di ottobre invece si vedrà, dopo gli arresti per l’assalto alla Cgil che hanno riguardato molte delle «firme» del giornale No Green Pass: da Giuliano Castellino a Pamela Testa, 39 anni, romana, la ragazza che i fotografi hanno immortalato sabato sera con la testa insanguinata dopo gli scontri con la polizia. «Prima ero solo una mamma lavoratrice che ha sempre pagato le tasse — racconta lei di sé — Ora sono diventata una terrorista che combatte per la libertà». Sabato scorso Pamela è scesa in piazza con una maglietta nera e la scritta «Boia chi molla», il motto simbolo dei neofascisti. Impavida, in prima linea, «bisogna fermare questo governo che ci impone la dittatura» ripeteva sempre prima dell’arresto. Disposta a tutto. E infatti è stata fermata la sera del 9 ottobre insieme a quelli dei NAR, di Militia e di Forza Nuova ma «Roma non fa passi indietro, noi siamo il popolo che non molla», dice lei in un video seduta accanto a Giuliano Castellino, il capo romano di Forza Nuova. Ma questo succedeva prima degli scontri. E così: «Forza e coraggio, ci sarà da divertirsi», prosegue lei con ottimismo, dando appuntamento al popolo in piazza e aggiungendo la sua alle altre voci più gettonate del mondo No Vax: prima tra tutte sicuramente quella di Nonna Maura, al secolo Maura Granelli, idolo assoluto del gruppo «Popolo delle Mamme», che a settembre di un anno fa s’incatenò addirittura a un palo in piazza del Quirinale per chiedere di poter esporre a Mattarella le sue teorie sulla dittatura sanitaria e il pericolo rappresentato dal vaccino anti Covid per i bambini. Finì ammanettata anche lei. La salute, il futuro dei bambini. E’ questo l’incubo principale dei No Vax ed è quello pure di Pamela Testa. Per questo da più di un anno è scesa in piazza. Non l’ha mai nascosto. Si definisce ufficialmente «una cittadina libera, senza nessuna ideologia politic a e nessuna bandiera di partito», ma la vicinanza con Castellino, Roberto Fiore, Giuseppe Meloni detto Pinuccio, ex capo dei Boys della Curva Sud, deve averla un po’ condizionata, strada facendo. L’ufficio stampa di Forza Nuova adesso la protegge, non vuole fornire troppe informazioni su di lei. Ma Pamela si presenta da sola, intervenendo spesso con dei post sul sito de «L’Italia mensile». «Stanno arrivando a toccare i nostri figli e allora non glielo permetteremo, uniti non ci ferma nessuno, saremo in migliaia per gridare il nostro dissenso», ripete nel video accanto a Castellino. «Il pensiero libero vi scorrerà nelle vene. E vi disintossicherete da tutta la propaganda», promette L’Italia mensile ai suoi lettori, strizzando l’occhio a Donald Trump, incoronato «presidente del consiglio globale dei patrioti», ma anche alla deputata ex M5S Sara Cunial e all’attore Enrico Montesano, arruolando anche loro, No Pass dichiarati, nella guerra globale al Gran Reset, il grande complotto mondiale dei tiranni contro il popolo. E poi gli interventi dell’avvocato Carlo Taormina (che ora non a caso difende Pamela insieme a Fiore e Castellino) e i messaggi postati da Angelo Giorgianni, il vate dei negazionisti, dalle «Rondini di Modena», dalle partite Iva. E infine Giustino D’Uva, segnatevi questo nome: candidato di Forza Nuova alle Europee del 2019, figura da non trascurare perché fu uno dei pochi a salire sul palco di Ostia un anno fa come relatore nell’unica manifestazione riconosciuta in Italia dalla World Wide Demonstration, la rete mondiale dei No Pass. Ci sono messaggi anche suoi sul sito de L’Italia mensile. Tutto si lega: Forza Nuova, l’assalto alla Cgil, il fronte autoproclamato di liberazione, i raduni del sabato convocati via chat, il «Boia chi molla» sulla maglietta nera e il sangue che scorre sul volto di Pamela»

Grazia Longo per “La Stampa” l'11 ottobre 2021. Sullo squadrismo nero che sabato pomeriggio ha sconvolto il centro di Roma le indagini della polizia sono coordinate dal pool Antiterrorismo della procura. Ed è molto probabile che ai 12 arresti effettuati fino all'alba di ieri se ne aggiungano presto altri. La galassia neo fascista che ruota intorno a Forza nuova è al vaglio della polizia scientifica e della Digos, che stanno esaminando centinaia di video per inchiodare i colpevoli delle aggressioni alle loro responsabilità. Intanto, tra i 12 fermati si impongono nomi di spicco del mondo eversivo nero. A partire da Roberto Fiore e Giuliano Castellino, vertici di Forza Nuova, movimento di estrema destra fondato da Fiore nel 1997. Vecchia conoscenza delle forze dell'ordine è anche Luigi Aronica, tra i fondatori dei Nar, i Nuclei Armati Rivoluzionari di Valerio Fioravanti e Francesca Mambro. In carcere, inoltre, anche Pamela Testa, 39 anni, che aveva preavvisato il sit-in in piazza del Popolo per conto dell'associazione «Liberi cittadini» e il ristoratore Biagio Passaro, leader del movimento «IoApro» che mentre invadeva la sede della Cgil ha girato un video condiviso in diretta su Facebook sulla pagina del movimento, con la folla inferocita che devastava i locali del sindacato. Tra i reati contestati danneggiamento aggravato, devastazione e saccheggio, violenza e resistenza a pubblico ufficiale. La posizione dei fermati è al vaglio della Procura di Roma. E gli investigatori si augurano che i fermi vengano convalidati, tanto più che molto probabilmente altre manifestazioni si svolgeranno nei prossimi giorni. In realtà Giuliano Castellino, 45 anni, non avrebbe neppure potuto partecipare al corteo perché è sorvegliato speciale. Recentemente è stato condannato in primo grado per aver aggredito due giornalisti. Dichiaratamente fascista, si è pure presentato allo stadio Olimpico di Roma senza Green Pass. Scoperto è stato sottoposto al Daspo e dovrà stare lontano da tutti gli stadi d'Italia per cinque anni. Castellino con l'organizzazione «Roma ai romani» guida il progetto dell'area neofascista della capitale di conquista dei consensi nelle periferie. «Roma ai romani» è una costola di Forza nuova che cavalca la xenofobia, inserendosi nei conflitti sociali o nelle curve dello stadio. Ultimamente Castellino si è imposto come il capo dei no Green Pass di Roma, sfruttando il suo ruolo di leader del movimento neofascista Forza Nuova, fondato appunto da Roberto Fiore, il quale è stato condannato in via definitiva per eversione ed è stato a lungo latitante a Londra. Negli Anni Settanta Fiore è uno dei fondatori di Terza Posizione, movimento neofascista eversivo. Agli inizi degli Anni 80 si trasferisce a Londra e riesce a sfuggire ad una richiesta di cattura emessa dalla procura di Bologna nell'ambito dell'indagine sulla strage della stazione da cui però risulterà completamente estraneo. Nel 1982 viene arrestato, sempre a Londra, a seguito di un ordine di cattura internazionale. Le autorità inglesi negano l'estradizione e Fiore, condannato nel 1985 dalla Corte d'Appello di Roma per associazione sovversiva e banda armata, continuerà a vivere nella capitale britannica fino alla fine degli Anni 90 diventando imprenditore di successo con patrimonio milionario. Rientrato in Italia mette su, con Massimo Morsello, Forza nuova e tenta di istituzionalizzare il movimento candidandosi a varie elezioni alleandosi anche con lo schieramento del Centrodestra. Nel 2008 diventa europarlamentare prendendo il posto lasciato vacante da Alessandra Mussolini. Anche Luigi Aronica, 65 anni, noto come «er pantera di Monteverde», milita da anni in Forza nuova ed è sempre in prima linea nelle manifestazioni. Per lui in passato una serie di condanne per un totale di circa 18 anni di carcere. L'ex Nar fu protagonista nel marzo del 1977 di un raid in un ristorante di Borgo Pio, a Roma, in cui rimasero ferite due persone e il suo nome compare anche nella vicenda dell'omicidio di Walter Rossi, militante di Lotta Continua. Intanto la violenza di Forza nuova non si placa, anzi. In una nota il movimento rilancia «la rivoluzione popolare che non fermerà il suo cammino, con o senza di noi. Non è certo arrestando alcuni nostri dirigenti che il sistema impaurito e nervoso potrà fermarlo; nemmeno lo scioglimento di Fn potrebbe invertire la rotta».

Infettato anche il marito. Nunzia Schilirò positiva al Covid, la vicequestore no vax: “Riprenderò le mie battaglie per la libertà”. Redazione su Il Riformista il 29 Novembre 2021. Dalla pagina Facebook della seguitissima vicequestore di Roma arriva l’annuncio per avvertire i molti follower: “Carissimi amici, pur non ritenendo quello che sto per dirvi una notizia ma, temendo strumentalizzazioni, mi pare giusto informarvi che io e mio marito oggi abbiamo ricevuto il risultato del tampone e, come avevamo immaginato dai sintomi, abbiamo preso il Covid“. Sospesa giorni fa con un procedimento disciplinare dopo un suo intervento durante la manifestazione dei no vax in piazza San Giovanni contro il green pass, Nunzia Schilirò scrive per evitare, visto il colpo di scena, strumentalizzazioni e per avvertire che tornerà a combattere per i diritti. Nel lungo post Schilirò racconta quanto accaduto: “Non sappiamo dove né quando, né chi dei due lo abbia contratto prima. Adesso stiamo abbastanza bene e, appena sarò guarita e non pericolosa per la comunità, riprenderò la mia battaglia per vedere rispettate la dichiarazione universale dei diritti umani, le norme europee, la Costituzione e, ancor prima, la libertà”. “Dall’esperienza ho imparato che le terapie – continua Schilirò -, se la persona colpita da Covid è in salute, possono essere un’arma per tramutare una malattia che può essere tragica in una situazione totalmente affrontabile. E questo è confermato anche dai dati e dalla maggior parte delle persone colpite da questo virus. Non parlo di medicina perché non sono un medico né uno scienziato, però insisto nel voler parlare di diritto. Io sono una giurista e sono certa che il diritto non possa essere cancellato per una cura. Sarebbe una deriva pericolosa”. “‘La legge è uguale per tutti’ leggiamo nelle nostre aule di giustizia! Tutti, ma veramente tutti, hanno il dovere di conoscere la legge, dice la nostra giurisprudenza. Ora nessuno potrà dire che non ho conosciuto il Covid. Certamente qualcuno dirà che sono stata fortunata, che l’ho preso in forma leggera ma, dopo la mia malattia, ho ancora più voglia di ribadire con forza il mio diritto di esprimere le mie opinioni. Questa è la storia di tutta la mia vita, come donna e come poliziotta. Agli esperti di medicina ricordo che la scienza è dubbio e che la legge è certezza. Agli esperti di medicina chiedo di trovare soluzioni e non dogmi”.

Paolo Russo per "la Stampa" il 12 ottobre 2021. Nel mirino c'era già dopo essere salita sul palco anti vaccini di piazza del Popolo a Roma il mese scorso, ma poi la vice questore No Green Pass, Nunzia Alessandra Schilirò, ha deciso di aggiungere altra benzina sul fuoco chiedendo «di punire gli agenti che hanno picchiato i manifestanti», nel sabato nero di violenze a Roma. E così la sospensione dal servizio è scattata in automatico. Il provvedimento cautelare le è stato notificato ieri dal dipartimento di pubblica sicurezza, visto che la Schilirò è una funzionaria in servizio alla Criminalpol. Ma a rischiare se non la sospensione il doversene restare a casa senza divisa e senza stipendio sono però in circa 40mila tra carabinieri, poliziotti e finanzieri. All'incirca un 80% delle nostre forze dell'ordine e, con l'aria che tira, anche questo può diventare un bel problema. Tanto più che al Viminale hanno già cerchiato di rosso due date, quella di venerdì 15 ottobre, giorno di esordio del Green Pass e il 30 ottobre, quando a Roma si riuniranno i grandi per il G20. Giorni che metteranno sotto stress le nostre forze dell'ordine, che rischiano di arrivare però all'appuntamento a ranghi ridotti, proprio per i troppi No Green Pass presenti tra le proprie schiere. L'ultimo rilevamento preciso risale a metà settembre, ma calcolando un aumento di circa il 10% dei vaccinati a partire da quella data, senza antidoto sarebbero ancora circa 20 mila carabinieri su 81mila. Se gli uomini dell'Arma sembrano i più recalcitranti a mostrare il braccio, di resistenti al vaccino ce ne sono comunque mica pochi anche tra i poliziotti: 14 mila su 98mila. Va leggermente meglio tra i finanzieri, dove a non aver assunto nemmeno la prima dose sono in cinquemila su 58mila divise grigie. Questo perché le forze dell'ordine finirono all'inizio della campagna tra le categorie da vaccinare in via prioritaria per essere poi depennate anche da questa lista. Senza che nessuno provasse nemmeno a includerli, insieme ai sanitari, tra chi il vaccino deve farlo obbligatoriamente. Forse perché già allora qualcuno temeva defezioni difficili poi da gestire.

Da poco nominata dirigente del sindacato. Sospesa Nunzia Schilirò, la poliziotta no green pass chiedeva di “punire gli agenti che hanno picchiato i manifestanti”. Riccardo Annibali su Il Riformista l'11 Ottobre 2021. La vicequestora aggiunta della Criminalpol nota per le sue posizioni contro il governo e Green Pass, ‘promossa’ con un ruolo dirigenziale nel sindacato Cosap (Coordinamento Sindacale Appartenenti Polizia) per permetterle di continuare ad intervenire in manifestazioni politiche, sabato non era agli scontri avvenuti durante il corteo non autorizzato e sui social chiede “come cittadina e come sindacalista, l’immediata punizione dei poliziotti che hanno picchiato i manifestanti senza alcuna provocazione”. Ora, secondo AdnKronos, la poliziotta è stata sospesa in via cautelativa dal servizio e dalle funzioni. All’articolo di Silvia Mancinelli risponde subito dai social la poliziotta ripostando l’agenzia e scrivendo un commento a caldo: “Qualcuno non vedeva l’ora di dare la notizia… Dato che la fonte non sono io, vi è un’imprecisione. Sarò sospesa da domani, non da oggi. Da oggi ho revocato la mia iscrizione al sindacato COSAP e, a giorni, conoscerete tutte le motivazioni…” Schilirò aveva condannato quanto accaduto a Roma lo scorso sabato 9 settembre: “Come cittadina e come sindacalista, chiedo l’immediata punizione dei poliziotti che hanno picchiato i manifestanti senza alcuna provocazione. L’ho scritto molte volte. La violenza è inammissibile da qualsiasi parte provenga – spiega –. All’inizio, per buona fede, sono stata ingannata, ma poi ho visto alcuni filmati dove si evince un riprovevole comportamento di alcuni poliziotti. È buffo come io sia perseguitata e quasi arsa sul rogo per aver manifestato pubblicamente e libera dal servizio il mio pensiero e, invece, passa sotto silenzio chi picchia un cittadino. Come mai nessun giornale o televisione mainstream ha trasmesso quelle scene? Viva la libertà!”. “Avevo aderito alla manifestazione del 25 settembre proprio perché avevo saputo che a quella del 9 avrebbero aderito anche soggetti con cui niente ho in comune. Avevo raccomandato a tutti gli amici e colleghi di allontanarsi al primo segnale di provocazione e di stare molto in guardia, perché era probabile la presenza di gruppi, che nulla avevano a che vedere con lo spirito pacifico che animava la manifestazione. Temevo che le tante persone oneste – conclude Schilirò in un secondo post – presenti in piazza fossero strumentalizzate da chi utilizza metodi che io non condivido. Ciò non toglie che chi ha usato violenza debba esserne chiamato a rispondere, come ho già ripetuto”. Riccardo Annibali

Vicequestore No Pass sospesa e presto espulsa. Segnalato un agente: pestava un manifestante. Fausto Biloslavo il 12 Ottobre 2021 su Il Giornale. Schilirò verso la cacciata. Polemica per un video su un "infiltrato" a Roma. Alessandra Schilirò, vicequestore della polizia di Stato, è stata sospesa e potrebbe venire espulsa per avere arringato la folla a una manifestazione No Pass a Roma. La polizia è sotto tiro anche per un video di un agente in borghese in servizio nel corteo di sabato a Roma. Un «infiltrato», che prima fa finta di partecipare ai disordini e poi picchia un manifestante a terra portandolo via per i capelli. E per questo la questura di Roma l'ha segnalato all'autorità giudiziaria. La vicequestore ha preso posizione su Facebook sulle violenze nella capitale dando la croce addosso alla polizia e chiedendo «l'immediata punizione dei poliziotti che hanno picchiato i manifestanti senza alcuna provocazione. La violenza è inammissibile da qualsiasi parte provenga». Poi la novella Giovanna d'Arco anti pass difende se stessa: «È buffo come sia perseguitata e quasi arsa sul rogo per avere manifestato pubblicamente e libera dal servizio il mio pensiero, invece, passa sotto silenzio chi picchia un cittadino». Schilirò da oggi è sospesa dalla sue funzioni e una fonte del Giornale spiega che verrà espulsa dalla polizia per la filippica sul palco di piazza San Giovanni nella manifestazione del 25 settembre. Non è servita neanche la «copertura» di un incarico da sindacalista garantito subito dopo da una mini associazione. La stessa poliziotta specifica che da ieri «ho revocato la mia iscrizione al sindacato Cosap». Il ministro dell'Interno è finito nella bufera per dei video girati durante gli scontri che mostrano un agente in borghese fra i manifestanti. Un «infiltrato» come è capitato in passato durante gli anni di piombo e al G8 di Genova. «Personale della Digos che non è conosciuto può venire momentaneamente infiltrato in una situazione critica, ma la regola è non intervenire come gli altri agenti. Una volta finito tutto l'agente in borghese va in questura a identificare i facinorosi» spiega una fonte del Giornale. Il personaggio pelato con maglietta grigia e il volto coperto, inizialmente da mascherina e occhiali scuri, si vede in un primo filmato quando i manifestanti fanno paurosamente ondeggiare un mezzo della polizia. Dalle immagini è chiaro che l'uomo misterioso solo appoggia la mano sul cellulare facendo finta di partecipare all'«assalto». Poi in un altro video, quando la situazione degenera, lo stesso personaggio, che ha perso le staffe, pesta con foga, prima a pugni e poi a calci, un manifestante a terra già fermato da agenti in divisa. E per questo viene segnalato alla magistratura. «Lo abbiamo visto picchiare Valerio, uno dei nostri di Fiumicino» dicono i militanti di Forza Nuova all'Adnkronos. I poliziotti in uniforme sembrano calmarlo, ma poi, nell'ultimo spezzone del video si vede che tira per i capelli il manifestante e lo porta via assieme ad altri agenti. L'assurdo è che si tratta di un poliziotto, ma non infiltrato per servizio secondo un comunicato non chiarissimo della questura di Roma. Vittorio Sgarbi postando il video su Facebook chiede che «venga radiato dalla polizia». Non sappiamo cosa abbia combinato il manifestante fermato e malmenato di Forza nuova, che ha scatenato la violenza a Roma. 

Fausto Biloslavo. Girare il mondo, sbarcare il lunario scrivendo articoli e la ricerca dell'avventura hanno spinto Fausto Biloslavo a diventare giornalista di guerra. Classe 1961, il suo battesimo del fuoco è un reportage durante l'invasione israeliana del Libano nel 1982. Negli anni ottanta copre le guerre dimenticate dall'Afghanistan, all'Africa fino all'Estremo Oriente. Nel 1987 viene catturato e tenuto prigioniero a Kabul per sette mesi. Nell’ex Jugoslavia racconta tutte le guerre dalla Croazia, alla Bosnia, fino all'intervento della Nato in Kosovo. Biloslavo è il primo

Il video choc: assalto alla Cgil annunciato. Gli errori di Lamorgese. Giuseppe De Lorenzo il 12 Ottobre 2021 su Il Giornale. Un'ora prima dei fatti, il leader di Fn annuncia il blitz alla sede della Cgil: "Andiamo a prendercela". Era tutto scritto, anzi detto, almeno un'ora e mezzo prima dell'assalto alla Cgil. Non c'era bisogno di servizi di intelligence, infiltrati, grandi investigatori per capire che la manifestazione di sabato a Roma contro il green pass sarebbe finita in un disastro (annunciato). Poco prima che l'assalto al sindacato trascinasse su tutti i quotidiani le immagini della sede devastata, il leader di Forza Nuova aveva dichiarato "in chiaro" le intenzioni del corteo: assalire la Cgil e costringere Landini a "scendere a Roma" per "proclamare lo sciopero generale". Sarebbe quasi da non credere, se le immagini non fossero state rilanciate in esclusiva da Quarta Repubblica nell'ultima puntata. Breve passo indietro. Le telecamere della trasmissione sono a Piazza del Popolo quando sul palco qualcuno annuncia l'intervento di Giuliano Castellini. Il leader di Fn, che avrebbe Daspo e divieti di presenziare a manifestazioni simili, inizia la sua arringa contro i sindacati. "Sapete chi ha permesso che oggi il green pass o meglio tra sei giorni diventasse legge? E che milioni di nostri connazionali fossero stotto ricatto? Hanno nomi precisi Cgil, Cisl e Uil". La critica poi si trasforma in una dichiarazione d'intenti. "Sapete oggi gli italiani liberi cosa fanno? - continua Castellini - Vanno ad assediare la Cgil. Oggi noi andiamo a prenderci la Cgil. Chiamiamo Landini: se vuole il suo palazzo, viene a Roma e proclama lo sciopero generale di tutti i lavoratori contro il green pass" (guarda il video). Da quel momento in poi, una costola del corteo si divide e si dirige verso il palazzo della Confederazione generale del Lavoro. Il resto è storia. E le immagini mostrano chiaramente come a difendere quell'obiettivo sensibile ci fossero solo una quindicina di poliziotti. Come è possibile? Perché la prefettura e il Viminale non hanno disposto un presidio di fronte al palazzo? Secondo un operatore di polizia, coperto da anonimato, di errori ne sarebbero stati commessi a bizzeffe. Intanto la sottovalutazione dell'afflusso di persone a Roma: solo 500 agenti a fronte di 10mila manifestanti. Troppi pochi. Il dispositivo è poi quello di "vigilare" sulle persone presenti in piazza, non seguire i cortei. E infine la sede della Cgil sguarnita: "Non era individuato come obiettivo da difendere - dice il poliziotto - la nostra manifestazione era piazza del popolo". E poi: perché i volti noti violenti "non sono stati bloccati prima"? (guarda il video). Lo stesso accade con un altro gruppo di attivisti anti-green pass. Un migliaio di loro prende infatti la via di Palazzo Chigi sperando di potersi avvicinare ai palazzi del potere. Qui, ricostruisce il servizio del programma di Nicola Porro, l'assedio viene sventato solo perché "un nutrito gruppo di agenti, di propria iniziativa decide di abbandonare la piazza per venire a proteggere i palazzi delle istituzioni". "C'è stato un buco organizzativo grosso", spiega l'operatore. E di chi è la colpa? Fari puntati sul Viminale e sul prefetto di Roma.

Giuseppe De Lorenzo. Sono nato a Perugia il 12 gennaio 1992. Stavo per intraprendere la carriera militare, poi ho scelto di raccontare quello che succede in Italia e nel mondo. Rifuggo l'ipocrisia di chi sostiene di possedere la verità assoluta: riporto la realtà che osservo con i miei occhi. Collaboro con ilGiornale.it dal 2015. Nel 2017 ho pubblicato Arcipelago Ong (La Vela), un'inchiesta sulle navi umanitarie che operano nel Mediterraneo. Poi nel 2020 insieme ad Andrea Indini ho dato alle stampe Il libro nero del coronavirus (Historica Edizioni). Sono cattolico e capo scout per passione educativa. Mi emoziono ancora per le partite della Lazio. Amo leggere, collezionare Topolino, giocare a basket e coltivare la terra.

Dal Green pass al gran caos, gli errori del governo: Pietro Senaldi, sotto accusa c'è Draghi. Pietro Senaldi su Libero Quotidiano l'11 ottobre 2021. Il 15 ottobre entra in vigore l'obbligo di Green pass per accedere nei luoghi di lavoro. Si sapeva da tempo, ma non siamo pronti. Il governatore del Veneto, Luca Zaia, un Sì vax della prima ora, lancia l'allarme: in regione ha 300mila non vaccinati e per venerdì prossimo si attende il caos, va fatto qualcosa. Condividono l'allarme anche i presidenti di tutte le altre Regioni italiane, che chiedono nuove regole. Preoccupati pure gli industriali e gli imprenditori agricoli: i primi temono di trovarsi dall'oggi al domani senza operai specializzati, i secondi non hanno manodopera nei campi, perché gli extracomunitari, che sono ormai la maggior parte dei lavoratori della terra, sono allergici alla profilassi. È panico. Solo il ministro Brunetta è ottimista, ma lui gestisce la Pubblica Amministrazione, carrozzone non legato al profitto e alla produttività. Nell'Italia dei guelfi e dei ghibellini, che è riuscita a far scoppiare una guerra civile tra vaccinati e no, trasformando la salute pubblica in questione ideologica, gli anti-profilassi godono al pensiero che il passaporto sanitario possa paralizzare il Paese. Avevamo ragione noi, sostiene la mandria No vax, il passaporto verde non serve; anzi, è dannoso, oltre che liberticida, e ora se ne accorge pure il governo. Ieri si sono radunati in diecimila in Piazza del Popolo, a Roma, per protestare, al grido di «Draghi vattene». C'era di tutto, No vax duri e puri ma anche persone normali. È finita male: tensioni e scontri con la polizia.  I No vax hanno torto, ma il governo non ha tutte le ragioni. La vaccinazione di massa ha permesso di limitare il Covid, tant' è che oggi abbiamo la metà dei contagiati quotidiani rispetto all'anno scorso, quando la curva dei malati di questi tempi era già in forte salita e ci preparavamo a richiudere. Ora invece l'epidemia è in ritirata e si respira solo ottimismo. Però l'obbligo di Green pass rischia di creare problemi alla produzione, tant' è che i governatori, stavolta d'accordo con Salvini, chiedono di allungare da 48 a 72 ore la validità del tampone e alcuni imprenditori vorrebbero posticipare l'entrata in vigore del Green pass obbligatorio al lavoro. Bisogna avere il coraggio di dirla tutta per come è.

1) Se la crescita economica ha livelli superiori al 6% e le nostre vite hanno ripreso una parvenza di normalità è solo perché fa ammalare meno persone e meno gravemente.

2) Il Green pass è servito a far sì che i luoghi di grande diffusione del contagio, come ristoranti e palestre, fossero frequentati solo da vaccinati e quindi ha ridotto la diffusione del contagio.

3) Il governo ha puntato tutto sul vaccino, senza preoccuparsi troppo di contrastare altrimenti l'epidemia e l'introduzione del Green pass obbligatorio è stata la mossa per convincere anche i riluttanti a vaccinarsi.

4) Il Green pass ha evitato che fosse imposto l'obbligo vaccinale ma così com' è ha esaurito la sua funzione e vanno cambiate le regole. Il passaporto sanitario infatti ha avuto un successo limitato: nei primi giorni si è registrato un forte incremento delle iniezioni però gli scettici non sono stati convinti, tant' è che ancora oggi abbiamo oltre otto milioni di italiani sopra i dodici anni non vaccinati. 

5) Neppure la minaccia di sospensione dallo stipendio è servita al governo per convincere i contrari a vaccinarsi. Anzi, molti hanno vissuto l'obbligo di Green pass al lavoro come una sfida a cui resistere a tutti i costi. Era prevedibile, conoscendo l'anarchia e la testardaggine degli italiani.

6) Il numero di persone non ancora vaccinate, e che probabilmente non si vaccineranno mai, abbinato all'obbligo di Green pass, ha determinato una carestia di tamponi, quindi è possibile che il 15 ottobre diversi italiani non potranno andare al lavoro perché non riusciranno a farsi certificare in farmacia.

7) È giusta la preoccupazione dei governatori e degli imprenditori ma il tentativo di correre ai ripari è tardivo. Se gli adoratori di Draghi non fossero stati tutti concentrati nel contribuire alla narrazione «tutto bene, madama la marchesa», oggi non saremmo così in ritardo. A questo punto non resta che accogliere le richieste delle aziende: sì ai tamponi veloci fai-da-te e all'estensione della validità del Green pass legato al tampone.

8) Per un mese e mezzo Salvini, che prima ha parlato di obbligo vaccinale e poi ha chiesto un prezzo calmierato dei tamponi e aiuti alle aziende, è stato trattato dalla sinistra come un sabotatore. Invece aveva capito tutto prima degli altri, ma in Italia chi parla fuori dal coro viene sempre fatto passare per un fesso a cui volentieri si appiccica l'etichetta di non essere in grado di governare.

9) Come al solito il governo in Italia scarica le proprie inefficienze sui cittadini. Spetta alle aziende controllare che i propri dipendenti siano vaccinati e assumersi la responsabilità di errori e disguidi. Spetta ai lavoratori, che nel loro pieno diritto non si sono vaccinati, procurarsi un tampone costoso e introvabile. Della serie: fare di tutto per allargare la platea dei vaccinati è un'idea giusta, ma l'obiettivo poteva essere perseguito meglio.

10) Il clima sta tornando pesante. In piazza c'erano invasati da condannare, ma a questo punto forse, come suggerisce Forza Italia, valeva la pena introdurre direttamente l'obbligo vaccinale e affrontare il problema per tempo e apertamente.

11) Le proteste sono legittime, la violenza no e ha l'effetto controproducente di indebolire la voce di chi scende in piazza. I No vax duri e puri sono i più grandi nemici di chi chiede nuove regole per il green pass.

12) Il governo deve trovare una soluzione subito, già da domani. E stavolta deve essere chiara, diretta e coraggiosa. 

SOSPESO IL GIUDICE GIORGIANNI: PARLO’ DAL PALCO NO GREEN PASS DI ROMA. Il Corriere del Giorno il 28 Ottobre 2021. La ministra della Giustizia, Marta Cartabia, aveva reagito dando incarico ai suoi ispettori di procedere ad accertamenti. Poi, si era mosso anche il Pg della Cassazione, mentre al Csm il gruppo di Area (sinistra) aveva chiesto l’apertura di una pratica in Prima Commissione. Davanti alla Sezione disciplinare la difesa di Giorgianni aveva provato a giocar. Dopo le dichiarazioni del magistrato Angelo Giorgianni dal palco di Piazza del Popolo a Roma durante la manifestazione No Green pass del 9 ottobre scorso, scatta la sospensione dalle funzioni e dallo stipendio per il giudice della Corte d’Appello di Messina. E’ quanto ha deciso la sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, che ha accolto la richiesta di misura cautelare avanzata dal procuratore generale della Cassazione, Giovanni Salvi. Giorgianni aveva attirato l’attenzione della folla salendo sul palco di piazza del Popolo, prima proclamando l’abrogazione del Green Pass e poi parlando di un  “preavviso di sfratto dato dal popolo sovrano a coloro che occupano abusivamente i palazzi del potere” . “Noi per loro vogliamo un processo, una nuova Norimberga” aveva aggiunto in un crescendo di toni, reclamando a nome dei manifestanti “giustizia per i morti , le privazioni, la sofferenza che hanno causato”. Era quindi seguito quello che sembrava l’annuncio di dimissioni immediate dall’ordine giudiziario: “A coloro che dicono che la mia posizione è incompatibile, rispondo che scelgo il popolo sovrano e lascio la toga“. Il giudice però in realtà non aveva ancora abbandonato la toga, come sembrava avesse intenzione di fare subito dopo la manifestazione del 9 ottobre: aveva invece chiesto al Csm di essere collocato a riposo, ma solo a partire da gennaio del 2022 (per ovvi motivi pensionistici). La ministra della Giustizia, Marta Cartabia, aveva reagito dando incarico ai suoi ispettori di procedere ad accertamenti. Poi, si era mosso anche il Pg della Cassazione, mentre al Csm il gruppo di Area (sinistra) aveva chiesto l’apertura di una pratica in Prima Commissione. Davanti alla Sezione disciplinare la difesa di Giorgianni aveva provato a giocare la carta del rinvio, allegando la richiesta del magistrato di anticipare a novembre il collocamento a riposo. Inutilmente però, visto che il tribunale delle toghe è andato dritto per la sua strada, accogliendo la richiesta del Procuratore Generale della Cassazione..

Magistratura, "serve una nuova Norimberga": chi è il giudice no vax che vuole "carcerare" Mario Draghi. Libero Quotidiano l'11 ottobre 2021. Sul palco No green pass a Roma, sabato scorso, c'era anche un magistrato, Angelo Giorgianni, noto per aver scritto un libro, "Strage di Stato: le verità nascoste della Covid-19" che ammicca al complottismo. Un libro che nega l'esistenza del Covid e di cui si è discusso parecchio per via della prefazione scritta dal collega Nicola Gratteri. "Oggi il popolo sovrano ha dato il preavviso di sfratto a coloro che occupano abusivamente i palazzi del potere...per loro vogliamo una nuova Norimberga", ha detto il giudice. Giorgianni - impegnato ad arringare la folla vicino a Giuliano Castellino, leader di Forza Nuova - ha detto che serve una nuova Norimberga, col governo sul banco degli imputati, "per i morti che hanno causato, per le privazioni, per i nostri figli e per la sofferenza”. Il magistrato, adesso in servizio alla corte d’Appello di Messina, non sarebbe nuovo a questo tipo di uscite. Come scrive l'Huffpost, infatti, basta dare uno sguardo a ciò che scrive sui suoi social per inquadrare il personaggio. In ogni caso, pare che Giorgianni - ex sottosegretario all'Interno - sarà in attività come giudice ancora per poco. Lo ha detto lui stesso dal palco di Roma: "Io tra voi e il popolo scelgo il popolo sovrano. E lascio la toga. Lascio la toga”.

Ora Giorgianni appenda davvero la toga al chiodo. Il magistrato Angelo Giorgianni torna a far parlare di sé prendendo la parola dal palco della manifestazione “no green pass” di sabato scorso: «Il popolo italiano ha dato il preavviso di sfratto a coloro che occupano abusivamente i palazzi del potere» Rocco Vazzana su Il Dubbio l'11 ottobre 2021. «Oggi il popolo italiano ha dato il preavviso di sfratto a coloro che occupano abusivamente i palazzi del potere». Dopo aver scritto “Strage di Stato. Le verità nascoste del Covid 19”, con tanto prestigiosa prefazione di Nicola Gratteri, Angelo Giorgianni torna a far parlare di sé prendendo la parola dal palco della manifestazione “no green pass” sfociata nelle violenze di sabato scorso. Poco male – si fa per dire – se a pronunciare quelle frasi fosse stato un privato cittadino o il leader di un’organizzazione extraparlamentare. Il problema è Giorgianni è un magistrato in attività, presidente di sezione della Corte d’appello di Messina, rappresentante autorevole di un potere dello Stato. E con la toga ancora sulle spalle, il giudice porta il suo saluto ai manifestanti. «Oggi il popolo sovrano reclama giustizia per i morti che hanno causato, per le privazioni, per i nostri figli e per la sofferenza. Noi per loro vogliamo un processo, una nuova Norimberga», dice senza arrossire nemmeno un attimo Giorgianni e senza setirsi mai fuori luogo a paragonare la gestione dell’emergenza al nazismo. «E allora qua davanti a voi voglio dire: da magistrato sono venuto a onorare il popolo sovrano, il popolo di Roma», prosegue accorato il magistrato, prima di aggiungere solenne: «E a coloro che dicono che la mia posizione è incompatibile con il popolo dico che tra voi ed il popolo scelgo il popolo sovrano e lascio la toga, lascio la toga. Roma vi amo». E tra una dichiarazione d’amore e l’altra non resta che sperare che il dottor Giorgianni sia di parola e appenda la toga al chiodo.

Vittorio Feltri per “Libero quotidiano” l'11 ottobre 2021. Oggi devo fare una ammissione: io questo Paese non lo capisco più. Mi sembra di vivere in Afghanistan dove trionfano i cretini. Sabato a Roma e a Milano sono scoppiati dei casini pazzeschi nelle piazze. Un sacco di gente, anche violenta e probabilmente senza cervello, si è scatenata senza requie protestando contro il Green pass, che poi è un lasciapassare (l'inglese ha ucciso la nostra lingua perfetta, e gli assassini sono i fighetti progressisti). Il quale lasciapassare è un foglio di carta o una pagina del telefonino che vi assicuro non morde, non avvelena, insomma è come la patente nautica, se non ce l'hai non vai in barca bensì a nuoto e amen. Tanta ostilità nei confronti di questo documento liberatorio è insensata. I facinorosi imbufaliti invece di assaltare gratis Palazzo Chigi e la sede della Cgil avrebbero fatto meglio a recarsi alla mutua per ricevere il vaccino imitando un miliardo di persone nel mondo, le quali grazie all'antidoto anziché finire al cimitero sono ancora vive e vegete, lavorano, frequentano locali pubblici e non invadono le pubbliche vie rompendo le scatole ai cittadini normodotati. Ho maturato un'idea: a certi individui è più facile metterglielo in quel posto che non in testa, forse perché completamente vuota. Il vaccino, lo sanno anche gli alunni dell'asilo Mariuccia, oltre a non essere affatto nocivo, fa bene mica tanto al governo, che lo somministra gratis, ma a chi se lo inietta senza piagnucolare sapendo di evitarsi una lunga degenza o addirittura di riposare nella bara. Chiunque credo si sia accorto che l'umanità è stata colpita da una pandemia aggressiva cui si deve la morte di una folla di soggetti più o meno deboli. Abbiamo attraversato e ancora attraversiamo un periodo straordinariamente pericoloso. Ovvio che si debbano adottare mezzi di difesa adeguati, straordinari anche questi, tra cui un paio di iniezioni preventive e un documento che attesti: ebbene sì, io non sono infetto pertanto sono in grado di circolare come mi pare. Concetti così semplici sono facili da digerire, nonostante ciò una massa di dementi preferisce fare la guerra all'intelligenza piuttosto che subire un paio di buchetti nel braccio. Ho l'impressione che parecchi connazionali sospettino che vaccinarsi sia di sinistra cosicché schivano la sostanza protettiva per puro bullismo. I farmaci non sono lo sterco del diavolo ma una benedizione di Dio. Coloro che li rifiutano ignorano che il corpo umano è fatto di sostanze chimiche, per cui solo la chimica lo può salvare dalle malattie.

Cristiana Mangani per "Il Messaggero" l'11 ottobre 2021. Hanno facce di gente comune, gli agitatori delle piazze nell'era del Covid. Sono il ristoratore, il dipendente pubblico, il pensionato, la mamma che lavora, l'ex compagno di scuola. Persone insospettabili, in cerca di leader. Ma ancora più pericolose e difficili da contenere perché pronte a stendersi davanti a un blindato per poter esprimere il proprio dissenso. Sabato scorso in piazza del Popolo ne sono arrivati diecimila, una cifra elevata e inaspettata, che ha trovato impreparate le forze dell'ordine e ha consentito a Forza nuova, a Giuliano Castellino, e a ex terroristi dei Nar, di cavalcare il malcontento, di appropriarsene. È un no movimento quello che sta crescendo a ridosso di grossi appuntamenti politici e dell'obbligo di esibizione del Green pass. Sono pezzi di società civile che lamenta di non essere rappresentata da questo governo. Gente comune e, dunque, difficile da prevedere e tracciare. L'intelligence continua a escludere che ci sia una regia unica, un disegno destabilizzante preordinato. È pur vero, però, che se sono otto milioni i non vaccinati in Italia, il rischio di vedere crescere questa massa agitata aumenta ogni giorno di più. Così come cresce la difficoltà di individuare i loro possibili obiettivi, proprio per l'estemporaneità dei gesti e delle reazioni. Un terreno fertile dove gli agitatori di professione non fanno fatica a trovare seguaci. L'anima no vax, no Green pass, no tutto, non sembra proprio disposta al dialogo. E così ti ritrovi quello che fino al giorno prima era un anonimo bidello di scuola, urlare a chi cerca di fargli domande: «Sei un giornalista? Allora ti taglio la gola». È successo ad agosto. E una scena simile si è verificata subito dopo a Roma. Sono aumentati i rischi per medici e infermieri, e qualcuno ancora da identificare si è preso la briga di seguire e minacciare l'infettivologo Matteo Bassetti. Assalti ai gazebo dei partiti stanno accadendo con sempre maggiore frequenza. E ora viene difficile per gli operatori della sicurezza liquidare tutto questo come l'azione di quattro gatti. Tra gli arrestati di ieri per i disordini nella Capitale c'è anche Biagio Passaro, ristoratore, diventato leader in un attimo grazie ai social e alla chat Telegram Io apro. Quasi filmasse una giornata in famiglia, il commerciante ha ripreso l'assalto alla sede della Cgil, accompagnandolo con lo slogan: «Si sfonda la Cgil». E il suo caso non è unico. In questi tempi complicati ha trovato spazio, sempre dietro la sigla Io apro Hermes Ferrari, lo sciamano di Scandiano, titolare di pizzerie a Rubiera e a Modena. A un cittadino che gli chiedeva di mettere bene la mascherina, il ristoratore travestito da Jack Angeli dell'assalto a Capitol Hill, gli ha rifilato una testata solo perché aveva osato criticarlo. Gli amici di Passaro, sostenitori di un movimento che ha raggiunto 100 mila seguaci, ne prendono le difese: «Spiace che Biagio sia finito in mezzo a questa cosa - dice Umberto Carriera, imprenditore pesarese -, io sono contro la violenza, ma i cittadini si stanno arrabbiando sempre di più, la misura è colma». Anche Carriera è finito al centro di polemiche: a luglio scorso ha inscenato una protesta sotto casa del sindaco dem di Pesaro, Matteo Ricci, che lo aveva accusato di «una intimidazione da squadristi». In questo scenario così trasversale, che racchiude mondi diversi, l'estrema destra sta sguazzando. È un pezzo d'Italia, senz'altro minoritario ma non per questo meno pericoloso, tra i quali si ritrovano - come è avvenuto in piazza del Popolo - Luca Castellini, il Gran Caste che inneggia a Hitler e ha un cognome molto simile dell'altro ultrà Giuliano Castellino. Anche lui pluridaspato e capo della curva Sud di Verona. E persino l'avvocato Carlo Taormina che arringa le folle «contro la dittatura sanitaria». Le manifestazioni e i presidi vengono comunicati via Telegram, su chat che cambiano di continuo e si rinnovano, dove la protesta assume contorni di grande violenza, tra chi incita alla battaglia e chi consiglia di scendere in strada con i mitra. Il popolo del contro tutto ha attivato anche una radio pirata che usa frequenze non in Fm. Capita la sera di sentire su frequenza 7210-7211,5 KhZ, in modulazione Usb, appelli alla disobbedienza civile, progetti di aggressione e reazione contro i provvedimenti decisi dal governo. E il segnale raggiunge anche la Francia e la Slovenia. Un modo questo rudimentale, ma anche molto astuto, perché chi segue il programma può restare anonimo ed è impossibile riuscire a sapere esattamente chi sta ricevendo le comunicazioni. Inoltre costa poco e si può smantellare rapidamente. 

Continuano le indagini dopo gli scontri a Roma. Sequestrato e oscurato il sito di Forza Nuova, dopo le proteste no pass l’accusa di istigazione a delinquere. Elena Del Mastro su Il Riformista l'11 Ottobre 2021. Continuano le indagini sui disordini che sabato hanno paralizzato il centro della città. Sotto la lente di ingrandimento degli investigatori ore di filmati, buona parte dei quali realizzati dalla polizia scientifica, ma anche il web e la galassia internet dell’estrema destra. La polizia postale, su disposizione della procura, ha posto sotto sequestro e oscurato il sito di Forza Nuova ipotizzando il reato di istigazione a delinquere aggravata dall’utilizzo di strumenti informatici. Ma al vaglio sono anche decine di video pubblicati sui social, alcuni dei quali realizzati dagli stessi partecipanti alla protesta, nel corso della quale è stata assaltata la sede nazionale della Cgil. A finire sotto attacco, sabato, anche il pronto soccorso del Policlinico Umberto I, dove una trentina di persone ha fatto irruzione dopo il ricovero di uno dei fermati. La procura lavora su due fascicoli paralleli: il primo riguarda le sei persone arrestate per resistenza e lesioni, per le quali si sono tenute oggi le udienze di convalida al termine delle quali quattro di loro sono stati scarcerati (due sono finiti ai domiciliari, per uno è stato disposto l’obbligo di firma e per l’altro il divieto di dimora a Roma). Il secondo fascicolo si concentra sui sei arrestati che rispondono a vario titolo di devastazione, saccheggio e istigazione a delinquere: tra loro ci sono Roberto Fiore e Giuliano Castellino, leader di Forza Nuova, l’ex Nar Luigi Aronica, il leader del gruppo ‘Io apro’ Biagio Passaro e Pamela Testa, una delle organizzatrici della manifestazione. Tra domani e mercoledì si terranno gli interrogatori di convalida in carcere, mentre l’inchiesta va avanti e sotto la lente degli inquirenti finiscono anche post e messaggi pubblicati su social e chat, in alcuni dei quali si inneggia a una “rivoluzione” anti green pass, contro “i palazzi dell’odiato potere”. Intanto in Parlamento continua il dibattito con la mozione annunciata dal Pd per sciogliere Forza Nuova e “tutti i movimenti politici di chiara ispirazione neofascista”. I dem la sottoscrivono in blocco, sia alla Camera che al Senato. “I gravi fatti accaduti” si legge in riferimento all’attacco di sabato alla sede Cgil “non solo nulla hanno a che vedere con la libertà fondamentale di manifestazione del pensiero”, ma mettono in evidenza come “movimenti di estrema destra, dediti talvolta a rievocazioni considerate folcloristiche del passato regime, abbiano compiuto un salto di qualità“, riuscendo ad “infiltrarsi e ad intercettare” le proteste e il malumore di chi non condivide la politica messa in atto dal Governo sul Green pass. I parlamentari di M5S, Iv e Leu sottoscrivono la mozione. Enrico Letta chiama tutti i partiti all’unità e lancia un appello perché lo scioglimento di Forza Nuova “sia vissuto come un gesto unitario e non di parte. Dopo i gravi fatti di sabato tutti si riconoscano in una decisione che rende attuale e viva la Costituzione”, azzarda. E’ un tweet del suo vice Peppe Provenzano, però, ad agitare gli animi. “Ieri Meloni aveva un’occasione: tagliare i ponti con il mondo vicino al neofascismo, anche in FdI. Ma non l’ha fatto. Il luogo scelto (il palco neofranchista di Vox) e le parole usate sulla matrice perpetuano l’ambiguità che la pone fuori dall’arco democratico e repubblicano”, mette nero su bianco sul social network. Da FdI si alza uno scudo di proteste. Meloni interviene secca: Provenzano “vorrebbe sciogliere il primo partito italiano (oltre che l’unica opposizione al governo) – sintetizza – Spero che Letta prenda subito le distanze da queste gravissime affermazioni che rivelano la vera intenzione della sinistra: fare fuori Fratelli d’Italia”. Poco dopo l’ex ministro per il Sud interviene a chiarire: “Nessuno si sogna di dire che Fdi è fuori dall’arco parlamentare o che vada sciolta. Ma con l’ambiguità nel condannare la matrice fascista si sottrae all’unità necessaria delle forze democratiche. Sostengano di sciogliere Forza Nuova”, ribadisce. Anche Letta insiste: “Non vogliamo trasformare questo atto parlamentare un atto di parte: la Costituzione è di tutti, stiamo tutti insieme in questa battaglia per la difesa della Costituzione. Se ci costringeranno a viverla come battaglia di parte, noi, come è capitato altre volte, faremo i difensori della Costituzione”, avverte, invitando Meloni, Salvini e Tajani a non renderla una battaglia “destra contro sinistra”. Non solo, il leader dem, che guiderà i suoi sabato alla manifestazione organizzata dai sindacati, invita tutti i leader a partecipare. “Sarebbe un errore se non ci fossero. Nessuno di noi interpreta la manifestazione in chiave elettorale”. In Parlamento qualcuno scommette sulla possibile spaccatura del centrodestra, ma alla fine una telefonata dei tre leader ricompatta le truppe. “Pronti a votare una mozione per chiedere interventi contro tutte le realtà eversive, non solo quelle evidenziate dalla sinistra”, è la linea. Salvini, poi, rilancia sulla manifestazione: “Scendiamo in piazza tutti insieme, un giorno dopo il voto e non un giorno prima, con il tricolore e senza altre bandiere (rosse), per condannare e isolare tutti i violenti, di ogni parte e colore. Il Pd accoglie questa proposta unitaria, o preferisce fare solo campagna elettorale?”. (Fonte:LaPresse)

Elena Del Mastro. Laureata in Filosofia, classe 1990, è appassionata di politica e tecnologia. È innamorata di Napoli di cui cerca di raccontare le mille sfaccettature, raccontando le storie delle persone, cercando di rimanere distante dagli stereotipi.

Guerriglia a Roma, chi sono i 12 arrestati: “Ci fermeremo quando il Green Pass sarà ritirato”. Antonio Lamorte su Il Riformista l'11 Ottobre 2021. Forza Nuova lo ha annunciato – anche dopo le manifestazioni, gli scontri e gli arresti di sabato nel centro di Roma – che “la rivoluzione popolare non fermerà il suo cammino, con o senza di noi, fino a che il Green Pass non verrà ritirato definitivamente”. Con o senza di noi perché in piazza, con movimenti di estrema destra, anche una galassia non definita che si alimenta e comunica sui gruppi Telegram e grida al Nazismo, alla dittatura sanitaria. Venerdì 15 ottobre entra in vigore l’estensione del Green Pass per lavoratori pubblici e privati. E la tensione – dopo i fatti di sabato in centro a Roma, gli scontri con la polizia, le camionette assaltate, la sede della CGIL vandalizzata – è ancora alta. I fatti di sabato rientrerebbero in un disegno pre-ordinato, secondo diversi giornali. Repubblica parla di un popolo liquido di sigle come “3V”, “Ancora Italia”, “Fronte del dissenso”, “Non nuocere”, “Basta dittatura”. Gli arresti sono stati 12 in tutto. Le accuse sono di danneggiamento aggravato, devastazione e saccheggio, violenza e resistenza a pubblico ufficiale. Sei arrestati in flagranza e sei nella notte con arresto differito. La metà degli arrestati per le aggressioni e gli scontri di sabato non è nota per militanza politica. Le posizioni sono al vaglio della Procura della Repubblica di Roma. I più noti sono Roberto Fiore e Giuliano Castellino, entrambi di Forza Nuova. Il primo, 62 anni, un passato nelle associazioni sovversive nere degli anni Settanta (ricercato e condannato per questo reato, con pena mai scontata e prescritta durante gli anni di latitanza all’estero), eletto al Parlamento Europeo tra il 2008 e il 2009. Il secondo, leader romano del gruppo, che ha arringato Piazza del Popolo dove nel primo pomeriggio si era riunito il sit-in autorizzato sfociato nel corteo non autorizzato fino all’assalto alla sede della CGIL e ai disordini per le strade del centro fino a Palazzo Chigi. Entrambi si vedono in alcuni video sulle scale del sindacato durante l’assalto. Altro esponente è Luigi Aronica detto “Er Pantera di Monteverde”, 65 anni, cresciuto nella sede romana del Fuan, l’organizzazione universitaria del Movimento Sociale Italiano quindi passato ai Nucleo Armati Rivoluzionari. Oggi in Forza Nuova. Biagio Passaro, 46 anni, manager di una catena di pizzerie, è considerato leader di “Io apro”, il movimento di protesta di attività commerciali e di ristorazione che sfiancate dalla crisi covid spingevano per aprire anche durante le fasi più critiche della pandemia. Oltrea a questi anche un uomo di settant’anni, uno di 58 e un altro di 54. Il bilancio della giornata di sabato riporta 38 agenti feriti, 600 manifestanti identificati. Il Partito Democratico presenterà oggi alla Camera una mozione urgente per chiedere lo scioglimento di Forza Nuova e degli altri movimenti dichiaratamente fascisti. L’iniziativa sembra avere l’appoggio del Movimento 5 Stelle e Forza Italia ma è bocciata da Fratelli d’Italia. La leader Giorgia Meloni, pur esprimendo solidarietà e vicinanza a forze dell’ordine e CGIL, ha commentato dalla Spagna, all’incontro nazionale del partito Vox, di estrema destra e sovranista e con nostalgie franquiste, così: “È sicuramente violenza e squadrismo, poi la matrice non la conosco. Nel senso che non so quale fosse la matrice di questa manifestazione, sarà fascista, non sarà fascista, non è questo il punto. Il punto è che è violenza, è squadrismo e questa roba va combattuta sempre”.

Antonio Lamorte. Giornalista professionista. Ha frequentato studiato e si è laureato in lingue. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Ha collaborato con l’agenzia di stampa AdnKronos. Ha scritto di sport, cultura, spettacoli.

Giovanna Faggionato e Giovanni Tizian per editorialedomani.it il 15 ottobre 2021. Roberto Fiore, con una condanna definitiva per banda armata e leader di Forza Nuova, è un uomo di mondo. Fin dal periodo trascorso a Londra per fuggire all’arresto, ha coltivato con costanza una rete di rapporti internazionali con comunità cattoliche integraliste, dai lefebreviani al movimento Pro vita, che dialogano con i movimenti neofascisti. Nei diciannove anni di latitanza dorata protetta dalla costola internazionale del gruppo Terza Posizione (International third position) ha costruito il network nero fatto di relazioni profonde con gli integralisti religiosi. Fiore è stato un campione dell’impunità: è riuscito a non scontare neppure un anno di carcere nonostante la sentenza definitiva perché in Italia si prescrivono le condanne se non eseguite entro un certo termine. Così Fiore nel 1999 rientra in Italia da uomo libero e anche più facoltoso. Fiore fondò il Saint George international Trust con, tra gli altri, il reverendo lefebvriano Michael Crowdy, definendolo una associazione benefica di stampo cattolico, ma oggi ci risulta che abbia entrature fin dentro il Vaticano, almeno di un alto prelato vicino all’arcivescovo Carlo Maria Viganò. Nell’ultimo periodo l’ultraconservatore Viganò, su posizioni antitetiche rispetto a papa Francesco, ha cercato l’interlocuzione con l’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump, il cui stratega Steve Bannon, aveva in progetto di fare della fondazione Dignitatis Humanae Institute un centro studi del sovranismo cattolico, offrendone la presidenza a un cardinale molto noto in Vaticano e come Viganò, ultra conservatore, Edmund Burke. Benjamin Harnwell, che della fondazione Dignitatis è direttore, conosce bene Roberto Fiore dai tempi in cui il neofascista era eurodeputato. «A Bruxelles abbiamo collaborato molto bene, era un parlamentare molto affidabile sui dossier pro vita, partecipava agli incontri dei movimenti cattolici pro vita e si spendeva per limitare i finanziamenti pubblici alle interruzioni di gravidanza». La benedizione di Harnwell ha un valore non da poco per quel mondo: lui è stato il braccio operativo di Bannon in Italia, icona dei nazionalisti nostrani. Attraverso il Saint George Educational Trust, Fiore non ha solo finanziato l’associazione italiana Vicit Leo per diffondere la propaganda anti vaccinista, ma messo in piedi una rete che utilizza le istanze cattoliche per unire i movimenti fascisti alle proteste contro le restrizioni dovute alla pandemia. Le associazioni antifasciste inglesi, dopo la marcia anti Green Pass di settembre a Londra, hanno coniato la definizione di «cristianofascisti» per i gruppi che mostravano le effigie della Madonna durante la manifestazione. Quelle effigie sono state riprese sistematicamente dai canali di propaganda del Saint George Educational Trust, fondato da Fiore che sta rilanciando tutte le proteste contro vaccini e lockdown a livello globale. Tra gli amministratori del trust, in effetti si trova un esperto di comunicazione: i documenti della società rivelano che a fianco del vecchio amico e camerata di Fiore, Patrizio Nicoletti, c’è Michael Fishwick. Fishwick è presidente del trust, ma ancor prima è stato il presidente dell’organizzazione neofascista britannica Young National Front. Qui era responsabile della comunicazione. Fishwick è anche membro della Fraternità San Pio X dei lefebrviani. Alla fine degli anni Ottanta, inoltre, Fishwick aveva seguito gli altri leader neofascisti britannici come il Nick Griffin, storico sodale di Fiore, leader il British National Party, e fondato la International Third Position. La sede della International Third Position coincideva con quella del trust Saint George. Oggi all’indirizzo del trust, domiciliato ad Andoven nell’Hampshire, ha sede anche Carmel Books, cioè la «libreria cattolica tradizionale», come si legge sul suo sito, a cui rimanda la richiesta di raccolta fondi per aiutare gli arrestati alla manifestazione di Roma del nove ottobre, diffusa sui canali di comunicazione del trust fondato da Fiore. L’attività di comunicazione e culturale del trust è stata illustrata in una relazione ufficiale firmata da Fishwick il primo gennaio 2020 e agli atti del registro delle charity britanniche. In quel documento si spiega che il portale del trust è dedicato «ai cattolici o a chi interesse nel cattolicesimo». «Il trust», si legge ancora, «ha approfondito i rapporti con la comunità italiana e polacca in Gran Bretagna e una attività di raccolta fondi degli italiani in Gran Bretagna per finanziare strutture di home-education e attività pro - life in Italia». Infine si dice anche che il trust ha intenzione nel futuro di «stabilire un centro studi o un numero di centri studi» a cui appoggiarsi per le sue attività. Pochi mesi dopo, nell’estate 2020, nasce in Italia l’associazione Vicit Leo, finanziata dal trust, e fondata dalla ginecologa Luisa Acanfosa, dal marito Pier Francesco Belli e dal “costituzionalista” Daniele Trabucco, professore alla Libera Accademia degli studi di Bellinzona. Belli e Trabucco sono tra i più attivi nel sostegno delle tesi complottiste sulla pandemia, mentre Canfore, insieme a Belli, hanno trovato sponde anche nell’area pro-life. Per dare una idea del pensiero su cattolicesimo e fascismo di Trabucco, basta leggere una recensione pubblicata dal sito dell’istituto Stato e partecipazione in cui il costituzionalista spiega: «Se il fascismo non fu un movimento cattolico, trovò, però, nel cattolicesimo il presupposto per quella elevazione spirituale che il liberismo individualistico aveva colpito a morte». Trabucco vanta inoltre collaborazioni, e un libro sulla repubblica sociale italiana, con l’avvocato Augusto Sinagra, legale di Licio Gelli e iscritto alla loggia P2, o meglio, come sostiene lui, aveva fatto richiesta di adesione ma poi la ritirò. Il curriculum di Trabucchi si arricchisce anche di un ulteriore ruolo: è nel comitato scientifico dell’Istituto stato e partecipazione, un’organizzazione che promuove i valori della destra sociale. Assieme a lui altri due professori della Libera Accademia di Bellinzona e il pronipote di Benito Mussolini, Caio, di Fratelli di Italia. Il parente del duce è in buona compagnia: nel comitato di redazione c’è anche un giornalista della rivista di Casapound, “i fascisti del terzo millennio”, e scrittori che navigano tra la destra di palazzo e quella estremista di movimento. 

I contatti tra il fascista Roberto Fiore e il boss della camorra. Lirio Abbate su La Repubblica l'11 ottobre 2021. Da europarlamentare europeo fece incontrare nel carcere di massima sicurezza il fratello di un mafioso detenuto, violando il regime del 41 bis a cui era sottoposto. Uno strano collegamento fra la criminalità organizzata e l’esponente di destra che ha partorito Forza Nuova. Quando il fascista Roberto Fiore era un parlamentare europeo, riuscì a far violare il regime del carcere impermeabile del 41 bis a uno dei capi della camorra, Antonio Varriale. Si presentò alle dieci di sera all’ingresso del carcere di massima sicurezza di Viterbo accompagnato da due collaboratori e chiese e ottenne di parlare con un solo detenuto. Nonostante l’ora tarda per un carcere, a Fiore vennero aperti cancelli e porte blindate e fu accompagnato, in virtù del suo ruolo di deputato europeo, davanti alla cella del boss Varriale con il quale l’europarlamentare e i due suoi collaboratori iniziarono a conversare. Se il fascista Fiore non fosse stato un eurodeputato, questo non poteva accadere. Non può accadere che un detenuto per associazione mafiosa sottoposto al 41bis incontri o parli con persone esterne, se non autorizzate dal ministro della giustizia. Il dialogo, all’epoca con Varriale, venne però interrotto quando uno degli agenti della polizia penitenziaria si rese conto, controllando i documenti dei visitatori, che una delle persone che accompagnava Fiore era il fratello del capomafia. Ebbene sì. Fiore aveva portato al cospetto del boss il fratello. La porta blindata della cella venne richiusa e il parlamentare con i suoi amici furono accompagnati all’uscita. Fiore non profferì parola. Sapeva benissimo che aveva trasgredito ad una regola. Aveva di fatto portato ad un camorrista detenuto una persona che non poteva incontrare. Il responsabile degli agenti di Viterbo ammise in una relazione di servizio che vi era stato «qualche errore nell’esecuzione della visita: primo perché uno degli accompagnatori del politico era il fratello del detenuto sottoposto al regime speciale del 41 bis e secondo perché dando l’autorizzazione ad aprire il blindo è stato permesso in un certo qual modo un colloquio di famiglia, eludendo le regole che vigono per l’effettuazione dei colloqui dei detenuti sottoposti al 41 bis». Chissà quali interessi aveva Roberto Fiore a far incontrare a tarda sera il capo di un clan camorristico detenuto con suo fratello. Quello che suscita interesse è il collegamento fra esponenti della camorra e l’esponente di destra che ha partorito Forza Nuova, la formazione per la quale adesso esponenti della Camera ne hanno chiesto lo scioglimento, dopo gli scontri a Roma e l’assalto alla sede della Cgil. Fiore è stato arrestato per questi fatti. Nel dicembre del 2017 Forza Nuova aveva guidato una spedizione fascista sotto la redazione de L’Espresso e  di Repubblica: un gruppo di militanti mascherati, che esponeva una bandiera di Forza Nuova e un cartello con la scritta “Boicotta L'Espresso e Repubblica”, ha acceso fumogeni sotto la sede del giornale e letto un proclama di accuse alla redazione. Alcuni fumogeni sono stati lanciati all'indirizzo di dipendenti del giornale che protestavano per la provocazione.

I segreti di Roberto Fiore, il fascista a capo di Forza Nuova. Terrorista nero. Condannato per eversione. Scappato all'estero. Dove ha trovato la protezione dei servizi segreti britannici. Oggi guida il partito di estrema destra. Che in cinque anni è stato denunciato per violenza 240 volte. Paolo Biondani, Giovanni Tizian e Stefano Vergine su L'Espresso il 20 dicembre 2017. Ventuno aprile 1999, mancano quattro giorni alla festa della Liberazione. Mentre l’Italia democratica si prepara a ricordare la storica sconfitta del nazi-fascismo, all’aeroporto di Fiumicino si materializza un neofascista conclamato. Un terrorista nero che è riuscito a restare impunito. Si chiama Roberto Fiore, è stato condannato per banda armata e associazione sovversiva come capo di Terza posizione, l’organizzazione che alla fine degli anni Settanta ha riunito alcuni dei criminali più violenti della destra eversiva. Dai ranghi di Terza Posizione è uscita una generazione di stragisti, assassini, rapinatori, sequestratori. Dichiarato colpevole in tutti i gradi di giudizio, Fiore avrebbe dovuto scontare almeno cinque anni e mezzo di reclusione. Invece è scappato all’estero. E a Londra ha fatto molti soldi con appoggi sospetti. Quando rientra in Italia, a quattro giorni dal 25 aprile 1999, è un uomo libero. Ricco. Pronto a guidare un nuovo movimento politico. Neofascista, razzista, pieno di criminali violenti. Come il precedente, ma con una sigla diversa: Forza Nuova. La prima fucina della delinquenza politica di oggi. Per capire gli attacchi di questi giorni, le minacce ai giornalisti di Repubblica e del nostro settimanale rivendicate da Fiore in persona come «il primo atto di una guerra politica contro il gruppo Espresso», si può partire da quel ritorno. Che unisce passato e presente nel segno dell’impunità. Il passato è la verità storica e giudiziaria che l’attuale leader di Forza Nuova ha potuto ignorare dopo 19 anni di latitanza all’estero. Perché in Italia cadono in prescrizione perfino le condanne definitive: giuste, meritatissime, ma non eseguibili per scadenza dei termini. Fiore scappa all’estero nel 1980, a 21 anni, prima di poter essere colpito dalla retata che decapita Terza Posizione, il gruppo armato che ha allevato una legione di terroristi neri poi confluiti nei Nar. Quando i suoi ex camerati Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini eseguono la strage di Bologna (2 agosto 1980, 85 vittime), lui è già in Inghilterra. Al sicuro, con altri complici neri. Nel 1982 un giudice britannico respinge la richiesta italiana di estradizione. Fiore e l’altro leader di Terza posizione, Massimo Morsello, restano liberi anche dopo essere stati condannati in tutti i tre gradi di giudizio. In Italia intanto Fioravanti e la Mambro, nel tentativo di sottrarsi all’accusa per la strage, inventano un falso alibi, costruito proprio attorno a Fiore e a un altro fondatore di Terza Posizione, Gabriele Adinolfi, ora ideologo di Casapound. L’intreccio tra le due organizzazioni romane del terrorismo nero è spaventoso. Un esempio tra i tanti: Fioravanti e Mambro vengono condannati anche per l’omicidio di Francesco Mangiameli, ex dirigente siciliano di Terza posizione, ammazzato il 9 settembre 1980 perché era uno dei pochi a conoscere la verità su Bologna. E ne aveva parlato con un ex colonnello dei servizi, Amos Spiazzi, che decise di lanciare l’allarme con una famosa intervista a L’Espresso. La Cassazione, nella sentenza definitiva (a sezioni unite) sulla strage di Bologna, spiega che Fiore e altri ex di Terza Posizione sono scappati proprio per non fare la stessa fine di Mangiameli. Eppure in tutti questi anni non hanno mai rivelato e tantomeno confessato nulla. Silenzio totale, perfino sui responsabili della carneficina nera alla stazione di Bologna. A Londra , nei quasi vent’anni di latitanza, Fiore e Morsello ottengono appoggi importanti e misteriosi. La stampa inglese li accusa più volte di aver collaborato con i servizi segreti (MI6). Fiore ha sempre respinto questo sospetto, che però è confermato, nero su bianco, da un rapporto firmato nel 1991 dalla prima commissione d’inchiesta del parlamento europeo su razzismo e xenofobia. Accuse poi rilanciate in Italia, in particolare, da due importanti esponenti di Alleanza nazionale, Enzo Fragalà e Alfredo Mantica. Nel dossier presentato alla commissione stragi, i due parlamentari ricordano la fortissima amicizia tra Fiore e il leader dell’estrema destra britannica Nick Griffin. Il presidente della commissione stragi, nell’audizione del 2000, mette a verbale una domanda esplicita: «Ritiene che Fiore e Morsello fossero agenti del servizio inglese?». E Fragalà risponde: «Non ritengo, c’è scritto, è un dato obiettivo, mai smentito da nessuno... D’altro canto, altrimenti come si fa a immaginare che due latitanti italiani, segnalati come pericolosi, possano costruire lì in Inghilterra un impero economico con 1.300 appartamenti?». Oggi l’avvocato Fragalà non può più cercare la verità su Fiore: è stato ucciso nel 2010 a Palermo. Per i pm Fragalà è stato ucciso da Cosa nostra perché aveva convinto alcuni clienti a collaborare. La mafia aveva progettato un raid punitivo per dare una lezione a tutta la categoria, ma l’aggressione fu talmente violenta che portò alla morte del legale. Dunque Fiore, quando rientra a Roma, è un ricco neofascista in doppiopetto, che non ha mai dovuto pentirsi del suo curriculum di terrorista e, nella lunga latitanza, ha stretto rapporti con leader razzisti e neonazisti, servizi segreti e finanziatori rimasti nell’ombra. Ai giovani italiani si presenta come un fervente cattolico, fedele ai valori della tradizione, perseguitato da imprecisati poteri forti. Nato a Roma in una famiglia borghese e fascista, è sposato con la spagnola Esmeralda Burgos, padre di undici figli, contrarissimo all’aborto e all’omosessualità. Nel 2000, pochi mesi prima della morte di Morsello, pubblica un libro con Gabriele Adinolfi (“Noi, Terza Posizione”) dove rivela che suo padre, Amedeo Fiore, combattente per Mussolini a Salò, si sarebbe «offerto volontario per il progetto, poi non realizzato, dei kamikaze italiani». Il suo nuovo movimento, Forza Nuova, lo fonda nel 1997, quando ancora è a Londra. Lo struttura come un partito nazionale, aprendo le prime 50 sedi provinciali. Ma già alla fine del 1999 il capo dell’antiterrorismo, Ansoino Andreassi, sentito dal Parlamento, lo accusa di far parte di una rete internazionale di finanziatori di naziskin. Fiore smentisce e querela, ma non intimidisce il prefetto. Un poliziotto molto esperto, il primo a capire la nuova strategia del terrorista mai pentito: non sporcarsi le mani, non farsi invischiare nelle azioni violente dei giovani di Forza Nuova. Da allora, il leader è un intoccabile: molte indagini, qualche processo, ma nessuna nuova condanna. A gestire la violenza politica sono i singoli esponenti del movimento, senza legami documentabili con il vertice, che però li difende. La strategia del doppio binario porta Fiore a presentarsi come leader ufficiale di un partito che partecipa alle elezioni. Alle comunali di Roma, nel 2001, il primo candidato è un nipote di Benito Mussolini. Negli anni d’oro di Berlusconi, Forza Nuova tratta alleanze elettorali con il centro-destra, con esiti alterni. Nel 2008 Fiore entra nel parlamento europeo, occupando il seggio lasciato da Alessandra Mussolini. E fuori dai palazzi, intanto, la base di Forza Nuova scatena un’escalation di violenze. L’Osservatorio democratico sulle nuove destre ha schedato una serie di reati impressionanti. Nell’aprile 1999, a Roma, vengono rinviati a giudizio 25 naziskin per violenze, minacce e istigazione all’odio razziale. Il gruppo fa parte della rete internazionale degli “hammerskin”: il presunto capo-cellula è il responsabile di Forza Nuova a Milano. Lo stesso Fiore viene inquisito come finanziatore dei neonazisti. Ma tutte le accuse restano poi coperte dalla prescrizione. Nel dicembre 2000, un anno dopo l’allarme di Andreassi, il neofascista Andrea Insabato resta ferito mentre fa esplodere una bomba all’ingresso del Manifesto, lo storico quotidiano comunista. Insabato era stato il capo di Terza Posizione nei quartieri romani della Balduina e Monte Mario. «Sono un suo amico», è costretto a dichiarare Fiore a caldo, «ma con Forza Nuova non c’entra nulla». Già nel precedente processo per un raid antisemita, a difendere Insabato era stato il fratello avvocato di Fiore. Negli stessi mesi, a Padova, un gruppo di neofascisti finisce in cella dopo un grosso sequestro di armi ed esplosivi: tra gli arrestati c’è un candidato di Forza Nuova alle comunali. Nel gennaio 2003 una squadraccia di affiliati irrompe in una tv di Verona e si esibisce in un pestaggio in diretta di Adel Smith, un musulmano che contestava i crocefissi nei luoghi pubblici. Nell’aprile 2004, a Bari, 15 forzanovisti vengono arrestati per una serie di raid con mazze, bastoni e catene. Nel marzo 2005 il candidato di Forza Nuova a Siracusa viene accusato di aver organizzato attentati contro la Cgil e un ospedale. Nell’aprile 2005 Andrea Rufino e Giovanni Marion, due soci fondatori di Easy London, la succursale italiana delle imprese di Fiore, vengono arrestati per l’arsenale di armi ed esplosivi (con fucili militari e bombe a mano) scoperto in via Nomentana a Roma. Nel settembre 2007 tredici neofascisti, capeggiati dal responsabile provinciale di Forza nuova, vengono fermati a Rimini mentre cercano di raggiungere un centro sociale con spranghe e taniche di benzina. Nel 2008 il leader dei giovani di Forza nuova a Bologna viene condannato a tre anni per aver spaccato la faccia a due ragazzi di sinistra (con naso e mascella fratturati). Negli ultimi anni crescono soprattutto le violenze contro gli immigrati. Un esempio recente è l’inchiesta del Ros denominata “Banglatour”, avviata dopo che 80 immigrati bengalesi erano finiti al pronto soccorso per essere stati pestati. Secondo l’accusa i raid partivano da due sedi di Forza Nuova a Roma. Dove i minorenni venivano «addestrati a usare coltelli e spranghe in una palestra di odio e violenza». Secondo l’Osservatorio, le vittime sono stranieri poveri, giovani di sinistra, gay e medici: in un assalto in Puglia i forzanovisti gridavano «assassine, criminali» contro le donne ricoverate in attesa di abortire. Le uniche cifre ufficiali su Forza Nuova nel suo insieme sono state fornite due anni fa dal ministero dell’Interno: in 65 mesi, tra il 2011 e il 2016, ben 240 denunce e dieci arresti. Quattro raid al mese. Un attacco neofascista alla settimana. Fiore si è sempre proclamato estraneo a tutti i reati. Rivendica le azioni politiche, anche se apertamente razziste. Nel 2013, ad esempio, la sezione di Macerata attacca con manifesti xenofobi la ministra Kyenge. E lui li difende: «La Kyenge dovrebbe tornare in Congo, non capisco come abbia ottenuto la cittadinanza». Tra un’inchiesta e l’altra, Fiore ha fatto strada anche nel mondo degli affari. I soldi, per lui, sembrano contare almeno quanto la politica. Ma sul tema economico mostra molto meno patriottismo. In Italia risulta infatti intestatario solo di una piccola società, la Immobiliare Brighton. Per il resto la visura camerale mostra una sfilza di cambiali e assegni non pagati. Strano, per un imprenditore che dice di sé: «Sono 40 anni che faccio attività economica e non mi è stato mai trovato un singolo errore». Ad alcuni uomini vicini a Forza Nuova qualche macchia deve averla però trovata la guardia di finanza. C’è infatti un filone tutto economico e ancora riservato nell’inchiesta sui pestaggi ai bengalesi. Nel mirino degli investigatori ci sono cinque imprenditori forzanovisti sospettati di evasione fiscale e false fatturazioni. Gli affari ufficiali di Fiore, dicevamo, sono invece quasi tutti all’estero. Si concentrano in Inghilterra, soprattutto, dove il leader di Forza Nuova è riuscito nell’ardua impresa di creare un impero finanziario mentre era latitante. «Abbiamo cominciato lavando piatti nei ristoranti e facendo gli autisti di taxi. Poi abbiamo avviato una piccola agenzia. Ma il genio degli italiani, si sa, porta oltre». Così lo stesso Fiore ha spiegato l’origine delle sue ricchezze: una rete di società specializzata in viaggi-studio a Londra, forte di proprietà immobiliari e di due marchi noti nel settore, London Orange e Easy London. Al presunto genio italico, però, si aggiunge una massiccia dose di opacità finanziaria. Fanno infatti riferimento a Fiore e ai suoi sodali tre strutture britanniche di trust (società fiduciarie, dove i titolari possono restare anonimi) nelle cui casse sono affluite centinaia di migliaia di sterline. Soldi entrati per anni come donazioni anonime. E poi finiti a società possedute direttamente dalla famiglia del leader di Forza Nuova. Solo negli ultimi quattro anni, per citare un caso, un trust intitolato all’Arcangelo Michele ha incassato 475 mila euro da elargizioni liberali in Gran Bretagna. Chi ha mostrato tanta generosità nei confronti del leader neofascista? Mistero. Di certo buona parte di questi soldi è stata poi girata a Rapida Vis, Futura Vis e Comeritresa, tutte aziende controllate dalla famiglia Fiore. L’attività economica del leader di Forza Nuova non è però circoscritta al solo Regno Unito. Il patriota Fiore ha fatto rotta anche su Cipro, uno dei più rinomati paradisi fiscali europei. Per cinque anni, fino al gennaio del 2016, Fiore è stato infatti azionista della Vis Ecologia, società che si occupa ufficialmente di «riciclo di materiali», ma che ha tutte le caratteristiche della scatola vuota: zero dipendenti, niente sito internet, sede negli uffici di uno studio di commercialisti locali. Le visure camerali dicono che l’impresa è stata registrata a Cipro «per scopi fiscali»: risparmiare sulle tasse. Ma è impossibile sapere quanti soldi abbia gestito: la società non ha mai depositato un bilancio. E Fiore non ha voluto rispondere alle domande de L’Espresso. D’altronde questa non è la sua unica ambiguità. Attraverso l’associazione Alexandrite, il neofascista romano ha di recente organizzato viaggi in Crimea di alcune imprese italiane che hanno poi deciso di trasferire lì la produzione. Non proprio il massimo per chi definisce la globalizzazione «un evento nefasto della storia». Come l’Unione europea, di cui però Fiore ha fatto parte dal 2008 al 2009 come parlamentare, con tanto di finanziamento pubblico da 600 mila euro incassato dalla Apf, la coalizione di estrema destra presieduta dal politico romano. E nefasta come gli stranieri, che a parole Forza Nuova vuole bloccare, ma con i quali intanto fa affari attraverso la società Gruppo Italiana Servizi Postali, un’azienda privata di spedizioni che ha come partner tecnologico Western Union, il servizio di money transfer prediletto dagli immigrati. Eppure proprio Gruppo Italiana Servizi Postali è una delle società più importanti della galassia neofascista: tra i fondatori c’è il figlio di Fiore, Alessandro, mentre l’attuale azionista di maggioranza è l’ex candidato Beniamino Iannace, socio del leader nero in vari altri business in giro per il mondo. Affari e proclami. Slogan per la patria e soldi all’estero. Con altri intrecci, ancora da esplorare: tifo e periferie. Perchè molti dei giovanissimi soldati di Roberto Fiore oggi vengono arruolati tra i giovani dei quartieri di Roma Nord, San Giovanni, Appio, ma anche nelle borgate dimenticate dalla politica. E sugli spalti dell’Olimpico. Nella curva nord della Lazio, in particolare. E da qualche tempo anche tra gli ultras della Roma. La ragazza che ha partecipato al blitz sotto le redazioni di Espresso e Repubblica, per esempio, fa parte degli Irriducibili della Lazio. Una fetta di tifoseria che si è fatta conoscere per le posizione violente, razziste, antisemite, xenofobe. In una parola, neofascisti.

Da corriere.it l'11 ottobre 2021. «Non sono mica Hitler. Mai stato nazista. Fascista sì, invece», ammise Roberto Fiore a margine di una manifestazione contro i nigeriani di Macerata, dopo il delitto di Pamela Mastropietro. E ancora; «Io mi prendo la responsabilità di aver alzato il livello di scontro politico, certo, ma era nostro diritto non restarcene zitti davanti a tante cose: la dittatura delle banche, Embraco, lo ius soli. Però non ho mai alzato le mani contro nessuno». E meno male che non l’ha mai fatto, Fiore, 62 anni, romano, sposato con la spagnola Esmeralda Burgos e padre di 11 figli. Sennò chissà che altro sarebbe successo sabato sera davanti al palazzo assaltato della Cgil, dove lui guidava i suoi di Forza Nuova insieme al luogotenente romano Giuliano Castellino e all’ex Nar Luigi Aronica, arrestati anche loro insieme ad altri nove dalle forze dell’ordine. Fiore in fondo fa sempre così, guida le azioni e poi filosofeggia, come quando tre anni fa insieme ai suoi camerati irruppe con un blitz a La7, durante il programma di Giovanni Floris: «Avevamo i volti scoperti. I volti scoperti sono il primo antidoto alla violenza». Anche sabato davanti alla Cgil lui era davanti a tutti a capo scoperto, infatti lo hanno ripreso fotografi (compresa la Digos) e televisioni. Ma poi s’è visto com’è finita: scontri e bombe carta non sono mancati neanche questa volta. Eppure lui, che pur considera «strategica» per la crescita del suo movimento questa battaglia contro il green pass, a colpi di «disobbedienza civile e anche incivile», spesso e volentieri fa il buonista: «Ai giovani incantati dall’idea della violenza dico che io li ho vissuti gli anni 70 e quella è la strada sbagliata. La via giusta è solo la politica. Si scende in piazza per distribuire pacchi di viveri a chi ha bisogno, non per sparare...». Già, gli anni 70. Nel 1977 aderisce a Lotta Studentesca, l’anno dopo insieme a Giuseppe Dimitri e Gabriele Adinolfi fonda il movimento neofascista eversivo Terza Posizione, rimasto attivo fino al 1982. Nel 1980 si rifugia a Londra per sfuggire a un ordine di cattura emesso dalla Procura di Bologna che indaga sulla strage della stazione del 2 agosto. È allora che comincia la latitanza a Londra anche di Massimo Morsello, il suo alter ego: entrambi, secondo la magistratura, avrebbero fatto parte dei Nar, Nuclei Armati Rivoluzionari, ma con la strage non c’entravano niente. In Inghilterra restano 20 anni, con lo status di rifugiati politici. E Morsello, detto “Massimino”, che è anche cantautore, compone a Londra «I nostri canti assassini - canzoni dall’esilio», colonna sonora della generazione dei campi Hobbit. Nel 1985 Fiore viene condannato per il reato di associazione sovversiva e banda armata, ma l’Inghilterra dice no all’estradizione. A Londra Fiore si muove bene, ha contatti, relazioni che contano. La Commissione europea d’inchiesta su razzismo e xenofobia certifica la sua affiliazione all’MI6, l’agenzia di spionaggio per l’estero del Regno Unito. Nel frattempo con Morsello fonda a Londra anche l’agenzia Meeting Point, collegata con l’italiana Easy London e specializzata in viaggi di studio nella capitale britannica. Gli affari vanno bene: ristoranti, proprietà immobiliari, un mucchio di soldi con cui finanzia i movimenti pro-life. Nel 1997, sempre con Morsello, crea il partito politico Forza Nuova: il giornale del movimento, «Foglio di Lotta», circolava già il 6 maggio del ‘98 tra gli ultrà al Parco dei Principi la notte della finale di Coppa Uefa Lazio-Inter a Parigi. Nel ‘99, a reati prescritti, Fiore torna in Italia e si allea con Alternativa Sociale di Alessandra Mussolini, la nipotina del Duce. Addirittura nel 2008 prende il suo posto al Parlamento europeo. Ma il partito di Forza Nuova non sfonda mai: alle politiche del 2013 Roberto Fiore candidato premier porta a casa appena lo 0,26 per cento dei voti e nel 2019 fa anche peggio: 0,15 per cento. Una vita così: piazze piene (insomma) e urne vuote. Anche da arrestato, il suo mondo comunque oggi non l’abbandona: «Solidarietà al camerata Roberto Fiore, malgrado non sia rimasto con lui in ottimi rapporti», esprime da Reggiolo, dove tre anni fa ha aperto un’osteria romana, Maurizio Boccacci, 64 anni, già leader dell’ormai disciolto gruppo di estrema destra Militia e capo del Movimento politico occidentale, l’organizzazione dei naziskin romani con il covo in via Domodossola smembrata nel ‘93 dall’allora ministro dell’Interno Nicola Mancino dopo gli scontri con gli ebrei del Ghetto. E non si nasconde neppure Giuseppe Meloni, detto Pinuccio, un grosso vichingo tatuato sull’avambraccio sinistro, ex consigliere circoscrizionale del Msi e capo dei Boys della Curva Sud romanista nei primi anni ‘90, che oggi ha 58 anni e sabato era anche lui alla manifestazione dei No Green Pass, «ma sono indagato e non voglio dire di più, certo è che voi giornalisti strumentalizzate, avete scritto che era tutto organizzato da Forza Nuova e invece in piazza c’erano le famiglie, la gente normale, insomma il popolo. C’erano anche i centri sociali, quelli di sinistra. E tutti indistintamente hanno preso le botte dalla polizia».

Edoardo Izzo e Francesco Grignetti per "la Stampa" il 12 ottobre 2021. Le sedi romane sbarrate, anche quella centrale di via Paesiello, via Taranto e pure via Amulio, che dividevano con gli Irriducibili della Lazio. Una è occupata abusivamente e la Fondazione An sta vincendo la causa per la restituzione. Il sito, oscurato. I militanti con la consegna del silenzio. «Per il momento non vogliamo parlare Oggi c'erano gli interrogatori dei ragazzi in carcere e non ci sembrava la situazione adatta per essere lì. Anche perché Forza Nuova è una cosa e la piazza un'altra. In quella piazza c'erano donne e uomini liberi che dicono no alla dittatura sanitaria». Parla per comunicati, Forza Nuova. E promette nuove battaglie. «La musica è cambiata e il direttore d'orchestra e compositore è solo il popolo in lotta che ha deciso di alzare il livello dello scontro. Fino a che il Green Pass non verrà ritirato definitivamente, la rivoluzione popolare non fermerà il suo cammino, con o senza di noi». Premessa indispensabile: Forza Nuova è sempre stata convinta di essere un vero partito come i fratelli maggiori, fin da quando è stata fondata da Roberto Fiore, rientrato dall'esilio in Gran Bretagna nel 1997, lui ricco di almeno 30 milioni di euro per un fiorente business di corsi di lingua e viaggi-studio per italiani. Segue una liturgia classica di congressi, organi dirigenti, segretaria, sedi centrali e regionali, comunicati. Ma è una farsa. Ad ogni elezione, raccoglie uno zero virgola. Nel frattempo ha visto passare molti treni sotto il suo naso, speranzosa di saltargli sopra. L'immigrazione. Gli islamici. La crisi economica. La cattiva Europa. Il sovranismo. Hanno provato persino a cavalcare gli umori degli ultras, quando fu imposto il tesserino del tifoso. Ogni volta una delusione. Con enorme scorno, Salvini li aveva snobbati e si era alleato con gli arcinemici di Casapound, salvo che quella intesa è durata lo spazio di un mattino. Forza Nuova resta comunque sempre inchiodata allo zero virgola. Alle Europee del 2019, Roberto Fiore in tutta Italia ha raccolto appena cinquemila preferenze. Fiore, che nel 2008 è stato pure eurodeputato, nel frattempo ha intrecciato diverse relazioni con l'ultradestra continentale. Ha dato vita a un'associazione, Europa Terra Nostra, con cui ha succhiato diversi finanziamenti alla Ue, il cui ultimo convegno si è tenuto nei giorni scorsi a Belgrado e ha visto una bella accolita di cuori neri: da Nick Griffin, già presidente del British National Party, eurodeputato dal 2009 al 2014, amico fin dai tempi dell'esilio, a Yvan Benedetti del Partito nazionalista francese, formazione nata dalle ceneri dell'Oeuvre Francaise, dichiarata fuorilegge nel 2013 perché nostalgica del regime di Vichy, Claus Cremer del Partito nazionaldemocratico di Germania, Manuel Andrino per la Falange spagnola, Yiannis Zografos della formazione greca Elasyn, nata dallo scioglimento di Alba Dorata. Ebbene, avevano concluso i lavori promettendo lotta dura contro ogni Green Pass, con un chiaro modello in testa: i gilet gialli che per un anno, ogni sabato, hanno scatenato tafferugli a Parigi. Ma anche l'irruzione dei trumpiani a Capitol Hill li ha fatti palpitare, tanto che sabato, prima di devastare la sede della Cgil, avevano progettato di occupare il Parlamento. Per anni, insomma, Forza Nuova ha tentato di uscire dal ghetto extraparlamentare. Qualcosa, però, quest' anno è successo. Ovvero il Covid. Che ai loro occhi è una straordinaria occasione. Almeno a Roma, i capi hanno deciso che era giunto il momento di forzare la situazione. Lo urlavano in un comunicato del 4 ottobre: «Populisti, sovranisti ed euroscettici spariscono, il centrodestra si piega definitivamente al Ppe, stravince il centrosinistra di Draghi, Speranza e Conte e domina il PUC (Partito Unico del Covid). Vince il voto della paura, sparisce il voto anti-sistema e l'italiano che vota si riscopre moderato. Non ci sono spazi nel sistema! La forza della piazza, il movimento e la resistenza al Green Pass e al Grande Reset sono le nostre uniche speranze». Una scelta movimentista, che brandisce la forza della piazza. Ora, però, con gli arresti di Fiore, Giuliano Castellino, la pasionaria Pamela Testa, l'ex Nar Luigi Aronica, il partito di fatto è decapitato. È in carcere pure il figlioccio di Fiore, Fabio Corradetti. Resta fuori soltanto Massimo Ursino, responsabile siciliano, che al telefono sillaba il comunicato ufficiale: «Quanto avvenuto sabato - dice - è uno spartiacque tra vecchio e nuovo, ma media, questure e partiti del sistema non sono in grado di leggere i fatti. Perché non gli conviene e hanno paura, e danno la croce addosso ad un movimento politico che rappresenta una piccolissima componente delle centinaia di migliaia di italiani esasperati». Su Facebook accenna alle future battaglie: «Questa dittatura è propedeutica per una seconda in arrivo, quella green del finto ecologismo, oramai alle porte». Intanto stanno ottenendo sponde impensabili: dal magistrato Angelo Giorgianni all'avvocato Carlo Taormina, a monsignor Carlo Maria Viganò, tutti contro «la dittatura sanitaria». 

Giuseppe Scarpa per "il Messaggero" il 12 ottobre 2021. Gelosie, contrasti, la ricerca di appoggi all'estero, il desiderio di creare alleanze con altri gruppi neofascisti del Vecchio Continente, l'intestazione di società a militanti di Fn che fungono da teste di legno per il leader del movimento e, infine, il sospetto di una manina dei servizi dietro le gesta dei camerati rivali. Ciò che avviene nella galassia neofascista targata Forza Nuova, al moltiplicarsi di sigle nell'estremismo nero, lo svela, inconsapevolmente, uno degli stessi protagonisti. Roberto Fiore, il leader di Forza Nuova intercettato dai carabinieri del Ros in un'inchiesta della procura di Roma di poco tempo fa. È una costante il timore di Fiore per il successo che possono avere i movimenti di CasaPound e di Militia. Ignaro di essere ascoltato dagli inquirenti, il segretario di Fn, il 26 settembre del 2014, parla a ruota libera con un forzanovista, tra i responsabili romani di Fn. «Casapound non esprime più, quello che esprimeva quattro anni fa», esordisce. Poi aggiunge: «Se Maurizio Boccacci (il capo di Militia Italia, storico leader dell'estrema destra dei Castelli Romani, ndr) sì muove, si muove perché si stanno muovendo tutta una serie di situazioni. E questa è roba di servizi. Questo è lo Stato. Sono i servizi, il fatto che Boccacci sia a busta paga, te lo possono confermare persone che. ..». I due passano a discutere di strategie, convenendo che comunque il vento sia «favorevole» a chi nell'estrema destra «resta libero». Un'opportunità che però richiede prudenza: «Io so per storia che nel momento in cui tu rimani solo ti sfondano, e noi in questo momento non abbiamo ancora le difese per opporci... ». Insomma le mosse di CasaPound preoccupano Fiore e il suo entourage ma i dirigenti di Fn concordano sul fatto che non hanno la forza in quel momento di competere e devono concertare una strategia attendista, valutando l'evolversi degli eventi. Chissà se la pandemia e il malcontento generato dalla crisi causata dal Covid, è stato l'occasione che tanto attendevano per rilanciare il loro movimento. In quegli anni, però, sempre secondo gli inquirenti Fiore disponeva dei militanti del partito come voleva. Li spostava come pedine, gli intestava società e conti correnti. «Fiore mi sta mettendo in mezzo a delle società senza dirmi un c... - spiega M.S., 28enne militante di Fn ad un altro esponente in una conversazione intercettata dal Ros nel 2014 - io vorrei sapere qualcosa, vuole aprire un conto a nome mio in Inghilterra guarda ti prego (...) io non so che fare». «I timori espressi dal 28enne - scrivono i carabinieri - trovavano conferma perché quest' ultimo risultava, dal 2 marzo 2014, rivestire le cariche nella UK Privilege Ltd». Quest' ultimo non è l'unico a ricoprire ruoli di vertice nelle società senza uno straccio di competenza. Stessa cosa per il forzanovista R. M., amministratore unico della Act Comunication srl e amministratore della Fresh Wash Srl che gestisce una lavanderia a Roma. Con l'Act Comunication il militante di Fn gestisce milioni di euro in entrata e in uscita eppure «non è in grado di riferire alla dipendente di banca Fineco le motivazioni commerciali alla base dei trasferimenti di denaro in favore di un'altra società», sostiene il Ros. Dalle carte emerge anche la rete internazionale del movimento. Fiore viaggia per l'Europa dal 2014, arriva fino al Medio Oriente, in Siria. Poi in Grecia dai fratelli di Alba Dorata assieme all'eurodeputato Udo Voigt eletto con il partito Nazionaldemocratico di Germania. Infine Forza Nuova si muove, secondo il Ros in Russia alla ricerca di sostegno politico.

L'imprenditore arrestato dopo l'irruzione alla Cgil. Chi è Biagio Passaro, leader di "IoApro" arrestato per gli scontri di Roma dei no Green pass. Fabio Calcagni su Il Riformista il 10 Ottobre 2021. Un video pubblicato sui social, e ancora oggi presente su Facebook, dal titolo evidente: “Si sfonda la sede della Cgil a Roma”. Così sabato pomeriggio Biagio Passaro filmava in mezzo alla folla di no Green pass ed estremisti l’assalto alle istituzioni che ha paralizzato la Capitale, con gli atti di vandalismo all’interno della sede nazionale del più grande sindacato d’Italia e il tentativo di assaltare Palazzo Chigi e Parlamento. Passaro è tra le dodici persone arrestate per gli scontri di ieri, in compagnia dei leader di Forza Nuova Roberto Fiore e Giuliano Castellino, o l’ex Nar Luigi Aronica, soprannominato “er pantera di Monteverde”. Ma Passaro col mondo dell’estremismo di destra non c’entra nulla: il suo nome è venuto alla ribalta in quest’ultimo anno di pandemia. L’imprenditore e ristoratore di origine napoletana ma modenese d’adozione, general manager del Regina Margherita Group, un franchising di pizzerie con punti vendita anche all’estero, si è fatto notare sui giornali grazie al movimento ‘IoApro’ di cui è uno dei leader. “Ragazzi, IoApro e tutti hanno invaso la Cgil”, dice infatti Passaro durante una diretta su Facebook mentre testimonia gli atti di vandalismo all’interno della sede del sindacato a Roma, mentre all’esterno piovono insulti contro il segretario generale Maurizio Landini e all’interno si distrugge tutto quello che si trova a portata di mano. 

Passaro e il suo gruppo nel tempo sono diventati di fatto un interlocutore politico: sui social sono presenti foto del ristoratore con Matteo Salvini o Vittorio Sgarbi, mentre sabato sul palco allestito a piazza del Popolo c’era anche lui in compagnia di Castellino e con tanto di selfie con l’avvocato Carlo Taormina. Negli scorsi mesi Passaro e i suoi ‘seguaci’ hanno protestato pubblicamente contro le misure anti-Covid prese dal governo, dall’esecutivo Conte a quello di Mario Draghi. Sui suoi social è facile imbattersi in post contro il green pass: ‘IoApro’ è addirittura promotore di un referendum per l’abrogazione del certificato verde. 

Fabio Calcagni. Napoletano, classe 1987, laureato in Lettere: vive di politica e basket.

Ora tra gli arrestati spunta Luigi Aronica: chi è l'ex Nar. Francesco Boezi il 10 Ottobre 2021 su Il Giornale. Non solo Roberto Fiore e Giuliano Castellino: tra le decine di fermi, c'è anche quello di Luigi Aronica. Chi è l'ex Nar. Emergono ulteriori dettagli sulle persone fermate dalle forze dell'ordine per le violenze che ieri hanno avuto luogo a Roma: oltre al leader di Forza Nuova Roberto Fiore ed a Giuliano Castellino, infatti, è spuntato il nome di Luigi Aronica, che risulta essere un ex appartenente ai Nuceli armati rivoluzionari. La notizia dell'arresto da parte della Digos è stata riportata dall'Agi. Nel caso di Aronica, le informazioni che circolano in queste ore riguardano soprattutto il soprannome: viene riportato che il nomignolo associato all'ex Nar è "er pantera". Aronica, peraltro, dovrebbe avere sessantacinque anni.

Le informazioni che circolano

La piazza di ieri è stata animata dallo squadrismo: su questo punto la politica è stata unanime. La violenza dei no pass condita dall'assalto alla Cgil ha dunque visto come protagonisti sia vertici delle organizzazioni contemporanee, sia almeno una persona che era balzata alle cronache del passato per vicende relative agli anni in cui questa nazione è stata messa a ferro e fuoco dallo spontaneismo armato, dal terrorismo e dalla contrapposizione ideologica. In questo articolo di Famiglia Cristiana relativo alla "galassia nera" della capitale, Luigi Aronica era stato chiamato in causa per non perdere "una manifestazione di "Roma ai romani", schierato al fianco di Castellino". Era il settembre del 2007.

Nel frattempo, su Twitter, alcuni giornalisti stanno sottolineando come Aronica fosse conosciuto per essere uno dei fondatori dei Nuclei armati rivoluzionari. L'obiettivo degli addetti ai lavori è anche quello di dipanare qualunque dubbio su quale sia l'origine ideologica delle scene cui siamo stati costretti ad assistere nel corso della giornata di ieri. Tornando al contemporaneo, in questo altro approfondimento di Repubblica che risale al 2020, il nome di Luigi Aronica viene fatto in relazione ai frequentatori del pub romano di Forza Nuova. E pure in questa circostanza viene presentato un riferimento alla passata appartenenza della persona arrestata in queste ore ai Nar di Valerio Fioravanti e di Francesca Mambro. Il Corriere della Sera, ancora, cita Luigi Aronica in relazione ad un'informativa sul caso dell'omicidio di Diabolik.

Cos'erano i Nar

NAR - com'è noto - è stata la sigla di una delle organizzazioni terroristiche e neofasciste che hanno animato gli Anni di piombo. Se non la più violenta, di sicuro tra le più violente di quella tragica fase storica del Belpaese. Difficile presentare una classifica. In questo caso, parliamo di un movimento che si è reso responsabile numerosi omicidi.

I NAR sono sorti attorno alla fine degli anni settanta, cioè quando una parte dell'estrema destra giovanile ha iniziato a ragionare su come il Movimento sociale italiano fosse troppo appiattito sulle logiche partitiche e su quelle parlamentari. Due le sezioni romane nelle quali si è iniziato, all'epoca, a costruire un'organizzazione che poi sarebbe stata chiamata in causa a livello processuale pure per la strage di Bologna; quella di via Siena, storica sede in prossimità dell'Università La Sapienza, e quella dell'Eur-Monteverde. Sembrerebbe che Aronica frequentasse durante gli Anni di Piombo la seconda di queste due realtà.

Vale la pena sottolineare come i leader dei NAR, ossia Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, siano tra coloro che sono stati ritenuti colpevoli per la strage della stazione di Bologna che è avvenuta all'inizio dell'agosto degli anni ottanta. Gli altri due condannati sono Luigi Ciavardini e Gilberto Cavallini. 

Francesco Boezi. Sono nato a Roma il 30 ottobre del 1989, ma sono cresciuto ad Alatri, in Ciociaria. Oggi vivo in Lombardia. Sono laureato in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali presso la Sapienza di Roma. A ilGiornale.it dal gennaio del 2017, mi occupo e scrivo soprattutto di Vaticano, ma tento

Chi è Giuliano Castellino, il leader di Forza Nuova che ha guidato la violenta protesta dei No green pass. Fabrizio Caccia su Il Corriere della Sera il 10 Ottobre 2021. Uno dei leader della violenta protesta «no green pass» a Roma è il luogotenente di Roberto Fiore. Condanna a 5 anni e mezzo per un’aggressione a due giornalisti. Ieri è stato fermato e portato in questura. Agli albori della sua vita violenta, «finimmo sotto processo in sette - ricorda sempre Giuliano Castellino -. Io, Danielino , Marione , Peppone , il Mortadella , il Mafia e Guglielmo il Farmacista . Mortadella, Peppone e il Mafia non ci sono più, sono morti da tempo...». Ma eravamo solo nel 1996 e Castellino era ancora alle prime armi: così fu coinvolto insieme agli altri capi ultrà della Curva Sud nell’inchiesta sui presunti ricatti della tifoseria della Roma alla società. Biglietti gratis in cambio di pace all’Olimpico. Tutti assolti. Ma lui oggi a 45 anni è il capo romano di Forza Nuova, il luogotenente, l’ombra di Roberto Fiore, il leader nazionale, che già un anno fa, a una manifestazione di no mask a Roma, dettò così la linea al movimento neo-fascista: «Questa battaglia per noi è strategica. A eventuali nuovi lockdown risponderemo con la disobbedienza civile e anche incivile». Come la guerriglia di ieri, per cui è stato fermato e portato in questura. «Qui non ci sono fascisti - disse Castellino dal palco dei no mask, con tutti i suoi tatuaggi e i suoi cento chili da Raging Bull - qui c’è il popolo, ci sono le famiglie, io sono qui come padre di tre figli che ha perso il lavoro durante il lockdown». Fu un abile comizio. Perché in fondo, oltre alla violenza, ad affascinarlo è sempre stata la politica. Un tempo provò a istituzionalizzarsi: dirigente nel 2013 della Destra di Francesco Storace e prima ancora sostenitore di Gianni Alemanno col movimento «Popolo di Roma». Ma dopo tanto peregrinare ha abbracciato la sua vera vocazione: la trincea e lo scontro. E così sono arrivati pure gli arresti e le condanne. Il Capodanno del 2015 passato in Questura dopo che gli trovarono un etto di cocaina e 30 petardi a casa («Erano per i botti di San Silvestro», si giustificò e fu assolto). E i 5 anni e mezzo di carcere per aver aggredito nel cimitero del Verano il 7 gennaio del 2019 due reporter de L’Espresso (i giornalisti non gli sono mai piaciuti) durante una cerimonia per i morti di Acca Larentia. Fino ai giorni nostri, alla sorveglianza speciale, l’obbligo di soggiorno, il braccialetto elettronico e un Daspo di 5 anni inflittogli dal questore di Roma per le manifestazioni no green pass: «Per me è una medaglia, continuerò la lotta», la sua spavalda risposta. Solo una volta, Castellino ha tentennato: 26 agosto scorso, stadio Olimpico, Roma-Trabzonspor. Un fotografo lo aveva «pizzicato» sugli spalti. Ma come? Proprio lui allo stadio col green pass? «Inconcepibile - c’è scritto nel regolamento di Fn - che un forzanovista pensasse di combattere questa guerra avendo scaricato il passaporto sanitario, fingendo di fare il guerriero e mentendo ai suoi camerati». E lui, timidissimo: «Ho fatto il tampone, era negativo e sono entrato solo col certificato». La Roma nel suo destino.

Da lastampa.it il 9 ottobre 2021. Vogliono le dimissioni di Draghi e Mattarella e al grido «ci prendiamo la capitale» definiscono «assassini» chiunque si metta sulla loro strada per la «libertà». Sono i 10mila manifestanti no vax e no Green Pass che hanno messo sotto sopra Roma scontrandosi a più riprese con la polizia. Prima un lancio di oggetti contro le forze dell’ordine, ma la discesa verso piazzale Flaminio bloccando il traffico: la manifestazione è stata indetta sui social da diversi profili e vede anche Forza Nuova tra gli organizzatori. Per le strade della capitale ci sarebbero almeno 10mila persone a protestare contro l’obbligatorietà della certificazione verde. Il sit-in, autorizzato dalla Questura in piazza del Popolo dalle 15 alle 19, si è trasformato in un corteo non autorizzato quando una parte dei manifestanti si è staccata tentando di entrare in via Veneto, forzando il cordone delle forze dell'ordine. Nel corso della protesta, un manifestante è salito sul tetto di un blindato delle forze dell'ordine schierato all'angolo tra la piazza e via del Babuino. Alcune centinaia di manifestanti si stanno dirigendo verso Palazzo Chigi: diversi manifestanti hanno il volto coperto e sono presenti anche esponenti di Forza Nuova, con le bandiere tricolore. Su via del Tritone sono stati lanciati alcuni fumogeni. E a Largo Chigi, poco distante da Palazzo Chigi, il cordone delle forze dell'ordine che è impegnato a contenere i manifestanti del sit in No green pass ha esploso diversi lacrimogeni per disperdere la folla ed evitare ulteriori scontri. La polizia ha poi azionato gli idranti dai blindati. La situazione è ancora molto tesa. I manifestanti in risposta lanciato petardi e bombe carta. Al passaggio sotto alla sede della Cgil in Corso d’Italia i manifestanti hanno intonato i cori «Libertà, libertà...» seguito da «assassini». Sono questi i cori dei manifestanti arrivati davanti alla sede della Cgil a Corso d'Italia dopo il sit-in no-Vax e no Green Pass che si è tenuto nel pomeriggio a piazza del Popolo, al centro di Roma. Nel frattempo, ci sono registrare cariche della polizia dopo che alcuni manifestanti, diretti verso da Villa Borghese, si sono scagliati contro gli agenti cercando di sfondare il cordone delle forze dell'ordine. Due manifestanti sostengono di essere stati «investiti da un blindato delle forze dell'ordine, intervenuto sul posto durante i tafferugli». Un incidente che la Questura nega ci sia mai stato.

GUERRIGLIA URBANA DEI NO-VAX NELLA CAPITALE ED A MILANO. Il Corriere del Giorno il 9 Ottobre 2021. 10.000 persone hanno cominciato la loro protesta provando a forzare il blocco delle forze dell’ordine lungo via del Corso via del Babuino e via di Ripetta. Urlano chiedendo le dimissioni di Draghi e Mattarella e al grido “ci prendiamo la capitale” definiscono “assassini” chiunque si metta sulla loro strada per la “libertà”. Il centro della Capitale è stato messo sotto sopra in un pomeriggio di guerriglia urbana in tutto con un fitto lancio di lacrimogeni fra via Veneto e Largo Chigi durante la manifestazione organizzata dai movimenti No Green Pass che si erano radunati alle 15 in piazza del Popolo e alla Bocca della Verità. A questa iniziativa si sono presentate però solo poche decine di persone mentre tutti gli altri, circa 10.000 persone hanno cominciato la loro protesta provando a forzare il blocco delle forze dell’ordine lungo via del Corso via del Babuino e via di Ripetta. Urlano chiedendo le dimissioni di Draghi e Mattarella e al grido “ci prendiamo la capitale” definiscono “assassini” chiunque si metta sulla loro strada per la “libertà”. Vi sono stati degli scontri con le forze dell’ordine nel corso dei quali anche Giuliano Castellino leader romano di Forza Nuova (che cavalca l’ondata di protesta) è rimasto ferito alla testa. Ma ha poi proseguito la protesta in cima al corteo che a quel punto si è diviso in due tronconi: il primo verso via Veneto e l’Ambasciata Americana e il secondo verso la sede della Cgil a Corso d’Italia davanti alla quale si sono radunati in circa 1000 gridando “traditori traditori”, “Nessuno può toglierci il lavoro che ci siamo conquistati onestamente e duramente”, “Landini dimettiti”, i cori rivolti all’indirizzo del segretario generale della Cgil Maurizio Landini.. Alla sede del sindacato vi è stato un vero e proprio assalto, che è stato difficile contenere da parte delle forze dell’ordine. “La nostra sede nazionale, la sede delle lavoratrici e dei lavoratori, è stata attaccata da Forza Nuova e dal movimento no vax. Abbiamo resistito allora, resisteremo ora e ancora. A tutti ricordiamo che organizzazioni che si richiamano al fascismo vanno sciolte”, ha commentato la Cgil su Twitter. “L’assalto alla sede della Cgil nazionale è un atto di squadrismo fascista. Un attacco alla democrazia e a tutto il mondo del lavoro che intendiamo respingere. Nessuno pensi di far tornare il nostro Paese al ventennio fascista”, le parole del segretario generale della Cgil, Maurizio Landini. A quanto si apprende il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, ha telefonato a Landini, per esprimergli solidarietà dopo l’assalto. Anche il presidente del Consiglio, Mario Draghi, ha telefonato al segretario generale della Cgil per esprimere a lui e a tutto il sindacato la piena solidarietà del Governo per l’assalto avvenuto alla sede di Roma. “I sindacati – si legge in una nota di Palazzo Chigi – sono un presidio fondamentale di democrazia e dei diritti dei lavoratori. Qualsiasi intimidazione nei loro confronti è inaccettabile e da respingere con assoluta fermezza. Il resto dei manifestanti presenti a piazza del Popolo ha cercato ripetutamente di provare a forzare il blocco delle forze dell’ordine lanciando anche sedie contro gli agenti. Altri tafferugli sono esplosi a piazza Barberini con lanci di lacrimogeni e bombe carta, come successo anche poco dopo lungo via del Tritone e al largo Chigi. Qui i manifestanti sono arrivati a ridosso della sede del Governo e del parlamento dove si trovavano però anche alcune decine di migliaia di turisti e ragazzi per il sabato pomeriggio della movida dello shopping che hanno vissuto attimi di paura , mentre le forze dell’ordine hanno bloccato i manifestanti che puntavano a occupare piazza Colonna dove ha sede la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Le forze dell’ordine hanno operato “con interventi proporzionati alle azioni dei manifestanti”, ha sottolineato la Questura di Roma. Nel corso della protesta ci sono stati momenti di tensione e ‘‘sono stati utilizzati lacrimogeni e idranti per disperdere i gruppi violenti’‘. Fallita la trattativa nonostante la mediazione di Gianluigi Paragone, l’ ex grillino, ed ex candidato alla poltrona di Sindaco di Milano alle ultime elezioni amministrative, da sempre contrario al certificato vaccinale, con la Digos che avrebbe accettato di farli partire a condizione di conoscere il percorso, il corteo No Green Pass, anarchici in testa, hanno sfondato i cordoni delle forze dell’ordine e si è messo in marcia lungo il centro di Milano. In un primo momento l’intenzione era quella di dirigersi verso la Darsena, poi invece la manifestazione No Green Pass, la dodicesima che si svolge a Milano, è partita senza autorizzazione verso piazza Diaz, man mano ‘gonfiandosi’ fino a raggiungere il numero di cinquemila partecipanti. Le forze dell’ordine in assetto antisommossa hanno quindi fatto una carica di alleggerimento contro la testa del corteo No Green Pass di Milano. I funzionari dell’ordine pubblico avevano schierato poliziotti e carabinieri in via Vitruvio per impedire ai manifestanti di raggiungere la stazione Centrale dopo aver deviato da corso Buenos Aires. È il terzo sabato consecutivo che si registrano contatti tra manifestanti e forze dell’ordine. I manifestanti hanno quindi provato a entrare nella stazione Centrale. Un tentativo non andato buon fine perché gli accessi alla Galleria delle Carrozze e sul lato di piazza Luigi Savoia sono stati chiusi preventivamente. Inoltre a presidio dello scalo sono schierate le forze dell’ordine in assetto antisommossa. Dopo la carica di alleggerimento in via Vitruvio i contestatori avevano raggiunto piazza Duca d’Aosta passando da via Scarlatti, una via parallela a quella dopo era stato istituito lo sbarramento. Gli slogan dei manifestanti sono sempre quelli delle precedenti manifestazioni, insulti a Draghi e al governo, “Draghi appeso a testa in giù” è l’ultimo nuovo coro di giornata. Alcuni inneggiano a favore “Nunzia Nunzia“, la vicequestora “ribelle” Schillirò che per salvarsi dai provvedimenti disciplinari sim è rifugiata dietro una sigla sindacale. Nella zona del centro milanese interessata dalla manifestazione il traffico è impazzito in tutta la circonvallazione interna, corso Monforte, corso Venezia. La Questura ha risposto con l’invio immediato di decine di camionette della Polizia. La Questura di Milano in una nota fa sapere che l’iniziativa No Green Pass, “non preavvisata, ha preso le mosse da piazza Fontana. Il dispositivo messo in campo ha impedito ai manifestanti, che non interagiscono con le Forze dell’Ordine, di accedere alla piazza Duomo”. “I contingenti della Polizia di Stato e dei Carabinieri, a presidio degli obiettivi sensibili disposti lungo il percorso intrapreso da circa 5mila persone, continuano a monitorare il flusso dei manifestanti cercando di evitare un eccessivo avvicinamento al centro cittadino e agli obiettivi sensibili ed evitando l’acuirsi di momenti di tensione con gli automobilisti irritati per i disagi provocati”. “Momenti di tensione si sono registrati quando il flusso dei manifestanti ha deviato da corso Buenos Aires tentando in più punti di forzare i cordoni di polizia per raggiungere la stazione. Dopo ripetuti tentativi, i manifestanti hanno raggiunto il piazzale della stazione cercando di accedere all’interno della stessa con il verosimile intento di bloccare il traffico ferroviario. La Polizia Ferroviaria ha presidiato alcuni varchi di accesso e chiusi gli altri riuscendo, con i contingenti di forze di polizia, a scongiurare l’accesso alla stazione”.

La guerriglia nella Capitale. No Green pass a Roma, la regia neofascista dietro gli scontri: chi sono i fermati per la guerriglia urbana. Fabio Calcagni su Il Riformista il 10 Ottobre 2021. Prima hanno aizzato la folla da piazza del Popolo, poi l’hanno guidata verso gli assalti ai palazzi del potere, dalla sede nazionale della Cgil al tentativo di arrivare a Palazzo Chigi e al Parlamento. È la regia neofascista dietro gli scontri di ieri a Roma, con la Capitale tenuta in ostaggio dai violenti che si sono ‘infiltrati’ nella protesta dei no green pass. Un quadro evidente già dalle immagini che mostrano i due leader di Forza Nuova, Roberto Fiore e Giuliano Castellino, alla testa dei manifestanti che si sono staccati dal corteo di piazza del Popolo per dare l’assalto alla sede della Cgil. Castellino, pluri-daspato e sottoposto a sorveglianza speciale, staziona davanti l’ingresso della Cgil assaltato dalla folla assieme a Roberto Fiore, fondatore del movimento neofascista. Al momento sono 12 le persone arrestate perché coinvolte negli scontri di ieri a Roma. Secondo quanto riportano le principali agenzie tramite fonti della Questura capitolina, tra gli arrestati compaiono anche i vertici di Forza Nuova, ovvero Fiore e Castellino. Quest’ultimo era stato fermato nella serata di ieri e portato in Questura per accertarne le responsabilità, una posizione al vaglio degli investigatori della Digos.

CHI E’ CASTELLINO – Castellino, 44 anni, è diventato di fatto uno dei leader della protesta contro il green pass: era infatti in piazza già il 14 e 28 agosto scorsi, nonostante fosse destinatario da gennaio di un provvedimento di sorveglianza speciale proprio per alcune azioni violente durante le manifestazioni contro il lockdown. Castellino è anche un pluri-daspato per eventi sportivi.

I ‘NERI’ IN PIAZZA – Ma a fare compagnia a Castellino nella piazza romana c’erano anche altri esponenti del mondo ‘nero’. Scrive infatti Repubblica che assieme ai due leader di Forza Nuova c’era anche il quasi omonimo Luca Castellini, leader della curva dei tifosi del Verona, notoriamente di estrema destra.  Ma a Roma a protestare c’era anche Giuseppe Meloni, noto come “Pinuccio la Rana”, ex capo dei Boys della curva sud romanista ed ex consigliere di municipalità del Movimento Sociale Italiano. Presente anche Andrea Insabato, ex Terza Posizione, già vicino a Forza Nuova e Militia Christi, condannato in primo grado a 12 anni per l’attentato alla redazione de Il Manifesto del dicembre 2000. Presente, scrive ancora Repubblica, anche il magistrato Angelo Giorgianni, autore del libro “Strage di Stato. Le verità nascoste del Covid 19”, una sorta di manifesto di negazionisti e complottisti nostrani.

Fabio Calcagni. Napoletano, classe 1987, laureato in Lettere: vive di politica e basket.

La guerriglia in strada, l'assedio a Palazzo Chigi e gli scontri: è la violenza dei no pass. Stefano Vladovich il 10 Ottobre 2021 su Il Giornale. Il leader di Forza Nuova Castellino a guidare la protesta. Respinto l'assalto a un blindato, poi il corteo punta verso i palazzi del potere. Sparati fumogeni e bombe carta, i manifestanti bloccati con lacrimogeni e getti degli idranti. Roma. Assalto alla capitale. Blindati circondati da centinaia di manifestanti, calci alle camionette della celere, lancio di bottiglie e bombe carta contro gli agenti in tenuta anti sommossa, saracinesche abbassate e turisti in fuga. Roma come al G8 di Genova. Assaltata e occupata la sede nazionale della Cigl, tafferugli in via del Tritone, giornalisti spintonati e cacciati. Decine di fermati, fra questi ultrà di varie tifoserie. Doveva essere un «pacifico» sit-in, uno dei tanti programmati dai gruppi No Pass, in piazza del Popolo, a Roma. In meno di un'ora si è trasformato in guerriglia urbana. Dai 10mila in piazza, provenienti da tutt'Italia, si staccano a gruppi di centinaia, tutti con il volto coperto e armati di bastoni e petardi. A guidare un primo corteo non autorizzato il leader di Forza Nuova, Giuliano Castellino, sorvegliato speciale, già colpito da tre Daspo, inspiegabilmente in piazza nonostante i divieti. «Siamo 100mila - dice Castellino - Oggi fermiamo il certificato verde. La forza della piazza contro la tirannia sanitaria, la forza della gente contro le emergenze inventate». «Stasera ci prenderemo Roma» gridano altri, dai megafoni, incitando alla rivolta. Pomeriggio di scontri durissimi, insomma, fra migliaia di «black bloc No Pass» diretti da via del Corso a Palazzo Chigi ma respinti da cariche della polizia. Lacrimogeni, getti d'acqua ad alta pressione, manganellate: ci sono volute ore per disperdere i più violenti. Gruppi ben organizzati e armati di pietre, bombe carta, bottiglie. Ore 17, tra piazza del Popolo e piazzale Flaminio la polizia è costretta a ritirarsi dopo un primo assalto di un centinaio di persone a un blindato. Un'azione che solo per un soffio non si è trasformata in tragedia, quando il gruppo cerca di ribaltare il mezzo. Colpi di bastone e pugni ai finestrini, sassi contro il parabrezza. E c'è stato chi, persino, si è arrampicato fino al tetto del furgone urlando «Libertà Libertà». A quel punto gli agenti non hanno potuto fare altro che battere in ritirata, evitando che l'assalto avesse gravi conseguenze. Ma è da Porta Pinciana, direzione villa Borghese e via Veneto, che due ali si staccano dal resto dei manifestanti. Secondo quanto scrivono in diretta sui social, sono i poliziotti a cercare di investire un paio di manifestanti. Volti coperti, il tricolore sventolato davanti alle telecamere, urla e insulti al primo ministro Mario Draghi. Lancio di petardi, sassi, sanpietrini, in programma c'è un blitz contro i sindacati. Alle 17,58, prima che le forze dell'ordine possano fare muro, viene sfondato il portone della Cigl facendo scattare il sistema d'allarme al grido di «Landini Landini dimettiti». Poi: «Giù le mani dal lavoro. Venduti». Nell'atrio c'è chi distrugge quello che capita a tiro, altri li fermano: «No, non dobbiamo sfasciare». Già fatto. Il sindacato, «colpevole» secondo i No Green pass, di non difendere i lavoratori, costretti dal 15 ottobre ad avere il certificato per entrare nei posti di lavoro, è occupato. «Come si può consentire a un corteo di partire da piazza del Popolo e arrivare alla sede della Cigl? Non basta dire che sono fascisti, bisogna impedire con ogni mezzo di agire indisturbati. Nessun dialogo con chi assalta le sedi sindacali» twitta Marco Bentivogli, ex segretario generale della federazione metalmeccanici. Il corteo non autorizzato sfonda il cordone di polizia e guardia di finanza in largo Brasile, dopo esser passato per villa Borghese. A guidarlo è ancora il leader nazionale di Forza Nuova Roberto Fiore, affiancato da Giuliano Castellino. Sono passate le 18 quando la polizia esplode diversi colpi di lacrimogeni per impedire l'assalto a Palazzo Chigi. Gli agenti sbarrano l'accesso al portone posteriore all'edificio del Parlamento. Poi tocca ancora una volta agli idranti, ma i manifestanti non mollano e rispondono alle cariche lanciando di tutto. Una guerra. Alla testa dei dimostranti sempre esponenti di Forza Nuova, decisi a sfidare la polizia nonostante siano in molti a chiedere di manifestare pacificamente. Mezz'ora dopo viene bloccato il traffico sul lungotevere occupando ponte Margherita, l'attraversamento sul fiume all'altezza di piazza del Popolo. In via del Corso manifestanti e forze di polizia si fronteggiano. Sono decine le persone portate in questura, alcuni feriti sono stati soccorsi ma nessuno è in gravi condizioni. Al vaglio degli investigatori ruoli e posizione dei fermati. Una regia unica, secondo gli inquirenti che indagano sugli scontri. Centinaia di filmati sono in mano agli uomini della Digos che dovranno individuare i responsabili di quanto accaduto. Stefano Vladovich 

Il blitz nella sede Cgil: "Piano terra distrutto". Sdegno bipartisan, Mattarella chiama Landini. Pasquale Napolitano il 10 Ottobre 2021 su Il Giornale. Condanna del premier Draghi: "Violenza inaccettabile". E tutti i partiti si accodano. Offensiva di Letta: "Forza Nuova deve essere sciolta". Dopo l'assalto degli estremisti di destra «no green pass» a Corso Italia, i segretari generali di Cgil, Cils e Uil hanno indetto una manifestazione «nazionale e antifascista» per sabato 16 ottobre a Roma chiedendo lo scioglimento per legge di tutte le organizzazioni neofasciste e neonaziste, affermano in una nota Maurizio Landini, Luigi Sbarra e Pierpaolo Bombardieri, ribadendo che «è il momento di affermare e realizzare i principi e i valori della nostra Costituzione». Una scelta singolare considerato che sabato prossimo è giornata di silenzio elettorale in vista dei ballottaggi delle amministrative il più importante dei quali è proprio a Roma e vede il centrodestra in vantaggio con il civico Michetti vicino a Fdi. Intanto, dal mondo politico arriva la condanna bipartisan dopo le violenze di Roma e Milano. Il presidente del Consiglio Mario Draghi è netto: «Il diritto a manifestare le proprie idee non può mai degenerare in atti di aggressione e intimidazione», ringraziando «i milioni di italiani che hanno già aderito con convinzione e senso civico». Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha telefonato a Maurizio Landini per esprimergli solidarietà dopo l'assalto al palazzo della Cgil. Forza Italia compatta: «Non c'è spazio nel nostro Paese per i violenti no green pass. Mi auguro che i responsabili vengano individuati al più presto», attacca da Twitter il coordinatore nazionale Antonio Tajani. Sulla stessa linea il capogruppo dei senatori azzurri Anna Maria Bernini: «Manifestare è un diritto costituzionale, ma chi lancia le bombe carta in nome della libertà è un provocatore». Il leader del Pd Enrico Letta parla di «attacchi squadristi» e chiede lo scioglimento di Forza Nuova. «Ho chiamato Maurizio Landini per esprimere tutto il nostro sdegno e la nostra completa solidarietà alla Cgil. Dobbiamo reagire subito, non bisogna lasciare nessuno spazio alla violenza fascista», scrive su Twitter. Anche l'ex segretario Nicola Zingaretti condanna le violenze ed esprime solidarietà alle forze dell'ordine e alla Cgil «per il vile e preoccupante attacco subito». Giorgia Meloni, leader di Fdi, parla di «immagini vergognose». «Esprimo - dice - la mia totale vicinanza alle forze dell'ordine e la piena solidarietà al segretario dalla Cgil, Landini. Solidarietà anche a migliaia di manifestanti scesi in piazza per protestare legittimamente e di cui nessuno parlerà per colpa di delinquenti che usano ogni pretesto per mettere in atto violenze gravi e inaccettabili». Matteo Salvini avverte: «La violenza non è mai giustificata, non è mai la soluzione. Non confondiamo la violenza di pochi criminali con le richieste ragionevoli di chi vuole tutelare salute, diritti, libertà e lavoro». Dal M5S si leva la voce di del ministro degli Esteri Luigi di Maio: «Questi non sono manifestanti, sono delinquenti. Massima vicinanza alle forze dell'ordine. Basta con questa violenza inaudita, basta strumentalizzare i vaccini e il green pass: stanno salvando vite umane ed evitando nuove chiusure. Con la salute dei cittadini non si scherza». Vicinanza alla Cgil anche dal presidente della Camera, Roberto Fico: «Esprimere le proprie opinioni e manifestare pacificamente è legittimo, usare la violenza invece no. Le manifestazioni squadriste a Roma sono inaccettabili e vanno condannate». Pasquale Napolitano

Giovanni Bianconi per il "Corriere della Sera" il 12 ottobre 2021. «Volevo occupare il Parlamento», ha ammesso uno degli arrestati negli scontri di sabato davanti al giudice che l'ha mandato in carcere. Ha dei precedenti per danneggiamenti e resistenza, ma non è un militante di Forza nuova. È un protagonista dei tumulti reclutato sul momento dalla propaganda del gruppo neofascista, in grado di trascinare piccole folle che possono mettere in seria difficoltà la tenuta dell'ordine pubblico. Com' è accaduto con l'assalto alla Cgil. Dietro c'è la pianificazione, ma anche l'istigazione che - al di là del destino di Forza nuova e dei suoi aderenti - la magistratura ha deciso di provare a fermare. Non c'erano solo rivendicazioni nei proclami diffusi attraverso i social network e sul sito internet di Forza nuova oscurato per ordine della Procura. C'era anche l'incitamento a proseguire con le proteste, senza curarsi dei limiti consentiti. «Mesi di piazze pacifiche non hanno fermato l'attuazione accelerata del Great Reset», annunciavano nell'ultimo comunicato - dopo l'arresto di Roberto Fiore, Giuliano Castellino e altri esponenti del gruppo - quattro militanti firmatisi con nome e cognome: «Ora la musica è cambiata e il direttore d'orchestra e compositore è solo il popolo in lotta - costretto a difendersi dalla ferocia unanime di chi dovrebbe rappresentarlo, e l'attacco alla Cgil rientra perfettamente in questo quadro analitico - che ha deciso di alzare il livello di scontro». La strategia di mescolarsi alla protesta no vax, che in grande maggioranza non ha a che vedere con la violenza né ideologie estremiste, porta i neofascisti fin quasi a mettersi da parte rispetto alla «massa» delle contestazioni. «Media mainstream , questure e partiti del sistema - accusano i dirigenti di Fn rimasti in libertà - non sono in grado di leggere i fatti (perché non gli conviene e hanno paura), e danno la croce addosso a un movimento politico che non rappresenta che una piccolissima componente delle centinaia di migliaia di esasperati che hanno invaso prima piazza del Popolo e poi le strade del centro della Capitale per puntare ai palazzi dell'odiato potere». La versione del gruppo è dunque che «il popolo» ha deciso l'assalto al potere, e contro di esso il potere ha scatenato la repressione. Nei comunicati si parla di «violenza e ferocia inaudite» da parte delle forze dell'ordine e di «ripetuti tentativi di uccidere qualcuno tra i manifestanti». Toni da propaganda che quasi si fanno beffe della reazione di partiti e istituzioni: «Dell'antifascismo, e con esso delle vecchie categorie ideologiche del secolo scorso, al popolo non interessa nulla». Tuttavia la ricostruzione fornita dalla Digos di Roma ai magistrati che dovranno decidere sugli arresti dei sei militanti di Forza nuova accusati dell'assalto alla Cgil racconta un'altra storia: «il popolo» è stato sapientemente e scientemente guidato verso la sede del sindacato, perché quello era l'obiettivo individuato proprio dai capi del movimento. Da piazza del Popolo sarebbero stati proprio Castellino e i suoi seguaci a chiedere di poter raggiungere in corteo Corso d'Italia. Mentre erano in corso le trattative per un'autorizzazione poi negata, parte della folla ha cominciato a muoversi in direzione opposta, verso Montecitorio e Palazzo Chigi, poi altri hanno superato gli sbarramenti di polizia e raggiunto la Cgil attraverso Villa Borghese. Lì la miscela tra Forza nuova e «popolo della protesta» è arrivata a compimento, incendiandosi: la maggior parte di quelli che sono entrati non erano di Forza nuova; c'erano quelli di «Io apro» (anche il loro leader è stato arrestato) e molti altri senza identità politica. Da alcune immagini risulterebbe che pure Fiore sia stato ripreso all'interno della sede, ma Castellino è rimasto fuori come gli altri suoi «camerati» (ed è su questo che presumibilmente si baserà la sua difesa). Il risultato era raggiunto, i dimostranti in strada applaudivano quelli che avevano violato uno dei «palazzi del potere». A farlo è stato «il popolo», ma il movimento ha potuto rivendicare di esserne l'avanguardia. Tra i comunicati indicati dalla Procura di Roma nel decreto di sequestro preventivo del sito internet di Forza nuova c'è quello dedicato agli arresti, intitolato «Roma, la dittatura tecno-sanitaria colpisce la prima linea della resistenza»; sullo sfondo la foto in cui si vedono proprio Fiore e Castellino a confronto con i poliziotti in tenuta anti-sommossa. La chiusura di questo strumento di propaganda è motivata con il pericolo di «aggravare e protrarre le conseguenze del reato ipotizzato, continuando a pubblicizzare metodi di protesta, "di lotta e di scontro", fondati sulla violenza e sulla prevaricazione». Come quelli rivendicati dal dimostrante che voleva «occupare il Parlamento».

Demonizzazione della repubblica. Dove nascono le violenze dei no vax: quei filosofi che dicono che Draghi è un dittatore…Michele Prospero su Il Riformista il 12 Ottobre 2021. Non servono i sociologismi (di quelli che Gramsci avrebbe chiamato “scemi”) per comprendere il senso dell’attacco violento al cuore dello Stato e ai simboli del movimento operaio. Non c’entra molto, come movente immediato della rivolta, il disagio della società reale che il voto amministrativo ha solo nascosto sotto il tappeto e che, così propone l’Huffington, andrebbe almeno mitigato con una misura esemplare come l’offerta dei tamponi “quasi gratuiti”. La soluzione avanzata da Alessandro De Angelis ignora che la Danimarca ha circa 5 milioni di abitanti, oltre l’85 per cento dei quali sono vaccinati. In Italia i non vaccinati sono 8 milioni e i tamponi costerebbero allo Stato alcuni miliardi di euro. Il conflitto inscenato nelle strade di Roma e Milano è preoccupante, e politicamente assai insidioso, proprio perché non riguarda rivendicazioni in denaro. Nessuno scambio monetario lo placherebbe perché si tratta di una guerra culturale che mobilita una moltitudine interclassista e intergenerazionale, collocata oltre la coppia destra-sinistra. Quando nell’aria circola il vento dell’eversione è sempre alle idee che bisogna rivolgersi per annusarla e comprenderla nelle sue componenti genetiche. Hobbes, che se ne intendeva, suggeriva di scovare gli avamposti del nemico che operano principalmente sul piano della teoria. Non c’è dubbio che il più consistente sostegno alle mobilitazioni no-vax e no-pass, e alle credenze di folle ampie che non lesinano la vicinanza plaudente a chi ricorre a pratiche eversive, viene dalle filosofie che nei talk e nei giornali ricevono una patente di incidenza pubblica purtroppo di tutt’altro tenore rispetto a quella del secolo dei lumi. Quando la “Stampa” pubblica l’articolo ormai celeberrimo di Cacciari e Agamben, il vero manifesto di tutte le sedizioni possibili contro la dittatura sanitaria, e fa finta di ospitare un bel dibattito innocente, degno della più eterea repubblica dei filosofi, ha immesso nella vita reale un detonatore a disposizione di chi nelle piazze intende servirsene. Le altre bizzarrie filosofiche che il quotidiano di Giannini ha poi amplificato sullo stato di eccezione, sulla sospensione della democrazia, su Draghi come sovrano antidemocratico e re taumaturgo, hanno anch’esse una potenziale incidenza sovversiva, perché, proprio sul decisivo piano delle idee, negano alla radice la legittimazione e il fondamento democratico del titolare del potere costituito. Tra le idee anche le più pittoresche e le azioni concrete non esiste ovviamente una traducibilità immediata. E in uno Stato di diritto solo i comportamenti violenti sono perseguibili, non le idee, anche le più maldestre che evocano la rivolta. Ma questa immunizzazione garantistica per le idee (anche le cattive) non significa che le idee abitino in un altro mondo e che la politica non debba combatterle a fondo quando minacciano l’ordinamento costituzionale. Non esagerava Paolo Mieli quando, ad una conduttrice Rai rapita dalle code filosofiche alla vaccinara di Cacciari come fossero un esercizio di dubbio cartesiano, obiettava che le frecce filosofiche contro il lasciapassare incidevano ancor più nei comportamenti delle rituali parole di un segretario di partito. Se Draghi è un sovrano che sequestra la democrazia, come si legge sulla “Stampa”, se la repubblica è, come scrive Travaglio, un odioso sistema di discriminazione che getta sul lastrico 5 milioni di lavoratori e somiglia con la sua morsa repressiva allo Stato dispotico dell’Arabia Saudita, il re è nudo, disobbedire è più che lecito. Tra le cose scritte dai filosofi e i ritratti di Draghi con i baffetti di Hitler è lampante la contiguità, certo non la determinazione causale, è ovvio. Quale è il rapporto tra le bombe carta di Roma, il tentato assalto a un Palazzo Chigi isolato e protetto da una camionetta e il lavoro “filosofico” di delegittimazione etico-politica della repubblica? Un fronte vasto di ribellione al foglio verde, che scavalca l’attivismo insurrezionale dei fascisti, si riconosce nelle posizioni dei filosofi. Non è un caso che Giorgia Meloni collezioni su Facebook le esibizioni anti-pass di Cacciari che denuncia la fine della costituzione, la morte della democrazia rappresentativa, il declino della autorevolezza della politica. Nella destra radicale le idee della “sinistra” alla Cacciari, Montanari, Agamben, Barbero, Canfora ricevono una accoglienza trionfale. Se Draghi inaugura unaa democrazia, come sostengono i suoi critici di “sinistra”, la resistenza è più che legittima. Il profeta Agamben potrebbe aver trovato a Roma i suoi discepoli. La barba di Cacciari potrebbe aver visto finalmente svelato il mistero della decisione ultima. Pare che Facebook, in nome della pericolosità di talune asserzioni, abbia censurato l’intervento pronunciato da Agamben al Senato di qualche giorno fa. Se questo trattamento in stile Trump è vero, si tratta del legittimo diritto di un editore privato che, stimando la possibile ricaduta violenta di certi assiomi, ne ha ostacolato la diffusione e non ha quindi esercitato la stessa amplificazione decisa dal gruppo Fiat. Invitato dai grillini in una audizione dinanzi alla Commissione affari costituzionali, Agamben ha ripetuto oralmente le sconcezze che aveva partorito per iscritto con Cacciari. La prima sua denuncia è che l’obbligo vaccinale non c’è stato solo perché con questo immorale espediente lo Stato costruisce un subdolo scudo penale e non paga i morti e feriti. Agamben confonde la protezione dei medici e infermieri che materialmente iniettano il vaccino con la furbata di uno “scudo penale” statale contro omicidio e lesioni colpose. Si tratta di una bufala clamorosa, raccolta naturalmente dalla Meloni, anche se si sfiora, come ha spiegato proprio sul “Riformista” il costituzionalista Salvatore Curreri, una colossale menzogna priva di qualsiasi fondamento giuridico. Proprio dentro un palazzo del potere dipinto come totale e oppressivo, Agamben può denunciare che il novello tiranno Draghi ha reso l’Italia una dittatura persino peggiore di quelle del Novecento. In questo terribile Stato di polizia i cittadini italiani sono prede innocenti costrette ad assumere sul nudo corpo “un vaccino che non ha terminato la sua parte di sperimentazione”. Il professore di diritto privato Ugo Mattei, nella stessa sede istituzionale, ha scandito che il vaccino produce sui corpi gli stessi effetti letali dell’Eternit. La repubblica è dunque una cupa esperienza di morte. Non contento di aver preso le difese del vaccinato che ha assunto un farmaco pericoloso risultando vittima sacrificale di una volontà di cura del potere immorale, Agamben diventa subito l’avvocato anche di chi la puntura la rifiuta e così subisce l’onta della “esclusione dalla vita sociale ed anche dalla possibilità di lavorare. E’ possibile immaginare una situazione giuridicamente, moralmente più abnorme?”. Un potere privo di base morale e giuridica non ha titolo alcuno per resistere ai disobbedienti di Agamben il quale scandisce che gli italiani nel tempo di Draghi “si trovano in una situazione peggiore di quelli dell’Unione Sovietica di Stalin”. Dinanzi a questo Stato, irresponsabile, potenzialmente criminogeno, che nega la vita sociale e il lavoro cosa può mai trattenere l’individuo dalla estrema rivolta contro i simboli del potere che con la legislazione di Draghi “configura una vera e propria mostruosità giuridica”? Senza alcun senso di vigile controllo nell’uso delle parole e delle similitudini Agamben si chiede “come si possa accettare per la prima volta in Italia dopo le leggi razziali fasciste che si creino cittadini di seconda classe che subiscono restrizioni che sono identiche a quelle che subirono i non ariani: ma almeno loro potevano circolare”. Se il cittadino della repubblica versa in una condizione peggiore di quella vissuta dagli ebrei che almeno potevano circolare cosa mai li dovrebbe più trattenere dalla legittimità della violenza contro il potere che perfeziona dispositivi di controllo, sorveglianza, tracciamento, esclusione? Le parole di Agamben sono pietre scagliate contro la repubblica e evocano la resistenza attiva. “Si è arrivati al modello delle società di controllo digitale e virtualmente illimitato dei comportamenti individuali. Ci stiamo abituando a questi dispositivi di controllo ma fino a che punto siamo disposti ad accettare che si spinga?”. Ripetendo concetti (si fa per dire) divulgati da Cacciari e raccolti dall’Espresso come oro colato, Agamben riconduce i provvedimenti Draghi (“decreti emanati da persone che con il parlamento hanno ben poco a che fare”) ad un gigantesco processo autoritario “di trasformazione delle istituzioni e dei paradigmi di governo, trasformazione che avviene senza cambiare il testo della costituzione, quindi surrettiziamente: vengono cancellate le democrazie parlamentari”. La svolta autoritaria, che svuota il parlamento in nome della “biosicurezza”, può essere contrastata solo con le risorse fattuali, non giuridiche e tutte esterne all’ordinamento. La convinzione di un apocalittico e in fuga precipitosa dal principio di realtà Agamben è che “sicurezza ed emergenza non sono fenomeni transitori ma rappresentano la nuova forma di governabilità”. E’ inutile ricordare a Cacciari, Agamben, Montanari, che il primo paese a introdurre un pass covid 19 è stato la Danimarca che peraltro non solo non lo ha in alcun modo eretto a modello permanente di sorveglianza ma che solo dopo alcuni mesi di sperimentazione, a risultati positivi raggiunti, lo ha abolito. I movimenti fascisti non producono quasi mai una propria cultura, ne riciclano una che è occasionalistica, eterogenea e mai coerente sul piano dei programmi. Raccolgono le suggestioni che più servono da altri serbatoi. E questa volta le categorie di Cacciari, Agamben, sono la riserva da cui estrarre idee, metafore, demonizzazioni della repubblica. L’individualismo italiano ostile al bene pubblico in nome della libertà assoluta e svincolata da legami di solidarietà, una mentalità estranea all’intelletto scientifico sfidato con i miti, le pratiche alternative, è sedotto dalle prediche dei filosofi oracolari. Non c’entra nulla il sociologismo, la questione sociale, la piazza della rivolta è anzitutto un problema di cultura, di compenetrazione tra categorie “di sinistra” e movimenti di destra radicale, e per questo si tratta di un nodo ancora più intricato da sciogliere. Michele Prospero

Alessandro Rico per "la Verità" il 12 ottobre 2021.

Professor Massimo Cacciari, parliamo di quello che sta succedendo?

«Guardi, preferisco lasciar perdere. Sono stufo di parlare». 

Ma no...

«Si figuri se partecipo al rito di dire: "Condanno la violenza, sono democratico, sono antifascista"».

Ora hanno manifestato anche Cobas e studenti, con le bandiere rosse. E ci sono stati scontri con la polizia.

«Se costoro hanno intenzione di fare una contestazione seria del green pass e di questo stato d'emergenza perenne che il governo sta imponendo, si fanno del male da soli. Se non hanno questa intenzione, sono strumentalizzatori che perseguono altri fini». 

La violenza rischia di mandare «in vacca» tutto?

«Esatto. Specie quando i mezzi d'informazione sono unanimemente schierati con tutto ciò che fa il governo».

A seguire la bolla di certa stampa, il problema vero dell'Italia è il fascismo

«È un refrain. Se ci sono i black bloc, la stampa come la vostra dà la colpa ai comunisti. Adesso, ci sono i fascisti». 

Solo che, stavolta, fascisti e comunisti sembrerebbero «alleati» contro il green pass.

«È il solito giochetto».

Al di là della violenza, c'è un dissenso legittimo, che non si può occultare dietro l'allarme fascismo?

«Guardi che il dissenso legittimo era stato occultato anche prima che si scatenasse la violenza». 

Ha visto che Facebook ha censurato l'intervento di Giorgio Agamben in Senato?

«Non l'ho visto, ma non ho bisogno di vederlo: lo so».

Il social network diceva che quell'intervento incitava «alla violenza fisica».

«Se siamo arrivati al punto che Agamben incita alla violenza fisica Credo che non abbia mai alzato un dito nemmeno contro una mosca. Su, dai, lasciamo perdere. È perfettamente inutile parlarne. È tutto un gioco preconcetto, non c'è nessuna ragione che possa penetrare il muro del pregiudizio totale che vige in questa materia». 

Così ci scoraggia.

«E che c devo fare io?».

Getta la spugna?

«Ci sono situazioni in cui si può parlare - non ci sono ancora le Ss che ti vengono ad arrestare a casa - ma il tuo parlare non ha nessuna efficacia».

L'ex ministro Peppe Provenzano ha utilizzato gli scontri di sabato per sostenere che Giorgia Meloni e Fdi siano «fuori dall'arco democratico e repubblicano».

«E che ha detto la Meloni?».

Provenzano si riferiva al fatto che la Meloni non avrebbe «tagliato i ponti con il mondo vicino al neofascismo».

«Ognuno porta acqua al suo mulino, al di là di questo grande compattamento sotto l'egida del governo».

Si può mettere Fdi fuori dall'arco costituzionale?

«Sono tutti modi di dire della primissima Repubblica». 

Quando c'era, comunque, almeno un'opposizione legittimata, quella del Pci.

«Certo, perché i comunisti avevano contribuito alla Resistenza». 

E con Fratelli d'Italia, come la mettiamo?

«Non c'è nessun partito che si definisca fascista o che si ponga in una qualche forma di continuità esplicita con il fascismo, com' era ancora per il Movimento sociale italiano. Qui si parla a vanvera. Ma non è mica possibile impedire alle teste di cavolo di parlare». 

Il punto è che Fdi è l'unica opposizione parlamentare rimasta...

«Ma è un'opposizione del tutto fittizia, per carità di Dio. Che opposizione è? La Meloni è la prima a dire che voterebbe Mario Draghi presidente della Repubblica».

Vabbe', lei usa questa provocazione per invocare il voto anticipato.

«Tutti sanno benissimo che non c'è alcuna alternativa a Draghi. Sì, sono tutti movimenti per posizionarsi in vista di quando, prima o poi - forse, inizio a dubitarne - si tornerà a votare. Ma tutti, dalla Meloni in su, sono, in una forma o nell'altra, corresponsabili di questo governo». 

Non c'è via d'uscita?

«Siamo in uno stato d'emergenza che sta diventano stato d'eccezione».

Quindi è vero, come dice Agamben, che il fine del decreto green pass non è tanto il vaccino, quanto il pass stesso?

«Mi auguro che il discorso di Agamben, che è perfettamente logico dal punto di vista formale, non rappresenti ciò che sta avvenendo». 

Cioè?

«Voglio dire: speriamo che non sia così, perché se così fosse, appunto, si verificherebbe il passaggio da uno stato d'emergenza, in cui si dispone di determinati strumenti normativi per combattere una situazione emergenziale, a uno stato d'eccezione, che in questo caso si configurerebbe nel senso di un governo che ci vuole tutti schedati». 

Non la meraviglia che Draghi, che dovrebbe conoscere il mondo produttivo, non si ponga il problema dell'applicazione del green pass al lavoro e alle imprese?

«Infatti. Io ricevo decine di mail di imprenditori che mi chiedono se qualcuno si rende conto del casino che sarà, per loro, applicare queste norme».

Non li ascolta nessuno?

«No. Nessuno. Ma nessuno li ascoltava nemmeno prima, eh. Non ho sentito manco un imprenditore entusiasta di 'sta storia del green pass. Manco uno». 

Confindustria l'ha tanto celebrato

«Il punto è proprio questo! A quegli imprenditori ho risposto così: "Rivolgetevi alle vostre organizzazioni, se le vostre organizzazioni sono perfettamente d'accordo con questo andazzo, tenetevele"». 

Ci dicono che il lasciapassare sia uno strumento per la ripartenza e la libertà, ma a lei pare che questa si possa chiamare «normalità»?

«È chiaro che non è normalità, ma alla fine nemmeno il governo dice che questa sia la normalità. Dicono che è uno stato d'emergenza. Bene, vedremo quando finirà. Se si degnassero di dire in base a quali criteri intendono farlo finire, sarebbe meglio». 

In effetti, nessuno ha ancora individuato i parametri in base ai quali si potrà tornare veramente alla normalità.

«Esatto. Ma questo l'ho già detto cento volte. Non me lo faccia più ripetere».

Da blitzquotidiano.it il 12 ottobre 2021. Un uomo con una maglia grigia e la testa rasata si scaglia con il manganello contro i manifestanti No Green pass a Roma. L’uomo non indossa la divisa: il video in cui lo si vede in azione fa il giro del web e in molti pensano si tratti di un infiltrato tra quelli di Forza Nuova.

Scontri Roma, il poliziotto in borghese picchia manifestante

L’uomo, nelle scorse ore, ha fornito le sue generalità per spegnere le voci sulla possibilità che si trattasse di un infiltrato. E’ in servizio nella Capitale e si era unito ai suoi colleghi per sedare le tensioni di sabato pomeriggio con il corteo guidato da Forza Nuova che ha assalito la sede nazionale delle Cgil. L’agente è stato segnalato all’Autorità giudiziaria. Inizialmente era stato scambiato per un agente in servizio a Roma e che quel giorno non era in servizio. La Questura di Roma, in una nota spiega: Nella giornata di ieri è circolato un post sui canali social che riconduceva tali condotte ad un dirigente della polizia di stato, il quale è invece risultato del tutto estraneo ai fatti. L’autore del post è stato deferito all’Autorità Giudiziaria per il reato di diffamazione e calunnia”. 

I manifestanti: “Tra di noi c’era un infiltrato”

L’errore era nato proprio dal video diffuso sui social. Alcuni manifestanti avevano infatti sostenuto che, durante l’assalto alla Cgil da parte degli attivisti di estrema destra ci fosse un presunto infiltrato. In un video verrebbe “coperto” dagli agenti del Reparto Mobile, mentre picchia a calci e a pugni un manifestante. L’equivoco nasce anche dal fatto che in un altro video si vede l’uomo che sembrerebbe incitare i no Green Pass ad assaltare la camionetta della Polizia a piazzale Flaminio. Da questo presunto “doppio ruolo” è nata la voce che si trattasse di un infiltrato. 

Vittorio Sgarbi: “Questo agente va radiato dalla Polizia”

A parlare di lui è stato perfino Vittorio Sgarbi che ha scritto: “Questo agente in borghese che picchia un manifestante va radiato dalla Polizia”. Oltre a Sgarbi, a parlare di lui sono stati molti altri. Tra loro un altro utente che, postando un video in cui si vede l’agente con occhiali da sole e mascherina davanti alla camionetta, aveva scritto: “Guardate un po’ dove si trovava il poliziotto in borghese con maglietta grigia che picchiava il ragazzo a terra… lì con i manifestanti che hanno dondolato il furgone della Polizia e non mi sembra che contribuisca a favorire l’azione”. 

Ora il “giallo” sembrerebbe essere risolto: l’agente si è auto denunciato.

Da liberoquotidiano.it il 12 ottobre 2021. Un Vittorio Sgarbi assolutamente scatenato dopo i fatti del weekend, dopo i violenti scontri a Roma, messa a ferro e fuoco dai cosiddetti "no-Green pass". Proteste barbare, violente, con assalti alle sedi dei sindacati. Proteste che sono state represse dalla polizia in modo altrettanto aspro: già, la battaglia è stata durissima, senza esclusione di colpi. E così ecco che Sgarbi posta su Twitter l'immagine di una manifestante con il volto pieno zeppo di sangue, la testa spaccata. E a corredo scrive: "Qualunque siano le idee politiche di Pamela Testa, la Polizia che spacca la testa a manganellate è da regime sudamericano", premette il critico d'arte. E ancora: "La violenza di alcuni agenti è pari a quella degli squadristi. Ma i giornali e i tg non ne parlano. E tutto ciò è inquietante", conclude Vittorio Sgarbi. In precedenza, nel corso della mattinata, sempre lo stesso Sgarbi aveva rilanciato sui suoi profili social un video che ritraeva il brutale pestaggio subito da un manifestante, a terra, da parte di un agente di polizia. E il critico d'arte ha invocato a gran voce la cacciata dalla Polizia dell'agente in questione.

Un assalto che ricorda quello a Capitol Hill. Chi sono gli autori degli scontri di Roma, non solo Forza Nuova. Giuliano Cazzola su Il Riformista il 12 Ottobre 2021. L’assalto alla Cgil di sabato scorso e la devastazione di alcuni uffici, non sono soltanto atti di squadrismo e di comune criminalità, ma costituiscono una vera e propria operazione eversiva. Come ha affermato Mario Draghi nella telefonata di solidarietà a Maurizio Landini: «I sindacati sono un presidio fondamentale di democrazia e dei diritti dei lavoratori. Qualsiasi intimidazione nei loro confronti è inaccettabile e da respingere con assoluta fermezza». Le libertà sindacali – lo insegna la storia – sono la cartina di tornasole (come si diceva una volta) dello statuto democratico di in Paese; e i diritti “sociali” dei lavoratori sono – nel disegno della Legge fondamentale – il necessario completamento dei diritti di cittadinanza. Poi, per quello che la Cgil ha rappresentato e rappresenta nella storia del Paese e nell’immaginario collettivo, l’aggressione alla sede di Corso d’Italia ha il carattere di una profanazione, di una violenza che colpisce un simbolo del “vivere civile” di una nazione nel quale hanno creduto e per il quale hanno lottato moltitudini di lavoratori. Chi scrive ha varcato quella soglia, oggi violata, per quasi trent’anni della sua ormai lunga esistenza, ha lavorato in quegli uffici insieme a personalità che ormai appartengono alla leggenda. Tra pochi giorni, il 14 ottobre, ricorrerà il centenario della nascita di Luciano Lama, colui che portò la Cgil e l’istituzione-sindacato all’interno delle famiglie italiane, fornendo loro l’immagine di una forza tranquilla, rassicurante perché giusta, impegnata a realizzare, in alleanza con altre forze – politiche, economiche e sociali – un salto di qualità, di crescita e di modernizzazione nell’interesse dell’intera comunità. Poi, come le singole persone, anche i grandi soggetti collettivi crescono anche attraverso i propri errori. E nel caso delle problematiche legate al green pass, le confederazioni sindacali, a partire dalla Cgil, di errori ne sono stati commessi tanti e tanto gravi. Ma ora non è il tempo del dibattito, ma della solidarietà e della lotta; la grande occasione di una risposta democratica e civile ci sarà – come tante altre volte – mediante la grande manifestazione unitaria di sabato prossimo. Occorre iniziare il percorso della riflessione su quanto sta accadendo in tante città (non solo) italiane, perché nel campo della politica gli errori derivano sempre da un’analisi sbagliata. La questione principale di questo momento difficile non è quella della rinascita del fascismo. È senz’altro vero che il manipolo di sfasciacarrozze che abbiamo visto all’opera sabato in Corso d’Italia davanti alla palazzina color salmone, era guidato da alcuni caporioni fascisti rei confessi; è altrettanto vero che si trattava di una deviazione dal percorso prestabilito di un corteo strumentalizzato a bella posta. Ma i disordini sono proseguiti per ore nel centro di Roma e solo l’intervento delle forze dell’Ordine (dove operano tuttavia vice-questori che arringano i no vax) ha impedito che il trattamento a cui è stata sottoposta la Cgil venisse ripetuto davanti ai palazzi delle istituzioni repubblicane. I disordini non si sono avuti solo a Roma, ma in altre importanti città, come sono frequenti sia per questi che per altri motivi in tante città di Paesi progrediti e sviluppati. Attenzione: si è chiesta l’abolizione delle formazioni neo-fasciste. È stato fatto in passato; si può attuare anche adesso, salvo dare per scontato che il fenomeno si riorganizzi e si riproduca sotto altre forme. Ma – come si è soliti dire – è sbagliato concentrare l’attenzione sul dito (Forza nuova ed altre organizzazioni nere) e non osservare la luna. I caporioni che si sono esibiti davanti alla Cgil non sono in grado di riempire le piazze in cui sabato si sono svolte manifestazioni no vax. Il pericolo principale non viene da chi si infiltra nel movimento no vax, ma dal movimento nel suo insieme, perché l’esperienza ci insegna che è il sonno della ragione a generare mostri. Quando ho seguito, sgomento e addolorato, le immagini dell’assedio alla Cgil, non mi sono venute in mente le tante pagine che ho letto sugli anni che hanno preceduto la Marcia su Roma e l’affermazione di un regime dittatoriale. Non ho sentito il bisogno di andare così lontano nel tempo. Mi è bastato ricordare la vicenda dei gilet gialli e ancor di più l’assalto a Capitol Hill del 6 gennaio scorso. Lasciamo pure che Rachele Mussolini faccia politica senza dover cambiare nome. Ed evitiamo di chiedere a Giorgia Meloni degli atti di fede che non si sente di compiere: anche perché non serve a nessuno un “dixi et servavi animam meam”. La dottrina dei no vax è la stessa che si è diffusa Oltreoceano, col movimento che ha nome QAnon. Come è stato scritto in questi giorni, una specie di onda lunga del movimento americano è arrivato in Europa. Secondo l’Associated press sono ben 85 paesi in cui fanno proseliti i seguaci delle teorie cospirazioniste del Grande Reset in Gran Bretagna, in Francia ma soprattutto in Germania e in Italia. L’Italia è la terza al mondo. Sembra una nuova versione del “credo quia absurdum”. Il QAnon è una teoria complottista di estrema destra, completamente infondata, che dice che il presidente Trump sta conducendo una guerra segreta contro i pedofili che adorano Satana e che si trovano in posti chiavi di potere, negli affari e nei media (il c.d. Deep State). Ci sono qui tutti gli ingredienti della cucina no vax: i poteri forti che si avvalgono delle vaccinazioni per dominare il mondo, iniettando in miliardi di persone un micro chip con cui soggiogarle, i Big Pharma che hanno scatenato il virus per vendere i vaccini che erano già pronti, perché altrimenti non si spiega la brevità del tempo con cui sono stati prodotti e resi disponibili. C’è sempre di mezzo la congiura. Anche la persecuzione degli ebrei veniva propagandata e creduta alla stregua di un’azione estrema di difesa contro la cospirazione mondiale dei circoli ebrei. Che sia in corso, a livello di massa, questa deriva non serve interrogare la casalinga di Voghera quando un massmediologo come Carlo Freccero evoca in pubblico il Grande Reset che passerebbe attraverso la certificazione verde. Il saggio in testa alle vendite è Eresia di Massimo Citro Della Riva che è divenuto una nuova edizione dei Protocolli dei Savi di Sion. E il governo? «È evidente – ha affermato la ministra Luciana Lamorgese in una recente intervista – che l’innalzamento dei toni delle proteste può favorire forti tensioni per l’ordine pubblico e atti ostili anche da parte di singoli, non direttamente riconducibili a gruppi organizzati». E ha proseguito: «La galassia delle sigle no vax appare composita e variegata, e al momento non risultano contatti strutturati con frange estremiste, certo, in alcune delle proteste si è registrata una sporadica partecipazione di appartenenti all’estrema sinistra o all’area anarchica , nonché, soprattutto a Roma, alla destra radicale. In alcune occasioni ci sono stati evidenti tentativi, non riusciti (ora non più, ndr), di alimentare una degenerazione violenta della protesta». «Proprio per scongiurare situazioni di rischio e intercettare possibili derive, è stata intensificata l’attività di prevenzione, anche grazie al costante monitoraggio del web» che ha consentito di scoprire e sventare, in rapporto con la magistratura, azioni di violenza organizzata. È evidente che il movimento ha una sua «intelligenza strategica» che passa tramite la rete. La Polizia postale deve vigilare meglio. Poi esiste un enorme problema di comunicazione. È totalmente assente un’informazione di carattere istituzionale che spieghi i motivi delle scelte compiute. Adesso questa funzione la svolgono (avvelenando i pozzi del vivere civile) i social; e i talk show, convocando, come se dovesse essere garantita l’imparzialità, i pro e i no vax. Affidare il formarsi di un’opinione alle “corride” televisive è una cosa priva di senso. Tanto più che i no vax possono giocare anche nel campo avverso, sottolineando i limiti, le difficoltà e le contraddizioni (praticamente inevitabili) della campagna di vaccinazione. Sono i problemi che emergono sempre quando si scontrano le realtà e la demagogia. Giuliano Cazzola

Paura dei fascisti no, dei no vax sì: siamo all'autolavaggio del cervello. Così come per le violenze dei gilet gialli o l’attacco a Capitol Hill, anche dietro gli attacchi di Roma c’è una dottrina complottista: nel nostro caso una congiura mondiale per controllare gli esseri umani. Giuliano Cazzola su Il Quotidiano del Sud il 12 ottobre 2021.

L’AGGRESSIONE alla sede nazionale della Cgil è un episodio gravissimo, eversivo, che merita quella solenne risposta democratica che verrà data sabato prossimo a Roma. Peraltro, l’assalto alla palazzina rosa salmone di Corso d’Italia ha rappresentato un episodio di quel “sabato da cani”, compiuto da una scheggia dei cortei che hanno messo a soqquadro il centro della Capitale con l’obiettivo di “sfondare’’ Palazzo Chigi o la Camera dei deputati.

La manovra è stata per fortuna sventata dalle Forze dell’ordine con maggiore determinazione di quella riscontrata davanti allo stabile di Corso d’Italia.

CHI FA DAVVERO PAURA

Di fronte a fatti così preoccupanti occorre evitare, prima di tutto, di sbagliare analisi. Nessuno piangerà se il governo vorrà sciogliere Forza nuova e gli altri gruppuscoli parafascisti, i cui caporioni – lo abbiamo visto sui video girati sui social – hanno compiuto “l’impresa” di sabato scorso. Ma il ruolo dei neofascisti se messo a confronto col movimento dei “No vax” ricorda la storiella di quel topo di campagna che viene sorpreso da un altro ratto suo amico mentre partecipa a una scorribanda di elefanti imbizzarriti e gli domanda: «Che stai a fa’ lì in mezzo?». Il topo interpellato gli risponde gagliardamente: «Stamo a fa’ ‘n casino!». A incutere paura non sono i fascisti rei confessi, ma i “No vax” nel loro insieme. Si sono fatti paragoni, in queste ore, che non reggono al giudizio della storia. L’assalto alla Cgil ha ben poco da spartire con le devastazioni delle squadracce fasciste (nei primi anni ’20 del secolo scorso) delle Camere del lavoro, delle leghe di braccianti, delle cooperative di consumo e delle redazioni dell’Avanti!. Non serve andare così indietro: basta riportare la moviola della cronaca alle violenze dei gilet gialli o addirittura all’attacco a Capitol Hill del 6 gennaio scorso. La principale differenza tra i due eventi è rappresentata dal fatto che a Roma nessun aggressore indossava una pelle di bufalo sormontata da corna. Anziché colori di battaglia sul volto si potevano osservare dei veri e propri ricami tatuati sulle braccia e i dorsi. Ma la dottrina è la stessa. Il QAnon crede nell’azione del Deep State: una congiura mondiale contro Donald Trump di cui è protagonista una congrega di pedofili. Tutto inventato, naturalmente, ma è sufficiente che la trama oscura venga propagandata all’infinito sui social per diventare – come si dice adesso – virale. I nostri “No vax” rimangono confinati nella logica della congiura dei poteri forti in connessione con Big Pharma, al solo scopo sia di fare profitti sia di determinare il “Grande Reset” che per avere il controllo degli esseri umani attraverso l’uso delle tecnologie.

LA STRATEGIA DELLE FAVOLE VIRALI

In queste ore tutto l’impegno della “Anonima No vax” è profuso a dimostrare che, in verità, a provocare il caos sono stati degli agenti provocatori e dei poliziotti travestiti. C’è un video che circola sui social che mostra persino il volto dei questurini che si sarebbero infiltrati nel gruppo dei facinorosi che provano di rovesciare un furgone della polizia: il video ha ricevuto 183.791 visualizzazioni e 2.500 “mi piace’’ il 10 ottobre. Tutti abbiamo visto che una squadra di agenti in tutta antisommossa è arrivata sul posto quando ormai la porta era stata sfondata e si è fatta largo per entrare. La versione che circola è un’altra: i manifestanti avrebbero trovato dentro la sede la polizia ad aspettarli, come se fosse stata preparata un’imboscata. In sostanza, gli agenti provocatori li avrebbero condotti alla sede della Cgil al solo scopo di tendere loro una trappola, una volta entrati nell’edificio. In fondo questo è un gioco da ragazzi per chi è stato capace di impostare una congiura che ha coinvolto miliardi di vaccinati, i quali non si sono accorti che milioni di infermieri, tutti arruolati nella trama oscura, iniettavano loro sottopelle, col pretesto della vaccinazione, un microchip con il quale la “Spectre” si sarebbe impadronita della loro volontà. Che sia in corso, a livello di massa, un autolavaggio del cervello non serve chiederlo alla casalinga di Voghera quando un massmediologo come Carlo Freccero evoca in pubblico il “Grande Reset’’ che passerebbe attraverso la certificazione verde. Quando il saggio in testa alle vendite è “Eresia’’ di Massimo Citro Della Riva che è divenuto una nuova edizione dei “Protocolli dei Savi di Sion’’. Come si spiega che l’utilizzo di un medicinale per cavalli – autorizzato, pare, per curare la rogna degli esseri umani – sia assunto con minori dubbi di un vaccino sperimentato e raccomandato dalla comunità scientifica, se non in forza di una regressione culturale verso i pregiudizi, la stregoneria, il malocchio e i filtri d’amore? È evidente che il movimento ha una sua “intelligenza strategica’’ che passa tramite la rete. Esiste un enorme problema di comunicazione. È totalmente assente un’informazione di carattere istituzionale che spieghi i motivi delle scelte compiute. Adesso questa funzione la svolgono i social; e i talk show, convocando, come se dovesse essere garantita l’imparzialità, i Pro e i No vax. Lo spettacolo deve proseguire.

DIFFICOLTÀ SOTTOVALUTATE

Ma consegnare il modo di formarsi di un’opinione alle “corride’’ televisive è una cosa priva di senso. Tanto più che i No vax possono giocare anche nel campo avverso, sottolineando i limiti, le difficoltà e le contraddizioni (praticamente inevitabili) della campagna di vaccinazione. Poi, in vista del 15 ottobre, emergono difficoltà sottovalutate. Le aziende temono di dover gestire un numero di lavoratori ostili alla vaccinazione superiore a ogni previsione e quindi di essere costrette a fare fronte a situazioni conflittuali nel controllo delle certificazioni; oltre, naturalmente, ai “buchi’’ negli organici, soprattutto per quanto riguarda i dipendenti stranieri. Analoghe difficoltà si ipotizzano nel mondo variegato delle colf e della badanti. Infine, le Regioni hanno avvertito che le strutture sanitarie non sono in grado di trasformarsi in una ‘’fabbrica di tamponi’’. Vi sono imprese che si dichiarano disposte a prendersi in carico il “servizio tamponi”; ma sono evidenti i problemi che verrebbero a crearsi in un’operazione che risponde prima di tutto a un interesse pubblico e che finora è stata gestita come tale.

IL FRONTE DELLA FERMEZZA

Non vorremmo che il fronte della fermezza iniziasse a scricchiolare. Nei confronti della Cgil questo è il momento della solidarietà, non delle polemiche. Ma quel gruppo dirigente farebbe bene a interrogarsi sulla linea di condotta seguita nei mesi scorsi. È stato Maurizio Landini a dare inizio alle ostilità nei confronti del Green pass, come se fosse uno scarico di responsabilità del Parlamento sulle parti sociali; a contrapporre la certificazione verde alla vaccinazione obbligatoria, come se una norma siffatta avesse indotto i No vax a vaccinarsi; fino a rifugiarsi, quando la posizione della Cgil, spalleggiata dalle altre confederazioni, era divenuta insostenibile, ambigua e isolata, nella linea Maginot dei tamponi (gratis per i lavoratori) come se questa fosse l’alternativa al Green pass da incoraggiare. La qualità dell'informazione è un bene assoluto, che richiede impegno, dedizione, sacrificio. Il Quotidiano del Sud è il prodotto di questo tipo di lavoro corale che ci assorbe ogni giorno con il massimo di passione e di competenza possibili. Abbiamo un bene prezioso che difendiamo ogni giorno e che ogni giorno voi potete verificare. Questo bene prezioso si chiama libertà. Abbiamo una b

L'assalto alla sede del sindacato in Corso d'Italia. Alla Cgil c’era il servizio d’ordine, cosa sarebbe successo negli anni ’60 in caso di blitz fascista…Fabrizio Cicchitto su Il Riformista il 12 Ottobre 2021. Negli anni Sessanta e seguenti, quando il sottoscritto ha lavorato all’ufficio studi della Cgil, quello che è avvenuto sabato difficilmente sarebbe potuto succedere. A parte il fatto che i ministri dell’Interno dell’epoca – tutti democristiani – non erano così scriteriati come Luciana Lamorgese, ogni volta che c’era a Roma una qualunque manifestazione la sede della Cgil era fortemente presidiata. Poi ogni giorno, domenica compresa, la sede era controllata da un servizio d’ordine di una quindicina di compagni. Il minimo che si può dire è che ognuno di quei compagni aveva una corporatura assai compatta. Ma quello era il meno. Ognuno di essi era munito – con tanto di porto d’armi – di una bella pistola d’ordinanza. Siccome ero entrato in buoni rapporti con molti di loro, mi mostravano e illustravano le qualità del loro gioiello. C’era chi aveva una calibro 9, chi una 765, chi una pistola a tamburo. Poi all’ultimo piano c’era una bella fila di mattoni. In cantina c’era dell’altro, ma nessuno me lo ha mai voluto dire. Ecco se il corrispettivo dei camerati di Forza Nuova negli anni intorno al 1960 si fosse recato in visita alla Cgil con le stesse intenzioni di sabato, non avrebbe potuto salire molti gradini e sarebbe stato gentilmente risospinto all’indietro, molto all’indietro: Corso d’Italia offriva molte vie di fuga. Fabrizio Cicchitto

Giovanni Bianconi per corriere.it il 13 ottobre 2021. Nella ricostruzione dell’assalto alla sede della Cgil fatta dalla polizia e consegnata alla magistratura chiamata a decidere se confermare o meno gli arresti di sabato sera, il ruolo di regista è assegnato a Giuliano Castellino; Luigi Aronica (già condannato per appartenenza alle «bande nere» degli anni Settanta) è stato il tramite con le forze dell’ordine nell’abbozzo di trattativa che ha preceduto il blitz; Roberto Fiore, ripreso anche all’interno dei locali del sindacato, ha messo con la sua presenza il sigillo ufficiale di Forza nuova. Gli altri militanti arrestati per gli stessi reati (istigazione a delinquere, devastazione e saccheggio) sono stati individuati attraverso le immagini dentro la sede occupata, come il leader del movimento «Io apro». Ma il lavoro della Digos di Roma non è finito, altri «occupanti» sono in via di identificazione e andranno ad aumentare il numero dei denunciati. Che già s’è arricchito dei quattro firmatari il messaggio di rivendicazione e annuncio di nuove iniziative comparso sul sito internet di Forza nuova prima dell’oscuramento ordinato dalla Procura. Castellino, capo romano dell’organizzazione, non è solo colui che dal palco della di piazza del Popolo ha annunciato via altoparlanti l’attacco alla Cgil; secondo il rapporto della Digos agli inquirenti è pure colui che sul portone del sindacato, chiuso e protetto da una decina di agenti con scudi e caschi, ha ripetuto più volte frasi del tipo «dobbiamo entrare, fateci passare». Un fronteggiamento andato avanti finché qualche decina di manifestanti, sostenuti dalle centinaia che gridavano, incitavano e applaudivano, ha sfondato forzando una finestra e aprendo il portone dall’interno. La sede è rimasta occupata per un po’, poi i dimostranti sono usciti ma successivamente volevano tentare un secondo assalto. Che però non ha avuto successo, perché nel frattempo erano arrivati i rinforzi della polizia. Dei tre leader di Forza nuova, solo di Fiore ci sarebbe la prova che è entrato nel palazzo del sindacato. La difesa di Aronica si baserà proprio su questo particolare: dalle immagini che il suo avvocato ha potuto visionare si vede solo mentre, a volto scoperto, parla con un funzionario di polizia. Nessun ruolo nell’azione squadrista, dunque. Ma Digos e Procura la vedono diversamente. Il piano di andare alla Cgil è passato anche da lui, che mentre Castellino parlava dal palco, o forse anche prima, comunicava ai responsabili dell’ordine pubblico che la protesta sarebbe proseguita con un corteo verso la sede del sindacato di sinistra. Era una sorta di «piano B» rispetto a quello che la polizia e l’intelligence avevano captato nei giorni precedenti: l’assalto ai luoghi del potere politico, Montecitorio e Palazzo Chigi, dov’era schierata la maggior parte dei reparti. Un ripiego deciso sul momento e annunciato pubblicamente, vista la difficoltà di raggiungere gli obiettivi iniziali. Mentre era in corso una mini-trattativa per provare a trovare una soluzione a questa richiesta non programmata, evitando cariche in una piazza pressoché chiusa e gremita di gente (non solo manifestanti) un migliaio e più di persone s’è mosso verso villa Borghese. Riuscendo a raggiungere corso d’Italia, dove ha sede la Cgil, superando senza troppe difficoltà un altro sbarramento organizzato in fretta e furia a poca distanza, in un punto dove non era semplice bloccare chi volesse oltrepassarlo. Nell’ultima parte della protesta — quando ormai era buio, e i blindati e i reparti in tenuta antisommossa proteggevano la Camera e la sede del governo — Castellino ha tentato un’ultima dimostrazione di forza: un sit-in in piazza del Parlamento, che non gli è stato concesso. L’hanno preso e portato in questura mentre minacciava ulteriori violenze se non gli avessero consentito di concludere così la manifestazione. Questa è la versione dei fatti fornita dagli investigatori, fondata su immagini e testimonianze raccolte attraverso le annotazioni di servizio dei poliziotti in strada. Domani il giudice interrogherà gli arrestati e deciderà del loro immediato destino. Ma al di là del procedimento giudiziario, c’è il significato politico di ciò che è accaduto, perseguito dagli stessi protagonisti. Nel proclama con cui ha chiamato i militanti in piazza del Popolo diffuso il 4 ottobre, dopo il primo turno delle elezioni amministrative, Castellino aveva fatto la sua analisi del voto: «Populisti, sovranisti ed euroscettici spariscono, il centrodestra si piega definitivamente al Ppe... Vince la narrazione terroristica e criminale del Covid. Vince il voto della paura, dunque sparisce il voto anti-sistema e l’italiano che vota si riscopre moderato... Non ci sono spazi nel sistema. La forza della piazza, il movimento e la resistenza al green pass e al Grande Reset sono le nostre uniche speranze; una lotta dura e faticosa, senza alleati, ma l’unica lotta possibile».

Rinaldo Frignani per corriere.it il 13 ottobre 2021. E adesso si cerca nelle chat chiuse. In quella parte della Rete inaccessibile ai più dove si ritiene corrano le chiamate all’adunata delle frange più estreme dei movimenti no vax e no green pass, quelle che sono in grado di radunarsi in poche ore da una parte all’altra del Paese per inscenare proteste e arrivare allo scontro con le forze dell’ordine. Perché rimane un mistero come sabato scorso a Roma siano arrivate oltre 10 mila persone, cogliendo di sorpresa gli stessi vertici dell’ordine pubblico che se ne aspettavano meno. Il timore è che quanto accaduto fra piazza del Popolo, via Veneto e davanti a Palazzo Chigi e Montecitorio, per non parlare degli assalti alla sede Cgil e al Policlinico Umberto I, possa ripetersi in qualsiasi momento, e non solo nella Capitale. Anche perché il sospetto è che Forza nuova, da sola, potrebbe non essere stata in grado di convocare un numero così alto di persone, se non altro a guardare quanto era riuscita a fare nell’ultimo anno e mezzo di manifestazioni, in media con meno di mille persone, peraltro concluse quasi sempre con un contatto con polizia e carabinieri. E adesso perché all’improvviso ne sono arrivate 10 mila? E chi sono?.  Interrogativi ai quali si sta cercando di dare una risposta urgente, analizzando nel bacino tutt’altro che limitato degli ambienti contrari al vaccino e al lasciapassare verde, che già si muovono per inscenare manifestazioni per venerdì — giorno dell’entrata in vigore dell’obbligo del pass sul lavoro — e sabato.Ma anche in quello già conosciuto da chi indaga dei movimenti dei disoccupati, degli antagonisti e della galassia anarchica. Il G20 in presenza alla Nuvola dell’Eur in programma fra meno di tre settimana sempre a Roma rappresenta poi un altro punto caldo sul fronte dell’ordine pubblico: potrebbe essere un’altra occasione da cogliere per chi vuole contestare le politiche anti-Covid. Oggi al Viminale il Comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza pubblica, presieduto dal ministro dell’Interno Luciana Lamorgese, farà il punto della situazione, mentre il presidente del Copasir Adolfo Urso ha attivato un’istruttoria per «verificare le modalità procedurali adottate nella predisposizione delle misure utili a garantire l’ordine pubblico» dopo i fatti di sabato e il direttore dell’Aisi Mario Parente è atteso per domani sempre al Comitato. Il tempo stringe, gli 007 e le Digos delle Questure sono al lavoro insieme con i carabinieri per acquisire più notizie possibili e dare una fisionomia più concreta di quella che è già stata definita l’«area grigia» della protesta, composta da persone sconosciute fino a oggi che la rabbia per la crisi, oltre che per l’obbligo del green pass, ha accumunato. Si spera non si tratti di una «nuova eversione» da contenere nelle piazze da subito, secondo le nuove direttive, con sit-in blindati, cortei autorizzati solo su percorsi e per motivi prestabiliti, contrasto agli infiltrati violenti e massicci controlli ai caselli autostradali e su chi presenta i preavvisi in Questura.

Fabrizio Caccia per il "Corriere della Sera" il 12 ottobre 2021. «Nove ottobre, tutti a Roma, finalmente la resistenza si è unita, andiamoci a riprendere ciò che è nostro, noi siamo il popolo, non dimentichiamocelo mai...». Bastava ascoltare il tono amaro della sua voce, gli ultimi post sul blog de «L'Italia mensile» pubblicati prima di sabato scorso, per capire tutta la rabbia che Pamela Testa, 39 anni, romana, stava covando: «Prima ero una semplice mamma lavoratrice che ha pagato sempre le tasse. Oggi sono diventata una "terrorista" dal momento che combatto per la nostra libertà e per fermare questo governo che ci sta imponendo una dittatura». Sabato scorso è scesa in piazza con una maglietta nera e la scritta «Boia chi molla», il motto dei neofascisti, ed è andata fino in fondo con gli altri camerati - Militia, Forza nuova, ex Nar - arrestata anche lei alla fine degli scontri con la polizia, dopo l'assalto al palazzo della Cgil, il volto insanguinato immortalato dai fotografi, icona perfetta della battaglia. Sul blog de «L'Italia mensile» - che dà voce da destra al variegato mondo dei No Green Pass - Pamela si firma «no global» ma la sintonia con Giuliano Castellino, il capo romano di Forza nuova, è evidente: «Roma non fa passi indietro, noi siamo il popolo che non molla», ridono insieme in un video. Lei, però, rifiuta le etichette: «Sono una cittadina italiana, nessuna ideologia o bandiera di partito, solo un essere umano nato libero e che ha il diritto di rimanerci senza scendere a compromessi. Non serve un documento per dimostrare di essere liberi». Fieramente no vax («Stanno arrivando a toccare i nostri figli e non glielo permetteremo») Pamela è anche molto amica di Nonna Maura, al secolo Maura Granelli, idolo del gruppo «Popolo delle Mamme», che un giorno s'incatenò in piazza del Quirinale perché voleva esporre a Mattarella le sue teorie sui pericoli del vaccino anti Covid per i bambini e finì ammanettata pure lei. Bastava ascoltarla, Pamela, per capire che sabato scorso sarebbe arrivata in fondo alla sua disperazione: «Dopo 19 mesi di lotta siamo al punto di non ritorno, ci stanno toccando il diritto al lavoro, ci stanno togliendo la dignità di poter dare da mangiare ai nostri figli». E così è stato. 

Da rainews.it il 12 ottobre 2021. Sono indagati i militanti di Forza Nuova che hanno firmato il comunicato pubblicato sul sito web del partito di estrema destra dopo gli arresti di domenica mattina. L'accusa contestata è quella di istigazione a delinquere aggravata dall'utilizzo di mezzi informatici o telematici. In particolare Giuseppe Provenzale, Luca Castellini, Davide Cirillo e Stefano Saija sono chiamati in causa in relazione al sequestro del portale eseguito ieri in serata dalla Polizia Postale. Nel provvedimento giudiziario si spiega che gli indagati "istigavano pubblicamente a commettere una pluralità di delitti" ed inoltre "svolgono mediante l'utilizzo del web un'attività di condivisione e giustificazione e dunque di esaltazione e incitamento alla commissione di reati connotati da violenza". Intanto sono state aperte due inchieste sugli scontri avvenuti sabato a Roma. 

Il  20 ottobre in Aula Camera mozione Pd su Forza Nuova

Si svolgerà il 20 ottobre in Aula a Montecitorio la discussione della mozione del Pd, presentata dalla capogruppo Serracchiani, sullo scioglimento di Forza Nuova e delle organizzazioni neofasciste. Lo ha deciso la conferenza dei capigruppo di Montecitorio. 

Mozione unitaria del centrodestra per scioglimento formazioni eversive

Il centrodestra, dopo l'assalto alla sede della Cgil a Roma, sta lavorando a una mozione unitaria per lo scioglimento di tutte le formazioni eversive che ricorrono alla violenza per la lotta politica. Non solo, quindi, per lo scioglimento di Forza Nuova. Fratelli d'Italia, ha annunciato il vice presidente della Camera ed esponente di Fdi Fabio Rampelli, "voterà sì" alla mozione unitaria del centrodestra. Rampelli ha ribadito, in una intervista a 24 Mattino su Radio 24, che "noi siamo favorevoli" a votare per lo scioglimento di FN "anche se bisogna fare attenzione perché quando ci sono questi contenitori le persone che sono malintenzionate, come i dirigenti di Forza Nuova, siano maggiormente controllabili". "Io penso che la magistratura - ha aggiunto -, come la legge italiana prevede, abbia tutti gli strumenti per stabilire se una formazione debba essere sciolta o no, forse dovremmo affidarci alla magistratura perché esiste una legge che andrebbe rispettata. Il governo, in quanto tale, non credo abbia particolari strumenti per sciogliere Forza Nuova, c'è una mozione parlamentare, ci sarà una discussione, e noi abbiamo già detto che voteremo sì alla mozione, questo non ci toglie la libertà di giudizio su questo che per noi è un atto squisitamente propagandistico". A richiamare gli alleati all'unità su questo tema era stato Silvio Berlusconi che ieri su Twitter scriveva: "Ho avuto un colloquio telefonico con Giorgia Meloni e Matteo Salvini. Al centro la condanna per le violenze perpetrate a Roma come a Milano, di ogni colore, a danno del sindacato e delle forze dell'ordine e la necessità di una posizione - unitaria - del centrodestra". Il ministro dell'Interno Luciana Lamorgese riferirà nell'Aula della Camera sui fatti di Roma e Milano verificatisi lo scorso sabato il prossimo 19 ottobre alle 14: è la disponibilità che il governo ha comunicato alla conferenza dei Capigruppo in corso a Montecitorio. Fdi, con Francesco Lollobrigida, insiste per un anticipo dell'informativa urgente 

Grazia Longo per "La Stampa" il 12 ottobre 2021. Cinque arrestati «illustri» - i vertici di Forza nuova Giuliano Castellino e Roberto Fiore, l'ex Nar Luigi Aronica, la militante di Forza nuova Pamela Testa e il leader del movimento "Io apro" Biagio Passaro - e un unico avvocato: Carlo Taormina, ex deputato di Forza Italia, poi iscritto al Movimento Cinque Stelle, ora autoproclamato «uomo non di sinistra». 

Professore scusi, ma come mai li difende tutti lei?

«L'ho deciso dopo aver partecipato io stesso alla manifestazione di sabato in piazza del Popolo. Sono rimasto lì dalle 14.30 alle 16.50». 

Anche lei no Green Pass dunque?

«Sì, sfegatato». 

Pure no Vax?

«Non scherziamo, io sono vaccinato. Ma la guerra al Green Pass mi pare sacrosanta». 

Anche a costo di invadere la sede della Cgil?

«Come le dicevo sono rimasto in piazza fino alle 16.50 poi sono andato via, per raggiungere la mia casa in campagna a 70 chilometri da Roma e solo in serata ho appreso dei disordini». 

Che a quanto pare sono avvenuti sotto la regia dei suoi assistiti, esponenti, chi più chi meno, della destra neofascista.

«Guardi, in piazza del Popolo la manifestazione era generalista: c'era gente di destra, di centro, di sinistra. Era il mondo del lavoro che protestava per la libertà». 

Arringata da Castellino dal palco al suono «Stasera ci prendiamo Roma».

«Era un modo di dire. Un'affermazione di carattere politico, non certo riferito all'occupazione dei palazzi istituzionali». 

Scusi ma alla Cgil sia Castellino, sia gli altri quattro suoi assistiti sono stati immortalati da foto e video. Qualcuno l'hanno girato essi stessi.

«E meno male che lo hanno fatto. Meno male che ci sono tanti video e foto così si potrà capire che sono estranei alla violenza». 

Professore, ne è sicuro?

«Certo, consiglierei anche a voi giornalisti di vedere quei video così potreste capire che loro sono stati sorpassati da altri no Green Pass del corteo che sono entrati a fare danni alla Cgil». 

Secondo lei è stato un gesto grave?

«Gravissimo direi, ma occorrerà accertare le responsabilità. Per ora invece gli arrestati più importanti, contro cui sono state contestate le accuse più gravi, tipo istigazione a delinquere sono i miei assistiti. Gli contesteranno magari anche l'associazione sovversiva ma, ripeto, è ancora tutto da dimostrare».

Non è imbarazzato a difendere dei neofascisti?

«Io faccio l'avvocato, ho difeso mafiosi, colletti bianchi corrotti. La mia è una professione. Poi al processo si vedrà chi è veramente colpevole». 

Ma lei si sente vicino a loro politicamente?

«Insieme a Fiore e a Castellino faccio parte di un'organizzazione, "Italia libera", che è una sorta di governo di liberazione nazionale per le riforme dello Stato. E certo non si tratta di un'organizzazione di sinistra».

È riuscito a parlare con i suoi assistiti?

«Ancora no, anzi è una vergogna il non aver ancora neppure ricevuto le notificazioni degli arresti. So solo che i quattro uomini sono tutti al carcere di Poggioreale a Napoli e Pamela Testa dovrebbe essere a Rebibbia. Ma non ne sono sicuro».

Edoardo Izzo per "la Stampa" il 13 ottobre 2021. «Portateci da Landini o lo andiamo a prendere noi». Giuliano Castellino, leader romano di Forza Nuova, ha apostrofato così gli agenti che sabato pomeriggio hanno tentato di ostacolare l'ingresso dei militanti di estrema destra nella sede della Cgil a Roma. Epilogo di una «marcetta su Roma» fomentata dallo stesso Castellino già nel corso della manifestazione No-Vax di piazza del Popolo: «Sono loro i criminali. I criminali, gli estremisti, i pericolosi non sono in questa piazza ma nei palazzi del potere, nei palazzi del sindacato venduto», aveva affermato il 46enne prima di suonare la carica. E sul confronto tra Castellino e la polizia è intervenuto ieri sera il suo avvocato Carlo Taormina, a "Non è l'Arena" su La7 sottolineando che «c'è stata una trattativa con la Digos per ottenere il permesso di dirigersi verso la Cgil». Il video della performance è insieme ad altri 10 nel fascicolo della procura di Roma alla base della richiesta di convalida dell'arresto sollecitato per tre indagati accusati di essere stati i promotori della rivolta No Green Pass: oltre a Castellino, ci sono il leader nazionale di Forza Nuova Roberto Fiore e l'ex Nar Luigi Aronica. Tutti e tre inchiodati dalle immagini e accusati anche di istigazione a delinquere. Nel corso della «manifestazione e corteo, non autorizzato, istigavano i numerosi partecipanti all'iniziativa ad usare violenza nei confronti della polizia e ad invadere la sede della Cgil e devastare i relativi locali», scrivono i pm nelle 9 pagine della richiesta di convalida d'arresto di 6 persone, tra cui 5 di Forza Nuova. Il provvedimento restrittivo ha riguardato anche una militante Pamela Testa, Salvatore Lubrano e il leader di "IoApro", Biagio Passaro. I sei e altri non ancora identificati in «concorso tra loro hanno usato violenza e minaccia nei confronti di agenti di polizia di stato che stavano svolgendo un atto del loro ufficio». A raccontare tutto sono i video ancora all'esame della Digos che hanno documentato il pomeriggio di «guerriglia urbana». Durante gli scontri sono stati utilizzati «bastoni, spranghe di ferro e altri oggetti atti ad offendere», scrivono i pm romani, convinti che l'obiettivo di chi ha guidato e fomentato gli scontri fosse una «consistente azione volta alla distruzione della sede di una istituzione costituzionalmente rilevante e più in generale alla turbativa dell'ordine pubblico». Mentre resta nero su bianco il fallimento delle misure nei confronti di Castellino, che vanta un percorso delinquenziale inaugurato nel 1996, a meno di 20 anni: «Desta allarme sociale il fatto che tutti i provvedimenti adottati nei suoi confronti nel corso degli anni non hanno fin qui sortito risultato alcuno».

Da ansa.it il 13 ottobre 2021. La ministra dell'Interno, Luciana Lamorgese, risponde oggi, nel corso del question time delle 15 in aula alla Camera dei deputati, a una interrogazione sulla gestione dell'ordine pubblico in occasione della manifestazione svoltasi a Roma il 9 ottobre scorso e in ordine allo scioglimento di associazioni sovversive. La ministra, che riferirà il 19 ottobre in aula sui fatti di sabato a Roma e Milano, risponde a un'interrogazione del capogruppo Fdi Francesco Lollobrigida. Il leader di Forza Nuova di Roma, Giuliano Castellino, si è messo in evidenza "per il deciso protagonismo soprattutto nell'intervento a piazza del Popolo quando ha espresso la volontà di indirizzare il corteo verso la sede della Cgil. La scelta di procedere coattivamente nei suoi confronti non è stata ritenuta percorribile dai responsabili dei servizi di sicurezza, perchè in quel contesto c'era l'evidente rischio di una reazione violenta dei suoi sodali con degenerazione dell'ordine pubblico". Così il ministro dell'Interno, Luciana Lamorgese, rispondendo al question time alla Camera sugli scontri di sabato scorso a Roma. La questione dello scioglimento di Forza Nuova "è all'attenzione del governo la cui azione collegiale potrà indirizzarsi" anche sulla base di quanto deciderà "la magistratura" e di quali saranno "le indicazioni del Parlamento" che dovrà votare la mozione presentata dal Pd. Lo ha detto al question time alla Camera il ministro dell'Interno Luciana Lamorgese sottolineando che quello dello scioglimento di un movimento politico "è un tema di eccezionale rilevanza giuridica e politica e di estrema complessità e delicatezza". "Lamorgese dice che sapeva e non ha fatto nulla. Se fino a ieri pensavamo la sua fosse sostanziale incapacità oggi la tesi è più grave: quello che è accaduto è stato volutamente permesso e questo ci riporta agli anni già bui. E' stato calcolo, siamo tornati alla strategia della tensione". Lo ha detto Giorgia Meloni nella sua replica al question time alla Camera con il ministro. "La risposta di Lamorgese non è semplicemente insufficiente ma offensiva delle forze dell'ordine: 7 agenti lasciati a prendere le bastonate davanti alle Cgil sono un fatto indecente ed offensivo di quella gente e di questo Parlamento non fatto di imbecilli". Si è tenuta al Viminale la riunione del Comitato nazionale per l'ordine e la sicurezza pubblica, presieduta dal ministro dell'Interno, Luciana Lamorgese. Al tavolo - convocato dopo i disordini di piazza a Roma di sabato scorso - i vertici di intelligence e forze di polizia. L'obiettivo è varare una stretta sull2 manifestazioni affinchè non degenerino, visto il clima di tensione montante legato anche all'obbligo di green pass per i lavoratori che entrerà in vigore venerdì. Sarà elevato il monitoraggio sulle chat di no vax ed estremisti vari che organizzano le proteste e ci sarà un rafforzamento delle misure di ordine pubblico per prevenire disordini. Alla riunione hanno partecipato, tra gli altri, anche il sottosegretario all'Interno, Nicola Molteni, il prefetto e il questore di Roma. La situazione dell'ordine pubblico sarà esaminata anche in vista del vertice dei capi di Stato e di Governo dei Paesi appartenenti al G20, previsto a Roma per il 30 e 31 ottobre e delle manifestazioni di protesta collegate alle tensioni che interessano il mondo del lavoro. "Portateci da Landini o lo andiamo a prendere noi". Così Giuliano Castellino, leader di Forza Nuova, si è rivolto ad alcuni operatori di polizia dopo che i manifestanti, sabato a Roma, erano riusciti a sfondare il cordone e raggiungere la sede della Cgil. Il dettaglio emerge dalla richiesta di convalida dell'arresto avanzato dalla Procura di Roma. Depositata dal Nucleo informativo dei carabinieri di Roma un'informativa in Procura in cui sono state identificate e denunciate a piede libero 24 persone che avrebbero partecipato attivamente agli scontri di sabato a Roma. Secondo quanto si apprende, l'accusa per tutti è di resistenza e violenza aggravate in concorso e manifestazione non autorizzata. Una quindicina di questi avrebbe fatto parte del gruppo che ha assaltato la sede Cgil. Questi ultimi sono accusati anche di devastazione, occupazione e danneggiamento.

Da open.online il 13 ottobre 2021. Toni accesi durante il question time, alla Camera, della ministra dell’Interno. La leader di Fratelli d’Italia ha definito «offensiva» la risposta del membro dell’esecutivo. Alla Camera dei deputati, il 13 ottobre, si è tenuto il question time della ministra dell’Interno Luciana Lamorgese sulla gestione dell’ordine pubblico a Roma in occasione delle manifestazioni No Green pass dello scorso sabato. All’interrogazione del capogruppo di Fratelli d’Italia, Francesco Lollobrigida, la ministra ha risposto dichiarando subito vicinanza alla Cgil: «In merito ai fatti di Roma di sabato 9 ottobre, desidero associarmi all’unanime condanna su tali gravi episodi di violenza ed esprimere la piena solidarietà al vile attacco subito dalla Cgil». Nello spiegare come mai Giuliano Castellino, sottoposto a misure restrittive, abbia potuto mettersi a capo della protesta, la ministra ha detto: «La scelta di procedere coattivamente nei suoi confronti non è stata ritenuta percorribile dai responsabili dei servizi di sicurezza, perché in quel contesto c’era l’evidente rischio di una reazione violenta dei suoi sodali con degenerazione dell’ordine pubblico». La questione dello scioglimento di Forza nuova, soggetto politico di estrema destra guidato da Castellino, Lamorgese ha sottolineato l’attenzione del governo, la cui azione «collegiale potrà indirizzarsi – anche sulla base di quanto deciderà – la magistratura – e di quali saranno – le indicazioni del parlamento». L’intervento più atteso, tuttavia, era quello di Giorgia Meloni. La quale, parlando subito dopo la ministra, ha alzato i toni del dibattito: «Lamorgese dice che sapeva e non ha fatto nulla. Se fino a ieri pensavano la sua fosse sostanziale incapacità oggi la tesi è più grave: quello che è accaduto è stato volutamente permesso e questo ci riporta agli anni già bui. È stato calcolo, siamo tornati alla strategia della tensione – ha dichiarato la leader di Fratelli d’Italia, aggiungendo che -, la risposta di Lamorgese non è semplicemente insufficiente ma offensiva delle forze dell’ordine. Sette agenti lasciati a prendere le bastonate davanti alle Cgil sono un fatto indecente ed offensivo di quella gente e di questo parlamento, che non è fatto di imbecilli».

Il question time alla Camera. Meloni contro Lamorgese, botta e risposta sugli scontri a Roma: “Li ha permessi di proposito: è strategia della tensione”. Vito Califano su Il Riformista il 13 Ottobre 2021. Botta e risposta alla Camera dei deputati tra la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese e la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni. L’argomento al centro della discussione era gli scontri scaturiti dalla manifestazione No Green Pass a Roma di sabato scorso. Protesta che tenuto sotto scacco il centro della Capitale dal primo pomeriggio alla tarda serata. Lamorgese ha descritto le scelte dell’apparato di sicurezza come dettate dall’intenzione di tutelare l’ordine pubblico. Meloni ha parlato di “strategia della tensione” da parte della ministra. Il question time era in programma alle 15:00 a Montecitorio. La ministra riferirà il 19 ottobre sui fatti di sabato a Roma e a Milano con la relazione vera e propria. Ha risposto a un’interrogazione del capogruppo di Fdi Francesco Lollobrigida dicendo che il leader di Forza Nuova Giuliano Castellino, tra gli arrestati per i disordini in centro a Roma (destinatario di Daspo, sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno nel comune di residenza, restrizione della mobilità dalle 6:30 di mattina e divieto di mobilità), si è messo in evidenza “per il deciso protagonismo soprattutto nell’intervento a piazza del Popolo quando ha espresso la volontà di indirizzare il corteo verso la sede della Cgil. La scelta di procedere coattivamente nei suoi confronti non è stata ritenuta percorribile dai responsabili dei servizi di sicurezza, perché in quel contesto c’era l’evidente rischio di una reazione violenta dei suoi sodali con degenerazione dell’ordine pubblico”. La manifestazione era stata organizzata a poco meno di una settimana dall’entrata in vigore dell’estensione del Green Pass per lavoratori pubblici e privati, prevista venerdì 15 ottobre. Il sit-in in Piazza del Popolo era stato autorizzato, il corteo in centro no. Lanci di oggetti, assalti ai blindati della polizia, scontri, manganellate, idranti, sede della CGIL vandalizzata. Altissima tensione nel centro di Roma per ore. L’altro punto che sta interessando il governo è lo scioglimento di Forza Nuova. Lamorgese ha specificato che “è all’attenzione del governo la cui azione collegiale potrà indirizzarsi” anche sulla base di quanto deciderà “la magistratura” e di quali saranno “le indicazioni del Parlamento” che dovrà votare la mozione presentata dal Pd. La ministra ha riconosciuto che lo scioglimento di un’organizzazione politica “è un tema di eccezionale rilevanza giuridica e politica e di estrema complessità e delicatezza”. Durissima la replica di Meloni: “Lamorgese dice che sapeva e non ha fatto nulla. Se fino a ieri pensavamo la sua fosse sostanziale incapacità oggi la tesi è più grave: quello che è accaduto è stato volutamente permesso e questo ci riporta agli anni già bui. È stato calcolo, siamo tornati alla strategia della tensione – ha detto la leader di Fratelli d’Italia – La risposta di Lamorgese non è semplicemente insufficiente ma offensiva delle forze dell’ordine: 7 agenti lasciati a prendere le bastonate davanti alla Cgil sono un fatto indecente ed offensivo di quella gente e di questo Parlamento che non è fatto di imbecilli”. Meloni continua a chiedere le dimissioni di Lamorgese perché “ministro assolutamente inadeguato e l’abbiamo visto a 360 gradi, l’abbiamo visto sull’immigrazione, sui rave e sulle manifestazioni di piazza”. A preoccupare sono anche le manifestazioni e i blocchi a oltranza minacciati dai portuali a partire da venerdì contro il Green Pass a Trieste e a Genova. Meloni aveva anche detto, lunedì scorso, di non essere al corrente della matrice politica degli scontri di Roma. Lamorgese ha inoltre presieduto al Viminale, con vertici dell’intelligence e forze di polizia una riunione del Comitato Nazionale per l’ordine e la sicurezza pubblica. L’obiettivo è una stretta alle manifestazioni affinché non degenerino. Il Nucleo informativo dei carabinieri di Roma ha intanto depositato in Procura un’informativa in cui sono state identificate e denunciate a piede libero 24 persone che avrebbero partecipato attivamente agli scontri di sabato a Roma. Secondo quanto appreso dall’Ansa, l’accusa per tutti è di resistenza e violenza aggravate in concorso e manifestazione non autorizzata. Una quindicina di questi avrebbe fatto parte del gruppo che ha assaltato la sede Cgil. Questi ultimi sono accusati anche di devastazione, occupazione e danneggiamento.

Vito Califano. Giornalista. Ha studiato Scienze della Comunicazione. Specializzazione in editoria. Scrive principalmente di cronaca, spettacoli e sport occasionalmente. Appassionato di televisione e teatro.

Giovanna Faggionato e Giovanni Tizian per editorialedomani.it il 13 ottobre 2021. Il 12 ottobre intorno alle quattro del pomeriggio in una chat Telegram, l’app di messaggistica più usata dopo Whatsapp, è comparso un appello: «Sei leader della rivolta popolare contro il Green pass obbligatorio sono stati arrestati sabato 9 ottobre, hanno bisogno delle vostre preghiere e del vostro aiuto finanziario». Il canale Telegram dal nome Catholic Information Hub è uno degli strumenti ufficiali di comunicazione del Saint George Educational Trust con sede a Londra. Si tratta di un ente che sulla carta ha scopi di beneficenza e ha l’obiettivo di diffondere la cultura cattolica. Il trust St George è stato fondato nel 1995 da Roberto Fiore, il leader neofascista di Forza Nuova, arrestato dopo gli scontri del 9 ottobre insieme al suo vice Giuliano Castellino. Domani ha scoperto che il Saint George ha foraggiato con 33mila euro l’associazione Vicit Leo, costituita nel luglio 2020. Il denaro proveniente dal trust riconducibile a Fiore arriva sui conti dell’associazione tra il 27 e il 30 novembre, rivelano i documenti bancari ottenuti. Un mese prima Castellino e i camerati di Forza Nuova avevano mostrato i muscoli in piazza del popolo a Roma violando il lockdown e scontrandosi con la polizia. Il primo atto di una sfida alle istituzioni culminato con l’assalto alla sede della Cgil nel corte No Green pass. L’associazione che riceve i fondi esteri dal trust St. George è stata fondata dalla ginecologa Luisa Acanfora, dal marito Pierfrancesco Belli, membro del comitato di controllo dell’agenzia regionale per la sanità toscana, e dall’avvocato Daniele Trabucco: descritto in molti siti No Vax come un emerito costituzionalista, Trabucco lavora alla “libera accademia degli Studi di Bellinzona” e i suoi pareri, per esempio sulle «Disposizioni in materia di prevenzione vaccinale» sono stati presi in considerazione anche in Senato. Trabucco, tuttavia, dei rapporti con Fiore, dice di non sapere nulla: «Quando ho capito con che forze politiche aveva a che fare, ho dato le dimissioni». Strano, perché fino a giugno 2021 firmava analisi con Gloria Callarelli, giornalista e già candidata con Forza Nuova alle Europee nel 2019. Callarelli risulta essere stata anche l’ufficio stampa dell’associazione Vicit Leo, almeno stando alla presentazione del seminario “Delenda Oms”. Al convegno sulla l’organizzazione mondiale della sanità “da distruggere” hanno partecipato tra i relatori il capo neofascista e condannato per banda armata Fiore, l’ex parlamentare Carlo Taormina e il fondatore di Vicit Leo, Pierfrancesco Belli. Sia Belli, sia Trabucco che Callarelli sono indicati nel governo parallelo di “Rinascita nazionale” lanciato dal leader di Forza Nuova. Vicit Leo si dichiara apartitica e si prefigge di difendere la religione cattolica apostolica romana, le tradizioni del popolo italiano e dei popoli europei, ma anche la corretta informazione, la verità scientifica e la promozione di studi epidemiologici, «anche al fine di vigilare sull’appropriatezza di somministrazione di vaccini e farmaci». E, dettaglio da non dimenticare, punta a contribuire al processo delle leggi. Gli animatori dell’associazione e i loro studi sono citati dal centrodestra in diverse interrogazioni parlamentari rivolte al ministro della Salute. Sul sito del trust St. George, è pubblicata una lettera di Carlo Maria Viganò, l’ex nunzio apostolico negli Stati Uniti nemico di Papa Francesco, che celebra la nascita dell’associazione. Nel comitato scientifico c’è Stefano Scoglio, star no vax, che sul sito è presentato come “Candidato al premio Nobel per la medicina nel 2018”, il suo ultimo studio: “La pandemia inventata, la nuova patologia dell’asintomaticità e la non validità del test per il Covid19”. Una volta ottenuti i fondi dal trust riconducibile alla galassia di Fiore, l’associazione ha versato mille euro a Stefano Fiore con causale “consulenza legale”: Stefano Fiore è il fratello di Roberto, avvocato che ha per esempio presentato ricorso contro Facebook per la sospensione dei profili di Forza Nuova. Altri 2.500 euro invece vanno sul conto di Belli. Abbiamo contattato lo studio legale di Fiore per avere una replica, che però non è arrivata. Belli, invece, si definisce solo un membro del comitato scientifico e spiega che i soldi arrivati dal trust sono stati utilizzati per studi e collaborazioni con università straniere, mentre di Forza Nuova non sapeva nulla: «Fiore mi è stato presentato da un prelato, ha una buona rete diplomatica e rapporti con atenei stranieri». Anche lui e la moglie dicono di aver preso le distanze, ricevendo anche minacce dirette: «Quando abbiamo capito che usavano il nome di Vicit Leo, abbiamo protestato: ci sono documenti che lo provano». Tra il 1999 e il 2000 il parlamento britannico sulle charity aveva scritto una corposa relazione sui legami tra gli ex terroristi di Terza Posizione e dei Nar e il trust Saint George educational e ne aveva congelato i conti correnti, almeno temporaneamente. Gli ultimi documenti contabili disponibili del Saint George mostrano non solo che il trust è attivo, ma anche una impennata sia nella raccolta che nella spesa. Se nel 2015 il trust dichiara un incasso di poco più di 16mila sterline e spese per 697, a marzo del 2019 le entrate superano le 120mila sterline e le spese sono di poco inferiori. I rappresentanti del Saint George Trust sono tre: Michael Fishwick, P Nicoletti e T Grey. Il nome P Nicoletti, che nella storia del trust torna più volte come amministratore, ricorda il Patrizio Nicoletti terrorista di Terza posizione, poi migrato in Forza Nuova.

"Contro i no vax eravamo troppo pochi". L'ira dei poliziotti contro la Lamorgese. Maria Scopece il 14 Ottobre 2021 su Il Giornale. Intervista ad Andrea Cecchini, Segretario di Italia Celere. "Avevamo avvisato della escalation delle violenze. Perché non siamo stati ascoltati?" Le proteste No Vax e No Green Pass, culminate nell’attacco alla sede della Cgil e al pronto soccorso del Policlinico Umberto I, hanno avuto tra i loro obiettivi anche gli uomini e i mezzi delle forze dell’ordine. Si contano almeno 38 poliziotti feriti, esito della violenza dei manifestanti, neofascisti e non, e di una organizzazione della gestione dell’ordine pubblico che ha lasciato qualche dubbio circa la sua efficacia. Sabato prossimo, a Roma, la Cgil risponde con una manifestazione alle vili violenze intimidatorie della scorsa settimana. Di tutto questo ne abbiamo parlato con Andrea Cecchini, Segretario Generale Nazionale del sindacato di Polizia Italia Celere.

Vorrei partire da un numero: 38 poliziotti feriti nel corso della manifestazione di sabato scorso. Com’è stato possibile?

È stato possibile perché non veniamo ascoltati. È un anno che, come sindacato, segnaliamo la pericolosità crescente di queste manifestazioni alla Questura e al Ministero. L’ultima volta abbiamo anche reso pubblica la segnalazione con un comunicato stampa, era il 28 agosto. Lo scorso anno ci sono state due manifestazioni a ottobre con violenze molto più gravi di sabato scorso. I manifestanti presero piazza del popolo e ci aggredirono con molotov, petardi, sassi e bottiglie di vetro. Una violenza e un’organizzazione preoccupante, eppure tutto finì nel dimenticatoio. Noi anche in quella occasione segnalammo con preoccupazione che la cosa stava prendendo una brutta piega.

Cosa avete segnalato?

Abbiamo segnalato che da circa un anno le manifestazioni dei gruppi No Vax e No Green Pass venivano infiltrate dagli uomini di Forza Nuova. Un’organizzazione non più caotica ma una guerriglia organizzata proprio contro di noi, l’assenza totale di provvedimenti ha favorito il senso di impunità di questi individui.

Le violenze sono state perpetrate solo dai militanti di Forza Nuova?

No, assolutamente no. L’organizzazione degli scontri era studiata per coinvolgere negli scontri anche i manifestanti non organizzati, innescando un effetto di trascinamento della folla. Anche questo abbiamo segnalato. Sabato tutto è iniziato quando Giuliano Castellino è salito sul palco ha iniziato ad incitare la folla a "prendere Roma", a prendere i palazzi delle istituzioni e della Cgil. Successivamente le persone che sono salite sul palco, anche se non appartenenti a Forza Nuova, hanno continuato ad utilizzare le stesse parole d’ordine che hanno fatto presa sulla folla. In quel momento abbiamo compreso che era stata gettata benzina sul fuoco e che sarebbe potuto succedere di tutto visto che non avevamo di fronte un centinaio di manifestanti ma quasi 4-5mila.

Perché questa volta c’è stata una risposta forte delle istituzioni?

Perché è stata attaccata la sede della Cgil e questo ha reso visibile a tutti la pericolosità di questi gruppi. Noi lo denunciamo da un anno che la piazza stava mutando nelle sue forme di protesta. A questo vanno aggiunte le minacce ricevute da colleghi, proprio dalle stesse persone che sabato scorso hanno messo a ferro e fuoco Roma, minacce che non hanno fatto prendere provvedimenti nei confronti di questi soggetti. Sempre nel comunicato stampa del 28 agosto avevamo reso note le nostre preoccupazioni circa il rischio di escalation della violenza. Come è stato possibile che questi soggetti, del gruppo di Forza Nuova, che erano anche stati denunciati, abbiano potuto prendere parte a quella manifestazione? Eppure noi avevamo messo nero su bianco quanto provato sulla nostra pelle, avevamo avvertito della pericolosità di questo gruppo che avrebbe potuto incendiare una folla ben più grande, ed è quello che è successo.

Com’è stato possibile che migliaia di persone arrivassero sotto la sede della Cgil partendo da Piazza del Popolo senza essere fermati da voi?

Tecnicamente, i reparti mobili, quelli deputati all’antisommossa, sono reparti inquadrati che si muovono soltanto quando ci sono ordini che arrivano dall’autorità provinciale di pubblica sicurezza, cioè dalla Questura. Se l’ordine non arriva il reparto non si può muovere. Se non arriva l’ordine di spostarsi verso la Cgil il reparto non ci può andare in maniera autonoma. Le immagini testimoniano bene che quando i manifestanti sfondano il portone della sede della Cgil arrivano due squadre, una del reparto mobile e una del battaglione carabinieri, entrambe aggredite con bastoni ed altri oggetti contundenti.

Come stanno i poliziotti feriti?

Gambe rotte, braccia contuse, qualcuno con la gamba ingessata. Ferite importanti, inconciliabili con una manifestazione pacifica. Noi abbiamo fatto da scudo sociale e da scudo umano. Abbiamo dovuto usare la forza legittima per proteggere i palazzi delle istituzioni.

Ci sono rischi per la manifestazione di sabato?

No, assolutamente. Sarà una manifestazione tranquilla.

Che umore c’è tra i poliziotti che devono scendere in piazza?

Preoccupazione e stanchezza. Siamo stufi perché da un lato ci sono i manifestanti che lamentano gli interventi della polizia, dall’altro c’è la Cgil che è stata offesa, i palazzi istituzionali sono stati difesi, e i cattivi dovremmo essere noi? Abbiamo, come sempre, fatto il nostro dovere, eseguendo gli ordini impartiti, subendo per un’intera giornata minacce, violenze, insulti perché ritenuti parte in causa da parte di manifestanti che non hanno dimostrato il più basilare senso civico.

Non c’è il rischio che il malcontento dei poliziotti possa tradursi in una mano più pesante in piazza?

No, assolutamente. Siamo dei professionisti e dei servitori dello Stato e non vogliamo cadere nelle provocazioni di quella parte della piazza che cerca unicamente lo scontro. Il nostro malcontento viene espresso con civiltà nelle sedi opportune e, come in questo caso, anche attraverso la stampa per evitare che l’opinione pubblica si faccia influenzare dalle false notizie create ad arte per alzare a dismisura la tensione. Quando andiamo a lavorare per garantire l’ordine pubblico desideriamo solo che tutto vada bene e che alla fine della manifestazioni si possa tornare integri dalle nostre famiglie.

Tornando a ciò che non ha funzionato sabato scorso, secondo lei i numeri della polizia erano congrui a fronteggiare i manifestanti?

La scorsa settimana, nonostante le nostre segnalazioni, i numeri della polizia non erano proporzionati al numero dei manifestanti che, incredibilmente, erano tantissimi. Non eravamo pochi, ma non tanti quanto altre volte. Lunedì, nel corso della manifestazione di protesta contro il fascismo, quindi a basso rischio, eravamo, in proporzione al numero dei manifestanti, molti di più.

Avevate i mezzi necessari per contrastare i manifestanti?

Le immagini dimostrano come gli idranti, mezzi efficaci anche solo come deterrente in ordine pubblico, siano arrivati solo a manifestazione iniziata. E, visti i numeri elevatissimi e la piazza molto calda, forse si potevano utilizzare i mezzi speciali. Ma poi, rifletto, saremmo passati per violenti e repressivi. Incredibile!

Secondo lei come mai è stato sottovalutato il pericolo?

Non lo so. Quello che ho visto è però sotto gli occhi di tutti. Sono valutazioni molto più alte rispetto a chi sta in strada.

Vi sentite tutelati dalla vostra amministrazione?

Spesso abbiamo la sensazione di essere abbandonati a noi stessi, senza tutele, senza adeguate e tempestive risposte alle vicende che ci troviamo ad affrontare. Un esempio, nelle ore immediatamente successive alla manifestazione, qualcuno ad arte ha diffuso sui social immagini di un funzionario che veniva falsamente associato a violenze ai danni di un manifestante. Dall’amministrazione non mi risulta siano giunte smentite alla fake news che ha continuato a circolare in rete. Il funzionario ripreso in quelle immagini sabato non era nemmeno lì. Ci sentiremmo maggiormente tutelati se per esempio le nostre segnalazioni non cadessero nel vuoto, perché siamo noi che ci troviamo in prima linea e tornare a casa con arti rotti, ferite e contusioni di ogni tipo non è certo il miglior modo per finire una giornata di lavoro. Noi ci siamo sempre, anche se i rischi sono alti, ma è nostro dovere garantire l’ordine pubblico, e come Sindacato per la tutela dei poliziotti, anche segnalando preventivamente i possibili pericoli.

È stata tutelata più la Cgil di voi?

La Cgil è un’associazione sindacale importantissima che tutela milioni di lavoratori alla quale va tutta la nostra solidarietà per i violenti attacchi subiti. Però mi sembra utile per far comprendere il nostro stato d’animo per il fatto che Giuliano Castellino e i suoi sono stati arrestati per l’attacco alla sede della Cgil e non per aver mandato in ospedale 38 poliziotti, 38 uomini dello Stato.

Il Ministro dell’Interno Lamorgese vi ha espresso la sua solidarietà?

No. Non abbiamo avuto alcun tipo di comunicazione dal ministro Lamorgese. È stata espressa la doverosa solidarietà alla Cgil ai lavoratori del Policlinico Umberto I ma non a chi sabato, vestendo una divisa, nel compiere il proprio dovere, ha subito ferite ed umiliazioni di ogni tipo, non comprendo il perché di questo silenzio.

Qualche altro politico vi ha portato la sua solidarietà?

Qualcuno, sia dall’una che dall’altra parte, di quelli che conosciamo perché scendono in piazza alle manifestazioni. Questa volta la solidarietà con grande stupore non è arrivata da quelle parti della politica che spesso a parole ci sostiene. Siamo rimasti basiti quando abbiamo sentito alcuni politici paragonarci alla polizia sudamericana. Abbiamo difeso i palazzi delle Pubbliche Istituzioni, abbiamo fatto come sempre il nostro dovere, senza commettere abusi, facendo di tutto per garantire alla piazza non violenta di poter esprimere il proprio legittimo dissenso, e per farlo 38 di noi sono rimasti feriti. Questo è tutto. 

Maria Scopece. Pugliese, di Foggia, classe 1984, laureata in Scienze Politiche. In terza elementare ho deciso che sarei andata all’Università di Bologna. E così è stato. In quinta elementare ho scoperto che mi piaceva scrivere. Qualche anno più tardi sono riuscita a trovare qualcuno disposto a pagarmi per farlo.

Giuliano Castellino e l’assalto alla Cgil, la Procura aveva chiesto l’arresto ad agosto, ma il giudice l’ha negato. Giovanni Bianconi su Il Corriere della Sera il 14 ottobre 2021. Il responsabile romano di Forza nuova e le violazioni degli obblighi imposti alla sorveglianza speciale. La frase agli agenti durante il corteo no green pass poi sfociato nell’assalto alla sede della Cgil: «Portateci da Landini o lo andiamo a prendere». Ad agosto la Procura di Roma ha chiesto di arrestare Giuliano Castellino per le continue violazioni degli obblighi imposti dalla sorveglianza speciale, ma il giudice ha detto no. Per questo motivo il responsabile romano di Forza nuova sabato scorso era sul palco di piazza del Popolo ad arringare la folla. Riproponendo un copione già seguito in altre occasioni; stavolta però con maggiore seguito ed efficacia, fino ad annunciare e poi guidare l’assalto alla Cgil . Ma la sua presenza alle manifestazioni (spesso degenerate in scontri) nonostante i divieti sono un’antica abitudine. Di qui la decisione dei pubblici ministeri guidati dal procuratore Michele Prestipino, formalizzata il 3 agosto scorso: bisogna mettere Castellino agli arresti domiciliari, perché ogni altra prescrizione s’è rivelata inutile. Ma tre settimane più tardi, il 25 agosto, il giudice delle indagini preliminari ha negato la custodia cautelare. Perché delle sentenze della Corte costituzionale e della Corte europea dei diritti dell’uomo hanno ristretto il campo della «violazione degli obblighi» per chi viene sottoposto alla sorveglianza speciale: l’inosservanza delle regole di «vivere onestamente» e di «rispettare le leggi» non è sufficiente. In questo caso, secondo la Procura, i comportamenti di Castellino erano andati ben oltre, perché dal suo scendere in piazza nonostante i divieti derivava la commissione di altri reati; in particolare dal 2020, dai primi raduni anti-chiusure fino agli appuntamenti anti-green pass del luglio scorso. Ma il gip non ha ritenuto sufficienti gli elementi portati dall’accusa. Inoltre non risultava che Castellino avesse disatteso altri obblighi, considerati più stringenti: il divieto di uscire di casa dalle 21 alle 6.30 del mattino e quello di uscire dal perimetro del comune di Roma; quando partecipava ai cortei neofascisti e non solo a quelli, spesso prendendone la guida, l’ha fatto mentre non era obbligato a stare in casa. Questioni giuridiche insuperabili, per il giudice che ha lasciato a piede libero il «sorvegliato speciale». Anche sulla base di questo precedente, nella richiesta di arresto (stavolta in carcere) per l’attacco alla sede della Cgil , i pm romani hanno ribadito la necessità che Castellino resti detenuto: «Desta allarme sociale il fatto che tutti i provvedimenti adottati nel corso degli anni nei confronti di Castellino al fine di contenerne la spinta delinquenziale non hanno fin qui sortito risultato alcuno e non sono riusciti ad impedire che lo stesso proseguisse imperterrito nella commissione di reati». Nella nuova richiesta sono ricordate le prescrizioni della sorveglianza speciale «costantemente e reiteratamente violate», anche recentissimamente. E per ciò che riguarda l’episodio di sabato i pm attribuiscono a Castellino, insieme agli altri esponenti di Forza nuova Roberto Fiore e Luigi Aronica, il ruolo di promotore del raid alla sede del sindacato di sinistra. Era stato proprio lui a dire agli operatoti di polizia «Portateci da Landini o lo andiamo a prendere noi»; e dopo questa intimazione è partito il corteo non autorizzato verso il palazzo della Cgil, «opponendo una violenta resistenza nei confronti degli operanti che avevano attivato una carica di alleggerimento». Per l’accusa gli indagati hanno scatenato una sorta di «guerriglia urbana». Il cui obiettivo non era limitato a «una mera azione di danneggiamento», ma puntava alla «distruzione della sede di una istituzione costituzionalmente rilevante e più in generale alla turbativa dell’ordine pubblico». Un’azione condotta attraverso l’utilizzo di «bastoni, spranghe di ferro e altri oggetti atti ad offendere», con i quali è stato superato anche l’esiguo sbarramento di polizia che i manifestanti hanno trovato quando sono arrivati davanti alla sede sindacale. È lì che Castellino avrebbe ripetuto, secondo le testimonianze degli agenti, «dovemo entrà, lasciatece passà», dando poi il via libera allo sfondamento. Oggi il giudice delle indagini preliminari interrogherà gli arrestati e poi deciderà sulla richiesta di confermarne la detenzione. L’avvocato ex parlamentare di Forza Italia Carlo Taormina, che difende gli aderenti a Forza nuova, è andato a parlare ieri con i suoi assistiti e si dice tranquillo: «Abbiamo ricostruito i fatti tenendo presente anche la dinamica che risulta dalle videoregistrazioni di cui siamo in possesso, dalle 14.30 di sabato fino alle 23, abbiamo individuato, soggetto per soggetto, i comportamenti specifici di ciascuno. Anche ricostruendo i rapporti con le forze dell’ordine. Chiariremo tutto».

L'infarto del buonsenso. Augusto Minzolini il 13 Ottobre 2021 su Il Giornale. È un cortocircuito, uno di quei meccanismi perversi che mandano in soffitta la logica. È un cortocircuito, uno di quei meccanismi perversi che mandano in soffitta la logica: siamo partiti dai vaccini, dai pro-vax e i no-vax; siamo passati alle polemiche sul green pass e alla fine ci siamo ritrovati a polemizzare al solito sul fascismo. Un festival delle contraddizioni e del paradosso. L'apoteosi dell'assurdo è stata raggiunta quando alcuni sfascisti, che del Ventennio conoscono solo il folklore visto che alle letture e agli studi preferiscono il casino per il casino, allo stadio come nelle piazze, in una manifestazione no-green pass sono andati ad assalire la sede del sindacato, la Cgil, che proprio contro il green pass ha addirittura promosso una crociata. Prova che quel gruppo di camicie nere «scamiciate», mezzi delinquenti più che attivisti politici, non ricordava neppure contro chi stesse protestando. Come risposta, qualche genio del Pd, oltre a chiedere lo scioglimento di questo agglomerato d'ignoranza, ha teorizzato l'espulsione dal consesso costituzionale del partito della Meloni, che la patente democratica se l'è conquistata partecipando per quasi trent'anni, a fasi alterne e sotto diverse sigle, al governo del Paese senza organizzare «golpe». Anche a sinistra, rimossa dalle menti la questione principale, si sono concentrati su come speculare sui cascami in chiave elettorale. Al punto di organizzare una manifestazione di condanna delle violenze di sabato scorso che, convocata in altra data, avrebbe raccolto l'adesione di tutti, ma alla vigilia delle elezioni finisce solo per essere motivo di divisioni. Roba da non credere. Immemori. Come, sull'altro versante, quel quotidiano che titolava ieri: «Terapie intensive vuote, ricoveri crollati: non c'è ragione di insistere», ovviamente, con il green pass. Come se si fosse usciti dalla crisi per grazia ricevuta, per un miracolo divino e non per il vaccino. Anche lì hanno sacrificato la memoria a una non meglio definita battaglia di libertà che potrebbe raccogliere nella foto del gruppo «tamponi gratis» per tutti Beppe Grillo, Matteo Salvini, Giorgia Meloni e il leader Cgil Maurizio Landini. Con una punta d'ironia verrebbe da dire la nuova agorà liberale. Com'è potuto accadere questo infarto del buonsenso? Intanto per un vuoto di memoria collettivo. Le strade si sono riempite; le aziende sono ripartite; cinema, teatri e discoteche hanno riaperto. Tutti hanno rimosso le immagini delle città deserte, le sirene delle ambulanze, le processioni di bare senza funerale. Il Paese è ripartito alla grande e tutti hanno dimenticato il come e il perché. Di conseguenza, passata la paura, in disarmo il Covid, sono tornati i sintomi della vera malattia cronica del Paese: l'ideologia. Sono riapparse le scorie del '900, con i loro fantasmi del passato a destra come a sinistra, su cui si sono innestate le pseudo-ideologie del presente, quelle che hanno preso piede nei talk-show con i volti di virologi improvvisati e non. Insomma, rimossa la tragedia nel Paese è tornato un dibattito in cui c'è poco di serio e molto di ridicolo. Anche questo, purtroppo, segno di un ritorno alla normalità. Augusto Minzolini 

I danni dell'ignoranza. Augusto Minzolini il 10 Ottobre 2021 su Il Giornale. A vedere le immagini degli scontri di ieri nel centro di Roma, con tutto l'armamentario di un tempo che immaginavamo ormai passato con assalti alle camionette, idranti sui manifestanti, occupazioni e tutto il resto, ti appare un mondo fuori dalla realtà. A vedere le immagini degli scontri di ieri nel centro di Roma, con tutto l'armamentario di un tempo che immaginavamo ormai passato con assalti alle camionette, idranti sui manifestanti, occupazioni e tutto il resto, ti appare un mondo fuori dalla realtà. Il paragone con il passato, però, si ferma qui, perché il livello intellettuale della protesta nella capitale può essere paragonato alle scie chimiche di grillina memoria. Quelle, però, erano baggianate innocue, qui, invece, ci va di mezzo la salute e l'economia del Paese. Basta dare un'occhiata ai numeri, quelli sfornati appena ieri: negli over 80 il tasso dei non vaccinati che vanno in terapia è dieci volte superiore a quelli che hanno fatto il vaccino, come pure il tasso dei decessi tra i No-Vax è 13 volte più alto rispetto a chi invece si è fatto le due iniezioni. Ed ancora: il Covid ha determinato la mattanza di 302mila partite Iva che si sono volatilizzate (dati di ieri della Cgia di Mestre); il vaccino ha permesso, invece, che l'economia del Paese ripartisse alla grande (si parla ora di una crescita del 6,3% per quest'anno e del 5% nel 2022). Appunto, il Paese rivive in tutti i settori, anche le discoteche, grazie al vaccino e al Green pass. Eppure infischiandosene di numeri e buonsenso c'è chi ancora trova il modo di ingaggiare su questi due argomenti uno scontro ideologico. Una sorta di pregiudizio, di no a priori che non si basa sui dati scientifici ma come nel Medioevo sulle credenze popolari che ora non sono veicolate dai passaparola, dalle piazze di Paese, ma dal Web. E come sempre avviene quando c'è di mezzo un'ideologia, sia pure raffazzonata, ieri la protesta ha assunto un carattere violento: la manifestazione di Roma - che vi abbiano partecipato persone di destra di Forza Nuova, di sinistra o qualunquisti senza orientamento poco importa - aveva il Dna di quelle dei black bloc, dei centri sociali. Insomma, agli antipodi non solo di ogni idea di destra liberale, ma addirittura di quella più conservatrice, quella di «law e order». Ora c'è da chiedersi come mentre il Paese riparte, ci sia ancora chi contesti violentemente gli strumenti che gli hanno ridato speranza. Il problema, lo dico senza polemica, non sono gli sprovveduti, i sempliciotti o i provocatori che ieri hanno tentato di assediare Palazzo Chigi, ma chi gli ha dato una copertura politica, intellettuale, chi ha filosofeggiato sulla pelle della gente e ha accarezzato i No-Vax con l'intento di speculare su questo movimento di opinione, su questo bacino elettorale. E tra questi i peggiori, va detto, sono quelli che hanno continuato a coltivare simile atteggiamento addirittura dopo essersi fatto il vaccino. Nel qual caso non si tratta di peccati di incoerenza, ma di esempi di disonestà intellettuale. Augusto Minzolini

Flavia Amabile per “La Stampa” il 13 ottobre 2021. Ore 18, 05 di sabato 9 ottobre. Un migliaio di partecipanti alla manifestazione contro il Green Pass a piazza del Popolo ha sfondato i posti di blocco ed è arrivata fino a largo Chigi. I palazzi del potere sono a un passo. Le forze dell'ordine, colte alla sprovvista, sono riuscite a improvvisare una barricata con alcune camionette blindate e un manipolo di agenti. Si sentono assediate, nell'aria volano oggetti, i fumogeni coprono i volti di chi li attacca ed è evidente la sproporzione numerica tra loro e la folla di fronte. Partono le cariche, l'aria si riempie di lacrimogeni e viene fatto avanzare il blindato con l'idrante. Litri e litri d'acqua rovesciati sulle persone, i lacrimogeni che si infilano anche sotto i caschi di un agente costretto a chiedere l'acqua a un passante per pulire gli occhi e tornare a vedere. I manifestanti arretrano, non smettono però di chiedere di passare, vogliono arrivare alla sede del governo. Gli agenti tendono i manganelli, spingono. I manifestanti cambiano strategia, rispondono mettendosi in ginocchio, in tanti sollevano le braccia per mostrare le mani nude, senza armi. Accanto a loro ci siamo noi giornalisti con telecamere, macchine fotografiche, cellulari. E riprendiamo. Mentre ho il telefonino acceso sento i primi colpi di manganello sulle gambe. Un agente, con i modi da capo, sta attaccando manifestanti e operatori dell'informazione anche se in quel momento siamo tutti fermi. Cerca sostegno, si gira verso i suoi e dà l'ordine di caricare. I suoi restano immobili. «Caz! » li incita battendo il manganello sui loro scudi ma i suoi non si muovono. A quel punto si gira di nuovo verso di me. «Forza, via! », urla con un'altra scarica di manganellate sulle gambe. Vicino a me c'è Cecilia Fabiano dell'agenzia LaPresse. «Sono giornalista! » urla. Sono giornalista, li avverto anche io. Gli agenti arretrano, i fotografi scelgono una prospettiva diversa, io decido di rimanere tra la folla. Alcuni manifestanti si avvicinano ancora con le braccia alzate, chiedono di passare. Accendo il telefonino. Riprendo le mani sollevate, il tentativo di dialogo mentre, improvviso, arriva l'ordine. «Carica! », urla un agente. Stavolta i poliziotti obbediscono. I manganelli mi colpiscono sulla schiena e sulle braccia. Poco più in là Francesco Cocco, free lance che lavora per il Foglio, viene preso a calci. È l'ultima carica. Quando, qualche minuto dopo, gli agenti tentano di nuovo di avanzare sulla folla che sta parlando con loro senza fare altro, uno dei capi li blocca. Non sarebbe corretto. Qualcuno l'ha capito.

Monica Serra per “La Stampa” il 13 ottobre 2021. Le immagini dell'assalto della sede della Cgil di Roma, le violenze di sabato «riportano alla mente le squadracce fasciste, momenti tragici del passato». Tra infiltrazioni dell'estrema destra e malcontento generale, il pericolo più grande - ragiona Alberto Nobili, capo del pool Antiterrorismo della procura di Milano - è che «il livello della protesta No Vax si alzi specialmente a partire da venerdì, quando il Green Pass diventerà obbligatorio: la manifestazione rischia di allargarsi a dismisura, fino a non riuscire più a controllarla in maniera adeguata». Ma, da uomo delle istituzioni, con la sua esperienza e conoscenza della piazza, il magistrato si dice «ottimista: il fenomeno è imprevedibile, l'importante è non farsi trovare impreparati, abbiamo tutti gli strumenti per arginarlo». 

Dottor Nobili, chi sono i manifestanti che da dodici settimane vediamo ogni sabato a Milano?

«La mia sensazione è che il gruppo originario di persone (poche giovani, molte di mezza età) che criticano il vaccino e vivono il Green Pass come una forma di costrizione sia diventato una calamita di soggetti che manifestano il loro dissenso per problemi sociali ed economici emersi dopo la pandemia. Sono persone a cui del vaccino non importa. Interessa più che altro la contestazione al sistema». 

Tra loro ci sono anche i neofascisti?

«L'infiltrazione soprattutto di gruppi di estrema destra e di qualche anarchico è oramai provata e pacifica. In particolare i primi puntano a prendere la testa del corteo, a indirizzare e dirigere i manifestanti con due obiettivi: darsi visibilità per ottenere adesioni, ma anche scegliere i bersagli da colpire, i luoghi dove portare le persone».

Chi sono?

«Soprattutto esponenti di Forza Nuova. Qualcuno anche di Casapound. Qui a Milano per adesso il fenomeno è contenuto. Ma, da indagini in corso, sappiamo che questi estremisti stanno cercando di potenziare la loro partecipazione proprio per assumere un ruolo di primo piano». 

Perché lo fanno?

«A loro non credo interessi del vaccino. Puntano a cavalcare il malcontento di migliaia di persone, farlo proprio e farsene portavoce. Si tratta di un boccone ghiotto, una sorta di successo elettorale». 

Si discute della possibilità di sciogliere Forza Nuova. Cosa ne pensa?

«È una decisione che spetta ai politici. Per quel che mi riguarda, è un gruppo che tende quasi esclusivamente ad azioni violente, di contrasto quasi fisico con le istituzioni: è giusto che questa ipotesi venga presa in considerazione».

Risolverebbe il problema delle manifestazioni?

«Non credo possa bastare. Forza Nuova sta cercando di manipolare il movimento No Vax che già esisteva. L'unica vera possibilità è provare a riprendere un dialogo che purtroppo è stato interrotto». 

Che cosa intende?

«Queste manifestazioni distruggono uno dei cardini della nostra civiltà che è il contraddittorio, sedersi intorno a un tavolo e discutere per cercare una soluzione.

L'infiltrazione di persone violente che non sono portate alla dialettica ma alla prevaricazione è un problema per qualsiasi forma di democrazia. Mi auguro che si riesca a recuperare il dialogo con queste persone. 

Che, tra i cinquemila manifestanti milanesi venga selezionato un gruppo di delegati con cui le istituzioni possano parlare e cercare delle soluzioni».

Secondo lei è possibile?

«Credo di sì. Anche perché nessuno vuole impedire l'esercizio del diritto di manifestare, che è garantito dalla Costituzione. Ma quando viene esercitato con violenza e prevaricazione, come sta accadendo, va contrastato: la condotta non il diritto, il pensiero».

Oggi sono arrivate le prime condanne ai No Vax più violenti a Milano.

«Polizia e Digos li hanno arrestati in queste due settimane. Il loro lavoro è fondamentale. Non è facile gestire cortei non autorizzati per dodici settimane di fila. L'obiettivo diventa quello di ridurre al minimo qualsiasi forma di violenza. Il principio è che quando non puoi riportare l'ordine che è stato violato da cinquemila persone devi saper gestire il disordine. E questo è stato fatto con saggezza e intelligenza».

Da lastampa.it il 14 ottobre 2021. «Sabato scorso, durante la manifestazione 'No-Vax e no Green pass', ci fu una trattativa con la polizia per il corteo verso la Cgil e l'autorizzazione ci venne data». Così gli arrestati davanti al gip nel corso dell'udienza di convalida che si è tenuta oggi, in videoconferenza, dal carcere di Poggioreale. «Abbiamo operato affinché le cose fossero contenute e ordinate, per agevolare la polizia, e con la polizia abbiamo trattato», aggiungono gli arrestati difesi, tra l'altro, dagli avvocati Carlo Taormina e Paolo Colosimo. Sulla posizione dei 6 arrestati - tra cui Roberto Fiore e Giuliano Castellino di Forza Nuova e l'ex Nar Luigi Aronica - il gip di Roma Annalisa Marzano si è riservata di decidere.

Giovanni Sofia per tag43.it il 14 ottobre 2021. Dagli appelli a misure più ragionevoli, in grado di andare incontro alle esigenze dei ristoratori piegati dalle chiusure, ai selfie dentro la sede Cgil, appena vandalizzata. In mezzo, c’è la cronaca dell’assalto, minuziosamente documentata in un video ancora disponibile sulla sua pagina Facebook. In sottofondo cori e insulti, tra gli altri al segretario del sindacato Maurizio Landini, con cui ad aprile, senza mascherina, invece posava in foto. Tra i 12 arrestati dopo i disordini di sabato scorso a Roma, compare anche Biagio Passaro, figura di spicco di #IoApro. Stanchi delle disposizioni governative, compatti dietro i loro “ambasciatori”, i membri del movimento nei mesi scorsi, da DiMartedì a Non è l’Arena passando per Dritto e rovescio, avevano sfilato davanti alle telecamere. Rifiutavano qualsiasi etichetta politica, figuriamoci la violenza, si dicevano animati esclusivamente dalla voglia di tornare a lavorare, attività loro impedita da norme anti-covid giudicate troppo stringenti. 

#IoApro: multe e divieti aggirati, la storia del movimento

Per questo aggiravano i divieti e incassavano multe, come accaduto al ristorante Regina Margherita in via Santo Stefano, a Bologna, tra i primi ad alzare le saracinesche in barba alle misure in vigore. «Ho collezionato otto multe, una è stata fatta a una cliente, un’altra mentre ero in Trentino, ma abbiamo 20 avvocati che difenderanno pure le esigenze di chi sceglie di venire nei nostri locali», diceva Passaro. Parole riportate da Scatti di gusto, rivista di settore finita nel mirino del movimento perché insieme a Enrico Mentana aveva raccontato delle liste nere che giravano sulle app di messaggistica. In sostanza, inviti a boicottare trattorie e ristoranti pro-Green pass. L’accusa, piuttosto pesante, venne respinta da #IoApro con un comunicato urgente diramato il 6 agosto: «Mendace e diffamatoria la notizia diffusa da Enrico Mentana sul suo profilo social e dalla pagina Facebook Scatti di gusto. Noi di #Ioapro chiediamo solo di poter lavorare, siamo contro il Green pass ma nessuno chiederà mai di lasciare recensioni negative a quei ristoranti che lo accettano. Sarebbe una follia, noi non abbiamo alcuna intenzione di dividere le categorie dei ristoratori, speriamo solo che tutti possano lavorare dopo un periodo che ci ha economicamente e psicologicamente martoriati».

Umberto Carriera, il padre di #IoApro

Il comunicato era firmato da Umberto Carriera, proprietario di sei ristoranti a Pesaro e altro padre del movimento. Fu lui a crearlo nel mese di gennaio, spiega Domani, per reclamare attenzione ed esprimere dissenso nei confronti dei Dpcm dell’allora premier Giuseppe Conte. Gli appelli raccolsero immediatamente il sostegno e la solidarietà social di Matteo Salvini. E più in generale della Lega, con l’appoggio manifestato su Instagram anche dall’ex sottosegretario ai Trasporti Armando Siri. Era l’epoca dell’Italia ancora stretta nella morsa del Covid, divisa in zone gialle e arancioni, e, soprattutto, con i locali serrati. Anche per questo la popolarità fu immediata, come le ospitate nei salotti della tv. Dove, insieme a Carriera tra i più presenti c’era Momi El Hawi, 34 anni fiorentino, titolare di cinque ristoranti distribuiti tra Italia (tre) ed Egitto (due). Da Pesaro alla Toscana, passando per l’Emilia, quindi, la battaglia si allargò a macchia d’olio, come il malessere per ristori inconsistenti rispetto a fatturati ben più elevati. Ne derivarono sit-in e manifestazioni in tutta Italia, compresa quella del 12 aprile a Roma. Qui El Hawi fu fermato dalle forze dell’ordine. «A un certo punto hanno cercato di levarmi di mezzo, forse perché sono il leader un po’ spirituale della protesta, hanno cercato di portarmi via di peso. Sto pensando di denunciare il fatto, va bene porgere l’altra guancia ma io ieri sono stato male e sto ancora male», raccontò al Riformista. «Restiamo uniti, non accettiamo episodi di violenza. Siamo persone che lavorano, non criminali. Siamo qui in piazza senza vessilli, vogliamo sederci a un tavolo e ottenere risposte concrete».

#IoApro, le critiche di Passaro a Salvini e Forza Italia

Richieste sistematicamente disattese evidentemente, al punto che in un altro post, appena cinque giorni dopo, Passaro criticò l’atteggiamento di Salvini e di Forza Italia: «Il fenomeno di Salvini che ieri spadroneggiava sui risultati, deve stare muto e rassegnato. I risultati ottenuti non sono frutto del suo paniere, perché lui e la sua bella Lega, Forza Italia hanno votato contro i due emendamenti della Camera. Si sono palesemente astenuti, per non perdere la poltrona e dire sì a Draghi. Mi riferisco al primo, in cui si votava per le aperture già ad aprile: in fascia gialla locali aperti a pranzo e cena, zona arancione solo a pranzo. Il secondo in cui si votava per redistribuire in sostegni i cinque miliardi destinati al cash back». Un colpo basso inaccettabile, che lo ha portato a definirli «codardi e vergognosi», quindi la precisazione: «A favore ha votato solo Fratelli d’Italia».

Stasera Italia, Roberto D'Agostino: "Gli assalti dei no green pass? Quella strategia della Digos: cosa c'è dietro". Libero Quotidiano il 14 ottobre 2021. Roberto D'Agostino, ospite di Barbara Palombelli a Stasera Italia, su Rete 4, nella puntata del 14 ottobre, lancia una "bomba" sugli assalti dei no green pass a Roma e sulla strategia adottata dalle forze dell'ordine. "Noi abbiamo tra le forze dell'ordine 40mila agenti non vaccinati, a Roma c'erano poliziotti non vaccinati che alla manifestazione picchiavano quelli di Forza nuova non vaccinati. E' una sorta di follia di massa, è demente tutto quanto sta accadendo", commenta il giornalista. E ancora, aggiunge Roberto D'Agostino, "io posso accettare i cortei dei disoccupati ma qui siamo arrivati a un punto in cui si fanno cortei no vax e no green pass in cui si infiltrano forze eversive". Quindi ricorda le manifestazioni degli anni Settanta. Ma attenzione, rivela alla fine del suo intervento D'Agostino, "a Roma c'erano 10mila persone in piazza del Popolo. L'intervento della Digos è stato questo: lasciamoli a briglia sciolta". Insomma, conclude il giornalista, l'intelligence ha adottato "una linea non interventista per far emergere il gruppo di estremisti".

L'aria che tira, Vittorio Feltri: "Mieli, ti ricordo una cosa". La verità su Meloni e strategia della tensione. Libero Quotidiano il 14 ottobre 2021. Vittorio Feltri ha risposto a Paolo Mieli, sulla strategia della tensione. I due erano entrambi ospiti a L'Aria che Tira. Hanno dibattuto sulla strategia della tensione evocata da Giorgia Meloni dopo l'assalto alla Cgil a Roma: "Ogni volta che negli anni settanta succedeva un atto terroristico attribuito alla destra chi poi se ne giovava dal punto di vista elettorale era il partito comunista. Quindi se la destra avesse commesso questi attentati sarebbe stata autolesionista", chiarisce il direttore editoriale di Libero. Paolo Mieli aveva fatto un excursus sulla strategia della tensione degli anni settanta. "La Lamorgese ha fatto errori ma l'accostamento della Meloni non ha senso. Ipotizzare che abbia fatto lasciare apposta Forza Nuova contro la Cgil per dare la colpa a Salvini e Meloni è troppo e non c'è nessuna evidenza", spiega Mieli. "I partiti dei destra sono quelli che ci rimettono. Nei disordini preelettorali non credo abbiano avvantaggiato i partiti del centrodestra". Cosi Mieli spiega il non essere d'accordo con la tesi della Meloni. 

Jacopo Iacoboni per lastampa.it il 14 ottobre 2021. «Mattarella va fucilato alla schiena», «Draghi, lo voglio morto», «Questo periodo finirà in guerra civile, ed io sarò onorato di usare le armi», «Questo periodo finisce nel sangue», «Distruggere i sindacati», «Meglio morti combattendo, che schiavi», «Non esiste altra soluzione se non l’insurrezione armata, le forche in piazza e il sangue a fiumi». Martedì scorso la Digos di Vicenza ha indagato tredici persone – due delle quali per istigazione a delinquere e minacce al presidente della Repubblica, al premier Draghi, a esponenti del mondo scientifico sostenitori dei provvedimenti contro il Covid – dopo aver sequestrato una serie di chat telegram delle quali La Stampa è in grado di rivelare con qualche dettaglio il contenuto. Siamo soprattutto in grado di raccontare qualcosa di più su quello che sembra essere l’animatore di questo “network” informale veneto che, dalla propaganda no euro, era transitato a quella no vax estrema, con connessioni forensi anche con soggetti attivi da Roma, e commenti e post di pesantissima violenza. Si tratta di un ingegnere sessantunenne di Creazzo, il cui nome è stato ora rivelato dal Giornale di Vicenza, Fabio Castellucci, che – sostiene la Digos – è l’uomo che ha aperto “Il coraggio del dubbio”, il canale principale su cui sono state postate le frasi sopra riportate. ll canale vive dal 24 febbraio al 29 settembre del 2021, giorno in cui non ci scrive più nessuno, ma appare estremamente radicale, connesso ad altri canali e chat, e violento, fin da subito. Cosa più interessante, Castellucci non è nuovo a posizioni estreme di questo tipo. Nel 2016 tentò di candidarsi alle elezioni europee del M5S, ma non ottenne i voti. Sebbene fosse uno dei più amati influencer locali tra gli utenti registrati del blog di Grillo, e sicuramente uno dei commentatori più assidui. L’iniziativa di cui va più fiero è la proposta, di cui fu primo firmatario, di «Immediata uscita dall’eurozona per l’applicazione della moneta sovrana».  La cosa più grave è che il blog ufficiale di Grillo pubblicava questa proposta di Castellucci in evidenza, a un link nel forum col quale organizzava le liste civiche grilline, che ovviamente risulta ora cancellato, ma che chiunque può ritrovare con una facile ricerca, benché nel frattempo la lista di commenti di Castellucci sul blog di Grillo sia stata sistematicamente cancellata dal blog, allora gestito alla Casaleggio associati (oggi Grillo, come noto, ha una sua srl che gli cura il sito). Si tratta di trascorsi politicamente rilevanti, persino più importanti della presenza, tra gli indagati a Vicenza, di un “sotto-network” (su Instagram) fatto prevalentemente di insegnanti e operatori sanitari che appoggiavano le iniziative di protesta no vax vicine alle posizioni dell'ex parlamentare M5S Sara Cunial. Sul blog di Grillo la proposta Castellucci fu postata l’8 ottobre 2012, proprio nella stagione in cui il comico iniziava lo Tsunami Tour. E’ attestato dunque, anche temporalmente, oltre che nelle memorie forensi, che il M5S fece il suo primo, clamoroso boom elettorale, anche grazie a queste idee e le trovate di questi personaggi, poi ovviamente ripudiati. La proposta di Castellucci ebbe sul blog 4479 voti (almeno, stando ala fotografia che possiamo vedere nel giorno in cui la pagina è stata salvata nella wayback machine). Il testo no euro per uscire immediatamente dall’Unione europea recitava, imprescindibili maiuscole comprese: «Crolliamo TUTTI noi entro DUE MESI. Garantito. MES, fiscal compact, ERP e EuroGendFor ci ammazzano in MENO di due mesi. Ci ammazzano in senso REALE. MA LO CAPIRETE SOLO QUANDO SUCCEDERÀ A VOI? Fra due mesi metà italiani senza lavoro, servizi, prospettive, cibo e casa. MA POSSIAMO ANCORA SALVARCI... SE SOLO COMINCIAMO A STUDIARE PER CAPIRE. PERCHÈ FINORA NON ABBIAMO CAPITO NULLA DELL'INGANNO CHE CI STA UCCIDENDO!». Castellucci stesso si vantava che la sua era la proposta più votata di sempre nel blog di Beppe Grillo, e faceva propaganda su come votare nella piattaforma grillina: «IMMEDIATA USCITA DA EUROZONA Moneta sovrana Applicazione MMT. Proposta fatta nel forum del M5S. Da ottobre 2012 è la proposta più votata in assoluto dagli iscritti al M5S. Il video illustra come votarla sul forum del M5S, con "VOTO-STELLA", che è il voto certificato che solo gli iscritti, collegati e riconosciuti dal forum, possono dare. La procedura di voto è spiegata nel video. Euro, finanza, big Pharma, erano nella sua idea cose strettamente connesse. Il suo canale rimandava anche a vari altri, come “Passeggiate per essere liberi” e “Basta dittatura”. Anche su basi culturali come queste, è stato eletto il primo partito attualmente in Parlamento.

Francesco Bechis per formiche.net il 15 ottobre 2021. Altro che caos e tumulti. C’è un ordine quasi scientifico dietro alla preparazione della sommossa della piazza no-pass e no-vax aizzata da Forza Nuova. In audizione al Copasir, il comitato di controllo dell’intelligence, il direttore dell’Aisi Mario Parente conferma il quadro tracciato da un rapporto della Digos agli inquirenti. L’assalto alla sede della Cgil, liberata dopo un blitz della Polizia, non è mai stato il piano A. Giuliano Castellino, Roberto Fiore e l’ex Nar Luigi Aronica, i tre leader di Forza Nuova indagati con l’accusa di istigazione a delinquere, devastazione e saccheggio, puntavano al Parlamento e a Palazzo Chigi, i palazzi del potere. A Piazza Colonna, sabato, l’Italia poteva vivere un nuovo 6 gennaio, data dell’assalto dei manifestanti pro-Trump al Congresso Usa a Washington. Questo il bilancio emerso dall’audizione del comitato bipartisan presieduto da senatore di Fdi Adolfo Urso, che sui fatti di sabato ha chiesto un’informativa al ministro dell’Interno Luciana Lamorgese e ha avviato un’indagine ad hoc. Due le ragioni che hanno portato i tre indagati a prendere le redini della protesta violenta in piazza e a puntare alle sedi istituzionali. La prima riguarda una resa dei conti tutta interna a Forza Nuova, il partito di cui ora il Parlamento potrebbe chiedere lo scioglimento. Un’affermazione dell’ala radicale del movimento, che trova in Castellino il primo riferimento, e un messaggio per le altre realtà dell’estrema destra romana in conflitto. La seconda rientra invece in un piano più ambizioso: un’opa sul movimento no-pass e no-vax orfano ad oggi di una vera guida politica. Un disegno, questo, che ha riflessi internazionali non banali. Gli 007 italiani infatti non escludono che la strategia di lungo termine – rivendicare un patrocinio sulle proteste di piazza contro le misure anti-Covid – abbia una regia europea. Sotto i riflettori c’è la riunione dei movimenti di estrema destra europea, riuniti sotto la sigla dell’”Alleanza per la pace e la libertà” presieduta proprio da Fiore, andata in scena a Belgrado lo scorso 26 settembre. Presenti tutti i big della “famiglia” nera: fra gli altri l’ex presidente del British National Party Nick Griffin, Yvan Benedetti del Partito nazionale francese (l’ex Ouvre Francaise), Claus Cremer del Partito nazionaldemocratico tedesco, Manuel Andrino per la Falange Spagnola, Yannis Zografos del partito greco Elasyn. Per la Romania Cristi Grigoras di Noua Dreapta, con lui anche il leader dell’ultradestra serba Misha Vacic. Lì, nel cuore della Serbia di Aleksandar Vucic, ha preso forma il piano per mettere il cappello sull’ondata di dissenso no-vax che sta agitando le capitali europee e farne un mezzo di pressione politico. In attesa che le indagini giudiziarie facciano il loro corso, l’intelligence italiana ha già tratto le prime conclusioni: le scene da guerriglia urbana di sabato scorso non sono un caso isolato. E soprattutto non sono un caso. Di certo non sono state una sorpresa: un’informativa dell’Aisi aveva infatti già avvisato le autorità della possibilità che la manifestazione di sabato sfociasse in violenza. Sulle responsabilità per la gestione dei tumulti da parte delle forze dell’ordine si è già aperto un confronto interno (eufemismo) fra prefettura, questura e Viminale. Hanno fatto discutere le parole di Lamorgese in Parlamento, che ha spiegato la decisione di non arrestare Castellino a Piazza del Popolo con la necessità di non “provocare reazioni violente”. Una scelta che è stata frutto di una valutazione sul campo e risponde di un approccio delle forze di polizia italiane maturato negli anni a partire dall’esperienza del G8 di Genova del 2000. Ovvero dare precedenza al “contenimento” e non alla repressione delle violenze per evitare un’escalation e soprattutto possibili vittime. 

Piero Sansonetti spazza via le ipocrisie: “Sono antifascista, ma Roberto Fiore non deve restare in carcere”. Il Tempo il 26 novembre 2021. Una botta che è un calcio a tante ipocrisia. La tira fuori davanti a tutti e con indubbio coraggio Piero Sansonetti, direttore del Riformista. L’argomento è la carcerazione preventiva del leader di Forza Nuova, Roberto Fiore, per gli scontri di ottobre davanti alla Cgil. E Santonetti scrive esattamente quello che pensa: “Sono antifascista. Lo sono da circa 55 anni. Però vorrei sapere perché Roberto Fiore è in cella da 2 mesi. Per aver partecipato a un corteo non autorizzato? Oppure nella Repubblica democratica si mettono in prigione i fascisti come durante il fascismo si imprigionavano i comunisti?”. Il tema c’è tutto e bisognerà verificare se ci sarà qualcuno che vorrà replicare ad una presa di posizione che ha un suo perché. Se sei garantista, lo sei con tutti. E se sospetti – al punto di arrestarlo – un reato e il suo colpevole, lo processi con immediatezza, non c’è bisogno di attendere chissà quanto tempo ancora quando ci sono di mezzo atti di violenza. Non è la prima volta che Sansonetti assume queste posizioni, perché ha sempre issato la bandiera del garantismo. Ma sul caso Fiore l’ha presa su un personaggio indubbiamente difficile da far digerire alla pubblica opinione e per questo probabilmente più coraggiosa del solito. La replica non può essere affidata proprio al solito antifascismo di maniera, perché non c’entra nulla con i codici. La domanda è: si sta violando la legge? La carcerazione preventiva è un dogma? Attendiamo le risposte.

Da open.online il 29 dicembre 2021. La richiesta di arresti domiciliari per Giuliano Castellino, Roberto Fiore e Salvatore Lubrano – in carcere per l’inchiesta relativa all’assalto alla Cgil – è stata respinta il 25 dicembre. Tre giorni dopo, l’avvocato Nicola Trisciuoglio, che difende il leader di Forza Nuova Fiore, è tornato a chiedere la revoca della custodia in carcere. Questa volta per motivi di salute. «Un uomo detenuto nella cella del carcere di Poggioreale, dove è recluso Roberto Fiore, è risultato positivo al Coronavirus. Il che, considerate le patologie del presidente di Forza Nuova già compiutamente certificate nella relazione medica della professoressa Carmela Rescigno (si parla di ipertensione arteriosa resistente a terapia farmacologica e obesità, ndr) e ignorate totalmente dalla procura e dal gip del tribunale di Roma, significa un attentato alla sua vita». All’Adnkronos, il legale annuncia che «nel superiore interesse della tutela della salute di Fiore e, quindi, a tutela della sua vita domani presenterò nuova istanza al gip per la concessione dei domiciliari. Adesso il segretario di Forza Nuova rischia la morte». Trisciuoglio dice di aver avvertito il garante dei detenuti del Comune di Napoli e l’omologo della Regione Campania. «Unitamente alla professoressa Carmela Rescigno chiederemo un incontro ad horas con il Direttore Sanitario della struttura carceraria – aggiunge il legale -. In queste condizioni non è monitorabile il paziente all’interno del carcere per le sue gravi patologie su cui va a incidere l’eventualità concreta del contagio. Ognuno deve in questo momento assumersi le proprie responsabilità, anche quella di tramutare una misura custodiale massima in una condanna a morte. La permanenza di Fiore all’interno della struttura circondariale di Poggioreale – incalza Trisciuoglio – è un attentato alla vita».

Castellino dal carcere: “L’Assalto alla Cgil? La vera violenza fu dei poliziotti infiltrati”. Dopo la notizia che la procura di Bari sta indagando per terrorismo, il leader di Forza Nuova scrive da Poggioreale: «Terrorista e criminale è la narrazione del covid». Il Dubbio il 16 dicembre 2021.

«Terrorista e criminale è la narrazione del covid». A poche ora dalla notizia che la procura di Bari sta indagando per terrorismo, scrive così dal carcere di Poggioreale, in una lettera consegnata all’Adnkronos attraverso il suo avvocato Nicola Trisciuoglio, Giuliano Castellino. Per il leader di Forza Nuova, detenuto insieme a Roberto Fiore, a Luigi Aronica e Salvatore Lubrano per gli scontri di piazza del Popolo culminati il 9 ottobre scorso nell’assalto alla sede della Cgil, «migliaia di italiani che non hanno voluto e non vogliono piegare la testa di fronte all’oppressione globalista. Il mainstream e le forze repressive hanno liquidato quel sabato come un assalto fascista alla Cgil con arresti, criminalizzazione e repressione». «Nessuna voce fuori dal coro», aggiunge Castellino, sottolineando «tutti i quotidiani contro la piazza dei 100.000. Nessun contraddittorio, quella piazza andava cancellata, criminalizzata emessa al bando. I suoi animatori internati, messi alla gogna pubblica, processati e condannati nei tribunali giacobini di stampa e Tv». Tuttavia, sostiene il leader romano di Forza nuova, «non c’è stata nessuna devastazione e non c’è stato nessun assalto – ribadisce – Per i legali e l’economo della Cgil i danni ammontano a 18.000 euro più Iva. Danni che mai nessuno ha incitato a fare, solo in 25 e per soli due minuti sono entrati dentro la sede del sindacato, poco importa che in 100.000, a rischio lavoro per l’entrata in vigore del green pass, hanno dato vita a una giornata radicale nei toni ma tutto sommato pacifica. Il corteo che si è spinto fin sotto alla Cgil voleva solo spingere Landini e il sindacato più forte d’Italia a prendere posizione sul green pass. Pochi sconosciuti, (infiltrati?), sono entrati dentro la Cgil gli altri 100.000 hanno manifestato per la libertà. Ad oggi, per quel 9 ottobre, siamo ancora in carcere». Ma, scrive ancora Castellino, «la vera violenza quel 9 ottobre l’hanno fatta poliziotti infiltrati, i blindati della polizia che in più occasioni hanno tentato di investire i manifestanti. Siamo certi che nelle aule di tribunale e dell’opinione pubblica presto ci saranno verità e giustizia. Fascismo e fascisti sono solo nella testa dei nostalgici degli opposti estremismi e della strategia della tensione – conclude Castellino – sconfitti e cacciati dalla piazza no green pass. Il 9 ottobre rimarrà nella storia».  

No Vax, leader Forza Nuova indagati per terrorismo a Bari. La Repubblica, da Castellino e Fiore piano per organismo eversivo. Redazione ANSABARI il 15 dicembre 2021. I leader di Forza Nuova, Roberto Fiore e Giuliano Castellino, sono indagati per terrorismo nell'ambito di un'inchiesta della Procura di Bari. Nello specifico, le accuse sono di addestramento ad attività con finalità di terrorismo anche internazionale.

E' quanto scrive oggi La Repubblica. Secondo le indagini - si legge sul quotidiano - , i due avrebbero progettato un piano per per dare vita a un nuovo organismo di matrice politico eversiva "che comprende ma non si esaurisce in Forza Nuova", in cui si mettono insieme "un movimento storicamente organizzato e politicamente attivo, in grado di avere strutture, personale e risorse finanziarie, appunto Fn", e aggregazioni "politicamente , molto meno o per niente orientate, come la galassia No Vax".     L'inchiesta della Procura di Bari è partita da quattro esponenti di Forza Nuova pugliesi indagati per "addestramento ad attività con finalità di terrorismo anche internazionale", e ritenuti tra gli organizzatori della manifestazione no-pass a Roma il 9 ottobre scorso, culminata nell'incursione alla sede della Cgil. Sono i cugini baresi Roberto e Beatrice Falco, di 53 e 45 anni, il primo referente provinciale di Forza Nuova; il foggiano Domenico Carlucci di 54 anni; e il brindisino Adriano Dagnello di 31 anni. Le loro abitazioni sono state perquisite lo scorso 3 novembre. Dalle indagini è emerso che i quattro sarebbero stati in contatto con i vertici nazionali di Forza Nuova prima e durante la manifestazione, in particolare con con Roberto Fiore e con Giuliano Castellino, entrambi arrestati il giorno dopo l'assalto alla Cgil. Beatrice Falco, invece, si sarebbe ritratta in foto e video, "anche a titolo propagandistico", mentre partecipava al tentativo di irruzione nelle sedi parlamentari. Il monitoraggio dei loro profili social ha consentito di accertare la loro partecipazione alla manifestazione romana e le condivisioni del comunicato diramato da Forza Nuova "con cui si inneggiava esplicitamente ad 'innalzare il livello dello scontro'". (ANSA).

 Liliana Golia per corriere.it il 24 dicembre 2021. Le pecore che guardavano in tivù il premier Draghi dare indicazioni riguardo ai vaccini, sono state brutalizzate. Alla violenza e allo sberleffo simbolico dei no vax che hanno allestito un presepe in una cappella privata di Passirano, hanno risposto anonimi con un atto altrettanto becero. Ma attenzione: la Sacra famiglia non è stata toccata, ma le pecorelle che simboleggiavano il popolo «beota» che si fa vaccinare sono state ribaltate ed è stata demolita la Tv, davanti alla quale era posizionato il gregge per ascoltare rappresentanti delle istituzioni. «Il pensiero, pro vax o no vax, in una società civile va espresso con modalità lecite», scrive in una nota il sindaco di Passirano, Francesco Pasini Inverardi, che dalla visita all’allestimento nei giorni scorsi era uscito amareggiato. «Se l’espressione di un’opinione contraria alla vaccinazione non si sposa per nulla con un presepe, a maggior ragione la violenza scaricata sulla rappresentazione è sicuramente deprecabile». Il sindaco invita gli opposti schieramenti a pensare al bene comune, «con un atteggiamento umano, senza provocazioni». Infine l’augurio di «un Natale fatto di parole e azioni buone, di comprensione reciproca, senza esasperazioni».

Luciana Lamorgese, l'omicidio di Aldo Moro e l'esempio di Cossiga: ecco perché è costretta a dimettersi subito. Giuseppe Valditara su Libero Quotidiano il 16 ottobre 2021. L'assalto alla sede della Cgil è un «atto di squadrismo fascista, un attacco alla democrazia e a tutto il mondo del lavoro, una ferita per la democrazia e una offesa alla Costituzione». Sono le parole con cui Maurizio Landini ha stigmatizzato i fatti di Roma di sabato 9 ottobre, parole riprese quasi alla lettera da gran parte degli esponenti del Pd e delle altre forze politiche. Alcuni interventi hanno evocato gli assalti squadristi alle Camere del lavoro avvenuti a partire dal 1920, prodromici dello scatenarsi della violenza fascista e della deriva sovversiva. Si tratta dunque, per opinione condivisa, di un fatto di gravità inaudita. Se questo è assodato, appare altrettanto certo che questa offesa alla Costituzione e alla democrazia era stata ampiamente e chiaramente preannunciata. I filmati della manifestazione di piazza del Popolo sono incontestabili: due ore e mezza prima dei fatti già la piazza era stata avvertita che si stava preparando qualcosa di grave. Un'ora e un quarto prima dell'assalto, il leader di Forza Nuova, Giuliano Castellino, dal palco ha poi più volte, ad alta voce, preannunciato il raid squadrista. C'era dunque tutto il tempo per approntare una difesa di un obbiettivo costituzionalmente sensibile. Questi sono fatti inconfutabili. Qual è il compito di un Ministro dell'Interno? Innanzitutto garantire la tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica. Nel concetto di ordine e sicurezza pubblici vi è certamente la difesa delle istituzioni democratiche. La giustificazione adottata da Luciana Lamorgese, nel dibattito alla Camera, per il mancato intervento, appare inadeguata: «C'era il rischio di una reazione violenta di Castellino e dei suoi sodali». Se questa linea rinunciataria fosse quella del governo ci troveremmo di fronte al rischio che anche in presenza di un attacco al Parlamento non si reagirebbe per evitare reazioni violente degli eversori: una prospettiva semplicemente inquietante. Eppure efficaci misure preventive di fronte ad un gesto minacciato e quindi avviato a realizzazione erano facilmente adottabili. Non si è spiegato perché non è stato inviato qualche blindato munito di idranti e gas lacrimogeni davanti alla sede del sindacato o perché non sia stato monitorato il corteo mossosi per il raid. In ogni caso si è in presenza di una colpevole sottovalutazione. Risulta pertanto di tutta evidenza una grave negligenza della Ministra che non poteva non essere stata informata di un fatto così grave. E se non lo fosse stata, sarebbe ancora più inquietante, trattandosi di una falla inammissibile nella catena di comando. Viene alla memoria una situazione certamente più tragica, l'omicidio di Aldo Moro, ma di cui il ministro dell'Interno del tempo, a differenza di quello attuale per quello accaduto sabato, non aveva alcuna responsabilità. Francesco Cossiga, uomo di profonda sensibilità democratica, ebbe la dignità di dimettersi «per non essere stato capace di impedire» quel fatto eversivo. Altrettanta dignità deve ora avere la ministra Lamorgese.

Da corriere.it il 19 ottobre 2021. La ministra dell'Interno Luciana Lamorgese ha tenuto oggi un'informativa urgente alla Camera per riferire sugli scontri avvenuti a Roma sabato 9 ottobre e sull'assalto alla Cgil. L’intervento al Senato è previsto per le 16.30 

«Infiltrazione frange eversive»

«La manifestazione del 9 ottobre ha rappresentato l’evento più gravemente critico nell’ambito della mobilitazione nazionale contro il green pass» ha ammesso la ministra dell’Interno a proposito degli scontri romani e ha parlato chiaramente di «chiaro rischio di infiltrazione di frange eversive». Lamorgese ha ammesso che «non si sono riusciti a trattenere tutti i propositi criminali. Insomma, un errore di valutazione c’è stato ma se si è verificato quello che la ministra ha definito «un deficit di sicurezza»è stato per via di «una situazione che ha superato ogni ragionevole previsione». 

No alla lettura della strategia della tensione

La ministra degli Interni si è soffermata sull’assalto alla Cgl, sulla presenza di militanti e leader di Forza Nuova, tra cui Giuliano Castellino (per altro colpito da Daspo), e di come l’intenzione di assaltare la sede del sindacato fosse stata annunciata dal palco in piazza del Popolo dallo stesso Castellino. Questo episodio, dice la ministra, è stato citato in una certa lettura politica dei fatti per ipotizzare che ci fosse la volontà, da parte delle forze della Polizia, di non ostacolare questo assalto. In nome di una strategia della tensione che ci rimanderebbe «a momenti bui della nostra storia». «Respingo fermamente questa interpretazione» ha detto Lamorgese, perché questa lettura, secondo il ministro «insinua il dubbio che le forze della polizia si prestino ad essere strumento di oscure finalità politiche. È un’ingiusta accusa, che getta un’ombra inaccettabile sull’operato delle forze ordine».

Fischi e proteste da Fratelli d’Italia

A queste dichiarazioni sono partiti i fischi e le proteste da parte dei deputati di Fratelli d’Italia. Il presidente Roberto Fico ha richiamato all’ordine i deputati Andrea Delmastro (si è sentito urlare `Basta!«) e Federico Mollicone, entrambi di Fdi. 

«Forza Nuova in cerca di visibilità»

Sempre in riferimento agli scontri di Roma, Lomorgese si è soffermata sul ruolo di Forza Nuova: «In piazza a Roma il 9 ottobre c’erano circa 200 appartenenti a Forza Nuova, a conferma dell’acceso interesse da parte di questa formazione ad acquisire spazi di visibilità in grado di accrescerne il bacino di consenso». 

"Guerriglia urbana", la strategia del corteo di 80 anarchici lombardi. Paola Fucilieri il 20 Ottobre 2021 su Il Giornale. Il ministro Lamorgese alla Camera parla di Milano e degli scontri di sabato in piazza. «A Milano sabato scorso si sono radunati in piazza Fontana un folto numero di manifestanti, la cui composizione è risultata come al solito molto variegata, con la parte più consistente priva di una precisa connotazione e con la presenza di circa 80 persone riconducibili all'area anarchica. Gli anarchici volevano portare la polizia verso uno scenario di guerriglia urbana». Alla Camera, nel corso della sua informativa urgente sugli scontri avvenuti sabato 9 ottobre soprattutto a Roma - dove una frangia di estremisti di destra ha assaltato la sede nazionale della Cgil - il ministro dell'Interno Luciana Lamorgese ieri ha inquadrato criticità e responsabilità ben precise anche per i fatti avvenuti nella stessa data sotto la Madonnina. E dopo Montecitorio la responsabile del Viminale si è recata anche in Senato, nell'emiciclo di Palazzo Madama. Intanto la Procura di Milano sta valutando la posizione degli aderenti all'area anarchica ambrosiana e varesina per deferirli all'autorità giudiziaria. Si tratta perlopiù di appartenenti del centro sociale «Telos» di Saronno (Varese) e di gruppi anarchici del Corvetto con componenti marxiste leniniste. Rigorosamente privi di leader, sabato 16 ottobre ancora una volta hanno dimostrato una consapevolezza superiore della piazza rispetto alla stragrande maggioranza dei partecipanti al corteo, cittadini qualunque esasperati dall'obbligo del Green pass e da problematiche analoghe. Gli anarchici di queste settimane non si nascondono più sotto i cappucci delle felpe e non brandiscono, minacciosi, oggetti di alcun genere come durante i cortei tra la fine degli anni 90 e i primi del nuovo millennio. Mostrano di avere ritmo, strategia e sanno bene come muoversi per condizionare un corteo anche solo a livello vocale, mettendosi in testa e gridando «andiamo di qua!» piuttosto che «dirigiamoci di là!». Il loro numero è ancora esiguo e per ora, dal punto di vista dell'ordine pubblico, non hanno una vera incidenz, non rappresentano un pericolo. Tuttavia la strategia di fondo che li anima - quella che Lamorgese ha definito ieri come una volontà di portare «la polizia verso uno scenario di guerriglia urbana» -, secondo gli analisti della Digos è destinata ad apparire sempre più ragionata a confronto di quella inesistente della stragrande maggioranza dei manifestanti «No Green pass» dei cortei del sabato pomeriggio. Intanto ieri pomeriggio in piazza Fontana - luogo di ritrovo proprio dei cortei «No Green pass» del sabato pomeriggio - a partire dalle 17 si sono riunite una cinquantina di persone richiamate da una serie di appelli apparsi sui social network. Intorno alle 19 i manifestanti però hanno cominciato a scemare. Era successo lo stesso lunedì, quando però i manifestanti (circa 300 in tutto) dopo un presidio in piazza Fontana, si erano poi avviate in corteo per raggiungere Largo Augusto e via Vivaio nel tentativo, reso vano dal dispositivo disposto dalla questura, di avvicinarsi alla sede della prefettura. La manifestazione poi si era sciolta. Ma stasera, sempre grazie al tam tam mediatico, potrebbero riprovarci. E forse con maggiore successo.

Mattia Feltri per "La Stampa" il 20 ottobre 2021. Oggi sono proprio contento perché per una volta sono d'accordo con Matteo Salvini. E voglio dirlo con gioia, voglio urlarlo al mondo: per una volta Salvini ha ragione! Ha mille volte ragione quando chiede al ministro dell'Interno che bisogno ci fosse di usare idranti e fumogeni contro i pacifici manifestanti di Trieste. Io non condivido nulla della manifestazione dei no green pass, però, accidenti, ci sarà pure il diritto al dissenso in questo paese, sì o no? E come è possibile trasformare una protesta non violenta in un fatto delinquenziale? Eh, come è possibile poi me lo hanno spiegato: perché il blocco stradale - e a Trieste bloccavano la strada - è un reato. Fu introdotto nel 1948 e prevedeva da uno a sei anni di reclusione, ma nel 1999 lo avevano depenalizzato per l'esigenza di contemperare il diritto di manifestare col diritto alla mobilità. Dunque, dal '99, soltanto una multa. Finché un ministro dell'Interno non decise che i due diritti col cavolo che stavano sullo stesso piano: chi manifesta rompe le scatole a chi va a lavorare, disse. E il blocco stradale tornò a essere reato. Ma siccome ormai le cose si fanno con gusto draculesco, la pena massima fu innalzata a dodici anni. Vabbè, avete già capito chi era il ministro. Proprio lui: il nostro caro Salvini. E poiché gli avvocati, i sindacati e i giornali dissero che era una roba cinese, Salvini rispose a modo suo: siete delle zecche! Così i poveri manifestanti di Trieste, difesi da Salvini, rischiano di finire in galera grazie a Salvini, che fa finta di non saperlo. Ecco spiegato in poche righe come i populisti fanno del male soprattutto ai populisti.

C.Bo. per "la Stampa" il 2 Novembre 2021.

Giuseppe Ferrando, lei è a capo della Procura di Novara. È già arrivato sul suo tavolo il caso del corteo dei No Green Pass che ha destato clamore in tutta Italia?

«Non ancora. Ho sentito il questore Rosanna Lavezzaro, mi ha anticipato che ha redatto una dettagliatissima relazione su quanto avvenuto, segnalando i fatti al Ministero. È evidente che la manifestazione di sabato ha avuto un forte valore simbolico per le divise a strisce e ancora di più per quel corteo con la corda che voleva rappresentare il filo spinato e la deportazione. Questo rapporto arriverà anche sulla mia scrivania stamattina».

E a quel punto cosa farà?

«Aprirò un fascicolo per "atti dovuti" inerente alla manifestazione di sabato ma al momento senza alcun indagato. Valuteremo se sussistono eventuali ipotesi di reato. Al momento non emergono in modo così evidente e sarebbe prematuro fare qualsiasi altra considerazione. 

Va detto, in ogni caso, che sto parlando soltanto sulla base di quanto ho appreso dalle notizie giornalistiche. Ogni aspetto va verificato con la dovuta attenzione. Tutto si è svolto in modo abbastanza ordinato, ovvio che su questi argomenti c'è una sensibilità molto particolare». 

Il punto è proprio questo. A partire dalle Comunità ebraica, c'è stata una valanga di reazioni.

«Certo. E quelli che usano questi strumenti lo sanno benissimo. Su certi temi l'attenzione è massima e in qualche modo li sfruttano per avere una straordinaria cassa di risonanza alle loro idee. Oggi, infatti, tutti i giornali e tv ne parlano.

Non ipotizzo che il tema dei lager sia stato usato in chiave antisemita o razziale, piuttosto per dire "siamo come loro", "siamo pari". E questo, ovviamente, scatena le reazioni che abbiamo visto». 

Dunque considerare con il massimo scrupolo il dossier che la questura le recapiterà questa mattina in Procura è più che un atto dovuto?

«E' il nostro dovere. Anche se a prima lettura non emergono profili penali garantisco che non siamo affatto indifferenti a quello che è accaduto nelle vie della città». 

Il sindaco di Novara dopo quello che è accaduto invita seriamente a valutare la possibilità di sospendere altre manifestazioni del movimento No Green Pass. Lei è d'accordo?

«Autorizzare o meno una manifestazione è una prerogativa tipica del prefetto e del questore, la Procura non ha alcun ruolo, non si occupa del "pre-crimine" ma del "dopo". Mi chiedo però se sarebbe opportuno. Tutti i segnali, rispetto a quello che è successo, indicano che si è trattato di un caso isolato. Negare il diritto costituzionale di manifestare potrebbe avere gravi ripercussioni. Il rischio è trasformare Novara in una nuova Trieste, con una contrapposizione dura e continua».

La folle teoria in difesa del corteo dei No Green Pass. Domenico Ferrara il 2 Novembre 2021 su Il Giornale. Giusy Pace, la promotrice del corteo di finti deportati a Novara, ha spiegato la sua teoria in diretta televisiva. Ecco cosa ha detto. Ha negato che la manifestazione di Novara si richiamasse alla Shoah. Ha negato di aver fatto un parallelismo con i campi di concentramento. Ha negato di essere alla ricerca di gloria e di visibilità. Ha anche negato, per certi versi, di essere una infermiera e di essere una sindacalista. Perché "io sono sono in trasmissione come presidente dell'associazione istanza diritti umani". Insomma, tutto si può dire meno che Giusy Pace non sia una negazionista tutta d'un pezzo. A suo modo coerente. Una coerenza a tratti delirante ma pur sempre coerenza. D'altronde per l'ideatrice della protesta che ha destato scalpore e indignazione "la colpa è stata del giornalista che con una libertà assoluta senza neanche confrontarsi con noi sul fatto se quello che stava scrivendo era davvero quello che stava succedendo ha fatto un errato parallelismo". Insomma, si è sbagliato il cronista della Stampa, si sono sbagliati tutti i mass media italiani, la comunità ebraica ha frainteso. Siamo tutti dentro una enorme fake news. La divisa a righe non era a righe ma a fiori. Sulla divisa a fiori non c'erano dei numeri ma dei suggerimenti per vincere al Superenalotto, le catene non erano vere ma aleatorie come quelle di Sant'Antonio che girano su Whatsapp. Non c'era alcun riferimento al nazismo e allo sterminio degli ebrei. Pazzesco. Che grande abbaglio. "L'intenzione di quella manifestazione era partire dal green pass che è evidentemente una tessera del pane (...) "Prima ella Shoah, c'è stato l'Olocausto. Iniziò quando la gente smise di preoccuparsene, divenne insensibile, ubbidiente e cieca con la convinzione che tutto questo fosse normale (queste sono le parole di Primo Levi), iniziò con le persone private dei loro beni, dei propri cari, della loro dignità, con la schedatura degli intellettuali, con la deportazione...". Siamo all'apoteosi del paradosso: una persona che strumentalizza la Shoah che per negare di aver strumentalizzato la Shoah cita Primo Levi, uno che venne stipato in un treno merci con altri 650 ebrei, uno che visse nel campo di concentramento di Auschwitz, uno che fu costretto a indossare una divisa a righe, uno che aveva il numero 174517, uno che le catene, quelle vere, le ha sentite sulla propria pelle. Davvero. Nella follia del negazionismo televisivo di Giusy Pace trova spazio anche la teoria del cospirazionismo ("è la stampa che ha creato un'esondazione del fiume d'odio e sto valutando iniziative sulla libertà di stampa del giornalista che ha scritto della manifestazione") e dell'irrealismo ("anche la comunità ebraica è spaccata al suo interno, ci sono ebrei che mi chiamano per manifestare solidarietà"). Se voleva far parlare di sé ci è riuscita. Se voleva che venissero prese in considerazione le istanze portate avanti dall'associazione ha fallito. Perché ci sono provocazioni che hanno un limite ben definito, un filo spinato che è indecoroso e ignobile provare a saltare. E perché la dignità delle tragedie della Storia merita rispetto.

Domenico Ferrara. Palermitano fiero, romano per cinque anni, milanese per scelta. Sono nato nel capoluogo siciliano il 9 gennaio del 1984. Amo la Spagna, in particolare Madrid. Sono stato un mancato tennista, un mancato giocatore di biliardo, un mancato calciatore, o forse preferisco pensarlo...Dal 2015 sono viceresponsabile del sito de il Giornale e responsabile dei collaboratori esterni. Ho scritto "Il metodo Salvini", edito da Sperling & Kupfer e "La donna s'è destra. L'altra storia della cultura e della politica femminile italiana", edito da Giubilei Regnani. Per la collana F

Gloria Satta per “Il Messaggero” il 2 novembre 2021. Tra i migliaia di firmatari della petizione on line, lanciata sulla piattaforma change.org contro l'immagine di Trieste come capitale dei no-vax, accanto a scienziati, politici, cattedratici, imprenditori ci sono anche dei personaggi noti dello spettacolo: tra loro il regista premio Oscar Gabriele Salvatores (che a Trieste ha diretto il film Il ragazzo invisibile), gli attori Lino Guanciale che in città ha girato la serie La porta rossa e ha ricevuto un premio dal Comune, Ariella Reggio fondatrice del Teatro Popolare La Contrada. E Diego Abatantuono, 66 anni, volto italiano tra i più popolari ed amati, attualmente nelle sale cinematografiche protagonista dell'irresistibile commedia Una notte da dottore.

Cosa l'ha spinta a firmare, Abatantuono?

«Volevo manifestare solidarietà e rispetto a Trieste, una città in cui ho tanti amici e in cui non ci sono soltanto no-vax. Ma premesso che non ho l'abitudine e tantomeno l'intenzione di mettermi sul pulpito a pontificare, la ribalta la cerco solo attraverso il mio lavoro, trovo incredibile che si parli ancora di questo argomento». 

Perché?

«Trovo incomprensibile che ci si possa schierare contro il vaccino, o solo accettare un confronto con chi si definisce no-vax. Io posso discutere con chi ha delle idee diverse dalle mie, ma non con una persona che rifiuta l'immunizzazione: dietro la sua posizione non c'è un pensiero o un'evidenza scientifica bensì il nulla».

E perché, secondo lei, a dispetto dell'inconfutabile utilità del vaccino c'è chi continua a proclamarsi no-vax e a manifestare contro il green-pass?

«Non riesco proprio a capirlo e, a dire la verità, quando vedo in tv un dibattito con un no-vax cambio canale: stare a sentire queste persone equivale a chiedere a un razzista di motivare perché è a favore della discriminazione... Per manifestare una posizione bisogna avere un'idea, che invece nei no-vax manca del tutto».

Tra i suoi conoscenti, o tra le persone con cui le è capitato di lavorare, c'è qualcuno contrario al vaccino?

«No, e se devo essere sincero preferisco non saperlo nemmeno: non vorrei scoprire che un mio amico ha questa posizione... in quel caso accetterei di avere rapporti con lui soltanto al telefono. Un fatto è sicuro: a casa mia entra soltanto chi è immunizzato. Ho ormai un'età, parenti anziani, figli e nipoti amatissimi e non voglio rischi». 

Pensa che prima o poi la minoranza dei no-vax smetterà di agitarsi?

«Lo spero. L'argomento che queste persone portano avanti, lo ripeto, non esiste. Ma c'è sempre il rischio che le loro proteste vengano cavalcate e, ancora peggio, strumentalizzate da qualcun altro».

Errore comprimere la libertà. Luigi Mascheroni il 2 Novembre 2021 su Il Giornale. Sinonimi di "comprimere": restringere, serrare, chiudere; in senso figurato: reprimere, soffocare, opprimere. O anche: "schiacciare". Sinonimi di «comprimere»: restringere, serrare, chiudere; in senso figurato: reprimere, soffocare, opprimere. O anche: «schiacciare»... Dopo i «fatti di piazza» dei giorni scorsi a Trieste, il sindaco ha definito i non vaccinati «disertori» (che va benissimo, perché quella contro il Covid è una guerra, ma sapendo che in guerra i disertori vengono messi al muro e fucilati). E il prefetto della città ieri ha annunciato che è arrivato il momento di «comprimere il diritto alla libera manifestazione». Parole che, a memoria, non avevano pronunciato neppure i podestà nel Ventennio. Andrà tutto benissimo...Le parole sono importanti. Ma le premesse di più. Ed ecco la premessa: chi scrive, davanti all'ipotesi di prorogare lo stato di emergenza e l'obbligo di green pass di altri tre mesi, è d'accordissimo. Come è d'accordissimo su un eventuale prolungamento anche di tre anni, se necessario. Così come è favorevolissimo all'obbligatorietà del vaccino (speriamo che ci si arrivi presto) e anche alla terza, quarta, quinta dose... Accettiamo, e di buon grado, qualsiasi imposizione i nostri politici sentito il parere degli scienziati - ritengano necessaria a tutelare la salute dei cittadini. Ma - esaurite le dovute premesse, e anche un po' la pazienza - abbiamo molti dubbi sul «comprimere il diritto alla libera manifestazione». Ecco, quello è meglio di no... Meglio che una frase del genere non sia detta, e meglio ancora che non sia un prefetto a pronunciarla. Non è mai l'ora di comprimere il diritto a esprimere una opinione. Il governo lo deve spiegare bene al prefetto di Trieste, il quale semmai si deve adoperare per far rispettare le norme su mascherine e distanziamento. Non a limitare il diritto a manifestare. Altrimenti decida: o lascia il suo posto o instaura uno stato di polizia. Del resto lo stesso sindaco di Trieste, Roberto Dipiazza, ha detto ai No Pass: «Il fatto che vi lasciamo manifestare dimostra che siamo ancora in democrazia». Appunto. E per il resto, ci chiediamo: se il problema sono le manifestazioni di piazza che provocano nuovi focolai, come distinguiamo le manifestazioni virtuose da quelle pericolose? Le vietiamo tutte o solo quelle dei No Pass a Trieste? Se ne comprimi una poi devi comprimere anche le manifestazioni a favore del Ddl Zan, poi devi comprimere tutti i democratici cortei antifascisti, poi quelli dei gruppi antagonisti e dei centri sociali a Padova contro Bolsonaro, e quelli di domani del 25 aprile... Insomma, non è facile. E poi, comunque, Trieste conta 204.234 abitanti. E 93 positivi al Covid causa manifestazioni (positivi, non morti). Sono solo numeri. Ma ci dicono che è lecito non solo discutere sul rapporto fra diritto alla salute e diritto a manifestare. Ma anche fra reale emergenza e diritti costituzionali.

Luigi Mascheroni lavora al Giornale dal 2001, dopo aver scritto per le pagine culturali del Sole24Ore e del Foglio. Si occupa di cultura, costume e spettacoli. Insegna Teoria e tecniche dell'informazione culturale all’Università Cattolica di Milano. Tra i suoi libri, il dizionario sui luoghi comuni dei salotti intellettuali "Manuale della cultura italiana" (Excelsior 1881, 2010);  "Elogio del 

Giuseppe Salvaggiulo per "la Stampa" il 20 ottobre 2021. Sono tre i dubbi che restano dopo l'informativa della ministra Lamorgese. Primo punto critico: «adeguatezza del dispositivo di ordine pubblico». Tutto dipende dal rapporto agenti/manifestanti. Gli organizzatori della manifestazione avevano stimato 1000 partecipanti. Stima palesemente non credibile, per diverse ragioni. Il 28 agosto, dopo l'ennesima manifestazione, è il sindacato di polizia Italia Celere a paventare il rischio di «situazioni pesanti da gestire con scontri duri se i soliti noti riusciranno a coinvolgere 4-5mila persone» anziché «poche centinaia che si possono disperdere in un minuto». Il 10 settembre la stessa ministra dichiara: «I toni salgono. Rischio di lupi solitari ed estremismi». Il 16 settembre il governo approva il decreto green pass, due giorni dopo viene convocata la manifestazione «contro l'infame tessera verde» per il 25 settembre in sessanta piazza da Bassano del Grappa a Francavilla al Mare. Benché organizzata in una sola settimana, diventa una riuscita prova generale. A Roma, dove esordisce il vicequestore no vax Nunzia Schilirò, sono almeno 3mila. Alcuni durante il deflusso bloccano il traffico sull'Appia, dieci vengono identificati e denunciati. A Milano 2mila provano a forzare il blocco di blindati in piazza Duomo. A Trieste sono 7mila. Quei numeri si sommano il 9 ottobre in piazza del Popolo, dove sono, dice Lamorgese, «10-12mila». Eppure nonostante due settimane di preparazione, tam tam sul web, concentrazione a Roma di tutte le piazze per una «manifestazione generale, nazionale e unitaria», secondo la ministra il numero di partecipanti è «inaspettato». Il Viminale, «coerentemente all'assenza di elementi informativi su un indice di partecipazione così anomalo», tara su una stima di 3-4mila partecipanti un dispositivo di sicurezza di 840 unità, «da ritenersi pienamente adeguato e proporzionato». Il secondo punto critico riguarda Forza Nuova. Da un anno protagonista delle manifestazioni no vax. Dice la ministra, citando la Corte europea, che si poteva impedire che il leader romano Giuliano Castellino, «ben noto per i trascorsi delinquenziali», prendesse il comando della piazza. Eppure la sua pericolosità era stata rilevata dalla questura a più riprese. Ottobre 2020: viola ripetutamente le misure anti Covid in piazzale Ostiense e piazza del Popolo. Gennaio 2021: sottoposto a sorveglianza speciale e obbligo di dimora. Luglio: fermato e processato per aver violato quell'obbligo, che viene ribadito con «prescrizione di non partecipare alle manifestazioni pubbliche senza autorizzazione delle autorità di pubblica sicurezza». Eppure il 24 luglio, il 14 e 28 agosto partecipa «in alcuni casi come promotore» alle manifestazioni anti green pass, «incitando ad assumere un atteggiamento di ribellione» contro le istituzioni e fronteggiando lo sbarramento di poliziotti in assetto anti sommossa «con l'obiettivo di sfondarlo e raggiungere le sedi di parlamento e governo». Denunciato a fine agosto, perquisito il 6 settembre: in casa fumogeni, passamontagna, bastoni. Il 14 settembre nuovo Daspo (il terzo dal 2017) con durata massima di cinque anni per violenze nelle manifestazioni anti Covid. Dunque gli viene impedito di andare allo stadio (in realtà ci va lo stesso a tifare Roma al derby), ma continua a promuovere manifestazioni politiche. Il 25 settembre in piazza San Giovanni, con altri 30 di Forza Nuova. Il 29 settembre lancia l'appello «Tutti a Roma il 9 ottobre oltre gli steccati contro la tirannia tecno-sanitaria». Quel giorno alle 14,30 comunica alla questura la partecipazione alla manifestazione (con altri 200 di Forza Nuova), non ricevendo alcun divieto. Il terzo punto critico riguarda la trattativa Stato-Forza Nuova. La manifestazione era autorizzata come sit-in. La ministra nega un assenso del Viminale alla «esplicita richiesta», avanzata alle 16,15 anche per conto di Fiore e Castellino da Luigi Aronica, «er pantera di Monteverde» ex Nar ora in Forza Nuova, di effettuare un corteo fino alla sede della Cgil per «scandire slogan di protesta». Secondo Lamorgese alle 16,30, quando Castellino annuncia l'assalto alla Cgil dal palco, «la richiesta era in corso di valutazione» da parte dei funzionari di polizia «che frattanto avevano invitato i manifestanti ad attendere». E un quarto d'ora dopo, quando parte «il corteo non autorizzato di 3mila persone», la riserva non è stata sciolta, perché la polizia stava ragionando su «eventuali percorsi e siti alternativi». Una diversa versione dei fatti è però contenuta nel fascicolo giudiziario. La versione dell'assenso della polizia al corteo, sostenuta dagli arrestati (in ogni caso per il giudice non sufficiente a ridurne le responsabilità), trova un riscontro in un'annotazione di servizio della Digos secondo cui «attesa l'insistente richiesta dei numerosissimi manifestanti di effettuare un corteo () è stato loro permesso di effettuare un percorso dinamico verso i locali della Cgil». Carlo Taormina, avvocato di Fiore e Castellino, cita anche una «dettagliata relazione finale» della Digos con fasi, tempistiche («20 minuti») e catena gerarchica coinvolta nella trattativa. Paolo Colosimo, avvocato di Aronica, parla di «assenso implicito». Questa versione, con la polizia che ferma il traffico in piazzale Flaminio per far passare il corteo, è opposta a quella della ministra, che parla di «accelerazione della situazione in pochissimi minuti» e «avanzata impetuosa quanto disordinata» dei manifestanti. Divergenza anche sul ruolo di Castellino: per la ministra raggiunge la testa del corteo e interloquisce con la polizia solo in prossimità di piazzale del Brasile, al limite di villa Borghese, dove la polizia viene travolta. Nell'annotazione della Digos, è citato già in piazza del Popolo come interlocutore, quando motiva la richiesta del corteo «al fine di ottenere un incontro con un rappresentante della Cgil». E qui si pone un'ultima domanda: qualcuno aveva chiesto alla Cgil la disponibilità a incontrare Forza Nuova?

Trattativa con i No Pass: Lamorgese finisce nei guai. Stefano Vladovich il 26 Ottobre 2021 su Il Giornale. Il leader di Fn Castellino: «Una pec alla questura per confermare la mia partecipazione in piazza». La partecipazione alla manifestazione». Le forze dell'ordine sapevano, almeno è quello che sostiene Giuliano Castellino, rinchiuso a due settimane nel carcere di Poggioreale. E per l'ex Nar Luigi Aronica l'avvio del corteo era stato concordato con la polizia: «Ci hanno guidato loro». Un'altra tegola che si abbatterebbe sulla gestione dell'ordine pubblico prima, durante e dopo il sit-in di piazza del Popolo trasformato in guerriglia urbana e finito con l'assalto e la devastazione della Cgil. Il ministro dell'Interno Luciana Lamorgese era a conoscenza della mail certificata inviata dal leader di Forza Nuova a San Vitale? «Non avevo nessun braccialetto - sottolinea Castellino in una nota affidata al suo difensore Carlo Taormina né Daspo per le piazze, né divieti specifici. «La mia sorveglianza speciale mi imponeva di comunicare alla questura la mia partecipazione a manifestazioni autorizzate. Cosa che ho sempre fatto tramite pec, anche sabato 9 ottobre». Castellino, che sulla trattativa fra Fn e Digos non risponde alle domande del gip Annalisa Marzano, adesso parla. Anzi scrive una lettera all'agenzia AdnKronos in cui si difende dalle accuse. «L'assalto alla Cgil? Non sono entrato. Armi e bastoni? Ero a viso scoperto e senza nulla in mano». Anzi, Castellino sostiene di essere stato colpito da vari oggetti lanciati dalla folla scatenata. «Volevamo solo chiedere a Landini di proclamare lo sciopero generale. Si, la Cgil la volevano assediare ma da fuori». Versioni che lasciano molti dubbi, visto che la finestra della sede sindacale di Corso Italia viene infranta da Pamela Testa, la «pasionaria» di Fn braccio destro di Fiore e Castellino. Scrive il gip: «Dalle immagini si vede introdursi nei locali della Cgil scavalcando una finestra per poi aiutare altre sue persone a scardinare il portone di ingresso». Insomma, quello contro Castellino sarebbe un attacco mediatico senza precedenti, gonfio di menzogne. «Sono 12 giorni che media e televisioni ci stanno tritando - dice - Una cattiveria ingiustificata, immotivata e a dir poco faziosa». Castellino si sentirebbe come Calimero, il pulcino di un vecchio spot tv: «piccolo, sporco e nero». «I miei processi, tutti aperti e in corso, sono tutti politici e privi di violenza - scrive ancora - Anche le due condanne che ho in primo grado sono ridicole. È tutto mirato a costruire un personaggio brutto sporco e cattivo solo perché ho osato sfidare alcuni dogmi della sinistra: la presenza e il radicamento nelle periferie, il coniugamento di identità e giustizia sociale, la lotta per i diritti sociali e per il lavoro». Tant' è. Del resto proprio grazie a un procedimento penale finito con «il fatto non sussiste» che Castellino viene assolto dall'accusa di spaccio di droga. L'etto di cocaina trovato nel suo scooter, assieme a trenta bombe carta, mentre passava con il rosso e senza patente, per il giudice erano a uso personale. Il processo per il milione e 300mila euro sottratti alle casse della Asl sotto forma di (false) ricette per pazienti celiaci assieme ad altri soci di una catena di prodotti senza glutine è ancora in alto mare. E gli agenti della Digos picchiati durante uno sgombero o i cronisti de L'Espresso malmenati durante una commemorazione? «Azioni politiche». Castellino, tre Daspo in tre anni, più volte infranta la sorveglianza speciale e l'obbligo di dimora, insiste: «C'è un'etichetta ideologica che sempre si vuole dare ogni qualvolta si crea un link tra militanza e popolo». Stefano Vladovich

Cosa è successo davvero in piazza. Falle sulla sicurezza? Luca Sablone il 10 Ottobre 2021 su Il Giornale. Polemiche per l'operato del ministro Lamorgese sugli scontri con gli anti-green pass: cosa non ha funzionato? Ora Lega e FdI chiedono le dimissioni: "È inadeguata". Il clima di tensione raggiunto ieri pomeriggio ha toccato quote altissime, pericolose e preoccupanti. Gli scontri tra anti-green pass e agenti in servizio hanno caratterizzato le scorse ore, con alcuni manifestanti che hanno lanciato bombe carta e sassi all'indirizzo delle forze dell'ordine. Proteste in diverse città d'Italia per contestare l'estensione del certificato verde che scatterà dal 15 ottobre, ma soprattutto a Roma la situazione è degenerata. Nella serata di ieri il caso è diventato politico: nel mirino è finito l'operato di Luciana Lamorgese, sotto accusa per la gestione del delicato momento. La titolare del Viminale si è affrettata a esprimere solidarietà e vicinanza alle forze di polizia, che in una giornata difficile per l'ordine pubblico "hanno agito con equilibrio e professionalità per fronteggiare intollerabili atti di violenza anche contro sedi delle istituzioni". Eppure la strategia del Viminale ha presentato più di qualche falla. Ne parla Il Messaggero, che effettivamente si chiede come mai non sia stato possibile intercettare e arginare una manifestazione di questa portata. E così ci si sta interrogando su una possibile sottovalutazione del rischio e su un numero troppo basso di poliziotti. A prevalere ancora una volta è stata la linea morbida. Dal ministero dell'Interno fanno notare la presenza di bambini, famiglie e persone che manifestavano pacificamente: "Come si poteva intervenire più pesantemente? È stato meglio contenerli o caricarli?". Viene inoltre rivendicato che le ripetute cariche di alleggerimento e contenimento "hanno impedito ai manifestanti di raggiungere i palazzi delle istituzioni, e hanno ugualmente consentito ai manifestanti pacifici di esprimere il loro dissenso". Comunque ci si chiede se sia stato previsto un numero troppo basso di agenti in campo. Se il pericolo sia stato effettivamente sottovalutato. Se si poteva fare di più per evitare gli assalti. Se la strategia poco interventista ha fallito. Nel frattempo gli occhi sono tutti puntati a venerdì 15 ottobre, giornata in cui scatterà l'obbligo del green pass anche per i lavoratori del settore pubblico e del privato. Non sono affatto da escludere altre manifestazioni nel nostro Paese, con estremisti e violenti che potrebbero colpire sedi istituzionalo e preparare via Telegram alcuni blitz. In serata alle condanne da parte dei partiti si aggiungono cori di malcontento nei confronti del lavoro svolto dalla Lamorgese. Ad attaccare per prima la titolare del Viminale è stata Giorgia Meloni, che ha denunciato "la totale mancanza di controllo e prevenzione". Per la leader di Fratelli d'Italia si tratta di una situazione che conferma nuovamente "la sua inadeguatezza". Poi è arrivato l'affondo della Lega: fonti interne hanno chiesto un passo indietro del ministro dell'Interno alla luce di quanto avvenuto. "La Lamorgese deve dimettersi: Italia nel caos e forze dell'ordine in difficoltà per la sua totale incapacità", è la linea che hanno fatto trapelare dal Carroccio. Non manca però chi si schiera al fianco della Lamorgese. È il caso di Federico D'Incà, ministro per i Rapporti con il Parlamento, secondo cui chi attacca il ministro dell'Interno non contribuisce a sbollentire una situazione incandescente: "In questo momento serve unità e non pericolosi distinguo i cui risultati sono sotto gli occhi di tutti". Alle parole del grillino si aggiungono quelle di Angelo Bonelli: il coportavoce nazionale di Europa Verde reputa la mossa della Lega "drammaticamente indecente e vergognosa". 

Luca Sablone. Classe 2000, nato a Chieti. Fieramente abruzzese nel sangue e nei fatti. Estrema passione per il calcio, prima giocato e poi raccontato: sono passato dai guantoni da portiere alla tastiera del computer. Diplomato in informatica "per caso", aspirante giornalista per natura.

16 identificati e 5 fermati: "Solidali non con la Cgil ma con i portuali". Corteo No Green Pass a Milano, in 15mila paralizzano la città: la polizia carica i manifestanti. Elena Del Mastro su Il Riformista il 16 Ottobre 2021. La manifestazione a Milano contro il Green Pass obbligatorio è partita alle 17. Il corteo non era autorizzato ma in 15mila si sono aggregati alla protesta camminando nel centro di Milano per tutto il pomeriggio e paralizzando la città. Un ampio gruppo di manifestanti No Green Pass ha raggiunto piazza Duomo a Milano, e ha dato vita a un sit-in. “Oggi abbiamo vinto”, scandisce uno degli organizzatori che ha preso la parola pubblicamente. I partecipanti al corteo scandiscono slogan come “Trieste chiama, Milano risponde”, facendo riferimento alla protesta dei portuali giuliani, “la gente come noi non molla mai”. E Ancora: “Speranza va via, sei tu la pandemia” contro il ministro della Salute e “Draghi vergogna, ritorna nella fogna”. Tante le bandiere in piazza, tra cui diversi tricolori, il vessillo francese e quello romeno e perfino una bandiera dei pirati. Dopo una breve sosta in piazza del Duomo, il corteo dei no green pass è ripartito attraversando piazza Fontana. Una parte dei presenti, composta da anarchici e altri manifestanti senza una precisa identità politica, sono invece andati in via Borgogna. Le forze dell’ordine hanno bloccato il fronte dei manifestanti vicino all’angolo con via Visconti di Modrone con una carica di alleggerimento. La tensione continua a salire in serata quando la polizia in via Borgogna a Milano, all’angolo con via Visconti di Modrone ha dato il via a una carica degli agenti che hanno cercato di disperdere un ampio gruppo di persone che stava cercando di proseguire in corteo per le vie della città. Un giovane è stato fermato dagli agenti. Mentre il funzionario di polizia ha invitato gli organizzatori a sciogliere la manifestazione, i partecipanti sono intenzionati a proseguire. Nel corso della manifestazione No Green pass non preavvisata ancora in corso a Milano, anche se con un numero ridotto di manifestanti rispetto a metà pomeriggio, la polizia di Stato ha, al momento, identificato 16 persone e ne ha accompagnate in Questura 4 che verranno denunciate. I manifestanti, con il chiaro intento di creare confusione e forti disagi al traffico, continuano a spostarsi confusamente cercando anche il contatto con i reparti di polizia e carabinieri. Lo scontro è avvenuto quando c’è stato il tentativo del gruppo di testa, composto anche da anarchici, di sfondare il cordone di sicurezza degli agenti in tenuta antisommossa. In centro, all’altezza di via Borgogna, ci sono state due cariche di alleggerimento che hanno impedito ai contestatori di avanzare. Alcuni di loro sono stati colpiti da manganellate, ma non si registrano feriti per ora. L’obiettivo era quello di raggiungere la Camera del Lavoro. La manifestazione procede da quasi 5 ore per le vie della città al grido di “Se non cambierà bloccheremo la città”. Il traffico cittadino è andato in tilt, tra le proteste dei milanesi, bloccato dai diversi spezzoni del corteo. Poi il flusso di manifestanti, sempre nella zona di porta Venezia, si è aperto per fa passare il furgoncino delle consegne di un noto supermercato. “È un lavoratore – hanno gridato alcuni partecipanti, rivolti ai media presenti – e noi rispettiamo i lavoratori”.

Elena Del Mastro. Laureata in Filosofia, classe 1990, è appassionata di politica e tecnologia. È innamorata di Napoli di cui cerca di raccontare le mille sfaccettature, raccontando le storie delle persone, cercando di rimanere distante dagli stereotipi.

Il dibattito sul green pass. Vaccino e eutanasia, il mio corpo è mio: fermiamoci a riflettere. Alberto Cisterna su Il Riformista il 17 Ottobre 2021. La battaglia sul, o meglio, per il Green pass potrebbe essere solo agli inizi. Gli assalti e gli scontri, le prese di posizione più o meno violente e strampalate in fondo rappresentano un piccolo microcosmo che si potrebbe anche ignorare, se non fosse che dietro le linee dei renitenti al vaccino sono asserragliati qualche milione di cittadini. Qualche milione, non le poche migliaia che strepitano, urlano, fanno a botte con la polizia. Occuparsi di questi è, tutto sommato, un gioco da ragazzi. Non appena la scure giudiziaria sarà piombata sui più violenti ed esagitati, tutto si placherà. Già l’operazione di polizia condotta alcune settimane or sono sulle reti social e il tintinnare di un’imputazione per terrorismo aveva sopito tanti bollori barricaderi; qualche arresto renderà più esplicito il messaggio. Però non ci sono solo facinorosi e violenti tra quei 5 milioni scarsi di italiani. Ci sono lavoratori, casalinghe, madri di famiglia, cittadini onesti e persone perbene, tutte racchiuse insieme in quella gigantesca bolla che si vorrebbe far esplodere con lo spillo del Green pass. Un’astuzia che sarà certo servita a convincere tanti ragazzi a vaccinarsi, tanti lavoratori a cedere, ma che da oggi inizia a mostrare tutti i segni della propria debolezza. Era uno stratagemma senza una strategia e oggi se ne coglie tutta la fragilità di fronte al ricatto che proviene dalle frange più agguerrite di un corporativismo che scavalca qualunque sindacato, e si fa beffe di ogni proclama o rassicurazione e pretende tamponi gratis per tutti.  Si inizia a cedere e sarà così nei prossimi giorni, sino a quando il fronte della fermezza dovrà fare i conti con l’impossibilità di privarsi di centinaia di migliaia di lavoratori in un sistema economico interconnesso che da un battito di ali nel porto di Trieste vede una tempesta abbattersi sulle industrie del Nord-est. Perché tutto questo abbia un senso bisognerebbe tenere distinte le pseudo ragioni scientifiche che alimentano i no vax, i loro discorsi, le loro chat, i loro ambigui canali social da quello che è, invece, il fondamento ultimo del loro dissenso. Finora è stato semplice irridere la protesta prendendo a pretesto le sciocchezze che vengono diffuse contro i vaccini o l’inconsistenza dei personaggi che dovrebbero alimentarne il retroterra scientifico. Ma di fronte a una solida e compatta falange di cittadini che non sono disponibili a mettere a disposizione il loro corpo per poter continuare a lavorare, che sono pronti a subire la sospensione dello stipendio per non ricevere il vaccino, sarebbe bene fermarsi a riflettere prima di passare alle maniere forti o di arrischiarsi in una disonorevole marcia indietro. Il corpo umano è intangibile. La fisicità di ciascun essere è al centro di complesse e tormentate discussioni; un crocevia denso di implicazione. A esempio, eutanasia e vaccino hanno un comune, non così labile, comune denominatore; in tutti e due i casi si discute del diritto che ciascun uomo ha di disporre del proprio corpo, della vita stessa che lo attraversa. Persino la donazione d’organi tra viventi è soggetta a regole rigidissime per evitare il mercimonio di pezzi dell’essere nella sua inarrivabile perfezione. Certamente ragioni sanitarie possono consentire di comprimere questo diritto, di agire sul corpo. All’infermo di mente che mette in pericolo se stesso o gli altri si possono applicare coercizioni (il Tso); così legittimamente si può imporre una vaccinazione di massa con una legge approvata dal Parlamento. Non si è scelto questa strada, si dice, per ragioni tutte politiche, ma la verità è che nessun vaccino ha veramente superato la fase sperimentale e può dirsi conosciuto in tutti i suoi effetti collaterali e, quindi, neppure per legge può imporsi a un’intera nazione di sottoporsi a un trattamento sanitario non interamente sotto controllo. Tutti quanti abbiamo optato per il vaccino lo abbiamo fatto consapevolmente, firmando un complicato e minuto modulo di consenso informato con cui siamo (anche) entrati formalmente in una gigantesca operazione di sperimentazione su larga scala; la più grande che si sia mai vista. In Israele la Pfizer ha negoziato con quel governo, addirittura, l’acquisizione di tutti i dati sanitari della propria popolazione. È tutto legittimo ed è tutto, purtroppo, necessario. Sicuramente i vaccini sono innocui e non ci saranno conseguenze su larga scala e nel medio periodo. Ma questo è un auspicio e non una certezza scientifica; una speranza non una rassicurazione che nessuno, infatti, ha finora esplicitamente dato; tant’è che si continuano a compilare i moduli di consenso informato che una vaccinazione obbligatoria, ovviamente, esclude per definizione.  In questo scenario non si tratta di irridere le idee dei no vax , non si tratta di garantire a costoro un’ovvia libertà di opinione, ma di comprendere che  la macchina statale si deve arrestare quando si arriva alle soglie del corpo di ciascun essere umano e della sua volontà di conservarlo intangibile, fosse pure da un ago. Alberto Cisterna

Se Alexander Fleming avesse scoperto la penicillina oggi sarebbe stato crocifisso dai No Pen. Giampiero Casoni il 28/09/2021 su Notizie.it. Se giri la clessidra e giochi con il tempo ti accorgi di una cosa: che la Storia non è maestra di nulla e che la Scienza genera sospetto prima che rispetto. Giochiamo con la clessidra e col Golgota, cioè con il tempo e con il luogo dove vanno a finire quelli che vogliono il bene del mondo ma a cui il mondo riserva croci, scherno e riabilitazione tardiva e vigliacca. Il 28 settembre 1928 succede una cosa bella e immensa: il medico inglese Alexander Fleming condensa le sue ricerche sulle infezioni mortali che aveva incontrato in guerra e scopre una muffa che stecchisce i batteri responsabili di quelle infezioni che avevano ucciso più soldati dei nemici. La Penicillina, comparsa per caso su una capsula di coltura in forma di muffa, si affaccia sul mondo e dice che l’80% delle morti da infezione può andare tranquillamente a prendersela in quel posto perché lei ai batteri glie lo fa come un secchio e signori abbiamo una novità: non si muore più. Ripetiamola questa frase ché ha la dolcezza tonda delle Grandi Vittorie: Non-Si-Muore-Più. Flashback, dissolvenza e salto quantico temporale in mood macedonia: mettiamo che Fleming abbia inventato la penicillina non quando nel Regno Unito i lampioni ciucciavano olio di balena ma oggi, che delle balene siamo tutti amiconi e lo scriviamo su Instagram. Immaginiamoci lo scenario con le franchigie di chi mescola passato e presente: dei sette e passa miliardi di abitanti del pianeta tre sono a rischio di morire per infezioni assortite, è appena arrivato un virus mannaro che sderena anche i fabbri dello Yorkshire e tutti postano dolore e rammarico sui social. Poi arriva Fleming che ovviamente ha una pagina Facebook dedicata e magari in bonaria logica sburona ci ha scritto pure “personaggio pubblico”. Arriva ed urla felice che ha scoperto la penicillina e che se quei tre miliardi di cristiani si fanno fare un’iniezione potranno vivere in pace e non crepare in cancrena e batterio mio scavati la tomba con le tue perfide ciglia ché qui ti si piallano le corna in gloria. Apriti cielo ed apriti forte perché nasce il Movimento No Pen, che viene subito affiancato dalla ben più tignosa Confederazione Mai Muff. I No Pen, che della mistica del popolo sovrano sono i figli prediletti, invadono le piazze, poi incazzati come bisce fanno boccino ai tre neuroni che giocano a carambola in capoccia e latrano fieri che no, “una muffa proprio no, noncielodicono ma in realtà la muffa è Erba Satanica messa in Coltura dai Rotschild per mandare in trip gli onesti risparmiatori e convincerli che il mondo ha bisogno di una Loggia da cui controllare le nascite e guardate che fine fece quel povero coglione di Pemberton con la sua bevanda drogata”. Insomma, in nome della libertà di parola emendata dalla facoltà di intelletto questi ferocissimi No Pen e Mai Muff riescono a fare due cose: ad incrementare cancrene mortali e a rallentare la sconfitta dell’Armata del Ceppo Batterico. E Fleming non è il solo a prendersi mazzate e accuse di connivenze con i Poter Forti della Grande Babilonia Mondiale, tocca anche ai governi. Ai sistemi complessi cioè che alla scoperta di Fleming hanno risposto con un “Urrà” e con massicce acquisizioni di muffa, così, tanto per salvare il mondo, compresi i coglioni che odiano la muffa pur avendo grossi grumi della medesima nel cervello. Perché se giri la clessidra e giochi con il tempo ti accorgi di una cosa: che la Storia non è maestra di un cacchio di nulla, che la Scienza genera sospetto prima che rispetto, e che quelli che questo rispetto non lo hanno sono da sempre i tizi che, da stregoni patentati, cacciano le streghe e crocifiggono i Cristi che salvano il mondo. Poi, dopo anni e annorum, si pentono e li mettono sul comodino. Di solito quando è troppo tardi.

Claudia Catuogno per corrieredelmezzogiorno.corriere.it il 23 agosto 2021. Ambulanza a mo’ di taxi: succede a Capri. In sette sul mezzo di soccorso per farsi dare un passaggio fino in ospedale: indignazione sul web. A postare diversi video e a denunciare l’accaduto sui social è Antonio Alfano, che ha filmato la scena che si ripete, puntuale ogni mattina, in piazza Vittoria, a Marina Grande, ovvero allo sbarco dell’aliscafo da Napoli.

Il precedente e l’indagine interna annunciata dall’Asl. Con zaini, borsoni e trolley, in abiti civili, uno alla volta i passeggeri si accomodano in ambulanza per raggiungere l’ospedale Capilupi evitando i mezzi pubblici, con la “complicità” dell’autista dell’ambulanza che gli tiene aperto lo sportello e li aiuta a salire a bordo. Non si tratterebbe, infatti, di pazienti, bensì del personale medico in servizio presso l’unico ospedale dell’isola azzurra che utilizzano il mezzo di soccorso come se fosse un taxi. Già nel 2012, un episodio del genere fece scattare un’indagine interna da parte del servizio regionale 118 sul presunto uso improprio del mezzo. E nel pomeriggio di oggi il direttore generale dell’Asl Napoli 1 Centro, Ciro Verdoliva, nello stigmatizzare l’episodio fa sapere che ha subito aperto un’ispezione «in modo da capire come sia potuto avvenire un fatto del genere senza che la direzione ne fosse a conoscenza». 

L’autore del post: denunciatemi pure. «E adesso denunciatemi pure — ha scritto Alfano nel suo post su Facebook che sta già ricevendo decine di condivisioni — incredibile che accada sotto gli occhi di tutti e nessuno denuncia o fa qualcosa. Tutte le mattine l’ambulanza lascia il parcheggio per accompagnare e risalire altro personale. Credo che sia ingiusto farlo, non era possibile pre Covid, figuriamoci adesso. Come vedete salgono almeno sette persone che scendono da aliscafi sui quali viaggiano centinaia di persone».

L’intervento di Europa Verde: utilizzo intollerabile. «Abbiamo contattato la direzione dell’ospedale e della Asl che ci hanno dato delle conferme. Sembra che a causa delle carenze del trasporto pubblico sull’isola — ha spiegato Francesco Borrelli, consigliere regionale di Europa Verde — si sia deciso di utilizzare le ambulanze per permettere al personale medico di arrivare in orario e di non perdere i traghetti, dato che molti operatori vengono a lavorare provenendo dalla terraferma». «Pur comprendendo queste motivazioni, legittime, e non avendo alcun tipo di pregiudizio nei confronti dell’ospedale — ha aggiunto l’esponente politico — non può essere tollerato che si utilizzino ambulanze per scopi che non siano medici e di emergenza. Abbiamo chiesto alle direzioni dell’ospedale, all’Asl e ai Comuni coinvolti di istituire un tavolo per soluzioni idonee che mettano in condizioni il personale medico di poter raggiungere senza disagi la postazione di lavoro e di tornare a casa senza togliere dei servizi essenziali per cittadini e pazienti dell'ospedale». 

Roberto Pavanello per “la Stampa” il 18 agosto 2021. In principio ci fu Salmo, poi venne Shiva e quindi Manu Chao. Tre concerti molto differenti e situazioni solo vagamente paragonabili, ma con un minimo comune dominatore: spettatori ammassati, senza rispetto della distanza di sicurezza (sanitaria) e senza mascherine. Scene che fino a inizio 2020 avremmo giudicato normalissime ma che adesso proprio non si possono vedere. E se il caso di Salmo a Olbia è stato raccontato dallo stesso artista come un evento per andare contro le regole di proposito, quello di Shiva al Peter Pan di Misano Adriatico è probabilmente figlio di un certo lassismo, quello di Manu Chao a Cerveteri è figlio dell'entusiasmo. Quest' ultimo episodio è avvenuto lunedì 16 agosto. Il pubblico inizia a seguire il live in maniera pacata, poi - trascinato dal ritmo - si lascia andare. Il sindaco di Cerveteri, Alessio Pascucci, non ci sta e a metà dello show sale sul palco: «Ora basta - urla - dobbiamo essere rispettosi della gente che è morta, se continuate così tra tre minuti chiudiamo tutto. Se non vi rimettete al vostro posto, sospendiamo il concerto». Devono intervenire anche la presentatrice dell'Etruria Eco Festival e lo stesso Manu Chao. Finalmente l'ordine torna e lo spettacolo può continuare. Col senno di poi potremmo dire che era tutto previsto. Perché d'accordo che il concerto di un cantautore lo si può seguire tranquillamente seduti, ma quello di un rapper, un rocker o una band? Vogliamo pensare che il pubblico, fatto spesso di giovanissimi, non si sarebbe alzato per assembrarsi sotto al palco? La grande parte del mondo musicale italiano condivide e rispetta le regole richieste dal governo, così da svolgere in sicurezza i concerti in epoca di Covid, basti vedere le reazioni ricevute da Salmo. Ma la questione sollevata dal rapper sardo è di là dall'essere peregrina. Anche un altro rapper come Shade, proprio dalle colonne de La Stampa, ha evidenziato come nei live in discoteca il pubblico difficilmente resta fermo al tavolo. Ci si accalca e si balla. E così, o le immagini rimbalzano sui social, come è stato per Shiva al Peter Pan (che dovrà scontare 5 giorni di chiusura), o tutto passa in cavalleria. Ma proprio ieri il sottosegretario alla Salute Andrea Costa si è unito al coro di chi vorrebbe riaprire i locali da ballo: «Mi rendo conto che siamo in presenza di un governo con sensibilità diverse, ma sarebbe stato opportuno, una volta stabilito che il Green Pass era uno strumento a garanzia della sicurezza e della tracciabilità, riaprire gradualmente le discoteche». Nessuna intenzione di rispettare le regole anti-Covid ce l'hanno gli organizzatori e le migliaia di partecipanti del rave party in Maremma, nell'area di Valentano (Viterbo), iniziato a Ferragosto e non ancora conclusosi. Un evento che sta preoccupando i sindaci della zona. Il tutto mentre la procura di Tempio Pausania sta cercando di capire come sono andate davvero le cose in occasione del concerto di Salmo. Evento dal quale il Comune di Olbia ha preso le distanze, con la conferma dello stesso Salmo: «Non sapevano sarebbe stato un live mio». Nel frattempo Assomusica, che pur avendo condannato le modalità adottate da Salmo ha chiesto un incontro con il governo per rivedere le capienze, è tornata ieri sul tema: «L'estate che ormai si sta concludendo ha ulteriormente aggravato la crisi del settore, che si è trovato a lavorare in condizioni di grande disagio», è la denuncia dell'associazione dei produttori e organizzatori di spettacoli di musica dal vivo. Lunedì il ministero della Cultura aveva evidenziato che non c'è una discriminazione rispetto al settore dello sport, una precisazione che ad Assomusica non è piaciuta: «Quanto sottolineato sulle agibilità "a disposizione" della musica non è attuabile, stante le attuali condizioni. La possibilità di poter avere dal 6 agosto una capienza di 5.000 posti per gli spettacoli all'aperto richiederebbe il reperimento di spazi di enormi dimensioni o l'utilizzo di strutture già esistenti come l'Arena di Verona, che purtroppo rimane l'unica venue in Italia con tali caratteristiche». L'estate ormai è andata, il nuovo passo «è chiedere con fermezza al governo di ripartire già dall'autunno con lo svolgimento dei concerti con piena capienza, utilizzando il Green Pass». Perché, è l'avvertimento, «senza lo smaltimento di tutti i concerti programmati già da due anni, sarà difficile poter tornare al passo prima del 2024».

"Nessun indagato". Per le toghe c'è libertà di rave. Luca Fazzo il 2 Novembre 2021 su Il Giornale. La procura di Milano ha chiesto l'archiviazione per i giovani che invasero e devastarono un capannone industriale. Libertà di rave a Milano? Mentre sono ancora fresche le immagini impressionanti della tre giorni di musica, alcol e droga andati in scena nel weekend in un’area dismessa a Torino, dal capoluogo lombardo arriva una notizia che va in senso contrario agli appelli alla fermezza circolati nelle ore scorse. La Procura della Repubblica ha infatti chiesto l’archiviazione del procedimento a carico dei partecipanti ad un raduno analogo effettuato due anni fa a Settala, alle porte della metropoli. Una faticosa indagine dei carabinieri aveva portato a individuare cinque dei giovani che tra il 25 e il 26 maggio 2019 avevano invaso e devastato un capannone industriale, all’insegna non solo della musica a tutto volume ma anche dell’odio contro le istituzioni, come testimoniano le scritte trovate all’indomani del rave. Ma il pm titolare del fascicolo non ha neanche iscritto i cinque nel registro degli indagati, affermando che la sola presenza sul luogo non dimostra la loro responsabilità nei reati contestati. La linea soft della Procura è però andata a cozzare contro il diniego del giudice per le indagini preliminari Guido Salvini. Nel provvedimento depositato oggi Salvini afferma che almeno per uno dei reati, ovvero l’invasione dell’edificio, la presenza sul luogo è un elemento d’accusa più che sufficiente. E poiché le indagini dei carabinieri dimostrano senza dubbio la presenza dei cinque, il giudice ha ordinato la imputazione coatta dei giovani raver. Nella sua ordinanza , Salvini bacchetta pesantemente la linea della Procura accusandola di avere “sostanzialmente abbandonata” l’inchiesta. Eppure i partecipanti “non potevano non avvedersi della situazione di completa illegalità in cui si trovavano… del resto porte e cancelli erano stati divelti e abbattuti e i manifesti proclamavano esplicitamente che quella non era una festa in un locale ma un momento di lotta”. Ai partecipanti venivano fornite persino le indicazioni legali cui attenersi in caso di intervento delle forze dell’ordine. Eppure in tutto ciò la Procura non aveva ravvisato estremi per processare nessuno.

Luca Fazzo (Milano, 1959) si occupa di cronaca giudiziaria dalla fine degli anni Ottanta. È al Giornale dal 2007. Su Twitter è Fazzus. 

Massimiliano Rambaldi per lastampa.it l'1 Novembre 2021. Il popolo dei rave é tornato a colpire nella notte tra Nichelino e Borgaretto. Almeno 10 mila persone, secondo le prime stime (la maggior parte francesi ed olandesi), hanno occupato una zona abbandonata di una ex fabbrica vicino a Stupinigi, lungo la strada che collega i due comuni. Ieri sera la tangenziale é rimasta bloccata per ore all'uscita della Palazzina di Caccia e le strade attorno erano un fiume di camper, furgoni e auto di giovani provenienti da tutta Europa. Il posto scelto é lo stesso dove qualche mese fa i carabinieri sventarono un altro tentativo di raduno illegale degli amanti dello sballo. Polizia, carabinieri e guardia di finanza stanno presidiando la zona. 

Sul posto anche il prefetto

L'intervento dei carabinieri ieri sera ha evitato l'arrivo di altre 10 mila persone. Sono molti infatti quelli che hanno lasciato Borgaretto dopo l'individuazione dei punti del rave, organizzato via Telegram, convinti ad andare via dall'immediato e massiccio dispiegamento di forze dell'ordine. E così è stato. 

Organizzato via Telegram

Era stato presentato nel dark web come uno degli eventi più grandi d'Europa e ci si aspettava circa 30 mila persone. Sul posto c’è il prefetto Claudio Palomba che sta facendo un incontro con il comandante provinciale dei carabinieri di Torino, generale Claudio Lunardo, il questore Vincenzo Ciarambino, il sindaco di Nichelino Giampiero Tolardo e i vertici dei vigili del fuoco e della Croce Rossa.

In 4 mila sotto un capannone

«La situazione è complessa, ma è ben gestita e sotto controllo», dice il sindaco di Nichelino. «Attualmente stimiamo che ci siano circa quattro mila persone all'interno di un capannone abbandonato; ci sono molti mezzi parcheggiati lungo la strada, ma si sta gestendo con le forze dell'ordine e la Croce Rossa il deflusso». Ancora Tolardo: «Purtroppo queste iniziative sono imprevedibili, visto che chi organizza i rave usa dei canali di comunicazione criptati evitando fino all'ultimo di svelare dove si tiene la festa».

Carroattrezzi in azione

Si stanno rimuovendo i mezzi, tra cui numerosi camper, che convergendo nella zona da diverse aree d'Italia e dalla Francia hanno bloccato nella notte la tangenziale di Torino, dove ora la circolazione è tornata regolare. 

Tre feriti tra le forze dell’ordine

Tensioni tra i giovani che si sono radunati al rave party. Eugenio Bravo, segretario generale del sindacato di polizia Siulp Torino, parla di tre poliziotti feriti, uno alla testa, colpito da una pietra durante una sassaiola contro le forze dell'ordine, gli altri due «nel tentativo di essere investiti da un camion di questi individui che male tollerano la presenza delle forze dell'ordine».

«Il ministro Lamorgese non incide»

«Un altro rave party che crea disagio alla cittadinanza con assembramenti, disturbo alla quiete pubblica e uso spavaldo di droga. È la volta di Torino, a Stupinigi si sta replicando il disastro per mano del ministro incapace e stavolta o è mancato il minimo controllo oppure si è lasciato fare. In ogni caso il ministro Lamorgese, più techno che tecnico, dovrà venire a riferire in Parlamento perché non ammetteremo di vedere ulteriormente Torino e l'Italia umiliate dal tour degli sballi. Con un'interrogazione chiediamo l'intervento immediato di un ministro che avrebbe già dovuto dimettersi da tempo». Così la deputata torinese di Fratelli d'Italia, Augusta Montaruli. 

Identificati i giovani allontanati

Fin da questa notte chi si sta allontanando dal rave illegale organizzato in un capannone industriale tra Nichelino e Beinasco, nel Torinese, viene identificato, mentre la polizia stradale sta procedendo a sanzionare e rimuovere i mezzi parcheggiati e che hanno violato in codice stradale. Il servizio di ordine pubblico è diretto dai funzionari della Questura di Torino. Sul posto anche gli uomini della Digos, della Polizia Scientifica e quelli dei Reparti Mobili.

Franco Giubilei per “La Stampa” l'1 Novembre 2021. Da più di trent' anni la musica techno e le sue tribù percorrono vie sotterranee per venire alla luce all'improvviso nelle loro manifestazioni più spettacolari, i rave party, nati negli Anni 80 per ballare fuori dalle discoteche, lontano da ogni controllo. Basta un'informazione sulle chat giuste di Telegram, camion con gruppi elettrogeni e impianti di amplificazioni, una console, dischi e dj, come accaduto l'ultima volta alle porte di Torino o l'estate scorsa a Viterbo, ed ecco servito il rave da seimila persone. Niente di nuovo sotto il sole dunque, semmai c'è da chiedersi se in Italia ci sia un aumento di eventi del genere, ma è una domanda dalla risposta non facile: la natura nomade del fenomeno fa sì che i rave si svolgano anche altrove in Europa, dalla Francia al Nord fino ai Paesi balcanici, a cominciare dall'Albania. Natura nomade confermata da Pierfrancesco Pacoda, giornalista autore del saggio "Sulle rotte del rave", uscito per Feltrinelli: «Un rave è illegale di per sé, è da quasi quarant' anni che è così, dalle tribe inglesi come Spiral tribe e Mutoids, che girano per il mondo mettendo insieme punk, hippy e squatter inglesi». I primi raduni illegali da Detroit, negli Usa, hanno contagiato l'Europa a partire dal Regno Unito e non si sono più fermati. Certe caratteristiche dei rave discendono in linea diretta dalla scena acida americana Anni 60-70 di gruppi come Grateful Dead, abituati a servire performance musicali di otto-dieci ore a un pubblico imbottito di Lsd. Lunghezza e carattere psichedelico dell'esperienza somigliano troppo all'ambiente di un rave, dove il martellamento ipnotico delle percussioni è accompagnato da sostanze chimiche di vario genere, per non costituire un precedente importante: «È quel che resta del movimento hippy - dice Pacoda -. All'inizio c'era un pubblico più motivato anche politicamente, ma ora ogni etichetta è scomparsa e quel che importa a chi ci va è poter ballare in uno spazio libero. La techno d'altra parte non viene più proposta dalle discoteche, dunque le occasioni sono queste. Oggi a seguire eventi del genere c'è un pubblico vasto». Le droghe fanno parte a pieno titolo degli ambienti rave, così come l'acido lisergico e la marijuana appartenevano al mondo hippy e ai suoi concerti, ma è anche uno degli aspetti che preoccupano di più le autorità: «In Italia ci sono cooperative che lavorano sulla riduzione del danno e che potrebbero fare informazione sugli effetti di sostanze e pasticche, com' è accaduto con l'allestimento in un centro sociale bolognese di un laboratorio che analizzava le droghe in circolazione in certe serate - aggiunge Pacoda -. Non ha senso dire di non farlo, un approccio laico e moderno mirato alla riduzione del danno sarebbe più utile». Il popolo dei rave ha dato vita a riedizioni postume della Summer of love del 1967, sempre "calando" pastiglie, perlopiù in modo pacifico. Un bell'impulso musicale venne dato anche dai dj che a Ibiza diffondevano una visione psichedelica della pista da ballo. Oggi la pubblicità dei rave corre su Telegram, perché meglio criptato e più complicato da violare, ma l'effetto resta lo stesso: migliaia di ragazzi che occupano un posto illegale per ballare, rivendicando quanto declamato dai Beastie Boys: "We got to fight for our right to party", cioè «dobbiamo lottare per il nostro diritto alla festa».

Giacomo Amadori e Paolo Gianlorenzo per “La Verità” il 7 settembre 2021. C'è una nota della prefettura di Viterbo sul tavolo di Bruno Frattasi, capo di gabinetto del ministro dell'Interno Luciana Lamorgese, che farà molto discutere. Riguarda la genesi dell'ormai tristemente famoso rave party che si è svolto sulle rive del lago di Mezzano tra il 13 e il 19 agosto. La Procura della città dei Papi, guidata da Paolo Auriemma, è in attesa dell'informativa conclusiva sui fatti stilata dalla Questura. Nel frattempo noi, grazie a fonti ministeriali, abbiamo intercettato la nota prefettizia che svela come quel party, a cui parteciparono migliaia di amanti della musica elettronica e (anche) delle droghe, non sia stato un evento inaspettato e iniziato dal nulla. Anzi era stato monitorato e qualcuno, tra le forze dell'ordine, aveva provato pure a chiedere il blocco dell'afflusso di mezzi che, incolonnati, si stavano dirigendo dalla zona di Orbetello verso il luogo del rave, a cavallo tra Toscana e Lazio. Ma i militari avrebbero ricevuto come risposta che l'indicazione era quella di «monitorare il traffico e non di bloccarlo». Un ordine che, come vedremo, sarebbe arrivato da Roma. Il fatto che l'emergenza sia scattata nel ponte di Ferragosto non ha aiutato. Infatti sembra che nelle rispettive sedi non ci fossero né i questori (i referenti locali per l'ordine e la sicurezza pubblici) di Grosseto (Matteo Ponziani) e Viterbo (Giancarlo Sant'Elia), né il prefetto di Grosseto, la neonominata (il 9 agosto scorso) Paola Berardino, figlia di Francesco Berardino (ex segretario generale del Cesis ed ex capo segreteria del capo della Polizia) e moglie del prefetto di Roma Matteo Piantedosi. A sostituirli i vicari. L'unico che pare non si fosse allontanato per le ferie era il prefetto di Viterbo Giovanni Bruno, ma anche il suo ufficio sarebbe stato informato a cose ormai compiute. Veniamo alle carte. Secondo una ricostruzione dei carabinieri, citata nella nota in mano al capo di gabinetto, «il 14 agosto 2021, alle ore 0,20, la Centrale operativa della Compagnia di Orbetello (Grosseto) comunicava a quella della Compagnia di Tuscania (Viterbo) di essere impegnata, unitamente alla polizia stradale, nella scorta di una colonna di circa 40 camper verosimilmente diretti in Puglia, chiedendo la disponibilità a prenderli in carico al confine regionale». Poco dopo i carabinieri di Orbetello avrebbero comunicato ai colleghi di Tuscania che «i mezzi avevano deviato» e che quindi non c'era più «l'esigenza» di occuparsene, mentre gli uomini dell'Arma di Pitigliano (Grosseto) annunciavano che avrebbero preso loro «in carico la colonna». Alle 0,30, nella nostra storia, compare un sedicente «ex frequentatore di rave party»: inizialmente contatta i carabinieri di Pitigliano e poi viene affidato ai militari di Tuscania. Il giovane fa riferimento a un possibile rave «organizzato in una località dell'Alto Lazio, verosimilmente lago di Mezzano, del quale avrebbe avuto a breve le coordinate». Quindi, in quel momento, è abbastanza chiaro che la carovana non è diretta in Puglia, ma che si fermerà molto prima. La centrale operativa di Tuscania incarica la pattuglia della stazione di Valentano, competente sul territorio del lago, di «verificare la notizia». La fonte, alle 0,59, invia ai carabinieri «le coordinate del luogo del possibile rave» e spiega che il ritardo è dovuto al fatto che «gli organizzatori, prima di condividere la posizione dell'evento» si vogliono assicurare «di aver già posizionato i mezzi pesanti e avviato la musica». Grazie a quelle indicazioni la pattuglia dei carabinieri della stazione di Valentano, dopo 40 minuti di ricerche, riesce «a individuare circa 100 mezzi (con gli impianti già montati e in funzione), in un campo isolato, lontano dalle principali vie di comunicazione, e una colonna di fari che, nel buio, dal Nord», dalla strada provinciale che conduce a Pantano (Grosseto), «si dirige nella zona». I carabinieri di Valentano invocano subito i «rinforzi», suggerendo ai colleghi di Tuscania di «interessare» della questione anche la centrale di Pitigliano, «dal cui territorio provengono i mezzi incolonnati». A quel punto l'Arma di Tuscania dispone «l'invio di altre pattuglie» e chiede a Pitigliano «il blocco degli accessi dal Nord». Un'«esigenza», quella di «bloccare gli accessi dalla Toscana» ribadita in più interlocuzioni anche dal capo servizio della pattuglia di Valentano. Ma, si legge sempre nella nota, «la centrale operativa di Pitigliano rappresentava che aveva indicazione di monitorare il transito e non di bloccarlo». Chi aveva dato questo input? A quanto risulta alla Verità l'ordine sarebbe partito dalla sala operativa del Dipartimento di pubblica sicurezza di Roma. Ovvero dagli uffici centrali della polizia di Stato. Evidentemente qualcuno aveva ritenuto meno rischioso lasciare svolgere l'evento che bloccarlo tout court. E aveva persino ordinato di «scortare» i partecipanti laddove avrebbero occupato e danneggiato una proprietà privata, pensando, evidentemente, che questa soluzione fosse la meno rischiosa per l'ordine pubblico. Alle 2,25 viene bloccata, in località Casone (sul confine tosco-laziale), nel comune di Latera (Viterbo), la strada di accesso all'area del party. Alle 2,30 sono informati di quanto stia accadendo il Comando provinciale dei carabinieri e la Questura di Viterbo. Alle 2,45 il comandante della stazione di Valentano richiede nuovamente a Pitigliano «il blocco delle vie di accesso all'area dal lato toscano», ma dalla Maremma viene «ribadito l'indirizzo già comunicato». Nel frattempo inizia un via vai di uomini delle forze dell'ordine: si recano sul posto una pattuglia del Nucleo operativo e radiomobile della Compagnia di Tuscania, una gazzella della stazione di Montalto di Castro; alle 3,15 arriva una volante della Polizia e alle 4,30 alcuni uomini della Digos. Carabinieri e Questura, «unitamente», organizzano «il presidio degli accessi di competenza, bloccando tutti i tentativi di accesso (con mezzi) all'area. Il dispositivo viene rinforzato, sin dalle ore 19 del 14 agosto con personale dei reparti mobili». Da quel momento sono state identificate, secondo le cronache, oltre 3.000 persone e 700 tra automobili e camper. Mezzi che, almeno in parte, erano stati accompagnati lì dalle stesse forze dell'ordine che li avrebbero successivamente controllati. Alla fine del rave, gli investigatori hanno proposto all'autorità giudiziaria il sequestro dei tir con le attrezzature, senza ottenere, però, il via libera da parte della Procura. I pm hanno ritenuto, infatti, di non avere bisogno di ulteriori prove (sequestro probatorio) sulla commissione del reato (articolo 633 del codice penale, invasione di terreni o edifici), mentre un sequestro preventivo ai danni di chi stava liberando l'area, non essendo illeciti i mezzi (camion e strumenti sarebbero stati regolarmente noleggiati) con cui era stato realizzato il reato, difficilmente, a giudizio degli inquirenti, sarebbe stato ratificato dal Tribunale del riesame. Adesso i magistrati, con in mano centinaia di foto e video della sei giorni di musica senza freni, dovranno individuare insieme con gli uomini della Digos i soggetti a cui contestare l'«invasione». Le toghe sono anche in attesa dell'esito degli esami tossicologici effettuati dal medico legale su Gianluca Santiago, il ventiquattrenne inglese (ma residente a Reggio Emilia) annegato dentro al lago il 15 agosto in circostanze ancora da chiarire. Alla chiusura dell'improvvisata gigantesca discoteca a cielo aperto Matteo Salvini aveva dichiarato che l'evento «andava fermato prima», definendo il ministro Lamorgese «inadeguato». Giorgia Meloni aveva aggiunto che «in un governo serio, il ministro dell'Interno sarebbe già stato invitato a dimettersi». Dopo la lettura di questo articolo tale richiesta, ne siamo certi, tornerà a risuonare.

Giacomo Amadori e Paolo Gianlorenzo per la Verità l'11 settembre 2021. Sul rave party organizzato a Valentano, in provincia di Viterbo, il Ministero dell'Interno e quindi Luciana Lamorgese non poteva non sapere. Infatti nei giorni precedenti all'evento le forze dell'ordine avevano ricevuto segnali ben precisi su quello che stava per accadere. E hanno cercato di evitare in tutti i modi che una kermesse come quella che si è svolta a Viterbo potesse piantare le tende sulle rive del Po e precisamente nella provincia di Alessandria. I rave, più propriamente detti Free party o Taz («zone temporaneamente autonome») sono eventi che si svolgono molto più frequentemente di quanto si possa pensare e in tutta Europa. Quello andato in scena a Ferragosto a Valentano si doveva tenere inizialmente in Francia. Le nuove norme anti Covid imposte dal governo francese vietano raduni che prevedano più di 250 persone. Chi le vìola incappa in sequestri delle attrezzature e nella loro distruzione. Nel caso di resistenza, la polizia è autorizzata a intervenire con ogni mezzo per sgombrare le aree. Dunque gli organizzatori hanno cambiato programma e optato per il piano B, l'Italia. Il Teknival di Ferragosto, il festival della musica tekno, si sarebbe svolto nel nostro Paese per una sorta di ripiego come sembra confermare il titolo del quotidiano tedesco Die Tageszeitung: «I raver scappano in Italia». Le prime tracce di questo esodo sono state intercettate in Piemonte, come risulta da agenzie di stampa e siti online. Per esempio alle porte di Casale Monferrato l'11 e 12 agosto sono stati fermati diversi autoveicoli, molti dei quali francesi, e sono state identificate numerose persone sospettate di volersi recare in zona per partecipare a una mega festa a base di musica, alcol e droga. Diversi giovani che bivaccano sulle rive del Po sono stati allontanati. Il 17 agosto l'Ansa fa il resoconto di questa attività di prevenzione: «In quattro giorni sono state controllate trecento persone provenienti da ogni parte d'Europa: così carabinieri, insieme agli agenti della polizia stradale e municipale, sono riusciti a sventare il rave party di Ferragosto in provincia di Alessandria». Avanguardie danzanti sotto anfetamine «si stavano organizzando fin dall'11 agosto per la festa clandestina nella zona di Casale Monferrato», ma «da quel giorno le forze dell'ordine hanno iniziato a fermare camion e camper, poi un furgone con le attrezzature per un palco e le casse. In totale hanno controllato 294 persone, di cui 92 stranieri, 163 veicoli». Perciò, lo ribadiamo, a partire dall'11 agosto in Piemonte era chiarissimo persino ai giornalisti il piano dei punkabbestia. E si è fatto di tutto per impedire che si realizzasse. Con successo. Peccato che questo circo Barnum ad alto tasso psichedelico sia riuscito ad attraversare l'Italia e ad arrivare in provincia di Viterbo senza più incontrare veri ostacoli. Anzi ai carabinieri che volevano sbarrare gli accessi all'area intorno al lago di Mezzano, dall'alto, è stata data l'indicazione «di monitorare, ma non di bloccare» l'afflusso di mezzi, al contrario di quanto era successo in Piemonte. Chi ha deciso che un evento che non poteva svolgersi al Nord potesse scatenarsi in Lazio? Qualcuno potrebbe obiettare: come fate a sostenere che ci sia un collegamento tra le persone allontanate dalla riva del Po e quelle che si sono accampate intorno al lago di Mezzano. In realtà una prova ci sarebbe. Infatti il 12 agosto a Casale Monferrato una pattuglia della polizia stradale ha provveduto a sequestrare un furgone francese e l'attrezzatura presente all'interno del cassone destinata al rave: palco, impianto acustico, generatore, luci, decorazioni e altro materiale. Gli agenti hanno anche ritirato la patente all'autista, non abilitato a guidare quel mezzo, e comminato quasi 5.000 euro di sanzioni. Anche in questo caso l'Ansa dà subito la notizia: «Sventato rave party, sequestrato camion con palco e casse». Grazie a Internet abbiamo scoperto che quel mezzo era della Labyrinth unit, una delle anime di questo tipo di iniziative, che si autodefinisce «organizzazione di feste, creazione di zone di autonomia temporanea, artigianato». Su Facebook hanno promosso una raccolta fondi per pagare la multa. Ecco l'annuncio, datato 13 agosto: «Famiglia (i post del gruppo iniziano tutti con questa parola, ndr), a seguito di un sequestro abusivo e senza una motivazione precisa, lanciamo una raccolta fondi per pagare la multa di 4.130 euro per riavere il mezzo pesante, pagare le spese legali ecc...[]. Il sequestro è al limite della legalità, quindi abbiamo buone speranze di recuperare l'impianto sonoro in fretta. Preciso che eravamo al 100% in regola! Ma come in Francia il nostro movimento non è benvenuto. Abbiamo lavorato duramente negli ultimi 2 mesi, 7 giorni su 7, per questo evento, per ricevervi nelle migliori condizioni e per farvi passare momenti di follia... ma non preoccupatevi, ritireremo il nostro materiale, il nostro veicolo, e non ci fermeremo la vendetta è un piatto che si mangia freddo, e abbiamo fame, molta fame Rave on». Alla fine gli animatori francesi sono riusciti a raggiungere Valentano e il Teknival si è svolto regolarmente. Ma nonostante la Taz sia andata a buon fine, il gruppo, sulla strada del ritorno, si è lamentato di aver dovuto lasciare in Italia il furgone sequestrato, ma anche per i controlli continui subiti dai veicoli veicolo che trasportavano impianti sonori e le limitazioni di circolazione che il loro caravanserraglio avrebbe subito nel nostro Paese «al fine di impedire che questo Teknival avesse luogo». Evento che, invece, si è regolarmente tenuto in Centro-Italia, su circa 30 ettari che circondano il lago di Mezzano. Infatti organizzatori e partecipanti al rave, cacciati dalla Francia e dalle sponde del Po, sono riusciti ad arrivare fino in Lazio. Chi ha permesso che ciò accadesse? Lo dovrà spiegare Luciana Lamorgese mercoledì alla Camera, dove, grazie alla pervicacia di Fratelli d'Italia (come ha rivendicato il capogruppo Francesco Lollobrigida), il ministro si presenterà personalmente per fornire la sua versione dei fatti. E non sarà facile giustificare il fallimento di un sistema di prevenzione che ha funzionato in Piemonte e ha fallito miseramente nella regione della Capitale, consentendo una kermesse senza regole, dove sono girati chili di droghe e la Procura ha dovuto registrare una morte per annegamento e una denuncia per violenza sessuale. A spiegare la filosofia «antisistema» dell'evento «tollerato» dal Viminale sono gli stessi ideatori del party, i quali hanno rivendicato il significato dell'happening sia sui loro siti che sui tazebao: «La Taz è un'insurrezione contro lo Stato, un'operazione di guerriglia che libera una zona di terra, di tempo, di immaginazione per poi dissolversi prima che lo Stato la schiacci, per poi rinascere altrove, nello spazio e nel tempo». E sul sito anarchico dei «No border», in un articolo riassuntivo dell'evento era specificato: «Dalla notte del 13 alla notte del 19 Agosto 2021, al confine tra Toscana e Lazio si è creata una Taz che ha visto dalle 10 alle 20 mila persona creare un villaggio retto da pratiche di autogestione, solidarietà, condivisione e socialità». Il comunicato si fa anche beffe delle forze dell'ordine: «Non dimentichiamo di parlare del comportamento della polizia durante e dopo la festa: i giornali hanno sostenuto che la festa fosse stata fatta sgomberare, mentre invece quello che risulta a chi era presente è che al quinto giorno sia stata presa la decisione in maniera orizzontale tra gli organizzatori di mettere fine alla festa piano piano. Intanto la strategia delle forze dell'ordine è stata quella di provare a pattugliare il perimetro esterno del terreno con pochi risultati vista la grandezza del posto, il mattino del sesto giorno hanno mandato un elicottero che ha volato a bassissima quota per mezz' ora sulla festa con l'obiettivo di incutere timore e fare pressione psicologica sui partecipanti e probabilmente fare foto e video ravvicinati». È chiaro che qualcosa non ha funzionato e che il Dipartimento di pubblica sicurezza, se avesse voluto, avrebbe potuto impedire la manifestazione e respingere i partecipanti, come hanno brillantemente fatto in provincia di Alessandria. Adesso c'è da capire chi, in cima alla catena di comando, abbia ordinato di «monitorare e di non bloccare» il serpentone di camion e camper che ha attraversato la Penisola alla vigilia di Ferragosto. 

Marco Feliziani Enzo Vitale per “il Messaggero” il 18 agosto 2021. Stop and go: continua senza sosta il mega rave party non autorizzato a Valentano, borgo in provincia di Viterbo, a cui stanno partecipando circa 10mila giovani venuti da tutta Europa. Sembra che non si sia trovato un accordo tra gli organizzatori del rave e le forze dell'ordine per porre fine alla festa che dallo scorso venerdì impazza no-stop fino a notte fonda. Si teme che l'evento, organizzato in uno dei luoghi più affascinanti della Tuscia, dove storia e natura rappresentano il volano del turismo, porterà l'inizio di un cluster di casi di Covid senza precedenti. Gli ingressi alla tenuta sono controllati notte e giorno da carabinieri, Guardia di finanza e reparti mobili della Polizia, anche se entrare nell'area della festa non è poi così difficile. La zona è vasta e c'è la possibilità di accedervi a piedi, tra la vegetazione. Auto, camper e mezzi pesanti sono parcheggiati alla rinfusa in un grande appezzamento di terreno privato, a pochi passi dal lago di Mezzano, lo specchio d'acqua che il giorno di Ferragosto ha inghiottito il 24enne Gianluca Santiago Camassa. Il suo corpo è stato trovato il giorno dopo dai sommozzatori dei Vigili del fuoco. Scenari per certi versi apocalittici per gli abitanti della zona: musica ad altissimo volume udibile a chilometri di distanza. Da Pitigliano in provincia di Grosseto a Canino e Montalto di Castro sulla costa del viterbese. «Qui non si dorme più dicono alcuni residenti dei paesi limitrofi . La musica è incessante, ci sono persone anziane che hanno bisogno di riposo e tutto questo è incomprensibile». Sui social spuntano i video pubblicati dai partecipanti e fanno comprendere la mole organizzativa: un impianto audio le cui casse si allungano sul terreno per circa venti metri e battono musica in più punti. Poi c'è la parte gastronomica con fiumi di birra e superalcolici che tra il caldo e un mix di droghe fa sballare i giovani in tutta un'altra dimensione. Tra le tende allestite per creare un po' d'ombra, si vedono ragazzi ballare, mentre qualcuno è a terra probabilmente stremato dal sonno o da chissà cosa.

IL SINDACO Il sindaco di Latera, Francesco Di Biagi, si è più volte sentito con la Questura di Viterbo, il prefetto e gli altri sindaci dei paesi limitrofi per avere tutte le informazioni riguardanti l'evento e con la Protezione civile locale sta offrendo assistenza alle forze dell'ordine. «Stiamo fornendo acqua al presidio fisso dei carabinieri della nostra caserma dice il primo cittadino Al momento Latera e la vicina Pitigliano sono i paesi più colpiti per quanto riguarda l'inquinamento acustico». Nel frattempo anche i sindaci toscani di Manciano, Pitigliano e Sorano (Grosseto) si schierano contro gli organizzatori del rave: «E' una vera e propria incursione che sta minando le attività economiche, in piena stagione turistica, la sicurezza e la tranquillità dei cittadini, anche dal punto di vista sanitario». I sindaci poi incalzano: «Lo Stato non si è dimostrato capace di prevenire, per di più durante una pandemia, tale clamorosa manifestazione di illegalità da ogni punto di vista: si deve intervenire» e quindi chiedono una maggiore attenzione e un profondo impegno anche da parte delle Prefetture interessate «per gestire una situazione che non sappiamo ancora a cosa porterà e quando finirà». L'appuntamento a Valentano è stato organizzato sui social, canali principali attraverso i quali migliaia di giovani di nazionalità diversa sono venuti a conoscenza del raduno. Solo dopo l'installazione dell'impianto audio sono state inviate le coordinate del luogo. Informazioni non accessibili a tutti. Pare che l'evento sul lago di Mezzano sia stato scelto da una sola settimana in quanto, in un primo momento, il rave si doveva svolgere in Toscana.

Il ventre molle delle autorità italiane davanti ai drogati del rave. Roberto Pellegrino il 19 agosto 2021 su Il Giornale. Quello che è successo e sta ancora succedendo a Viterbo, in un’oasi naturale in Spagna, terra del proibito proibire, non sarebbe mai accaduto. Diciamolo subito: in qualsiasi discoteca di Ibiza gira più anfetamina e cocaina di ogni luogo terraqueo, ma è un luogo di divertimento, di musica e di danza, non è una spiaggia libera e, comunque, i controlli sono molti, c’è soltanto una “tolleranza” dei padroni del music club, ma poi, la Policia, all’uscita della disco, fermano centinaia di giovani e vai con denunce e arresti. Tuttavia l’obbrobrio umano di un rave, organizzato in un bel posto, senza rispettare l’oasi e la proprietà privata, in Spagna si sarebbe risolto con una bella dimostrazione di forza e di diritto della Guardia Civil, senza la violenza, a meno che qualcuno non avesse iniziato a lanciar bottiglie e pietre contro gli agenti. Le autorità italiane, invece, erano preoccupate che finisse come a Genova: feriti e poi denunce ai poliziotti. C’è qualcosa che non va. Ma le cose, pur con la forza delle polizie, non si devono risolvere per forza nel sangue Bastava togliergli l’elettricità, occupare il rave con qualche blindato e invitarli ad andarsene, portandosi dietro l’immondizia prodotta. Molti rave party vengono scoperti e bloccati dalla Guardia Civil ogni anno, soprattutto in estate, in una terra, la Spagna, che attira il peggio del peggio dei drogati, non della musica hardcore, ma delle droghe sintetiche, quindi, a quel ragazzo che risolve la questione con uno stucchevole: “È la dimostrazione che alla gente piacciono le droghe”. Rispondo: Va bene vuoi drogarti, fallo nella tua cameretta di fallito. Non in un luogo pubblico e rispettoso della natura, di cui tu e i tuoi amici tossici ve ne fregate. A me frega, invece.

La vergogna di uno Stato sconfitto da un rave party. Andrea Soglio il 18/8/2021 su Panorama. Lo Stato ha perso. Sconfitto a Viterbo da un'armata di 8 mila ragazzi italiani e stranieri. Non hanno armi se non droga, alcol, musica e quella base, molto spessa, di mancanza di rispetto per ogni tipo di regola. Perché questo sono i rave party: mondi paralleli dove le regole civili e statali non esistono, dove ognuno può fare quello che vuole. Da sempre. Da sempre si è chiuso un'occhio, anzi, tutti e due. Ma quest'anno, con il Covid la cosa cambia ed è non solo ancora più grave: è una vergogna, è una vera sfida al Paese ed allo Stato. Da una parte c'è una nazione che deve armarsi di green pass per mangiare al ristorante o prendere un treno, andare in una spa o in un museo. Dall'altra, a Viterbo, c'è uno spazio libero, fuori controllo anche se forse sarebbe meglio dire senza alcun tipo di controllo. Perché la Polizia ci sarebbe anche a presidiare la cosa ma guarda, da lontano e lascia fare. Dal Viminale la linea che passa è che oramai la cosa è così grossa che intervenire è impossibile. Allora però dovrebbero almeno spiegare perché non c'è stata alcun tipo di prevenzione. Eppure tutti sapevano, ragazzi, la gente della zona, figuriamoci Polizia e Carabinieri. Ma si è lasciato fare. Il limite della logica, della legalità di tutto è stato raggiunto con la morte di uno dei partecipanti (cadavere trovato nel lago vicino al quale si sta svolgendo la festa. Per qualche ora la musica si è fermata. Portata via la salma tutto è continuato come prima. Aggiungere altro è inutile. Sarebbe ripetitivo. La gravità della cosa è troppo evidente e semplice da capire anche per un bambino. Ma il Ministro dell'Interno lascia fare. Forse la cosa che gli riesce meglio: sono quadruplicati gli sbarchi di migranti, cosa fa la Lamorgese? Lascia fare. C'è un rave con un morto, dove (lo raccontano gli stessi partecipanti) «veniamo qui perché ci piace drogarci», che di sicuro sarà un focolaio che costerà chissà quanti ricoveri e purtroppo forse anche qualche vita umana e cosa fa la Lamorgese? Lascia fare. La titolare del Viminale però si dimentica che lei rappresenta un intero paese che rispetta regole spesso severe, spesso strane, che sta facendo sforzi e rinunciando a parte della propria libertà causa Covid. Lasciarsi sfidare e battere da un gruppo di ragazzi senza freni è dare uno schiaffo in faccia alla gente per bene. 

Continuano le polemiche mentre emergono nuovi dettagli. Rave party degli orrori, durante la festa nata anche una bambina. “Situazione fuori controllo”. Roberta Davi su Il Riformista il 18 Agosto 2021. Il rave party illegale nel viterbese, non ancora terminato, continua a scaldare gli animi. Mentre nuovi dettagli si aggiungono a un quadro già da brividi: un 24enne annegato nel lago, una seconda vittima non ancora confermata, diversi ragazzi ricoverati per coma etilico, due stupri e un giovane positivo al Covid-19. Durante la festa, sembra che sia stata partorita anche una bambina. In un gruppo Facebook pubblico (Seguaci della Tekno) in molti si stanno confrontando su ciò che sta avvenendo al rave nei pressi del Lago di Mezzano, nel comune di Valentano in provincia di Viterbo. Le voci si rincorrono: c’è chi si lamenta dei video e delle foto pubblicate sui social. Mentre altri parlano di droghe, di cani abbandonati nei camper e nelle roulotte sotto il sole senza acqua né cibo, di alcuni animali ormai morti. 

La testimonianze. “La sera in cui è morto il ragazzo, poco dopo la tragedia all’interno del rave, una donna ha partorito e ha dato alla luce una nuova vita” ha riferito all’Agi uno dei partecipanti al rave, che nel frattempo ha lasciato l’evento insieme ai suoi amici. “È arrivata l’ambulanza, credo che a essere nata sia stata una bambina”. Secondo le parole del giovane, la situazione all’interno del rave- una sorta di mini città con bar, servizi di vario tipo, pizzerie- pare sia tranquilla: c’è stata paura nei giorni successivi alla morte del ragazzo. “Sapevamo che sarebbe stato meglio evitare di fare il bagno nel lago, ci avevano avvisato due giorni prima dell’arrivo. La morte, ovviamente, sconvolge sempre tutti. Le persone dicevano ‘stacchiamo adesso o andiamo avanti anche nel rispetto di chi ha fatto tanti chilometri‘, perché’ c’erano delle persone dalla Finlandia, dalla Repubblica Ceca, dall’Andalusia“. 

La Procura ha aperto un’inchiesta. Intanto la Procura di Viterbo ha aperto un fascicolo di indagine in relazione alla morte del 24enne, rinvenuto senza vita nelle acque del lago il 16 agosto, dove era stato visto immergersi la sera di Ferragosto. Nel fascicolo, coordinato dal procuratore Paolo Auriemma, si procede per morte come conseguenza di altro reato. I magistrati sono in attesa dei risultati dell’autopsia disposta per accertare le cause del decesso. Dalla Questura, secondo quanto riportato da Repubblica, fanno sapere che faranno il rave terminerà prima della data stabilita dagli organizzatori, ossia il 23 agosto, e che in molti stanno già abbandonando l’evento. Le forze dell’Ordine stanno controllando tutte le auto in uscita. Non tutti i partecipanti sono d’accordo però nel lasciarlo in anticipo. Ma le critiche per ciò che riguarda la gestione di quanto sta accadendo al confine tra Lazio e Toscana. L’assessore alla Sanità del Lazio, Alessio D’Amato, parla di una situazione “fuori controllo, nessuna trattativa è possibile. Va ripristinato il corretto ordine pubblico, identificate le persone e individuate le responsabilità di un simile assembramento“. Sottolineando inoltre che  “i servizi della Asl segnalano una situazione grave.“ Sulla questione oggi è intervenuto anche il leader del Carroccio Matteo Salvini, che ha scritto in un tweet: “Nonostante un morto, l’appello di sindaco e cittadini e i rischi enormi per la sicurezza e la salute, da giorni migliaia di persone restano assembrate senza autorizzazione per un Rave nel Viterbese. E’ uno schiaffo al buon senso e agli italiani che rispettano le regole eppure il Viminale è immobile“, annunciando che la Lega presenterà un’interrogazione.

Danni all’ambiente. Fare Ambiente Lazio ha denunciato, tramite un post pubblicato oggi su Facebook, i gravi danni ambientali e all’agricoltura causati dal mega rave party illegale. “Questa manifestazione illegale sta provocando danni gravissimi all’ambiente e all’agricoltura della zona – dichiara il presidente regionale di Fare Verde Silvano Olmi – sono stati installati sei palchi, alcune cucine da campo e vi sostano un migliaio di camper e roulotte. Inoltre, la musica a tutto volume e la massiccia presenza di automezzi e persone, disturba la fauna e crea gravi problemi al vicino Lago di Mezzano dove qualche giorno addietro è annegato uno dei partecipanti al Rave Party.” Uno scenario che Olmi definisce "apocalittico": “Quando se ne andranno – conclude Olmi – a noi non resterà altro da fare che contare i danni e spendere soldi pubblici per riparare lo sfregio fatto al territorio e all’ecosistema.” Roberta Davi

Viterbo, i retroscena nascosti sul rave: "Sgozzano pecore, rubano. E la ragazzina defecava". Dopo 5 giorni, iniziato lo sgombero. Libero Quotidiano il 19 agosto 2021. Dopo cinque giorni di eccessi, è finalmente terminato il rave nell’area di Mezzano, nel Viterbese. Al momento risultano presenti ancora una cinquantina di mezzi e un centinaio di persone, ma la situazione è stata riportata sotto controllo. L’evento non autorizzato che ha chiamato a raccolta giovani da tutta Europa era iniziato nelle campagne di Valentano dalla notte del 13 agosto, andando avanti per giorni quasi indisturbato. In attesa che la zona si svuoti del tutto, continua il monitoraggio dei presidi di acceso all’area con identificazione dei partecipanti all’evento: finora sono state identificate oltre 2mila persone e circa 700 mezzi. Piero Camilli, sindaco di Grotte di Castro, ha rilasciato un’intervista al Corriere della Sera in cui ha puntato il dito contro il ministro Luciana Lamorgese: “Si poteva e si doveva intervenire attraverso due vie d’accesso, le principali, caricando e smobilitando il raduno prima che affluissero altri partecipanti. Questo vuol dire occuparsi di sicurezza”. A chi gli ha fatto notare che i partecipanti al rave tutto sommato sono apparsi pacifici, il sindaco ha risposto per le rime: “È pacifismo entrare nei capannoni della tenuta e rubare le batterie dei trattori come è avvenuto stanotte? O aizzare i cani a sgozzare pecore? Ne sono morte dieci così”. Il primo cittadino ha anche presentato una denuncia in Procura: “Da allora, ogni mattina, allego vari elenchi di danneggiamenti avvenuti nel corso della notte. Questi sono ventenni senza educazione, vorrei parlare con qualcuno dei genitori. Gli racconterei di una graziosa ragazza che ieri sera ho visto defecare in mezzo a una strada di campagna, davanti a tutti. Gli direi che qui in paese le farmacie non hanno più siringhe perché sono tutte destinate allo spaccio interno alla festa. Gli spiegherei che a Manciano un negoziante ha denunciato una spesa proletaria: provviste portate via senza pagare”.

Dal Corriere.it il 19 agosto 2021. «Alla gente piace drogarsi, per questo viene qui». Risponde così alle domande dei giornalisti un livornese che insieme ad alcuni amici sta partecipando al rave illegale sul lago di Mezzano, nel viterbese. Giorni di festa con centinaia di persone, in barba ai divieti e alle normative anti Covid. «È una situazione gravissima che il Comune di Valentano condanna con estrema fermezza, siamo di fronte a un atto illegale come la violazione della proprietà privata- dice il sindaco Stefano Bigiotti - . Ci siamo svegliati invasi da circa 10mila persone (qui il video), chiediamo l’intervento diretto del ministro Lamorgese per cercare di ripristinare la legalità nel Comune di Valentano». Al momento la zona è stata cinturata dalle forze dell’ordine e si sta tentando una mediazione con gli organizzatori.

Viterbo, al rave sul lago di Mezzano c'era anche questo ragazzo: un clamoroso imbarazzo politico. Libero Quotidiano il 20 agosto 2021. C'era anche il fratello del sindaco di Pitigliano tra i partecipanti del rave illegale sul lago di Mezzano, a Viterbo. Sgomberato dopo 5 giorni di follia collettiva, tra pecore sgozzate, vandalismi, furti, degrado, alcol, droga, un morto annegato nel lago e diversi partecipanti ricoverati per overdose. Con il contorno di un parto e nella totale violazione delle regole di sicurezza contro il Coronavirus, tanto da far temere alle autorità un maxi-focolaio viste le migliaia di persone senza mascherina né distanziamento. L'imbarazzo politico non è solo del Viminale, chiamato in causa pesantemente da Matteo Salvini e Giorgia Meloni per l'intervento arrivato con enorme ritardo. È anche quello di Giovanni Gentili, primo cittadino di Pitigliano (nel Grossetano), uno dei Comuni interessati dal caos del party estremo e in prima linea per ripristinare l'ordine. "È tutto il giorno che praticamente sto facendo il vigile urbano, insieme ai nostri agenti della polizia municipale - spiega il sindaco al Quotidiano nazionale -, quindi onestamente ho altre priorità a cui fare fronte che occuparmi di questo foto e di questa faccenda". Questa "faccenda" è la foto che il fratello del sindaco ha pubblicato sui social, in compagnia di un amico: il 21enne, spiega Gentili, "come tanti altri giovani della zona collinare è andato lì per curiosare. Ma quella foto è, indubbiamente, di cattivo gusto. Per il resto, in questo momento, ho questioni più importanti da risolvere. Come detto, oggi, dal momento che la prefettura, nonostante i miei reiterati appelli, non ha inviato i rinforzi richiesti, sono andato insieme agli agenti della polizia municipale a fare viabilità, facendo deviare almeno settecento camper per evitare che entrassero a Pitigliano, con conseguenze pesanti anche solo dal punto di vista del traffico". 

Ilaria Sacchettoni per il “Corriere della Sera” il 20 agosto 2021. Il dj Suburbass, venuto dalla Repubblica Ceca, «spaccava»: «Virtuoso, instancabile, fortissimo» racconta Andrei, 24 anni, italo romeno entrato nella Temporary autonomous zone come in una seconda pelle la notte del 13 agosto scorso, quando i tir carichi di casse acustiche e farina di canapa facevano la fila a Chiusi per raggiungere Valentano e la campagna promessa. È lui, odontoiatra di Modena convertito al bracciantato agricolo («Sto per partire per la vendemmia in Provenza: otto settimane di fatica poi vado a riposarmi in Marocco») a raccontare il rave dall'interno. «Quindici stage con casse acustiche, la musica elettronica sfondava l'orizzonte, perfetta» dice. Dentro, un'organizzazione meticolosa fino alla pedanteria dedicata allo spaccio e alla gestione degli stupefacenti: «Sulle auto erano stati allestiti cartelli con i prezzi delle sostanze. Chetamina: 5 euro. Lsd: 10 euro. E via così. Poi c'erano i "laboratori" della riduzione del danno dove le sostanze venivano preventivamente analizzate per non correre rischi inutili». Infine gli opuscoli con informazioni di base diffusi fra i presenti per evitare comportamenti dannosi. Il prequel di Valentano si è scritto in Francia: «A maggio scorso, un free party con 5 mila persone a Redon, in Bretagna. Solo che lì la polizia ha caricato quasi subito». Tentativi (falliti) ci sono stati anche in Germania e Belgio dove le forze dell'ordine hanno avuto mandato di intervenire immediatamente. Quindi il prossimo rave eviterà le polizie europee con fama di severità e convergerà altrove: «L'appuntamento è per l'1 settembre in Albania. Ma dove si svolgerà esattamente non lo sappiamo neppure noi che siamo nei gruppi Telegram dedicati agli eventi» spiega, paziente. Reclutati individualmente alle feste, i «raver» vengono informati sia attraverso gruppi su Telegram (o WhatsApp) che tramite volantini cartacei distribuiti in qualche selezionata occasione: «Il giorno prima di Valentano mi è stato detto di trovarmi a Chiusi a mezzanotte e avrei avuto l'indirizzo preciso». Così è andata e alle 3 del mattino Andrei era con Suburbass e pochi altri a montare le tende sul campo dell'ignaro Piero Camilli. Lui la vive più come un'esperienza di condivisione che di trasgressione: «Negli altri Paesi è molto accentuato l'aspetto di comunità, il senso collettivo della cosa. Ma in Italia, Paese di ragazzi viziati, si pensa più al business, lo spaccio è molto diffuso e c'è chi approfitta delle circostanze». Gianluca Santiago non è la prima vittima di rave, ricorda Andrei: «Un ragazzo è morto nel 2017 e un altro l'anno dopo. Droga in un caso, un incidente d'auto nell'altro». Cinque giorni a mangiare pizza fatta con la farina di canapa spiega: «Era la specialità della festa. Se non ti fai spendi poco. Io me la sono cavata con quaranta euro in cinque giorni, più i soldi del treno per tornare a Modena».

Flavia Amabile per “la Stampa” il 20 agosto 2021. Roberto Camilli sale in auto. «Va bene, andiamo». E si va, quindi, lungo la strada sterrata che porta all'enorme campo dove si è tenuto il rave party di Ferragosto, un appuntamento che ha richiamato una folla di diecimila persone da tutta Europa alla ricerca di un posto bello, particolare, immerso nella natura dove trascorrere una settimana di musica e sballo. Era una proprietà privata ma i diecimila non hanno badato ai cancelli, alle porte, alle recinzioni. «Sono entrati ovunque rompendo, rubando distruggendo», racconta Roberto Camilli che con lo zio Piero è uno dei proprietari della tenuta. Roberto guida e si guarda intorno, disorientato. Da sei giorni vive dentro l'azienda agrituristica, allontanandosi solo per scortare verso l'uscita dalla tenuta i clienti che avevano prenotato una vacanza in una riserva naturale rinomata per la pace e il silenzio e si sono ritrovati con bombe di musica techno sparate a tutto volume a ogni ora del giorno e della notte da chi aveva deciso di prendersi gratis e con la forza quello stesso pezzo di paradiso. Roberto Camilli si inoltra tra i sentieri e osserva per la prima volta la tenuta di famiglia devastata. «Queste sono le passerelle, le recinzioni che usiamo per evitare che le pecore siano libere di andare ovunque. Per aprirle basta sganciare la rete, invece hanno preferito romperle e passare. Ce ne sono a decine distrutte». Oltre le recinzioni si apre il campo dove per cinque giorni si sono accampati i partecipanti al rave. A fine giugno c'è stata la falciatura del trifoglio e dell'orzo, il terreno era stato lasciato a riposare in attesa della nuova semina. «Ora è una discarica a cielo aperto», commenta Camilli osservando con amarezza la distesa di sacchi di plastica neri colmi di rifiuti. Gli occupanti sono andati quasi tutti via nella notte tra mercoledì e giovedì, ieri mattina sul campo restavano alcune decine di persone, alcune auto con le batterie e il motore a pezzi portate via dai carri attrezzi, e distese di rifiuti. Camilli inizia ad avanzare nel campo che aveva lasciato a fine luglio pronto per una nuova semina e non riesce a nascondere la sua tristezza. Scatta foto con rabbia a ogni cumulo di sacchi neri e cerca le parole per descrivere quello che prova. «E' un'apocalisse culturale e sociale. Hanno fatto uno schifo per divertirsi alle nostre spalle, distruggendo il lavoro di decine di persone». Mentre parla i rifiuti si susseguono, mai uguali. Bustoni di plastica neri, frigoriferi trasportati per tenere in fresco birre e alcol e lasciati lì, in mezzo al campo. E poi tavoli, fette di cocomero, scheletri di tende per ripararsi dal sole e tende ancora montate dove dormire. E ciotole di plastica, ombrelloni, lattine di birra, bottiglie e altro materiale indistinto. «Adesso andiamo al casale, vediamo che hanno combinato lì», annuncia Roberto. Il casale è una costruzione un tempo abitata dai contadini che vivevano nella tenuta. «Era chiusa ma quelli se vedono qualcosa di chiuso devono aprirlo e prenderselo», commenta Roberto. Il casale non è stato solo aperto, la facciata di mattoni è stata colorata con le bombolette spray, l'interno sembra uno di quei rifugi metropolitani abitati da chi è senza un tetto. Una metà è stata usata come bagno collettivo. Roberto entra, scatta due foto e esce subito. «Non ce la faccio», ammette. L'altra metà ha resti di giacigli, scritte sulle pareti, piatti, sporco e puzza ovunque. Non solo il casale, ogni costruzione è stata aperta, occupata e usata. Forzati i cancelli dei magazzini dove sono stati rubati pezzi di macchinari e gasolio. Forzato l'ingresso del pozzo per rubare l'acqua. «Hanno bevuto e si sono rinfrescati senza il minimo rispetto per centinaia di animali che sono rimasti senz' acqua per giorni sotto il caldo - commenta ancora - decine di pecore sono state uccise dai cani e le mucche sono rimaste nascoste per giorni, terrorizzate dal rumore. Da oggi per Roberto Camilli si comincia a ricostruire. «Ci vorrà tanto tempo prima di far tornare la nostra azienda il gioiello che era fino a una settimana fa», spiega. Per le autorità responsabili della sicurezza, invece, convinti gli organizzatori a una chiusura anticipata del rave, è il momento di capire che cos' è accaduto e che cosa potrà ancora accadere nei prossimi giorni. Sono state identificate circa tremila persone all'uscita, è stato bloccato un furgone con materiale acustico e gruppi elettrogeni e sotto sequestro è finito anche un mezzo pesante con casse e altri materiali, a bordo del quale viaggiavano due cittadini italiani, denunciati per resistenza a pubblico ufficiale, dopo il tentativo di forzare uno dei varchi presidiati dalle forze dell'ordine. Oggi la ministra dell'Interno Luciana Lamorgese avrà un video incontro con i prefetti di Grosseto e Viterbo per capire come sia stato possibile che in diecimila abbiano occupato una proprietà privata e ci siano rimasti quasi una settimana ma anche per esaminare come agire nei prossimi giorni. I partecipanti al rave sono andati via dal lago di Mezzano ma molti di loro hanno deciso di andare verso la Toscana. Una parte è andata a Saturnia e all'Argentario a fare il bagno, un'altra ha deciso di stabilirsi nella zona di Magliano dove in queste ore è alto l'allarme. Diego Cinelli, sindaco del paese: «Sono fortemente preoccupato e chiedo la massima attenzione alle autorità competenti. Purtroppo molte di queste persone sono in evidente stato di alterazione». La Regione Lazio nel frattempo ha avviato il tracciamento anti-Covid nei paesi vicini all'area del raduno dove è stato segnalato un focolaio mentre proseguono le polemiche con il centrodestra che non risparmia critiche severe al Viminale. 

Rave a Viterbo, testimonianza choc: "Cosa abbiamo mangiato per cinque giorni di fila", roba altamente tossica (e illegale). Libero Quotidiano il 20 agosto 2021. "Quindici stage con casse acustiche, la musica elettronica sfondava l’orizzonte, perfetta": Andrei, italo-romeno di 24 anni, odontoiatra di professione, era uno dei partecipanti del rave abusivo a Valentano nel Viterbese. Il giovane, che vive a Modena, ha spiegato che l'organizzazione all'interno del microcosmo illegale era meticolosa: "Sulle auto erano stati allestiti cartelli coni prezzi delle sostanze. Chetamina: 5 euro. Lsd: 10 euro. E via così. Poi c’erano i 'laboratori' della riduzione del danno dove le sostanze venivano preventivamente analizzate per non correre rischi inutili", ha raccontato al Corriere della Sera. Andrei, che già pensa al prossimo rave organizzato in Albania il primo settembre, ha rivelato che per 5 giorni di fila tutti hanno mangiato solo la pizza fatta con la farina di canapa: "Era la specialità della festa. Se non ti fai spendi poco. Io me la sono cavata con quaranta euro in cinque giorni, più i soldi del treno per tornare a Modena". Parlando dell'organizzazione pre-evento, invece, il 24enne ha spiegato che di solito si sa tutto all'ultimo minuto. I cosiddetti "ravers", infatti, vengono reclutati individualmente alle feste e vengono informati o attraverso gruppi su Telegram o tramite volantini cartacei distribuiti in qualche selezionata occasione: "Il giorno prima di Valentano mi è stato detto di trovarmi a Chiusi a mezzanotte e avrei avuto l’indirizzo preciso - ha raccontato l'italo-romeno -. Negli altri Paesi è molto accentuato l’aspetto di comunità, il senso collettivo della cosa. Ma in Italia, Paese di ragazzi viziati, si pensa più al business, lo spaccio è molto diffuso e c’è chi approfitta delle circostanze".

Da lastampa.it il 20 agosto 2021. Trasportava 7 etti di droghe (fra cocaina, marijuana e hashish) quando la polizia lo ha controllato e poi arrestato al casello di Chiusi, poi ha confessato agli agenti che stava portando lo stupefacente proprio al rave party che si stava ancora svolgendo nel Viterbese. Così la vicenda - che risale al 18 agosto ma che è resa nota oggi dalla questura di Arezzo - di un albanese di 33 anni, residente a Novara. Quando vide la polizia ebbe un atteggiamento elusivo che insospettì gli agenti. La droga era dentro il cofano motore e sotto il parabrezza. Prima di essere portato in carcere rivelò lo scopo del suo viaggio.

Rave a Viterbo, arrestato un 33enne albanese: cosa gli hanno trovato nel cofano dell'auto. Libero Quotidiano il 20 agosto 2021. Il rave illegale andato avanti per giorni a Valentano, nel Viterbese, è terminato. Ma le polemiche non si fermano: in molti si sono lamentati per via della facilità con cui si è organizzato un evento di quella portata, con circa 10mila persone da tutta Europa. Mentre gran parte dei cittadini e dei lavoratori è impegnata a rispettare le regole anti-Covid imposte dall'esecutivo. Nel frattempo continuano a venire fuori notizie collegate alla festa clandestina: un albanese di 33 anni residente a Novara è stato arrestato a Chiusi, provincia di Siena, dopo che si è scoperto cosa stesse trasportando in auto. Di cosa si trattava? Sette etti di droghe, tra cocaina, marijuana e hashish. Il 33enne ha confessato agli agenti che stava portando gli stupefacenti proprio al rave party nel Viterbese. La droga era nel cofano motore e sotto il parabrezza. Nel frattempo c'è soddisfazione per lo sgombero e la fine della festa illegale. "Finalmente l'area è stata liberata dopo diversi giorni. E' stato un assembramento di migliaia di persone, alcuni asseriscono oltre 10mila, e questo provoca un elemento di facilitazione nella circolazione del virus. Sicuramente ci sarà un aumento dei contagi", ha dichiarato l'assessore regionale alla Sanità del Lazio, Alessio D'Amato. E adesso è alto il rischio di emulazione in Italia. Giovedì sera, per esempio, a Lecce è stato sventato un rave nelle campagne del capoluogo di provincia pugliese, durante interventi di controllo di polizia e carabinieri, i quali hanno applicato direttive nazionali arrivate dopo il caso nel Viterbese. Attraverso il monitoraggio dei social media, diverse pattuglie di polizia hanno intercettato l'invito a partecipare al rave, riuscendo così a bloccare in tempo un furgone con alcuni giovani, tutti con precedenti per rave party, e a bordo anche qualche strumento per l'amplificazione: 6 casse acustiche, un gruppo elettrogeno con tanica di benzina e cavi per i collegamenti.

Chetamina a 5 euro, Lsd a 10: il "mercatino" nel rave. Valentina Dardari il 20 Agosto 2021 su Il Giornale. Ancora polemiche sul rave. Chi c’era ha raccontato che la specialità del raduno era la pizza con la farina di canapa. Sulle auto i prezzi degli stupefacenti. Dopo che il rave party abusivo nel Viterbese ha finalmente chiuso i battenti, si contano i danni lasciati dalle migliaia di persone, circa 10mila, arrivate da tutta Europa per partecipare alla festa musicale. Luogo del rave è stata una proprietà privata di 30 ettari, violentata e distrutta per giorni. Ma non solo, chi c’era ha raccontato che veniva venduta droga.

"Lsd venduta a 10 euro". Andrei, 24enne italo-romeno che ha partecipato al raduno, ha detto al Corriere che era presente una organizzazione vera e propria dedita allo spaccio e alla gestione delle sostanze stupefacenti. Addirittura, come ha raccontato il giovane, “sulle auto erano stati allestiti cartelli con i prezzi delle sostanze. Chetamina: 5 euro. Lsd: 10 euro. E via così. Poi c'erano i "laboratori" della riduzione del danno dove le sostanze venivano preventivamente analizzate per non correre rischi inutili”. Oltre a degli opuscoli rilasciati ai presenti con le info di base per evitare eventuali comportamenti dannosi. Prima dell’Italia, gli organizzatori avevano provato a fare un rave di 5mila persone a Redon, in Bratagna, “solo che lì la polizia ha caricato quasi subito”. Falliti anche i tentativi in Germania e Belgio. Andato a segno quello italiano. Già ci sono una data e un luogo per il prossimo raduno musicale abusivo: “L'appuntamento è per l'1 settembre in Albania. Ma dove si svolgerà esattamente non lo sappiamo neppure noi che siamo nei gruppi Telegram dedicati agli eventi” ha spiegato il ragazzo. I raver vengono informati tramite i gruppi su Telegram o WhatsApp, o anche attraverso dei volantini cartacei. Per l’ultimo rave appena terminato, Andrei era stato contattato alla vigilia: “Il giorno prima di Valentano mi è stato detto di trovarmi a Chiusi a mezzanotte e avrei avuto l'indirizzo preciso”. Queste feste hanno anche una specialità culinaria: la pizza fatta con la farina di canapa. Il 24enne ha precisato che questa pizza “era la specialità della festa. Se non ti fai spendi poco. Io me la sono cavata con quaranta euro in cinque giorni, più i soldi del treno per tornare a Modena”.

Un paradiso distrutto. Una festa che ha distrutto quel luogo immerso nella pace e nella natura. A La Stampa, Roberto Camilli, proprietario della tenuta con lo zio Piero, ha raccontato che “sono entrati ovunque rompendo, rubando, distruggendo”. Per sei giorni i clienti dell’agriturismo sono stati disturbati da musica techno sparata a palla, sia di giorno che di notte. All’uomo basta fare un giro nella tenuta per rendersi conto del disastro lasciato da coloro che erano al rave. Per cinque giorni i partecipanti si sono accampati in un mega campeggio con tende, camper e roulotte. “Queste sono le passerelle, le recinzioni che usiamo per evitare che le pecore siano libere di andare ovunque. Per aprirle basta sganciare la rete, invece hanno preferito romperle e passare. Ce ne sono a decine distrutte” ha spiegato Camilli.

Escrementi e rifiuti ovunque. La distruzione in un campo che, dopo la falciatura di fine giugno, era stato lasciato a riposo in attesa della nuova semina, ora “è una discarica a cielo aperto”, con rifiuti ovunque. Tende abbandonate, bottiglie, ombrelloni, cibo, sacchi a pelo. C’è di tutto su quel campo. Tanti partecipanti se ne sono andati nella notte tra mercoledì 18 e giovedì 19 agosto. Ieri mattina c’erano ancora poche decine di persone e veicoli rotti, poi portati via con i carri attrezzi. Camilli è tra il triste e l’arrabbiato mentre definisce quanto avvenuto come “un'apocalisse culturale e sociale. Hanno fatto uno schifo per divertirsi alle nostre spalle, distruggendo il lavoro di decine di persone”. Dopo la visita al campo, il proprietario si è diretto al casale, un tempo abitato dai contadini che vivevano all’interno della tenuta. Nonostante fosse chiuso, sono riusciti a entrare lo stesso e a deturpare anche quello spazio. I muri sono stati imbrattati con le bombolette spray. Il pavimento è zeppo di escrementi e c'è puzza dappertutto. Sono perfino stati forzati i cancelli dei magazzini e rubati macchinari e gasolio. Così come è stato forzato il pozzo per dissetarsi: “Hanno bevuto e si sono rinfrescati senza il minimo rispetto per centinaia di animali che sono rimasti senz'acqua per giorni sotto il caldo, decine di pecore sono state uccise dai cani e le mucche sono rimaste nascoste per giorni, terrorizzate dal rumore”. Roberto Camilli si rende conto che dovrà tirarsi su le maniche e lavorare duramente per riportare la tenuta allo splendore che era fino a prima del rave, solo una settimana fa.

I luoghi vicini temono il peggio. Le forze dell’ordine sono riuscite a identificare circa 3mila persone e a sequestrare un furgone con materiale acustico e un mezzo pesante con a bordo delle casse. Due cittadini italiani sono stati denunciati per aver cercato di scappare forzando un blocco della polizia stradale. Per oggi è previsto un video incontro tra il ministro Luciana Lamorgese e i sindaci di Grosseto e Viterbo per capire come sia potuto avvenire tutto ciò. I partecipanti al raduno sono adesso sparsi nel territorio: chi a Saturnia, chi all’Argentario, chi sul lago di Mezzano. Tanti sono arrivati anche nella zona del borgo di Magliano e il primo cittadino, Diego Cinelli, si è detto “fortemente preoccupato e chiedo la massima attenzione alle autorità competenti. Purtroppo molte di queste persone sono in evidente stato di alterazione”. Senza contare i possibili contagi avvenuti durante la festa, già è stato segnalato un focolaio poco distante dal luogo del rave.

Valentina Dardari. Sono nata a Milano il 6 marzo del 1979. Sono cresciuta nel capoluogo lombardo dove vivo tuttora. A maggio del 2018 ho realizzato il mio sogno e ho iniziato a scrivere per Il Giornale.it occupandomi di Cronaca. Amo tutti gli animali, tanto che sono vegetariana, e ho una gatta, Minou, di 19 anni. 

Rave a Viterbo, un popolo di sballati, anarchici e nomadi: chi sono davvero i partecipanti. Andrea Cappelli su Libero Quotidiano il 20 agosto 2021. Avete presente le orde di zombie claudicanti che affollano le città deserte nella serie tv "The Walking Dead"? Disattivate l'audio del televisore, ascoltate un brano tekno e alzate al massimo il volume: se non avete mai partecipato in prima persona, eccovi servita l'immagine plastica di un rave party. Procediamo con ordine: cosa sono esattamente i "rave party"? Quella dei "free party" (questo il termine tecnico) è una controcultura sorta dalle ceneri di quella hippie all'inizio degli anni '80. Non stiamo parlando di un blocco granitico: esistono vari tipi di rave a seconda del genere musicale (si va dal tekno all'acid house), dell'ambientazione (boschi, radure, aree periferiche) e della durata del party (che in certi casi può andare avanti anche dieci giorni). Chi partecipa ai rave viene definito raver, ma in realtà, ci dice Marco D., storico frequentatore di party che preferisce celarsi dietro un nome fittizio, «oggi noi ci definiamo "clubbers". Questa parola non sta più a indicare chi frequenta i club bensì gli appassionati di musica elettronica e psichedelica che partecipano ai free party». Questi eventi possono radunare fino a 50.000 persone, con picchi di oltre 10.000 persone al giorno. È il caso del Teknival (2017), kermesse francese alla quale han preso parte 50.000 persone in quattro giorni. Ma potremmo citare anche White Waltham 1989 - dove 12.000 persone si radunarono in una pista di atterraggio nei pressi dell'autostrada M25 di Londra - o Pinerolo 2007 in Italia con le sue 40.000 persone. Per organizzare i rave un tempo si sfruttava il passaparola ma oggi anche i raver ricorrono a servizi di messaggistica come Telegram o social come Instagram. A causa della loro natura anarchica, dentro i free party in molti casi vengono commessi svariati reati: spaccio, danneggiamenti, invasione di proprietà privata. A partire dai primi' 80 il fenomeno si è espanso dall'Inghilterra ad altre aree d'Europa: Francia, Italia, Spagna, Balcani. Le "tribù" - termine con cui si definiscono i gruppi organizzati, dei quali fanno parte anche intere famiglie - sono itineranti; "nomadi dello sballo" diretti dove le norme legali sono più tolleranti e i controlli più blandi. Scopo dei rave è "scomparire", dimenticare le ansie del quotidiano lasciandosi trasportare dai ritmi sincopati, facendo viaggiare la mente con le droghe. Quali sono le sostanze più diffuse? A rivelarcelo è Marco D.: «Sicuramente l'MD, mescolata dentro bottigliette d'acqua; poi le pasticche di Ecstasy e il Popper. I più giovani adorano la Ketamina».

Dietro il rave una "regia francese": "Lì sono puniti, qui no". Gabriele Laganà il 20 Agosto 2021 su Il Giornale. Gli organizzatori del rave party illegale di Viterbo sarebbero gli stessi degli eventi di Brescia e Pisa. La difficoltà di stabilire i ruoli. Il rave party clandestino organizzato nel Viterbese, al quale hanno partecipato migliaia di persone, non è stato un evento improvvisato ma potrebbe far parte di un piano ben più ampio. Forse a livello internazionale. Non sarebbe stata casuale neanche la scelta del Paese nel quale organizzare quella festa. Ma andiamo con ordine. Molti partecipanti, racconta Repubblica, lo scorso 19 giugno sono stati respinti dalla gendarmeria francese a Nizza. Gli stessi hanno, poi, scelto l'Italia come sede del rave party. Prima c’è stato un tentativo nel Bresciano ma si è rivelato un flop. Quindi ecco le feste abusive di Pisa a inizio luglio e quella nel Viterbese, nel corso della quale ha perso la vita, per cause ancora da chiarire, un 24enne. Sembra proprio che dietro l’organizzazione ci sia una sorta di internazionale dei rave a guida francese che si muove secondo un piano ben preciso: individuazione di un terreno, lo studio dell’area e infine la comunicazione dell’evento su Telegram con circa un mese di anticipo. L'operazione riesce spesso. E quanto accaduto nel Viterbese ne è una dimostrazione. Nell'evento svoltosi nella località laziale, la polizia ha individuato gli organizzatori del rave. E così è partita la trattativa con la Questura. Ma qui la situazione si è complicata perché i ruoli sono fumosi. Nessuno si presenta come organizzatore. Al massimo le persone fermate si definiscono "portavoce" per evitare guai con la legge. Nel caso di Viterbo, ad esempio, le forze dell’ordine hanno dovuto trattare con 8 gruppi diversi, maggioranza francese. Presenti, però anche gruppi italiani del Centro e del Nord. Pare, quindi, non essere un caso che il volantino fatto circolare per annunciare la fine anticipata, intitolato "Game over", fosse in francese e in italiano. "Le crew arrivavano quasi tutte dalla Francia", ha affermato un investigatore. Ma perché è stata scelta l’Italia? Una ipotesi potrebbe essere legata alla legge. La Cassazione ha sentenziato che i party abusivi non sono perseguibili. Discorso diverso in Francia. Qui, ad esempio, sono stati condannate 4 persone per un rave a Marigny, in Normandia. Altre 11 sono finiti a processo al tribunale di Tarascon per la festa del 2018 a Saint-Martin- de-Crau, in Provenza. Come già evidenziato in questi casi è difficile stabilire il ruolo ricoperto da una persona. "Non possiamo dimostrare che siano gli organizzatori. Ma hanno contribuito alla riuscita dell'evento", ha spiegato in aula il procuratore. E questo basta per una condanna. In Italia, invece, si rischia meno. La polizia può agire per anticipare l’inizio dei rave. Intervenendo a giochi fatti può solo trattare. E, nel caso, contestare reati minori come, visto il periodo in cui ci troviamo, la violazione delle norme anti-Covid.

Gabriele Laganà. Sono nato nell'ormai lontano 2 aprile del 1981 a Napoli, città ricca di fascino e di contraddizioni. Del Sud, sì, ma da sempre amante dei Paesi del Nord Europa. Seguo gli eventi di politica e cronaca dall'Italia e dal mondo. Amo il calcio, ma tifo in modo appassionato solo per la Nazionale azzurra. Senza musica non potrei vivere. In tv non perdo i programmi che parlano di misteri e i film horror, specialmente del genere zombie. Perdono molte cose. Solo una no: il tradimento

Ora si contano i danni. Rave party, la "regia" francese dietro gli eventi italiani: perché il nostro Paese è la "nuova Mecca". Roberta Davi su Il Riformista il 20 Agosto 2021. Balli forsennati tra droga e alcol, che sono andati avanti per quasi sei giorni. Fino alla resa, avvenuta ieri 19 agosto, con l’intervento delle forze dell’Ordine. Le campagne nei pressi del lago di Mezzano, nel comune di Valentano in provincia di Viterbo, sono state definitivamente sgomberate dai partecipanti al rave party abusivo, culminato con una vittima. Tremila le persone identificate: ora si fa la conta dei danni. La ‘regia’, francese, segue uno schema ben preciso nell’organizzazione di un evento come il Teknival, che richiama migliaia di persone da tutta Europa. Un’iniziativa che viene punita in Francia, ma che in Italia si scontra con una situazione più complessa.

Come nasce un rave party. Prima del rave party nel viterbese, c’è stato quello sulle colline pisane, a Tavolaia, a inizio luglio, con un tentativo a Brescia a giugno, dove due ragazzi francesi sono stati denunciati per invasione e occupazione di terreno. E ora l’ipotesi è che i tre eventi siano stati organizzati dallo stesso gruppo francese che si muove sempre nel medesimo modo: individua una zona, la studia e poi inizia a far circolare l’invito con le coordinate del luogo sui social, soprattutto su gruppi Telegram. Le targhe dei tir contenenti casse e attrezzature, del resto, non mentono. Rispetto alla Francia, in Italia i rischi sono minori. I rave party non sono sempre illegali, a patto che la festa non abbia fini di lucro e non ci siano attività illecite. Della questione si è occupata anche la Corte di Cassazione nel 2017, stabilendo come l’articolo 17 della Costituzione indichi che i cittadini hanno il diritto di riunirsi pacificamente e senza armi anche in luogo aperto al pubblico, per cui non è neanche richiesto il preavviso. Le forze dell’ordine cercano solitamente di intervenire per prevenirli. Al rave illegale al lago di Mezzano, nonostante l’evento fosse già iniziato, gli investigatori sono riusciti a subito a individuare gli organizzatori, riporta Repubblica, seppur tra diverse difficoltà. Infatti i ruoli nel mondo di queste iniziative sono alquanto fumosi, per evitare problemi con la giustizia, e la Polizia si è ritrovata a trattare con 8 gruppi diversi. Ma una volta che l’evento è iniziato, ciò che si può fare è trattare e contestare reati minori. Tenendo conto che nel caso specifico, in tempo di pandemia, le norme sanitarie vietano qualsiasi tipo di assembramento. La ministra Lamorgese incontrerà i prefetti di Viterbo e Grosseto per capire quali siano stati gli errori e cercare di evitarli in futuro, individuando un protocollo.

Camilli: “Hanno devastato tutto”. Piero Camilli, ex presidente del Grosseto Calcio e della Viterbese e proprietario dell’area in cui si è svolto il rave, ha annunciato ieri che chiederà un risarcimento danni al Viminale. “Hanno devastato tutto, sono arrivati a saccheggiare i capannoni delle mie imprese, ora chiederò i soldi allo Stato– ha dichiarato-. Solo questa notte mi hanno rubato due quintali e mezzo di gasolio e diversi pacchi di latte in polvere, oltre a diversa attrezzatura. Quando andranno via conteremo i danni che non sono pochi”. Distrutte staccionate, danneggiati capannoni e mezzi. Intanto l’imprenditore, tramite il suo avvocato Enrico Valentini, ha presentato già tre denunce alla Procura della Repubblica per danneggiamenti, furto e altri reati. Nei territori interessati dal rave a preoccupare è anche la situazione sanitaria. La regione Lazio ha predisposto un’azione di contact tracing e di tamponi per le popolazioni. L’Assessore alla Sanità d’Amato ha annunciato oggi che è stato inoltre organizzato un ‘vax tour’ e attivato un servizio veterinario per verificare la presenza di animali feriti o morti. Roberta Davi

Perché la Francia manganella i rave-party. Enrico Martial per startmag.it il 20 agosto 2021. In Francia, i rave party esistono da vent’anni, ma di recente l’azione di contrasto è diventata più netta, anche in ragione della pandemia, e non senza conseguenze. Ancora nel 2015, a un rave party nei pressi di Tolosa, si erano per lo più constatati i danni. Tra i seimila partecipanti c’erano stati tre morti: un diciottenne per arresto cardiaco, un 35enne senza fissa dimora e uno spagnolo sulla strada del ritorno a casa. I terreni occupati, a Talairan, vicino a Narbonne, 30 km dal mare e 15 dall’autostrada, erano di proprietà pubblica, ed erano già stati oggetto di raduni nei mesi precedenti. Invece, allo scorso Capodanno, a Lieuron, piccolo comune delle Bretagna, si è andati allo scontro. Un rave è stato organizzato in tre grandi hangar abbandonati: il luogo doveva essere tenuto segreto fino all’ultimo e le vie di comunicazioni dovevano complicare i controlli. Le forze dell’ordine, che sono state in ascolto delle chat e dei post, sono intervenute già durante l’installazione e l’avvio della megafesta. Tra lacrimogeni, lanci di pietre e bottiglie, una camionetta della gendarmeria è stata data alle fiamme, altre tre vetture danneggiate, e ci sono stati feriti leggeri tra le forze dell’ordine. È stato necessario un passo indietro, si è provveduto distribuire mascherine e gel e a impedire nuovi accessi aspettando al mattino, quando la musica si è interrotta alle 5. Le forze dell’ordine hanno ripreso il controllo dei luoghi alle 10 e hanno dato 1600 multe, in gran parte legate al Covid, ma anche a stupefacenti e agli scontri precedenti. Qualche giorno dopo, il 4 gennaio, è stato arrestato un 22enne che era stato al mixer e dal cui telefono erano partiti 1000 inviti al rave. La situazione è stata analoga nelle settimane scorse. La polizia è intervenuta per fermare o contenere una decina di rave-party si sono tenuti dal 31 luglio al 1° agosto 2021 per ricordare Steve Maia Caniço, un 24enne affogato nella Loira in cui era caduto, insieme ad altri, durante una carica della polizia in occasione di una festa della musica techno di Nantes a giugno 2020. Si è trattato di 750 persone a Laval, 500 a nord di Digione, 1500 nella Gironda, 200 in Bretagna, 1000 a Honfleur in Normandia, 3000 nell’area di Grenoble. A Redon, fermata del TGV Atlantique, non lontano da Rennes, il 19 giugno 2021, ci sono stati scontri a un rave sempre dedicato a Steve Maia Caniço, da 1500 persone. Un ragazzo ha perso una mano e di nuovo ci sono stati altri feriti leggeri. Al mattino la musica sembrava riprendere ma il materiale di sonorizzazione è poi stato in parte distrutto dai gendarmi. L’impostazione muscolare delle forze dell’ordine è coerente con lo stile del ministro dell’interno Gérald Darmanin, che ha definito “delinquenti” i ragazzi che vanno ai rave party. I “teufeurs”, così chiamati con i neologismi che invertono le sillabe (festa=fête=teufe), non hanno però tutta l’opinione pubblica contraria. Così, oltre ai casi più eclatanti, le prefetture cercano piuttosto di minimizzare i danni, senza andare allo scontro. È pur vero che alcuni promotori sono identificati, come la “Sound Système PTP Family” e il “Sound Système Partoutatek Demembre Loup’Rdingue”, ma per lo più i rave hanno un’organizzazione informale, in cui ognuno contribuisce con la sua parte, amplificatori, servizi di ristorazione o altro, anche illecito. Così, l’adozione da parte dei prefetti di divieti di trasporto di materiale sonoro o di gruppi elettrogeni in zone determinate e il divieto di installazione di materiale dà ormai capacità alle forze dell’ordine di produrre contravvenzioni (da 350 fino a 3750 euro, per esempio) e di sequestrare materiale, quando intercettato. Lo scopo è di aumentare costi e problemi ai proprietari dei materiali, anche una volta che i rave si sono conclusi. In maggiore difficoltà in Francia, le organizzazioni si mettono quindi alla ricerca di territori meno preparati e attrezzati nella gestione e nelle risposte, come in Italia o in altri Paesi dell’Unione.

Fulvio Fiano per il “Corriere della Sera” il 22 agosto 2021. Devastazione. Terra «bruciata» per il pascolo. Puzza insostenibile. Chi per primo è entrato ieri mattina nel campo che suo malgrado ha ospitato il rave party durato una settimana in provincia di Viterbo, ne ha ricavato una sensazione di oltraggio. Alle regole, al territorio, alla flora e alla fauna. E ora che i cinque container con le impalcature e le casse sono partiti a bordo di tir targati Olanda si comincia la conta dei danni, almeno per la parte in cui sono calcolabili. Intanto, i rifiuti lasciati al sole e imputriditi su un terreno già pieno degli umori e degli odori dei bisogni corporali di 10 mila persone hanno reso l'aria irrespirabile. Sono stati necessari 23 camion della nettezza urbana per ripulire l'area dai rifiuti, indifferenziati e speciali per la presenza di residui di siringhe, farmaci, stupefacenti, pannoloni e altro, che come tali andranno avviati allo smaltimento. Poi si tratterà di ripristinare l'integrità dei 700 ettari di terreno da pascolo e coltivazioni messo così a dura prova dal calpestìo dei partecipanti e dai loro mezzi. La parte più dolorosa è quella che riguarda gli animali. Gli ovini «persi» a vario titolo sono almeno trenta, dei quali una decina spariti, cinque trovati morti e altri quindici avviati alla macellazione per le gravi ferite riportate a causa dei morsi dei cani, anche di grossa taglia, ai quali i ravers hanno consentito di tornare alla loro natura di cacciatori, o per gli stenti dovuti al caldo e la carenza d'acqua causata dal pozzo danneggiato. A questi si aggiunge l'esodo di tutta la fauna che normalmente popola il perimetro del lago di Mezzano. Anatre, falchi di palude, martin pescatori ma anche caprioli, fagiani, cinghiali, tutti fuggiti dal proprio habitat a causa dei rumori degli «invasori» e chissà quando disposti a tornare. Sulle acque del lago l'Asl avvierà apposite verifiche. Piero Camilli, proprietario del terreno e sindaco di Grotte di Castro, stima danni per almeno 90-100 mila euro. Senza contare i furti nei negozi di zona e quelli di gasolio dai mezzi agricoli: «I varchi delle forze dell'ordine erano a sei chilometri da qui - dice - in questo perimetro 10 mila persone sono state lasciate libere di fare quello che hanno voluto, mentre io e la mia famiglia eravamo barricati in casa temendo incursioni. L'unica consolazione è quella di essere assicurato: domani un perito sarà qui». Altro fronte è quello sanitario, per i già emersi contagi da Covid, per il quale l'assessore alla Sanità della Regione Lazio, Alessio D'Amato, ha annunciato ieri l'avvio di «una attività capillare di tracciamento, comune per comune, a fare tamponi con i camper». Anche l'Asl Toscana Sud Est (Grosseto, Siena, Arezzo) ha dato ordine di potenziare il tracciamento ai suoi centri Covid e a tutti gli ospedali e gli altri presidi sul territorio. Un timore acuito dall'impossibilità di gestire lo sciamare dei reduci del rave in Italia e non solo. Ieri è stata fermata dalla polizia di Massa Carrara una 21enne di rientro a Milano con 500 grammi di ecstasy e mdma in camper. Venerdì sera, due milanesi erano stati arrestati dai carabinieri nella zona dell'Amiata, erano da parenti, per resistenza e oltraggio dopo un controllo nato dallo stato di alterazione della ragazza. In totale sono tremila le persone identificate. Tra loro gli otto entrati in un supermercato di Manciano senza vestiti e il gruppo di quelli che voleva entrare nella Fontana di TreviCamilla Mozzetti e Giuseppe Scarpa per “il Messaggero” il 20 agosto 2021. Chi ha raccolto l'adesione di almeno 8 mila ragazzi da tutta Europa spingendoli ad arrivare, con tutti i mezzi che hanno potuto, nelle campagne del viterbese? Inquirenti e investigatori avrebbero già chiaro il quadro degli organizzatori del Rave party Teknival space travel 2 partito in sordina nella proprietà privata di un imprenditore agricolo, Piero Camilli, e deflagrato poi dopo che un giovane è morto annegato nelle acque del lago Mezzano, due ragazze hanno detto di essere state violentate (solo una formalizzerà la denuncia), altri quattro giovani sono finiti in ospedale in coma etilico e altri tre ieri, durante le operazioni di abbandono dell'area, sono stati soccorsi nei presidi di zona in stato di forte agitazione e intossicazione da alcol e droghe. (…) Al momento gli investigatori hanno isolato questo scenario: otto gruppi (tribe nel gergo dei Rave) principalmente del Nord Italia con innesti francesi, che il 19 giugno sono stati bloccati a Nizza perché intenti a organizzare un altro evento, avrebbero tenuto in mano le redini del Rave di Valentano. Gli stessi che, stando alle prime verifiche avrebbero anche pensato di esportare lo stesso modello di raduno in Grecia. Il Rave è stato promosso principalmente in rete ma all'ombra dei grandi social e si è diffuso grazie a un tam-tam su sistemi di messaggistica istantanea meno conosciuti rispetto a Whatsapp. Identificati in 5 mila bisognerà dimostrare che tra questi fisicamente c'erano anche gli organizzatori dal momento che coloro che hanno trattato con le autorità per liberare l'area si sono sempre presentati come meri portavoce. Nelle indagini sono entrati oltre ai carabinieri, agli uomini di Digos e Squadra Mobile della Questura di Viterbo anche gli agenti della polizia postale ma il lavoro è laborioso. Anche sul fronte delle contestazioni dei reati. Gli investigatori lavorano poi a un'altra pista: considerata la scelta del posto, a dare una mano agli organizzatori pare sia stata anche una cellula italiana e magari proprio viterbese. Il terreno di proprietà di Piero Camilli è vasto almeno 700 ettari, quelli occupati sono stati non più di 30 ma si trovavano in un'area ben protetta e lontana dai centri abitati….

Da blitzquotidiano.it il 20 agosto 2021. Dopo sei giorni no stop si svuota l’area del maxi rave party non autorizzato nelle campagne di Valentano, nel viterbese, che ha sollevato polemiche e timori per il rischio contagi Covid. E dopo il rave in molti sono andati alle terme o al mare, come se niente fosse, rischiando oltretutto di contagiare qualcuno. Questo perché ci sono dei casi Covid registrati all’interno del rave, visto che mascherina e distanziamento sono stati peri a zero. 

Dopo il rave party si va al mare, al lago e alle terme. Sotto la lente, in particolare, le sponde del lago di Bolsena per monitorare l’eventuale spostamento di gruppi di partecipanti. Intanto in molti sono andati alle Cascatelle di acqua calda delle terme di Saturnia e sul fiume Fiora, località nei comuni di Manciano e Pitigliano. Alcuni sarebbero stati notati a fare il bagno e a prendere il sole. Altri hanno raggiunto Albinia e hanno preso posto in spiaggia sul tombolo di Giannella. Ad esprimere preoccupazione il sindaco di Magliano in Toscana (Grosseto) Diego Cinelli che segnala l’arrivo di “camper e auto provenienti dal rave”. “Purtroppo molte di queste persone sono in evidente stato di alterazione – ha aggiunto – . I turisti presenti sul territorio sono in allarme, e così anche molti esercenti locali e cittadini”.

Le parole dell’assessore alla Sanità. L’assessore regionale alla Sanità, Alessio D’Amato, annuncia che è “in corso un coordinamento tra la Asl di Viterbo e i sindaci dei comuni per pianificare un’azione di contact tracing e di tamponi per le popolazioni dei comuni interessati dal rave”. Mentre Piero Camilli, proprietario del terreno dove si è svolto il rave, attacca: “Ho fatto denuncia subito il primo giorno del loro arrivo, ma nessuno intervenne”. Poi fa la conta dei danni: “C’erano 30 ettari di pascolo e ora non c’è più niente, solo immondizia e siringhe. Dieci delle mie pecore sono state sbranate dai loro cani e mi hanno rubato pezzi dei trattori”

Estratto dell'articolo di Giuseppe Scarpa per “il Messaggero” il 20 agosto 2021. Prevenzione, repressione o trattativa? Come si controlla l'organizzazione di un rave. È un quesito che all'indomani dell'evento andato in scena a Mezzano (nel viterbese), che ha coinvolto 8.000 persone, in molti si pongono all'interno delle forze dell'ordine. Così come gli stessi residenti di quei paesi che, nei loro territori, senza alcun preavviso, si sono visti arrivare migliaia di persone con tir, camion, auto e camper che hanno montato palchi, casse e bancarelle. (…)

LA PREVENZIONE. (…) L'attività di prevenzione presupporrebbe un controllo costante dei profili social o del web in generale da parte della polizia postale. Quest' ultima, però, è oberata di lavoro su più fronti, ad esempio terrorismo o attacchi informatici. Materie che, per la loro delicatezza, hanno una particolare copertura normativa. Si pensi alle intercettazioni preventive in materia di terrorismo.

LA REPRESSIONE

L'altro aspetto è la repressione. Una volta che in migliaia sono arrivati da mezza Europa e hanno invaso i terreni privati si interviene con le forze dell'ordine. Questa è forse l'ipotesi meno percorribile: «Parliamo - spiega un investigatore al Messaggero - di un numero elevato di persone sotto l'effetto di sostanze stupefacenti che, in certi casi, ad esempio a Mezzano, sono andati al rave anche con figli piccoli al seguito.  Intervenire con uno sgombero potrebbe comportare reazioni incontrollate». «Di certo - prosegue l'investigatore - l'opzione migliore è impedire che arrivino. Se si sono già installati occorre avviare una trattativa per lo sgombero senza usare la forza».

LA TRATTATIVA

Di fatto la trattativa rimane l'unica strada da percorrere. Anche in questo caso chi organizza l'evento cerca sempre di proteggere la propria identità. Ad esempio, nel rave di Mezzano, gli organizzatori hanno detto a polizia e carabinieri, durante il negoziato per lo sgombero, di essere i portavoce del gruppo che ha pianificato l'evento. Un metodo maldestro per cercare di non essere poi denunciati. Dopo sei giorni di musica a tutta volume il rave si è concluso con 5 giorni d'anticipo. Adesso le forze dell'ordine sanno chi sono i coordinatori. Questo permetterà, in futuro, di giocare d'anticipo: impedire che migliaia di persone spuntino all'improvviso nelle campagne di un paese, occupino abusivamente i terreni e allestiscano palchi per organizzare un rave. 

Nudi al supermercato e carabinieri aggrediti: il rave non è finito. Federico Garau il 20 Agosto 2021 su Il Giornale. Fra polemiche e preoccupazioni, il rave party si sposta in Maremma. Esplode la rabbia dei sindaci per come viene gestita la situazione. Arrestati due giovani dopo l'aggressione ai carabinieri. Si sono presentati completamente nudi in un supermercato di Manciano (Grosseto) per fare la spesa durante un attimo di pausa del rave party a cui stavano partecipando: è bufera sugli otto giovani che hanno creato imbarazzo tra i presenti (tra cui anche dei bambini) e la furiosa reazione di alcuni di essi. Questo ed altri racconti riassumono ciò che sta accadendo in Maremma dopo lo spostamento di numerosi partecipanti del rave di Valentano a seguito del loro allontanamento dalle sponde del lago di Mezzano. "Il danno più grave che abbiamo avuto in questi giorni è quello di immagine verso i turisti e nei confronti dei nostri concittadini", ha sbottato Valeria Bruni, assessore al turismo della piccola cittadina del Grossetano. "In questi giorni ci sono state segnalate otto persone nude in un supermercato e la gente è molto arrabbiata per questa disparità di trattamento tra i partecipanti al rave che hanno fatto ciò che volevano e i cittadini normali che devono rispettare le regole, soprattutto quelle legate al Covid". Migliaia i giovani che, dopo lo sgombero del rave di Valentano, si sono spostati nelle campagne tra la provincia di Grosseto e quella di Viterbo. Una situazione che starebbe migliorando di ora in ora, anche se continuano ad arrivare segnalazioni di disagi da parte dei cittadini. "Ci segnalano che un gruppo di circa 50 persone ha fatto sosta nel piccolo borgo termale di Bagni San Filippo, in provincia di Siena", denuncia il primo cittadino di Sorano. "Molti altri invece si sono fermati sulle spiagge di Talamone e della Giannella. Nessun allarmismo, ma la prefettura sarebbe dovuta intervenire prima: noi sindaci ci siamo trovati soli con le nostre poche forze a coordinare il deflusso di migliaia di persone e mezzi. Registriamo disdette negli agriturismi", lamenta ancora Pierandrea Vanni.

Stop al rave, ma è allarme in Maremma. Un malumore diffuso tra i sindaci delle zone interessate dall'afflusso dei fuoriusciti dal rave di Valentano. "Ieri pomeriggio grazie al lavoro delle forze dell'ordine e dei pochi agenti della municipale di cui disponiamo", racconta invece il primo cittadino di Manciano, "siamo riusciti a bloccare molti camper diretti alle cascate di Saturnia, che però questa mattina erano di nuovo lì. Si tratta di piccoli gruppi, monitoriamo costantemente la situazione. E speriamo che tutto possa tornare quanto prima alla normalità", auspica Mirco Morini. Una difesa del territorio di cui tutti si sono dovuti occupare senza alcuna coordinazione a livello nazionale. "Mercoledì sera sia io e che l'assessore alla sicurezza ci siamo dovuti mettere agli incroci di ingresso nel paese, insieme ai poliziotti della municipale, per impedire che 3-400 camper entrassero in città", dichiara il sindaco di Pitigliano. "Il problema è stato sottovalutato. Qui siamo in un piccolo centro con molti abitanti anziani, ci sono stati momenti difficili: un ragazzo in preda alle allucinazioni è salito sul tetto di un'abitazione, spaventando il proprietario. Altri si sono trovati il giardino o i campi intorno casa invasi dalle auto", conclude amaramente Giovanni Gentili. Tutto questo senza considerare piccoli furti nei negozi locali e il giro di droga. Il primo cittadino di Orbetello si è visto costretto ad emettere un'ordinanza per interdire l'area alla sosta per tutti coloro che volevano bivaccare con i loro mezzi in città. Sottoposti ad identificazione tutti i partecipanti, trovati in possesso di sostanze stupefacenti: si tratta di giovani, la maggior parte dei quali stranieri (soprattutto francesi e spagnoli).

L'aggressione ai carabinieri. Una coppia di italiani, entrambi residenti a Milano, sono invece stati tratti in arresto con l'accusa di resistenza, oltraggio e lesioni a pubblico ufficiale per quanto commesso al rientro dal rave del Viterbese. Recatisi nella zona dell'Amiata per far visita ad alcuni parenti, i giovani si sarebbero resi protagonisti di intemperanze e violenze ai danni degli uomini dell'Arma intervenuti sul posto a causa dello stato di agitazione della ragazza. Inutile ogni tentativo di riportare la situazione alla calma: entrambi i militari sono stati aggrediti, riportando ferite ritenute guaribili rispettivamente in 10 e 15 giorni.

Federico Garau. Sardo, profondamente innamorato della mia terra. Mi sono laureato in Scienze dei Beni Culturali e da sempre ho una passione per l'archeologia. I miei altri grandi interessi sono la fotografia ed ogni genere di sport, in particolar modo il tennis (sono accanito tifoso di King Roger). Dal 2018 collaboro con IlGiornale.it, dove mi occupo soprattu..

Da “il Messaggero” il 21 agosto 2021. Otto persone, completamente nude, sono entrate nel supermercato a Manciano, nel grossetano, incuranti dei presenti tra i quali alcuni bambini. Si tratta dell'ennesimo episodio che suscita indignazione dopo i sei giorni di raduno illegale a Viterbo. A denunciare l'incursione avvenuta in concomitanza del rave è l'assessore al turismo Valeria Bruni. «Il danno più grave che abbiamo avuto in questi giorni è quello di immagine verso i turisti e nei confronti dei nostri concittadini - afferma - La gente è molto arrabbiata per la disparità di trattamento tra i partecipanti al rave che hanno fatto ciò che volevano e i cittadini normali che devono rispettare le regole». A lanciare l'allarme è anche il sindaco di Sorano, Pierandrea Vanni: «Ci segnalano che un gruppo di circa 50 persone ha fatto sosta nel piccolo borgo termale di Bagni San Filippo, in provincia di Siena. Molti altri invece si sono fermati sulle spiagge di Talamone e della Giannella». Diversi furti sono avvenuti nei negozi della zona e un gruppo di persone sarebbe uscito da un supermercato senza pagare.

Michela Allegri e Massimo Chiaravalli per “il Messaggero” il 21 agosto 2021. Qualcosa non ha funzionato, prima a livello di prevenzione e poi di contenimento. Con l'allarme per la rapida diffusione della variante Delta, con i divieti scattati per evitare assembramenti e contagi, le scene del rave di Viterbo hanno scatenato polemiche e accuse. E ora si cerca di capire come sia stato possibile che migliaia di persone si siano potute radunare indisturbate nelle campagne di Valentano, ammassandosi senza mascherine per giorni, per poi disperdersi in tutta l'Italia, Roma compresa. Ieri, un gruppo di sbandati reduce da quattro giorni trascorsi tra sballo e musica a tutto volume (e zero provvedimenti subiti per la devastazione compiuta) è arrivato nella Capitale e si è fatto selfie e foto davanti alla fontana di Trevi, come se nulla fosse successo. La ministra dell'Interno, Luciana Lamorgese, ha chiamato a rapporto per una riunione straordinaria il prefetto di Viterbo, Giovanni Bruno, e quella di Grosseto, Paola Berardino, che erano incaricati di gestire l'emergenza. La ministra, nell'ottica di prevenire in futuro scenari simili, avrebbe sollecitato maggiore impegno nel monitoraggio preventivo dei gruppi, soprattutto tramite i social. Nuovi sbagli non saranno tollerati. Proprio dai social, intanto, potrebbero arrivare risposte utili per l'inchiesta della procura di Viterbo. Oltre alla Digos e ai carabinieri, infatti, le indagini sono state affidate anche alla polizia postale, che in queste ore sta passando al setaccio chat Telegram, pagine Facebook e Instagram, per capire chi e come abbia organizzato un evento di tale portata. Nel frattempo migliaia di persone sono state identificate. Un dettaglio è fondamentale: i responsabili potrebbero finire sul registro degli indagati. I fronti d'inchiesta diversi: c'è il decesso di Gianluca Santiago Camassa, 24 anni, trovato morto nel lago di Mezzano; c'è l'occupazione di un terreno privato. Ma ci sono anche lo spaccio di droga e la violazione della normativa anti-assembramenti. Gli inquirenti procedono già per morte come conseguenza di altro reato - la probabile cessione di stupefacenti - e potrebbero ipotizzare anche l'invasione di terreni e il danneggiamento. È infatti iniziata la conta dei danni, pesante sia per il proprietario del terreno, Piero Camilli, sia per il Comune di Valentano: si potrebbe arrivare fino a 100mila euro. Tanto che il sindaco, Stefano Bigiotti, chiede aiuto al governo: «Noi non paghiamo nulla, ci aiuti il governo». Adesso c'è da gestire il post rave. I partecipanti, spenta la musica, dal lago di Mezzano si sono riversati in tutta la Tuscia viterbese, in Toscana e Umbria. Da un sito di interesse comunitario quello del rave a un altro: alcuni dei reduci che si erano accampati nella zona verde Il Tombolo, a Pescia Romana, vicino alla spiaggia dei vip Costa Selvaggia: sono stati fatti sgomberare da carabinieri e polizia locale di Montalto di Castro. Altri avevano preferito passare dal lago di Mezzano a quello di Bolsena, in maniera più consistente. Qui, a Campi di Bisenzio, si erano radunati in circa 300 con camper e auto. Ieri i mezzi rimasti, circa una decina, hanno ricevuto lo stesso trattamento: i conducenti sono stati identificati e invitati ad andarsene. Il bivacco non ha risparmiato Viterbo: a Valle Faul, proprio sotto il Palazzo dei Papi, si sono materializzati camper e un camioncino con una decina di persone. È stata presa di mira anche la piccola Gerusalemme, Pitigliano, in provincia di Grosseto, dove in un paio di episodi si è continuato a fare baldoria. «Un ragazzo ubriaco dice il sindaco Giovanni Gentili - si aggirava nel paese con atteggiamento molesto, un altro era salito sul tetto di una casa». Al casello di Chiusi dell'autostrada del Sole, la polizia ha bloccato un albanese di 33 anni residente a Novara con 7 etti di droga (cocaina, marijuana e hashish) nascosti nel cofano e sotto il parabrezza: ha confessato che li stava portando al rave (ma l'arresto, reso noto ieri, risale a mercoledì scorso). Sono finiti in manette anche altri due giovani, residenti a Milano, accusati di oltraggio, lesioni e resistenza a pubblico ufficiale. I due, uomo e donna, di rientro dal rave, si erano fermati da alcuni parenti che abitano in zona Amiata. La ragazza era in stato di agitazione, dovuto probabilmente ad alcol o droghe, ed è stato necessario l'intervento dei militari. La coppia ha aggredito i carabinieri, che hanno riportato lesioni per 10 e 15 giorni.

Lo scrittore Federico Di Vita era presente la seconda sera sul lago di Mezzano e racconta la sua verità sul rave di Viterbo: «Una splendida serata d'agosto». Giacomo Puletti su Il Dubbio il 24 agosto 2021. Lo scrittore Federico Di Vita era presente la seconda sera dell’ormai famoso rave party di Viterbo e dà una versione diversa di quella riportata dalla maggior parte dei media e degli abitanti del posto. Spiega che «stupri, parti e cani morti sono fake news» e difende l’impianto della festa.

Lei in un recente articolo ha difeso il rave di Viterbo, definendolo un party sul quale c’è stata troppa pressione da parte di stampa e osservatori. Ci racconta il clima di quei giorni?

Sono stato allo Space Travel n. 2 – questo il nome del Teknival che si è svolto al confine tra le province di Viterbo e Grosseto – la seconda notte, prima dell’incidente nel lago di Mezzano. Il clima di quel Teknival era splendido: un evento così fervidamente vivo, vibrante, così vario e anche con un piglio così anarchicamente libero capita raramente di poterlo frequentare. Quella in cui c’ero io era una stupenda notte d’estate in cui si poteva ballare sotto più di trenta palchi diversi, il tutto senza pagare un euro.

Chi c’era racconta di droga in vendita a pochi euro, alcol e niente distanziamento, ma anche di spazi ricreativi, attività collaterali e di autogestione. È possibile in queste feste l’equilibrio tra illegalità e responsabilità?

Due sere fa all’Olimpico c’erano 27mila persone, può immaginarsi che distanziamento ci sia stato quando la Roma ha segnato i suoi tre gol. Oltre all’Olimpico sono ricominciate Serie A e Serie B, personalmente sono contento che ci sia il pubblico allo stadio ma dal punto di vista della ressa non c’è paragone con un evento da poche migliaia di partecipanti, che hanno insistito per circa una settimana su un’area vasta chilometri.

Per quanto riguarda l’uso di sostanze al Teknival, segnalo che c’erano chioschi per la riduzione del danno: cioè per valutare il rischio legato alla qualità delle eventuali sostanze in vendita (per assicurarsi che non fossero tagliate, ad esempio) – ha mai visto qualcosa del genere all’interno di una discoteca? Direi che questo dimostra che il quoziente di responsabilità è semplicemente fuori scala rispetto a quanto avviene in contesti istituzionalizzati.

Lei non associa la morte del 24enne con il rave, ma ci sono stati anche casi di persone in come etilico, un parto avvenuto in mezzo alle sterpaglie e due presunti stupri. Quanto è alto il rischio, sempre che ci sia, che eventi come questo alimentino comportamenti pericolosi per la propria salute?

Gianluca Santiago è affogato a causa di un mulinello. L’acqua dei laghi è pericolosa: negli stessi giorni il cinquantenne Bruno Mancini è annegato nel Lago di Bolsena, ma dato che non stava andando al Teknival la stampa non ne ha parlato. “Presunti stupri” non ci sono stati: ci sono stati dei giornali locali che hanno lanciato delle fakenews. Sono notizie rivelatesi infondate, di alcune è stato possibile ricostruire la dinamica in modo dettagliato, per esempio quella dei cani morti veniva da un commento scherzoso di un tizio che sul gruppo Seguaci della Tekno alla domanda «Com’è la situazione?» rispondeva «cani morti ovunque».

La battuta, non colta, è stata ripresa dai giornali locali della Tuscia, poi da Repubblica Roma e poco dopo era al Tg2, senza che nessuno si preoccupasse di controllarne la veridicità. Alla fine di una festa durata una settimana e con circa diecimila partecipanti si sono contati 7 ricoveri in ospedale per abuso di alcol. Tutti i ragazzi ricoverati sono già stati dimessi in buone condizioni.

Molti hanno accusato la ministra Lamorgese di non aver sgomberato i partecipanti, altri di non averli fermati prima, altri ancora si complimentano con lei per la gestione soft. Qual è il rapporto tra questi eventi e la macchina statale?

Sia gli organizzatori dell’evento che le forze dell’ordine hanno ritenuto che interrompere il Teknival all’improvviso avrebbe creato più problemi di quelli che avrebbe risolto, cioè i raver e la polizia su questo la pensavano allo stesso modo. Mi pare arrivato il momento di cominciare a considerare la possibilità che quella fosse la soluzione migliore.

Cosa è cambiato, se è cambiato qualcosa, nell’approccio dell’opinione pubblica di fronte a certi eventi rispetto, ad esempio, agli anni ’70 e ’80?

Il dibattito culturale in Italia riguardo a questi temi è ormai di alto profilo, rimando al lavoro di Tobia D’Onofrio e Vanni Santoni e – per una rapida panoramica bibliografica – al suo articolo uscito sul Corriere della Sera domenica scorsa. L’atteggiamento della stampa mainstream è invece da mani nei capelli, in appena una settimana si è fatto un balzo indietro di 30 anni. Il Messaggero qualche giorno fa titolava: «L’affronto degli sbandati: selfie a Fontana di Trevi». Gli “sbandati” compiono un “affronto” (non si sa verso chi) facendosi un selfie a Fontana di Trevi. Direi che abbiamo polverizzato il muro dell’imbarazzo.

Rinaldo Frignani per corriere.it il 23 agosto 2021. Tutti sulla spiaggia a ballare, 2.500 persone che non hanno rispettato il distanziamento e per questo lo storico stabilimento di Ostia, il Kursaal Village è stato multato e costretto a restare chiuso per cinque giorni. Gli agenti della polizia del X distretto Ostia, del Reparto mobile, della Guardia di finanza e della polizia amministrativa dei vigili urbani, come disposto dal Questore con apposita ordinanza di servizio, hanno effettuato mirati controlli finalizzati a garantire il rispetto delle prescrizioni vigenti e contro i comportamenti non in linea con le misure di contenimento del rischio epidemiologico. Nella tarda serata di sabato 21 agosto gli agenti sono entrati nel noto stabilimento balneare constatando che al suo interno c’erano circa 2.500 persone anche se il conta-persone ne segnalava solo 230.

«Ma io dico: brava Lamorgese per la gestione soft del rave…». Massimo Canevacci: «I rave sono eventi per loro natura “illegali” ma la stampa ne ha parlato come se non sapesse nulla, mentre una parte politica ha strumentalizzato i fatti». Alessandro Fioroni su Il Dubbio il 21 agosto 2021. Violenze, devastazione ambientale, bambini partoriti all’aria aperta, un ragazzo morto, e poi ancora l’uso «senza freni» di droghe, fino all’immaginifica descrizione di cani morti lasciati marcire sotto il sole. Un campionario di nefandezze degne più di un girone dantesco che di un evento musicale pur senza regole. È con questi accenti che i media italiani hanno raccontato il mega- rave (Teknival) del lago di Mezzano su un terreno privato al confine tra Lazio e Toscana. Sono arrivati migliaia di ragazzi e ragazze dall’Italia e da tutta Europa e hanno ballato al suono dei beat accelerati della musica tecno. Ci sono stati eccessi e un ragazzo ha perso la vita in un incidente le cui dinamiche sono tutte da accertare, ma la realtà è stata meno drammatica da come l’hanno descritta gli organi di informazione che sembrava parlassero dell’Afghanistan e non di un raduno di giovani europei. Resta da capire perché un evento musicale non dissimile da altri che si sono svolti all’estero negli ultimi mesi abbia scatenato commenti così tranchant e una polemica politica nei confronti della ministra dell’Interno Lamorgese, “rea” di non aver interrotto il rave a suon di manganelli e lacrimogeni. Alla fine c’è stato il deflusso pacifico e senza incidenti dei partecipanti che sono stati identificati. Ne parliamo con il professor Massimo Canevacci, docente di antropologia culturale presso l’Università La Sapienza di Roma, studioso e osservatore delle sottoculture giovanili, che parte proprio dalle descrizioni della stampa.

Professore, come spiega il clamore che ha suscitato il rave?

I giornali hanno usato termini incredibili per parlare dell’evento. Da trent’anni in Italia si svolgono regolarmente i rave e i giornalisti non sanno ancora che si tratta di contesti per loro natura “illegali”, dovrebbero avere più consapevolezza dei fenomeni sociali. I rave sono nati nelle occupazioni delle fabbriche abbandonate in aree metropolitane periferiche, feste che nascevano dal riutilizzo di luoghi la catastrofe industriale del lavoro taylorista, della catena di montaggio. Hanno trasformato questi luoghi un tempo di fatica ripetitiva in momenti ludici senza chiedere il permesso a nessuno

Perché allora questa levata di scudi del mondo dell’informazione e della politica?

I partiti di destra hanno chiesto in qualche modo di replicare il modello di Genova 2001, ma l’intervento massiccio della polizia avrebbe creato una situazione davvero catastrofica per la sicurezza di tutti, come ha fatto notare lo stesso Viminale. L’allarmismo nato intorno all’evento in sostanza è stato usato per motivi di propaganda politica e, devo dire, che la ministra Lamorgese ha fatto una scelta corretta nel non ordinare un biltz delle forze dell’ordine.

Pensa che gli organizzatori del rave abbiano comunque delle responsabilità?

Sì, certamente, soprattutto per l’impatto che un tale evento può avere sul piano ambientale, data l’ubicazione del luogo e il suo valore naturalistico

Crede che sia stata anche una sorta di azione pubblica contro le misure anti- Covid, visto l’assembramento che si è creato?

Come ho detto, si tratta di eventi “illegali” per definizione. Ma credo che la scelta di chi ha promosso e organizzato il raduno non sia stata dettata da un sentimento contro possibili misure “proibizioniste”, o da considerazioni politiche, risponde a una logica del tutto autonoma. Forse, vista la località e il particolare periodo che stiamo vivendo alcune scelte avrebbero potuto essere diverse.

Potrebbe essere anche una reazione dei giovani a tanti mesi di chiusure e confinamenti

Sicuramente tutto quello che è accaduto e che sta ancora accadendo con la pandemia di covid 19 ha costituito una pressione insostenibile per i ragazzi e le ragazze, ma a ben vedere, il rave del lago di Mezzano non è poi così differente dalle feste sulle spiagge piene della riviera romagnola. Da ogni parte c’è voglia di riconoscersi, di abbracciarsi, di baciarsi, di fare l’amore. Tutto questo andrebbe compreso ma con una certa politica il dialogo è irrimediabilmente chiuso.

In tutto ciò rientra anche l’uso di droghe?

Questo è un livello molto importante del discorso. Non è più possibile che una legislazione punitiva e proibizionista impedisca di affrontare in modo efficace questo problema. Bisogna puntare sul contenimento o riduzione del danno, non sulla punizione dei consumatori e occorre aiutare i giovani a essere consapevoli che se assumono alcune sostanze i loro effetti potranno essere molto deleteri per la loro salute.

Rave party, il magistrato smonta Lamorgese: "Sua responsabilità". Giuseppe De Lorenzo il 24 Agosto 2021 su Il Giornale. Ancora polemiche dopo il rave a Valentano. Salvini attacca Lamorgese, ma il Pd fa quadrato. Una fonte qualificata, presente sul campo a Viterbo nei giorni del rave party delle polemiche, aveva sottolineato proprio questo dettaglio: il problema non è impedire o meno con la forza una festicciola di un gruppo di sbandati. Il punto non era tanto scegliere se trattare con gli organizzatori o sgombrare il campo con la forza. La questione è che a Valentano, in un'area privata vicino al Lago di Mezzano, si stava commettendo una sfilza infinita di reati "nella totale impunità” e le forze dell’ordine sono rimaste sostanzialmente “a guardare”. Il Viterbese è diventato uno Stato nello Stato in cui vigevano altre regole, dove si poteva spacciare droga, assembrarsi senza limitazioni, ballare appiccicati (le discoteche sarebbero chiuse) e via discorrendo. Il ministro Lamorgese per questo è finito nel mirino. Salvini invita a “pensare a un cambio” al Viminale, il Pd e la sinistra in generale fanno quadrato. Sulla brutta figura del rave party, però, anche dal fuoco amico erano arrivate non poche critiche (vedi l’assessore d’Amato nel Lazio o alcuni deputati dem): l’imbarazzo di non essere riusciti a impedirlo, un morto accertato nei cinque giorni di follia e il timore per i contagi da coronavirus hanno fatto storcere il naso anche ai sostenitori del ministro. Ma ora l’affondo finale lo scaglia Domenico Cacopardo, ex magistrato, già Consigliere di Stato e ora scrittore. In un articolato pezzo pubblicato su Italia Oggi, Cacopardo si occupa di “smentire” una notizia circolata nei giorni scorsi. Ovvero l’idea secondo cui la Cassazione avrebbe di fatto decretato “non punibile” l’organizzazione di questi eventi. In sostanza la Costituzione garantisce libertà di riunione, quindi mettere su un raduno ludico pacifico all'aperto non è sanzionabile. Un "alibi falso”, dice Cacopardo, perché “l’operazione Rave” ha comportato “la consumazione di una serie di reati” rilevabili in flagranza dalle forze dell’ordine. Eccone alcuni esempi: occupazione abusiva di terreni altrui (la pena per gli organizzatori è aumentata); detenzione e spaccio di droga; danneggiamento; tortura di animali in allevamento. A questi si potrebbero aggiungere le violenze sessuali, i rumori molesti, maltrattamento di animali e ovviamente la violazione delle normative Covid. Secondo Cacopardo si tratta di reati “rilevabili in flagranza” solo se “le forze dell'ordine, compiendo il loro dovere, fossero tempestivamente intervenute a partire da quando” sono emerse “le prime notizie” sull'afflusso di camper, auto e camion nel Viterbese. Peccato che invece le divise “si siano limitate a circondare alla larga il sito” e a “identificare alcuni dei responsabili” (la questura parla di 3mila persone e mille automezzi controllati), nonostante fossero "a conoscenza di quanto stava accadendo” nell’area. “I fatti di Valentano - scrive l’ex magistrato - cadono sotto le responsabilità ministeriali della titolare del dicastero. Il profilo più grave e inaccettabile è l’ipotizzata omissione di atti d’ufficio in presenza di numerosi profili di reato, la cui flagranza sarebbe emersa immediatamente con un adeguato intervento delle autorità di polizia”. Invece si è scelto di “mediare”. Trattare. Impedire che nuovi adepti entrassero e attendere il deflusso di chi era già all’interno. Una decisione apprezzata da alcuni operatori di polizia (“se entri con la forza rischi di provocare scontri”) e criticata da altri (“abbiamo gli strumenti per agire senza creare disordini”). Alla fine comunque l’area è stata liberata e ovviamente sono scattate le indagini. L’obiettivo è quello di ricostruire, tramite immagini e una intensa attività investigativa, i responsabili di alcuni reati. A due olandesi è stato sequestrato un furgone con materiale acustico, alcuni sono stati denunciati per droga, altri arrestati per resistenza a pubblico ufficiale. Resta, però, la strana immagine di un Paese con le sue forze schierate in attesa che finisca il festival del reato senza poter intervenire. Sarà un caso, ma in questi giorni nelle chat dei poliziotti circola un video eloquente: si vede un agente delle forze di polizia francesi fracassare a colpi di mazza le attrezzature di un rave non autorizzato. Come a dire: anche noi avremmo dovuto fare così ed arrestare chi ha commesso reati in quei cinque giorni di totale anarchia.

Giuseppe De Lorenzo. Sono nato a Perugia il 12 gennaio 1992. Stavo per intraprendere la carriera militare, poi ho scelto di raccontare quello che succede in Italia e nel mondo. Rifuggo l'ipocrisia di chi sostiene di possedere la verità assoluta: riporto la realtà che osservo con i miei occhi. Collaboro con ilGiornale.it dal 2015. Nel 2017 ho pubblicato Arcipelago Ong (La Vela), un'inchiesta sulle navi umanitarie che operano nel Mediterraneo. Poi nel 2020 insieme ad Andrea Indini ho dato alle stampe Il libro nero del coronavirus (Historica Edizioni). Sono cattolico e capo scout per passione educativa. Mi emoziono ancora per le partite della Lazio. Amo leggere, collezionare Topolino, giocare a basket e coltivare la terra.

Michela Allegri per “il Messaggero” il 26 agosto 2021. Un nuovo giallo potrebbe collegarsi al rave organizzato a cavallo di Ferragosto nella campagna di Viterbo. Dopo la morte del giovane Gianluca Santiago, 24 anni, trovato senza vita nel lago di Mezzano, ora si indaga anche su un altro decesso sospetto, che potrebbe essere legato alla festa abusiva. Il cadavere di una giovane donna è stato trovato in un campo a sud di Livorno una settimana fa e non è ancora stato identificato. Era coperto da un telo azzurro, dal quale sbucava fuori solamente un braccio. Il sospetto degli investigatori è che la morte possa essere avvenuta altrove, a un centinaio di chilometri di distanza, e che il cadavere sia stato nascosto successivamente. Di certo, qualcuno ha coperto quel corpo senza vita con un telo e non ha sporto denuncia. Una delle ipotesi è che la vittima - per il momento non si indaga per omicidio, ma solo per occultamento di cadavere - avesse partecipato al rave di Viterbo, concluso qualche giorno fa, dopo una settimana di polemica. Circostanza che spiegherebbe come mai la donna non sia ancora stata identificata: forse si tratta di una straniera, ipotizza chi indaga. Al raduno, infatti, hanno partecipato giovani provenienti da tutta l'Europa, che per giorni si sono accalcati in migliaia - la sera di Ferragosto erano circa 10mila - in barba alle restrizioni anti-contagio: senza distanziamenti, senza controlli e senza mascherine.

L'INCHIESTA Per il momento si tratta solo di congetture. Ma non è escluso che la procura di Livorno contatti quella di Viterbo, che indaga per morte come conseguenza di un altro reato, cioè la cessione di stupefacenti, per il decesso di Santiago. Durante il rave, infatti, le forze dell'ordine hanno identificato migliaia di partecipanti. Tra loro potrebbe esserci anche la donna trovata senza vita in Toscana. Secondo gli investigatori, la giovane potrebbe essere morta per abuso di droga e il corpo potrebbe essere stato trasportato in quel terreno successivamente e poi coperto con un telo.

IL RITROVAMENTO Il cadavere è stato trovato sabato scorso: era sotto un albero di ulivo all'interno una fattoria tra Campiglia e San Vincenzo. Il corpo era in avanzato stato di decomposizione. La donna indossava una maglietta e un paio di pantaloncini. Non aveva sulla pelle segni evidenti di violenza. Per scoprire le cause del decesso - l'eventuale abuso di sostanze stupefacenti - sarà necessario attendere i risultati dell'autopsia e degli esami tossicologici. A scoprire il cadavere è stato Alessandro Galligani, padre della titolare dell'azienda agricola: «C'era qualcosa che usciva da un telo, avvicinandomi ho visto che era il braccio di una persona», ha raccontato agli investigatori.

LE TELECAMERE Il sospetto è che la donna sia stata portata recentemente nella tenuta, poco prima del ritrovamento. Nessuno ha notato persone sospette avvicinarsi e i carabinieri stanno analizzando da giorni i filmati delle telecamere di sorveglianza nel raggio di alcuni chilometri.

Il corpo annerito dal caldo era coperto da un telo di plastica da cui spuntava solo il braccio. Ragazza trovata morta sotto gli ulivi: “Forse un’altra vittima del rave party”. Riccardo Annibali su Il Riformista il 26 Agosto 2021. Una giovane donna, di età massima 30 anni, trovata morta nell’oliveta di San Vincenzo potrebbe essere un’altra vittima del festival techno di Valentano, il rave “Space Travel 2”, che ha richiamato migliaia di persone da tutta Europa al confine fra le province di Grosseto e Viterbo. Questa è la pista sulla quale stanno lavorando i carabinieri che, sotto il coordinamento del pm Giuseppe Rizzo, stanno cercando di dare un’identità al cadavere ritrovato sabato mattina accanto alla fattoria “Ragli e serragli” da Alessandro Galligani, il padre della titolare dell’azienda, e occultato sotto un telo azzurro di plastica e privo di documenti.

LA PISTA DEL RAVE PARTY – Gli elementi in mano agli inquirenti sono pochi ma la pista si sta indirizzando verso la ricerca di una denuncia di scomparsa di una ragazza non italiana in quanto sul territorio nazionale non vi sarebbero esposti collegabili all’accaduto. Per questo l’ipotesi rave nelle ultime ore in procura ha preso quota nonostante nessun’altra pista possa essere ovviamente scartata. Il corpo è stato rinvenuto annerito, il che farebbe pensare a un decesso avvenuto almeno due-tre giorni prima del ritrovamento e senza alcun segno di violenza. Per quanto riguarda le ragioni del decesso si attendono i risultati dell’autopsia che è stata disposta nei prossimi giorni che potrebbe accertare il decesso per cause naturali o, come è avvenuto per gli altri decessi durante il rave party, per ingestione di stupefacenti. Solo l’accertamento del medico legale dell’istituto dell’università di Pisa, dove la salma è stata trasferita, potrà rispondere a queste domande.

L’OCCULTAMENTO DEL CADAVERE – È il reato per il quale è stato aperto il fascicolo. Il corpo della giovane donna si trovava a bordo strada ed era coperto da un telo azzurro in simil-nylon, di quelli che spesso di vedono nei campi agricoli. Il braccio scoperto che spuntava fuori dal telo, per gli inquirenti, avvalorerebbe la tesi di chi viaggiava con la donna e si è voluto disfare del cadavere in modo frettoloso di ritorno dal festival. Proprio in quei giorni, infatti, dopo la fine anticipata del “Teknival”, moltissimi ragazzi, soprattutto stranieri, si sono riversati in Maremma per proseguire le vacanze. Non è escluso che la tragedia si sia verificata quindi al termine del “free party”, in viaggio forse. Magari su un camper condiviso da alcuni dei partecipanti, forse solo conoscenti, che per paura di finire indagati hanno abbandonato il corpo della giovane sul ciglio della strada coperto da un telo.

IL CORPO ABBANDONATO A BORDO STRADA – Un altro indizio che avvalorerebbe la tesi del rave party è il luogo del ritrovamento. L’Aurelia è l’arteria che da Roma taglia la maremma, costeggia il Tirreno e arriva fino in Francia, per questo molto pattugliata dalle forze dell’ordine ed evitata accuratamente dalla maggior parte dei partecipanti. La stradina dove è stata trovata la donna attraversa i campi di San Vincenzo in direzione Campiglia, ed è meno battuta. I carabinieri della Compagnia di Piombino sono in contatto con le polizie di tutta Europa, con le quali condividono le banche dati.

L’IDENTIKIT – Straniera, perché presuppongono gli inquirenti, il raduno del Viterbese ha richiamato tantissimi appassionati dai Paesi europei e che in Italia non sono giunte denunce di scomparsa a lei collegabili. Quasi sicuramente di carnagione bianca anche se al momento del ritrovamento avvenuto due o tre giorni dopo il decesso il corpo, a causa del caldo era talmente decomposto e annerito che la procura ha solo potuto ipotizzare che la vittima avesse al massimo 30 anni. Se questa pista non dovesse essere in alcun modo confermata si dovranno scandagliare migliaia di denunce e solo attraverso i riscontri del Dna, la donna trovata potrà avere un nome e una degna sepoltura. Riccardo Annibali

Dritto e Rovescio, Del Debbio polverizza Lamorgese: "La verità su quella droga", il ministro che dice? Libero Quotidiano il 17 settembre 2021. Siamo a Dritto e Rovescio, il programma condotto da Paolo Del Debbio su Rete 4. E dopo l'intervento in aula di Luciana Lamorgese in settimana, la traballante relazione sul rave di Viterbo sul quale è stata chiamata a rispondere da Fratelli d'Italia, ci pensa lo stesso Del Debbio, in un suo intervento in favor di telecamera, ad infilzare il ministro dell'Interno. Già, troppi "buchi", troppi errori, troppo permessivismo.  Nel mirino del conduttore, in particolare, il fatto che i camper dei partecipanti alla festa, per quanto individuati prima dell'inizio, non siano stati fermati. E così, ecco che Del Debbio parte in quarta: "Voglio suggerire al ministro Lamorgese, molto umilmente dalla mia modestissima posizione, che un modo c'era per fermare quei camper, bastava guardare cosa c'era dentro quei camper. Li avrebbero portati tutti in questura: erano pieni di roba che non potevano portare. Però, diciamo...", taglia corto. E ancora: "Lei ha informazioni? No, non le ha: è noto che quando sono arrivati, non è che abbiano comprato la roba lì. La roba la hanno portata dai loro Paesi. Manca legalità da entrambi i lati. E c'è una situazione in cui si lascia fare in un caso. E nell'altro non si fa quello che si doveva fare per evitare che succedesse", conclude Del Debbio.

R.I. per "il Messaggero" il 16 settembre 2021. Il rave di Ferragosto del lago di Mezzano, nel viterbese, è stato organizzato segretamente, con comunicazioni su chat coperte: la massa dei camperisti - toccate punte di 7mila persone - è convenuta contemporaneamente nell'area da diverse direttrici, bucando i controlli - non le scorte di cui ha parlato qualcuno - attivati dalle forze dell'ordine. Si è deciso a quel punto che fosse troppo rischioso un intervento di sgombero con la forza, visto che erano presenti anche bambini. Ma la cinturazione della zona e l'opera di «dissuasione» ha evitato che il raduno toccasse addirittura le 30mila presenze e si protraesse fino al 23 agosto. Il ministro dell'Interno Luciana Lamorgese - interrogata da FdI - ha rivendicato la bontà del suo operato in Aula alla Camera, dove la destra l'ha però duramente attaccata chiedendone le dimissioni con flash mob e striscioni.

LA POLEMICA «Non meritiamo un ministro così», ha detto Giorgia Meloni. A difesa della titolare del Viminale si sono schierati Pd e M5S. Nella sua ricostruzione Lamorgese ha sottolineato come gli organizzatori - comunicando via web - siano riusciti a tenere riservata fino all'ultimo momento la location scelta per il raduno, un'ampia zona di 80 ettari in aperta campagna, senza recinzioni ed accessibile da diverse strade sterrate. Approfittando dell'intenso traffico di Ferragosto, la massa dei camperisti è confluita verso il lago di Mezzano da diverse direttrici il 13 agosto. La sera sull'Aurelia le forze dell'ordine avevano controllato un gruppo di 40 camper, che però non avevano dato indicazioni sulla loro destinazione, né erano emerse «evidenze circa forme di illegalità che legittimassero misure restrittive». E quando all'1.14 del 14 una pattuglia di carabinieri ha raggiunto l'area, erano presenti già in diverse migliaia.

La titolare del Viminale smonta le accuse. Lamorgese non si lascia affondare: “Ecco tutti i rave quando c’era Salvini”. Claudia Fusani su Il Riformista il 16 Settembre 2021. Partiti armati fino ai denti, sono rimasti con qualche cerbottana e nemmeno una fionda. Tutto il resto si è rivelato a salve: la richiesta di dimissioni del ministro dell’Interno Luciana Lamorgese; la accuse di “incapacità” e di “non sapere lavorare e meno che mai gestire la situazione”; la lista dei suoi presunti fallimenti all’apice dei quali ci sarebbe, secondo Lega e Fratelli d’Italia, il disastro nelle gestione del rave party organizzato nella riserva del lago di Mezzano nel viterbese a cavallo di Ferragosto. Oltre che un numero di sbarchi quattro volte superiore di quando al Viminale sedeva Salvini. Chiesta ed ottenuta la diretta tv in cui, secondo i piani, sarebbe dovuta andare in onda la figuraccia della ministra con tante di carte e file audio (raccolti da La Verità) che dimostrerebbero “l’inadeguatezza politica” nel capire e quindi gestire il fenomeno, ai telespettatori collegati con l’aula alla fine deve essere rimasta in testa soprattutto una cosa: quando Salvini era ministro dell’Interno sono stati organizzati numerosi rave party del tutto simili a quello nel territorio del comune di Valentano. Nessuno mai però, anche all’opposizione, si è sognato di chiedere le dimissioni dell’allora ministro Salvini. Lamorgese si è ben guardata dal fare riferimenti specifici. Con una certa eleganza – non facile in un’aula dove dalla parte destra dell’emiciclo facevano di tutto per farle perdere la pazienza necessaria per ricostruire passo passo un evento scomodo e certamente sbagliato come quello del rave di Viterbo – la titolare del Viminale ha spiegato come quello dei rave sia un fenomeno antico e diffuso. E quindi ci sono stati rave party – in Italia legittimi in base ad una sentenza della Cassazione del 2017 – “nel 2016 in Umbria, in provincia di Terni, e in Piemonte, nel territorio di Alessandria. Nel 2017 in Lombardia, nella zona del pavese e anche allora purtroppo con una vittima”. Anni particolarmente ricchi sono stati il 2018 e il 2019, quando per l’appunto al Viminale c’era Matteo Salvini. “Tra il 17 e il 23 agosto 2018, anche allora a cavallo di Ferragosto, a Monte Vermenone, in provincia di Macerata, si radunarono circa 1.500 partecipanti. Un mese dopo, a fine settembre a Montalto di Castro si dettero appuntamento circa 1.000 persone. In ottobre la convocazione fu in una fabbrica abbandonata di Moncalieri con circa cinquemila persone. A giugno del 2019, in un terreno agricolo del comune di Terranova, in provincia di Alessandria, un altro rave party con oltre duemila persone. “In nessuno di questi eventi – ha commentato il ministro – si è deciso di intervenire con la forza se non quando lo hanno potuto consentire le circostanze di tempo e di luogo, e soprattutto quelle connesse al numero dei partecipanti”. Insomma, la richiesta di informativa alla fine ha fatto flop. Nel senso che il ministro dell’Interno ha potuto smontare pezzo dopo pezzo le accuse di “inezia operativa e incapacità politica”. I ravers son ostati abili nell’usare canali via social e poi via chat impossibili da intercettare. E’ vero, ci cono stati contatti con polizia e carabinieri che la sera del 13 agosto alle 20 e 45 intercettano 40 camper con destinazione sud, forse la Puglia. Le comunicazioni via radio e via telefono tra le pattuglie e la centrale – che La Verità ha pubblicato a dimostrazione di una “scorta complice tra le forze di sicurezza e i ravers” – altro non erano che forze dell’ordine che avevano intercettato qualcosa che però non potevano bloccare perché nulla faceva pensare ad un rave. Il resto l’hanno fatto le ore notturne, il traffico nella settimana di Ferragosto, l’area molto estesa e le numerose vie d’accesso alla zona. Insomma, tra la sera e la mattina del 13 e 14, intorno al lago di Mezzano c’erano “cinque mila persone giunte lì in orari e per via diverse”. Nelle ore successive erano già settemila. L’immediata cinturazione dell’area e il relativo filtraggio con circa 900 unità di soccorso “ha impedito che il numero dei partecipanti arrivasse a 30 mila”. Quello che è successo nei giorni successivi fino alla notte tra il 18 e il 19 agosto quando c’è stato lo sgombero, è stata “una costante attività di controllo e dissuasiva” in modo di evitare nuovi arrivi e convincere le persone a lasciare l’area. Intervenire con la forza a quel punto avrebbe potuto provocare incidenti gravi, alle persone, alle cose e all’ambiente. L’area è zona faunistica protetta senza contare che il gran caldo di quei giorni avrebbe potuto provocare gravi incendi. La scelta operativa del ministro del Viminale è stata quella del danno minore. In un paese, come l’Italia, dove è possibile organizzare rave party. È chiaro che qualcosa in quei giorni non ha funzionato, soprattutto nella prevenzione e nelle prime ore quando si è creato l’assembramento. Ma la richiesta di dimissioni è apparsa nell’aula della Camera in tutta la sua strumentalità: attaccare e indebolire il ministro tecnico che non è protetto da un partito pur di avere argomenti da sventolare in queste ultime settimane di campagna elettorale. Molinari, capogruppo della Lega, ha preferito infatti parlare d’altro, cioè di immigrazione e sicurezza in genere, temi di facile consenso tra gli elettori di centrodestra. Lollobrigida, capogruppo di Fratelli d’Italia, ha cercato di spostare l’obiettivo: “Il problema non sono i rave party ma il fatto che il governo e lei signor ministro fate i controlli nei ristoranti perché c’è una pandemia ma non siete capaci di evitare un assembramento di settemila persone”. Come hanno certificato le Asl di zona, dal punto di vista del contagio per fortuna il rave non ha avuto conseguenze. Giorgia Meloni tiene il punto: “Informativa imbarazzante, il ministro si deve dimettere”. Salvini lascia correre. Non può fare altro visto che sta al governo. E che la battaglia contro il Green Pass si tradurrà oggi in un nuovo decreto che, contro i suoi auspici, ne estende l’obbligo ai lavoratori pubblici e privati. Enrico Borghi, responsabile sicurezza del Pd, svela in aula “l’inganno ipocrita”. “Il tema politico di questa vicenda – dice in aula – è la perenne notte dei lunghi coltelli all’interno della destra italiana. Fino a quando, onorevole Meloni, terrete sequestrate le istituzioni per una battaglia egemonica all’interno della vostra coalizione? Fino a quando, senatore Salvini, lei scaricherà sul Governo, sulla sua stabilità, le sue pulsioni per la conquista della leadership della destra?”. Almeno fino al 3 ottobre. Poi comincerà un’altra partita.

Claudia Fusani. Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.

(ANSA il 4 agosto 2021) - Irregolarità in uno stabilimento balneare su 3 e 21 chiusure. E' l'esito della campagna di controlli compiuti dai Carabinieri dei NAS, d'intesa con il Ministero della Salute, nei lidi e relativi esercizi di ristorazione sul mare e sui laghi. In tutto 886 controlli su tutto il territorio nazionale per verificare in particolare l'attuazione delle misure di contenimento alla diffusione da Covid-19: dal corretto distanziamento degli ombrelloni all'uso delle mascherine, dalla presenza di dispenser per la disinfezione delle mani ai sistemi per la rilevazione della temperatura corporea. Sono state le gravi carenze igienico sanitarie riscontrate nelle aree adibite alla ristorazione, alla preparazione dei pasti e alla conservazione degli alimenti a portare alla chiusura e alla sospensione delle 21 attività. In questo ambito sono state in tutto 258 le situazioni di irregolarità riscontrate, il 29% degli esercizi ispezionati. Deferite 17 persone all'Autorità giudiziaria e 217 a quella amministrativa, e sequestrati oltre 1,3 tonnellate di prodotti alimentari e materie prime destinati alla preparazione dei pasti, principalmente riconducibili a prodotti a base di pesce, per un valore complessivo di circa 77 mila euro. In molti casi, sono stati scoperti alimenti, pronti per la somministrazione alla clientela, in cattivo stato di conservazione, con validità scaduta, privi di qualsiasi indicazione utile a stabilirne le origini e la tracciabilità o sottoposti ad arbitrarie procedure di congelamento, senza seguire le corrette procedure. Sono state riscontrate anche carenze igieniche e strutturali degli ambienti e dei locali adibiti alla preparazione e somministrazione dei pasti, spesso rimediati in spazi ristretti, privi dei minimi requisiti per garantire condizioni ottimali di funzionamento, interessati da sporco pregresso e non sottoposti alle manutenzioni ordinarie e straordinarie. Le 351 violazioni complessive contestate, per un ammontare di sanzioni paria 202mila euro, hanno riguardato numerosi episodi di inosservanza alla normativa per la prevenzione della diffusione epidemica, come l'assenza di cartellonistica informativa per gli avventori e la mancanza delle periodiche pulizie e sanificazioni. I NAS assicurano che i controlli proseguiranno per garantire la salute dei cittadini e la sicurezza del consumatore.

La donna positiva e no-vax che fugge dall’ospedale dopo aver partorito. NextQuotidiano.it il 2/8/2021.

Fatti. Questa storia incredibile arriva da Palermo. All’ospedale Cervello della città una donna, positiva al COVID, è fuggita dall’ospedale dopo aver partorito. Questa storia incredibile arriva da Palermo. All’ospedale Cervello della città una donna, positiva al COVID, è fuggita dall’ospedale dopo aver partorito. La donna positiva e no-vax che fugge dall’ospedale dopo aver partorito. Secondo i sanitari la donna e suo marito si erano dichiarati no-vax. La storia è ancora più paradossale perché la signora stava per essere dimessa. Asintomatica e con un parto senza problemi, dopo due giorni di ricovero mancava solo l’ambulanza che l’avrebbe riportata a casa di lì a poco: lei aveva già firmato le dimissioni e aspettava la consegna del certificato. Ma un vero e proprio blitz del marito nel reparto di ostetricia e ginecologia ha preceduto l’iter normale delle dimissioni. L’uomo è arrivato senza mascherina dicendo, come riporta Il Messaggero che era positivo e poteva entrare. I sanitari hanno provato a fermarlo: “Non avevano più alcuna intenzione di aspettare – riferiscono medici e infermieri – dicevano che avevano a casa i bambini che li aspettavano, non volevano sentire ragioni”. L’uomo ha raggiunto la stanza della moglie, l’ha presa sottobraccio ed è uscito dall’ospedale. Il neonato è stato affidato alla nonna. Cosa rischiano i due? Marito e moglie dopo la segnalazione dell’ospedale alla polizia sono stati ritrovati poco dopo a casa loro dagli agenti. Ora si valuterà quali siano le loro responsabilità e il rischio è che vengano denunciati per epidemia colposa.

Il caso a Palermo. “Devo tornare a casa”, positiva al Covid (e no vax) partorisce e fugge dall’ospedale. Redazione su Il Riformista l'1 Agosto 2021. Ha dell’incredibile quanto accaduto sabato a Palermo dove una donna, positiva al Codi, è scappata grazie all’aiuto del marito dall’ospedale Cervello del capoluogo siciliano, dove si trovava ricoverata nel reparto di ostetricia Covid dopo aver partorito. Secondo quanto ricostruito il marito della neo mamma è riuscito ad entrare fino alla stanza della moglie, eludendo la sorveglianza dei vigilanti. I medici e infermieri hanno racconta che l’uomo, senza mascherina, ha spiegato di essere anche lui positivo e si è portata via la paziente. “Io sono positivo e posso entrare – avrebbe detto l’uomo agli infermieri sconvolti per quanto stava accadendo – A nulla sono valse le parole dei sanitari del reparto. I due sono andati via. Non avevano più alcuna intenzione di aspettare. Dicevano che avevano a casa i bambini che li aspettavano”, riporta l’Ansa. La donna in realtà sarebbe stata dimessa da lì a poco: doveva solo aspettare l’ambulanza che l’avrebbe riportata a casa per iniziare il periodo di isolamento domiciliare. Ma nell’attesa del mezzo del 118 e delle cartelle sanitarie di dimissioni, la donna si è allontanata dal reparto assieme al marito. L’ospedale ha ovviamente presentato denuncia alla polizia, che ha trovato la donna a casa: i coniugi rischiano di essere accusati di epidemia colposa. Secondo le prime testimonianze la donna aveva dichiarato al personale medico-sanitario, al momento del ricovero avvenuto venerdì per effettuare il parto cesareo, di essere una "no vax".  Il neonato, negativo al Covid, è stato affidato alla nonna che non era infetta.

Selvaggia Lucarelli, video-choc da Dubai: "Sputi su ascensori e maniglie". La vergogna dei ragazzi italiani positivi. Libero Quotidiano il 16 luglio 2021. Sono circa 300 gli studenti italiani bloccati a Dubai dopo che quasi 200 di loro sono risultati positivi al tampone. I ragazzi si trovavano lì per una vacanza studio organizzata dall'Inps in collaborazione con Accademia Britannica, tour operator specializzato nel turismo studentesco in Italia e all'Estero. Adesso vengono fuori dei dettagli raccapriccianti raccontati da Selvaggia Lucarelli su Tpi. La giornalista ha sentito uno degli studenti in quarantena, che le ha raccontato: "Purtroppo mentre eravamo a fare delle escursioni alcuni ragazzi già risultati positivi e rimasti nel residence sono usciti dalle camere e si sono messi a sputare sui tavoli delle sale comuni, sulle maniglie delle porte, sui tasti dell’ascensore”. Questo sarebbe, insomma, il motivo dell'aumento vertiginoso dei casi, ora saliti a 200.  Quando la Lucarelli ha chiesto al ragazzo come potesse sostenere una simile teoria, lui ha risposto: "Esistono dei video della sorveglianza interna del residence in cui alloggiamo. I video sono stati girati alle famiglie dei ragazzi, così ci hanno detto". Aggiungendo che il tutto gli è stato riferito dal responsabile del viaggio studio. Un altro studente sentito dalla giornalista ha confermato tutto e ha aggiunto che "si sta procedendo a denunciarli”. Quando, però, Selvaggia ha provato a contattare Giuseppe Diana, uno degli organizzatori, ora a Dubai con i ragazzi, non ci sarebbe stata nessuna risposta.  No comment anche da parte di un'altra organizzatrice. "Sento Gloria Di Stefano alla quale chiedo chiarimenti dicendole che mi avrebbe potuta contattare per replicare. Mi ringrazia, ma si rifiuta di commentare la vicenda", scrive infine la Lucarelli. 

Alberto Pinna per corriere.it il 9 luglio 2021. «Far festa ci sta. Ma non capisco la violenza. Che bisogno c’era?». Alessandro Ghiani, il rider aggredito da una folla di giovani scatenati dopo la vittoria dell’Italia sulla Spagna, non ha più la paura che lo ha paralizzato martedì notte. Disoccupato, 51 anni e due figli, porta pizze e bibite a domicilio con il suo scooter e martedì notte, due ore dopo le fine della partita non immaginava che passare per piazza Yenne sarebbe stata un’avventura a rischio.

La folla impazzita. «Ma era quella la strada più breve per consegnare le 5 birre che mi avevano ordinato. Tutto è successo in un attimo. C’era una folla come impazzita, un gruppo scalava i finestrini di un autobus per arrampicarsi sul tetto. Ho cercato di allontanarmi; una muraglia di ragazzi hanno circondato la moto e hanno iniziato a colpirmi. Manate sul casco, poi calci alle ruote. Sono caduto e ho temuto il peggio. Poi sono riuscito a svincolarmi. Urlavano, mi erano addosso. Non so come sono riuscito a svincolarmi e ad andar via». Piazza Yenne, cuore del centro storico, è da sempre il luogo in cui si festeggiano le grandi vittorie dello sport. Fu così anche nel 1970, decine di migliaia per lo storico scudetto del Cagliari e allora fu la statua di re Carlo Felice ad essere «violentata»: la cinsero di drappi rossoblù e qualcuno le issò accanto una gigantografia di Gigi Riva.

I ragazzi che l’hanno aiutato. Alessandro Ghiani ricorda: «Altri tempi. La festa era divertimento non violenza. Ora si beve troppo. Quelli che mi hanno aggredito erano probabilmente ubriachi. Certo, mi sono spaventato. Ma sono riuscito a salvare la moto. E qualcuno mi ha anche aiutato. Un ragazzo e una ragazza, dopo, si sono avvicinati. Credevano che mi avessero rubato le pizze e si sono offerti di rimborsarmele. C’è anche chi festeggia ma non perde la testa, si contiene ed è generoso. Ho ricevuto moltissimi messaggi di solidarietà e di incoraggiamento; voglio credere che ce ne sia qualcuno anche dal gruppo che mi ha aggredito. Magari passata l’ubriacatura, ha capito e si è pentito».

Le scuse del sindaco. Vorrebbe così anche il sindaco di Cagliari, Paolo Truzzu. «Sarebbe un bel gesto se Alessandro ricevesse le scuse di chi lo ha malmenato. Io intanto lo ho fatto a nome della città. Gli ho telefonato e gli ho chiesto: perché domani non vieni in Comune? Spero che questi ragazzi vengano identificati. Devono capire che va bene festeggiare e divertirsi, ma c’è sempre un limite… perché accanirsi con un uomo che lavora per portare il pane a casa?».

Continuerà a fare il rider, Ghiani. Prima ha lavorato in una copisteria, ma anche in un pollaio. Non c’è un lavoro sicuro in Sardegna. «Mi capita un lavoro? Lo faccio, non rifiuto niente. Ho due figli da mantenere, uno per fortuna ha trovato un lavoro interinale in un supermercato. Quando sono riuscito ad andar via, ho consegnato le birre e ho parlato con il titolare della pizzeria. Ero ancora spaventato, ma dovevo continuare a lavorare e ho fatto altre tre consegne. E anche domenica quando c’è Italia-Inghilterra, porterò a domicilio pizze e birre. Ma certamente non passerò in piazza Yenne».

Discoteche chiuse ma i divieti non valgono per i centri sociali. Francesca Galici il 5 Luglio 2021 su Il Giornale. Mentre un intero settore va a picco, i centri sociali di Milano continuano con gli eventi e i concerti nel totale silenzio dell'amministrazione Sala. Le discoteche del Paese ancora non vedono la luce. Di volta in volta viene rinviata la loro riapertura e anche quando sembrava che ormai tutto fosse stato definito, nulla è stato concesso. E così i locali da ballo continuano a restare chiusi, con conseguente grave danno economico. La stagione estiva è ormai avviata e i giovani che cercano le vacanze all'insegna del divertimento vanno altrove. Le regole sono regole e devono essere rispettate ma tutto questo non vale per i centri sociali, che invece sono liberi di organizzare concerti e serate senza che vi sia alcun controllo. Questa è la denuncia di Silvia Sardone, consigliere comunale della Lega ed europarlamentare, che ha portato alla luce quanto avviene al Leoncavallo, uno dei centri sociali più famosi e attivi di Milano. "Continua lo scandaloso asservimento della sinistra milanese ai centri sociali. Mentre le discoteche sono costrette a tenere chiuse le piste da ballo, al Leoncavallo le regole non esistono. Certo, non è una novità ma a furia di tirarla la corda rischia di spezzarsi", sostiene la Sardone. È sufficiente aprire la pagina Facebook del più noto dei centri sociali di Milano per avere contezza degli eventi organizzati. Le sue parole sono confermate dalle tante segnalazioni dei cittadini di Milano, stanchi di una situazione che si protrae senza soluzione di continuità da ormai troppi anni. Basta fare un giro sui social per capire il disagio che vivono i cittadini che abitano nei pressi del Leoncavallo. "La musica a un milione di decibel a mezzanotte di domenica al Leonka, che non si riesce nemmeno a sentire la TV chiusi in casa, quando la mattina dopo ci si deve svegliare all’alba per andare a lavorare, è normale e accettabile?", chiede una cittadina. E poi ancora: "Sono quasi 27 anni che fanno quello che vogliono, abbiamo lottato per anni, alcuni mettendo a rischio anche se stesso. Niente, non è successo niente perché, se studiaste tutti gli avvenimenti passati, con logica e dati alla mano, capirete che il nocciolo del problema Leoncavallo non è solo a Milano, ma parte dalla città cosiddetta eterna". Chi vive questa situazione da anni ha purtroppo ben chiaro come funziona: "Lottare con il Leoncavallo o, più giustamente, con chi protegge il Leoncavallo è come lottare con i mulini a vento". Silvia Sardone definisce il Leoncavallo come "una sorta di porto franco dove le leggi dello Stato italiano vengono calpestate sistematicamente. Mi chiedo come sia possibile tollerare una situazione del genere da parte del Comune di Milano". E in effetti le violazioni non sono poche: "Abusivismo, evasione fiscale, mancato rispetto dei decreti governativi, cosa deve succedere prima che il sindaco Sala capisca che il Leoncavallo sia da combattere e da chiudere anziché pensare a sconti e permute varie?". Ma chi pensa che il Comune di Milano si stia impegnando per dirimere la questione si sbaglia. E dietro sembra esserci un motivo meramente politico, in vista delle prossime elezioni: "Il fatto che in Consiglio comunale la maggioranza non ne parli più è sintomo della sua incapacità di risolvere i problemi. Prendiamo infine atto che l'unico consenso in crescita per Sala è quello prodotto dai centri sociali abusivi che con lui si moltiplicano".

Francesca Galici. Giornalista per lavoro e per passione. Sono una sarda trapiantata in Lombardia. Amo il silenzio.

Il rave party nel Pisano va avanti. Ci sono anche dei bambini. Raffaello Binelli il 5 luglio 2021 su L'Arno-Il Giornale. Le forze dell’ordine controllano la situazione e bloccano eventuali nuovi arrivi, ma di più non fanno. Qualcuno si aspettava che mandassero via le migliaia di persone radunatesi in un campo a Tavolaia, nel comune di Santa Maria a Monte (Pisa), ma così non è stato e il rave, iniziato nella notte tra sabato e domenica, va avanti. Il tunz tunz sparato a tutto volume dalle casse va avanti senza soste, così come l’alcol che gira a fiumi. Chi partecipa a questi raduni lo fa per stordirsi, aiutandosi a restare in piedi con vari tipi di sostanze. Se vi capita di leggere qualcosa che scrivono, nei vari gruppi social, tra le altre cose troverete questa: non c’è niente di illegale. Ma la realtà è ben diversa. Alcune famiglie sono arrivate sul posto accampandosi con le macchine o i camper. Qualcuno ha portato anche dei bambini, come se quello fosse un luogo sano per crescere e fare esperienze di vita. “Vieni Stella, dammi la manina”, dice una mamma alla sua piccola, come riferisce il Tirreno. Un’altra giovane aggiunge: “Avrei portato anche mia figlia, ma ha la febbre”. Altro che parco giochi, qui nel bosco di Tavolaia, tra Pontedera e Altopascio, va in scena l’ultima frontiera dello sballo, quello che coinvolge anche i bimbi. Cose mai viste. “Stiamo monitorando la situazione e non si segnalano particolari criticità al di là della musica techno molto alta, che è udibile anche a centinaia di metri di distanza – ha detto il prefetto di Pisa, Giuseppe Castaldo -. Non abbiamo neppure notizia di criticità sotto il profilo sanitario, anche se sul posto vi sono ambulanze e personale del 118 pronti a intervenire in caso di necessità”. Sono oltre cinquemila i giovani, provenienti da tutta Italia e da altre nazioni europee, che partecipano al raduno. Circa 200-300 sono già stati identificati dalle forze dell’ordine. La zona è presidiata da polizia, carabinieri e personale della protezione civile e sono stati istituiti di tre check point in corrispondenza con le vie d’accesso all’area del rave per bloccare eventuali nuovi arrivi. Il sindaco di Santa Maria a Monte, Ilaria Parrella, ricorda che già nel 2007 l’area in cui sono accampati i cinquemila giovani era stata teatro di un altro rave party non autorizzato, e ipotizza che l’organizzazione di questo nuovo raduno sia partita dalla Francia. “Il terreno in cui si svolge il rave è un’area con poche abitazioni sparse e abitualmente molto tranquilla, nei cui pressi sorge anche un osservatorio astronomico – ha detto il sindaco. – Speriamo che questa situazione non faccia troppi danni. Ma potremo fare verifiche approfondite solo quando tutti saranno andati via”. Sulla vicenda si è espresso anche il presidente della Regione Toscana, Eugenio Giani, lamentando di non avere poteri per intervenire: “Il prefetto di Pisa ha sotto controllo la situazione. Oggi i partecipanti al rave dovrebbero disperdersi. Io del resto, non avendo una polizia regionale, non posso proprio fare nulla”. 

Andrea Galli per il "Corriere della Sera" il 28 giugno 2021. Ai margini di un cumulo di sacchi neri colmi d' immondizia, giacciono un tronchese e un pezzo del nastro dei carabinieri, di quelli per isolare la scena del crimine. Questi due oggetti sintetizzano la festa di ragazzi divenuta una questione di sicurezza - il tronchese è servito per aprire un cancello e occupare un'area privata, un'ex zona mineraria situata in località «cascina Ronchi» -, eppure mai come stavolta il rave party conclusosi con un'inchiesta e otto organizzatori denunciati, un numero peraltro provvisorio, si porta dietro una narrazione più ampia di una classica manifestazione musicale abusiva. Non fosse per l'ambientazione: Maleo, in provincia di Lodi, uno dei primi comuni d' Italia nella zona rossa del 2020 e di recente colpito, dopo le tragedie e la liberazione, da un focolaio della variante Delta. I partecipanti, almeno un migliaio, protagonisti di balli innescati dagli altoparlanti su un camion dalla serata di sabato al pomeriggio di ieri, erano privi di mascherine e incuranti del rispetto del distanziamento. Incoscienti oppure dolosamente colpevoli? La fisiologia stessa di un rave party presuppone la scoperta della destinazione all' ultimo e l'interesse non certo per la geografia. Quelli che troviamo ancora sul posto, uno spiazzo di arbusti ed erba cotta dal sole, per riposare o smaltire, mezzi nudi e sudati giurano d' ignorare il pregresso di Maleo (e sbuffano all' introduzione dei temi di mascherine e assembramenti). Essendo questa tipologia di festa basata appunto sulla segretezza, una volta scoperti - dalla mezzanotte hanno stazionato sessanta carabinieri, finanzieri e poliziotti, più il sindaco Dante Sguazzi, 38 anni -, e soprattutto trasformatosi l'evento in fatto mediatico, l'impressione è che i ragazzi abbiano anticipato la chiusura, anche spinti dalle zanzare. Dopodiché girando per il minuscolo centro del paese e osservando l'abbondante presenza di cittadini ai tavolini dei bar, per giocare a carte e mangiare il ghiacciolo sotto un'afa da Far West, pare che le immani sofferenze di un anno fa abbiano sprigionato una voglia di vivere e una forza (e pure un individualismo) superiori all' ansia per questi invasori del weekend, che venivano da Piemonte, Liguria, Emilia-Romagna. Insomma l'importante è che, casomai ci fossero degli infetti, siano stati lontano. Così è avvenuto: «cascina Ronchi» sorge fuori da Maleo, e per arrivare all' ex zona mineraria, che ospitava una cava, bisogna percorrere due chilometri di storta strada sterrata o in alternativa tagliare per i campi. Il raduno è avvenuto in massima parte a piedi dopo aver raggiunto i paesi confinanti in treno. È stato proprio il pellegrinaggio lungo la statale a incuriosire una pattuglia dei carabinieri e innescare l'indagine per scoprire la meta dei ragazzi in colonna. Fosse stato per la musica, sparata a onde che spaccano i timpani, nessuno si sarebbe accorto di niente, in quanto sulla strada principale non giungeva un rumore, in relazione alla logistica del rave party. Resta comunque verità il pensiero di Sguazzi, animato da profonda rabbia e profonda delusione: «Con tutto quello che abbiamo passato dal punto di vista epidemiologico, è un fatto spiacevole, non deve ripetersi...». Le ovvie polemiche politiche vertono sull' eventuale errore di non aver impedito la manifestazione. Ma, punto primo, il rave party nasce su ristrette comunicazioni via social difficili da intercettare; punto secondo, è stato individuato l'angolo remoto d' un paese di 3 mila abitanti perso nelle campagne, non un perimetro presidiato come piazza del Duomo a Milano; infine, almeno mille erano, e un'opposizione avrebbe generato non programmabili conseguenze di ordine pubblico. Si aggiunga che il Lodigiano è territorio prescelto per le feste abusive e, almeno nella fascia temporale dell'evento, non sono stati registrati malori: ognuno è tornato in stazione sulle proprie gambe dopo aver abbandonato i sacchi neri, al cui interno abbondavano le bottiglie d' acqua. Di solito camuffano degli alcolici, invece a «cascina Ronchi», conferma un maresciallo che per deformazione ha ugualmente esplorato e annusato, era acqua per davvero.

Roma, la sirena beffa la polizia: bagno nuda nella fontana di Piazza Colonna. Libero Quotidiano il 19 giugno 2021. Il caldo è calato sull'Italia e forse i raggi del sole hanno dato alla testa ad una donna che ha deciso di farsi il bagno nuda nella fontana di Piazza Colonna a Roma. A pochi metri dalla Colonna di Marco Aurelio e da Palazzo Chigi la donna ha dribblato i poliziotti che presidiano la piazza (tutta transennata), si è spogliata e ha iniziato a nuotare nella fontana. Dopo il bagno, come nulla fosse, si è rivestita davanti agli occhi increduli e allibiti dei passanti.

Mario Draghi, dalla sua finestra uno spettacolino vietato ai minori: la ragazza senza vestiti nella fontana davanti a Palazzo Chigi, il video. Libero Quotidiano il 19 giugno 2021. Scene di ordinaria follia (estiva) a Roma. Una bella e sconosciuta ragazza si è tolta tutti (ma proprio tutti) i vestiti e ha pensato bene di rinfrescarsi nella fontana di Piazza Colonna, uno dei luoghi più suggestivi della Capitale. Il video pubblicato dal sito del quotidiano romano Il Tempo, diretto da Franco Bechis, è suggestivo per almeno un paio di motivi: innanzitutto, il soggetto, vista anche l'assenza forzata di tali manifestazioni causa terrore da Coronavirus che domina in lungo e in largo l'Italia dal marzo 2020, al di là delle finestre di "ora d'aria". Sì, stiamo tornando davvero alla normalità. Punto due: la ragazzotta ha pensato bene di mettere in scena il suo spettacolino a tinte forti in uno dei luoghi più controllati non solo di Roma, ma di tutto il Paese. Siamo infatti a pochi metri da Palazzo Chigi, sede del governo e dello studio dalla cui finestra il premier Mario Draghi, nei pochissimi momenti liberi, immaginiamo butti  un occhio sulla città un po' per distrarsi e un po' per prendere ispirazione. E chissà che l'ex governatore di Bankitalia e Bce non abbia avuto il tempismo di godersi l'inatteso striptease. Probabilmente, intorno alla fontana, ci sarà stato anche qualche deputato in libera uscita dall'altrettanto vicinissima Montecitorio, Quei pochi "martiri" che hanno pensato di trascorrere il weekend a Roma, nel caso sarebbero stati decisamente ben ripagati. I poliziotti, allertati, sono intervenuti con velocità decisamente modesta. Sarà stata l'afa della Capitale, l'ora assolata: sta di fatto che gli agenti non sembrano particolarmente solerti nel bloccare la sirenetta desnuda, che pure era riuscita a dribblare i controlli e infilarsi oltre le transenne. 

Dagospia il 15 giugno 2021. Riceviamo e pubblichiamo: Gentile Redazione, venerdì scorso ho lavorato presso lo Stadio Olimpico come steward nella partita inaugurale degli Europei. La convocazione era per le 16 nel piazzale antistante la curva Nord. Appena arrivato c'erano centinaia e centinaia di colleghi ammassati senza alcun distanziamento e senza nessuno che lo facesse rispettare, costretti a fare la fila per timbrare e sapere il proprio settore di lavoro nello stadio. Dopo alcuni minuti, tentando per quanto possibile di mantenere un minimo di distanziamento, arrivato alla timbratura scoprivo che bisognava firmare a penna il foglio presenza. Un'unica penna biro che era stata usata da centinaia di steward in servizio, senza nemmeno un po' di igienizzante per l'occorrenza. Dopo un'altra piccola fila mi dirigevo al mio settore di lavoro fuori dell'impianto. Lì il nostro responsabile ci accoglieva dicendo che ancora non poteva darci informazioni su come si sarebbe svolto il servizio perché anche lui ne era del tutto all'oscuro. I varchi di ingresso, che avrebbero dovuto essere aperti alle 18, li avremmo poi aperti mezz'ora dopo, in un caos di informazioni sballate, spostamenti, istruzioni prima date e poi annullate. A me personalmente è stato consegnato e poi tolto dalle mani per tre volte di seguito lo scanner per i biglietti. L'ingresso tifosi si è svolto abbastanza ordinatamente, a parte i soliti inconvenienti che credevo ormai appartenere all'epoca pre-Covid, ossia le lamentele sulla necessità di mostrare più volte documenti di identità e titoli di accesso (in particolare un noto personaggio tv assieme al suo manager non nascondeva segni di impazienza). Finita la partita, i tifosi presenti si sono riversati verso l'uscita senza alcuno scaglionamento, e più della metà non indossava la mascherina o la teneva solo sopra la bocca. Alle nostre richieste di indossarla correttamente si levavano i soliti mugugni oppure, come succede di solito con gli steward, ci ignoravano tranquillamente. Nel mentre, dovendo far transitare alcuni mezzi per i varchi adiacenti, eravamo costretti, per la sicurezza di tutti, a fermare il deflusso, causando un inevitabile assembramento durato pochi attimi ma che, come si può immaginare, sollevava proteste. Terminate le operazioni di deflusso, arrivava il via libera e ci dirigevamo verso il punto di timbratura. In epoca pre-Covid questo si svolgeva in un unico punto con tutti gli steward in fila assembrati per convergere verso un piccolo tavolino dove era presente il lettore ottico. Ero sicuro che avessero organizzato una diversa modalità di uscita, e invece scoprivo anche in questo caso di avere torto. Era tutto come prima. Centinaia di steward ammassati alla timbratura. Superata la ressa terminavo così il mio servizio alle 24.20. Otto ore e venti minuti di cui me ne verranno pagate solo sei, come da contratto firmato con la agenzia di somministrazione, ma questa è sempre stata consueta amministrazione anche prima. Avevo sperato che, dati i mesi a disposizione per la preparazione dell'evento, l'organizzazione sarebbe stata impeccabile, ma ho constatato che non si è fatto nulla di diverso dall'epoca pre-Covid. I team che hanno organizzato il servizio steward erano più di uno, e uno di questi ha obbligato inoltre alcuni colleghi ad effettuare il tampone, mentre altri si sono fatti bastare l'autocertificazione di negatività al Covid. Alcuni "tamponati" hanno chiamato inviperiti la loro società sentendosi rispondere "Ci siamo sbagliati" e non avendo alcuna assicurazione sul rimborso del tampone. Mi scuso per la lunghezza della mail e per l'anonimato, ma ho necessità di questa piccola entrata monetaria e so con certezza che se mi palesassi non verrei più convocato per lavorare. Cordiali saluti. Uno steward

Da fanpage.it il 30 maggio 2021. Migliaia di visualizzazioni e condivisioni per il video di una lite avvenuta alcuni giorni fa su un volo da Ibiza a Bergamo – Orio al Serio, operato dalla compagnia low-cost Ryanair. Una passeggera ha dato in escandescenze insultando altre persone a bordo del velivolo, inclusi alcuni steward. La lite sarebbe iniziata fin dall'imbarco: a far innervosire la passeggera sarebbe stata la richiesta, da parte di un'altra donna che stava salendo sull'aereo, di rispettare il distanziamento sociale. Ma è a bordo del velivolo che la situazione è degenerata: la passeggera in questione ha iniziata a insultare pesantemente l'altra donna, con epiteti pesanti come "putt…" e anche con insulti omofobi come "lesbica di m…". Inutile l'intervento degli steward Inutile si è rivelato l'intervento degli steward a bordo: la ragazza ha mostrato un atteggiamento irriverente anche nei loro confronti. La lite è proseguita con sputi della passeggera nei confronti dell'altra donna, alla quale ha anche staccato una ciocca di capelli. Negli spezzoni dei video che circolano sul web e sui social, diventati virali, si vedono gli altri passeggeri che riprendono la scena e si sentono anche insulti pensati all'indirizzo della passeggera esagitata. Quando la ragazza è stata portata dagli steward nella parte anteriore dell'aeroplano ha tirato anche dei calci all'indirizzo di altri passeggeri. Non è ancora chiaro se, all'arrivo all'aeroporto di Bergamo, la ragazza sia stata segnalata alla polizia a causa della sua condotta, che ha movimentato non poco il volo di rientro da Ibiza. Di certo la protagonista dei filmati, che sarebbe una ragazza originaria del Barese, ha pubblicato un video minacciando di querelare tutti coloro che hanno diffuso le immagini. 

Bari, denunciata passeggera di Bari sul volo «movimentato» di ritorno da Ibiza. Non ha voluto indossare la mascherina mentre viaggiava. La Gazzetta del Mezzogiorno il 30 Maggio 2021.  Non ha voluto indossare la mascherina mentre viaggiava su un volo Ryanair partito dalla Spagna, da Ibiza, e diretto a Orio al Serio (Bergamo) e alle proteste dei viaggiatori ha reagito insultandoli. Sul volo è così scoppiato il caos, tra parolacce e insulti poi diventati reciproci: l’episodio risale a martedì scorso, ma alcuni video postati negli ultimi giorni sui social, e diventati virali, hanno acceso i riflettori sul fatto. La passeggera ha dato in escandescenze, insultando, tirando calci, alzando le mani contro una donna sua vicina di posto: veri e propri momenti di tensione con i passeggeri e lo stewart che hanno tentato, invano, di calmarla. Stanchi, i passeggeri hanno prima cercato di convincerla a tranquillizzarsi, poi si sono lasciati andare a loro volta a frasi piuttosto pesanti. La donna, di Bari, una volta atterrata a Orio al Serio, è stata denunciata. 

Selvaggia Lucarelli per "tpi.it" il 28 maggio 2021. Nella giornata di oggi, venerdì 28 maggio, il generale Figliuolo è arrivato a Perugia insieme al capo della Protezione civile Fabrizio Curcio. Scopo della visita: verificare che la campagna vaccinale prosegua con successo. Ad accoglierli la presidente della Regione Umbria, Donatella Tesei, e la task force regionale. Tutto molto bello, comprese le sue dichiarazioni: “Dobbiamo intercettare la parte della popolazione degli over 60 che ci manca in modo da mettere in sicurezza le fasce che rischiano più di finire in ospedale o in terapia intensiva”. Peccato che all’ora di pranzo il generale Figliuolo partecipasse a un buffet al chiuso assieme a decine di persone e, soprattutto, allestito in una struttura aziendale/ospedaliera, il CREO, centro di ricerche emato-oncologiche. Nelle foto scattate all’interno lo si nota di fianco al direttore generale della struttura, ma ci sono anche il sindaco e il presidente di Regione. La domanda è: possibile che non ci fossero un luogo e una modalità più consoni per pranzare? È ancora vietato mangiare nei ristoranti al chiuso per evitare che molte persone restino a lungo in spazi chiusi, insieme senza mascherine e poi il commissario straordinario per l’emergenza Covid dà il cattivo esempio?

Dal “Corriere della Sera” il 31 maggio 2021. È stata denunciata la passeggera del volo Ryanair ripresa in un video che ha fatto il giro del web negli ultimi giorni. La donna aveva risposto con insulti smodati alle proteste degli altri passeggeri, per non aver indossato la mascherina. Questo aveva causato un crescendo di tensione sull'aereo partito dall'isola di Ibiza in Spagna e diretto a Orio al Serio (Bergamo). L'episodio risale a martedì scorso, ora si apprende che l'exploit è costato alla donna, originaria di Bari, la denuncia alle autorità.

Ragazza del volo Ibiza-Milano, "tanto mio fratello è un giudice". Sputi, calci e insulti? Per la folle finisce malissimo: dopo l'atterraggio.... Libero Quotidiano il 31 maggio 2021. La passeggera che ha scatenato il caos su un volo da Ibiza a Bergamo è stata denunciata dalla polizia di frontiera. Nonostante faccia la spavalda sui social, la donna può ritenersi molto fortunata: se il comandante non avesse deciso di tirare dritto e e avesse dirottato altrove l’aereo per farla scendere, lei avrebbe rischiato l’arresto e la richiesta di risarcimento danni per decine di migliaia di euro. Oltre alla polizia di frontiera, altri due passeggeri sarebbero intenzionati a denunciarla per lesioni, mentre un terzo ci starebbe pensando. Tra l’altro a bordo del Boeing 737 ha anche dichiarato di avere un “fratello giudice” a una donna alla quale aveva appena tirato i capelli: ovemai dovesse corrispondere al vero, allora il fratello avrebbe il suo gran bel da fare per tirarla fuori da questo grosso casino. Il video in cui dà di matto sull’aereo - perché indisposta a rispettare il distanziamento e a indossare correttamente la mascherina come tutti gli altri passeggeri - è stato virale sui social e in rete per giorni. Anche perché alcune scene sono surreali, con la donna che tra insulti, sputi, tirate di capelli ne ha combinate davvero di tutti i colori. La giovane ha poi fornito la sua versione su Instagram: “Le persone che hanno creato gruppi, sponsorizzato o inviato ad altre persone il mio video sul volo da Ibiza a Bergamo avranno conseguenze legali perché sta già indagato la Polizia postale, saranno citate in giudizio, avranno conseguenze belle toste perché comunque non è una cosa regolare”. Insomma, da carnefice a vittima nella sua versione dai fatti: ma le immagini parlano chiarissimo, purtroppo per lei. 

Sesso e Covid: incontri di gruppo nonostante i divieti. Le Iene News il 18 maggio 2021. Abbiamo interrotto un’altra gang bang in provincia di Milano organizzata durante le settimane di zona arancione in Lombardia. Andrea Agresti ha beccato mascherine (e mutande) abbassate, nessun distanziamento e un pericolo concreto di contagiarsi facendo sesso. Nonostante la pandemia in corso gli affezionati delle gang bang continuano! Già qualche mese fa Andrea Agresti aveva beccato in un appartamento della Brianza: 8 uomini e 3 donne che consumavano rapporti sessuali trasgredendo le linee guida sul distanziamento. Noi li avevamo avvertiti che non rispettavano le regole, ma l’organizzatore non l’aveva presa bene. Così ora che ci sono le nuove aperture anche le gang-bang sembrano riprendere. Così online rispuntano gli annunci: “Cerchiamo singoli esperti decisi e non bidonari per car gang in zona Milano sud”, scrive una coppia. Così anche Andrea Agresti risponde alla chiamata alle armi per vedere se rispettano le norme. Nonostante in quelle settimane la Lombardia fosse in zona arancione. A poco a poco il parcheggio si riempie in vista dell’appuntamento. Durante l’attesa di parla di Covid, coprifuoco, distanziamento. Ma molti hanno le idee confuse. “Non so se con un rapporto orale si può trasmettere”, dice uno di loro. All’orario stabilito arriva la coppia organizzatrice. Tutti si dispongono in fila pronti per un rapporto orale. Le mascherine si abbassano e il metro di distanza non viene rispettato. È l’ora di fermare tutto questo: Andrea Agresti è pronto a intervenire. Ed è subito fuggi fuggi generale. Questa volta la gang bang è finita in una sveltina. 

Da liberoquotidiano.it il 21 maggio 2021. La polizia ha fatto irruzione in un seminterrato di via Vivaio, in centro a Milano, dove si stava svolgendo una festa clandestina con showgirl e modelle. All'arrivo c'è stato un fuggi-fuggi generale con urla e insulti contro gli agenti. Poi su Instagram è pure spuntato un video fatto con il telefonino in cui si accusa di "abuso di potere" la polizia. Il fatto risale allo scorso 24 aprile, riporta Il Giorno, ma potrebbe non concludersi con il blitz. Uno degli agenti in servizio quella notte, infatti, ha deciso di presentare alla Procura di Milano una querela, ipotizzando i reati di resistenza a pubblico ufficiale e diffamazione, contro la concorrente del Grande Fratello 12 Enrica Maria Saraniti, la modella italo-venezuelana Tanya Davolio, che ha partecipato anche ai film di Paolo Sorrentino "Loro 1" e "Loro 2" sulla vita di Silvio Berlusconi, e un altro giovane presente alla festa. La pubblicazione del video sui social dove si vedevano bene i volti dei presenti avrebbe "offeso la reputazione" dei poliziotti, con frasi ingiuriose "anche per la divisa". Gli agenti delle Volanti erano arrivati in via Vivaio poco prima delle 4 del mattino, dopo la chiamata di un residente che non ne poteva più del baccano e della musica a tutto volume, considerando anche il divieto di assembramenti per il coronavirus. Al loro arrivo alcuni dei partecipanti al party clandestino hanno cercato di nascondersi. Altri avrebbero invece iniziato a insultare i poliziotti: "Pezzi di me***. Non avete niente di meglio da fare che rovinare le feste alle persone che pagano le tasse. Noi vi paghiamo gli stipendi, vergognatevi". Anche la ex gieffina Saraniti, 33 anni, fra i più agitati, avrebbe cercato di sfuggire all'identificazione. L'agente che ha sporto querela l'ha bloccata per evitare che si allontanasse e, secondo le ricostruzioni, Tanya Davolio, 29 anni, è intervenuta in difesa dell'amica, mentre altri partecipanti alla festa filmavano la scena e minacciavano di pubblicare i video sui social se i poliziotti non avessero cessato i controlli. Alla fine gli agenti hanno identificato e sanzionato le 17 persone. Nel frattempo, però, il video è stato pubblicato sul profilo Instagram della Davolio con frasi in italiano e in inglese "dal contenuto ingiurioso" verso le forze dell'ordine: "Hanno bloccato la mia amica con la forza, tre uomini contro una donna (...) è un completo abuso di potere e una violazione dei diritti umani".

Nell'anno della pandemia meno omicidi ma più femminicidi e i reati informatici. Agnese Ananasso su La Repubblica il 10 aprile 2021. I dati sulla diffusione del crimine diffusi dalla Polizia che oggi festeggia il 169esimo anniversario della fondazione. Nell'ultimo anno in Italia sono diminuiti gli omicidi ma cresciuti i femminicidi. Si sono moltiplicati i reati informatici, in particolare la pedopornografia e il revenge porn. Nel giorno del 169esimo anniversario della fondazione della Polizia di Stato, sono questi alcuni dei dati diramati sull'attività svolta nell'anno della pandemia dal personale della Pubblica sicurezza. E anche quest'anno, a causa delle restrizioni imposte dalla pandemia le celebrazioni si svolgono all'insegna della sobrietà. Questa mattina, il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese, accompagnata dal capo della Polizia, Lamberto Giannini depone una corona d’alloro al Sacrario dei Caduti presso la Scuola superiore di polizia. Subito dopo la rassegna dello schieramento e la lettura del messaggio del Presidente Sergio Mattarella, il ministro dell’Interno consegna la medaglia d’oro al merito civile, conferita dal presidente alla Bandiera della Polizia di Stato. Mai come ora, in questo anno di pandemia, la Polizia di Stato ha avuto un ruolo fondamentale, dando il proprio contributo sia in termini di sicurezza che di servizio sanitario.

Servizio sanitario. Nell'ultimo anno il servizio sanitario è stato molto impegnato nelle attività legate alla pandemia. In particolare sono stati distribuiti, su tutto il territorio nazionale, per le esigenze della Polizia, 15.684.250 tra dispositivi di protezione individuali (dalle mascherine ai sovrascarpe) e materiale igienico sanitario. Sono stati attivati dei servizi di supporto psicologico e informativo per fronteggiare la fase emergenziale ed è stato dato sostegno alle attività del Policlinico militare Celio di Roma, con l’invio presso il reparto di terapia intensiva, di 2 medici specialisti in anestesia e rianimazione. Il personale della Polizia ha fornito aiuto sanitario a 360 gradi, dall'esecuzione di esami diagnostici ai tamponi, dal monitoraggio dell'andamento pandemico alla gestione delle quarantene degli operatori.

Sanzioni anti-covid. Nel corso dell'ultimo anno sono state controllate quasi 38 milioni di persone nell'ambito delle verifiche sulle restrizioni anti-Covid, quasi 500mila sono state sanzionate e 5.600 sono state denunciate per false dichiarazioni o autocertificazioni, quasi 4000 per essersi allontanate dalla propria dimora nonostante i divieti. Sono stati controllati anche 9 milioni e 600mila esercizi commerciali, di cui quasi 19mila sanzionati, 2.600 denunciati e circa 3.800 chiusi temporaneamente.

Ordine pubblico. Nel 2020 gli agenti sono stati impegnati dalle attività connesse all’emergenza, sia in funzione di controllo al rispetto delle misure finalizzate al contenimento del contagio del virus, sia di gestione di iniziative di piazza, anche a carattere estemporaneo, in segno di protesta contro i provvedimenti governativi. Per le globali esigenze di ordine pubblico è stata disposta la movimentazione in ambito nazionale di 542.645 unità di rinforzo, di cui 517.132 dei reparti mobili. Complessivamente si sono registrate 11.378 manifestazioni di forte interesse per l’ordine pubblico, di cui 5.881 su temi politici, 3.555 a carattere sindacale-occupazionale, 268 studentesche, 563 sulle problematiche dell’immigrazione, 547 a tutela dell’ambiente, 67 a carattere antimilitarista e 497 su altre tematiche. Nel corso di 331 eventi si sono verificate turbative dell’ordine pubblico: 87 persone sono state arrestate e 3.718 denunciate in stato di libertà, mentre 182 poliziotti hanno riportato lesioni varie.

Delitti e femminicidi. Come già rilevato all'inaugurazione dell'anno giudiziario, nel 2020 si registra una riduzione dei reati rispetto al 2019: anche a causa della pandemia, si sono ridotti sensibilmente i reati contro il patrimonio e la persona, come furti, rapine e ricettazione, lesioni, percosse e violenze sessuali. Mentre i delitti informatici registrano un trend in aumento. Diminuiscono gli omicidi ma non i femminicidi, che fanno registrare, anzi, un aumento: resta invariato il dato delle donne uccise da partner o ex partner. Sono stati infatti 275 gli omicidi commessi, di cui 113 a danno delle donne (nel 2019 erano 111) e 144 in ambito familiare o affettivo. Tra questi ultimi 99 vittime erano di sesso femminile, 67 sono commessi da partner o ex partner.

Reati telematici. Tra i reati in aumento sono quelli legati a Internet. Il Centro nazionale per il contrasto della pedopornografia on line (Cncpo) ha coordinato 3.243 attività d’indagine che hanno consentito di indagare 1.261 soggetti. Sono stati analizzati i contenuti di 34.120 siti web, di cui 2.446 inseriti nella black list per inibirne l’accesso dal territorio italiano. Frequente l'adescamento online, con 401 eventi trattati e un allarmante incremento di vittime d’età compresa tra 0-9 anni; 118 sono stati i minori denunciati all’Autorità Giudiziaria per condotte delittuose riconducibili al fenomeno del cyberbullismo e 412 i casi complessivamente trattati. Per quanto riguarda il contrasto dei reati contro la persona perpetrati sulla Rete, sono stati trattati 1.772 casi, arrestate 10 persone e indagati 378 soggetti responsabili di aver commesso estorsioni a sfondo sessuale, stalking, molestie, minacce e ingiurie. Per ciò che riguarda il reato di diffamazione online sono stati trattati 2.227 casi e indagate 901 persone. Risulta in costante aumento l’attività di contrasto al revenge porn, con 126 casi e 59 indagati. Molta attenzione è stata data anche al contrasto dei reati d’incitamento all’odio, soprattutto per gli atti intimidatori contro i giornalisti. Si registra la continua crescita delle truffe on line: sono state ricevute e trattate oltre 93.300 segnalazioni che hanno consentito di indagare 3.860 persone. Sono inoltre stati gestiti 509 attacchi a sistemi informatici di strutture nazionali di rilievo strategico, 69 richieste di cooperazione nel circuito High tech crime emergency e avviato 103 indagini con 105 persone indagate. Intensa l’attività di prevenzione con la diramazione di 83.416 alert. In materia di cyberterrorismo sono state denunciate 18 persone, di cui una tratta in arresto. Sono stati, altresì, visionati 37.081 spazi web, per individuare contenuti di propaganda islamica, in 85 casi sono stati rilevati contenuti illeciti. Particolare attenzione è stata rivolta al fenomeno della disinformazione, amplificato dall’emergenza Covid-19, che ha visto la proliferazione delle fake news, a fronte delle quali sono stati predisposti 137 specifici alert.

Gli invitati multati per violazione del coprifuoco. Chi è Giulia D’urso, l’influencer “talpa” che avrebbe messo nei guai Lukaku. Elisabetta Panico su Il Riformista il 14 Maggio 2021. Giulia D’Urso sarebbe l’influencer “spia” che ha chiamato la polizia durante la festa del calciatore dell’Inter Romelu Lukaku, che il 13 maggio scorso ha compiuto 28 anni, organizzata all’interno dell’hotel di lusso milanese “The Square”. Secondo quanto è stato riportato da diversi giornali la chiamata alla polizia è avvenuta direttamente all’interno dell’hotel dove Lukaku, insieme ai suoi compagni di squadra Ivan Perisic, Ashley Young e Achraf Hakimi, avevano organizzato una cena. Giulia sarebbe stata invitata alla cena proprio da uno dei calciatori presenti, il marocchino Hakimi. Tutti gli invitati sono stati sanzionati e dovranno pagare la multa di 400 euro per violazioni delle norme anti-covid; l’unica contestazione riguarda proprio la violazione del coprifuoco. I giocatori sono arrivati in albergo per cenare e alcuni hanno però deciso di non pernottare nell’hotel ma di tornare a casa. La polizia è arrivata sul luogo poco prima delle tre: gli agenti si trovavano nei pressi dell’hotel non per la chiamata di segnalazione ricevuta poco dopo la mezzanotte, ma perché impegnate su interventi ben più urgenti. Giunti sul posto hanno trovato Lukaku e un altro nerazzurro già in strada mentre stavano per tornare a casa. Gli altri erano invece tutti all’interno della struttura alberghiera. Sarebbe stato il direttore del ristorante, Fabrizio Consonni, a raccontare d’ aver organizzato la serata per festeggiare il compleanno dell’attaccante belga. Giulia D’Urso, classe 95, è diventata famosa grazie al programma televisivo condotto da Maria De Filippi “Uomini e Donne”. La 26enne di Ruffano, in Puglia, ha partecipato al programma durante l’edizione 2019-2020 per “corteggiare” il tronista Giulio Raselli. La loro relazione era durata pochi mesi: i due nel settembre 2020 avevano comunicato la loro rottura a causa dei “caratteri troppo simili”. Giulia subito dopo il liceo si era trasferita a Milano in quanto appassionata di moda. Prima di diventare “famosa” in tv aveva lavorato come ragazza immagine per alcuni locali milanesi e come PR. La D’Urso dopo lo scoppiare del ‘caso Lukaku’ è finita nel mirino dei social: l’accusa è quella di aver effettuato la chiamata al 112 non per “senso civico” ma alla ricerca di ulteriore notorietà. A lanciare questa frecciatina è stato anche proprietario del The Square, Roberto Bernardelli, che ha detto: “La festa? Faccio gli auguri a Lukaku, anche se sono milanista. Quanto alla influencer D’ Urso, sarebbe stato Hakimi ad invitarla alla cena. Ma perché la soffiata al 112? Il sospetto è che sia un banale (quanto maldestro) tentativo di avere visibilità”.

Elisabetta Panico. Laureata in relazioni internazionali e politica globale al The American University of Rome nel 2018 con un master in Sistemi e tecnologie Elettroniche per la sicurezza la difesa e l'intelligence all'Università degli studi di roma "Tor Vergata". Appassionata di politica internazionale e tecnologia

Da "gazzetta.it" il 15 maggio 2021. Qualcuno, presente alla cena di Lukaku, Hakimi, Perisic e Young, ha avvisato i Carabinieri. In periodo Covid, queste cene notturne sono vietate e ci vuole un attimo per sollevare un polverone. Quel qualcuno, secondo alcuni, sarebbe Giulia D’Urso, influencer da 400.000 follower su Instagram piuttosto nota sia al popolo della Rete che a quello della tv. Ma la ragazza non ci sta e nega ogni accusa, scegliendo ovviamente Instagram per la sua difesa. "Non sono stata io, mi stanno massacrando". La ragazza nel suo post parla di "falsità sul suo conto", annunciando di essere pronta a difendersi nelle sedi opportune: "Non sono così stupida ha poi ribadito la D'Urso - da aver chiamato io le Forze dell’Ordine. Dicono anche che sono stata multata ma anche questo non è vero. L’unica cosa che ho sbagliato è aver partecipato a quella cena, ma non per questo devo essere massacrata così". 

Billy Costacurta, il figlio Achille viola il coprifuoco e viene malmenato dalla polizia: "Mi daranno 100mila euro". Libero Quotidiano il 12 maggio 2021. La trasgressione del figlio di Alessandro Costacurta, detto Billy, è stata severamente punita. La famiglia dell’ex difensore del Milan sta vivendo ore angoscianti a causa della presunta aggressione subita dal figlio Achille nei pressi di Parma. Il casus belli sarebbe stata la violazione da parte del ragazzo delle norme restrittive per contenere la diffusione del Covid-19. In particolare, Achille sarebbe stato scovato dalle Forze dell’Ordine in giro oltre le 22, orario in cui nessuno dovrebbe attardarsi in strada in conformità al coprifuoco attualmente in vigore. Dopo l'aggressione su Instagram Achille ha profondamente criticato l’atteggiamento che avrebbe avuto la polizia nei suoi confronti. Le dinamiche dell’accaduto non sono ancora ben chiare, ma le affermazioni del figlio di Billy Costacurta sono molto forti: “Questo è quello che succede a un ragazzino di 16 anni dalla Polizia di Stato che la gente elogia tanto. Mi hanno picchiato e per precisare mi hanno perforato il timpano. Mi devo operare solo per averli chiamati sbirrazzi. Un bel 100k ce lo facciamo dare questa volta. Basta abuso di potere!”, ha dichiarato Achille Costacurta attraverso il proprio account Instagram ufficiale. E’ stato lo stesso Achille Costacurta, a postare le immagini di una maglietta sporca di sangue postata tra le immagini di Instagram nella sezione Stories. Intanto, l’aggressione è avvenuta poco dopo l’orario di Coprifuoco imposto alle 22 e il ragazzo è stato accompagnato all’Ospedale di Parma dove ha ricevuto soccorso dopo essere stato picchiato dalla Polizia. 

Diana Alfieri per "il Giornale" il 13 maggio 2021. Una denuncia social alquanto sgrammaticata nella forma e tutta da verificare nella sostanza. A farla è stato ieri il figlio 16 anni dell'ex calciatore Billy Costacurta e dell'attrice Martina Colombari. Scrive Achille Costacurta su Istagram: «Questo è quello che succede a un ragazzino di 16 anni dalla @poliziadistato-officialpage che la gente elode tanto mi hanno picchiato e per precisare mi hanno perforato il timpano e mi devo operare solo per averli chiamati sbirrazzi. Un bel 100k celo facciamo dare questa volta. Basta abuso di potere». Insomma, frasi piuttosto confuse e una dinamica per nulla chiara. Il ragazzo ha quindi postato foto e video in cui mostra una maglietta insanguinata, lividi sul corpo e scorci dell'ospedale. Il racconto del 16enne prosegue: «Grazie in particolare a Giovanni e ai suoi 4-5 colleghi che lo hanno aiutato a picchiarmi e grazie ancora per avermi perforato il timpano. Sono minorenne e non opponevo nessun tipo di resistenza». Nel video Costacurta junior spiega: «Ora sono in ospedale a Parma, non sto tanto bene, devo operarmi». Nei fotogrammi si vedono una t-shirt sporca di quelle che sembrerebbero chiazze di sangue, un foglio con il simbolo della Polizia di Stato, un braccialetto di carta con i contrassegni del nosocomio parmigiano, utilizzato per l'accettazione in pronto soccorso; poi una stanza di ospedale e una ripresa dall'alto del capo di Achille e alcune escoriazioni e lividi fra braccia e polsi. Le altre «slide» contengono il racconto, così come riportato dal sedicenne, di quanto sarebbe accaduto. Al momento non è giunto alcun commento da parte delle autorità o dalla polizia di Parma, città dove sarebbe avvenuto il presunto pestaggio. Achille Costacurta ha un passato problematico alle spalle. Sua madre, Martina Colombari, ne aveva parlato tempo fa in un'intervista al quotidiano romano Il Messaggero: «Noi ci siamo fatti aiutare da una psicologa che si occupa di genitorialità. Chiedere un aiuto esterno da un esperto o uno psicologo, nei momenti di difficoltà, non è qualcosa di cui ci si debba vergognare. Anzi, è un grande atto di amore per i propri figli».

Torna la carica dei 3mila interisti. Assembramenti fuori San Siro. Francesca Galici l'8 Maggio 2021 su Il Giornale. Non si sono viste scene come quelle di piazza del Duomo ma i tifosi dell'Inter fuori dallo stadio San Siro non sono riusciti a evitare gli assembramenti per festeggiare lo scudetto. Quella di oggi non è una giornata facile per l'ordine pubblico di Milano. Da una parte il raduno dei Sentinelli a favore del ddl Zan, dalla parte opposta della città la festa per lo scudetto dell'Inter. Dopo le scene viste in Duomo una settimana fa, lo stadio di San Siro è attentamente monitorato per evitare che si ripetano gli assembramenti che hanno messo in allarme la città per la paura di una nuova esplosione di casi. In attesa della partita contro la Sampdoria, sono stati tanti i tifosi che già dalle primissime ore del pomeriggio si sono ritrovate fuori dallo stadio. La partita è in programma alle 18 ma fin dalle 14 erano 3000 i tifosi dell'Inter radunati all'esterno di San Siro, dove in alcuni momenti si sono verificati anche assembramenti. Sono state disposte importanti misure di controllo per evitare problemi e la maggior parte dei tifosi ha mantenuto la mascherina alzata. Tanti i cori per celebrare la vittoria del campionato e contro le storiche rivali come Milan e Juventus. Così come imposto dalla prefettura nei giorni scorsi, è stato rispettato il divieto di vendita degli alcolici. Fin dalle prime ore del mattino, le forze dell'ordine hanno disposto il transennamento attorno al piazzale dello stadio Meazza. Una misura pensata per evitare assembramenti e lasciare la strada di accesso allo stadio libera. Inoltre, a campione, gli agenti hanno ripreso il viso e chiesto i documenti ai presenti, registrandoli con l'ausilio di telecamere. Tutto questo non ha però impedito avvicinamenti pericolosi. Certo, nulla a che vedere con quanto accaduto in Duomo e in varie piazze di Milano una settimana fa. Tuttavia a ridosso delle transenne è stato impossibile impedire che le persone si assembrassero in attesa dell'arrivo del pullman della squadra, che ha varcato i cancelli dello stadio di San Siro poco dopo le 16 per disputare la partita a porte chiuse. "Se le persone stanno sufficientemente distanziate e con la mascherina il rischio è obiettivamente limitato", ha detto questa mattina Beppe Sala, sindaco di Milano. Il primo cittadino si è affidato, come spesso accade, al buon senso delle persone ma in un momento di festeggiamenti è oggettivamente complicato fare attenzione alla distanza e il rischio è che gli assembramenti crescano nel corso della serata, specialmente alla fine della partita. La giornata di oggi è quasi un test per capire come gestire la vera festa dello scudetto per l'Inter, che si svolgerà il prossimo 23 maggio, giorno di chiusura della stagione e del campionato.

Preoccupati per la festa Scudetto Inter? Ma come andò a Napoli dopo la Coppa Italia 2020? Quanti positivi in più ci sono stati nel 2020 a Napoli dopo i festeggiamenti in piazza per la Coppa Italia? Si può fare un paragone con la festa Scudetto dell'Inter? Lucia Resta il 04 Maggio 2021 su salute.gazzetta.it. Appena è scattata la festa Scudetto dei tifosi dell’Inter in Piazza Duomo domenica scorsa, 2 maggio 2021, nelle menti di molti sono tornate le immagini dei caroselli, dei festeggiamenti e dei bagni nelle fontane dei tifosi del Napoli per la vittoria della Coppa Italia 2020. Vedere scene come queste in un periodo in cui si lotta ancora contro il Covid desta molta preoccupazione e ora siamo tutti in attesa di vedere se quello che è successo a Milano (ma non solo) dopo la vittoria del campionato da parte dei nerazzurri avrà un qualche effetto sulla curva epidemiologica. Intanto, però, c’è una cosa che possiamo fare e cioè andare a vedere come andò l’anno scorso in Campania dopo i festeggiamenti dei tifosi del Napoli per la conquista della Coppa Italia. La finale si giocò il 17 giugno 2020 allo Stadio Olimpico di Roma. I tempi regolamentari si conclusero sullo 0-0, poi i partenopei la spuntarono ai rigori per 4-2 contro la Juventus grazie agli errori dal dischetto di Dybala e Danilo. Al fischio finale a Napoli e dintorni scattarono i folli festeggiamenti.

LA SITUAZIONE IN CAMPANIA PRIMA DELLA FINALE DI COPPA ITALIA 2020 — Fino al 17 giugno 2020 in Campani si erano registrati in totale 4.614 casi di positività, c’erano stati 3.925 guariti e 431 morti. Proprio il giorno della finale il bollettino era molto rassicurante, perché su 2.683 tamponi effettuati c’era stato un solo positivo e c’erano stati un decesso e 15 guariti. I dati ufficiali dell’Unità di Crisi Regionale per la realizzazione di misure per la prevenzione e gestione dell’emergenza epidemiologica da Covid-19, dunque, parlavano abbastanza chiaro: la situazione era tranquilla, i contagi sotto controllo, ovviamente l’arrivo dell’estate stava aiutando parecchio. Inoltre nella prima ondata la Campania, sempre al centro dell’attenzione grazie agli show sui social del severissimo Presidente Vincenzo De Luca, era riuscita a contenere i contagi.

COME ANDARONO I CONTAGI IN CAMPANIA DOPO I FESTEGGIAMENTI PER LA COPPA ITALIA? — Sempre affidandoci ai dati ufficiali dell’Unità di Crisi della Regione Campania abbiamo realizzato questo grafico sull’andamento della curva dei nuovi positivi dal 18 giugno, giorno successivo ai festeggiamenti, al 19 luglio 2020, quindi un mese per capire se quegli assembramenti hanno prodotto un incremento dei contagi oppure no. Il numero di nuovi positivi in Campania dopo la festa per la Coppa Italia 2020 è rimasto sotto i 30 nuovi contagi. Questi sono stati i nuovi positivi per ogni giorno del mese successivo alla festa dei tifosi del Napoli:

– Giovedì 18 giugno: +1 su 1.448 test

– Venerdì 19 giugno: 0 su 1.987 test

– Sabato 20 giugno: 0 su 1.918 test

– Domenica 21 giugno: +2 su 1.562 test

– Lunedì 22 giugno: +6 su 1.350 test

– Martedì 23 giugno: +10 su 834 test

– Mercoledì 24 giugno: +11 su 2.171 test

– Giovedì 25 giugno: +17 su 1.983 test

– Venerdì 26 giugno: +3 su 1.414 test

– Sabato 27 giugno: 0 su 3.151 test

– Domenica 28 giugno: 0 su 1.535 test

– Lunedì 29 giugno: +1 su 1.686 test

– Martedì 30 giugno: +1 su 3.277 test

– Mercoledì 1 luglio: +9 su 2.865 test

– Giovedì 2 luglio: +3 su 1.424 test

– Venerdì 3 luglio: +10 su 2.441 test

– Sabato 4 luglio: +2 su 1.492 test

– Domenica 5 luglio: +5 su 1.848 test

– Lunedì 6 luglio: +27 su 775 test

– Martedì 7 luglio: +1 su 1.344 test

– Mercoledì 8 luglio: +3 su 1.918 test

– Giovedì 9 luglio: +5 su 1.587 test

– Venerdì 10 luglio: +7 su 1.508 test

– Sabato 11 luglio: +7 su 1.952 test

– Domenica 12 luglio: +3 su 1.212 test

– Lunedì 13 luglio: +7 su 530 test

– Martedì 14 luglio: 0 su 1.098 test

– Mercoledì 15 luglio: +8 su 1.846 test

– Giovedì 16 luglio: +4 su 1.222 test

– Venerdì 17 luglio: +12 su 1.705 test

– Sabato 18 luglio: +15 su 1.561 test

– Domenica 19 luglio: +9 su 1.409 test

Si può dunque affermare che i festeggiamenti per la conquista della Coppa Italia 2020 da parte dei tifosi del Napoli non hanno causato un aumento dei contagi, questo perché in quel periodo la Campania era quasi a contagio zero.

Nei giorni successivi a quella festa, per una settimana è stato effettuato un monitoraggio anti-Covid da parte della task force campana, anche se, ovviamente, non sono stati i fatti i tamponi a chi era andato a festeggiare in strada, sarebbe stato difficile rintracciare tutti. Ma in ogni caso sono stati ricostruiti i contatti e gli spostamenti di coloro (pochissimi) che sono risultati positivi nella seconda metà di giugno ed è emerso che non c’era alcun collegamento con la notte tra il 17 e il 18 giugno, quella, appunto, della festa del Napoli.

Quindi in quel caso c’è stata molta indignazione davanti alle immagini dei tifosi festanti, tanta preoccupazione, ma alla fine è stato molto rumore per nulla. Anche se poi ci sarebbero delle considerazioni “morali” da fare, cioè su quanto possa essere giusto festeggiare in un periodo in cui moltissima gente continua a morire da sola in ospedale, ma è tutto un altro discorso e anche fin troppo complicato.

LA SITUAZIONE IN LOMBARDIA PRIMA DELLA FESTA SCUDETTO INTER 2021 — Il 2 maggio 2021, mentre i tifosi dell’Inter festeggiano in strada la conquista dello Scudetto dopo undici anni di digiuno, la Regione Lombardia diffonde il suo quotidiano bollettino con i dati del contagio da coronavirus che fotografa la situazione fino a quel momento:

i nuovi positivi sono passati da 2139 del giorno prima a 1287

i tamponi sono stati 30.249 rispetto ai 59.144 del giorno prima

il tasso di positività è salito dal 3,62% al 4,25%

ci sono stati 23 morti in 24 ore

nella città metropolitana di Milano i nuovi casi sono stati 375

La curva dei nuovi positivi in Lombardia fino al 3 maggio 2021. È dunque una situazione estremamente diversa rispetto a quella che si registrava in Campania a giugno 2020. I tamponi sono tantissimi di più e anche i positivi, in più non siamo ancora in estate, ma nel frattempo in Lombardia sono state somministrate 3.498.313 dosi di vaccini anti-Covid. Il numero dei contagiati risulta in diminuzione, ma bisogna anche considerare che questi sono dati domenicali, sempre un po’ più bassi perché sono stati effettuati meno test. Anche i dati di lunedì 3 maggio vanno ancora presi un po’ con le pinze perché sono comunque risultati dei test fatti nel weekend e parlano di 637 positivi su 30.249 tamponi. Da qui alle prossime due settimane sarà interessante vedere se ci saranno delle variazioni significative rispetto a questi numeri e tracciando i contatti e gli spostamenti dei nuovi positivi si potrà capire se la festa Scudetto dell’Inter ha provocato o no un aumento dei contagi.

IL CONFRONTO TRA FESTA SCUDETTO INTER E FESTA COPPA ITALIA NAPOLI — Dai dati che abbiamo esaminato, dunque, si capisce subito che non si può fare un accostamento tra la festa dei tifosi del Napoli del 2020 per la vittoria della Coppa Italia e la Festa Scudetto dei tifosi dell’Inter di domenica scorsa. Anche se nei commenti sui social il paragone è scattato subito, in realtà stiamo parlando di due situazioni completamente diverse, tuttavia questo non esclude che gli effetti, invece, potrebbero essere gli stessi e cioè non è scontato che gli assembramenti di domenica portino a un aumento significativo dei nuovi contagi. Per ora, dunque, si può solo aspettare e vedere che cosa succederà nelle prossime due settimane, per capire i reali effetti della festa Scudetto sulla curva epidemica. Nel frattempo epidemiologi e infettivologi sembrano però abbastanza concordi sul fatto che la festa Scudetto costerà delle vite. Massimo Andreoni, direttore scientifico della Società italiana di malattie infettive e tropicali (Simit) e primario di Infettivologia al Policlinico Tor Vergata di Roma, ha detto che è praticamente cosa certa che nell’assembramento di Piazza Duomo a Milano ci sia stata un’ulteriore diffusione del virus e ha indicato dei tempi: entro 2-3 settimane potrebbero aumentare i casi, tra 4-5 settimane vedremo i casi più gravi e tra 4-6 settimane gli eventuali decessi. Il Sottosegretario alla Salute Pierpaolo Sileri in una intervista alla Stampa ha detto che sicuramente pagheremo per i fatti di Piazza Duomo, per il 30mila tifosi urlanti e molti senza mascherina. E siccome non c’erano solo milanesi sotto la Madonnina, è lecito pensare che ci saranno ripercussioni su tutta la Lombardia.

SputtaNapoli sport nazionale, Milano invasa da tifosi ma giornale scrive “Coprifuoco violato a Napoli”. Da Andrea Favicchio il 3 maggio 2021 su vesuviolive.it. Non chiamatelo vittimismo, questa è una vera e propria avversione nei confronti di Napoli, il solito SputtaNapoli. Sì perché ieri e sui giornali di questa mattina per l’ennesima volta si è vista la disparità di giudizio dei media italiani. Come se la festa per la Coppa Italia vinta dal Napoli fosse più contagiosa di quella scudetto (i numeri smentiscono chiaramente). Ieri l’Inter ha vinto lo scudetto e migliaia e migliaia di persone si sono riversate in città in festa. Direte voi, lo avrebbero fatto tutti è inutile giudicare. Infatti qui non si giudica il comportamento dei tifosi neroazzurri, perché qualunque tifoseria avrebbe fatto lo stesso, quanto più quello dei media nazionali.

Milano, festa scudetto dell’Inter: ma solo a Napoli siamo sciagurati. Spicca su tutti infatti il titolo de “Il Fatto Quotidiano” sull’argomento: “Folla di tifosi invade Milano. A Napoli coprifuoco violato”. Vi chiederete voi, cosa c’entrano le due cose insieme? La risposta è assolutamente nulla. L’Italia è il Paese dove si nasconde la polvere sotto al tappeto credendo di aver risolto tutti i problemi. L’Italia è il Paese dove per discolparsi di qualcosa si butta il fumo negli occhi della gente o la si fa guardare da un’altra parte. Un tentativo davvero goffo e ridicolo quello del quotidiano diretto da Marco Travaglio di distogliere l’attenzione su qualcosa che l’attenzione l’ha capitalizzata al 100%. Solo tra la gente comune però. Loro infatti sono gli unici ad essere sdegnati non solo dal comportamento dei tifosi ma anche dalla classe politica che avrebbe dovuto prevedere la situazione. Una festa che rischia di essere amara per tutti i milanesi e per la Lombardia intera. Staremo a vedere tra un paio di settimane come sarà la curva dei contagi – sperando ovviamente di essere smentiti in pieno.

L’ATAVICA AVVERSIONE A NAPOLI E L'OCCHIO BENEVOLO PER MILANO. DUE PAESI E DUE MISURE? E' RAZZISMO. Facebook. Movimento 24 Agosto - Equità Territoriale il 3 maggio 2021. Pietro Fucile. Quando nel giugno scorso 5.000 tifosi festeggiarono per le strade di una città a zero contagi la vittoria della Coppa Italia, vennero definiti su tutti i giornali “Sciagurati!” con tanto di punto esclamativo per colmo d’indignazione. La situazione era per tutti “disgustosa”, gli amministratori, tanto De Luca quanto De Magistris “colpevoli” e per i napoletani si rispolverarono le analisi sociologiche (sempre le stesse da 160 anni in qua) che ancora parlano di “atavica avversione alle regole”. Oggi l’Inter vince lo scudetto, i tifosi festeggiano (sei volte più che a Napoli) assembrandosi in 30.000 nelle piazze di una città ancora in piena pandemia. Ma a fare il titolo è ancora Napoli per le violazioni delle norme anti-contagio, le stesse violazioni che si sono registrate nel weekend in tutte le città italiane. Occorrerebbe forse un’analisi sociologica relativa “all’atavica avversione a Napoli” del giornalismo italiano.

Calabria, assembramento nel bar e i carabinieri multano i poliziotti. La Repubblica il 25 aprile 2021. È successo a Corigliano-Rossano in provincia di Cosenza. Le forze dell'ordine erano accalcate al bancone senza mascherine. Controllori che "pizzicano" altri controllori mentre invece di far rispettare le regole le vìolano loro stessi. Sembra un cortocircuito, è la storia che arriva da Corigliano-Rossano, un comune di 70 mila abitanti in provincia di Cosenza, Calabria. Ecco cosa è successo: una pattuglia di carabinieri in servizio si ferma rapidamente davanti a un locale pubblico per chiedere un caffè e consumarlo, come impongono le regole anti-Covid e la colorazione arancione della regione, fuori dal locale. Quando i due militari fanno il loro ingresso nel bar per ordinare notano subito qualcosa di strano. E così, bevuto il loro caffè, rientrano, stavolta per lavoro. Al bancone, senza mascherine né distanze, c'è un assembramento di persone, tutte accalcate. Un assembramento in divisa. Perché lì a consumare c'è un gruppo di poliziotti del commissariato cittadino, alcuni in riposo, altri in servizio e con l'abito d'ordinanza. A quel punto i carabinieri identificano i loro colleghi delle forze dell'ordine, multandoli per assembramento. Stesso provvedimento pure per un dirigente della sanità locale che era lì a prendere un caffè assieme a loro. Ai titolari del locale è andata peggio: disposta l'immediata chiusura del bar. 

Cristiana Mangani per “Il Messaggero” il 5 maggio 2021. C'è chi è stato multato perché aveva fatto pranzare i clienti all'interno del locale, causa pioggia improvvisa. E chi, invece, gli ha consigliato di abbandonare il tavolo o di aprire l'ombrello, perché altra soluzione non c'era. Mangiare al ristorante in tempi di pandemia, con il freddo e la pioggia che ancora non mollano, può fare incorrere in controlli da parte delle forze dell'ordine, con la conseguenza di vedersi chiudere il locale per cinque giorni. O almeno così prevede il decreto del governo. In realtà l'ultimo weekend ha visto in molte occasioni il ristoratore violare le regole, riuscendo anche a farla franca. Sin dal giorno della riapertura la ministra dell'Interno Luciana Lamorgese ha ribadito che i controlli vanno fatti ma con equilibrio e buonsenso. E altrettanto ha ripetuto il capo della Polizia Lamberto Giannini quando ha spiegato: «Stiamo affrontando una popolazione di 60 milioni di persone che da più di un anno è come una molla iper compressa. Il nostro compito è evitare che il rilascio della molla avvenga tutto insieme». E quindi, vanno rispettate le regole, ma bisogna anche considerare quanto siano stati difficili gli ultimi mesi per gli italiani. «Infatti - chiarisce Girolamo Lacquaniti, portavoce dell'Associazione nazionale funzionari di Polizia - le situazioni vanno analizzate caso per caso. Se sto mangiando fuori e sono sorpreso dall'acquazzone ed entro nel ristorante per ripararmi, è facile immaginare che qualsiasi poliziotto venga a fare un controllo in quel momento, manifesti maggiore tolleranza. È una questione di buonsenso. Ma si tratta di casi veramente emergenziali che vanno valutati in maniera intelligente. Consentire a tutti di far entrare i clienti a mangiare - aggiunge il dirigente - vorrebbe dire discriminare chi è ancora chiuso perché non ha spazi all'esterno. E questo non è possibile». Nel primo fine settimane di normalità sono state parecchie le sanzioni emesse: 93.096 le persone fermate il primo maggio dalle forze dell'ordine, 1.965 sono state sanzionate, quasi il doppio del giorno prima e 177 denunciate (il 30 aprile erano state 30). Le verifiche contro la diffusione della pandemia hanno riguardato anche 12.960 attività ed esercizi commerciali: 90 titolari sono stati sanzionati, 39 le chiusure. E poi, Lacquaniti lo dice chiaramente: «Non è il momento delle prove di forza. È il momento della prova di coscienza di un popolo. Le forze dell'ordine devono garantire la sicurezza dei cittadini, non controllare i loro movimenti. Non può essere un problema della polizia la socialità di milioni di italiani. Il nostro lavoro è contenere la criminalità che sta facendo affari con la pandemia. Tenere sotto controllo il web, dove l'eversione e anche il terrorismo islamico continuano a cercare di fare proselitismo». E allora che senso ha dare delle regole se poi non vengono rispettate? Il dirigente cita i festeggiamenti a Milano per lo scudetto dell'Inter. «Sono casi - conclude - in cui la folla si genera spontaneamente e tentare di bloccarla può causare disordini ancora più gravi. In quella piazza, l'altra sera, era pieno di padri con i bambini sulle spalle».

Da adnkronos.com il 6 maggio 2021. "Mi hanno fermato alle 22.30 mentre tornavo a casa in una strada vuota, in una città deserta. Potevano fare i controlli a piazza del Duomo...". Massimo Cacciari giudica cervellotiche le norme che prevedono controlli per il coprifuoco e lo dice chiaramente a Cartabianca. "Invece di mettere i poliziotti che mi hanno fermato solo, in una città deserta, mentre tornavo a casa alle 22.30. Mi hanno fatto la multa? Ma assolutamente no, sono stati gentilissimi e ragionevolissimi. Capiscono l’assurdo di fermare una persona tardi in una strada deserta", dice il filosofo e politologo. Da 2 giorni si discute degli assembramenti a Milano per la festa scudetto dell'Inter. "Potevano mettere i poliziotti attorno a piazza del Duomo. Quello avrebbe avuto senso, anche se so che è difficile. Poi mi dicono che è impossibile e ne prendo atto. Ma è assurdo fermare una persona mentre rientra a casa...", dice. "La limitazione degli orari non ha nessun fondamento scientifico. Non cambia nulla se chiudi alle 22, alle 23 o alle 24: cambiano le condizioni con cui tieni aperte le attività. Bisogna essere ragionevoli, servono controlli e regole", dice facendo riferimento al coprifuoco.

Stasera Italia, Melania Rizzoli sugli assembramenti post-scudetto: "Le goccioline diffondevano saliva, in arrivo nuovi focolai". Libero Quotidiano il 04 maggio 2021. Preoccupa quanto accaduto domenica dopo la vittoria dello scudetto da parte dell'Inter. Il 2 maggio infatti 30mila tifosi si sono riversati in piazza del Duomo vanificando tutti gli sforzi fatti per fronteggiare il coronavirus. Se ne parla a Stasera Italia, su Rete Quattro, dove Barbara Palombelli ha chiesto a Melania Rizzoli quanto potrebbe accadere. "Se c'erano in piazza tutte quelle persone, sicuramente ci sarà un'esplosione di contagi". "Mi è sembrata una mancanza di rispetto anche nei confronti degli operatori sanitari che continuano a prestare la loro opera", ha subito replicato l'assessore alla Formazione e al Lavoro della Regione Lombardia. E ancora: "Erano tutti giovani, sotto i 40 anni, quindi non vaccinati". A far preoccupare la Rizzoli "quelle goccioline che con l'entusiasmo diffondevano saliva". Da qui la conclusione: "Io vedevo in quelle immagini nuovi focolai, vedremo tra 14 giorni perché tra 30mila persone ce ne saranno almeno 300 positivi". Dello stesso parere anche il virologo Fabrizio Pregliasco, che in collegamento con Luisella Costamagna ad Agorà, su Rai tre, aveva detto: "Gli effetti delle riaperture, delle feste clandestine e di assembramenti come quello dei tifosi dell’Inter si vedranno tra 14 giorni, da metà maggio in poi: temo che ci sarà un incremento dei casi, non una nuova ondata ma un’onda di risalita". L'unica speranza? I vaccini. Con il generale, nonché commissario per l'emergenza coronavirus, Francesco Figliuolo, il piano vaccinale prosegue a velocità sostenuta. Almeno se comparato a quello del suo predecessore, Domenico Arcuri. In merito all'accaduto si era espresso anche il presidente della regione lombarda: "Era probabile che eventi del genere si potessero verificare - ha dichiarato Attilio Fontana -. L'importante è che non si verifichino più. Bisogna chiedere alle persone il rispetto delle misure di sicurezza. Mi auguro e spero che non aumentino i contagi, ma questo lo potremo dire tra due settimane".

L'aria che tira, Massimo Galli lascia il collegamento: "Non perdo tempo con lei, si vergogni". Libero Quotidiano il 04 maggio 2021. Scontro in diretta da Myrta Merlino a L'aria che tira su La7, nella puntata di oggi 4 maggio tra Massimo Galli e il giornalista Francesco Borgonovo. A parlare per primo è l'infettivologo dell'ospedale Sacco di Milano che difende AstraZeneca. "La probabilità di essere colpiti da un problema legato al vaccino AstraZeneca è alla pari o minore di quando si va in macchina in autostrada o si prende l'aspirina", spiega il professore. "Tutta la comunicazione, la campagna in negativo che ne è nata ha creato una leggenda metropolitana difficile da sfatare". A quel punto Borgonovo interviene con una frase che fa infuriare Galli: "Mi ha molto colpito la gentilezza con cui lei ha trattato il sindaco di Milano Beppe Sala, forse se fosse stato di un altro schieramento non sarebbe andata così", dice riferendosi agli assembramenti e alla festa in piazza Duomo dei tifosi dell'Inter per la vittoria dello scudetto". L'infettivologo quindi sbotta: "La polemica con quelli come lei è sempre la stessa. Mi avete stancato, se devo avere questi livelli di contraddittorio evito di venire in tv". E ancora, attacca Galli: "Dovete per forza buttarla in politica. Non ho tempo da perdere con quelli come lei, ma dai ma su, si vergogni". Quindi lascia il collegamento e Borgonovo chiosa: "È costume parlare senza essere contraddetti perché io ho letto dichiarazioni sue molto dure su altri esponenti politici in passato".  In una intevista a Il Giorno Galli aveva detto: "Sono un interista di terza generazione e non sarei andato in piazza a festeggiare, a prescindere". E ancora: "È evidente che non doveva succedere. Chiudere la piazza dalla mattina non era possibile, bisognava dichiarare in modo netto che manifestazioni di quel genere non erano permesse. Ma ormai è stato dato il messaggio politico di riaprire e tornare indietro è dura". Il professore è anche pessimista per il futuro: "Voglio vedere cosa succede a 28 giorni dal 26 aprile, data delle riaperture, sperando ardentemente che la progressione dei vaccini fermi quello che temo possa essere successo".

Cesare Giuzzi per il "Corriere della Sera" il 3 magio 2021. Sembra la notte del Triplete di undici anni fa. La calca in piazza Duomo si materializza in una manciata di minuti appena da Reggio Emilia arriva il fischio finale che regala lo scudetto in differita. Una marea di tifosi - padri con bambini, ragazzi, maglie vintage e capelli grigi - che per ore non smette di crescere. E che poi, ancora più stipata, assembrata, schiacciata tra urla, abbracci e cori ultrà, si ritrova anche in largo Cairoli, davanti al Castello Sforzesco. La strada diventa uno stadio naturale, sui blocchi di new jersey ci sono i capi della Curva Nord. Diffidati compresi. Il Covid, le norme anticontagio, e neppure il coprifuoco, fermano l' assalto dei tifosi. Una festa che rischia adesso di diventare un' incognita sulla via d' uscita dall' emergenza nella Regione che ha pagato il tributo più alto alla pandemia. Quanto è stata rischiosa, scellerata e improvvida la calca vista a Milano? Dopo quasi un anno e mezzo ha senso rischiare di vanificare i sacrifici di chiusure, lockdown e restrizioni per festeggiare uno scudetto? La risposta, purtroppo, pare scontata. Le prossime due settimane daranno ai medici l' impatto su contagi e ricoveri. Nel frattempo esplodono le polemiche con i commercianti: «Mi stupisce vedere come si usino pesi e misure diverse in una situazione di emergenza comune. Bar e ristoranti non possono aprire i loro locali, pur garantendo distanziamento e sanificazione, ma gli viene concesso il solo utilizzo dello spazio esterno. Parchi e piazze invece posso riempirsi in modo incontrollato e senza precauzione sanitaria», attacca il segretario generale di Confcommercio Milano, Marco Barbieri. Molti ristoranti milanesi, privi di aree esterne, non hanno riaperto dopo il passaggio in zona gialla. Ma a soffiare sul fuoco è anche la politica in vista delle elezioni comunali in autunno. Nel mirino di Licia Ronzulli, vicepresidente del gruppo di Forza Italia al Senato, c' è il sindaco Beppe Sala: «Era un evento annunciato e prevedibile da giorni, eppure l' unico a essere colto di sorpresa è il sindaco Sala che non ha previsto misure per contrastare gli assembramenti. Dove erano i vigili?». Sala, tifoso interista, per il momento ha preferito il low profile: zero messaggi sui social, neppure per festeggiare lo scudetto. Anche perché di recente il sindaco ha ingaggiato una dura polemica con la società di Steven Zhang e Beppe Marotta sul progetto del nuovo stadio di San Siro. La sua pagina Facebook è stata però presa di mira da centinaia di commenti di cittadini indignati: «Non siete stati in grado di gestire gli assembramenti. Una mancanza di rispetto per tutte quelle attività chiuse da mesi». Dallo staff del primo cittadino filtra solo che «il sindaco è rimasto in contatto per tutta la giornata con prefettura e questura». Alle 22 alcuni ultrà hanno lanciato bottiglie contro la polizia in largo Cairoli: tensione e parapiglia con le forze dell' ordine e 20 tifosi identificati dalla Digos. La festa in anticipo era stata prevista dalle forze dell' ordine che infatti avevano stabilito presidi straordinari nelle piazze. Sorveglianza che non era un divieto a scendere in strada con sciarpe e bandiere. Poi di fronte a una folla di più di 50 mila persone tra piazza Duomo e largo Cairoli pensare a un intervento in forze per garantire il distanziamento avrebbe aperto problemi di ordine pubblico ben peggiori. Una linea già adottata nelle manifestazioni No Mask. Le sanzioni arriveranno attraverso i filmati delle telecamere. La festa scudetto ai tempi del Covid ha portato in piazza non solo ultrà e ragazzi, ma centinaia di famiglie anche con figli piccoli. Addosso le maglie degli eroi del Triplete (da Eto' o a Sneijder) e delle meteore Gnoukouri, Esposito e Shaqiri: «Abbiamo aspettato per undici anni, mio figlio non era ancora nato. È il suo primo scudetto non potevo non essere qui. Il virus? Evitiamo di stare troppo vicini», spiega Luigi, 46 anni, con il figlio di nove. In Duomo l' assalto di 30 mila tifosi si trasforma in una scalata al monumento di Vittorio Emanuele. Scene identiche a quelle di 11 anni fa. Unica differenza non c' è il pullman con la squadra per le vie della città. Troppo rischioso festeggiare tutti insieme nel pieno di una pandemia. Anche se in pochi ieri sembrano essersene ricordati.

Da video.corriere.it l'1 maggio 2021. Scontri a Torino durante la manifestazione per il Primo Maggio. Alcuni dimostranti sono entrati in contatto coi poliziotti in Piazza Castello. Il corteo, composto da militanti dei centri sociali, antagonisti e No Tav, ha cercato di raggiungere il Municipio che era protetto da un cordone di agenti delle forze dell'ordine: questi ultimi li hanno allontanati con una piccola carica.

Da lastampa.it l’1 maggio 2021. I carabinieri del Ros hanno arrestato i responsabili dell'attentato incendiario avvenuto contro un hub vaccinale a Brescia lo scorso 3 aprile. Si tratta di un 51 e un 52enne, entrambi bresciani e del movimento no-vax, accusati di terrorismo. Sono state eseguite nelle province di Brescia e Verona delle perquisizioni nei confronti di alcuni conoscenti degli indagati che apparterrebbero allo stesso movimento. L'ordinanza applicativa della misura cautelare della custodia in carcere è stata emessa dal gip del Tribunale di Brescia Alessandra Sabatucci, su richiesta della procura della Repubblica diretta da Francesco Prete. Contestualmente, sono state eseguite nelle province di Brescia e Verona delle perquisizioni nei confronti di alcune persone rientranti nel circuito relazionale degli indagati. In particolare, il provvedimento cautelare è il risultato delle indagini condotte dal Dipartimento antiterrorismo della Procura di Brescia e dai Carabinieri del Ros e del comando provinciale di Brescia, coordinati dal sostituto procuratore Francesco Carlo Milanesi e dall'aggiunto Silvio Bonfigli Secondo gli investigatori, l'incendio alimentato dagli ordigni - non propagatosi all'intero padiglione solo per la resistenza ignifuga della tensostruttura e per altre cause fortuite - era potenzialmente idoneo a causare danni devastanti alla struttura nella quale erano stoccate diverse centinaia di dosi di vaccino nonché altro materiale infiammabile, danni che avrebbero potuto ripercuotersi negativamente sulla campagna vaccinale anti Covid. A pochi metri dal principio di incendio corrono cavi elettrici che se fossero stati interessati dalle fiamme avrebbero interrotto l'alimentazione della catena del freddo così rendendo inutilizzabili i vaccini. Nel sito colpito vengono infatti somministrate circa 1000 dosi di vaccino al giorno. Le indagini, condotte in tempi brevi anche mediante il ricorso alle intercettazioni telefoniche ed ambientali, si sono subito concentrate sull'analisi dei sistemi di videosorveglianza e rilevazione targhe dei veicoli presenti sul territorio del Comune di Brescia, e hanno consentito di individuare il mezzo utilizzato dai dai due per raggiungere il centro vaccinale.

(ANSA il 26 aprile 2021) Cinquantasette "no mask" sono stati multati sabato sera a Modena per essere andati a cena nella pizzeria di Hermes Ferrari, il ristoratore emiliano noto per essersi presentato durante le recenti proteste davanti a Montecitorio vestito da "sciamano", come Jake Angeli negli Stati Uniti. A riportare la notizia è la stampa locale. Una cena che ha violato norme anti contagio, nel giorno in cui tra l'altro nel cuore di Modena si teneva la manifestazione "No paura day" finita con insulti alle forze dell'ordine e sanzioni per il mancato utilizzo delle mascherine. Interpellato, lo stesso Hermes Ferrari ammette: "Mi hanno elevato una sanzione da 400 euro oltre alla chiusura che non rispetterò perché la Costituzione afferma che il lavoro è un diritto". Sul posto, sabato sera alle 20, si sono presentati agenti della Digos insieme a personale della polizia locale. Notificata anche la chiusura del locale per cinque giorni.

Da parmapress24.it il 25 giugno 2021. Domenica al Fidenza Village violenta e reazione di un visitatore invitato, insieme alla moglie, a indossare correttamente la mascherina. L’uomo prima insulta i vigilantes, urla, si avvicina con fare minaccioso poi sbraita minacce insieme alla moglie. Quando interviene un altro cliente l’uomo gli rifila una testata al volto. Si tratterebbe di Hermes Ferrari, lo “sciamano” immortalato dalle foto a Montecitorio, vestito e truccato da vichingo come l’assalitore di Capitol Hill Jake Angeli, originario di Arceto, provincia di Reggio Emilia. Ferrari è proprietario di una pizzeria a Modena che rivendica di aver tenuto sempre aperta da gennaio scorso nonostante sia vietato dalle restrizioni anti-Covid. Si vocifera anche di sue frequentazioni con Matteo Salvini e il parlamentare reggiano ed Lega Gianluca Vinci. Le precisazioni del Fidenza Village: i vigilantes hanno seguito le procedure correttamente (mascherina obbligatoria); i primi soccorsi sono subito stati dati al cliente ed è stato chiamato il 118 oltre alle forze dell’ordine carabinieri di Fidenza (collaborazione con loro) - la persona è stato fatto uscire per non creare ulteriori problemi ad altri clienti.

Tommaso Coluzzi per fanpage.it il 26 aprile 2021. Un vero e proprio rave party, andato in scena per ore in un parco di Bologna. Centinaia di persone ammassate, senza mascherina, senza rispettare minimamente i divieti che servono ad evitare il contagio da Covid-19. Nessuna misura restrittiva seguita, una festa come se il coronavirus non fosse mai esistito. Insomma, questo è ciò che è successo a Villa Angeletti, un parco della prima periferia di Bologna. Qui, dal primo pomeriggio, si sono radunate poco alla volta centinaia di persone per una grande festa. Non è mancata la musica ad altissimo volume e la ressa dell'epoca precovid. I social sono stati invasi da registrazioni dell'evento, che chiaramente stona con il periodo che stiamo vivendo e le restrizioni che tutti sappiamo di dover rispettare. Secondo le prime ricostruzioni, la festa nel parco, proseguita per tutto il pomeriggio con musica e balli, sarebbe stata organizzata grazie a un tam tam che si è creato negli ultimi giorni. Il risultato è stato raccogliere centinaia di persone nel parco bolognese, per un vero e proprio rave party. La polizia ha cercato di gestire la situazione, cercando soprattutto di evitare tensioni e incidenti, visto che nel parco, complice l'arrivo del caldo e della bella stagione, c'era moltissima gente. Ma non solo nella Villa: a Bologna l'arrivo della primavera, insieme alle riaperture annunciate per domani, ha portato moltissime persone per le vie del centro, così come è accaduto nelle altre grandi città italiane, da Roma a Milano. Tra i primi a denunciare la festa illegale nel parco bolognese è stato il deputato di Fratelli d'Italia, Galeazzo Bignami, che ha pubblicato su Twitter alcuni video dell'accaduto e ha commentato: "A Bologna vale questa regola, a qualcuno è consentito fare tutto, a qualcuno non è consentito fare nulla. Mi piacerebbe vedere la ministra Lamorgese da queste parti, anche perché non c'è nessuno che sta impedendo questa roba".

Marino Niola per “la Repubblica” " il 27 aprile 2021. L'Italia si trasferisce precipitosamente nel dehors, riempiendo strade e piazze di sedie e tavolini. C'è qualcosa di nuovo, anzi d'antico in tutta quest'ammuina. Di nuovo c'è l'impatto della pandemia, che costringe tutti a spostare all'aperto baracca e burattini. Di antico c'è il tavolino che, da salotto, da bar o da ristorante che sia, è una vera categoria dello spirito nazionale. Il tradizionale puntello di una socialità incontenibile, traboccante, teatrale. Traballante come le gambe di certi tavolini da caffè dello sport. In realtà il tavolino è un oggetto simbolo del nostro modo di entrare in relazione con gli altri. È un'interfaccia tra individualismi, una distanza che unisce pur lasciando ciascuno nella propria posizione. Ma è anche un trait d'union con altre dimensioni, pubbliche e private, reali e immaginarie. Spesso tra il sognatore e i suoi sogni c'è di mezzo un tavolino, dove le fantasie vengono evocate come attori sulla scena. Ed è sempre intorno a un tavolino che nel Belpaese d'antan si creava quella corrente di energia collettiva che consentiva al medium di turno di entrare in contatto con gli spiriti dei trapassati. La stessa corrente di energia collettiva che ha fatto dei minuscoli tavoli dei caffè degli acceleratori di trasformazioni sociali. Che hanno contribuito a liberare le donne dall'isolamento domestico o dalla tutela di mariti, padri e fratelli. Zone franche per consumi senza accompagnatori. Dove spesso il consumo è addirittura un pretesto. Come si è visto ieri, quando è scattato il giallo ed è apparso subito chiaro che il vero bisogno non era il cappuccino e il cornetto, il toast e lo spritz, ma quello di fare comunella. Un po' come negli anni Cinquanta, quando i "poveri ma belli" restavano seduti per ore a chiacchierare ordinando una minerale in quattro. Come Cerutti Gino e i suoi amici "al Bar del Giambellino" della canzone di Giorgio Gaber. Ma forse il vero emblema di questa antropologia da tavolino è il Carosello di Ernesto Calindri, che sorseggia un Cynar "contro il logorio della vita moderna" mentre è seduto a un tavolino in mezzo a un pandemonio di traffico. In quella immagine è racchiusa tutta la filosofia adattogena del vivere all'italiana. Sempre al confine tra il provvisorio e il definitivo, tra interno ed esterno, tra spazio pubblico e spazio privato. E dove il tavolino non è un microtavolo, ma un microcosmo a quattro gambe.

Sotto le bandiere rosse vale tutto. Francesca Galici il 25 Aprile 2021 su Il Giornale.  25 aprile senza regole a Bologna, ma solo per la sinistra: manifestazioni lungo le strade al grido di "Bella ciao" e rave party nel parco cittadino. L'Italia è il Paese del coprifuoco alle 22, delle mascherine anche al tavolo al ristorante. È il Paese in cui i ristoranti potranno riaprire anche a cena ma solo se dotati di dehor, altrimenti nulla. È il Paese in cui non è possibile entrare in un bar per bere un caffè al bancone ma se si sventola una bandiera rossa e si canta "Bella ciao" è possibile creare assembramenti massicci nelle strade senza che nessuno dica nulla. Questo è quello che è accaduto oggi a Bologna, dove per il 25 aprile si sono radunate diverse decine di persone senza mascherine e senza distanziamento, nella totale indifferenza dei media, pronti invece a documentare con solerzia le manifestazioni in piazza dei commercianti e dei ristoratori che chiedono la riapertura delle loro attività.

Il rave party. Ma non è tutto, perchè come riporta Il Resto del Carlino, sempre a Bologna si è tenuto quest'oggi un rave party all'interno di uno dei parchi cittadini. Già dalle prime ore del mattino centinaia di persone si sono radunate per prendere parte a una festa non autorizzata con la musica a tutto volume. Poche le mascherine, poca la distanza tra i partecipanti, nessun'autorizzazione concessa. È stato Galeazzo Bignami, deputato di Fratelli d'Italia, che dal suo profilo Twitter ha denunciato quanto stava accadendo nella sua città, sottolineando il "doppio pesismo di cui godiamo a Bologna, in cui le regole e le sanzioni valgono soltanto per le persone ‘perbene’". Anche Gianluigi Nuzzi, popolare conduttore di Rete 4, ha denunciato sui suoi social quanto accaduto questo pomeriggio a Bologna, evidenziando l'assenza di mascherine nei partecipanti al rave.

La rabbia di Salvini e Meloni. "Oggi a Bologna, su questi assembramenti i compagni Letta e Speranza non avranno senz’altro nulla da dire, la bandiera rossa è curativa! Invece una coppia o una famiglia che mangia in un ristorante o uno che prende il caffè al bancone... Quelli son mezzi criminali!", ha scritto Matteo Salvini sui suoi social mostrando quanto accaduto nelle strade della città. Dello stesso tenore le dichiarazioni di Giorgia Meloni. Anche lei ha condiviso sui suoi profilo le immagini delle manifestazioni per il 25 aprile nella città emiliana, dove tutto sembra essere concesso sotto l'egida di una bandiera rossa e dei canti partigiani, anche in periodo di pandemia: "A Bologna sinistra in piazza con mega assembramenti. Mentre le manifestazioni di ristoratori, commercianti e cittadini in ginocchio vengono limitate e demonizzate, alle piazze degli amici della sinistra tutto viene permesso senza che nessuno si indigni". Evidentemente la zona arancione, vigente fino a oggi, e il divieto di assembramenti e l'obbligo di mascherine che non decadranno con il passaggio in zona gialla non valgono per la sinistra, libera di violare qualunque norma. La manifestazione si è svolta senza interruzioni da parte delle forze dell'ordine nonostante tra i manifestanti non ci fosse il famoso metro di distanza. Gli stessi che oggi sventolavano la bandiera rossa a Bologna sono probabilmente gli stessi che vorrebbero non riaprire mai il Paese e che segnalano alle forze dell'ordine le cene in compagnia dei vicini. Magari sono gli stessi che fotografano e riprendono gli assembramenti, in cui loro stessi si trovano coinvolti.

Mara Rodella per il "Corriere della Sera" il 19 aprile 2021. Quando i carabinieri forestali all'ora di pranzo di venerdì sono entrati nella sede della Comunità montana di Valle Trompia a Gardone Val Trompia, in provincia di Brescia, c'è chi ha fatto finta di nulla, chi ha negato qualsivoglia violazione delle regole e chi, nel frattempo, «nascondeva» sotto il tavolo imbandito una padella ancora piena di uccellini pronti per essere serviti ai commensali. Vietati. In tutto, 65 esemplari protetti (tre a testa circa): tutti «fringillidi», oltre a una peppola e due frosoni, particolarmente tutelati dalle normative di riferimento. Tutti finiti sotto sequestro. Al banchetto partecipavano oltre una ventina tra dirigenti e impiegati pubblici dell'ente sovracomunale, non si esclude organizzato anche con un giro di email. La segnalazione arrivata alle forze dell'ordine in realtà era di duplice natura: segnalare un potenziale assembramento in barba alle disposizioni anti Covid e anche il fatto che il menu fosse a base di fauna protetta. Se gli accertamenti sul primo aspetto sono ancora in corso (la sala era molto grande e il banchetto organizzato a buffet con sedie distanziate), non c'è voluto molto perché uno dei presenti, peraltro munito di regolare licenza di caccia, alzasse la mano e si prendesse tutta la responsabilità: «Sono stato io, quegli uccellini li ho portati tutti io». È stato denunciato per violazione della Legge anti caccia, la numero 157 del 1992, che punisce non solo l'abbattimento delle specie protette, ma anche la loro eventuale ricettazione. Durissime le reazioni alla vicenda, che si è verificata oltretutto in una sede istituzionale. «Dispiaciuto e rammaricato» il presidente della Comunità montana, Massimo Ottelli, che con la giunta si dice «pronto ad adottare i provvedimenti disciplinari previsti in base alle specifiche responsabilità accertate dalle verifiche in corso». Ricordando come la Comunità montana sia impegnata proprio «per lo sviluppo del territorio», annuncia «laddove ce ne saranno i presupposti, di costituirci parte civile per tutelare l'ente sovracomunale e la collettività che rappresenta». Quella degli uccellini protetti e proibiti, peculiarità dello spiedo non solo bresciano, è da tempo materia di scontro politico sul terreno, scivoloso, della regolamentazione dell'attività venatoria. La Lega ci ha provato anche di recente. L'ultima proposta del consigliere regionale Floriano Massardi sulla caccia in deroga, al fine di allentarne le maglie, risale alla fine dello scorso marzo: all'ordine del giorno una serie di modifiche alla Legge regionale 26 del 1993, tra le quali quella di consentire la caccia al cardellino, verdone, lucherino, fringuello, peppola, frosone, pispola, storno e tordela. Nulla di fatto: il Consiglio regionale ha bocciato le mozioni. A fronte di quanto accaduto a Gardone, però, proprio due parlamentari leghisti, Stefano Borghesi e Matteo Micheli, sottolineano «l'incredibile danno d'immagine procurato alla Val Trompia e soprattutto all'ente Comunità montana». Enpa Brescia esprime il suo sdegno in un post sul profilo Facebook: «Siamo amareggiati e arrabbiati, perché spesso chi dovrebbe dare l'esempio e far rispettare le regole è in realtà il primo che se ne frega». Dello stesso tenore il commento della Lac (la Lega anti caccia): «Quanto avvenuto è vergognoso, ennesimo sintomo della ridottissima percezione dell'illegalità venatoria nelle valli bresciane, non a caso al primo posto in Italia, e ai primi in Europa, per l'incidenza del bracconaggio».

Da “Ansa” il 18 aprile 2021. Si chiama Giovanna Saraceno e ha 36 anni l'attivista No Tav che ieri sera è rimasta ferita nel corso di una dimostrazione in Valle di Susa. La donna è una esponente di spicco del centro sociale autonomo 'Newroz' di Pisa. È già conosciuta dalle forze dell'ordine e a suo carico, secondo quanto si apprende, risultano diverse annotazioni da parte della Digos per episodi riconducibili a resistenza a pubblico ufficiale, oltraggio, interruzione di pubblico servizio, violenza privata e danneggiamento. È di 25 giorni la sua prognosi, secondo quanto riferito da ambienti della Città della Salute di Torino. La donna è al pronto soccorso di chirurgia dell'ospedale torinese delle Molinette, dove è stata portata con un «trauma da corpo contundente».

Da "Ansa" il 18 aprile 2021. Una dimostrazione dei No Tav davanti al cantiere del nuovo autoporto di San Didero, in Valle di Susa, ha chiuso nella tarda serata di ieri la giornata di manifestazioni del movimento che si oppone alla ferrovia Torino-Lione. Un centinaio di manifestanti hanno lanciato dalla ferrovia razzi, sassi e altri oggetti contundenti contro le forze dell'ordine, che hanno risposto con dei lacrimogeni. Fonti del movimento No Tav riferiscono che una attivista di nome Giovanna, "sempre presente alle nostre iniziative", è stata portata in ospedale con delle ferite al volto definite "gravi".

Francesca Galici per “ilgiornale.it”. Proseguono le proteste in Val di Susa dei No Tav, che stavolta hanno deciso di bloccare l'autostrada. Una modalità già vista in altre occasioni, che però stavolta si è spinta addirittura oltre riversando sull'asfalto della A26 pietre, tronchi e lamiere. A rendere il blocco ancora più pericoloso, addirittura un cavo d'acciaio fissato ad altezza uomo che poteva seriamente ammazzare qualcuno. Si è trattato dell'azione di circa 30 persone, che hanno raggiunto l'autostrada quando corteo No Tav era ormai ultimato. Immediato l'intervento della polizia, che ha provveduto a sospendere momentaneamente il traffico, e della società Sitaf che, invece, ha rimosso il blocco fisico. "Il movimento No Tav sta facendo di tutto per far sì che in Val di Susa ci scappi il morto: non si tratta nemmeno più di manifestazioni violente ma di veri e propri tentativi di omicidio. È una vera e propria follia", ha commentato il segretario generale del sindacato di polizia Coisp, Domenico Pianese. La sua è una ferma condanna: "Dopo le bombe carta, gli artifizi pirotecnici utilizzati come proiettili contro le forze di polizia, i massi e le biglie di acciaio, si è arrivati addirittura a posizionare cavi di acciaio tesi sull'autostrada che avrebbero potuto provocare perfino la morte di qualcuno. Questi atti di barbara guerriglia devono essere fermati con decisione e dovrebbero trovare unanime condanna da parte di tutte le forze politiche". Da giorni in Val di Susa i No tav manifestano contro la realizzazione del nuovo autoporto. Si tratta di una struttura di servizio che andrà a supportare l'alta verolicità ferroviaria tra Torino e Lione e contro la quale il movimento No Tav da giorni protesta. Anche ieri è stata una giornata intensa da questo punto di vista, perché l'ennesimo corteo è partito da San Didiero (dove sorge l'autoporto) e si è diretto verso San Gorio. Si tratta di piccole località della Val di Susa, ricadenti nell'area cantieristica della Tav. Secondo gli organizzatori erano circa 3mila le persone che ieri si sono riunite per manifestare. Fortunatamente, dopo gli scontri di 5 giorni fa quando rimase ferito al petto un poliziotto, il corteo non è entrato il contatto con lo schieramento delle forze dell'ordine. A San Didiero, dove sorge fisicamente il cantiere dell'autoporto, sono rimasti a presidio 6 attivisti, stando a quanto riferiscono gli organizzatori. Tra i simboli che si sono fatti notare durante la manifestazione, oltre a quello di rappresentanza dei No Tav, anche quelli di Rifondazione comunista, Potere al popolo e le bandiere rossonere degli anarchici, riferisce La Stampa. Contro l'autoporto si sono schierati anche alcuni sindaci. "Questo cantiere non ha le autorizzazioni urbanistiche che spetta al comune rilasciare. E noi non le abbiamo mai rilasciate", ha detto il sindaco di Bruzolo. Proprio la sua amministrazione ha firmato nei giorni scorsi una delibera contro l'impianto di supporto. Stessa posizione assunta dal sindaco di San Didiero. Il progetto, però, "è stato approvato dal Cipe e ha tutte le autorizzazioni necessarie per l'avvio dei lavori secondo quanto prevede la normativa". Questo affermano dalle parti di Telt, la società internazionale che si sta occupando del cantiere. "A ottobre 2020 il Tar aveva anche respinto un'istanza cautelare promossa dal Comune di San Didero sulle aree comunali soggette a uso civico necessarie per la rilocalizzazione dell'autoporto di Susa da parte di Sitaf", precisa la società.

Antonio Calitri per “Il Messaggero” il 16 aprile 2021. Ha pensato a uno stratagemma da film per superare i controlli Covid posti dall'ospedale di Ostuni, nella Valle d'Itria pugliese, travestendosi da infermiere per andare a visitare il padre che da qualche giorno era ricoverato nella struttura a causa dell'infezione virale. Ma proprio il padre involontariamente lo ha fatto scoprire dal medico che lo sta visitando e per il trentaseienne del vicino comune di Fasano sono iniziati i guai. Fermato dalla vigilanza della struttura, identificato dai Carabinieri, ora è accusato di diffusione di malattia infettiva e interruzione di un pubblico servizio, sanzionato per essersi spostato senza una motivazione valida, tra due comuni di una regione posta in zona rossa e infine, messo subito in quarantena per essere entrato in contatto con persone con il Covid-19. E non è ancora finita visto che i Carabinieri della Compagnia di Fasano ascolteranno altre persone e verificheranno altre circostanze prima di poter mandare in fascicolo in Procura. E anche all'ospedale starebbero verificando i video a circuito chiuso per scoprire se il travestimento da infermiere sia già stato utilizzato dall'uomo. Tutto incomincia mercoledì quando l'uomo prova a chiamare l'ospedale del vicino comune di Ostuni in cui è ricoverato il padre, per avere informazioni sulla sua salute. Non riesce ad ottenerle, anche se poi si scoprirà che i medici avevano già aggiornato il fratello e allora il trentaseienne decide di passare all'azione. Sale sulla sua automobile e raggiunge l'ospedale di Ostuni. Lì si traveste da infermiere facendosi ispirare dalle immagini più volte passate in televisione, soprattutto quelle del primo periodo della pandemia, quando scarseggiavano dispositivi di protezione individuale e quindi qualsiasi cosa andava bene. E così indossa una tuta da lavoro usa e getta di quelle che utilizzano gli imbianchini per non sporcarsi, dei calzari come quelli che si indossano nelle parti pubbliche di piscine e palestre, una mascherina FFP2 ed entra nell'ospedale senza essere fermato da nessuno. Chiede informazioni del reparto di pneumologia, le ottiene e raggiunge senza difficoltà proprio la stanza del padre. Lì però oltre al genitore c'è un medico che lo sta visitando e quando i due si riconoscono, il medico si accorge che quella presenza non deve stare lì e lancia l'allarme. L'uomo scappa, abbandona la tuta e i calzari (che potrebbero avere il virus) senza nessuna precauzione e si dirige verso l'uscita ma viene fermato dai vigilantes della struttura che nel frattempo sono stati allarmati. Nel frattempo arrivano i Carabinieri che lo identificano individuando i reati che ha commesso, denunciandolo per diffusione del virus per aver abbandonato i capi utilizzati nel reparto, senza alcuna precauzione, e per quello di interruzione di pubblico servizio per i medici che hanno dovuto interrompere il servizio per il caos creatosi compreso chi visitava il padre dell'intrufolato che è stata ritardata. Ma a fine indagine, potrebbero ravvisarsi anche altri reati come quello di entrare in una struttura sanitaria senza autorizzazione e lo scambio di persona. È stato inoltre sanzionato perché si trovava fuori dal suo comune, in violazione delle norme di contenimento del Covid19 in una regione rossa in cui questi spostamenti sono vietati, cosa che è risultato che aveva già fatto. Infine l'Asl di Brindisi l'ha messo in quarantena domiciliare perché è entrato in contatto con persone infette. E siccome i guai non arrivano mai da soli, a fine giornata ha pure scoperto che le condizioni del padre nel frattempo si erano aggravate ed è stato trasportato nell'ospedale Perrino di Brindisi.

Al via il Ramadan ai tempi del Covid, tra le rassicurazioni sul vaccino e il pericolo di focolai. È previsto per tutto il mese la rinuncia di cibo e bevande dall’alba al tramonto. I vertici religiosi si stanno impegnando per fugare i dubbi della popolazione musulmana sulla possibilità di essere vaccinati durante il digiuno. Luca Sebastiani su L'Espresso il 13 aprile 2021. In queste ore è cominciato il Ramadan previsto dall’Islam, in concomitanza con una delle fasi più critiche del piano vaccinale contro la pandemia, in Italia e nella maggior parte dei paesi nel mondo. Ma i musulmani che osservano il mese sacro di preghiera e digiuno potranno ricevere la dose di vaccino senza venir meno alla pratica religiosa? Un dubbio lecito che in molti si sono posti negli ultimi giorni. Dall’alba al tramonto, oltre al divieto di fumare e di praticare attività sessuale, il digiuno del Ramadan prevede anche l’astensione da qualsiasi cosa entri nelle cavità del corpo, ovvero la rinuncia di cibo, bevande e medicinali (non essenziali) a meno di gravi problemi di salute. Un precetto che potrebbe quindi comprendere anche la dose di vaccino anti-Covid, con la preoccupazione ulteriore di dover interrompere il digiuno a causa degli effetti collaterali e delle possibili conseguenze temporanee dell’iniezione, come nausea, qualche linea di febbre o malesseri. Dubbi e ansie a cui ha cercato di rispondere, appellandosi anche alle istituzioni religiose, la rivista scientifica The Lancet. Nel report “Ramadan and Covid-19 vaccine hesitancy - a call for action” ha evidenziato come ad oggi siano scarsi i dati certi sull’esitazione a vaccinarsi (nel mese sacro) da parte della popolazione musulmana nel mondo, che conta più di 1,9 miliardi di persone. Il caso citato è lo studio “Vaccination and blood sampling acceptability during Ramadan fasting month” condotto in Ghana nel 2017 da alcuni ricercatori internazionali, in cui è stato analizzato il tema nel contesto dell'epidemia di Ebola, in Africa occidentale. Durante il Ramadan l’accettazione del vaccino degli studiosi musulmani ha raggiunto l’80% mentre nella popolazione islamica una percentuale molto più bassa, solo il 40%. Numeri che testimoniano un'effettiva diminuzione e per cui si è resa necessaria un’esortazione ad agire per prevenire possibili rallentamenti e rinvii. Diversi leader religiosi locali, consapevoli del loro ruolo di guide, si sono impegnati quindi nel tranquillizzare i fedeli, con sermoni, riflessioni o qualche intervento sui social network, per infondere sicurezza e far sì che l'osservanza della religione non sia d'ostacolo alla campagna vaccinale. Una delle più alte e autorevoli voci religiose, quella del presidente generale per gli affari della Grande Moschea e della Moschea del Profeta in Arabia Saudita, lo sceicco Abdul-Rahman bin Abdulaziz Al-Sudais, si è alzata per confermare che l'iniezione non invalida il digiuno sacro. Anche nel Regno Unito un imam della città di Leeds, Qari Asim, ha spiegato che la dose non è nutritiva e viene iniettata nei muscoli, non nel flusso sanguigno. Per evitare comunque possibili astensioni, The Lancet ha consigliato di adibire le moschee come siti di vaccinazione, come per esempio successo a Birmingham, con il centro islamico Al-Abbas divenuta la prima moschea in Gran Bretagna a farlo. Tra i suggerimenti anche quello di prolungare gli orari di lavoro dei centri vaccinali, proprio per consentire ai musulmani di accedere alla dose dopo il tramonto. È su questo filone che si inserisce la proposta dei consiglieri della città di New York, Mark Levine e Daneek Miller, di tenere aperti 24 ore su 24 i siti, soprattutto quelli nei quartieri a maggioranza musulmana. Intanto in tutto il mondo le istituzioni, religiose e non, si stanno preparando per il mese sacro, il secondo ai tempi della pandemia del Covid. La Grande Moschea della Mecca, luogo simbolo e meta prevista dallo Hajj (il pellegrinaggio e quinto pilastro dell’Islam), ogni giorno verrà sanificata dieci volte, utilizzando 60 mila litri di liquido igienizzante. Ai fedeli che entreranno in numero contingentato verrà misurata la temperatura corporea con 30 termoscanner. C’è invece chi, come la Turchia, ha deciso di vietare ogni preghiera collettiva nelle moschee per tutta la durata del Ramadan, e chi, come il Marocco, ha esteso il coprifuoco dalle 20 di sera fino alle 6 di mattina per paura di diffusione del virus nelle tradizionali celebrazioni. Oltre al digiuno e alla preghiera, vissuti obbligatoriamente in maniera particolare, i musulmani sono chiamati anche a dedicarsi a coloro che sono stati colpiti più duramente dalla pandemia. “Durante il Mese Sacro e in pieno spirito di solidarietà, faccio appello ad un maggiore sostegno alle persone vulnerabili”, è il messaggio lanciato dall’Agenzia Onu per i Rifugiati (l’UNHCR) tramite il suo Alto Commissario, Filippo Grandi, che ha inoltre attivato la campagna globale di raccolta fondi, denominata “Every Second Counts”, in favore degli sfollati interni e delle persone costrette a fuggire dalle loro case.

Alessandra Muglia per corriere.it il 13 aprile 2021. Arrivano immagini impressionanti dal Kumbha Mela, il più grande pellegrinaggio al mondo che il Covid non ha fermato: sono centinaia di migliaia i pellegrini indù confluiti ad Haridwar, nel nord dell’India, per il tradizionale bagno purificatore nel Gange. Si immergono in massa nelle acque del fiume sacro per gli indù senza nessuna precauzione, malgrado l’ondata record di casi che sta azzannando l’India, diventato il secondo Paese al mondo più toccato dal virus. Su quasi un milione di devoti accorsi per il festival, quasi nessuno rispetta il distanziamento e indossa la mascherina. Nei controlli a campione ne sono risultati positivi al Covid almeno un centinaio, riferiscono i media locali. E per domani, mercoledì, tra le date clou della rassegna, sono attesi altre centinaia di migliaia di persone. Al di là del Kumbha Mela, quasi tutti i giorni altre folle si ammassano in comizi politici per le elezioni in corso in cinque stati chiave del Paese. Lo stesso premier Narendra Modi e il suo braccio destro, il potente ministro dell’Interno Amit Shah, continuano a postare sui social immagini di raduni oceanici di supporter pigiati uno sull’altro senza mascherina. Nel pieno della nuova ondata l’India registra il doppio dei casi di Stati Uniti e Brasile, gli altri due Paesi più colpiti della pandemia. Davanti a questa crescita esponenziale delle infezioni (dai 10 mila casi di inizio febbraio agli attuali 170 mila) il governo di New Delhi sta provando ad accelerare la campagna di vaccinazione, una delle più grandi e complesse al mondo: finora ha somministrato alla sua popolazione oltre 106 milioni di dosi, ma in un Paese da 1,3 miliardi di persone l’immunità di gregge è ancora lontana. Per arrivare al traguardo, il governo ha sospeso nelle ultime settimane le esportazioni all’estero dei vaccini «made in India» (il Paese ha finora venduto all’estero oltre 54,6 milioni di dosi, per lo più AstraZeneca, e ne ha donate oltre 10 milioni), e ora ha deciso di accelerare l’iter delle autorizzazioni per l’uso di emergenza di vaccini stranieri già approvati dall’americana Food and Drug Administration, dall’Ema, dll’Oms, e altri enti, britannici e giapponesi: non servirà più condurre test in loco prima dell’approvazione, basterà dopo osservare per una settimana i primi cento destinatari dei vaccini stranieri autorizzati. New Delhi ha così preparato la strada all’importazione di dosi di Pfizer, Johnson & Johnson e Moderna, diventando - da fornitore che era - un concorrente dell’Europa nella corsa all’accaparramento di fiale anti Covid.

Alessandro Gassman "delatore", assembramenti in casa del vicino. Enrico Ruggeri: "Nostalgia della Stasi". Libero Quotidiano il 15 aprile 2021. Clamoroso scontro social tra Alessandro Gassman ed Enrico Ruggeri. L'attore romano su Twitter invita, più o meno, i suoi followers a denunciare i vicini che festeggiano in casa in barba alle normative anti-assembramenti e il cantante milanese, contrario alle delazioni, commenta: "Come la Stasi". E il tema, ovviamente, divide gli italiani. "...Sai quelle cose di condominio quando senti in casa del tuo vicino inequivocabilmente il frastuono di un party con decine di ragazzi? Hai due possibilità: chiamare la polizia e rovinarti i rapporti con il vicino, ignorare e sopportare, scendere e suonare", scrive qualche giorno fa il figlio del grande Vittorio. "Ci mancavano pure i delatori vip", è stato uno dei primi commenti "di peso", quello di Nicola Porro, presentatore di Quarta repubblica. "Grande attore e regista... con un po' di nostalgia per i tempi andati della Germania Est...", è l'ironica definizione data da Ruggeri su Gassman Junior. Seguono decine e decine di critiche ("Siamo in un Paese in cui si invidia il successo e si ammira la furbizia. Devastante"), insulti e minacce. "Fai il ganzo perché come vicino avrai qualcuno come te, ti vorrei vedere con quello che non ha nulla da perdere, te ne staresti buono e zitto". Gassman ha risposto a quasi tutti i commenti, con tono garbato ma fermo. Anzi, irremovibile: "Dire quello che si pensa e chiedere il rispetto delle regole, dopo quasi un anno e mezzo di pandemia, viene da una parte consistente vissuto con reazioni di violenza, insulti e minacce. Grazie a chi, anche se in disaccordo, ha voglia di confrontarsi".

Da leggo.it il 15 aprile 2021. Il vicino di casa organizza una festa che viola le regole anti-Covid: si dilunga oltre il coprifuoco e in casa sembrano esserci troppe persone. Che fare in questi casi? Denunciare alle forze dell'ordine o lasciar correre per non rovinare i rapporti tra condomini? Se lo è chiesto Alessandro Gassmann in un tweet che ha scatenato un enorme dibattito culminato in insulti e minacce. «Mi dispiace soprattutto per mia moglie, che è spaventata e ringrazio chi invece mi sta mandando bellissimi messaggi», ha spiegato l'attore all'indomani delle roventi polemiche scatenate dal suo post su Twitter. L'attore romano aveva raccontato un episodio accaduto nel suo condominio, rivelando di aver sentito il frastuono provenire dalla casa del vicino dove presumibilmente si stava svolgendo un party tra ragazzi. Gassmann ha ipotizzato, tra le possibili azioni da intraprendere in un caso simile, anche quella di chiamare le forze dell'ordine per far imporre il rispetto delle regole vigenti. "... sai quelle cose di condominio quando senti in casa del tuo vicino, inequivocabilmente il frastuono di un party con decine di ragazzi?... hai due possibilità: chiamare la polizia e rovinarti i rapporti con il vicino, ignorare e sopportare, scendere e suonare...", aveva scritto Gassmann. Il post dell'attore ha scatenato un vespaio di polemiche, facendo insorgere molti internauti che lo hanno accusato di essere una 'spia' e usare metodi eccessivamente 'delatori'. Tra loro anche qualche personaggio noto. "Grande attore e regista...con un po' di nostalgia per i tempi andati della Germania Est", scrive Enrico Ruggeri. L'attore ha spiegato però che il rispetto della normativa è, a suo avviso, l'unico modo per uscire da questo momento. "Solo seguendo tutti le regole, usciremo da questa drammatica situazione", conclude Gassmann.

Da rtl.it il 16 aprile 2021. Il venerdì mattina a partire dalle 8.00 alle 9.00 in diretta su RTL 102.5, il consueto appuntamento con Giletti 102.5 condotto da Massimo Giletti e Luigi Santarelli. Al centro sempre la stretta attualità e come sempre, microfoni aperti per tutti gli ascoltatori che vogliono dire la loro su tutti i fatti più importanti della settimana, e anche grandi ospiti. Questa mattina molti come sempre gli argomenti: in settimana le proposte di ristoratori e altre categorie per chiedere quelle riaperture che il Governo potrebbe discutere la prossima settimana. Intanto, il vaccino Johson&Johnson nel mirino. Nella puntata di oggi la voce di Barbara Palombelli. “Io ho parecchi vicini fanno anche feste in giardino con i bambini e mi mette una grande allegria. Sinceramente non mi sento di giudicare, anche perché da quel che ho letto erano all’aria aperta in un cortile, quindi non credo ci fossero gli estremi per un assembramento pericoloso, quindi io mi sarei fatta i fatti miei”. Così la nota presentatrice Barbara Palombelli sul caso che ha visto Gassmann al centro di alcune polemiche per un tweet dove annunciava di denunciare i suoi vicini di casa che stavano facendo una festa. Tra le risposte di attacco nei confronti di Gassmann, quella di Enrico Ruggeri che lo ha definito "nostalgico per i tempi andati della Germania Est".

Massimo Gramellini per il “Corriere della Sera” il 16 aprile 2021. Che fare quando il vicino di pianerottolo organizza un assembramento festaiolo, premessa di un potenziale focolaio? Se lo è chiesto con l’abituale mitezza Alessandro Gassmann, limitandosi a esporre le possibili alternative: fare finta di niente, condurre una trattativa diplomatica con il vicino, denunciare gli aventi party alle autorità. I beceri in servizio permanente effettivo lo hanno coperto di insulti, attribuendogli la terza scelta per il solo fatto di averla evocata. Una minoranza di ironici, l’unica che qui ci interessa, ha parlato con la voce di Enrico Ruggeri, equiparando la delazione condominiale ai metodi della Germania comunista. Però quella era una dittatura occhiuta e orecchiuta. Mentre il contagio è quanto di più democratico si possa immaginare: passa di fiato in fiato senza distinzioni ideologiche, e chi lo incentiva non sta esercitando la sua libertà, ma minacciando quella altrui. Messo alle strette, credo che mi comporterei come suppongo abbia fatto Gassmann. Prima sopporterei rodendomi il fegato. Poi andrei a parlamentare con i reprobi cercando di non lasciarmi corrompere da una tartina. E infine NON denuncerei nessuno (per farlo bisogna averci il fisico), limitandomi a scrivere la storia sui social senza fare i nomi, che se non uno sputtanamento è almeno un avvertimento. Nella speranza che il senso del ridicolo riesca sempre a proteggermi dal virus dell’ego, che ci fa parlare come Gassmann quando la festa è degli altri e come Ruggeri quando è la nostra.

Ruggeri torna su Gassmann: "Se denunci le feste, fallo con tutto". Francesca Galici il 16 Aprile 2021 su Il Giornale. Enrico Ruggeri ha spiegato il senso del suo tweet contro Alessandro Gassmann, ha attaccato Giuseppe Conte e la narrazione della pandemia. Alessandro Gassmann è tra gli argomenti preferiti degli ultimi giorni sui social. Il motivo è nella denuncia di una festa all'interno del suo condominio in violazione delle attuali norme contro il contagio da coronavirus. Sui social gli sono piovute addosso le peggiori accuse, è stato etichettato come delatore e, per giunta, minacciato di morte. Stesso trattamento ha ricevuto sua moglie, totalmente estranea alla vicenda. Di suo padre, il grande Vittorio Gassman, è stata invece insultata e derisa la memoria. Sulla vicenda è intervenuto anche Enrico Ruggeri con un tweet, che nelle intenzioni sarebbe voluto essere critico ma leggero ma che, purtroppo, come spesso accade ha scatenato i peggiori istinti sui social.

"Attore con nostalgia della Germania Est". Qualche giorno fa sul suo profilo Twitter, dove è molto attivo, il cantante ha scritto. "Grande attore e regista... con un po’ di nostalgia per i tempi andati della Germania Est...". In quel momento è esplosa la polemica. "Mi rendo conto che oggi su Twitter tutto diventa enorme. Se quella battuta l’avessi fatta ad Alessandro a cena insieme, ne avrebbe riso anche lui. Mi dispiace molto la contrapposizione e il malcostume di cui spesso sono stato vittima anche io", si rammarica sul Corriere della sera Enrico Ruggeri, che nell'immaginario social a causa di quel tweet è diventato un nemico di Alessandro Gassmann. "Ho letto insulti su di lui, la sua famiglia, suo padre. Una cosa orribile. Alessandro è un grande attore e regista che ha un peso (il cognome) terribile da portare, ma lo porta egregiamente. Il suo film Il premio è bellissimo. Questa guerra di tutti contro tutti - che Hobbes aveva previsto secoli fa - è terribile. E Twitter amplifica le controversie". Enrico Ruggeri farebbe lo stesso? "Non so rispondere. Posso dire però che se lo faccio, lo farei sempre e per tutto. Se vedo uno che ruba una macchina, uno che picchia la fidanzata, se alla Stazione Centrale vedo tre tizi che si scambiano una bustina", ha detto al Corriere.

Le accuse di Ruggeri. D'altronde, il cantante nell'ultimo anno ha più volte dichiarato la sua contrarietà alle regole, soprattutto quelle da lui considerate inutili: "Non capisco perché in mezzo alla strada devo mettere la mascherina. Se entro in un negozio la metto, ma se sono all’aperto no. In un vicolo stretto con 50 persone la metto, sì. Ristoranti aperti a pranzo e a cena no. Ci stanno abituando a obbedire a regole che non capiamo, e non è un bel segno se guardiamo indietro nella storia". Per Enrico Ruggeri da un anno si discute di qualcosa di non oggettivo, che divide la stessa opinione scientifica. "Io ne faccio una questione filosofica: non possiamo rinunciare a vivere per paura di morire", spiega il cantante che però rifiuta l'etichetta di negazionista. Enrico Ruggeri non nega che esista un problema e che ci sia la pandemia, tanto che la mascherina la utilizza, ma è fortemente critico per la gestione che è stata adottata della stessa, per la narrazione sbagliata. "Hanno scritto di alcune persone famose morte per Covid e io so per certo che non era vero. Un uomo di 32 anni, in coma irreversibile da tre anni per una pallottola in testa, hanno detto che è morto di Covid (che forse ha preso in ospedale). Questa è una distorsione", accusa Ruggeri.

La stoccata a Conte. Il cantautore si è speso tantissimo nell'ultimo anno a supporto del mondo dello spettacolo, soprattutto dei lavoratori che da 15 mesi quasi non hanno uno stipendio. Durante l'intervista al Corsera si toglie l'ennesimo sassolino dalla scarpa nei confronti di Giuseppe Conte e della frase che ha fatto indignare gli artisti di tutta Italia: "Il mondo dello spettacolo è stato umiliato. Quella frase 'I cantanti che ci fanno tanto divertire' è un macigno che pesa su chi l’ha pronunciata, più che su di noi". Ma Ruggeri non risparmia una frecciatina al veleno anche ai suoi colleghi, colpevoli di non spendersi pubblicamente per la battaglia: "Tantissimi miei colleghi mi fanno congratulazioni segrete per sms. Io ci metto la faccia, loro tacciono".

Quando il delatore Gassmann reclamava i vaccini per gli attori. Serena Pizzi il 13 Aprile 2021 su Il Giornale. Gassmann si compiace nel segnalare i vicini festaioli, ma il web lo massacra e lui blocca tutti. Però ringrazia per i bei messaggi. Avere un vicino di casa come Alessandro Gassmann non deve essere affatto facile. Soprattutto di questi tempi. Perché lo spione che al primo rumore molesto inizia a citofonarti o a bussare alla porta o addirittura ti mette alla gogna mediatica è una bella croce da portarsi dietro. Lo diciamo fin da subito a scanso di equivoci: le regole ci sono e vanno osservate. Chiunque faccia feste, festini, cene e pranzetti è un vigliacco che non ha rispetto di chi da un anno a questa parte è segregato in casa. Detto questo, ci viene anche da aggiungere che i delatori sono una brutta "razza". Le spie invocate da Roberto Speranza lo scorso ottobre mentre era ospite da Fabio Fazio - poi ritrattate - non sono mai piaciute ai cittadini italiani. Per chi non lo ricordasse: il ministro della Salute se ne era uscito con una frase discutibile che aveva sollevato un vespaio. "Quando c'è una norma, questa va rispettata e gli italiani hanno dimostrato di non aver bisogno di un carabiniere o di un poliziotto a controllarli personalmente. Ma è chiaro che aumenteremo i controlli, ci saranno le segnalazioni. Io mi fido molto anche dei genitori e nel momento in cui si dà un'indicazione formale io sono sicuro che la maggior parte delle persone la seguirà".

Ecco il punto: le segnalazioni. L'affidarsi alle sentinelle - lo ricorderete - non aveva conquistato il cuore italiano da sempre amante della libertà. Tanto che se il vicino di casa ti scrutava con sospetto scattava la classica domanda: "Cosa c'è da guardare?". Se invece la vittima era una persona più pacata, non ti interrogava, ma il suo cervello elaborava dati per arrivare alla conclusione che "quella è una spia assoldata da Speranza". Ma questo è il passato, che poco ci piace. Andiamo al presente, dove la Stasi pare essere tornata di moda. Purtroppo. Due giorni fa, Gassmann cinguettava: "... sai quelle cose di condominio quando senti in casa del tuo vicino, inequivocabilmente il frastuono di un party con decine di ragazzini?... hai due possibilità: chiamare la polizia e rovinarti i rapporti con il vicino, ignorare e sopportare, scendere e suonare...". Tralasciando la discutibilissima grammatica del testo, punteggiatura e pure le basi della matematica (le possibilità sono tre), scopriamo un attore-sentinella che sui social si vanta di aver segnalato alle autorità competenti il "mega rave party". "Fatto il mio dovere. Fiero", rincara in un commento, ma poco dopo lo fa sparire e lo rimpiazza con un "nulla". Beh, nel caos poco si capisce. La denuncia è arrivata? La polizia? Cosa diamine è successo domenica sera nell'appartamento accanto a quello del nostro Alessandro? Cinque elementi sono certi: Gassmann non si tiene un cecio in bocca, vantandosi in rete per il suo gesto ha fatto incazzare (quasi) tutti, gli utenti lo hanno insultato, lui ha bloccato i famigerati hater e ha reso il profilo di Twitter privato. Gli insulti e le minacce sono inammissibili, ci mancherebbe. Anche se non ci piace il vicino-spione ce ne dobbiamo fare una ragione. Di sicuro non possiamo rispondergli che lo aspettiamo sotto casa con una spranga di ferro. Serve un po' di pace in un mondo già devastato dalla guerra del Covid. Certo, ci piacerebbe essere più liberi. Magari poter vedere qualche amico, senza che qualcuno vada a misurare i decibel del nostro tono di voce o a contare quante sagome abbiamo in casa. Ma ci sono delle regole: rispettiamole. C'è anche un altro concetto da snocciolare. Gassmann non ha commesso il peccato originale denunciando i trasgressori. Quello che ha fatto girare le palle è stato il modo con cui ha informato il mondo del suo gesto "eroico". Pensavamo che il caso Scanzi - classico esempio del chi si loda si sbroda - avesse insegnato qualcosa. E invece... pure lui ha peccato di troppa superbia. Che bisogno c'era di denunciare il fatto sui social? Se il suo intento era soltanto quello di fermare il "festone", sarebbe bastato chiamare la polizia, tornare a dormire e il giorno dopo fare finta di nulla. No? Ovviamente, dopo più di 24 ore di "mazzate" l'attore ha rotto il silenzio con l'AdnKronos: "Mi dispiace per le polemiche e anche per gli insulti e le minacce che ho ricevuto. Quasi un anno e mezzo di pandemia ha esacerbato gli animi portando ad una rabbia diffusa. Mi dispiace soprattutto per mia moglie, che è spaventata e ringrazio chi invece mi sta mandando bellissimi messaggi". Anche queste poche frasi potrebbero essere contestate liberamente. Di chi è la rabbia diffusa? Sua o di chi lo ha insultato? Dei vicini chiassosi? Ringrazia per i messaggi, benissimo. Peccato che la maggior parte degli utenti siano stati censurati perché non la pensano come lui. Quindi sarà stato ringraziato da altre spie. Piccola postilla. A marzo, Gassmann reclamava i vaccini per gli attori. "Quando saranno vaccinate le categorie più a rischio: medici, personale medico tutto, anziani, forze dell’ordine, forse qualcuno dovrebbe pensare anche agli attori? Unica categoria che deve lavorare senza mascherina?", scriveva sempre sul suo fidato Twitter. Anche qui è scoppiato il bordello, ma la nostra celebrity non ha mollato l'osso. Forse voleva il vaccino per imbucarsi alle feste prima degli altri? Pare che non ce l'abbia fatta e sia finito a fare il guardone ai party degli altri.

Moschee abusive stracolme, alla faccia del lockdown. A Milano assembramenti record di islamici. Monica Pucci sabato 10 Aprile 2021 su Il Secolo d'Italia. “La situazione delle moschee abusive a Milano è ormai un’emergenza. Pur essendo Milano in zona rossa la moschea abusiva di via Cavalcanti è stracolma in più giorni e nei diversi orari delle preghiere. Sia giovedì che venerdì si sono radunate oltre 300 persone alla volta, addirittura con le file e le guardie di sicurezza all’esterno”. A denunciarlo sono Silvia Sardone, eurodeputata della Lega e Samuele Piscina, presidente leghista del Municipio 2. “Si tratta di un problema che va avanti da anni, ci sono state sentenze del giudice che hanno giudicato illegittimo l’uso di questi locali per la moschea. E’ il Comune di Milano che deve mettere i sigilli e infatti la proprietà del condominio ha avviato un procedimento contro il Comune perché inadempiente e perché non fa rispettare le regole. E’ assurdo che gli italiani vengano multati in zona rossa mentre centinaia di persone possono radunarsi illegalmente in un luogo abusivo! Inoltre non c’è nessuno controllo su chi partecipa, sulle prediche, sui finanziamenti. I cittadini della zona sono esasperati da questa situazione. Questi abusi sono indecenti”, aggiungono. “E’ l’esempio di una Milano dove la legalità c’è ma non per tutti. Il Comune di Milano – commenta Luca Lepore, assessore leghista al Municipio 2 – ha il dovere di ripristinare la legalità ma se ne dimentica. E’ questa la Milano che non funziona e che vogliamo cambiare!”. Ma anche Roma non sta messa meglio… Proprio ieri, alla Camera, era stata bocciata una mozione di Fratelli d’Italia contro le moschee abusive. «La sinistra blocca la “norma anti-moschee abusive” di Fratelli d’Italia. In Commissione Ambiente alla Camera è stata bocciata la nostra proposta di legge per restringere le maglie della normativa sulle associazioni di promozione sociale, usata oggi come escamotage dalle comunità islamiche per derogare le norme urbanistiche e creare luoghi di culto e madrase abusivi in negozi, magazzini, scantinati e garage. Siamo rimasti i soli a portare avanti questa battaglia ma non demordiamo e continueremo a sostenerla in Parlamento”.

Non c'è Coviddi. Da corrieredellosport.it il 9 aprile 2021. Angela Chianello, detta da Mondello, è tornata. Assente da tempo in tv la vulcanica siciliana ha alzato la voce su Instagram, dove è seguita da circa 130 mila follower. Angela ha puntato il dito contro Barbara d'Urso rea, a detta della Chianello, di averla "sfruttata" solo per racimolare qualche punto in più di share. "Sono stata 8 mesi zitta e buona e ora mi sono rotta. Otto mesi fa mi hai fatto l'intervista a Mondello, mandando in onda quella parte d'intervista e facendo succedere un macello. Mi hai mandato i tuoi giornalisti sotto casa mia, vi ho fatti educatamente entrare a casa mia, hai parlato con mia madre, hai detto che hai un cuore. Volevi parlare a tutti i costi con me e ce l'hai fatta. Mi complimento con te perché nel tuo lavoro sei brava", ha spiegato Angela da Mondello. "Il senso era far capire chi fosse davvero Angela. Non hai battuto un pugno per aiutarmi. Non hai fatto nulla per salvaguardare mia figlia, hai fatto due puntate con me per fare audience e ti sei lavata le mani mentre io prendevo ogni tipo di insulto", ha aggiunto.

Angela da Mondello contro Barbara d'Urso. "Dici di essere madre, di avere un cuore, ma quello che dici lo devi dimostrare. Non è stato corretto buttarmi in un branco di leoni da cui piano piano sto uscendo. Ti sei presa gioco di me e della mia famiglia. Due mesi fa mi avete contattata per avere delle prove, sono venuta a Mediaset per parlare con te e me lo hanno impedito. Sono stata ricevuta in mezzo a una strada, a differenza di quello che ho fatto con voi. Per dirmi cosa? Allontanati perché c’è il Covid. Non c’era quando mi avete intervistata a giugno?", ha poi rimarcato Angela da Mondello nel video in cui si rivolge direttamente a Barbara d'Urso. La Chianello ha infine rivelato cosa vuole dalla presentatrice Mediaset: "Non voglio venire da te per soldi, perché non ne ho bisogno. Sono disposta a venire a parlare con te a gratis, ma io ti ho ricevuta al telefono e tu no. Mi devi dare il diritto di parola, lo pretendo, dimostra di avere un cuore. Mi hai rovinato 8 mesi della mia vita, ero felice, non ricca ma felice. Fai la madre, aspetto la tua risposta". Al momento ancora nessuna replica è arrivata dalla d'Urso.

Da ilmessaggero.it il 5 aprile 2021. Quarantaquattro invitati. Una festa in piena regola, peccato che non siano state rispettate le regole più importanti, quelle anti Covid. Erano ben 44, infatti, le persone che nel tardo pomeriggio di ieri stavano partecipando a una festa in un'abitazione di via Scalarini, nella zona di Scalo Romana, a Milano. La festa, o meglio l'assembramento, è stato interrotto dagli agenti della Questura. Gli invitati sono tutti di età compresa tra i 20 e i 45 anni: saranno sanzionati per la violazione delle normative anti Covid. Un'altra festa è stata interrotta sempre a Milano, dai carabinieri, in Via Tucidide. Sono stati i residenti dello stabile a segnalare rumori e schiamazzi provenienti dall'abitazione. Sul posto i militari hanno trovato 16 persone che ascoltavano musica ad alto volume. Tutti studenti universitari che sono stati identificati e sanzionati. Nella nottata, infine, militari del Nucleo Radiomobile sono intervenuti in Viale Piceno, a Milano, sempre su segnalazione dei residenti, e hanno trovato 19 persone che ascoltavano musica ad alto volume e consumavano alcolici. Dei partecipanti alla festa, tutti ventenni, studenti universitari «fuori sede», solo due ragazze, sono risultate domiciliate nell'appartamento, mentre i restanti 17 sono risultati residenti altrove. Tutti i presenti sono stati identificati e sanzionati.

SIAMO ARRIVATI ALL’ASSURDO! Questa sera sono andata a comprare due pacchi di assorbenti ma mi è stato vietato perché...Pubblicato da Alessia Ria su Martedì 30 marzo 2021

Rosa Scognamiglio per "ilgiornale.it" il 5 aprile 2021. "La vendita di assorbenti è vietata dopo le 18, oppure, dimostri che si tratta di una necessità". Si è sentita rispondere così Alessia Ria, una ragazza di Collepasso, in provincia di Lecce, dalla cassiera del supermecato del suo paese. Il motivo? Perché dopo le 18 è proibita la vendita di prodotti diversi da quelli rientranti nella categoria dei "beni di prima necessità". E, a quanto pare, gli assorbenti non lo sono.

La disavventura di Alessia. La storia, che a tratti potrà sembrare paradossale, è stata raccontata sulle pagine dal Corriere Salentino salvo poi essere rilanciata sui social in tempi record. Protagonista della disavventura è Alessia Ria, una studentessa 22enne di Collepasso, piccola cittadina in provincia di Leccese. Pressapoco alle ore 18.15 di ieri, si è recata presso un minimarket del suo paese per acquistare degli assorbenti quando, davanti allo scaffale dove sono esposti prodotti per l'igiene intima, si è imbattuta in un cartello bizzaro: "Informiamo la Gentile clientela che, causa emergenza Covid, dopo le 18 non è possibile acquistare prodotti presenti in quest'area". Data la circostanza di stretta necessità, e ritenendo a buona ragione che gli assorbenti non rientrassero nell'assortimento di prodotti per i quali era stata interdetta la vendita, Alessia ne ha afferrato una confenzione. Tutto liscio finché, una volta giunta in cassa per pagare, la cassiera le ha fatto notare che non avrebbe potuto procedere all'acquisto. "Non sono beni di prima necessità, deve lasciarli. - ha spiegato alla 22enne -La nuova normativa parla chiaro. Questi non sono prodotti che si possono comprare dopo le 18". Poi, la ciliegina sulla torta "A meno che non con una certificazione dei carabinieri che ha il ciclo, non può prenderli", ha concluso la cassiera. A nulla sono servite le rimostranze della giovane che, nonostante il tentativo di contestare l'assurdità del divieto, è tornata a casa a mani vuote.

Cosa prevede l'ordinanza. Dal negozio hanno fatto sapere che i carabinieri erano stati lì quella mattina precisando di "non volere più rogne". Come se avere il ciclo, nel 2021, fosse un problema e acquistare degli assorbenti una trasgressione dell'ultim'ora. In realtà, però, c'è una spiegazione. Il divieto fa riferimento ad un provvedimento sancito dall'articolo 2 dell'ordinanza firmata dal governatore Michele Emiliano che impone la chiusura di tutte le attività commerciali, dal 27 marzo al 6 aprile, dopo le ore 18, salvo quelle destinate alla vendita dei generi alimentari, carburante, e farmaci. "In farmacia avrei potuto comprarli - spiega Alessia al Corriere Salentino -con un raddoppio del costo magari. Non sono andata a comprare profumi ma un prodotto ch mi serviva. Mi sono sentita in colpa per avere il ciclo, non è ammissibile in un Paese come il nostro che gli assorbenti debbano essere considerati un bene di lusso".

Lo sfogo sui social. La studentessa ha poi raccontato la disavventura sui social senza mancare uno sfogo su Facebook che, nel giro di poche ore, ha accolto decine di consensi. "Siamo arrivati all'assurdo - scrive in un post - Questa sera sono andata a comprare due pacchi di assorbenti ma mi è stato vietato perché non sono considerati “beni di prima necessità. Quindi non solo sono considerati “beni di lusso”, non solo paghiamo il 22% di IVA, ma adesso devo anche privarmi di un qualcosa di cui IO E MILIARDI DI DONNE abbiamo bisogno ogni mese! CHE FACCIAMO, per questa zona rossa non facciamo venire la Mestruazione??? SONO SENZA PAROLE!".

Un anno di rancore nelle chiamate al 112. Un ispettore racconta: feste segrete, gente sotto il letto, vicini che si vendicano di vicini. Giuseppe Marino - Dom, 04/04/2021 - su Il Giornale. «Se leggi questo cartello, non sei bloccato nel traffico: sei il traffico» recitava una pubblicità del trasporto pubblico esposta nelle autostrade d'America. Oggi sarebbe la risposta perfetta a quanti affollano le strade e sui social postano foto degli altri accusando: «Ma che ci fa tutta questa gente in giro?». L'empatia non è sopravvissuta alla prima fase della pandemia. E la prova è nel boom di denunce contro i vicini di casa che arrivano al 112 o attraverso l'app Youpol della Polizia di Stato, che consente l'anonimato. «All'inizio dell'epidemia pattugliavamo strade e parchi -racconta al Giornale Nicola Carpinelli, ispettore superiore di polizia e sindacalista del Sap- solo nelle due zone di Milano dove opero io arrivano tre o quattro segnalazioni di feste nelle case per turno di lavoro. Ogni weekend 8-10 interventi». Vicini che denunciano vicini, ristoratori contro altri ristoratori, ma anche semplici passanti. Come l'uomo che ha denunciato la festa nella casa sulla collina torinese del calciatore juventino McKennie: ha raccontato che stava portando a spasso il cane alle 22,30, cioè dopo il coprifuoco, cosa consentita solo se si autocertifica di aver avuto un impedimento a farlo prima, altrimenti andava multato pure lui. «Le regole -dice Gianni Tonelli, ex poliziotto e parlamentare della Lega- sono complesse, mancano di ragionevolezza e per questo hanno un basso indice di effettività». E infatti a marzo le sanzioni sono state solo 48.000 su oltre 3 milioni di denunce, appena l'1,5%. «In effetti anche per noi non è facile stare al passo con regole che cambiano così spesso», confessa Carpinelli. Certi sindaci ci mettono del loro. Ad Arezzo la polizia locale ha il mandato di controllare che le porzioni dei piatti d'asporto non siano sospettosamente abbondanti. A Borgosesia il sindaco leghista ha avvisato che denuncerà per procurato allarme chi segnala riunioni private che in realtà rispettavano le regole. Dall'osservatorio del 112, si ascolta la voce di un'Italia rancorosa e non solo a causa del Covid. Quasi sempre a far scattare la telefonata sono i rumori festosi che attirano troppa attenzione o disturbano. Come nello scorso ottobre a Vinovo, nel torinese, dove però i carabinieri al loro arrivo hanno scoperto che i rumori venivano da un bar che all'epoca, essendo in zona gialla e con tavoli all'aperto distanziati e mascherine, era in regola. La delazione è anche un modo per sistemare vecchi e nuovi conti in sospeso. «Una sera ci è arrivata la chiamata di un uomo che ha raccontato di essere a una festa dove il suo compagno si era sentito male -rievoca Carpinelli- in realtà aveva litigato e lo avevano allontanato dalla festa, il suo compagno era rimasto e lui era geloso. I partecipanti alla festa sono stati tutti denunciati». Stesso finale anche per un ristorante in zona Monforte a Milano, dove si entrava con una parola d'ordine concordata su Facebook. «Ci è capitato anche -racconta Carpinelli- di trovare gente nascosta sotto il letto e nell'armadio». Ma, curiosità a parte, la caccia all'assembramento è un lavoro sempre più ingrato. «La gente è stanca -spiega Carpinelli- e anche per noi non è facile sanzionare persone che magari hanno perso il lavoro». Il 112 registra un segnale allarmante: tanti tentativi di suicidio da Covid: anziani soli, persone impoverite e disperate. Le vittime che nei bollettini quotidiani non compaiono.

LA MELONI E FRATELLI D’ITALIA CONTRO MICHELE EMILIANO: “PUGLIESI STUPIDI E SENZA CERVELLO? DICE ‘NON CHIEDETE CONTROLLI’ E’ GRAVISSIMO “. Il Corriere del Giorno il 3 Aprile 2021. Per Giorgia Meloni “Siamo passati dall’Emiliano delle ordinanze all’Emiliano del ‘fate funzionare il cervello’. Prendiamo così atto che siamo di fronte a un presidente della Regione che pensa che i pugliesi siano stupidi e non fanno funzionare il cervello. Al peggio non c’è mai fine, purtroppo.” “Praticamente ha detto che lo Stato che anche lui rappresenta, peraltro pure come magistrato in aspettativa, ha fallito in uno dei suoi ruoli principali, la sicurezza”. “Ieri su SkyTg24 il presidente Michele Emiliano ha testualmente detto ‘evitate di chiedere controlli perché tanto nessuno è in grado di multarvi’’”. La denuncia arriva da Fratelli d’Italia, che in una nota ufficiale ha puntato il dito contro il governatore della Regione Puglia: “Praticamente ha detto che lo Stato che anche lui rappresenta, peraltro pure come magistrato in aspettativa, ha fallito in uno dei suoi ruoli principali, la sicurezza”. “Parliamoci chiaro non pretendete dallo Stato ciò che voi stessi poi non siete in grado di fare da soli, facendo funzionare un po’ il cervello” aveva dichiarato Emiliano a SkyTg24, rivolgendo un appello ai cittadini. Per Fdi si tratta di una sorta di invito all’anarchia, al si salvi chi può visto che lo Stato non è più in grado di farlo. “Di fronte ad affermazioni come queste, fatte dalla più alta istituzione regionale, ci aspettavamo che qualcuno si indignasse o preoccupasse”, ha aggiunto Fdi. E invece così non è stato: “Dichiarazioni come queste avrebbero dovuto perlomeno finire all’attenzione proprio dello Stato centrale. Invece nulla, siamo passati dall’Emiliano delle ordinanze all’Emiliano del ‘fate funzionare il cervello’. Prendiamo così atto che siamo di fronte a un presidente della Regione che pensa che i pugliesi siano stupidi e non fanno funzionare il cervello. Al peggio non c’è mai fine, purtroppo. Con il silenzio/assenso delle altre istituzioni”. 

Coronavirus, la strage silenziosa è quella dei sacerdoti: "Uno su tre è finito al cimitero". Renato Farina su Libero Quotidiano il 02 aprile 2021. Sono 269 i preti morti per il Covid tra il primo marzo del 2020 e analogo giorno del 2021. Sono conteggiati solo i sacerdoti diocesani, sono esclusi cioè i religiosi. Ricordo servizi televisivi dove si cercavano di sorprendere, facendo a gara con i carabinieri, curati che tenevano alto l'ostensorio per strada, e certe perquisizioni a telecamera accesa in qualche cappella, con tre fedeli in ginocchio e il parroco a benedirli, come se fosse un covo delle Brigate rosse. Ne conosco tanti che la sera correvano nelle case con il cesto della spesa e la comunione da dare al vecchio abbandonato dai figli disperati per non poter uscire, altrimenti erano guai. Eppure io stesso ho avuto il coraggio di rimproverare il loro dir le messe a distanza. E facevano bene, e qualcuno che si è ritratto per la paura c'è stato, ma quanto accorrevano passando da strade laterali per dar conforto la sera, contagiandosi e però senza lamentarsi, stando da soli, persino rinunciando a farsi trasportare in ospedale. Ora esce la statistica, ed è tremenda. I morti tra il clero sono stati in tutto 958, vuol dire che quasi uno su tre è finito al cimitero per il Coronavirus. L'anno precedente, in analogo periodo, il numero dei deceduti si era fermato a 742. In certe diocesi la falce ha mietuto le sue spighe, con una pervicacia e una mira infallibile, raccogliendo tonache a covoni. Le cifre fanno spavento, ma importante è che non si spaventino loro e soccorrano la nostra solitudine. Anche chi non crede è confortato da chi raccoglie il grido di aiuto anche di chi sta zitto, perché i preti conoscono gli indirizzi dei poveri silenti e dei malati d'anima e di corpo, sono ricettatori di peccati e di dolori. L'Agensir, che fa capo alla Conferenza episcopale e ha provveduto a raccogliere queste notizie, ha compilato una classifica. Sul gradino più alto del podio, in Italia ma di sicuro nel mondo, c'è Bergamo. Questa diocesi ha pagato il prezzo più amaro eppure misteriosamente fecondo con 27 preti caduti sul campo. Pari merito, al secondo posto, è la volta di Milano e Brescia (18 morti ciascuna), indi Trento (17), Bolzano (11), Cremona (9), Parma (8), Como (7), Padova (7), Piacenza (6), Lodi (6), Genova (6), Reggio Emilia (6) e Udine (6). Altri numeri? Ce n'è uno che colpisce. Scrive l'agenzia dei vescovi: «Il contagio ha quasi azzerato il pur modesto ricambio garantito dalle nuove ordinazioni, che sono state 299 nel 2020». Non è la Cei, ma Gesù nel Vangelo, a dire: «La messe è molta, ma gli operai sono pochi». E allora perché suo Padre ha permesso questa falcidia? Giornate diocesane e mondiali, dedicate alla coltivazione di nuove vocazioni si susseguono, in molte chiese ogni mattina si prega perché Dio moltiplichi le chiamate in seminario. E che risposta è mai questa? Morti su morti. Certo, in quelle pagine è scritto anche che il chicco di grano che muore porta molto frutto, ma è tardi, e non lo vediamo ancora. Peraltro proprio oggi, venerdì santo, constatiamo che neanche con Lui, il buon Dio ha avuto mano leggera con quei chiodi. C'è qualcosa che si può capire di questo mistero, o se vogliamo garbuglio, solo guardando il Crocefisso, che dovrebbe essere oltre che icona del cristianesimo, segno di una civiltà il cui culmine è versare sangue per amore. Ma tutto è così difficile da dire, mentre ancora sale la marea gonfia di morti, a cinquecento al dì. E tra essi - io oso dire per fortuna - ci sono preti come agnelli. Uno che non è entrato in quel conto di 269 è un amico di tanti giovani del Politecnico di Milano e di vecchi arnesi conosciuti da studente. È trapassato nei giorni scorsi, si chiama don Antonio Anastasio, detto Anas. Presso il suo letto all'ospedale di Niguarda, per mesi e mesi, mentre questo prete della Fraternità San Carlo stava attaccato al respiratore, si è radunato grazie a quel maledetto-benedetto zoom, un popolo che cresceva ogni giorno, per pregare per lui ma in realtà perché lui pregasse per i miseri che siamo noi, in ogni tempo ma specialmente ora. Quindicimila al rosario! Pazzesco? Perché? C'è stato qualche miracolo? Oggi è Venerdì Santo, la Pasqua schiuderà un'alba nuova.

Da "milanotoday.it" il 30 marzo 2021. "Attenzione. Ci sono positivi nel condominio. Massima cautela". È il carrello comparso nelle scorse ore su un palazzo di Rozzano, comune alle porte di Milano. A denunciare il fatto è stata Nadia Andrisano, vicepresidente dell'associazione MultiSolidarietà, che ha postato l'immagine sui social. L'avviso (rimosso perché illegale) è stato segnalato sia all'amministratore di condominio sia ai carabinieri. La legge, infatti, dice che la persona positiva al covid-19 non è tenuta a comunicarlo all'amministratore né ai singoli condomini. Il cartello, comunque, ha scatenato diverse reazioni: "Mettere un cartello fuori dove viene indicato che ci sono stati casi Covid nel palazzo, non rende untori quelli che purtroppo sono stati positivi — ha commentato una persona sotto la foto — ma dà la possibilità a chi entra in quel palazzo di ricordarsi di proteggersi, a maggior ragione se vi sono stati positivi a prendere l’ascensore o sui corrimano delle scale ecc ecc. Non la vedo una cosa brutta". Ma sono in pochi a condividere il pensiero: il più delle persone è basita: "Sono totalmente esterrefatta da tanta ignoranza, che vergogna invece di capire che ci siamo trovati dentro a questa merda e invece di aiutarci ci si fa del male gratuitamente. Beata ignoranza", commenta un'altra persona.

Il sindaco: "Un cartello di una ignoranza imbarazzante". "Quel cartello è una voce stonata e completamente fuori dal coro. Condanno fermamente la caccia all’untore — ha commentato il sindaco Gianni Ferretti —. La nostra città ha sempre risposto con gesti importanti di vicinanza alle persone colpite dal Covid. Posso raccontare la grande solidarietà dei cittadini che hanno aiutato in mille modi le persone malate. Ringrazio  ancora tutti i volontari che si sono e che si stanno ancora prodigando per loro. Come amministrazione abbiamo istituito un numero dedicato per la consegna della spesa e dei farmaci che anche oggi è attivo per le persone in quarantena — ha proseguito il primo sindaco —. L’ignoranza umana è talvolta imbarazzante. Nella prima fase della pandemia ci hanno chiesto di divulgare le vie in cui c’erano i primi malati di Covid e ci siamo fermamente rifiutati".

Franca Giansoldati per “il Messaggero” il 26 marzo 2021. Padrini o madrine non dovrebbero limitarsi a fare le comparse e a dileguarsi dalla vita spirituale dei bambini subito dopo le cerimonie religiose. Piuttosto dovrebbero prendere per mano i piccoli e insegnare loro le tappe della fede. Dal battesimo, il più importante sacramento, all' accompagnamento per la prima comunione e, infine, la cresima. E' partita l' anno scorso da Sulmona, in Abruzzo, una riflessione importante che sta avanzando lentamente su tutto il territorio nazionale. E forse potrebbe anche allargarsi in tutta Italia. Chissà. La domanda cruciale che il vescovo Michele Fusco ha posto a tutti i parroci della sua diocesi è tutt' altro che marginale ai fini della crescita spirituale e della trasmissione cristiana: chi sono realmente coloro che portano in chiesa i neonati durante il rito del battesimo o accompagnano i ragazzini al momento della cresima?

CATECHISTI. Secondo il vescovo (ma non è l' unico) forse non è affatto sufficiente essere solo dei buoni amici di famiglia o anche dei parenti stretti se poi manca tutto il resto, e cioè l' impegno costante e convinto a seguire il bambino negli anni del catechismo, ad insegnargli le prime preghiere o semplicemente a parlargli della presenza di Dio. Considerando la progressiva perdita della fede in un paese come l' Italia che si sta orientando sempre più su una realtà scristianizzata, forse è arrivato il momento di analizzare meglio queste figure non secondarie, il loro ruolo e soprattutto il peso che dovrebbero esercitare per la maturazione del «figlioccio». Per farla breve l' anno scorso, ad agosto, monsignor Fusco ha firmato un decreto che ha abolito la figura del padrino e della madrina nella sua zona. Si tratta di un esperimento pilota che avrà una validità triennale e servirà a capire come procedere in futuro. Per il momento i contraccolpi tra i fedeli e le giovani coppie - da poco diventate mamme e papà - non ce ne sono stati tanti. Si sono registrate solo timide reazioni, a metà strada tra il perplesso e l' incuriosito poi tutto è finito lì. E questo sembra avvalorare la tesi del vescovo che punta a ridisegnare questo importante passaggio e dare, in futuro, una maggiore carica di responsabilità ai padrini e alle madrine. In poco tempo alla diocesi di Sulmona se ne sono affiancate altre, quella di Pescara e poi un' altra in Calabria, due al Nord e, ultimo caso, a Catania. «Ad esigere la presenza dei padrini non è la celebrazione in quanto tale, ma la crescita nella fede del battezzando o del cresimando, per cui essi dovranno essere credenti solidi, capaci e pronti a sostenere nel cammino della vita cristiana. Il loro compito è una vera funzione ecclesiale» ha spiegato ai fedeli il vescovo Gristina. Poi citando a corredo il Catechismo ha sottolineato con rammarico che nell' attuale contesto «socio-ecclesiale la presenza dei padrini e delle madrine risulta spesso una sorta di adempimento formale o di consuetudine sociale, in cui rimane ben poco visibile la dimensione della fede». A questo aspetto si aggiunge spesso «la situazione familiare complessa e irregolare di tante persone proposte per assolvere questo compito: ciò rende la questione ancora più delicata».

COERENZA. In questi mesi al quartier generale della Cei non vi sono stati commenti di sorta a proposito di queste iniziative anche perché i vescovi, sul territorio di loro competenza, hanno l' autorità necessaria per firmare decreti del genere. Tutto il resto è discrezionale. Il Codice di diritto canonico indica solo la possibilità della presenza di madrine e padrini, ma non l' obbligatorietà. Tuttavia si precisano le qualità richieste per svolgere questo compito: avere «una vita conforme alla fede». «A Sulmona abbiamo pensato di fare un esperimento. Da tempo nella prassi quotidiana accadeva che chi si presentava per fare il padrino o la madrina poi non partecipava mai alla vita spirituale del bambino, non lo seguiva al catechismo per esempio. Da qui è partita la nostra riflessione che ha aperto altre riflessioni. Una su tutte: queste figure che accompagnano i bambini ai primi sacramenti non possono essere estranee alla fede».

Da “il Giornale” il 29 marzo 2021. Sembra che la vita sia quella di sempre, che i controlli siano pochi se non addirittura assenti. Ma non è così. Basta vedere i dati che il Viminale ha postato, chissà perché, su Twitter: oltre centomila persone (100.334 per la precisione) sono state controllate ieri l'altro dalle forze di polizia nell'ambito delle misure anti-Covid. Sono state 2.668 quelle sanzionate e 36 quelle denunciate. I controlli hanno riguardato 13.245 attività e esercizi commerciali, con 170 titolari sanzionati, 35 chiusure. Così su Twitter il Viminale. Una marea di multe. Cercare di mimetizzarsi anche nelle zone rosse per organizzare di nascosto feste clandestine e grigliate segrete non serve. Così come per i locali cercare di restare aperti senza farsi notare. A Milano per esempio dopo le tre chiusure imposte venerdì sera, compreso lo storico Jamaica di Brera, anche il «White rabbit» di via Garigliano all'Isola è finito nel mirino delle forze dell'ordine. Dentro c'erano una decina di clienti senza mascherina. Bevevano e chiacchieravano come se niente fosse. Quattrocento euro di multa a testa e locale blindato per cinque giorni. E non era nemmeno la prima volta. Multe per 3.300 euro sono state elevate anche a Roma dai carabinieri. Tre furbetti li hanno beccati a consumare in un locale, sette, segnalati dai vicini di casa, a una festa privata, e trentanove, nella notte, sono state fermate dai militari, sette sono stati multati per violazione delle norme anti-Covid e tre per ubriachezza molesta. Blitz anche a una festa di compleanno e di laurea, con circa 15 persone, nonostante la zona rossa in vigore nel Lazio da due settimane. Anche qui i presenti nel pub, privi di mascherine, non rispettavano nemmeno il distanziamento di prevenzione ed erano intenti a consumare cibo e bevande al banco e ai tavoli. Totale: 10 mila euro di multa. Un gruppo di ragazzi invece stava partecipando a una festa in una casa di campagna a Mesagne, provincia di Brindisi, quando sul posto sono intervenuti gli agenti della Polizia. Tutti multati. Nove sono stati sanzionati, per lo stesso motivo, a Foggia. Pioggia di sanzioni anche a Cagliari, Piacenza, Firenze, Messina. Tutte per lo stesso motivo: non stare alle regole. Sembra tutto normale. Ma non lo è.

Da blitzquotidiano.it il 23 marzo 2021. Porta a spasso il cane (ma senza i documenti) e viene multata. Tutto è avvenuto a Torino, nella zona pedonale della Crocetta. A Torino, infatti, il regolamento comunale parla chiaro: non si può portare a spasso il cane senza documenti.  A raccontare la storia è il Corriere della Sera. Violazione dell’articolo 28, comma due, del regolamento comunale numero 320, per la tutela e il benessere degli animali in città, approvato l’11 aprile 2006. Regolamento che fa così: “Detti documenti dovranno essere esibiti su richiesta agli agenti delle forze dell’ordine, agli ispettori dell’asl, alle guardie zoofile, alle guardie ecologiche volontarie previste dalla legge regionale e/o ai soggetti appositamente incaricati”. Documenti che sono indicati al comma precedente: «”l possessore o detentore di un cane ha sempre l’obbligo di portare al seguito originale o fotocopia autenticata del documento comprovante l’iscrizione dell’animale all’anagrafe canina o certificato di avvenuto tatuaggio o di avvenuto inserimento di microchip”.  “Alla padrona – racconta il Corriere della Sera – non è così restato che prendersi la sanzione e tornare verso casa, avvertendo dei controlli qualche altra persona con quadrupede al seguito, incrociata per strada. Risposta di una ragazza: L’altro giorno mi hanno multato per la stessa cosa, 80 euro. Idem a un distinto signore. Da farci un cartoon: La carica dei 101 (euro)”.

Bimbo di 4 anni mano nella mano col papà, multa per violazione norme anti-covid: “Sta zompettando”. Antonio Lamorte su Il Riformista il 22 Marzo 2021. Una multa per un bambino di quattro anni che “zompetta”. “Così mi hanno detto, e io gli ho risposto che a quattro anni mio figlio "zompetta", quando imparerà a volare lo vedrete volare”. Antonio Fornabaio segnala l’episodio successo a lui e al figlio sabato 20 marzo, nel quartiere Chiaia a Napoli. Erano usciti per andare in edicola, hanno incontrato per caso alcuni amici, e quindi sono stati sanzionati per attività ludica. L’uomo ha pubblicato la multa sulla sua pagina Facebook. Fornabaio è un musicista, spesso turnista per spettacoli comici oltre che musicali. E quindi appartiene a una delle categorie più colpite dall’emergenza covid-19. Il figlio è da un anno circa che non va a scuola. “Se non può neanche scendere sotto casa, per dieci minuti a fare due passi, allora vuol dire che manca buonsenso”. Con il figlio erano usciti per andare in edicola, comprare un Gormiti e quindi tornare dopo aver preso un po’ d’aria. “Abbiamo incontrato casualmente altri genitori e bambini in piazza”, racconta l’uomo. Si erano quindi allontanati da Piazza San Pasquale, dov’era in corso una manifestazione No-Vax, dirigendosi verso la riviera di Chiaia, nei pressi del Museo Pignatelli, quando sono arrivati due agenti in borghese. “Una vigilessa ci ha apostrofato senza troppa cordialità che avremmo dovuto disperderci, sgomberare, andare subito via. Con una certa acidità insomma. Ho preso mio figlio per mano e andando via, lo ammetto – non ce l’ho fatta a trattenermi – ho detto loro con educazione che in Piazza c’era una manifestazione non autorizzata, persone senza mascherina che con il megafono deliravano sul 5G e la pericolosità dei vaccini. Ecco, sarebbe stato più giusto rivolgersi a quelli che a un gruppo di bambini e genitori, usciti soltanto per prendere un po’ d’aria. Ci eravamo spostati dieci minuti al sole per poi tornare a casa”. A quel punto è scattata la multa, e soltanto nei confronti del padre che si era rivolto agli agenti. “La vigilessa si è risentita, sono arrivati anche altri due agenti della Polizia Municipale e siamo stati 25 minuti dietro la mia multa. Ho fatto anche un video perché non capivo cosa mi stessero contestando: attività ludica, ma nessuno aveva una bicicletta o un pallone. Attività ludica a questo punto può essere qualsiasi cosa”. Fornabaio ha firmato il verbale solo dopo aver fatto riportare la sua versione sul documento: “Stavo andando a fare la spesa con mio figlio mano nella mano”. La Campania è Zona Rossa dal 5 marzo. La Regione ha prorogato ieri, fino al 5 aprile, la chiusura di piazze, parchi, ville comunali, giardini pubblici e Lungomare. Le edicole, come le librerie, ad esempio, restano però aperte, e quindi fruibili alla cittadinanza. “Se mi avessero contestato sul verbale che avevo violato la Zona Rossa avrei anche accettato. Invece hanno multato praticamente mio figlio, per attività ludica. Un bambino che non va scuola praticamente da un anno, mentre io pago la scuola come pago la palestra, che ugualmente non sta frequentando. Eravamo usciti a prendere soltanto un po’ d’aria, mi hanno spiegato che mio figlio stava “zompettando”, quindi semplicemente correndo, e quindi hanno fatto la multa”. L’arrabbiatura più umiliante quando padre e figlio sono tornati a casa. “"Mamma, per colpa mia papà ha preso la multa", ha detto piangendo mio figlio alla madre”. L’uomo ha già fatto ricorso contro la sanzione pecuniaria da 400 euro, e che prevede una riduzione a 280 euro se pagata entro 60 giorno dal verbale. Ironia della sorte: il Gormite comprato in edicola si sarebbe rivelato un doppione. NO VAX – La Questura di Napoli ha fatto comunque sapere che nella mattina di sabato 20 marzo gli agenti del Commissariato San Ferdinando sono intervenuti in piazza San Pasquale a Chiaia identificando e sanzionando dieci persone che stavano facendo volantinaggio senza indossare la mascherina e senza volerla indossare dopo i richiami delle forze dell’ordine.

CHI NON RISPETTA LE REGOLE - Milano fa festa nonostante i divieti. Una deriva preoccupante. Si moltiplicano i casi di feste private in casa, trattorie e persino registrazioni di video musicali. Michelangelo Bonessa su Il Quotidiano del Sud il 16 marzo 2021. Milano continua a non fermarsi nonostante i divieti. Le forze dell’ordine stanno cercando di contenere il fenomeno, ma si moltiplicano i casi di non rispetto delle norme anti Covid. Feste private in casa, trattorie e persino registrazioni di video musicali. E le reazioni agli interventi sono le più disparate: si va da chi accetta le conseguenze a chi si dà a fughe precipitose a ragazzi ubriachi che aggrediscono a calci i militari. A volte sono gruppi o locali poco noti, ma la cronaca riporta anche di casi di persone molto conosciute come Daniele Leali, socio di Alberto Genovese, il noto imprenditore a processo per stupro: circa un mese fa Leali si era dato alla fuga dopo un controllo della polizia in un locale dove una ventina di persone si erano assembrate senza mascherina. L’imprenditore aveva lasciato la sua patente agli agenti e poi si era dileguato, ma nonostante il pessimo stato del documento gli agenti lo avevano riconosciuto e rintracciato per comminare la sanzione prevista. Poi c’è stata l’inaugurazione del The Sanctuary Milano, con tanto di partecipazione di Belen Rodriguez incinta. Scoppiato il caso sui social, dove si vedevano decine di persone ballare senza mascherina, il proprietario Stefano Papa si era dichiarato “mortificato”. Ma ormai il danno era fatto. E i cattivi esempi delle persone famose sembra stiano sortendo il loro effetto: si moltiplicano infatti i casi di feste private scoperte dalle forze dell’ordine, spesso su segnalazione di altri cittadini indignati. Nel fine settimana si erano contati diversi interventi, tra cui uno in via Cesare Correnti dove una decina di studenti universitari avevano improvvisato un party. Uno di loro completamente ubriaco dopo essere stato scoperto sotto a un letto si era scagliato contro i militari con calci e pugni, tanto da rendere necessario l’arresto. Prima però erano stati scoperte altre feste, come in via Andrea Costa dove si erano assembrati 27 ragazzi tra i 23 e i 28 anni per un compleanno. Anche per loro sono scattate le sanzioni. Il bollettino sembra destinato ad allungarsi sempre di più: i carabinieri hanno fermato in piazzale Archinto, a due passi dal Bosco Verticale, 23 persone tra i 20 e i 28 anni, tutti italiani, perché assembrati consumavano alcolici che erano venduti dal proprietario di un pub anche lui sanzionato dai militari. In via Appiani sono stati multate 21 persone tra i 20 e i 24 anni, per una festa in casa. In corso Vercelli i carabinieri sono intervenuti in uno stabile dove hanno trovato 6 persone a cena, mentre in Melzi d’Eril è stata “sventata” un karaoke-party organizzata da una donna del 1963 e sei trentenni. Ma persino nel cuore di Milano ci sono stati casi come i 17 giovani sanzionati perché erano in piazza Duomo senza essere residenti nel capoluogo. Milano non si ferma dunque, ma nemmeno l’hinterland: sono state segnalate e sanzionate feste e mangiate di gruppo non autorizzate anche a Cesano Boscone. A Paderno Dugnano, i carabinieri sono intervenuti in un bar dentro un centro commerciale ed è scoppiato un fuggi fuggi di una decina di avventori. Il proprietario invece è stato sanzionato per la violazione della normativa in merito all’emergenza sanitaria e con la chiusura dell’esercizio commerciale per 5 giorni. Un altro bar con dentro 16 avventori è stato chiuso per 5 giorni a Sesto San Giovanni, mentre a Conterico, nei pressi di Paullo, la stessa sorte è toccata a una trattoria. A Rozzano, invece, i militari hanno trovato numerosi giovani con scooter e ciclomotori che avevano creato un assembramento in largo Impastato. Nella circostanza sono stati identificati e sanzionati 17 ragazzi, tutti maggiorenni, che si erano riuniti per partecipare alla registrazione di un video musicale amatoriale rap. Milano dunque sembra divisa in due. Da una parte chi ha deciso di aggirare le regole, ci sono persino casi di eletti nei municipi che incitano a non vaccinarsi parlando di test genetici di massa sulla popolazione, dall’altra una parte di popolazione che invece rispetta le regole e denuncia le violazioni di cui viene a conoscenze. e delle feste. Alla fine di tutto saremo sicuramente peggiori e ci saranno state molte liti condominiali, finalmente lavoro per gli avvocati”. Un’allerta che arriva da sinistra, ma condivisa da molti. Perché se è vero che il rispetto delle regole è essenziale per uscire dalla crisi pandemica, il come si procede su questo cammino lo è altrettanto per il dopo. Intanto il conteggio dei morti sale a 29.299 con un incremento di 79 persone da domenica. E i ricoveri salgono di 135 unità per un totale di 6.926 di cui 728 in terapia intensiva. L’unico dato positivo è quello dei guariti e dimessi che sale di 6.430 persone per un totale di 546.761 dall’inizio dei bollettini.

"Ma qui non è zona rossa...?". È ressa alla moschea abusiva. Milano è in zona rossa ma nell'estrema periferia occidentale gli islamici si accalcano davanti alla moschea. L'ira della Lega. Francesca Galici - Ven, 19/03/2021 - su Il Giornale. Milano, e tutta la Lombardia, sono nuovamente in zona rossa da lunedì 15 marzo con le conseguenze che da questo derivano. È vietato uscire di casa se non per un valido motivo giustificato, che può essere o la salute. Le scuole sono chiuse, così come i ristoranti e i bar e moltissimi esercizi commerciali. Il divieto di assembramenti è uguale da un anno su tutto il territorio nazionale, tanto più in zona rossa. Addirittura gli esperti ora dicono che il metro di distanza non è più sufficiente a ridurre il rischio di contagio a causa delle varianti e che, quindi, è necessario raddoppiare almeno lo spazio interpersonale. Se in tanti, la maggior parte, rispettano queste indicazioni, c'è chi sembra vivere al di sopra delle regole, come segnalato da Silvia Sardone, europarlamentare e consigliere comunale di Milano della Lega, e Stefano Pavesi, consigliere leghista del Municipio 8. I due esponenti leghisti hanno denunciato quanto accade in via Sabatino Lopez, estrema periferia nord-ovest di Milano, tra Bovisasca e Quarto Oggiaro. "Forse ci è sfuggito qualcosa, ma via Lopez, e precisamente l’area attorno alla moschea abusiva all’interno dell’ex panetteria, non è zona rossa come il resto della città? A giudicare dagli assembramenti di musulmani sui marciapiedi sembrerebbe di no", sottolineano i due leghisti. Con le immagini scattate all'esterno dell'edificio, le parole degli esponenti della Lega prendono ancora più valore. "È assurdo è inconcepibile che il Comune non faccia rispettare le leggi, in questo caso quella regionale sui luoghi di culto, a maggior ragione in una situazione di pandemia come quella che stiamo attraversando", spiega Silvia Sardone, che poi si domanda: "Perché i musulmani sono liberi di radunarsi violando palesemente le norme anti-covid mentre cittadini e commercianti devono rimanere in casa o tenere chiusi i propri locali con evidenti danni sociali ed economici?". La questione è annosa nella comunità milanese, soprattutto quella che riguarda le moschee abusive. È impossibile censirle tutte, tanto più che quando intervengono le forze dell'ordine per chiuderne una, in tempi rapidi ne viene aperta un'altra. Ma Silvia Sardone non si arrende e continua a chiedere interventi decisi e tempestivi al sindaco Beppe Sala: "Questa moschea è abusiva e va chiusa: il sindaco Sala si faccia sentire, mandi la polizia locale a fare un’ispezione e poi proceda di conseguenza. Per cominciare basterebbe anche intervenire il venerdì, giorno di preghiera, per sanzionare tutti coloro che non rispettano le regole, a partire dal distanziamento sociale". Stefano Pavesi è strenuamente impegnato sul territorio per combattere qualunque irregolarità ma "il Comune di Milano e il Municipio 8 a guida Pd dormono sonni pesanti". Sono già state inviate numerose segnalazioni sulla situazione di via Lopez "ma in cambio abbiamo ricevuto silenzio totale, segno dell’evidente mancanza di volontà politica di risolvere i problemi posto". Le periferie più esterne di Milano sono sempre più sole, quasi dimenticate dall'amministrazione centrale. Stefano Pavesi, però, ha promesso alla sua comunità il massimo impegno per la risoluzione: "Andremo avanti a tenere alta l’attenzione, al fianco dei cittadini esasperati da questa situazione. Basta coi due pesi e le due misure: i milanesi non possono sempre essere penalizzati rispetto agli extracomunitari".

Cesare Giuzzi per corriere.it il 15 marzo 2021. L’ultima novità sono le segnalazioni anonime con foto e video attraverso l’app della polizia. Decine quelle che arrivano ogni giorno in Questura e che, sempre più spesso, riguardano assembramenti in parchi, piazze e fuori dai locali. Ma anche per le feste in casa, party abusivi vietati dalle norme anti Covid, che stanno prendendo sempre più piede soprattutto tra gli studenti universitari fuorisede. Cinque i ritrovi clandestini scoperti da polizia, vigili e carabinieri in città nella notte tra sabato e domenica. E dopo gli hotel e i bed and breakfast, adesso è la volta delle case private affittate per una notte attraverso i portali internet Booking e Airbnb rimasti orfani di turisti e businessman. Come già avvenuto durante il primo lockdown della scorsa primavera, in corrispondenza con le strette del Governo a spostamenti e chiusure, sono molti i vicini di casa che segnalano abusi, veri o presunti, alle forze di polizia. Decine le chiamate al 112 per assembramenti in strada e ragazzi che bivaccano bevendo in strada oltre l’orario del coprifuoco. Spesso basta il passaggio di una volante o di un equipaggio dei carabinieri per disperdere la folla senza problemi ulteriori come avvenuto sabato pomeriggio in piazza Leonardo da Vinci, a Santa Giulia o al parco Ravizza. In altri casi la segnalazione arriva, anche in forma anonima, attraverso l’app YouPol della polizia. Un portale virtuale nato nel novembre 2017 per segnalazioni relative a spaccio e bullismo, poi esteso alle violenze sulle donne e i maltrattamenti e nel corso dell’ultimo anno esteso anche ad assembramenti e abusi sulle norme anti contagio. Spesso si tratta soltanto di rumori fastidiosi o musica alta dall’appartamento dei vicini, ma in alcuni casi i vicini «spioni» hanno segnalato festini e raduni abusivi in grande stile. Nelle ultime settimane il fenomeno dei party clandestini è cresciuto in maniera esponenziale. Lo confermano gli interventi di polizia e carabinieri dell’ultimo weekend. Il primo caso già nel tardo pomeriggio di sabato quando i carabinieri del Radiomobile sono intervenuti in un appartamento di via Andrea Costa affittato a un italiano di 22 anni. Qui hanno trovato 27 studenti universitari tra i 23 e i 28 anni che stavano festeggiando il compleanno di un amico 23enne e la laurea di alcuni parenti. Festa interrotta e per tutti la sanzione per il mancato rispetto delle norme anti contagio. Identico intervento alle 22 in via Ressi alla Maggiolina per la polizia locale: in casa 12 persone, tutte multate. All’una di notte la polizia è intervenuta per un party in una villetta di via Bracciano, vicino a viale Zara, affittata tramite il sito AirBnb. Gli agenti delle volanti hanno trovato 33 persone: il più giovane di 22 anni e il più «anziano» di 45, tutti italiani e residenti a Milano. Anche per loro è scattata la multa di 400 euro. Stessa sorte per altri 26 giovani, tutti stranieri, che avevano preso in affitto tramite il portale Booking un appartamento in via Fioravanti a Chinatown. Quando la polizia è entrata alcuni invitati hanno cercato di nascondersi dietro ai mobili, altri si sono chiusi in bagno. Lo stesso tentativo fatto da un 31enne stranieri che alle 2.30 di notte ha cercato di nascondersi sotto al letto di un appartamento di via Cesare Correnti dove era ospite di una festa. È stato poi stato arrestato per aver aggredito i militari a calci e pugni. Chiusi anche diversi bar in città e nell’hinterland.

Coronavirus, ultimo fine settimana per il Lazio prima di entrare in zona rossa: a Roma è ressa nei ristoranti. Libero Quotidiano il 13 marzo 2021. Ultimo weekend per il servizio al tavolo in bar e ristoranti. Da lunedì alcune regioni tra cui il Lazio entrano in zona rossa. La ristorazione sarà consentita solo se da asporto. C'è stato così il tutto esaurito in molti ristoranti della Capitale. "Noi siamo già chiusi in tante parti d'Italia.  Dove siamo ancora aperti, dal Lazio alla Sicilia, c'è una spinta all'ultimo giorno per mangiare fuori", - ha detto il direttore della Fipe Confcommercio nazionale Roberto Calugi. Se i romani hanno preso d'assalto il litorale della Capitale, con conseguenti interventi della polizia locale a Ostia, i ristoratori hanno espresso comunque preoccupazione. "Il decreto legge per le chiusure è arrivato, ma manca ancora quello sulle vecchie misure economiche. Non è più sostenibile. Si rischia di non vedere un euro prima di un mese", ha spiegato il presidente della Fiepet Confesercenti Roma Claudio Pica. Folla anche per le vie del centro. Gli agenti della polizia locale hanno chiuso l'area di Fontana di Trevi a causa della presenza di molte persone. Disposta anche la chiusura al traffico pedonale di Via del Corso, da largo Goldoni a Largo Chigi. 

Alberto Mattioli per “la Stampa” il 14 marzo 2021. Chissà perché ogni volta che il Governo chiude tutto c'è sempre un tempo splendido. Così ieri la combinazione di temperatura primaverile, week-end e zona rossa prossima ventura (da domani) è risultata irresistibile per i milanesi. Gente, e tanta, a spasso dovunque e comunque. Per l'ultimo shopping prima della serrata di tutti gli esercizi non strettamente necessari alla sopravvivenza nelle zone deputate, con punte da vigilia di Natale in corso Buenos Aires; al sole nei parchi cittadini; e naturalmente nelle zone della fu movida, dunque Brera e Navigli. La novità è che stavolta i controllori c'erano. La Darsena era transennata e in porta Ticinese stazionava perfino un blindato dei carabinieri, che magari significa passare da un eccesso all'altro: però così anche nei punti più caldi la folla non è diventata ressa come nei week-end precedenti, con i relativi scandalosi assembramenti da metropolitana di Tokyo. Stretta sulle multe Del resto, già venerdì i controlli erano stati più di mille, con multe per i soliti dementi smascherati, è il caso di dirlo, perché beccati fuori dal Comune di residenza senza una valida ragione (diciassette ragazzi in piazza Duomo) o festanti in un appartamento (ventuno persone in via Appiani) o addirittura tranquillamente attovagliati dietro le serrande teoricamente chiuse di un ristorante (in quattordici in via Romagnosi). Ma, come strillano da un gruppo di ragazzi stravaccati sulla gradinata della Darsena con i loro regolamentari spritz da asporto (all'ora del thé, però) «chissà quando potremo tornare a farlo, l'aperitivo insieme?». La rassegnazione Tuttavia l'atmosfera generale appare più rassegnata che ribelle. E tutto sommato consapevole. Almeno per chi si informa, i numeri non sono incoraggianti: ieri in provincia di Milano c'erano 1.426 contagiati in più, 5.809 in tutta la Regione dove i ricoverati in terapia intensiva sono 694, 25 più di venerdì. «Zona rossa? Draghi ha aspettato anche troppo. Le scene che abbiamo visto negli ultimi week-end erano indecenti», chiosa una professoressa democratica e molto decisa alla Feltrinelli di Buneos Aires (piena: incentivare la lettura potrebbe essere un beneficio collaterale della zona rossa). È la sedicesima volta che la Lombardia cambia colore, «ormai siamo abituati, anzi rassegnati», sospira una commerciante due vetrine più in là. Rispetto alle blindature precedenti stavolta c'è l'aggravante che chiudono anche barbieri, parrucchieri e centri estetici, per ora fino al 6 aprile. Sarà una Pasqua pilifera: intanto ieri sono stati presi d'assalto. Alla bottega di barbiere di piazza Gramsci non solo hanno fatto il pieno di clienti, ma dicono che apriranno anche oggi: «Così almeno serviremo i clienti già prenotati per martedì». Soffrono meno, paradossalmente, i ristoranti, che già con l'arancione rinforzato erano ridotti al solo asporto. Però, spiegano da "Galli pizza and more" a due passi dal Cenacolo vinciano, «ci rimetteremo lo stesso, perché con la zona rossa la gente lavorerà da casa, e quindi a mezzogiorno non ci sarà più nemmeno la risorsa del pranzo da consegnare agli uffici». L'ultima cena, davvero. Le perdite La questione dei "dané" perduti, in effetti, si pone. Certo, la salute prima di tutto. Ma la Confcommercio di Milano ha fatto i conti e scoperto che ogni settimana in zona rosa significa 290,2 milioni di euro in meno per i commercianti, meno 75,3% del fatturato abituale, e si tratta (anche con Monza e Lodi) di più di 38 mila partite Iva. Va peggio per la ristorazione (meno 80%), ma malissimo anche per il commercio al dettaglio: meno 71. Il conto della Pasqua in lockdown sarà di 120 milioni. Lancia l'allarme Marco Barbieri, segretario generale: «Senza una svolta radicale il sistema delle imprese non può reggere a lungo. Servono subito nuovi sostegni, anche per le imprese con fatturati superiori ai cinque milioni. Per assegnare le risorse al maggior numero di attività si valutino con molta attenzione i parametri minimi di perdita di fatturato al di sotto dei quali non si ottengono gli indennizzi». Di rosso non c'è solo la zona, ma anche i bilanci di migliaia di imprese.

 (ANSA il 13 marzo 2021) - Ventisei persone, accusate di "partecipazione a una manifestazione non autorizzata" (ex articolo 18 del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza) sono a processo e rischiano una condanna, per aver intonato in pubblico "Bella ciao". I fatti, riportati da Il Resto del Carlino, risalgono allo scorso 4 agosto 2017 quando a Carpi (Modena) si è svolta, in zona stadio, una manifestazione di Forza Nuova, autorizzata dalla Questura, davanti a un palazzo destinato dal Comune a ospitare alcuni richiedenti asilo, al grido di "Stop accoglienza business". Mentre il sindaco Alberto Bellelli, Anpi, Arci, Cgil e il mondo dell'associazionismo contromanifestarono innanzi al Municipio con un presidio autorizzato, altri antifascisti si recarono sul luogo del ritrovo dei militanti di estrema destra, per manifestare il loro dissenso intonando 'Bella ciao'. A maggio dell'anno successivo il Tribunale di Modena notifica 26 decreti penali di condanna, gli interessati si oppongono e comincia l'iter processuale. "La partecipazione ad una manifestazione non autorizzata non costituisce reato - ha spiegato al quotidiano l'avvocato Fausto Gianelli, che difende 23 dei 26 imputati -. In questi casi viene punito l'organizzatore, ma in quella circostanza si è trattato di una manifestazione nata spontaneamente. La tesi dell'accusa dice che chi ha cantato quella canzone è come se avesse partecipato ad un comizio "cantato". Dunque, partecipazione a "manifestazione non organizzata"". Il 23 aprile si terrà l'udienza decisiva, dove gli imputati rischiano una multa di 1.000 euro e l'iscrizione della condanna sulla fedina penale. Intanto è partita una petizione online a sostegno dei 26 sotto accusa, diretta al tribunale di Modena.

Nando Pagnoncelli per corriere.it il 6 marzo 2021. Il 9 marzo dello scorso anno il presidente del Consiglio Giuseppe Conte presentava il decreto «Io resto a casa» che prevedeva l’estensione a tutto il territorio nazionale delle misure per contenimento del contagio inizialmente limitate alle province più colpite da quello che all’epoca veniva chiamato coronavirus. In questi dodici mesi abbiamo registrato una costante oscillazione del livello di preoccupazione da parte dei cittadini in relazione all’andamento quotidiano dei contagi e dei decessi. Oggi il 45% degli italiani considera il Covid una minaccia elevata a livello personale: è una percentuale che ci riporta all’autunno scorso, quando prese avvio la seconda ondata dei contagi. La preoccupazione aumenta al crescere dell’età, tra le persone meno istruite, tra le casalinghe, i pensionati e i ceti operai. Al contrario si mostra nel complesso omogenea tra i diversi elettorati, a conferma del fatto che si tratta di un sentimento più influenzato dalla condizione demografica che dall’orientamento politico. La minaccia percepita risulta ancora più acuta quando si fa riferimento alla propria zona di residenza (57%) o all’intero Paese (75%).

Troppe violazioni delle regole. Due italiani su tre (65%) pensano che ci siano troppe violazioni delle regole e la maggioranza dei cittadini non abbia capito l’importanza di continuare a rispettare le direttive delle autorità. È una convinzione in forte aumento rispetto agli scorsi mesi. Al contrario, uno su quattro (24%) è del parere che la gran parte continui a dar prova di senso civico e di rispetto delle regole. Lo sguardo severo rivolto ai connazionali in parte è da ricondurre alla consueta attitudine di attribuire agli altri i comportamenti negativi e a sé stessi quelli virtuosi, e in parte all’enfasi che i mezzi di informazione danno alle situazioni di affollamento soprattutto nelle città, per richiamare l’attenzione sui rischi che si corrono. Ne consegue che si dilata la percezione di un fenomeno indubbiamente disdicevole ma fortunatamente circoscritto ad una minoranza di cittadini.

Più tempo passa, più giudizi negativi. La campagna vaccinale, per come si è sviluppata finora, viene bocciata dal 46% degli italiani, mentre il 29% ne dà un giudizio positivo. Più passa il tempo e più aumentano i giudizi negativi. Il dato non sorprende tenuto conto che, a fronte di una crescita costante di persone che manifestano l’intenzione di farsi vaccinare non appena possibile (passate dal 37% di metà novembre al 53% di fine febbraio), i cittadini lamentano la penuria dei vaccini e la lentezza della campagna ma criticano anche i criteri di definizione delle priorità di vaccinazione (soprattutto rispetto ad alcune categorie professionali), le complicazioni burocratiche e gli aspetti logistici. A ciò si aggiungono le preferenze politiche, dato che i giudizi positivi prevalgono solo tra gli elettori della ex maggioranza di governo, mentre tra quelli di centrodestra e gli astensionisti sono nettamente prevalenti le valutazioni negative. Insomma, non è tutto rose e fiori, e il riferimento alle «primule» progettate da Stefano Boeri non è casuale.

Elettori di Pd e M5S per restrizioni dure. Non stupisce quindi che la maggioranza degli italiani (53%) abbia accolto con favore la decisione del governo Draghi di avvicendare il commissario Domenico Arcuri con il generale Francesco Paolo Figliuolo; le motivazioni sono due: il 34% è del parere che Arcuri non sia stato all’altezza (in particolare è di questa opinione l’elettorato di centrodestra con il livello più elevato tra gli elettori di FdI con il 72%) e il 19%, indipendentemente dalle valutazioni su Arcuri, ritiene che fosse necessario dare un segnale di discontinuità. Solo il 10% dissente con la decisione di sostituire il commissario e il 37% non si esprime. Un’ulteriore conferma della preoccupazione dei cittadini è data dalle opinioni che emergono rispetto ai provvedimenti per contenere il contagio: il 44% preferirebbe un lockdown duro, di durata limitata, ma esteso uniformemente in tutto il Paese; il 30% ritiene opportuno continuare con le restrizioni attuali, mentre il 14% vorrebbe un allentamento delle misure. La prima opzione ha fatto registrare un aumento di ben 10 punti in sole due settimane e risulta più auspicata tra le persone meno giovani e le casalinghe, nonché fra gli elettori di Pd (60%) e M5S (50%). Nel centrodestra, pur prevalendo il consenso per provvedimenti più restrittivi, le opinioni sono più divise. Da notare che tra i leghisti il 18% chiede un allentamento. È trascorso un anno da quando il temine lockdown ha fatto irruzione nel nostro lessico. Se la campagna vaccinale non procederà speditamente il timore è che vi possa rimanere a lungo.

Una folla "invade" i Navigli a Milano: scatta il blocco. Nel pomeriggio la Darsena è stata presa d'assalto da molte persone per l'aperitivo. Le forze dell'Ordine hanno bloccato gli accessi ai Navigli. Rosa Scognamiglio - Dom, 07/03/2021 - su Il Giornale.  Non si placano le polemiche per gli assembramenti in questa prima domenica di marzo. Nonostante la stretta sui divieti prevista per le regioni in fascia arancione, Milano continua a registrare un numero elevato di presenze sui Navigli. Durante l'ora dell'aperativo, i canali sono stati presi d'assalto dai giovani che pare siano riusciti ad eludere agevolmente i presidi di Forze dell'Ordine e polizia locale.

Chiusi i punti di accesso ai Navigli. Complice la bella giornata e una temperatura decisamente primaverile, molti milanesi si sono riversarti in strada già dalle prime ore di questa mattina. Per evitare assembramenti, i punti di accesso al Naviglio Grande e al porto di Milano sono stati interdetti al pubblico. I canali sono stati presidiati dalle forze dell'Ordine e polizia locale per gestire i flussi di persone. La situazione è apparsa sotto controllo fino all'ora di pranzo quando, invece, è scatta di nuovo l'allerta per un numero elevato di presenze lungo la Darsena. Ad ogni modo, nella mattinata di domenica, non state registrate situazioni di rischio e le regole anti-contagio sono state fedelmente rispettate. Diversa la situazione nel pomeriggio quando alcune persone si sono riversate lungo i canali per "l'aperitivo intinerante". Stando a quanto riferisce il Corriere della Sera, molti giovani (ma non solo) hanno preso d'assalto i gradoni e le sponde della Darsena. Piccole comitive avrebbero sostato all'esterno dei locali aperti per l'asporto e in tanti sarebbero stati sorpresi senza mascherina tanto che, verso sera, gli agenti sono stati costretti a blindare i Navigli. Per fortuna, a differenza dello scorso fine settimana, non vi è stato alcun party abusivo ma non sono mancati richiami (anche perentori) all'ordine e al rispetto delle misure anti-contagio. Affollati anche i parchi cittadini dove però non si sono registrati problemi di ordine pubblico. Per il rave party clandestino di sabato 27 febbraio, sono ancora in corso le indagini per risalire ai partecipanti e sanzionarli per il mancato rispetto delle norme anti contagio. Già 12 giovani appartenenti all’area anarchica del circolo Galipettes erano stati multati dalla Digos per aver partecipato, nel pomeriggio di quella stessa giornata, a una manifestazione improvvisata in sostegno del terrorista greco Dimitris Koufontinas. Presidio che però, ricorda il Corriere della Sera "non sarebbe collegato alla discoteca abusiva andata avanti dalle 19 alle 22 con la partecipazione di oltre 350 persone e terminata con una rissa e un fuggi fuggi generale".

Da leggo.it il 7 marzo 2021. Rissa a Casal Palocco tra alcune ragazze: calci, pugni, capelli tirati; il tutto davanti ad un impressionante numero di ragazzi e ragazze che non sono intervenuti per fermare quanto accadeva. È successo tutto intorno alle 18,30, nell'area commerciale de Le Terrazze, dove erano presenti tantissimi giovani - tra i 200 e i 300 - per lo shopping del fine settimana. Ma soprattutto per un drink al bar. Così quando alle 18 sono stati fatti alzare dai tavolini, i ragazzi tutti insieme si sono incontrati, scontrati, mischiati. Dopo uno scambio di insulti le donne coinvolte sono arrivate alle mani: sono voltai calci, pugni, spinte, capelli tirati. Dalle parole ai fatti, è stato un attimo, con un nugolo di coetanei intenti più a riprendere con il proprio cellullare quanto avveniva che ad intervenire per separare le contendenti. Alla fine la rissa è stata sedata e gli amici delle ragazze le hanno separate di forza, portandole nella zona del parcheggio. Delle forze dell'ordine neanche l'ombra. Eppure si sa che a quell'ora quando i ragazzi sono costretti a lasciare bar e ristoranti è il momento più delicato. L'unico a intervenire è stata una guardia giurata privata che ha cercato di separare i contendenti.

Intervento di cinque volanti. Blitz dei vigili a Napoli, identificati maestri e genitori: “Bimbi in lacrime, hanno perquisito gli zainetti”. Piero de Cindio su Il Riformista il 5 Marzo 2021. Un episodio che, se confermato nei dettagli, farebbe precipitare Napoli in quello che sembra un vero e proprio Stato di polizia è accaduto alla Vigna di San Martino questa mattina. La polizia municipale di Palazzo San Giacomo, infatti, è intervenuta in gran forza (almeno cinque volanti) ritenendo che sul posto si stessero svolgendo attività non consentite. Secondo quanto hanno riferito gli agenti alle persone presenti, c’era il sospetto che nei sette ettari di terra si stessero svolgendo attività di didattica, non consentite visto che al momento vige l’ordinanza della Regione Campania che ha chiuso le scuole fino al 15 di marzo. Alla Vigna erano effettivamente presenti alcune decine di bambini del nido e dell’infanzia di una scuola privata della zona accompagnati dai maestri. Gli agenti sono intervenuti identificando tutti gli adulti sul posto e si sono intrattenuti per tutta la mattinata attendendo i genitori che andavano a riprendere i propri figli, identificando anche loro. Non risulta che siano state elevate multe e ci saranno sicuramente accertamenti della polizia municipale sulla vicenda, ma la cose raccapricciante, come riferisce una mamma al Riformista, è che gli agenti “hanno controllato dentro gli zainetti dei nostri figli (tra i 2 e i 5 anni ndr) se c’erano libri per capire se stavano svolgendo attività di didattica in presenza. Insomma un blitz in piena regola fascista, effettuato davanti e nei confronti di bambini piccoli trattati come delinquenti“. Il luogo, vincolato come bene di interesse paesaggistico dal 1967, è gestito da oltre 20 anni dalla onlus Piedi per la Terra che, come recita il sito di riferimento, si occupa “di ricerca educativa in ambito di Educazione Ecologica in contesti di natura, le nostre attività si rivolgono principalmente ai bambini ed alla formazione degli educatori (educazione agro ambientale) ed alle famiglie, per la diffusione della cultura ecologica nella direzione dell’arricchimento del bagaglio di esperienze legato alla natura. Il metodo è quello laboratorio esperienziale ed i linguaggi sono quelli del gioco e dell’arte mediato attraverso il fare. Seguiamo l’approccio sistemico dell’ecologia“.

LA REPLICA DELLA POLIZIA MUNICIPALE – La versione di genitori e maestri è stata ridimensionata dalla polizia municipale di Napoli che chiarisce di essere intervenuta innanzitutto per disciogliere l’assembramento creatosi. Le persone presenti sono state identificate (non è chiaro se verranno o meno elevati verbali). Sulla polemica relativa agli zaini dei bambini ispezionati per vedere se all’interno c’erano libri, la Municipale precisa che non risultano esserci state ispezioni.

Il "party" in una scuola: multate sette persone. Davide Lacerenza "crocifisso" per un delivery in Svizzera: “A Milano assembramenti peggiori”. Piero de Cindio su Il Riformista il 5 Marzo 2021. E’ finito nel mirino dei media dopo aver fatto una consegna di champagne e partecipato a un “party” con la presenza totale di sette persone in una scuola aperta per l’occasione da uno dei protagonisti della bravata, che di giorno in quell’istituto ci lavora. Davide Lacerenza, influencer e imprenditore di 55 anni di Milano, spiega con diverse storie sui social quanto accaduto la notte a cavallo tra il 4 e 5 marzo a Locarno, in Svizzera. Lui, imprenditore con diverse grane passate, gestore di più locali a Milano e sempre pronto a rilanciarsi nonostante la crisi dettata dall’emergenza coronavirus, è finito ancora una volta sotto i riflettori dei media. Da mesi, complice la chiusura di ristoranti, bar e discoteche, Lacerenza ha deciso di provare a non soccombere re-inventandosi nel delivery di champagne e altre bottiglie di alcolici consegnate spesso anche a bordo di auto di lusso. Un’attività che ha documentato sui social dove col passare delle settimane ha aumentato sempre di più la sua influenza. La scorsa notte, in occasione dell’ennesima consegna da ben “20 kappa”, ovvero 20mila euro, sono state proprio le storie Instagram probabilmente a tradirlo. Le immagini della festa che ha visto protagoniste sei persone e probabilmente le segnalazioni dei residenti della zona, hanno attirato nella scuola la polizia svizzera. “C’è un bel chiacchiere in giro – spiega sui social Lacerenza – tutti a dire “l’influencer ha organizzato”, noi siamo andati a fare un delivery in Svizzera, abbiamo portato bottiglie in un hotel e quando siamo arrivati ci hanno detto che non era possibile continuare la festa lì e l’organizzatore ci ha portato in una scuola. Aveva le chiavi perché ci lavorava. Francamente non sapevo manco se le scuole in Svizzera stessero chiuse o meno. Per questa “tarantella” ci hanno portato in Questura, fatto aspettare cinque ore prima di ricevere una multa di 600 franchi. Adesso siamo ritornati a Milano dopo aver dormito a Locarno in hotel. Ci hanno attaccato per un “party” quando eravamo in sei a bere. Roba che se domani via fuori la stazione di Milano o al Duomo o in fila fuori ai negozi vedi assembramenti peggiori. Ma il problema siamo noi, gli influencer“. Sull’episodio “la direzione dell’istituto ha subito denunciato i fatti alle autorità inquirenti. Sono in corso gli accertamenti del caso per stabilire la dinamica dell’evento e le relative responsabilità – si legge in una nota diffusa in tarda mattinata dal Decs (dipartimento dell’educazione cultura e dello sport) —. Un docente della scuola media in questione è stato immediatamente sospeso dalle sue funzioni. Il dipartimento denuncia con forza questi atti intollerabili commessi da adulti, gravemente lesivi dell’immagine e della rispettabilità dell’istituzione scolastica. Le responsabilità saranno chiarite al più presto”. Secondo quanto riporta TicinoNews.Ch, sono sette le persone denunciate dalla Polizia per la festa clandestina avvenuta questa notte alla Scuola media di Locarno 1 e trasmessa nelle stories di un influencer italiano. Lo comunica la Polizia cantonale. Tutti i coinvolti sono stati inoltre fermati e interrogati dalle autorità, che riportano come si tratti di un 40enne e una 40enne cittadini svizzeri domiciliati nel Locarnese, un 53enne e una 29enne cittadini svizzeri domiciliati nel Bellinzonese, un 55enne (l’influencer), un 23enne e una 20enne cittadini italiani residenti in Italia. Molteplici le ipotesi di reato: la prima, nei confronti di tutti i fermati, è di contravvenzione all’Ordinanza sui provvedimenti per combattere il coronavirus (COVID-19). Il 40enne, il 55enne, il 23enne e la 20enne devono pure rispondere di contravvenzione alla Legge federale sugli stupefacenti. A carico del 23enne vi è inoltre l’addebito di infrazione alla Legge federale sugli stupefacenti. Il 40enne dovrà infine rispondere anche di guida in stato di inattitudine. Nei confronti dell’influencer 55enne l’Amministrazione federale delle dogane ha rilevato una serie di infrazioni che sono state sanzionate con una multa”.

Marco Pasqua per “il Messaggero” l'1 marzo 2021. Nell' ultimo weekend in zona gialla, a Milano, non c' è stato solo il rave, fatto partire dai centri sociali, in Darsena - seguito da un comprensibile fiume di polemiche social ma anche un altro evento più glam, ma sempre affollatissimo (e senza mascherine), tra le mura di un nuovo spazio, nell'ex scalo ferroviario a Lambrate. E' qui, infatti, che l'esclusivo party per l'inaugurazione del Sanctuary Milan - gemello dello stesso locale modaiolo a Colle Oppio, nella Capitale ha visto sfilare Belen, accompagnata dal fidanzato, Antonino Spinalbese, oltre ad Eliana Michelazzo e decine di modelle, art director, dj, artisti, volti più o meno noti della Milano da bere, pronta (neanche troppo) a tornare in arancione, da oggi. Al centro di una delle due sale, un dj ha fatto ballare gli oltre 400 ospiti arrivati per godersi questa parentesi, senza mascherine e con una ressa che non ha spaventato i vip invitati per questo pomeriggio danzante. Il tutto nella stessa struttura che ospitava una mostra poco in sintonia con quella discoteca improvvisata: alle pareti di una sala limitrofa, infatti, erano appesi gli scatti dell' esposizione Once upon a time in 2020, dedicata proprio al Covid, e sostenuta, come spiegano gli organizzatori sui loro canali social, dal Comune di Milano. «Oltre 100 fotografie per una mostra divisa in quattro diverse sezioni, che affrontano il Covid offrendo vari punti di vista, nuovi e sorprendenti, sulla condizione umana in questo periodo», evidenzia l' autore, Fabrizio Spucches, professionalmente legato ad Oliviero Toscani. Un'apertura lampo, quella del Sanctuary, visto che, secondo le nuove disposizioni, questo locale industrial dovrà richiudere i battenti: in tutto 1500 metri quadrati di cemento, ferro e rotaie, «trasformati in un' oasi metropolitana spiegano i curatori da un' intera community di artigiani ed artisti. Uno spazio senza tempo, per scoprire nuovi mondi e riconnettersi col proprio io». Dalle colazioni ai pranzi, fino agli aperitivi e ai live set, come quello di sabato pomeriggio, appunto. Belen, arrivata con degli amici, ha mangiato in un'area a lei riservata ma poco distante dai tavoli e dal resto della folla e ha pubblicato numerose stories sul suo profilo Instagram. Coccole e baci tra la showgirl argentina, incinta al quinto mese di una bimba, e il fidanzato, a cui è stata vicina tutto il pomeriggio, tra un cocktail e un passaggio dalla cartomante, per una lettura dei tarocchi (una sorta di bollino di questo locale). E poi, una visita alla mostra di Spucches, durante la quale l' artista le ha anche realizzato un ritratto fotografico con la mascherina. Ma oltre a Belen, hanno risposto all' appello degli organizzatori della struttura di via Pietro Saccardo, la Michelazzo, in compagnia di un' amica, l' influencer americana Soleil Sorge Stasi, la trapper Chadia Rodriguez, e molte modelle e dj (alcuni dei quali arrivati appositamente dalla capitale per questa festa). Blindate anche le stories su Instagram degli ospiti più in vista: alcune persone, che avevano condiviso dei video che troverete pubblicati oggi sul sito del Il Messaggero in cui gli assembramenti erano fin troppo evidenti, sono successivamente state pregate di rimuoverli. I Pr e lo staff, inoltre, si sono limitati a riprendere e mostrare solo il pubblico seduto ordinatamente ai tavoli, evitando di fornire il pretesto per una polemica che riecheggiasse quella del rave abusivo in Darsena. Eppure le stesse stories di Belen, mostravano gruppi di persone intente a ballare, senza mascherina. «Sì, è vero, ad un tratto si è iniziato a ballare e abbiamo avuto la sensazione che fosse davvero troppo, anche perché non c' era motivo di togliersi la mascherina», ha raccontato una ragazza che era presente all' evento e che ha preferito andare via dopo mezz' ora.

Riccardo Caponetti e Valentina Lupia per “la Repubblica” l'1 marzo 2021. L'appuntamento è dopo l' aeroporto e dopo i campetti da calcio, in fondo a una strada sterrata e all' interno di un grosso casale di campagna lontano, nell' aspetto, da una discoteca clandestina. All'ingresso c' è un addetto alla sicurezza vestito di tutto punto, e con un termoscanner che tiene in mano giusto per fare scena. Perché la febbre non viene misurata a nessuno. A chi arriva, in cambio di un pomeriggio in disco, i pr - « quelli che portano gente» - chiedono solo di « non pubblicare foto e video sui social, perché abbiamo già avuto problemi » . Con le forze dell' ordine, s' intende. Già, perché gli appuntamenti di " Opera Eventi", discoteca mascherata da ristorante, violano la stragrande maggioranza delle disposizioni anti- contagio: mascherine abbassate o lasciate sul tavolo, assembramenti, balli scatenati, in gruppo. La location è un grande casale color mattone a Isola Sacra, frazione del Comune di Fiumicino dove dove meno di dieci giorni fa una scuola, la Rodano, è stata chiusa per 19 casi di positività, di cui due di variante inglese. L' evento, pubblicizzato sui social tentando però di non dare troppo nell' occhio, si presenta come un «lunch-show», con tanto di menu di pesce e «vino incluso»; l' ingresso «a partire dalle 12 » , va prenotato scrivendo su WhatsApp a un numero di cellulare. Il locale si riempie dalle 16, nonostante qualcuno sia davvero venuto anche per il pranzo. Si è in cinque, in sei o anche più? «Nessun problema», ci si può sedere comunque insieme, nonostante le disposizioni fissino il limite di quattro persone per tavolo. A partecipare sono ragazzi sulla ventina, forse qualcosa di più, che una volta entrati la mascherina se la dimenticano. Nella disco clandestina la musica è «a palla» e quei cocktail mentre si balla hanno il sapore di proibito. Qualcosa che agli adolescenti, che così possono fuggire da una routine di mascherine, didattica a distanza, lavoro e distanziamento piace, alletta, intriga. « E poi ci vanno anche i trapper, quelli famosi » , racconta chi il locale lo frequenta con la comitiva, con la « gang » . I filmati- ricordo " rubati" finiscono sui social e si aggiungono alle foto ufficiali (e riservate) dell' evento. A inizio febbraio, a pubblicarne alcuni, inequivocabili, è stato Elia17Baby: « Non me sembra vero » , aveva scritto per accompagnare una " story", un mini video di massimo 15 secondi che è rimasto online per 24 ore. Ventiquattr' ore in cui i suoi 78mila followers l' hanno visto in piedi, senza mascherina ( e, a tratti, anche senza t- shirt), calice di vino in mano, dito medio rivolto agli spettatori, tra disco music e qualche « bella fratè» in sottofondo. Il « lunch- show » - lo raccontano anche le poche immagini sui social: « Ci hanno fatto capire di non " postarle" », racconta una 18enne - si ripete ogni domenica, in barba a ogni disposizione anti- contagio. Ed « è sui soppalchi che si vedono le scene peggiori: vi si sale da una scala a chiocciola, ma da sotto è tutto molto chiaro. Sembrano i privé di una discoteca, c' è anche gente che fuma, nonostante ci sia un' area esterna con sedute e divanetti » . Stando a sentire altri pr, in cassa integrazione perché fermi con gli eventi da un anno, Opera non sarebbe un' eccezione: «Non sono gli unici a fare porcate». E che rimandano, dopo le 18, i ragazzi a casa con mamma, papà, fratelli, sorelle che il giorno dopo vanno a lavoro e a scuola. A Isola Sacra i ragazzi festeggiano come se nulla fosse "Vietato fare video e foto che c' abbiamo avuto problemi". E all' uscita ti controllano il telefonino k Senza mascherina I tavoli del locale "Opera" di Isola Sacra, con i ragazzi intenti a bere e ballare fino alle 18.

Andrea Galli per corriere.it l'1 marzo 2021. Il penoso spettacolo di sabato sulla Darsena inizia da un nome, quello del terrorista Dimitris Koufontinas, già leader di 17 Novembre, uno dei maggiori gruppi eversivi d’Europa. Utilizzando la «copertura» della solidarietà al greco, in prolungato sciopero della fame, gli anarchici milanesi, in perenne ricerca di consenso, hanno cercato di utilizzare la stupidità di decine di ragazzi, esterni al movimento ma vogliosi di un presunto atto di ribellione contro i decreti anti Covid. Come raccolto dal Corriere attraverso fonti di polizia e carabinieri, il rave party illegale sulle sponde dei Navigli potrebbe avere avuto origine proprio da qui. Dalla «saldatura» tra gli antagonisti e gli ubriachi che altro non aspettavano che la musica ad alto volume, per ballare sfidando la chiusura dei locali alle diciotto e in generale le regole del buon senso. Ma siccome ogni azione ha la sua reazione, i carabinieri genereranno provvedimenti, grazie alle annotazioni in diretta e ai filmati delle telecamere, identificando e sanzionando i responsabili. Dopodiché, da due giorni i cittadini protestano contro il mancato intervento delle forze dell’ordine. Obiezione lecita ma che deve essere calata nel contesto. L’altro ieri, tra Darsena e Navigli, si sono toccate punte di ventimila presenti ovviamente ammassati, in un costante scenario di mascherine levate, fino ad arrivare all’epilogo in Darsena, con ultimo atto una rissa serale, di quelle che il fine settimana ne accadono in ogni grande città, tra meno di venti persone, italiane e straniere, che si sono lanciate addosso bottiglie di birra, e in qualche caso hanno bersagliato il «Nucleo riserva» dell’Arma in avvicinamento. In totale, sui Navigli ci sono stati 180 carabinieri, per niente pochi, impegnati anche a «filtrare artigianalmente» gli accessi, mentre ieri, già a partire dalle 10.30, 200 agenti sorvegliavano il dispositivo di transennatura della Darsena onde regolare gli accessi. Un provvedimento d’intesa con il prefetto per governare una delle maggiori zone critiche di Milano, divenuta simbolo della disobbedienza, e deciso per evitare il bis di gazzarre. Dopodiché, a monte, resta una domanda retorica: possibile che un comportamento responsabile in pubblico debba per forza passare attraverso le sgridate di un agente oppure un maresciallo? Altro elemento non trascurabile, tutt’anzi, pur se ignorato dai politici: la polizia, sempre sabato, ha dovuto lavorare per sventare due annunciate risse tra ragazzini, dopo la solita chiamata via chat. In un caso, erano pronti ad affrontarsi bambini di dodici anni (dodici) armati di bastone. Tornando agli anarchici, loro avrebbero potuto esibire altrove lo striscione issato per Koufontinas, senonché, forse perché in uno spazio privato avrebbero palesato l’esigua adesione, hanno ripiegato sulla folla dei Navigli. Rimane un’ipotesi, seppur assai considerata, la volontà di innescare il rave party per «ottenere» un intervento di polizia e carabinieri - ovvero cariche -, intervento invece assente dopo lucida analisi della situazione: i danni sarebbero potuti essere enormi. L’alta densità di ragazzi, il rischio di cadere in acqua, la conformazione logistica dell’area che aumentava le complicazioni di un’«azione muscolare», la decisa volontà di non tramutare questa stagione pandemica anche in una questione di ordine pubblico. La linea era ed è quella della gestione del momento, con testa e tanta, tanta pazienza.

Il caso. “Quegli anarchici hanno bevuto senza mascherina”, pool anti terrorismo apre fascicolo…Frank Cimini su Il Riformista il 3 Marzo 2021. La Questura di Milano fa sapere con una nota ufficiale di aver identificato 12 persone appartenenti all’area anarchica che erano presenti sabato scorso sulla Darsena “con un bicchiere in mano e senza mascherina”. Sempre da via Fatebenefratelli comunicano che stanno predisponendo una relazione da portare in procura dove il capo del pool antiterrorismo Alberto Nobili aprirà un fascicolo di indagine. La sensazione è che il Covid stia contribuendo a far ulteriormente perdere il senso delle proporzioni fino a ipotizzare una sorta di “bicchierata a fini di terrorismo”. Tutto ruota intorno a uno striscione, mezzo lenzuolo bianco con scritte in blu e in rosso, retto da poche persone, di solidarietà con Dimitris Koufondinas, anarchico greco che sta facendo lo sciopero della fame in carcere e per il quale le autorità elleniche hanno disposto l’alimentazione forzata. La fondamentale indagine coordinata dal dottor Nobili dovrà cercare di stabilire il nesso di causalità tra il famoso striscione e le migliaia di persone che avevano scelto la Darsena per godere il penultimo pomeriggio di sole prima del ritorno alla zona arancione fissato per il lunedì. “Magari ci fossero a Milano tanti anarchici!” commenta l’avvocato Mauro Straini che da tempo gli anarchici li assiste in Tribunale e al quale presumibilmente toccherà pure la causa dei bicchieri. Per capire questa vicenda al limite del grottesco bisogna considerare che in Italia esistono e operano mastodontici apparati antiterrorismo dei quali è impossibile conoscere i costi a causa di una sorta di segreto di Stato di fatto. A che cosa servono questi apparati dal momento che i cosiddetti anni di piombo sono finiti da un bel pezzo? Anche questo sarebbe interessante sapere. Gli uffici della Digos e le corrispondenti sezioni dei carabinieri, per non parlare dei servizi segreti, non avendo molto da fare devono giustificare per forze di cose la loro esistenza. Per questo motivo persino la bicchierata senza mascherine all’ombra dello striscione greco viene ingigantita e volutamente fraintesa, equivocata, attraverso il Corriere della Sera che domenica aveva lanciato l’allarme raccogliendolo dalla questura con la quale computer e smartphone sono continuamente collegati. Così partiva l’ambaradan poi proseguito visionando i filmati e arrivando a individuare la “sporca dozzina” di pericolosi anarchici che avrebbero messo a rischio la lotta contro la pandemia, là dove in verità chi governa dal centro e dalla periferia ha ottenuto fin qui scarsi risultati.

Alessia Marani e Mirko Polisano per “Il Messaggero” l'1 marzo 2021. La notte i party illegali, di giorno l'assalto ai ristoranti del litorale e persino le prime tintarelle in spiaggia: il week-end in zona gialla è trascorso tra controlli anti-assembramento e l'anelito a riconquistarsi spazi cancellati da coprifuoco e restrizioni, cercando anche trasgressione. Sabato notte gli interventi dei carabinieri, prima in un appartamento di studenti universitari in via Garibaldi, a Trastevere. Qui, nel piccolo bilocale, erano in venti, tra italiani, spagnoli e americani, tutti tra i 20 e i 25 anni. La musica alta, gli schiamazzi dopo la mezzanotte hanno richiamato l'attenzione dei vicini che hanno allertato il 112. Era chiaro che non fosse una cena tra intimi. Alla vista delle divise c'è chi ha tentato di fuggire dal balcone, chi ha provato a nascondersi in cima alle scale, ma per tutti è scattata l'identificazione e la sanzione amministrativa. Non troppo lontano, al di là del fiume, nelle stesse ore i carabinieri di Roma Centro sono dovuti intervenire, invece, per un'altra festa, questa volta organizzata in un elegante appartamento gestito da un affittacamere in via dell'Orso. Stavolta non c'erano solo giovanissimi, ma l'età della quindicina di ospiti variava tra i 24 della più giovane e i 48 del più adulto. Ad accomunarli non c'erano studi o esperienze professionali comuni, né gradi di parentela, piuttosto a spingerli a ritrovarsi tutti insieme, pur arrivando da diversi quartieri della Capitale anche molto lontani tra loro, sarebbe stata la voglia di incontrarsi e conoscersi. I carabinieri hanno trovato una decisa resistenza ad aprire mentre dentro si sentivano ancora la musica e le voci di più persone. C'è voluta un'ora e mezza di trattativa finché i militari non sono riusciti a rintracciare il gestore della casa vacanze e a recuperare il doppione della chiave. Nonostante questo, una 34enne, ha tentato in tutti i modi di sbarrare loro l'accesso e li ha ricoperti di insulti. Una volta all'interno, i carabinieri hanno perlustrato le varie stanze, alcuni partecipanti sono spuntati fuori dagli armadi, qualcuno era sotto il letto. Altri hanno tentato di dare una giustificazione: era una cena, ma ci siamo attardati. Anche per loro scatterà la sanzione amministrativa per avere violato le normative anti-assembramento. Recidiva la 34enne, incensurata e formalmente senza una occupazione. La donna era già stata sorpresa e multata nel corso di un altro party clandestino scoperto in Centro storico. Probabilmente è lei che ha organizzato la serata. L'altra notte, però, è stata anche portata in caserma e denunciata a piede libero per resistenza e oltraggio a pubblico ufficiale. Altre due feste clandestine sono state scovate dalla Municipale a San Giovanni e sempre a Trastevere. Già da venerdì, nel rione era stato rafforzato il piano della Questura per evitare gli assembramenti. Sono state delimitate dalla polizia locale la Scalea del Tamburino e la Fontana di santa Maria in Trastevere e al termine di due giornate di controllo sono state identificate 190 persone di cui 18 stranieri e sanzionata soltanto una persona per la mancanza dei dispositivi protezione. Intanto, ieri, più che nel Tridente, gli afflussi record si sono registrati nei parchi e sul litorale. Da Ostia a Fiumicino, in migliaia hanno preso d'assalto la costa romana per un pranzo al mare o una giornata in spiaggia. Traffico in tilt sulla Colombo e via del Mare. Pattuglioni di polizia e vigili urbani dispiegati nei punti più sensibili: dal Pontile alla Rotonda, fino al Porto turistico. Tante le segnalazioni di assembramenti ma nessuna tale da far arrivare le forze dell'ordine a prendere un provvedimento. I carabinieri hanno disposto la chiusura per 5 giorni di un mini market nei pressi della stazione Lido centro ed elevato contravvenzioni a 8 persone in violazione delle disposizioni Covid. File di auto per accedere al lungomare e in direzione Fregene. Molto gettonata la passeggiata sulle banchine del porto-canale di Fiumicino e trasformata in isola pedonale. Per ottemperare alle distanze imposte dal Covid e scongiurare assembramenti, viale della Torre Clementina è stata interdetta alle auto. Lunghe file davanti ai ristoranti, soprattutto take-away, con file di clienti che hanno occupato non solo marciapiedi ma anche la sede stradale, code tenute - comunque - sotto controllo dalla massiccia presenza di agenti di polizia locale.

Elisabetta Andreis per corriere.it il 27 febbraio 2021. Musica, drink, palloncini psichedelici a pile e un centinaio di ragazzi che ballano a bordo dell’acqua, molti senza mascherina e soprattutto senza che nessuno dica loro niente. Lo spettacolo che si presenta in Darsena sabato intorno all’ora di cena pare quello di un mini-rave, complice il buio. Peccato che Milano stia per tornare in zona arancione, che all’orizzonte ci sia un nuovo picco di contagi e che a tutti sia chiesta la massima dose di responsabilità, visto il momento delicato e anche la necessità di tenere aperte il più possibile le scuole, compatibilmente con la salute pubblica. Per tutto il giorno, sotto il sole primaverile, in strada c’è stata molta gente, con le vie dello shopping e i Navigli che sono tornati di colpo affollati. Eppure in attesa di lunedì, quando le disposizioni sui nuovi divieti entreranno in vigore, le forze di polizia hanno alzato il livello di guardia con multe e controlli.

(ANSA il 27 febbraio 2021) Folla a San Lorenzo, zona di movida della Capitale. Chiusa nel tardo pomeriggio momentaneamente dalla polizia locale piazza dell'Immacolata per far defluire il grosso numero di persone. Isolata anche la scalea del Tamburrino a Trastevere, come previsto dal piano anti-assembramenti messo appunto nei giorni scorsi in un tavolo tecnico presieduto dal questore.

Paolo Teodori per l’ANSA il 27 febbraio 2021. La concomitanza di giornate quasi primaverili su gran parte dell'Italia e la stretta sui 'colori' che sta per interessare alcune regioni ha fatto scattare in tanti la voglia di incontrare amici e conoscenti, magari facendo shopping o per un aperitivo o un pranzo all'aperto. Nel frattempo in attesa di lunedì, quando le disposizioni sui nuovi divieti entreranno in vigore, le forze di polizia hanno alzato il livello di guardia con controlli che hanno interessato ancora una volta le strade della movida e dello shopping e i lungomari, tornati di colpo affollati di persone. Ormai da mesi la scure dei controlli è incombente, come dimostrano i dati di ieri del Viminale: le Forze di polizia hanno verificato 108.416 persone, con 1.041 sanzioni e 10 denunce. Sono stati poi verificati 12.015 tra attività ed esercizi commerciali, con 72 titolari sanzionati e 29 chiusure. L'incubo-focolai con annesse varianti è testimoniato bene dal fermo richiamo del sindaco di Milano Giuseppe Sala in vista dell'ultimo fine settimana giallo prima del rientro della Lombardia in arancione: "Comportatevi in modo adeguato al difficile momento. Siamo in arancione da lunedì ma avendo un week-end di giallo e bel tempo vi chiedo di tenere un comportamento corretto". Sala ha lamentato la presenza nelle strade di "troppi gruppi, talmente tanti che diventano incontrollabili dalle forze dell'ordine. Detto ciò - ha annunciato - oggi rafforzeremo i controlli. Ne ho parlato con il Questore. Ho chiesto un intervento più deciso per questo week-end e così sarà". Invito per molti versi disatteso vista la gran massa di persone che nel pomeriggio si è riversata nelle zone dello shopping e dello spritz, con migliaia di giovani seduti ai tavolini all'aperto di bar e ristoranti di corso Sempione. Assembramenti record anche nella Capitale dove sono state disposte chiusure momentanee nel quartiere di San Lorenzo e Trastevere, il tutto messo in atto dopo il piano anti-assembramenti adottato nei giorni scorsi in un tavolo tecnico presieduto dal questore. Rafforzamento dei controlli e del numero di agenti anche sul litorale romano - tra Fregene e Ostia per intendersi - teatro nello scorso week end di assembramenti, soprattutto vicino a bar e ristoranti. Multe e chiusure di esercizi commerciali ancora a Napoli, come è accaduto ieri per tre bar nel centro storico della città, dove si offrivano bevande al banco oltre l'orario consentito. Ma la "guerra" agli assembramenti riguarda tutti i centri, grandi e piccoli: come testimonia quanto accade a Follonica, cittadina in provincia di Grosseto - in cui sono comparse due casi di variante inglese e uno di brasiliana - dove il sindaco Andrea Benni ha annunciato una brusca intensificazione dei controlli sul territorio da parte delle forze dell'ordine. Tutto bene nella provincia di Pistoia, alle prese con il primo giorno di zona rossa: "Sono andato con la polizia municipale - ha riferito il sindaco Alessandro Tomasi - abbiamo anche attivato i volontari per controllarli: le persone c'erano, ma rispettavano le regole, non ho trovato assembramenti, quindi la prima giornata sta andando bene". Pronta a bacchettare i comportamenti non virtuosi la sindaca di Riccione, che dal due marzo passa in arancione scuro: "Dalla Regione - ha affermato Renata Tosi - attendo anche che con le nuove restrizioni vengano date indicazioni su nuovi ed eventuali controlli perché abbiamo visto come sia inutile chiudere senza controllare che le persone non escano di casa se non per i motivi consentiti". Forte attenzione anche agli spostamenti tra regioni, come dimostra il caso di un 19enne multato di oltre mille euro dagli agenti di polizia perché residente a Gubbio (Perugia) e sorpreso - e non era la prima volta - a Fabriano (Ancona). Mano ferma anche a Cavour (Torino), che si prepara a diventare zona rossa, dove le autorità locali non prevedono una 'blindatura' del territorio con blocchi stradali ai confini, ma controlli continui h24. Buone notizie da Bologna nel primo giorno di "arancione scuro": nella 'T' pedonale del centro storico, dove si incrociano le tre strade più frequentate della città, si è camminato tranquillamente senza il classico "slalom". Ieri però nelle strade del capoluogo felsineo le forze dell'ordine hanno dovuto affrontare una massa importante di persone, molte delle quali senza mascherine, con 43 persone sanzionate. Allarmato il sindaco di Grado Dario Raugna: "Oggi la città appariva particolarmente affollata visto anche il bel tempo e domani verosimilmente lo sarà ancora di più: la preoccupazione è notevole". Sanzioni più severe saranno stabilite anche per i militari se infrangono le norme anti Covid: i reati che possono essere contestati dai magistrati con le "stellette", è stato reso noto durante l'inaugurazione dell'anno giudiziario militare, sono "violata consegna" e "disobbedienza aggravata", che prevedono pene salate.

Multe per assembramento dopo la conferenza stampa di FdI: "Prove di regime". La polizia interviene dopo l'iniziativa di Fratelli d'Italia: "Tutti distanziati e con mascherine in una via deserta. E se fosse stato il Pd?". Pronta un'interrogazione al ministro Lamorgese. Luca Sablone - Sab, 27/02/2021 - su Il Giornale. Una conferenza stampa organizzata per presentare il deputato Gianluca Vinci, che dopo un passato storico nella Lega ha deciso di sposare la causa di Fratelli d'Italia. Il partito di Giorgia Meloni ha promosso l'iniziativa questa mattina a Reggio Emilia, nella sede di via San Zenone, alla quale hanno preso parte anche il coordinatore provinciale Alberto Bizzocchi, il vicecoordinatore regionale Aragona e il nuovo addetto stampa Nicolas Verzelloni. La conferenza si è però conclusa con una serie di multe a causa di un presunto assembramento. Al termine dell'appuntamento i presenti hanno preso due bottiglie per brindare e, considerate le piccole dimensioni della sala, hanno deciso di uscire fuori per rispettare il distanziamento interpersonale: "In tutto saremo stati in otto. Tuttavia sono arrivate tre pattuglie della polizia municipale: una è andata via mentre le altre due, con sei agenti, ci hanno contestato l'assembramento". Sanzioni che però hanno fatto scuotere la testa a FdI, che per bocca dello stesso Vinci ha esternato il totale sconcerto per quanto accaduto: è stato infatti riferito che si trattava di "una via del centro deserta", anche perché "le manifestazioni politiche sono consentite". "In più c'erano otto persone all'aperto con mascherine. A pochi passi, invece, nel centro pedonalizzato, era pieno di gente. Vogliamo spiegare come sono andati i fatti. Mi chiedo, fosse stata una sede del Pd con 100 persone dentro, se avrebbero ricevuto una contestazione di questo tipo", ha aggiunto all'Adnkronos la new entry di Fratelli d'Italia. Nel frattempo è pronta un'interrogazione che il partito della Meloni presenterà al ministro dell'Interno Luciana Lamorgese per chiedere spiegazioni in merito ai fatti accaduti in mattinata a Reggio Emilia. Francesco Lollobrigida, capogruppo di Fratelli d'Italia alla Camera, ha espresso solidarietà ai presenti e ha denunciato che in una democrazia avanzata come la nostra "un clima da regime è inaccettabile e le libertà costituzionali non possono essere calpestate per nessuna ragione". Toni durissimi usati anche dal deputato Galeazzo Bignami: "Trovo estremamente grave che oggi a Reggio Emilia un plotone di agenti della Municipale abbia multato esponenti di Fratelli d'italia che avevano indetto una conferenza stampa per annunciare il passaggio del deputato Gianluca Vinci. Non saranno queste prove di regime a soffocare l'unica opposizione al governo Draghi: noi non ci faremo intimidire". A scagliarsi contro il sindaco Luca Vecchi è stato Tommaso Foti, che ritiene del tutto ingiuste le multe per presunto assembramento ai danni degli esponenti di FdI. "Il compagno Vecchi non si smentisce: fa finta di non vedere, e tiene bordone, a chi cerca di limitare l'agibilità politica della destra. Legittimo è il dubbio: ma Vecchi è il sindaco di tutti o l'ultimo degli eredi della Rivoluzione d'ottobre?", ha tuonato il vicecapogruppo di Fratelli d'Italia alla Camera. Il coordinatore provinciale Bizzocchi non esclude che dietro l'intervento possa esserci la mano di chi non vede di buon occhio il partito di Giorgia Meloni: "L'unico che fa opposizione e che non ha accettato compromessi con Pd, 5 Stelle e Leu. Ovviamente faremo ricorso".

Da ilrestodelcarlino.it il 28 febbraio 2021. Una conferenza stampa. Un brindisi per salutarsi. E 2.700 euro di multa per assembramento e violazione dell’ordinanza del sindaco Luca Vecchi. La mattinata dello stato maggiore reggiano di Fratelli d’Italia è finita così, con una dura maxi-sanzione che secondo Alberto Bizzocchi, coordinatore di Fratelli d’Italia, "non è altro che una punizione mirata di tipo politico". Uno stratagemma, secondo lui e il nuovo deputato Gianluca Vinci, appena passato dal Carroccio alla corte della Meloni, volto ad attaccare il partito. "Erano più i vigili accalcati a verbalizzare che noi davanti alla sede", chiosa ironico l’avvocato. Bizzocchi ricostruisce l’accaduto: "Avevamo appena concluso la conferenza stampa in via San Zenone dove abbiamo la nostra sede. Avevamo presentato il nuovo membro del partito Gianluca Vinci e il nuovo addetto stampa. Qualcuno aveva portato due bottiglie per fare un brindisi e per evitare di star vicini siamo usciti un attimo con i bicchieri". Ma a quel punto l’amara sorpresa. "E’ arrivata una pattuglia della polizia municipale – continua Bizzocchi – e hanno cominciato a dire "assembramento, assembramento" e poi a chiederci perché avevamo delle bottiglie aperte". A quel punto gli agenti, che si sono trovati davanti nove militanti del partito di destra reggiano, hanno chiamato rinforzi. "Alla fine sono arrivate tre pattuglie con nove agenti – aggiunge Gianluca Vinci – Una di loro poi è andata via. E sono rimasti in 6 a verbalizzare". A far scattare i controlli sarebbe stata una chiamata di un vicino. "Abbiamo anche visto un ragazzo entrare un attimo in conferenza stampa e fare una foto alla sala poi uscire – aggiunge Bizzocchi – Aveva la pettorina degli addetti comunali". Al Dpcm non si comanda, e quindi via con le multe: "Mi volevano persino contestare la somministrazione di alcol – aggiunge divertito Vinci – solo perché avevamo due bottiglie aperte. Inoltre non si capisce dal verbale a quale ordinanza sindacale si faccia riferimento. Non ci sono codici né numeri. Presenteremo una memoria al prefetto per spiegarle che si trattava di un incontro politico nella nostra sede". Per Vinci è la terza multa in poche settimane, dopo quelle ricevute per aver aderito alla campagna #Ioapro nei ristoranti. "E’ una presa di posizione politica secondo me, non c’è altro motivo – commenta Bizzocchi – Oggi pomeriggio abbiamo avuto l’autorizzazione a fare un banchetto in via Crispi. E poi ci fanno una multa per essere stati in 9 davanti alla sede". "Trovo estremamente grave che un plotone di agenti abbia multato otto esponenti di Fratelli d’italia – interviene anche il deputato bolognese Galeazzo Bignami – Non saranno queste prove di regime a soffocare l’unica opposizione al governo Draghi".

FdI, multe per assembramento al banchetto a Reggio Emilia: "Intollerabile abuso contro i soli all'opposizione", la denuncia della Meloni. Libero Quotidiano il 28 febbraio 2021. Parlano quelli di Fratelli d'Italia? Interviene la polizia. Si conclude con l'intervento delle forze dell'ordine una conferenza stampa indetta nella mattinata di sabato a Reggio Emilia, per raccontare il passaggio del deputato reggiano Gianluca Vinci dalla Lega a FdI. All'esterno della sede locale del partito di Giorgia Meloni era stato allestito un tavolino con bicchieri e bottiglie per accogliere Vinci, quando però è arrivata la Polizia locale che ha identificato e multato i partecipanti per ol presunto assembramento. Il tutto anche se le mascherine erano indosso e si cercava di rispettare al massimo ogni tipo di misura relativa al distanziamento sociale. Furibonda la reazione della Meloni: "È intollerabile quello che è successo, soprattutto a fronte delle immagini che vediamo tutti i giorni e che abbiamo visto in passato, nei confronti delle quali non abbiamo notizie si sia intervenuti - tuona -. Si tratta di abusi nei confronti dell'unica forza di opposizione. Tutti ricordiamo gli assembramenti selvaggi creati dall'ex capo del governo, Giuseppe Conte, davanti a Palazzo Chigi. Abbiamo già annunciato un'interrogazione parlamentare", ha concluso la Meloni. E in effetti, le immagini evocate dalle leader di FdI sugli assembramenti firmati-Conte dovrebbe far riflettere. Proteste anche da parte di Galeazzo Bignami, deputato bolognese di FdI: "Trovo estremamente grave che oggi a Reggio Emilia un plotone di agenti della Municipale abbia multato otto esponenti di Fratelli d'Italia - ha scritto sui social -. Non saranno queste prove di regime a soffocare l'unica opposizione al governo Draghi. Noi non ci faremo intimidire". Dunque le parole di Tommaso Foti, vicecapogruppo alla Camera di Fratelli d'Italia: "La Polizia locale contesta ad alcuni esponenti di Fratelli d'Italia un inesistente assembramento, quando non c'è giardino o area verde della città in cui siano riunite venti volte tanto gli esponenti di FdI oggi sanzionati. Legittimo è il dubbio: ma Vecchi (sindaco di Reggio Emilia, ndr) è il sindaco di tutti o l'ultimo degli eredi della rivoluzione d'ottobre?", ha concluso picchiando durissimo.

Dalle discoteche chiuse ai pomeriggi danzanti abusivi: “Alla faccia del covid!” Ciro Cuozzo su Il Riformista il 20 Febbraio 2021. “Alla faccia del covid!“. Non è chiaro se detto a mo’ di stupore per l’eccessiva presenza di persone (circa 150) ai pomeriggi danzanti abusivi o se per farsi beffe del virus e degli pseudo divieti che non tutti rispettano. Con in mano una bottiglia di champagne e l’immancabile candelotto per non passare inosservati, un ragazza commenta così un pranzo-spettacolo letteralmente abusivo andato in scena nell’ultimo mese di zona gialla a Napoli e provincia. Ma episodi del genere sono stati registrati in tutta Italia. Dopo un mese di zona gialla (16 gennaio), da domenica 20 febbraio la Campania cambierà colore e passerà all‘arancione a causa dell’aumento dei contagi aggravate dalla presenze di varianti del coronavirus considerate più aggressive. Una sconfitta per tutte quelle attività della ristorazione e di quel che è rimasto della movida (le discoteche nell’ultimo anno hanno lavorato solo nel periodo estivo e il mondo dei baretti, con la chiusura alle 18, è stato quasi del tutto ridimensionato) che hanno continuato a lavorare rispettando le disposizioni anti-covid. C’è chi però ne ha approfittato, organizzando dei veri e propri pomeriggi danzanti nel weekend. Con il coprifuoco alle 22, si parte dalle 13-14 e si va avanti fino alle 21. I controlli delle forze dell’ordine, nonostante le segnalazioni, molto spesso non arrivano. Il motivo? Sono sott’organico (lo erano già ma il covid non li ha risparmiati) e con un carico di lavoro che nell’ultimo anno, ironia della sorte, è aumentato in modo considerevole proprio a causa dell’emergenza. Non riescono a coprire tutto anche perché episodi del genere non sono sporadici e vanno in scena, così come accertato da carabinieri e polizia, in alberghi, sale di cerimonia, case affittate per l’occasione e così via. Se gli “sciacalli”, così come sono stati ribattezzati dagli addetti ai lavori, ne approfittano per organizzare party abusivi, dall’atra parte c’è anche chi vive d’ostentazione e non riesce a non apparire. L’ulteriore beffa infatti è che i video dei pranzi-spettacolo vengono anche pubblicati sui social e su Tik Tok in particolare. Sale grandi, al chiuso e con l’angolo consolle. L’atmosfera e le luci sono quelle della oramai vecchia discoteca, i tavoli non conoscono distanza di sicurezza e oltre cento giovani ammassati ballano e bevono “alla faccia del covid”. Già in settimana Confesercenti aveva denunciato la quasi totale assenza di controlli sul lungomare di Napoli in occasione del martedì grasso, dove in occasione del Carnevale, approfittando delle scuole chiuse, alcune zone della città sono esplose. Tantissime le persone in giro e tantissimi quelle (soprattutto ragazzini) senza mascherina. Una zuffa tra giovani, con tanto di aggressione all’autista del 118, ha provocato momenti di tensione e fuggi fuggi generale in via Partenope. L’episodio si è verificato intorno alle 2 e diversi ristoratori presenti nella zona hanno subito ripercussioni. Adesso che la Campania torna in zona arancione è facile dare la colpa agli imprenditori della ristorazione e di quel che resta della movida. Ma non sono i responsabili dei focolai che si creano. Anche loro, parafrasando il governatore Vincenzo De Luca, sono vittime dello sciacallaggio mediatico diventato sempre più di tendenza in questo terribile anno di pandemia.

Fiorangela d’Amora per ilmattino.it il 10 febbraio 2021. In strada oppure a scuola. Nei bar o dentro i negozi. Pur essendo risultati positivi ai tamponi, o mentre ne stanno attendendo l’esito, o anche se presentano sintomi sospetti. Irresponsabili, li chiama Gaetano Cimmino, il sindaco di Castellammare che ha chiuso la città dalle 18 in poi: un coprifuoco anticipato, saracinesche abbassate e nessuno in strada senza una motivazione valida. 

Cosa non ha funzionato, sindaco?

«Il sistema è collassato per colpa di non rispetta le regole. Come fai a controllare 64mila persone, ci vorrebbe un agente per ogni cittadino. Impossibile. Le forze dell’ordine fanno il loro lavoro, ma non possono fermare centinaia di persone».

E gli untori di cui parla?

«Andrebbero fermati. Sanzionati pesantemente, rinchiusi in casa». 

E a chi toccherebbe farlo? 

«La domanda è piuttosto: come si fa? Come si riconosce un asintomatico?».

Crede sia saltato anche il tracciamento?

«L’Asl dovrebbe tenere traccia del comportamento di chi aspetta un tampone o è in isolamento fiduciario, ma non ha strumenti per fermare o sanzionare chi nonostante questo se ne va in giro. Ma nel complesso credo che l’Asl non era pronta e non lo è per un’emergenza simile. Fanno il massimo sforzo con le risorse a loro disposizione, ma strutturalmente sono stati travolti dalla pandemia».

Però si potrebbe aumentare il controllo.

«Non venga anche lei a dirmi “dove sono le forze dell’ordine”. Gli agenti in strada ci sono. Noi abbiamo attualmente 5 vigili positivi e di certo non si sono contagiati al bar. Chi ha infettato i nostri agenti? Sicuramente gli irresponsabili». 

E i titolari dei locali che non fanno rispettare il distanziamento? 

«La colpa è anche loro, ma per me sbaglia chi vede un luogo già affollato e decide comunque di entrare e godersi un caffè o un aperitivo».

Allora è tutto nelle mani dei cittadini? 

«In questi mesi ho fatto più volte appello al senso di responsabilità dei miei concittadini, è palese che le mie parole siano cadute nel vuoto se vengo a sapere di genitori che hanno portato a scuola bambini in attesa di tampone».

Ha certezza di questi comportamenti? 

«Certo: dai dirigenti scolastici, con cui ho un confronto settimanale, mi sono stati segnalati episodi per i quali ci saranno denunce penali. Così come non mi spiego decine di classi in isolamento, insegnanti positive e dirigenti che hanno difficoltà a fare la didattica in presenza. In una sola settimana. Come sindaco ho retto alle pressioni, altri miei colleghi hanno chiuso prima, io ho sperato».

In cosa?

«Perché nelle zone rosse del Nord le scuole sono rimaste aperte? I dirigenti non avevano protocolli diversi da adottare, né al Nord avevano soluzioni che al Sud non ci sono. Noi scontiamo la negligenza e l’egoismo di tanti». 

Dall’inizio di febbraio, in meno di dieci giorni Castellammare ha annunciato 500 positivi. Un’impennata paurosa. La spiega tutta con le «passeggiate» degli irresponsabili? 

«Beh sì, credo che ci siano state decine di persone che abbiamo adottato comportamenti non in linea con il momento e che hanno infettato in poche ore decine di persone incontrate in giro, a loro volta diventate contagiose per altri». 

La scelta di chiudere i negozi alle 18 potrà migliorare la situazione? 

«Con la mia ordinanza punto a migliorare la gestione della città. Se non ci sono valide motivazioni nessuno deve scendere in strada. Non credo sia il momento di poter passeggiare in villa o banchettare, in alcuni casi addirittura sui monumenti storici della città. È il momento della responsabilità e del rigore». 

Basterà? 

«Se non dovesse bastare prolungheremo le restrizioni, il sistema ha interloquito e ceduto troppo, a livello centrale e anche regionale. Ora corriamo ai ripari».

Vorrebbe più poteri?

«No, vorrei che il piano vaccinale arrivasse a una svolta».

DAGONEWS l'1 febbraio 2021. Oltre 100 persone sono state multate dopo aver preso parte a un’orgia illegale in un magazzino di  Collegien, un sobborgo di Parigi. La polizia ha fatto irruzione nel locale intorno alle 21 di venerdì sera e ha identificato i partecipanti, arrestando i tre organizzatori. I presenti sono stati multati per aver violato le norme di contenimento del covid e per non aver rispettato il coprifuoco che nel Paese è in vigore dalle 18 alle 6. A denunciare sono stati alcuni residenti, insospettiti da uno strano via vai da quel magazzino: oltre a single, all’evento partecipavano anche coppie di scambisti. Una situazione da incubo per la diffusione del contagio.

Francia, orgia con 100 persone organizzata in pieno coprifuoco. Le Iene News il 04 febbraio 2021. Nella zona industriale di Collegien, paese a est di Parigi, quasi cento persone si sono date appuntamento per fare un’orgia, ma hanno violato l’orario del coprifuoco. La serata libertina è stata interrotta dalla polizia. Quasi cento persone sono state multate dopo aver violato il coprifuoco per partecipare a quella che i giornali francesi chiamano “festa libertina” e i giornali internazionali “orgia”. Il fatto è accaduto nella zona industriale di Collegien, paese a est di Parigi. Le forze dell’ordine sono arrivate sul luogo dopo essere state avvertite da qualche abitante della zona, non invitato alla festa. Arrivati sul posto, i poliziotti hanno subito multato undici persone nel parcheggio per violazione del coprifuoco, che in Francia scatta alle sei di sera. Poco dopo la polizia è entrata nel locale e ha messo fine alla festa. Hanno sequestrato l’impianto stereo, alcolici e multato altre 81 persone. Tre persone sono state interrogate e identificate come probabili organizzatori dell’orgia. Il capo dell’operazione ha dichiarato: “L’evento violava il coprifuoco. Inoltre, c’erano dei problemi con le mascherine e con il distanziamento sociale”.

Massimo Massenzio per torino.corriere.it il 2 febbraio 2021. Dieci euro per l’ingresso e un drink in omaggio. Così veniva pubblicizzata su WhatsApp la festa in discoteca interrotta dagli agenti del commissariato di Rivoli. Domenica pomeriggio, in un circolo privato di corso Francia, il titolare ha pensato bene di aprire il locale nonostante la zona arancione e organizzare un party clandestino per 80 persone. Agli avventori erano state fornite anche le «giustificazioni» da usare con le forze dell’ordine in caso di controllo lungo il tragitto: vado «a trovare il partner» o «a fare la spesa». E venivano fatti passare dall’entrata secondaria, nel garage. All’arrivo della polizia gli invitati sorpresi a ballare senza mascherina, tutti fra i 40 e i 50 anni, hanno cercato di scappare dal retro, ma sono stati identificati e sanzionati. Il proprietario è stato denunciato perché il locale non aveva l’agibilità per una festa con 80 persone e per la violazione delle norme anti-covid. Dovrà anche pagare una maxi multa per la somministrazione di bevande senza licenza. In attesa delle verifiche sul rispetto delle prescrizioni antincendio, il circolo è finito sotto sequestro.

Rinaldo Frignani per il Corriere della Sera il 7 febbraio 2021. Una boccata d' ossigeno: ieri 7 italiani su 10 hanno pranzato al ristorante e solo a Roma gli incassi ammontano a 5 milioni di euro. Ma il rovescio della medaglia nella prima giornata in zona gialla per quasi tutta Italia è evidente: assembramenti ovunque, talvolta con scarso uso di mascherine, specialmente fra i più giovani (al massimo sul mento). Piazze chiuse a tempo nella Capitale, con migliaia di persone in via del Corso (un ambulante preso a pugni da tre bulli), qualche scaramuccia fra ragazzini al Pincio, assalto al litorale, con le consolari (Aurelia e Pontina) intasate. Stesse scene a Napoli, sul lungomare, così come al Vomero, a Chiaia e in piazza Bellini; e poi anche a Milano, specialmente fuori dalle grandi catene commerciali, in corso Garibaldi, corso Buenos Aires e corso Vercelli: il dispositivo di sicurezza sembra aver funzionato anche in piazza Duomo, corso Vittorio Emanuele, via Dante e in entrata e in uscita dalla Galleria presidiata dai vigili. A Palermo, con la Sicilia ancora in arancione e con un clima estivo (26 gradi), in tanti si sono spostati verso il mare, a Mondello e Sferracavallo, e altrettanti si sono radunati in piazza Politeama senza mascherine, tanto che il Comune ha disposto per i prossimi giorni il divieto di stazionamento. Invece a Torino preoccupa la movida, soprattutto in zona Vanchiglia, per gli assembramenti di comitive di ragazzi. Folla in centro a Venezia fra Rialto, Campo degli Osmenisi e Campo Bella Viella. Tutto esaurito nei locali degli aperitivi a Pescara nonostante la nuova chiusura delle scuole per l' aumento dei contagi, mentre a Bergamo il sindaco Giorgio Gori definisce «da stupidi» gli assembramenti in via XX Settembre e lungo la Corsarola: strade chiuse dai vigili.

Da liberoquotidiano.it l'1 febbraio 2021. Zona rossa significa bar, ristoranti e negozi chiusi. A quanto pare, però, le regole non valgono per tutti: a Milano alcuni ristoranti hanno continuato a lavorare senza rispettare le leggi. Saracinesche abbassate fuori e tavoli apparecchiati all’interno. Tra i clienti c'erano anche vip e calciatori, come mostrato da alcune telecamere nascoste di Live - Non è la d'Urso. La trasmissione di Barbara D'Urso ha documentato la violazione - da parte di alcuni locali - delle misure imposte dal dpcm. Sullo scontrino, inoltre, appare solo la dicitura "Delivery". Una strategia utilizzata per allontanare ogni sospetto. E per evitare qualsiasi tipo di inconveniente, al termine del pasto si preferisce far uscire i propri clienti dal retro. Un vero e proprio sfregio alla zona rossa e a chi è a casa nel rispetto delle regole per contrastare il Covid. Tuttavia, nonostante il menù ricco, non sempre viene servito cibo fresco, visti i divieti e lo smercio limitato. Uno degli inviati del programma, infatti, è poi finito al pronto soccorso per intossicazione alimentare. Veri e propri ristoranti clandestini, insomma. In uno dei frame ripresi dalla telecamera nascosta si può ascoltare anche un brindisi: "A noi che ce ne freghiamo e agli altri che stanno a casa sotto le coperte a finire Netflix". E ancora: "Alla faccia della zona rossa".

Da lastampa.it il 6 febbraio 2021. Da Torino, a Roma e Milano. La movida non si ferma. Complice il clima primaverile, milioni di italiani in libera uscita nel primo sabato 'giallo' in quasi tutte le regioni (restano arancioni solo Puglia, Sicilia, Umbria ed Alto Adige). Ristoranti presi d'assalto, lungomari affollati e centri storici in festa hanno caratterizzato la giornata. Sette su dieci hanno pranzato fuori secondo la Coldiretti, Sono così partiti i primi appelli a rispettare le prescrizioni per evitare che il giallo ridiventi arancione o rosso. La voglia di uscire si è fatta sentire in particolare a Roma, per la gioia dei ristoratori dopo mesi bui. La Fiepet Confesercenti parla di "dati impressionanti" e stima un fatturato di 5 milioni di euro solo per questo sabato in tutta la provincia. Folla sul lungomare di Ostia e al centro della Capitale, con la polizia locale costretta a chiudere temporaneamente vari punti di via del Corso ed altre zone per far defluire le persone, La sindaca Virginia Raggi invita tutti "al rispetto delle regole: indossiamo la mascherina e manteniamo il distanziamento previsto. Ricordiamoci che l'emergenza non è finita. Non vanifichiamo gli sforzi fatti". Dello stesso avviso l'assessore regionale alla Sanità del Lazio Alessio D'Amato: senza comportamenti corretti, avverte, «ci troveremo costretti di nuovo a applicare misure restrittive». Vista la situazione la sindaca Virginia Raggi ha lanciato un appello ai romani: «Invito tutti al rispetto delle regole, indossiamo la mascherina e manteniamo il distanziamento previsto. Ricordiamoci che l'emergenza non è finita, continuiamo ad essere responsabili così come abbiamo fatto finora. Non vanifichiamo gli sforzi fatti». Tra chi sorride per l'allentamento delle restrizioni ci sono i ristoratori, che per la prima volta dopo diversi mesi sono tornati a vedere i locali pieni a pranzo. «Finalmente abbiamo dei dati molto positivi, solo oggi a Roma e provincia i ristoranti hanno registrato circa 5 milioni di euro di incassi», spiega Claudio Pica, presidente di Fiepet-Confesercenti di Roma. «Ora chiediamo aiuto alle forze dell'ordine - prosegue - per evitare assembramenti e non penalizzare la ripartenza a causa dei comportamenti non corretti da parte di qualche ristoratore o cliente». Domani si replica, nel difficile tentativo di armonizzare le regole di prevenzione del contagio, le attività commerciali e la voglia di svago. A Torino allarme per la movida selvaggia a Vanchiglia, luogo molto frequentato dai giovani. Clienti in attesa fuori da diversi negozi e tutti i posti disponibili occupati nei bar a Milano. A Venezia pieni all'inverosimile nel pomeriggio i consueti luoghi di ritrovo dei giovani a Rialto, in Campo degli Osmenisi e Campo Bella Viella ai piedi del Tribunale. A Palermo, nonostante la zona arancione e le ordinanze anti-assembramento, la temperatura di 26 gradi ha fatto scattare la corsa alla spiaggia di Mondello, In altre zone del Paese però c'è preoccupazione, A Pescara il sindaco Carlo Masci - visto il rapido aumento dei contagi - ha firmato un'ordinanza che prevede la sospensione della didattica in presenza in tutte le scuole della città, dall'8 al 16 febbraio. Identico provvedimento a Chiusi (Siena). A Napoli le vie del centro sono state prese d’assalto. Sul lungomare, in particolare, il boom di persone ha portato le file mischiarsi con la lunghissima coda di auto dell'area un tempo pedonale e ora riaperta al traffico dopo la chiusura della Galleria Vittoria. In centro a Napoli anche centinaia di bambini vestiti con le maschere di carnevale. Ma i napoletani hanno scelto anche il mare in questa giornata con migliaia di persone che si sono riversate sulle spiagge di Miseno dove i lidi sono ovviamente chiusi ma la spiaggia si è popolata con teli da mare e tanta gente decisa a godersi il sole.

Covid, assembramenti nei centri storici in attesa della zona gialla. Notizie.it il 31/01/2021. Nonostante non sia ancora scattata la zona gialla, in molte città le persone non hanno esitato ad affollare le vie dello shopping dei centri storici. Manca ancora qualche ora affinché scatti la zona gialla in gran parte del nostro Paese, eppure migliaia di cittadini impazienti non hanno potuto fare a meno di uscire e recarsi a fare shopping nei centri storici delle principali città d’Italia. Una sensazione di vera e propria liberazione dopo il lungo lockdown durato ben oltre il periodo delle vacanze di Natale, seguito da ulteriori tre settimane in cui le restrizioni anti coronavirus hanno permesso alle persone di fare ben poco. Crescono le preoccupazioni da parte dei sindaci di principali capoluoghi per il gran numero di persone in giro registrate durante il weekend. Se a Milano sono stati infatti riscontrati assembramenti lungo la zona dei Navigli, Roma non è stata da meno con decine di persone radunate a Campo de’ fiori e a via del Corso. Allarme anche in Veneto dove i cittadini hanno approfittato dell’inizio della stagione dei saldi per uscire di casa, e dove i sindaci si sono detti già pronti a chiudere al pubblico le principali vie dei centri storici. Insomma è bastato il semplice annuncio dell’inizio della zona gialla per indurre la popolazione a mollare il freno e riprendersi almeno parte della vita che conduceva prima della seconda ondata, ma non tutti ritengono sanno questo atteggiamento. Il virologo Massimo Galli ha infatti ribadito che: “La zona gialla non può e non dovrà essere un tana libera tutti”, mentre al contrario il presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana si è chiesto perché il cambio di colore sia stato programmato per il lunedì e non per la canonica domenica com’era in uso da diverse settimane a questa parte: “Continuo a non capire perché il provvedimento non sia stato reso operativo da subito”.

“Giallo” a cognomi alternati. Serena Coppetti l'1 febbraio 2021 su Il Giornale. Quando ieri sono girate ancora una volta le  fotografie con gli “assembramenti”  (nel dopo Covid spero ci sia qualcuno che faccia una battaglia per eliminare questa parola dal vocabolario...) e le relative bacchettate di chi bollava la massa nel fermo immagine come branco di imbecilli, devo confessare che mi sono sentita a disagio. Più guardavo le immagini e più guardavo i commenti a quelle immagini e più non riuscivo a mettermi né dalla parte degli “assembrati” (si potrà dire?) né dalla parte di chi s’indignava sui social, in strada, al telefono, da solo o in cuor suo: vergogna, sarà colpa vostra se domani ci richiudono...Niente.  Nonostante gli assembramenti non mi piacciano, non mi siano mai piaciuti neanche nell’era a.C. (ante Covid) e forse neanche mi piaceranno in un auspicabile roseo, anzi bianco futuro. Guardavo le immagini e ovviamente la prima reazione è stata quella di pensare “ma sarà proprio così”? Insomma, con le fotografie noi ci lavoriamo e sappiamo che tagliate in un modo o in un altro fanno un effetto completamente diverso…Poi mi sono bacchettata le mani da sola.  Saranno vere di certo! cavolo. I soliti Navigli e la solita Milano e poi anche le altre città. Come sotto Natale. Come d’estate. Come sempre quando scatta il giallo. La gente, cioè ragazzi, famiglie, nonni … escono. Escono di casa. Beati loro che ci riescono, subito così al primo “pronti via”,  mi verrebbe da dire prima di mordermi la lingua. Beati quei ragazzi che ancora oggi riescono a passare dal pigiama alla minigonna in un battito di Dpcm, che riescono ad abbandonare la caverna senza mai aver provato la sua sindrome, che organizzano con un amico, un’amica, che ridono e sorridono felici di tornare a scuola senza sentire che, una volta aperta la porta, il mondo non è solo una gigantesca minaccia. Beati quei ragazzi che non hanno paura di essere additati, pur stando sempre in cima alla lista di chi sparpaglia virus, proprio loro che il virus ha fatto invecchiare precocemente. Che vivono col perenne senso di colpa quando fanno solo quello che gli viene detto di fare. Cioè, solo uscire. Quindi, mi sono morsa la lingua… Perchè dall’altra parte, è vero, quelli delle foto sono proprio assembramenti. E gli assembramenti oltre a non poterli più sentire nominare non si possono guardare. Non devono esistere. E anche questo è sacrosanto. Perchè questo virus ancora fa paura. E non si può prendere sottogamba. Lo dico e lo ripeto fino a stancarmi da sola di dirlo e di ripeterlo ai miei figli e pure a quei poveretti dei loro amici quando raramente ormai capitano e pure loro non osano mettere un piede fuori in casa neanche se siamo gialli chiarissimi e c’è un sole che spacca le pietre. Fa paura un po’ di più quando ci dicono che siamo “rossi”, e anche quando siamo “arancioni”. Quando siamo “gialli” ci fa sempre paura ma pensiamo che possiamo fare delle cose. Fare-delle-cose. Tipo bere un caffé seduto in un bar. Cose così. Stupidate quelle che non contano niente eppure abbiamo scoperto che contano così tanto. Tipo, fare un giro. Solo a dirlo mi sento quasi in colpa. Tanto è vero che io non lo faccio. Però guardo chi lo fa  e penso che non mi sembra poi tanto un imbecille. O un rivoluzionario. O un irresponsabile. Qualcuno magari sì, ma penso che possa anche non essere uno che se ne frega della salute, della sua di quella degli altri, un egoista, un provocatore. Penso che possa essere semplicemente uno al quale il “comanda color” ha detto giallo. Quindi lui si è vestito, cosa che magari non si ricordava neanche più bene come fare, ha messo il giubbotto ed è andato a farsi un giro in centro. A prendere un gelato. A riprendersi un quarto d’ora non di celebrità alla Warhol ma un quarto d’ora di straordinaria normalità. Poi quello lì non era più “uno” ma erano di più, sono diventati tanti, perché il “comanda color” lo ha detto a tutti… E allora capisco anche chi guarda quelle immagini, che vive un dolore o lo ha vissuto che non abbraccia i propri nipoti da chissà quanto tempo e  s’indigna davanti a tanta normalità consentita. Che pur normalità era ed è. Le regole servono a regolare, appunto. L’unica cosa che può aiutare in questo pandemonio di pandemia  è capire che quello che stiamo facendo o quello di cui ci stiamo privando ha un senso. Ma spesso è l’unica cosa che manca. Come d’estate con le discoteche aperte e le accuse ai ragazzi che ci andavano. O sotto Natale con i ristoranti e il cashback e lo stupore ipocrita (questo sì) di chi ha preso quelle decisioni in quell’esatto momento. Il buonsenso dovrebbe cominciare dove comincia la zona gialla ma la logica dovrebbe guidare il “comanda color”. Insomma, siamo sempre lì:  o si può o non si può fare qualcosa…Quindi,  alla fine,  siamo tutti a disagio, (come se non avessimo già abbastanza…) tra quelli che escono perchè si sentono in colpa nel fare cose che sono permesse e quelli che s’indignano con l’eco degli esperti tra virologi, infettivologi, medici e compagnia bella che mettono in guardia sul rosso della sera del dì di festa. Non ci resterebbe che fare  il giallo intermittente. Si esce a cognomi alterni, o con le targhe pari e dispari, come si faceva con le auto nel periodo dell’austerity degli anni ’80. Il lunedì dalla A alla L, il martedì dalla M alla Zeta.  E via così. Un po’ come hanno fatto nelle scuole per garantire il rientro al 50 per cento degli studenti. Due gruppi, dimezziamo uscite e polemiche. Forse. Perchè poi ci saranno sempre quelli che volevano uscire con l’altro gruppo. (Ovviamente è una provocazione. Si sa mai che qualcuno la prenda davvero sul serio…)

Enrico Mentana contro Speranza e tecnici: "Lo avete deciso voi". Gli assembramenti in zona gialla? "La gente vuole solo vivere". Libero Quotidiano il Nuove regole, nuovo attacco firmato Enrico Mentana. Il direttore del Tg La7 se la prende ancora con i decisori. Il motivo? Prima allentano le regole contro il coronavirus, poi si lamentano. E così più puntuale che mai arriva il commenta di Mentana. "Ci risiamo: avendo le autorità annunciato che da oggi gran parte dell'Italia sarebbe tornata in giallo, ieri in tanti sono usciti a passeggiare in centro, in ogni comune grande o piccolo. E sono fioccate immediate le proteste e le parole d'allarme e preoccupazione per gli assembramenti e i comportamenti irresponsabili di troppi cittadini". Da qui l'aspra critica piovuta su Facebook: "Ma insomma, cari decisori, se alleggerite le misure il segnale implicito che date è chiaro: la curva è gradualmente in miglioramento, e le regole si adeguano". Secondo il direttore del Tg La7 non ci vuole uno psicologo per spiegare che "nella percezione di tutti se la situazione non è critica di lunedì, allora non lo è neanche il pomeriggio precedente". E ancora: "Non è che il Covid stacca come un operaio a fine turno. E fare un giro nel giorno festivo con gli amici - fatti salvi mascherina, distanziamento e amuchina - non viene vissuto come un cimento più pericoloso del viaggio in treno, bus o metrò verso scuola o lavoro della mattina dopo". D'altronde - è la conclusione - "il passaggio alle zone gialle non è stato imposto da folle vocianti e irresponsabili, ma dagli scienziati". Le persone che hanno deciso di riversarsi per le strade avevano solo "voglia di vivere". Nulla di più. Tra i primi a puntare il dito contro gli assembramenti è stato Agostino Miozzo. Il coordinatore del Cts, di fronte alle immagini del weekend, aveva ricordato che il ritorno in area gialla "non significa normalità". È necessario invece "evitare assembramenti" poiché c'è il rischio "assolutamente reale che la curva schizzi rapidamente verso numeri difficilmente gestibili. Molti si sono proiettati al ritorno alla normalità senza comprendere che il virus era, come oggi, attorno a noi". 

DAGONEWS il 17 gennaio 2021. Una coppia in Canada è stata multata dopo che la polizia ha fermato la donna che portava a spasso il marito come un cane dopo il coprifuoco. Secondo quanto riferito, la donna, 24 anni, è stata fermata mentre “portava a spasso” il suo coniuge quarantenne al guinzaglio in Quebec dove è entrato in vigore un coprifuoco dalle 20 alle 5 per limitare i contagi. La coppia è stata fermata alle 21:00 di sabato, circa un'ora dopo l'inizio del nuovo coprifuoco. Durante il rigido coprifuoco del Quebec, le persone possono uscire di casa in pochi casi, come cercare aiuto medico o portare a spasso il cane nel raggio di un km da casa. «Uno di loro aveva l'altro al guinzaglio e la donna ha detto che stava portando il suo cane, indicando il suo partner, a fare una passeggiata, come consentito dalle eccezioni previste dal premier del Quebec ai sensi della legge sul coprifuoco» ha raccontato una portavoce del dipartimento di polizia di Sherbrooke. La coppia non si è mostrata cooperativa e ha continuato a insistere sulla legittimità della loro uscita e alla fine è stata spedita a casa con una multa di circa mille euro in tasca.

Carlotta Rocci per repubblica.it il 17 gennaio 2021. Quando i carabinieri sono entrati al Tabata, storica discoteca di Sestriere, la celebre località sciistica nel Torinese sulle montagne olimpiche del Piemonte, hanno trovato ragazzi che ballavano anche sui tavoli. La pista, nonostante a Sestriere gli impianti siano chiusi e domani scatti la zona arancione, era piena: i militari hanno identificato almeno cento giovani che hanno partecipato alla festa iniziata questo pomeriggio, ultimo giorno di "zona gialla" in Piemonte. L'evento era stato pubblicizzato sui social tramite la pagina Facebook della discoteca: "Giorno o notte differenza non c'è, Tabata Sestriere matinée". "Vi aspettiamo dalle 14 alle 18 in totale sicurezza protocollo Covid-19", si legge nell'invito alla festa, che sarebbe finita alle 18 per rispettare l'orario di chiusura dei bar imposto in zona gialla. Peccato che i Dpcm con le norme anti Covid abbiano stabilito ormai da mesi l'interruzione dell'attività di discoteche e piste da ballo. Erano giorni che sulla pagina social del locale girava l'annuncio di un evento che è stato rivelato solo a poche ore dall'inizio. I militari della compagnia di Susa hanno fatto uscire tutti i ragazzi e ordinato agli organizzatori a spegnere la musica. I giovani sono poi stati identificati. Il titolare del Tabata sarà multato per aver violato le disposizioni anticontagio, in particolare quelle sul distanziamento, e il locale resterà chiuso per cinque giorni.

Covid, il party illegale durante le feste si trasforma in disastro: focolaio a Capizzi, quanti si sono infettati. Libero Quotidiano il 02 gennaio 2021. Finisce male il party illegale organizzato durante le feste di Natale in un  locale a Nicosia, in provincia di Enna in Sicilia. L'evento si è trasformato in un focolaio di Covid, con 58 invitati risultati positivi. Provengono tutti da Capizzi, paese di 3mila abitanti sui Monti Nebrodi (Messina). Altre 25 persone sono in attesa dei risultati del tampone. La situazione - spiega al Corriere della Sera il sindaco di Capizzi Leonardo Principato Trosso - è molto critica. Non possiamo permetterci di sottovalutare l’emergenza sanitaria che sta modificando le nostre abitudini di vita". E nel piccolo centro siciliano potrebbe scattareora una nuova micro zona rossa, come già accaduto in altre località sotto pressione in Sicilia, dove i positivi total sono 34.347, con un aumento di 479 soggetti attualmente positivi e un tasso di positività balzato al 17,7%. 

Capodanno, party illegale nel resort sul Garda: "Numero 1 alla sciabola", il video dalla festa. Libero Quotidiano il 02 gennaio 2021. "Il numero 1 alla sciabola". Scene dal party di Capodanno illegale organizzato al Luxury Bay Spa Resort, sul Garda: dopo i video apparsi sui social nonostante l'avvertimento degli organizzatori di non pubblicare nulla, è stato presentato un esposto in Tribunale e decine di partecipanti sono già stati multati per violazione dell'ultimo Dpcm Natale che proibiva feste ed eventi nei locali, assembramenti e imponeva il coprifuoco alle 22. Selvaggia Lucarelli, su Twitter e Instagram, ha condiviso varie testimonianze di chi c'era, in un clima totalmente Covid-free (nel senso, ovviamente, di rimozione del pericolo): tutti senza mascherina, nessuna distanza di sicurezza, brindisi incrociati, baci e abbracci. L'apoteosi del pericolo contagio, insomma. Ivan Favalli, gestore del resort di lusso di Padenghe sul Garda, si è difeso sui social: "Se ho sbagliato qualcosa, mi assumo le mie responsabilità. Non siamo delinquenti, quello che abbiamo guadagnato ieri serve per sopravvivere".

Capodanno, festino nel resort di lusso: "Colpa di chi ci obbliga a pensarle tutte per sopravvivere", proprietario contro il governo. Libero Quotidiano il 01 gennaio 2021. Ivan Favalli è il gestore del resort di lusso di Padenghe sul Garda che è finito nell’occhio del ciclone per il veglione di Capodanno con decine di persone presenti. Dopo la denuncia via social di Selvaggia Lucarelli, che ha raccolto una serie di video e immagini che mostrano una totale mancanza del rispetto delle regole anti Covid mentre milioni di italiani erano chiusi in casa, il proprietario è intervenuto per dare la sua versione dei fatti: “Se ho sbagliato qualcosa, mi assumo le mie responsabilità. Non siamo delinquenti, quello che abbiamo guadagnato ieri serve per sopravvivere”. Favalli ha spiegato come è stato possibile quanto avvenuto ieri sera nel suo hotel: “Per evitare situazioni di assembramento, ieri è stata vietata la cena se non in camera. Il nostro hotel è un resort estivo, è quasi impossibile portare cibo in tutte le camere. Abbiamo organizzato un pranzo con varie portate per intrattenere i clienti e fare in modo che la sera si potessero accontentare di un piatto freddo in tavola. L’hotel ha avuto molte prenotazioni, specialmente con un passaparola generato da giovani e fin lì siamo nella legalità”. Poi Favalli ha ammesso che c’è stato qualche atteggiamento “un po’ libertino” da parte di alcuni clienti, che però è stato “limitato tempestivamente grazie alla presenza di due agenti di sicurezza esterni chiamati a far rispettare le regole. A tutti è stata misurata la temperatura, tutti hanno firmato la dichiarazione. I clienti erano tutti registrati”. Il proprietario ha anche risposto sulla polemica dell’avviso che invitava i presenti a non pubblicare video e immagini attraverso i social, cosa che evidentemente non è stata fatta: “È stato frainteso, in un albergo 5 stelle ci possono essere persone che non vogliono essere riprese. Ma volevamo anche evitare l’invidia di un intero settore di chi è chiuso e non può fare niente”. Infine Favilli si è sfogato contro le istituzioni: “Ci vengono date briciole come sostegno dallo Stato, siamo obbligati a studiarle tutte per rimanere in piedi ed evitare il fallimento. Abbiamo 200 persone che lavorano per questa azienda, mi sento responsabile anche per il loro reddito”. 

Il caso di Padenghe sul Garda. Capodanno nel Resort di lusso, la festa scoperta sui social: “400 € di multa a 126 persone”. Antonio Lamorte su Il Riformista l'1 Gennaio 2021. Brindisi, musica ad alto volume, gente che balla, niente distanze né mascherine. Oltre 100 persone pagheranno le conseguenze della festa di Capodanno organizzata nel resort di lusso di Padenghe sul Garda, in provincia di Brescia. Decisivo l’errore dei clienti che non hanno trasgredito soltanto le regole anti-covid ma anche la raccomandazione lasciata dagli organizzatori sui tavoli che chiedeva “vista l’attuale situazione di non divulgare foto e video sui social”. Il caso sarà sottoposto al vaglio della Procura della Repubblica di Brescia. Il Codacons, grazie alle immagini pubblicate sui social da Selvaggia Lucarelli, presenterà infatti oggi un esposto alla magistratura bresciana chiedendo di verificare i fatti. “Quanto visto sui social, se confermato, è assolutamente vergognoso – afferma il presidente Carlo Rienzi – Mentre milioni di italiani hanno dovuto rinunciare a festeggiare il Capodanno, i soliti furbetti sembrano essere riusciti ad aggirare la legge”. Contattato dall’Ansa il proprietario del Resort Ivan Favalli si è giustificato così: “Abbiamo organizzato un pranzo che si è protratto a lungo per i nostri ospiti fino a sera e qualcuno, a causa di qualche bicchiere di troppo, ha esagerato. Capisco la rabbia delle persone che hanno visto i video e che hanno trascorso la giornata a casa in zona rossa. Ma non è nemmeno facile imporsi con clienti che pagano tanto”. “Tutti i 126 ospiti del resort presenti – ha spiegato Massimo Landi, comandante della Polizia locale della Valtenesi – saranno multati per non aver rispettato le norme anti-covid dell’ultimo Dpcm. A quanto ammonta la multa? 400 euro a testa – ha spiegato il comandante della Polizia locale – Stiamo valutando anche eventuali verbali per il titolare dell’attività”.

·        Il Covid Pass: il Passaporto Sanitario.

Lorena Loiacono e Francesco Malfetano per “il Messaggero” il 16 dicembre 2021. Il nodo è ormai al pettine. Da ieri è scattato l'obbligo di sottoporsi alla vaccinazione anti-Covid - terza dose inclusa - anche per il personale della scuola e del comparto difesa, sicurezza e soccorso pubblico (oltre che della polizia locale, della polizia penitenziaria e delle Rsa). Vale a dire circa 100mila No Vax convinti che entro 20 giorni dovranno mettersi in coda negli hub oppure saranno sospesi dal servizio e quindi dovranno rinunciare allo stipendio. Una stretta che però preoccupa e non poco. Nonostante sindacati, associazioni e istituzioni garantiscano che i numeri dei No Vax circolati siano in realtà più bassi (non sono ad esempio conteggiati coloro che si sono vaccinati per conto proprio non seguendo le priorità stabilite per le categorie professionali) e che la risposta alla nuova stretta sarà adeguata, c'è il rischio che tra coloro che verranno sospesi e coloro che troveranno qualche escamotage, si finisca per avere un numero di assenti tale da mettere in difficoltà il sistema. Per rendersene davvero conto però bisognerà aspettare qualche giorno, ma la macchina è ormai in moto. Da ieri infatti sono state inviate le prime notifiche ai dipendenti che non risultano in regola. Questi, secondo le stime appunto circa 100mila - 50mila tra docenti e bidelli, e 50mila tra militari e agenti -, hanno ora 5 giorni per produrre la documentazione necessaria. Ovvero un attestato vaccinale, una prenotazione per l'inoculazione (da effettuare entro 20 giorni) o un certificato medico che attesti l'impossibilità a vaccinarsi per motivi di salute. Se invece i 5 giorni passeranno senza risposte, sarà effettiva la sospensione dal servizio. E quindi niente stipendio né scatti stipendiali, anche ai fini pensionistici. Inoltre, nel caso dei poliziotti, verranno ritirati tesserino di riconoscimento, placca, manette e arma in dotazione. Un destino a cui però, secondo il Coordinamento per l'Indipendenza Sindacale delle Forze di Polizia (Coisp), andrà incontro solo un agente su cento totali. «Circa un migliaio» ha spiegato a Radio Cusano il segretario generale Domenico Pianese. Estendendo però la stima a tutte le forze armate, si tratterebbe di circa il 20% di coloro che non hanno fatto la prima dose (circa 10mila agenti), con un impatto potenziale sulla normale attività. «Ma aspettiamo il 20 o il 21 dicembre per tirare le somme» frena Massimiliano Zetti del Nuovo Sindacato Carabinieri. Non solo. Oltre ai potenziali sospesi bisognerà fare i conti con chi prova ad aggirare la procedura. Infatti, in entrambe le categorie, c'è chi sta chiedendo l'aspettativa o già ci si trova per allungare i tempi di qualche settimana, e chi invece (tra insegnanti e bidelli) conta i 5 giorni per arrivare alla pausa natalizia e scavallare a gennaio. Magari con qualche malanno: «Qualche caso in più di assenza per malattia c'è stato, ma la scuola ha retto ancora - spiega Antonello Giannelli, presidente dell'Associazione nazionale dei presidi - a molti colleghi sono arrivate diffide di avvocati che in modo fantasioso contestano la legge e la modalità di applicazione». Non solo, tra i presidi c'è chi teme di vedersi portare ogni volta un appuntamento di vaccinazione a 20 giorni, che verrà poi disdetto per motivi di salute: «Se oltre i 20 giorni dall'invito del dirigente scolastico non ci si riesce a vaccinare - sottolinea Giannelli - si è fuori». Ma è bene sottolineare che l'obbligo del vaccino sta comunque avendo un effetto significativo sugli indecisi: in diverse scuole, dal liceo Mamiani di Roma all'istituto comprensivo Morvillo di Tor Bella Monaca, c'è una quota del 20-25% di docenti che stanno provvedendo a sottoporsi alla prima dose. «Per ora - spiega Cristina Costarelli, preside del Newton e presidente dell'Anp Lazio - stiamo registrando una quota del 20-25% di docenti che si è convinto a vaccinarsi. Speriamo le criticità verranno via via diminuendo».

Quarantena ridotta o azzerata per chi ha la terza dose: l’ipotesi per il cambio delle regole. Monica Guerzoni e Fiorenza Sarzanini su Il Corriere della Sera il 28 Dicembre 2021. Gli scienziati favorevoli a una quarantena breve. Via ad altre misure anti contagi. «Valutare se sia opportuna l’eventuale rideterminazione del periodo di quarantena per i soggetti che hanno già ricevuto la dose booster»: è questo il quesito che il governo ha posto al Comitato tecnico-scientifico convocato per domani. Il perimetro è stretto, ma dopo il pressing dei presidenti di Regione l’esecutivo dovrà prendere una decisione anche per evitare che — questo dicono gli scienziati — entro dieci, quindici giorni al massimo, possano entrare in isolamento oltre due milioni di cittadini. Soprattutto per garantire i servizi essenziali che, con le attuali norme, potrebbero entrare in crisi. Di fronte a una curva epidemiologica che continua a salire e potrebbe raggiungere il picco durante queste vacanze natalizie, la linea dell’esecutivo rimane quella della «massima fermezza». Lo stesso coordinatore del Cts Franco Locatelli si sarebbe mostrato scettico rispetto alla possibilità di un allentamento. Ma è pur vero che «premiare chi ha completato il ciclo vaccinale» potrebbe invece rivelarsi una mossa vincente per convincere chi ha ricevuto soltanto una o due dosi ad effettuare il richiamo. E proprio per accelerare sull’immunizzazione potrebbero essere decise altre misure. Rinviando invece alla ripresa dopo le vacanze, l’entrata in vigore dell’obbligo vaccinale per alcune categorie di lavoratori che si aggiungeranno al personale sanitario, scolastico e delle forze dell’ordine.

La quarantena

I presidenti di Regione ritengono che per chi ha fatto la terza dose potrebbe essere eliminato il periodo di isolamento attualmente obbligatorio per chi ha avuto un contatto con un soggetto positivo. Le norme in vigore prevedono una quarantena di 7 giorni per chi ha completato il ciclo vaccinale con almeno due dosi e una quarantena di 10 giorni per chi invece non lo ha terminato.

La riduzione

L’ipotesi più probabile è che si elimini la quarantena per chi ha tre dosi e si riduca a 4 o 5 giorni la quarantena per chi ha soltanto due dosi. Ma tra gli scienziati c’è anche chi vorrebbe un linea più rigorosa che si limiti semplicemente a prevedere un isolamento più breve. Opzione ritenuta però insufficiente da chi ritiene che la velocità di contagio della variante Omicron rischi di bloccare il Paese nel giro di un paio di settimane, massimo un mese. Anche per questo gli scienziati valuteranno l’impatto che Omicron ha sulle ospedalizzazioni per i soggetti che sono vaccinati. E se, come risulta dai primi studi, le conseguenze sono più lievi di quelle causate dalla Delta, non è escluso che alla fine passi la prima ipotesi.

Il tracciamento

Altra questione aperta riguarda il tracciamento dei contatti stretti dei positivi. Di fronte a migliaia di nuovi casi registrati ogni giorno il meccanismo è definitivamente saltato. Le Asl non hanno personale a sufficienza per rintracciare chi ha avuto un incontro o comunque rapporti con un soggetto positivo e tantomeno per verificare che rispetti la quarantena. La scelta di rimanere in isolamento è dunque affidata alla buona volontà dei cittadini e al loro senso civico. Proprio per questo i presidenti di Regione hanno deciso di chiedere al governo di destinare il personale addetto al tracciamento alla campagna vaccinale.

I tamponi

C’è poi da affrontare il problema dell’attendibilità dei tamponi antigenici, che di fronte al moltiplicarsi dei contagi appare sempre più evidente. Si tratta infatti dello strumento che consente il rilascio del green pass base, ma accade sempre più spesso che gli esiti non siano veritieri e per questo non si escludono modifiche delle regole di utilizzo.

Mascherine Ffp2

Il governo ha deciso di rendere obbligatorie le Ffp2 nei cinema e nei teatri e a bordo dei mezzi di trasporto. Su autobus, tram e metropolitane pochissimi rispettano però questa norma anche a causa dei costi elevati e per questo i presidenti di Regione chiedono un intervento che — proprio come accaduto per le mascherine chirurgiche — garantisca un prezzo calmierato. 

Contatto stretto e quarantena: quanto dura l’isolamento e quali sono le regole, per ora. Monica Guerzoni, Fiorenza Sarzanini su Il Corriere della Sera il 28 Dicembre 2021. Domande e risposte. Le regole in vigore su quarantena ed esami diagnostici. Ecco cosa fare — e cosa dicono le norme italiane — se si è stati vicini a una persona infettata

Pranzi di Natale, festeggiamenti, semplici incontri. Sono migliaia le famiglie che durante queste festività hanno scoperto di aver avuto uno o più contatti con persone positive. In attesa che il governo ascolti gli esperti del Comitato tecnico scientifico e prenda decisioni sull’eventuale modifica delle norme per la quarantena di chi non è positivo ecco le regole in vigore e i comportamenti da tenere come disposto dalle Faq (risposte a domande frequenti) del governo pubblicate sul sito del ministero della Salute.

1) Che cosa si deve fare se si è sintomatici?

Chi ha i sintomi oppure ha effettuato il test antigenico e ha avuto esito positivo dovrebbe ripetere subito il test molecolare.

2) Chi è ritenuto contatto stretto?

- La persona che vive nella stessa casa di un caso Covid-19.

- La persona che ha avuto un contatto fisico diretto con un caso Covid-19 (per esempio la stretta di mano).

- La persona che ha avuto un contatto diretto non protetto con le secrezioni di un caso Covid-19 (ad esempio toccare a mani nude fazzoletti di carta usati).

- La persona che ha avuto un contatto diretto (faccia a faccia) con un caso Covid-19, a distanza minore di 2 metri e di almeno 15 minuti.

- La persona che si è trovata in un ambiente chiuso con un caso Covid-19 in assenza di dispositivi di protezione idonei.

- Un operatore sanitario o altra persona che fornisce assistenza diretta ad un caso Covid-19 oppure personale di laboratorio addetto alla manipolazione di campioni di un caso Covid-19 senza l’impiego dei dispositivi di protezione individuale (Dpi) raccomandati o mediante l’utilizzo di Dpi non idonei.

- Una persona che ha viaggiato seduta in treno, aereo o qualsiasi altro mezzo di trasporto entro due posti in qualsiasi direzione rispetto a un caso Covid-19; sono contatti stretti anche i compagni di viaggio e il personale addetto alla sezione dell’aereo/treno dove il caso indice era seduto.

3) Che cosa devono fare le persone che hanno avuto un contatto stretto con un positivo?

I contatti stretti di un caso confermato Covid-19 «devono allertare il proprio medico per l’avvio della procedura».

4) Quanto tempo devono rimanere in quarantena?

- Chi non è vaccinato può uscire dall’isolamento dopo 10 giorni con un test antigenico o molecolare con risultato negativo.

- Chi ha completato il ciclo vaccinale può uscire dall’isolamento dopo 7 giorni con un test antigenico o molecolare con risultato negativo.

5) I contatti non stretti devono rispettare la quarantena?

No, se hanno completato il ciclo vaccinale da almeno 14 giorni.

6) Se ci si sottopone a un test e si ha esito negativo si può uscire dalla quarantena?

Anche se si effettua un test molecolare o antigenico ed è negativo, si deve comunque rimanere in isolamento dai 7 ai 10 giorni.

7) Quando si può tornare al lavoro?

Al termine del periodo di quarantena «si può tornare al lavoro e il periodo di assenza potrà essere coperto dal certificato medico». Al rientro la persona dovrà contattare il medico competente della sua azienda.

Quarantena ridotta o azzerata per chi ha la terza dose: l’ipotesi

Tampone rapido o molecolare, quando farlo?

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Ai tamponi rapidi fai-da-te sfugge 1 positivo su 4

Ai tamponi rapidi «fai da te» sfugge un positivo su quattro: quali sono i test affidabili. Laura Cuppini su Il Corriere della Sera il 28 Dicembre 2021. I rapidi eseguiti da personale esperto, per esempio in farmacia, possono dare il 10% di falsi negativi. La percentuale aumenta con i dispositivi usati a casa.

In quali casi bisogna sottoporsi al tampone?

Esistono tre situazioni: il contatto con un soggetto positivo, l’insorgere di sintomi che facciano pensare a Covid e la prevenzione, in vista di un incontro con persone fragili (immunodepressi, pazienti oncologici, trapiantati). I vaccinati con 2 o 3 dosi possono infettarsi, ma meno dei non vaccinati; possono contagiare, in percentuale ancora minore; e sono protetti al 95% circa dalla malattia severa. Quindi, in mancanza di sintomi o di tracciamento richiesto dall’Azienda sanitaria locale, non è necessario che si sottopongano a un tampone.

Quali tipi di test si possono utilizzare?

Il tampone molecolare è il più affidabile per la diagnosi di infezione da coronavirus. Viene eseguito su un campione prelevato a livello naso orofaringeo e il margine di errore è praticamente zero, perché viene rilevata la presenza del genoma virale anche in soggetti con bassa carica, pre-sintomatici o asintomatici. I test antigenici (rapidi) sono sensibili alle proteine virali. Ne esistono diversi tipi, dagli immunocromatografici lateral flow (prima generazione) ai test a lettura immunofluorescente (seconda generazione), che offrono migliori prestazioni. I test di ultima generazione (immunofluorescenza con lettura in microfluidica) sembrano mostrare risultati sovrapponibili ai molecolari, se eseguiti nel modo giusto. «Il test antigenico può dare un range di falsi negativi compreso tra il 10 e il 25 per cento, a seconda che venga effettuato da una persona esperta, per esempio in farmacia, o meno — afferma Pierangelo Clerici, presidente dell’Associazione microbiologi clinici italiani e della Federazione italiana società scientifiche di laboratorio —. Questo significa che con i rapidi “fai da te”, si rischia di avere risultati inesatti in un caso su quattro, dato che la positività non viene rilevata. Ciò avviene perché non è facile effettuare da soli in modo corretto il prelievo naso orofaringeo che, come sappiamo, deve provocare un po’ di fastidio».

E i salivari?

I test rapidi su saliva non sono raccomandati, perché non raggiungono i livelli minimi accettabili di sensibilità (capacità di individuare i positivi, cioè i malati) e specificità (capacità di individuare i negativi). Sono pertanto esclusi dall’elenco europeo dei test validi per ottenere il green pass. «La qualità del campione di saliva è soggetta a molte variabili, per esempio il tempo trascorso dall’assunzione di cibo o bevande e il modo in cui si è tenuto in bocca il tampone — sottolinea Clerici —: in generale i test di questo tipo offrono meno garanzie rispetto a quelli che analizzano un campione naso orofaringeo».

Che cos’è il pungidito?

Si tratta di un test sierologico che misura la presenza o meno di anticorpi nel sangue, ma senza misurarne la quantità. Nel caso gli anticorpi siano presenti, non indica se l’infezione è in atto o è avvenuta in passato.

Quando serve sottoporsi a un test sierologico?

In questo momento non è utile effettuare questo esame (a meno che non venga richiesto da un medico), neppure in vista della vaccinazione anti Covid. Non esiste infatti un metodo standard ed è quindi possibile avere risultati diversi ripetendo il test in vari laboratori. Inoltre non conosciamo il «correlato di protezione» di Sars-CoV-2, ovvero il livello di anticorpi necessario per difenderci dall’infezione. «Gli studi sono in corso, nel mio come in altri laboratori — afferma Clerici —: la raccolta dei dati sarà completata a un anno dalle prime vaccinazioni di massa, iniziate a marzo 2020. Ricordo che per l’epatite B sono serviti 5-6 anni per arrivare a definire il “correlato di protezione”. Nel caso di Covid basteranno invece 12 mesi. Quando lo studio, che è coordinato dall’Istituto superiore di sanità, sarà terminato sapremo qual è il livello di anticorpi che può realmente proteggerci dal coronavirus e da tutte le sue possibili varianti».

Il lockdown dei No Vax. Le nuove regole su Super Green Pass e quarantena. Linkiesta il 30 Dicembre 2021. Dal 10 gennaio certificato verde rafforzato per accedere ai mezzi pubblici e niente isolamento per chi ha ricevuto la terza dose ed è entrato in contatto con un positivo. Intanto Draghi valuta l’obbligo vaccinale per tutti gli italiani. 

Da una parte l’esigenza di proteggere il Paese dall’avanzata della variante Omicron, nel giorno in cui l’Italia sfiora i 100mila nuovi contagi in 24 ore. Dall’altra la necessità di non paralizzarlo mandando 2 milioni e mezzo di persone in quarantena per un contatto con i positivi al Covid.

Dopo una giornata di forti contrasti nella maggioranza e divergenze anche tra gli esperti del Comitato tecnico scientifico, il governo ha trovato una mediazione varando un decreto legge che nello stesso tempo aumenta le restrizioni per chi non è vaccinato e le allenta sul fronte della quarantena per chi invece ha aderito alla campagna vaccinale. Il risultato è una sorta di lockdown per i No Vax alla tedesca, prevedendo il Super Green Pass anche per tutte quelle attività finora rimaste accessibili anche solo con il tampone negativo.

Dal 10 gennaio, per salire su un qualsiasi mezzo di trasporto, andare in un hotel o in un ristorante, anche all’aperto, per partecipare a matrimoni, fiere o congressi, sarà necessario essere vaccinati o guariti. Le capienze vengono di nuovo ridotte, al 50% all’aperto e al 35% al chiuso, per stadi e impianti sportivi. In più la quarantena viene rivista, con l’alleggerimento delle restrizioni per i vaccinati, in modo da non bloccare i servizi essenziali con milioni di persone in isolamento per un semplice contatto con un positivo.

Ma sull’estensione dell’obbligo di Green Pass rafforzato per tutti i lavoratori o anche solo per quelli della pubblica amministrazione, fortemente sollecitato dal fronte compatto dei governatori regionali, la maggioranza si è spaccata. Contrari la Lega, in particolare il ministro dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti, e anche i Cinque stelle. La decisione, però, sarebbe solo rimandata. Secondo quanto scrive Repubblica, il presidente del Consiglio Mario Draghi avrebbe promesso che la misura con il vaccino obbligatorio sarà varata nel prossimo consiglio dei ministri del 5 gennaio. E anche il segretario del Pd Enrico Letta in un’intervista a Repubblica dice che è l’ora della immunizzazione per tutti.

Ecco le nuove regole

Divieti per i No Vax. Sui mezzi a lunga percorrenza, aerei, treni, navi, ma anche su bus, metro e mezzi di trasporto pubblico locale, si accederà solo con il Super Green Pass. Il certificato rafforzato è richiesto anche per accedere agli impianti sciistici in zona bianca o gialla, a fiere, convegni o congressi dove fino a ora bastava il tampone negativo. E anche nei ristoranti o bar all’aperto e negli alberghi. Per partecipare a matrimoni, battesimi, cerimonie civili e religiose servirà essere vaccinati o guariti. Così come per fare sport, anche all’aperto.

Quarantena ridotta. Chi ha già fatto la terza dose o chi ha due dosi di vaccino somministrate da meno di quattro mesi si ritiene sufficientemente protetto dal contagio per un contatto diretto con un positivo. Il governo ha accolto la richiesta delle Regioni di azzerare l’obbligo di quarantena sostituendolo con un regime di autosorveglianza. In sostanza, in assenza di sintomi si potrà continuare ad andare in giro con alcune accortezze: indossare una mascherina Ffp2 per dieci giorni, evitare di frequentare posti chiusi e affollati e dopo cinque giorni effettuare un tampone (anche rapido).

Una miniquarantena ridotta dagli attuali sette a cinque giorni, anche questa con tampone di controllo, è prevista invece per i vaccinati dopo quattro mesi dalla seconda dose e in attesa della terza.

Per i No Vax, invece, non cambia nulla: chi entra in contatto con un positivo dovrà rimanere a casa dieci giorni e potrà uscire solo dopo un tampone negativo o, in alternativa, restare in isolamento per 14 giorni.

Per i positivi asintomatici, ma vaccinati con due dosi, basterà una settimana di isolamento a casa (invece degli attuali dieci giorni) e poi si potrà tornare a uscire con l’esito negativo di un tampone, anche antigenico e non più solo molecolare.

Prezzi calmierati per le mascherine Ffp2. Il governo ha dato al generale Francesco Paolo Figliuolo l’incarico di censire il quantitativo di mascherine da fornire agli insegnanti che, alla ripresa delle lezioni, saranno a contatto con alunni che non possono indossare la mascherina. Tutti d’accordo anche sulla necessità di intervenire calmierando il prezzo delle Ffp2, già introvabili o vendute a costi elevatissimi, visto che il precedente decreto ne ha previsto l’obbligo in alcuni luoghi chiusi e su tutti i mezzi di trasporto.

Fiorenza Sarzanini, Monica Guerzoni per il “Corriere della Sera” il 31 dicembre 2021. Entra in vigore oggi il nuovo decreto del governo che modifica le regole della quarantena e estende l'uso del green pass rafforzato. Ecco le regole e le date dell'entrata in vigore. 

1 Che cosa è previsto per chi ha avuto un contatto con un positivo?

Se è vaccinato con tre dosi, guarito o ha effettuato il richiamo da meno di 120 giorni non deve fare quarantena ma deve sottoporsi ad autosorveglianza. Questo significa che fino al decimo giorno successivo all'ultima esposizione si deve indossare la Ffp2 e effettuare - solo qualora sintomatici - un test antigenico rapido o molecolare al quinto giorno successivo all'ultima esposizione al caso. Se è vaccinato da più di quattro mesi deve osservare 5 giorni di quarantena, con obbligo di tampone negativo al termine di periodo di isolamento. Se non è vaccinato deve stare 10 giorni in quarantena.

2 Quali sono i contatti stretti?

- I conviventi;

- chi ha avuto un contatto fisico diretto (per esempio la stretta di mano);

- chi è stato a contatto diretto (faccia a faccia) per oltre 15 minuti a meno di 2 metri di distanza senza protezione in un ambiente chiuso;

- il passeggero in treno o in aereo seduto a meno di 2 posti di distanza;

- i compagni di viaggio e il personale addetto alla sezione dell'aereo o del treno dove la persona positiva era seduta;

- il personale sanitario senza adeguati dispositivi di protezione. 

3 Che cosa deve fare il positivo?

- Le persone asintomatiche «risultate positive possono rientrare in comunità dopo un periodo di isolamento di almeno 10 giorni a partire dalla data di prelievo del tampone risultato positivo, al termine del quale risulti eseguito un test molecolare o antigenico con esito negativo».

- Le persone sintomatiche «risultate positive possono rientrare in comunità dopo un periodo di isolamento di almeno 10 giorni dalla comparsa dei sintomi accompagnato da un test molecolare o antigenico con riscontro negativo eseguito dopo almeno 3 giorni senza sintomi». 

4 Le mascherine sono obbligatorie?

Sì, in tutta Italia, anche all'aperto. 

5 Si può andare al bar e consumare al bancone con il green pass base, cioè ottenuto con un tampone?

No, serve il green pass rafforzato rilasciato a guariti o vaccinati. 

6 Dove è attualmente previsto l'obbligo di green pass rafforzato?

- Ristoranti e bar al chiuso;

- al chiuso per piscine, palestre e sport di squadra;

- spogliatoi;

- musei e mostre;

- al chiuso per i centri benessere;

- centri termali (salvo che per livelli essenziali di assistenza e attività riabilitative o terapeutiche);

- parchi tematici e di divertimento;

- al chiuso per centri culturali, centri sociali e ricreativi (esclusi i centri educativi per l'infanzia);

- sale gioco, sale scommesse, sale bingo e casinò 

7 Quando entra in vigore l'estensione del green pass rafforzato?

Il 10 gennaio e sarà in vigore fino al 31 marzo 2022. 

8 In quali altri luoghi sarà obbligatorio il green pass rafforzato?

- spettacoli aperti al pubblico che si svolgono all'aperto e al chiuso in teatri, sale da concerto, cinema, locali di intrattenimento e musica dal vivo (e altri locali assimilati);

- eventi e competizioni sportive che si svolgono al chiuso o all'aperto;

- alberghi e strutture ricettive;

- feste conseguenti alle cerimonie civili o religiose;

- sagre e fiere;

- centri congressi;

- ristoranti e bar al chiuso e all'aperto;

- impianti di risalita con finalità turistico-commerciale anche se ubicati in comprensori sciistici;

- piscine, centri natatori, sport di squadra e centri benessere anche all'aperto;

- centri culturali, centri sociali e ricreativi per le attività all'aperto.

9 Il green pass rafforzato è obbligatorio per i mezzi di trasporto?

Fino al 10 gennaio 2022 basta il green pass base. 

10 Si deve indossare la mascherina sui mezzi di trasporto?

È obbligatoria la FfP2. 

11 Anche sul traporto pubblico locale?

Sì, sempre la Ffp2. 

12 Quando scatta l'estensione del green pass rafforzato per i mezzi di trasporto?

Il 10 gennaio 2022. 

13 Sarà obbligatorio anche per il trasporto pubblico locale?

Sì, dal 10 gennaio.

14 Le feste sono consentite?

No, fino al 31 gennaio 2022 sono vietate all'aperto e al chiuso nei locali pubblici. 

15 E nelle case?

È raccomandato evitare gli assembramenti. 

16 Le discoteche sono aperte?

No, fino al 31 gennaio 2022 sono chiuse all'aperto e al chiuso. 

17 Quali categorie di lavoratori hanno l'obbligo vaccinale?

Personale sanitario, personale scolastico, forze dell'ordine, lavoratori esterni delle Rsa. 

18 Gli altri lavoratori devono avere il green pass?

Per lavorare basta il green pass base. Dopo cinque giorni di assenza scatta la sospensione dalle funzioni e dallo stipendio ma non sono previsti provvedimenti disciplinari. 

19 Il green pass rafforzato vale anche per i calciatori e gli altri professionisti di altre discipline?

No perché sono assimilati ai lavoratori degli altri settori. 

20 Come è cambiata la capienza degli stadi?

Si torna al 50% per gli impianti all'aperto e al 35% per gli impianti al chiuso.

Quarantena e green pass rafforzato, mascherine e ritorno a scuola: così cambiano le regole. Monica Guerzoni e Fiorenza Sarzanini su Il Corriere della Sera il 30 Dicembre 2021. Dai locali allo sport, giro di vite a partire dal 10 gennaio. Le raccomandazioni per le feste in famiglia. Il governo vara il lockdown per i non vaccinati a partire dal 10 gennaio. A partire da quella data tutte le attività sociali e ricreative potranno infatti essere svolte soltanto da chi ha il green pass rafforzato che viene rilasciato a vaccinati e guariti. Una regola che vale sia per le attività nei locali al chiuso, sia all’aperto. Rimane al momento escluso l’obbligo di green pass per tutti i lavoratori, che dovrà essere valutato in un Consiglio dei ministri previsto per il 5 gennaio. 

Cambiano anche le regole della quarantena, che non dovrà più essere rispettata da chi è vaccinato con due dosi da meno di 4 mesi o con tre dosi. Rimane invece la quarantena per chi non è vaccinato. Una scelta fatta sulla spinta delle Regioni che avevano paventato il rischio di blocco per i servizi essenziali. Le norme approvate oggi entrano in vigore insieme ad alcune altre regole che erano state varate la scorsa settimana proprio per l’impennata della curva epidemiologica. E prevedono tra l’altro il tentativo di far tornare in classe gli studenti il 10 gennaio. Alcuni governatori avevamo chiesto di prolungare le vacanze natalizie di almeno due settimane per provare ad arginare i contagi ma il governo ha deciso di tenere aperte le classi affidando al generale Figliuolo uno screening degli studenti e la consegna delle mascherine FfP2 per quelle situazioni ritenute a rischio. Le stesse mascherine filtranti sono diventate obbligatorio sui mezzi di trasporto a lunga percorrenza e sui mezzi del trasporto pubblico urbano. Anche se i controlli dimostrano che pochi passeggeri le indossano.

Niente quarantena con 2 dosi entro i 4 mesi

Ecco le nuove regole della quarantena per chi ha avuto un contatto stretto con un positivo: non deve fare quarantena chi ha completato il ciclo vaccinale primario o la dose di richiamo o è guarito da 120 giorni. Fino al decimo giorno successivo all’ultimo contatto queste persone hanno l’obbligo di indossare i dispositivi di protezione delle vie respiratorie di tipo Ffp2 e di effettuare — solo qualora sintomatici — un test antigenico rapido o molecolare al quinto giorno successivo all’ultima esposizione al caso. La cessazione della quarantena o dell’auto-sorveglianza «consegue all’esito negativo di un test antigenico rapido o molecolare, effettuato anche presso centri privati; in tale ultimo caso la trasmissione all’Asl del referto a esito negativo, con modalità anche elettroniche, determina la cessazione di quarantena o del periodo di auto-sorveglianza». Per i vaccinati da più di quattro mesi, invece, la quarantena scende da 7 a 5 giorni, con obbligo di tampone negativo al termine di periodo di isolamento.

Per chi non è vaccinato isolamento di 10 giorni

Rimangono uguali le regole della quarantena per i non vaccinati: le persone non vaccinate che hanno avuto un contatto con una persona positiva hanno l’obbligo di rimanere in quarantena per 10 giorni. Rimangono le stesse le regole della quarantena per i positivi: le persone asintomatiche risultate positive possono rientrare in comunità dopo un periodo di isolamento di almeno 10 giorni a partire dalla data di prelievo del tampone risultato positivo, al termine del quale risulti eseguito un test molecolare (non antigenico) con esito negativo. Le persone sintomatiche risultate positive possono rientrare in comunità dopo un periodo di isolamento di almeno 10 giorni dalla comparsa dei sintomi accompagnato da un test molecolare con riscontro negativo eseguito dopo almeno 3 giorni senza sintomi.

Conviventi e non solo: chi sono i contatti stretti

Sono le linee guida stilate dal ministero della Salute a identificare i contatti stretti delle persone risultate positive al Covid 19: i conviventi; chi ha avuto un contatto fisico diretto (per esempio la stretta di mano); chi è stato a contatto diretto non protetto con le sue secrezioni (ad esempio fazzoletti di carta usati); chi è stato a contatto diretto (faccia a faccia) per oltre 15 minuti a meno di 2 metri di distanza senza protezione in un ambiente chiuso; il passeggero in treno o in aereo seduto a meno di 2 posti di distanza; i compagni di viaggio e il personale addetto alla sezione dell’aereo o del treno dove la persona positiva era seduta; il personale sanitario senza adeguati dispositivi di protezione.

Dai ristoranti agli hotel, dove serve il super pass

Il green pass rafforzato diventa obbligatorio dal 10 gennaio e fino alla cessazione dello stato di emergenza (31 marzo) per tutti i mezzi di trasporto: aerei, treni, navi, autobus, metropolitane e treni regionali. Negli alberghi e in tutte le strutture ricettive. Per le feste conseguenti alle cerimonie civili e religiose (come i matrimoni), per le sagre e le fiere, per i centri congressi. Solo vaccinati e guariti possono sedersi al ristorante anche all’aperto, frequentare piscine e centri benessere anche all’aperto. La limitazione è estesa agli sport di squadra e ai centri natatori, ai centri culturali, sociali e ricreativi. Anche per andare a sciare servirà il «super» green pass. Nella nota di Palazzo Chigi a seguito del consiglio dei ministri si parla di «impianti di risalita con finalità turistico-commerciale anche se ubicati in comprensori sciistici».

Bus, metro, treni, aerei: solo vaccinati o guariti

Il governo ha deciso di rendere obbligatorio il green pass rafforzato anche per tutti i mezzi di trasporto, sia a lunga percorrenza, sia per il trasporto pubblico urbano, che fino ad ora era rimasto escluso. Per salire a bordo di tutti questi mezzi è già obbligatorio indossare la mascherina Ffp2. L’elenco dei nuovi obblighi, che entreranno in vigore dal 10 gennaio, comprende: treni dell’alta velocità; treni a lunga percorrenza; treni regionali; aerei; navi; autobus; tram; metropolitane. Sarà quindi impossibile spostarsi con i mezzi pubblici nelle città senza il green pass rafforzato. A bordo dei taxi è obbligatorio sia per il conducente, sia per il passeggero indossare la mascherina, anche se l’autovettura è dotata di parete divisoria per separare passeggero e conducente. Resta vietato sedere al lato del guidatore.

Stadi, pubblico ridotto: all’aperto soglia del 50%

Vista l’impennata della curva epidemiologica il governo ha deciso di ridurre nuovamente la capienza degli impianti sportivi. In base alle nuove disposizioni la capienza prevista per gli impianti sportivi all’aperto è pari al 50% di quella massima consentita, al chiuso è pari al 35% di quella massima consentita. Negli stadi e nei palazzetti dello sport all’aperto e al chiuso sarà sempre obbligatorio esibire il green pass rafforzato (rilasciato a guariti e vaccinati) e indossare la mascherina. È vietato il consumo di cibi e bevande sia negli impianti all’aperto, sia in quelli al chiuso e non è consentita la vendita di prodotti alimentari all’interno. Il protocollo già in vigore prevede che ci siano percorsi separati per l’ingresso e l’uscita degli spettatori. Si devono prevedere meccanismi che evitino gli assembramenti e i posti devono essere numerati.

Le Ffp2 obbligatorie per cinema e autobus

È già in vigore l’obbligo di indossare le mascherine anche quando ci si trova all’aperto e pure quando si è in zona bianca. È in vigore anche l’obbligo di portare le mascherine di tipo Ffp2 in occasione di spettacoli accessibili al pubblico che si svolgono all’aperto e al chiuso in teatri, sale da concerto, cinema, locali di intrattenimento e musica dal vivo (e altri locali assimilati); eventi e competizioni sportive che si svolgono al chiuso o all’aperto. In tutti questi luoghi è anche vietato il consumo di cibi e bevande al chiuso. La mascherina Ffp2 è obbligatoria a bordo di: treni, aerei, navi, autobus, tram, metropolitane.

Le protezioni in classe, lo screening dei militari

Con una nota inviata alle scuole il Ministero dell’Istruzione ha avviato la rilevazione del fabbisogno di mascherine FfP2 da distribuire secondo quanto previsto dal decreto legge approvato prima di Natale. In particolare «sarà rilevato il fabbisogno delle mascherine necessarie per il personale “preposto alle attività scolastiche e didattiche nelle scuole dell’infanzia e nelle scuole di ogni ordine e grado, dove sono presenti bambini e alunni esonerati dall’obbligo di utilizzo dei dispositivi di protezione delle vie respiratorie”». La nota prevede che «i dirigenti scolastici dovranno indicare i quantitativi necessari entro il prossimo 4 gennaio in modo che la distribuzione possa essere organizzata in tempo per il rientro». Il commissario Francesco Paolo Figliuolo avvierà anche lo screening nelle scuole con l’ausilio dei militari.

L’obbligo vaccinale dai sanitari ai prof

È già previsto l’obbligo vaccinale per personale sanitario, personale scolastico, forze dell’ordine, lavoratori dei servizi esterni delle Rsa. È invece previsto l’obbligo di green pass base per tutti gli altri lavoratori. Chi non presenta il green pass base per cinque giorni viene sospeso dalle funzioni e dallo stipendio ma non incorre in sanzioni disciplinari. Sono previsti controlli all’ingresso e comunque controlli a campione che possono essere effettuati anche dalle forze dell’ordine. Il lavoratore senza il green pass all’interno dei locali di lavoro rischia una sanzione amministrativa dai 600 ai 1.500. Chi è preposto ai controlli da parte delle aziende e non li effettua rischia una sanzione da 400 a 1.000 euro.

Fino alla fine di gennaio niente feste e discoteche

Fino al 31 gennaio 2022: sono vietati gli eventi, le feste e i concerti, comunque denominati, che implichino assembramenti in spazi all’aperto; saranno chiuse le sale da ballo, discoteche e locali assimilati, dove si svolgono eventi, concerti o feste comunque denominati, aperti al pubblico. La circolare del Viminale firmata dal capo di gabinetto Bruno Frattasi diramata ieri ha raccomandato l’intensificazione dei controlli in vista del Capodanno da estendere anche al giorno precedente e a quelli successivi in modo da evitare assembramenti anche se non si tratta di eventi organizzati. Nelle abitazioni private non è possibile prevedere alcun divieto, ma viene comunque raccomandato di evitare incontri con molte persone e in ogni caso di indossare la mascherina in presenza di persone con fragilità e persone anziane.

Un test molecolare per rientrare dall’estero

L’ordinanza in vigore dallo scorso 16 dicembre fino al 31 gennaio prevede che le persone che hanno soggiornato oppure transitato nei 14 giorni antecedenti in uno o più Stati dell’Unione europea possano rientrare in Italia alle seguenti condizioni: esibire al momento dell’imbarco il Passenger locator form; presentare il green pass europeo o una certificazione equivalente; presentare l’esito negativo di un test molecolare, effettuato nelle 48 ore antecedenti all’ingresso nel territorio nazionale, o di un test antigenico effettuato per mezzo di tampone, nelle 24 ore antecedenti all’ingresso nel territorio nazionale. Chi non è vaccinato, oltre a presentare l’esito di un tampone negativo, deve osservare cinque giorni di isolamento fiduciario con l’obbligo di sottoporsi a un test a fine quarantena.

Il green pass rafforzato sarà valido per sei mesi

Il governo ha stabilito che dal 1° febbraio il green pass rafforzato, cioè rilasciato a vaccinati e guariti, abbia validità per sei mesi dall’ultima somministrazione di vaccino o dal certificato che attesta la guarigione. La scelta di posticipare l’entrata in vigore della norma al 1° febbraio è stata fatta proprio per consentire ai cittadini di prenotare il booster o il richiamo e mettersi così in regola, soprattutto evitando la sospensione della certificazione. A chi non effettuerà il booster oppure il richiamo, il green pass sarà infatti sospeso e non verrà «riconosciuto» dalla app C19. Per chi è guarito dal coronavirus è necessario provvedere all’inserimento nel sistema del ministero della Salute dell’attestazione dell’avvenuta guarigione: per questo è prevista la registrazione del tampone negativo richiesto al termine della quarantena obbligatoria di 10 giorni.

Green pass falsi, perquisizioni in tutta Italia. Come rubavano i dati alle farmacie. Libero Quotidiano il 15 dicembre 2021. Maxi operazione della polizia postale sui green pass falsi. Su delega del Procuratore di Napoli, si stanno eseguendo questa mattina 15 dicembre in tutta Italia perquisizioni nei confronti di un complesso sistema criminale, dedito alla messa in commercio di certificazioni vaccinali (Green pass) radicalmente false, in grado di superare i previsti controlli mediante app di verifica. Gli investigatori del Cnaipic del Servizio Polizia Postale e delle Comunicazioni e della Polizia Postale di Napoli, al termine di un'indagine informatica, hanno individuato una struttura criminale in grado, pur non violando in via diretta i sistemi informatici, di generare Green pass, utilizzando le credenziali di accesso precedentemente sottratte alle farmacie mediante sofisticate tecniche di phishing. 

Da leggo.it il 15 dicembre 2021. Green pass falsi acquistati da oltre 120 persone, che non avevano mai ricevuto alcun vaccino né eseguito alcun tampone, aggirando i presidi di sicurezza informatica dei sistemi sanitari di Campania, Lazio, Puglia, Lombardia, Calabria e Veneto, ottenuti attraverso intrusioni illegali con i dati rubati alle farmacie. Con la collaborazione del Ministero della Salute, i falsi green pass individuati sono stati disabilitati, in modo da impedirne ogni ulteriore utilizzo e le pagine web create sono state sottoposte a un sequestro preventivo disposto in via d'urgenza dal Pubblico Ministero. Le perquisizioni e i sequestri, da Nord a Sud, sono stati eseguiti dai vari reparti della Polizia Postale e delle Comunicazioni. Su delega del Procuratore di Napoli, la Polizia di Stato sta eseguendo in tutta Italia perquisizioni nei confronti di un complesso sistema criminale, dedito alla messa in commercio di certificazioni vaccinali (green pass) radicalmente false, in grado di superare i previsti controlli mediante app di verifica. Gli investigatori del Cnaipic del Servizio Polizia Postale e delle Comunicazioni e della Polizia Postale di Napoli, al termine di complesse indagini informatiche, hanno individuato una struttura criminale in grado, pur non violando in via diretta i sistemi informatici, di generare Green pass, utilizzando le credenziali di accesso precedentemente sottratte alle farmacie mediante sofisticate tecniche di phishing. Al momento sono 120 le persone che hanno acquistato i green pass falsi ottenuti da una organizzazione criminale, scoperta dalla Polizia di Stato, coordinata dal pool cyber crime della Procura di Napoli, violando i sistemi sanitari regionali sfruttando i canali di accesso messi a disposizione delle farmacie per inserire i codici dei tamponi e dei vaccini effettuati. Gli utilizzatori dei falsi green pass sono stati sinora localizzati nelle province di Napoli, Avellino, Benevento, Caserta, Salerno, Bolzano, Como, Grosseto, Messina, Milano, Monza-Brianza, Reggio Calabria, Roma e Trento, ma sono in corso accertamenti finalizzati a definire il numero reale, che si stima essere assai più ampio, di coloro che si sono rivolti nel tempo all'organizzazione criminale oggetto delle indagini per sfruttarne gli illeciti servizi. Sono complessivamente 82 le persone indagate nell'ambito dell'inchiesta. Si tratta di 15 persone già iscritte nel registro degli indagati e 67 loro clienti. Con la collaborazione del Ministero della Salute, i falsi green pass individuati sono stati disabilitati, in modo da impedirne ogni ulteriore utilizzo e le pagine web create sono state sottoposte a un sequestro preventivo disposto in via d'urgenza dal Pubblico Ministero. Le perquisizioni e i sequestri, da Nord a Sud, sono stati eseguiti dai vari reparti della Polizia Postale e delle Comunicazioni. 

Striscia la notizia, Super Green pass col buco: "Ministro Speranza, ma cos'è possibile?". Libero Quotidiano il 10 dicembre 2021. Un'altra segnalazione di Super Green pass "col buco". Qualcosa, nel certificato verde non funziona, e lo testimonia un servizio di Striscia la notizia, su Canale 5. Un telespettatore invia un video al tg satirico fondato e diretto da Antonio Ricci per raccontare la propria paradossale vicenda: il signore e la moglie, entrambi vaccinati, si sono sottoposti a un tampone molecolare allo Spallanzani di Roma, con esito positivo. Hanno dunque contratto il Covid e devono restare in isolamento a casa. La donna ha fatto il tampone il 29 novembre, l'uomo il 2 dicembre. Il prossimo test, per entrambi, è stato fissato dall'Asl il 12 dicembre. "Con la applicazione abbiamo controllato se i nostri Green pass fossero ancora validi - spiega il telespettatore - e con stupore abbiamo verificato che sono attualmente in essere. Com'è possibile parlare di controlli quando di base non viene invalidata la certificazione del Green pass alle persone positive?".  Valerio Staffelli, inviato di Striscia, mostra il video del Green pass dei due positivi validati regolarmente. "Sembra incredibile, ma il Green pass del segnalatore è ancora attivo dopo 7 e 10 giorni. Ministro Speranza, ma com'è possibile una cosa del genere? Soprattutto adesso che si parla di Green pass rafforzato fino a metà gennaio...".

Da ilmessaggero.it il 31 ottobre 2021. Nessuna discriminazione. Nessuna violazione della privacy. Il Consiglio di Stato ha respinto i ricorsi presentati da alcuni docenti contro l'obbligo del Green pass a scuola. In due distinti decreti, la Terza Sezione presieduta da Franco Frattini ha confermato la decisione del Tar del Lazio spiegando che le presunte violazioni della privacy «sono contraddette sia dall'avvenuto pieno recepimento delle indicazioni del Garante della Privacy» sia «dal dato puramente tecnico e non contestato con argomenti credibili, secondo cui la lettura con app dedicata esclude ogni conservazione o conoscibilità del dato identitario personale, salvo l'accertamento della autenticità del certificato verde, elemento essenziale allorché emergono sempre più frequenti casi di falsificazione e di commercio di certificati verdi falsi». La sentenza spiega anche che il Green pass non è un elemento discriminante dato che «il lavoratore è abilitato, ove non intenda vaccinarsi, ad ottenere il certificato verde con test differenti quali l'antigenico rapido». Sull'asserito diritto individuale alla salute e quindi sul rifiuto di vaccinarsi, il Consiglio di Stato evidenzia che esiste un «eguale diritto di una collettività di persone - nella specie gli studenti - il cui diritto a scongiurare possibili contagi ha prevalenza perché espressione di una componente della “salute pubblica” a fronte del diritto del docente, in ogni caso per nulla negato viste le ammissibili misure alternative al vaccino, e di carattere individuale, per di più da parte di chi ha una responsabilità specifica e rafforzata verso i propri studenti, che costituisce componente essenziale della funzione (se non addirittura missione) di ogni docente». Fissata per l'11 novembre la camera di consiglio per la discussione collegiale. 

Da Ansa.it il 7 ottobre 2021. La Corte europea dei diritti umani ha dichiarato irricevibile il ricorso presentato da un cittadino francese contro il green pass istituito nel Paese e che ha creato il movimento 'No Pass'. I giudici hanno inoltre criticato l'uomo per aver messo in atto una strategia per inondare la Cedu di ricorsi simili al suo. Sinora Strasburgo ne ha ricevuto 18 mila.

Niccolò Carratelli per "La Stampa" il 10 dicembre 2021 Positivi al Covid, ma con Green Pass valido. Contagiosi, ma potenzialmente accolti senza problemi all'interno di un ristorante o di un teatro. Succede sempre più spesso, anche perché ormai, tra i nuovi casi Covid, non mancano i vaccinati di lungo corso con una protezione ridotta. Ora il ministero della Salute fa sapere di essere «pronto ad attivare il sistema di revoca temporanea della certificazione», ma si attende nei prossimi giorni il via libera del Garante della privacy. Revoca, viene ricordato, che al momento non è prevista dalle norme europee e non è in vigore in nessun Paese, mentre un positivo al virus, se viola la quarantena, commette un reato. Il fatto è che questo «buco» nel sistema di verifica della certificazione è noto da diverse settimane. Già un mese fa, durante un question time alla Camera, Roberto Speranza aveva spiegato che «il Dpcm 17 giugno 2021 ha previsto la possibilità della revoca delle certificazioni verdi, precedentemente rilasciate, per il periodo della malattia». E aveva aggiunto che «chi è stato identificato come caso positivo a Sars-Cov-2 è sempre soggetto all'obbligo dell'isolamento fiduciario e deve essere esclusa la possibilità di utilizzo del Green Pass se il titolare è causa di possibile contagio». Il ministro della Salute aveva anche precisato che si stava approfondendo con le Regioni «la possibilità di prevedere una doppia opzione di revoca, con segnalazione del medico ovvero attraverso il flusso dei tamponi molecolari positivi». Tutto rimasto sulla carta. Il problema sembra essere proprio lo scambio di dati tra le aziende sanitarie regionali e il ministero della Salute, che dovrebbe aggiornare quotidianamente la «black list» dei nuovi contagiati collegata alla app VerificaC19, usata ovunque per i controlli. Se questo non avviene, o qualche nome sfugge, i pass continuano a risultare validi. 

Niccolò Carratelli per “la Stampa” l'11 dicembre 2021. Se ci si ammala di Covid, il Green Pass viene revocato. Sembra ovvio, ma finora non lo è stato. Per questo serve un nuovo Dpcm, che il governo ha inviato al Garante della privacy per un parere. Punta a tappare il «buco» nel sistema di verifica dei certificati: ad oggi restano validi anche se il titolare, nel frattempo, risulta positivo al tampone. Banalmente, perché la piattaforma dove vengono registrati i test positivi non dialoga con quella dei pass rilasciati. Nel testo, messo a punto dai tecnici del ministero della Salute, viene spiegato meglio cosa deve avvenire «nell'eventualità in cui, dal flusso dei tamponi molecolari che le Regioni e Province autonome inviano al sistema Tessera sanitaria, risulti la positività al SARS-CoV-2 di una persona in possesso di certificazione verde in corso di validità». Un passaggio che doveva essere automatico, ma non è mai scattato: «Il sistema TS comunica la positività alla Piattaforma nazionale-DGC, unitamente ai dati di contatto dell'interessato eventualmente disponibili - si legge -. La Piattaforma genera una revoca delle certificazioni verdi rilasciate alla persona risultata positiva, inserendo gli identificativi univoci nella lista delle certificazioni revocate». Così questi Green Pass «vengono riconosciuti non validi in caso di verifica», con relativa comunicazione «al Gateway europeo, perché siano considerati non validi anche negli altri Stati membri». Inoltre, per chiudere il cerchio, «la Piattaforma nazionale-DGC invia notifica della revoca all'interessato». Il provvedimento «verrà annullato automaticamente a seguito dell'emissione della certificazione verde di guarigione dalla positività che l'ha generata». Nel decreto si sottolinea anche l'obiettivo di «allineare i sistemi regionali che hanno comunicato l'evento sanitario», mettendo a disposizione di Regioni e Province autonome «la lista delle certificazioni dei propri assistiti revocate». Il Dpcm verrà firmato dal premier Draghi e dai ministri Speranza, Franco e Colao subito dopo il via libera del Garante della Privacy, che però ricorda di aver «segnalato più volte, nei mesi scorsi, i profili critici derivanti da un mancato aggiornamento del certificato verde». L'ultima con una comunicazione, indirizzata a governo e Parlamento lo scorso 11 novembre (esattamente un mese fa), in cui il Garante Pasquale Stanzione scriveva: «Il Green Pass è efficace, a fini epidemiologici, nella misura in cui il certificato sia soggetto a verifiche periodiche sulla sua persistente validità; ciò è reso possibile dal costante aggiornamento, mediante la piattaforma nazionale DGC, dei certificati in base alle risultanze diagnostiche eventualmente sopravvenute». Messaggio chiaro, inviato al ministro della Salute Speranza e a quello per i Rapporti con il Parlamento D'Incà, che però non ha portato a provvedimenti immediati. Ora dallo staff di Stanzione fanno filtrare più di una perplessità di fronte alla richiesta del ministero, sia per la tempistica (in forte ritardo), sia nel merito del parere da formulare: «Questa non è una questione di privacy, ma di salute pubblica», è il ragionamento. Insomma, il via libera del Garante non è poi così necessario e, forse, serve solo a giustificare in parte la lentezza con cui si è affrontato il problema. 

La Carta verde non lede i diritti dell’uomo: la sentenza della Cedu. La Cedu chiarisce alcuni aspetti legati al passaporto vaccinale, bocciando un ricorso che era stato presentato da un cittadino francese. Gennaro Grimolizzi su Il Dubbio il 14 ottobre 2021. L’ora x che renderà obbligatorio sui luoghi di lavoro il green pass scatterà domani. Mentre l’obbligatorietà della certificazione verde sta accrescendo le tensioni in Italia, la giustizia comunitaria chiarisce sempre di più il tema e sgombera il campo da equivoci. A Trieste il Comitato dei lavoratori portuali ha annunciato che se non verrà ritirato l’obbligo del green pass dal 15 ottobre bloccherà le attività del porto. La Corte europea dei diritti dell’uomo, invece, con una decisione resa pubblica pochi giorni fa, ha affermato che la certificazione verde non è equiparabile ad un obbligo vaccinale. Il green pass non costituisce pertanto un attacco ai diritti umani e il giudice sovranazionale non può sostituirsi alla giurisdizione dei singoli Stati. I giudici della Cedu sono intervenuti su un ricorso presentato da un cittadino francese, Guillaume Zambrano. La Francia per fronteggiare l’emergenza Covid ha adottato numerosi provvedimenti con i quali è stata prevista la presentazione del green pass per entrare in determinati luoghi chiusi, senza però disporre alcun obbligo vaccinale, eccezion fatta per alcune categorie di lavoratori. Tra questi medici e infermieri. Zambrano ha contestato nei mesi scorsi l’istituzione del green pass nel suo Paese con la creazione di un movimento, denominato “No Pass!”, e di un sito internet per opporsi alle decisioni, a suo dire liberticide, delle autorità d’oltralpe. Il ricorso è stato dichiarato irricevibile. È stato evidenziato che il ricorrente ha architettato una vera e propria strategia legale per inondare la Cedu con una marea di ricorsi (circa 18mila) aventi lo stesso oggetto. I giudici di Strasburgo hanno contestato le modalità del ricorrente per chiedere giustizia, definendole incompatibili con gli obiettivi che regolano i ricorsi individuali davanti alla Cedu. A Zambrano è stata contestata una condotta volta ad inceppare il funzionamento della Corte. Ma quali sono state le argomentazioni di Zambrano alla base del suo ricorso? L’uomo ha lamentato la contrarietà delle regole francesi sul green pass in riferimento all’articolo 3 della Convenzione sul divieto di trattamenti inumani e degradanti, all’articolo 8 sul diritto al rispetto della vita privata e familiare, all’articolo 14 sul divieto di discriminazione e all’articolo 1 del Protocollo n. 12 sul divieto generale di discriminazione. Questo Protocollo, però, risulta non ratificato da Parigi. Il docente francese ha argomentato evidenziando che la legge sul pass sanitario rappresenta uno strumento per obbligare le persone a vaccinarsi, con la conseguenza che il vaccino rischia di far soffrire fisicamente chi lo riceve con pericoli per l’integrità fisica. Nel ricorso è stato pure rilevato che il green pass costituisce un’ingerenza discriminatoria nella vita privata dei cittadini. Nella decisione definitiva che ha rigettato il ricorso la Cedu ha osservato che Zambrano non ha fornito informazioni su come la legge sul pass sanitario violi i suoi diritti. La decisione 41994/ 21 ha consentito alla Corte europea dei diritti dell’uomo di accendere i riflettori sulla strategia legale adottata. Tutta improntata a generare una sorta di caos legale, in chiaro contrasto con lo spirito della Convenzione. Altro aspetto sul quale si è soffermata la Cedu è quello della qualità di vittima in capo al ricorrente: Guillaume Zambrano non ha dimostrato che le norme francesi impongono un obbligo di vaccinazione nei suoi confronti, dato che tale obbligo interessa solo determinate categorie di lavoratori. Non è stato provato, inoltre, che le leggi contestate hanno inciso sul suo diritto individuale al rispetto della sua vita privata, così come non è stata provata l’incidenza delle norme sul green pass sui diritti convenzionali nel caso di persone vaccinate. Altro aspetto che emerge dalla decisione dei giudici di Strasburgo concerne l’irricevibilità del ricorso, in quanto Zambrano non ha adito prima i tribunali francesi, senza dimostrare che il mancato coinvolgimento della magistratura francese non avrebbe sortito alcun effetto. Si tratta di due condizioni essenziali per l’esame di un ricorso da parte della Cedu, da cui è scaturito anche l’abuso del diritto di ricorso con il solo scopo «imbottigliare, ingolfare e inondare» la Corte di Strasburgo.

Effetto green pass: ecco quanti sono i vaccinati in Italia.  Rita Querzè, Fabio Savelli e Claudia Voltattorni su Il Corriere della Sera il 15 ottobre 2021. Code per i tamponi, vaccinazioni che decollano persino in Sicilia, l’ultima regione per immunizzati, in cui ieri le prime dosi hanno leggermente superato i richiami con una crescita del 68% rispetto a giovedì scorso. Oggi il primo test in uffici, studi professionali e fabbriche: il green pass diventa obbligatorio per entrare nei luoghi di lavoro. Tutti i dipendenti pubblici e privati, le partite Iva, che siano titolari di ditte individuali, freelance o professionisti dovranno averlo fino al 31 dicembre 2021, fine dello stato di emergenza. Riaprire in sicurezza e far ripartire il Paese aumentando il più possibile la copertura vaccinale è l’obiettivo del governo. Ma i numeri, nell’inchiesta del Corriere della Sera, dicono che l’effetto green pass si è già in parte verificato: dal 16 settembre, quando il governo ha varato il decreto per rendere il certificato obbligatorio in tutti i luoghi di lavoro, le prime dosi sono cresciute del 46% e solo ieri sono state scaricate 563.186 certificazioni verdi. 

Effetto Green Pass

Fonti vicine alla struttura commissariale guidata dal generale Francesco Figliuolo, spiegano che la tendenza discendente di luglio, agosto e settembre — che si attestava a circa 10mila prime somministrazioni al giorno — avrebbe portato a circa mezzo milione di dosi in meno se non si fosse deciso l’obbligo del Certificato. Ecco perché sarebbero 559.954 le prime dosi aggiuntive. Ne ha giovato anche la media dei tamponi giornalieri di 274mila. Ieri, sono stati 315mila i test antigenici rapidi e molecolari effettuati, segnala Federfarma, l’associazione delle farmacie. Un rimbalzo non legato alla curva epidemiologica considerando l’attuale tasso di positività fermo allo 0,82%. E in tutta Italia si sono registrate code davanti alle farmacie oltre ad un boom di prenotazioni di pacchetti da effettuare ogni 48 ore fino alla fine di dicembre. Cosa che potrebbe creare presto dei problemi di approvvigionamento. Restano però ancora molti i lavoratori non vaccinati. Sarebbero oltre 3 milioni. È una stima conservativa, perché la fondazione Gimbe li calcola tra i 4 e i 5 milioni in età di lavoro. Non sono contabilizzati però gli inoccupati e i disoccupati, gli studenti, gli esenti da vaccinazione per patologie (circa 500mila), gli expat formalmente residenti in Italia ma che vivono altrove.

Trasporto locale

Il green pass obbligatorio da oggi mette alla prova il trasporto pubblico locale. Le aziende hanno iniziato tardi a fare la verifica sui turni del personale perché fino all’altro ieri le bozze dell’ultimo Dpcm parlavano della possibilità per il dipendente di comunicare la disponibilità del green pass al massimo con 48 ore di anticipo. Il testo definitivo parla di un «congruo anticipo» e molte aziende si stanno quindi attrezzando ad anticipare le ricognizioni sui dipendenti per agevolare la composizione dei turni. Ma come sarà la giornata di oggi? Atm, l’azienda milanese dei trasporti fa sapere che su 9.700 dipendenti, 272 hanno dichiarato l’indisponibilità del green pass. A questi vanno aggiunti quelli in malattia, aumentati del 15%. Morale: ieri sera Atm stimava una riduzione del servizio in superficie del 4%. L’aumento dei dipendenti in malattia è segnalato a taccuini chiusi da diverse aziende del settore. Un escamotage che permette di poter contare sulla retribuzione invece di rimanere a casa senza stipendio ma che non può essere utilizzato per periodi troppo lunghi. A Verona le corse cancellate saranno 400 su 4.650, poco meno del 10%. A Vicenza il 4%. A Torino Gtt, Gruppo torinese trasporti, stima che sarà assente il 10-15% dei dipendenti mentre Trenitalia ha predisposto servizi sostitutivi per 27 treni sospesi. 

Nelle fabbriche

Nelle aziende metalmeccaniche da segnalare lo sciopero a oltranza, da oggi fino al 31 dicembre, per avere i tamponi gratis annunciato ieri dalla Fiom dello stabilimento Leonardo di Caselle (Torino). «La situazione nelle fabbriche non è facile, c’è una quota di non vaccinati del 15-20%», stima Francesca Re David, alla guida della Fiom Cgil. Sempre la Fiom ha annunciato un’ora di sciopero a fine turno oggi negli stabilimenti dell’Emilia Romagna. Iniziative che hanno suscitato qualche frizione interna al settore: «Le azioni di sciopero che la Fiom ha dichiarato in maniera unilaterale e da sola in alcune realtà sono strumentali e non fanno altro che indebolire lo spirito unitario», dice il segretario generale della Fim Cisl, Roberto Benaglia. In molte aziende la questione centrale resta il pagamento dei tamponi. E in effetti sono aumentate negli ultimi giorni le imprese che li mettono a disposizione, anche per evitare ritardi nella produzione: Michelin, Pirelli, Natura Sì, Cucinelli, Ima, Coesia, Piquadro, Metro. Sciopero alla Electrolux di Susegana: nello stabilimento trevigiano su 1.500 dipendenti, circa il 10% non sarebbe vaccinato

Nelle filiali

Abi e sindacati dei bancari non segnalano particolari timori per la continuità dei servizio. Le sigle del settore avevano chiesto contributi delle aziende al pagamento dei tamponi ma la risposta dell’Abi è stata negativa. «Crediamo che non si sia voluto creare precedenti utilizzabili da altre categorie di lavoratori — dice il segretario generale della Fabi, Lando Maria Sileoni —. A dare fiducia al settore hanno contribuito gli accordi sulla prevenzione antiCovid firmati fin dall’inizio della pandemia». 

Nei supermercati

Il settore non prevede criticità. «La situazione nei punti vendita delle nostre aziende ci pare sotto controllo, non temiamo disagi se non in casi isolati», dice Alberto Frausin, presidente di Federdistribuzione —. Stimiamo che la media complessiva di lavoratori privi di certificazione possa essere nell’ordine del 8-9%, se non inferiore». 

Gli autotrasportatori

Su 350mila autotrasportatori italiani, invece circa il 30% non è ancora vaccinato, con rischi di disagi per tutta la filiera. Tanto che a Genova i consorzi di imprese Confcommercio Genova e Fai-Conftrasporto Liguria stanno pensando di fornire presidi mobili nelle aree portuali del porto dove poter fare i tamponi, anche agli stranieri senza green pass. Ma nel frattempo scoppia il caso autisti stranieri. I ministeri di Infrastrutture e Salute ieri hanno dato le indicazioni su come comportarsi con i lavoratori non italiani senza green pass che viaggiano per l’Italia: potranno arrivare fino alle aree di carico e scarico merci ma senza scendere dal camion. Scelta incomprensibile per Unatras, l’unione delle principali associazioni dell’autotrasporto. Gli autisti italiani senza green pass non possono infatti lavorare né viaggiare per il Paese, ma così invece gli stranieri potranno muoversi liberamente, pur senza scendere dal camion: «Avevamo chiesto che venissero garantite anche per le imprese estere, le medesime condizioni applicate a quelle italiane».

Le forze dell’ordine

Le stime di non vaccinati tra i rappresentanti delle forze dell’ordine si aggirano intorno alle 60mila persone, cosa che, avvertono i rappresentanti dei lavoratori, rischia di creare problemi nella copertura dei turni, tanto che viene chiesto di allungare la durata dei tamponi a 96 ore. Una circolare del capo della Polizia Lamberto Giannini spiega che in caso di green pass scaduto, il turno potrà essere completato. Su 105mila carabinieri, i vaccinati sono 94.356. Ma tra esenti, vaccinati in autonomia ed ex malati di Covid, vengono stimati circa 3mila militari non vaccinati. Più alta la percentuale in Polizia: 13mila su 96mila, ma di questi molti si stima abbiano provveduto al di fuori della campagna organizzata apposta per le forze dell’ordine.

I dipendenti pubblici

Tra i 3 milioni e 200mila lavoratori della Pubblica amministrazione, i non vaccinati sono scesi a 250mila: erano 300mila poche settimane fa. Per il pubblico impiego oggi è anche il giorno del rientro in ufficio dopo mesi di lavoro da remoto, con non pochi disagi per i cittadini. Lo smart working verrà mantenuto solo per alcuni giorni a settimana, ma se non si potrà lavorare in ufficio senza green pass, non sarà possibile farlo neanche da remoto.

Francesco Bisozzi per “Il Messaggero” il 15 ottobre 2021. Vaccinati nove lavoratori su dieci. L'ultimo report della Fondazione Gimbe parla di 3,8 milioni di lavoratori senza il Green pass di lungo raggio, quello rilasciato dopo la somministrazione del vaccino, ma solo togliendo gli esentati per patologie e i guariti dell'ultima ora l'asticella già scende sensibilmente. Risultato? L'obbligo diffuso di certificato verde, che da oggi coinvolge 23 milioni di lavoratori circa, dovrebbe prendere in contropiede tra i 2 e i 2,5 milioni di lavoratori soltanto. Questi ultimi dovranno eseguire tamponi ravvicinati nel tempo per non risultare assenti ingiustificati e riuscire così a salvare lo stipendio, almeno finché l'uso del documento sanitario non verrà depotenziato. I lavoratori No vax peraltro sono concentrati in alcuni settori, ragion per cui non si teme una possibile paralisi generale dell'economia. Non solo, all'interno degli stessi settori la distribuzione dei senza pass non è omogenea. Si pensi ai porti: se è vero che a Trieste la quota di lavoratori No vax è stimata attorno al 40 per cento (parliamo di circa 400 persone in tutto), in altri scali marittimi (da Civitavecchia a Brindisi a Palermo) i vaccinati sono la stragrande maggioranza. Ieri il presidente dell'Autorità di sistema portuale del mare di Sicilia Occidentale, Pasqualino Monti, ha spiegato che nei porti di Palermo, Termini Imerese, Trapani e Porto Empedocle non sono previsti rallentamenti delle attività dovute al Green pass. In precedenza avevano gettato acqua sul fuoco pure le autorità che gestiscono gli scali del Lazio, della Campania e della Puglia. Nessun allarme nemmeno nella Grande distribuzione organizzata. Gruppi del calibro di Coop ed Esselunga hanno detto che non vedono all'orizzonte criticità legate alle forniture per eventuali blocchi nel trasporto merci. «Riteniamo che tra i nostri 55mila dipendenti ci sia un'ampia copertura del vaccino», ha aggiunto un portavoce di Coop. Per Trasportounito, l'associazione degli autotrasportatori, 80mila conducenti potrebbero però mancare all'appello da oggi: pesa l'elevato numero di autisti stranieri che si sono vaccinati con farmaci non riconosciuti in Italia. Stesso discorso sul fronte del lavoro domestico dove, stando ai calcoli delle associazioni dei datori di lavoro, quasi il 50 per cento dei collaboratori e delle collaboratrici domestiche sarebbe privo del Green pass annuale. Pure l'agricoltura potrebbe soffrire se, come prevede Confagricoltura, un terzo dei 390mila addetti impiegati nel settore non sarà utilizzabile per via delle nuove regole anti-virus. Nel comparto sicurezza, poi, si parla di 50-60mila non vaccinati: tra i vigili del fuoco i No vax si contano sulle dita delle mani, mentre sarebbero più numerosi tra i ranghi della polizia. La percentuale dei non vaccinati scende sotto la soglia di guardia nel trasporto pubblico locale, dove sarebbero compresi tra il 10 e il 20 per cento del totale dei dipendenti. Bene bar e ristoranti: l'Ufficio studi della Federazione italiana dei pubblici esercizi, Fipe-Confcommercio, ritiene che sono al massimo 40mila i lavoratori dei pubblici esercizi che ancora non si sono sottoposti a vaccinazione e perciò risultano sprovvisti del passaporto verde, sarebbe a dire meno del 10 per cento del totale della forza lavoro del settore. Insomma, a conti fatti i numeri lasciano sperare che non ci sarà nessun venerdì nero. Da una ricognizione del Messaggero, condotta sentendo alcune delle maggiori aziende dei trasporti, dell'energia e dei servizi, è emerso inoltre che in questi settori, nei grandi gruppi, la quota di personale senza Green pass sarebbe inferiore persino al 5 per cento. I 23 milioni di lavoratori chiamati da oggi a fare i conti ai tornelli con il documento sanitario appartengono in larga parte al settore privato (quasi 15 milioni), poi ci sono 4,9 milioni di autonomi e più di tre milioni di statali. Nel privato è possibile stimare che i dipendenti non vaccinati siano sotto al milione e mezzo. Nel pubblico sono passati in poche settimane da 300mila a circa 250mila e dunque rappresentano meno del 10 per cento del totale degli statali. Per quanto riguarda gli autonomi, infine, quelli senza il Green pass a lunga scadenza dovrebbero aggirarsi attorno al mezzo milione. 

Da tgcom24.mediaset.it il 15 ottobre 2021. "L'Arma dei carabinieri ha dato ordine a tutti i militari alloggiati nelle caserme di uscire dalle camerette se non sono in possesso dal Green pass da questa mezzanotte". Lo sostiene il Nuovo sindacato carabinieri, spiegando in una nota che il Comando generale "avrebbe dato la disposizione di ordinare a chi occupa le camere di lasciarle, paragonando l'alloggio al luogo di lavoro". "Nessun decreto ha mai imposto un’ azione del genere che non ha precedenti nella storia dell'Arma", prosegue il sindacato che annuncia l'intenzione di "intervenire in ogni luogo per difendere i propri colleghi cacciati in mezzo alla notte a cercarsi mezzi di fortuna per passarla in maniera dignitosa". L'appello al presidente Draghi "Non avremmo mai pensato di vivere una situazione del genere - conclude la nota -. Chiederemo al presidente Draghi se era questa la sua intenzione quando ha emanato il decreto che regolerà il mondo del lavoro". In Emilia-Romagna il sindacato fa sapere che darà assistenza legale gratuita ai colleghi che ne avranno bisogno.

LA PRECISAZIONE DEL COMANDO GENERALE

Il Comando generale dei carabinieri, interpellato da Tgcom24, precisa: "La circolare emanata dal Comando Generale l'11 ottobre 2021 non contiene alcuna indicazione sugli accasermati. Dalla lettura del Dpcm del 12 ottobre, l'aspetto è indirettamente trattato allorquando è esplicitamente previsto che al personale dichiarato assente ingiustificato per mancanza del Green pass all'atto di intraprendere il lavoro, non è consentito, in alcun modo, di permanere nella struttura, anche a fini diversi. Pertanto, chi occupa posto in caserma ma non effettua il servizio, poiché in licenza o a riposo continuerà a usufruire del beneficio". In sostanza se un carabiniere viene trovato in servizio senza il Green pass previsto dalla legge deve abbandonare il luogo di lavoro, cioè la caserma, anche come alloggio personale. 

Green pass, carabinieri decimati nel paesino: solo uno al lavoro. Giuseppe De Lorenzo il 15 Ottobre 2021 su Il Giornale. Il caso a Tolmezzo (Udine): di undici comandati al servizio, sei sono senza green pass e tre assenti "giustificati". Il sindacato: "Alla fine solo uno ha lavorato. È grave". Alcuni effetti collaterali del decreto sul green pass si fanno sentire. Soprattutto tra le forze dell’ordine. Il Giornale lo aveva rivelato in tempi non sospetti: tra polizia e carabinieri ci sono migliaia di divise non vaccinate, dunque prive del certificato verde. E la loro assenza dal lavoro potrebbe mettere a rischio la tenuta del sistema sicurezza. Un primo esempio pratico si è verificato proprio oggi a Tolmezzo, in provincia di Udine. Come ilGiornale.it è in grado di rivelare, al nucleo radiomobile della cittadina friulana su undici carabinieri “comandati”, nove erano assenti. Sei di loro risultano tali ai sensi del decreto sul green pass, cioè sono sprovvisti di lasciapassare. Altri tre invece sono in “assenza giustificata”, probabilmente in ferie. A questi, spiega il sindacato, si sarebbe aggiunto un altro non vaccinato. Risultato: solo una delle pattuglie è potuta uscire con la Giulietta a perlustrare il territorio. Con tutto ciò che ne consegue. Di “storture del green pass” parla Massimiliano Zetti, segretario generale del Nuovo Sindacato Carabinieri. “Il comando compagnia di Tolmezzo, il pronto intervento è stato decimato”, spiega al Giornale.it, “Se agli organici sottodimensionati si somma la normativa sul passaporto vaccinale, ecco che si creano situazioni come queste che vanno a discapito della sicurezza dei cittadini. Oggi a Tolmezzo c’è una sola pattuglia, e questo è grave”. Sia chiaro, il sindacato è per il vaccino e rispetta la normativa sul green pass. Però non sono solo i carabinieri a sottolineare alcune criticità. Nei giorni scorsi i poliziotti avevano espresso tutta la loro ira, preventivando il “caos” odierno. Da più parti si chiede che almeno per il comparto della sicurezza lo Stato, cioè il datore di lavoro, garantisca tamponi gratuiti in modo da non gravare sugli organici già in difficoltà. “Nei reparti operativi - spiega Andrea Cecchini, di Italia Celere - l’assenza di tanti uomini mette a rischio la gestione dell’ordine pubblico”. Ma il discorso vale anche per le altre uniformi. L’Arma stima che i militari non vaccinati siano circa 5mila su 107mila operatori, 10-15mila secondo i sindacati. A questi si sommano altri circa 15mila poliziotti e 12mila agenti della penitenziaria. Anche se le cifre ballano un po’, secondo Domenico Pianese, segretario del Coisp, “la stima di 50-60mila persone non vaccinate nel comparto sicurezza è corretta”. Come andrà a finire, lo si capirà solo nei prossimi giorni. Quando cioè la situazione sarà più chiara e i vari comandi, commissariati e presidi carcerari avranno di fronte il dato reale degli operatori senza vaccino. Intanto non mancano le polemiche. Ieri il sindacato NSC ha denunciato l’ordine che sarebbe arrivato “a tutti i militari alloggiati nelle caserme di uscire dalla camerette" in assenza del green pass. “La circolare emanata dal Comando Generale l'11 ottobre 2021 non contiene alcuna indicazione sugli accasermati - ha replicato l’Arma - Dalla lettura del Dpcm del 12 ottobre, l'aspetto è indirettamente trattato allorquando è esplicitamente previsto che al personale dichiarato assente ingiustificato per mancanza del green pass all'atto di intraprendere il lavoro, non è consentito, in alcun modo, di permanere nella struttura, anche a fini diversi. Pertanto, chi occupa posto in caserma ma non effettua il servizio, poiché in licenza o a riposo continuerà a usufruire del beneficio". In pratica, chi dorme in una caserma, se al momento di entrare in servizio risulta privo di green pass non può restare nell’edificio. Ma durante il riposo o in licenza, dunque non in servizio, potrà continuare ad usufruire del beneficio. Questione chiarita, insomma. Ma con qualche strascico. 

Giuseppe De Lorenzo. Sono nato a Perugia il 12 gennaio 1992. Stavo per intraprendere la carriera militare, poi ho scelto di raccontare quello che succede in Italia e nel mondo. Rifuggo l'ipocrisia di chi sostiene di possedere la verità assoluta: riporto la realtà che osservo con i miei occhi. Collaboro

(Adnkronos il 14 ottobre 2021) - Nessun timore di difficoltà operative per l'entrata in vigore, domani, dell'obbligo di green pass, nessun rischio di paralisi per il comparto della sicurezza. L'Arma dei Carabinieri, a quanto apprende l'Adnkronos, stima infatti che il numero dei militari non vaccinati *sia di circa 5.000* unità, e che comunque non è detto che questi non vadano a lavorare, perché potrebbero fare il tampone. Su un organico di *circa 107mila* carabinieri sono infatti 94.356 quelli che hanno aderito alla campagna di vaccinazione organizzata dall'Arma. E quelli che mancano, si spiega, potrebbero comunque essersi vaccinati all'Asl e non averlo comunicato. Ci sono poi i positivi degli ultimi 6 mesi che non si devono vaccinare e tutti quelli che sono esenti perché hanno patologie che non consentono la vaccinazione.

Antonio Castro per "Libero quotidiano" il 14 ottobre 2021. Oltre 60mila uomini delle forze dell'ordine (poliziotti, carabinieri, guardie carcerarie e finanzieri), non potranno più prestare servizio. A meno di tamponarsi a raffica per prestare servizio o sottoporsi immediatamente al vaccino. A poche ore dall'entrata in vigore del Green pass obbligatorio le problematiche saltano fuori, e rischiano di mettere in difficoltà una macchina della sicurezza già pesantemente sotto organico. Dal Viminale (che giusto nelle scorse ore ha incontrato i sindacalisti proprio per affrontare il vulnus), arriva la circolare che spiega che «il possesso del Green pass, valido al momento del controllo, consentirà al titolare la prosecuzione del servizio sino alla sua conclusione nelle strutture dell'amministrazione». La circolare del Dipartimento di Pubblica sicurezza, firmata dal capo della Polizia Lamberto Giannini, è un po' una toppa per tamponare l'obbligo di esibizione della certificazione verde nei luoghi di lavoro dal 15 ottobre. Di certo però non basterà. Con un abbondante 20% della pianta organica totale non immunizzato è scontato che verrà fuori un problema di turni. «È impensabile lasciare a casa anche un solo poliziotto, soprattutto dopo l'impegno e i sacrifici degli ultimi mesi», scandisce preoccupato il leader della Lega Matteo Salvini. Chi si presenta al lavoro senza il certificato sarà considerato assente ingiustificato e dunque avrà la sospensione dello stipendio mentre chi viene sorpreso all'interno delle strutture o inizia il turno senza la certificazione avrà anche la sanzione da 600 a 1.500 euro e dovrà rispondere disciplinarmente per l'inosservanza dei doveri previsti dal regolamento dell'amministrazione della pubblica sicurezza. Il problema di organici rischia di trasformarsi in un pasticcio pure per la gestione dell'ordine pubblico. E come hanno insegnato le manifestazioni No Vax degli ultimi mesi non sarà cosa da poco. Stando ai "monitoraggi" ufficiosi dei sindacati di categoria e dei Cocer delle forse armate i buchi d'organico non saranno cosa da poco. La percentuale dei non vaccinati nel reparto mobile di Firenze è quasi del 39%, su un totale di 350 uomini mentre in quello di Torino è del 33%. A Roma, invece, la percentuale si dimezza: su 600 unità, il 17% non è immunizzato. A Milano la percentuale è del 19% (550 in pianta servizio), mentre a Genova su 350 agenti quelli non immunizzati sarebbero il 13%. Anche tra i Carabinieri c'è una quota di personale non vaccinato (circa il 10% del totale). Problemi anche sul fronte carceri. Secondo i dati aggiornati del Dipartimento amministrazione penitenziaria (Dap), al 12 ottobre su un organico di 36.939 dipendenti del personale della polizia penitenziaria erano "avviati alla vaccinazione" poco più di un terzo (24.817). Tra le fila del personale amministrativo (4.021), soltanto 2.703 risultavano "avviati alla vaccinazione". Bella grana per i ministri Luciana Lamorgese e Marta Cartabia, titolari di Interno e Giustizia. E per tutto il governo.

Mattia Feltri per “La Stampa” il 14 ottobre 2021. Il termine gratis sta assumendo significati esoterici. Gira per esempio un delizioso montaggio di gratis, gratuità e gratuitamente offerti da Giuseppe Conte al pubblico dei suoi comizi - immagino illustri i fotonici successi del precedente governo. E la folla è scossa da un brivido. Gratis? Gratis! Il governo fa, porge, fornisce, e chi paga? Bill Gates? Il governo del Canada? Mago Merlino? Non paga nessuno: gratis. Cioè paghiamo tutti noi, non è poi così gratis. E non è passaggio complicatissimo di finanza pubblica, e infatti è colto appieno quando si propone di garantire il gratis, il gratuitamente e la gratuità dei tamponi ai non vaccinati. Allora lì diventiamo tutti contabili di scuola prussiana, e ci chiediamo con irritazione rigorista perché mai dovremmo pagare i tamponi quando gratis è già la vaccinazione. E non è male in un Paese proliferato sul gratis, sul gratuitamente e sul gratuito dei secoli nei secoli, un Paese in cui è gratis la scuola, gratis gli ospedali, e va benissimo, e poi è gratis il reddito di cittadinanza, gratis ristrutturare casa, gratis andare in pensione prima, e diciamo che va benino, e si distribuiscono gratuitamente aiuti alle imprese, al cinema, alle municipalizzate, alle bande di paese, i bonus, i superbonus, una monetina in tasca ci finisce sempre, bene benissimo, e dunque bisognerebbe andarci piano, avere un minimo di pudore, e direi soprattutto noi giornalisti che ci portiamo appresso l'Inpgi, l'istituto di previdenza più scassato dell'intero Occidente - 242 milioni di perdite soltanto nel 2020 - e sapete come andrà a finire? Che prima o poi, chissà chi, ci metterà una pezza. Gratis.

Massimo Gramellini per il "Corriere della Sera" il 14 ottobre 2021. Il green pass promette di andare a finire come vanno a finire quasi sempre le leggi in Italia quando devono passare dalla fase dell'enunciazione a quella dell'attuazione. Si prenderà atto di una forte resistenza sociale e del rischio di incidenti, si troveranno eccezioni umanitarie e obiezioni giuridicamente inoppugnabili. Come nel caso dei condoni che ci contraddistinguono dai tempi delle gride manzoniane, lo Stato sarà zelante a parole ma pragmatico nei comportamenti. Largo, dunque, al tampone di cittadinanza: magari non ovunque, ma dove serve a scongiurare guai peggiori, come si è visto nel porto di Trieste. Forse è persino giusto così. Però vogliamo concedere a un cretino che ha rispettato le regole la possibilità di un piccolo sfogo? Questo cretino aveva paura esattamente come i no vax. Eppure ha pensato che vaccinarsi fosse la cosa giusta da fare per proteggere sé stesso e gli altri. Così ha litigato con il computer per prenotare un appuntamento, si è messo in coda con il suo bel numeretto, ha passato una notte con la febbre a 38, ha pure consolato un parente che per reazione al vaccino ha trascorso una settimana in ospedale, senza farla troppo lunga né gridare al complotto. E adesso si ritroverà, da contribuente, a pagare il tampone ai «ribelli», venendo ancora sbertucciato come servo del sistema. Va bene così. Però la prossima volta evitiamo di mettere l'asticella della legge a due metri, se tanto alla fine offriamo sempre i trampoli a chi non vuole saltare.

Estratto dell'articolo di Federico Fubini per il "Corriere della Sera" il 14 ottobre 2021. Il green pass nella forma attuale è stato voluto personalmente da Mario Draghi, sulla base di una valutazione fra molte: dopo un crollo del prodotto lordo del 9% nel 2020, con quasi un milione di lavoratori in cassa integrazione ancora a giugno di quest' anno, il premier si è convinto che si dovesse fare il massimo perché nuove ondate di Covid non frenassero la ripresa. Per questo il disegno del green pass italiano è un po' più audace dei modelli di Francia e Danimarca - questi ultimi sono limitati ai luoghi pubblici - e si estende al lavoro e alle aziende. Se questo è l'obiettivo, la realizzazione sta diventando un test. […] niente come la posizione di parte dei portuali e dell'autotrasporto rivela che il risultato di questo test di responsabilità collettiva resta ancora sul filo. Lo è, almeno, per certe categorie con un potere evidente di mettere materialmente in scacco il Paese. La prova per 350 mila addetti dei mezzi su gomma, che assicurano nove decimi del trasporto merci nel Paese, arriva da domani. Tre conducenti italiani su quattro sono già vaccinati ma, se si includono gli stranieri che operano nel Paese, in totale non sono molto più di due terzi i camionisti in Italia che dispongono di un green pass: una parte degli addetti d'Europa centro-orientale è coperta solo dal vaccino russo Sputnik, che i regolatori europei dell'Ema non considerano valido. Fra i 950 addetti del porto di Trieste poi lo squilibrio è anche più serio, perché il 40% degli addetti non è vaccinato (ma l'incidenza dei non vaccinati scende al 20% a Genova, al 10% a Napoli e in Puglia, al 7% a Palermo). […] Ciò che gli autotrasportatori dicono di volere adesso è altro: l'obbligo di vaccino, ma rinviato all'anno nuovo. Perché la categoria adesso non è tutta pronta e la parte che non lo è non intende sottoporsi ai continui tamponi. […]

Emiliano Bernardini Camilla Mozzetti per “il Messaggero” il 16 ottobre 2021. Non c'è solo il cuoco, il meccanico, l'impiegato a comporre la fila di chi si accalca davanti ai gazebo delle varie farmacie sparse per tutta la Capitale in attesa del proprio turno per il tampone e seguente Green pass. Ci sono anche giudici, magistrati e alti dirigenti di importanti società che non solo chiedono di avere il certificato verde in fretta ma che hanno addirittura prenotato il tampone da qui fino a fine dicembre. «In questo momento non c'è differenza tra impieghi, professioni, livelli culturali» spiega il titolare della farmacia Torlonia che ieri si è visto arrivare nella sua attività un magistrato romano che aveva fretta di ottenere il certificato per non fare tardi in tribunale. E come lui in tanti ieri hanno mostrato impazienza. «Se oltre al tempo per avere l'esito bisogna aspettare anche la stampa del foglio non si finisce mai. Non si possono avere queste tempistiche altrimenti in ufficio si arriva sempre tardi», ammonisce la signora Clara che continua a fissare l'orologio. E sono state proprio queste le problematiche che hanno investito le farmacie: tempi raddoppiati. Ieri mattina i gazebo hanno visto un aumento importante di richieste, «soprattutto nella prima fascia», spiegano dalla Farmacia Internazionale di piazza Barberini. Fuori la dottoressa che fa materialmente i tamponi ha la faccia stravolta: «Oggi abbiamo avuto tantissime richieste e nei prossimi giorni il dato è destinato ad aumentare». Il giorno dell'esordio del Green pass obbligatorio ha già fatto segnare il record di tamponi: 506 mila quelli effettuati giovedì secondo gli ultimi dati disponibili. Che potrebbero arrivare oggi, con l'ultimo aggiornamento, a superare quota 660 mila. «Il problema non è gestire il flusso di persone - abbiamo fatto anche più di 200 tamponi in estate -, ma la fretta che hanno le persone, che devono andare in ufficio. Ci sono delle tempistiche che dipendono dai reagenti. Tutto e subito non si può fare», spiegano in una farmacia di San Lorenzo. Su via Nazionale alla Farmacia Piram ieri hanno processato circa 180 tamponi. Il leit motiv è sempre lo stesso: la fretta. «Il mio ruolo è anche quello di parlare con le persone, ho sentito le cose più disparate. I No vax ci sono e sono fermi nelle loro posizioni, nemmeno l'obbligo del Green pass li smuove. Anzi, lo considerano una violenza ulteriore», spiega il responsabile. «Di contro va detto che qualche indeciso si è invece convinto a vaccinarsi». Teoria confermata dal titolare della farmacia Merulana: «Abbiamo avuto diverse prenotazioni per la prima dose, sintomo che qualcosa il Green pass ha smosso». Tempi rapidi ma anche prenotazioni a largo raggio. E proprio da quest' ultima richiesta che è nato il caso pacchetto tamponi. In alcuni esercizi c'è la promozione che prevede 15 test al costo di 90/100 euro anziché 150, anche nelle farmacie comunali di Roma. Questione che ha alzato la protesta dei molti farmacisti che invece la reputano una promozione scorretta. «È chiaro che come Federfarma tendiamo a non incentivare questa attività che seppur lecita disincentiva la campagna vaccinale» spiega il vicepresidente dell'associazione di categoria, Alfredo Procaccini. «Il messaggio che vogliamo lanciare è l'invito alla popolazione a vaccinarsi, perché la vaccinazione è l'unica vera soluzione per poter uscire dalla pandemia» spiega il segretario generale, Roberto Tobia. Da qui l'iniziativa promossa da Federfarma, che ha invitato le farmacie associate e aderenti alla campagna vaccinale contro il Covid a proporre ai cittadini la somministrazione. Se il cittadino accetta, prenotandone contestualmente la prima dose, il tampone propedeutico gli sarà offerto gratuitamente.   

Niccolò Carratelli Paolo Russo per “la Stampa” il 16 ottobre 2021. Un certificato di malattia, di questi tempi, può essere prezioso. La soluzione più semplice, se non si è vaccinati e non si vuole pagare il tampone per ottenere il Green Pass, oppure bruciare invano giorni di ferie. Si sta a casa, ma l'assenza è giustificata e si continua a prendere lo stipendio. Sarà un caso, ma ieri a mezzogiorno i dati Inps registravano un aumento del 23,3% dei certificati di malattia rispetto a venerdì scorso, 47.393 contro i 38.432 dell'8 ottobre. «Per i certificati in prima giornata c'è il problema della soggettività dei sintomi, che magari non sono riscontrabili con la visita, che pure il medico deve fare», precisa Silvestro Scotti, segretario generale della Federazione dei medici di famiglia (Fimmg). Quindi il primo certificato è quasi automatico, «ma in generale non do mai più di tre giorni - spiega -. Si può allungare a cinque per consentire un approfondimento diagnostico o un prelievo, ma poi non si va oltre. Insomma, al 31 dicembre non ci si arriva». È questa, infatti, la data ultima (a oggi) di scadenza dello stato di emergenza e dell'obbligo di Green Pass nei luoghi di lavoro. Non è detto che tutti i medici di famiglia siano rigidi sui giorni di malattia da concedere come il dottor Scotti. Ma di sicuro la (finta) malattia non può che essere una soluzione provvisoria e non replicabile. Magari utile a scavallare questi primi giorni in cui la verifica del certificato verde sarà più stringente. I picchi tra gli autisti Devono aver ragionato così alcune decine di dipendenti dell'Atac, la municipalizzata dei trasporti di Roma, dove è stato registrato «un aumento di circa il 10% dei tassi di malattia rispetto a venerdì scorso - fa sapere l'azienda -, un andamento che verrà monitorato e approfondito». A Trieste l'azienda del trasporto locale parla di «un'impennata di certificati di malattia, che saranno oggetto di un esposto in Procura per verificarne la legittimità»: oltre un terzo degli autisti che non hanno preso servizio, perché sprovvisti di Green Pass, si è dato malato. A Milano sono mancati all'appello più di 270 lavoratori (su 5 mila), con un 15% in più di assenze per malattia rispetto alla media. Del resto, perché il trucco funzioni, bisogna attestare la malattia prima che scatti la sospensione dal lavoro: una volta iniziato il periodo di «castigo» con lo stop dello stipendio, infatti, l'unico certificato che può «riabilitare» il lavoratore è quello verde. Vaccinazioni in ripresa In tanti, comunque, hanno preferito cedere e vaccinarsi. Dopo le scorse settimane di stanca, le somministrazioni di prime dosi hanno ricominciato a salire: dalle 50 mila di media il 13 ottobre si è saliti a 93 mila, per passare a 73 mila giovedì e i dati parziali di ieri confermano il trend, che ha fatto segnare un più 34% rispetto alla settimana scorsa. Una nostra elaborazione, sui dati di Lab 24, rileva che sono mezzo milione gli italiani in età lavorativa (25-65 anni) che si sono vaccinati nell'ultima settimana. Solo il 58% di chi ha l'età per lavorare è effettivamente occupato, parliamo di 2,9 milioni di persone. Se da questi togliamo 910 mila guariti negli ultimi sei mesi, che hanno comunque diritto al Green Pass, un 10% mediamente in ferie o malattia e i 300 mila esenti dalla vaccinazione per motivi di salute, alla fine i lavoratori che hanno bisogno di un tampone negativo per ottenere il Pass scendono a un milione e mezzo. Giovedì si è registrato il record assoluto di 506 mila tamponi in un giorno, ma la metà di questi erano di controllo, per chi ha avuto contatti stretti con positivi. Gli altri 250 mila rappresentano solo il 20% di quelli che avrebbero dovuto mettersi in fila per fare il test. E il restante 80% non risulta aver preso d'assalto le farmacie. Segno che buona parte dei No Pass alberga tra le fila di commercianti, artigiani e professionisti: quelli che lavorano in proprio, senza nessuno che li controlli.

Estratto dell'articolo di Paolo Baroni per "la Stampa" il 14 ottobre 2021. Non solo i porti ma è l'intera filiera della logistica che rischia la paralisi. Il che vuol dire non solo importazioni dimezzate, perché il 50% di quello che arriva in Italia viaggia sui camion, ma anche difficoltà nella distribuzione dei generi alimentari, e scaffali dei supermercati che nel giro di pochi giorni potrebbero restare vuoti, e ancora problemi per le forniture di carburanti alle stazioni di servizio, le consegne di pacchi, pacchetti ed altri mille prodotti e le forniture di materie prime, prodotti chimici e semilavorati (compresa l'argilla turca destinata ai produttori di piastrelle) destinati alle nostre industrie. L'ultimo appello Ieri tutte le associazioni dell'autotrasporto, a due giorni dall'entrata in vigore dell'obbligo del Green Pass, hanno rilanciato l'allarme: il 30% degli addetti non è munito del certificato verde e ben l'80% degli autisti stranieri che portano le materie prime in Italia non è vaccinato, hanno fatto sapere. Quindi, oggettivamente, rischiano di bloccarsi tutti i rifornimenti a famiglie e imprese. «Sono tantissimi i lavoratori del comparto senza certificato verde o che non possono esibirlo: si passa da una percentuale del 15% nelle imprese italiane che si occupano di magazzini fino al 40% tra chi lavora nei porti. E poi ci sono i lavoratori stranieri, come quelli dell'Est Europa vaccinati con Sputnik che non è riconosciuto da Ema e anche i lavoratori turchi che provengono da un paese dove non è previsto il Green Pass» spiega il presidente di Assologistica Umberto Ruggerone. «Il rischio che si blocchi tutto è reale - rilancia il direttore generale di Confetra Ivano Russo -. In Italia abbiamo circa 900 mila addetti tra autotrasportatori, corrieri e operatori di magazzino, ed in media il 25-30% non ha il Green Pass. È chiaro che se sottrai un terzo di forza lavoro a un settore già in affanno, da un lato perché è in crescita, dall'altro perché mancano 5-10 mila autisti, vai verso una decapitazione delle consegne». Anche per il presidente nazionale di Conftrasporto-Confcommercio Paolo Uggè «il rischio paralisi esiste, e per questo stiamo fornendo al governo suggerimenti utili per evitare che si determini una situazione in cui alcuni facinorosi si inseriscano». […]

Estratto dell'articolo di Francesco Bisozzi per "il Messaggero" il 14 ottobre 2021. […] se il documento sanitario dovesse rallentare l'approvvigionamento delle merci che viaggiano via mare (sono a rischio stop non solo le attività del porto di Trieste, dove i No-vax sarebbero il 40% del totale dei lavoratori portuali, ma anche quelle di Genova, Livorno e Gioia Tauro in Calabria) allora ciò potrebbe innescare una mini crisi energetica oltre a una contrazione dei consumi legati al Natale. Più nel dettaglio, il contributo all'economia nazionale del sistema marittimo è pari a circa il 3 per cento del Prodotto interno lordo. Più di un terzo degli scambi commerciali internazionali italiani avviene infatti via mare, una quota seconda in graduatoria solo al trasporto su gomma. Nel 2019, per esempio, nei porti italiani si è registrato un volume di merci pari a 479 milioni di tonnellate. E da un punto di vista dei partner commerciali, la Cina rappresenta circa il 18 per cento di tutto l'import marittimo italiano. Alla luce di questi dati il timore è che a dicembre scarseggino nei negozi i prodotti di elettronica, console per videogiochi e telefoni smart, ma anche le decorazioni e le luci per addobbare l'albero. Insomma, è allarme natale: solo la spesa per i regali vale a dicembre circa 9 miliardi di euro in media. Preoccupa anche il possibile impatto dell'obbligo diffuso di Green pass sull'approvvigionamento di materie prime energetiche. Basti pensare che nei porti italiani vengono movimentati circa 190 milioni di tonnellate di prodotti petroliferi ed energetici, un valore superiore a quello di Paesi come la Spagna (180 milioni), la Francia (140 milioni) e la Germania (soltanto 45 milioni di tonnellate). Insomma, pesa la nostra dipendenza dall'estero per la copertura del fabbisogno di materie prime energetiche. A ogni modo, le nuove regole relative al passaporto verde in vigore da domani dovrebbero impattare meno sui porti di Civitavecchia, Napoli e Salerno, dove la quota di lavoratori No vax sarebbe minima. […] Le merci movimentate via mare in Italia sono in gran parte rinfuse liquide (37,5%), seguite dal segmento container (23,2%), dal cosiddetto roll-on e roll-off (22,2%), dalle rinfuse solide (12,3%) e dalle merci varie (al 4,9%). Ma se le attività portuali dovessero accusare il colpo nelle prossime ore allora non sarà solo l'import a soffrire. Verso gli Stati Uniti si dirige il 24% delle nostre esportazioni via mare. Nel 2019 il valore degli scambi commerciali internazionali via mare dell'Italia è stato pari a circa 250 miliardi, il 36% del totale movimentato. Il traffico internazionale è per il 52% attribuibile all'import (per circa 130 miliardi) e per il restante 48% all'export (119 miliardi). Nel 2019 tra i principali Paesi europei l'Italia era seconda solo alla Germania per peso delle esportazioni di beni sul Pil (26%).

Green pass obbligatorio e lavoro, i dubbi: colf, badanti, tassisti, camionisti e autonomi. Rita Querzè, Claudia Voltattorni su Il Corriere della Sera il 14 ottobre 2021. Molte regole. Ma anche molti dubbi ancora da sciogliere. Ad appena 24 ore dall’entrata in vigore dell’obbligo di green pass per accedere a tutti i luoghi di lavoro, oltre alle numerose proteste annunciate, restano diverse questioni aperte. Verifiche sugli smart worker «Anche chi lavora da casa, in lavoro agile, deve essere controllato. Si può fare attraverso la condivisione a distanza del green pass», dicono in Assolombarda, la prima territoriale di Confindustria. «Secondo la nostra interpretazione il green pass può essere controllato solo all’ingresso di una sede aziendale, non a chi lavora da casa», valuta invece Mariano Corso, alla guida dell’Osservatorio sullo smart working del Politecnico di Milano. Nel mondo degli esperti di diritto del lavoro sembra prevalere l’idea che chi lavora da casa non debba essere controllato, ma non si tratta di una posizione univoca. Su una cosa invece sono tutti d’accordo: chi dovrebbe lavorare nella sede aziendale e si dichiara senza green pass non può concordare con l’azienda la via d’uscita dello smart working. L’unica possibilità in questo caso è l’assenza ingiustificata senza stipendio. Sistema sotto stress In molte città le farmacie sono sature di prenotazioni sui tamponi fino a dicembre. Si stima siano 3,5 milioni i lavoratori senza nemmeno una dose di vaccino, se molti di loro dovessero fare tre tamponi alla settimana il sistema sanitario dovrebbe garantire oltre un milione di tamponi al giorno. Intanto la lista delle aziende che decidono di assicurare gratuitamente il tampone si allunga: la catena della grande distribuzione Metro, in Piemonte Michelin (fino alla fine di ottobre) e Pirelli (fino al 15 novembre).

Il rider controlla se stesso

I lavoratori autonomi che sono «capi di se stessi» sono sì tenuti ad avere il green pass ma con loro di fatto bisognerà andare sulla fiducia: un tassista o un rider per quanto riguarda il green pass è controllore di se stesso. Come anche il proprietario di un piccolo negozio che è solo dietro il bancone. E nemmeno i clienti possono pretendere l’esibizione del certificato. «Il lavoratore autonomo o l’imprenditore individuale da domani avrà l’obbligo di detenere il green pass — dice l’avvocato giuslavorista milanese Cesare Pozzoli —, certo, se l’attività non è svolta al pubblico è più difficile che possano verificarsi controlli».

Badanti e baby sitter

Il green pass per colf e badanti rischia di essere uno dei nodi più complicati da risolvere, tra lavoratori (in maggioranza donne) non ancora vaccinati o immunizzati con preparati non riconosciuti dal nostro Paese, come lo Sputnik russo, ad esempio, che non danno diritto al green pass. Sono circa 2 milioni tra regolari e irregolari. Ma se circa il 65% di loro è vaccinato o ha già il green pass, calcola Andrea Zini, vicepresidente di Assindatcolf, «ci sono almeno 400mila lavoratori che non lo hanno e a cui le famiglie non lo chiederanno mai per non perdere il rapporto di fiducia o perché non hanno altri cui rivolgersi e temono di restare senza aiuto». Inoltre molti lavoratori e lavoratrici hanno più datori di lavoro ed è difficile che per poche ore venga controllato il green pass: «Ecco perché - dice Zini - avevamo chiesto una procedura semplificata con la verifica del cartaceo».

Traporti e logistica

Lavoratori stranieri e non vaccinati o immunizzati con vaccini non riconosciuti: è l’identikit dell’80% degli autisti non italiani che trasportano merci in Italia e che da domani potranno lavorare solo con il green pass. Un problema per il nostro Paese dove il 90% del trasporto avviene su gomma. Le associazioni di categoria temono che senza questi lavoratori, ormai quasi maggioranza in una situazione già di carenza (almeno 20mila in meno, secondo Fai-Conftrasporto), ci possano essere ricadute sulla logistica e sull’autotrasporto con rischi anche per il commercio e perciò chiedono lo slittamento di tre mesi dell’obbligo di green pass.

Polizia: fino a fine turno

Operativi fino alla fine del servizio anche se con il green pass scaduto. Anche gli agenti di Polizia da domani dovranno mostrare il certificato verde per accedere in ufficio e all’interno delle strutture, ma una circolare del capo della Polizia Lamberto Giannini puntualizza che in caso di green pass valido con scadenza dopo 48 ore (perché ottenuto da tampone negativo), il servizio dovrà comunque essere portato a termine, anche se nel frattempo il certificato è scaduto. L’importante è che fosse valido all’inizio del turno o al momento del controllo. Sarà cura del lavoratore preoccuparsi del rinnovo prima del turno successivo.

(ANSA il 27 ottobre 2021) Alcune chiavi che consentono la generazione del Green pass europeo sarebbero state sottratte e con quelle sarebbero stati pubblicati e diffusi in rete programmi per creare certificati falsi. Lo si apprende da fonti qualificate italiane secondo le quali si sarebbe già deciso di annullare tutti i pass generati con quelle chiavi. In mattinata, inoltre, sarebbero in programma una serie di riunioni a livello europeo tra tutti i soggetti tecnici interessati per un'analisi approfondita della situazione. Non si conosce al momento il numero dei codici sottratti né se il problema riguardi anche l'Italia, anche se sono in corso accertamenti.

(ANSA il 27 ottobre 2021) Un pass intestato ad Adolf Hitler, nato il 1 gennaio del 1900: il falso certificato, che ad un controllo con l'app 'Verifica C19' risultava valido, circola dalla tarda serata di ieri in rete ed è stato pubblicato su Twitter e sui alcuni siti specializzati. Secondo il sito 'Zerozone.it', a portare alla luce la vicenda è l'utente ''Reversbrain' che su Twitter attorno alle 22.30 di ieri ha pubblicato una serie di tweet: "penso che le chiavi utilizzate per firmare il certificato digitale Covid Ue, almeno in Italia, siano trapelate in qualche modo" scriveva, invitando a scansionare un qr code con la app ufficiale italiana. Codice che effettivamente risultava valido e, appunto, intestato ad Adolf Hitler. "Se la perdita fosse confermata - aggiungeva - significa che il falso certificato Covid dell'UIe può essere contraffatto da chiunque". L'utente ha poi aggiornato il thread questa mattina, dopo la notizia che effettivamente sono state sottratte delle chiavi per generare i pass, sostenendo che il certificato non è più valido. Secondo il sito Zerozone, il certificato sarebbe stato emesso da “Cnam - Caisse Nationale d'Assurance Maladie”, un ente francese, il 25 ottobre 2021. Un altro Qr code falso ma valido, sempre intestato ad Adolf Hitler, nato però l’1 gennaio del 1930, indicherebbe invece l'azienda 'Janssen - Cilag international' come produttrice del vaccino somministrato, in Polonia, dal Centrum e Zdrowia. Tutto sembrerebbe essere nato da una discussione su “RaidForum”, un market sul web diventato un punto di scambio di data leaks, scrive ancora Zerozone, dove c'è anche chi ipotizzata la possibilità che possa essere stata sottratta anche la chiave privata del governo polacco. 

Niccolò Carratelli per "La Stampa" il 25 ottobre 2021. Non hanno il Green Pass, ma vanno comunque al lavoro. Da più di una settimana, nonostante l'obbligo in vigore, indisturbati. Per un motivo molto semplice: sanno che nessuno li controllerà. Perché i datori di lavoro, responsabili delle verifiche, sono loro. O un loro parente. O il titolare li conosce da 20 anni ed è disposto a far finta di niente pur di non rinunciare alla loro esperienza. Italiani e stranieri, liberi professionisti e partite Iva, autotrasportatori e braccianti agricoli, lavoratori di ditte individuali, come idraulici o elettricisti. Senza dimenticare le colf e le badanti. Le piccole aziende con meno di 15 dipendenti e la miriade di micro aziende e attività a conduzione familiare, magari con uno o due collaboratori, dai commercianti agli artigiani. Dove le verifiche sono più blande, anche perché fatte a campione, per non dire inesistenti. Con la consapevolezza che incappare in un controllo da parte di ispettori del lavoro e forze dell'ordine sia un evento piuttosto raro. Impietoso, del resto, il rapporto tra il numero degli operatori disponibili per le verifiche e quello dei posti in cui si annidano gli irregolari senza certificazione. Ammesso che esista un luogo fisico in cui presentarsi: chi lavora a domicilio, ad esempio, come lo becchi? Il problema è che questi «fantasmi» sono tanti: circa un milione, in base alle stime elaborate dopo la prima settimana del Green Pass obbligatorio. Una massa di «no pass» difficile da identificare, ma calcolabile partendo dal dato dei lavoratori non vaccinati, che sono scesi a quota 2 milioni e 700 mila, il 12,2% del totale secondo uno studio della Cgia di Mestre (associazione artigiani e piccole imprese). Se da questi togliamo gli oltre 900 mila guariti negli ultimi sei mesi, che hanno comunque diritto al Green Pass, un 10% mediamente in ferie o malattia e i 300 mila esenti dalla vaccinazione per motivi di salute, alla fine i lavoratori che hanno bisogno di fare il tampone per ottenere il Pass scendono poco sotto il milione e mezzo. Di questi, però, solo un terzo si starebbe regolarmente sottoponendo al test antigenico ogni 48 ore, come si evince dal numero dei tamponi effettuati la scorsa settimana. Basso, al di là del forte aumento registrato rispetto a quella precedente, prima che l'obbligo del Pass entrasse in vigore. Martedì scorso sono stati 662 mila, mercoledì 485 mila, giovedì 574 mila, venerdì 487 mila, poi 491 mila sabato e 403 mila ieri. Ma bisogna tenere conto che, in quasi tutti questi giorni, almeno 100 mila tamponi (a volte qualcosa in più) erano molecolari: più costosi e, quindi, utilizzati quasi esclusivamente dai positivi al Covid o dai contatti stretti dei contagiati, per mettere fine al periodo di quarantena. Dunque, i test richiesti alle farmacie nell'ultima settimana sono stati molti meno di quanto fosse lecito aspettarsi. E certo non può bastare, in termini di compensazione, l'aumento delle prime dosi di vaccino somministrate, che peraltro si è progressivamente sgonfiato nell'ultima settimana (solo 30 mila al giorno in media). Ci sono ancora tanti lavoratori non vaccinati. Secondo le stime della Cgia, 767 mila si trovano nelle regioni del Sud. Percentualmente ne ha di più la Provincia di Bolzano (42 mila, il 17, 5%), seguita dalla Sicilia (204 mila, il 15, 7%) e dalle Marche (91 mila, il 15, 1%), per citare le prime tre della non virtuosa classifica. L'analisi svolta in Veneto mostra, invece, come in un bacino di 273 mila lavoratori non immunizzati circa 53 mila siano privi del certificato Covid, quindi non vaccinati e non «tamponati». Il punto è che quelli effettivamente segnalati alle autorità e poi sanzionati, con la sospensione dal lavoro e lo stop a stipendio e contributi, sono un'esigua minoranza. Il 10%, stando alle stime di sindacati e associazioni di categoria, quindi circa 100 mila persone a livello nazionale. In alcune realtà anche meno: un sondaggio svolto da Confartigianato nelle Marche, ad esempio, racconta che il 22% degli imprenditori ha avuto problemi legati alla mancanza di Green Pass, ma solo il 5,3% ha avviato sospensioni tra i propri dipendenti. Questo non vuol dire che i lavoratori siano in regola, anche considerando la platea dei non vaccinati di cui sopra. «Pesano i mancati controlli - spiega Paolo Zabeo, coordinatore dell'ufficio studi della Cgia -, chi ha optato per le verifiche a campione, per esempio, può limitarsi a chiedere il lasciapassare a un dipendente su cinque». Spesso sapendo perfettamente chi ce l'ha e chi no.

Dpcm sul green pass nei luoghi di lavoro: le linee guida su Qr code, controlli, multe e rischio licenziamento. Rita Querzé e Claudia Voltattorni su Il Corriere della Sera il 14 ottobre 2021. Il contagio dell’insicurezza. «E ci sono pure cinque milioni di poveri assoluti e sette di poveri relativi, un blocco di insicurezza di milioni di italiani che tracima, si spalma su chi gli sta accanto», dice il sociologo del lavoro Domenico De Masi: «C’è un colore fosco sul fondo. Non come nel Diciannove del secolo scorso quando, tra debiti di guerra ed ex combattenti, il quadro era certo più terribile. Ma ci sentiamo tutti... in soprannumero, tutti un po’ ex combattenti usciti dalla guerra, ciascuno in maniera diversa. Il problema del green pass è più psicologico che reale». Il che non vuol dire che vada sottovalutato. Sicché, spegnete il sorrisetto scettico quando il sito «ComeDonChisciotte» vi dà per certissima la notizia di un aborigeno della tribù Wakka Wakka morto sei giorni dopo l’iniezione di Pfizer: il punto potrebbe non essere la fondatezza della notizia ma il suo senso mediato. De Masi ricorda l’ammonimento del collega americano David Riesman: se in una fabbrica i lavoratori si lamentano perché l’acqua è troppo calda e l’imprenditore, controllando, scopre che invece è gelata coi ghiaccioli, farà bene a preoccuparsi ancora di più, perché in quella fabbrica gli sta per piovere addosso un problema ben più grosso d’uno scaldabagno rotto.

Green Pass, come funzionano i controlli a lavoro: vietato conservare il Qr code, verifica non oltre 48 ore prima. Redazione su Il Riformista il 12 Ottobre 2021. Un Dpcm che dovrà risolvere i due nodi fondamentali del Green pass obbligatorio a lavoro dal 14 ottobre prossimo: i controlli e la privacy. Il decreto che il presidente del Consiglio Mario Draghi firmerà oggi sarà fondamentale per risolvere i problemi che potrebbero venirsi a creare venerdì, quando lavoratori e datori dovranno obbligatoriamente presentare e controllare il certificato verde per poter accedere ai luoghi di lavoro.

CONTROLLI NON OLTRE 48 ORE PRIMA – Il datore di lavoro per regolare i turni potrà chiedere il Green pass ai dipendenti non prima di 48 ore antecedenti l’orario di ingresso in ufficio. “Per far fronte a specifiche esigenze di natura organizzativa, come ad esempio quelle derivanti da attività lavorative svolte in base a turnazioni, o connesse all’erogazione di servizi essenziali – si legge nella bozza del dpcm che regolerà i controlli – i soggetti preposti alla verifica” della certificazione verde “possono richiedere ai soggetti obbligati di rendere le comunicazioni” con “l’anticipo strettamente necessario e comunque non superiore alle 48 ore, ciò anche in relazione agli obblighi di lealtà e di collaborazione derivanti dal rapporto di lavoro”. Il riferimento alle 48 ore non è ovviamente un caso: chi non è vaccinato dovrà infatti sottoporsi a tampone antigenico per ottenere la certificazione, con una validità del test di due giorni. Da qui dunque la necessità di non richiedere con troppo anticipo il Pass ai lavoratori per evitare che nel frattempo scada.

VERIFICA QUOTIDIANA AUTOMATIZZATA – Il Ministero della Salute per assicurare controlli efficienti in ambito pubblico e privato “rende disponibili ai datori di lavoro specifiche funzionalità” che consentono “una verifica quotidiana e automatizzata del possesso delle certificazioni verdi in corso di validità del personale effettivamente in servizio, di cui è previsto l’accesso ai luoghi di lavoro, senza rivelare le ulteriori informazioni conservate, o comunque trattate”, si legge ancora nella bozza del decreto sui controlli per il Green Pass. Si tratta, in pratica, di un’applicazione ad hoc per i controlli che il Ministero metterà a disposizione per i controlli ma che rivelerà solo il possesso di un certificato “in corso di validità” e non “ulteriori informazioni” del lavoratore, come la data di scadenza del certificato. I controlli da parte del datore di lavoro potranno verificarsi “all’accesso, evitando ritardi e code durante le procedure di ingresso, o successivamente, a tappeto o su un campione quotidianamente non inferiore al 20% del personale in servizio, assicurando la rotazione e quindi il controllo di tutto il personale”.

VIETATO CONSERVARE IL QR CODE – E’ invece vietato per i datori di lavoro conservare il QR code sottoposta a verifica, nonché “estrarre, consultare, registrare o comunque trattare per finalità ulteriori rispetto a quelle previste dal presente articolo le informazioni rilevate dalla lettura dei QR code e le informazioni fornite in esito ai controlli”.

Non è l’unico limite per il datore di lavoro: dovrà infatti individuare un responsabile per la verifica delle certificazioni che non potrà essere raccolto dal dipendente perché nessuno è tenuto a sapere se il Green pass derivi da vaccino, tampone o guarigione da Covid.

ANCHE VACCINATI ALL’ESTERO POSSONO RICHIEDERLO – La bozza del decreto evidenzia inoltre che anche gli italiani vaccinati all’estero saranno coperti dal Green Pass, che potranno richiederlo attraverso un modulo online anche per i propri familiari.

LO SMART WORKING – Nel dpcm viene sottolineato che per quanto riguarda il capitolo smart working, “non è consentito, in quanto elusivo del predetto obbligo, individuare i lavoratori da adibire al lavoro agile sulla base del mancato possesso di tale certificazione”.

E’ quindi “pertanto un preciso dovere di ciascun dipendente ottemperare a tale obbligo a prescindere dalle modalità di controllo adottate dalla propria amministrazione”.

VALIDI ANCHE DOCUMENTI CARTACEI – Il dpcm va incontro anche ai cittadini vaccinati, o con tampone negativo, senza Green pass e Qr code. Resteranno validi infatti i documenti rilasciati in formato cartaceo o digitale dalle strutture sanitarie pubbliche o private, dalle farmacie, dai laboratori di analisi, dai medici di famiglia o dai pediatri.

Vaccinati, ma senza Green pass: i paradossi da risolvere. Milena Gabanelli e Simona Ravizza su Il Corriere della Sera il 3 Ottobre 2021. Sappiamo che ci libereremo dal Covid quando la quasi totalità dei cittadini del mondo sarà vaccinata. I vaccini più diffusi sono sette: Pfizer, Moderna, AstraZeneca, J&J, il Covishield prodotto in India su licenza AstraZeneca, e i cinesi Sinopharm e Sinovac. E l’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms) li approva tutti.

I vaccini non riconosciuti: le ragioni

L’Agenzia europea per i medicinali (Ema) non riconosce i vaccini cinesi (2,2 miliardi di dosi somministrate in Asia, decine di milioni in Sudamerica, 2,1 milioni in Ungheria), e quello indiano (oltre 733 milioni di dosi fatte in India e 5 milioni in Gran Bretagna). Le ragioni sono dovute alle informazioni insufficienti e, nel caso della Cina, anche all’impossibilità di ispezionare i luoghi di produzione. L’Agenzia per i medicinali statunitense (Fda) riconosce solo i suoi 3 (Pfizer, Moderna, J&J) e non AstraZeneca perché la multinazionale inglese non ha mai fatto richiesta. E poi c’è il vaccino russo Sputnik: 89 milioni di dosi somministrate in Russia e 1,9 milioni fra ungheresi, slovacchi e serbi. Nel mondo 54 Paesi ne hanno ordinate 448 milioni, ma non è approvato da nessuna delle tre autorità sanitarie internazionali perché non è in grado di produrre la documentazione richiesta dagli enti regolatori e dall’Oms. 

Approvazione ed efficacia: differenze

Se un vaccino non è approvato dall’autorità di un Paese terzo vuol dire che non funziona? No, significa che non corrisponde agli standard necessari alla sua commercializzazione in quel dato mercato. Infatti, i cinesi Sinopharm e Sinovac sono classificati dall’Oms efficaci nel prevenire la malattia rispettivamente al 79% e al 51%, l’indiano Covishield al 63,09% e per Lancet il russo Sputnik al 91%. Per avere un confronto: Pfizer è al 95%, Moderna al 94,1%, J&J all’85,4% e AstraZeneca al 63,09%. Le percentuali per tutti si alzano nella protezione contro le ospedalizzazioni. Il timore è che tutti quelli che noi non consideriamo ben protetti possano essere diffusori del contagio. Ma, allora, come si fa oggi a pensare ad una vera ripartenza, senza dare la possibilità di muoversi liberamente a chi ha fatto un vaccino non in commercio sul mio territorio? È un po’ come se un asiatico indossasse un paio di occhiali da vista senza il marchio CE. In Europa quegli occhiali non possono giustamente essere venduti, ma non possiamo dire che non lo aiutino a vedere meglio, e tantomeno considerarlo privo di occhiali, anche se c’è il rischio che quelle lenti si appannino al minimo cambio di temperatura. Vediamo come funziona nella Ue. 

Le regole Ue

Dal primo luglio nei 27 Paesi Ue è obbligatorio essere vaccinati per salire su un aereo senza fare il tampone; il Green pass viene rilasciato a coloro che hanno completato il ciclo vaccinale con uno dei quattro sieri riconosciuti dall’Ema. Altrimenti tampone e quarantena di 5 giorni. La Commissione europea, però, ai fini della libertà di circolazione ha lasciato agli Stati membri la libertà di rilasciarlo anche a chi ha fatto altri tipi di vaccino. Ebbene, ad oggi sedici Paesi non danno il Green pass a chi ha fatto il vaccino cinese. Lo rilasciano solo in Austria, Bulgaria, Slovenia, Croazia, Cipro, Grecia, Olanda, Spagna, Svezia, Finlandia e Ungheria. Sette non lo riconoscono a chi ha fatto quello indiano, venti a chi quello russo. Per i vaccinati Sputnik, libera circolazione in Grecia, Slovenia, Bulgaria, Croazia, Slovacchia, Ungheria e Cipro. 

Le disposizioni in Italia

In Italia la circolare del Ministero della Salute del 30 luglio dispone che, per chiunque arrivi nel nostro Paese con un certificato che attesti l’avvenuta vaccinazione con uno dei 4 sieri riconosciuti dall’Ema, il certificato vale come Green Pass. Dal 23 settembre la disposizione è stata estesa anche per l’indiano Covishield, pertanto stranieri o italiani vaccinati con il siero indiano possono prendere voli interni, treni a lunga percorrenza, entrare nei cinema e nei ristoranti e all’università, come già avveniva in altri 19 Paesi Ue (Austria, Belgio, Bulgaria, Cipro, Croazia, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Lettonia, Olanda, Repubblica Ceca, Romania, Slovenia, Spagna, Svezia, Ungheria). Gli italiani o stranieri vaccinati con sieri cinesi sono considerati non vaccinati e quindi non possono muoversi liberamente, inclusi gli studenti iscritti alle nostre università, che non possono frequentare se non facendo un tampone ogni 48/72 ore. Hanno acquistato Sinovac e Sinopharm anche in Indonesia (191 milioni di dosi), Brasile (95), Filippine (34), Bangladesh (29), Thailandia (27), Argentina (25): tutti Paesi da cui spesso provengono colf e badanti. Mentre in Sud America ci sono milioni di italiani residenti. Sputnik è stato somministrato ai residenti di San Marino (38 mila dosi). Per loro è stato fatto un decreto apposta: fino al 15 ottobre possono muoversi liberamente presentando solo il certificato di vaccinazione. E dopo? Nessun Green Pass, invece, a chi per fare prima è andato in Serbia a farsi il vaccino russo, o alle colf e badanti vaccinate con Sputnik. E quanti sono gli italiani — dentro e fuori i confini — che per ragioni personali o di lavoro hanno fatto vaccini non riconosciuti? Il dato non è noto. In Veneto hanno segnalato il problema in 690, in Emilia-Romagna tra 800 e 1.200. 

La posizione della Commissione europea

La questione è solo politica, visto che il Green pass è una carta d’identità che distingue chi è vaccinato da chi non lo è. Tant’è che la Commissione europea sta sollecitando gli Stati membri ad adottare una linea comune, poiché avere in giro persone che hanno fatto un vaccino diverso dal nostro rappresenta un rischio accettabile. Siccome non è possibile fornire a tutto il mondo gli stessi vaccini, ai fini della libera circolazione, occorre riconoscere quelli degli altri. E più si prendono decisioni lineari e chiare, più si tolgono pretesti a complottisti, negazionisti e indecisi.

Tutti i paradossi

Niente Green Pass ai 600 cittadini italiani che si sono prestati alla sperimentazione del vaccino ReiThera, che però possono circolare liberamente con un certificato che li esenta dall’essere vaccinati (come se non lo fossero stati!) fino al 30 novembre. La Gran Bretagna considera, invece, come vaccinati i suoi 19 mila volontari che hanno sperimentato Novavax e Valneva. Per entrambi l’Ue li considera non vaccinati. Poi c’è il caso Stati Uniti. Se per i motivi ammessi (lavoro/studio) un cittadino europeo vaccinato con AstraZeneca deve andare negli Usa, quando arriva deve fare sette giorni di quarantena perché non lo considerano vaccinato. E comunque prima di imbarcarsi, anche se ha fatto uno dei tre vaccini riconosciuti dall’Fda, deve aver trascorso 14 giorni fuori dall’area Schengen. Mentre in Italia può entrare qualunque turista americano. Eppure, gli Usa contano 240 contagi su 100 mila abitanti contro i 37 italiani (dati su sette giorni). Uno svizzero può imbarcarsi per gli Usa direttamente, senza passare prima due settimane da qualche parte, anche se lì i contagi sono il triplo dei nostri. Gli italiani non possono andare in Giappone, che esclude gli ingressi per turismo, anche se hanno uno dei vaccini Pfizer, Moderna e AstraZeneca riconosciuti dalla loro agenzia regolatoria (Pmda). Però i giapponesi sono ammessi in Italia anche per turismo, basta un tampone, e se non vaccinati (o con vaccini diversi da quelli riconosciuti Ema) isolamento di 5 giorni. Idem per l’Australia: noi i turisti australiani li faremmo entrare, ma non possono venire perché i loro confini in ingresso e uscita sono chiusi da marzo 2020 e così rimarrà fino a metà 2022. Hong Kong riconosce tutti i vaccini, ma in ingresso tratta tutti come se non fossero vaccinati, e li spedisce a loro spese in uno degli alberghi designati dal governo, per 14 o 21 giorni (a seconda del Paese di provenienza). E durante la quarantena tutti sottoposti a tre tamponi.

Le nuove disposizioni per gli eventi. Il Cts aumenta le capienze: stadi al 75% e cinema e teatri all’80%. Redazione su Il Riformista il 27 Settembre 2021.

SALA CINEMA POSTI A SEDERE ALTERNATI POLTRONE DISTANZA DI SICUREZZA DISTANZIAMENTO SOCIALE

Con l’incedere della vaccinazione di massa e una situazione di maggiore sicurezza, aumentano le capienze di stadi, teatri e cinema. Una salita graduale e non ancora un tutto esaurito ma il Comitato tecnico scientifico viene così almeno parzialmente incontro alle richieste che arrivano da due mondi, quello della cultura, e quello dello sport, fra i più colpiti dalla pandemia. Tanto il ministro della Cultura, Dario Franceschini quanto il presidente del Coni, Giovanni Malagò, si erano fatti a più riprese portavoce di un disagio latente nelle rispettive aree di competenza, specie ora che è entrata in vigore la misura del Green pass. Dopo la riunione pomeridiana il Cts “sulla base dell’attuale evoluzione positiva del quadro epidemiologico e dell’andamento della campagna vaccinale” ha ritenuto di prendere in considerazione allentamenti delle misure in essere, pur sottolineando “l’opportunità di una progressione graduale nelle riaperture, basata sul costante monitoraggio dell’andamento dell’epidemia combinato con la progressione delle coperture vaccinali nonché degli effetti delle riaperture stesse”. Per quanto riguarda le manifestazioni sportive ci sarà un aumento della capienza massima delle strutture all’aperto al 75% e quelle al chiuso al 50% in zona bianca. Il Cts, allo stesso tempo, raccomanda che la capienza negli impianti debba essere rispettata utilizzando tutti i settori e non solo una parte al fine di evitare il verificarsi di assembramenti in alcune zone e che siano rispettate le indicazioni all’uso delle mascherine chirurgiche durante tutte le fasi degli eventi. In merito a cinema, teatri e sale da concerto invece la capienza sarà al 100% all’aperto e all’80% al chiuso in zona bianca. Un’indicazione che “potrà essere rivista nell’arco del prossimo mese”. Rispetto all’accesso ai musei, invece, non vengono posto limitazioni ma si raccomanda di garantire l’organizzazione dei flussi per favorire il distanziamento interpersonale in ogni fase con l’eccezione dei nuclei conviventi. Un’altra questione che dovrà essere affrontata a stretto giro di posta, specie se la curva epidemiologica proseguirà nella sua discesa, è quella relativa alle quarantene dei vaccinati. “E’ un momento di attenzione, stiamo attenti ai contagi, poi penso sia auspicabile e di buon senso liberarli”, dichiara il sottosegretario alla Salute, Pierpaolo Sileri. Un discorso che riguarda anche il mondo della scuola. La parola d’ordine è “buonsenso”, dice ancora Sileri, poi “dipenderà ovviamente dal tipo di classe”. La sensazione è che su questo ultimo punto le eventuali decisioni verranno prese più avanti. Per verificare se il ritorno al 100% in aula porterà a un aumento dei contagi infatti, secondo gli esperti, servono ancora 2-3 settimane. (Fonte:LaPresse)

La ricerca del professore Enrico Rettore. “Senza vaccini Italia in Zona Rossa già ad agosto”, lo studio che smonta No Vax e No Green Pass. Antonio Lamorte su Il Riformista il 27 Settembre 2021. Se non fosse stato per i vaccini l’Italia già lo scorso agosto sarebbe tornata interamente Zona Rossa. Ovvero quella, nell’emergenza coronavirus, sottoposta alle più stringenti restrizioni secondo il sistema di divisione in aree di rischio introdotto lo scorso novembre. È la conclusione alla quale è giunto Enrico Rettore, professore di Econometria nel Dipartimento di Economia e Management dell’Università di Padova ed ex Preside di Economia dell’ateneo. “Senza i vaccini, con i criteri in vigore per l’assegnazione dei colori, saremmo finiti sparati in zona rossa ad agosto – ha dichiarato Rettore a Il Corriere della Sera – Tra l’altro si sa che il mese passato è il periodo meno favorevole alla circolazione del virus figurarsi cosa sarebbe accaduto adesso in autunno”. Lo studio è stato elaborato a partire dal Bollettino di sorveglianza dell’Istituto Superiore di Sanità attraverso una tabella con il numero dei contagi, i ricoverati con sintomi, i ricoverati in Terapia intensiva e i decessi alla prima riga; tutti divisi per fascia di età. “Nella seconda riga ho elaborato cosa sarebbe successo se nessuno si fosse vaccinato e ho operato la solita proporzione: ho applicato i tassi di contagio/ricovero/decesso osservati per i non vaccinati all’intera popolazione (12+). La differenza tra la prima e la seconda riga ci dice quanti guai abbiamo evitato grazie al fatto che buona parte dei residenti ha accettato di vaccinarsi”. Il periodo di osservazione della ricerca è stato quello estivo. I risultati: “Dal 13 agosto al 12 settembre abbiamo avuto 974 ingressi in terapia intensiva ma senza inoculazioni sarebbero stati 4.988. Dal 30 luglio al 29 agosto abbiamo avuto 1.443 decessi, mentre senza vaccino sarebbero stati 9.176 e fin qui sono cose stranote”. Sempre con lo stesso metodo, dal 20 agosto al 19 settembre, i contagiati sarebbero stati 346.000, 145 ogni 100mila abitanti. Ai No Vax, quelli che protestano in piazza – e quindi anche a parte dei No Green Pass, ammettendo che parte di questi non sono proprio No Vax, – osserva Rettore, “sfugge del tutto che se siamo in zona bianca e non in zona rossa e, quindi, liberi di muoverci, incluso scendere in piazza, è solo grazie al fatto che gran parte dei loro concittadini si è vaccinato”. Solo sabato scorso sono scesi in 60 piazze in tutta Italia i manifestanti anti-Green Pass. A oggi sono oltre 83 milioni 986mila le somministrazioni condotte in Italia per un totale di 41 milioni 984mila persone che hanno completato il ciclo, pari al 77,73% della popolazione over 12 anni, ovvero di quella che può vaccinarsi. Il governo aveva puntato a raggiungere l’80% degli immunizzati entro fine settembre, obiettivo compromesso dal rallentamento della campagna nelle ultime settimane. Un picco di prenotazioni però si è verificato la settimana scorsa quando il governo ha esteso il provvedimento del Green Pass a lavoratori del pubblico e del privato. L’Italia al momento è interamente Zona Bianca, ovvero quella con meno restrizioni, con eccezione della Sicilia, in Zona Gialla, che però nell’ultimo monitoraggio ha fatto registrare dati ancora in calo e potrebbe quindi passare in Zona Bianca già dalla prossima settimana. Il Comitato Tecnico Scientifico ha intanto dato il via libera alla somministrazione della terza dose di vaccino per over 80 e ospiti delle Rsa. I primi ad avere accesso a un ulteriore richiamo sono stati i pazienti con immunosoppressione “clinicamente rilevante”. Solo i preparati Pfizer BioNTech e Moderna, i due a doppia dose e a Rna Messaggero, sono stati approvati per la terza dose. L’Ordine dei Medici italiano ha chiesto il terzo richiamo per tutto il personale sanitario.

Antonio Lamorte. Giornalista professionista. Ha frequentato studiato e si è laureato in lingue. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Ha collaborato con l’agenzia di stampa AdnKronos. Ha scritto di sport, cultura, spettacoli.

Lo studio dello Spallanzani che fa a pezzi il Green pass. Autogol di Speranza. Gabriele Alberti mercoledì 29 Settembre 2021 su Il Secolo d’Italia. La prova provata che il green pass è inutile arriva da uno studio sul campo dell’Istituto Spallanzani. Il paradosso è che la ricerca è stata finanziata dal ministero della Salute. Clamoroso autogol sulle “magnifiche sorti e progressive” della carta verde. E’ la Verità oggi in edicola a infirmarci del contenuto dello stidio pubblicato pochi giorni fa dal titolo:  Caratterizzazione virologica e sierologica delle infezioni da Sars-Cov-2 diagnosticate dopo la vaccinazione con mRna Bnt162b2, ovvero Comirnaty di Pfizer-Biontech. Lo hanno realizzato gli studiosi Francesca Colavita, Silvia Meschi, Cesare Ernesto Maria Gruber e altri 19 tra biologi e virologi dell’Istituto nazionale per le malattie infettive Lazzaro Spallanzani di Roma. Ne è coautore Giuseppe Ippolito, già direttore scientifico dello Spallanzani. Ma che dal primo settembre è il nuovo direttore generale della ricerca e dell’innovazione in sanità del ministero della Salute. Leggiamo quanto accertato: «I nostri dati mostrano che gli individui vaccinati che si infettano dopo la vaccinazione, sebbene rappresentino una piccola percentuale della popolazione vaccinata (0,3% nel nostro contesto), possono portare elevate cariche virali nel tratto respiratorio superiore, anche se infettati molto tempo dopo la seconda dose; cioè quando avrebbe dovuto essere sviluppata l’immunità correlata al vaccino». Per la prima volta, poi, si legge nell’articolo di Patrizia Floder Retter: «abbiamo dimostrato per la prima volta che il virus infettivo può essere coltivato da Nps (tamponi nasofaringei, ndr) raccolti da individui vaccinati sia asintomatici che sintomatici; suggerendo che potrebbero essere in grado di trasmettere l’infezione a persone suscettibili e potenzialmente far parte delle catene di trasmissione». Lo studio è il risultato di una ricerca su 94 infezioni (47,9% sintomatiche, 52,1% asintomatiche), avvenute nel Lazio nel primo trimestre 2021; dopo la prima o la seconda dose di vaccino Pfizer. Insomma, che l’accanimento sul green pass del governo non sia realistico per la sconfitta del virus è evidente. come è evidente anche il paradosso, la contraddizione interna:  è stato il ministero della Salute paladino della certificazione verde a finanziare lo studio dello Spallanzani. Lo studio sfata la mitologia che si sta creando. La certificazione verde è uun lasciapassare per vivere, lavorare e studiare, ma non tutela affatto dal rischio di  infettarsi e infettare. Fratelli d’Italia da sempre ne ha sottolioneato le inconguenze. Un certificato che infonde false sicurezze a chi ne è provvisto. Infatti, i ricercatori chiariscono quale sia il fine ultimo  di questo studio. Che dovrebbe portare «a una corretta comunicazione sul fatto che il vaccino non conferisce l’immunità sterilizzante; pertanto, è ancora raccomandata l’adesione continua alle misure di prevenzione della salute pubblica per gli individui vaccinati». Nel frattempo, concludono gli studiosi, «la valutazione della risposta immunitaria cellulare sarebbe di grande interesse per comprendere meglio lo stato di protezione in caso di infezioni da vaccino». Chissà se il ministro Speranza aveva ventilato l’effetto boomerang di questa ricerca?  eppure le avvisaglie le aveva avute anche a giugno con lo studio del Bambin Gesù. Comunicazione e traqsparenza latitano dalle parti del dicastero della salute.

I no vax non si vogliono vaccinare? Cazzi loro.

Domenica 26 settembre 2021 Controcorrente di Rete 4 condotto da Veronica Gentili. Ospite Vittorio Sgarbi: Sì, la domanda è molto intelligente. Ma direi che la vera notizia è la vice questora. Quella bella donna che ha detto in maniera chiara che le leggi si rispettano se sono leggi giuste.…Si rispettano le leggi giuste, altrimenti le altre si combattono. Io sono, capisco che un no vax è come uno che non vuol prendere l’aere. Non puoi imporre ad uno di andare sull’aereo….C’è (un movimento no green pass) e spero che cresca, perché vuol dire consapevolezza e coscienza. I diritti dei no vax non sono diritti abominevoli. Sono diritti di persone che ragionano su questa misura. Le controindicazioni dei vaccini sono intorno al 10, 12, 15 %. Quindi ci può essere una reazione negativa. Mi scriveva il mio vice sindaco che è comunista, omosessuale, un uomo completamente aperto da ogni punto di vista, che un medico, di trentacinque anni, ha fatto la prima dose del vaccino ed è morto. In attesa della seconda. Allora se esiste questa possibilità, siamo davanti ad un fenomeno di questo genere: che il vaccinato, io Nobili, te, non deve avere paura. Al massimo si può essere contagiato, ma in modo debole. Cioè non letale. Il problema è per il non vaccinato. Sarà un problema suo. Quindi io devo avere paura di uno che non ha paura, pur essendo più esposto di me. Il tema è esattamente risolvibile con una metafora. Tu sai che gli incidenti automobilistici sono molto superiori come quantità di morti rispetto a quelli degli incidenti aerei. Però io posso avere 10 incidenti automobilistici e nessuno mortale; uno solo aereo e morire. Se uno non vuol andare in aereo, mia sorella non ci va, vuoi costringerlo? E’ obbligatorio che vada in aereo? E chiaro che ognuno deve fare…Io vado in aere e non ho paura, un altro…Quindi faccio il vaccino e non ho paura. Uno ha paura di cadere una volta su mille, è giusto che non lo faccia. E’ pericoloso solo per sé. Qual è questa fobia di Draghi, e glielo dico sempre, per cui il vaccinato deve avere paura del non vaccinato: dove, come, perché. (Draghi) mi risponde una cosa molto precisa: “io figurati ti capisco, Vittorio”, figurati un uomo di mondo. “Noi lo facciamo perché vogliamo costringerli a fare il vaccino”. Cioè è uno strumento che non ha un significato. Se il mio assistente che non voleva farlo non può andare allo stadio, eravamo allo stadio oggi, lo fa perché è ricattato. RICATTO DI STATO. E’ UNA TRATTATIVA STATO CON UN MONDO DI MACCHINE, come dire, DI INDUSTRIA FARMACEUTICA CHE SARANNO BRAVISSIME, PERO’ MI DICONO CHE IL 100 %, MA SE MIDICONO CHE L’80 % IO HO DIRITTO DI NON PRENDERE L’AEREO. E NESSUNO MI PUO’ COSTRINGERE. QUINDI I NON VAX VANNO RISPETTATI DA TUTTI.

Antonio Dipollina per “la Repubblica” il 26 settembre 2021. È tornato il Crozza-show del venerdì sera - sul Nove - rarissimo contrappunto satirico -politico a tutto il resto che passa in tv (ed è sempre più curioso che l'unica altra occasione vagamente simile, ovvero Propaganda , sia in netta contrapposizione oraria, con tutto lo spazio che c'è). Ora più che mai, si rassegnino i fautori del Crozza irresistibile negli spazi e personaggi diciamo neutri (il governatore De Luca lo è, Feltri lo è) sui quali esercitarsi come se non fosse mai passata l'epoca d'oro dei grandi comici in tv. Una parte preponderante di programma è sempre dedicata al tirassegno implacabile ai politici che non stanno simpatici al gruppo del programma: con varie altalene nel tempo, c'è stata un'epoca di endorsement grillino notevolissimo e ora con un certo qual approccio del tipo "qualcuno deve pur fare l'opposizione in questo paese" sotto tiro c'è finito il Governo tutto e il ministro Speranza in particolare: mentre la parte dell'eroe di popolo è stata assegnata al sindacalista Landini, procedendo con tagli di accetta satirica sulle questioni complicatissime che attraversano pandemia e lavoro. Per non parlare del candidato Calenda, sbertucciato per l'ennesima volta in maniera esilarante e Crozza e c. hanno l'aria di voler andare avanti almeno finché Calenda sarà così ingenuo da continuare a rispondere colpo su colpo via social. Ma appunto sono pulsioni irresistibili di un gruppo autoriale che si sente in missione per conto di qualcosa e ne ha tutto il diritto: guarda caso, i De Luca e Feltri stanno a fine puntata, relegati in una sorta di dolcetto finale per il pubblico che ama semmai caratterizzazioni come queste. Tra le novità, vale parecchio l'imitazione del negazionista a oltranza Red Ronnie, raffigurato però come un mattocchio per niente antipatico, né tanto meno pericoloso. Di lotta e di non-governo, è il Crozza-show, prendere o lasciare. *** Oggi finisce davvero l'estate in tv, con l'ultima puntata di Reazione a catena di Rai 1 (domani torna L'eredità ). Se c'è un programma che negli ultimi tempi ha fatto per intero il suo dovere e con grande e costante seguito di pubblico è questo.

Gustavo Bialetti per “La Verità” il 26 settembre 2021. Forse fa meno ridere degli anni scorsi il Maurizio Crozza della nuova stagione di Fratelli di Crozza, sul Nove. Ma non è certo colpa del comico genovese. La colpa è di chi ogni giorno, in Parlamento, in televisione, sui giornali, contribuisce a creare un clima di paura e di ricatti, dove le libertà arretrano di decreto in decreto. E quasi nessuno si fa più anche delle semplici, semplicissime domande. Crozza le domande se le fa ancora e venerdì lo ha dimostrato nel monologo sul green pass. Prima ha fatto sventolare i certificati al pubblico, dicendo: «Noi siamo i buoni Una volta sventolavamo gli accendini, adesso sventoliamo le cartelle cliniche». Poi ha mostrato le facce dei «cattivi», ovvero coloro che hanno osato dubitare come Massimo Cacciari, Alessandro Barbero, Gianni Vattimo e Carlo Freccero, e si è chiesto: «È come in quei film di fantascienza dove sono tutti ordinati, schedati e ubbidienti e solo in due si ribellano. Ma non è che stiamo facendo il tifo per la parte sbagliata?». Quindi ha domandato: «Il green pass dura 12 mesi, ma come mai Pfizer dice che l'efficacia del vaccino si riduce dopo 4 mesi?». E la durata del green pass «prorogata da 48 a 72 ore che cos' è un condono?». «È lo Stato che mi fa vacillare», continua Crozza «quando chiede il green pass ovunque, ma non per andare a messa, sui treni regionali e sulla metro». Insomma, «non è che questo green pass è un mezzuccio per far vaccinare tutti?». Dopo di che, Crozza si è esibito nell'imitazione di un Roberto Speranza, che ammette candidamente di raccontare un sacco di palle. Chi legge questo giornale, certe incongruenze è abituato a coglierle. Ma è normale che, a parte la La Verità, Fuori dal coro e Dritto e rovescio, per trovare un cervello acceso tocchi aspettare Fratelli di Crozza?

Maurizio Belpietro per “La Verità” il 26 settembre 2021. Si fa presto a dire sospendiamoli e leviamogli lo stipendio che poi, vedrete, verranno a più miti consigli. Sì, si fa presto a fare un decreto, ma poi, dopo aver approvato e mostrato il braccio violento della legge al cittadino che non intende adeguarsi, bisogna anche affrontarne le conseguenze. E gli effetti dei provvedimenti decisi dal governo, con l'estensione dell'obbligo del green pass a 23 milioni di lavoratori, sono quelli che ora vi descriviamo e che, nei prossimi giorni, gli italiani toccheranno con mano. Lasciamo perdere la scuola, dove ci sono insegnanti che si sono fatti il tampone 48 ore prima e che vedono scadere il loro certificato verde a metà lezione e sono accompagnati fuori dall'aula manco avessero rubato le matite al preside. Tralasciamo anche quegli impiegati a cui è negato l'ingresso in azienda nonostante abbiano certificati che sconsigliano di sottoporsi alla vaccinazione o green pass cartacei che non sono accettati dal datore di lavoro. Concentriamoci invece su ciò che sta accadendo negli ospedali, in quanto la salute interessa tutti. Fino a pochi giorni fa le aziende ospedaliere avevano temporeggiato nella speranza che la situazione si chiarisse o si alleggerisse. Invece niente di ciò che si auspicavano è successo e così ora, in ossequio alle disposizioni del ministero della Salute, le direzioni sanitarie sono costrette ad agire, cioè a sospendere medici e infermieri che non risultino vaccinati. Giovedì il ministero guidato da Roberto Speranza ha inviato una circolare all'Ordine dei medici che non ammette esitazioni: «La vaccinazione anti Covid degli operatori sanitari è un requisito imprescindibile per svolgere l'attività professionale». Dunque, i medici di base che non si siano sottoposti a prima e seconda dose vanno sospesi, cioè non possono più esercitare e dunque visitare, prescrivere medicinali, auscultare i pazienti eccetera. Allo stesso tempo, vanno sospesi dalla professione anche i dottori che operano all'interno degli ospedali e di conseguenza pure gli infermieri e tutto il personale che ruota intorno ai pazienti. In Veneto, per esempio, sono già stati lasciati a casa 450 medici e assistenti, ma per altri 3.550 potrebbe a breve scattare la stessa misura. Risultato, in poche settimane le corsie potrebbero svuotarsi, private di personale indispensabile per assistere i ricoverati. A Padova, Alessio Scatto, anestesista simbolo della lotta al Covid durante la prima ondata della pandemia, è già stato sospeso in quanto privo di green pass, ma in Italia potrebbe presto toccare ad altri 45.753 medici e infermieri. Già prima del Covid, il servizio sanitario lamentava una carenza di personale, immaginatevi ora, dopo un anno e mezzo di pandemia e migliaia di operatori costretti a rimanere a casa dalle nuove regole. Solo per restare al Veneto, significherebbe privarsi di almeno il 3 per cento dei dipendenti, una quota di personale che tra turni, ferie e malattie non può certo considerarsi irrilevante, soprattutto in un periodo di emergenza. Senza contare che a questi numeri vanno aggiunti gli operatori che lavorano nelle Residenze sanitarie per anziani, nelle cui fila i non vaccinati pare non siano pochi. Risultato, il governatore del Friuli, Massimiliano Fedriga, a nome degli altri presidenti di Regione, ha preso carta e penna e ha scritto al ministro della Salute, Speranza, mettendolo in guardia dai gravi pericoli di carenza del personale. Qui si rischia di dover chiudere interi reparti ospedalieri. Non solo: siccome a finire in quarantena, privati del lavoro e dello stipendio, sono anche i medici di base non vaccinati, gli assistiti senza più assistenza si riverseranno sui presidi ospedalieri, ovvero sui pronto soccorso, con le immaginabili conseguenze. Insomma, si fa presto a dire: o vi vaccinate o vi leviamo il lavoro e pure la busta paga. Ma poi bisogna essere pronti a patirne le conseguenze. O meglio, a non farle patire ai pazienti i quali, ricoverati in ospedale o semplicemente bisognosi di assistenza domiciliare, rischiano di essere abbandonati a loro stessi, senza sapere a chi rivolgersi in caso di bisogno. Altrimenti si rischia l'interruzione di pubblico servizio, che in materia sanitaria è un brutto segnale per un Paese che ha nella sua Costituzione l'assistenza sanitaria garantita a tutti i cittadini. Vedendo alcune manifestazioni pubbliche a cui presenziavano gli operatori sanitari, ma anche leggendo alcune conversazioni che circolano nelle chat, ossia nei gruppi online degli operatori sanitari, non avevamo dubbi che sarebbe finita così, con un decreto di difficile applicazione. Soprattutto non avevamo la minima incertezza che, usando il pugno di ferro invece della strategia del convincimento, ci saremmo trovati a questo punto. Come dimostra l'andamento della campagna vaccinale, invece di spingere le persone a prenotarsi per ricevere il siero anti Covid, l'obbligo sta scoraggiando le persone. Dunque, il raggiungimento della percentuale di italiani immunizzati fissata dal commissario straordinario Francesco Paolo Figliuolo, invece di avvicinarsi si sta allontanando. In base alle previsioni di un mese fa, l'80 per cento di vaccinati avrebbe dovuto essere raggiunto il 22 settembre, ma poi la data si è progressivamente spostata, prima alla fine di settembre ora ai primi di ottobre: di questo passo non sappiamo. Insomma, il pugno di ferro si è trasformato in un pugno in faccia ai talebani dell'iniezione. Un rischio che avevamo spiegato e rispiegato, ma che a un ripetente (negli errori) come Speranza a quanto pare non è entrato in zucca.

D’accordo anche magistrati e i vertici dell’Uif. Avvocati contro il Green pass: “Lede i diritti, va abolito”. Francesca Sabella su Il Riformista il 26 Settembre 2021. «L’obbligo di green pass per accedere a molti ambiti della vita collettiva lede soprattutto i diritti del singolo e della collettività, ponendosi in contrasto con principi costituzionali fondanti l’impianto normativo nazionale letto anche alla luce delle norme sovranazionali recepite. Chiediamo, quindi, fermamente che il decreto venga immediatamente ritirato e che la materia venga disciplinata con criteri che garantiscano la libertà individuale nella scelta terapeutica senza sacrificio dei diritti fondamentali oggi illegittimamente compressi e compromessi». Lo chiedono a gran voce gli avvocati del foro di Napoli e di quello di Napoli Nord. Ma non solo. Tra i firmatari dell’appello figurano anche il magistrato Luigi Bobbio, oggi in servizio al Tribunale di Nocera, ed Elisabetta Rampelli, presidente dell’Unione italiana forense. Secondo l’avvocatura napoletana l’obbligo di esibire la certificazione verde, stabilito dal Consiglio dei ministri in «prosecuzione delle iniziative di carattere straordinario e urgente intraprese al fine di fronteggiare adeguatamente possibili situazioni di pregiudizio per la collettività», violerebbe non solo la libertà del singolo ma anche la legge. «Un sistema giuridico fondato sulla dignità del lavoro e dei lavoratori previsto dall’articolo 1 della Costituzione – si legge nel documento stilato dagli avvocati – sull’adempimento dei doveri di solidarietà politica, previsti dall’articolo 2, sull’obbligo della Repubblica di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale ritenuti limite alla libertà ed all’uguaglianza tra i cittadini previsto dall’articolo 3, sul riconoscimento al diritto al lavoro previsto dall’articolo 4, sulla riserva di legge per i trattamenti sanitari obbligatori, comunque limitati dal divieto di violazione del rispetto della persona umana prevista dall’articolo 32, non può non espellere come corpo estraneo un provvedimento che, nei fatti, si pone in antitesi coi principi fondamentali richiamati e che ha lo scopo dichiarato di obbligare i cittadini e, nello specifico, i lavoratori, a sottoporsi a un trattamento sanitario pena un danno economico o la perdita dello stipendio o del lavoro». A queste ragioni si aggiunge la componente discriminatoria nei confronti di chi ha deciso di non farsi inoculare il siero anti-Covid. «Allo stato, la norma presenta, nella sua ratio e negli effetti pratici da un lato introduce un surrettizio obbligo vaccinale senza che una legge lo disponga, dall’altro individua due categorie di cittadini evidentemente con trattamento diseguale – spiegano – È un palese e intollerabile atto discriminatorio che incide sull’economia dei singoli e delle famiglie creando un doppio binario in termini di libertà della scelta terapeutica. Potranno continuare a scegliere di non vaccinarsi solo coloro i quali potranno permetterselo perché in condizione economica vantaggiosa. Il concetto di libertà non può essere declinato in termini economici. La libertà è o non è, non si compra con una reviviscenza di antichi istituti romanistici nei quali lo schiavo poteva acquistare la propria emancipatio». Convinti di non fare passi indietro di fronte alla scelta del Governo, gli avvocati concludono: «Se c’è libertà di scelta, la stessa va preservata favorendo l’inclusione paritaria in ogni sua forma. Ogni diversa opzione è un arbitrio che, come avvocati, non potremo tollerare».

Francesca Sabella. Nata a Napoli il 28 settembre 1992, affascinata dal potere delle parole ha deciso, non senza incidenti di percorso, che sarebbero diventate il suo lavoro. Giornalista pubblicista segue con interesse i cambiamenti della città e i suoi protagonisti.

Articolo su "El Pais" dalla rassegna stampa di "Epr Comunicazione" il 25 settembre 2021. Il ritmo della vaccinazione contro il Covid – leggiamo su El Pais - ha subito un rallentamento in molti paesi ricchi e, a differenza dei primi mesi della campagna di vaccinazione, quando ciò che mancava erano le fiale, ora mancano le braccia a cui iniettare il farmaco. In Spagna, più del 75% della popolazione ha già completato il programma di vaccinazione, ma questi alti livelli di copertura sono ancora una chimera in alcuni paesi vicini: gli Stati Uniti sono fermi a più del 50% e l'Italia a circa il 64%. La Francia è in testa con l'81%. Precisamente, mentre mezzo mondo lotta per procurarsi dei vaccini che sono ancora inaccessibili per loro, questi tre paesi, che hanno accumulato dosi inutilizzate, devono obbligare i loro cittadini a vaccinarsi. Con diversi gradi di severità, tutti e tre hanno optato per l'applicazione forzata: partendo dal più severo, l'Italia, che ha ordinato a tutti i lavoratori di essere vaccinati; alla direttiva degli Stati Uniti che impone la vaccinazione dei dipendenti federali; alla Francia, che ha ordinato agli operatori sanitari di essere vaccinati entro il 15 settembre. La polemica sulle vaccinazioni obbligatorie è inoltre balzata fuori dagli uffici scientifici e nelle strade: a Parigi, per esempio, gli attivisti anti-vaccini manifestano ogni sabato contro la direttiva del governo francese.

Italia: la prima nel mondo occidentale a renderlo obbligatorio

L'Italia è il primo paese del mondo occidentale a rendere la vaccinazione obbligatoria per tutti i lavoratori, una popolazione di circa 23 milioni di persone. La formula tecnica utilizzata evita, giustamente, di parlare di imposizione giuridica. Ma il decreto approvato dal governo di Mario Draghi giovedì scorso richiede il certificato verde che attesta di aver ricevuto il siero contro il covid-19 per poter lavorare: o come lavoratore autonomo o come dipendente in un'azienda. La garanzia sarà richiesta anche per l'assistenza domestica o i servizi a domicilio, come un idraulico. Queste categorie si aggiungono all'obbligo esistente di mostrare il pass verde in cinema, teatri, palestre e ristoranti. La misura, approvata all'unanimità dal Consiglio dei ministri, è stata accolta con favore anche dagli italiani. Nel centro di Roma, accanto alle rovine del Senato romano in Piazza Largo Argentina, il 28enne Daniel Polaco vende ogni giorno riviste e giornali nel suo chiosco. Nella piccola impresa lavorano lui, suo padre e un dipendente che ora dovrà anche ottenere un certificato verde. "Penso che sia giusto. Se stai a casa, non farti vaccinare, ma se esci, vai al ristorante o in palestra, devi farti vaccinare per motivi di sicurezza. Questa è una pandemia. Ed è vero che ogni lavoro è diverso. Se lo fai all'aperto, può sollevare dei dubbi, ma non puoi andare caso per caso”. All'inizio della pandemia, Polaco non la pensava così. Arrivò a dire che non si sarebbe fatto vaccinare. "Ho pensato che non c'era stato il tempo di studiarlo e di verificare che non ci fossero effetti collaterali. Ma ho vissuto in prima persona il dramma dei parenti morti e ho cambiato idea", dice. Le aziende si troveranno di fronte alla necessità di monitorare i loro lavoratori utilizzando un lettore di codici QR. I dipendenti che non rispettano la nuova regola saranno multati fino a 1.500 euro. Coloro che non hanno il certificato di vaccinazione saranno mandati a casa e, se non presentano il documento entro cinque giorni, saranno sospesi dal lavoro e dalla retribuzione. Marco Vitalli gestisce un negozio di abbigliamento in Via del Corso a Roma. Dodici persone lavorano su due turni. Il negozio è quasi sempre pieno di clienti e gli stessi impiegati ritengono che ci debba essere un controllo. Pietro Buonerba, che lavora nel negozio da quattro anni, non ha dubbi. "Ci sono 23 milioni di lavoratori in Italia. Se un piccolo gruppo decide di opporsi alla vaccinazione, ci mette tutti a rischio. Penso che la decisione sia valida, anche se può sollevare qualche dubbio sulla libertà di ognuno di agire come vuole. La situazione è estrema ed è importante agire in modo unito", dice. 

100 milioni di lavoratori colpiti negli Stati Uniti

La Casa Bianca ha ordinato ai dipendenti del ramo esecutivo e ai lavoratori federali di essere vaccinati contro il coronavirus, oltre a redigere un regolamento che richiederà lo stesso per le aziende con più di 100 dipendenti. "Sto esaurendo la pazienza", ha detto il presidente Joe Biden, annunciando la misura dopo che la variante delta del virus ha mandato i tassi di infezione in estate a livelli non visti da mesi, con più di 1.000 persone che muoiono ogni giorno, quasi tutte non vaccinate. In totale, quasi 100 milioni di lavoratori sono interessati, il che significa due terzi della forza lavoro statunitense. Tuttavia, la tradizione politica che prevale in questo paese, a cui ora si unisce la destra più recalcitrante sotto il marchio di Donald Trump, ha subito fatto scattare i campanelli d'allarme denunciando l'incostituzionalità del decreto presidenziale. La decisione del democratico è stata rapidamente contestata e in più di 24 stati i procuratori generali hanno fatto sapere alla Casa Bianca che se persiste nel renderla obbligatoria dovrà affrontare "azioni legali". La stragrande maggioranza di questi stati sono repubblicani e hanno un'alta incidenza di covid-19, come il Texas e la Florida. "È illegale", dice Marjorie Lansky, 52 anni, di Arlington, Virginia, a proposito dell'inoculazione obbligatoria. Il figlio della signora Lansky - Josh, un postino - è uno di quei casi che si trovano tra l'incudine e il martello: farsi vaccinare entro il periodo di grazia di 75 giorni concesso dall'amministrazione Biden o affrontare il licenziamento. L'unica eccezione per non rispettare l'ordine esecutivo di Biden è rivendicare motivi religiosi. Il figlio maggiore di Lansky non ne ha. Sua madre parla per lui e gli assicura che dovrà essere vaccinato anche se non lo ha fatto fino ad ora, per motivi puramente "personali" che non ha ancora specificato. Come Josh Lansky, circa 80 milioni di persone negli Stati Uniti hanno deciso di non essere vaccinati. Anche se il presidente ha avvertito che se "i governatori degli Stati non contribuiranno a fermare la pandemia" userà il potere conferitogli dalla presidenza, Biden è consapevole che non è possibile esigere la vaccinazione per tutti gli americani, poiché, dopo tutto, spetta a ogni Stato renderla obbligatoria. Con la Costituzione come testimone, che garantisce la sua libertà, e appellandosi alla separazione dei poteri, Jeff Cooper assicura che nessuno, nemmeno il presidente, può obbligarlo a sottoporsi all'ormai famoso colpo di pistola. "Siamo cavie nelle mani delle multinazionali farmaceutiche", dice il 48enne mentre lascia il suo lavoro al Dipartimento del Tesoro. Più del 53% degli americani ha ricevuto il corso completo di vaccini covid-19, secondo i Centers for Disease Control and Prevention (CDC). 

Francia: Macron vince la scommessa dei certificati Covid

La data è finalmente arrivata: 15 settembre. E quel giorno, i pochi operatori sanitari in Francia che non avevano fatto almeno una prima vaccinazione hanno cominciato a usare ogni sorta di stratagemma per salvare il loro lavoro. Senza vaccinazione, secondo la legge annunciata dal presidente Emmanuel Macron il 12 luglio e adottata in agosto, gli operatori sanitari non vaccinati rischiano la sospensione del lavoro e della paga. Maria, un'infermiera di 49 anni in un ospedale alla periferia di Parigi, si è messa in malattia una settimana fa. "Un po' a causa di questo [il vaccino], e a causa della stanchezza, e della fatica mentale e fisica: siamo sotto pressione. Se potessi scegliere, non lo prenderei", risponde. "Ma visto che non puoi scegliere..." E quando tornerà in ospedale? "Non lo so." Come altri operatori sanitari intervistati a Parigi per questa cronaca, Maria non ha voluto dare il suo cognome. Nora, che ha 59 anni e lavora nel reparto di radiologia di un altro ospedale, spiega che un amico medico ha firmato un certificato che la esenta dall'essere vaccinata. "Il mio corpo non può sopportare un corpo estraneo, né i farmaci", dice. Rachid, 45 anni, infermiere in un reparto di psicologia, è in vacanza. Il fatto che ora sia in vacanza, dice Rachid, è una coincidenza, ma gli permette di evitare, almeno fino al suo ritorno al lavoro in ottobre, la data critica a partire dalla quale ha affrontato un dilemma: o si vaccina o rimane in strada. In Francia, non c'è un obbligo diretto di vaccinare tutta la popolazione. Macron ha optato per un'altra strategia: incoraggiare la vaccinazione. In primo luogo, ha reso obbligatoria la presentazione di un certificato sanitario - che dimostra che il titolare è stato vaccinato o è risultato negativo in un recente test di covid-19 - per entrare in cinema, caffè, ristoranti, musei, treni a lunga percorrenza e aerei, tra gli altri spazi pubblici. Il messaggio: per divertirsi, bisogna vaccinarsi. L'altra parte della strategia consisteva nel costringere gli operatori sanitari a farsi vaccinare sotto la minaccia della disoccupazione. È stata una scommessa rischiosa per Macron, ma ha funzionato bene. In un paese in cui il 60% della popolazione era riluttante a vaccinarsi a gennaio, oggi l'81% è vaccinato, davanti a Regno Unito, Israele e Spagna. In un paese in cui lo scetticismo anti-vaccino tra gli operatori sanitari era preoccupante, oggi il 90% degli operatori sanitari sono stati vaccinati e, secondo il ministro della salute Olivier Véran, solo circa 3.000 sono stati temporaneamente sospesi dal lavoro, un numero esiguo in un settore che impiega 2,7 milioni di persone. Alcuni degli ultimi recalcitranti - come Maria, Nora e Rachid - erano alle varie manifestazioni di sabato a Parigi contro il certificato sanitario. Cédric Baron, uno psicologo di 39 anni che ha smesso di andare al lavoro mercoledì, era anche in uno di essi in piazza del Trocadero. Non è stato vaccinato e non ha intenzione di essere vaccinato. "Se fossi stato vaccinato", dice, "avrei mantenuto il mio lavoro".

Barbara Acquaviti per "Il Messaggero" il 20 novembre 2021. «Pacifico e conclamato». Il presidente emerito della Corte costituzionale, Giovanni Maria Flick, sceglie questi due aggettivi per spiegare perché, a suo giudizio, non ci sia alcun dubbio sul fatto che l'obbligo vaccinale sia costituzionale: «Se così non fosse vivremmo in perenne incostituzionalità da quando i vaccini sono stati introdotti per legge e definiti vincolanti salvo l'ipotesi in cui non possa essere somministrato per ragioni specifiche». 

Ora però la scelta dell'Austria, che lo imporrà da febbraio insieme alla posizione (favorevole) del presidente di Confindustria, riaprono il dibattito anche in Italia. Quali sono gli articoli della Costituzione a cui bisogna fare riferimento?

«L'articolo 16 è quello in cui si parla delle possibili limitazioni alla libertà di circolazione e soggiorno mentre l'articolo 32 è quello in cui si dice che nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. Entrambi esprimono un concetto che è già presente nell'articolo 2 della Costituzione: ci sono diritti fondamentali inviolabili della persona e ci sono i doveri inderogabili, tra cui quelli di solidarietà sociale. La mediazione tra i due punti va effettuata alla luce delle indicazioni costituzionali. E le indicazioni costituzionali sulla possibilità di introdurre l'obbligo vaccinale sono conclamate e pacifiche. A mio giudizio non c'è da discutere, come dimostrano i vaccini previsti per l'ammissione scolastica dei bambini». 

Se è così palese allora perché ci si ritrova a discuterne nuovamente nel pieno di una pandemia?

«Perché noi siamo capaci di discutere di tutto. Mi pare che il gusto di contraddire le decisioni dell'autorità sia troppo connaturato nella mentalità italiana. E invece è la scienza che deve formulare delle ipotesi, sperimentarle secondo la prassi e le regole, e quando ha i risultati li deve comunicare alla politica. Ed è quest' ultima che deve prendersi la responsabilità di attuare quello che la scienza suggerisce». 

Perché secondo lei non si è deciso di prevedere l'obbligo di vaccino sin dall'inizio?

«Noi purtroppo siamo un Paese con una situazione politica un po' instabile, con una maggioranza - e lo stiamo vedendo in questi giorni - non dico di emergenza, ma quasi. Io credo che abbiano pesato in primo luogo le difficoltà di introdurre una legge: quali sanzioni, quali metodi di accertamento? Un secondo motivo potrebbe essere il timore di una protesta ancora più violenta. La terza ragione, l'unica che mi sembra fondata purché sia previsto un limite e sia impedita la violenza, è stata la ricerca di persuasione. Una buona legge è quella che viene accolta dai destinatari, che viene capita o comunque accettata in nome della convivenza. Tutto questo un po' è mancato». 

Cosa ne pensa del caso Cunial, la deputata a cui è stato consentito, seppur con molti paletti, di accedere in Parlamento senza Green pass?

«Con tutto il rispetto per la Camera e per la sua sovranità, il fatto che una parlamentare che deliberatamente dica non faccio il vaccino e non ho Green pass venga ammessa tranquillante, mi dà da pensare. Tutto questo accade perché in fondo c'è un discorso di negoziazione nel Green pass. Non nasce come un obbligo, ma come un modo per dimostrare che non si è contagiosi. Io credo che la tendenza italica sia un po' quella di considerare la linea più breve per arrivare a congiungere due punti non la linea retta, come ci insegnavano nella geometria euclidea, ma la spirale». 

L'obbligo vaccinale può essere introdotto per decreto?

«Si può anche fare con decreto legge il quale però non è il toccasana, e ancor meno lo è il Dpcm di buona memoria. Esso è un'anticipazione urgente dell'assoluta necessità della legge e va convalidato entro 60 giorni dalle Camere. Quindi il timore è che poi venga bocciato per ragioni politiche alimentando ulteriori situazioni di confusione». 

Remuzzi: "Ecco perché l'obbligo vaccinale non deve essere un tabù". Marta Moriconi il 27 Novembre 2021 su Il Giornale. Obiettivo: vaccinare più persone possibili. Il Giornale.it ne ha parlato con il direttore dell'Istituto Mario Negri, il professor Giuseppe Remuzzi. Nel decreto legge approvato ieri che detta "misure urgenti" per evitare che la pandemia mieta nuove vittime risalta tra le novità l’estensione dell'obbligo del vaccino a nuove categorie e l’istituzione del super Green pass a partire dal 6 dicembre. Obiettivo: vaccinare più persone possibili. Il Giornale.it ne ha parlato con il direttore dell'Istituto Mario Negri, il professor Giuseppe Remuzzi.

Il super Green pass che spetta solo a vaccinati o guariti per le attività ricreative la trova d’accordo? E’ una misura sufficiente?

“Siamo in una situazione che potrebbe evolvere o in più ricoveri e morti oppure che ci potrebbe premiare come i migliori d’Europa. Cosa succederà? Non siamo in grado di prevederlo ora, tanto più che abbiamo scoperto una nuova sottovariante della variante Delta negli Stati Uniti. Per questo dobbiamo fare il massimo sforzo proprio adesso, per ottenere più pazienti vaccinati possibili. Il super Green pass va nella giusta direzione”.

Cosa risponde a chi dice che il nostro Paese è stato fino a poco tempo fa l’unico Paese ad aver approvato regole tanto restrittive e limitanti?

“Nei dibattiti televisivi si ascoltano tanti discorsi qualunquisti. Abbiamo visto come stanno messi gli altri Paesi d’Europa. Se confrontiamo Italia, Spagna e Portogallo con Romania e Bulgaria e perfino se guardiamo più in là, alla Russia, la differenza è enorme. Noi abbiamo fatto meglio e lo abbiamo fatto sui tre fronti possibili: vaccino, Green pass e comportamenti individuali”.

Il super Green pass però, non obbligherà i bambini a fare il vaccino. Questo mentre proprio oggi arriva la notizia che l'Agenzia europea per i medicinali (Ema) ha approvato il vaccino di Pfizer per quelli tra 5 e 11 anni.

“Su Science e sul New York Times sono usciti di recente due importanti articoli in merito a questa delicata questione. Uno invitava a vaccinare i bambini riportando il calcolo che negli Usa finora sono stati ospedalizzati 8000 bambini dai 5 agli 8 anni non vaccinati e sono morti 172 di loro. E nessuno è morto di vaccino, quindi sono stati 172 bambini che sono morti per niente. L’altro articolo spiegava come la scelta di non dare un vaccino ai bambini non sia una scelta di libertà, ma la scelta di accettare un rischio diverso e molto più serio”.

Le potrebbero ribattere che sul bambino decidono i genitori…

“I bambini hanno i loro diritti, i genitori non possono decidere ad esempio, che non vadano a scuola, tanto è vero che si chiama scuola dell’obbligo”.

Ci pare di intuire che lei approvi l’estensione dell'obbligo del vaccino…

“L’obbligatorietà non è il mio mestiere, posso dire che l’obbligo non dovrà essere un tabù se il super Green pass non basterà. Per ora è buona come misura. Leggendo Giovanni Maria Flick si può capire come sia del tutto costituzionale obbligare le persone a vaccinarsi. Non voglio dire che si debbano obbligare, le soluzioni possono essere tante, la politica deve scegliere, noi diciamo solo che adesso si deve vaccinare il più possibile. Vaccinarsi è un dovere verso gli altri e la salute pubblica e la medicina non sono un’area per scelte personali. Come avrete notato, in questi due anni, le situazioni evolvono continuamente, e non si può lasciare un tema così al giudizio della gente. Che un vaccino possa durare cinque o quattro mesi etc, lo sappiamo solo verificandolo e man mano che arrivano i dati da chi ha fatto gli studi. I cittadini devono essere informati al meglio ma poi non può essere il singolo cittadino a decidere quale sia il farmaco più indicato per lui”.

In molti ritengono che nessuno ha il diritto di mettere in discussione le loro decisioni.

“Tu sei libero di tenere la tua casa in disordine, di accumulare la tua spazzatura nelle stanze ma non hai il diritto di buttarla giù dalla finestra. Per questo io vorrei che le personalità scientifiche non partecipassero a certi spettacoli televisivi, perché altrimenti il pubblico mette sullo stesso piano il Professor Bassetti, il professor Abrignani etc con l’opinione di un giornalista o di un opinion leader. Ma non è così. E’ importante che parlino i medici ma in un contesto non impostato come uno show. Ecco, ci manca una sorta di Piero Angela che moderi un dibattito tra medici”.

La nuova misura governativa sembra mettere d'accordo tutto il mondo scientifico comunque. Ma in un mondo globalizzato ogni sforzo rischierà di essere vano se non si vaccinano tutti i popoli?

“Certo. Finché non è vaccinato il mondo non stiamo tranquilli e non abbiamo risolto il problema, ma abbiamo evitato almeno 12000 morti col vaccino che mi sembrano tanti. Adesso gli Usa stanno procedendo a vaccinare più persone. Si incomincia a farlo anche in Africa. Presto arriveranno i nuovi vaccini poi, a Rmna o anche i proteici, che funzionano contro tutte le varianti di coronavirus”. Marta Moriconi

Niccolò Carratelli per "la Stampa" il 24 novembre 2021. Cosa vuol dire obbligo vaccinale? O meglio, come si applica davvero? Abbiamo chiarito che sarebbe pienamente costituzionale. Siamo in attesa di capire se mai ci sarà la volontà politica (e una maggioranza parlamentare) per approvare una legge che imponga agli italiani l'iniezione anti Covid. Nel frattempo, c'è una domanda che riassume la grande confusione sul tema, l'ha posta qualche sera fa in tv il presidente del Veneto, Luca Zaia: «Vorrei che qualcuno mi spiegasse per filo e per segno come si fa concretamente: con l'accompagnamento coatto? Con l'ammanettamento, l'arresto per la vaccinazione?». Difficile anche solo immaginare che qualcuno possa finire in carcere o ai domiciliari per non essersi vaccinato. Come pure non è pensabile che i No Vax vengano sottoposti a un trattamento sanitario obbligatorio, stanati casa per casa da infermieri armati di siringa. Il tema della sanzione, di cosa si rischia se non si fa il vaccino è, però, cruciale. Oltre 6 milioni senza una dose Prendiamo gli operatori sanitari e i lavoratori delle Rsa, le uniche categorie in Italia ad oggi obbligate a vaccinarsi contro il Covid (con il nuovo decreto anche per la terza dose). Se rifiutano l'iniezione vengono sospesi dal servizio, lasciati a casa senza stipendio. È successo a 2.113 medici, 500 dei quali si sono poi convinti a scoprire il braccio e sono rientrati a lavoro: meno di un quarto del totale, gli altri resistono rinunciando alla busta paga. Per legge non possono essere licenziati. Succederà lo stesso anche con gli altri lavoratori No Vax, a cui per ora basta fare un tampone? D'altra parte, escludendo che le forze dell'ordine possano mettersi a fermare sistematicamente le persone per strada per chiedere il certificato vaccinale, i luoghi di lavoro restano la principale occasione di controllo. Ma non tutti i 6 milioni e 700mila italiani over 12 tuttora senza la prima dose lavorano. E, soprattutto, molti sono lavoratori autonomi, artigiani, liberi professionisti, quindi datori di lavoro (e controllori) di sé stessi: già ora eludono serenamente l'obbligo di Green Pass, senza disturbarsi a fare il tampone, potranno fare lo stesso con quello di vaccinazione. Senza contare che un milione e 100mila sono ragazzi tra i 12 e i 19 anni, che vanno a scuola, senza bisogno del vaccino (o del Green Pass). Per loro, eventualmente, si dovrà adottare una disciplina simile a quella fissata dalla legge Lorenzin del 2017 per gli studenti dai 6 ai 16 anni: per tutelare il diritto allo studio, vanno in classe anche da non vaccinati e i genitori inadempienti possono vedersi infliggere una multa da 100 a 500 euro, su iniziativa della Asl competente, in base a quante delle dieci vaccinazioni pediatriche obbligatorie vengono saltate. Non è dato sapere, però, quante sanzioni di questo tipo siano state comminate in Italia negli ultimi tre anni, pare non esistano dati ufficiali. La strada austriaca E allora torniamo al tema centrale: cosa rischierebbe davvero chi non dovesse rispettare l'eventuale obbligo di vaccinazione. Probabilmente solo una multa, magari più alta di quella che si paga ora se si viene beccati senza Green Pass o si viola una delle regole anti Covid. In Austria, primo Paese dell'Unione europea a introdurre l'obbligo vaccinale, che scatterà da febbraio (non è ancora chiaro per quali fasce anagrafiche), la bozza di legge prevede sanzioni amministrative pesanti, fino a 3.600 euro. Insomma, se non basterà tagliarli fuori dalla vita sociale (con il super Green Pass solo per i vaccinati, per accedere ai luoghi dello svago), l'ultimo tentativo per recuperare i No Vax sarebbe prenderli dal portafoglio: niente stipendio e multa tripla da versare allo Stato.

PERCHÉ IL VACCINO NON E’ OBBLIGATORIO? Flavia Amabile per “la Stampa” il 23 agosto 2021. Se ne discute ogni giorno di più. Si litiga ogni giorno di più ma per il momento l'obbligo vaccinale è lontano dai tavoli del governo. Al ministero della Salute sarebbero anche favorevoli ma fonti vicine al dicastero fanno capire che non ci sono le condizioni. Per introdurre un obbligo è necessaria una legge che dovrebbe essere votata dal governo e poi dal Parlamento. Sul Green Pass Draghi è riuscito a ottenere l'approvazione all'unanimità da parte del Consiglio dei ministri ma il decreto è stato travolto da una valanga di emendamenti alla Camera anche da parte della stessa maggioranza. L'esecutivo quindi sa che su una misura ancora più coercitiva come l'obbligo vaccinale difficilmente si troverebbero i numeri in Consiglio dei ministri e ancora più difficilmente in Parlamento. Nulla però esclude che la situazione cambi nelle prossime settimane sottolineano dal ministero della Salute. E lo ha precisato due giorni fa anche il sottosegretario alla Salute Andrea Costa che ha definito l'obbligo l'«ultima ipotesi» se la campagna non dovesse raggiungere l'obiettivo dell'80% dei vaccinati entro fine settembre. Per il momento il governo resta convinto della necessità di convincere gli italiani vaccinarsi senza ricorrere a obblighi. Una linea condivisa quasi ovunque nel mondo. Lo ha ricordato ieri il presidente della Regione Emilia Romagna Stefano Bonaccini a margine del suo intervento al Meeting di Rimini che ha confermato di essere a favore dei vaccini ma ha ricordato che «nessun Paese al mondo, tranne l'Indonesia e forse l'Uzbekistan, ha finora stabilito l'obbligo di vaccino anti Covid». Eppure in tanti stanno chiedendo al governo di decidersi. Alcuni anche con la voglia di scaricare sull'esecutivo ogni responsabilità, come ha denunciato ieri il presidente di Confindustria Vincenzo Bonomi che dopo la richiesta della Cisl di due giorni fa all'esecutivo di intervenire sull'obbligo, ha attaccato il sindacato. «È troppo facile rimandare la lattina alla politica. C'è una differenza di posizione tra i partiti che difficilmente potrà farci arrivare a una legge. Ma possiamo sederci a un tavolo oggi stesso», ha spiegato Bonomi invitando i rappresentanti dei lavoratori a raggiungere un accordo e evitare ulteriori chiusure. La decisione, quindi, è innanzitutto politica ma, nonostante le pressioni di alcuni settori della popolazione, ovunque i governi preferiscono affidarsi alla responsabilità dei cittadini perché l'obbligo è una fonte di grane certe. In Italia l'obbligo è stato introdotto solo per chi esercita professioni sanitarie e, in modo indiretto, nelle scuole e nelle università, chiedendo il Green Pass per i lavoratori, e nelle università anche per gli studenti. Un migliaio di sanitari, tra medici e infermieri, hanno presentato un ricorso al Tar della Toscana per chiedere la sospensione dei provvedimenti nei confronti di coloro che non si sono vaccinati. Lo ha confermato due giorni fa Tiziana Vigni, avvocata che li assiste nella causa. «Abbiamo già notificato ed è in corso di deposito del ricorso con circa 1.000 ricorrenti ma stiamo raccogliendo altre firme, circa 200, per un altro ricorso uguale». Sono solo una parte dei tanti ricorsi presentati da aprile in poi, quando è stato introdotto l'obbligo di vaccino per i sanitari, da parte di chi ha deciso di opporsi. Nelle ultime settimane, Tar e giudici hanno respinto molti di questi ricorsi ma l'opposizione legale non si ferma. Francesco Fontana, avvocato, presidente di Iustitia in Veritate, sta monitorando 200 casi di sanitari non vaccinati decisi a impugnare le sospensioni che stanno per arrivare dalle amministrazioni. «L'obbligo non ha alcun fondamento. Da un lato si viene obbligati a firmare un consenso che per legge dovrebbe essere libero e dall'altro lo Stato si dichiara esente da ogni responsabilità in caso di effetti sulla salute» spiega. La battaglia è appena iniziata nel mondo della scuola dove il Green Pass obbligatorio ha creato molto malcontento. Marcello Pacifico, presidente dell'Anief ha avuto solo in tre giorni duemila adesioni per presentare ricorso. E si prepara a tre azioni, la prima contro il Green Pass nelle università, la seconda al Tar per chiedere la disapplicazione dell'obbligo nelle scuole e la terza al tribunale ordinario per contestare la discriminazione in contrasto con il regolamento comunitario.

GLI SCIENZIATI SPINGONO PER L'OBBLIGO DI VACCINO: «EMERGENZA SANITARIA». Mauro Evangelisti per “il Messaggero” il 23 agosto 2021. Parlare di obbligo vaccinale, quanto meno per alcune categorie oltre agli operatori sanitari o per determinate fasce di età, non è più un tabù. Il tema è sul tavolo del governo ora che la campagna di immunizzazione ha subito un rallentamento, con una diminuzione del numero di iniezioni quotidiane, mentre nei reparti di terapia intensiva i pazienti sono quasi tutte persone che non hanno ricevuto la seconda dose e, molto più spesso, neanche la prima. Per oggi è atteso l'intervento del ministro della Sanità, Roberto Speranza, al Meeting di Rimini. Da settimane uno dei membri più ascoltati del Comitato tecnico scientifico, il professor Sergio Abrignani, immunologo dell'Università Statale di Milano, lo ripete: siamo nel pieno di una emergenza sanitaria, l'unico modo per uscirne è prevedere l'obbligo vaccinale, perché serve a ridurre la circolazione del virus e a limitarne gli effetti negativi. Abrignani aggiunge sempre che il sostegno allo strumento dell'obbligo del vaccino anti Covid è una sua posizione personale, ma ormai su questo tema le pressioni a fare di più sono molteplici. Ad esempio, anche un altro componente del Comitato tecnico scientifico, Fabio Ciciliano, invita a prendere in considerazione questa soluzione. E ieri è tornato alla carica il governatore della Liguria, Giovanni Toti, il primo a dire senza troppi giri di parole che il vaccino sopra i 50 anni deve essere obbligatorio. Ieri ha scritto sul suo profilo Facebook: «Se entro la settimana prossima non avremo un sufficiente numero di prenotazioni per il vaccino e i numeri non saranno cambiati, sarà il caso di passare all'obbligo vaccinale per alcune categorie. Non vedo perché un lavoratore vaccinato debba essere costretto a convivere con un non vaccinato oppure un insegnante vaccinato debba partecipare alle riunioni didattiche con insegnanti e personale non vaccinato. E banalmente perché un cittadino che si è diligentemente vaccinato debba dividere il posto in autobus con un non vaccinato. Forse qualcuno spera di far chiudere ancora l'Italia, per giocare sulla paura e la miseria. Questo non deve accadere». Toti sfida anche i No vax ricordando che i letti di ospedale sono pieni di persone non vaccinate, oltre 4 milioni di cittadini tra i 50 e i 60 anni «non si sono né prenotati né vaccinati: sono proprio loro che finiscono in ospedale». Morale: «Non possiamo rimanere schiavi di superstizioni, di battaglie di retroguardia e men che meno di meschini giochi politici, di chi strumentalizza e sfrutta per interesse una vera e propria macchina di insulti organizzata sui social da pochi fanatici No vax». Anche all'interno del governo la riflessione è cominciata, dopo che il consulente del commissario Figliuolo, il professor Guido Rasi, si è schierato a favore dell'obbligo vaccinale. Parallelo, ma non sovrapponibile, corre l'applicazione di un altro tipo di strumento che, va sempre ricordato, non è necessariamente collegato al vaccino perché si può ottenere anche con un semplice tampone antigenico negativo eseguito nelle ultime 48 ore. Dice il sottosegretario alla Sanità, Andrea Costa: «Per l'obbligo di Green pass penso a tutte quelle attività dove c'è da garantire la continuità di un servizio, per esempio gli operatori del Trasporto pubblico locale, i dipendenti dei market e dei servizi essenziali. E anche gli impiegati degli uffici comunali e pubblici dovranno tornare alla normalità e in presenza: hanno la responsabilità di garantire un servizio al Paese e a contatto con il pubblico». Per il segretario del Partito democratico, Enrico Letta, che parla all'indomani dell'attacco del presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, che ha criticato i sindacati perché si sono opposti al Green pass nelle aziende e nelle mense: «Il nostro Paese deve far esperienza dei mesi scorsi. Non si può sbagliare. Noi abbiamo oggi uno strumento in più: il Green pass, le vaccinazioni. Bisogna che sia esteso al maggior numero di attività, solo così noi saremo in grado di dare libertà alle attività e alle persone e quindi alla ripresa in sicurezza. A partire dalla scuola che è la grande priorità. L'impegno che dobbiamo mettere è mai più dad: i dati degli Invalsi dimostrano che disastro è stata la dad. Io sono la massima espansione del Green pass. Invoco che ci sia un lavoro a tre tra istituzioni, sindacati e rappresentanti delle imprese per trovare le soluzioni migliori: abbiamo tutti voglia di soluzioni e non di problemi. L'importante che ciascuno faccia la sua parte». Mauro Evangelisti

Sara Bettoni e Gianna Santucci per il “Corriere della Sera” il 22 settembre 2021. Il sistema più diffuso è anche quello di più semplice attuazione. Il green pass arriva sul cellulare con un QR Code: di quel «codice a barre bidimensionale» si fa uno screen shot, una foto istantanea col cellulare. E la si invia. Il ricevente potrà mostrarla per entrare in bar, ristoranti, scuole, asili, cinema («ovunque non ci sia controllo da parte delle forze dell'ordine o di un pubblico ufficiale, per evitare rischi», dicono). Chi fa le verifiche, inquadra semplicemente il QR con l'app di un altro telefono (senza chiedere documenti) e appare la spunta verde. Via libera. Anche se non si è vaccinati, non si è fatto un recente tampone e non si è stati ammalati. Dopo aver raccolto segnalazioni su tale pratica, il Corriere ha fatto una serie di verifiche sul «sistema» di aggiramento della legge. Funziona: il green pass «replicato» concede accesso libero. Quanto la pratica sia diffusa, impossibile stimarlo. Resta un fatto: l'obbligo (più stringente dal prossimo 15 ottobre, quando riguarderà anche i luoghi di lavoro) aguzza l'ingegno (truffaldino, o addirittura con esiti penali). Per ora, nei casi peggiori, si tratta di segnalazioni non confermate, ma che sono arrivate anche agli uffici della Regione Lombardia: medici (pochi) che sarebbero disposti a «simulare» l'avvenuta vaccinazione per concedere il certificato verde a persone che non intendono vaccinarsi. I professionisti si presterebbero a questa pratica per la loro contrarietà al vaccino anti-Covid e alla «pressione» esercitata dal sistema di certificazione. La segnalazione più grave riguarda un medico che lo farebbe per denaro. Fatti che al momento non trovano conferme, ma sui quali c'è alta attenzione da parte dell'autorità sanitaria. Che nei giorni scorsi ha già svelato un altro tentativo di ottenere il green pass senza i requisiti: qualcuno ha provato a richiederlo presentando esiti di tamponi positivi falsificati. La carta verde è rilasciata infatti anche a chi ha contratto l'infezione. Tra Milano e provincia sono emersi finora sette casi. Gli esiti fasulli non comparivano nei database del ministero, poiché i test non erano mai stati eseguiti. Un controllo con la farmacia in cui i cittadini dichiaravano di aver fatto il tampone ha permesso all'Ats di Milano di svelare l'inganno. Risultato: i malati immaginari sono stati denunciati. Strategie di aggiramento sono emerse in queste settimane anche per chi ha l'obbligo di vaccinazione: il personale sanitario. Nell'ultimo report del governo si dice che il 94 per cento di questa categoria (1,9 milioni di persone) ha completato il ciclo di profilassi. Nel 6 per cento di medici e infermieri scoperti, ci sono pensionati ancora iscritti agli ordini ma che non lavorano più, professionisti che esercitano all'estero, persone che per validi motivi di salute non possono ricevere la dose. E, ovviamente, i contrari alle vaccinazioni: i «no vax». In questo sottogruppo si moltiplicano i tentativi per opporsi - invano - alla legge. C'è chi si nasconde nei meandri del percorso burocratico, già complicato di suo, per sfuggire ai controlli. Tocca alle Asl e alle Ats verificare. A chi non risulta vaccinato viene inviata una Pec, o una raccomandata, in cui si invita l'operatore a rispondere entro 5 giorni. Qualcuno prova a sfuggire al postino e poi non va a ritirare la missiva in posta o ci va il più tardi possibile. In caso di mancata replica, parte la seconda raccomandata. Di fronte al silenzio dell'interessato, trascorsi i termini di legge, parte comunque la notifica di sospensione, spedita anche all'ordine di riferimento e al datore di lavoro. Il procedimento è solo ritardato. Tra i temporeggiatori, alcuni hanno fissato l'appuntamento per il vaccino e mostrato la prenotazione come prova di buona volontà, salvo poi cancellare la richiesta. Così per due, tre volte. Di nuovo, un trucco inutile. I ripetuti differimenti insospettiscono gli addetti ai controlli. Alcune centinaia di operatori sanitari hanno invece scelto le vie legali per rifiutare l'iniezione anti-Covid e si sono rivolti al Tar, contestando l'obbligo. I giudici amministrativi non hanno concesso la sospensiva. A Brescia e Milano si attende la sentenza di merito a ottobre. 

Draghi vuole il green pass totale esteso ai privati. Oggi la decisione. Adalberto Signore il 15 Settembre 2021 su Il Giornale. Sul tavolo del premier due ipotesi di decreto per il Cdm di domani: una allarga il certificato a statali, ristoratori, palestre, cinema, aerei; l'altra comprende tutti. E Salvini non è più un problema: "Si è allineato". Gli uffici di Palazzo Chigi hanno predisposto due diverse ipotesi di decreto per estendere il green pass. Il provvedimento andrà in Consiglio dei ministri domani in tarda mattina, quasi certamente dopo la consueta cabina di regia. E Mario Draghi - ieri impegnato tutta la giornata a Bologna per la cerimonia conclusiva del G20 Interfaith - ancora non ha studiato nel dettaglio i due testi, frutto del lavoro di questi giorni del tavolo coordinato dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio Roberto Garofoli e a cui hanno preso parte i ministeri di Salute, Giustizia, Lavoro e Pubblica amministrazione. La prima ipotesi prevede l'utilizzo del passaporto verde per tutti gli statali, più tutte le attività private dove già ora è richiesto il pass per chi usufruisce del servizio. Quindi bar, ristoranti, palestre, piscine, cinema, teatri, fiere, stadi, treni, aerei. Tutti settori in cui c'è un'evidente contraddizione da sanare, visto che ad oggi chi presta servizio in queste attività - a differenza degli avventori - non è obbligato ad esibire il certificato verde. La seconda ipotesi, invece, è quella di un super green pass totale: non solo la pubblica amministrazione, ma anche le partecipate e tutto il settore privato. Per il quale l'idea è quella di scrivere una norma generica erga omnes, che valga dunque per tutti, demandando poi alle parti sociali la definizione di regole, controlli e sanzioni. Da un punto di vista legislativo, infatti, una normativa dettagliata sarebbe tecnicamente molto complessa da mettere nero su bianco. Una questione, insieme al nodo delle società partecipate, su cui da giorni sta lavorando senza sosta il tavolo coordinato da Garofoli. Delle due ipotesi di decreto che questa mattina Draghi troverà sulla sua scrivania di Palazzo Chigi, il premier preferisce - decisamente - la seconda. L'ex numero uno della Bce è ben consapevole della complessità tecnico legislativa di un decreto sostanzialmente onnicomprensivo, ma è pure convinto che la via da seguire sia quella del super green pass. Restano alcuni nodi da sciogliere, certo. Come comportarsi, per esempio, con gli eletti che si oppongono al passaporto vaccinale nei Comuni o nelle Regioni - dove non vige l'autodichia come in Parlamento - mentre i dipendenti delle stesse strutture sono obbligati ad averlo? Problemi reali e complessi. Ma dai quali Draghi non si vuole far condizionare. Il green pass, non è un segreto, è il principale strumento per convincere i dubbiosi a vaccinarsi. E se l'incremento sarà quello che si attendono a Palazzo Chigi si potrà persino fare a meno di imporre l'obbligo. Insomma, allargare il passaporto verde ai privati potrebbe essere il passo decisivo nella lotta alla pandemia. Ecco perché il premier spinge con forza in questa direzione, convinto che ormai il Pese sia esattamente su questa linea. Un segnale chiaro, ha fatto notare Draghi ai suoi collaboratori nei giorni scorsi, è arrivato dal successo del Salone del mobile di Milano. Ma, ha ripetuto il premier in queste ore, «è evidente che c'è una spinta e una condivisione di tutti in questo senso». Non a caso - è il ragionamento che da Bologna è rimbalzato negli uffici di Palazzo Chigi - anche Salvini ha deciso ormai da tre giorni di allinearsi. Adalberto Signore

Badanti e partite IVA, Pa e volontariato: al lavoro solo col pass. Sospensione e multe. Tamponi a 8 e 15 euro. Patricia Tagliaferri il 17 Settembre 2021 su Il Giornale. Draghi: "Un decreto per continuare ad aprire". Nel privato stop allo stipendio dal primo giorno senza certificato e multa fino a 1.500 euro, i controlli spettano ai datori di lavoro. Prima che il Covid rialzi la testa, green pass per tutti i lavoratori fino alla fine dello stato di emergenza. Nel pubblico e nel privato, in ufficio, in fabbrica, negli studi professionali. Per i liberi professionisti e le partita Iva, per le colf e per il mondo del volontariato. Anche il Quirinale, il Parlamento e la Consulta si devono adeguare alle nuove disposizioni. L'Italia diventa così il primo Paese in Europa dove è necessario esibire la certificazione verde per andare a lavorare. «Un decreto per continuare ad aprire il Paese», per il premier Mario Draghi. Spingendo a immunizzarsi gli indecisi, che sono circa 3 milioni, prima di arrivare all'obbligo vaccinale. «Andiamo a toccare tutto il mondo del lavoro, privato, dipendente e autonomo, un insieme di 23 milioni di lavoratori. Siamo all'avanguardia nel mondo», spiega il ministro della Pa, Renato Brunetta, dopo il via libera del Cdm al decreto. «Siamo convinti di dare una spinta alla ripartenza», insiste il ministro della Salute, Roberto Speranza. Esentati dall'obbligo tutti coloro che non si possono vaccinare per motivi di salute. Il decreto entrerà in vigore il 15 ottobre e sarà valido fino al 31 dicembre. Uno spiraglio anche per la riapertura delle discoteche: l'eventuale via libera sarà valutato il 1° ottobre, quando si discuterà anche della capienza di palazzetti, cinema e teatri.

CHI LO DOVRÀ ESIBIRE

Il certificato deve essere esibito da tutto il personale della Pa, dagli enti pubblici economici e dagli organi di rilievo costituzionale. Lo stesso obbligo è previsto per chi ha contratti esterni. Necessario anche per accedere agli uffici giudiziari a magistrati, avvocati e procuratori dello Stato, ai componenti delle commissioni tributarie. Esentati invece legali, consulenti, periti, ausiliari del magistrato estranei alle amministrazioni della giustizia, testimoni e parti del processo. Anche chi lavora in ambiente domestico - colf, baby sitter a badanti - deve avere il certificato verde. Idem per chi presta la sua opera nelle associazioni di volontariato. Obbligo anche per gli autonomi e per tutti i lavoratori privati, come possono essere idraulici o elettricisti.

TEMPI PIÙ CORTI

I guariti dal Covid non devono più attendere 15 giorni dopo la prima dose per avere il green pass, ma lo ottengono subito dopo la prima somministrazione. Per loro la certificazione dura 12 mesi dall'avvenuta guarigione.

TAMPONI CALMIERATI

I tamponi per ottenere il green pass sono a carico del lavoratore, gratis solo per chi non può vaccinarsi per motivi di salute. Ma le farmacie, per non essere sanzionate, sono tenute a praticare prezzi calmierati: 8 euro per i minori, 15 per gli adulti. Il governo ha inoltre dato parere favorevole a un emendamento in esame alla Camera che allarga a 72 ore la validità del certificato con test molecolari, mentre per i test antigenici resta a 48 ore.

CONTROLLI

I datori di lavoro sono tenuti a verificare il rispetto delle prescrizioni sull'obbligo di green pass e entro il 15 ottobre devo definire le «modalità operative per l'organizzazione delle verifiche, anche a campione, prevedendo prioritariamente, ove possibile, che tali controlli siano effettuati al momento dell'accesso ai luoghi di lavoro». Spetta alle aziende individuare i soggetti incaricati «dell'accertamento e della contestazione delle violazioni degli obblighi».

LE SANZIONI

Previste sanzioni tra i 600 e 1.500 euro per chi aggira i controlli e viene sorpreso all'interno del luogo di lavoro senza certificazione e dai 400 ai 1.000 euro per i datori di lavoro che consapevolmente consentono a chi è sprovvisto di green pass di lavorare. Chi si presenta senza certificazione è considerato assente ingiustificato. Nella pubblica amministrazione al quinto giorno scatta la sospensione dallo stipendio (senza il pagamento dei contributi), fino alla presentazione del certificato. Nel privato la sospensione scatta invece il primo giorno. Ma non sono previste conseguenze disciplinari e si ha diritto alla conservazione del posto di lavoro. I sindacati hanno ottenuto la garanzia che non ci saranno licenziamenti. «Questo strumento non può essere usato in modo surrettizio per la ristrutturazione delle imprese», sottolinea il ministro del Lavoro, Andrea Orlando.

SMART WORKING

Contrariamente a quanto ipotizzato, nel decreto non c'è alcun riferimento allo smart working. Un tema a lungo discusso in cabina di regia per il timore che il lavoro da remoto potesse essere usato dai No Vax per aggirare l'obbligo.

Patricia Tagliaferri

Niente stop per i dipendenti della pubblica amministrazione. Green Pass, niente stipendio e sospensione dal lavoro per 20 giorni ai trasgressori: le categorie coinvolte. Giovanni Pisano su Il Riformista il 22 Settembre 2021. Dal 15 ottobre obbligo di esibire il green pass nei luoghi di lavoro pubblici e privati con verifiche a carico del datore di lavoro: chi risulterà sprovvisto sarà considerato assente giustificato senza stipendio dal primo giorno. E’ quanto si legge nella versione definitiva del decreto sul certificato verde approvato giovedì scorso, 16 settembre, in consiglio dei ministri e firmato dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella nella serata di martedì 21 settembre e pubblicato in Gazzetta ufficiale. Le norme sono dunque in vigore da oggi 22 settembre. Nel testo tuttavia scompare, rispetto alle bozze, la sospensione per i lavoratori della pubblica amministrazione rispetto alle piccole e medie imprese. Tutti “assenti ingiustificati” dunque “fino alla presentazione della predetta certificazione e, comunque, non oltre il 31 dicembre 2021, termine di cessazione dello stato di emergenza, senza conseguenze disciplinari e con diritto alla conservazione del rapporto di lavoro. Per i giorni di assenza ingiustificata di cui al primo periodo non sono dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominati”, si legge nel testo.

Green pass dal 15 ottobre al 31 dicembre: le categorie coinvolte. Obbligo di green pass dal 15 ottobre al 31 dicembre per “i magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari, i componenti delle commissioni tributarie non possono accedere agli uffici giudiziari” si legge nella versione definitiva del decreto approvato giovedì scorso in consiglio dei ministri. Sono esclusi invece dall’obbligo “avvocati e gli altri difensori, i consulenti, i periti e gli altri ausiliari del magistrato estranei alle amministrazioni della giustizia, i testimoni e le parti del processo”.

Sospensione del lavoratore per 20 giorni per le piccole e medie imprese. Per le imprese con meno di 15 dipendenti “dopo il quinto giorno di assenza ingiustificata” per non essersi messi in regola con l’obbligo di green pass “il datore di lavoro può sospendere il lavoratore per la durata corrispondente a quella del contratto di lavoro stipulato per la sostituzione, comunque per un periodo non superiore a dieci giorni, rinnovabili per una sola volta, e non oltre il predetto termine del 31 dicembre 2021″. “A coloro che sono stati identificati come casi accertati positivi al SARS-CoV-2 oltre il quattordicesimo giorno dalla somministrazione della prima dose di vaccino, nonché a seguito del prescritto ciclo, è rilasciata, altresì, la certificazione verde Covid-19 che ha validità di dodici mesi a decorrere dall’avvenuta guarigione”. “L’applicazione del prezzo calmierato” sui tamponi –  si legge nel testo – “è assicurata anche da tutte le strutture sanitarie convenzionate, autorizzate o accreditate con il Servizio Sanitario Nazionale e autorizzate dalle regioni alla somministrazione di test antigenici rapidi per la rilevazione di antigene SARS-CoV-2”. Numero verde unico, il 1500, in capo al ministero della salute, per le informazioni di pubblica utilità relative alle certificazioni verdi. E’ quanto si legge nella versione definitiva del decreto approvato giovedì scorso in consiglio dei ministri. Scompare dunque il contact center 800 912491.

Giovanni Pisano. Napoletano doc (ma con origini australiane e sannnite), sono un aspirante giornalista: mi occupo principalmente di cronaca, sport e salute.

Tamponi a prezzo calmierato. Green Pass obbligatorio a lavoro, tutte le regole per i dipendenti pubblici e privati. Elena Del Mastro su Il Riformista il 17 Settembre 2021. Il Consiglio dei ministri ha approvato all’unanimità il nuovo decreto che estende a tutto il mondo del lavoro, pubblico e privato, l’obbligo di green pass a partire dal 15 ottobre fino al 31 dicembre. Sono 23milioni i lavoratori che dovranno possederlo, compresi i lavoratori autonomi come tassisti, baby sitter, colf e badanti. L’imposizione si applica pure “a tutti i soggetti che svolgono a qualsiasi titolo la propria attività lavorativa o di formazione o di volontariato presso le amministrazioni”, anche sulla base di contratti esterni. Nessuno sarà licenziato ma le sanzioni sono molto dure: previsti la sospensione dal lavoro e dallo stipendio e multe fino a 1.500 euro. Per essere esentati c’è bisogno di un certificato medico.

Le nuove regole per ottenere il green pass. La certificazione verde viene rilasciata 14 giorni dopo la prima dose di vaccino e a chi ha completato il ciclo vaccinale. Si può anche fare un tampone molecolare, che avrà validità di 72 ore o antigenico che però vale solo 48 ore. In caso di contagio, se il lavoratore contrae il Covid dopo la seconda dose di vaccino, l’aver contratto il virus vale come terza dose: in questo caso il green pass è valido dodici mesi. Se ci si ammala di Covid “oltre il quattordicesimo giorno dalla somministrazione della prima dose di vaccino” è rilasciato il green pass e “ha validità di dodici mesi a decorrere dall’avvenuta guarigione”. Ma questa fattispecie non vale se, tra la prima dose e la malattia, non sono passate due settimane. C’è un’altra novità: chi ha contratto il virus e dopo la malattia fa la prima dose di vaccino, non deve più aspettare 14 giorni per ricevere il green pass e può ottenerne subito il rilascio.

I test a prezzi calmierati

I tamponi rimangono a pagamento per tutti anche se a prezzi calmierati. Il costo è di 8 euro per i minori e 15 euro per gli adulti. Saranno invece gratuiti per le persone “fragili”.

“Le farmacie sono tenute ad assicurare, sino al 31 dicembre 2021, la somministrazione di test antigenici rapidi per la rilevazione di antigene Sars-CoV-2, secondo le modalità e i prezzi previsti nel protocollo d’intesa”. Previste sanzioni per chi non rispetta questa norma: “In caso di inosservanza della disposizione, si applica la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 1.000 a euro 10.000 e il Prefetto territorialmente competente, tenendo conto delle esigenze della continuità del servizio di assistenza farmaceutica, può disporre la chiusura dell’attività per una durata non superiore a cinque giorni”.

Sui tamponi gratuiti il decreto prevede invece che “nel limite di spesa autorizzato, al fine di assicurare l’esecuzione gratuita dei test molecolari e antigenici rapidi, per i cittadini con disabilità o in condizione di fragilità che non possono effettuare la vaccinazione anti Sars-CoV-2 a causa di patologie ostative certificate, nonché per i soggetti esenti dalla campagna vaccinale sulla base di idonea certificazione medica rilasciata secondo i criteri definiti con circolare del ministro della Salute, è istituito nello stato di previsione del Ministero della salute un Fondo per la gratuità dei tamponi”. Lo stanziamento sarà deciso nei prossimi giorni.

Obbligo di green pass per i dipendenti pubblici

Tutti i dipendenti pubblici dovranno essere in possesso di green pass, compresi i magistrati. I datori di lavoro “definiscono, entro il 15 ottobre 2021, le modalità operative per l’organizzazione delle verifiche, anche a campione, prevedendo prioritariamente, ove possibile, che tali controlli siano effettuati al momento dell’accesso ai luoghi di lavoro e individuano con atto formale i soggetti incaricati dell’accertamento e della contestazione delle violazioni degli obblighi”. Per i lavoratori esterni e per i volontari spetta ai propri datori di lavoro “verificare il rispetto delle prescrizioni”.

Il lavoratore pubblico che non ha il green pass “è considerato assente ingiustificato fino alla presentazione della certificazione”. Dopo 5 giorni di assenza, il rapporto di lavoro è sospeso e la retribuzione non è dovuta dal primo giorno di sospensione. Non ci sono conseguenze disciplinari e si mantiene il diritto alla conservazione del rapporto di lavoro. Chi viene sorpreso senza green pass sul luogo di lavoro rischia una sanzione da 600 a 1.500 euro. I lavoratori che non effettuano i controlli rischiano una sanzione da 400 a 1.000 euro.

Obbligo di green pass per i dipendenti privati

“Sono tenuti a possedere e a esibire su richiesta il green pass, coloro che svolgano attività di lavoro dipendente o autonomo nel settore privato”. Oltre ai dipendenti delle aziende, la lista comprende dunque colf, baby sitter e badanti, ma anche titolari e dipendenti degli studi professionali – avvocati, commercialisti, architetti, ingegneri – e tutti i titolari di partite Iva. La norma sull’obbligo di certificazione è estesa ai consulenti che al momento dell’ingresso negli uffici e nelle aziende devono esibire la certificazione verde.

Nei locali dove fin ora era previsto l’obbligo di green pass solo per i clienti la norma è estesa anche ai lavoratori. Questo vale per ristoranti e bar, palestre, piscine, circoli sportivi, lavoratori dello spettacolo e delle sale da gioco. Dovranno avere il green pass anche i tassisti, i conducenti dei mezzi di trasporto a lunga percorrenza e quelli del trasporto locale. Obbligatorio anche per chi lavora nei negozi, nelle farmacie, nei tabaccai e nelle edicole.

Per i dipendenti privati sono i datori di lavoro a dover garantire il rispetto delle prescrizioni. Entro il 15 ottobre devono definire le modalità per l’organizzazione delle verifiche. I controlli saranno effettuati preferibilmente all’accesso ai luoghi di lavoro e, nel caso, anche a campione. I datori di lavoro inoltre dovranno individuare con atto formale i soggetti incaricati dell’accertamento e della contestazione delle eventuali violazioni. Per chi effettua prestazioni esterne il controllo spetta al proprio datore di lavoro.

Il lavoratore che non ha il green pass è sospeso. Non ha conseguenze disciplinari e mantiene il diritto alla conservazione del rapporto di lavoro. Il lavoratore che viola l’obbligo rischia la sanzione da 600 a 1.500 euro. I datori di lavoro che non dispongono controlli e verifiche rischiano una sanzione da 400 a 1.000 euro. Per le aziende con meno di 15 dipendenti, dopo il quinto giorno di mancata presentazione del Green Pass, il datore di lavoro può sospendere il lavoratore per la durata del contratto del sostituto e non oltre dieci giorni.

Elena Del Mastro. Laureata in Filosofia, classe 1990, è appassionata di politica e tecnologia. È innamorata di Napoli di cui cerca di raccontare le mille sfaccettature, raccontando le storie delle persone, cercando di rimanere distante dagli stereotipi.

Emanuele Lauria per "la Repubblica" il 16 settembre 2021. L'ultimo passo indietro di un'inesorabile ritirata l'ha compiuto ieri mattina: «Il Green Pass? Ha senso per chi è a contatto con il pubblico. Se uno è chiuso nel suo ufficio che senso ha?». Messo all'angolo nel suo partito e isolato dal resto del centrodestra di governo (Forza Italia) che addirittura invoca l'obbligo vaccinale, Matteo Salvini si produce negli ultimi distinguo di una campagna estiva al fianco di   e no pass che non pochi, fra i compagni di viaggio, bollano senza mezzi termini come «fallimentare». Perché oggi, in Consiglio dei ministri, la Lega voterà sì all'ennesimo allargamento dell'obbligo di quel lasciapassare sanitario che il segretario, due mesi fa, definiva «una cagata pazzesca». La citazione fantozziana non ha portato fortuna al senatore milanese, la cui linea prudente sui provvedimenti anti-Covid è stata gradualmente rintuzzata dal pragmatismo del capodelegazione Giancarlo Giorgetti e dei governatori Zaia, Fedriga, Fontana, insomma di quell'"altra Lega" che non è, come dice Salvini con un altro riferimento naif, «una fantasia da Topolino», ma semplicemente una rappresentanza di big del partito sensibile alle richieste degli imprenditori del Nord con l'incubo chiusure. Il numero uno di via Bellerio, alla fine, prova a consolarsi con qualche dividendo (i tamponi gratuiti invocati anche dai sindacati) ma siamo all'atto finale di una commedia cominciata il 4 luglio, quando Salvini giurava, al termine di un faccia a faccia con Draghi, che l'Italia mai avrebbe imitato il modello della "patente" alla francese: «Il premier non è per gli estremismi». «Green Pass? Non scherziamo», diceva poi il 22 luglio, poche ore prima del via al certificato da parte del governo. «Il Green Pass è da cambiare», tuonava il leader il 26 luglio a provvedimento fatto (e avallato dai suoi ministri). «Un lasciapassare per accedere agli istituti scolastici? Non scherziamo», il commento rilasciato il 27 luglio. Ma lo scherzo, di nuovo, l'esecutivo gliel'ha fatto il 9 settembre. Non pago, Salvini ha provato a mettere l'ultimo paletto sei giorni fa: «Qualcuno prevedeva l'obbligo del Green Pass anche per i dipendenti pubblici, grazie alla Lega non c'è». Non c'era, forse, visto che è in arrivo l'estensione del certificato a tutti i lavoratori, atto peraltro annunciato per primo da Giancarlo Giorgetti, ormai punto di riferimento principale di Draghi e persino oggetto di riconoscenza da parte di Enrico Letta: «Sono grato al ministro, il suo è il modo corretto di stare al governo». Il segretario del Pd, d'altronde, ha gioco facile nel puntare il dito sulle divisioni del partito che ieri sono riemerse in commissione, alla Camera, e che al Senato solo la fiducia posta dal governo alla conversione del primo Green Pass ha mascherato. Fra i dem c'è chi scommette addirittura su una scissione che lasci come alleata solo la Lega giorgettiana. Ma, almeno al momento, non ci sono i presupposti per una lacerazione di questo tipo. Di certo, però, sono sempre più forti i malumori verso la linea del segretario, si insinuano fra parlamentari ed esponenti di governo che si chiedono a cosa sia servita una fiera opposizione a «vincoli e obblighi», se poi alla fine il partito li ha approvati tutti. Peraltro pure col gradimento dell'elettorato, stando ai sondaggi. Non bastano più temi identitari come sicurezza e immigrazione a tenere compatto il partito: gli attacchi alla ministra Luciana Lamorgese che ieri hanno animato l'aula parlamentare continuano a infrangersi sul muro del resto della maggioranza (inclusa Fi) e su Draghi, mentre il tentativo di scambiare gli ostaggi (le dimissioni della titolare del Viminale per quelle già avvenute del sottosegretario leghista Claudio Durigon) rientra fra le mission senza successo dell'estate salviniana. «Se il motore di tutto è la competizione con Meloni, vediamo quali risultati porterà il 4 ottobre», sussurra un deputato leghista, convinto come tanti - che dopo le amministrative servirà un chiarimento. Il fronte di chi chiede congressi locali e maggiore democrazia è guidato da Roberto Marcato, assessore di Luca Zaia, tradizionale rivale interno con cui pure Salvini in questi giorni ha cercato di fare sponda. E ieri, all'improvviso, qualcuno ha rimesso in circolo la notizia, rilanciata dalle agenzie, che la "Lega per Salvini premier" è in ritardo pure sul congresso federale, che si sarebbe dovuto celebrare a un anno dall'approvazione dello Statuto, avvenuta a fine 2018. Una minaccia anonima alla indebolita leadership del Capitano.

Barbara Acquaviti per "il Messaggero" il 23 settembre 2021. In teoria, c'era ancora tempo per deliberare. Ma bisognava allontanare in fretta l'immagine della casta che si autotutela. O, per dirla con le parole del presidente, Roberto Fico, dimostrare che ciò «che vale per i cittadini vale allo stesso modo per i deputati» e quindi che «non c'è stato e non ci sarà spazio per nessun trattamento privilegiato». Dunque, dal 15 ottobre - al pari di quanto previsto per tutti i luoghi di lavoro - anche per accedere alla Camera sarà necessario esibire il Green pass. E questo vale per dipendenti, giornalisti e ovviamente per gli onorevoli. 

LA DECISIONE Ci sono voluti una capigruppo prima e una riunione dell'ufficio di presidenza poi, per approvare - peraltro all'unanimità - la delibera. Per il Parlamento vale infatti il principio di autodichia, una sorta di auto gestione: non era quindi possibile applicare in maniera automatica il decreto votato la settimana scorsa dal Consiglio dei ministri. Tanto che dal governo era arrivato soltanto un invito, per quanto perentorio. Al quale si adeguerà anche il Senato, sebbene la discussione sia stata rinviata a ottobre. Ma come funzionerà? I dipendenti senza Green pass, proprio come accade per tutti gli altri lavoratori, staranno a casa senza paga. Per i deputati è leggermente diverso perché già ora lo stipendio base non è legato alla presenza. Tuttavia, partecipando ai lavori, si ha diritto alla cosiddetta diaria - 206 euro al giorno - che dunque non sarà percepita in caso di divieto di accesso. I controlli saranno effettuati all'ingresso dai commessi di Montecitorio, laddove sono già collocati i metal detector. Proprio come ora si verificano i tesserini che consentono di accedere al palazzo, verrà richiesto di esibire il Green pass. Chi ce l'ha entra, chi non ce l'ha viene respinto prima di poter realmente accedere. Cosa accade, però, se qualcuno cerca di forzare il divieto? Anche per i deputati sono previste delle sanzioni, come già adesso accade per chi - come successo per esempio con Vittorio Sgarbi - rifiuta di indossare la mascherina in Aula: si tratta della sospensione da due a 15 giorni, sempre con perdita della relativa diaria. Ovviamente, il rischio che qualche deputato cerchi di bypassare il blocco in nome del diritto a svolgere le proprie funzioni rappresentative c'è, così come da parte dei vertici di Montecitorio si teme il risalto mediatico che un caso del genere certamente finirebbe per avere.

POLEMICHE I malumori all'interno della maggioranza si annidano soprattutto tra i leghisti, come dimostrato dalle recenti votazioni sui precedenti decreti relativi al certificato verde: Claudio Borghi, per esempio, ha già annunciato la sua intenzione di fare ricorso alla Consulta. Ma il punto, viene spiegato, è garantire la sicurezza dell'istituzione che verrebbe messa in discussione. D'altra parte, è sempre il ragionamento, chi non vuole vaccinarsi può ottenere la certificazione verde attraverso un tampone negativo. E chi lo paga? Anche in questo caso la priorità era non dare la sensazione che i costi finissero per gravare sui cittadini. Nella delibera si stabilisce, infatti, che per i deputati il costo sarà a carico del fondo di previdenza alimentato dai loro stessi contributi. «La discussione di oggi - spiega il questore Gregorio Fontana di Fi - ha messo un punto fermo alla polemica sui parlamentari che si sottoporranno alle stesse regole previste per tutti i cittadini. Dimostriamo che non c'è nessuna zona franca».

Green Pass, il mea culpa del Parlamento: “L'obbligo in aula dovevamo deciderlo prima”. Ma i no vax non ci stanno.  Emanuele Lauria su La Repubblica il 17 settembre 2021. Il vicepresidente Rampelli, Fratelli d'Italia: "I presidenti di Camera e Senato hanno temporeggiato troppo". Il dem Marcucci: "Lo chiedo da agosto" Borghi e Paragone annunciano le barricate. Uguali e scontenti. Nel cortile di Montecitorio, in un giovedì dal cielo incerto come le opinioni dei pochi che animano il Palazzo, il provvedimento del governo che "invita" il Parlamento ad adottare il Green pass non suscita grandi emozioni. Finirà, a breve, che Camera e Senato si adegueranno a una normativa che riguarda tutti i lavoratori ma gli eletti si dividono sostanzialmente in tre fazioni: chi dice semplicemente che è giusto così, senza salti di gioia, chi ritiene che bisognava pensarci prima senza farsi "commissariare" da Palazzo Chigi, chi non ama il passaporto sanitario e dunque poco tollera una sua estensione fin dentro le aule legislative.

DAGONEWS il 5 ottobre 2021. Stasera riparte la nuova stagione de “Le Iene” e, tra i servizi che andranno in onda ce ne sarà uno che sicuramente farà molto discutere, firmato da Marco Occhipinti e Filippo Roma. La domanda da cui partono "le Iene" è: È vero che le regole di prevenzione sanitaria in materia di Covid sono uguali per tutti? Filippo Roma è andato a chiederlo direttamente ai parlamentari. Tra le molte dichiarazioni, spunta un aneddoto gustoso di Luciano Nobili: il deputato di “Italia Viva” ha raccontato che quando è andato a fare un tampone per partecipare a un programma Mediaset ha trovato la fila a palazzo San Macuto, dove c'è un presidio medico con almeno 5 persone adibite al servizio tamponi dalla mattina al pomeriggio. Il presidio di Palazzo San Macuto, stando a quanto riferisce Nobili, fa circa 200 tamponi a settimana: "mi ha stupito sapere quando sono andato a fare un tampone recentemente che molti colleghi lo usano come strumento per il green pass m’ha fatto un po’ specie perché insomma chiediamo a tutti di vaccinarsi..." Non solo. Il presidente della Camera Roberto Fico ha risposto alle Iene che i tamponi sono pagati dal fondo assicurativo del Parlamento. Ma c’è qualcosa che non quadra. Il fondo funziona così: tu paghi la prestazione e soltanto successivamente l’assicurazione rimborsa i deputati. Qui invece nessuno tira fuori un euro. Roberto Fico sostiene inoltre che il servizio non incida sul bilancio della Camera ma Sergio Rizzo, interpellato sempre dalle “Iene”, spiega che nel bilancio della Camera le voci riguardanti l'assistenza sanitaria sono salite dai 745.000 € del 2020 ai 2,4 milioni del 2021. Una differenza di 1 milione e 700mila euro. A cosa si devono questi costi? Forse proprio a quei tamponi?

Da lastampa.it il 25 novembre 2021. Dodici lavoratori del Senato e quattro senatori hanno presentato ricorso sull'obbligo di green pass per l'accesso al Senato, in vigore dal 15 ottobre, con richiesta di sospensiva dell'obbligo stesso. E' quanto si apprende da fonti parlamentari. L'istanza impugna la delibera varata a ottobre dai senatori questori per adeguarsi alla normativa generale sull'obbligo del green pass, che va esibito all'ingresso delle varie entrate del Senato. Pena, sanzioni tra cui la sospensione fino a 10 giorni, con il relativo taglio della diaria che può essere disposto dal Consiglio di presidenza. Il ricorso dei lavoratori dovrà essere valutato dalla commissione Contenziosa, che è l'organo di giudizio di primo grado di Palazzo Madama. Un ricorso alla Corte costituzionale è stato presentato per conflitto di attribuzione dai senatori della componente Italexit, guidati da Gianluigi Paragone, e in attesa di riscontri. Intanto la Camera ha respinto la sospensiva della deputata Sara Cunial. Il Consiglio – spiega la nota - ritiene che non vi siano ragioni d'urgenza per sospendere la decisione dei deputati Questori di chiedere il Greenpass a tutti i deputati e quindi anche per la deputata sara Cunial. Con queste stringate parole viene respinta dalla Camera la sospensiva per la deputata Sara Cunial, in questi giorni autorizzata ad entrare a Montecitorio senza green pass dopo un suo ricorso. Alla Camera si entra solo con il green pass.

IL GREEN PASS DIVENTA OBBLIGATORIO ANCHE ALLA CAMERA DEI DEPUTATI. FRANCESCA LAURI su Il Corriere del Giorno il 14 Ottobre 2021. Inviata una lettera ai parlamentari con indicate le ragioni e modalità sui controlli e l’applicazione di eventuali sanzioni dal 15 ottobre quando per accedere alla Camera parlamentari collaboratori dovranno mostrare la certificazione verde Covid-19: L’esibizione del green pass è condizione “inderogabile” per entrare in tutte le sedi dell’istituzione. Da domani 15 ottobre il Green Pass diventa obbligatorio anche per accedere alla Camera dei deputati, con regole ed eventuali sanzioni per i parlamentari che ne saranno sprovvisti. Lo ha spiegato il Collegio dei Questori di Montecitorio, composto dai deputati Gregorio Fontana, Francesco D’Uva ed Edmondo Cirielli, con una lettera inviata a tutti i deputati, allegando la delibera adottata dallo stesso Collegio nella riunione del 12 ottobre, nella quale sono state definite “le modalità per l’effettuazione dei controlli all’atto dell’accesso alle sedi” ed indicate “le procedure per l’applicazione” delle sanzioni nei casi di accesso alla Camera senza Green Pass. “A partire dal prossimo venerdì 15 ottobre l’accesso alle sedi della Camera sarà consentito esclusivamente a coloro che esibiranno una valida certificazione verde Covid-19, rilasciata in conformità alle vigenti disposizioni normative”, si legge nella lettera. Ai parlamentari viene consigliato di utilizzare l’ingresso principale sito su Piazza Montecitorio, che sarà riaperto a partire da lunedì 18 ottobre. “Ti raccomandiamo inoltre di verificare con la massima cura di avere sempre con te la certificazione, in formato digitale e/o cartaceo, stante l’inderogabilità della sua esibizione quale titolo per l’accesso alle sedi della nostra istituzione”, aggiungono i Questori, invitando i deputati a trasmettere la delibera anche ai propri collaboratori in modo da “promuovere la più ampia diffusione delle misure ivi contenute” e da agevolare le operazioni di controllo. La circolare con le nuove disposizioni è stata recapitata a tutti i deputati a quali viene ricordato che in caso di rifiuto di esibire il Green Pass, ai parlamentari verrà applicato l’articolo del regolamento interno previsto per i “fatti di eccezionale gravità che si svolgano nella sede della Camera, ma fuori dell’aula”, quindi la “censura con interdizione di partecipare ai lavori parlamentari per un periodo da due a quindici giorni di seduta”. Il possesso del Green Pass da parte dei parlamentari sarà verificato attraverso “la relativa esibizione in formato digitale” o “cartaceo“; la verifica della certificazione verde sarà effettuata “presso tutti gli ingressi alle sedi della Camera all’atto di ciascun accesso, anche nel corso della medesima giornata, a cura e sotto la responsabilità degli assistenti parlamentari, i quali possono avvalersi, nell’espletamento delle operazioni materiali di verifica, dell’ausilio di personale non dipendente dalla Camera dei deputati”, si legge nella delibera approvata dal Collegio dei questori. “La verifica della certificazione è effettuata mediante l’utilizzo dell’app VerificaC19“ con l’impiego di “dispositivi digitali di proprietà dell’Amministrazione della Camera dei deputati“, continua la lettera. I questori hanno anche deciso anche una modifica del regolamento in tema di giustificazione delle assenze:  in caso di applicazione della “censura con interdizione di partecipare ai lavori parlamentari” le ritenute sulla diaria di soggiorno ai deputati interessati saranno operate “con riferimento a tutti i giorni compresi nel periodo di interdizione nei quali l’assemblea tiene seduta indipendentemente dal fatto che siano o meno previste votazioni”. E’ stata esclusa la possibilità di giustificazione delle assenze da parte dei presidenti dei gruppi.

Perché i parlamentari non pagano i tamponi? Le Iene News l'8 ottobre 2021. Perché i tamponi per il Covid per chi non è vaccinato sono a pagamento per i comuni cittadini mentre i parlamentari non li pagano? Con Filippo Roma e Marco Occhipinti lo abbiamo chiesto a Matteo Salvini, Giuseppe Conte, Giorgia Meloni, Roberto Speranza, Enrico Letta e Roberto Fico. Le regole, almeno in tema di prevenzione sanitaria, sono davvero uguali per tutti? Perché i tamponi per il Covid per chi non è vaccinato sono a pagamento per i comuni cittadini mentre i parlamentari non li pagano? Abbiamo cercato di capirlo con Filippo Roma e Marco Occhipinti. I tamponi rientrerebbero nelle prestazioni disponibili senza pagare altri soldi con la loro assicurazione sanitaria. E verrebbero utilizzati anche per chi non è ancora vaccinato al posto del Green pass. Si tratta di quei tamponi che i comuni cittadini devono pagarsi di tasca propria. Siamo andati a parlarne con i nostri leader politici. Qui sopra potete vedere cosa ci hanno riposto Matteo Salvini, Giuseppe Conte, Giorgia Meloni, Roberto Speranza, Enrico Letta e Roberto Fico.

Caccia ai parlamentari no vax "Ce ne sono almeno 130". Pasquale Napolitano il 24 Settembre 2021 su Il Giornale. La stima segreta di Montecitorio. Il leghista Pillon accusa: "Il green pass è una misura da dimenticare". Le stime sono al ribasso. La percentuale di parlamentari no vax, no pass, si attesta tra il 15 e il 20%. Un numero che oscilla tra i 90/100 deputati a Montecitorio e 40/50 senatori a Palazzo Madama. Tra gli onorevoli, no vax, no pass, due siedono addirittura nell'ufficio di presidenza della Camera dei Deputati che mercoledì ha approvato all'unanimità la delibera che introduce l'obbligo green pass per accedere agli uffici di Montecitorio. A rivelare al Giornale la stima sulla quota dei no vax presenti a Montecitorio è una fonte interna dell'ufficio di presidenza della Camera dei Deputati. «Il 10% è no vax o no pass? Beh. Ora vedremo quanti sono sprovvisti di passaporto vaccinale. Secondo le nostre informazioni almeno il doppio», sorride la fonte. Non c'è alcun elenco di nomi: vanno rispettate le norme sulla privacy. Si rincorrono voci e spifferi sul partito trasversale dei no vax: da Leu al Pd. Però nessun pare ne sia immune. Dunque, non solo la Lega. A cui va riconosciuto il merito di metterci la faccia. Un esempio? Ieri a Palazzo Madama il senatore del Carroccio Simone Pillon, tra i più critici sul certificato verde, non ha dato la fiducia al governo Draghi, in occasione della votazione per l'estensione del passaporto anti-covid alle scuole: «Ringrazio Matteo Salvini che ha garantito un sano e rispettoso dibattito interno sul green pass» - ha spiegato Pillon, tra i 5 leghisti, con il segretario Salvini, e i colleghi Sbrana, Siri e Ferrero, a non essere stato inserito tra quelli in missione. «Spero ha aggiunto il vicepresidente della Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza - che le condizioni pandemiche permettano presto di dimenticare questa misura, che in Europa è adottata con tale invadenza solo da noi. In ogni caso mi pare il minimo garantire tamponi salivari gratis a chi non se la sente o non può vaccinarsi», ricordando quanto chiesto dal collega Paolo Augussori, intervenuto in Aula per le dichiarazioni di voto prima della fiducia. Archiviato il voto in Senato scatta la caccia all'onorevole no vax. Chi sono? Gli indiziati sono i grillini, da sempre «allergici» ai vaccini. Ma si scova anche nei gruppi di Fdi e Lega. Secondo i calcoli fatti dalla fonte di Montecitorio, la percentuale di deputati e senatori, che hanno scelto di non sottoporsi alla doppia dose di vaccino, sfiora il 20 %. Tradotto in numeri: 100 alla Camera e 40/50 al Senato. Dal 15 ottobre, per l'onorevole no vax la vita si dura. Con una serie di obblighi e limitazioni. Senza green pass non potranno prendere parte ai lavori di commissioni e Aula. Gli irriducibili no vax saranno costretti al tampone (almeno due a settimana). Il costo dei tamponi sarà scalato dal fondo per assistenza sanitaria integrativa: i deputati versano mensilmente 526,66 euro per la copertura sanitaria. C'è sempre l'altra opzione: rinnegare le battaglie no vax e no pass e correre a vaccinarsi. Non è un mistero che tra i parlamentari no vax ci sia Sara Cunial, la deputata che ha scatenato il putiferio in Aula due giorni fa con le sue parole in cui paragonato l'obbligo green pass ai campi di sterminio nazisti. Ma pare però che il primato dei no pass sia detenuto dal gruppo l'Alternativa c'è: il movimento politico nato dalla scissione (corrente Di Battista). Ma tra la pattuglia dei no vax c'è una sorpresa: le voci di Montecitorio segnalano la presenza di un gruppetto di deputati Pd. Cosa dirà Letta? Ovviamente il portabandiera dei parlamentari che si sono battuti fino alla morte contro l'introduzione del green pass a Montecitorio è il leghista Claudio Borghi. La battaglia è persa. Ma va avanti quella ideologica. Al Senato si scaldano Gianluigi Paragone e Marinella Pacifico. Tutti insieme, appassionatamente, nel partito no pass. Pasquale Napolitano

Fulvio Fiano per corriere.it il 4 novembre 2021. Nove green pass sono stati sequestrati dai carabinieri del Nas nell’inchiesta della procura di Roma su un medico capitolino accusato di rilasciare passaporti sanitari falsi. Tra i beneficiari c’è anche Pippo Franco, indagato per lo stesso reato. Questi pass sarebbero stati utilizzati per aggirare l’obbligo di esibire il certificato nei ristoranti e negli altri luoghi chiusi. I documenti irregolari di un ex magistrato e di alcuni familiari dell’attore — la cui moglie si faceva prescrivere dal dottore, un odontoiatra, alcuni farmaci per il cuore — sono stati già disattivati presso il database del ministero della Salute. Come emerso anche dalle intercettazioni, il medico avrebbe ricevuto in dotazione 20 fiale di vaccino ma risulta aver somministrato 159 dosi anziché le 120 che è possibile ricavarne.

Indagati

Alcuni indagati risultano vaccinati in giorni in cui si trovavano fuori Roma, oppure sembrerebbero aver ricevuto la dose in una data diversa da quella certificata dal pass. Le ricette mediche dello studio perquisito e gli elenchi dei pazienti sono all’esame degli inquirenti. «Siamo sorpresi e increduli, Pippo Franco è estraneo a questa vicenda», ribadisce l’avvocato Giovanni Benedetto Stranieri, che ha chiesto un incontro ai magistrati per chiarire la posizione del suo assistito. Appreso dell’indagine, l’attore aveva assicurato non solo di essere in possesso di un green pass regolare, ma pure di essere «vaccinato, anche se scettico». Una posizione che lo aveva portato a essere uno dei volti della protesta no-vax, tanto da creare qualche imbarazzo alla campagna elettorale di Enrico Michetti, perché Franco era presente in una delle liste a sostegno del candidato di centrodestra per il Campidoglio. Anche il figlio dell’attore, Gabriele, si era scagliato contro i media «colpevoli» di aver diffuso una notizia a suo dire infondata. 

Como, dottoressa finge di vaccinare i pazienti: denunciata. Il sospetto di una frode per ottenere il Green Pass. La donna si era accreditata per vaccinare una lista da lei portata di 17 pazienti fragili nell'hub di Lurate Caccivio, ma il suo atteggiamento ha insospettito gli altri medici che hanno chiesto l'intervento dei carabinieri. La Repubblica il 5 novembre 2021. Una dottoressa in servizio all'hub vaccinale di Lurate Caccivio (Como), è stata denunciata alla Procura della Repubblica perché avrebbe finto di vaccinare alcuni pazienti senza iniettare loro il siero, ma facendoli risultare vaccinati e facendo ottenere loro il Green Pass. La denuncia è partita dalla cooperativa di medici che si occupa della gestione dell'hub e della somministrazione vaccinale: da quanto si è appreso la dottoressa comasca, estranea alla cooperativa, si era proposta di vaccinare un gruppo di pazienti fragili da lei seguiti, 17 persone in tutto, che arrivavano da diverse parti della Lombardia. Ottenuto il nullaosta da Ats Insubria e le credenziali necessarie, il medico si è presentato con la lista di una ventina di persone da vaccinare. Oggi pomeriggio avrebbe dovuto somministrare delle seconde dosi, ma il suo atteggiamento ha insospettito i colleghi, che l'hanno osservata e chiesto l'intervento dei carabinieri, che hanno interrotto la sua attività. In pratica, la dottoressa fingeva di fare il vaccino iniettando la dose, già nella fiala, nel cotone idrofilo. Quando il medico responsabile della cooperativa si è poi messo al posto della dottoressa per proseguire la vaccinazioni, i pazienti prenotati si sono allontanati. Il sospetto è che dietro vi fosse un'organizzazione mirata ad ottenere fraudolentemente i Green pass: saranno le indagini ora a chiarire se il sospetto è fondato. L'esposto ai carabinieri sarebbe stato presentato dal dottor Gianni Clerici, presidente di Medici Insubria, che è anche responsabile sanitario dello stesso centro di Lurate.

Massimo Fini per il Fatto Quotidiano il 7 novembre 2021. Il Covid come la guerra? Ma non diciamo cazzate. La Seconda guerra mondiale ha provocato dai 65 ai 70 milioni di morti, in un'area relativamente ristretta, Europa e Giappone. Al momento i morti di Covid in tutto il globo, tenendo nel conto anche i Paesi che non hanno fatto alcuna profilassi perché avevano altro di più serio cui pensare, sono circa lo 0,06 per cento della popolazione del globo che è di 7 miliardi e 800 milioni. Poniamo pure che senza le misure di contrasto alla pandemia i morti, in questo macabro conto, sarebbero raddoppiati, triplicati, quadruplicati, quintuplicati. La percentuale fa lo 0,32 per cento. Cioè per tutelare lo 0,32 per cento della popolazione, in generale vecchi con due o tre patologie pregresse, e che lockdown o non lockdown, vaccino o non vaccino, sarebbero morti di lì a poco, abbiamo bloccato il 99,7 per cento della popolazione. In realtà, più che una pandemia di Covid, c'è stata una pandemia di panico. 

Da fanpage.it il 7 novembre 2021. Se Filippo Pozzato potesse tornare indietro, si sottoporrebbe al vaccino all'istante. La scelta di non immunizzarsi contro il Covid è costata cara all'ex ciclista veneto, vincitore della Milano-Sanremo nel 2006. Il 40enne si sentiva forte e invincibile nel suo corpo di sportivo in piena salute, un ritornello purtroppo non nuovo nelle storie dei ricoverati per coronavirus, che all'improvviso si ritrovano precipitati in un incubo che ritenevano lontanissimo. Pozzato dunque è stato ricoverato con sintomi molto pesanti nel reparto di pneumologia dell’ospedale San Bortolo di Vicenza, da dove risponde al telefono mentre respira con l'ossigeno. Le sue parole sono di pentimento ma anche di monito per chiunque continua a sottovalutare il Covid e insiste nel non volersi vaccinare. Lui alla fine si era deciso, ma è stato troppo tardi: "L’appuntamento era per il 25 ottobre. Perché non mi ero vaccinato prima? Perché mi sono sempre sentito forte, sono stato in mezzo a gente che aveva avuto il Covid e non mi era mai successo niente, e perché ero sempre a tutta con le corse (oggi è organizzatore, ndr) e avevo deciso di farlo dopo. Sono stato un coglione e mi sono preso una bella batosta. Non ho ancora la maschera, ma se peggioro me la mettono". Il racconto di Pozzato alla Gazzetta dello Sport assomiglia a tante storie simili: "Il 23 ottobre ho iniziato a stare male. Qualche linea di febbre tutto il giorno, 37 e mezzo, poi 38. Faccio subito il tampone, è Covid. Poi ho avuto 39 e mezzo per quasi dieci giorni, ero morto. Tre giorni fa mi è andata via la febbre, ma la saturazione dell’ossigeno è crollata, sono sceso a 87, poi 86, avevo le bombole dell’ossigeno a casa, è arrivata a 83, non mi reggevo nemmeno in piedi e mi hanno portato qui. Ho una polmonite forte". L'ex campione di ciclismo manda un messaggio forte: "Senti gente che dice che il Covid sembra una cazzata, ma quando lo prendi capisci che non lo è per niente. Io sono sempre stato sano, non mi sono mai preso nulla, ma il Covid mi ha buttato a terra. Sono attaccato all’ossigeno per farmi aprire i bronchi, ma se peggioro mi mettono la maschera. Mi sono portato tre libri, leggo, dormo, guardo la televisione. Per fortuna ho due ragazzi del mio team che sanno tutto e mi sostituiscono", conclude Pozzato dalla sua stanza d'ospedale. 

Più volte al giorno proteste urli e insulti, poi ha detto basta. “Mio padre era sui camion di Bergamo”, la storia di Cristina la farmacista che non fa i tamponi ai no vax. Elena Del Mastro su Il Riformista il 5 Novembre 2021. Da quando il green pass è obbligatorio sui posti di lavoro tante farmacie sono letteralmente sotto assedio. Chi non vuole fare il vaccino deve infatti sottoporsi molto frequentemente al tampone. E in queste circostanze, tra le lunghe code, spesso volano insulti, proteste e urla contro i farmacisti da parte di chi sente il bisogno di far conoscere la propria opinione sui vaccini. Ed è proprio questo che ha subito per un lungo periodo anche Cristina Longhini, 40 anni, farmacista di Bergamo, consigliera del Movimento italiano farmacisti collaboratori. E anche figlia di una vittima del Covid. E per questo motivo ha deciso di non fare più tamponi ai no vax. “Ormai da fine settembre stavamo subendo un clima di odio e di tensione”, ha raccontato come riportato dal Corriere della Sera. “C’era astio nei confronti della campagna vaccinale e anche nei nostri confronti — continua la farmacista —. C’erano persone che ci dicevano: ‘Cosa pensate, questo vaccino funzioni?’ Oppure: ‘Ci farà morire tutti, ci farà venire il cancro, fra dieci anni voi vaccinati morirete e rimarremo noi, ci sono dentro i microchip, il 5G’. Oppure: ‘Voi non pagate il vaccino e noi dobbiamo pagare il tampone, dovreste farlo gratis, ci rubate i soldi’. C’era chi ci augurava la morte, chi diceva di avere bisogno del tampone ma non credeva nel vaccino e se ne andava sbattendo la porta con rabbia. Così per tre-quattrocento volte al giorno”. Suo padre, Claudio, è morto nella primavera del 2020 a 65 anni. Un dolore enorme che Cristina si è portata dentro anche mentre subiva gli insulti dei no vax che andavano a farsi il tampone. “La mia titolare e la mia collega conoscevano mio padre, sanno cosa abbiamo passato a Bergamo e poi hanno vissuto i drammi della seconda ondata a Milano. Abbiamo deciso che non possiamo fare i tamponi a chi è così insensibile: umanamente era pesante affrontare queste persone”. Così la farmacia Ca’ Granda di Niguarda ha deciso di riservare gli spazi per i tamponi e il personale alla campagna vaccinale per la terza dose. Mentre partecipava a una puntata di Diritto e rovescio ha sentito qualcuno dire che non si faceva il tampone perché è un esame invasivo, non ce l’ha fatta più: “Io ho avuto mio padre sui camion dell’esercito a Bergamo e mi sento dire che quei camion erano dei fotomontaggi e mio padre in realtà non è morto di Covid. Non capisco come faccia la gente ad essere così disinformata. Non sanno che proprio perché non inietti niente di irreversibile nell’organismo l’Rna si degrada e la risposta anticorpale diminuisce, e in certe categorie lo fa più in fretta. Invece pensano che il green pass violi il loro diritto al lavoro ma si dimenticano di quello che era successo lo scorso anno. Poche ore fa una cliente mi ha detto: ‘Ti ho sentito in tv ma io quella schifezza non me la farò mai iniettare’. Le ho raccontato che io avevo un papà che stava bene, ho affrontato una tragedia, ho avuto tanti pazienti con il Covid, e se noi non ci fossimo vaccinati saremmo ancora chiusi in casa e con chissà quanti morti. Se fosse per gente come loro saremmo ancora tutti chiusi in casa”.

Elena Del Mastro. Laureata in Filosofia, classe 1990, è appassionata di politica e tecnologia. È innamorata di Napoli di cui cerca di raccontare le mille sfaccettature, raccontando le storie delle persone, cercando di rimanere distante dagli stereotipi.

Da liberoquotidiano.it il 5 novembre 2021. Selvaggia Lucarelli contro Mario Giordano. Il motivo? Alcuni No-vax presenti alla trasmissione Fuori dal Coro su Rete 4. Il conduttore di Mediaset ha sempre voluto dare spazio a tutti, irritando però la Lucarelli. E lo dimostra con un cinguettio su Twitter rivolto al volto del martedì sera del Biscione. "Questo giornalismo che inventa e manipola frasi e le inserisce anche nella categoria ‘minacce ai non vaccinati' fa schifo. E lo ritengo pericoloso anche per la mia incolumità, visto il momento…". Poi la frecciata al collega: "Vi siete ridotti a mandare in onda i meme di Telegram, caro Mario Giordano". D'altronde la giurata di Ballando con le Stelle sui vaccini è irremovibile. L'ha dimostrato proprio su Rai 1 con Mietta positiva al coronavirus e costretta alla quarantena. "Chiudiamo in maniera pacifica - ha detto durante il programma di Milly Carlucci e dopo la polemica sorta -, se è vero che Mietta è l'unica non vaccinata e l'unica ammalata di Covid, questo è il più grande spot ai vaccini. Vacciniamoci". Qualche puntata prima Mietta era stata interpellata proprio dalla Lucarelli: "Ma hai fatto il vaccino?". Una domanda a cui la concorrente del programma non aveva risposto, scatenando la bufera che ha travolto la stessa Rai.

Il medico indagato per i green pass falsi a cena con il commissario Figliuolo. Valeria Di Corrado su Il Tempo il 05 novembre 2021. Il medico legale Antonio De Luca, indagato nell’inchiesta della Procura di Roma sui green pass falsi, lo scorso settembre era cena con il generale Francesco Paolo Figliuolo, commissario straordinario per l’emergenza Covid. È stato lo stesso professore di Medicina legale (spesso critico sulla portata della pandemia) a pubblicare su Facebook la foto che lo immortala insieme a Figliuolo, Pippo Franco e la moglie del comico: l'attrice di teatro Piera Bassino. I carabinieri del Nas l’altro ieri hanno sequestrato i green pass dell’ex conduttore del Bagaglino, della consorte e del figlio Gabriele Pippo, dj e produttore musicale che nel 2019 aveva partecipato al reality show «Temptation Isalnd Vip». Secondo la ricostruzione dei pm, il medico di base Alessandro Aveni Cirino (anche lui indagato per falso), avrebbe fatto risultare come vaccinati Pippo Franco, la moglie, il figlio, il professor De Luca e alcuni suoi familiari, anche se non erano vaccinati. Da qui è scaturito il provvedimento della Procura che ha portato al sequestro di 9 green pass, disattivati dalla banca dati del ministero della Salute.  L’avvocato Benedetto Giovanni Stranieri, legale della famiglia Pippo, ha già preparato la richiesta con cui oggi chiederà al Tribunale del Riesame di Roma di annullare il sequestro. Il comico 81enne, che si era candidato come consigliere capitolino nella lista di Enrico Michetti, ottenendo solo 37 preferenze, sostiene che il suo green pass e quello dei suoi familiari siano regolari, in quanto tutti e tre si sarebbero vaccinati. Lo dimostrerebbero anche - secondo il legale - i test sierologici effettuati in tempi, che attesterebbero la presenza di anticorpi «da vaccino». De Luca, consulente della Procura di Roma e premiato dal Senato con il «Leone d’oro» alla carriera, oltre a Figliuolo, vanta una lunga serie di conoscenze vip. Al suo onomastico dell’anno scorso ha organizzato un party in grande stile a cui, oltre a Pippo Franco, hanno preso parte gli attori Andrea Roncato, Lando Buzzanca e Maurizio Mattioli. Sfogliando la gallery del suo profilo Facebook, il professore annovera tra i «grandi amici»: Carlo Verdone, Luca di Montezemolo, Elisabetta Greograci, Luciano Moggi, Pippo Baudo, Maria Grazia Cucinotta, Pamela Prati, Valeria Marini e Vittorio Cecchi Gori. Quest’ultimo, in particolare, è stato immortalato da De Luca lo scontro giugno dopo aver fatto il vaccino proprio con il dottore Aveni Cirino, indagato per falso.

Politici, vip e imprenditori con green pass falso: ecco chi hanno beccato. Francesca Galici il 23 Settembre 2021 su Il Giornale. Vip, politici, sportivi e imprenditori si sarebbero affidati a un medico di Roma per ottenere falsi Green pass senza aver fatto il vaccino. La procura di Roma ha aperto un'inchiesta su un medico di base che avrebbe fornito Green pass falsi a personaggi noti dello sport, dello spettacolo, della politica e dell'imprenditoria. A riportare la notizia è Il fatto quotidiano, che rivela l'esistenza dell'indagine top secret che coinvolgerebbe almeno un centinaio di persone appartenenti alla cosiddetta Roma bene che, invece di fare il vaccino o il tampone, hanno preferito rivolgersi al medico compiacente. Le forze dell'ordine nelle scorse ore hanno sottoposto a perquisizione l'abitazione e lo studio del medico, che non risulta attualmente segnalato né all'Ordine dei medici né, tanto meno, all'Asl di appartenenza. La sua lista di pazienti sarebbe piuttosto lunga e da parte degli investigatori c'è il massimo riserbo sulla loro identità. L'unico elemento finora trapelato è che alcuni di loro sarebbero volti noti al pubblico, perché vip, sportivi o imprenditori. La priorità degli investigatori in queste fasi dell'indagine è quella di capire in che modo il medico abbia potuto ottenere le false certificazioni verdi. Tra le ipotesi al vaglio dei magistrati c'è la possibilità che il medico sia riuscito a sfruttare dei bug all'interno del sistema utilizzando la tessera sanitaria dei suoi pazienti. In sostanza, potrebbe aver inserito all'interno dei database dati relativi a presunte patologie incompatibili con la vaccinazione, oppure ipotetiche guarigioni dal Covid o, ancora, segnalazioni di vaccinazioni avvenute all'estero in territori extra europei. Per tutti questi casi, infatti, il medico non è tenuto a inviare pezze di appoggio che giustifichino le sue dichiarazioni. Una volta inseriti i dati, che provenendo da un medico Asl si presume siano veri, il ministero della Salute rilascia in automatico il Green pass nominale per il paziente indicato. Il Fatto quotidiano riferisce che questa sorta di "falla" sarebbe nota da tempo, almeno da quando è entrato in vigore il sistema del Green pass. Nonostante sia stata già segnalata, finora non sarebbero state adottate misure di contenimento per i "furbetti del Green pass". L'indagine sul medico della Roma bene, infatti, non è partita in automatico tramite la rilevazione di anomalie nel sistema ma da una segnalazione anonima che avrebbe indirizzato gli investigatori. Ora in tanti si chiedono se questo del medico della Asl 1 di Roma sia un caso isolato o se, invece, sia prassi purtroppo comune tra i furbetti, nell'attesa di capire in che modo le autorità metteranno un freno a questo fenomeno preoccupante.

Francesca Galici. Giornalista per lavoro e per passione. Sono una sarda trapiantata in Lombardia. Amo il silenzio.

Da business.it il 15 settembre 2021. Daniele Capezzone e Alessandro Sallusti si definiscono “amici da 30 anni”. Ma i due giornalisti non se le mandano certo a dire. Ospiti di Nicola Porro durante la puntata di Quarta Repubblica del 13 settembre, Capezzone e Sallusti danno infatti vita ad uno scontro durissimo in diretta tv. L’argomento che li fa tanto surriscaldare è l’uso del green pass: da cancellare secondo il primo, da promuovere secondo il collega.  “Con tanto rispetto e con tanta stima per la sua autorevolezza, ma non mi convince nulla di quello che ha detto”, Capezzone replica così al collega. Poi, spiega che tutti i maggiori quotidiani conservatori e liberali del mondo sarebbero “favorevoli al vaccino, ma contrari a green pass, restrizioni, obblighi e compressioni della libertà”. Sallusti prova ad interromperlo, ma Capezzone tira dritto. “La informo che Libero (di cui Sallusti è direttore ndr) e Il Giornale andate contromano in autostrada rispetto a tutti i quotidiano conservatori e liberali più autorevoli del mondo”. Ma, secondo Capezzone, i giornalisti come il suo interlocutore sarebbero costretti a “trasformare ogni giorno un Paese del mondo in una nuova Atlantide”. E cita gli esempi della Danimarca, della Svezia, del Regno Unito, della Germania “della Merkel, che punta sui vaccini ma non fa il green pass”. Ma anche la “metà degli Stati americani”, la Corea del Sud, la Spagna e la Grecia non hanno introdotto il green pass. “Sallusti sveglia. Solo l’Italia e la Francia hanno il feticcio del green pass”, alza i toni a quel punto Capezzone. Incitamento a svegliarsi che non va proprio giù al collega che replica stizzito. “Sveglia lo dici a tua sorella”, sbotta ripetutamente Sallusti costringendo il conduttore Nicola Porro ad intervenire per calmare le acque. “Inutile che mi dai del lei. Non fare l’ipocrita. Siamo amici da 30 anni”, chiude allora la diatriba Sallusti.

Erica Orsini per "il Giornale" il 15 settembre 2021. Il green pass nel Regno Unito? Prima si, adesso assolutamente no, in futuro chissà. Ennesimo giro di giostra per il governo di Boris Johnson che, a quanto pare, ha deciso di rimettere nel cassetto il piano per il passaporto vaccinale, che avrebbe dovuto entrare in vigore alla fine di questo mese per avere accesso ai luoghi chiusi come i locali notturni e ai grandi eventi. Ieri mattina, nella trasmissione domenicale della Bbc, condotta da Nick Robinson, di fronte al giornalista sbigottito, il nuovo ministro per la Salute Sajid Javid ha ammesso che del piano, per ora, non se ne fa nulla. «Quindi non andate avanti? Ma questo è veramente sconcertante - ha esclamato Robinson rivolgendosi a Javid che lo guardava con un sorriso imbarazzato, e rimaneva rigido come fosse seduto su una sedia di chiodi -. Ma come, ho avuto ieri qui un altro ministro che mi ha detto che il passaporto per i vaccini è l'unica via d'uscita. In Parlamento tutti i vostri deputati sostengono di non essere felici di imporlo, ma che è la cosa giusta da fare. E adesso lei viene qui a dire che invece il piano è stato abbandonato?». «Beh non è che dobbiamo fare le cose per il gusto di farle, o perché gli altri le stanno facendo - è stata la replica zoppicante di Javid -. Non mi è mai piaciuta l'idea di dire alla gente che deve mostrare i suoi documenti per svolgere quella che è solo un'attività quotidiana, ma abbiamo fatto bene a considerare la cosa». Il ministro ha spiegato che il governo ha esaminato la questione nei dettagli e ha aggiunto: «Sono lieto di poter dire che non andremo avanti». Javid ha anche annunciato di voler eliminare l'obbligo del tampone molecolare «il prima possibile» nei viaggi all'estero, per chi è completamente vaccinato. Secondo alcune indiscrezioni diffuse dai media nei giorni scorsi, il governo sarebbe infatti pronto a cancellare le famose zone «a colori», che indicano i Paesi a basso e medio rischio, sostituendole con un sistema comparativo che prenderà in considerazione la percentuale dei vaccinati presenti nei singoli Stati. Quelli che presenteranno una percentuale simile a quella britannica, non dovrebbero più essere sottoposti a nessuna restrizione. Tornando al green pass invece, il governo britannico ripropone il suo vecchio schema: «Sempre in direzione ostinata e contraria», visto che anche questa volta fa di testa sua, senza guardare che cosa stanno mettendo in pratica gli altri Paesi, accantonando ogni forma di cautela nei confronti della possibile trasmissione del virus. È ormai da un paio di mesi che la Gran Bretagna ha tolto tutte le maggiori misure anti-Covid, compreso l'obbligo di mascherina nei luoghi chiusi e sui mezzi di trasporto e da settimane, nelle metropolitane, la maggioranza delle persone non indossa un indumento protettivo. I casi di contagio rimangono alti e anche se nel weekend hanno fatto registrare una lieve diminuzione (ieri erano poco più di 29mila) un comportamento accorto da parte dell'esecutivo sarebbe forse stato consigliabile. Invece Boris Johnson ha già convocato per martedì una conferenza stampa per annunciare il nuovo piano invernale per il Covid che prevede anche la fine dei poteri speciali introdotti nello stato d'emergenza. Non fidatevi però, martedì è ancora lontano, si fa in tempo a cambiare idea...

Siete sicuri che è la strada giusta? Green pass, come funziona negli altri paesi europei la certificazione verde. Andrea Pruiti Ciarello de Il Riformista il 23 Settembre 2021. Il Governo, con il Decreto Legge approvato il 16 settembre scorso e appena pubblicato, ha introdotto misure urgenti per assicurare lo svolgimento in sicurezza del lavoro pubblico e privato mediante l’estensione della certificazione verde Covid-19. In pratica, senza il green pass i lavoratori pubblici e privati non potranno lavorare e non avranno diritto allo stipendio, conserveranno il posto di lavoro, perché non potranno essere licenziati, ma sarà difficile per loro mantenere la famiglia. Saremmo indotti a pensare che essendo la pandemia di estensione globale, tutti gli stati adottino strategie di contenimento del virus similari. È così? Come funziona il passaporto vaccinale negli altri paesi europei? Germania e Spagna, al momento non hanno previsto limitazioni nei confronti di chi non ha il green pass e hanno lasciato alle singole regioni la discrezionalità sul suo utilizzo. In Spagna, la Comunidad autonoma di Madrid, ad esempio, non ha imposto alcuna restrizione generalizzata ma grazie a tamponi a tappeto, aumento dell’offerta di posti letto e terapie intensive, lockdown mirati e limitati ai singoli focolai, è riuscita a contenere il numero dei morti e, allo stesso tempo, ha consentito di mantenere uno stile di vita quanto più normale possibile. In Francia, il green pass serve per bar, ristoranti, servizi pubblici di trasporto ma non serve per lavorare, né per le scuole o le università. In Irlanda, Austria, Olanda, Portogallo, Grecia, Romania Danimarca, Croazia il pass serve per frequentare ristoranti, palestre, hotel, musei, ma non per accedere a uffici pubblici, scuole, università e nemmeno per andare a lavorare. In Inghilterra, il governo di Boris Johnson ha deciso di non introdurre il pass, facendo marcia indietro rispetto a quanto annunciato in precedenza. L’Italia quindi è il paese più avanzato su questo fronte, non vi è l’imposizione esplicita di un obbligo vaccinale generalizzato, ma con l’ultimo decreto legge siamo molto vicini a raggiungere quell’effetto. Il green pass è esplicitamente adottato come strumento di salute pubblica, serve a contenere al minimo la diffusione del contagio. Ma è così? In Italia, a partire da gennaio 2021, sono state somministrate quasi 82 milioni di dosi, 40,6 milioni di persone hanno completato la vaccinazione, pari a poco meno del 65% della popolazione, 44 milioni sono i vaccinati con almeno una dose, pari al 73,1% della popolazione. L’obiettivo del Governo -parole di Figliuolo– è arrivare all’80% di vaccinati entro settembre. Ammesso che si raggiunga tale percentuale o che addirittura si superi, ciò basterebbe a contenere la diffusione del virus in termini accettabili per garantire un ritorno alla normalità? In Israele, la campagna di vaccinazione è iniziata il 20 dicembre dell’anno scorso e la percentuale di vaccinati raggiunta è del 61,5% con doppia dose Pfizer, mentre nel Regno Unito i vaccinati con doppia dose sono il 66,1% della popolazione. Abbiamo imparato a conoscere il concetto di “immunità di gregge” e sappiamo che da quello dipende il ritorno alla normalità. I dati scientifici pubblicati a fine luglio, che giungono da Inghilterra e Israele, però, dimostrano che l’efficacia complessiva del vaccino nel prevenire l’infezione era del 39%, quella contro l’infezione sintomatica del 40,5% e quella contro l’ospedalizzazione e le forme gravi tra l’88% e il 91%. Ma la protezione contro l’infezione cambia molto a seconda del mese di vaccinazione, già a luglio era del 15% per chi si era vaccinato a gennaio e del 75% per chi aveva ricevuto la seconda dose ad aprile. Questo significa che con il trascorrere del tempo l’efficacia dei vaccini cala in maniera considerevole e dopo nove mesi la protezione raggiunge soltanto il 16%, con questa percentuale, il rischio di contrarre un’infezione sintomatica è molto alto anche per i vaccinati con doppia dose. Per questo motivo, anche in Italia è già stata avviata la terza dose vaccinale per i soggetti fragili. In Italia, da gennaio a settembre 2021, la media di somministrazioni vaccinali è di 2,5 milioni a settimana. Con questo ritmo, raggiungere l’immunità di gregge risulterà praticamente impossibile, visto che il rischio di infezione per i vaccinati a inizio anno è crescente nel tempo. La strategia elaborata dal ministro Roberto Speranza -messa in pratica con l’ultimo decreto legge con l’estensione dell’obbligo di green pass– è una scommessa per allargare al massimo la platea dei vaccinati ma, con il calo progressivo dell’efficacia dei vaccini, il rischio che questa scommessa venga persa è molto alto. In questo caso, presumibilmente, la popolazione potrebbe perdere la fiducia nel vaccino e a quel punto sarebbe complicato convincere gli italiani sulla necessità della terza dose. Siamo certi che l’Italia stia mettendo in pratica la migliore strategia di contrasto al virus? Avanzare dei dubbi non significa ammiccare ai no vax, significa sforzarsi di essere realisti e garantire, con un approccio critico, un contributo costruttivo alla soluzione del problema. Andrea Pruiti Ciarello

L'Europa è libera, noi no. Cosa fanno in Danimarca, Germania e Inghilterra mentre il governo estende i divieti. Dario Martini su Il Tempo il 15 settembre 2021. Mentre il governo italiano si appresta ad estendere il green pass ai luoghi di lavoro, partendo dal settore pubblico, il resto d’Europa si muove nella direzione opposta. Quella della libertà. Il ragionamento è semplice: ora che le vaccinazioni hanno raggiunto un buon livello, dobbiamo iniziare a riprenderci la vita che avevamo prima della pandemia. E ciò che sta avvenendo in gran parte dei paesi membri dell'Unione, ma anche in Inghilterra, seppur con gradazioni diverse. Dalla Danimarca, dove si affrontano le giornate come se il Covid fosse un lontano ricordo, all'Inghilterra di Boris Johnson, che fa di tutto per scongiurare il ritorno alle limitazioni, alla Spagna, dove il green pass non è più contemplato. Simile all'Italia è rimasta la situazione in Francia, primo membro della Ue ad introdurre il certificato verde.

DANIMARCA Il governo di Copenaghen ha cancellato tutte le restrizioni legate all'emergenza coronavirus. Il ritorno alla normalità nello Stato scandinavo stato graduale, ma da pochi giorni - 548 per l'esattezza dopo l'entrata in vigore delle prime restrizioni - non è più richiesto il green pass per entrare nei locali notturni. Il 74,1% della popolazione danese sopra i 12 anni ha completato il ciclo vaccinale.

Un livello praticamente uguale a quello italiano, pari al 74,4%. Il punto di svolta in Danimarca per la revoca delle restrizioni, ha spiegato il virologo danese Riis Paludan, è stato quando la maggior parte degli over 50 si sono immunizzati (da noi, mancano all'appello ancora 3,5 milioni di over 50). Il ministro danese della Salute, Magnus Heunicke, ha dichiarato ad agosto che «l'epidemia è sotto controllo», ma ha avvertito che il governo agirà secondo necessità. Già dal 14 agosto in Danimarca non è più obbligatorio indossare la mascherina sui mezzi pubblici. Il primo settembre hanno riaperto i locali notturni, sono stati rimossi i limiti agli assembramenti pubblici e non serve più il green pass per mangiare all'interno dei ristoranti, andare allo stadio, in palestra o dal parrucchiere. Tuttavia l'uso delle mascherine è ancora obbligatorio negli aeroporti e consigliato per le persone che si recano dal medico, nei centri di analisi o negli ospedali. Il distanziamento è ancora raccomandato e si applicano rigide restrizioni all'ingresso nel Paese per gli stranieri.

INGHILTERRA Il premier Boris Johnson ha illustrato ieri la strategia per affrontare l'autunno e l'inverno. Via libera alle terze dosi di vaccino per gli over 50. I green pass, sebbene al momento esclusi, rimangono «una parte importante del nostro repertorio» e sarebbe «intelligente non escluderli» per accedere a luoghi particolarmente affollati, come i pub, ha detto Johnson. Nel piano di 32 pagine appena pubblicato si afferma che il governo «si impegna ad intraprendere qualsiasi azione necessaria per proteggere l'Nhs (il Servizio sanitario nazionale) dall'essere sopraffatto», ma «le restrizioni economiche e sociali più dannose» verranno prese in considerazione solamente come «ultima possibilità». Si tratta del cosiddetto «Piano B», che prevede l'obbligo di indossare la mascherina, l'introduzione del green pass per una serie di luoghi al chiuso e il ricorso allo smart working. Il «Piano A», invece, che il governo invece intende perseguire nei prossimi sette me si, prevede il varo della campagna per la terza dose di vaccino. Ricordiamo che il «Freedom Day», il giorno della libertà dal Covid, è stato festeggiato in Inghilterra lo scorso 19 luglio, quando sono state tolte le restrizioni.

SVEZIA Emblematico anche il caso svedese. Dove il green pass non viene richiesto per avere una vita sociale. E dove i vaccinati sono più bassi in proporzione rispetto all'Italia. Anche delle terze dosi se ne riparlerà, semmai, il prossimo anno. In Svezia nell'ultimo mese ci sono stati solo 38 morti per Covid. Qualcuno potrà obiettare che nel paese scandinavo vivono poco più di 10 milioni di persone (in Italia 60 milioni) e che la densità demografica è molto più bassa. E vero, ma fa comunque effetto notare che, anche adeguando il numero di decessi alla proporzione tra le popolazioni, con una popolazione pari a quella italiana avremmo dovuto avere circa 230 morti, ovvero una percentuale minima rispetto a quelli che si sono invece avuti in Italia (1.555) dal 14 agosto al 13 settembre. Inoltre, in Italia gli immunizzati con ciclo completo sono il 74,28%. In Svezia, il 60%. Eppure, la migliore situazione sanitaria a Stoccolma è stata possibile anche senza green pass, che invece il governo presieduto da Draghi si appresta ad estendere alla pubblica amministrazione.

BELGIO Anche a Bruxelles non c'l'obbligo del green pass. Tra pochi giorni, però, il governo farà una nuova valutazione. C'è invece l'obbligo della mascherina per chi lavora nel settore dell'accoglienza. SPAGNA Inizialmente la Spagna aveva previsto l'utilizzo del green pass, ma poi l'obbligo per alcuni tipi di attività caduto dopo che il tribunale della Galizia ha dichiarato inammissibile il requisito della certificazione vedere per entrare in bar, ristoranti e locali notturni. Sentenze dello stesso tenore avevano già fatto cadere l'obbligo del lasciapassare in Andalusia, Cantabria e Canarie. Simili a quelle italiane, invece, sono le restrizioni in vigore in Francia, Grecia e Portogallo, dove l'uso del green pass è previsto per poter svolgere alcuni tipi di attività. Ma non per poter lavorare.

GERMANIA Spetta ai Länder stabilire eventuali misure restrittive. Il presidente dell'ordine dei medici tedesco ha chiesto un inasprimento per far che i non vaccinati, anche con tampone negativo, possano entrare nei bar e ristoranti. Il 62,2% dei residenti in Germania è vaccinato completamente e il 66,5% ha ricevuto almeno una dose. Alcuni governi regionali, come quello di Amburgo, utilizzano una strategia particolare, limitando l'accesso agli spazi pubblici chiusi solo a vaccinati, guariti o con test negativo. Il ministro della Salute, Jens Spahn, ha introdotto il certificato verde per accedere in alcuni luoghi sensibili, come ospedali, case di riposo, scuole, asili, carceri e centri d'accoglienza. Attenzione, però, non c'è alcun obbligo, ma solo la possibilità per i responsabili di tali servizi di richiedere la vaccinazione o un tampone negativo. Resta valido il principio che «nessun lavoratore deve in alcun modo sentirsi obbligato a vaccinarsi».

M.Ev. per "il Messaggero" il 13 settembre 2021. La durata della validità del Green pass è stata prorogata a un anno. Dunque, chi ha completato il percorso vaccinale a marzo 2021, ha diritto alla certificazione verde fino a marzo 2022. Ma cosa succede se, come può capitare, un vaccinato si contagia? Ovviamente, durante l'infezione deve restare in isolamento, ma quando tornerà negativo il Green pass avrà la stessa data di scadenza? Di questo tema si è discusso l'altro giorno al Comitato tecnico scientifico, del quale fa parte anche il professor Gianni Rezza, direttore Prevenzione del Ministero della Salute. L'indicazione finale punta all'azzeramento della durata del Green pass, a una ripartenza. In sintesi: la durata di un anno scatta dal termine dell'infezione. Prendiamo l'esempio di prima: la persona vaccinata a marzo 2021 ha un Green pass valido fino a marzo 2022, ma a settembre 2021 risulta positivo. A quel punto, quando supererà l'infezione, il Green pass tornerà valido per un altro anno, dunque fino a settembre 2022. Ha sviluppato una risposta anticorpale anche più solida e dunque la copertura si amplia. Nel corso del vertice del Comitato tecnico scientifico è stato affrontato anche un altro problema legato al Green pass. Il sistema sta funzionando bene, milioni di persone lo hanno già scaricato sul loro smartphone o lo hanno stampato in farmacia. Ma come sempre succede con uno strumento di massa come questo c'è una percentuale di disguidi che, sui grandi numeri, non è ininfluente. Ci sono persone vaccinate o che hanno superato l'infezione che hanno diritto alla certificazione verde, ma non riescono a ottenerla. «In questo modo - dice Fabio Ciciliano, componente del Cts - si rischia di alimentare la sfiducia nel Green pass, ma anche di causare delle iniquità visto che questo strumento oggi serve per viaggiare e lavorare».

Vittorio De Vecchi Lajolo per ilfattoquotidiano.it il 21 settembre 2021. Gad Lerner sostiene che i non vaccinati andrebbero “dichiarati fuori legge” esattamente come gli evasori fiscali. L’idea non è originalissima: ci aveva già pensato Roberto Burioni qualche mese fa a lanciare l’anatema dell’evasione fiscale, salvo poi invertire la rotta per definire i non vaccinati più sobriamente “sorci”. Più recentemente, Giuliano Cazzola ha invocato i cannoni di Bava Beccaris per fare piazza pulita dei no-vax, mentre Renato Brunetta auspica un progressivo “schiacciamento” (cit.) dei non vaccinati ai margini della vita sociale. Su tutto aleggia il soave monito del Presidente della Repubblica, secondo cui “non si può invocare la libertà per non vaccinarsi”. Pochi chilometri più a nord, in Germania, nessun partito sostiene l’obbligo vaccinale: anche Olaf Scholz, possibile futuro cancelliere, lo ha escluso categoricamente. La Frankfurter Allgemeine (il secondo quotidiano del paese, di orientamento liberal-conservatore) ad agosto pubblicava un articolo dall’eloquente catenaccio “Non è compito dello Stato proteggere il cittadino da se stesso”. Diversi costituzionalisti, tra cui il prof. Alexander Thiele dell’università di Gottinga ritengono che l’obbligo sarebbe giustificabile solo qualora il fenomeno epidemico divenisse completamente incontrollabile. Il 13 settembre 2021 la Süddeutsche (primo quotidiano del paese, di orientamento liberal-progressista) pubblica un articolo sulla recente decisione del governo federale di mettere il turbo alla campagna vaccinale creando centri vaccinali pop-up un po’ dappertutto (in autobus, allo zoo di Berlino, presso alcuni chioschi di kebabbari etc.) per convincere gli indecisi – tesi di fondo: è un errore aumentare la pressione, giusto invece migliorare informazione e disponibilità. Sulla stessa linea il telegiornale della prima rete televisiva pubblica ARD, in cui la psicologa e professoressa dell’università di Costanza, Katrin Schmelz, si spinge fino a sostenere che l’obbligo in queste condizioni sarebbe un errore, perché la propensione a vaccinarsi (ovviamente) è molto più alta quando esiste una scelta, che quando si è costretti ad adempiere ad un obbligo. La mascherina obbligatoria generalizzata (anche all’aperto) in Germania non è mai esistita. Ancora oggi, il green-pass all’italiana è completamente sconosciuto: non serve nel trasporto pubblico e neanche i lavoratori del settore sanitario sono soggetti a obbligo vaccinale (ma ad obbligo di tampone). E, naturalmente, nessuna persona si azzarda a definire pubblicamente i non vaccinati sorci, evasori fiscali, gente da mettere fuori legge, da schiacciare o da prendere a cannonate. Sarà perché in Germania ormai sono tutti vaccinati? No, anzi: “solo” il 62,7% della popolazione è completamente immunizzato[1], contro il 68% [2] di quella italiana. Allora forse in Germania non esistono no-vax? Falso anche questo, come dimostrano le manifestazioni (ben più frequentate degli sparuti drappelli di no-vax italiani) che hanno invaso Berlino, Stoccarda, Monaco, Amburgo e tante altre città. Allora si vede che in Germania ci sono meno casi, meno contagi e dunque il problema è percepito come meno urgente? No, anche su questo i numeri non mentono: secondo i dati più recenti, l’incidenza settimanale in Germania è di 76,3 casi per 100.000 abitanti contro i 64 dell’Italia. Forse che la legge tedesca non consente l’introduzione di un obbligo? Sbagliato: anche la legge fondamentale della Repubblica Federale – seppur in modo meno esplicito dell’art. 32 della Costituzione Italiana – riconosce la possibilità di introdurre un obbligo di vaccinazione per le categorie a rischio (che, in astratto, potrebbero anche coincidere con l’intera popolazione). Insomma, o la Germania [3] sta commettendo un azzardo spaventoso, oppure in Italia regna una psicosi collettiva. Sicuramente si fa largo un sospetto: che, semplicemente, non sia necessario spingersi a tali estremi. Forse la sensibilizzazione degli indecisi può avvenire sulla base di dati scientifici presentati in modo trasparente (cioè nell’unico modo che la scienza ammette) invece che sulla base di volgari – a mio avviso – invettive moraliste; forse nel dibattito pubblico è possibile dissentire senza perdere il rispetto che in una democrazia è dovuto a tutti, anche a chi sostiene posizioni estreme, assurde, non condivisibili; forse in un sana democrazia liberale il governo sostiene il cittadino a fare scelta consapevole invece di obbligarlo a seguire le sue direttive con paternalismo ottocentesco.

[2] Il dato del governo (oltre il 70%) si riferisce alla popolazione sopra i 12 anni. Sulla popolazione totale la percentuale è lievemente inferiore, intorno al 68%. [3] E non solo la Germania. Bisogna tener presente che nessun paese (salvo Indonesia e un paio di regimi autoritari centroasiatici) ha introdotto l’obbligo vaccinale contro il Covid (neanche la Cina), la Danimarca ha invece revocato tutte le misure di contenimento, nel Regno Unito il governo ha deciso di abbandonare l’idea del green-pass etc. In Italia, al contrario, due terzi della popolazione apparentemente sosterrebbero l’obbligo vaccinale.

Gianfranco Ferroni per ilgiornaleditalia.it il 9 settembre 2021. “Perché mai il vaccino, non obbligatorio, è gratis mentre i tamponi sono a pagamento? La Corte dei Conti non ha nulla da dire in tema di danno erariale?” Sono temi al centro di discussioni all’interno di think-tank frequentati da economisti e giuristi liberali, ma in giro non ne sentirete parlare, per colpa della stampa mainstream interessata solamente alle faziosità politiche e al fascino tutto straniero  del “green pass”, ovvero il certificato verde: invece si tratta di questioni da evidenziare, per chi ha a cuore le ormai dimenticate norme che dovrebbero esistere in una nazione che in teoria è democratica, inserita tra quelle che adottano il libero mercato.

Vaccino gratis e danno erariale, argomento per la Corte dei Conti. Il vaccino non obbligatorio che cosa è? Rientra tra le prestazioni di servizi e cure richieste volontariamente dal cittadino, che non a caso firma pile di fogli prima di far inserire l’ago nel suo braccio, dichiarando il suo stato di salute e assumendosi la responsabilità di quanto affermato, Prestazione che deve essere pagata, in quanto non obbligatoria, come il tampone. Invece, questo non succede: il vaccino è gratuito, il tampone si paga. Una asimmetria perfetta, che viola tutte le leggi del mercato oltre che della logica: in più ogni persona che si fa due conti in tasca riflette su come è più conveniente agire, tra prendere subito un vaccino senza spendere un centesimo o procedere nel tempo con i tamponi per assicurarsi una vita normale, spendendo ogni 24 ore cifre non irrisorie, con una risposta deduttiva facilmente intuibile. E qui entra il tema della magistratura contabile: siamo di fronte a un danno erariale, se lo stato rinuncia a chiedere un corrispettivo in cambio della prestazione di un servizio. Dove il prezzo dovrebbe almeno coprire le spese sostenute per l’acquisto, quindi la distribuzione sul territorio nazionale, la conservazione nei frigoriferi fino all’iniezione finale nel corpo del contribuente, sempre mediata da figure professionali qualificate come medici e farmacisti, visto che non è possibile il “fai da te”. Quale amministrazione eroga una prestazione senza farsi pagare? Chi entra in un tribunale per un atto di volontaria giurisdizione, per esempio, versa diverse centinaia di euro, come minimo, per un diritto. Il tema è sostanziale, oltre che di forma, perché riguarda le casse dello stato e il diritto amministrativo (e non solo). Ma in questi tempi tanti principi giuridici sono stati sospesi. Pardon, calpestati. Non da oggi, purtroppo: ho davanti a me un libro del 1973, scritto da Corrado Pallenberg, intitolato “Culla del diritto, tomba della giustizia”, con la prefazione di Giuseppe Branca.

(ANSA il 2 settembre 2021) Nessuna telefonata fra il premier Mario Draghi e il leader della Lega Matteo Salvini per commentare il voto sul Green Pass. I rapporti tra Salvini e Draghi erano e rimangono più che cordiali, e nei prossimi giorni si rivedranno per concordare e organizzare l'impegnativa agenda di riforme per l'autunno, da quella della Pubblica Amministrazione a quella degli appalti, dalla riforma fiscale a quella previdenziale. E' quanto riferiscono fonti della Lega.

Alessandro Barbera e Alberto Mattioli per “La Stampa” il 2 settembre 2021. Sulle prime Mario Draghi reagisce alla notizia con un misto di irritazione e stupore. In casi come questi il tempo che intercorre fra la riflessione e la telefonata è breve. Chiama al cellulare Matteo Salvini, in vacanza a Pinzolo. La distanza da Roma è sufficiente per offrire al leader leghista il margine per abbozzare una risposta rassicurante. Il commento che trapela poco dopo dalle fonti ufficiali di Palazzo Chigi è la quintessenza del draghismo: «Non siamo particolarmente preoccupati per l'accaduto». Il commento in viva voce di Salvini è ancor più rassicurante: «Non si tratta di essere no vax o no Green pass, ho sia l'uno che l'altro». Il caso del voto dei deputati leghisti in Commissione Affari sociali insieme a Fratelli d'Italia e alla pattuglia di fuoriusciti del Movimento Cinque Stelle contro il passaporto vaccinale è già derubricato alla voce «Lega di lotta e di governo». A Palazzo Chigi sapevano che le dimissioni imposte al sottosegretario Claudio Durigon sarebbero costate un prezzo politico, e così è stato. C'è di più: già da ieri mattina Draghi aveva convocato una conferenza stampa per oggi con i ministri della Sanità e della Scuola, Roberto Speranza e Patrizio Bianchi. Quello sarà il momento in cui il premier ribadirà quel che va dicendo dal primo giorno a Palazzo Chigi: gli italiani hanno diritto alla normalità, le scuole devono riprendere regolarmente le lezioni, e le vaccinazioni dovranno procedere fino a quando il Covid non si trasformerà in un fenomeno influenzale. Il passaporto vaccinale è funzionale a questi obiettivi, e dunque non è in discussione. Per Draghi il flop delle manifestazioni di ieri dei no vax è la dimostrazione che la gran parte degli italiani la pensa come lui. Se qualcuno fra i partiti che lo sostengono sposa quelle tesi, è solo per accreditarsi presso quella minoranza. Salvini, il quale aveva dato pieno mandato ai suoi per votare quell'emendamento, sapeva benissimo che non avrebbe creato alcuna seria conseguenza politica al governo. Per paradosso il caso green pass sembra aver lasciato più scorie dentro alla Lega che nella maggioranza. Mezzo partito, quello al governo e dei governatori non ha gradito per nulla il voto alla Camera. Ufficialmente nessuno si espone. «No comment» dal presidente friulano Massimiliano Fedriga, colui che da numero uno della conferenza dei governatori aveva lungamente trattato per ammorbidire il provvedimento. Non commenta nemmeno il veneto Luca Zaia, un altro opportunamente lontano dal lavoro al momento del fattaccio: sta rappresentando la Regione all'inaugurazione della Mostra del Cinema dove si proietta l'ultimo film di Pedro Almodovar. Tace, come spesso accade in questi casi, anche il superdraghiano ministro dello Sviluppo Giancarlo Giorgetti. Eppure da molte fonti anonime trapela la sorpresa, per dirla con un eufemismo, per un voto che va contro quanto stabilito in Consiglio dei ministri e che, in un contesto diverso, avrebbe potuto mettere a rischio la stabilità del governo. Ancora una volta, dopo la famigerata manifestazione di fine luglio contro il passaporto, si allarga fino a diventare un abisso il divario fra l'ala moderata e governativa del partito e quella movimentista dei Borghi, i Bagnai, coloro i quali vedono il Draghi I come una parentesi da chiudere il prima possibile. L'irritazione dei primi è palpabile, sia pure declinata in formule di varia prudenza democristiana: «perplessità», «stupore», «disappunto» sono gli eufemismi ricorrenti, conditi dalla preoccupazione per la tenuta della maggioranza. Un importante leghista non di lotta ma di governo, sbotta: «Sono sbalordito. Evidentemente questi che votano contro il Green pass non hanno mai visto un reparto di terapia intensiva». L'aspetto più delicato del voto di ieri in Commissione è squisitamente politico: dentro ai tre grandi partiti della larghissima maggioranza - Cinque Stelle, Lega e Partito democratico - convivono due anime sempre più in conflitto fra loro. Quando il conflitto non emerge fra di loro, uno degli altri partiti ne approfitta per sottolinearlo: «La Lega si è scissa», gongola il ministro dell'Agricoltura Stefano Patuanelli, fedelissimo di Giuseppe Conte. E se nel caso della Lega l'anima movimentista è fuori del governo, per il Pd la faccenda è ancora più seria. E' di ieri mattina il caso del decreto delocalizzazioni, fortemente voluto dal ministro del Lavoro Andrea Orlando e sostenuto dal vicesegretario Beppe Provenzano. Se ne parla da settimane, eppure continua a slittare. In giornata una fonte di Palazzo Chigi lo precisa senza troppi giri di parole: «Contrariamente a quanto riportato da alcune agenzie di stampa, il Consiglio dei ministri non reca all'ordine del giorno provvedimenti in tema di delocalizzazioni». Se ne parlerà, forse, la prossima settimana. Il semestre bianco è appena iniziato e non sarà una passeggiata.

Monica Guerzoni e Fiorenza Sarzanini per corriere.it il 3 settembre 2021. L’obbligo vaccinale non è più un tabù e potrebbe presto entrare in vigore in Italia. Quando? «Dopo l’estensione del green pass valuteremo», conferma la direzione di marcia il ministro della Salute, Roberto Speranza. Ad aprire la strada sono state le dichiarazioni del presidente del Consiglio Mario Draghi sulla possibilità di imporre l’immunizzazione contro il Covid 19 a tutti gli italiani. Ieri Speranza ha detto che «l’obbligo vaccinale nel nostro Paese è già disposto da una norma primaria per quanto riguarda il personale sanitario». L’ipotesi è che possa essere deciso dopo le approvazioni definitive delle agenzie del farmaco, Ema ed Aifa, che al momento hanno dato il via libera all’utilizzo dei preparati in via emergenziale a causa dei tempi ristretti causati dalla crisi sanitaria. 

Ecco tutte le questioni da risolvere: 

Che cosa deve decidere Ema?

I vaccini hanno ottenuto un’autorizzazione condizionata per consentire l’immissione in commercio. Ora l’Agenzia europea per i medicinali (Ema) deve concedere l’autorizzazione definitiva. 

Quando arriverà la decisione?

La data non è stata fissata ma si prevede che possa arrivare entro la fine della prossima settimana.

Che cosa succederà dopo?

L’Aifa (Agenzia italiana del farmaco) deve recepire la decisione dell’Ema e fornire l’autorizzazione in commercio.

Per chi è previsto attualmente l’obbligo vaccinale?

Soltanto per medici e personale sanitario. 

E per il personale scolastico?

È previsto l’obbligo del green pass. 

Per l’obbligo vaccinale serve una legge?

L’articolo 32 della Costituzione «prevede la possibilità di imporre un trattamento sanitario obbligatorio attraverso una legge determinando così un obbligo generale per i cittadini». Il governo potrebbe scegliere la via del decreto, che sarebbe poi convertito in legge dal Parlamento.

Quali sanzioni potrebbero essere previste?

Per i lavoratori potrebbero essere previsti trasferimento e sospensione. Per i cittadini la strada potrebbe essere analoga a quella seguita per il green pass prevedendo una multa da 400 a 1000 euro.

Fiorenza Sarzanini e Monica Guerzoni per il “Corriere della Sera” il 10 settembre 2021. Con l'approvazione in Consiglio dei ministri del nuovo decreto il governo amplia l'uso del green pass nelle scuole, nelle università e nelle Rsa. Ecco le regole appena approvate e quelle già in vigore confermate dal Parlamento. Fino al 31 dicembre 2021, oltre al personale scolastico per cui era già stato previsto, deve avere il green pass «chiunque accede a tutte le strutture delle istituzioni scolastiche, educative e formative». Nel decreto è specificato che sono esentati «i bambini, gli alunni, gli studenti e i frequentanti i sistemi regionali di formazione, ad eccezione di coloro che prendono parte ai percorsi formativi degli Istituti tecnici superiori». Dunque, oltre ai dipendenti delle ditte esterne (pulizie, mense, manutenzione) devono avere la certificazione anche i genitori che entrano negli istituti per accompagnare o riprendere i figli, o per partecipare alle riunioni e ai colloqui con i docenti. Oltre agli studenti, ai docenti e al personale amministrativo, per cui era già stato previsto, la stessa regola vale per gli atenei e dunque deve avere il green pass «chiunque accede alle strutture appartenenti alle istituzioni universitarie e dell'alta formazione artistica musicale e coreutica, nonché alle altre istituzioni di alta formazione collegate alle università». Il controllo è affidato ai dirigenti scolastici. Ma il decreto prevede che «nel caso in cui l'accesso alle strutture sia motivato da ragioni di servizio o di lavoro, la verifica sul rispetto delle prescrizioni deve essere effettuata anche dai rispettivi datori di lavoro». I lavoratori esterni e i genitori che non hanno il green pass rischiano la multa da 400 a 1.000 euro. Per il personale la mancanza di green pass è considerata invece «assenza ingiustificata e, a decorrere dal quinto giorno di assenza, il rapporto di lavoro viene sospeso, e non sono dovuti la retribuzione né altro compenso». Dal 10 ottobre scatta «l'obbligo vaccinale anche per tutti i soggetti esterni che svolgono, a qualsiasi titolo, la propria attività lavorativa nelle strutture Rsa». Non solo per medici e infermieri dunque. I responsabili delle Rsa e «i datori di lavoro dei soggetti che a qualunque titolo svolgono attività lavorativa sulla base di contratti esterni assicurano il rispetto dell'obbligo». «Agli esercenti le professioni sanitarie e agli operatori di interesse sanitario nonché ai lavoratori dipendenti delle Rsa si applicano le sanzioni e la sospensione della prestazione lavorativa, comporta che non sono dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento e mantiene efficacia fino all'assolvimento dell'obbligo vaccinale o, in mancanza, fino al completamento del piano vaccinale nazionale e comunque non oltre il 31 dicembre 2021». Rimane in vigore l'obbligo nei seguenti luoghi chiusi: 

1) servizi di ristorazione svolti da qualsiasi esercizio per il consumo al tavolo, al chiuso. 2) spettacoli aperti al pubblico, eventi e competizioni sportive;

3) musei, altri istituti e luoghi della cultura e mostre;

4) piscine, centri natatori, palestre, sport di squadra, centri benessere, anche all'interno di strutture ricettive, limitatamente alle attività al chiuso;

5) sagre e fiere, convegni e congressi;

6) centri termali (ad eccezione di chi effettua prestazioni sanitarie), parchi tematici e di divertimento;

7) centri culturali, centri sociali e ricreativi, limitatamente alle attività al chiuso e con esclusione dei centri educativi per l'infanzia, compresi i centri estivi, e le relative attività di ristorazione;

8) attività di sale gioco, sale scommesse, sale bingo e casinò;

9) concorsi pubblici.

10) mense aziendali.

11) ristoranti degli alberghi se si tratta di clienti esterni.

Dal 1° settembre il green pass è obbligatorio sui seguenti mezzi di trasporto: Tav, Intercity o Intercity notte. L'addetto alle Ferrovie verifica il possesso del certificato. Navi e traghetti interregionali. Fanno eccezione i collegamenti marittimi dello Stretto di Messina che, pur essendo tra due regioni diverse, seguono le regole previste per il trasporto pubblico locale. Voli nazionali e internazionali. Autobus che collegano più di due regioni e che effettuano tratte turistiche più lunghe e su quelli per servizi di noleggio con conducente.

Federico Capurso per “La Stampa” il 10 settembre 2021. Da oggi, anche per entrare nelle scuole servirà il Green pass. Non solo per treni, ristoranti, cinema, teatri. Nei palazzi di Camera e Senato, invece, l'idea di un certificato per i parlamentari procede a fatica. Una delibera dei questori lo ha reso necessario solo per accedere alla mensa, alla biblioteca, alle conferenze stampa e nelle sale per le cerimonie. In Aula, però, si può ancora entrare senza. Deputati e senatori, tornati dalle ferie, hanno iniziato a discutere su come fare per introdurre il certificato verde anche da loro. Deve riunirsi la Giunta per il Regolamento? C'è chi dice sia più rapido un vertice dei capigruppo. Qualcun altro obietta: «Si riunisca l'Ufficio di presidenza!». E così si interrogano, da giorni, ognuno appeso al suo cavillo da azzeccagarbugli. Avrebbero potuto dare l'esempio. Invece hanno dato quello sbagliato.

Le contraddizioni della lotta al Covid. Il Green pass è necessario, ma chi controlla i controllori? Giuseppe Pedersoli su Il Riformista il 3 Settembre 2021. Cinquanta sfumature di Covid. Acciaroli è da tempo il buen retiro estivo per migliaia di napoletani e quello che è accaduto squarcia il velo su una questione che, a quanto pare, nemmeno gli epidemiologi–star fino a oggi hanno sollevato: chi controlla il controllore? Decine di decreti e di ordinanze per la tutela della salute pubblica hanno imposto una serie di divieti e prescrizioni “onerose” e la polemica sul green pass obbligatorio è ancora in corso. Con mascherine, separazioni e distanze, guanti, tamponi (da pagare o gratuiti) e vaccini, si tenta di ritornare a una pseudo-normalità. Solo a scuola, magari, i dirigenti scolastici devono verificare e attestare l’immunità del personale dipendente. In moltissimi altri casi, quest’obbligo non sussiste. E se il sindaco Stefano Pisani pubblica un post sui social, il caso è serio e inquietante: titolare e dipendenti di un noto esercizio commerciale di Acciaroli (Comune di Pollica), nel Cilento, sono risultati positivi al Covid. Dei sette positivi, cinque non erano vaccinati. Il primo cittadino, molto sensibile al tema della pandemia, è stato coraggioso ed è da apprezzare: il 3 e 4 ottobre si terranno le elezioni amministrative che lo vedranno candidato per la terza volta (è il cosiddetto “erede” di Angelo Vassallo, il sindaco–pescatore ucciso per motivi ancora da scoprire). Pisani non ha timore di suscitare la rabbia dei suoi concittadini, le cui inadempienze sono ora rese pubbliche. L’esercizio commerciale chiuso, nel rispetto dei protocolli anti-Covid, è rinomato, quelle saracinesche abbassate fanno molto rumore. Centinaia, forse migliaia di persone al giorno accedevano per consumare e acquistare, la produzione è molto apprezzata e agli habitué di Acciaroli manca molto quell’area di ristoro. Ma sapere che dei sette positivi cinque non erano vaccinati, preoccupa. Le ordinanze del governatore Vincenzo De Luca sono severe, in materia di virus. Il caso è tuttavia emblematico. Nessuno ha ancora stabilito che il personale sui treni, il ristoratore, il titolare di esercizi commerciali che sono tenuti a vigilare sul rispetto delle regole devono essere d’esempio per tutti i controllati. Se voglio accedere alla sala del ristorante devo essere in possesso dei requisiti. Ma l’addetto che verifica i miei requisiti, a sua volta, è in regola con le norme? In altre parole, può un non vaccinato impedirmi l’accesso al locale se egli stesso è di pericolo per gli avventori? Anche i carabinieri, i poliziotti e i finanzieri sono tenuti a esibire il tesserino di riconoscimento. Massimo rispetto per il cameriere che si prodiga per accertarsi circa la validità del mio green pass, ma se quel cameriere fosse un no vax? Sarebbe utile (a mio parere è indispensabile) un avviso pubblico all’ingresso del locale, sia esso un bar o una trattoria, un supermercato o un semplice negozio al dettaglio: «Il titolare e i suoi dipendenti sono tutti muniti di green pass valido fino al 30 settembre».  Vox populi diffonde la notizia che il titolare dell’attività chiusa sia un convinto no vax. Non è importante, in questo caso, verificare l’attendibilità della notizia. Quanto accaduto, piuttosto, deve servire a stabilire un principio: voglio che chi mi controlla sia vaccinato. O, almeno, che mi avvisi di non esserlo. Siamo in democrazia, ciascuno è libero di comportarsi come ritiene. Prima di entrare in quel locale, però, vorrei sapere. Giuseppe Pedersoli 

Da "corriere.it" il 3 settembre 2021. «Nelle classi ci sarà sempre qualcuno di non vaccinato. E questo creerà una situazione di disagio, con il rischio di emarginazione da parte dei ragazzi che vorrebbero levare la mascherina». È questo l'allarme lanciato dal presidente dell'Associazione Nazionale Presidi, Antonello Giannelli, dopo l'annuncio dei ministri Speranza e Bianchi della possibilità di abbassare le mascherine nelle classi in cui tutti gli studenti sono vaccinati. «Si pensi, per esempio, se in una classe di 25 studenti c'è solo uno senza vaccino - sottolinea all'Ansa -, come si sentirà questo ragazzo?». «Fermo restando che aspiriamo tutti a tornare a una situazione di normalità, resta il fatto che né i dirigenti né i docenti possono avere informazioni sullo stato di vaccinazione di un alunno. Come facciamo dunque a saperlo?», si chiede ancora Giannelli. «Si potrebbe ovviare con una super app, come quella che dovrà essere varata per i docenti, con cui si può sapere quali sono le classi completamente vaccinate senza dover chiedere ad ognuno certificati o documentazioni», conclude il presidente dell'Anp. Ad esprimere dubbi sull'annuncio di Speranza e Bianchi è anche il sottosegretario all'Istruzione Rossano Sasso: «Mi permetto di sollevare delle questioni pratiche. Intanto ci sono classi in cui sono presenti contemporaneamente minori di 12 anni, che non hanno la possibilità di vaccinarsi non esistendo un protocollo approvato per i più piccoli, e ragazzi più grandi: in questo caso, quindi, l'abbassamento delle mascherine non sarebbe comunque possibile e si rischierebbe di creare gruppi contrapposti di studenti». Altra criticità - prosegue il sottosegretario leghista — è il rischio che «i compagni indichino un alunno come responsabile dell'obbligo delle mascherine, creando una potenziale situazione di bullismo o discriminazione». A intervenire sull'intenzione del ministro Bianchi di far togliere le mascherine nelle classi in cui tutti i ragazzi sono vaccinati è la sottosegretaria all'Istruzione Barbara Floridia, che all'Adnkronos sottolinea: «Condivido l'obiettivo. Non credo possa entrare in vigore nell'immediato perché sono necessarie ulteriori valutazioni e va sempre considerato l'andamento dei contagi». Detto questo occorre una valutazione approfondita - rimarca Floridia — : «Il mio timore è che si possano creare discriminazioni tra gli studenti non essendo possibile, a normativa vigente, sapere se gli studenti e le studentesse siano vaccinati o meno e soprattutto non possiamo rischiare di vanificare gli sforzi che abbiamo profuso per portare i ragazzi in presenza per l'intero anno scolastico». 

La decisione dei giudici amministrativi del Lazio. Il Tar boccia i prof "no green pass": “Corretto sospenderli senza stipendio se privi di certificato”. Fabio Calcagni su Il Riformista il 2 Settembre 2021. Per docenti e personale scolastico sulle barricate contro il green pass obbligatorio a scuola, dal Tar del Lazio arriva una risposta che non farà piacere. I giudici amministrativi della Terza sezione hanno infatti respinto il ricorso presentato dall’Anief contro i provvedimenti del ministero dell’Istruzione che disciplinano il possesso del Green pass. Il diritto del personale scolastico a non vaccinarsi “non ha valenza, né può essere inteso come intangibile, avuto presente che deve essere razionalmente correlato e contemperato con gli altri fondamentali, essenziali e poziori interessi pubblici quali quello attinente alla salute pubblica a circoscrivere l’estendersi della pandemia e a quello di assicurare il regolare svolgimento dell’essenziale servizio pubblico della scuola in presenza”, si legge infatti nel decreto del Tar. “In ogni caso – sottolineano i giudici – il predetto diritto è riconosciuto dal legislatore il quale prevede in via alternativa la produzione di un test molecolare o antigenico rapido con risultato negativo al virus Sars-Cov 2”.

CORRETTA LA SOSPENSIONE DEI DOCENTI SENZA CERTIFICATO – Ancora nel decreto firmato dai giudici la sospensione automatica dal lavoro e dalla retribuzione “e la mancata adibizione del personale scolastico ad altre e diverse mansioni” in caso di mancato possesso del green pass viene definita “correttamente e razionalmente giustificabile alla luce della tipicità delle mansioni del personale scolastico, specie di quello docente”. In particolare, si legge ancora nei decreti, “relativamente alla prospettata illegittimità degli impugnati provvedimenti nella parte in cui stabiliscono che i dipendenti privi di Green pass qualora non si procurino il documento perdono anche il trattamento retributivo anche per le prestazioni espletate prima della sospensione, il danno prospettato e’ meramente patrimoniale e ristorabile integramente e, pertanto, certamente non puo’ configurare quella situazione di estrema gravità ed urgenza tale da giustificare la sospensione per tale aspetto dei gravati provvedimenti”.

COSTO TAMPONE A CARICO DEL DOCENTE – Quanto al costo del tampone per i docenti non vaccinati, “non appare irrazionale che il costo del tampone venga a gravare sul docente che voglia beneficiare di tale alternativa”, scrivono i giudici del Tar.

CONTROLLORI NON VIOLANO LA PRIVACY – Nessun addebito, rileva il decreto che boccia il ricorso dell’Anief, “potrà essere imputato al personale docente che, nell’effettuare il controllo in ordine al possesso della certificazione verde, abbia riportato fedelmente l’esito degli stessi al dirigente scolastico”. Insomma, non vi è alcuna “violazione delle norme anche comunitarie concernenti la protezione dei dati personali”, anche se tale aspetto “dovrà disciplinato dal Dpcm che dovrà essere adottato, sentito il Garante per la protezione dei dati personali”.

Fabio Calcagni. Napoletano, classe 1987, laureato in Lettere: vive di politica e basket.

Luca Fazzo per “il Giornale” il 3 settembre 2021. «É la solita storia», protesta l'ex presidente della Corte Costituzionale Giovanni Maria Flick: «Quella che rende difficili le cose semplici passando per quelle inutili». Il contenzioso legale sul green pass, risolto - ma solo per il momento - dal decreto del Tar del Lazio che boccia il ricorso degli antivaccinisti, si sarebbe potuto evitare facilmente: «Bastava rendere obbligatoria la vaccinazione. È una strada che la Costituzione prevede espressamente in una montagna di norme, e che si è scelto di non prendere. Forse si è preferito scegliere la strada della persuasione, o forse ha pesato la eterogenità della maggioranza. Non lo so e non mi riguarda. Quello che vedo è che la conseguenza sono contenziosi surreali come questo innescato davanti a Tar del Lazio, in cui si contesta al governo di avere applicato una legge. Ma si può?».

Però i no vax, nel loro ricorso, sostengono che sono stati compressi diritti fondamentali dell'individuo.

«Ma bisogna leggerlo bene l'oggetto del ricorso! A venire impugnati davanti a Tar del Lazio sono stati i provvedimenti con cui il ministero dell'Istruzione applicava il decreto legge 52 dell'aprile scorso. È una legge dello Stato di cui i decreti ministeriali sono una semplice attuazione. È una legge ingiusta, anticostituzionale? Allora dovevano prendersela con la legge, o poteva essere il giudice del Tar a sollevare di sua iniziativa una questione di legittimità. Tutto questo non è avvenuto. La legge è in vigore, ed è essa a prevedere al primo e secondo comma dell'articolo 9 che il personale scolastico è tenuto a esibire la certificazione verde, altrimenti è considerato assente ingiustificato e perde il diritto allo stipendio. I provvedimenti impugnati davanti al Tar non facevano che dare corso a questa norma».

I ricorrenti chiedevano almeno una sospensione del decreto in attesa della sentenza definitiva, per evitare conseguenze irreparabili.

 «Quali? Si parla solo di sospensione dello stipendio che è rimborsabile. Il giudice ha fissato la discussione nel merito per il 5 ottobre. Direi che in un mese non può accadere nulla cui non si possa rimediare, se mai il ricorso dovesse venire accolto». 

Intanto però senza green pass non si sale neanche sul Frecciarossa.

«L'articolo 16 della Costituzione prevede che si possa limitare la libertà di circolazione quando mette a rischio la sanità o la sicurezza. Davvero qualcuno riesce a immaginare una situazione in cui più di oggi sia applicabile questo precetto? Il percorso delle decisioni è inevitabile: la scienza è chiamata a fornire le indicazioni, e lo ha fatto in modo chiaro; certo, la scienza può sbagliare, ma gli sbagli in questa vicenda sono stati del tutto marginali. Una volta che la scienza ha parlato, è la politica a dover decidere sulle sue proposte, a doversi prendere le proprie responsabilità. E deve farlo muovendosi in un unico alveo, che è quello delle garanzie costituzionali. Non mi stancherò mai di ricordare che per l'articolo 32 della Costituzione il diritto alla salute non è solo un diritto fondamentale per ciascuno ma anche per tutti gli altri, un interesse della comunità che se necessario può prevalere sul diritto del singolo. Il decreto legge 52 non faceva altro che muoversi su questa strada, e i provvedimenti ministeriali non hanno fatto altro che dargli pratica attuazione. Poi possiamo perderci quanto vogliamo in discussioni complicatissime ed affascinanti, ma la realtà è che siamo nel pieno di una pandemia e forse non è il momento di parlare di filosofia. Certo, se la comunicazione da parte di tutti, soprattutto scienziati e politici, fosse stata più chiara sarebbe stato più difficile che gli alfieri della contestazione vi si infilassero con i loro slogan».

Da Ansa.it il 18 agosto 2021. «Grazie a Dio e al lavoro di molti oggi abbiamo vaccini per proteggerci dal Covid-19. Questi danno la speranza di porre fine alla pandemia ma solo se sono disponibili per tutti e se collaboriamo gli uni con gli altri». Così il Papa nel Videomessaggio ai popoli sulla campagna di vaccinazione contro il Covid-19. «Vaccinarsi, con vaccini autorizzati dalle autorità competenti, è un atto di amore - dice -. E contribuire a far sì che la maggior parte della gente si vaccini è un atto di amore». «Vaccinarci è un modo semplice ma profondo di promuovere il bene comune e di prenderci cura gli uni degli altri, specialmente dei più vulnerabili». «Con spirito fraterno, mi unisco a questo messaggio di speranza in un futuro più luminoso», afferma il Pontefice nel videomessaggio in spagnolo. «Grazie a Dio e al lavoro di molti, oggi abbiamo vaccini per proteggerci dal Covid-19 - osserva -. Questi danno la speranza di porre fine alla pandemia, ma solo se sono disponibili per tutti e se collaboriamo gli uni con gli altri». «Vaccinarsi, con vaccini autorizzati dalle autorità competenti, è un atto di amore - prosegue Francesco -. E contribuire a far sì che la maggior parte della gente si vaccini è un atto di amore. Amore per sé stessi, amore per familiari e amici, amore per tutti i popoli. L'amore è anche sociale e politico, c'è amore sociale e amore politico, è universale, sempre traboccante di piccoli gesti di carità personale capaci di trasformare e migliorare le società (cfr. Laudato si', n. 231, cfr. Fratelli tutti, 184)». «Vaccinarci è un modo semplice ma profondo di promuovere il bene comune e di prenderci cura gli uni degli altri, specialmente dei più vulnerabili», aggiunge il Papa. «Chiedo a Dio che ognuno possa contribuire con il suo piccolo granello di sabbia, il suo piccolo gesto di amore - conclude -. Per quanto piccolo sia, l'amore è sempre grande. Contribuire con questi piccoli gesti per un futuro migliore. Che Dio vi benedica e Grazie!». Il videomessaggio, che è stato diffuso nel quadro della campagna internazionale "De ti depende" ("Dipende da te") per la vaccinazione anti-Covid, vede la partecipazione anche di alcuni esponenti della Chiesa cattolica del Continente americano: mons. José Horacio Gomez Velasco, arcivescovo di Los Angeles; card. Carlos Aguiar Retes, arcivescovo di Città del Messico; card. Oscar Rodriguez Maradiaga, arcivescovo di Tegucigalpa; card. Claudio Hummes, arcivescovo emerito di San Paolo del Brasile; card. José Gregorio Rosa Chavez, vescovo ausiliare di San Salvador; mons. Hector Miguel Cabrejos Vidarte, arcivescovo di Trujillo, Perú. 

Anticorpi stabili sette mesi dopo il virus. Ma il passaporto verde dura nove mesi. Antonio Caperna l'8 Agosto 2021 su Il Giornale. La scoperta potrebbe avere ripercussioni sulla scadenza del green pass e avere ricadute anche sul dibattito in corso sulla terza dose di vaccino. Barcellona. Arriva dalla Spagna una nuova scoperta sulla protezione anti Covid dell'organismo, che potrebbe avere ripercussioni anche sulla scadenza del green pass e nel dibattito sulla terza dose. Il Barcelona Institute for Global Health (ISGlobal), un'istituzione sostenuta dalla Fondazione «la Caixa», in collaborazione con la Clinica Ospedaliera di Barcellona ha scoperto, infatti, che i livelli di anticorpi IgG contro la proteina spike rimangono stabili, o addirittura aumentano, sette mesi dopo l'infezione, secondo uno studio di follow-up in una coorte di operatori sanitari. I risultati, pubblicati su Nature Communications, supportano anche l'idea che gli anticorpi preesistenti contro i comuni coronavirus del raffreddore potrebbero proteggere dal Covid. Il team guidato dalla dottoressa Carlota Dobaño, ricercatrice ISGlobal, ha analizzato campioni di sangue di 578 partecipanti, prelevati in quattro diversi momenti tra marzo e ottobre 2020 presso la Clinica Ospedaliera (studio SEROCOV). È stata utilizzata la tecnologia Luminex per misurare, nello stesso campione, il livello e il tipo di anticorpi IgA, IgM e IgG contro 6 diversi antigeni SARS-CoV-2 e la presenza di anticorpi contro i quattro coronavirus, che causano il raffreddore comune nell'uomo. Lo studio, che ha ricevuto finanziamenti dalla rete europea per l'innovazione EIT Health, ha anche analizzato l'attività neutralizzante degli anticorpi in collaborazione con i ricercatori dell'Università di Barcellona. Ad eccezione degli anticorpi IgM e IgG contro il nucleocapside (N), il resto degli anticorpi IgG (compresi quelli con attività neutralizzante) è rimasto stabile nel tempo, confermando i risultati di altri studi recenti. «Piuttosto sorprendentemente abbiamo persino visto un aumento degli anticorpi IgG anti spike nel 75% dei partecipanti dal quinto mese in poi, senza alcuna prova di riesposizione al virus», afferma Gemma Moncunill, co-autrice senior dello studio. Nessuna reinfezione è stata osservata nella coorte. Secondo i ricercatori questi dati possono esser estrapolati anche alle persone vaccinate, benché gli anticorpi dopo la malattia dipendano da vari fattori: «I vaccini ottimizzano notevolmente la risposta immunitaria - evidenzia l'esperta - Da quanto sappiamo finora, gli anticorpi generati dopo la vaccinazione sono molto più resistenti e duraturi di quelli post infezione. Per questo motivo si raccomanda che le persone, che hanno già superato la malattia, ricevano almeno una dose del vaccino, per avere una risposta immunitaria più robusta». Lo studio ha ricadute anche sulla scelta della terza dose, che vede per ora la Spagna in una fase interlocutoria. «In questo momento non abbiamo alcuna prova che sia necessaria almeno per tutta la popolazione - sottolinea MoncunillC- L'unica eccezione potrebbe essere quella più suscettibile, come le persone immunodepresse o gli anziani. In questi casi, le due dosi somministrate finora potrebbero aver generato una risposta più scarsa di quanto si pensasse». Per quanto riguarda gli anticorpi contro i coronavirus umani del raffreddore (HCoV), i risultati dello studio suggeriscono che potrebbero conferire una protezione crociata contro l'infezione o la malattia da Covid. Le persone che sono state infettate da SARS-CoV-2 avevano livelli più bassi di anticorpi HCoV. Inoltre, gli individui asintomatici avevano livelli più elevati di IgG e IgA anti-HCoV rispetto a quelli con infezioni sintomatiche. «Sebbene la protezione crociata da parte dell'immunità preesistente ai comuni coronavirus del raffreddore debba ancora essere confermata sostiene la dottoressa Dobaño - ciò potrebbe aiutare a spiegare le grandi differenze nella suscettibilità alla malattia all'interno della popolazione». Antonio Caperna

La sinistra e il Green pass: le diverse visioni in Francia, Italia e Germania. Andrea Muratore su Inside Over il 10 agosto 2021. Nelle ultime settimane la polarizzazione politica attorno alle misure di contrasto al Covid-19 si è amplificata in Italia sulla scia dell’introduzione del green pass per l’accesso a locali, eventi e spazi chiusi in presenza di potenziali assembramenti. Nonostante una spinta decisiva per l’introduzione di una misura di compromesso sia venuta in seno al governo Draghi da Forza Italia le forze del centro-sinistra hanno teso a mettere il cappello sul green pass rivendicandolo come un proprio successo e spingendo avanti una narrazione secondo cui le forze di destra, la Lega e l’opposizione di Fratelli d’Italia in testa, ne sarebbero sostanzialmente avversari per incoscienza, danneggiando così il contrasto alla pandemia. La situazione è in realtà molto più complessa. E uno sguardo all’Europa sembra confermare quanto dichiarato dal giornalista Pietrangelo Buttafuoco in una recente intervista a La Verità, in cui ha sottolineato che la polarizzazione ideologica attorno al green pass rischia solo di trasformarlo in un tema divisivo e far venire meno il suo ruolo di incentivo e acceleratore delle campagne vaccinali. Se non bastasse l’iter applicativo del green pass seguito in Italia a confermarlo, le voci provenienti dal resto del Vecchio Continente segnalano come posizionare sull’asse destra-sinistra il discorso sul green pass sia fuorviante. In Francia, ad esempio, alcune delle misure inizialmente più rigorose del passaporto sanitario proposto da Emmanuel Macron hanno ricevuto la feroce critica di Jean-Luc Mélenchon, ex candidato presidente del partito di sinistra La France Insoumise e abile tribuno politico, che ha utilizzato argomenti paragonabili se non addirittura più duri di quelli che in Italia ha fatto propri Giorgia Meloni: per il leader della sinistra radicale transalpina “l’introduzione del Pass Sanitaire non è una misura sanitaria come le altre. Crea una società di controllo permanente che è insopportabile e assolutamente iniqua. È tempo di rinsavire”. Non è da escludere che le critiche di Mélenchon, assieme agli appunti del Consiglio di Stato, siano state decisive per spingere Macron a rivedere in senso più pragmatico e attuabile le misure per la certificazione verde. A loro modo sono stati critici anche gli esponenti del redivivo Partito Socialista, che hanno definito il passaporto sanitario una foglia di fico con cui Macron vuole evitare l’introduzione della vaccinazione obbligatoria anti-Covid. Anche in Spagna le sfumature sono numerose. Carolina Darias, ministro della Salute del governo di Pedro Sanchez, di cui è compagna di partito in campo socialista, ha momentaneamente escluso l’ipotesi di varare una riforma volta a introdurre un pass nazionale, complici le eterogeneità politiche e culturali della nazione iberica. Per quanto abbia sottolineato che il governo non ha intenzione di “rinunciare a nulla” e che “le comunità autonome hanno facoltà di richiedere questo tipo di documentazione o altro” la Darias non intende assumersi la responsabilità di una scelta potenzialmente divisiva visti i diversi andamenti del contagio e della vaccinazione nel Paese. E soprattutto ha compiuto la saggia decisione di non dare un cappello politico alla manovra o di mettere all’indice chi, pur in forma dissimile, ha posto in essere critiche. Del resto in Spagna la situazione resta a macchia di leopardo: il green pass europeo serve per andare all’estero, ma all’interno del Paese solo Galizia e Canarie lo adottano per consentire l’accesso ai locali. E del resto il governo iberico si trova di fronte a una situazione già di per sé delicata per la pioggia di ricorsi seguiti alla dichiarazione della Corte Costituzionale sull’incostituzionalità del primo lockdown del 2020, a cui ulteriori misure rischiano di aggiungere nuove tensioni. Cosa dimostrano i casi di Francia e Spagna, ma a suo modo anche l’Italia? Che anche nella questione del green pass si sta riproponendo una pervasiva polarizzazione ideologica legata al fatto che, in sostanza, è impossibile dare validazione scientifica oggettiva a una mossa governativa e politica. La politica, infatti, compie per definizione scelte discrezionali passabili di critiche o aggiustamenti: e non a caso nel quadro delle lotte anti-Covid le forze istituzionali si posizionano sempre più sull’asse maggioranza/opposizione che su un presunto dualismo tra scientificità e opinioni. Il green pass è un atto discrezionale e politico, e non c’è nulla di male ad ammetterlo. In Italia la china problematica è quella di un certo centro-sinistra che non interpreta la misura in forma pragmatica, ma come una sorta di meccanismo punitivo, mettendo all’indice le voci critiche (pensiamo a Massimo Cacciari) piuttosto che puntare su un messaggio positivo e realista. Come del resto ha sottolineato il ministro degli Affari Regionali, la forzista Mariastella Gelmini, il partito di Silvio Berlusconi ha chiesto che venisse “introdotto per evitare la chiusura di esercizi commerciali e un altro lockdown” come “uno strumento non per punire ma per tenere sotto controllo i contagi e mantenere gli spazi di libertà conquistate con tanta fatica”. Spostarsi da questa linea rischia di creare problematicità, specie in un contesto in cui, come dimostrano Francia e Spagna, ogni nazione fa storia a sé.

Chi viaggia senza green pass rischia la multa. Ma i controllori non sono obbligati a vaccinarsi. Enza Cusmai l'1 Settembre 2021 su Il Giornale. Serve un decreto ad hoc. I dipendenti Fs nelle stesse condizioni dei ristoratori. Il primo treno dell'era post Covid è un'Intercity partito alle 4,51 di questa mattina da Ventimiglia in direzione Milano. I viaggiatori, dopo essersi accomodati nei posti prenotati, con mascherine e igienizzante, avranno mostrato biglietto e green pass al capotreno che controlla con il suo tablet l'app rilasciata dal ministero della Salute. Vista l'ora della partenza, non sappiamo se ci sono state contestazioni su quel convoglio, ma ecco qual è la regola generale: se un passeggero non è munito di carta verde, viene immediatamente invitato dal controllore a spostarsi in una zona isolata del treno ed è costretto a scendere alla prima fermata. Nel caso di rifiuto, interviene Polfer o Forze dell'ordine che lo «convincono» ad abbandonare la carrozza con in tasca una multa che oscilla da 400 a 1.000 euro. Scene come questa potrebbero accadere quotidianamente visto che dalla mezzanotte è scattato il nuovo obbligo di avere il green pass per viaggiare sui treni ad alta velocità (Trenitalia e Italo), Intercity, Intercity Notte, Eurocity. Quasi tutti i treni viaggeranno all'80% della capienza: dei 500 sedili, per esempio, se ne potranno occupare ben 400. Un bel passo avanti rispetto a quando i posti a sedere erano dimezzati. E questo grazie alla vaccinazione di massa che ha raggiunto il 70% degli immunizzabili. Ma per garantire sicurezza e assenza di contagi nei treni, ogni passeggero deve esibire la sua carta verde dimostrando così di aver effettuato un tampone entro le 48 ore precedenti o di essere immunizzato con una o due dosi. In pratica, al viaggiatore si richiede la garanzia dell'assenza del virus in circolo. Ma, paradossalmente, le sacrosante regole di sicurezza non si applicano al personale ferroviario che praticamente vive sui treni. Per capitreno, personale di bar e ristorante, persino per il «pulitore viaggiante» (che è quello incaricato di disinfettare interruttori, maniglie, bagni, tavolini e sedili per tutta la durata del viaggio) non è richiesto il green pass. Come mai? Trenitalia spiega che per i 10 mila dipendenti che lavorano sui convogli, siano dipendenti diretti o indiretti, il decreto legge del 6 agosto non prevede alcun obbligo. In pratica, l'azienda, nonostante sia una società per azioni controllata dal Ministero dell'Economia, ha le mani legate e non può costringere i dipendenti a immunizzarsi, né a fare il tampone, è obbligatoria solo la mascherina. Per cancellare questa anomalia, serve un decreto che imponga a tutti coloro che stanno a contatto con il pubblico l'obbligo del green pass. E nella stessa condizione dei capitreno, ci sono anche i camerieri, i ristoratori, i dipendenti allo sportello degli uffici pubblici, delle banche. Più voci autorevoli hanno invocato l'obbligo dalle colonne di questo Giornale, ma ora è la politica, ministro Speranza in testa, che deve battere un colpo. Altrimenti si rischia di fare discriminazioni al contrario. Enza Cusmai

GREEN PASS, NUOVE REGOLE. OBBLIGATORIO DAL 1 SETTEMBRE. Francesca Lauri su Il Corriere del Giorno l'1 Settembre 2021. La Certificazione dovrà attestare di aver fatto almeno una dose di vaccino oppure essere risultati negativi a un tampone molecolare o rapido nelle 48 ore precedenti oppure di essere guariti da Covid-19 nei sei mesi precedenti. Il Green pass Italia avrà durata 12 mesi. Il Cts ha dato infatti semaforo verde alla proroga portando da 9 mesi ad 1anno la validità della scadenza del certificato verde Covid-19. Green Pass obbligatorio in Italia, da oggi mercoledì 1 settembre con le nuove regole per la certificazione digitale verde, la cui validità è stata prorogata a 12 mesi, che diventerà obbligatoria per accedere anche sui treni, traghetti, aerei. L’obbligo è stato esteso anche al personale scolastico e per accedere all’università.

Ma cosa cambia? Quando servirà? Come spiegato dal Governo, il personale scolastico e universitario e gli studenti universitari dal 1 settembre dovranno esibire la Certificazione verde Covid-19. Dalla stessa data sarà consentito esclusivamente ai soggetti muniti di Green Pass l’accesso e l’utilizzo di aeromobili adibiti a servizi commerciali di trasporto di persone; navi e traghetti adibiti a servizi di trasporto interregionale, ad esclusione di quelli impiegati per i collegamenti marittimi nello Stretto di Messina; treni impiegati nei servizi di trasporto ferroviario passeggeri di tipo Inter City, Inter City Notte e Alta Velocità; autobus adibiti a servizi di trasporto di persone, ad offerta indifferenziata, effettuati su strada in modo continuativo o periodico su un percorso che collega più di due regioni ed aventi itinerari, orari, frequenze e prezzi prestabiliti; autobus adibiti a servizi di noleggio con conducente, ad esclusione di quelli impiegati nei servizi aggiuntivi di trasporto pubblico locale e regionale. “L’utilizzo degli altri mezzi di trasporto può avvenire anche senza green pass, fatta salva l’osservanza delle misure anti contagio”, ha precisato il governo. La Certificazione viene richiesta in ‘zona bianca‘ ma anche nelle zone ‘gialla‘, ‘arancione‘ e ‘rossa‘, dove i servizi e le attività siano consentiti. Rimangono ancora vigenti e valide le regole adottate in Italia dallo scorso 6 agosto, che prevedono l’obbligatorietà del Green Pass “per accedere ai servizi di ristorazione svolti da qualsiasi esercizio per il consumo al tavolo, al chiuso; spettacoli aperti al pubblico, eventi e competizioni sportivi; musei, altri istituti e luoghi della cultura e mostre; piscine, centri natatori, palestre, sport di squadra, centri benessere, anche all’interno di strutture ricettive, limitatamente alle attività al chiuso; sagre e fiere, convegni e congressi; centri termali, parchi tematici e di divertimento; centri culturali, centri sociali e ricreativi, limitatamente alle attività al chiuso e con esclusione dei centri educativi per l’infanzia, compresi i centri estivi, e le relative attività di ristorazione; attività di sale gioco, sale scommesse, sale bingo e casinò; concorsi pubblici”. La Certificazione dovrà attestare di aver fatto almeno una dose di vaccino oppure essere risultati negativi a un tampone molecolare o rapido nelle 48 ore precedenti oppure di essere guariti da Covid-19 nei sei mesi precedenti.

La durata del Green Pass. Il Green pass Italia avrà durata 12 mesi. Il Cts ha dato infatti semaforo verde alla proroga portando da 9 mesi ad 1anno la validità della scadenza del certificato verde Covid-19, che secondo le regole in vigore dal 6 agosto è obbligatorio per accedere a luoghi come i ristoranti e i bar al chiuso. Obbligo questo esteso dal primo settembre.

Le regole dal 1 settembre sul Green Pass

“Dal 1 settembre 2021 il personale scolastico e universitario e gli studenti universitari dovranno esibire la Certificazione verde Covid-19.Sempre a decorrere dal primo settembre sarà consentito esclusivamente ai soggetti muniti di Green Pass l’accesso e l’utilizzo dei seguenti mezzi di trasporto:

– aeromobili adibiti a servizi commerciali di trasporto di persone;

– navi e traghetti adibiti a servizi di trasporto interregionale, ad esclusione di quelli impiegati per i collegamenti marittimi nello Stretto di Messina;

– treni impiegati nei servizi di trasporto ferroviario passeggeri di tipo Inter City, Inter City Notte e Alta Velocità;

– autobus adibiti a servizi di trasporto di persone, ad offerta indifferenziata, effettuati su strada in modo continuativo o periodico su un percorso che collega più di due regioni ed aventi itinerari, orari, frequenze e prezzi prestabiliti; autobus adibiti a servizi di noleggio con conducente, ad esclusione di quelli impiegati nei servizi aggiuntivi di trasporto pubblico locale e regionale.

– L’utilizzo degli altri mezzi di trasporto può avvenire anche senza green pass, fatta salva l’osservanza delle misure anti contagio”.

La Certificazione verde Covid-19, si legge ancora “è richiesta in ‘zona bianca’ ma anche nelle zone ‘gialla’, ‘arancione’ e ‘rossa’, dove i servizi e le attività siano consentiti”.

Le esenzioni sui Green pass

“L’obbligo della Certificazione verde Covid-19 non si applica per accedere alle attività e ai servizi sul territorio nazionale alle seguenti categorie di persone: ai bambini sotto i 12 anni, esclusi per età dalla campagna vaccinale; ai soggetti esenti per motivi di salute dalla vaccinazione sulla base di idonea certificazione medica. Fino al 30 settembre 2021, possono essere utilizzate le certificazioni di esenzione in formato cartaceo rilasciate, a titolo gratuito, dai medici vaccinatori dei Servizi vaccinali delle Aziende ed Enti dei Servizi sanitari regionali o dai Medici di medicina generale o Pediatri di libera scelta dell’assistito che operano nell’ambito della campagna di vaccinazione anti-Sars-CoV-2 nazionale, secondo le modalità e sulla base di precauzioni e controindicazioni definite dalla Circolare Ministero della Salute del 4 agosto 2021: apre una nuova finestra.

Sono validi i certificati di esenzione vaccinali già emessi dai Servizi sanitari regionali sempre fino al 30 settembre; ai cittadini che hanno ricevuto il vaccino ReiThera (una o due dosi) nell’ambito della sperimentazione Covitar. La certificazione, con validità fino al 30 settembre 2021, sarà rilasciata dal medico responsabile del centro di sperimentazione in cui è stata effettuata in base alla Circolare del Ministero della Salute 5 agosto 2021“

Green Pass e carta d'identità: ecco le nuove regole. Francesca Galici il 9 Agosto 2021 su Il Giornale. Non essendo pubblici ufficiali, i ristoratori e gli esercenti non sono tenuti al controllo del documento di identità dei clienti che mostrano il Green pass. Sembra in via di risoluzione il nodo più grosso sull'applicazione del Green pass per i clienti dei locali pubblici. Dopo le proteste dei ristoratori, dei baristi e di tutti gli esercenti che hanno lamentato l'impossibilità di controllare il documento di identità dei clienti, è stata rilasciata una nota del governo nella quale viene spiegato in che modo dovranno essere effettuate le verifiche. L'orientamento dell'esecutivo dà ragione agli esercenti, tanto che verranno sollevati dall'obbligo di controllare il documento di identità associato al Green pass. Gli uffici legislativi ministeriali hanno confermato la mancanza di requisiti nei ristoratori affinché questi siano autorizzati a procedere col controllo dell'identità. Questo è un compito che spetta ai pubblici ufficiali o agli incaricati al pubblico servizio. Il dovere dei ristoratori e, in generale, degli esercenti titolari di attività nelle quali dal 6 agosto è necessario esibire il Green pass, è solo quello di controllare che i clienti ne siano realmente possessori. La verifica dell'identità verrà effettuata dai pubblici ufficiali durante i controlli che vengono effettuati a campione nelle città italiane. Nel caso in cui un soggetto abbia esibito un Green pass non corrispondente all'identità è passibile di denuncia per falso. "I chiarimenti ufficiali del ministro Luciana Lamorgese confermano quanto abbiamo sempre sostenuto: gli imprenditori dei pubblici esercizi non possono - e quindi non devono - chiedere i documenti dei clienti. Un sollievo per i gestori, che si erano trovati calati nell'improprio compito di agenti di pubblica sicurezza", dicono da Confesercenti a seguito del chiarimento da parte del Viminale. Ora, però, l'associazione di categoria si è posta un altro obiettivo: "Adesso si eliminino anche le sanzioni per le imprese". Le sanzioni per chi viene trovato sprovvisto di Green pass vanno da 400 a 1000 euro. Lo stesso importo è previsto per le sanzioni agli esercizi che non effettuano i controlli sui clienti. Inoltre, se la violazione viene rilevata per tre volte, nel corso di controlli effettuati in diversi giorni, il titolare dell'esercizio rischia una chiusura amministrativa che può variare da 1 a 10 giorni. "La nota chiarisce che, in caso di assenza di varchi presidiabili, verranno effettuati controlli a campione con multe ai soli clienti trovati sprovvisti di certificato vaccinale, un metodo che potrebbe essere esteso a tutti. L'auspicio è che il governo continui a recepire e risolvere le criticità sull'obbligo di Green Pass che emergono man mano, con il fine ultimo di avere uno strumento efficace ma meno oneroso per le imprese", conclude Confesercenti. Ma dopo i chiarimenti della Lamorgese, è scoppiato il caos. "Prima che il Garante della privacy potesse darci una risposta scontata il ministro Lamorgese ammette che i ristoratori e gli esercenti privati non hanno titolo di identificare i clienti esigendo l’esibizione dei documenti di identità perché non sono pubblici ufficiali: avevamo ragione noi", esulta l’assessore agli affari legali della Regione Piemonte Maurizio Marrone, che giovedì scorso aveva posto il quesito al Garante della protezione dei dati personali. In serata, fonti del Viminale hanno ulteriormente chiarito che "le forze di polizia sono pienamente impegnate per garantire il rispetto delle regole sull'utilizzo del Green pass. La attuazione dei controlli rappresenta un passaggio delicato in quanto ha l'obiettivo primario di tutelare la salute pubblica". 

Francesca Galici. Giornalista per lavoro e per passione. Sono una sarda trapiantata in Lombardia. Amo il silenzio.

Da leggo.it il 20 agosto 2021. Le farmacie «non "rilasciano" un certificato, ma "lo mettono a disposizione della popolazione"». Precisato questo «sembra tutt'altro che scontata la lettura della norma secondo cui essa sarebbe impositiva di un obbligo, a carico di una impresa privata come la farmacia, di mettere al servizio di chiunque e gratuitamente la propria struttura, i propri materiali e la propria forza lavoro, sostanzialmente senza limiti, per la stampa dei green pass». Così in una lunga lettera il presidente di Farmacieunite, Franco Gariboldi Muschietti, in merito al green pass gratuito in farmacia e «all'eco data al caso delle farmacie "furbette" che chiedevano un obolo per la stampa» del documento. La gogna «cui sono sottoposti i colleghi presuppone - scrive Gariboldi Muschietti - che sia certa e sicura l'interpretazione di legge secondo cui il farmacista deve fornire ai cittadini la stampa del green pass gratuitamente, senza se e senza ma» e fa riferimento al principio contenuto nel Regolamento (Ue) 2021/953 secondo il quale il rilascio del green pass, a cui provvede il ministero della Salute, è gratuito, «ma se un cittadino che ha libero accesso al certificato (gratuito) si avvale di un altro cittadino, terzo e privato, per ottenerne la disponibilità, dobbiamo davvero pensare che quest'ultimo sia obbligato a operare sempre e comunque a proprie spese a favore del primo?», chiede il presidente di Farmacieunite. «L'Ue, quando ha organizzato il sistema green pass per i cittadini dell'Unione, ha sì previsto che esso fosse rilasciato dagli Stati gratuitamente, ma ha anche stanziato a loro favore i fondi necessari per farlo», sottolinea il presidente di Farmacieunite evidenziando che «diverso, però, è il caso del green pass richiesto alla farmacia da colui che, presso la medesima, si sia sottoposto a tampone o a vaccinazione: in questo caso la stampa del green pass può ritenersi una componente accessoria della prestazione principale».

Non c’è alternativa ai controlli dei gestori sui green pass. L’ordinamento italiano conosce da decenni sistemi di controllo di documenti di identità affidati a privati, gestori di esercizi pubblici, organizzatori di eventi in luoghi aperti al pubblico, operatori economici di diversa natura. Il Dubbio il 14 agosto 2021. Il dibattito sul green pass ha assunto toni da stadio, con prese di posizione ideologiche e interpretazioni costituzionali esasperatamente contrapposte. La letteratura pubblicistica su questo tema è già molto ampia e continua ogni giorno ad allargarsi. Teorici della discriminazione e del pregiudizio al sistema economico si fronteggiano con fautori della liceità ed anzi della opportunità o necessità per evitare misure legislative più forti e generalizzate. Negli ultimi giorni è emersa una ulteriore area di dibattito, alimentata da circolari ministeriali contraddittorie e da opinioni dell’Autorità indipendente per la tutela della privacy. Si tratta della misura dei poteri/ doveri di controllo dei gestori di esercizi pubblici e di impianti sportivi sulla esibizione del green pass ed eventualmente del documento di identità del suo portatore. Alquanto diversa e più ristretta dal punto di vista concettuale, ma non meno impegnativa, la querelle relativa all’impiego del green pass sul luogo di lavoro privato. Il dibattito meriterebbe comunque di essere spogliato di gran parte del contenuto ideologico e riportato a buon senso ed esperienza. Le stesse iniziative del ministero si sono mosse dapprima nel senso di inibire ai gestori i controlli sull’identità dei clienti, ritenendoli riservati alle forze dell’ordine, e poi, con la circolare del 10 agosto del capo di gabinetto del ministero, in quello di consentirli o richiederli selettivamente in caso di evidenti mancanze di corrispondenza (“manifesta incongruenza con i dati anagrafici contenuti nella certificazione”). Queste mosse sono parse ispirate più da timori di critiche di una parte o dell’altra dello schieramento politico che da una linea precisa. La soluzione ad oggi applicata comporta una significativa, e forse non perfettamente definita, discrezionalità del gestore nella verifica del documento di identità. Peraltro, le sanzioni in caso di utilizzo della certificazione da parte di persona identificata come diversa in base al documento di identità, consistono in ammende non solo carico del consumatore, ma anche del gestore. Le forze dell’ordine sono invitate ad effettuare controlli, ma con discrezione. L’ordinamento italiano conosce da decenni sistemi di controllo di documenti di identità affidati a privati, gestori di esercizi pubblici, organizzatori di eventi in luoghi aperti al pubblico, operatori economici di diversa natura. Alcune di queste ipotesi sono state regolate da fonti primarie, leggi o testi unici; altre sono state introdotte in via amministrativa, con agganci più o meno diretti a norme primarie. Così ad esempio il divieto di vendere o somministrare tabacco ai minori di anni 16 è stato istituito dal R. D. 24 dicembre 1934, n. 2316, e comportava fino al 2012 una sanzione amministrativa pecuniaria irrogata dal prefetto; la soglia di età è stata elevata a 18 con decreto legge 158 del 2012, che ha introdotto anche la sospensione prefettizia per tre mesi al venditore. La vendita o somministrazione ai minori di anni 14, invece, era ed è punita dall’art. 730 del codice penale con ammenda, necessariamente di competenza dell’autorità giudiziaria. Ovvio che l’esercente debba effettuare un controllo sull’età dell’acquirente, eventualmente richiedendogli l’esibizione di documento di identità. A partire dal 2012 una ordinanza del ministro della Salute 28 settembre 2012, in GU. 23 ottobre, n. 248) ha introdotto in via amministrativa, sulla base di pareri dell’Istituto superiore di sanità, il divieto di vendita ai minori di 16 anni di sigarette elettroniche con presenza di nicotina, evidentemente per analogia con la vendita di tabacchi, senza peraltro supporto di legge, estendendo quindi le sanzioni amministrative. Nello stesso modo il divieto è stato innalzato a 18 anni (ordinanza 26 giugno 2013, in G. U. 29 luglio 2013), sempre su base di valutazioni scientifiche, e al tempo stesso è stato vietato l’uso delle sigarette elettroniche nei locali chiusi degli istituti scolastici. Per via di ordinanza sono state estese le sanzioni amministrative del R. D. del 1934. Poiché il tabacco può venire venduto anche mediante distributori automatici, e la installazione dei relativi apparecchi nelle rivendite o nei dieci metri all’esterno di esse non è soggetta ad autorizzazione amministrativa ma solo a comunicazione, a differenza che nei bar, la loro installazione ed attivazione richiede che l’apparecchio automatico sia dotato di sistema di lettura automatica del documento dell’acquirente, inclusivo dei dati anagrafici. Questa disposizione è stata introdotta con circolare, neppure ministeriale, ma della Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato (11 gennaio 2007), di cui non risulta neppure pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. Il divieto di vendita o somministrazione di bevande alcoliche a minori di 16 anni ha invece fondamento nell’art. 689 del codice penale, che punisce il comportamento del titolare dell’esercizio, punibile con l’arresto fino ad un anno e con misure amministrative conseguenti. Viceversa la somministrazione a minori di 18 anni costituisce illecito amministrativo, configurato attualmente dalla legge 48 del 2017 e punito con sanzione pecuniaria o con la sospensione per tre mesi in caso di recidiva. Anche in questo caso l’esercente ha l’onere di richiedere un documento di identità prima di vendere o somministrare, non potendo usare ad esimente l’apparenza fisica del cliente. Si può discutere se ne abbia l’obbligo: probabilmente no, ma è evidente che l’ordinamento cerca di utilizzare il rischio del gerente come strumento di controllo a fini di tutela del bene primario della salute del cliente e della collettività. L’accesso ai cinema in caso di proiezione di pellicole vietate ai minori di 14 o 18 anni, già disciplinato dalla legge 161 del 1962, è ora regolato dalla legge 220 del 2016 (art. 33) e dal decreto legislativo 203 del 2017. Anche in questo caso l’esercente “provvede a impedire” che gli appartenenti alle fasce di età di cui alla classificazione “accedano al locale”, salvo che accompagnati dal titolare della potestà genitoriale. Le sanzioni amministrative sono di competenza prefettizia e sono disciplinate dal decreto delegato stesso, dunque da fonte primaria. Ma la disciplina dei videogiochi e la loro classificazione in vista del “giusto ed equilibrato bilanciamento tra la tutela dei minori e la libertà di manifestazione del pensiero” è rimessa ad un regolamento dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, sentito il ministro dei Beni culturali (art. 10 dello stesso decreto legislativo). E in questo caso la normazione è amministrativa. Un altro esempio, più noto in quanto riferito allo sport più popolare, è quello dell’accesso agli stadi calcistici. Nel 2009 si creò la tessera del tifoso, documento necessario per l’acquisto del biglietto e per l’accesso agli stadi anche in trasferta, strumento giudicato necessario per esigenze di sicurezza. Lo strumento fu un decreto legge (11/ 2009). Nell’estate 2017 questo regime fu abolito, con ripristino dell’acquisto presso le biglietterie e controllo del documento d’identità da parte degli stewards agli ingressi, per accertare che l’identità dello spettatore sia conforme al nome indicato sul biglietto nominativo ed evitare l’accesso di soggetti colpiti da Daspo. È vero però che la disciplina della figura dello steward come ausiliario del servizio di controllo ha avuto bisogno di un articolato decreto del ministro dell’Interno in base al Dl 8/ 2007. Riassumendo, numerose ipotesi di limitazioni all’accesso ad eventi realizzati o a servizi resi in luoghi privati aperti al pubblico esistono tradizionalmente nell’ordinamento italiano e sono state giustificate sia da considerazioni di ordine igienico- sanitario sia anche di sicurezza pubblica. Molte sono state disciplinate da fonte legislativa; altre in via amministrativa, ad inclusione del sistema sanzionatorio. La responsabilizzazione dell’operatore o gestore fa parte delle prescrizioni direttamente o indirettamente inerenti all’esercizio dell’attività economica. Nulla esclude che esse vengano modificate nel tempo in relazione, proporzionale e non eccessiva, rispetto alle esigenze di circostanze che attengono alla sanità od alla sicurezza. Si potrà obiettare che videogiochi e sigarette elettroniche, dove la disciplina anche sanzionatoria è quasi interamente amministrativa, hanno minore rilevanza sociale ed economica delle attività regolate dall’introduzione del green pass vaccinale. Ma questo sarebbe un discorso fondato su argomenti quantitativi, che non intaccano l’uso tradizionale del sistema delle fonti. Non vi è dubbio che “i programmi e i controlli” di cui all’articolo 41 della Costituzione sulle attività economiche siano stati adottati per legge, peraltro lasciando spazi a discipline amministrative di dettaglio, estese talora al regime sanzionatorio e persino adottate analogicamente. Per il green pass è con tutta evidenza impossibile non coinvolgere nei controlli i gestori delle attività economiche al cui accesso si tratta di applicare filtri di natura igienico- sanitaria. Se non altro perché le sanzioni, anche solo amministrative, loro applicabili, difetterebbero altrimenti di qualunque imputabilità. Chi non ha obbligo o almeno onere di controllare non può essere ritenuto responsabile. E d’altra parte le forze di polizia possono essere più utilmente impiegate che non nei bar, nelle sale cinematografiche o di videogiochi, nei ristoranti, se non chiamate a seguito di specifiche problematiche. Come sempre, il problema è di bilanciamento di interessi pubblici, da effettuarsi, preferibilmente dal legislatore sotto il controllo della Corte costituzionale, in relazione alle circostanze concrete del periodo storico e nel rispetto del rapporto tra mezzi e fini, secondo il sindacato di ragionevolezza e proporzionalità. E la disciplina del green pass sembra allo stato l’unica alternativa all’obbligo vaccinale. Una riflessione più articolata sulle modalità di controllo sarebbe certo opportuna, anche dal punto di vista delle fonti da utilizzare. Non si può dimenticare tuttavia che non meno di undici altri Paesi europei hanno introdotto, anche a prescindere da discipline dell’Unione, misure simili, variamente definite, che comportano disclosure di dati sensibili anche superiore a quella delle modalità italiane e controlli non riservati a forze di polizia. ORDINARIO DI DIRITTO COSTITUZIONALE ALLA BOCCONI

Green pass, la circolare del Viminale è illeggibile, zeppa di refusi e strafalcioni: ecco un esempio. Federica Argento mercoledì 11 Agosto 2021 su Il Secolo d'Italia. Green pass, testo illeggibile. La circolare del Viminale è piena di strafalcioni e refusi che rendono ancora più difficile disatricxarsi tra norme, lacci e divieti.  Lo denuncia in un comunicato il senatore Lucio Malan di Fratelli d’Italia.  “Al sesto giorno di applicazione del decreto-legge del 23 luglio sul green pass è sempre più difficile comprendere le regole affrettatamente imposte dal governo. Ci sono voluti ben 18 giorni dalla pubblicazione perché il capo di gabinetto del ministro Lamorgese, Frattasi, desse disposizioni sulla sua applicazione. Lo ha fatto attraverso una circolare di ben quattro pagine fitte, con più di venti rimandi a norme. Queste pagine, benché dirette ai Prefetti, vanno applicate da centinaia di migliaia di operatori, esercenti, commessi, camerieri e volontari e altri: dai quali non si può pretendere la preparazione giuridica di alti funzionari dello Stato. E chi sgarra si prende multe fino a 1000 euro o addirittura la chiusura dell’esercizio da uno a dieci giorni”.

Green pass, circolare scritta con i piedi. Il senatore Malan li diffonde nella nota. “Già è difficile leggere un documento per gli errori "di stampa". A volte sono errori decifrabili come, "celtificazione" (scritto così due volte) "occorre ilmanzitutto precisare" o "i pubblici i!{ficiali nel!’esercizio delle relative funzioni". Mentre è più difficile individuare gli "impiru1ti sportivi". Ma come interpretare il documento quando dice che nella prima fase: la "verifica ricolTe in ogni caso" ma nella seconda "tale verifica non ricone indefettibilmente"? Qui andiamo sulla sostanza: la verifica (dell’identità) "non ricone", e dunque si deve fare o no? Ti multano o no? Chiudono il locale o no? Peggio ancora quando si dice che la verifica dell’identità ‘si renderà comunque necessaria nei casi di abuso o elusione delle norme’”. “E cioè? Il cameriere e il commesso devono giudicare in pochi secondi cose che, se affidate a un tribunale attendono mesi prima dell’esito?”.

Ecco qualche esempio. Ma, attenzione, scrive Malan: “La circolare dice che ‘la verifica di cui trattasi dovrà in ogni caso essere svolta con modalità che tutelino anche la riservatezza della persona nei confronti dì (scritto così) terzi’. E cioè? Vuol dire che per verificare l’identità il cliente e il controllore si devono allontanare e andare in un luogo riservato?- ironizza- . E se nel frattempo arriva un controllo? Ecco una parziale risposta: ‘Con tiguru·do a quanto immediatamente precede, occorre anche puntualizzru·e che, qualora si acce1ti la non corrispondenza fra il possessore della ce1iificazione verde e l’intestatru·io della medesima, la sanzione di cui all’art.13 del citato decreto-legge n. 52/2021 risulterà applicabile nei confronti del solo avventore, laddove non siano riscontrabili palesi responsabilità anche a carico dell’esercente.” Ma che è? Una neolingua? Ridicolo, se non fosse vergognoso, licenziare un testo ufficiale a cui deleghiamo molti comportamenti in questo stato pietoso.

Green pass, errori e strafalcioni creano problemi interpretativi. Ancora: “No, ma sì’. L’esercente non viene multato, purché non abbia responsabilità. Dunque può venire multato- si chiede Malan- . Sono norme comunque onerose, ma che i grandi operatori possono in qualche modo affrontare, sia pure aumentando le spese e dunque i prezzi. Ma quelli piccoli? Chi ha un baretto che oggi gestisce da solo, dovrà avere un’altra persona per controllare il lasciapassare: le spese raddoppiano e dunque si chiude”. “È indicativo che la circolare consenta, bontà sua, che per gli spettacoli aperti al pubblico e gli eventi sportivi il controllo possa essere affidato ai cosiddetti steward; che devono aver fatto un corso apposito. Questo può andare bene per un grande club di serie A di calcio. Ma lo sanno al Viminale che la realtà quotidiana è fatta di piccoli concerti e di gare sportive dilettantistiche; dove organizzatori e protagonisti sono volontari che perdono tempo e denaro o tutt’al più stanno a stento nelle spese?”. Il sito Open    ha indagato sulla faccenda: la notizia degli strafalcioni è proprio vera e sul sito del Viminale sono conservate le due stesure: quella con gli errori e quella corretta. Ma si tratterebbe di errori tecnici dovuti alla copiatrice e non agli addetti del Viminale. Indipendentemente da come possa essere successo; e di chiunque sia la responsabilità, è impensabile che un testo che prescrive comportamenti corretti sia scritto in maniera incomprensibile. Gli errori tecnici a questi livelli sono impensabili.

Giuliano Guzzo per "la Verità" il 12 agosto 2021. Ben 32 errori in appena quattro pagine, addirittura fino a cinque in una singola frase: parole scritte in modo errato, cabalistici incroci di lettere e numeri, termini inventati, punteggiatura creativa e chi più ne ha più ne metta. Purtroppo non siamo parlando di un tema di Pierino, bensì dell'attesa circolare sul green pass del Viminale, probabilmente sottoposta a una frettolosa scansione che ne ha alterato dozzine di parole. Non si spiega, altrimenti, come sia potuto circolare un documento ministeriale - tutt' ora scaricabile su vari siti Internet - semplicemente impubblicabile per ragioni di forma, prima ancora che per il suo contenuto. In effetti, gli strafalcioni cominciano già dalla data - «1O agosto» (con la O di Otranto al posto dello zero) - e dai destinatari, individuati nei «sigg.rj» prefetti della Repubblica. E questo, appunto, è solo l'inizio. Il documento, infatti, si propone di dare chiarimenti dopo che i green pass hanno «detenninato» in «alcwli» settori tale esigenza. Che c'è da ritenere che neppure ora sia del tutto soddisfatta. A meno che non si riesca a mettere a fuoco il significato di una circolare dove, «ilmanzitutto», la prima cosa che manca è la lingua italiana e dove l'errore «ricoITe» con frequenza preoccupante. Rispetto a questo, appare «oppoltuno ralmnentare» che la comprensibilità di un documento istituzionale è un requisito indispensabile e non accessorio. C'è tuttavia una buona notizia, che trapela da questa oscura circolare, e cioè che probabilmente il green pass non va giù neppure ai funzionari del Viminale. Diversamente, nel documento, si sarebbero riferiti alla certificazione e non alla «celtificazione» o alla «cel iificazione» verde. Battute a parte, suscita non poco sconcerto apprendere come non già dagli uffici di qualche sperduto Comune della Penisola, bensì dal ministero dell'Interno possa fuoriuscire un testo del genere, dove il linguaggio burocratico, già complicato di suo, viene reso del tutto indecifrabile da un'alluvione di strafalcioni e storpiature. L'unica scusante che si può concedere al Viminale è che quella di cui si è fin qui scritto era solo una bozza di circolare: e infatti ne è stata successivamente diffusa una seconda - recante in calce la firma del prefetto Bruno Frattasi, il capo di gabinetto del ministero -, dove tutti gli errori risultano corretti. Buon segno: significa che al Viminale non tutti dormono.Qualcuno si deve infatti essere accorto dell'impresentabile circolare e deve essere corso a segnalarlo a chi di dovere. Ma si dà il caso che fosse già troppo tardi, dato che la versione costellata di errori, mentre scriviamo, è tuttora presente in vari siti, peraltro di una certa importanza. Come, per esempio, su Uncem.it, il portale dell'Unione nazionale comuni comunità enti montani, e su Tg24.sky.it, non esattamente un sito informativo sconosciuto. Insomma, qualche sottoposto della Lamorgese, forse lo stesso Frattasi, ha provato a rimediare al pasticcio della circolare sul green pass ma l'ha fatto quando i buoi, pardon gli errori, erano già scappati. E pure in abbondanza. A questo punto, le possibilità sono due: o al Viminale lavorano gli stessi che fecero l'esame di italiano farsa al calciatore uruguaiano Luis Suarez, oppure, come già si ipotizzava, dal ministero dell'Interno alcuni, vergando errori su errori, hanno voluto lanciare un messaggio chiaro a tutti i cittadini: la «celtificazione» non piace manco a noi, anzi proprio non ci va giù. Non riusciamo neppure a scriverla.

Agostino Gramigna per il “Corriere della Sera” il 22 agosto 2021. «Se fate mangiare fuori i non vaccinati non vengo più in questo locale». È la singolare «minaccia» registrata dal presidente del Movimento imprese ospitalità della Lombardia, Salvatore Bongiovanni, che fotografa assai bene la strana querelle che dal sei agosto si sta giocando tra clienti vaccinati e ristoratori. Tanto che qualcuno l'ha ribattezzato paradosso del green pass. Il motivo è semplice. Chi ce l'ha, il pass, spesso viene costretto a mangiare dentro. Mentre chi ne è sprovvisto può godersi il pranzo o la cena nel dehors. Per molti clienti una discriminazione. Per i gestori di locali una necessità. «Mettetevi nei nostri panni, argomenta uno di loro: se facciamo accomodare all'aperto un cliente con il pass rischiamo di perdere l'incasso dei coperti al chiuso». Molti ci restano male. Mugugni, disappunto. Così le lamentele e le segnalazioni finiscono puntualmente sui social. Scrive uno dei tanti clienti vaccinati: «In un ristorante ho chiesto se c'era posto per due. Ha il green pass? Allora deve andare dentro». Angelo, indignato, ha postato la sua decisione: «In quella pizzeria non ci vado più. Mi hanno costretto a magiare dentro, vicino al forno. Ti vaccini, compi il tuo dovere etico e ti discriminano». Termine forse eccessivo. Discriminazione evoca significati più forti. Ma resta il dilemma di molte persone: «Per sedermi fuori mi conviene mentire e dire che non sono vaccinato?». Umberto Carriera leader di «Io apro», il movimento di protesta dei ristoratori, conferma il paradosso e la tendenza: «Purtroppo anche io, nei miei ristoranti, ho dei tavoli fuori e li riservo a chi ha il green pass. Chi resta dentro storce il naso. Con la bella stagione vorrebbe mangiare fuori. I clienti italiani sono più comprensivi. Ma vallo a spiegare agli stranieri, "voi dovete stare dentro". Vengono qui per il sole, per i tramonti». Salvatore Bongiovanni ricorre al conflitto sociale per spiegare la querelle. Su Twitter colpisce il racconto di un cliente vaccinato. Voleva mangiare in una pizzeria. Fuori. Impossibile, gli hanno risposto, quei tavoli sono riservati ai senza pass. Così ha cenato al caldo, tutto solo. «Molto triste». Il paradosso del green pass è segnalato in una chat da Fabio: «In Italia è impossibile far rispettare le regole senza che qualcuno le interpreti a modo suo». Nicola lo consiglia: «Vuoi il tavolo all'aperto? Nega il green pass».

Green Pass "inutile", Vittorio Sgarbi sgancia la bomba: "Ho parlato con Draghi, mi ha detto perché lo ha voluto..." Libero Quotidiano il 10 agosto 2021. L'introduzione dell'obbligo del Green pass per accedere a bar, ristoranti e luoghi in genere affollati non è piaciuta  a Vittorio Sgarbi che, ospite di Morning News su Canale 5, ha detto: "Il problema non è il pass ma come si verifica”. Poi ha rivelato un retroscena: “Non ha senso all’esterno. Ho fatto notare a Mario Draghi l’assurdità del documento per chi sta fuori, nelle arene, nei teatri all’aperto, negli stadi e lui mi ha detto che avviene perché vogliono che tutti si vaccinino". Secondo il critico d'arte, il certificato digitale rappresenta solo un pretesto: "Le persone oneste mostreranno il Green pass vero, altrimenti uno falso. I controlli a campione sono irrealistici anche perché la Lamorgese non vuole un atteggiamento poliziesco. Non corre alcun rischio l’esercente e nemmeno chi ha fatto il tranello perché si deve dimostrare che era in malafede. E’ una rete meravigliosa di irresponsabilità”. Sgarbi, poi, ha definito la misura una "solenne stupidaggine", "una follia", "una formula introdotta per indurre a vaccinarsi senza introdurre l’obbligo vaccinale". Sul fronte vaccini, invece, il parlamentare ha ripreso la teoria, già smentita dalla comunità scientifica, secondo cui i farmaci ora in circolo sono sperimentali fino al 2023: "Lo hanno detto illustri scienziati che fino al 2023 non c’è una certezza della bontà del vaccino, ma un’attenuazione del rischio. Il tema fondamentale è non morire, ma si sta assistendo al paradosso che il vaccinato deve aver paura del non vaccinato e allora a che serve il vaccino?!”. Al netto di tutto ciò, Sgarbi ha fatto sapere di aver avuto già il Covid e di avere fatto pure il vaccino.

"Ha detto...", "Imbecille...": mega rissa in tv. Francesca Galici il 10 Agosto 2021 su Il Giornale. Scontro sul Green pass tra Andrea Romano e Vittorio Sgarbi, accusato dal dem di aver negato il Covid nei primi mesi dell'epidemia. Sono volati stracci tra Vittorio Sgarbi e Andrea Romano nel corso della puntata di Morning news, il nuovo programma di informazione estivo del mattino di Canale5 condotto da Simona Branchetti. A scatenare la forte reazione da parte del deputato del Partito democratico è stato l'intervento della virologa Maria Rita Gismondo. "Il Green pass è pericoloso e dannoso, è interpretato come un liberi tutti. Un positivo vaccinato e uno non vaccinato hanno esattamente la stessa carica virale e questo significa che la possibilità di diffondere il virus è assolutamente uguale. Sotto quest’aspetto il Green pass non ha alcuna utilità perché non distingue un vaccinato da un non vaccinato", ha dichiarato l'esperta. Parole che non sono piaciute ad Andrea Romano, fervente sostenitore del Green pass nella forma proposta dal governo Draghi, di cui anche il suo partito fa parte. "Mi fa molta, molta impressione sentire un medico che dice cose profondamente sbagliate", ha ribattuto il deputato. Romano, quindi, ha corretto quanto dichiarato dall'esperta: "La Gismondo sostiene che un vaccinato ha la stessa carica virale di un non vaccinato. La dottoressa dovrebbe sapere perfettamente e se non lo sa dovrebbe informarsi, che chi è vaccinato corre un rischio molto, molto minore di contagiarsi con il Covid rispetto a chi non è vaccinato". L'esponente del Partito democratico ha proseguito: "Il Green pass non è uno strumento inutile, è come una patente e negli ultimi giorni sono più di 20 milioni le persone che hanno scaricato il Gp, queste sono polemiche sterili e inutili". Ad Andrea Romano ha risposto Vittorio Sgarbi, contestando quanto dichiarato dal dem: "Non sono un virologo come il dottor Romano. Mi fido ciecamente degli scienziati e della professoressa che dice cose avvedute anche se contraddette da un signore che fa il politico convinto di saperne di più. Mi sembra un paradosso che meriterebbe una litigata ma non si possono fare". Davanti all'intervento pacato di Sgarbi, Andrea Romano ha attaccato il critico d'arte, accusandolo di essere stato un negazionista della prima ora. A quel punto, il sindaco di Sutri ha perso le staffe, dimenticando il buon proposito di non litigare: "Mai detto! Imbecille! Ho contrastato l’operato di Giuseppe Conte di impedire alle persone di andare al mare o in bicicletta all’aperto. Ora ti faccio tacere, coglione! Bugiardo, bugiardo, bugiardo! Non ho mai negato il Covid, ho negato che Romano usasse il cervello o ce lo avesse". Innescata la lite, la Branchetti ci ha messo un po' prima di riuscire a riportare la calma nello studio.

Francesca Galici. Giornalista per lavoro e per passione. Sono una sarda trapiantata in Lombardia. Amo il silenzio. 

Alla Festa dell’Unità di Bologna entri senza Green pass. Meloni: assurdo, discriminazione doppia. Bianca Conte mercoledì 11 Agosto 2021 su Il Secolo d'Italia. Non Green pass no party. In compenso puoi entrare alla Festa dell’Unità di Bologna anche senza il lasciapassare sanitario che dovrebbe garantire la sicurezza di uno spazio Covid free. Insomma, per dirla con le parole di Giorgia Meloni: «Una discriminazione nella discriminazione»… Ma andiamo con ordine. A partire dall’epilogo: dopo tanto dibattere e decretare, la kermesse del Partito democratico è salva. Del resto, non è a questo che si mirava già nelle scorse settimane, discutendo dell’eliminazione dell’obbligo di esibire la carta verde nelle fiere e nelle sagre che non hanno varchi presidiabili? Insomma, siamo in presenza di uno stratagemma furbetto o di un rimedio forzato? Ah saperlo… Fatto sta che già con la soluzione individuata alla fine per sagre e fiere, a tutti è sembrato più che chiaro che, comunque vada, non ci sarà bisogno di documenti per varcare la soglia della festa dem allestita negli spazi del parco pubblico bolognese. E così è andata…  

La beffa: alla Festa dell’Unità si entra senza Green pass. Peccato però che, una volta dentro, bastano pochi passi per incontrare i primi problemi e inciampare nei primi dubbi rimasti a galla (e tra gli spazi del parco bolognese) dove, ad ogni ristorante o barettino, si ripropone il dilemma sul ricorso o meno alla certificazione green. Non a caso, sviscerando la vexata quaestio, proprio oggi anche Libero tra gli altri, scrive: «Servirà però un supplemento di spiegazioni sull’interpretazione delle norme sugli spazi interni, visto che la grande festa di Bologna è munita di tavoli dei ristoranti». Ma anche di molti spazi all’aperto e distanziati, per cui «pare difficile sostenere la richiesta della carta verde per chi mangia en plein air»… Insomma, un gran pasticcio.

Obblighi di legge e burocrazia non valgono per il Pd? Diverso il discorso degli obblighi sanitari da ottemperare nei dibattiti: anche se, anche in questo caso, le norme non forniscono ancora sufficiente chiarezza. E allora? Allora nel frattempo semaforo verde anche senza green pass alla rossa fiera delle vanità dem che, proprio perché trattasi della kermesse politica del terzo partito di governo, può contare su un trattamento riservato e ad hoc. Almeno fino a nuovo contrordine o errata corrige. Certo, qualcuno potrebbe obiettare che ogni regola ha la sua eccezione. Che ancora non c’è completa chiarezza sulle norme che disciplinano ingressi e divieti. E così via discorrendo.

Meloni, alla Festa dell’Unità senza Green pass? «Discriminazione nella discriminazione». Resta il fatto che, sicuramente, nella selezione dei luoghi accessibili solo green pass si è proceduto in maniera dispari. E che, i dem si sono accuratamente accertati che la loro variante festa dell’unità non inficiasse lo svolgersi e il frequentare il parco bolognese. Insomma, come ha opportunamente sottolineato Giorgia Meloni sulla sua pagina Facebook, siamo di fronte a «una discriminazione nella discriminazione: perché in un parco divertimento non si potrebbe accedere senza Green Pass come negli spazi aperti di una fiera? Non sono attività che si svolgono all’aperto anche quelle? O forse le cose vanno bene finché al Pd è concesso svolgere in tutta normalità le feste dell’Unità?». Una falla nel piano o un privilegio acquisito di default, con buona pace dei gestori dei parchi all’aperto e colleghi? Ai posteri l’ardua sentenza. Al Pd l’onere di una spiegazione esauriente...

La Cirinnà vuol modificare il green pass per i trans. Francesco Boezi l'11 Agosto 2021 su Il Giornale. Green Pass e privacy: la senatrice Monica Cirinnà espone una problematica per le persone transgender. E chiede al governo di cambiare regole. Il Green Pass come potenziale problematica "umiliante" per le persone trans: questa è, in ordine di tempo, l'ultima presa di posizione della senatrice Monica Cirinnà, che domanda all'esecutivo guidato da Mario Draghi modifiche in merito. Mentre sul piano politico e su quello giuridico si discute sulle facoltà di controllo e di verifica del certificato verde, con tanto di pronuncia del Garante della Privacy e di circolare da parte del Viminale, l'esponente del partito che ha sede in via del Nazareno presenta una disamina che riguarda le possibili difficoltà legate alla presentazione del Green Pass da parte dei transgender. Il tema palesato dal Monica Cirinnà è quello della "riservatezza". Per la senatrice, che com'è noto è in prima linea in tutte le battaglie che riguardano la tutela dei diritti della cosiddetta comunità Lgbt, è necessario che la privacy di quelle persone "venga rispettata". Cioè, per la progressista, è importante che le "persone trans non vengano umiliate pubblicamente e costrette a rivelare - oltre ai propri dati sensibili - elementi non necessari della propria identità e della propria storia", così come si legge nell'intervista che la Cirinnà ha rilasciato all'Huffington Post. Si va dal percorso che una persona transgender deve affrontare alla presunta "violenza istituzionale" che potrebbe scaturire dalle regole che valgono in questo momento. Per via del Green Pass - annota l'esponente del Pd - , esiste dunque la possibilità che una persona trans debba "rivelare il proprio percorso di vita e/o ad essere chiamata con il nome registrato all’anagrafe, ma non corrispondente all’identità manifestata nella vita di relazione". La Cirinnà sul punto è intransigente ed attende che il governo Draghi proceda con il risolvere la questione. Su Twitter, nel frattempo, si è scatenato il dibattito attorno alle rimostranze sollevate dall'esponente del partito guidato da Enrico Letta. Qualche utente segnala come, anche in caso di esenzione, sarà indispensabile far presente un documento che attesti la non obbligatorierà del certificato verde. E quindi, per le persone transgender, gli obblighi di legge non subirebbero poi modifiche rilevanti, divenendo comunque essenziale l'esposizione di un'altra tipologia di attestazione. Altri cinguettii mettono in evidenza come un trattamento differenziato rischi di essere - quello sì - "umiliante". Ma in rete, e non solo - come nel caso di Libero, che ha posto accenti sulle "priorità" della formazione di centrosinistra - , c'è pure chi sostiene che il Partito Democratico debba rivedere l'ordine delle questioni di cui si occupa, dato che le istanze della Cirinnà sarebbero marginali. Comunque sia, la senatrice del Partito Democratico sta cavalcando una battaglia che è condivisa anche dalla comunità Lgbt. Nel corso di queste settimane, più di qualche ente associativo riferibile a quel mondo si è scagliato contro il Green Pass per le stesse ragioni sbandierate dalla relatrice per una delle leggi più discusse delle ultime legislature, ossia quella sulle Unioni civili. Tutto questo accade mentre il mancato dialogo del Partito Democratico sul Ddl Zan ha comportato il naturale slittamento della discussione del provvedimento a settembre. Nonostante le aperture provenienti da più lati del Parlamento, il segretario Enrico Letta ed i suoi hanno voluto evitare l'approvazione di quel Ddl con l'apporto di modifiche che non sono state accolte dal Partito Democratico. Il che rischia di rendere il Ddl Zan un tema utile sì, ma soprattutto per la campagna elettorale in relazione alla campagna elettorale per le amministrative. Un po' come può accadere per questa storia del Green Pass.

Francesco Boezi. Sono nato a Roma il 30 ottobre del 1989, ma sono cresciuto ad Alatri, in Ciociaria. Oggi vivo in Lombardia. Sono laureato in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali presso la Sapienza di Roma. A ilGiornale.it dal gennaio del 2017, mi occupo e scrivo soprattutto di Vaticano, ma tento spesso delle sortite sulle pagine di politica interna. Per InsideOver seguo per lo più le competizioni elettorali estere e la vita d...

Ai clienti resta l'obbligo di mostrarlo. Green pass e il pasticcio dei controlli: I ristoratori “possono” chiedere i documenti ma non “devono”. Elena Del Mastro su Il Riformista il 10 Agosto 2021. Alla fine sulla questione controlli del green pass  è arrivata la mediazione: I gestori dei locali al chiuso avranno l’obbligo di controllare il green pass, ma non gli è dovuto l’accertamento della corrispondenza con l’identità del cliente, che spetterà alle forze dell’ordine, tranne nel caso in cui ci sia “una palese difformità o incongruenza” tra la persona e i dati riportati sul certificato verde. Lo stesso varrà per concerti, partite di calcio o eventi strutturati, che prevedono la presenza di uno steward. In attesa della circolare del Viminale, secondo le prime indiscrezioni, si mette la parola fine alla polemica innescata dopo che il governo ha reso obbligatorio il green pass per l’ingresso in bar, ristoranti e locali senza posti a sedere all’aperto. Si specifica così, facendo chiarezza, la norma contenuta nell’articolo 13 del D.P.C.M. 17 giugno 2021 che affidava la verifica dei documenti di identità “a soggetti titolari delle strutture ricettive e dei pubblici esercizi” e al “proprietario o il legittimo detentore di luoghi o locali presso i quali si svolgono eventi e attività”. Norma che, conferma lo stesso Garante sulla privacy, autorizza gli esercenti a richiedere il documento di identità, ma nello stesso tempo non obbliga il cliente a mostrarlo. Il controllo dei documenti spetterà infatti alla polizia, che agirà a campione – come anticipato dal ministro Lamorgese – con la specifica che in caso di green pass falsi, il gestore del locale non avrà alcuna responsabilità o ammenda, mentre a farne le spese sarà il cliente con una multa che va dai 400 ai 1000 euro. Se invece dopo l’accertamento delle forze dell’ordine si riscontreranno clienti, seduti al tavolo e al chiuso, sprovvisti di certificato che attesti l’avvenuta vaccinazione (prima o seconda dose), o l’essere guariti dal Covid entro i sei mesi o l’esito negativo di un tampone entro le 48 ore, scatterà la sanzione per entrambi. I controlli sul green pass saranno, infine, per questo finale di stagione estiva, mirati nelle zone più affollate dai turisti e quindi più a rischio movida. Sarà infatti compito dei prefetti e degli enti locali organizzare i servizi delle forze dell’ordine sul territorio ponendo l’attenzione su località come Rimini e Ostia, per fare qualche esempio. Intanto non si placa la polemica politica. Matteo Salvini continua ad attaccare l’operato del titolare del Viminale: “Il ministro dell’Interno dovrebbe garantire la sicurezza in tutto il paese. Lamorgese sembra che ha le idee molto confuse e rischia di far danni. Ovviamente non puoi trasformare baristi, camerieri e pizzaioli in bersaglieri o carabinieri. Facesse meglio il suo lavoro, sarebbe meglio per tutti”. Il leader della Lega non contesta quindi lo strumento – votato dai suoi ministri – ma tenta di cavalcare il malcontento: “Per andare a mangiare una pizza bisogna avere il green pass mentre per sbarcare non c’è nessun limite e nessuna regola”. Non è d’accordo, ovviamente, Enrico Letta, che invece plaude ai cittadini che hanno “dimostrato, in queste settimane, che siamo in grado di vivere col green pass. Abbiamo capito che siamo tutti in grado di scaricarlo, di vivere esibendolo, di organizzare qualsiasi manifestazione”. (Fonte:LaPresse)

Elena Del Mastro. Laureata in Filosofia, classe 1990, è appassionata di politica e tecnologia. È innamorata di Napoli di cui cerca di raccontare le mille sfaccettature, raccontando le storie delle persone, cercando di rimanere distante dagli stereotipi.

Da lastampa.it il 10 agosto 2021. C’è qualcosa che non torna. O meglio torna ma a metà. Il governo con la ministra dell’Interno Lamorgese fa sapere, intervistata dal direttore de La Stampa Massimo Giannini nel format “Trenta minuti al Massimo”, che «i ristoratori non devono chiedere i documenti ma il Green Pass» mentre il Garante della privacy invece, che gli esercenti di ristoranti e bar possono verificare l'identità dei loro avventori chiedendo di esibire il Green pass dove richiesto. E' quanto precisa il Garante della Privacy, rispondendo a un quesito rivolto all'Autorità dalla Regione Piemonte sull'attività di verifica e di identificazione da parte degli esercenti di ristoranti e bar. Su questo punto «il Collegio ha specificato che le figure autorizzate alla verifica dell'identità personale sono quelle indicate nell'articolo 13 del d.P.C.M. 17 giugno 2021 con le modalità in esso indicate, salvo ulteriori modifiche che dovessero sopravvenire». Ossia anche i titolari di pubblici esercizi, che possono verificare anche l'identità: «è prevista infatti oltre la regolamentazione degli specifici canali digitali funzionali alla lettura della certificazione verde - anche gli obblighi di verifica dell'identità del titolare della stessa, con le modalità e alle condizioni di cui all'art. 13, c.4, del citato dPCM.  Tra le garanzie previste da tale decreto è, del resto, compresa anche l'esclusione della raccolta, da parte dei soggetti verificatori, dei dati dell'intestatario della certificazione, in qualunque forma». Per questo «è consentito il trattamento dei dati personali consistente nella verifica, da parte dei soggetti di cui all'art. 13, c.2, dell'identità dell'intestatario della certificazione verde, mediante richiesta di esibizione di un documento di identità».

Vittorio Feltri durissimo contro Luciana Lamorgese: "Così incapace da farmi ridere come una barzelletta". Libero Quotidiano il 10 agosto 2021. Dopo le ultime dichiarazioni sul Green pass e sugli sbarchi non si fa che parlare di lei, la ministra dell'Interno Luciana Lamorgese. Sul fronte della certificazione digitale, infatti, la titolare del Viminale aveva escluso l'obbligo dei controlli da parte dei gestori dei locali, parlando solo di verifiche a campione da parte dei vigili urbani. Le sue parole, però, non sarebbero piaciute a Palazzo Chigi, come riporta il Messaggero in un retroscena. Così sarebbe arrivata la strigliata: "Il decreto varato dal governo prevede controlli e sanzioni e controlli e sanzioni ci saranno". A dire la sua sull'operato dell'ex prefetto di Milano è stato anche il direttore di Libero Vittorio Feltri, che su Twitter ha scritto: "La ministra Lamorgese è talmente incapace che mi fa ridere come una bella barzelletta". Un'opinione in realtà condivisa da molti componenti della maggioranza. Tra questi il ministro della Pa Renato Brunetta, che ha commentato le parole della Lamorgese sul pass così: "Siamo nel mondo dell'incomprensibile". E non è tutto. Perché la ministra sta ricevendo critiche anche sul fronte immigrazione, in primis dal leader della Lega Matteo Salvini. Dopo le dichiarazioni della Lamorgese, che si è detta favorevole alla misura dello Ius soli mentre continuano gli sbarchi sulle coste italiane, il capo del Carroccio l'ha rimproverata dicendo: "Invece di vaneggiare di Ius Soli, il ministro dell’Interno dovrebbe controllare chi entra illegalmente, viste le decine di migliaia di sbarchi organizzati dagli scafisti, senza che il Viminale muova un dito". 

Monica Guerzoni e Fiorenza Sarzanini per corriere.it il 9 agosto 2021. I ristoratori e gli altri gestori o titolari di attività devono verificare che i clienti abbiano il green pass, ma non spetta a loro la verifica dell’identità. È questo l’orientamento del governo che sarà specificato nelle prossime ore con una Faq (risposta a domande frequenti) oppure nella circolare del Viminale.

Lamorgese: «Controlli a campione con la polizia amministrativa». La conferma arriva dalla ministra dell’Interno Luciana Lamorgese: «I titolari dei locali non potranno chiedere la carta d’identità ai clienti, faremo una circolare di chiarimento su questo. Noi chiediamo venga richiesto al chiuso il green pass. Non si può pensare che l’attività di controllo venga svolta dalle forze di polizia. Significherebbe distoglierle dal loro compito prioritario che è garantire la sicurezza, anche della criminalità». La ministra non ha escluso «controlli a campione nei locali insieme alla polizia amministrativa». 

I ristoratori controlleranno solo se i clienti hanno il green pass. La protesta dei ristoratori — che si era estesa poi a tutti gli altri responsabili di locali aperti al pubblico — riguardava proprio la verifica sull’identità delle persone. Gli uffici legislativi dei ministeri competenti hanno però chiarito che i gestori e i titolari dei locali non sono pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio. A loro spetta verificare che chi entra abbia il green pass, in caso di controllo delle forze dell’ordine se l’identità del cittadino non corrisponde a quella indicata sul certificato può scattare la denuncia per falso.

Le sanzioni. Il decreto in vigore prevede sanzioni da 400 a 1.000 euro sia per chi viene trovato sprovvisto di green pass, sia per chi non ha controllato. I gestori dei locali rischiano «se la violazione è ripetuta per almeno tre volte in tre giorni diversi, la chiusura, da 1 a 10 giorni, dell’attività imprenditoriale».

Emiliano Bernardini e Flaminia Savelli per “Il Messaggero” il 7 agosto 2021. A fare da deterrente c'è solo un cartello che avverte la clientela che è obbligatorio avere il Green pass. Nello stesso foglio appeso alle varie porte di bar e ristoranti c'è anche enunciato l'articolo del decreto legge che impone l'obbligatorietà della carta verde per sedersi all'interno ma nulla più. E già, perché poi nei fatti nessuno controlla. Al massimo c'è qualcuno che chiede: «Ce l'avete il Green pass?». «Sì» risposta di rito ed ecco un bel tavolo apparecchiato per sei al fresco del ponentino che esce da un bocchettone dell'aria condizionata. La linea comune sposata dai ristoratori è molto chiara: «Non chiediamo documenti a nessuno». Tradotto: daranno al massimo una sbirciatina ai cellulari mostrati dai clienti ma non andranno oltre. Niente carta d'identità o passaporto per associare i nominativi: «Non siamo sceriffi», dichiarano anche perché non vogliono avere problemi. Sarà forse anche per questo che i tavoli sono pieni. Girando per la città è difficile incontrare locali vuoti. I turisti sono tornati a godersi il Bel Paese, le città non si sono completamente svuotate e così i tavoli si riempiono.

TUTTI FUORI Il lavoro è facilitato anche dal fatto che, grazie ai nuovi dehors, tutti ormai posseggono uno spazio all'esterno dove il Green pass non è necessario. Quasi la metà dei ristoratori infatti adesso punta esclusivamente su quelli. Eppure ieri diverse disdette sono arrivate in particolare da tavolate miste ossia composte di gente vaccinata e non che aveva prenotato o trovato posto solo all'interno. Nella confusione del non saper bene cosa fare e della poca voglia di spendere soldi per un tampone meglio rinunciare al pranzo o alla cena in compagnia. Altri invece hanno chiamato chiedendo di spostarsi all'esterno, magari posticipando anche la prenotazione. Parliamo comunque di una piccola percentuale. Discorso simile per i bar dove i controlli sono rarissimi. Tra l'altro qui la Carta verde non è necessaria né al bancone né all'esterno. Solo chi si siede all'interno ha l'obbligo. Ma anche in questo caso molti sono riusciti ad aggirare il problema: colazione ordinata al bancone e poi portata al tavolino dentro direttamente dal cliente. I proprietari chiudono un occhio. «L'avvio dell'obbligo di Green pass si sta rivelando un disastro, tra malfunzionamenti dell'app deputata a scansionare il certificato, clienti che fanno resistenza e tavoli che in questa incertezza rimangono vuoti» attacca Giancarlo Banchieri, presidente di Fiepet, l'associazione di bar e ristoranti di Confesercenti, che chiede anche «chiarimenti sulle modalità e sulle responsabilità» e una sospensione delle sanzioni «in questa fase di avvio», come in Francia. Nella confusione c'è anche chi ha deciso di anticipare le vacanze perché convito che a settembre le regole saranno molto più chiare e meno stringenti.

GLI ALTRI Un discorso molto simile fatto da alcuni titolari di piscine e palestre che approfittando del mese estivo e del crollo degli iscritti ha abbassato la saracinesca. Chi è rimasto però controlla con rigore. All'Aventino Nuoto entrano tutti con borsa e cellulare in bella mostra. «Controlliamo tutti. Abbiamo scaricato l'applicazione e non abbiamo avuto problemi. Abbiamo rimandato a casa solo due clienti ma solo perché avevano dimenticato di portalo, hanno risolto facendoselo stampare in farmacia», ci racconta Elena della segreteria. Nelle palestre il problema è per gli abbonamenti annuali visto che il Green pass non ha una scadenza così lunga. Qualche problema in più per i musei dove ieri mattina si sono presentati diversi turisti impreparati e si sono registrate code lunghissime. A Roma, la fila per il Colosseo è stata di circa 45 minuti nella prima parte della mattinata, ma è diventata di un'ora e mezza per quelli che si sono messi in fila alle 11.30, mentre alle 13 non era più calcolabile perché lunga 350 metri, su due corsie. Al Pantheon, fila di 40-45 minuti, idem a Pompei nelle prime ore della mattina. Molto organizzato invece il servizio ai Musei Vaticani, dove le persone con prenotazione hanno fatto in tutto 10 minuti di fila. I parchi a tema, invece, dopo la pioggia di disdette delle settimane precedenti sono corsi ai ripari per non vedersi decimare la clientela: tamponi all'ingresso gratuiti per chi non è in regola. Altri ancora hanno optato per un braccialetto da consegnare solo a chi ha la Carta verde, gli altri possono entrare lo stesso ma con delle limitazioni.

Andrea Cuomo per "il Giornale" il 6 agosto 2021. Passaporto verde, semaforo rosso. Il Green pass che battezziamo oggi e che dividerà gli Italiani in buoni e cattivi, risolverà molti problemi ma altrettanti ne creerà. E non parliamo dei dilemmi etici che solleva, ma di mere questioni pratiche. Non sarà che lo strumento destinato a risollevare la nostra economia finirà per affossarla? Il dubbio non è chiaramente espresso ma si legge tra le righe del bollettino mensile della Bce, secondo cui «sebbene la riapertura di ampi settori dell'economia stia sostenendo un forte recupero dei servizi, la variante Delta del Covid-19 potrebbe smorzare la ripresa di questi ultimi, soprattutto nel comparto del turismo e dell'ospitalità». Sono proprio i settori più interessati dal Green pass: ristoranti al chiuso, musei, spettacoli, eventi sportivi. Prendiamo i ristoranti: i gestori non sono contrari in linea di principio alla misura, ma non ci stanno a trasformarsi in vigili, controllori della regolarità dei documenti esibiti dagli aspiranti clienti. Un'attività noiosa, faticosa e anche impopolare. Al punto che da tutta Italia e in particolare dalla Sardegna arrivano notizie di minacce web nei confronti dei ristoratori che hanno fatto partire campagne informative attraverso i loro canali social. Molti hanno ricevuto aggressioni da parte di hater No Vax, ma anche recensioni negative capziose sulle piattaforme come Tripadvisor. «Non possiamo accettarlo - dice Emanuele Frongia, presidente Fipe Confcommercio Sud Sardegna - noi possiamo solo applicare quanto la legge ci obbliga a fare e siamo involontariamente deputati a ricoprire un ruolo che non è nostro». Anche perché «è impossibile non rispettare le regole: rischiamo fino a mille euro di sanzioni e la chiusura dell'attività. Non possiamo permettercelo: il nostro lavoro è iniziato di nuovo solo pochi mesi fa dopo più di un anno di chiusure a macchia di leopardo». C'è chi non si limita a protestare, ma è pronto a una sorta di obiezione: «Nei nostri locali - annuncia Cristina Tagliamento, segretaria nazionale di Tni, il sindacato che tutela imprenditori e dipendenti del mondo horeca - affiggeremo dei cartelli, attraverso i nostri canali social sensibilizzeremo e informeremo la popolazione perché sia in regola se chiede di consumare, con servizio al tavolo, all'interno del locale. Ma non andremo oltre, non vogliamo diventare sceriffi». C'è anche un problema di privacy e per questo il sindacato ha inviato un quesito formale al garante della privacy, come già fatto dall'assessore agli Affari legali della regione Piemonte. «Vogliamo sapere - spiega Tagliamento - se abbiamo ragione nell'affermare che non possiamo verificare i documenti dei clienti in quanto non abbiamo la funzione tipica dei pubblici ufficiali. C'è molta confusione, con pareri discordanti. Non sappiamo chi eleverà eventuali sanzioni, chi chiamare in caso di contestazioni e denunce da parte del cliente. In ogni caso siamo riusciti a costituire un team di avvocati, pronti ad assistere i nostri associati in caso di denunce o sanzioni». Avvocati secondo cui, come dicono Aldo Elia e Antonio Francesco Rizzuto, «il green pass viola il regolamento dell'Unione europea ed è discriminatorio contro la persona. Non si comprende perché solo Italia e Francia abbiano adottato questo sistema. Tuteleremo nelle sedi opportune chi verrà appunto discriminato». Il pasticcio è servito, ora bisogna vedere a chi spetterà pagare il conto.

Ilaria Sacchettoni per il "Corriere della Sera" il 10 agosto 2021. Green pass falsi venduti nel dark web a cifre fra i 150 e i 500 euro. La polizia postale, coordinata dai pm delle Procure di Roma e Milano e dai colleghi della Procura minorile di Bari, ha denunciato 4 persone, due trentenni e due diciassettenni che erano riusciti a fare affari su Internet. Ne è venuta fuori l'ultima truffa online, un raggiro dai contorni inquietanti: cedendo una serie di dati fra i quali il proprio codice fiscale e altre informazioni sensibili era possibile ottenere una copia del Qr code che attestasse l'avvenuta certificazione. Gli indagati, accusati di truffa e falso, gestivano sulla piattaforma digitale Telegram un mercato di falsi pass vaccinali a riprova che l'emergenza Covid-19 ha moltiplicato pulsioni affaristiche sul web. E questo dimostra come non solo sia possibile portare a casa presunti vaccini o terapie immunizzanti ma perfino quei certificati che, scaricati, permettono di accedere in sicurezza a una serie di attività. Il sistema messo in piedi dai truffatori consentiva di acquistare la certificazione (in bitcoin o buoni acquisto per lo shopping online) e scaricarla. Ma poi si scopriva che non era utilizzabile perché incompatibili con l'applicazione VerificaC19 che valida il pass. Qualcuno forse lo avrebbe potuto utilizzare per entrare in qualche locale dai controlli non accurati. Ma per il resto, nulla. Tuttavia a chi, resosi conto dell'inutilizzabilità del pass «tarocco» chiedeva indietro il compenso, il gestore del canale minacciava di rivelare i suoi dati ben sapendo che il cliente, in quel caso, rischiava una denuncia all'autorità. La promessa di ottenere quel pass avrebbe convinto almeno un centinaio di persone a cedere le proprie credenziali a sconosciuti: una scorciatoia per la vacanza estiva oppure per l'appuntamento social con buona pace della altrui sicurezza, perché chi sonda la Rete in cerca di soluzioni del genere poco si cura di infettare il prossimo. Il varo dell'obbligatorietà ha prodotto un'impennata di richieste. L'indagine nasce dall'attività di monitoraggio del dark web, come spiega Ivano Gabrielli direttore del Centro nazionale anticrimine informatico per la protezione delle infrastrutture critiche (Cnaipic), che sottolinea: «Non c'erano remore a consegnare dati sensibili a criminali informatici che avrebbero potuto usarli per catturare codici dei conti corrente o altro». Il monitoraggio ordinario degli specialisti ha portato a rilevare un aumento di truffe online esponenziale nell'ultimo anno e mezzo. Un rischioso fai-da-te che potrebbe costare ai clienti dei 4 denunciati un deferimento all'autorità giudiziaria perlomeno per falso ideologico. Il green pass originale «non può essere falsificato o manomesso poiché ogni certificazione viene prodotta con una chiave privata del ministero della Salute che ne assicura l'autenticità» dice ancora Gabrielli. Il triplice rischio corso dagli utenti - vedersi truffati senza ottenere un pass utilizzabile, cedere dai sensibili a criminali informatici e ritrovarsi con una denuncia all'autorità giudiziaria - non sembra però averli scoraggiati.

La truffa no-vax che corre sul web. Green pass falsi su Telegram, pacco e doppio pacco per i furbetti. Rossella Grasso su Il Riformista il 9 Agosto 2021. Dal 6 agosto il green pass è obbligatorio per entrare in molti luoghi della socialità. Un ostacolo duro da superare per i no-vax e no-green pass convinti che hanno trovato terreno fertile sui social. E come spesso accade sul web anche il pacco e il contropacco. Succede così che al popolo dei furbetti del green pass abbiano ne abbiano venduti non funzionanti e così è partita la richiesta di riscatto a suon di minacce di denuncia tra truffatori e truffati, a loro volta già truffatori dello Stato.

Come funziona la frode dei falsi green pass. “Ciao, ti spiego brevemente come funziona: attraverso i dati che ci fornisci (nome e cognome, residenza, codice fiscale e data di nascita) una dottoressa nostra collaboratrice compila un certificato vaccinale e (quindi sì, risulti realmente vaccinato per lo Stato) e da lì il Green pass”. Con questo messaggio gli utenti in cerca di certificazione verde falsa venivano attratti su Telegram in alcune chat dedicate alla vendita di finti green-pass. Gruppi come “Green Pass ITA” o “Green Pass Italia Acquisto”, sono arrivati a contenere anche 35mila utenti iscritti prima che gli investigatori della Polizia Postale li scoprissero e li chiudessero. Un messaggio iniziale spiegava tutto l’occorrente: codice fiscale, carta di identità e tessera sanitaria. “Dopo avervi mandato il green pass la chat verrà eliminata insieme ai documenti”, spiegava un altro messaggio. Poi il listino prezzi con costi da capogiro: 1 green pass costava 300 euro, con 2 il risparmio, costo totale 500 euro. Invece 4 green pass erano venduti alla modica cifra di 900 euro. Un vero “affare”. Infine: “Abbiamo notato che molti hanno difficoltà ad arrivare ai 300 euro, quindi abbiamo deciso di abbassare i prezzi a 200”.

I green pass fake non funzionano. A un certo punto alcuni utenti hanno iniziato a fare cattive recensioni a quel “servizio”, lamentando che una volta acquistati a quei prezzi da capogiro i green pass falsi non funzionavano come promesso da venditori. A quel punto i truffatori hanno iniziato a minacciare i contestatori che se non avessero pagato un riscatto di 350 euro in bitcoin avrebbero diffuso i dati dei loro documenti ricevuto per creare il falso green pass. Il paradosso è avvenuto quando chi ha comprato i falsi green pass ha minacciato che glieli ha venduti di denunciarli alla Polizia Postale se non gli avessero restituito i soldi. Di tutta risposta, gli organizzatori di questi gruppi Telegram hanno minacciato chi ha pagato (e inviato i loro documenti personali come codice fiscale e carta d’identità): se non pagavano il riscatto di 350€ in Bitcoin, avrebbero diffuso i documenti online e avrebbero fatto avere i nominativi dei truffati alla Polizia. Dunque un vicolo cieco.

L’operazione “Fake Pass” della Polizia Postale. Ci sono sicuramente persone che hanno ceduto al ricatto e hanno pagato i soldi del riscatto in bitcoin. Ma intanto la Polizia postale ha fatto una vera a propria retata digitale con l’operazione “Fake Pass”. Gli investigatori del Servizio Polizia Postale e delle Comunicazioni di Roma, Milano e Bari, con il coordinamento delle Procure della Repubblica presso i Tribunali di Roma, Milano e dei minorenni di Bari, stanno eseguendo perquisizioni e sequestri nei confronti degli amministratori di 32 canali Telegram responsabili della vendita di green pass Covid-19 falsi. Intanto la Polizia ricorda che qualsiasi certificato green pass originale non può essere falsificato o manomesso “poiché ogni certificazione viene prodotta digitalmente con una chiave privata del ministero della Salute che ne assicura l’autenticità”. Ad ogni controllo l’app VerificaC19 legge la firma digitale e verifica che sia decifrabile con una delle chiavi pubbliche che ha scaricato dal database. Di conseguenza un Qr-Code generato con una certificazione non autentica non supererebbe la procedura di verifica.

Rossella Grasso. Giornalista professionista e videomaker, ha iniziato nel 2006 a scrivere su varie testate nazionali e locali occupandosi di cronaca, cultura e tecnologia. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Tra le varie testate con cui ha collaborato il Roma, l’agenzia di stampa AdnKronos, Repubblica.it, l’agenzia di stampa OmniNapoli, Canale 21 e Il Mattino di Napoli. Orgogliosamente napoletana, si occupa per lo più video e videoreportage. E’ autrice del documentario “Lo Sfizzicariello – storie di riscatto dal disagio mentale”, menzione speciale al Napoli Film Festival.

Pasquale Napolitano per “il Giornale” il 18 agosto 2021. I sindacati strizzano l'occhio ai No Vax. I social non perdonano e crocifiggono i metalmeccanici. Il passo falso da parte delle organizzazioni sindacali è contenuto del comunicato, sottoscritto dalle segreterie nazionali di Fim-Cisl, Fiom-Cgil, Uilm per ribadire il dissenso rispetto alla decisione di Leonardo di vietare l'accesso alla mensa aziendale per i lavoratori sprovvisti di green pass. Il passaggio che scatena l'indignazione dei social è riportato al quarto capitoletto: «I vaccini non sono una cura definitiva», scrivono i sindacati. Dubbi che bastano a spingere i sindacati nel «girone» dei No Vax. Dal proprio account Twitter Dario Di Vico, giornalista del Corriere della Sera, è duro: «Il comunicato dei metalmeccanici del gruppo Leonardo sembra riecheggiare le tesi No Vax. Una novità assoluta». Gli utenti si scatenano: «La Fim Cisl nella quale ho militato e fatto il dirigente fino al 2016 non avrebbe mai proclamato uno sciopero contro il green pass. Deriva corporativa», rincara Sandro Pasotti. Leonardo Monaco è netto: «Conferma quanto i sindacati italiani siano fuori dalla realtà, ormai da anni. Che si occupino dei pensionati che è l'unica cosa che sanno fare». Il tono dei messaggi non cambia: «Quando sei il sindacato ma per un attimo diventi medico/ricercatore ed esprimi valutazioni sulle terapie anti Covid perché i soldi del tesseramento sono fondamentali», attacca un altro utente. La protesta sindacati nasce da una faq governativa con cui viene messo in discussione l'accesso alle mense nelle aziende per i lavori sprovvisti di green pass. Leonardo e altre aziende, sulla base della faq governativa, hanno deciso di bloccare l'accesso alle mense. La risposta delle organizzazioni dei lavoratori non si fa attendere: «Sulla base delle incerte disposizioni governative recenti, in queste ore alcune imprese nazionali e multinazionali stanno procedendo senza confronto con iniziative unilaterali su un punto fondamentale per le lavoratrici e i lavoratori: il diritto alla salute e sicurezza nei luoghi di lavoro e l'accesso alle mense. Non accetteremo mai nessuna disparità di trattamento fra luoghi di lavoro e mense», replicano in una nota congiunta Fim Fiom e Uilm sull'uso del green pass nelle mense. «È inaccettabile la mancanza di chiarezza normativa: il governo agisca subito prima che la situazione diventi incontrollabile. Alle iniziative unilaterali delle imprese - concludono i sindacati - rispondiamo con la contrattazione e con la richiesta di convocare i comitati Covid in ogni azienda, perché non possono essere messi in contrapposizione i diritti ma bisogna trovare soluzioni che riducano al minimo possibile i rischi sui luoghi di lavoro. Il costante tracciamento attraverso i tamponi a carico delle aziende per i lavoratori garantisce il green pass». Ecco il nuovo fronte tra aziende e sindacati No Vax.

Se la Cgil difende gli indifendibili. Pier Luigi del Viscovo il 10 Agosto 2021 su Il Giornale. Landini sui vaccini sta perseguendo il suo obiettivo, anche se ai più appare ondivago e c'è chi scrive che stia sfuggendo alle sue responsabilità. Landini sui vaccini sta perseguendo il suo obiettivo, anche se ai più appare ondivago e c'è chi scrive che stia sfuggendo alle sue responsabilità. Chi pensa questo ritiene che il fine del sindacato sia il bene dei lavoratori, che sempre più coincide col bene del Paese. In un'economia florida i lavoratori possono stare bene o meno bene; in una che arranca stanno sicuramente male. In questa visione, il sindacato dovrebbe fare la sua parte per aiutare il sistema a produrre più ricchezza, salvo poi chiedere una fetta maggiore: per distribuire alla maniera socialista, devi produrre alla maniera capitalista. Siamo tutti sulla stessa barca, pur se in posizioni diverse e a volte contrapposte. Noi. Il sindacato no. Landini e company guidano delle organizzazioni e di queste sentono la responsabilità. Tali organizzazioni, ancorché mantenute dai contributi degli iscritti, più o meno consapevolmente, sopravvivono solo grazie al potere che gli riconoscono altri soggetti istituzionali, essenzialmente in base al numero di lavoratori che rappresentano. Per questo è Landini il più importante di tutti, parla per primo e detta la linea. Bene, questo meccanismo gli impone di essere inclusivo, non selettivo. Così, le posizioni verso i comportamenti dei lavoratori non sono mai nette e definite. Non sono contrari al vaccino, e ci mancherebbe, ma se poi uno non volesse va bene uguale. Al lavoro bisogna andarci, e ci ri-mancherebbe, ma se poi qualcuno fa il furbetto col cartellino va bene lo stesso. I lavoratori vaccinati o che timbrano onestamente sono parte lesa, vittime di chi mette a rischio la loro salute o li frega sull'orario di lavoro. Ma su questo Landini non dice una parola, perché insegue tutti i lavoratori, non escludendo chi sbaglia e si pone contro i suoi stessi colleghi. Anzi, proprio cavalcando l'errore: se ne combini una grossa, il sindacato non ti lascerà solo. Ma lavoratrici e lavoratori non sono tutti uguali e alcuni agiscono peggio di altri. Difendere gli indifendibili è un modo volgare e protervo di spendere il patrimonio degli iscritti. Dopodiché, il sindacato ama assumere posizioni nette e anche di rottura, ma sempre e solo con chi sta all'esterno del suo perimetro. Quindi, se insisti sui vaccini ti inchiodiamo su infortuni e sicurezza non-Covid, così diamo pure il messaggio ai lavoratori che ci battiamo per loro. Anche i megafoni giornalistici tacciono perché massificati ideologicamente: criticare il sindacato è peccato mortale. Del resto, l'unica grande organizzazione sociale che dura da duemila anni si fonda appunto sull'inclusività.

Green pass e sindacati. Landini, che scivolone sul green pass: se il leader della Cgil sta con i lavoratori molli i no-vax. Giuliano Cazzola su Il Riformista il 18 Agosto 2021. Direbbe Polonio, il cortigiano del Principe Amleto, che anche nella follia occorrerebbero una logica e un metodo. Altrimenti l’unico rimedio è la camicia di forza o il Tso. Ammetto che non riesco a capacitarmi della guerra che i nuovi gilet gialli della sanità hanno dichiarato al green pass scomodando tutti gli “ismi” malefici in voga nel Secolo breve. Chi indossa la stella gialla in questa circostanza dovrebbe vergognarsi perché è il suo cieco furore, privo di ogni razionalità, ad evocare la Shoah, quando venivano individuate negli ebrei quelle minacce montate ad arte ai fini della persecuzione e dello sterminio. Se i nazisti avessero avuto l’onestà di ragionare, non avrebbero trovato un solo motivo che giustificasse il loro odio contro gli appartenenti a una religione; la stessa considerazione varrebbe oggi per l’ostilità preconcetta al vaccino. Anche i filosofi diventano “terrapiattisti” quando intendono giustificare la “renitenza”. Scusate: ma c’è una sostanziale differenza tra quanto stava scritto sui “Protocolli dei Savi di Sion” e ciò che viaggia oggi sui social con riguardo alla storia del microchip che verrebbe inserito, col pretesto della vaccinazione, per tenere sotto controllo le persone? Ma ciò che più indigna è l’invocazione dei diritti della persona e della libertà dell’individuo, fino a paragonare la sterilizzazione forzata degli inabili e dei dementi che purtroppo, nel secolo scorso, non è avvenuta soltanto nella Germania nazista, ma anche in Paesi democratici. Il green pass non impone alcun obbligo, ma è un requisito necessario per poter accedere in certi luoghi o essere ammessi allo svolgimento di alcune attività, insieme con altre persone. La mobilità è certamente un diritto importante nel mondo di oggi. Questa possibilità (con appresso il turismo) è meglio garantita da un passepartout di carattere internazionale che attesti una condizione di relativa immunità della persona che viaggia oppure da regimi di quarantena in entrata e in uscita? Nei 100 giorni di lockdown duro, quando le restrizioni provocavano un crollo del Pil, noi non eravamo neppure liberi di andare a messa, perché le chiese erano chiuse, di sposarci persino di morire circondati da amici e famigliari ai quali era proibito venire al funerale. I runner rischiavano il tiro dei cecchini; era in vigore il coprifuoco e gli elicotteri della Polizia e dei Carabinieri volavano come avvoltoi, di notte, sulle città deserte per indicare alle pattuglie a terra eventuali assembramenti. I locali pubblici erano chiusi. Le persone erano confinate nei comuni in cui risiedevano nonostante la loro dimensione. I nonni non potevano vedere i nipoti; solo un’estensione impropria del concetto di congiunti consentiva ai giovani (e non solo) di vedere la compagna o il compagno. E magari quelli che oggi scendono in piazza erano gli stessi muezzin che si arrampicavano sulle terrazze, alle 18, al canto di ‘’tutto andrà bene’’. E i ristoratori che non vogliono effettuare i controlli per chi entra nei locali interni, hanno dimenticato i mesi delle serrande abbassate o della possibilità di servire solo all’esterno, del distanziamento tra i tavoli o del controllo sul grado di parentela delle persone che pranzavano assieme o dell’accertarsi che chi si alzava da tavola per andare alla toilette indossasse la mascherina? Da decenni, nei locali pubblici è vietato fumare; e a controllare che ciò non avvenga ci pensano il titolare e i camerieri. Il tabagismo è una dipendenza che è stata tutelata persino durante il lockdown: le tabaccherie non sono mai state chiuse al pari delle farmacie. Eppure, si può fumare solo in casa propria, nelle camere a gas riservate ai fumatori e all’aria aperta. I fumatori non hanno neppure la scappatoia del green pass. Non entrano e basta. Ma l’atteggiamento che dovrebbe indurre una rivolta morale è quello dei grandi soggetti collettivi: i sindacati. Come ha scritto Marco Bentivogli, un ex sindacalista troppo bravo per continuare ad esserlo, «il sindacato ha un senso se è scuola di responsabilità ed agenzia educativa» e non «se è cassa di risonanza delle corporazioni». Ma quelli ancora in servizio permanente effettivo non sanno che pesci pigliare. «Sia chiaro, il sindacato sta invitando tutti i lavoratori a vaccinarsi e non abbiamo nulla di principio contro il Green Pass, ma in nome di ciò non è accettabile introdurre una logica punitiva e sanzionatoria nei confronti di chi lavora»: ad affermarlo è il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, che in una intervista a Repubblica ha criticato le multe previste nel decreto per il personale scolastico che si presenti al lavoro privo di green pass e la norma che di fatto equipara le mense aziendali ai ristoranti. Che senso ha affermare che i vaccini e il green pass sono fondamentali, ma che se ne può fare a meno perché bastano le misure di protezione previste nei benemeriti protocolli di sicurezza? L’ayatollah supremo della Cgil non si pone neppure il problema – già individuato dalla giurisprudenza – della responsabilità dell’imprenditore per gli effetti dell’infortunio da covid-19, né della possibilità (o meno) di accesso nelle aziende e negli uffici di coloro che non vogliono vaccinarsi. Il governo nell’introdurre il green pass non può limitarsi ad imporlo ai “soliti noti” ovvero a quanti hanno pagato di più in conseguenza delle chiusure imposte (bar, ristoranti, cinema, teatri, ecc.). Occorre “sparare nel mucchio” ovvero garantirsi – nella misura del possibile – una condizione di relativa sicurezza dei milioni di persone che lavorano. Le misure prese nel caso del personale scolastico vanno nella giusta direzione anche se la segretaria generale del sindacato scuola della Cisl si è lasciata andare a dichiarazioni assai discutibili (per non dire di peggio). «Emerge invece, e mi chiedo quale sia il motivo – ha dichiarato Maddalena Gissi – una sorta di accanimento verso il personale scolastico, per il quale si prevedono sanzioni che non trovano riscontro in nessun altro settore lavorativo, nemmeno nella stessa sanità». Alla fine dei conti, i sindacalisti dovrebbero rispondere ad alcune domande: 

1) il dipendente che non vuole vaccinarsi può entrare ugualmente al lavoro oppure (come afferma la giurisprudenza) può essere sospeso a meno che non si rimedi, in azienda, una diversa mansione che metta in sicurezza sia lui che i collegi e i terzi?; 

2) nel caso che diventi inevitabile un provvedimento di sospensione il “renitente” deve essere retribuito e a che titolo?; 

3) se gli altri dipendenti sostengono che la loro sicurezza è minacciata che cosa fa il sindacato? Difende il diritto di coloro che rifiutano il vaccino?;

4) se il datore di lavoro, avvalendosi delle sentenze nel frattempo intervenute, sospende senza retribuzione gli “irriducibili”, come reagisce il sindacato? Chiama i vaccinati a scioperare in solidarietà coi colleghi “renitenti” (i quali, secondo l’azione di moral suasion dei sindacalisti sono in errore)? Almeno la CGT francese ha assunto una decisione coerente sia pur degna di un sindacato divenuto irriconoscibile e che si è messo a rimorchio di ogni refolo di protesta: chiama i lavoratori a scioperare contro quello che definisce “obbligo vaccinale”. Giuliano Cazzola

Paolo Griseri per “la Stampa” il 19 agosto 2021. Uno degli ultimi episodi al cementificio Rossi di Pederobba, in provincia di Treviso, 90 dipendenti ai piedi del Monte Grappa. Dopo settimane di discussioni l'iniziativa l'hanno presa i delegati di azienda: «In mensa i vaccinati, sacchetti con cibo caldo per gli altri». Altro che timori per la presunta segregazione dei no vax: «Il 90 per cento degli iscritti alla Cgil vuole il vaccino e il Green Pass. Non possiamo inseguire l'altro dieci per cento», dice il segretario generale di una importante categoria della Cgil. La sua non è una posizione isolata. I dubbi sulle ambiguità della linea dell'organizzazione sul Green Pass sono diffusi nel principale sindacato italiano. La linea spiegata da Maurizio Landini («È sbagliato introdurre il Green Pass nelle mense con una logica sanzionatoria») non sembra convincere larga parte dell'organizzazione. Dallo schermo rimbalzano parole grosse: «Corporativo», «minoritario». Accuse pesanti nel linguaggio della sinistra quelle che si scambiano i segretari generali delle categorie riuniti in videoconferenza nella giornata di martedi. Landini assiste ad uno scontro che certo non gli piace. Perché ciascuno dei partecipanti alla riunione telematica rappresenta centinaia di migliaia di iscritti. Le resistenze maggiori al certificato verde obbligatorio vengono dagli insegnanti e dai metalmeccanici. I dubbi delle tute blu sono addirittura trasversali alle organizzazioni sindacali. Lunedì scorso, proprio alla vigilia della riunione del vertice della Cgil, Fim, Fiom e Uilm nazionale hanno firmato un comunicato di sostegno esplicito alla linea del «no Green Pass» in mensa. Accusando il governo di «incerte disposizioni» rivendicavano il diritto di «accesso alle mense per tutti i lavoratori e lavoratrici». Anche per questi antefatti la riunione di martedì si accende presto. Perché l'uscita dei metalmeccanici sembra voler spingere anche le altre categorie a seguire la strada del no all'obbligo di Green Pass. I lavoratori della scuola si accodano alla linea. Lo fanno con convinzione: «Non tocca a noi decidere se ci debba essere l'obbligo. Tocca al governo. Lo faccia». Perché non costringere gli insegnanti a vaccinarsi e dimostrarlo con il certificato verde? «Perché fino ad oggi hanno sempre funzionato i protocolli sul distanziamento e tanto deve bastare». È la tesi pubblicamente sostenuta da Landini. Sapendo che sull'obbligo di certificato verde nei luoghi di lavoro Draghi difficilmente riuscirà a mettere d'accordo Lega e Pd, Cinque stelle e Fratelli d'Italia. Così il sindacato spera che sia l'impasse della maggioranza a toglierlo dall'impaccio di dover prendere una posizione chiara sulla vaccinazione. E nella maggioranza politica c'è chi tenta la mossa contraria: lasciare che sia il sindacato a vedersela con il Green Pass obbligatorio magari imposto dalle aziende. Il classico gioco del cerino, tipico della piccola Italia. Nelle stesse ore della riunione in Cgil da Palazzo Chigi si tenta invano una via d'uscita. Una «faq» afferma che «per la consumazione al tavolo al chiuso i lavoratori possono accedere nella mensa aziendale o nei locali adibiti alla somministrazione di servizi di ristorazione ai dipendenti, solo se muniti di certificazione verde, analogamente a quanto avviene nei ristoranti». Sembra chiaro ma non è così secondo i sindacati: «Una faq non è un provvedimento legislativo», taglia corto il segretario dei metalmeccanici della Cisl di Torino, Davide Provenzano. E anche i sindacati degli insegnanti si uniscono in modo trasversale: i titolari di cattedra di Cisl e Uil si oppongono all'obbligo. Non sfugge che la più grande categoria dell'industria e quella degli insegnanti siano state in questi anni le più permeabili alle sirene del grillismo e alle sue predicazioni no vax. Ma nei luoghi di lavoro quelle titubanze non sono apprezzate. Dalla riunione emergono episodi preoccupanti. «Nelle fabbriche vengono a chiederci spogliatoi separati tra vaccinati e no» racconta un segretario. La divisione è anche più profonda: «Dovremmo introdurre l'obbligo anche nelle salette sindacali interne alle aziende». C'è chi riferisce situazioni particolari: «Perché devo lavorare gomito a gomito con i miei compagni in galleria se so che uno di loro non si è vaccinato e non intende farlo?». La preoccupazione generale, che tutti condividono, è quella di evitare che l'obbligo del Green Pass finisca per annullare i protocolli di sicurezza definiti nel marzo del 2020, all'inizio della pandemia, quando sindacati e imprenditori della manifattura avevano stabilito regole precise di distanziamento per riprendere rapidamente la produzione. Una unità di intenti che riproduceva nei luoghi di lavoro il clima generale del Paese, quando la sera l'Italia cantava sui balconi. Ma oggi non è più così: «Chi ci garantisce che con il Green Pass obbligatorio le aziende non ritengano di abolire i vecchi protocolli di sicurezza?» dicono i dubbiosi. «Ma se si fa un accordo che impone l'obbligo di Green Pass e i protocolli, questo problema si supera», rispondono altri. Questioni divisive che lo schermo restituisce in modo chiaro, quasi drammatico. «Dobbiamo cercare il più possibile di tenere uniti i nostri iscritti, evitare che si dividano», dicono i rappresentanti degli insegnanti. Aggiungendo che «per questa ragione è giusto pagare il tampone ai colleghi che non intendono vaccinarsi». Posizione che crea scompiglio. I favorevoli all'obbligo insorgono: «In Germania Merkel sta pensando di imporre a chi non si vaccina per scelta di pagarsi i tamponi. Perché noi dovremmo invece essere condiscendenti verso i no vax? Con le scuole che cadono a pezzi spendiamo i denari pubblici per pagare scelte contro l'obbligo vaccinale?». Nella riunione c'è chi ricorda «il caso di Napoli quando il colera colpiva la città e il 19 per cento delle vaccinazioni contro la malattia venne effettuato nelle Camere del lavoro». E aggiunge: «Siamo in grado di proporre noi al governo l'obbligo vaccinale nei luoghi di lavoro?». Per far cessare anche il gioco del cerino tra la politica e il sindacato uscendo dall'angolo ed evitando di subire le divisioni interne. Landini deve ora governare tutto questo. E non solo lui. Anche Sbarra e Bombardieri, i segretari generali di Cisl e Uil, devono far fronte a problemi analoghi con una base in grandissima maggioranza favorevole al vaccino che rischia di diventare ostaggio della rumorosa minoranza no vax. Il sindacato italiano deve insomma trovare la strada per uscire dalla stretta come era riuscito a fare con i protocolli nella prima fase della pandemia. Probabilmente nei prossimi giorni l'incontro tra i vertici di Cgil. Cisl e Uil e i due ministri competenti, Speranza e Orlando, servirà a diradare le nebbie. Prima che, con la ripresa di autunno, la questione dell'obbligo vaccinale sui luoghi di lavoro diventi esplosiva. «Come sindacato - dice uno dei partecipanti alla riunione in Cgil di martedì scorso - dovremmo scegliere. Una soluzione potrebbe essere quella di organizzare noi i comitati vaccinali nelle fabbriche per promuovere l'immunizzazione. Avevamo fatto accordi per poter realizzare le vaccinazioni in fabbrica. Come possiamo oggi diventare agnostici?».

Landini, vaccini e Green Pass: così il sindacato si fa travolgere dal populismo dimenticando la lezione di Marx. Michele Prospero su Il Riformista il 19 Agosto 2021. Le pallottole verbali di Cacciari e Agamben, indirizzate contro il vaccino trionfante quale novello “simbolo politico-religioso”, hanno fatto cilecca tra i professionisti della episteme che ridono di tante leggerezze ma hanno conquistato casematte sul terreno della doxa che è cosa fondamentale nei tempi di populismo. Chi ha dimestichezza con il diritto o con la medicina, trova in certe analisi contro “la sperimentazione di massa”, con accostamenti persino al “manifesto per la razza” o al “bisogno di discriminare”, delle considerazioni assurde con implicazioni manifestamente sgrammaticate. E però talune immagini apocalittiche hanno prodotto comunque un impatto sulla politica. Non si tratta solo di Giorgia Meloni che condivide sulla sua pagina gli scritti contro i dispositivi del sorvegliare e punire e celebra i passaggi televisivi più plateali dei filosofi ribelli contro lo stato di emergenza sanitaria (il talk show come unica zona di resistenza al dominio pervasivo!). Anche il solitamente misurato Marco Damilano, che pure conosce la complessità delle questioni istituzionali, recupera le analisi biopolitiche e addirittura rilancia la denuncia di Cacciari contro un progressivo svuotamento democratico che «trasforma l’emergenza perenne in uno strumento di governo, uno stato di emergenza costituzionalizzato». Sotto attacco sono i governi liberali che, in una situazione di emergenza sanitaria (che, con un grave errore concettuale-definitorio, viene scambiata dai teorici biopolitici con lo stato di eccezione di Schmitt), impongono le necessarie forme di un obbligo politico con misure temporaneamente restrittive. Con questi provvedimenti, coperti in ogni caso dalle risorse procedurali dell’ordinamento, i governi hanno, con una variabile efficacia va da sé, varato urgenti disposizioni per la affermazione dei principi della doverosità sociale. Dalle visioni oracolari di una emergenza ormai costituzionalizzata, con uno scivolamento inarrestabile verso un restringimento dei diritti civili e politici che viene giustificato ora dalla salute e altre volte dalla contingenza finanziaria, parte anche l’affondo di certi ambienti giustizialisti contro Mattarella e il suo contributo al Conticidio. Il Quirinale vi compare come l’architetto dell’emergenza che si consolida quale prassi ordinaria di politica istituzionale da quando ha evocato proprio la pandemia come un motivo sostanziale di impedimento nel ricorso al voto anticipato. In realtà le cose andarono diversamente da quanto sostenuto dai giudici improvvisati nelle loro sentenze su “tutti gli errori di Mattarella”. I partiti avrebbero potuto imporre la loro determinazione per lo scioglimento delle camere, non lo hanno fatto e quindi è semmai la loro pavidità ad essere imputabile. È del tutto insostenibile la chiacchiera di una condotta liberticida del Colle che, con deroghe e chiusure autoritarie, avrebbe ostacolato nientemeno l’esercizio libero della sovranità popolare. Secondo certe letture oggi in auge sulla stampa, l’emergenza non è nella pandemia che minaccia i corpi (se 130 mila morti vi sembran pochi) ed impone interventi legislativi a difesa della vita ma è semplicemente una costruzione deliberata dei governi fintamente democratici che marciano spediti in vista di un restringimento progressivo degli spazi di libertà. Si può comprendere la logica commerciale che consiglia alla Stampa e all’Espresso l’amplificazione di certe “analisi” pseudo-radicali che civettano con i professori recalcitranti all’idea che qualcuno del personale sanitario faccia loro un buchino sul preziosissimo braccio. Quello che sfugge è il motivo dell’accettazione di una visione scettica sull’obbligazione politica, che ogni democrazia può richiedere a protezione di bisogni collettivi, da parte del sindacato che annuncia scioperi contro l’obbligo del green pass visto come uno strumento di sorveglianza e discriminazione. La protezione dei malati, degli immuno-depressi, dei soggetti fragili o in cura dovrebbe sempre prevalere sulle lamentele circa le presunte discriminazioni cui sarebbero costretti i non possessori del green pass che non possono bere un bicchiere in pubblico. Nel suo tirarsi fuori da quella leopardiana “social catena” contro la natura che diffonde pericoli di morte, il sindacato adotta i principi della biopolitica alla Agamben che vede nelle misure governative nientemeno che una “abolizione dell’amore” e celebra la rivolta del singolo rispetto alla orribile comunità che con una vocazione totalitaria protegge il primario diritto alla vita. Sul piano etico, per il riconoscimento dell’altro può bastare anche la pietas o la humiana simpatia che induce ciascuno a prendersi cura della sofferenza degli altri e a provare un disagio sulla altrui condizione come fosse la propria. Sul terreno giuridico, questo sentimento morale, che induce a comprendere e a condividere il disagio altrui come non indifferente, si traduce però in stringenti principi giuridici e doveri di solidarietà imposti anche con esplicite sanzioni. È un peccato che Landini non abbia letto Marx. I sindacalisti di una volta lo frequentavano di più e con qualche profitto. Da Trentin a Bertinotti (che addirittura seguiva la bussola infallibile di Della Volpe) il sindacalismo rosso aveva una dimestichezza con i classici. E proprio dai classici Landini avrebbe potuto apprendere che dentro la fabbrica si pongono anche problemi di natura pubblica e che tocca all’autorità politica ricoprire d’imperio (sì con sanzioni) per difendere i corpi di chi lavora anche a dispetto della volontà delle parti interessate pronte a rinunciare a tutele. Nel Capitale Marx esaltava il parlamento inglese che, su richiesta delle grandi lotte operaie e sindacali (erano altre organizzazioni, evidentemente), si decideva a varare norme, inchieste, misure urgenti sulla salute, i tempi di lavoro. Si tratta di questioni che in democrazia sono state pubblicizzate. Sia con il diritto civile, che contempla per l’impresa una cogente responsabilità in merito alla salute dei lavoratori sia con il diritto penale e amministrativo che introducono apparati sanzionatori. In questo modo, il principio aureo della autonomia, come regola principe dei rapporti tra soggetti privati, si è piegato dinanzi al riconoscimento dello spazio ineludibile della eteronomia che procede anche nei rapporti di lavoro, se necessario persino oltre la “libera” volontà derogatoria del singolo che rinuncia a diritti e condizioni legali, con sanzioni penali, civili, amministrative. Insorgendo contro le misure eteronome previste in Gazzetta Ufficiale, per imporre norme efficaci di sicurezza in fabbrica, il sindacato di Landini, sempre meno rosso e sempre più giallo (aideologico-grillino), denuncia una «logica punitiva e sanzionatoria» e nei fatti segue le ricette del sociologo Spencer che, diversamente da Marx, inveiva contro il parlamento inglese che osava intromettersi nei sacri principi dell’autonomia negoziale imponendo delle intollerabili restrizioni legali tese a limitare l’arruolamento in fabbrica di bambini di otto anni, inopinatamente deprivati della loro piena autonomia negoziale. Questi odierni urlatori anti-liberisti, annidati nel sindacato e nella biopolitica, sono scolari tardivi di Spencer, non certo di Marx. E ricorrono, nelle loro pseudo-argomentazioni, alle stesse formule antipolitiche di Von Mises, Hayek contro l’orrore della regolazione. Gratta un sindacalista che alza la voce contro le discriminazioni dei non vaccinati, che per lui andrebbero tutelati anche nella loro potenziale minaccia rispetto all’indisponibile diritto alla vita degli altri, o un biopolitico antiliberista, che vaneggia sul dispositivo di controllo totalitario insito nella protezione del corpo dalla malattia pandemica, e scopri il volto impassibile dei padri del neoliberismo più radicale. Michele Prospero

Filippo Ceccarelli per "il Venerdì - la Repubblica" il 9 agosto 2021. In Italia, come si sa, niente rimane serio per più di due o tre giorni, figurarsi il Green Pass. Così, poche ore dopo l'annuncio del governo, puntuale come un orologio comprato al mercato di Forcella, sulle chat di WhatsApp è ritornata a girare quella stessa voce rauca e di mercato che già all'inizio della pandemia da Napoli, capitale morale dell'umorismo social, aveva offerto in affitto «'o cinese cu 'a toss» per saltare le file al supermercato o all'ufficio postale. Stavolta si trattava di carta verde: «'O grin pass, 'o grin pass, accatatev' 'o grin pass! 'O grin pass a vint' euro, 'o grin pass cu 'o codice QR trenta euro, 'o grin pass in inglese trentacinq' euro! O tenite pe' trasire int' o bar o int' o ristorante!». Ora, in Italia niente resta serio anche perché tutto butta sempre un po' al di là dell'immaginazione: l'altro giorno, sulla cronaca romana di Repubblica, Valentina Lupia ha reso noto che la polizia postale era sulle tracce di alcune pagine Telegram che effettivamente ponevano in vendita dei Green Pass fasulli, anche se meno convenienti di quelli del piazzista napoletano, 200 euro in versione digitale e 200 cartacea. Tutto questo a solenne riprova che mentre il Paese si dilania tra no vax e ultra vax esiste un terzo partito, nazionale e social, che con naturalezza si schiera a favore del gioco, dello scherzo, della parodia, della buffoneria, comunque della risata, sottile o grossolana che sia, ma con inesorabile appiglio nella realtà. Di tale antico ed evoluto comparto dell'opinione pubblica la raffigurazione iconica che si è scelta, nella sua grottesca e ammiccante maschera, proviene dalla pagina Instagram Zonno Cacudi Show (oltre 29 mila follower), di un influencer salentino ad alto contenuto d'attualità che s' è fatto esso stesso Green Pass, con il dovuto corredo di doppi sensi tipo "passera" e "figation" e l'adeguato accompagnamen to sonoro: «Bongo la/ Bongo cha cha cha/ parlami/ del Sudameeeeerica...». Può sembrare una scemenza, un enigma, un destino, ma le piattaforme elettroniche non solo traboccano di facezie paravaccinali, ma spesso collegano il lasciapassare alla seduzione («Sali a vedere il mio Green Pass?»), alla prostituzione («fa 50 con il Green Pass e 100 senza»), ai piaceri solitari (la schermata di Pornhub e la scritta: «Inserire Green Pass per accedere al sito»), alla droga (l'immagine di due mani che si passano una canna accesa). Si trovano poi il puntigliosissimo Furio di Verdone che incalza l'infelice moglie: «Hai preso il green pass?» e il presidente Draghi trasformato in cartomante zingara che sceglie il Green Pass o in versione playboy: «No Vaccini, no party». Domina infine la banconota verde da 100 euro: «Uno dei Green Pass necessari per viaggiare».

Estratto dell’articolo di Anna Lombardi per "la Repubblica" il 3 agosto 2021. «Aiuto, siamo prigionieri in America». Sì, per colpa del divieto di viaggio istituito nel pieno della pandemia da Donald Trump e mai abolito dal successore Joe Biden, migliaia di "expats" italiani - gente che vive, lavora e paga le tasse negli Usa - non tornano in patria da almeno 16 mesi: troppo alto il rischio di rimanervi bloccati a tempo indeterminato, come d'altronde già accaduto a chi ha preferito affrontare il lockdown in Italia e da allora non è più potuto rientrare negli Usa, salvo rare eccezioni per determinati visti. (…) «Finora abbiamo capito e sopportato. Ma vedere gli americani fare su e giù è una beffa. Non riabbracciamo i nostri cari da due anni» ti dice Gisella De Rosa, chietina di 37 anni, da Baltimore dove vive col marito leccese Mario Gennaro di 39: «Siamo astronomi. Dal 2011 lavoriamo sui telescopi spaziali della Nasa. Ma il nostro visto H1B non è ritenuto essenziale. Qui abbiamo avuto 3 figli. Il piccolo ha 9 mesi e non ha mai ricevuto l'abbraccio dei nonni. Ci troviamo davanti a una terribile scelta: la carriera - perché un lavoro così non riusciremo a trovarlo in Italia - o la famiglia». Lo ripete pure Federica Giordano, palermitana di 32 anni, dal Texas, dove lavora come ricercatrice all'Houston Methodist Hospital: «Le nostre famiglie hanno fatto tanti sacrifici per darci opportunità migliori. E ora cosa dobbiamo fare? Mollare?». Per questo ha creato, insieme ad alcuni colleghi, gli account Bring Us Home su Twitter, Instagram e Facebook, rapidamente diventanti contenitori di storie: «Ci sentiamo discriminati, frustrati, invisibili» ripetono in tanti. Quanti siano gli italiani bloccati, nessuno lo sa: provando a fare un calcolo basato sul rapporto "Italiani nel mondo 2020" della Fondazione Migrantes, il dato realistico è di circa 57mila connazionali. Ma quanti di loro siano ancora in America e quanti rientrati in Italia è difficile saperlo. (…) 

Nando Pagnoncelli per il “Corriere della Sera” il 31 luglio 2021. La diffusione della variante Delta del Covid fa risalire la percezione di minaccia del contagio, sia a livello personale (il 33% si dice preoccupato, in crescita del 2% rispetto a giugno), sia nella propria comunità (43%, +5%) e nell'intero Paese (59%, +10%). La preoccupazione cresce nonostante il costante aumento delle persone vaccinate, infatti il 71% della popolazione maggiorenne ha ricevuto almeno una dose. Tra chi non si è ancora vaccinato il 6% intende farlo non appena possibile, mentre il 10% esprime dubbi, il 7% dichiara di non volersi assolutamente vaccinare e il restante 6% non prende posizione. La decisione del Consiglio dei ministri che ha approvato l'introduzione del cosiddetto green pass ottiene il consenso di due italiani su tre: infatti il 39% si dichiara molto favorevole e il 27% lo è abbastanza; uno su quattro è piuttosto (12%) o molto (12%) contrario e il 10% sospende il giudizio. I favorevoli prevalgono tra tutti i segmenti sociali e tra gli elettorati di tutti i partiti, sia pure con una quota di oppositori e di persone che non si esprimono che varia in relazione all'età (aumenta al crescere dell'età), del livello di istruzione (è più elevata tra le persone meno istruite), situazione economica (aumenta tra i ceti meno abbienti) e condizione professionale (soprattutto tra commercianti e artigiani, disoccupati e lavoratori precari). Quanto agli elettorati, i più contrari sono in FdI (41%) e nella Lega (34%), dal che si comprende la strategia comunicativa adottata dai leader di queste due forze politiche. Le motivazioni contro il green pass da parte dei non favorevoli (gli oppositori e chi non si esprime) si dividono tra coloro che ritengono che il provvedimento rappresenti una grave violazione della libertà individuale (10%), coloro che paventano un danno per le attività economiche (10%) e infine coloro che lo reputano inutile per contenere i contagi e potenzialmente dannoso per chi si sentirà costretto a vaccinarsi, pur considerandolo un rischio per la propria salute (8%). Il green pass ha suscitato molte reazioni: nelle città si sono tenute manifestazioni di protesta, condivise dal 24% degli italiani (40% tra gli elettori di FdI, 31% tra i leghisti e 33% tra gli altri elettori di centrodestra), mentre la maggioranza assoluta (58%) le ha considerate sbagliate. Indubbiamente la vicenda induce un'approfondita riflessione sul rapporto tra diritti e doveri. Il direttore del Corriere Luciano Fontana su queste pagine ricordava che non esiste la libertà assoluta dell'individuo, la cui libertà ha un limite nei diritti degli altri e dell'intera comunità. E il diritto alla salute è un diritto collettivo, sancito dalla Costituzione. Non a caso il presidente della Repubblica ha ammonito che vaccinarsi è un dovere, ricordando che è il virus a limitare la nostra libertà. Anche il premier Draghi ha dichiarato in conferenza stampa che l'appello a non vaccinarsi è sostanzialmente un appello a morire. Sono affermazioni che incontrano la condivisione piena del 35% a cui si aggiunge il 26% che le condivide nella sostanza pur ritenendole un po' eccessive. Viceversa, l'11% le condivide poco e il 17% si dichiara del tutto contrario. Le opinioni in proposito sono diametralmente opposte tra favorevoli e contrari al green pass, mentre tra gli elettori del centrodestra, pur prevalendo l'accordo per le frasi di Draghi, risulta più elevata la quota di contrari (42% tra gli elettori di FdI e 38% tra i leghisti). Nella maggioranza degli italiani sembra quindi riaffiorare quella indignazione che aveva caratterizzato i primi mesi della pandemia, quando si mettevano all'indice le persone che non rispettavano le regole. Tuttavia la riprovazione sociale è intermittente, potremmo definirla «carsica». Chissà quali reazioni avremmo se venisse introdotto un «passaporto fiscale» che precluda l'accesso ad ospedali, scuole pubbliche, ecc. agli evasori fiscali, molti dei quali, peraltro, hanno l'ardire di lamentarsi per la qualità dei servizi pubblici. Il rapporto tra diritti e doveri è il baricentro della democrazia e l'adozione del green pass ha il merito di ricordarcelo.

Dagotraduzione da Rolling Stone il 31 luglio 2021. Quando all’inizio di quest’anno è uscito il vaccino contro il Covid, Bob, conosciuto anche come Mannish Boy, non era certo di volerlo fare. Si sentiva diffidente per la velocità con cui il vaccino era arrivato sul mercato. E aveva sentito parlare di alcuni dati preliminari che suggerivano che la versione AstraZeneca, in Europa, avesse un raro effetto collaterale: provocare coaguli di sangue. Tutto questo lo rendeva ansioso. «Penso di aver avuto le stesse riserve di molti altri» ha raccontato Bob, che ha chiesto di restare anonimo. Un giorno Bob ha letto un tweet di Goddess Alexandra Snow, una dominatrice professionista e proprietaria di Wicked Eden, una prigione BDSM con sede a Columbus, in Ohio. Il tweet annunciava che i sottomessi che avessero desiderato un appuntamento con Snow, avrebbero dovuto dimostrare di essere stati vaccinati. Bob si era abbonato due anni prima al suo canale su Onlyfans, e così l’ha contattata per discutere della sua situazione. «Non volevo tanto essere connvinto quanto che mi confermasse che era la cosa giusta da fare». Bob ha ricevuto la sua seconda dose di vaccino tre settimane fa. «Mi fa piacere sapere che sto contribuendo (si spera) ad evitare che gli altri si ammalino gravemente» dice. «E, naturalmente, è gratificante sapere che ho fatto qualcosa che Goddess Snow approva». Anthony Fauci probabilmente non ha mai preso in considerazione l’idea di passare dai dominatori sessuali per aumentare il tasso di vaccinazione negli Stati Uniti. Eppure i dominatori di tutto il paese, che stanno lentamente riaprendo le porte delle loro prigioni segrete, dicono che lo sforzo di costringere i sottomessi a vaccinarsi ha avuto un discreto successo. «Almeno una dozzina di persone mi hanno scritto: “Se questo è quello che devo fare per vederti, lo farò”. E questo mi rende felice» ha detto Snow. «Se qualcuno si vaccina per me, è una persona in meno ad avere impatto sulla comunità». Le dominatrici che usano i loro considerevoli poteri persuasivi sui loro sub per servire il bene comune non sono una novità: in vista delle elezioni del 2020, per esempio, alcune dominatrici hanno detto a Rolling Stone che stavano ordinando ai loro sub di votare per l'attuale presidente Joe Biden. Ma i dominatori con cui ho parlato non ne hanno fatta una questione politica, e neanche etica. Credono sia una misura di autoprotezione (in effetti, la maggior parte delle lavoratrici del sesso sono appaltatrici indipendenti, e quindi se si ammalano rischiano di dover pagare cifre esorbitanti di tasca propria per l'assistenza sanitaria). È anche un modo concreto per misurare la devozione dei sub. «Chi è al nostro servizio dovrebbe rispettare i nostri confini», afferma Daddy An Li, una domme con sede a Los Angeles che chiede la prova della vaccinazione dai suoi sub. «O vuoi servirci e ci rispetti, o non lo fai». Altri, come Goddess Snow, la vedono anche come un'opportunità educativa. «Io non voglio che qualcuno faccia quello che gli dico solo perché gli ho detto di farlo. Voglio che lo facciano perché ho ragione», dice. Per questo vuole fornire ai sub che esitano la letteratura che attesti la sicurezza del vaccino, in modo da farli decidere da soli. «Una cosa è dire a qualcuno, “non puoi masturbarti per una settimana”. E un'altra è dire “Voglio che tu prenda questa sostanza estranea nel tuo corpo”», dice. «Non voglio essere responsabile di questo. Gran parte del BDSM riguarda l'autonomia corporea, e ho bisogno che abbiano autonomia corporea lì». Anche Mistress Manouche, una domme con sede nell'East Sussex, nel Regno Unito, richiede la prova della vaccinazione se i sub desiderano fare una sessione con lei. Ha problemi di salute specifici: ex malata di leucemia, ha subito un trapianto di midollo osseo, vive con genitori anziani e gestisce la sua prigione dalla loro casa condivisa. Sebbene inizialmente avesse chiesto ai suoi sottomessi di indossare maschere, ha scoperto che non era fattibile in uno spazio sotterraneo. «Ciò che facciamo è molto intimo», dice a Rolling Stone. «Sputo in bocca ai miei sub. Li tocco. Io uso le fruste, ma non puoi semplicemente frustare qualcuno a 10 piedi di distanza. Sei in uno spazio chiuso e non è sempre pratico indossare solo le mascherine. Non potevo lavorare correttamente e fare quello che faccio normalmente se devo mantenere le distanze». In effetti, a seconda di quale sia la loro specialità, alcuni dominatori non si sentono abbastanza a loro agio nel fare il lavoro di persona a meno che i sub non siano vaccinati. «Sono specializzato nel gioco del bagno» - essenzialmente si tratta di «cacare sui tizi» - «e non posso farlo con persone che non sono vaccinate», dice Daddy An Li. Come molte dominatrici, l'attività di persona di Mistress Manouche è stata decimata dalla pandemia; anche se ha cercato di trasferire la sua attività all'online, ha scoperto di aver rapidamente esaurito il numero di contenuti ed è passata alla vendita di carte e cioccolatini solo per fare abbastanza soldi per comprare le sigarette. «È stato assolutamente terribile», dice. Dopo aver ricevuto il suo primo vaccino contro il Covid a gennaio e il secondo ad aprile, Mistress Manouche ha ricominciato ad aprire le sue porte e a richiedere la prova della vaccinazione durante le sue sessioni. All'inizio, «erano un po' incerti», dice, ricordandone uno in particolare che aveva chiesto un'esenzione, preferendo farsi un test al giorno se necessario pur di vederla. Ma è riuscita a convincere anche lui a vaccinarsi, così come altri cinque sottomessi che in precedenza erano incerti. La comunità BDSM si è organizzata in molti modi per affrontare la pandemia, afferma Mistress Marley, una dominatrice professionista con sede a Manhattan, anche lei intransigente sul requisito del vaccino. «L'industria del BDSM è davvero avanti sui protocolli di sicurezza. Si tratta di sicurezza e consenso. Abbiamo parole sicure e vogliamo assicurarci che le persone siano al sicuro. Ci prendiamo cura l'uno dell'altra perché le cose possano diventare davvero fisiche», dice a Rolling Stone. «L'industria in generale si occupava della sicurezza molto prima che arrivasse il Covid». Ma non tutte le dominatrici richiedono la vaccinazione, soprattutto se influisce negativamente sui loro profitti. Snow dice che l'argomento compare spesso in un canale Slack che gestisce per le prostitute e che durante il picco della pandemia, c'è stato un lungo dibattito sull'etica di vedere i clienti di persona. «La cosa tremenda è che le lavoratrici del sesso hanno avuto redditi decimati durante la pandemia», dice. «Alcune si vergognavano di confessare che avevano fatto qualche appuntamento». Da quando il vaccino è diventato disponibile, se ne è iniziato a discutere: «alcune persone non hanno la capacità di dire “Se non sei vaccinato, non puoi venire”. Devono prendere decisioni basate sul denaro piuttosto che sulla sicurezza», dice. In effetti, l'adozione di una politica di vaccinazione obbligatoria ha danneggiato i profitti di Wicked Eden e Snow stima di aver visto una riduzione del 30% circa delle prenotazioni dall’introduzione del requisito vaccinale. Dice anche che da quando ha annunciato la politica, è stata "inondata" di e-mail arrabbiate che citavano disinformazione relativa al vaccino. «Un link dopo l'altro, tutti che puntavano a strani siti web contro i vaccini», dice. Eppure la stragrande maggioranza dei sottomessi esitanti nel vaccino, racconta, ha accettato di proteggersi. E dopo, «gli dico sempre “ottimo lavoro, sono orgoglioso di te! Bravo ragazzo!”», dice.

Intervento del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in occasione della cerimonia di consegna del “Ventaglio” da parte dell’Associazione Stampa Parlamentare. Palazzo del Quirinale, 28/07/2021.

Benvenuti nei Giardini del Quirinale. Grazie caro Presidente, il suo intervento, così puntuale, ha toccato diversi punti di grande interesse. Ne raccoglierò alcuni, quelli su cui posso esprimermi, evitando argomenti strettamente politici, cui devo rimanere rigorosamente estraneo. Lei ha ricordato il periodo di straordinaria e grave emergenza pandemica che stiamo purtroppo ancora vivendo, lo stiamo vivendo a livello mondiale. Un fenomeno a livello mondiale che ha colto il mondo di sorpresa. In poche settimane, con il dilagare di questo virus sconosciuto e insidioso, i bisogni e le domande dei cittadini di tutto il mondo si sono riversate sui governi con una drammaticità inedita. Richieste essenziali - la sopravvivenza, l’accesso alle cure e agli ospedali, la protezione della salute propria e dei propri cari, la tutela dei redditi e del lavoro – che hanno sottoposto a uno stress molto duro le complesse dinamiche che presiedono un mondo che si è mostrato sempre più interdipendente. Ne risulta evidente la necessità di un profondo ripensamento verso forme di ampia e crescente cooperazione internazionale e mi auguro che questa esigenza venga compresa nella comunità internazionale.

Abbiamo vissuto un anno difficile, mesi drammatici. Lentamente e non senza contraddizioni - dovute all’eccezionalità della situazione da affrontare del tutto ignota - grazie a uno sforzo straordinario di collaborazione scientifica a livello globale e anche di collaborazione economica, sono stati individuati due filoni che ci hanno permesso di incamminarci sulla via dell’uscita dalla crisi. La campagna di vaccinazione e la scelta di mettere in campo ingenti sostegni pubblici per contenere le conseguenze delle chiusure e dei distanziamenti a livello economico, produttivo e occupazionale.

Due strade che hanno consentito speranza e fiducia, quei segni positivi di cui lei ha parlato. La vaccinazione e gli interventi di rilancio economico continuano a essere gli indispensabili strumenti per assicurare sicurezza e serenità. La pandemia non è ancora alle nostre spalle. Il virus è mutato e si sta rivelando ancora più contagioso. Più si prolunga il tempo della sua ampia circolazione e più frequenti e pericolose possono essere le sue mutazioni. Soltanto grazie ai vaccini siamo in grado di contenerlo. Il vaccino non ci rende invulnerabili ma riduce grandemente la possibilità di contrarre il virus, la sua circolazione e la sua pericolosità.

Per queste ragioni la vaccinazione è un dovere morale e civico. Nessuna collettività è in grado di sopportare un numero di contagi molto elevato, anche nel caso in cui gli effetti su molta parte dei colpiti non fossero letali. Senza attenzione e senso di responsabilità rischiamo una nuova paralisi della vita sociale ed economica; nuove, diffuse chiusure; ulteriori, pesanti conseguenze per le famiglie e per le imprese, che possono essere evitate con attenzione e senso di responsabilità. La pandemia ha imposto grandi sacrifici in tanti ambiti. Ovunque gravi. Sottolineo quelli della scuola. Ne abbiamo registrato danni culturali e umani, sofferenze psicologiche diffuse che impongono di reagire con prontezza e con determinazione. Occorre tornare a una vita scolastica ordinata e colmare le lacune che si sono formate. Il regolare andamento del prossimo anno scolastico deve essere una priorità assoluta. Gli insegnanti, le famiglie, tutti devono avvertire questa responsabilità, questo dovere, e corrispondervi con i loro comportamenti. Auspico fortemente che prevalga il senso di comunità, un senso di responsabilità collettiva. La libertà è condizione irrinunziabile ma chi limita oggi la nostra libertà è il virus non gli strumenti e le regole per sconfiggerlo. Se la legge non dispone diversamente si può dire e pensare: ” In casa mia il vaccino non entra”. Ma questo non si può dire per ambienti comuni, non si può dire per gli spazi condivisi, dove le altre persone hanno il diritto che nessuno vi porti un alto pericolo di contagio; perché preferiscono dire:” in casa mia non entra il virus”. 

Sull’altro versante, sappiamo che, dall’Unione Europea, sono in procinto di giungere le prime risorse del programma Next Generation. Gli interventi e le riforme programmate devono adesso diventare realtà. Non possiamo fallire: è una prova che riguarda tutto il Paese, senza distinzioni. Quando si pongono in essere interventi di così ampia portata, destinati a incidere in profondità e con effetti duraturi, occorre praticare una grande capacità di ascolto e di mediazione. Ma poi bisogna essere in grado di assumere decisioni chiare ed efficaci, rispettando gli impegni assunti. Desidero dare atto alle forze politiche e parlamentari, in maggioranza e in opposizione, ai governi che si sono succeduti durante la pandemia, alle strutture dello Stato e ai nostri concittadini di aver compreso la gravità della situazione sanitaria, economica e sociale, manifestando complessivamente – al di là di inevitabili differenze di toni e di opinioni – uno spirito di sostanziale responsabilità repubblicana. Anche per questo conto che le forze politiche, di fronte a un tempo che sembra volgersi verso prospettive migliori, continuino a lavorare nella doverosa considerazione del bene comune del Paese. Conto che non si smarrisca la consapevolezza della emergenza che tuttora l’Italia sta attraversando, dei gravi pericoli sui versanti sanitario, economico e sociale.  Che non si pensi di averli alle spalle. Che non si rivolga attenzione prevalente a questioni non altrettanto pressanti.

Abbiamo iniziato un cammino per uscire dalla crisi, ma siamo soltanto all’inizio. Ci siamo dati obiettivi ambiziosi e impegnativi, di medio e lungo periodo. Perseguirli con serietà e con responsabilità significa anzitutto guardare con il realismo necessario all’orizzonte che abbiamo davanti.

Presidente Di Fonzo, lei ha auspicato che si possano recuperare completamente gli spazi di agibilità nella vostra professione. In un mondo dell’informazione – in particolare quello della carta stampata - che ha subito anch’esso le conseguenze della pandemia. Gli effetti di questa si sono aggiunti a fenomeni già in corso che producono fratture dei nostri modelli di sviluppo e di convivenza, sfidandoci a un loro ripensamento complessivo. Questa capacità di lettura dei tempi nuovi e del bisogno di adeguamento rappresenta un impegno essenziale per le democrazie. Un ripensamento di modello non può prescindere dalla riaffermazione dei fondamentali diritti di libertà che sono il perno della nostra Costituzione e dell’Unione Europea. Prendo a prestito, a questo riguardo, le parole della risoluzione che il Parlamento Europeo ha dedicato alla relazione della Commissione sullo Stato di diritto, in cui viene definita centrale “la protezione della libertà e del pluralismo dei media” e “la sicurezza dei giornalisti “. Va assicurata la massima attenzione alla proposta annunciata dalla Commissione Europea di un provvedimento normativo per la libertà dei mezzi di espressione, così come l’annuncio della presentazione, il prossimo autunno, di una Direttiva per la protezione dei giornalisti contro le azioni “bavaglio” dirette a far tacere, o a scoraggiare, le voci dei media. Alla cornice di sicurezza entro cui devono poter operare i giornalisti, in virtù della loro specifica funzione, si aggiunge l’esigenza di agire affinché il processo di ristrutturazione e di riorganizzazione del comparto industriale dei media non veda indebolirsi il loro contributo alla vita democratica del Paese. La riforma recente dell’Ordine ha consolidato l’autonomia della professione giornalistica, ribadendone il carattere di professione intellettuale. Questo significa che non ci sono scorciatoie in virtù delle quali tutti siano “caballeros” secondo quanto viene attribuito a Carlo V nella sua visita ad Alghero. Garantire rigore e autonomia significa prendere atto che ai giornalisti iscritti all’Ordine e, dunque, chiamati a operare nell’ambito di specifiche regole deontologiche, vanno applicate doverosamente garanzie eguali a quelle di altre categorie di lavoratori, a partire dall’ambito previdenziale, nel quale è ragionevole che valga, per la prestazione pensionistica, la garanzia pubblica assicurata a tutti i lavoratori dipendenti. Lo stesso criterio è bene che trovi applicazione in materia di ammortizzatori sociali, destinati ad affrontare crisi aziendali per superarle e anche per accompagnare la trasformazione dei supporti tecnologici che assicurano la circolazione delle notizie. È un compito, quest’ultimo, che si riconduce all’applicazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Importante e significativo è stato, inoltre, l’intervento della Corte Costituzionale. Confido che il Parlamento saprà completare il necessario percorso di riforma, assicurando che non si possa mettere il bavaglio alla ricerca della verità e sapendo bilanciare correttamente questo valore con la tutela della reputazione e della dignità delle persone.

Nell’occasione dell’incontro con i “quirinalisti” e con l’Associazione della Stampa Parlamentare, desidero esprimere il mio ringraziamento per aver seguito con puntualità, in questi quasi sette anni, il percorso comune, e per avermi prospettato, nel tempo, significative sollecitazioni. Vorrei aggiungere una considerazione di tono più leggero. In ogni ambito circola il virus – un altro virus - dell’autoreferenzialità, della configurazione del proprio ruolo come centrale nella vita sociale. Questo rischio è molto presente notoriamente nella politica: personalmente rammento continuamente a me stesso di tenerlo lontano. Mi permetto di segnalarlo anche al mondo del giornalismo, dove affiora, talvolta, l’assioma che un’affermazione non smentita va intesa come confermata, così che una falsa notizia può essere spacciata per vera perché non risulta smentita. Nell’ormai innumerevole elenco esistente di testate stampate, radiotelevisive e online, di siti, di canali social, si tratta di una pretesa davvero piuttosto stravagante. Ad esempio, vista la diffusa abitudine di trincerarsi dietro il Quirinale fantasiosamente quando si vuole opporre un rifiuto o di evocarlo quando si avanza qualche richiesta, il Presidente della Repubblica sarebbe costretto a un esercizio davvero arduo e preminente: smentire tutte le fake news, fabbricate, sovente, con esercizi particolarmente acrobatici. Faccio appello, dunque, alla professionalità dei giornalisti e alla loro etica professionale. Vi ringrazio per questo bel Ventaglio e formulo i miei complimenti a Virginia Lorenzetti e all’Accademia di Belle Arti di Roma. Esprime con efficacia i sentimenti di speranza che coltiviamo. Grazie e buone vacanze!

(ANSA il 27 luglio 2021) Di fronte a un lavoratore che rifiuta di vaccinarsi contro il Covid-19, l'azienda è legittimata a sospenderlo dal servizio, con contestuale stop anche della retribuzione. 

Dice questo un'ordinanza del giudice civile Emilia Salvatore del tribunale di Modena che si pronuncia a seguito del ricorso presentato da due fisioterapiste di una Rsa assunte da una cooperativa della città emiliana che aveva appunto preso i due provvedimenti a fronte del rifiuto di vaccinarsi. Una vicenda, ricostruita oggi dal Sole24Ore, avvenuta prima del decreto legge che ha imposto l'obbligo vaccinale per il personale sanitario. L'ordinanza in questione evidenzia che il datore di lavoro si pone "come garante della salute e della sicurezza dei dipendenti e dei terzi che per diverse ragioni si trovano all'interno dei locali aziendali e ha quindi l'obbligo ai sensi dell'articolo 2087 del codice civile di adottare tutte le misure di prevenzione e protezione che sono necessarie a tutelare l'integrità fisica di lavoratori". Ricordando come una direttiva dell'Unione Europea abbia incluso il Covid-19 tra gli agenti biologici di cui è obbligatoria la protezione anche negli ambienti di lavoro, il tribunale sottolinea che anche se il rifiuto a vaccinarsi non può dar luogo a sanzioni disciplinari, può comportare però conseguenze sul piano della valutazione oggettiva dell'idoneità alla mansione. In sostanza, per chi lavora a contatto con il pubblico oppure in spazi chiusi vicino ad altri colleghi, la mancata vaccinazione può costituire un motivo per sospendere il lavoratore senza retribuzione. (ANSA).

Giacomo Galanti per huffingtonpost.it il 27 luglio 2021.

Professor Ichino, lei è d’accordo con la decisione del giudice del lavoro di Modena?

Concordo sia con quanto l’ordinanza dispone – cioè la conferma del provvedimento aziendale di sospensione dal lavoro e dalla retribuzione della dipendente che aveva rifiutato di vaccinarsi – sia con la motivazione, interamente fondata su due norme di carattere generale, applicabili in qualsiasi azienda: l’articolo 2087 del Codice civile e l’articolo 20 del Testo Unico sulla sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro. È importante sottolineare, infatti, che il caso deciso dal giudice modenese si è verificato, sì, in una casa di cura per anziani, ma in un’epoca in cui non era stato ancora emanato il decreto-legge n. 44/2021, che prevede l’obbligo di vaccinazione per tutto il personale medico e paramedico. Quanto affermato dal Tribunale di Modena può dunque riferirsi a qualsiasi azienda nella quale sussista un rischio di contagio.

Anche se l’ordinamento italiano non è di common law, crede che questa decisione possa fare giurisprudenza?

Questa decisione non è isolata: essa è infatti preceduta da almeno altre due decisioni del tutto simili, sia per la motivazione sia per la conclusione, adottate nel marzo scorso dai Tribunali di Udine e di Belluno; e non consta alcuna sentenza in senso contrario, da quando la vaccinazione anti-Covid in Italia è disponibile. Si può dunque parlare di un orientamento giurisprudenziale che sta consolidandosi. 

Secondo lei la Corte costituzionale se ne dovrà presto occupare?

La Consulta ha già riconosciuto la piena legittimità costituzionale dell’obbligo di vaccinazione, quando esso è necessario per la protezione della sicurezza e della salute dei cittadini in generale, dei lavoratori in particolare. E non dimentichiamo che l’infezione da Covid-19 contratta in azienda è già stata riconosciuta come infortunio sul lavoro. Non credo che, se venisse di nuovo investita della questione, la Corte cambierebbe orientamento su questo punto.

Crede sia giusto l’obbligo di Green pass nei luoghi di lavoro?

Certo che sì: non avrebbe alcun senso esigere il certificato di vaccinazione per l’accesso a un mezzo di trasporto, o a un ristorante, e non esigerlo per l’accesso a un luogo di lavoro chiuso, dove le persone sono per ore a stretto contatto fra di loro. 

Questa ordinanza potrebbe essere un assist al governo Draghi per introdurre l’obbligo di Green pass sul luogo di lavoro?

Il Governo non ha certo bisogno dell’assist di un Tribunale per adottare una misura che è già in fase avanzata di elaborazione: se non è stata ancora adottata è perché il Presidente del Consiglio sta tenendo, su questo terreno, una linea opportunamente gradualista, necessaria per tenere insieme una maggioranza molto eterogenea. Ma che a questo si debba arrivare entro agosto, con un provvedimento legislativo o con un protocollo concertato fra governo e parti sociali, mi sembra cosa certa. 

Cassese: «L’obbligo vaccinale è legittimo, lo dice la nostra Costituzione». «Il green pass? Non comporta un obbligo generalizzato ma costituisce un requisito o una idoneità». Parla Sabino Cassese. Giacomo Puletti su Il Dubbio il 23 luglio 2021. Sabino Cassese, stimato giurista, accademico e presidente emerito della corte costituzionale, sull’ipotesi di obbligo vaccinale spiega che «fa bene il governo a seguire un criterio progressivo, prima il convincimento, poi una certificazione che garantisca quell’interesse della collettività di cui parla la Costituzione, solo come rimedio ultimo un obbligo vaccinale generalizzato per tutti» e sul green pass ricorda che «non comporta un obbligo generalizzato ma, come è stato osservato, costituisce un requisito o una idoneità».

Professor Cassese, si parla molto di istituire una qualche sorta di obbligo vaccinale, così come fatto per gli operatori sanitari, anche altre categorie di popolazione, come gli insegnanti. È un’idea fattibile?

Certamente. La Costituzione dispone che possono essere introdotti trattamenti sanitari obbligatori, ponendo un solo limite: quello di farlo per legge. Quindi, richiede un intervento del Parlamento. Inoltre, la Costituzione stabilisce che la Repubblica tutela la salute, aggiungendo che lo fa sia per tutelare un diritto dell’individuo, sia per assicurare un interesse della collettività. La conseguenza di queste due disposizioni è molto chiara. Possono essere disposti trattamenti sanitari obbligatori. La corte costituzionale ha aggiunto che la legge che li dispone deve essere non discriminatoria e proporzionata.

Si riflette poi sull’obbligo anche per i giovanissimi, vista la recente crescita di casi in quella fascia d’età, con il leader della Lega, Matteo Salvini, che invita a «tenere giù le mani dai bambini». Ritiene possibile l’obbligo per i minorenni?

Suggerisco brevi corsi sulla storia d’Italia per ricordare a tutti i dubitanti che obblighi vaccinali sono stati disposti già nel 1939, nel 1963, nel 1966, nel 1991 e nel 2017; che le persone in età pediatrica, da zero a 16 anni, sono già soggetti a un obbligo vaccinale. Questo obbligo riguarda ben 10 vaccinazioni. Inoltre, vi sono anche sanzioni: sanzioni pecuniarie e di segnalazione alle procure presso i tribunali dei minorenni. Infine, malattie una volta epidemiche, come la poliomielite e il morbillo, sono state quasi completamente sradicate, non solo in Italia, grazie a vaccinazioni obbligatorie, fatte a tappeto perché solo la copertura vaccinale a tappeto può assicurare quell’interesse della collettività di cui parla la Costituzione.

Di pari passo con la discussione sull’obbligo vaccinale c’è quella sull’utilizzo del green pass, quantomeno per l’accesso in luoghi molto affollati. Quali dettati costituzionali dovrebbe rispettare uno strumento del genere?

Il cosiddetto green pass non comporta un obbligo generalizzato ma, come è stato osservato, costituisce un requisito o una idoneità. Così come si richiede la patente per poter guidare un’automobile in un luogo pubblico o aperto al pubblico, si richiede una vaccinazione e la relativa certificazione per poter frequentare cinema, discoteche, ristoranti, scuole. Per l’esattezza, il green pass, a sua volta, non è una certificazione di vaccinazione perché certifica anche altri stati, quali quello di contagiato e guarito o quello di persona che ha subito un test antigenico. In questo caso, il green pass ha durata diversa. Anche un’idoneità o requisito di questo tipo dovrebbe comunque essere disposta con legge, come con il decreto legge 44 di quest’anno è stato disposto il requisito della vaccinazione per gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori sanitari nelle strutture sanitarie pubbliche e private e negli studi professionali. Anche in questo caso vi sono provvedimenti di carattere latamente sanzionatorio, come la sospensione delle prestazioni, l’assegnazione a mansioni diverse, anche di carattere inferiore e, ove ciò non sia possibile, la sospensione della retribuzione.

Confindustria lo vorrebbe anche per entrare nei luoghi di lavoro e c’è chi ipotizza un suo utilizzo per entrare in Parlamento, nei mezzi pubblici, nelle discoteche. È possibile differenziarne l’uso a seconda dei luoghi?

È certamente possibile stabilire requisiti per l’accesso in certe zone o luoghi di lavoro. La possibilità di disporre trattamenti sanitari obbligatori generali, il rimedio più generalizzato, contiene la formula più limitata. Altro problema è quello della progressività nell’introduzione dei diversi obblighi, anche dal punto di vista soggettivo, cioè del perimetro coperto. Fa bene il governo a seguire un criterio progressivo, prima il convincimento, poi una certificazione che garantisca quell’interesse della collettività di cui parla la Costituzione, solo come rimedio ultimo un obbligo vaccinale generalizzato per tutti.

Su obbligo vaccinale e green pass in maggioranza c’è molto fermento, con la Lega su posizioni altalenanti e contrapposte a quelle del resto del governo, con la sola eccezione, talvolta, del Movimento 5 Stelle. Pensa che a forza di tirare alla fine la corda possa spezzarsi?

Non conosco la forza della corda. Ricordo soltanto che una volta si temevano le streghe e i negromanti e noto che ora molte posizioni di opposizione sono mosse dal desiderio di guadagnare opinioni favorevoli nei sondaggi, ma penso che gli italiani siano in grado di valutare chi si preoccupa davvero della salute dei cittadini.

Stiamo per entrare nel semestre bianco, da Costituzione il periodo in cui il presidente della Repubblica non può sciogliere le Camere. Crede che approfittando dell’occasione qualcuno potrebbe mettere in difficoltà l’esecutivo, magari abbandonando la maggioranza?

Non so dare una risposta a questa domanda, ma credo che si sia sopravvalutato il peso del cosiddetto semestre bianco. Il potere di scioglimento delle assemblee parlamentari è solo uno dei molti poteri del presidente della Repubblica nei confronti del governo e del Parlamento. Ad esempio, l’autorizzazione alla presentazione dei disegni di legge del governo in Parlamento e il rinvio delle leggi al Parlamento per una nuova deliberazione. Quindi, semestre bianco non vuol dire che scompare quel tutore della Costituzione che è il presidente della Repubblica.

B.L. per "il Messaggero" il 27 luglio 2021. La città di New York richiederà ai 340mila dipendenti comunali Di essere vaccinati o di essere testati settimanalmente prima dell'apertura delle scuole. Ad annunciarlo è il sindaco della città Bill de Blasio, che la scorsa settimana aveva richiesto una simile procedura per gli operatori sanitari pubblici, mentre la città affronta una terza ondata di contagi. La nuova direttiva include insegnanti e poliziotti, che dovranno adeguarsi prima dell'apertura delle scuole, il 13 settembre prossimo. Il sindaco ha invitato anche i datori di lavoro privati ad adottare delle normative simili per i propri lavoratori. Il tasso di vaccinazione di New York City nel suo complesso è del 65 percento per gli adulti, tra i più alti a livello nazionale, tuttavia ci sono alcuni quartieri in cui il tasso è inferiore al 40 percento. A livello nazionale, le porte degli Stati Uniti restano chiuse all'Europa. Troppo grande la preoccupazione per il balzo dei contagi da coronavirus legati alla variante Delta, negli Usa più che triplicati nelle ultime settimane. La Casa Bianca ha così deciso di mantenere per il momento tutte le restrizioni sui viaggi non essenziali dai Paesi stranieri, non solo quelli dal Vecchio Continente. Questo nonostante fortissime siano le pressioni sull'amministrazione Biden per una riapertura dei confini: non solo da parte di alleati e partner, ma anche delle compagnie aeree e di molti membri del Congresso che vedono un eventuale allentamento della stretta come una boccata di ossigeno per l'economia, a partire dal settore del turismo. «Capiamo l'importanza di ripristinare i viaggi internazionali, ma lo vogliamo fare in maniera sicura e sostenibile», si spiega alla Casa Bianca, che ribadisce la linea di estrema cautela e sottolinea come nelle prossime settimane sia previsto un ulteriore boom dei casi Covid dovuti alla variante Delta. Le restrizioni dunque continueranno a permanere anche per i cittadini stranieri che vogliono visitare le proprie famiglie negli Usa o per i migranti che vorrebbero fare domanda di asilo. Eppure sembrava potesse esserci una schiarita, dopo che il mese scorso l'amministrazione Biden aveva creato un gruppo di lavoro con l'Unione europea, il Regno Unito, il Canada e il Messico per esplorare le possibili soluzioni su come e quando allentare i divieti. Ma giorni fa Washington ha gelato prima Londra, mettendo in guardia gli americani dal viaggiare nel Regno Unito, poi i suoi vicini, prorogando la stretta per chi viene da Canada e Messico almeno fino al 21 agosto. Poi si vedrà, dicono gli esperti. La stessa sorte tocca ora all'Europa, nonostante il pressing esercitato anche dalla cancelliera tedesca Angela Merkel nella sua recente visita alla Casa Bianca, e ad altri Paesi alleati degli Usa come Giappone o Corea del Sud. Questo nonostante ai turisti americani sia oramai permesso di viaggiare nell'area Schengen e, per quelli vaccinati, in Canada. «La situazione negli Usa si mette male, stiamo vivendo una pandemia tra i non vaccinati, ci troviamo di fronte a due Americhe», ha ribadito il virologo Anthony Fauci, puntando il dito con la metà di americani che ancora non hanno effettuato nemmeno la prima dose. Intanto il direttore dell'Istituto delle malattie infettive e consigliere del presidente Biden mette in guardia sul rischio di altre ondate pandemiche nel futuro. Per questo propone di finanziare un programma teso a sviluppare prototipi di vaccini che proteggano da almeno 20 famiglie di virus e dal rischio di una nuova catastrofe. Un lavoro da affidare ad un team super specializzato di scienziati ed esperti ma dai costi molto elevati. Costi che si aggirerebbero su alcuni miliardi di dollari l'anno, con almeno cinque anni di lavoro per arrivare ai primi risultati. Ma per Fauci è questo l'unico modo per prevenire il rischio di altre pandemie, magari legate al virus che provoca la febbre di Lassa, o a quello dell'Ebola, o ancora quello del Nipah, altro terribile virus che viene dai pipistrelli.

E ora anche Merkel pensa al green pass: «Rischio di contagio troppo alto». Dopo la nuova ondata di contagia la Germania invita a vaccinarsi e avvisa: ci adegueremo al modello di Francia e Italia se necessario. Il Dubbio il 25 luglio 2021. Anche la Germania di Angela Merkel sta valutando di introdurre restrizioni per l’accesso dei non vaccinati in alcuni luoghi della vita sociale, sul modello di Francia e Italia. L’avvertimento arriva dal capo di gabinetto della Cancelliera, Helge Braun, che in un’intervista alla Bild am Sonntag fa sapere che se il paese verrà colpito da una nuova, forte, ondata di contagi, chi non è stato immunizzato potrà vedersi bloccare l’accesso a bar e altri luoghi di ritrovo. «Se arriveremo ad un alto tasso di infezioni malgrado i test, i non vaccinati dovranno ridurre i loro contatti», ha affermato. «Questo può significare che alcuni spazi, dai ristoranti ai cinema agli stadi potranno non essere più accessibili ai non vaccinati anche se si saranno sottoposti a test perché il rischio per gli altri è troppo alto». Le persone vaccinate, ha proseguito il capo di gabinetto della Merkel, «avranno sicuramente più libertà delle persone non vaccinate» perché il governo ha «la responsabilità di proteggere la salute dei suoi cittadini». Allo stesso modo Braun ha assicurato che se i vaccini attualmente in uso continueranno a rivelarsi efficaci contro la variante Delta non sarà necessario un nuovo lockdown. A tutti i residenti in Germania l’invito è dunque a vaccinarsi, perché l’immunizzazione è efficace al 90% contro le forme gravi della malattia «e i vaccinati avranno senz’altro maggiori libertà dei non vaccinati». L’annuncio arriva mentre in Italia e Francia esplodono le prime proteste contro il green pass, con le migliaia di persone scese in piazza in circa 80 città italiane per manifestare contro quella che definiscono «dittatura sanitaria». Ma a preoccupare la Cancelliera, evidentemente, sono gli oltre duemila i nuovi casi di coronavirus registrati in Germania nelle ultime 24 ore,  il dato più alto dall’11 giugno. L’ultimo bollettino parla di 2.089 contagi e 34 morti, aggiornando il totale a 3.752.592 casi e 91.492 decessi per complicanze.

Articolo di "El Pais" dalla rassegna stampa di "Epr Comunicazione" il 28 luglio 2021. Il ministro Helge Braun, il politico più fidato della Merkel, dice che le persone non vaccinate potrebbero essere interdette da ristoranti, cinema e stadi. Nel frattempo, il candidato della CDU per sostituire la Merkel, Armin Laschet, si oppone a qualsiasi obbligo di vaccinazione. Il mondo politico tedesco – leggiamo su El Pais - sta affrontando questa settimana un confronto che avrà grandi conseguenze, sia in termini di conquista di voti per vincere le prossime elezioni nazionali che di lotta contro la pandemia di coronavirus. Il dibattito è iniziato con le osservazioni del cancelliere federale Helge Braun al giornale Bild am Sonntag. Il ministro, un politico di fiducia del cancelliere Angela Merkel, ha detto domenica che le restrizioni sulle persone che rifiutano di essere vaccinate potrebbero essere necessarie se le infezioni da Covid-19 raggiungessero nuovi record nei prossimi mesi, come potrebbe essere il caso in Germania. Braun ha detto che alle persone non vaccinate potrebbe essere impedito di entrare in luoghi come ristoranti, cinema o stadi "perché il rischio residuo è troppo alto". Il ministro ha espresso preoccupazione per le possibili conseguenze di una nuova ondata della pandemia sul mercato del lavoro. Ha detto che le assenze per malattia raggiungeranno "livelli record" e ha sottolineato che l'impatto sui processi lavorativi delle aziende sarà "enorme". "Lo stiamo già vedendo nel Regno Unito", ha detto "le persone vaccinate avranno sicuramente più libertà di quelle non vaccinate". Braun ha detto che tali politiche, se passate, sarebbero costituzionali perché "lo Stato ha la responsabilità di proteggere la salute dei suoi cittadini". La campagna di vaccinazione in Germania ha subito un rallentamento nelle ultime settimane e questo ha portato a discussioni su come incoraggiare le persone a vaccinarsi. La settimana scorsa, 678.459 prime dosi sono state fornite in Germania, il livello più basso dalla terza settimana di febbraio, quando c'era una carenza di vaccini nel paese. Con 15 milioni di dosi inutilizzate nei frigoriferi, secondo le statistiche, la media giornaliera delle prime dosi fornite è in calo da 33 giorni. Il programma completo è stato ricevuto dal 49 per cento della popolazione, equivalente al 54 per cento di coloro che hanno 12 anni e oltre - l'85 per cento delle persone tra i 12 e i 59 anni e il 90 per cento di coloro che hanno 60 anni e oltre devono aver ricevuto il programma completo per raggiungere l'immunità di gregge, secondo il Robert Koch Institute, l'agenzia governativa di controllo delle malattie. Più del 60% della popolazione tedesca ha ricevuto almeno una dose - in Spagna la cifra supera il 65%. Le preoccupazioni di Braun hanno una reale importanza. Il ministro, che è un medico di professione, teme che il numero di nuovi casi di coronavirus in Germania salirà a 100.000 al giorno tra circa due mesi. Dopo più di due mesi di declino costante, i casi sono aumentati nella più grande economia europea dall'inizio di luglio, principalmente a causa della diffusione della variante delta. Braun ha detto al giornale tedesco che i casi stavano aumentando del 60 per cento alla settimana. "Se la variante delta continuasse a diffondersi a questo ritmo e non la contrastassimo con un tasso di vaccinazione molto alto o un cambiamento di comportamento, avremmo un'incidenza di 850 (per 100.000 persone) in sole nove settimane. Questo equivale a circa 100.000 nuove infezioni al giorno", ha detto, aggiungendo che questo porterebbe alla quarantena e al caos economico.

Divisione pericolosa. La questione ha causato una pericolosa spaccatura all'interno del partito della Merkel, l'Unione Cristiano Democratica (CDU). Il candidato della CDU per sostituire la Merkel al governo della Germania, Armin Laschet, ha espresso la sua opposizione a qualsiasi requisito formale o informale per il vaccino in questo momento. "Non credo nella vaccinazione obbligatoria e non credo che dovremmo sollecitare indirettamente le persone a vaccinarsi", ha detto Laschet domenica alla seconda emittente pubblica tedesca ZDF. "In un paese libero ci sono diritti per la libertà, non solo per gruppi specifici. Se i tassi di vaccinazione in Germania sono ancora troppo bassi alla fine dell'anno, si potrebbero considerare altre opzioni, ma non ora", ha insistito. Laschet non è anche a favore di vietare ai non vaccinati di andare al cinema e nei ristoranti, come ha suggerito Braun. Coloro che sono "testati, guariti o vaccinati", ha detto, dovrebbero essere esentati dalle restrizioni. Le osservazioni di Laschet sono state descritte da alcuni media tedeschi quasi come uno schiaffo alla Merkel. Durante una recente visita al Robert Koch Institute, la cancelliera ha escluso la vaccinazione obbligatoria "per il momento", ma ha sottolineato: "Non escludo che si possa parlare diversamente tra qualche mese". Alla sua ultima conferenza stampa estiva, la Merkel ha fatto un drammatico appello al pubblico per intensificare gli sforzi di vaccinazione di fronte alle crescenti cifre di infezione. "Più persone vengono vaccinate, più liberi saremo di nuovo", ha detto la cancelliera. “Solo insieme possiamo superare la pandemia. Pertanto, le persone devono anche promuovere attivamente la vaccinazione nel loro ambiente privato e sul posto di lavoro. Ogni vaccinazione è un piccolo passo verso una maggiore protezione per tutti".

A favore di eventuali restrizioni. Karl Lauterbach, un noto e rispettato esperto di salute dei socialdemocratici, ha parlato a favore di possibili restrizioni. Ha detto alla Süddeutsche Zeitung che presto una delle uniche opzioni rimaste per combattere le nuove varianti sarà quella di "limitare l'accesso ai luoghi dove si riuniscono molte persone" solo a coloro che sono stati vaccinati o che sono guariti dal virus. Il suo collega Rolf Mützenich, capo del gruppo parlamentare SPD, ha detto che i politici dovrebbero dare la priorità a vaccinare i cittadini che vogliono essere vaccinati piuttosto che penalizzare i non vaccinati. "Non cambieremo l'atteggiamento degli individui verso la vaccinazione con le minacce", ha detto Mützenich. Il ministro federale degli interni Horst Seehofer (CSU) si è espresso a favore di una maggiore libertà per i vaccinati. "Questa non è una discriminazione contro i non vaccinati", ha spiegato in un'intervista a RTL e ntv. Ha detto che rispetta se qualcuno decide di non essere vaccinato per motivi personali. "Ma chi non è vaccinato deve anche rendersi conto che dobbiamo proteggere la società nel suo insieme e quindi possiamo permettere solo ai vaccinati di partecipare ai grandi eventi comunitari", ha aggiunto. Il vicepresidente del Bundestag Wolfgang Kubicki ha descritto l'iniziativa del ministro Braun come un tentativo de facto di introdurre la vaccinazione obbligatoria dalla porta di servizio. Secondo Kubicki, non ci sono diritti fondamentali di primo e secondo ordine, che "dipendono dal buon comportamento definito come un 'diritto' dalla Cancelleria". Kubicki ha suggerito che Braun sapeva certamente che si stava dirigendo in "territorio incostituzionale" con la sua richiesta di un trattamento ineguale dei non vaccinati.

Alessandra Rizzo per “La Stampa” il 2 agosto 2021. Viaggi scontati con Uber, buoni per la consegna di cibo con Deliveroo, gazebo per farsi il vaccino a festival musicali e perfino al circo: sono alcune delle trovate del Regno Unito per spingere tutti, ma soprattutto i giovani, a vaccinarsi contro il Covid. Con la variante Delta che fa risalire il numero dei contagi e la corsa contro il tempo dei governi per convincere gli scettici, sono molti i Paesi che studiano incentivi. Il Presidente Usa Biden ha chiesto alle amministrazioni locali di pagare 100 dollari ad ogni nuovo vaccinato, e New York ha cominciato a farlo già dai giorni scorsi. Nel Regno Unito a destare preoccupazione sono soprattutto i giovani. Solo due terzi delle persone tra i 18 e 29 anni hanno ricevuto una dose di vaccino, una media ben al di sotto di quella nazionale. Considerando la popolazione tutta, l’88% ha ricevuto la prima dose e oltre il 72% entrambe le dosi. E così governo e aziende corrono ai ripari, e il ministro della Salute Sajid Javid invita ad «approfittare degli sconti». Uber offrirà sconti ai neo-vaccinati che esibiscano un certificato, e lo stesso farà Uber Eats, la sua filiale per il delivery di cibo. La rivale di Uber, Bolt, offrirà viaggi gratuiti per raggiungere i centri vaccinali. Deliveroo buoni per le consegne, e incentivi e offerte sono previste anche da Pizza Pilgrims. E secondo la Bbc, il governo britannico sta studiando altre convenzioni con catene di ristoranti e bar. Ma non ci sono solo sconti: decine di siti vaccinali «pop-up» stanno aprendo nei punti più disparati, dal festival Summer of Love a Londra a stadi come quello di Burnley nel nord dell’Inghilterra, mentre un circo di Halifax ha offerto l’inezione agli spettatori fuori dalle tende di acrobati e giocolieri. In America, con milioni di americani ancora non vaccinati e una campagna che rallenta rispetto ai picchi di aprile, molti stati stanno offrendo incentivi. La California ha messo a disposizione oltre 115 milioni di dollari tra premi e offerte; in Colorado offerte borse di studio per l’università del valore di 50 mila dollari e buoni di 100 dollari della catena Walmart; altre amministrazioni locali hanno messo in palio biglietti per la lotteria, con montepremi milionari, o sconti sulle licenze per andare a caccia o a pesca. In Europa, la Grecia ha offerto 150 euro e un mese gratis di uso dei dati del telefonino per i giovani che si fanno la prima dose di vaccino e in Romania offerte grigliate ai vaccinati. In Russia sono stati messi in palio auto e viaggi in cambio del vaccino. In Israele, tra i primi Paesi a far partire la campagna vaccinale, già nei mesi scorsi alcuni bar di Tel Aviv avevano cominciato a somministrare dosi di vaccino con birra in omaggio. In Indonesia, nelle zone rurali dove lo scetticismo è diffuso, sono state offerte galline in regalo; in Thailandia è stata lanciata una riffa per vincere mucche; a Hong Kong sono stati messi in palio biglietti per vincere voli gratis e perfino per un appartamento del valore di oltre un milione di euro. Accanto alla carota di incentivi, buoni e pasti gratis, molti Paesi mostrano il bastone del «Covid pass» per accedere a ristoranti, discoteche e aule universitarie, e della vaccinazione obbligatoria per operatori sanitari, insegnanti e altre categorie. Basterà?

Riccardo Bruno per il “Corriere della Sera” l'1 agosto 2021. Si fa di tutto per convincere gli ultimi dubbiosi sul vaccino, perfino offrire della passata di pomodoro. Ad Alcara Li Fusi, nel Messinese, la Coldiretti ha pensato di abbinare «il dovere civico» contro il Covid alla promozione del «Siccagno di Valledolmo», bontà siciliana raccolta a mano. La fantasia si spreca in questi giorni tra chi cerca di spingere la fascia più ampia possibile di popolazione a immunizzarsi. Imprenditori che rinforzano la busta paga dei propri dipendenti, ingressi gratis in piscine o lidi, associazioni di consumatori come il Codacons che, di fronte a chi teme effetti collaterali, offre persino una polizza gratuita per coprire eventuali danni (sperando che non ottenga il risultato opposto). I 150 dipendenti della Noctis di Pergola, nel Pesarese, azienda tessile che nell'ultimo anno ha prodotto anche mascherine e camici, si troveranno 50 euro in più in busta paga se decideranno di vaccinarsi. «Vogliamo dare un contributo alla campagna nazionale e tutelare le nostre lavoratrici e i nostri lavoratori» hanno spiegato i vertici dell'azienda. Ancora meglio va ai dipendenti di Barberino's, catena di barbieri tra Milano, Torino e Roma: 100 euro e un giorno di vacanza per chi ottiene il Green Pass. A Borgosesia, Vercelli, ci sono circa 200 over 60 che ancora non hanno ricevuto alcuna dose. Il sindaco Paolo Tiramani (che tra l'altro fu tra chi sperimentò il vaccino italiano Reithera, poi fermato dalla Corte dei Conti), per convincere «chi ancora si rifiuta, ha deciso di offrire un pacchetto fitness, palestra e piscina gratuiti, nel centro sportivo comunale. Ingresso senza pagare per chi accetta anche al villaggio turistico La Cucaracha di Catania: la prossima settimana sarà allestito un punto vaccinazione, iniezione e poi tutti in spiaggia. Non è l'unica iniziativa per incentivare chi si trova in vacanza, da Nord a Sud spuntano «hub» temporanei e strutture mobili. A Messina, il commissario locale per l'emergenza ha varato «Le vie del mare», ogni giorno i sanitari si spostano nei lidi più frequentati. L'Ausl Romagna, a partire da mercoledì, girerà lungo la costa con due cliniche mobili e un camper: vaccinazioni senza prenotazioni dall'ora dell'aperitivo, se non ci si convince così? Neanche la montagna sfugge: da un mese in Alto Adige vanno su e giù per la provincia due «vaxbus». Sono state somministrate dosi anche su un traghetto Caronte & Tourist che collega la Sicilia alle Eolie e Napoli. A Fiumicino, da cinque giorni, è aperto «Vax&go» all'interno del Terminal 3, occasione last minute per chi parte o arriva e si fa prendere dai rimorsi. Ci sono poi le intese a livello locale per sensibilizzare ancora di più i medici. Due esempi: in Piemonte quelli di base, se il 90 per cento dei propri pazienti sarà vaccinato entro il 15 settembre, riceveranno un compenso di 2 euro in più per ogni assistito, 1 euro e mezzo se la percentuale si fermerà tra l'87 e l'89,99%; a Bologna, invece, l'Ausl riconoscerà un «premio di risultato» ai pediatri che convinceranno il 70% dei loro ragazzi. Incentivare con premi in denaro o altre lusinghe non è solo un vezzo italiano. Il presidente statunitense Joe Biden ha chiesto ai governi statali e locali di dare 100 dollari a tutti i nuovi vaccinati. In Svizzera, un imprenditore radiofonico ha lanciato una lotteria con premi in denaro; in Giappone alcune aziende hanno fatto sorteggi con in palio anche appartamenti di lusso e lingotti d'oro; in Russia oltre al siero qualcuno ha portato a casa pure un'automobile. Meno ricca la ricompensa per alcuni neo-vaccinati cinesi, un gelato o 24 uova, o per quegli israeliani che comunque hanno guadagnato pizza e birra. Al di là dell'estro degli amministratori e degli appelli, il più grande incentivo in Italia resta quello di aver reso obbligatorio il green pass per viaggiare, andare al ristorante o ai concerti. Di fronte a un'estate senza divertimento, anche i più riottosi si stanno mettendo in fila.

Michela Allegri per "il Messaggero" il 27 luglio 2021. Manifestazioni, cortei, fiaccolate. Ma anche un business da decine di migliaia di euro, partito in Europa e ora sbarcato pure in Italia. Dopo l'ultimo decreto con il quale il governo ha reso obbligatorio il Green Pass dal 6 agosto, online e sui social è esplosa la truffa delle false certificazioni. La Polizia postale sta già indagando su una decina di gruppi, ma il numero delle pagine illegali è destinato a crescere, visto che chat di questo tipo vengono ormai aperte quasi quotidianamente. La richiesta d'acquisto viene fatta direttamente online: basta seguire un link, fornire i propri dati e una fotocopia di codice fiscale e documenti di identità. «Nessun vaccino, nessun tampone. Per ottenere il certificato sanitario è sufficiente avere un codice fiscale, oppure la carta di identità», scrivono infatti gli organizzatori nelle chat. Il prezzo va dai 100 fino ai 500 euro e si può pagare anche in Bitcoin, buoni Zalando e Amazon. L'app più utilizzata è ancora una volta Telegram: i gruppi creati all'inizio di luglio contano più di 100mila adesioni. Ecco un esempio concreto: una delle pagine, aperta solo quattro giorni fa, ha già superato i 39.500 iscritti. «Se non ti sei mai voluto sottoporre a un tampone o a un vaccino, ma hai comunque necessità di accedere al Green Pass, potrai rivolgerti a noi. Dal lancio abbiamo fornito oltre 1.200 Green Pass in tutta Italia», si legge. E ancora: «Riceverai il pass in forma cartacea o digitale». Gli organizzatori promettono che i certificati saranno attivi e utilizzabili entro 48 o al massimo 72 ore dalla consegna. Il prezzo è differente a seconda del formato scelto: il pass digitale costa dai 100 ai 200 euro, mentre quello cartaceo - che verrebbe spedito direttamente all'indirizzo di casa del cliente - costa almeno 300 euro. In alcune pagine vengono anche proposti dei veri e propri pacchetti convenienza: 300 euro per un nucleo familiare di 4 persone, 450 euro per 6 persone, con il prezzo che sale di 50 euro se si sceglie il formato stampato invece di quello digitale. Gli organizzatori spiegano di avere introdotto i pacchetti viste le numerosissime richieste ricevute da famiglie al completo. Nelle pagine viene anche assicurato che i Green Pass forniti sono «attivi e perfettamente funzionanti», addirittura «rilasciati dall'Ue». Ovviamente si tratta di un raggiro e di una procedura illegale, che potrebbe costare sia al fornitore che ai clienti l'iscrizione sul registro degli indagati. L'APP Gli investigatori stanno monitorando la situazione, ma il mercato è in continua evoluzione. Sotto osservazione anche i diversi canali del dark web, dove il commercio clandestino dei Green Pass va avanti da settimane. In queste ore anche il governo è corso ai ripari: Palazzo Chigi, dal suo account twitter, ha rilanciato un'applicazione creata per verificare la certificazione verde, in modo da consentire agevolmente di riconoscere quella taroccata. L'app si chiama Verifica c19, è gratuita e funziona tramite la scansione del Qr Code. Finora le pagine web e social che promettevano di procurare certificati vaccinali valido dietro compenso erano diffuse soprattutto all'estero e hanno iniziato a moltiplicarsi quando il pass è diventato valido per tutto il territorio Ue. All'inizio di luglio, la Finanza, con l'operazione Vax Free, aveva già sequestrato una decina di canali Telegram nei quali si promettevano pass di contrabbando e anche fiale di vaccino da inoculare direttamente a casa, saltando la fila. Anche in questo caso, in chat veniva fornito un link che rinviava ad account anonimi collegati a specifici market illegali nel dark web, tramite i quali era possibile interfacciarsi con il venditore e procedere all'acquisto dopo aver completato il pagamento in criptovalute. La novità è che questa volta il business è tutto italiano. Un aspetto preoccupa ed è ancora da chiarire: il timore è che i fornitori siano riusciti a mettere le mani su Green pass autentici e possano avere trovato il modo di replicarli. Ma non è tutto. Il monitoraggio da parte della Polizia postale e anche della Polizia di Stato riguarda anche le pagine social no vax e no Green pass tramite le quali si stanno organizzando le diverse manifestazioni dal nord al sud dell'Italia per contestare l'obbligatorietà del certificato vaccinale. Anche in questo caso, i diversi gruppi potrebbero generare un business cospicuo. Nei giorni scorsi, per esempio, in una delle chat più seguite, Basta dittatura!, che conta quasi 30mila iscritti, gli organizzatori chiedevano una donazione libera agli utenti «per aiutarci a mantenere il canale attivo con contenuti di alta qualità, che richiedono tempo, fatica e capacità».

È illiberale cavalcare l'onda negazionista. Andrea Cangini, senatore di Forza Italia, il 2 Agosto 2021 su Il Giornale. È a dir poco probabile che se negli Anni Venti del secolo scorso fossero esistiti i social, lo scienziato scozzese Alexander Fleming sarebbe stato accusato di essere prono agli interessi delle grandi case farmaceutiche del tempo per aver inventato il primo antibiotico della storia, la penicillina. I social, si sa, funzionano così. Privilegiano la logica oppositiva, si nutrono delle trame più oscure, non distinguono tra il vero e il falso. Anzi, dei falsi vanno particolarmente ghiotti: una ricerca del Mit di Boston ha infatti certificato che le notizie false su Twitter si propagano sei volte più velocemente di quelle vere. Più la spari grossa, più seguito ottieni. Fortunatamente, il buonsenso di cui ogni esponente della classe dirigente dovrebbe disporre e le principali pubblicazioni che ogni esponente della classe dirigente dovrebbe aver letto ci invitano a guardare con un certo scetticismo a quel che più infiamma i social. E non solo perché si tratta spesso di teorie estreme il più delle volte estremamente fuorvianti, ma soprattutto perché le tesi che nel mondo virtuale dei social media appaiono maggioritarie sono non infrequentemente minoritarie nella società reale. Stupisce, dunque, che non siano pochi i leader politici e gli intellettuali che in materia di vaccini e di politiche sanitarie connesse vellichino la pancia dei social evidentemente convinti che corrisponda alla pancia del Paese. Stupisce e inquieta anche un po'. Ma quel che più irrita è che politici oggi inclini all'estremismo e intellettuali ieri adepti al comunismo abbiano preso a giustificare questa loro evidente, ed evidentemente malintesa, ricerca della popolarità con una presunta difesa di inalienabili principi liberali. Nientemeno. «Non è liberale!», dicono del green pass e di altre misure del governo Draghi quelli che non osano spingersi fino a paventare una «dittatura sanitaria». Come se il metodo liberale non prevedesse come unico limite alla libertà dell'individuo la libertà degli altri. E quale limite più grande alla libertà di una persona si può immaginare se non la malattia e la morte? In tempo di guerra guerreggiata non è illiberale costringere i cittadini nei rifugi o al fronte. In tempo di guerra sanitaria non è illiberale richiedere un certificato vaccinale in alcuni contesti. E pazienza se sui social prevale il pensiero avverso. Andrea Cangini

Da liberoquotidiano.it il 16 settembre 2021. Massimo Cacciari contro Stefano Feltri, direttore de Il Domani. Terreno di scontro Otto e Mezzo, il programma di La7 condotto da Lilli Gruber. Al centro ovviamente il tema dei vaccini e del Green pass. A iniziare è stato il filosofo che ha espresso la propria contrarietà al Green pass, a suo dire, un modo per mascherare l'obbligatorietà del vaccino. Ecco allora che interviene Stefano Feltri con un parere completamente contrario. "Spero che almeno ho 30 secondi per rispondere dopo gli ospiti", chiede poi Cacciari alla conduttrice. A quel punto la Gruber concede la parola all'ex sindaco di Venezia che prosegue: "Non so chi sia il direttore in studio". "Come no, ho chiesto se voleva scrivere per il mio quotidiano". Ed ecco che scoppia il caos. "No, non so davvero chi sia - dice Cacciari -. Comunque questo governo non è autorevole per niente, non ha ottenuto un consenso informato. Il direttore in studio ha letto i dati dell'Aifa?". "Sì, sono 4 i casi di potenzialmente morti correlati al vaccino". "Non diciamo fesserie, sono 506 e la metà correlabili. Le informazioni non sono chiare. Io mi sono vaccinato con il rischio perché mi sono informato. Non si può obbligare in queste condizioni, si può consigliare e basta". E ancora: "Rimangono serissimi dubbi costituzionali, l'obbligo comporta la vaccinazione. Devono fare una legge e assumersi tutte le responsabilità sulle conseguenze".

«Siamo dentro un processo presidenzialista surrettizio». «Draghi è il rappresentante in Italia delle grandi potenze economico finanziarie che dominano il pianeta». Intervista a Massimo Cacciari. Giacomo Puletti su Il Dubbio il 26 settembre 2021. Massimo Cacciari, filosofo ed ex sindaco di Venezia, spiega che stiamo assistendo «a un accentramento di potere nelle mani dell’esecutivo e allo svuotamento totale dell’assemblea rappresentativa» e sulla ripresa in corso commenta: «Rimane la montagna del debito, che verrà contenuta solo grazie all’aumento dell’inflazione, con il risultato che diminuirà il reddito dei percettori di reddito fisso e si accentueranno le disuguaglianze sociali».

Professor Cacciari, secondo lei i sindacati dovrebbero mettersi di traverso al nuovo patto sociale annunciato da Draghi e accolto con una standing ovation dalla platea di Confindustria?

Bisognerà capire i contenuti di questo patto, visto che non sono stati ancora definiti i numeri e le cifre accanto a determinate voci di spesa. I sindacati in questo momento, dopo la tragedia economica derivante dall’epidemia, hanno un problema colossale di difesa dell’occupazione nei settori più esposti alla crisi ed è difficile che possano maturare nuove idee: devono insomma difendere l’acquisito. Ma penso che finiranno per seguire Draghi, loro come tutti gli altri.

La convincono il programma economico del Pnrr e i settori sui quali si è deciso di investire?

Il piano di Draghi ha tre assi fondamentali: digitalizzazione, cioè investimenti; infrastrutture, che hanno il moltiplicatore più elevato in termini occupazionali; ambiente, cioè tutto ciò che riguarda le energie alternative. L’insieme che comprende invece welfare, scuola, asili, formazione e ricerca sarà grosso modo un contorno, ma d’altronde visti gli accordi con l’Unione europea è inevitabile che sia così.

La crescita nel 2021 sarà attorno al 6 per cento, oltre le aspettative. Tutto merito di Draghi?

C’è sicuramente una ripresa che continuerà nei prossimi mesi, ma rimane la montagna del debito, che verrà contenuta solo grazie all’aumento dell’inflazione: il risultato è che diminuirà il reddito dei percettori di reddito fisso e si accentueranno le disuguaglianze sociali. Si innescherà un processo del genere e dovremmo farlo notare, invece sono tutti lì ad applaudire. Si sta ripetendo quello che è accaduto a fine anni ’ 90.

Che ha poi portato alla bolla del 2008 con relativa crisi globale. Si ripeterà questo fenomeno nei prossimi anni?

Dipenderà da come andranno i rapporti tra i paesi leader, cioè tra Stati Uniti, Cina e Russia.

Al momento sono molto in conflitto tra di loro e gli equilibri dell’economia mondiale sono legati alla pace o alla guerra che questi paesi si faranno. La centralità italiana è zero, quella europea è zero virgola uno.

Nemmeno l’arrivo di Draghi ha aumentato secondo lei la centralità dell’Italia nello scacchiere mondiale?

Draghi è il rappresentante in Italia delle grandi potenze economico finanziarie che dominano il pianeta. È un console della governance mondiale che sta portando qualcosa di positivo alla nostra economia. Del resto avere un console buono in Palestina sotto l’ impero romano era una manna per i palestinesi.

Come vede il ripetuto ricorso al voto di fiducia da parte del governo su temi come la riforma del processo penale e i decreti legge sul green pass?

Sapevamo che sarebbe finita così. Siamo dentro a un processo presidenzialista surrettizio in atto da una trentina d’anni, che però si sviluppa senza alcuna coscienza e consapevolezza da parte degli addetti ai lavori, che fingono che vada tutto bene e anzi predicano l’opposto. Assistiamo a un accentramento di potere nelle mani dell’esecutivo e allo svuotamento totale dell’assemblea rappresentativa.

Ha detto che è un processo che va avanti da trent’anni, eppure Draghi è quello che è ricorso più volte al voto di fiducia dopo il governo Monti. Come se lo spiega?

Draghi non ha tempo da perdere ed è chiaro che in questo momento di crisi il ricorso al voto di fiducia si accentua ancora di più. Qualcuno potrebbe dire qualcosa da sinistra, ma a sinistra non c’è più niente. Speranza è il primo sostenitore del green pass quindi i parlamentari a lui vicini che non lo votano sono ridicoli. Da troppi anni si va avanti così, ma ormai è un processo inarrestabile.

L’estensione del green pass per i lavoratori aiuterà la ripresa?

Il green pass aiuta la ripresa perché senza di quello non si va a lavorare e quindi non ci sarebbe ripresa. È un cane che si morde la coda. Ma la discussione sul green pass è un altro paio di maniche, perché le obiezioni sono di carattere giuridico costituzionale e non c’entrano nulla con l’aspetto economico. Di certo non sono tematiche affrontabili in un’intervista.

In che modo la firma digitale cambierà gli istituti di democrazia diretta nel nostro Paese e come questo influirà sulla democrazia rappresentativa?

Il cambiamento sta già avvenendo e non potrebbe essere diversamene. È anche questo un processo inevitabile. In futuro si voterà da casa tra un talk show e l’altro. Non c’è più bisogno di comizi e contatti perché bisogna mantenere la distanza sociale su tutto, è la logica dei tempi. È come per le compere, che ormai si fanno solo su Amazon. Certo c’è qualche problemino con la democrazia, ma si finge che sia tutto come prima.

Massimo Cacciari per “la Stampa” il 18 settembre 2021. Da Platone all'"eretico" Dante, il percorso dell'uomo per affrancarsi da tutte le schiavitù. «Lo maggior don che Dio per sua larghezza / fesse creando, e a la sua bontate/ più conformato, e quel ch' è più apprezza,/fu de la volontà la libertate» ( Paradiso, V,16-22). Dunque, nasciamo liberi? Dunque, immediate da Dio siamo dotati, noi creature intelligenti,«tutte e sole», di «libero voler», capace di vincere la malizia di cui il mondo è «gravido e coverto» (Purgatorio, XVI,60)? Tra le «croci» che il pensiero è destinato a portare, questa, il problema della libertà, è forse la più tormentosa. Tutto ciò che esiste in qualche modo vuole. Non volere è impossibile. Ma noi soltanto tra tutti gli enti che riusciamo a conoscere saremmo capaci di orientare ad libitum la nostra volontà? E questo per la costituzione stessa della nostra natura? Tutto ciò che vediamo in natura è determinato e condizionato, obbedisce a leggi che non si è certo dato e nella natura noi soli saremmo quegli enti straordinari che possono ciò che vogliono? Quale davvero stra-ordinaria presunzione, che l'esperienza quotidiana falsifica in tutti i modi! Non nasciamo liberi! Forse possiamo soltanto affermare che nella nostra natura è presente la possibilità di diventarlo. Ed è appunto questo che l'esperienza epicamente e profeticamente rappresentata nella Divina Commedia vuole insegnare. Possiamo «trarci fuori» da servitù a libertà. Ma incatenati nasciamo, come quegli abitanti della caverna del mito di Platone, che ben protetti nella loro dimora passano la vita a vedere ombre, e magari goderne, evitando di fare i conti con la dura realtà. Libertà significa liberarsi: un itinerario drammatico, che comporta venire ai ferri corti con l'inferno della vita, risalire l'aspro monte della confessione delle proprie colpe, del pentimento sui propri errori, della radicale conversione al Bene - così nel Poeta per antonomasia. Ma poi il dubbio resiste: è per le mie forze che questo itinerario potrebbe compiersi? E' la mia libertà a determinarne i passi? O lo affermo soltanto perché ignoro quali siano le cause per cui procedo? Dante non avrebbe potuto liberarsi se altri, e altri lassù, non l'avessero, per amore assolutamente gratuito, voluto. Al più, possiamo dire che Dante ne ha assecondato l'amore. È incredibile come quanto più siamo asserviti a potenze e leggi di cui ignoriamo ragioni e fini, tanto più presumiamo di essere liberi. Essere liberi è una mèta assolutamente problematica. Dimostrare di esserlo è impossibile. Soltanto qualche segno possiamo darne. E di questi segni, potenti, son fatte le opere come la Commedia. Saper resistere solitari, se la tua ragione ritiene che il mondo sia «diserto/ d'ogne vertute». Solitario, non ritirato nella Torre. Solitario in lotta con la «bestia» che impedisce la via alla libertà. Esser pronti a dare la vita per cercare di percorrerla - «libertà va cercando», infatti: chi potrebbe presumere di affermarsi perfettamente libero? Significherebbe essere del tutto incondizionati. La libertà possiamo soltanto cercarla, quotidianamente, in lotta contro la «maledetta lupa», «che mai non empie la bramosa voglia,/ e dopo il pasto ha più fame che pria» (Inferno, I,97-99). È la bestia del volere per sé sempre di più, dell'insaziabile avarizia, che si «ammoglia» a invidia, a usura, a frode. Ma è anzitutto la bestia della nostra naturale servitù, del nostro istinto ad asservirci al possesso di beni finiti e a esigere che essi ci siano assicurati. Per Dante la libertà ha un solo, vero segno: capacità di donare e perdonare. Ciò che significa anche liberare. Non si è liberi se non si cerca di liberare chi è costretto nel bisogno, nella pena. Di più, non puoi dirti libero fino a quando un tuo simile è servo. Essere liberi vorrebbe, allora, dire, cercare questo Impossibile? In qualche modo penso di sì. E di nuovo è così in Dante. Poiché tende, mente e corpo, all'Impossibile di «ficcar lo sguardo» negli arcana Dei, egli può vedere con disincanto e realismo questa «aiuola che ci fa tanto feroci», inveire contro i lupi che la dominano, invocare le forze che li possano eliminare. La nostra triste, costante consacrazione della finitezza è consacrazione del nostro dipendere da beni finiti, mète a portata di mano, da tutto ciò che abbiamo o crediamo di avere «a disposizione». Nessun disprezzo per quei «possibili» che siamo costretti a perseguire per continuare a esistere, ma forse è vero che non di solo pane vive l'uomo, e che anche il necessario, quotidiano pane diventa difficile assicurare per tutti, quando ciascuno ha di mira esclusivamente la propria securitas, e di altro non vuole sentir parlare che di garanzie per sé e per ciò che possiede. Il solitario Dante incalza il suo tempo, eretico contro tanti suoi dogmi, tante sue potenze, tanto cattivo senso comune. Nessun fatto ha per lui ragione in quanto fatto. Nessuna Giustizia abita il campo del vincitore perché vincitore. In questo soltanto può per lui mostrarsi un'immagine di libertà e forse di indistruttibilità della nostra anima.

La sentenza di Cacciari e Agamben sul green pass: «È da regime dispotico». I due filosofi non ci stanno e firmano una lettera durissima per denunciare la violazione delle garanzie costituzionali messa a punto con il decreto del governo: «La discriminazione di una categoria di persone è un fatto gravissimo, le cui conseguenze possono essere drammatiche per la vita democratica». Il Dubbio il 27 luglio 2021. «La discriminazione di una categoria di persone, che diventano automaticamente cittadini di serie B, è di per sé un fatto gravissimo, le cui conseguenze possono essere drammatiche per la vita democratica. Lo si sta affrontando, con il cosidetto green pass, con inconsapevole leggerezza. Ogni regime dispotico ha sempre operato attraverso pratiche di discriminazione, all’inizio magari contenute e poi dilaganti». Comincia così la lettera firmata da Giorgio Agamben e Massimo Cacciari che l’Istituto italiano degli studi filosofici di Napoli ha reso pubblica oggi. Dopo un fine settimana di proteste esplose in tutto il Paese, il duo di filosofi entra a gamba tesa nel dibattito sulla certificazione verde necessaria per accedere ad alcuni luoghi e servizi. E lo fa tirando in ballo l’esempio della Cina – dove «non a caso dichiarano di voler continuare con tracciamenti e controlli anche al termine della pandemia», scrivono – e quello dell’Unione Sovietica – dove i cittadini dovevano esibire il “passaporto interno” per ogni spostamento – per denunciare la violazione di «ogni garanzia costituzionale». «Guai se il vaccino si trasforma in una sorta di simbolo politico-religioso. Ciò non solo rappresenterebbe una deriva anti-democratica intollerabile, ma contrasterebbe con la stessa evidenza scientifica», scrivono Agamben e Cacciari. Che poi chiariscono: «Nessuno invita a non vaccinarsi! Una cosa è sostenere l’utilità, comunque, del vaccino, altra, completamente diversa, tacere del fatto che ci troviamo tuttora in una fase di “sperimentazione di massa” e che su molti, fondamentali aspetti del problema il dibattito scientifico è del tutto aperto. La Gazzetta Ufficiale del Parlamento europeo del 15 giugno u.s. lo afferma con chiarezza: “È necessario evitare la discriminazione diretta o indiretta di persone che non sono vaccinate, anche di quelle che hanno scelto di non essere vaccinate”. E come potrebbe essere altrimenti?». «Il vaccinato non solo può contagiare, ma può ancora ammalarsi: in Inghilterra su 117 nuovi decessi 50 avevano ricevuto la doppia dose. In Israele si calcola che il vaccino copra il 64% di chi l’ha ricevuto. Le stesse case farmaceutiche hanno ufficialmente dichiarato che non è possibile prevedere i danni a lungo periodo del vaccino, non avendo avuto il tempo di effettuare tutti i test di genotossicità  e di cancerogenicità. “Nature” ha calcolato che sarà comunque fisiologico che un 15% della popolazione non assuma il vaccino», si legge ancora nella lettera. «Dovremo dunque stare col pass fino a quando? – chiedono i due filosi. Tutti sono minacciati da pratiche discriminatorie. Paradossalmente, quelli “abilitati” dal green pass più ancora dei non vaccinati (che una propaganda di regime vorrebbe far passare per “nemici della scienza” e magari fautori di pratiche magiche), dal momento che tutti i loro movimenti verrebbero controllati e mai si potrebbe venire a sapere come e da chi». Quindi la chiusa: «Il bisogno di discriminare è antico come la società, e certamente era già presente anche nella nostra, ma il renderlo oggi legge è qualcosa che la coscienza  democratica non può accettare e contro cui deve subito reagire».

Dagospia il 27 luglio 2021. Lettera di Renato Brunetta a Dagospia. Il cupo intervento del duo Massimo Cacciari-Giorgio Agamben riferito opportunamente ieri anche da Dagospia mi ha fatto tornare alla mente una coppia antecedente: quella manzoniana e proverbiale di Don Ferrante e Donna Prassede, esemplari assoluti del seicento pre-illuministico. Allora la peste, oggi il Covid, e così l'oscurantismo erudito e magico (Ferrante) e l'attitudine da “vecchia gentildonna molto inclinata a far del bene” a costo “di farlo per forza” (Prassede) trovano nei due filosofi una spettacolare replica. Tutti i giornali o quasi riportano in prima pagina e giustamente strapazzano l'esibizione ingiuriosa di Marco Travaglio contro Mario Draghi. Nulla di nuovo, il vocabolario, o direbbe Travaglio da vecchio chierichetto, il vaccabolario è quello della casa. Invece l'orazione dei due personaggi è passata pressoché sotto silenzio. Ma è infinitamente più grave. Vi si insinua, senza fornire prove ma solo suggestioni alchemiche, che Draghi voglia instaurare, con il pretesto del green pass, un “regime dispotico” che punta alla “discriminazione di una categoria di persone, che diventano automaticamente cittadini di serie B”. Tutte le penne acuminate, che hanno scuoiato le argomentazioni penose di chi gioca con la sicurezza altrui in nome di una ignoranza eretta a diritto di contaminazione del prossimo, si sono fatte da parte. Forse misericordia. O forse, più probabilmente, perché i direttori hanno qualche complesso di inferiorità verso la cultura che spazia dagli angeli ai diavoli, nonché della prepotenza televisiva di uno dei due, intendo ovviamente Cacciari. Be', io no. Trascuro Agamben, non per scarsa caratura intellettuale del professore, non mi permetterei, ma perché le sue divagazioni aristoteliche, come quelle di Don Ferrante, restano confinate nell'ambito dei super-dotti, e lì le lascio. Altra cosa è Cacciari, la cui proliferazione biliosa in ogni dove, a rimediare ai supposti cattivi pensieri altrui, lo fa somigliare ogni giorno di più a una Donna Prassede barbuta. Un narcisismo sconfinato. Il bisogno irrefrenabile, come quello dell'antica e intrigante madama, di insinuarsi nelle vite del popolo per porsi paternalisticamente a sua tutela. In realtà non tutela la sacrosanta libertà d'opinione sbagliata di no vax e affini, ma la sua di sparare sentenze e quella del virus di galoppare.  

P.S. Come diceva Stalin, sicuramente ben conosciuto da Cacciari (se non da Agamben), i fatti sono testardi. E i fatti sono questi. 

1. L’articolo 32 della Costituzione stabilisce che “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”. Quindi la nostra Costituzione non vieta affatto che a tutti i cittadini, o particolari categorie di cittadini, possono essere sottoposte all’obbligo vaccinale. Punto e basta. Quello che la Costituzione impone è che l’obbligo sia fatto per legge, non con un provvedimento amministrativo.

2. Il vaccino, il green pass, non sono “un simbolo politico-religioso”, come scrivono Cacciari e Agamben. Sono semplicemente “il volto della Repubblica”, per parafrasare il Presidente Mattarella. È lo Stato che fa il suo dovere, nell’interesse di tutti e di ognuno. Come deve fare lo Stato davanti ai pericoli che minacciano la comunità nazionale. Di ogni tipo. Lo Stato deriva la sua legittimità dal preservare dai pericoli i suoi cittadini. Non vi è niente di ideologico in questo. 

3. Il green pass non equivale neanche ad alcun obbligo vaccinale. Equivale all’obbligo dello Stato di proteggere i cittadini dalla pandemia. Equivale alla minima decenza civile, che estende su scala generale quello che da sempre e anche oggi è un dovere morale e un dovere giuridico: ovvero, che un cittadino che sa di avere una malattia trasmissibile, deve avvisare le altre persone prima di incontrarle. 

4. La vera discriminazione la fanno le persone che decidono di non vaccinarsi nei confronti delle persone che decidono di vaccinarsi. Ogni scienziato sa spiegare il perché, ed è stato spiegato dai migliori scienziati di tutto il mondo. Non vaccinarsi significa far durare più a lungo la pandemia, e renderla potenzialmente più pericolosa. È un fatto, cari Cacciari e Agamben. Non una opinione da filosofi. 

5. Come disse meravigliosamente Camillo Benso di Cavour, si possono opporre principi a principi. Si possono opporre fatti a fatti. Ma non si possono mai opporre fatti a principi, e principi a fatti. Che è purtroppo quello che voi fate. 

Massimo Gramellini per il "Corriere della Sera" il 28 luglio 2021. Due filosofi stimabili come Agamben e Cacciari scrivono che il green pass è un sopruso di stampo sovietico. E, filosoficamente, fanno discendere le loro conclusioni da una premessa: che il vaccino forse fa male e di sicuro serve a poco. Insomma, il green pass non può essere paragonato alla patente perché una persona al volante è più pericolosa di una a piedi, mentre una persona senza vaccino non è più pericolosa di una vaccinata. Solo che per sostenerlo si trasformano in apprendisti virologi, aggrappandosi a uno dei tanti numeri contradditori che viaggiano in Rete, secondo cui quasi la metà dei morti inglesi più recenti aveva già ricevuto la seconda dose. Si dà però il caso che gli stessi inglesi evidenzino una relazione inesorabile tra il crollo dei decessi e l'aumento dei vaccinati, e che l'Istituto Superiore di Sanità abbia appena certificato che il 99% dei morti da febbraio a oggi in Italia non avesse completato le dosi. Poiché gli scienziati sostengono che il virus colpisce in prevalenza i non vaccinati, se ne deduce che Agamben e Cacciari ritengano di saperne più degli esperti o di non potersene fidare. Se Anthony Fauci scrivesse un articolo per demolire le idee di Agamben e Cacciari su Heidegger, i due sarebbero i primi a deprecare la delegittimazione delle competenze. Con tutto il rispetto, l'opinione dei filosofi Agamben e Cacciari sui vaccini vale quella dell'immunologo Fauci sull'esistenzialismo: un po' poco per trarne deduzioni catastrofiche sulla fine della democrazia.

Massimo Cacciari per "la Stampa" il 28 luglio 2021. Giorgio Agamben ed io abbiamo deciso di pubblicare, in un sito estraneo a ogni fazione politica, e senza alcuna intenzione di farne un «documento» o un «manifesto», un breve testo sulla vicenda del cosiddetto green-pass non solo e non tanto per la gravità della norma in sé, ma per richiamare l'attenzione dell'opinione pubblica democratica sul «segnale di pericolo» che essa esprime. Viviamo da oltre un ventennio in uno stato di eccezione che, di volta in volta, con motivazioni diverse, che possono apparire anche ciascuna fondata e ragionevole, condiziona, indebolisce, limita libertà e diritti fondamentali. E ciò in un contesto complessivo in cui cresce la crisi dell'idea stessa di rappresentanza e, nel nostro Paese, da un decennio ormai la dialettica politica e parlamentare non è in grado di esprimere da sé la guida del governo. Soltanto ciechi e sordi, oppure persone che non vedono a un palmo dal naso dei propri «specialismi», possono ritenere oziose tali considerazioni. Così non si fa che inseguire emergenza dopo emergenza le più varie «occasioni», senza coscienza della crisi, senza la precisa volontà di uscirne politicamente e culturalmente. Invece di un'informazione adeguata si procede ad allarmi e diktat, invece di chiedere consapevolezza e partecipazione si produce un'inflazione di norme confuse, contraddittorie e spesso del tutto impotenti. Che il green-pass sia una di queste è del tutto evidente. Non solo è surreale che la si adotti il giorno dopo che le stesse autorità hanno consentito mega-schermi su tutte le piazze d'Italia per gli Europei e addirittura organizzato una manifestazione di massa per il trionfo degli azzurri (quanto sono costati in contagi e peggio i lieti eventi?), ma come è possibile non chiedersi la ragione della sua estrema urgenza, se la campagna di vaccinazione procede ai ritmi che lo stesso Draghi racconta? In base a questi, tutti gli italiani fuorchè i bambini dovrebbero risultare vaccinati entro settembre. E, dunque, non bastano i vaccini? Si teme che non funzionino? Il green-pass diventerebbe, allora, null'altro che un mezzo surrettizio per prolungare all'infinito - magari con vaccinazioni ripetute - una sorta di micro lockdown Suona sgradevole dircelo, ma è la realtà del mondo contemporaneo che ce lo impone: in forme ovattate e quasi indolori la deriva è quella di una società del «sorvegliare e punire». È la società in cui le forme di controllo e sorveglianza immanenti alle tecnologie che tutti usiamo si stanno sempre più accordando ai regimi politici. La democrazia è fragile, delicata - e quella che noi conosciamo giovanissima, inesistente prima del 1945. Ogni provvedimento che discrimina tra cittadini ne lede i principi - e soprattutto quando suoni immotivato o non sufficientemente motivato. L'idea di democrazia comporta un'opinione pubblica bene informata che partecipa consapevolmente, e cioè criticamente, alle decisioni dei suoi rappresentanti. Sono idee ed esigenze che non avvertiamo neppure più, tutti a caccia di «assicurazioni a prescindere»? Se così fosse, brutti tempi davvero Premesso che qui non si tratta di no-vax, di ideologie neo-naturiste e altre scemenze, e che è gravissimo invece che sotto tale etichetta la stragrande maggioranza della stampa e dei media facciano un mucchio di qualsiasi opinione critica (qui, sì, sarebbe necessario «discriminare»), chiediamo con grande umiltà alla Scienza: non dovrebbe un cittadino leggere e sottoscrivere prima della vaccinazione l'informativa dello stesso ministero della Salute? Che cosa ne pensa la Scienza del documento integrale Pfitzer in cui si dice apertamente che non è possibile prevedere gli effetti del vaccino a lunga distanza, poiché non si sono potute rispettare le procedure previste (solo 12 mesi di sperimentazione a fronte degli anni che sono serviti per quello delle normali influenze)? Risponde alla realtà o no che i test per stabilire genotossicità e cangerotossicità dei vaccini in uso termineranno solo nell'ottobre del '22? La fonte è European Medicine - ma potrebbe trattarsi di no-vax mascherati E' vero o no che mentre lo stesso ministero della Sanità ha dichiarato che la somministrazione del vaccino è subordinata a condizioni e in via provvisoria, nessun protocollo è ancora stabilito per quanto riguarda soggetti immunodepressi o con gravi forme di allergia? Astrazeneca ha detto che su queste questioni pubblicherà una relazione finale nel marzo del '24. Vero o falso che sono aumentati in modo estremamente significativo i casi di miocarditi precoci in giovani che hanno ricevuto il vaccino? O mente il Center for disease control? Che in Israele e in Gran Bretagna molti dei decessi nell'ultimo periodo sono di persone che avevano già ricevuto la doppia dose è una fake news? Che significa tutto questo? Che il vaccino è inutile, che non dobbiamo vaccinarci? Assolutamente no; significa che deve essere una scelta libera, e una scelta è libera solo quando è consapevole. Siamo liberi solo quando decidiamo in base a dati precisi e calcolando razionalmente costi e benefici per noi e per gli altri. Così io ho fatto e mi sono vaccinato, pur ignorando danni eventuali a lunga scadenza e pur sapendo che potevo comunque ammalarmi o contagiare altri non vaccinati (poiché mi risulta che così possa avvenire, o la Scienza lo nega?). Uno scienziato, che passa per essere tra i primi del suo campo, la genetica (ma magari non è vero - non mi pronuncio in attesa di conferma da parte del ministro Speranza), R.W. Malone scrive: «Il governo (si riferiva a quello americano) non è trasparente su quali siano i rischi. E quindi le persone hanno il diritto a decidere se accettare o no i vaccini». La stessa identica cosa è scritta nella G.U. del Parlamento Europeo in data 15 giugno u.s.: «E' necessario evitare la discriminazione diretta o indiretta di persone che non sono vaccinate e anche di quelle che hanno scelto di non esserlo». E qui la questione interessa giuristi e costituzionalisti. Con la stessa modestia con cui mi appello al parere della Scienza (anche se fino ad oggi non ha proprio brillato per unanimismo), ora mi appello a quello dei cultori del Diritto. È legittima l'imposizione, poiché di imposizione si tratta senza dubbio, di un trattamento sanitario, e nella fattispecie di un trattamento sanitario che presenta le zone d'ombra, i dubbi, i problemi che ho succintamente ricordato? Esistono molte altre malattie infettive - si prevede il green-pass anche per morbillo, scarlattina, tosse cattiva? E, conseguentemente, la norma che impedisce di salire su un treno con la febbre varrà da qui all'eternità? Dichiareremo fuori legge l'aver febbre, non importa se per aver contratto la peste o per una indigestione? Metteremo nella carta d'identità le nostre condizioni di salute? Che ne pensa la Scienza del Diritto? Quando subiremo qualsiasi provvedimento o norma senza chiederne la ragione e senza considerarne le possibili conseguenze, la democrazia si ridurrà alla più vuota delle forme, a un fantasma ideale.

Giorgio Agamben per "la Stampa" il 30 luglio 2021. Quello che più colpisce nelle discussioni sul green pass e sul vaccino è che, come avviene quando un paese scivola senza accorgersene nella paura e nell'intolleranza - e indubbiamente questo sta avvenendo oggi in Italia - è che le ragioni percepite come contrarie non solo non sono in alcun modo prese seriamente in esame, ma vengono rifiutate sbrigativamente, quando non diventano puramente e semplicemente oggetto di sarcasmi e di insulti. Si direbbe che il vaccino sia diventato un simbolo religioso, che, come ogni credo, funge da spartiacque fra gli amici e i nemici, i salvati e i dannati. Come può pretendersi scientifica e non religiosa una tesi che rinuncia allo scrutinio delle tesi divergenti? Per questo è importante innanzitutto chiarire che il problema per me non è il vaccino, così come nei miei precedenti interventi in questione non era la pandemia, ma l'uso politico che ne viene fatto, cioè il modo in cui fin dall'inizio essi sono stati governati. Ai timori che si affacciavano nel documento che ho firmato con Massimo Cacciari, qualcuno ha incautamente obiettato che non c'era da preoccuparsi, «perché siamo in una democrazia». Com' è possibile che non ci si renda conto che un paese che è ormai da quasi due anni in stato di eccezione e in cui decisioni che comprimono gravemente le libertà individuali vengono prese per decreto (è significativo che i media parlino addirittura di «decreto di Draghi», come se emanasse da un singolo uomo) non è più di fatto una democrazia? Com' è possibile che la concentrazione esclusiva sui contagi e sulla salute impedisca di percepire la Grande Trasformazione che si sta compiendo nella sfera politica, nella quale, com' è avvenuto col fascismo, un cambiamento radicale può prodursi di fatto senza bisogno di alterare il testo della Costituzione? E non dovrebbe dare da pensare il fatto che ai provvedimenti eccezionali e alle misure di volta in volta introdotte non viene assegnata una scadenza definitiva, ma che essi vengono incessantemente rinnovati, quasi a confermare che, come i governi non si stancano di ripetere, nulla sarà più come prima e che certe libertà e certe strutture basilari della vita sociale a cui eravamo abituati sono annullate sine die? Se è certamente vero che questa trasformazione - e la crescente depoliticizzazione della società che ne risulta - erano già in corso da tempo, non sarà per questo tanto più urgente soffermarsi a valutarne finché siamo in tempo gli esiti estremi? È stato osservato che il modello che ci governa non è più la società di disciplina, ma la società di controllo -ma fino a che punto possiamo accettare che questo controllo si spinga? È in questo contesto che si deve porre il problema politico del green pass, senza confonderlo col problema medico del vaccino, a cui non è necessariamente collegato (abbiamo fatto in passato vaccini di ogni tipo, senza che mai questo discriminasse due categorie di cittadini). Il problema non è, infatti, soltanto quello, pure gravissimo, della discriminazione di una classe di cittadini di serie B: è anche quello, che sta certamente più a cuore dell'altro ai governi, del controllo capillare e illimitato che esso permette sui titolari stoltamente fieri della loro "tessera verde". Com' è possibile -chiediamo ancora una volta- che essi non si rendano conto che, obbligati a mostrare il loro passaporto persino quando vanno al cinema o al ristorante, saranno controllati in ogni loro movimento? Nel nostro documento avevamo evocato l'analogia con la "propiska", cioè col passaporto che i cittadini dell'Unione sovietica dovevano esibire per spostarsi da una località all'altra. È questa l'occasione di precisare, visto che purtroppo sembra necessario, che cos' è un'analogia giuridico-politica. Ci è stato senza alcun motivo rimproverato di istituire un paragone fra la discriminazione risultante dal green pass e la persecuzione degli ebrei. È bene precisare una volta per tutte che solo uno stolto potrebbe equiparare i due fenomeni, che sono ovviamente diversissimi. Non meno stolto sarebbe però chi rifiutasse di esaminare l'analogia puramente giuridica - io sono giurista di formazione - fra due normative, quali sono quella fascista sugli ebrei e quella sull'istituzione del green pass. Forse non è inutile rilevare che entrambe le disposizioni sono state prese per decreto legge e che entrambe, per chi non abbia una concezione meramente positivistica del diritto, risultano inaccettabili, perché - indipendentemente dalle ragioni addotte - producono necessariamente quella discriminazione di una categoria di esseri umani, a cui proprio un ebreo dovrebbe essere particolarmente sensibile. Ancora una volta tutte queste misure per chi abbia un minimo di immaginazione politica vanno situate nel contesto della Grande Trasformazione che i governi delle società sembrano avere in mente - ammesso che non si tratti invece, come pure è possibile, del procedere cieco di una macchina tecnologica ormai sfuggita a ogni controllo. Molti anni fa una commissione del governo francese mi convocò per dare il mio parere sull'istituzione di un nuovo documento europeo di identità, che conteneva un chip con tutti i dati biologici della persona e ogni altra possibile informazione sul suo conto. Mi sembra evidente che la tessera verde è il primo passo verso questo documento la cui introduzione è stata per qualche ragione rimandata. Su un’ultima cosa vorrei richiamare l'attenzione di chi ha voglia di dialogare senza insultare. Gli esseri umani non possono vivere se non si danno per la loro vita delle ragioni e delle giustificazioni, che in ogni tempo hanno preso la forma di religioni, di miti, di fedi politiche, di filosofie e di ideali di ogni specie. Queste giustificazioni sembrano oggi - almeno nella parte dell'umanità più ricca e tecnologizzata - venute meno e gli uomini si trovano forse per la prima volta di fronte alla loro pura sopravvivenza biologica, che, a quanto pare, si rivelano incapaci di accettare. Solo questo può spiegare perché, invece di assumere il semplice, amabile fatto di vivere gli uni accanto agli altri, si sia sentito il bisogno di instaurare un implacabile terrore sanitario, in cui la vita senza più giustificazioni ideali è minacciata e punita a ogni istante da malattie e morte. Così come non ha senso sacrificare la libertà in nome della libertà, così non è possibile rinunciare, in nome della nuda vita, a ciò che rende la vita degna di essere vissuta.

DAGONOTA il 30 luglio 2021. Come mai il filosofo Agamben si sveglia adesso e considera il decreto legge sul green pass emanato del governo Draghi simile a quello sulle leggi razziali di Benito Mussolini?  Ma il filosofo Agamben lo sa quanti decreti legge hanno emanato, per esempio, i governi Berlusconi, Monti, Letta e Renzi? Un totale di 197 ovvero circa due al mese. E come mai non ha protestato contro quei circa 200 decreti legge mentre il decreto sul green pass di Draghi ora suscita la sua indignazione? Ma lo sa che in un governo democratico un decreto legge entra in vigore immediatamente dopo la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana (o il giorno successivo), ma gli effetti prodotti possono essere provvisori, poiché i decreti-legge perdono efficacia (e dunque decadono) se non contengono la "clausola di presentazione al Parlamento per la conversione in legge", se il giorno stesso della pubblicazione - o entro i cinque giorni seguenti - non sono presentati al Parlamento, e se il Parlamento stesso non li converte in legge entro 60 giorni dalla loro pubblicazione? E lo sa che, ovviamente, questa procedura era inesistente in una dittatura che aveva cancellato partiti e parlamento? Ha mai letto, il filosofo Agamben, il testo delle leggi razziali firmate dal ministro Bottai che escludevano gli ebrei dalle scuole di “ogni ordine e grado?” E che li privavano di tutto? E può il filosofo Agamben senza vergogna considerare la legge sul green pass simile a quelle razziali? Nella Rsi a formulare il testo della legislazione razziale fu il sottosegretario Guido Buffarini Guidi, che nel 1938 fu un grande sponsor delle leggi antisemite, fece opera di persuasione a tappeto contro chi non era convinto e vinse persino le resistenze del Re Vittorio Emanuele III che non le voleva firmare. All’inizio del 1944, sempre con il beneplacito di Mussolini, Buffarini Guidi si dedicò alla legislazione che consegnava gli ebrei ai nazisti e che li privava di tutte le loro proprietà. Può, dunque, il filosofo Agamben affermare che un cittadino italiano del 2021, a cui si vieta di non entrare in un museo perché non vaccinato, sia privato di un diritto allo stesso modo di un cittadino italiano ebreo del 1938 che veniva privato del diritto di avere un negozio o un‘azienda, i suoi mezzi di sopravvivenza? Per non parlare di lager, campi di concentramento e razzie varie.

"Silete Theologi in munere alieno". Quei filosofi (un po’ provinciali) che vogliono insegnare medicina…Michele Prospero su Il Riformista il 30 Luglio 2021. Se proprio si vuole assaporare qualcosa di sovietico nella questione dei vaccini, non è certo nei foglietti verdi richiesti per circolare che essa si rintraccia. Dell’impero dell’est, quello che sta tornando in vita è semmai il vecchio, malandato Diamat, che oggi si propone a media unificati secondo una versione biopolitica coltivata nel cuore teorico del nord-est. Infatti solo a una qualche variante italica (e quindi con una venatura provinciale) della filosofia poteva venire in mente di ingaggiare con gli scienziati una disputa per indicare loro il Vero. E i medici, che rispondono punto per punto a degli spaesati scolari di un Hegel redivivo che si sono convinti di possedere una enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio (insomma: la Krisis finalmente riassorbita dalla Totalità del pensiero positivo bio-teologico), avrebbero fatto molto meglio a risolvere la disputa limitandosi a riformulare il celebre monito di Alberico Gentili recuperato anche da Schmitt: “Silete Theologi in munere alieno”. (tacete, teologi, sugli argomenti che non vi riguardano, traduzione del redattore). In termini esortativi analoghi si espresse anche Copernico che intimava appunto il silenzio della metascienza della teologia in nome dell’autonomia della scienza che parla solo il linguaggio tecnico della matematica. I virologi avrebbero dovuto semplicemente invitare i bioteologi odierni a tacere attorno a questioni che non sono di loro competenza. La forma del talk dà di volta alle menti e, saltellando da un divano all’altro, è facile per chi diviene l’icona della legge televisiva arrivare a persuadersi di tenere in tasca l’intero scibile. Nessuno statuto scientifico speciale più esiste, Gruber o Berlinguer sono le post-moderne accademie delle scienze che autorizzano a svolazzare su tutti i misteri del creato. Questo è il vero nichilismo contemporaneo. E’ la dittatura del relativismo della chiacchiera, altro che biopotere che comprime le libertà in nome dello stato di eccezione. La questione del rapporto tra tecnica e politica l’affrontò in maniera del tutto trasparente già Marsilio da Padova e c’è poco da aggiungere alle sue parole. “Il medico offre un parere tecnico sulla salute fisica degli uomini senza detenere nei loro confronti alcun potere coattivo”. Il comitato scientifico consiglia, il potere politico decide con minore o maggiore efficacia. Nulla di nuovo è accaduto e nessun simbolo autoritario e repressivo si rintraccia nel governo democratico della situazione di emergenza sanitaria. Bene ha fatto il presidente Mattarella, con il suo implicito “No Max”, a impartire una vera e propria lezione di filosofia del diritto. Non esiste, entro una convivenza politicamente organizzata, la libertà di violare il corpo altrui. Rivendicare la (sia pure ipotetica) libertà di contagiare gli altri, e di determinare una infinita situazione di pandemia, non è propriamente un diritto. Sarebbe un diritto folle quello di minare la salute pubblica (e dunque l’economia, la scuola, il divertimento, lo sport), e già Rousseau spiegava che la follia non costituisce mai diritto. Dai tempi di Hobbes la modernità politica stabilisce un nesso ineludibile e fondativo tra il sovrano e la vita. Costituisce infatti la ragione istitutiva dell’artificio politico lo sforzo pattizio per costruire con il diritto sanzionabile il rimedio alla paura, alla minaccia che grava sul corpo e rende vulnerabile la sua sicurezza immediata. Il grande conservatore della vita, che è lo Stato legale-razionale, verrebbe meno alla sua stessa ragion d’essere primaria se consentisse, entro un territorio ricoperto con lo scudo del sovrano, di morire di morte procurata da un altro corpo che rifiuta la reciprocità dell’immunizzazione in nome di una aporetica sovranità privata di gestire il rischio che ricade non solo sull’Ego ma anche sull’Alter. Neanche l’Unico di Stirner rivendicherebbe mai sensatamente la assurda libertà di poter nuocere alla esistenza corporale altrui senza l’assunzione del dovere di limiti ragionevoli per cui le licenze individuali si arrestano nella sfera esterna quando possono distruggere le condizioni basilari del vivere in comune. Nemmeno può essere invocata la tolleranza di altri soggetti che consentono al portatore potenziale di minaccia virale di frequentare fabbriche, uffici, luoghi pubblici, studi televisivi. E’ infatti in gioco una questione pubblica, e nessun accordo tra privati può negoziare limitazioni e deroghe speciali. I cultori della “Italian Theory” rivendicano una originaria estraneità al problema della sovranità che li conduce pericolosamente verso la condivisione di argomenti che risuonano nelle piazze della ribellione selvaggia. Michele Prospero

Giampiero Mughini per Dagospia il 4 agosto 2021. Caro Dago, due cose piccole piccole. La prima. Non ho mai avuto il piacere di conoscere Giorgio Agamben e me ne dolgo di avere letto soltanto due o tre dei suoi tanti libri, tutti marchiati da un’originalità stilistica e intellettuale. Gli invidio molto il libro che parte al suo tavolo da lavoro e da quel che ci sta intorno. Come tanti ero però rimasto stupito dalla supponenza con cui lui e un altro personaggio autorevole della nostra scena culturale, il veneziano Massimo Cacciari, avevano firmato un testo in cui proclamavano il loro timore che l’eventuale obbligatorietà del green pass potesse costituire una pericolosa limitazione delle libertà personali di ciascuno di noi. Al che in molti, da Renato Brunetta a Davide D’Alessandro sull’Huffington Post, hanno replicato con argomenti lapalissiani. Vedo adesso che Agamben firma un testo di controreplica a dire che non è affatto vero che la scienza abbia sempre ragione, quella scienza che oggi ci dice che il vaccino (e la conseguente disponibilità di un green pass) sia il muro migliore contro questo virus cangiante e diabolico. Agamben allega il caso dei dieci scienziati italiani (dieci sporcaccioni intellettuali) che nel 1938 firmarono un loro documento di sostegno alle leggi razziali col sostenere che c’era un fondamento scientifico alla classificazione degli uomini per razze. Ora la sola idea di trovare una qualche attinenza tra quella ignobile manifestazione di sudditanza del pensiero intellettuale alla dittatura politica e gli attuali inviti alla cautela di scienziati ed epidemiologi è da far accapponare la pelle. Che questa attinenza la scorga colui che passa come uno dei maggiori filosofi italiani contemporanei mi lascia a dir poco di stucco. Non ci sono parole. Seconda cosa piccola piccola. Mi telefona il mio commercialista e amico Andrea Mazzetti e mi dice che stando alle legge e siccome a seguito del lockdown e dei suoi annessi e connessi il mio reddito professionale da un anno all’altro è andato giù del 30 per cento, io sarei autorizzato a chiedere allo Stato italiano un sussidio di oltre 4000 euro. Di chiedere dunque ai miei concittadini un bel po’ di soldi, e mentre sono vicini ai 130mila gli italiani uccisi da questo dannato morbo, altro che un calo del reddito del 30 per cento. Ho detto ad Andrea di non fare alcuna richiesta. Me ne sarei vergognato a vita.

“Caro Agamben, caro Cacciari, la vera discriminazione è tra chi ha avuto il vaccino e chi no”. Donatella Di Cesare su L'Espresso il 27 luglio 2021. Donatella Di Cesare risponde ai due filosofi che hanno definito il green pass una misura discriminatoria: «Non viviamo in un regime dispotico, ma in una democrazia che va salvaguardata». Il greenpass non è una misura discriminatoria. La parola “discriminazione” ha un significato e un peso che non si può sottovalutare. Oggi ci sono tante discriminazioni che avvengono quotidianamente sotto i nostri occhi: quelle verso i migranti, verso chi ha la pelle di un altro colore, verso i poveri considerati un buco nero nel bilancio, verso gli operai che restano dall’oggi al domani senza un posto di lavoro. Per non parlare delle discriminazioni innumerevoli, e spesso inenarrabili, verso le donne e ancora verso la comunità lgbt. Il greenpass non è equiparabile a nulla di ciò. Ho trovato pericoloso e aberrante il paragone tra greenpass e stella gialla perché vorrebbe mettere sullo stesso piano un bambino ebreo, discriminato per quello che era, con un antivaccinista che non è convinto, o non è ancora convinto, di farsi il vaccino. Queste equiparazioni sono fuorvianti sia che si interpreti il passato, cioè la persecuzione e lo sterminio degli ebrei europei, sia che si tenti di orientarsi nella complessa realtà della pandemia che ha segnato il mondo da ormai quasi due anni. Di questo periodo, oltre al dolore e al lutto, ricorderemo il grande sforzo della scienza che, con una velocità senza precedenti, ci ha dato i vaccini. E senza vaccini tutto sarebbe oggi ben diverso. Questo non vuol dire che non si possano e non si debbano discutere i risultati della scienza e soprattutto le sue traduzioni tecnopolitiche. Lo strapotere degli esperti nello spazio pubblico è allarmante. La possibile riduzione del cittadino a paziente e la deriva di uno Stato medico sanitario sono rischi ben chiari in questi ultimi mesi. Ma non viviamo in un “regime dispotico” - è bene ribadirlo. Viviamo in una democrazia che va salvaguardata. Molti sono i rischi che la minacciano, a cominciare dalla depoliticizzazione di massa. La questione della sorveglianza si è acuita e costituirà una sfida, perché difficilmente si potrà fare a meno del tracciamento. Ma non siamo già sorvegliati per ben più futili motivi da un capitalismo che ci impone da tempo forme di vita? L’idea che siamo liberi e autonomi è ingenua. Ma chi nelle piazze grida “libertà” crede anche che il vaccino sia una subdola alterazione del proprio corpo, a cui perciò intende sottrarsi. La fede nell’identità, il morbo identitario, attecchisce nella nuova destra che infatti mette il sigillo alla protesta. È indubbio che oggi viviamo la insolita condizione per cui il nostro corpo può essere arma di contagio e morte per gli altri. Proprio ciò dovrebbe spingere a mettere al primo posto la responsabilità. Questo - e non altro - è il messaggio del greenpass. Se è un grande errore denigrare o insultare i no vax, se occorre sempre il confronto, non sembra però che ci siano cittadini di seconda classe. La discriminazione è una barriera rigida. Non è questo il caso. A meno di non voler dire che siano, ad esempio, discriminati i fumatori. La grande lotta oggi è quella per chiedere i vaccini per i senzatetto, gli immigrati, quelli che non hanno protezione e soprattutto per i paesi poveri, dove solo ancora l’uno per cento della popolazione è vaccinata. Qui è la discriminazione: tra chi ha avuto il privilegio del vaccino e chi è ancora esposto. Su questo diritto al vaccino per gli altri è tempo di mobilitarsi. 

Antonella Viola per "La Stampa" il 29 luglio 2021. La tentazione di argomentare con i filosofi sui concetti di libertà, diritti e doveri individuali e collettivi è forte, lo ammetto. Tuttavia, non credo che sarei seria o credibile. Pur avendo letto Sant'Agostino e Kant, Marx e Heidegger e non i blog di qualche filosofo non accreditato dalla comunità di riconosciuti esperti nel settore, non mi lancerei mai in una battaglia del genere, perché credo nelle competenze e nel valore degli anni e la fatica dedicati ad ottenerle. Non solo: su alcuni dei punti sollevati da Massimo Cacciari e Giorgio Agamben, nel loro documento dedicato al green pass, sono anche d'accordo. L'uso del green pass non può e non deve essere considerato uno strumento punitivo o di discriminazione; se visto in questi termini è orribile e, se pure utilissimo, sarebbe comunque da rigettare anche solo come ipotesi. Ma i filosofi sanno benissimo che questa è solo un'interpretazione del green pass, semplicistica e strumentale. Il green pass, durante una pandemia che è costata ben oltre i quattro milioni di vite umane - di cui 128 mila in Italia - e che ha causato dolore e difficoltà a tutti i livelli della società, non rappresenta uno strumento punitivo ma protettivo; serve a tutelare la salute pubblica e a restituire libertà e lavoro a quelle persone che hanno dovuto rinunciarvi a causa del coronavirus. In questi mesi abbiamo dovuto affrontare due gravi emergenze dal punto di vista sanitario: i decessi e lo stress degli ospedali. Nessuno potrà dimenticare la fila di bare di Bergamo o le immagini di medici e infermieri esausti e traumatizzati. Ma, invece, molti non considerano altri aspetti critici legati all'emergenza Covid19. Una Sanità che fatica a star dietro ai ricoveri causati dalla pandemia ha, come ovvia conseguenza, problemi anche su tutti gli altri fronti dell'assistenza. Basti ricordare che nel 2020 sono stati eseguiti 2,5 milioni di screening oncologici in meno. Un ritardo che potrebbe costare molto, perché si stima che non siano stati intercettati oltre 3300 carcinomi mammari, 2700 lesioni della cervice uterina, 1300 carcinomi del colon-retto, giusto per fare qualche esempio concreto. Oggi, grazie ai vaccini, lo scenario è chiaramente diverso, ma il virus circola ancora e, con il 40% della popolazione italiana non vaccinata, bisogna evitare che si creino degli ampi focolai e che gli ospedali tornino ad essere pieni di pazienti Covid. Come si può raggiungere questo obiettivo? Nel tempo, continuando a vaccinare; nell'immediato, chiudendo tutti quei luoghi dove il rischio di contagio è alto oppure limitandone gli accessi a chi è protetto. Certo, si potrebbe scegliere la prima opzione, ma questo sarebbe un danno insostenibile per l'economia del Paese. Dietro alla scelta del green pass per accedere a ristoranti, cinema e musei non c'è dunque nessuna discriminazione o punizione; solo buon senso per superare una fase difficile della nostra storia. Un altro aspetto toccato dal documento e che va chiarito riguarda l'efficacia e la sicurezza dei vaccini, perché su questi punti non è possibile lasciar spazio ad ambiguità. I vaccini funzionano tutti e contro tutte le varianti che sono finora emerse, nel senso che proteggono dalla malattia grave e, quindi, dalla morte. Questo non significa che non sia possibile ammalarsi gravemente e persino morire, se si è vaccinati, perché nessun farmaco funziona nel 100% dei casi. Ma la probabilità è molto bassa, decisamente più bassa rispetto a chi vaccinato non è. Lo dice non solo la scienza ma anche la semplice realtà: in Italia, il 99% dei morti per Covid19 negli ultimi 6 mesi non era stato vaccinato. Prima della diffusione della variante Delta, potevamo anche dire che, nella stragrande maggioranza dei casi, i vaccinati non si infettavano e quindi non potevano contagiare. Ora, con un virus estremamente più trasmissibile, dobbiamo purtroppo ricrederci e prendere atto che la mutazione ha reso l'infezione dei vaccinati più probabile di quanto lo fosse pochi mesi fa. Ormai lo sappiamo: il virus muta e quello che è vero oggi potrebbe non esserlo più tra pochi mesi. Nonostante questa possibilità d'infezione, si ritiene che le persone completamente vaccinate abbiano una scarsa possibilità di diffondere il contagio, proprio perché gli anticorpi presenti in loro bloccano la replicazione virale. Il rischio che ci possa essere un focolaio tra vaccinati è quindi bassissimo, mentre la presenza di persone che non lo sono mette a rischio tutti. L'argomento che ho personalmente trovato più fastidioso nel documento dei filosofi è, però, quello che ammicca alle argomentazioni no-vax, sostenendo che non ci si può sorprendere che parte della popolazione rifiuti un vaccino generato in fretta, senza il giusto tempo per valutarne la sicurezza a lungo termine. È triste vedere come, alla fine, chi si erge a paladino della propria o altrui libertà nel campo della vaccinazione sia sempre contaminato da un retropensiero complottista, che ci vede tutti come cavie di laboratorio di scienziati perfidi o superficiali, assoldati dalle industrie farmaceutiche. I vaccini non sono stati sviluppati in modo frettoloso ma con urgenza; e non è la stessa cosa. Nella produzione dei vaccini anti-Covid nessuna tappa del processo di validazione del prodotto è stata saltata. La rapidità della creazione è dovuta a tre motivi: tanti soldi investiti dai governi, tante persone contagiate - e quindi tempi rapidi per i test - e una procedura burocratica snella che ha consentito la valutazione dei dati in tempo reale. Non è possibile, per nessun farmaco, fare studi che permettano di valutarne la sicurezza a 30 anni dalla somministrazione, ma sulla base degli studi effettuati negli anni passati - perché questi vaccini e le loro componenti sono studiati nei laboratori da molti anni - e grazie alle analisi di tossicità effettuate negli animali si può escludere che possano avere effetti a lungo termine. Se quindi è lecito non essere d'accordo con la misura del green pass sulla base del proprio concetto di libertà individuale, non è tuttavia utile dar voce a pensieri antiscientifici. Piuttosto, discutiamo di dove sia giusto imporre il green pass e dove no, considerando le ragioni e i diritti di tutti. Un luogo dove non può essere richiesto è, per esempio, la scuola, che deve restare un diritto per tutti i ragazzi, anche in fase di emergenza. O non può essere un criterio per limitare il diritto alla Sanità pubblica, perché chi sta male deve essere curato sempre, indipendentemente dagli errori che può aver commesso. Cerchiamo quindi di intavolare una discussione costruttiva su come utilizzare al meglio questo strumento di protezione collettiva e non alimentiamo dubbi sui vaccini. Perché l'unico modo per tornare alla libertà pre-Covid19 passa attraverso la vaccinazione.

Marco Benedetto per blitzquotidiano.it il 29 luglio 2021. “Green pass è libertà, altro che dispotismo”. Paolo Flores d’Arcais, fondatore e rifondatore di Micromega dà una nuova prova di indipendenza mentale e morale con una lettera aperta a Massimo Cacciari sul tema. Cacciari ha firmato, antico vizietto della sinistra intellettuale (la fu classe operaia lavora e non ha tempo) un duro attacco al green pass, definendolo strumento “da regime dispotico”.

La replica di Paolo Flores è dura e senza appello: “Tenere a distanza chi non vuole vaccinarsi non ha nulla di discriminatorio, è una misura elementare minima di difesa della libertà (e vita) degli altri”.

Penso che meriti leggere il testo di Flores per intero. Dovrebbe essere adottato da tutti quanti, a sinistra come a destra, rifiutano di portare il cervello all’ammasso. E vogliono invece darsi una linea di pensiero indipendente quanto coerente in questi tempi difficili. (Anche se devo dire che in 76 anni che ho finora vissuto non ne ricordo di facili più di dieci). Perché mai, scrive Paolo Flores a Cacciari, nel testo firmato in coppia con Agamben, “non hai speso una sola parola di indignazione, vituperio, condanna, per la “pratica di discriminazione” che non consente di guidare liberamente un’automobile (ma eventualmente anche un Tir, se aggrada). E impone di passare per le forche caudine di esami orali e scritti, solo al termine dei quali il cittadino (ma non è ormai così ridotto a suddito?) riceve un “green pass” definito “patente di guida”? “Ancora: perché mai non hai stigmatizzato l’insopportabile “regime dispotico” con cui in Italia si pretende un “green pass”, chiamato burocraticamente “porto d’armi”, per il libero cittadino (ridotto con ciò a suddito) che voglia girare con una P38 in tasca, mentre liberamente e gioiosamente un cittadino statunitense può acquistare al negozio d’angolo anche una Beretta pmx, una Skorpion Vz 61, una Thompson, e altri gingilli di libera autodifesa?  E perché non hai ricordato che queste nefaste pratiche discriminatorie hanno il loro antefatto nell’odiosa volontà (Legge 11 novembre 1975, n. 584, poi Legge 16 gennaio 2003, n 3, rafforzata dieci anni dopo con la “legge Sirchia”) di “purgare” i fumatori, discriminandoli col divieto d’ingresso nei cinema, teatri, ristoranti, caffè, treni, aeroporti, uffici, ghettizzandoli sui marciapiedi e in molti paesi cacciandoli infine anche dai luoghi aperti? A me queste leggi antifumo sono sempre sembrate invece civilissime, e anzi libertarie. Perché mai dovrei essere costretto a inalare nicotina e catrame se voglio frequentare un luogo pubblico chiuso? O devo lavorare in uno spazio comune? Ma in un luogo pubblico chiuso il fiato di un contagiato Covid è molto ma molto più dannoso degli sbuffi delle più micidiali Marlboro rosse o Gitanes papier mais. Che senso ha trincerarsi dietro un generico “il dibattito scientifico è del tutto aperto”? Va da sé: il dibattito scientifico è sempre aperto, per definizione. Ma i dati delle ultime settimane sono costanti e inoppugnabili. Contagi, ricoveri (e morti) dei non vaccinati sono, in proporzione al loro numero, dieci volte superiori a quelle dei vaccinati. La “libertà” di impestare il prossimo non è ancora stata introdotta tra i diritti umani e civili inalienabili. Riforma costituzionale che il tuo testo solfeggia in filigrana, continua anzi a costituire una forma insopportabile non già di libertà ma di violenza, prepotenza, sopruso. Le democrazie nascono impegnandosi a garantire l’endiadi “vita e libertà” dei cittadini. Ma che vita e che libertà sono garantite a cittadini costretti a rischiare, in ogni luogo pubblico chiuso o all’aperto ma molto affollato, l’alito impestato. Di chi per privata prepotenza non vuole prendere l’unica misura che abbatte tale rischio: il vaccino? In realtà vi è, come noto (da secoli) un’altra misura: il distanziamento. Tenere a distanza chi non vuole vaccinarsi non ha perciò nulla di discriminatorio, è una misura elementare minima di difesa della libertà (e vita) degli altri. Ai governi (il nostro compreso) si può e deve imputare – semmai – di non averla difesa e non difenderla abbastanza, questa comune libertà. Che il “green pass” costringa a essere controllati e “tracciati” è infine pura menzogna. Vieni “tracciato” se lo usi sul telefonino con localizzatore. Ma se te lo stampi (ci vuole un “clic”, appena più del teologico “fiat”), lo presenti dove è richiesto e nessuno ti “traccia”. Infine, non è solo davvero fuori misura. Ha piuttosto qualcosa di indecente e ingiurioso, evocare il passaporto interno di staliniana e brezneviana memoria. O le misure di controllo del maoturbocapitalismo di Xi Jinping. Un’offesa sanguinosa ai milioni e milioni di vite umane che il totalitarismo comunista lo hanno subito davvero, carne e ossa, gulag e sangue. Spero che le righe in proposito siano uscite dalla penna del tuo sodale Agamben, che suona questo mostruoso refrain da anni, e tu le abbia accolte solo per momentanea debolezza”. L’attacco di Paolo Flores d’Arcais a Cacciari è un testo da assumere nelle scuole di ogni ordine e grado. Non è solo un siluro contro la sinistra da salotto di cui l’ex sindaco di Venezia è un maitre à penser. È una affermazione positiva e decisiva, del diritto di tutti noi di non essere sopraffatti dai capricci di pochi. Se volete capire cosa vuol dire sinistra democratica, in contrasto con sinistra caciarona, modaiola e prevaricatrice, leggete Flores e incorniciatelo. Ricorda le leggende su Togliatti indignato quando gli davano del tu o di Hobsbawn quando intimò, a un gruppo di gauchiste che gli avevano invaso l’ufficio, di mettersi la cravatta. Due note su Cacciari. È stato operativo del Pci in Parlamento italiano e europeo. Lo chiamano anche filosofo, perché ha insegnato e insegna filosofia. Un po’ poco la sua attività originale per la massa di noi che siamo fermi a Socrate e consideriamo la maggior parte dei filosofi di questi 25 secoli dei rimescolatori. O al massimo, come Marx, soci e predecessori moderni, dei notai della mutata realtà sociale e politica. Pur non avendo lasciato il segno nelle attività politiche perseguite, Cacciari è considerato comunque una delle punte della sinistra intellettuale italiana. I cui esponenti di punta, nella pratica, sono D’Alema, Bersani, Letta: protagonisti del crollo dei voti, dal 40 al 20 per cento. E altre parole non ci appulcro.

Hegel ha dato alla testa al filosofo? La “cagata totale” di Cacciari, diventato no-vax di alto livello. Paolo Guzzanti su Il Riformista il 28 Luglio 2021. La sinistra italiana – non che le altre stiano molto meglio – ha sempre questo problemaccio esistenziale: chi siamo dove andiamo e in che senso? Voi direte: e allora la destra? E allora le foibe? Rispondeva mia figlia Caterina nei panni della sgallettata di Casa Pound. Una cosa per volta. Oggi, la sinistra scopre di colpo di essere vulnerabile al pensiero ansioso prodotto dal Green Pass. Sospetta addirittura che il Green Pass sia uno strumento di apartheid e segregazionismo, figlio della legge del Jim Crow americano, o forse semplicemente parente del “passaporto interno” per cittadini sovietici e al fatto che i cinesi oggi, con la scusa del Covid, ancora “tracciano” (cioè pedinano) elettronicamente i loro cittadini. Pensiero debole? Debolissimo. Ma sorretto da un pensiero fortissimo: quello di Massimo Cacciari di cui si celebra spesso il gap che lo divide – per intelligenza e cultura – dalla massa amorfa di quelli che lui stesso considera, come faceva Stalin, gattini ciechi, bisognosi di guida. Cacciari ha firmato un articolo-manifesto, insieme a Giorgio Agamben. Ora, ciò che scrivono i due pensatori, nell’ingiusta presunzione che gli altri non siano capaci di pensare, è una sciocchezza (io avevo scritto “cagata totale” ma la redazione mi ha censurato) che, filosoficamente parlando, mostra la sua tabe hegeliana e di tutto il pensiero italiano esente dalla contaminazione della scienza. Dire che il Green Pass sia uno strumento che separa i cittadini in due categorie, di cui quella che ancora non ce l’ha è di fatto segregata, è una affermazione sia illogica che infondata. È infondata perché chiunque può esibire al posto del Green Card l’esito di laboratorio di un test che certifichi la presenza di anticorpi (anche per aver contratto il Covid ed esserne guarito) sufficienti a non aumentare la circolazione della carica virale che è quella che infetta, ospedalizza e nella modesta misura statistica del due per cento (ventimila su un milione di infettati) ammazza. Non so se Cacciari si rende conto del fatto che in anno di pandemia gli italiani morti ammazzati sono all’incirca la metà di tutti i morti nella Seconda guerra mondiale: circa 150 mila contro circa 300 mila, civili inclusi. Quella guerra durò in Italia cinque anni, ma il Covid è più sbrigativo e ha fatto il suo porco lavoro in un anno e mezzo. Ora tutti, ma proprio tutti sanno che il virus – qualsiasi virus – si contiene impedendo il contagio con sistemi draconiani alla cinese (nella Repubblica popolare ci sarebbero oggi sei milioni di cellulari attivi in meno dall’inizio della pandemia: che cosa ci nascondono?) oppure (e insieme) con una vaccinazione di massa del genere di quelle che hanno fatto sparire dalla faccia della Terra il vaiolo, la poliomielite e quasi tutte le malattie infantili che la mia generazione – e quella di Cacciari – ha subito lasciando molte vittime. Cacciari sa perfettamente tutto ciò, e sa che il Covid si trasmette soltanto per contagio umano aereo e che fin quando non ci saranno farmaci in grado di guarire i malati gravi, la vaccinazione è l’unico strumento. L’Aids, ricordiamolo, è stato vinto con farmaci curanti perché ancora non esiste un vaccino. Anzi, secondo il premio Nobel Montagnier che ha per primo decifrato l’RNA dei retrovirus HIV, l’attuale Covid-19 sarebbe l’esito sfortunato di un tentativo cinese di ottenere finalmente un vaccino anti Aids, e lo dice per aver trovato inspiegabili sequenze di quel virus sulla schiena del Covid-19, che non si capisce come possano esserci arrivate se non per mano umana. Quindi, a dirla in tutta onestà, la separazione in nome del bene comune di coloro che possono certificare di non minacciare la salute degli altri da coloro che per motivi diversi non sono ancora vaccinati, e dunque potenzialmente pericolosi, fa parte di una branca medica che si chiama profilassi. Mai sentito parlare? Così come si fa con tutte le altre malattie contagiose e potenzialmente letali, sono segregati coloro che trasmettono malattie rare e tropicali, trattenuti in ospedale finché non cessa la loro pericolosità. Quando si parte per l’Africa ci si sottopone a una batteria di vaccinazioni pesanti e intrusive che tuttavia tutti fanno se vogliono salvare la pelle propria e dei lor familiari. Un mio carissimo amico negli anni Settanta non volle sottoporsi alla profilassi antimalarica e tornò malato di una malattia lenta e non curabile: morì soffocato dalla tristezza e dalla rabbia per non aver fatto ciò che andava fatto quando andava fatto. Non è neanche il caso di ripetere l’abusata ma ineccepibile regola secondo cui in una democrazia la libertà di ciascuno confina con le libertà altrui che non è autorizzato a sopraffare in nome della propria libertà. Quando fu finalmente vietato fumare (anche io sono un ex fumatore e mi porto dietro un asma feroce) ci fu una class-action in nome della libertà di fumo e ci vollero molti anni per far assorbire come giusta e democratica una norma limitativa delle libertà in nome di un semplice diritto personale alla propria sopravvivenza e salute: io non voglio respirare il tuo dannato fumo perché ho diritto a non ingerire il tuo dannato fumo e non ti devo altre spiegazioni. Il crollo del cancro polmonare è su tutte le statistiche, e oggi nei Pasi civili è guardato come un pericoloso e primitivo egoista chi pretende di far valere il suo diritto a fumare. Nessun diritto. Da un uomo come Cacciari uno si aspetterebbe un atto d’accusa contro il sistema televisivo pubblico per non aver fatto niente per informare sullo stato delle cose. Invece, tutte le televisioni si divertono a fare alti ascolti creando risse da pollaio fra saccenti sedicenti e speculatori politici che vedono la possibilità di saccheggiare elettoralmente. Perché sostengo che dietro la posizione di Cacciari ci siano residui hegeliani, non importa se di destra o di sinistra? Lo penso perché l’Italia è stata “esentata dal conoscere” persino da Benedetto Croce (che paralizzò la carriera di Giuseppe Peano, il nostro più grande matematico) per istintivo disprezzo verso la scienza empirica, di cui tutta la Medicina è parte. Nella scienza empirica si procede secondo ipotesi, verifiche, errori, correzione di errori. Galileo introdusse come discriminante la possibilità di ripetere un esperimento nelle condizioni già descritte e ottenere lo stesso risultato già raggiunto. Ma nelle guerre non sempre è possibile, per mancanza di tempo, e i margini di errore e di aggiustamento dovrebbero far parte del bagaglio culturale anche degli intellettuali che trovano più appassionante il giudizio tranchant che consente a qualche manigoldo, ora di destra ora di sinistra, di urlare: “L’ha detto anche Cacciari!”. Cacciari ha qualcosa da ridire sull’uso marittimo della quarantena e della bandiera gialla? Dunque, di che cosa parlano questi esimi signori? E perché mai devono essere considerati filosofi ventiquattro ore al giorno e dunque ai vertici di una casta di intoccabili perché mentalmente superiori? È un abuso. Io considero me stesso e alcuni miei amici eccellenti pensatori; o anche eccellenti ignoranti, secondo i casi. Si rende conto Cacciari che un’uscita come la sua rafforza pregiudizi tribali contro la scienza empirica e democratica – non è un caso che l’empirismo sia inglese come anche la democrazia. Fumatori e no-vax o anche coloro (ma dove stanno?) che rifiutano di portare con sé un semplice certificato medico utile alla salute pubblica, si sentono discriminati? Hanno ragione. Devono essere discriminati nel senso che deve essere loro ridotto il contatto con coloro che potrebbero danneggiare. E tutto ciò usando norme che cambiano e variano, si correggono, si perfezionano, talvolta si contraddicono perché così è il virus, così è questo dannato Pianeta tanto adorato dai terrapiattisti ecologici e così sarà attraverso tentativi, errori e correzioni di errori – fino alla fine dell’emergenza che finora nell’indifferenza di giudici e satrapi dell’etica ha ammazzato cento volte più di quanti ne abbia ammazzati il terrorismo e la mafia. Il più dannoso dei luoghi comuni dei nostri tempi è il pasticciato Elogio del Dubbio. Come se dubitare fosse un eccellente risultato anziché una necessità limitante. Anche questo vizioso elogio del dubbio fa parte del pacchetto di fregature filosofiche che parteggiano di fatto col virus. La scienza – empirica e induttiva, non matematica e deduttiva – dubita soltanto perché e fin tanto che ricerca. Quando ha trovato ciò che cercavo, fine del dubbio, ecco il farmaco, l’astronave, la fisica quantistica corredata del suo famoso Gatto di Schroedinger che è un gatto soltanto concettuale di cui devi dire che in certi casi è sia morto che vivo, ma senza dubbi: è – nell’esperimento – sia morto che vivo. E così la filosofia ai nostri tempi, benché oggi sembri più morta che viva.

Paolo Guzzanti. Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.

Alessandro Rico per “La Verità” il 29 luglio 2021. L'esplosivo intervento sul green pass, che produce una «discriminazione» da «regime dispotico», firmato insieme a Giorgio Agamben sul sito dell'Istituto italiano per gli studi filosofici, è costato a Massimo Cacciari una valanga di contestazioni. I detrattori sono arrivati a squalificarlo, praticamente, come un complottista rimbecillito e No vax. Ieri, allora, il professore si è armato di nuovo di carta e penna. Ed è tornato a difendere la sua opposizione al lasciapassare per i vaccinati in un lungo e densissimo articolo sulla Stampa. 

Professor Cacciari, nel pezzo lei ha osservato che il green pass rientra nella logica dell'«emergenza permanente», perseguita all'interno della società del «sorvegliare e punire». Allora, la pandemia non c'entra niente?

«C'entra anche la pandemia, come c'entrava l'immigrazione, come c'entrava il terrorismo e come c'entravano tutte le emergenze, che sono senza dubbio fenomeni reali».

Ma le emergenze vengono usate per introdurre pervasivi dispositivi di controllo?

«Inconsapevolmente. Non credo che ci sia un piano».

E dove starebbe il problema?

«Io richiamo l'attenzione su una tendenza che potrebbe diventare molto pericolosa, proprio perché è percorsa in modo inconsapevole». 

Si spieghi.

«La nostra situazione è complicatissima, la nostra è un'epoca caratterizzata da grandi trasformazioni. Però, il fatto che esse vengano affrontate, anziché con strategie politiche, con lo stato d'emergenza perenne, desta in me molta preoccupazione. Ma temo di essere tra i pochi che la avvertono Pare che siano tutti contenti, che vada a tutti bene così».

Lei e Giorgio Agamben avete sottolineato che la Cina si sta predisponendo a mantenere questi strumenti di sorveglianza, anche a pandemia finita.

«Hanno detto che, con ogni probabilità, dovranno essere mantenuti».

Rischiamo che succeda anche da noi?

«Ma è evidente! Fintantoché le emergenze vengono affrontate inseguendole, è chiaro che non c'è capacità di prevedere, di prevenire e, quindi, la strategia per uscirne è sempre quanto mai incerta. Quando potrà finire l'emergenza? Quali saranno i dati in base ai quali ci sarà permesso di vivere? Non si sa». 

In parole povere, non è chiara la soglia tra emergenza e normalità.

«Non è chiaro assolutamente niente». 

In che senso - lo affermate sempre lei e Agamben - il vaccino potrebbe diventare un «simbolo politico-religioso»?

«Be', se viene usato con scopi discriminatori, è chiaro che, per qualcuno - altri, mi auguro, continueranno a usare la ragione - il fatto che una persona non sia vaccinata potrà rappresentare un elemento distintivo, che assume un senso ideologico, politico e, quindi, discriminatorio. E questo, in democrazia, è pericolosissimo». 

Perché?

«Perché sono le tattiche che hanno sempre usato gli Stati autoritari per realizzare i loro disegni». 

E allora, vede che c'è un disegno autoritario?

«No. Il pericolo attuale, semmai, è quello dell'inconsapevolezza». 

Stiamo scivolando verso l'autoritarismo senza accorgercene? Non c'è nessun piano?

«No, non c'è nessun piano. E mi viene da aggiungere: purtroppo».

È peggio

«Dal punto di vista della qualità del ceto politico, direi di sì». 

Lei denuncia un conflitto tra i diktat emessi nel nome della scienza e i limiti imposti dal diritto.

«Mi sono limitato a rivolgere una domanda a chi se ne intende. L'imposizione di fatto di un trattamento sanitario, a prescindere dalle condizioni del soggetto, non mi sembra proprio in linea con la Costituzione. Sembrava così anche al Parlamento europeo». 

Allude al Regolamento sul green pass, che proibisce di discriminare i non vaccinati?

«Sì. E sembrava così anche allo stesso ministero della Salute, a vedere le prime direttive che ha emanato». 

Il Viminale si è scagliato contro le manifestazioni anti green pass: «Non erano autorizzate».

«Ah no? E la manifestazione di massa con gli azzurri in trionfo?». 

Quel che è interessante è la motivazione proposta da Luciana Lamorgese: permesso negato, perché sarebbero stati branditi «simboli del passato», come la stella di David.

«Ovviamente, la stella gialla è una totale idiozia».

È di cattivo gusto, ma il fatto che una manifestazione non venga autorizzata perché si usano simboli e slogan disturbanti, non è un altro segno di questo scivolamento verso l'autoritarismo?

«Be', ripeto: dobbiamo renderci conto che, in una situazione di crisi che permane, ormai, da quasi una generazione e che viene affrontata con questi sistemi occasionali, a colpi di norme contraddittorie e soltanto con una logica penalistica, la deriva è molto pericolosa». 

Quindi?

«Le persone che hanno un minimo di cultura storica e avvedutezza dovrebbero comprenderlo. Dopodiché, è chiaro che non siamo assolutamente in un regime autoritario. Ma di buone intenzioni, sono lastricate le strade di tutti gli inferni». 

Che si può fare?

«Ho scritto decine di articoli sull'Espresso, sulla Stampa, che si concludevano con questo invito: "Pensiamoci". Il lockdown? Bene, ma pensiamoci. Ci limitano le libertà? Pensiamoci. Si ricorda che una ventina d'anni fa c'è stato Schengen?». 

La libera circolazione dei cittadini.

«Ecco. Veda un po': è successo qualcosa di così drammatico e traumatico, tipo una terza guerra mondiale, per cui dobbiamo trovarci in questa situazione dopo 20 anni? Le cose che ci sono successe non erano affrontabili in modo più razionale e con misure meno pericolose per i diritti individuali e la libertà di ciascuno? Io non penso».

Che pensa, invece?

«Che un ceto politico, preso alla sprovvista da questo diluvio di crisi, le abbia gestite in modo occasionale, senza strategia e anche senza l'autorevolezza necessaria». 

Possiamo svolgere il passaggio successivo? Essendo incapace di governare le crisi, il ceto politico si aggrappa al controllo.

«È proprio quello che fanno».

A manifestare contro il green pass ci sono solo No vax, fascisti, nazisti? O in quelle piazze c'è qualcosa di più?

«Ci saranno stati pure Casapound e i fascisti, che vuole che ne sappia. Sono 20 anni che non vado a una manifestazione. Ma da quanto mi risulta da lettere e email che ricevo, ci sono molte persone che non hanno niente a che fare con Casapound e con altre fazioni politiche e che hanno le palle piene». 

Si può essere contro il green pass senza essere dei No vax, no?

«È esattamente quello che ho scritto ieri sulla Stampa. Vuole che io sia contro i vaccini? Le sette religiose sono contro i vaccini. Io sono contro il green pass!». 

C'è chi le ha dato pure del No vax. E Paolo Guzzanti, sul Riformista, ha firmato un articolo intitolato: «Ehi, Cacciari, ma Hegel ti ha dato alla testa?».

«Chi?». 

Paolo Guzzanti.

«Ah. Eh vabbe', poveretto. Io e Giorgio Agamben siamo i due filosofi italiani più importanti e più tradotti al mondo. Basta così. Vuole che ci misuriamo con Paolo Guzzanti?».

Sulla Stampa, lei ricordava che, a ben vedere, l'Italia è piuttosto avanti con la campagna vaccinale.

«Esatto». 

Qualcuno sostiene che, poiché il governo Draghi, come il governo Conte, ha fatto ben poco su scuola e trasporti, abbia trovato un diversivo.

«Non credo. Per me, hanno paura di un'altra ondata di Covid, non avendo altra strategia che non sia quella dei vaccini. Perché ci sono tante cose che voi giornalisti non riprendete, eh». 

Di che parla?

«Se si smanetta un po' su Internet, si scoprono parecchie associazioni mediche che promuovono protocolli per le cure precoci e spiegano che hanno guarito molti malati senza bisogno dei vaccini».

È l'unico rimprovero che non può rivolerci: La Verità è stato uno dei pochi giornali ad aver sempre scritto dei protocolli terapeutici.

«E allora bravi! Il punto è che ci sono queste voci, ma il governo, fin dall'inizio, non ha voluto adottare altra strategia che quella del vaccino. Ma a questo punto, il vaccino dovrebbe già dare alcuni risultati, no? Tali da permetterci di vivere con un po' più di tranquillità, no?». 

L'ha delusa l'approccio di Mario Draghi?

«Non mi aspettavo niente di diverso. Non sono temi che Draghi frequenta e, probabilmente, sono problemi che nemmeno gli interessano granché. È lì per altri motivi, per il resto ha seguito l'andazzo del precedente governo. Già la conferma del ministro la diceva lunga». 

Il fatto che non abbia sostituito Roberto Speranza, faceva capire che non avrebbe cambiato registro?

«Ma certamente».

Sul green pass, tuttavia, Draghi si è esposto molto. In conferenza stampa ha giurato che il green pass offre la garanzia di trovarsi tra persone che non sono contagiose. Il che, in termini scientifici, è falso.

«Certo». 

E lui stesso ha preteso che i giornalisti in arrivo a Palazzo Chigi presentassero un tampone negativo, anche se avevano completato il ciclo vaccinale. È strano se poi gli italiani si sentono presi in giro?

«Appunto, appunto. La questione è questa: con il vaccino, è finita o non è finita?».

Piergiorgio Odifreddi per “la Stampa” l'1 agosto 2021. Negli scorsi giorni la cronaca ha accomunato due intellettuali di rilievo del nostro Paese, Cacciari e Calasso: il primo, per un suo improvvido intervento sul supposto totalitarismo delle misure anti-Covid, e il secondo, per la sua inaspettata morte, in coincidenza con la pubblicazione dei due ultimi libri di memorie. Negli scorsi giorni la cronaca ha accomunato due intellettuali di rilievo del nostro Paese, il filosofo Massimo Cacciari e lo scrittore Roberto Calasso: il primo, per un suo improvvido intervento sul supposto totalitarismo delle misure anti-Covid, e il secondo, per la sua inaspettata morte, in coincidenza con la pubblicazione dei suoi due ultimi libri di memorie. Benché casuale nei fatti, il collegamento tra Cacciari e Calasso è in realtà causale dal punto di vista culturale, e non solo perché il secondo è l'editore di una dozzina di libri del primo. Ad esempio, le vite di Cacciari e della casa editrice di Calasso affondano entrambe le loro origini nel pensiero di Nietzsche. Il primo ha dichiarato a un'intervistatrice del Corriere della Sera, che gli aveva domandato come mai non si fosse sposato e non avesse figli, che "bisogna aver letto Nietzsche per capire cosa significa dire di sì o essere padre" (whatever it means, commenterebbe il principe Carlo). Il secondo ha invece fondato, insieme a Bobi Bazlen, la casa editrice Adelphi proprio per pubblicare l'opera omnia di Nietzsche, rifiutata da Einaudi, e poi ha continuato a pubblicare "solo libri che ai due piacevano moltissimo". Ora, non c'è bisogno di aver letto l'opera omnia di Nietzsche per sapere che uno dei suoi detti più memorabili e influenti per una certa cultura, che è appunto quella di Cacciari e Calasso, è: "Non ci sono fatti, solo interpretazioni". Detto altrimenti, la scienza non conta nulla, perché si basa appunto su fatti che non ci sarebbero, e conta solo l'umanesimo, che fornisce le interpretazioni chiamate "valori". In particolare, le opere che i due intellettuali hanno scritto individualmente, e quelle che il secondo ha pubblicato editorialmente, costituiscono le "icone della legge" della religione antiscientista "alta" che impregna il mondo culturale italiano, e poi percola fino all'antiscientismo becero della massa di coloro che di libri non ne leggono nessuno, meno che mai quelli dell'Adelphi, ma trovano in Cacciari e Calasso la copertura per le loro superstizioni. Vedere, a riprova, l'uso che delle recenti uscite di Cacciari che è stato fatto sui social negazionisti del virus. Sia chiaro che non è qui in gioco la levatura culturale di Cacciari e Calasso. Personalmente, io rimango ammirato sia dalla biblioteca del primo, che lui stesso ha mostrato in un episodio del programma La banda del Book di Rai5, facilmente reperibile su YouTube, sia dal catalogo dell'Adelphi, al quale io stesso ho attinto a mani basse nel corso degli anni. Il problema, a mio parere, non sta nel leggere i libri che Cacciari e Calasso hanno scritto o pubblicato, ma nel leggere solo quelli di quel genere, come fa una buona parte degli umanisti: cioè, nel credere che oltre all'umanesimo non ci sia nient' altro, o al massimo ci sia soltanto quella caricatura della scienza che alimenta una buona parte del (peraltro ristrettissimo) catalogo scientifico dell'Adelphi. L'astuzia editoriale di Calasso, che "infiniti addusse danni" alla cultura italiana, è stata di andare a cercare con il lanternino opere scientifiche borderline, che ben si sposassero con quelle dei filosofi e dei pensatori esoterici o new age che invece costituiscono il nocciolo duro delle pubblicazioni adelphiane. E così, mettendo fianco a fianco di ciarlatani come René Guénon o Elémire Zolla degli scienziati in libera uscita come il Pauli di Psiche e natura, il Capra del Tao della fisica, i Barrow e Tipler del Principio antropico o lo Zellini di La matematica degli dèi, l'Adelphi è riuscita a far passare l'immagine di una scienza con fondamenti metafisici traballanti e orientaleggianti, in perfetta sintonia con il pensiero indiano frequentato e praticato da Calasso stesso. Nella citata intervista televisiva Cacciari diceva di aver letto cinquanta volte L'uomo senza qualità di Musil. Ecco, se per un ingegnere l'Austria di un secolo fa era una Cacania, per le iniziali di Kaiser e König di Francesco Giuseppe, per uno scienziato anche l'Italia di oggi è una Cacania, per le iniziali di Cacciari e Calasso. Quest' ultimo giocò lui stesso più volte sulla propria iniziale nei titoli dei suoi libri, a partire da Ka, ma l'Italia rimane seriamente una Cacania culturale. E gli effetti si vedono e si sentono, purtroppo.

Il dibattito dopo le parole di Cacciari. Liberare la scienza dalla politica, è questa l’urgenza. Astolfo Di Amato su Il Riformista l'1 Agosto 2021. Agamben e Cacciari. Due filosofi, che certamente non possono essere qualificati come pericolosi estremisti di sinistra o, meno ancora, di destra. Sul prestigioso sito dell’Istituto degli studi filosofici di Napoli hanno pubblicato un lungo articolo dal titolo “A proposito del decreto sul green pass”. L’articolo è estremamente critico in ordine alla possibile discriminazione tra i cittadini, derivante dalla introduzione del green pass. Ecco alcuni passaggi particolarmente significativi: «La discriminazione di una categoria di persone, che diventano automaticamente cittadini di serie B, è di per sé un fatto gravissimo, le cui conseguenze possono essere drammatiche per la vita democratica. Lo si sta affrontando, con il cosiddetto green pass, con inconsapevole leggerezza…Paradossalmente, quelli “abilitati” dal green pass più ancora dei non vaccinati (che una propaganda di regime vorrebbe far passare per “nemici della scienza” e magari fautori di pratiche magiche), dal momento che tutti i loro movimenti verrebbero controllati e mai si potrebbe venire a sapere come e da chi. Il bisogno di discriminare è antico come la società, e certamente era già presente anche nella nostra, ma il renderlo oggi legge è qualcosa che la coscienza democratica non può accettare e contro cui deve subito reagire». Per giustificare la loro posizione i due filosofi ricordano anche che «le stesse case farmaceutiche hanno ufficialmente dichiarato che non è possibile prevedere i danni a lungo periodo del vaccino, non avendo avuto il tempo di effettuare tutti i test di genotossicità e di cancerogenicità». Questa presa di posizione da parte di due pensatori, tra i più autorevoli del nostro tempo, i cui scritti danno conto di una militanza sinceramente democratica, che ha animato tutto il loro percorso di studiosi, non può non costringere ad una riflessione, che deve andare anche al di là del tema contingente della pandemia da Covid 19. La prima questione che viene in evidenza è se sia legittima ed utile la politicizzazione della scienza, che ha caratterizzato il dibattito su questo tema, con ricadute che hanno del grottesco. Basti pensare che l’ipotesi che il virus sia sfuggito dal laboratorio di Wuhan era una bestemmia quando la pronunciava Trump ed è diventata una questione meritevole di una seria indagine quando ha cominciato a formularla Biden. Al tempo stesso, se si guarda al dibattito nazionale, si deve constatare che il discrimine tra le tesi in campo non è affatto costituito dalla serietà o no degli argomenti scientifici, ma dall’adesione ai partiti di destra o di sinistra. È assolutamente prevedibile su un argomento quale quello della vaccinazione, che in quanto scientifico non dovrebbe essere condizionato dalla ideologia, la posizione di un qualsiasi esponente della Lega o del Partito Democratico. In questo, anche la posizione dei cd. scienziati non aiuta, in quanto si avverte fortissima l’incidenza sul loro pensiero della appartenenza. Del resto, non è priva di rilievo la circostanza che abbiano un ruolo di primo piano gli epidemiologi, per i quali è sempre forte la tentazione di far combaciare i numeri con le proprie ideologie. Chi non ricorda la statistica del pollo di Trilussa? La prima questione, allora, che il tempo presente porta alla attenzione di tutti è la necessità e l’urgenza di liberare la scienza dalla politica. La scienza, come ha insegnato Popper, trova nella falsificabilità il criterio che la distingue dalla stregoneria. La sostanza della falsificabilità sta nel dubbio e nella conseguente esigenza di una costante verifica sperimentale. Tutto il contrario, perciò, delle certezze dispensate dalla politica, pretesamente basate sulla scienza. La vaccinazione contro il Covid 19 pone, in questa prospettiva, un problema di fondo. Essa riguarda gli eventi avversi, per i quali occorre fare una distinzione. Da un lato vi sono gli eventi avversi che hanno fatto seguito pressoché immediato alla inoculazione del vaccino e dall’altro gli eventi avversi, che potrebbero manifestarsi dopo molto tempo. Il rischio dei primi è misurabile, alla stregua dei risultati delle campagne vaccinali svoltesi nei vari paesi, e dunque, rispetto ad essi vi sono tutti gli elementi di giudizio occorrenti per valutare l’opportunità di introdurre una differenza di trattamento tra chi è vaccinato e chi no o, addirittura, un obbligo di vaccinazione. Il rischio dei secondi è, viceversa, non calcolabile. La storia umana è piena di esempi di pratiche o di sostanze utilizzate ritenendo che fossero senza rischi e che si sono poi rivelate letali. Si pensi all’amianto, oggi bandito da qualsiasi uso, ma che a lungo è stato ritenuto un materiale miracoloso, di cui il progresso imponeva un uso sempre più diffuso. Nella prospettiva indicata da ultimo, e cioè quella delle conseguenze non immediate, il tema delle discriminazioni fondate sull’avvenuta vaccinazione o addirittura dell’introduzione di un obbligo vaccinale non può beneficiare di alcuna certezza. E sta proprio qui l’errore di quella politica che, viceversa, ritiene di poter dare messaggi semplificati invocando certezze scientifiche che non esistono. Con la conseguenza che non solo la politica, ma anche la scienza perde credibilità agli occhi dei cittadini, che si trovano a dover prendere posizione su pretese certezze che, siccome contrapposte, si smentiscono a vicenda. Molto più opportuno, e democratico, sarebbe partire dalle poche certezze effettivamente esistenti dando ai dubbi lo spazio, che hanno nella realtà. Una certezza, tristissima, sono certamente le molte migliaia di morti cagionati dalla pandemia. Da essa deriva l’ulteriore certezza che, senza strumenti di difesa, la mortalità continuerebbe a colpire inesorabilmente moltissime persone. Di fronte a questo rischio vale la pena affidarsi a vaccini, di cui sono ignoti gli effetti a lungo termine? Probabilmente si, attesa l’enormità del rischio attuale. Ma è con questa chiarezza e con questa assunzione di responsabilità che la soluzione deve essere prospettata ai cittadini, e non con la “leggerezza” che giustamente mettono in evidenza Agamben e Cacciari. Proprio perché cittadini e non sudditi. E solo se vi è questa chiarezza, la soluzione è accompagnata dagli anticorpi idonei a combattere quel bisogno di discriminare, che, come denunciano Cacciari e Agamben, è antico come la società. La consapevolezza della assoluta straordinarietà della situazione e della soluzione è indispensabile affinché non si generi assuefazione alla discriminazione. Astolfo Di Amato

Bruno Vespa si schiera con Flavio Briatore: "Se c'è il Green pass, mi spiegate perché?" Libero Quotidiano il 24 luglio 2021. Anche Bruno Vespa la pensa come Flavio Briatore. Se con il green pass si potrà di fatto tornare a una vita normale - andare a teatro, ai concerti, allo stadio eccetera - perché le discoteche devono restare chiuse, si chiede il giornalista nel suo editoriale su Il Giorno. "Mi fa piacere, da vecchio sostenitore delle vaccinazioni - tutte le vaccinazioni - che da ieri Matteo Salvini si sia unito ai quaranta milioni di italiani che hanno fatto la puntura. Speriamo che gesti come questo servano a convincere a presentarsi al medico almeno i due milioni di ultrasessantenni che mancano all'appello e che corrono rischi seri se vengono contagiati. E tanti giovani che hanno ripreso uno stile di vita incompatibile con elementari norme di prudenza". Quindi Vespa ricorda le parole di Mario Draghi: "L'appello a non vaccinarsi è un appello a morire", frase "certamente molto forte, ma è un fatto che la quasi totalità dei morti non è vaccinata". In ogni caso "le centinaia di migliaia di prenotazioni che in tutta Italia hanno fatto seguito alle parole di Draghi sono un altro segnale della credibilità del primo ministro. Altre ondate di prenotazioni arriveranno alla vigilia del campionato di calcio, visto che molta gente - giovani e non solo - farebbero qualunque sacrificio pur di non perdersi una partita". Conclude dunque Vespa: "L'ampiezza delle riaperture per le persone munite del pass ridimensiona molto le proteste per la seccatura dei controlli. Non si capisce peraltro quale impegno ulteriore si chieda alla persona che ci accoglie all'ingresso del ristorante con il misuratore della temperatura se al tempo stesso noi gli mostriamo il nostro codice vaccinale. Una incongruenza tuttavia c'è", osserva il giornalista: "il divieto di ballare nei locali. Ricordo la foto di due famosi medici milanesi che si abbracciarono e baciarono dopo essersi vaccinati. Perché allora non possono stringersi a suon di musica due persone munite di certificato?". E' un'assurdità. 

Tommaso Labate per "il Corriere della Sera"  il 27 luglio 2021. «Ma ai ragazzini che rischiano di rimanere fuori dal ristorante, magari con i genitori e i nonni che mangiano dentro perché loro hanno il green pass e i figli e i nipoti no, a questi non ci pensa nessuno?», si chiede Claudio Borghi, evidentemente immaginando di contrastare un fantomatico modello di famiglia ristorantecentrica, in cui si cena e pranza dentro come vogliono genitori e nonni, e pazienza se i figli non vaccinati rimangono fuori al freddo o al caldo. «Ecco, in piazza ci vado a titolo personale, succede spesso tra noi che qualcuno si presenti in piazza difendendo una posizione individuale, no? Ci vado per difendere non tanto la libertà; quanto la possibilità di vaccinarsi. Possibilità di vaccino, non obbligo», insiste nell'elencare il secondo punto - il primo erano i ragazzini esclusi dalle sale interne dei ristoranti - che l'ha spinto ad aderire alla manifestazione contro il governo Draghi che sarà decisamente irrobustita dalla presenza di un partito della maggioranza che sostiene il governo Draghi, e cioè la Lega. Lui, Borghi, è uno. L'ex sottosegretario del governo Conte, Armando Siri, è un altro, che tra l'altro sta dando una mano importante agli organizzatori. Il senatore Simone Pillon, un altro ancora. E la lista di leghisti che si presenteranno domani sera alle 20 in piazza del Popolo, a Roma, per protestare contro l'accelerazione sul green pass impressa dal presidente del Consiglio in persona, rischia di allungarsi. Esercizio antico a sinistra, quando le manifestazioni dei sindacati contro i governi guidati da Romano Prodi raccoglievano adesioni anche tra leader e parlamentari che li sostenevano, il manifestare contro se stessi inizia a far breccia anche nel cuore della destra. Anche se, osserva Borghi, «la mia adesione è a titolo personale»; anche se, aggiunge Pillon, «non vedo perché non dovrei aderire, d'altronde in coerenza con la mia posizione contro il green pass avevo già votato contro l'obbligo vaccinale per i medici e il personale sanitario». E comunque, sempre Pillon, «questa cosa vorrei che la scrivesse: da quando sono nella Lega, apprezzo la grande libertà di coscienza che con la guida di Salvini viene data ai parlamentari». E se all'ultimo secondo il leader chiedesse a voi parlamentari di evitare la piazza? «Io sono uno pronto sempre al dialogo e al confronto. Di fronte a un'eventualità del genere, parlo, mi confronto, spiego le mie ragioni e ascolto quelle degli altri», scandisce il senatore bresciano. Di mare e di terra, come quegli antipasti serviti dai ristoratori che vogliono soddisfare in un colpo solo i palati dell'intera clientela, accogliendo in cuor loro il rischio di non accontentare nessuno, la posizione critica della Lega sull'uso del green pass - voluto dal governo sostenuto dalla Lega - si arricchisce con la manifestazione di domani di una nuova sfumatura. Critici e obtorto collo favorevoli al provvedimento i vertici del partito, che non sognano nemmeno di strappare in Aula su un tema così centrale; critici a oltranza alcuni pezzi del gruppo parlamentare, che si spingeranno fuori dal Palazzo e dentro la piazza, abbracciando slogan come «liberi di scegliere» e cori da stadio ritmando le sillabe «no-green-pass». Armando Siri solleva la Carta del '48: «È una questione di libertà. La Costituzione non può essere buona a seconda delle stagioni e solo nelle parti che piacciono, ignorando le altre. È indecente che l'uso e l'abuso del green pass finisca per non garantire a tutti i cittadini libertà di movimento e accesso». La loro libertà di movimento per raggiungere la prima loro piazza anti Draghi, per adesso, i leghisti ce l'hanno. Sempre che questo «per adesso» duri fino a domani sera alle venti.

Francesco Rigatelli per "la Stampa" il 9 agosto 2021. Il boom di vaccinazioni e di Green Pass non è per tutti. Oltre agli indecisi e ai no vax esistono anche gli esentati. Non c'è una stima esatta di questa categoria, ma sarebbero meno di 8 milioni di persone e potrebbero ricevere un certificato valido per ora fino al 30 settembre da esibire in caso di controllo. Bisogna considerare che oltre la metà di questi italiani sono i bambini fino a 12 anni, per i quali ancora per qualche mese non arriverà l'autorizzazione dall'Ema per la vaccinazione. Per gli altri motivi di esenzione è uscita una circolare del ministero della Salute, firmata dal direttore generale della Prevenzione, l'infettivologo Giovanni Rezza, che fa alcuni esempi. Tanto per cominciare è esentato chi ha avuto una grave reazione allergica dopo la prima dose di vaccino o è allergico a una componente del vaccino. Questa rara situazione «si verifica quasi sempre entro 30 minuti dalla vaccinazione - spiega Rezza -, anche se sono imputabili al vaccino i casi di anafilassi insorti entro le 24 ore». In caso di reazione allergica grave alla prima dose «si può considerare la possibilità di utilizzare un altro vaccino per completare l'immunizzazione, tuttavia, vista la possibilità di reazioni incrociate tra componenti di vaccini diversi è opportuno effettuare una consulenza allergologica e una valutazione rischio-beneficio individuale». Rari e risolti in breve sono stati pure i casi di miocardite nei vaccinati con Pfizer e Moderna, ma per loro «la decisione di somministrare la seconda dose deve tenere conto delle condizioni cliniche dell'individuo e deve essere presa dopo consulenza cardiologica e un'attenta valutazione del rischio-beneficio». Altra condizione esentabile è quella della gravidanza, che riguarda circa 500mila donne. Inizialmente la vaccinazione per questa categoria era sconsigliata in via prudenziale, poi sia la Società italiana di ginecologia sia importanti immunologi come Sergio Abrignani del Cts si sono pronunciati a favore senza problemi. Ora il ministero della Salute, pur ribadendo che non è controindicata, offre la possibilità di esenzione «qualora, dopo valutazione medica, si decida di rimandare la vaccinazione». L'allattamento invece non è una condizione di esenzione. Vera rarità è poi la sindrome di Guillain-Barré, che è stata segnalata in pochi casi dopo la vaccinazione con Astrazeneca. Si tratta di una malattia che colpisce il sistema nervoso periferico e i muscoli respiratori e qualora si manifestasse entro sei settimane dalla prima dose, senza altra causa riconducibile, si può evitare la seconda dose o cambiare vaccino. Ci sono poi i 900 volontari del vaccino Reithera, che ha fermato la sperimentazione a maggio: «Con particolare riguardo a coloro che hanno ricevuto una sola dose, e in attesa delle indicazioni relative alla loro vaccinazione con uno dei vaccini approvati da Ema, potrà essere rilasciato un certificato di esenzione temporanea». Nonché i cittadini di San Marino, circa 35mila persone, esentati fino al 15 ottobre per aver ricevuto lo Sputnik. Un altro modo per prendere tempo in attesa che l'Ema prima o poi prenda una decisione sul vaccino russo. Questi finora i casi esemplari di esenzione, ma per il resto si fa riferimento al ruolo del medico di base e del pediatra. I certificati infatti vengono rilasciati da loro oltre che dai medici vaccinatori. Un'operazione che va effettuata avendo cura di archiviare la documentazione clinica relativa al paziente anche digitalmente, attraverso i servizi informativi vaccinali regionali con modalità definite dalle singole regioni. Insomma, la vaccinazione è raccomandata a tutti o quasi, ma chi avesse particolari patologie pregresse, timori motivati legati all'età o a qualche reale fragilità può chiedere al proprio medico il titolo di esentato.

Benedetta Moro per il "Corriere della Sera" il 4 agosto 2021.  In marzo aveva deciso con convinzione di partecipare come volontario alla sperimentazione avvenuta anche a Trieste, e conclusa a giugno, del primo vaccino italiano anti Covid: quello dell'azienda biotech laziale ReiThera, basato su un virus del raffreddore del gorilla. La scelta di cinque mesi fa però comporta ora un disagio non indifferente per Riccardo Illy, dell'omonima famiglia triestina del caffè: non può ottenere il «green pass». L'ex sindaco di Trieste e governatore della Regione Friuli-Venezia Giulia, presidente del Polo del Gusto - che raduna diversi marchi, tra cui Domori (cioccolato), Mastrojanni (vini) e la francese Dammann (tè) - si trova nella stessa situazione degli oltre 900 volontari italiani, tra cui lo scrittore Gianrico Carofiglio, che hanno aderito all'iniziativa. E con lui anche la moglie, Rossana Bettini, scrittrice e presidente dell'Istituto Internazionale Chocolier di Brescia, che sottolinea: «Credo ci sia un netto problema geopolitico, perché continuano a imperversare Pfizer e Moderna e si continua a osteggiare ReiThera». L'impasse burocratica è dovuta a una circolare del ministero della Salute, che concede la carta verde solo a chi si è immunizzato con i quattro vaccini riconosciuti dall'Ema: Pfizer-BioNtech, Moderna, AstraZeneca e Johnson & Johnson. 

Riccardo Illy, quando ha scoperto che non può ricevere il «green pass»?

«Quando di recente mia moglie e io lo abbiamo richiesto. La cosa strana è che al contempo mi è arrivata la lettera dalla Regione che m' invitava a vaccinarmi».

Prima nessuno le aveva detto nulla?

 «No». 

 Qual è stata la vostra reazione?

«Sapevamo che fare da "cavie" avrebbe potuto comportare determinate situazioni, ma siamo delusi e avviliti per l'atteggiamento del governo nei confronti dell'azienda italiana ReiThera: ha sviluppato un vaccino che funziona e con poche controindicazioni ma non riesce a ottenere finanziamenti pubblici. Sottolineo che il vaccino costerà molto meno di Pfizer e Moderna, di cui è stato appena annunciato un aumento di prezzo. E penso che ora ciascun Paese potrebbe acquistarlo senza la mediazione dell'Ue. C'è inoltre un paradosso». 

Quale?

«A chi ha avuto il Covid o è stato inoculato un vaccino "ufficiale" viene dato il "green pass", mentre a noi, che comunque abbiamo gli anticorpi, no». 

In che modo questo limita la sua vita quotidiana?

«Per le attività ludiche posso temporaneamente attendere. Ma per il lavoro no. Devo andare all'estero, dove ho delle aziende. Sarà un problema anche andare al ristorante per lavoro».

Perché avete deciso di fare il vaccino sperimentale?

«Volevamo fare qualcosa di buono, contribuire allo sviluppo economico del Paese, perché crediamo nel Made in Italy. Inoltre in questo modo ottenere un vaccino italiano sarebbe stato più facile e meno costoso». 

Quali soluzioni adotterete?

«Nel breve termine i tamponi, con la difficoltà che comunque in alcuni Paesi non bastano. E poi, se la situazione non si risolve entro agosto, dovremo sottoporci a un vaccino riconosciuto dall'Ema, peraltro in doppia dose. Ma anche qui c'è un paradosso». 

Ovvero?

«Chi ha avuto l'infezione deve fare una sola dose, noi due. Scriveremo il libro dei paradossi».

Marco Gasperetti per il “Corriere della Sera” il 25 luglio 2021. Virginia è la ragazza più vaccinata d'Italia. Ma non è un record positivo. Il 9 maggio all'ospedale Noa di Massa le hanno iniettato per errore sei dosi di Pfizer. Da tre mesi vive un incubo e nessuno sa quali sono gli effetti collaterali. «Ma non sarò mai una no vax - dice -, nonostante la paura, i continui accertamenti, i malesseri fisici e psicologici. Anzi, faccio un appello ai miei coetanei: vaccinatevi, mettete le mascherine e niente assembramenti». Virginia Grilli, 23 anni, laurea triennale in Psicologia clinica e oggi studentessa magistrale all'università di Pisa, accetta di raccontare la sua odissea a una condizione.

Quale condizione?

«Che serva a non far accadere mai più errori di cui sono rimasta vittima e anche perché i miei coetanei e tutti quanti capiscano che il vaccino va fatto». 

Lei lo rifarebbe se ce ne fosse bisogno?

«Immediatamente, ma nel mio caso con le dovute assicurazioni scientifiche». 

Adesso come sta?

«Non sto bene. La mia vita è cambiata radicalmente mi sembra di vivere nel mondo dei quanti dove regna l'indeterminazione. Sto attraversando un periodo di malessere fisico e psicologico, ho fatto molti day hospital. Mi devo sottoporre a continui controlli neurologici, cardiaci, immunologici e psicologici. Potrei avere un'alterazione del sistema immunitario. Sono dimagrita, nessuno sa dirmi quando tornerò a star bene. Mi avevano detto che l'overdose di vaccino avrebbe annullato il vaccino stesso e dunque non avrei avuto gli anticorpi. E invece sono arrivati due mesi e mezzo dopo l'iniezione. Ho valori che superano di 60 volte la soglia della normale vaccinazione con due dosi». 

Potrebbe essere uno scudo contro il Covid.

«Nessuno lo sa, non esiste letteratura. E non riesco a ottenere il green pass». 

Con sei vaccini, neppure il green pass?

«Nessuno si prende la responsabilità di rilasciarmelo essendo io un caso unico. Se non lo avrò farò causa a Regione Toscana e ministero della Salute. Senza la certificazione a settembre non posso frequentare l'università, fare gli esami in presenza e neppure partecipare al tirocinio curriculare che ho dovuto interrompere ed è obbligatorio per la laurea magistrale». 

Lei non ha presentato denuncia penale contro medico e infermiera. Perché?

 «Si può sbagliare. Mi riservo di chiedere i danni morali e materiali all'ospedale». 

Chi ha sbagliato le ha chiesto scusa?

 «L'infermiera era terrorizzata. Il medico non si è fatto sentire, lo ha fatto suo padre». 

Il padre del medico?

«È il direttore sanitario dell'ospedale». 

Ha sempre fiducia nella sanità pubblica?

«Sì, con qualche riserva». 

E dei vaccini?

 «Sempre»  

Io, avvocato, chiedo: perché il green pass al bar e non in tribunale? La lettera di un avvocato preoccupato per la gestione "disinvolta" degli accessi in tribunale in tempo di Covid.  Il Dubbio il 30 luglio 2021. Oggi, nella imminenza dell’entrata in vigore dell’obbligatorietà del green pass, per accedere nei vari locali, in particolare, Bar e ristoranti, mi chiedo e Vi chiedo, (sperando che riusciate a sciogliere il dubbio): che differenza c’è tra un locale adibito a bar o a ristorante al chiuso e le anguste, in alcuni casi, aule di Giustizia. Perché per poter gustare anche un solo caffè seduto all’interno del bar debbo esibire il green pass mentre per accedere in Tribunale rischio di trovarmi a contatto con persone che non solo non sono vaccinate ma che non hanno nemmeno fatto il tampone e che hanno libero accesso. È noto che per gli accessi in Tribunale, a parte le diverse misure di prevenzione per ogni Foro adottate dai vari Presidenti in piena autonomia, è sufficiente la misurazione della temperatura che, come è altrettanto noto, per la variante delta non è più un sintomo. Ciò significa che portatori del virus (avvocati, parti, testimoni, ecc.) hanno libero accesso in locali chiusi con piena facoltà di diffondere il virus attesa la inevitabile co-presenza degli stessi in aule e corridoi affollati e non aerati e non disinfettati. Lascio a Voi la facoltà di sciogliere questo mio dubbio che si sostanzia nel seguente quesito: il Bene Giustizia, lato sensu, è superiore anche alla salute dei cittadini che vengono invece privati della più elementare e diffusa abitudine di prendere un caffè o sedersi al ristorante? Chissà cosa ne pensano il Presidente del Consiglio, il Ministro della Giustizia e soprattutto quello della Salute Con cordialità, avvocato Vittorio Supino

Caro avvocato Supino, i suoi dubbi sono i nostri dubbi. E a dirla tutta non siamo in grado di rispondere alla sua legittima domanda e possiamo soltanto provare, insieme a lei e ai nostri lettori, ad arrabattare una spiegazione a comportamenti e decisioni evidentemente contraddittorie. Nel mare di dubbi che ci circonda, una cosa è infatti certa: stiamo vivendo la più grave crisi sanitaria dal dopoguerra a oggi. Con ciò non vogliamo fornire alibi a chi governa il nostro paese e l’Europa, ma è chiaro che da più di un anno le istituzioni navigano a vista a causa di un virus che fatichiamo ad “addomesticare”. Per venire alla sua domanda, e per quel che serve, vogliamo solo ricordare che quando gli avvocati e i magistrati furono accusati di pretendere un trattamento di favore – solo perché chiedevano di poter essere vaccinati per assicurare la ripresa di una giustizia al collasso – noi del Dubbio provammo a spiegare che quella richiesta non era frutto di una pretesa di casta, ma l’unica soluzione possibile per far ripartire le udienze. Ci affannammo inutilmente a dire, caro avvocato, che la giustizia non è un “bene” come gli altri, ma un diritto fondamentale, vitale. E invece oggi ci troviamo con una giustizia che funziona a macchia di leopardo e, scherzo del destino, con un governo impegnato a “stanare” gli scettici del vaccino. Insomma, non per fare la parte di quelli che “noi lo avevamo detto”, ma sarebbe bastato vaccinare gli operatori della giustizia come si è fatto per gli ospedali e la scuola. Questa iniziativa avrebbe dato risposta anche al suo legittimo interrogativo. Davide Varì

Dal no dei "controllori" agli esonerati: tutte le criticità per l'uso del lasciapassare. Manila Alfano il 4 Agosto 2021 su Il Giornale. La validità del documento può essere verificata dalle forze dell'ordine ma anche dai gestori dei locali, che spingono per le autocertificazioni. Ora che la data per il via libera del green pass si avvicina restano ancora tante domande sul tavolo. A partire dalla principale: chi controlla? La validità del Green Pass può essere verificata dalle forze dell'ordine, dai pubblici ufficiali, dal personale di ospedali e Rsa, ma anche dai gestori dei locali, dagli organizzatori di eventi e dai proprietari o affittuari delle location nelle quali è necessario esibirlo. Una verifica che fa storcere il naso a molti esercenti: controllori che si rifiutano di controllare e di caricarsi sulle spalle questa responsabilità. «I gestori dei bar e dei ristoranti non sono pubblici ufficiali e come tali non possono assumersi responsabilità che spettano ad altri - dice la Fipe-Confcommercio, la Federazione italiana dei Pubblici esercizi - È impensabile che titolari e dipendenti possano mettersi a chiedere alle persone di esibire il loro green pass e ancor meno a fare i controlli incrociati con i rispettivi documenti di identità. Così facendo c'è il rischio di rendere inefficace la norma». La proposta è quella di una autocertificazione che sollevi i titolari da ogni compito. «Chi dichiarerà il falso lo farà a suo rischio e pericolo». L'obbligo comunque di avere il green pass vale al momento solo per i clienti mentre non è previsto per gestori, esercenti, proprietari, camerieri o qualsiasi altro lavoratore dei locali che al contrario dei clienti dovranno indossare la mascherina per tutto il tempo del servizio. E per le attività di ristorazione di hotel, residence, b&b, agriturismi? E per le mense universitarie o aziendali? Il decreto parla di «servizi di ristorazione svolti da qualsiasi esercizio per il consumo al tavolo, al chiuso». Leggendo il vecchio dl, relativo alle misure per la graduale riapertura delle attività, la ristorazione negli alberghi e in altre strutture ricettive per i clienti alloggiati nelle camere era esclusa dai limiti di orari. Resta quindi il dubbio visto che per alloggiare nelle strutture non è richiesto alcun Pass. Quanto alle residenze e alle mense universitarie, dovranno essere aggiornate le linee guida elaborate lo scorso anno. La Statale di Milano ha anticipato invece i tempi introducendo l'obbligo di Green Pass entro fine anno. Del momentaneo esonero oltre che i camerieri usufruiranno anche gli insegnanti e i dipendenti scolastici. La scelta è dettata dalla volontà del governo di non rendere obbligatorio il green pass sul posto di lavoro. Una tendenza che si potrebbe però invertire a seconda dell'andamento dei contagi. Per il momento si è deciso di aspettare ed eventualmente modificare in corsa. Il certificato verde nella prospettiva di Draghi è anche uno strumento per incentivare i vaccini, per far rompere gli indugi a quei pochi dubbiosi che ancora non hanno scelto se vaccinarsi o meno dunque l'orientamento del presidente nella lotta al virus è all'insegna della gradualità. Landini, Bombardieri e Sbarra i leader sindacali di Cgil, Cisl e Uil ribadiscono che il green pass «non può essere uno strumento per licenziare, discriminare, demansionare i lavoratori». Bombardieri ha ricordato che «L'unico Paese in cui è prevista l'obbligatorietà dei vaccini è l'Arabia Saudita». I sindacati confederali non mettono veti e non gridano pregiudizialmente «no» al green pass, purché il governo non scelga la via delle sanzioni per chi decide di non vaccinarsi. Luigi Sbarra ha confermato la disponibilità ad aprire un confronto con le associazioni datoriali e con il governo «per migliorare e rafforzare» gli accordi sottoscritti «per contrastare il Covid e sostenere la campagna di vaccinazione nei luoghi di lavoro». E per i bambini? Resta l'esonero fino ai 12 anni proprio in virtù del fatto che non ci sono vaccini per questa fascia d'età. Manila Alfano

Maria Sorbi per "il Giornale" il 29 luglio 2021. Si ritrovano, contro la loro volontà, nell'elenco dei No Vax. Esclusi dal green pass. Dal 6 agosto non potranno entrare nei bar al chiuso e, se dovranno prendere un aereo, dovranno prima fare un tampone. Eppure loro un vaccino in corpo (in certi casi anche due) ce l'hanno. Sono i mille volontari della sperimentazione di ReiThera che di fatto sono «dimenticati» in una zona grigia della campagna vaccinale. Sono stati i primi ad alzare la mano per partecipare alla sperimentazione del vaccino italiano. Restano con in mano un pugno di mosche. «Una situazione bizzarra» commenta lo scrittore Gianrico Carofiglio, che si era offerto di testare la cura «per testimoniare la sua fiducia nella scienza» e si ritrova con due dosi iniettate ma nessun certificato. Parafrasando uno dei suoi libri, mutevole è la verità. E chi ha ricevuto il vaccino Reithera ora non ha diritto al green pass. Già perché il vaccino made in Italy è ancora in fase di sperimentazione, quindi non è tra i marchi approvati dalle autorità sanitarie. «Quello che mi fa arrabbiare non è tanto continuare a fare tamponi se voglio viaggiare ma è essere conteggiato tra i non vaccinisti quando invece sono tra i primi che ha creduto nella scienza e nel progetto dello Spallanzani» protesta Giorgio Vascotto, 69 anni, ex broker assicurativo. Lui è tra i volontari che hanno ricevuto solo una dose e ora è in una sorta di limbo sanitario che non gli dà la libertà che meriterebbe. Al pari di chi manifesta contro le «dittature sanitarie» con tanto di stella di David e la scritta «no vax» appuntata sulla maglietta. «Eh no, non ci sto ad essere catalogato tra chi sposa queste posizioni» si infuoca Vascotto. C'è un'altra incognita che pesa sul futuro dei quasi mille volontari di ReiThera. La possibilità di continuare o meno la sperimentazione. A livello scientifico nessun problema: i risultati della fase due sono ottimi e parlano di una risposta anticorpale nel 99% dei volontari che hanno ricevuto due iniezioni e nel 93% di quelli che ne hanno ricevuta una. I problemi sono più legati alla mancanza di soldi: gli 81 milioni promessi dal Governo attraverso il fondo di Invitalia sono fermi e ora Reithera cerca una via alternativa, consultando anche finanziatori stranieri e fondi privati. Qualche giorno fa è stata ricevuta una delegazione messicana interessata al progetto italiano. Altro nodo da sciogliere: dopo tutte queste incertezze (amministrative e burocratiche) e dopo la sfiducia nata dalla mala informazione divampata in questa settimana, non sarà facile trovare i volontari per la terza fase (non più mille come in questa prima tranche ma dieci volte tanto). E questo potrebbe causare ritardi nei test su larga scala. Per i mille volontari di Reithera si pensa a una soluzione anche nella peggiore delle ipotesi, cioè se dovesse essere interrotta la sperimentazione. Per chi ha ricevuto una sola dose e per il gruppo che finora è stato trattato con placebo, o verrà effettuata una seconda iniezione Reithera o sarà inoculato un vaccino della stessa «famiglia». Vale a dire a vettore virale, come Johnson o Astrazeneca. Da capire se può andar bene anche un vaccino Rna come Pfizer o Moderna. Al momento nei centri vaccinali non propongono nè rilasciano certificati ai «mezzi vaccinati» Reithera. 

Green pass, ecco gli italiani che resteranno esclusi: Speranza come la Fornero, gli "esodati" del Covid. Antonio Rapisarda su Libero Quotidiano il 26 luglio 2021. Italiani vaccinati (o guariti) ma ancora senza il diritto al green pass in patria. È il "limbo" delle decine di migliaia di connazionali residenti in Gran Bretagna, al momento esclusi dal riconoscimento dell'agognata carta verde "salva vacanze". Un problema che riguarda una delle più numerose comunità di italiani all'estero i quali, fra Londra e il resto del Regno, hanno potuto usufruire della massiccia campagna di vaccinazioni di Sua maestà e sono in possesso del green pass rilasciato dal Servizio sanitario britannico. Una beffa al quadrato, dato che gli italiani in Gran Bretagna hanno ricevuto dosi del tutto identiche alle nostre - come Pfizer ed Astrazeneca - ma solo l'Italia in quasi tutta l'Ue non ha ancora riconosciuto gli equivalenti vaccini inglesi. Un nodo burocratico-sanitario che rischia di colpire tantissimi che ogni estate rientrano dal Regno Unito nelle proprie città di provenienza. Un grattacapo che dovrebbe essere risolto a breve con una circolare ad hoc, almeno a quanto assicurato venerdì da Gianni Rezza, direttore generale della Prevenzione: «È riconosciuto il ciclo vaccinale completo per chi proviene dalla Gran Bretagna, ci si sta lavorando in queste ore e sarà risolta la questione del green pass agli italiani che hanno fatto il vaccino completo all'estero. Non c'è motivo che perduri questa situazione».  

IL CASO SPUTNIK - Discorso ancora più complicato per tutti quegli italiani all'estero che hanno scelto di vaccinarsi con Sputnik o Sinovac: per loro il green pass europeo potrebbe essere una chimera. Parola di Roberto Speranza: «Come vincolo abbiamo quello di riconoscere i vaccini approvati dall'Agenzia europea del farmaco. Al momento il vaccino Sputnik non è stato approvato in Europa» e quindi «non è possibile con questo vaccino ottenere il green pass». Una notizia più che problematica per i "vicini di casa" sammarinesi, quasi tutti immunizzati e in maggioranza proprio con Sputnik: per lorodal 6 agosto sarà impossibile accedere in Italia ai luoghi dove è prevista la carta verde. «Il green pass sammarinese avrà valenza europea», ha rassicurato il segretario agli Esteri, Luca Beccari. Dall'Ue però, al momento, non è ancora giunta una pronuncia decisa. Ma c'è chi sta ancora peggio dei simpatici sammarinesi. Situazione kafkiana è quella dei 900 volontari della sperimentazione del vaccino italiano Reithera: anche loro nel limbo benché immunizzati. Niente green pass, però, perché manca l'autorizzazione dell'Ema. Per scetticismo dell'ente europeo? No, il vaccino risponde benissimo. Il calvario è giudiziario: la Corte dei Conti ha bloccato il finanziamento pubblico per la fase 3 della sperimentazione del vaccino per un caso sospetto di utilizzo di fondi pubblici del tecnopolo di Castel Romano per ampliare lo stabilimento. Una beffa che ha coinvolto anche un deputato fra i volontari, Paolo Tiramani: «Faccio appello a Speranza affinché non abbandoni chi, come me, ha preso parte alla sperimentazione del vaccino anti-Covid Reithera ma oggi non può ricevere il green pass» ha affermato l'esponente della Lega che sottolinea la necessità dell'intervento del governo per scongiurare una vera discriminazione: «Serve l'intervento del ministro per rimediare a questa falla che sta penalizzando seriamente diversi volontari che hanno dato un contributo importante alla ricerca italiana». Sul fronte delle vaccinazioni, intanto, l'effetto Draghi continua a farsi sentire. Dopo l'annuncio dell'introduzione del green pass l'impennata di richieste di vaccinazioni si fa sentire da Nord a Sud. «Un incremento delle prenotazioni che va da un +15% a +200% a seconda delle regioni», ha spiegato il commissario per l'emergenza Figliuolo.

BOOM DI ADESIONI - In Friuli Venezia Giulia «nella giornata successiva alla decisione del governo di introdurre il green pass le prenotazioni sono aumentate esponenzialmente, oltrepassando quota 7mila richieste in una sola giornata», ha illustrato il vicegovernatore Riccardo Riccardi. In Trentino Alto-Adige quintuplicate le dosi per i ragazzi tra 12 e 15 anni e quadruplicate per i ragazzi fra i 16 e i 17. Nel Lazio si è passati da una media di 6-7mila prenotazioni giornaliere alle oltre 55mila. Rad- doppiatele prenotazioni in Calabria per la prima vaccinazione: ne sono state registrate 4.500, il 50% in più rispetto al giorno prima. Bene la Sicilia dove nell'hub della Fiera del Mediterraneo di Palermo l'impennata ha riguardato proprio le prime dosi, passate rapidamente dal 5 al 30% del totale giornaliero. 

Il mio Green pass è sbagliato, ma segnalarlo a Speranza è più difficile che guarire dal Covid. Luca Maurelli venerdì 23 Luglio 2021 su Il Secolo d'Italia.  Errare è umano, come avere il Covid. Succede. Il problema nasce quando riesci a rimediare alla malattia del pipistrello ma non alla burocrazia dello Stato elefante. In queste ore in cui si annuncia l’imminente utilizzo del Green pass per poter accedere ad alcuni servizi collettivi, come la ristorazione, al sottoscritto – ma anche a tanti altri, a giudicare dalle segnalazioni sul web – è capitato di verificare che il certificato fornito dal ministero della Salute sia sbagliato. Ma provare a segnalarlo a qualcuno per ottenerne la correzione è impresa forse più difficile che guarire dallo stesso Covid. Nel mio caso, dopo aver vinto la battaglia con il virus, insieme alla mia famiglia nel febbraio scorso, mi sono vaccinato alla Asl 1 di Napoli a giugno. Dose unica, mi fu detto, per me e per mia moglie, Pfizer. “Ci rivediamo tra almeno sei mesi”. Peccato che sul mio Green pass, fresco di stampa e in duplice versione, sul certificato vaccinale ci sia scritto che ho fatto una dose ma devo farne un’altra e sul documento di guarigione (in entrambi i casi, ovviamente, c’è il Qr) risulti che il documento di immunità vale solo fino a fine luglio. Come se non avessi avuto il Covid, come se non mi fossi vaccinato, come se scadessi tra pochi giorni, come uno yogurt. A mia moglie, intanto, era accaduto anche di peggio: l’Asl Napoli l’aveva chiamata per la seconda dose. Se non si fosse premunita di avvisare la dottoressa del piccolo dettaglio che aveva già avuto il Covid, sarebbe scattata la seconda vaccinazione che forse l’avrebbe fatta “esplodere” di anticorpi, con chissà quali conseguenze. Nel box del centro vaccinale di Capodichino, ovviamente, niente scuse, solo l’ammissione dell’errore. E il Green pass sbagliato per il sottoscritto? I responsabili delle vaccinazioni della Regione Campania non hanno la possibilità di verificarlo dai propri data base (“Il Green pass è del ministero, noi non c’entriamo…”) ma spiegano che loro consegnano ai vaccinati che hanno avuto il Covid un foglio di carta bianca sul quale non è indicata la data della seconda dose e questa dovrebbe valere come prova che sono a posto e non devono fare la seconda dose. Si procede a esclusione, dunque: è algebra, più che scienza. Se non c’è scritto, vuol dire che non devi farlo. Costava troppo scrivere: deve fare un’unica dose, su quel pezzetto di carta? In più, nel mio caso, il Green pass dice il contrario: dovrei fare la seconda dose. Mi crederanno i buttafuori delle discoteche, i camerieri dei ristoranti, i mozzi dei traghetti, i doganieri degli aeroporti? Il Qr dirà la verità sulla mia immunizzazione a dispetto di quello che c’è scritto sul cartaceo? Mistero su di me, Speranza dentro di me.

Green pass obbligatorio in Italia: guida in 5 punti. Firstonline.info il 23/7/2021. Green pass: l’estensione dell’obbligo inizia il 6 agosto. Lo ha stabilito giovedì il Consiglio dei ministri con lo stesso decreto legge che ha esteso lo stato d’emergenza fino al 31 dicembre. “Il green pass permetterà agli italiani di divertirsi, esercitare le loro attività, andare al ristorante, con la garanzia di ritrovarsi fra persone non contagiose”, ha commentato in conferenza stampa il presidente del Consiglio, Mario Draghi.

1. COME SI OTTIENE IL GREEN PASS?

Per ottenere il green pass bisogna essere vaccinati (con una o due dosi) oppure essere guariti dal Covid. Nel primo caso la certificazione vale 9 mesi, mentre nel secondo il periodo di validità si ferma a un semestre. Sarà concesso un pass temporaneo alle persone che si sono sottoposte a un tampone nelle ultime 48 ore. Per facilitare questa pratica, i prezzi dei test rapidi nelle farmacie saranno calmierati fino al 30 settembre.

Tutte le informazioni per scaricare il Green Pass sono sulla pagina web allestita dal governo.

2. QUANDO È OBBLIGATORIO IL GREEN PASS?

Il green pass – già posseduto da 40 milioni di italiani su 60 – sarà necessario per andare in diversi posti: bar e ristoranti al chiuso, cinema, teatri, musei, piscine, palestre, centri benessere, terme, parchi tematici, centri sociali e luoghi dove si svolgono fiere, concorsi, congressi e convegni. Non solo: la certificazione servirà anche per fare sport di squadra.

I limiti di capienza delle strutture sono stati ampliati, mentre non cambia nulla per quanto riguarda le regole su distanziamento sociale, posti preassegnati e obbligo di mascherina al chiuso.

3. QUANDO, INVECE, NON SERVE?

Il green pass non servirà a chi vuole fare sport all’aperto, né a bambini e ragazzi che vanno al centro estivo, a scuola o al nido.

Del resto, la certificazione non è mai obbligatoria sotto i 12 anni, visto che per quella fascia d’età non è ancora stato approvato alcun vaccino.

Per quanto riguarda i trasporti pubblici, ogni decisione è rinviata a settembre. Il tema è infatti particolarmente spinoso, visto che controllare i green pass su autobus, metro e tram sarebbe a dir poco difficile. Restano da affrontare anche i temi di scuola e lavoro: “Sono questioni complesse”, ha ammesso Draghi.

4. COME FUNZIONANO I CONTROLLI?

Il green pass potrà essere mostrato sul telefonino o su carta e i controlli saranno affidati ai gestori delle attività, che potranno ricevere multe tra 400 e 1.000 euro. Dopo tre violazioni, scatterà la chiusura del locale per un periodo che andrà da uno a dieci giorni.

5. QUAL È L’OBIETTIVO?

Con l’estensione del green pass, il governo punta a innescare il cosiddetto “effetto Macron”: dal 12 luglio, quando il numero uno dell’Eliseo ha annunciato l’obbligo di certificazione, in Francia si è registrata un’impennata di prenotazioni.

E proprio accelerare sulle vaccinazioni è l’unica strada possibile per contrastare il riaccendersi della pandemia. A causa della variante delta, in appena una settimana i contagi in Italia sono più che raddoppiati, arrivando ieri a superare quota 5mila per la prima volta dal 21 maggio.

“Vogliamo evitare che una crescita del contagio porti a nuove chiusure generalizzate e lo strumento che abbiamo in questo momento è la vaccinazione – ha detto il ministro della Salute, Roberto Speranza – Prima di questo decreto abbiamo utilizzato il Green pass per alcune situazioni particolari, per partecipare a un matrimonio o per entrare in una Rsa a visitare un proprio caro. Con questo decreto estendiamo lo strumento ad altre attività e servizi”.

Green pass e nuovi colori: ecco cosa cambia. Luca Sablone il 22 Luglio 2021 su Il Giornale. Dal 6 agosto bisognerà esibire il green pass al tavolo solo se la consumazione avverrà all'interno del locale. Dalla palestra al cinema: ecco le novità. È terminato il Consiglio dei ministri che ha dato il via libera al green pass e alla proroga dello stato di emergenza fino al 31 dicembre 2021. Il premier Mario Draghi e le forze di maggioranza si erano riuniti prima del Cdm per cercare un accordo sulle nuove regole anti-Covid, sulle tempistiche e sulle modalità del green pass (attivo anche con una sola dose di vaccino e valido per 9 mesi, per chi ha tampone negativo nelle 48 ore precedenti e per chi è guarito dal Coronavirus nei 6 mesi precedenti) e sullo stato di emergenza. Successivamente si è tenuta la conferenza stampa alla presenza del presidente del Consiglio, del ministro della Salute Roberto Speranza e del ministro della Giustizia Marta Cartabia. Ecco tutte le novità introdotte. 

Green pass al bar e al ristorante. Dal 6 agosto bisognerà esibire il green pass al tavolo solo se la consumazione avverrà all'interno del locale, come bar e ristoranti, e quindi non all'aperto né al bancone come inizialmente si era pensato. Senza "passaporto vaccinale" si dovrà rinunciare allo sport al chiuso: sempre dal 6 agosto si potrà andare in palestra solo se muniti di green pass. Che sarà necessario anche per l'accesso a spettacoli all'aperto, centri termali, piscine, palestre, fiere, congressi e concorsi. Tra le varie ipotesi anche quella di tamponi gratuiti per gli under 18 (fascia di popolazione vaccinata solo al 25%). Contestualmente si sta valutando di calmierare il costo dei test in farmacia per venire incontro a quelle fasce di popolazione che non possono sottoporsi a vaccinazione per motivi medici. Esentati solo gli esclusi dalla campagna vaccinale, ovvero gli under 12 per cui non esiste ancora un vaccino autorizzato, e chi non può vaccinarsi per motivi di salute sulla base di idonea certificazione medica rilasciata secondo i criteri definiti dal ministero della Salute. Si è discusso inoltre della possibilità di ridurre il tempo della quarantena di 14 giorni se un vaccinato in possesso del certificato verde dovesse entrare in contatto con un soggetto positivo, ma la durata è ancora in via di definizione. L'uso del green pass per accedere ai mezzi di trasporto pubblici - ad esempio per autobus e metro - non sarà nel decreto legge, "ma dovrà essere affrontato a stretto giro". Per il momento non ci sarà nemmeno l'obbligo di vaccinazione per i docenti e i dipendenti della scuola. E il green pass non servirà per entrare nei centri educativi per l'infanzia, i centri estivi e le relative attività di ristorazione. "Da questo decreto sono rimaste fuori tre aree: scuola, trasporti, lavoro. Verranno affrontati molto rapidamente, dalla settimana prossima, credo", ha detto Draghi.

Le discoteche restano chiuse. Nessuna novità per le discoteche, che resteranno chiuse in tutta Italia anche in zona bianca. Il premier Draghi ha tuttavia annunciato l'intesa totale per "risarcire le discoteche", prevedendo un fondo ad hoc anche per le sale da ballo. Fratelli d'Italia, per bocca del parlamentare Marco Osnato, ha bocciato la scelta del governo: "Sarà la pietra tombale di tantissime aziende del settore che non riusciranno a riprendersi. Comporterà un ulteriore pericolo per la salute dei giovani che, invece di andare a divertirsi in luoghi controllati e protetti, frequenteranno ritrovi clandestini a rischio focolai".

Ripartono gli spettacoli. In zona bianca, la capienza consentita per gli spettacoli culturali non può essere superiore al 50 per cento di quella massima autorizzata all’aperto e al 25 per cento al chiuso nel caso di eventi con un numero di spettatori superiore rispettivamente a 5.000 all’aperto e 2.500 al chiuso. In zona gialla la capienza consentita non può essere superiore al 50 per cento di quella massima autorizzata e il numero massimo di spettatori non può comunque essere superiore a 2.500 per gli spettacoli all’aperto e a 1.000 per gli spettacoli in luoghi chiusi, per ogni singola sala.

I nuovi parametri. La cabina di regia ha trovato un accordo pure per quanto riguarda i nuovi parametri, che entreranno in vigore dal primo agosto: è stato stabilito il 10% dell'occupazione dei posti letto nelle terapie intensive e il 15% delle ospedalizzazioni per decretare il passaggio dalla zona bianca a quella gialla. Per passare in area arancione bisognerà avere le terapie intensive piene al 20% e un tasso di ospedalizzazione al 30%; per il passaggio nella zona rossa invece le percentuali salgono rispettivamente al 30% e al 40%.

Le sanzioni. I titolari o i gestori dei servizi e delle attività autorizzati previa esibizione del Green pass sono tenuti a verificare che l’accesso a questi servizi e attività avvenga nel rispetto delle prescrizioni. In caso di violazione può essere elevata una sanzione pecuniaria da 400 a 1000 euro sia a carico dell’esercente sia dell’utente. Qualora la violazione fosse ripetuta per tre volte in tre giorni diversi, l’esercizio potrebbe essere chiuso da 1 a 10 giorni. 

Luca Sablone. Classe 2000, nato a Chieti. Fieramente abruzzese nel sangue e nei fatti. Estrema passione per il calcio, prima giocato e poi raccontato: sono passato dai guantoni da portiere alla tastiera del computer. Diplomato in informatica "per caso", aspirante giornalista per natura. Provo a raccontare tutto nei minimi dettagli, possibilmente prima degli altri. Cerco di essere un attento osservatore in diversi ambiti con quanta più obiettività possibile, dalla politica allo sport. Ma sempre con il Milan che scorre nelle vene. Incessante predilezione per la cronaca in tutte le sue sfaccettature: armato sempre di pazienza, fonti, cellulare, caricabatterie e… PC. 

Giorgia Meloni: “Green pass raggelante” ma nel 2018 era favorevole alla vaccinazione obbligatoria. Chiara Nava il 14/07/2021 su Notizie.it. Giorgia Meloni sembra aver cambiato idea sulla vaccinazione obbligatoria. La politica ha parlato del Green Pass, dimostrando un cambio di opinione. Giorgia Meloni sembra aver cambiato idea sulla vaccinazione obbligatoria. La politica ha parlato del Green Pass, dimostrando un cambio di opinione rispetto al passato. Non si è fatta attendere la risposta di Burioni. 

Giorgia Meloni e il cambio di opinione sulla vaccinazione. “I vaccini sono una delle conquiste più importanti nella storia della medicina. Le vaccinazioni obbligatorie sono lo strumento che la comunità scientifica ci consiglia per debellare patologie solo apparentemente sconfitte per sempre” aveva scritto Giorgia Meloni, leader di Fdl, nel 2018. Sono passati pochissimi anni, ma la sua opinione sulla vaccinazione obbligatoria sembra essere completamente cambiata. “L’idea di utilizzare il Green Pass per poter partecipare alla vita sociale è raggelante, è l’ultimo passo verso la realizzazione di una società orwelliana” ha scritto la Meloni su Twitter nella giornata di ieri, 13 luglio 2021. La leader politica si è scagliata contro la decisione di Macron di impedire l’ingresso nei locali al chiuso, agli eventi e sui mezzi pubblici alle persone che rifiutano di effettuare il vaccino. Ha definito la decisione del presidente francese “una follia anticostituzionale che Fratelli d’Italia respinge con forza”. Ha spiegato anche che la vaccinazione deve avere a che fare con la libertà individuale, definita “sacra e inviolabile”. 

Giorgia Meloni: cambio di direzione. In così pochi anni Giorgia Meloni sembra aver cambiato radicalmente il suo pensiero sulla vaccinazione obbligatoria. Nel 2018 la elogiava e la supportava, ora ha scritto l’opposto. Tre anni fa sottolineava l’importanza di non dare messaggi contraddittori proprio riguardo l’obbligo di vaccinare. “Lanciare messaggi confusi e contraddittori, con il rischio di alimentare paure e notizie false, è un errore che la politica non deve commettere. La salute degli italiani, e in particolare dei nostri figli, non è argomento sul quale dividersi o dare giudizi sommari” aveva scritto all’epoca.

Giorgia Meloni: la risposta di Roberto Burioni

Dopo il suo tweet è immediatamente arrivata la reazione di Roberto Burioni, molto critica. “La battaglia di Giorgia Meloni per garantire al virus la libertà di uccidere, rovinarci la vita, farci chiudere le scuole, distruggere l’economia non la capisco e non c’entra niente” ha scritto in un post il virologo. Ha fatto riferimento anche ad alcuni accenni storici, ricordando a Giorgia Meloni che “la prima vaccinazione moderna obbligatoria risale al 1939“. Quello fu l’anno in cui venne resa obbligatoria la vaccinazione antidifretrica entro i primi due anni di vita.

Dopo l'articolo del Riformista. Meloni, vaccini facoltativi e indennizzi: la replica di Fratelli d’Italia. Redazione su Il Riformista il 19 Agosto 2021. Egregio direttore, Il Riformista ha pubblicato lo scorso 14 agosto l’articolo “Meloni e i vaccini facoltativi. Basta bufale sugli indennizzi” di Salvatore Curreri. Eppure queste presunte clamorose bufale non appaiono nell’articolo. Dopo aver riportato le affermazioni della Meloni, ossia che in base alla normativa vigente solo chi subisce danni a causa di un vaccino obbligatorio è indennizzabile, l’autore del pezzo riporta una serie di esempi che poco hanno a che vedere con le legittime perplessità di Giorgia Meloni: l’obbligo di indennizzo per chi subisce un qualunque trattamento sanitario (desumibile però  da una pronuncia della CEDU) e dell’indennizzabilità dei danni derivanti da vaccinazioni non obbligatorie ma fortemente raccomandate desumibile da diverse pronunce della Corte Costituzionale. Sino alla chiosa del pezzo, in cui si afferma, giustamente, che non c’è allo stato alcuna norma che imponga l’indennizzo in casi di danno per il vaccino anticovid e che comunque occorrerebbe rivolgersi ad un giudice, il quale peraltro dovrebbe sollevare la Questione di Legittimità Costituzionale, al fine di ottenere una sentenza additiva in linea con l’attuale giurisprudenza. Infatti, la legge italiana non prevede al momento l’indennizzabilità in caso di danno derivante da vaccino anticovid perché non ne è prevista l’obbligatorietà. L’art. 1 della L. 210/1992 limita ai soli vaccini obbligatori l’indennizzo in caso di danni. Pertanto solo incardinando un giudizio, dopo l’intervento di un giudice, che dovrebbe ritenere rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale rimettendola alla Consulta, si potrebbe forse ottenere l’indennizzo. La domanda dunque è perché lo Stato non si assume la responsabilità di rendere obbligatorio il vaccino? Oppure, perché non ci si è presi la responsabilità di rendere gli eventuali danni indennizzabili per Legge? Occorre ricordare che La sentenza n. 5 del 2018 della Corte Costituzionale, estensore Marta Cartabia, specificava che lo Stato può imporre le vaccinazioni in presenza di tre presupposti: se il trattamento è diretto non solo a tutelare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute della comunità; se si prevede che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che è obbligato, salvi i rischi tollerabili; se sia prevista comunque una indennità in favore del danneggiato. Si aggiunge a questo quadro, come correttamente sottolineato nel pezzo di Curreri, anche una sentenza della Consulta del 2020, durante la presidenza Cartabia, che estende l’obbligo di indennizzo alle vaccinazioni fortemente raccomandate. Peccato che nel caso di specie la vaccinazione anticovid non è stata espressamente definita come fortemente raccomandata né si è inteso estendervi l’indennizzabilità prevista dalla Legge per le obbligatorie. Per la Consulta dunque un obbligo vaccinale è legittimo se si posseggano dati certi rispetto al rapporto tra rischi e benefici del vaccino, sia in termini individuali che collettivi e sempre che lo Stato si assuma ogni responsabilità, indennizzando eventuali danneggiati. Nel caso del vaccino Anticovid, tuttavia, mancherebbero i presupposti per l’obbligatorietà e l’introduzione del green pass, che formalmente non introduce un obbligo vaccinale ma che ne costituisce una surrettizia introduzione, sembra in sostanza voler aggirare l’obbligo di indennizzo previsto dall’art.1 L. 210/1992. Lo stesso Curreri nel suo articolo auspica un “intervento normativo più coraggioso”, dimenticando però che le Leggi o esistono o non esistono e doversi affidare all’alea del giudizio e dell’intervento della Corte costituzionale non vuol dire essere tutelati. Questioni serie, che per fortuna dell’Italia almeno Fratelli d’Italia e Giorgia Meloni hanno la libertà e il coraggio di porre. Sara Kelany, Avvocato, ufficio studi Fratelli d’Italia.

Sergio Harari per il “Corriere della Sera” il 7 settembre 2021. L'obbligatorietà dei vaccini di cui tanto si discute in questi giorni non è certo una novità e stupisce un po' il clamore che accompagna il dibattito pubblico se si considera che il primo obbligo vaccinale fu introdotto nel nostro Paese all'indomani dell'unità d'Italia, nel 1888, per arginare la diffusione del vaiolo. L'obbligo fu poi abolito nel 1981, dopo che nel 1979 l'Oms aveva dichiarato la completa eradicazione in tutto il mondo della malattia. Successivamente divennero obbligatorie le vaccinazioni contro la difterite (1939), la poliomielite (1966), il tetano (1968) e l'epatite B (1991). L'Italia è stato poi uno dei primi Paesi a introdurre nel 2006 la vaccinazione universale facoltativa per le infezioni da Papilloma Virus, importante misura preventiva contro il cancro della cervice uterina. Il provvedimento necessitò dell'inserimento di uno specifico emendamento alla Legge finanziaria del 2008 per sostenere la campagna vaccinale dato l'elevato costo del vaccino (allora circa 500 euro per la schedula di tre dosi). A seguito della legge n. 119 del 31 luglio 2017, sono state rese obbligatorie altre 6 vaccinazioni oltre alle quattro già in vigore (difterite, tetano, poliomielite ed epatite B), quelle per morbillo, parotite e rosolia, pertosse, Haemophilus tipo b e varicella. La stessa legge prevede inoltre quattro vaccinazioni fortemente raccomandate, ma non obbligatorie, ad offerta attiva e gratuita da parte di Regioni e Province autonome: l'anti-meningococcica B, l'anti-meningococcica C, l'anti-pneumococcica e l'anti-rotavirus. Tralasciando le polemiche politiche e venendo ai dati scientifici, l'obbligo vaccinale non è quindi certo una novità, né nel mondo né nel nostro Paese, e rappresenta l'unica possibilità per debellare alcune malattie infettive: la storia, a partire dall'esempio del vaiolo, ne è testimone. D'altra parte, tra obbligo e semplici misure di convincimento non ci sono dubbi sulla maggiore efficacia del primo e anche qui la storia può esserci di aiuto. Nel 2007 la Regione Veneto ricorse contro l'obbligo vaccinale per i minori fino ai 16 anni di età, sostenendo tra i vari argomenti che una campagna di sensibilizzazione e comunicazione ai cittadini avrebbe ottenuto risultati migliori che la coercizione, ma non fu così: nei 10 anni durante i quali fu in vigore la libera scelta le coperture vaccinali della popolazione veneta furono inferiori al resto del Paese. Nel 2017 la Corte Costituzionale respinse infine definitivamente il ricorso con la motivazione che «le misure in questione rappresentano una scelta spettante al legislatore nazionale. Questa scelta non è irragionevole, poiché volta a tutelare la salute individuale e collettiva e fondata sul dovere di solidarietà nel prevenire e limitare la diffusione di alcune malattie». Forse le stesse ragioni di solidarietà e tutela della salute collettiva si potrebbero addurre per l'introduzione dell'obbligo vaccinale anche per il Sars-CoV-2. Lasciando una parte, seppur limitata e minore, della popolazione scoperta dalla copertura vaccinale, oltre al rischio al quale andrebbero incontro i soggetti non immunizzati, lasceremmo terreno fertile al virus per proseguire nella sua sopravvivenza, mutare, continuare a circolare e prima o poi dare luogo a varianti pericolose. L'esempio che stiamo vivendo in questi mesi con la rapidissima diffusione della delta e le prime preoccupanti segnalazioni di altre, come la lambda, ne sono la controprova. Per questo l'obbligatorietà, una volta ottenute le approvazioni finali degli enti regolatori Fda e Ema, è una strada non solo ragionevole ma molto probabilmente l'unica che possa garantire una duratura via d'uscita dalla pandemia e che possa mettere al riparo il Paese dal pericolo di nuove ondate che avrebbero drammatiche ripercussioni di salute e economiche. I vaccini per il Sars-CoV-2 hanno avuto una prova sul campo, di «real life» come si dice tecnicamente, che mai in passato ha avuto nessun vaccino nella storia della medicina, ad oggi oltre 5 miliardi e mezzo di persone sono state immunizzate e ormai conosciamo bene i rari e circoscritti effetti collaterali. La storia dei vaccini ci insegna, come ha recentemente ricordato Antony Fauci, che i possibili effetti collaterali si manifestano, quando occorrono, nell'arco di qualche settimana dalla inoculazione, mai di anni, non si capisce quindi sulla base di quale argomento biologico qualcuno possa supporre qualcosa di diverso per quelli attualmente in uso contro il Coronavirus. L'ipotesi poi di un terzo richiamo non è certo una novità, anche le vaccinazioni per il tetano e l'epatite B, che come già ricordato sono obbligatorie da anni, prevedono un ciclo di tre somministrazioni. Una volta adottato l'obbligo vaccinale resterebbero aperti altri importanti problemi per sconfiggere la pandemia: la diffusione della vaccinazione nelle aree più povere del mondo, l'adozione di misure uniformi di sorveglianza, prevenzione e controllo a livello europeo e non solo (l'Oms in questo senso dopo i tanti errori commessi potrebbe riacquisire un ruolo importante), la necessità di dover eventualmente implementare campagne con successivi richiami (così come si fa, ad esempio, con l'influenza stagionale o per altre malattie infettive), mentre restano ancora scarse le armi terapeutiche contro la malattia una volta che si è manifestata in forma conclamata.

Indennizzi per danni da vaccino Covid: sì all’ordine del giorno della Lega, ma il risarcimento esiste già. Chiara Nava il 09/09/2021 su Notizie.it. Il Governo ha detto sì all’ordine del giorno della Lega, sugli indennizzi per danni da vaccino, ma questo risarcimento esiste già. Secondo La Stampa sarebbe la merce di scambio per avere l’ok della Lega all’estensione del Green pass. Il Governo ha deciso di dire sì agli indennizzi per i danni da vaccino contro il Covid. Secondo La Stampa, questa sarebbe merce di scambio per ottenere l’ok della Lega all’estensione della certificazione verde per alcune categorie di lavoratori. Il quotidiano che Palazzo Chigi ha chiesto ai leghisti di trasformare gli emendamenti in ordini del giorno, quindi non vincolanti, ai quali il governo darà un parere positivo. Tra questi anche gli indennizzi per le persone che dimostreranno di aver avuto un danno fisico in seguito alla somministrazione del vaccino anti-Covid, l’utilizzo degli anticorpi monoclonali, la semplificazione dei test salivari e le maggiori tutele per i più fragili. Qualcosa, però, sembra proprio non tornare. Come ha ricordato Eugenia Tognotti su La Stampa, e come sostengono le sentenze, lo Stato deve già risarcire eventuali danni fisici da vaccinazione anti-Covid. Anche se non è in vigore l’obbligo vaccinale e la legge 25 febbraio 1992 n.210 stabilisce che “chiunque abbia riportato, a causa di vaccinazioni obbligatorie per legge o per ordinanza di una autorità sanitaria italiana, lesioni o infermità, dalle quali sia derivata una menomazione permanente della integrità psico-fisica, ha diritto ad un indennizzo da parte dello Stato, alle condizioni e nei modi stabiliti dalla presente legge“, la Corte Costituzionale ha sottolineato che tra obbligo e raccomandazioni non ci sono grandi differenze. “La ragione che fonda il diritto all’indennizzo del singolo non risiede allora nel fatto che questi si sia sottoposto a un trattamento obbligatorio: riposa, piuttosto, sul necessario adempimento, che si impone alla collettività, di un dovere di solidarietà, laddove le conseguenze negative per l’integrità psico-fisica derivino da un trattamento sanitario (obbligatorio o raccomandato che sia) effettuato nell’interesse della collettività stessa, oltre che in quello individuale”. Questo significa che il Governo ha detto sì alla Lega per qualcosa che in realtà esisteva già. Lorenzo Cuocolo, costituzionalista e professore ordinario di diritto pubblico comparato all’Università di Genova, ha spiegato che un lavoratore obbligato ad esibire il Green pass potrebbe già ottenere un indennizzo se dovesse riportare danni dovuti al vaccino. “Se un insegnante si vaccina per continuare a lavorare e dovesse avere un’invalidità o una malattia permanente, può senza alcun dubbio rivolgersi allo Stato per farsi risarcire. Si dice che lo Stato attualmente obbliga a vaccinarsi senza assumersi responsabilità, ma di fatto non è vero” ha dichiarato. Quindi, il Governo ha cosa ha detto si? L’ordine del giorno della Lega, accettato soprattutto per ottenere un voto positivo all’estensione del Green pass, riguarda qualcosa che esiste già da tempo.  

La nostra giurisprudenza smentisce la propaganda. Le bufale di Giorgia Meloni su vaccini facoltativi e indennizzi: così viene smentita la propaganda. Salvatore Curreri su Il Riformista il 16 Agosto 2021. Sostiene Giorgia Meloni che lo Stato non rende la vaccinazione anti-Covid 19 obbligatoria per non esporsi a richieste di risarcimento e indennizzi. Di conseguenza, chi – pur non essendovi obbligato (come invece lo sono gli esercenti professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario: art. 1 d.l. 44/2021) – si sottopone al vaccino e subisce “una menomazione permanente dell’integrità psico-fisica” (art. 1 l. 210/1992) non potrebbe pretendere alcunché. È un’affermazione destituita in massima parte di fondamento giuridico e che, a suo modo, costituisce la cifra di una certa comunicazione politica di tono propagandistico, volutamente imprecisa e giocata sull’equivoco.

Cerchiamo di fare chiarezza:

Chi a causa di un trattamento sanitario (come le vaccinazioni) subisce una menomazione alla propria salute ha diritto:

a) ad essere pienamente risarcito in sede civile del danno subito a causa di comportamenti colpevoli ex art. 2043 c.c. in modo tempestivo (v. Corte EDU, 14.1.2016 D.A e altri c. Italia); lo scudo legale previsto dall’art. 3.1 del decreto legge n. 44 dell’1 aprile 2021 sulla vaccinazione anti-Covid 19 riguarda infatti solo la responsabilità penale);

b) ad un equo indennizzo, se il danno non deriva da un fatto illecito. L’equo indennizzo consiste in un assegno, integrato da un’indennità speciale (art. 2 l. 210/1992), e in assegno mensile vitalizio “corrisposto per la metà al soggetto danneggiato e per l’altra metà ai congiunti che prestano o abbiano prestato al danneggiato assistenza in maniera prevalente e continuativa” (art. 1.1 l. 229/2005). Entrambi gli assegni sono rivalutabili (Corte cost. 293/2011; Corte EDU 3.9.2013 M.C. e altri c. Italia);

c) alle misure di sostegno assistenziale previste dal legislatore (per il malato ed i congiunti che l’hanno assistito) ove ne ricorrano i presupposti ex art. 38.1 Cost.

Riguardo al diritto all’indennizzo sub b), la giurisprudenza della Corte costituzionale è consolidatissima nel ritenere che esso spetti a prescindere che la vaccinazione sia obbligatoria (art. 1 l. 210/1992) oppure promossa dalle pubbliche autorità in vista della sua capillare diffusione nella società (C. cost. 5/2018, 8.2.1, 27/1998, 3). Esso, infatti, si fonda sull’inderogabile dovere di solidarietà sociale (art. 2 Cost.) che in questi casi incombe sull’intera collettività e, per essa, sullo Stato a fronte dell’eventuale pregiudizio subito da chi, per evitare la diffusione di malattie particolarmente gravi o menomanti e salvaguardare così la salute di tutti, si è sottoposto a un trattamento sanitario, obbligatorio o raccomandato che sia (C. cost. 118/2020, 3.3-4, 226/2000, 3.1; Cass., lav. 27101/2018).

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Che brutto spettacolo quella destra idiota che odia i vaccini

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In entrambi i casi, infatti, “non è lecito, alla stregua degli artt. 2 e 32 della Costituzione, richiedere che il singolo esponga a rischio la propria salute per un interesse collettivo, senza che la collettività stessa sia disposta a condividere, come è possibile, il peso delle eventuali conseguenze negative” (C. cost. 27/1998, 3). Il diritto all’indennizzo spetta dunque già per legge a chi si è sottoposto a vaccinazioni non obbligatorie ma necessarie: per motivi di lavoro o di ufficio ed ai soggetti a rischio operanti nelle strutture sanitarie ospedaliere (art. 1.4 l. 210/1992).

Inoltre, in nome delle esigenze di solidarietà sociale sopra richiamate, la Corte costituzionale è più volte intervenuta per dichiarare incostituzionale l’esclusione dal diritto all’indennizzo a favore di chi si è sottoposto a vaccinazioni non obbligatorie ma fortemente raccomandate per evitare la diffusione di determinate patologie come poliomielite (C. cost. 27/1998 cui fece seguito l’art. 3.3 l. 362/1999), epatite B (C. cost. 417/2000), morbillo, parotite e rosolia (C. cost. 107/2012), influenza (C. cost. 268/2017) ed epatite A (C. cost. 118/2020).

Infine, il diritto all’indennizzo spetta ai soggetti danneggiati da infezioni da Hiv e da epatiti post-trasfusionali (art. 1.2-3 l. 210/1992; C. cost. 293/2011, 28/2009, 76/2002); non spetta, invece, se non vi è una correlazione scientificamente accertata tra la vaccinazione cui ci si è sottoposti e il danno subito (come in caso di autismo: Cass., VI civ. 18358/2017; lav. 12427/2016). Il profilo criticabile di tale quadro ordinamentale è che per estendere il diritto all’equo indennizzo in casi di trattamenti sanitari non obbligatori ma fortemente raccomandati sia dovuta intervenire la Corte costituzionale, con sentenze additive rispetto alla disposizione prevista dall’art. 1 legge n. 210/1992, anziché essere il legislatore per primo ad estendere ad essi il suo ambito di applicazione.

Sotto questo profilo, quindi, è fortemente auspicabile attendersi un intervento legislativo più coraggioso e conforme alla giurisprudenza ordinaria e costituzionale in materia, così da non costringere il malato all’onere (quanto mai odioso ed insopportabile nelle sue condizioni) di dover ricorrere dinanzi al giudice e questi, a propria volta, a dover sollevare questione di legittimità costituzionale. Come infatti ribadito da ultimo dalla Corte costituzionale (sentenza n. 118/2020, 2), di fronte ad un quadro normativo univoco nel prevedere il diritto all’indennità solo per i trattamenti sanitari obbligatori, il giudice che vuole estenderlo a quelli fortemente promossi non può ricorrere all’interpretazione costituzionalmente conforme ma deve sottoporre la questione alla Corte costituzionale.

Tutto ciò però non toglie che quanto affermato pubblicamente dalla Meloni costituisca una semplificazione non veritiera di quanto oggi prevede in materia il nostro ordinamento giuridico, che è fatto non solo di leggi ma anche delle loro interpretazioni da parte dei giudici ordinari e costituzionali. Difatti, qualunque soggetto che dovesse subire dalla vaccinazione non obbligatoria anti-COVID 19 danni psico-fisici (che, seppur minimi, sono purtroppo sempre inevitabili) e a cui venisse negato il diritto ad un equo indennizzo, sarebbe sì intollerabilmente costretto a ricorrere alle vie giudiziali ma con la certezza però che qualunque giudice gli darebbe pienamente ragione. Salvatore Curreri

Francesco Malfetano per “Il Messaggero” il 30 giugno 2021. «Il Green pass digitale faciliterà la vita dei cittadini europei». Quattro mesi fa, il primo marzo, così Ursula von der Leyen, presidente della Commissione Ue, annunciava su Twitter l'intenzione del governo comunitario di lanciare una sorta di passaporto vaccinale. Un certificato che consentisse a quasi mezzo miliardo di cittadini, una volta vaccinati o comunque sottoponendosi ad un tampone, di dire addio a quarantene e restrizioni per andare in vacanza. Quattro mesi dopo, con una campagna vaccinale finalmente decollata e i nuovi timori dettati dalla variante Delta del Sars-Cov-2, l'Eu Digital Covid Certificate è davvero pronto ad unire nuovamente il Vecchio Continente. Tra 24 ore infatti, dal primo luglio, il Green pass entrerà in vigore e permetterà ai cittadini Ue di tornare a viaggiare in libertà se vaccinati, guariti dal Covid oppure in possesso dell'esito negativo di un tampone effettuato nelle 48 ore precedenti.

LE POLEMICHE. In realtà però, anche ad un passo dall'adozione ufficiale del Pass, non mancano le polemiche. In primo luogo, come ha già fatto notare anche il premier italiano Mario Draghi a margine del Consiglio Ue della scorsa settimana «c'è una grande varietà di comportamenti». In sostanza mancano regole uniformi come ha dimostrato la decisione della Germania di vietare in toto l'ingresso alle persone provenienti dal Portogallo, considerato un Paese dove la variante Delta è dominante. Una scelta che non è andata giù a Bruxelles, che non la vede «in linea» con quanto stabilito insieme agli Stati membri nei mesi scorsi. Al punto che i commissari Didier Reynders, Thierry Breton e Stella Kyriakides hanno deciso di mettere nero su bianco il proprio disappunto in una lettera inviata ai Ventisette per chiedergli di coordinarsi il prima possibile in modo che tutte le misure per gli spostamenti sul territorio europeo (dalle classificazioni sulle zone ad alta incidenza per le quali sarebbero previste quarantene, all'obbligo di test per i minori) garantiscano la libertà di viaggiare senza ostacoli e limitazioni. Un invito al rispetto degli accordi che vede al centro anche la differente interpretazione delle indicazioni sulla validità della profilassi. Se generalmente per i Paesi Ue la vaccinazione è considerata completa passati 14 giorni dalla seconda dose di vaccino (o dose unica per i monodose come J&J, anche se per la Francia il tempo è raddoppiato a quattro settimane), per alcuni Stati - compresa al momento l'Italia ma le cose potrebbero cambiare a breve - la copertura vaccinale può bastare anche dopo la prima dose. È il caso della Croazia oppure dell'Austria. Ma differenze si riscontrano anche sulla validità del certificato di guarigione con la Grecia che ad esempio lo accetta per nove mesi a partire dal 20esimo giorno successivo al primo risultato positivo mentre la Spagna tra l'11° a 180° giorno dal primo risultato positivo. Inoltre diversi Paesi non hanno neppure ancora completato la propria piattaforma e quindi l'adesione al Pass: Cipro, Ungheria, Malta, Irlanda, Paesi Bassi, Romania e Svezia.

RIAPERTURE. Una babele che ovviamente non può piacere alla Ue. Unione che però non apprezza neppure lo scarso coinvolgimento del Pass nel processo di riapertura in corso nel Vecchio Continente. Se in Italia il documento (prima nella versione di Certificato verde nazionale e dal 18 giugno in quella Ue) viene ad esempio già usato per i matrimoni o l'accesso alle Rsa e presto lo sarà per le discoteche, in molti Paesi il Green non è utilizzato se non per consentire l'accesso dei turisti stranieri senza quarantena. Così ieri la commissaria Ue per la Cultura, Mariya Gabriel, presentando le linee guida per la riapertura coordinata del settore culturale europeo, ha invitato «gli Stati membri ad utilizzare i nostri strumenti come il certificato Covid digitale per facilitare la riapertura». Ovvero di estendere a musei, mostre, teatri, eventi o qualunque altro luogo di cultura l'uso del Pass.

A.Gen. per "il Messaggero" il 18 giugno 2021. Da ieri è disponibile gratuitamente on-line il digital green pass. Dopo giorni di attesa Mario Draghi ha infatti firmato il Dpcm che definisce le modalità di rilascio delle certificazioni verdi digitali COVID-19. Un documento, spiegano a palazzo Chigi e al ministero della Salute, «che faciliterà la partecipazione ad eventi pubblici come fiere, concerti, gare sportive, feste in occasioni di cerimonie religiose e civili, l'accesso alle strutture sanitarie assistenziali (RSA) e gli spostamenti in entrata e in uscita da territori eventualmente classificati in zona rossa o zona arancione». Non solo, dal 1° luglio chi è in possesso del pass potrà forse andare a ballare in discoteca: oggi il verdetto del Cts. Con la firma del Dpcm si realizzano le condizioni per l'operatività del regolamento europeo sul digital green pass che, a partire dal prossimo 1° luglio, garantirà la piena interoperabilità delle certificazioni digitali di tutti i Paesi dell'Unione. «In tal modo», garantisce palazzo Chigi, «sarà assicurata la piena libertà di movimento sul territorio dell'Unione europea a tutti coloro che avranno un certificato nazionale valido». Da notare che il digital green pass non sostituisce, né sostituirà la documentazione cartacea. Per venire incontro alla popolazione più anziana o a chi non dispone di pc, tablet o smartphone, il governo ha stabilito che «in alternativa alla versione digitale, la certificazione potrà essere richiesta al proprio medico di base, pediatra o in farmacia utilizzando la propria tessera sanitaria». In ogni caso, per avere informazioni è possibile contattare il numero verde della App Immuni 800.91.24.91. La certificazione, frutto del lavoro congiunto dei ministeri di Salute, Economia, Innovazione e Transizione Digitale, in collaborazione con la struttura commissariale del generale Figliuolo, contiene un QR Code che ne verifica autenticità e validità. Il documento attesta una delle seguenti condizioni: la vaccinazione contro il Covid-19 (validità 9 mesi), l'esito negativo di un tampone antigenico o molecolare effettuato nelle ultime 48 ore o la guarigione dall' infezione (validità di 6 mesi). Potranno controllare il green pass le forze dell'ordine, i pubblici ufficiali e nel caso di eventi, banchetti di matrimonio, etc, i gestori dei locali e i loro dipendenti autorizzati. Il ministro Roberto Speranza ha precisato che albergatori, ristoratori e negozianti non avranno il diritto di chiedere ai clienti il certificato. In caso di infezione da Covid, che viene registrata dalle banche dati, il green pass viene immediatamente revocato. A tutela dei dati personali, il QR Code della certificazione andrà mostrato soltanto al personale preposto per legge ai controlli. Con l'attivazione avvenuta ieri della piattaforma nazionale realizzata e gestita da Sogei, i cittadini possono ricevere le notifiche via email o sms con l'avviso che la certificazione è disponibile e un codice per scaricarla su pc, tablet o smartphone. L'invio dei messaggi e lo sblocco delle attivazioni proseguirà per tutto il mese di giugno, e sarà pienamente operativo dal 28 giugno, in tempo per l'attivazione del pass europeo il 1° luglio.

DOVE SCARICARE IL PASS La certificazione verde si potrà visualizzare, scaricare e stampare su diversi canali digitali: sul sito dedicato dgc.gov.it, sul sito del Fascicolo Sanitario Elettronico Regionale (fascicolosanitario.gov.it/fascicoli-regionali), sull' App Immuni e presto sull' App IO, per la quale devono essere ancora sciolte le problematiche sollevate dal garante della privacy. «Dal 1° luglio», spiega il ministero della Salute, «la certificazione verde COVID-19 sarà valida come Eu digital COVID certificate e renderà più semplice viaggiare da e per tutti i Paesi dell'Unione europea e dell'area Schengen». Da notare che il sito dgc.gov.it, che offre tutte le informazioni sul digital green pass è operativo da ieri. E che tutte le certificazioni associate alle vaccinazioni effettuate fino al 17 giugno saranno rese disponibili entro il 28 giugno. La piattaforma informatica nazionale dedicata al rilascio delle certificazioni sarà progressivamente allineata con le nuove vaccinazioni. I cittadini già dai prossimi giorni potranno ricevere notifiche via email o sms e la certificazione sarà disponibile per la visualizzazione e la stampa su pc, tablet o smartphone.

Graziella Melina per “il Messaggero” il 20 giugno 2021. «Dobbiamo pure stampare i certificati come se fossimo delle copisterie?». Passi il sovraccarico lavorativo dell'ultimo anno e mezzo a causa della pandemia. Passi pure la disponibilità a somministrare il vaccino nei vari hub. Ma ora ai medici di famiglia l'idea di dover consegnare ai pazienti persino il green pass non va proprio giù. Il decreto firmato dal presidente del Consiglio Mario Draghi prevede infatti che il certificato europeo, che permette la partecipazione ad eventi pubblici, l'accesso alle strutture sanitarie assistenziali e gli spostamenti sul territorio nazionale e nell' Ue, possa essere rilasciato anche dal medico di base, o dal pediatra di libera scelta. Tempo neanche 12 ore e arriva il fermo no delle sigle sindacali, che stavolta fanno fronte comune. «Innanzitutto - premette Silvestro Scotti, segretario nazionale della Federazione italiana medici di medicina generale - non siamo stati consultati su questo compito che non riteniamo sia ascrivibile a un medico». La ragione del dissenso sta infatti proprio nel compito che viene richiesto. «Crediamo sia umiliante per un professionista medico essere inserito all' interno di certi percorsi semplicemente di tipo burocratico. Stampare un Qr code che diventa un green pass come un tabaccaio o un ufficio del comune, non mi pare sia un modo per valorizzare l'atto medico». In realtà, le certificazioni si potranno ottenere anche attraverso un sito web apposito, oppure consultando il fascicolo sanitario elettronico, attraverso le App Immuni e IO, oltre che con il Sistema tessera sanitaria. «Il problema - spiega Scotti - è che le piattaforme regionali non dialogano fra di loro. Ma serviva un sistema unico. È chiaro che utilizzando il sistema della certificazione di malattia, i oggetti presenti sul territorio che hanno una chiave di accesso sono due, ossia i medici di famiglia e i farmacisti. Ma mentre loro potranno assegnare questo compito ai dipendenti, visto che usano il sistema solo per i processi amministrativi, noi invece, accedendo per i processi certificativi, usiamo una password che non passiamo assolutamente comunicare ai collaboratori di studio». Più che un certificato in più da stampare, ciò che spaventa i medici è a china che potrebbe prendere la medicina territoriale. «Non ci coinvolgono all'interno dei processi assistenziali - denuncia Scotti - e invece prevale l'idea di un medico burocrate. Cosa succederebbe se ci fosse un medico dipendente? A quel punto il cittadino non avrebbe più un medico, ma un tabaccaio, uno che gli fornisce i documenti. Lo scenario che si apre e che preoccupa è che quando avremo le case di comunità, si vorrà usare la prossimità per risolvere i problemi di burocrazia e non per potenziare l'assistenza». Sulla stessa linea, anche Snami, Smi, Simet, Cgil Medici, Federazione Cipe-Sispe-Sinspe. «Quello che ci viene chiesto non è di fare un certificato, ma di limitarci a stampare un certificato fatto da altri - sottolinea Pina Onotri, segretario generale del Sindacato medici italiani - È una richiesta assolutamente indecente. Ci stanno sovraccaricando di lavori inutili e, in tutto questo, ci stanno distogliendo dalla nostra attività quotidiana». Per i medici, insomma, sono altri i canali da utilizzare per poter aver il green pass. «Qualsiasi cittadino - ribadisce Onotri - anche se privo di collegamento internet oppure di competenze informatiche può rivolgersi ad una copisteria o ad un conoscente. Trovo assurdo che in questi giorni riceviamo decine di telefonate per richieste che riguardano partenze, viaggi, green card, passaporti. Poi, magari, chi è ammalato di tumore e ha un problema grave, non riesce a raggiungere il medico né a mettersi in contatto perché di fatto il medico di famiglia è sovraccaricato da incombenze che nulla hanno a che fare con le nostre funzioni. Numerosi colleghi sono esasperati - ammette alla fine Onotri - Ci sentiamo l'ultima ruota del carro, bistrattati e maltrattati nonostante abbiamo fatto la nostra parte. Molti hanno pure perso la vita perché si sono infettati. Ma questo qualcuno continua a dimenticarlo».

DA leggo.it il 14 giugno 2021. I presidenti delle istituzioni Ue (David Sassoli per il Parlamento, Ursula von der Leyen per la Commissione e Antonio Costa per il Consiglio Ue) hanno firmato a Bruxelles il regolamento che istituisce il certificato Covid digitale Ue, o Green Pass, a partire dal prossimo primo luglio. Il certificato aiuterà i viaggiatori all'interno dell'Ue che lo detengono ad evitare di essere sottoposti a test e/o quarantene quando viaggiano all'interno dell'Unione, contribuendo così al graduale ripristino della libertà di circolazione in Europa, di fatto coartata dalle restrizioni introdotte dagli Stati per ragioni di salute pubblica. Dal primo luglio, quando entrerà in vigore il regolamento, il Pass sarà un diritto per tutti i cittadini Ue che abbiano i requisiti: vale per chi è stato vaccinato, per chi è guarito dalla Covid-19 e per chi si sottopone a un test e risulta negativo. Il certificato sarà rilasciato dalle autorità nazionali gratuitamente, in formato digitale o cartaceo e riporterà un codice Qr che consentirà di verificarne l'autenticità in tutta Europa: per i certificati già emessi da Stati o regioni, è previsto un periodo di 6 settimane perché possano essere resi compatibili con il modello Ue (i Paesi membri avevano chiesto mesi di tempo, il Parlamento ha spinto per abbreviare questo periodo). Il Gateway, la piattaforma informatica Ue che rende possibile il Pass e che fornisce le chiavi digitali che consentono la validità transfrontaliera, è operativo da inizio mese e alcuni Paesi hanno già iniziato a rilasciare certificati: finora ne sono stati emessi oltre un milione. Se ottenere il Pass sarà un diritto, il suo utilizzo potrà però variare in qualche misura da Stato a Stato. Con queste avvertenze, ecco i dettagli.

VACCINATI

Il Pass sarà valido a partire da quattordici giorni dopo l'ultima dose di vaccino anti-Covid. A partire da quel giorno, le persone pienamente vaccinate, cioè con due dosi per AstraZeneca, Pfizer/BioNTech e Moderna e con una dose per Janssen (J&J), che detengono il certificato, dovrebbero essere esentate, in viaggio, da test e quarantene. Lo stesso deve valere per le persone che sono guarite e che hanno ricevuto una sola dose di vaccino, considerata sufficiente per essere protetti dalla malattia. Un Paese è libero di scegliere di riconoscere e rilasciare il Pass anche dopo la prima dose, ma ogni Stato può decidere di comportarsi come crede, in questo caso: quindi, per esempio, l'Italia può rilasciare il Pass dopo la prima dose, ma la Danimarca è libera di non riconoscerlo e di chiedere un test. Se uno Stato membro accetta una prova di vaccinazione per rimuovere le restrizioni all'interno dopo la prima dose, allora deve accettare anche i pass Ue per i vaccini, alle stesse condizioni. Il pass vale per i cittadini Ue vaccinati con vaccini autorizzati dall'Ema; gli Stati possono decidere di riconoscere altri vaccini, autorizzati a livello nazionale e non a livello Ue (come il siero russo Sputnik in Ungheria).

GUARITI

Le persone guarite dalla Covid-19 dovrebbero essere esentate da test e/o quarantene nei 180 giorni successivi al test Pcr positivo, che attesta l'avvenuta infezione (la validità del certificato è a partire dall'undicesimo giorno dopo il test, una volta terminato il periodo di contagiosità). 

TEST

Per chi non è vaccinato né guarito, allora resta il test, che il pass certifica e che viene così riconosciuto anche all'estero, a differenza di quanto accade oggi. Per i test viene proposto un periodo di validità standard (oggi ogni Paese stabilisce la validità autonomamente): per i test Pcr o molecolari la validità è di 72 ore, mentre per quelli rapidi antigenici è di 48 ore. Quelli rapidi, considerati sempre più affidabili, vengono raccomandati, ma gli Stati sono liberi di scegliere se accettarli o no ai fini del Pass. Mentre i test si pagano, i vaccini sono gratuiti: questo elemento di discriminazione oggettiva non è stato rimosso nei negoziati tra Parlamento e Consiglio, a causa della ferma opposizione del secondo ad imporre la gratuità dei test, come chiedeva l'Aula. La Commissione ha stanziato 100 mln di euro aggiuntivi per aiutare gli Stati a dotarsi di test rapidi e abbassarne così il prezzo. Il certificato non viene rilasciato in presenza dell'esito di un test fai-da-te.

FAMIGLIE CON MINORI

Per evitare di separare i nuclei familiari alla frontiera, i minorenni che viaggiano con genitori esentati dall'obbligo di quarantena, per esempio perché sono vaccinati, dovrebbero essere esentati anche loro dalla quarantena. I bambini sotto i 6 anni di età sono esentati anche dai test: quelli dai 6 anni in su, però, dovranno sottoporsi a test per ottenere il pass. 

FRENO D'EMERGENZA

Viene previsto un meccanismo di freno d'emergenza: gli Stati dell'Ue non potranno imporre ulteriori restrizioni di viaggio ai titolari di certificati, come quarantena, autoisolamento o test, "a meno che non siano necessarie e proporzionate per salvaguardare la salute pubblica". Si dovrà tenere conto delle prove scientifiche, "compresi i dati epidemiologici pubblicati dal Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ecdc)". Le misure dovranno essere notificate, se possibile, con 48 ore di anticipo agli altri Stati membri e alla Commissione, mentre il pubblico dovrà ricevere un preavviso di appena 24 ore.

La guida (definitiva) al Green Pass: come averlo. Ignazio Riccio il 31 Maggio 2021 su Il Giornale. Il ritorno alla vita normale passa attraverso varie fasi, scandite con dovizia di particolari da parte del governo Draghi. A partire da metà giugno, sarà disponibile l’atteso “green pass”, sia in formato elettronico sia cartaceo, ma già da domani il ministero della Salute ha previsto che per determinate attività, in zona gialla e in zona bianca, o per viaggiare, bisognerà presentare la certificazione che dimostri che si è vaccinati, guariti dal Covid, o negativi a un tampone. Il ritorno alla vita normale passa attraverso varie fasi, scandite con dovizia di particolari da parte del governo Draghi. In attesa del “green pass”, come si potrà dimostrare di non essere ammalati di Coronavirus? Per il momento basterà esibire un documento che viene rilasciato dall’autorità sanitaria. Questo certificato dovrà attestare che si è stati vaccinati, che si è guariti dal Covid-19, oppure che si è stati sottoposti a un tampone, con esito negativo. Nel caso in cui una persona ha fatto la prima dose del vaccino, la certificazione rilasciata dall’hub vaccinale è valida a partire dal quindicesimo giorno dall’inoculazione. Per chi, invece, ha fatto entrambe le dosi, o per chi ha ricevuto un vaccino monodose, è valida la certificazione rilasciata dopo aver effettuato l’iniezione. Questo tipo di “lascia passare” vale per nove mesi, mentre quello riferito alla prima dose ha validità fino alla seconda inoculazione. Per chi è guarito dal Coronavirus, come riporta il Corriere della Sera, bisogna presentare la certificazione rilasciata dall’ospedale (nel caso si è stati ricoverati), oppure dal medico di base o dal pediatra. Chi non è stato vaccinato e non si è ammalato neppure di Covid-19, fa fede l’esito negativo di un tampone antigenico, molecolare o salivare effettuato nelle 48 ore precedenti. Ma quando e dove serve effettivamente il “green pass”? Sia la certificazione provvisoria sia il documento che verrà rilasciato a partire da metà giugno, è obbligatorio, in zona gialla e in zona bianca, per partecipare a feste o banchetti conseguenti alle cerimonie civili o religiose. Inoltre, è utile per andare in regioni arancioni o rosse, anche se per il momento non ce ne sono. Alcuni enti locali potrebbero emettere ordinanze ad hoc che richiedano il pass che, in ogni caso, servirà anche ai minori, a tutti coloro che hanno più di due anni.

Quando e come ottenere il "green pass". Per viaggiare all’estero la certificazione è richiesta. In alcuni Paesi specifici, come Spagna, Grecia e Francia è obbligatorio anche il tampone. Per garantire l'unità familiare, i minori che sono con i genitori dovrebbero essere esentati dalla quarantena quando i genitori stessi non devono sottoporsi all'isolamento, ad esempio perché vaccinati. E anche i bambini sotto i sei anni dovrebbero essere esentati dai test relativi al viaggio. La commissione europea, infine, come scrive la Repubblica, propone di adottare la divisione in fasce colorate secondo la mappa dell'Ecdc (Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie): per i viaggiatori provenienti da aree verdi, non ci dovrebbe essere alcuna restrizione; per i viaggiatori provenienti dalle zone arancioni, gli Stati membri dovrebbero richiedere un test prima della partenza (antigenico o molecolare); per i viaggiatori provenienti da zone rosse, gli Stati membri potrebbero imporre ai viaggiatori di sottoporsi a quarantena, a meno che non abbiano un test pre-partenza. Per le zone rosso scuro, dovrebbero essere fortemente sconsigliati i viaggi non essenziali e dovrebbero restare gli obblighi di test e quarantena. Sui termini di consegna del “green pass” non ci sono ancora indicazioni precise. Il pass elettronico, come spiegato dal ministro per l’Innovazione tecnologica e la transizione digitale Vittorio Colao, si potrà scaricare anche sulle applicazioni “Io” e “Immuni”. L’alternativa alle app sarà un sito. Su quello cartaceo non si è ancora decisa la procedura di consegna definitiva.

Ignazio Riccio. Sono nato a Caserta il 5 aprile del 1970. Giornalista dal 1997, nel corso degli anni ho accumulato una notevole esperienza nel settore della comunicazione, del marketing e dell’editoria. Scrivo per ilGiornale.it dal 2018. Nel 2017 è uscito il mio primo libro, il memoir Senza maschere

La guida (definitiva) al Green Pass: come averlo. Ignazio Riccio il 31 Maggio 2021 su Il Giornale. Il ritorno alla vita normale passa attraverso varie fasi, scandite con dovizia di particolari da parte del governo Draghi. A partire da metà giugno, sarà disponibile l’atteso “green pass”, sia in formato elettronico sia cartaceo, ma già da domani il ministero della Salute ha previsto che per determinate attività, in zona gialla e in zona bianca, o per viaggiare, bisognerà presentare la certificazione che dimostri che si è vaccinati, guariti dal Covid, o negativi a un tampone. Il ritorno alla vita normale passa attraverso varie fasi, scandite con dovizia di particolari da parte del governo Draghi. In attesa del “green pass”, come si potrà dimostrare di non essere ammalati di Coronavirus? Per il momento basterà esibire un documento che viene rilasciato dall’autorità sanitaria. Questo certificato dovrà attestare che si è stati vaccinati, che si è guariti dal Covid-19, oppure che si è stati sottoposti a un tampone, con esito negativo. Nel caso in cui una persona ha fatto la prima dose del vaccino, la certificazione rilasciata dall’hub vaccinale è valida a partire dal quindicesimo giorno dall’inoculazione. Per chi, invece, ha fatto entrambe le dosi, o per chi ha ricevuto un vaccino monodose, è valida la certificazione rilasciata dopo aver effettuato l’iniezione. Questo tipo di “lascia passare” vale per nove mesi, mentre quello riferito alla prima dose ha validità fino alla seconda inoculazione. Per chi è guarito dal Coronavirus, come riporta il Corriere della Sera, bisogna presentare la certificazione rilasciata dall’ospedale (nel caso si è stati ricoverati), oppure dal medico di base o dal pediatra. Chi non è stato vaccinato e non si è ammalato neppure di Covid-19, fa fede l’esito negativo di un tampone antigenico, molecolare o salivare effettuato nelle 48 ore precedenti. Ma quando e dove serve effettivamente il “green pass”? Sia la certificazione provvisoria sia il documento che verrà rilasciato a partire da metà giugno, è obbligatorio, in zona gialla e in zona bianca, per partecipare a feste o banchetti conseguenti alle cerimonie civili o religiose. Inoltre, è utile per andare in regioni arancioni o rosse, anche se per il momento non ce ne sono. Alcuni enti locali potrebbero emettere ordinanze ad hoc che richiedano il pass che, in ogni caso, servirà anche ai minori, a tutti coloro che hanno più di due anni.

Quando e come ottenere il "green pass". Per viaggiare all’estero la certificazione è richiesta. In alcuni Paesi specifici, come Spagna, Grecia e Francia è obbligatorio anche il tampone. Per garantire l'unità familiare, i minori che sono con i genitori dovrebbero essere esentati dalla quarantena quando i genitori stessi non devono sottoporsi all'isolamento, ad esempio perché vaccinati. E anche i bambini sotto i sei anni dovrebbero essere esentati dai test relativi al viaggio. La commissione europea, infine, come scrive la Repubblica, propone di adottare la divisione in fasce colorate secondo la mappa dell'Ecdc (Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie): per i viaggiatori provenienti da aree verdi, non ci dovrebbe essere alcuna restrizione; per i viaggiatori provenienti dalle zone arancioni, gli Stati membri dovrebbero richiedere un test prima della partenza (antigenico o molecolare); per i viaggiatori provenienti da zone rosse, gli Stati membri potrebbero imporre ai viaggiatori di sottoporsi a quarantena, a meno che non abbiano un test pre-partenza. Per le zone rosso scuro, dovrebbero essere fortemente sconsigliati i viaggi non essenziali e dovrebbero restare gli obblighi di test e quarantena. Sui termini di consegna del “green pass” non ci sono ancora indicazioni precise. Il pass elettronico, come spiegato dal ministro per l’Innovazione tecnologica e la transizione digitale Vittorio Colao, si potrà scaricare anche sulle applicazioni “Io” e “Immuni”. L’alternativa alle app sarà un sito. Su quello cartaceo non si è ancora decisa la procedura di consegna definitiva.

Ignazio Riccio. Sono nato a Caserta il 5 aprile del 1970. Giornalista dal 1997, nel corso degli anni ho accumulato una notevole esperienza nel settore della comunicazione, del marketing e dell’editoria. Scrivo per ilGiornale.it dal 2018. Nel 2017 è uscito il mio primo libro, il memoir Senza maschere

Da lastampa.it il 20 maggio 2021. Il parlamento dell’Unione Europea e il Consiglio hanno raggiunto un accordo sulla proposta di un certificato Covid digitale dell'Ue, il “Green Pass”, che renderà i viaggi durante la pandemia più facili e sicuri. Anche se si specifica che non sarà «una precondizione per esercitare il diritto alla libertà di circolazione», si apprende da fonti parlamentari. Il certificato dovrebbe infatti provare l'avvenuta vaccinazione con vaccini approvati dall'Ema (per quelli non approvati la scelta se riconoscerli o meno spetterà agli Stati) o la negatività ad un test. Per quanto riguarda la guarigione dal Covid, l'utilizzo dei test sierologici come prova sarà possibile solo più tardi, con un atto delegato, riferiscono fonti parlamentari, sulla base di «evidenze». Il regolamento entrerà in vigore dal primo luglio 2021 e resterà valido per un anno. «Un importante passo verso il ripristino della libera circolazione dei cittadini nella massima sicurezza possibile» ha commentato su Twitter la commissaria Ue alla Salute Stella Kiriakides, aggiungendo che l'intesa «fornisce ai nostri cittadini chiarezza e certezza». Didier Reynders, commissario alla giustizia, ha sottolineato come l'accordo sia stato trovato «in tempi da record per salvaguardare la libertà di movimento di tutti i cittadini».

Alessandro Trocino per il “Corriere della Sera” il 7 maggio 2021. La frenata del garante della privacy, i dubbi sui costi che potrebbero rallentare il turismo, le incertezze sull' applicazione concreta, le critiche sul tampone come lasciapassare e la difficile convergenza con gli altri Paesi europei. Il certificato verde italiano (o pass vaccinale) è appena nato, ma già si pensa a come modificarlo, visto che i dubbi sono molti e anche all' interno del governo c' è chi si chiede se non ci si è infilati in un cul de sac iperburocratico che rischia di rallentare, invece di facilitare, secondo quello che era il suo scopo, il turismo interno e internazionale nella stagione estiva. Il certificato italiano è già in vigore in Italia da lunedì 26 aprile e a giugno dovrebbe arrivare anche il Digital green certificate, il pass europeo, che consentirà di viaggiare liberamente tra i diversi Paesi. Attualmente il certificato italiano non esiste fisicamente, ma solo virtualmente: consiste in uno dei tre documenti che integrano i requisiti necessari. Che sono l'essere stati vaccinati (con seconda dose) entro i sei mesi precedenti; essere guariti dal Covid nello stesso periodo; avere fatto un tampone molecolare o test rapido negativo non più di 48 ore prima. Per ora, serve a poco. Sostanzialmente solo ad entrare nelle regioni arancioni o rosse (ma a giugno, presumibilmente, non ce ne saranno). La critica più pesante è quella del garante della privacy Pasquale Stanzione. In audizione nelle Commissioni riunite Affari costituzionali, Giustizia e Affari sociali, ha spiegato che bisogna escludere esplicitamente usi diversi da quelli previsti dal decreto e individuare il titolare del trattamento dei dati. Non solo: «È superflua l' indicazione del numero di dosi di vaccino o del tipo di vaccino, ma anche la previsione di modelli di certificazioni verdi diversi a seconda della condizione (vaccinazione, guarigione, test negativo) in virtù della quale esse sono rilasciate». Palazzo Chigi, con il sottosegretario Roberto Garofoli, sta lavorando per adeguare le norme. La critica scientifica più pesante era arrivata da un tweet del virologo Roberto Burioni, secondo il quale il tampone recente per avere il pass è «un pericolosissimo controsenso». Ma anche il viceministro della Salute Piergiorgio Sileri è critico. Ieri ha incontrato il portavoce del Cts e presidente dell' Istituto superiore di sanità Silvio Brusaferro per esporgli le sue idee. Vorrebbe estendere a un anno il tempo dalla vaccinazione; includere anche chi non sa quando è guarito ma risulta avere gli anticorpi alti da un test quantitativo; usare il pass come condizione per entrare nelle Rsa, per accedere a treni e aerei Covid free e per eventi sportivi con pubblico limitato. Il governo sta valutando e si sta lavorando anche in sede europea per trovare regole comuni, in presenza di prassi, al momento, molto diverse. Il pass attuale andrà in parallelo con quello europeo, che diventerà digitale. Dopo la cabina di regia della prossima settimana, il Consiglio dei ministri varerà qualche modifica, allargando il campo d' azione e precisando alcuni elementi. Anche per disinnescare il consueto controcanto di Matteo Salvini, che già avverte: «Il Covid Pass europeo ha senso per far ripartire il turismo e consentire agli stranieri di venire in Italia, ma non deve diventare uno strumento per complicare ulteriormente la vita agli italiani». Qualche confusione c' è a livello regionale. La Liguria ha approvato un' ordinanza che recepisce le faq del ministero, anche se non pareva necessario. A Bolzano, zona rossa, il locale «corona pass» è condizione per accedere ai cinema. La Campania ha abilitato il pass regionale per «facilitazioni all' accesso dei servizi e/o deroghe alle misure di sicurezza più restrittive». Ma il vero punto di svolta sarà il pass europeo, che potrebbe consentire di ridurre il buco di 53 miliardi di euro causato al turismo dal Covid.

Marco Bresolin per "La Stampa" il 15 aprile 2021. Il Certificato Verde Digitale europeo fa un altro passo avanti, anche se con una chiara avvertenza: non sarà un passaporto. Era chiaro sin dall' inizio, ma i governi Ue hanno deciso di scriverlo nero su bianco sul carnet che sarà utilizzato dai cittadini a partire dalla prossima estate: «Questo certificato non è un documento di viaggio». L' avvertenza è una delle novità introdotte ieri dagli ambasciatori dei 27, che hanno trovato l' intesa sugli emendamenti al testo proposto dalla Commissione. In sostanza hanno stabilito che il possesso del certificato «non sarà un pre-requisito per esercitare la libertà di movimento». Cosa significa? Che non ci saranno discriminazioni, ma anche che i Paesi potranno continuare a imporre limitazioni ai cittadini Ue che intendono entrare sul loro territorio, come test aggiuntivi o quarantena. Cambia anche la durata. La Commissione aveva previsto di utilizzarlo fino a quando l' Oms non dichiarerà conclusa la pandemia, i governi hanno invece preferito fissare una scadenza: 12 mesi. I Paesi avranno sei settimane di tempo per adeguarsi dal giorno della sua entrata in vigore, al momento prevista per giugno. Ma tutto dipenderà dall' approvazione definitiva: dopo l' intesa tra i 27 al Consiglio Ue, il testo ora dovrà essere negoziato con il Parlamento e non sono esclusi ulteriori emendamenti. La struttura comunque non dovrebbe cambiare. Il regolamento dice che i governi dovranno rilasciare il documento in formato cartaceo o digitale (oppure entrambi). Sarà bilingue (in inglese e nella lingua del Paese che lo emette), gratuito (ma in caso di «smarrimento ripetuto» bisognerà pagare), avrà un codice a barre e conterrà i dati anagrafici del possessore. Accanto a questi ci sarà la possibilità di inserire le informazioni legate all' immunità o alla non positività: il certificato di vaccinazione, il risultato di un test sierologico per dimostrare la presenza di anticorpi oppure l' esito di un test rapido o molecolare (quelli riconosciuti dall' Ue) eseguiti da un' autorità sanitaria. Come detto, questo non garantirà la libertà di circolazione, visto che i singoli Stati potranno decidere di imporre comunque delle limitazioni, obbligando per esempio i viaggiatori all' auto-isolamento per un periodo di tempo. Per questo riporterà la seguente avvertenza: «Questo certificato non è un documento di viaggio. Le prove scientifiche sulla vaccinazione, sui test e sulla guarigione dal Covid19 continuano a evolversi, anche in vista di nuove e preoccupanti varianti del virus. Prima di mettersi in viaggio, verificare le misure di sanità pubblica applicabili e le relative restrizioni in vigore nel punto di destinazione». I singoli Paesi dovranno riconoscere le vaccinazioni effettuate con i farmaci autorizzati dall' Ema, ma saranno liberi di scegliere se accettare anche quelle effettuate con vaccini approvati solo da alcuni Paesi, come ad esempio Sputnik V, utilizzato in Ungheria.

Da leggo.it il 28 marzo 2021. Il capo della task force Ue per i vaccini Thierry Breton ha mostrato il primo “passaporto sanitario” europeo aggiungendo che sarà disponibile in tutta l'Unione europea «tra due-tre mesi». Intervenendo ad una trasmissione sulla radio francese Rtl, il commissario europeo al Mercato interno ha fatto vedere un prototipo del documento che sarà disponibile sia in versione cartacea che per smartphone. Sul documento, un codice QR e il tipo di vaccino effettuato. Per chi non ha ancora o non ha voluto effettuare il vaccino contro il coronavirus ci sarà il risultato dell'ultimo tampone effettuato. La versione per smartphone è su sfondo giallo, mentre quella cartacea è su sfondo verde. Tutte e due riportano le stesse informazioni, ma sullo smartphone è possibile visualizzare tanto una versione sintetizzata quanto una completa. Breton ha ribadito che si tratterà di un documento "armonizzato", dunque "uguale dappertutto" in Ue e "coperto dalla regolamentazione generale dei dati personali". Quando gli è stato chiesto se sarà facoltativo o obbligatorio, ha risposto che potrà farlo chi vuole e, quanto a chi non sarà vaccinato, ha dichiarato: "Non significa che non accetteremo tutti, ci saranno comunque i test antigenici. Bisogna organizzarsi molto rapidamente per riaprire". L'immunità di gregge dal coronavirus dovrebbe essere ottenuta entro metà luglio. È la previsione di Thierry Breton, commissario Ue al mercato interno e capo della task force sui vaccini. Parlando con la radio francese Rtl, Breton ha detto inoltre che la prossima estate dovrebbe «essere simile a quella dell'anno scorso» grazie alle campagne vaccinali in corso nell'Unione europea.

"Legge con gravi criticità". Tutte le spine del pass. Antonella Aldrighetti il 24 Aprile 2021 su Il Giornale. Il Garante boccia il decreto: "Modifiche a tutela delle libertà delle persone". Scontro sui tamponi. Il certificato verde per andare in vacanza bollato come lacunoso prima di nascere. Il documento riceveo un sonoro richiamo dal garante della privacy che sottolineato la necessità di tutela dei diritti e delle libertà delle persone. Il provvedimento formale inviato a tutte le autorità competenti e anche al presidente del Consiglio, Mario Draghi, imputa insoddisfacente la misura relativa alla protezione dei dati personali oltre ad annoverare una serie di rischi: scadenze, dati inesatti, mancati aggiornamenti, integrità e riservatezza, che si andrebbero a ripercuotere con gravi effetti sulla libertà di spostamento individuale. «La norma appena approvata per la creazione e la gestione delle certificazioni verdi presenta criticità tali da inficiare, se non opportunamente modificata, la validità e il funzionamento del sistema previsto per la riapertura degli spostamenti durante la pandemia», è l'indicazione del garante che sottolinea oltremodo anche il contrasto con quanto previsto dal regolamento europeo in materia di protezione dei dati personali. E infatti il decreto non definisce con precisione le finalità per il trattamento dei dati sulla salute degli italiani mentre lascia spazio a molteplici e imprevedibili utilizzi futuri, in potenziale disallineamento anche con analoghe iniziative europee. Non viene specificato chi è il titolare del trattamento dei dati, in violazione del principio di trasparenza, rendendo così difficile se non impossibile anche l'esercizio dei diritti degli interessati: ad esempio, in caso di informazioni non corrette. Senza contare che la bozza del certificato verde acclusa al decreto 52 del 22 aprile, a leggere la nota del garante, comprenderebbe un utilizzo eccessivo di dati sui certificati da esibire in caso di controllo, in violazione del principio di minimizzazione (data di scadenza del green pass, o data di ultimata vaccinazione). Tra andata e ritorno dalle vacanze il costo medio per 4 persone, una famiglia standard, potrebbe superare i 200 euro, ammesso che il viaggio sia solo verso un'unica località. Diversamente si dovrebbero conteggiare almeno 100 euro a tratta ogni 48 ore per tamponi e test antigenici. Quanto invece alle modalità per registrare l'avvenuta indagine virale e sierologica queste sarebbero disallineate anche con analoghe iniziative europee. Già, perché a partire dalla prossima settimana il parlamento europeo in seduta plenaria discuterà anche di certificato Covid 19. Così a oggi dovrebbe chiamarsi e conterrebbe, a quanto raccontato da fonti parlamentari, poche analogie e troppe differenze con quello italiano. La certificazione Ue avrà un codice QR e dovrà essere informatizzato in una banca dati (gateway) internazionale aggiornata. In Italia il processo di digitalizzazione, soprattutto nella maggioranza delle regioni del Centro-Sud, non contempla una rete adeguata che supporti Asl, farmacie e distretti sanitari affinché un gateway europeo si possa connettere per l'entrata e l'uscita dei dati in tempo reale. Il nostro certificato rilasciato dalla Asl dopo la vaccinazione è essenzialmente cartaceo, tranne in pochi territori, altrettanto quello rilasciato dalla farmacia per il tampone o dal medico di famiglia dopo aver contratto il Covid ed essere guariti. Il caso estivo pare garantito.

Cos’è il "green pass", la certificazione per gli spostamenti tra regioni: come funzionano i tre modelli. Carmine Di Niro su Il Riformista il 20 Aprile 2021. Non più l’autocertificazione che ormai da oltre un anno contraddistingue la vita quotidiana degli italiani alle prese con gli spostamenti. Per entrare o uscire da Regioni e Province autonome in zona arancione o rossa dal 26 aprile prossimo sarà necessari un green pass, una ‘certificazione verde’ cartacea o digitale. Nella bozza del nuovo decreto che entrerà in vigore lunedì 26 aprile, quando torneranno anche le zona gialla in Italia, verrà introdotto il nuovo metodo che consentirà gli spostamenti. La certificazione sarà rilasciata “al fine di attestare una delle seguenti condizioni: avvenuta vaccinazione anti-SARS-CoV-2, al termine del prescritto ciclo; avvenuta guarigione da Covid-19; effettuazione di test antigenico rapido o molecolare con esito negativo al virus”. Nel primo caso il certificato avrà una validità di sei mesi e sarà rilasciato in formato cartaceo o digitale, dalla struttura sanitaria che effettua la vaccinazione; nel secondo caso invece avrà una validità di sei mesi e sarà rilasciata dalla struttura presso la quale è avvenuto il ricovero del paziente affetto da Covid-19, ovvero, per i pazienti non ricoverati, dai medici di medicina generale e dai pediatri di libera scelta; nel terzo infine rà una validità di 48 ore dal rilascio ed è prodotta dalle strutture sanitarie pubbliche da quelle private autorizzate e accreditate e dalle farmacie che svolgono i test ovvero dai medici di medicina generale o pediatri di libera scelta.

Carmine Di Niro. Romano di nascita ma trapiantato da sempre a Caserta, classe 1989. Appassionato di politica, sport e tecnologia

Passaporto vaccinale, i dubbi dell'Europa. Giorgetti: "Importante, ma serve uniformità". E la Campania ha già rilasciato 170mila card per rilanciare il turismo. Riccardo Pelliccetti - Ven, 26/03/2021 - su Il Giornale. Far ripartire il turismo (e l'economia in genere) grazie al passaporto vaccinale. Uno strumento controverso su cui l'Europa sembra non trovare un accordo. Ieri nel vertice a Bruxelles si è tornato a parlare di certificati digitali interoperabili Covid, sulla proposta della stessa Commissione Ue, per tornare a viaggiare appena le condizioni epidemiologiche lo permetteranno. Un progetto che, recita la bozza, «dovrebbe essere portato avanti con urgenza», anche se «la situazione epidemiologica del Covid resta grave, anche alla luce delle sfide poste dalle varianti. Le restrizioni, anche per quanto riguarda i viaggi non essenziali, devono quindi essere mantenute per il momento, mentre deve continuare a essere garantito il flusso senza ostacoli di merci e servizi all'interno del mercato unico, anche utilizzando i corridoi verdi». Nel frattempo i Paesi sull'argomento si muovo in ordine sparso. Il primo ministro britannico Boris Johnson ha aperto al documento, ma solo una volta che la prima dose sarà stata offerta a tutti i residenti nel Paese. Johnson ha anche aggiunto che una revisione sul potenziale uso di tale documento avverrà nel mese di aprile, ma ha confermato che nessuna decisione in merito è stata ancora presa a causa «della «complessità morale e dei problemi etici» alla base dell'adozione di tale documento. Il certificato di avvenuta vaccinazione potrebbe essere necessario anche per accedere a pub e ristoranti. In Belgio è già attivo un servizio di rilascio del QR code a chi ottiene il vaccino, in Germania il governo valuta l'opzione di dare a ogni imprenditore la scelta di chiedere o no l'attestato di avvenuta vaccinazione. E l'Italia? Mercoledì sera il ministro del Turismo Massimo Garavaglia aveva parlato del passaporto vaccinale come di uno strumento fondamentale per il settore, «sono già iniziate un po' di prenotazioni dall'estero, dagli Stati Uniti, verso l'Italia, in particolare per chi è già vaccinato, quindi si sta muovendo un po' tutto il settore su questo». Più cauto ieri il ministro per lo Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti, secondo cui «sul pass vaccinale ci sono dei profili delicati. Se siamo in grado di avere un'uniformità vaccinale è un conto, altrimenti si rischia di discriminare fasce di popolazioni che non riescono ad accedere ai vaccini anti Covid e che resterebbero penalizzate». Si porta avanti la Campania, dove sono state consegnate finora 170mila card di avvenuta vaccinazione al personale sanitario che ha completato la somministrazione con la seconda dose. Sono circa 4 milioni le card, una sorta di passaporto vaccinale, già ordinate dalla Regione per darle a tutti i cittadini vaccinati. «L'obiettivo - spiega il presidente della Regione, Vincenzo De Luca, in una nota - è utilizzare tale certificazione per rilanciare interi settori economici, in particolare il comparto turistico, cercando di legare la straordinaria offerta dei nostri territori alla certificazione di immunità degli operatori del settore».

Chiara Rossi per startmag.it il 17 marzo 2021. Non chiamatelo passaporto vaccinale. Arriverà prima dell’estate il Green Digital Pass per spostarsi e viaggiare senza restrizioni all’interno dell’Unione europea. Oggi la Commissione europea ha proposto ufficialmente l’iniziativa che agevolerà la libera circolazione all’interno dell’Ue durante la pandemia, evitando la quarantena o i test. Quest’estate i cittadini europei potranno dunque tornare a viaggiare fornendo la prova di essersi sottoposti alla vaccinazione. Oppure di essere risultati negativi a un test o di essere guariti dal Covid-19 ed avere sviluppato gli anticorpi. In questo modo non saranno costretti a mettersi in quarantena all’arrivo. Il certificato verde sarà infatti una prova del fatto che una persona è stata vaccinata contro il Covid-19, oppure è risultata negativa al test o è guarita. Ma Bruxelles ha chiarito che chi non è vaccinato deve poter continuare a esercitare il diritto di libera circolazione, e ove necessario (senza Green Pass valido) assoggettandosi a restrizioni come un test o un periodo di quarantena/autoisolamento. Per essere pronta prima dell’estate, la proposta della Commissione dovrà essere adottata rapidamente dal Parlamento europeo e dal Consiglio.  (Qui l’approfondimento di Start sugli Stati membri che premono e su quelli che frenano). Tutti i dettagli.

Il certificato sarà disponibile gratuitamente. Sarà redatto nella lingua ufficiale dello Stato membro di rilascio, oltre che in inglese.

Il certificato, in formato digitale o cartaceo, presenterà un codice QR che ne garantirà l’autenticità.

Il certificato verde digitale sarà valido in tutti gli Stati membri e aperto all’Islanda, al Liechtenstein, alla Norvegia come pure alla Svizzera.

Il Green Pass sarà infatti inter operabile e legalmente vincolante per gli Stati membri. Ammetterà tutti i vaccini disponibili sul mercato.

“Con il Green Digital Pass, stiamo adottando un approccio europeo per garantire che quest’estate i cittadini dell’Ue e i loro familiari possano viaggiare in sicurezza e con restrizioni minime” ha puntualizzato Didier Reynders, Commissario per la Giustizia Ue. “Il certificato verde digitale non sarà una conditio sine qua non per la libera circolazione e non sarà in alcun modo discriminatorio”. Tutti i cittadini dell’Ue, indipendentemente dal fatto che siano stati vaccinati o meno, godono infatti del diritto fondamentale di libera circolazione sul territorio dell’Unione. Il certificato verde digitale agevolerà l’esercizio di questo diritto, anche attraverso i certificati di test e di guarigione. Chi non è vaccinato deve poter continuare a esercitare il diritto di libera circolazione, e ove necessario (senza Green Pass valido) assoggettandosi a restrizioni come un test o un periodo di quarantena/autoisolamento. Riguardo ai dati sensibili, la Commissione europea ha precisato che i certificati includeranno una serie di informazioni limitate, come nome, data di nascita, data di rilascio. Oltre a informazioni rilevanti riguardanti il vaccino/i test/la guarigione, e un identificativo univoco del certificato. Si tratta di una misura temporanea. Il Green Pass sarà infatti sospeso una volta che l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) avrà dichiarato la fine dell’emergenza sanitaria internazionale.

Il Consiglio di Stato e la svolta. Regioni "bianche" e modello Sardegna: pass per vaccinati e tamponi negativi. Giovanni Guzzetta su Il Riformista il 14 Marzo 2021. Nel pieno del dramma pandemico e di fronte alla nuova ondata che avanza c’è qualche buona notizia. Il metodo sta finalmente cambiando. Nei tempi, come il presidente del Consiglio si era impegnato a fare per proteggere gli italiani dagli annunci shock dell’ultimo minuto, ma anche nel metodo. Le nuove misure sono state il frutto di un procedimento in cui, tra gli altri, sono state, ancora una volta, pienamente coinvolte le Regioni e il Consiglio dei ministri. Con l’esito di un Decreto-legge che restituisce al Parlamento la funzione di controllo di scelte certamente difficili e talvolta divisive. E per una volta ci fa dimenticare i famigerati Dpcm. Sullo sfondo di queste iniziative c’è anche un’altra notizia che può offrire uno spunto per ripensare le strategie future. Con un, ormai noto, Decreto monocratico, il Consiglio di Stato nella persona del Presidente della Terza sezione, Franco Frattini, ha dato sostanzialmente il via libera, seppure in sede cautelare, alla decisione del presidente della Regione Sardegna di limitare l’accesso alla Regione (attualmente l’unica bianca) solo a coloro che si siano sottoposti a tampone o abbiano ricevuto il vaccino anticovid. La decisione potrebbe far aprire un dibattito, e in parte lo ha già fatto, sull’opportunità di simili soluzioni. All’apparenza si tratta di una decisione molto restrittiva, perché condiziona la circolazione da e verso la Sardegna. A ben guardare però le cose non stanno esattamente così. Perché il concetto di restrizione è un concetto relativo. Dipende da ciò con cui lo si compara. Ed è a tutti noto che vige in questo momento (e ormai da mesi) in tutta Italia un divieto generalizzato di circolazione tra regioni e che in alcune zone esistono ancora più incisivi divieti di circolazione che possono giungere fino all’obbligo di permanere nel comune. Per non parlare delle misure di lockdown in casa in cui la circolazione non è permessa affatto. Tali misure sono derogabili solo per le note ragioni di necessità, lavoro e salute. Punto. Il modello sardo ci offre argomenti per riflettere. Perché cambia il tipo di approccio e passa dai divieti generalizzati ai divieti razionalizzati. Applicando quel principio di adeguatezza e proporzionalità tanto strombazzato quanto troppo spesso travolto in questi mesi. Le misure sarde rispondo a una logica diversa. Il divieto ha senso se è proporzionato al rischio. E chi è vaccinato o ha la fortuna di aver ricevuto un esito negativo nel sottoporsi a tampone minimizza drasticamente quel rischio. A questo punto allora la domanda non dovrebbe essere se sia giusto richiedere il tampone o il vaccino per entrare in Sardegna. La domanda dovrebbe essere: per quale motivo chi versa in una di queste condizioni (tampone negativo o vaccino) dovrebbe essere impedito nel circolare tra regioni, comuni o uscire persino di casa se non per i motivi eccezionali che conosciamo? Chi ha un tampone negativo o è vaccinato perché non dovrebbe poter andare al ristorante o al bar, perché non dovrebbe poter esercitare attività sportiva anche non in prossimità dell’abitazione? Perché non dovrebbe poter andare in palestra o a una riunione religiosa o culturale? Queste sono le domande che la vicenda sarda pone a tutti noi e ai decisori politici. Si può certo discutere se un’ordinanza sia lo strumento adeguato, e chi scrive ha sempre sostenuto che la base di simili misure dovrebbe essere legislativa (a cominciare da una normativa emanata con decreto-legge). E si può anche discutere, per quanto riguarda i vaccini, quali siano le condizioni perché, pur in assenza di obbligo vaccinale, si possano porre condizioni che differenziano tra chi lo ha fatto e chi no. Ma da questo punto di vista la giurisprudenza costituzionale dovrebbe rassicurarci (si veda la sent. 5/2018). Se ci sono le condizioni indicate dalla Consulta per imporre il vaccino, cosa impedisce al legislatore nella sua discrezionalità e facendo applicazione del principio di proporzionalità, di adottare una misura meno drastica (perché non obbliga alla vaccinazione) quale quella di imporre l’onere di sottoporsi al trattamento del tampone o, là dove possibile, del vaccino, per poter svolgere talune attività che oggi sono genericamente e universalmente vietate? Forse ragionare in termini pragmatici, e sempre nel rispetto della Costituzione, potrebbe rappresentare l’esempio di una capacità di creatività politica, che tutela il diritto alla salute, ma restituisce un po’ della altre libertà ormai da più di un anno fortemente sacrificate. E magari far ripartire anche l’economia. Se il benessere e la salute non sono solo concetti biologici, tentativi di ritornare a una normalità controllata e con le precauzioni sufficienti, piuttosto che essere genericamente stigmatizzati, andrebbero valutati con equilibrio. Perché anche andare a trovare un amico o un parente in un’altra regione, solo per il piacere di incontrarlo, nei limiti delle cautele predette, dà senso alla vita. E dopo tredici mesi in cui siamo stati spenti, un po’ di senso del vivere potrebbe anche aiutarci a ripartire, magari con un po’ di slancio.

Vaccini e tamponi diversamente obbligatori. Partiti e politici che si sono già inchinati al Covid Pass. Rec News il 13 Marzo 2021. Chi è favorevole all’introduzione del marchio dell’immune l marchio dell’immune o – detta molto meglio – il “covid pass”. Il Green Pass, il Common Pass, il passaporto sanitario. Comunque lo si chiami, la sostanza è sempre la stessa: un certificato o un Qr Code che possono avere solo i vaccinati e chi si sottopone a tamponi periodici, senza il quale non si potrà andare a scuola, lavorare, entrare in un locale o in un negozio, andare a un concerto, allo stadio, in palestra. Fantascienza? Per niente. In Italia, anzi, esiste già: si chiama Mitiga. Pazienza se vaccini e tamponi rimangono – come da normativa, trattati e convenzioni in vigore – volontari: i politici sotto la sfera di influenza del Word Economic Forum sono risoluti a raggirare l’ostacolo e a porre un freno, una limitazione, al libero accesso dei cittadini nei luoghi pubblici. La Lega – il partito degli aperturisti a fasi alterne che ha sostenuto “Io Apro”, movimento archiviato come una triste pagina di finto dissenso controllato – è addirittura entusiasta. “Credo che nel rispetto della privacy, della non discriminazione e della tutela dei dati, possa essere uno strumento utile e anche noi daremo il nostro contributo in questo senso”, ha detto Marco Campomenosi nel corso di un webinar sul Turismo che si è tenuto ieri che è stato organizzato dall’Ucio del Parlamento europeo e dalla Rappresentanza della Commissione Ue in Italia. Novelli di Forza Italia meno di dieci giorni fa bacchettava la Slovenia per la “violazione del principio della libera circolazione delle persone”, ieri il collega di partito Antonio Tajani dallo stesso webinar si dimostrava invece accomodante: “Sono favorevole come la mia famiglia europea a istituire il passaporto vaccinale per cominciare a far circolare i cittadini”. Carlo Fidanza di Fratelli d’Italia (la cosiddetta opposizione), si è invece dimostrato più concentrato sulla terminologia da far passare e sulle sfumature dei trattamenti sanitari da rendere diversamente obbligatori: “Non lo chiamerei passaporto vaccinale: serve un documento digitale che tenga insieme tutti i tipi di certificazione, tamponi, vaccino, e chi ha avuto il Covid e per un po’ è considerato immune”. Non ha sorpreso, infine, Fabio Massimo Castaldo (M5S), il grillino che votò a favore dell’insediamento della popolare Von der Leyer che ha parlato di “occasione per ripensare il turismo del futuro”. Il Covid pass italiano esiste già: si chiama Mitiga “Mostra la vaccinazione o la negatività al test e torna a vivere i tuoi eventi in sicurezza”. Non è Orwell ma l’applicazione che in un futuro prossimo potrebbe decidere chi può andare a un concerto o chi può guardare una partita allo stadio. Ancor prima dell’avvio ufficiale, la situazione sta già sfuggendo di mano.