Denuncio al mondo ed ai posteri con i miei libri tutte le illegalità tacitate ed impunite compiute dai poteri forti (tutte le mafie). Lo faccio con professionalità, senza pregiudizi od ideologie. Per non essere tacciato di mitomania, pazzia, calunnia, diffamazione, partigianeria, o di scrivere Fake News, riporto, in contraddittorio, la Cronaca e la faccio diventare storia. Quella Storia che nessun editore vuol pubblicare. Quelli editori che ormai nessuno più legge.
Gli editori ed i distributori censori si avvalgono dell'accusa di plagio, per cessare il rapporto. Plagio mai sollevato da alcuno in sede penale o civile, ma tanto basta per loro per censurarmi.
I miei contenuti non sono propalazioni o convinzioni personali. Mi avvalgo solo di fonti autorevoli e credibili, le quali sono doverosamente citate.
Io sono un sociologo storico: racconto la contemporaneità ad i posteri, senza censura od omertà, per uso di critica o di discussione, per ricerca e studio personale o a scopo culturale o didattico. A norma dell'art. 70, comma 1 della Legge sul diritto d'autore: "Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l'utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali."
L’autore ha il diritto esclusivo di utilizzare economicamente l’opera in ogni forma e modo (art. 12 comma 2 Legge sul Diritto d’Autore). La legge stessa però fissa alcuni limiti al contenuto patrimoniale del diritto d’autore per esigenze di pubblica informazione, di libera discussione delle idee, di diffusione della cultura e di studio. Si tratta di limitazioni all’esercizio del diritto di autore, giustificate da un interesse generale che prevale sull’interesse personale dell’autore.
L'art. 10 della Convenzione di Unione di Berna (resa esecutiva con L. n. 399 del 1978) Atto di Parigi del 1971, ratificata o presa ad esempio dalla maggioranza degli ordinamenti internazionali, prevede il diritto di citazione con le seguenti regole: 1) Sono lecite le citazioni tratte da un'opera già resa lecitamente accessibile al pubblico, nonché le citazioni di articoli di giornali e riviste periodiche nella forma di rassegne di stampe, a condizione che dette citazioni siano fatte conformemente ai buoni usi e nella misura giustificata dallo scopo.
Ai sensi dell’art. 101 della legge 633/1941: La riproduzione di informazioni e notizie è lecita purché non sia effettuata con l’impiego di atti contrari agli usi onesti in materia giornalistica e purché se ne citi la fonte. Appare chiaro in quest'ipotesi che oltre alla violazione del diritto d'autore è apprezzabile un'ulteriore violazione e cioè quella della concorrenza (il cosiddetto parassitismo giornalistico). Quindi in questo caso non si fa concorrenza illecita al giornale e al testo ma anzi dà un valore aggiunto al brano originale inserito in un contesto più ampio di discussione e di critica.
Ed ancora: "La libertà ex art. 70 comma I, legge sul diritto di autore, di riassumere citare o anche riprodurre brani di opere, per scopi di critica, discussione o insegnamento è ammessa e si giustifica se l'opera di critica o didattica abbia finalità autonome e distinte da quelle dell'opera citata e perciò i frammenti riprodotti non creino neppure una potenziale concorrenza con i diritti di utilizzazione economica spettanti all'autore dell'opera parzialmente riprodotta" (Cassazione Civile 07/03/1997 nr. 2089).
Per questi motivi Dichiaro di essere l’esclusivo autore del libro in oggetto e di tutti i libri pubblicati sul mio portale e le opere citate ai sensi di legge contengono l’autore e la fonte. Ai sensi di legge non ho bisogno di autorizzazione alla pubblicazione essendo opere pubbliche.
Promuovo in video tutto il territorio nazionale ingiustamente maltrattato e censurato. Ascolto e Consiglio le vittime discriminate ed inascoltate. Ogni giorno da tutto il mondo sui miei siti istituzionali, sui miei blog d'informazione personali e sui miei canali video sono seguito ed apprezzato da centinaia di migliaia di navigatori web. Per quello che faccio, per quello che dico e per quello che scrivo i media mi censurano e le istituzioni mi perseguitano. Le letture e le visioni delle mie opere sono gratuite. Anche l'uso è gratuito, basta indicare la fonte. Nessuno mi sovvenziona per le spese che sostengo e mi impediscono di lavorare per potermi mantenere. Non vivo solo di aria: Sostienimi o mi faranno cessare e vinceranno loro.
Dr Antonio Giangrande
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ANNO 2021
I PARTITI
SECONDA PARTE
DI ANTONIO GIANGRANDE
L’ITALIA ALLO SPECCHIO
IL DNA DEGLI ITALIANI
L’APOTEOSI
DI UN POPOLO DIFETTATO
Questo saggio è un aggiornamento temporale, pluritematico e pluriterritoriale, riferito al 2021, consequenziale a quello del 2020. Gli argomenti ed i territori trattati nei saggi periodici sono completati ed approfonditi in centinaia di saggi analitici specificatamente dedicati e già pubblicati negli stessi canali in forma Book o E-book, con raccolta di materiale riferito al periodo antecedente. Opere oggetto di studio e fonti propedeutiche a tesi di laurea ed inchieste giornalistiche.
Si troveranno delle recensioni deliranti e degradanti di queste opere. Il mio intento non è soggiogare l'assenso parlando del nulla, ma dimostrare che siamo un popolo difettato. In questo modo è ovvio che l'offeso si ribelli con la denigrazione del palesato.
IL GOVERNO
UNA BALLATA PER L’ITALIA (di Antonio Giangrande). L’ITALIA CHE SIAMO.
UNA BALLATA PER AVETRANA (di Antonio Giangrande). L’AVETRANA CHE SIAMO.
PRESENTAZIONE DELL’AUTORE.
LA SOLITA INVASIONE BARBARICA SABAUDA.
LA SOLITA ITALIOPOLI.
SOLITA LADRONIA.
SOLITO GOVERNOPOLI. MALGOVERNO ESEMPIO DI MORALITA’.
SOLITA APPALTOPOLI.
SOLITA CONCORSOPOLI ED ESAMOPOLI. I CONCORSI ED ESAMI DI STATO TRUCCATI.
ESAME DI AVVOCATO. LOBBY FORENSE, ABILITAZIONE TRUCCATA.
SOLITO SPRECOPOLI.
SOLITA SPECULOPOLI. L’ITALIA DELLE SPECULAZIONI.
L’AMMINISTRAZIONE
SOLITO DISSERVIZIOPOLI. LA DITTATURA DEI BUROCRATI.
SOLITA UGUAGLIANZIOPOLI.
IL COGLIONAVIRUS.
L’ACCOGLIENZA
SOLITA ITALIA RAZZISTA.
SOLITI PROFUGHI E FOIBE.
SOLITO PROFUGOPOLI. VITTIME E CARNEFICI.
GLI STATISTI
IL SOLITO AFFAIRE ALDO MORO.
IL SOLITO GIULIO ANDREOTTI. IL DIVO RE.
SOLITA TANGENTOPOLI. DA CRAXI A BERLUSCONI. LE MANI SPORCHE DI MANI PULITE.
SOLITO BERLUSCONI. L'ITALIANO PER ANTONOMASIA.
IL SOLITO COMUNISTA BENITO MUSSOLINI.
I PARTITI
SOLITI 5 STELLE… CADENTI.
SOLITA LEGOPOLI. LA LEGA DA LEGARE.
SOLITI COMUNISTI. CHI LI CONOSCE LI EVITA.
IL SOLITO AMICO TERRORISTA.
1968 TRAGICA ILLUSIONE IDEOLOGICA.
LA GIUSTIZIA
SOLITO STEFANO CUCCHI & COMPANY.
LA SOLITA SARAH SCAZZI. IL DELITTO DI AVETRANA.
LA SOLITA YARA GAMBIRASIO. IL DELITTO DI BREMBATE.
SOLITO DELITTO DI PERUGIA.
SOLITA ABUSOPOLI.
SOLITA MALAGIUSTIZIOPOLI.
SOLITA GIUSTIZIOPOLI.
SOLITA MANETTOPOLI.
SOLITA IMPUNITOPOLI. L’ITALIA DELL’IMPUNITA’.
I SOLITI MISTERI ITALIANI.
BOLOGNA: UNA STRAGE PARTIGIANA.
LA MAFIOSITA’
SOLITA MAFIOPOLI.
SOLITE MAFIE IN ITALIA.
SOLITA MAFIA DELL’ANTIMAFIA.
SOLITO RIINA. LA COLPA DEI PADRI RICADE SUI FIGLI.
SOLITO CAPORALATO. IPOCRISIA E SPECULAZIONE.
LA SOLITA USUROPOLI E FALLIMENTOPOLI.
SOLITA CASTOPOLI.
LA SOLITA MASSONERIOPOLI.
CONTRO TUTTE LE MAFIE.
LA CULTURA ED I MEDIA
LA SCIENZA E’ UN’OPINIONE.
SOLITO CONTROLLO E MANIPOLAZIONE MENTALE.
SOLITA SCUOLOPOLI ED IGNORANTOPOLI.
SOLITA CULTUROPOLI. DISCULTURA ED OSCURANTISMO.
SOLITO MEDIOPOLI. CENSURA, DISINFORMAZIONE, OMERTA'.
LO SPETTACOLO E LO SPORT
SOLITO SPETTACOLOPOLI.
SOLITO SANREMO.
SOLITO SPORTOPOLI. LO SPORT COL TRUCCO.
LA SOCIETA’
AUSPICI, RICORDI ED ANNIVERSARI.
I MORTI FAMOSI.
ELISABETTA E LA CORTE DEGLI SCANDALI.
MEGLIO UN GIORNO DA LEONI O CENTO DA AGNELLI?
L’AMBIENTE
LA SOLITA AGROFRODOPOLI.
SOLITO ANIMALOPOLI.
IL SOLITO TERREMOTO E…
IL SOLITO AMBIENTOPOLI.
IL TERRITORIO
SOLITO TRENTINO ALTO ADIGE.
SOLITO FRIULI VENEZIA GIULIA.
SOLITA VENEZIA ED IL VENETO.
SOLITA MILANO E LA LOMBARDIA.
SOLITO TORINO ED IL PIEMONTE E LA VAL D’AOSTA.
SOLITA GENOVA E LA LIGURIA.
SOLITA BOLOGNA, PARMA ED EMILIA ROMAGNA.
SOLITA FIRENZE E LA TOSCANA.
SOLITA SIENA.
SOLITA SARDEGNA.
SOLITE MARCHE.
SOLITA PERUGIA E L’UMBRIA.
SOLITA ROMA ED IL LAZIO.
SOLITO ABRUZZO.
SOLITO MOLISE.
SOLITA NAPOLI E LA CAMPANIA.
SOLITA BARI.
SOLITA FOGGIA.
SOLITA TARANTO.
SOLITA BRINDISI.
SOLITA LECCE.
SOLITA POTENZA E LA BASILICATA.
SOLITA REGGIO E LA CALABRIA.
SOLITA PALERMO, MESSINA E LA SICILIA.
LE RELIGIONI
SOLITO GESU’ CONTRO MAOMETTO.
FEMMINE E LGBTI
SOLITO CHI COMANDA IL MONDO: FEMMINE E LGBTI.
I PARTITI
INDICE PRIMA PARTE
SOLITI 5 STELLE… CADENTI. (Ho scritto un saggio dedicato)
Sono Comunisti.
Incapaci ed incompetenti. Dietro il vaffanculo…Niente.
Se non anche il Vaffanculo a se stessi.
Fratelli coltelli.
Andare…”ControVento”.
“Italia Più 2050”.
SOLITI 5 STELLE… CADENTI. (Ho scritto un saggio dedicato)
Il Contismo.
Giuseppe Conte.
Beppe Grillo.
Marco Morosini.
Luigi Di Maio.
Alfonso Bonafede.
Danilo Toninelli.
Lucia Azzolina.
Vito Crimi.
Roberto Fico.
Nicola Morra.
Vincenzo Spadafora.
Rocco Casalino.
Nina Monti.
Alessandro Di Battista.
Virginia Raggi.
Barbara Lezzi.
Roberta Lombardi.
Paola Taverna.
La Questione Morale.
La Variante Cinese.
I Raccomandati.
INDICE TERZA PARTE
SOLITA LEGOPOLI. LA LEGA DA LEGARE. (Ho scritto un saggio dedicato)
La Lega. Il comunismo in sala padana.
Il Capitano.
Il Senatur.
Giancarlo Giorgetti.
Irene Pivetti.
La Questione Razziale.
La Questione Morale.
La Lega Omosessuale.
La Bestia e le Bestie.
INDICE QUARTA PARTE
SOLITI COMUNISTI. CHI LI CONOSCE LI EVITA. (Ho scritto un saggio dedicato)
La lunga amicizia tra Hitler e Stalin.
Rosa Luxemburg, l’allieva di Marx.
Comunismo = Fascismo.
Razzisti!!
"Bella ciao": l’Esproprio Comunista.
Antifascisti, siete anticomunisti?
Le donne di sinistra che odiano le donne.
Gli omofobi Rossi.
La nascita (e la morte) del Partito Comunista Italiano.
Professione: Sfascio…
Riformismo e Riformisti.
Che fine ha fatto il sindacato?
L’Utopismo.
Il Populismo.
Le Sardine.
La Questione Morale.
Tassopoli.
I Raccomandati.
INDICE QUINTA PARTE
SOLITI COMUNISTI. CHI LI CONOSCE LI EVITA. (Ho scritto un saggio dedicato)
Domenico Marco Minniti.
Andrea Orlando.
Andrea Romano.
Arturo Parisi.
Dario Franceschini.
Debora Serracchiani.
Emanuele Macaluso.
Enrico Letta.
Goffredo Bettini.
Luca Lotti.
Luciano Lama.
Lucio Magri.
Marco Rizzo.
Gianni Vattimo.
Giuseppe Provenzano.
Massimo D'Alema.
Nicola Fratoianni.
Nicola Zingaretti.
Pierluigi Bersani.
Roberto Speranza.
Romano Prodi.
Rosy Bindi.
Il Renzismo.
Furono Radicali.
Che Guevara tra storia e mito.
IL SOLITO AMICO TERRORISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)
Gli amici Terroristi.
Sante Notarnicola.
Cesare Battisti.
Dimitris Koufodinas.
Mara Cagol.
Sara Casiccia.
Walter Alasia.
1968 TRAGICA ILLUSIONE IDEOLOGICA. (Ho scritto un saggio dedicato)
Storia del 1968, quando il mondo impazzì e cambiò tutto in poche settimane.
I PARTITI
SECONDA PARTE
SOLITI 5 STELLE… CADENTI. (Ho scritto un saggio dedicato)
· Il Contismo.
Viva la Rai. Conte pretende il reddito di lottizzazione, ma resta senza poltrone e onestà. Mario Lavia il 18 Novembre 2021 su L'Inkiesta. L’avvocato dei populisti minaccia di non mandare i suoi davanti alle telecamere (ma non durerà) perché non ha ottenuto nessun posto nei telegiornali. È rimasto incastrato nella scatoletta di tonno, non ne può più uscire ma non riesce nemmeno a starci dentro. È la nemesi più bella del mondo quella di Giuseppe Conte. Lo hanno fregato a quel tavolo della spartizione della Rai cui si era appena attovagliato, con cravatta intonata alla camicia e pochette d’ordinanza, sicuro che la fetta di torta non gliel’avrebbe tolta nessuno come è probabile gli abbiano fatto credere tra una lasagna e l’altra alla festa nella villetta dell’autista di Goffredo Bettini dove c’era pure Carlo Fuortes. L’accusa all’amministratore della Rai è di continuare la pratica della lottizzazione. Ma sapete perché? Perché lui non ci mangia, altrimenti il vecchio Cencelli sarebbe andato benissimo. Viene voglia di rimpiangere Di Battista che nella sua furia antipolitica almeno era coerente. Tre quarti di lottizzazione e un quarto di Draghi, ecco la miscela segreta delle nomine Rai: ecco perché l’avvocato ce l’ha con Mario Draghi, che gli ha tolto il Tg1, mandandoci Monica Maggioni – la cui nomina si può considerare una nomina draghiana in quanto fuori dai giri partitici – una delle professioniste più forti della Rai, già presidente dell’azienda, una lunghissima esperienza sul campo e già alla guida di Rai News24. L’avvocato di se stesso, altro che popolo, non era mai apparso così furibondo come ieri, ha persino lanciato un proclama che farà piacere a molti ascoltatori: «Vorrà dire che, a partire da oggi, il Movimento 5 Stelle non farà sentire la sua voce nei canali del servizio pubblico, ma altrove». Figuriamoci, si accettano scommesse su una prossima partecipazione di uno dei suoi a qualche trasmissione, lo sanno bene che senza tv non sei nessuno, e La7 è una piccola utilitaria. Dunque per il Movimento 5 stelle niente più Tg1, niente RaiNews24, dove viene promosso Paolo Pedrecca, vicino a Fratelli d’Italia. E niente Tg2 dove la destra ha imbullonato il sovranista Gennaro Sangiuliano. Meno che mai il Tg3, dove sbarca Simona Sala, che vanta ottimi rapporti con il Nazareno, che a sua volta lascia la poltrona al Gr a un altro professionista coi fiocchi, Andrea Vianello. Mentre Mario Orfeo, veterano del Tg1, del Tg2 e già amministratore delegato di Viale Mazzini, passa dal Tg3 alla direzione degli approfondimenti. Maggioni ora dovrà ridare smalto al Tg1 diretto finora da Giuseppe Carbone, un volto nella folla, l’uomo scelto a caso dai grillini in epoca gialloverde – era il cronista del Tg2 che seguiva il Movimento ai bei tempi – quando Luigi Di Maio piazzava nelle posizioni apicali i 4-5 cronisti che conosceva, come se la Rai fosse la squadretta di scapoli contro gli ammogliati: ogni volta manca uno e si prende il primo che passa. L’ex presidente del Consiglio (che c’è l’ha con Mario Draghi, tanto per rasserenare il clima nella maggioranza) è infuriato peggio dei Bettino Craxi e dei Ciriaco De Mita, che però all’epoca non solo teorizzavano la spartizione tra i partiti dei posti in Rai ma il più delle volte ci spedivano professionisti di prim’ordine. Conte vorrebbe fare il Marco Pannella ma è il vero doroteo di questo tempo politico, confermandosi un uomo bramoso di spazi di potere nel magma indistinto dei suoi progetti politici che infatti nessuno ha capito, tantomeno gli elettori puri e duri del Movimento, i seguaci del Beppe Grillo che alla Rai sputava in faccia, mentre l’avvocato s’imbestialisce perché gli hanno tolto la plancia di comando del telegiornale di punta premiando la professionalità di una giornalista donna (a proposito, quand’è stata l’ultima direttrice del Tg1?) come la Maggioni. È una nemesi, dunque, che tocca chi voleva dare l’assalto al cielo invocando «fuori i partiti dalla Rai» ritrovandosi sul marciapiede della politica a strepitare perché non gli hanno dato un tg. E lo fa con la boria di chi crede di avere ancora le chiavi del Paese e non avverte che, forse, come diceva l’indimenticabile ex sindaca di Roma, «il vento sta cambiando, signori».
DAGONOTA il 23 novembre 2021. L’Aventino di Conte è durato da Natale a Santo Stefano. “Giuseppi”, dopo la debacle nella trattativa sulle nomine con il “pulcino” Mario Turco e la strategia fallimentare di Ta-Rocco casalino a suon di “basta tv”, mette fine al divieto di andare in rai. Altro fiasco contiano. Ormai nei gruppi grillini, dopo le casalinate, si parla delle “contate”!
(Adnkronos il 23 novembre 2021) - Lo stop alla partecipazione del M5S ai programmi Rai non è una decisione definitiva, "occorreva chiarire che sia il merito sia il metodo non ci sono apparsi assolutamente condivisibili, né ci è apparso chiaro il criterio. Occorreva precisarlo anche per correttezza nei confronti dei cittadini". Lo ha detto il leader M5S Giuseppe Conte, a margine degli incontri con i parlamentari in corso al Senato. "Non vogliamo contrastare quella la funzione del servizio pubblico o prendere una decisione irreversibile - ha rimarcato l'ex premier - ma occorreva un punto di chiarimento".
Marco Zonetti per vigilanzatv.it il 18 novembre 2021. Giuseppe Conte aveva tuonato ieri sera che il M5s non avrebbe più messo piede sulle reti Rai in segno di protesta per non aver avuto voce in capitolo nella scelta delle direzioni dei notiziari del Servizio Pubblico. Peccato che la solenne risoluzione contro le nomine Rai dalle quali i grillini sono stati esclusi sia stata già disattesa poche ore più tardi, con uno dei suoi vice, Mario Turco, intervistato oggi, giovedì 18 novembre 2021, dal Tg2 delle 13.00. Il Presidente di Italia Viva Ettore Rosato commenta così: " Ma Conte non aveva detto solennemente e stizzito che i 5 Stelle avrebbero disertato i canali Rai perché lui non era stato chiamato a decidere i direttori dei Tg? Avevo detto che sarebbe durato poco ma non pensavo che non reggessero nemmeno un giorno!". Ci va giù più pesante il Deputato di Italia Viva Marco Di Maio che, su Twitter, rincara: "Ieri l'avvocato Conte ha annunciato che il M5S avrebbe smesso di andare sulla tv pubblica in protesta per il mancato coinvolgimento sulle nomine Rai. Oggi sul Tg2 e' andato in onda il vicepresidente del M5S, Turco. O Conte non riesce nemmeno a gestire i suoi vice o dice falsità".
Da “la Repubblica” il 19 novembre 2021. Caro Merlo, Conte ha promesso che il Movimento 5 Stelle "non farà più sentire la sua voce sui canali del servizio pubblico". Ovviamente nessuno gli crede. Non ci riuscì Beppe Grillo, figuriamoci lui. Mi chiedo però come sia possibile che un ex premier, circondato da tanti famosi e accreditati spin doctor come Casalino e Travaglio, si sia esposto non alla satira, che spesso promuove chi prende di mira, ma alla facile risata, all'italica pernacchia. Livia Mariani - Milano
Risposta di Francesco Merlo:
Grillo giocava a nascondino con la tv: "Ecco a voi a grande richiesta". Al contrario, l'orizzonte Rai di Conte e dei suoi pochi seguaci non è quello di negarsi per meglio concedersi, ma di non essere più invitati. Ma lei, che pure vede la decadenza di Conte, ancora cade nel luogo comune del demiurgo, dei guru che fabbricherebbero la personalità del politico momentaneamente vincente. Mi creda, dietro l'apparenza anglosassone, gli spin doctor , i "dottori del colpo a effetto" sono i soliti magliari italiani. Chi ricorda Gianni Pilo, primo "sondaggista personale" di Berlusconi, e Luigi Crespi che inventò "il contratto con gli italiani"? E il simpatico Claudio Velardi che buttò via i vestiti Oviesse di D'Alema e lo portò da un sarto per gagà? E l'altrettanto simpatico Rondolino che ha provato a inguaiare tutti i principi, nessuno escluso, sempre offrendosi, in criptata trasparenza, come digital killer? E che dire della "bestia" di Salvini che nascondeva la virtù d'essere leghista e gay mentre esibiva l'odio contro i gay? Abbiamo rovinato pure i miti stranieri, da Jim Messina a Steve Bannon, il diavolo del populismo che, arrivato in Italia, si rivelò una macchietta. Più casalinghi Matteo Renzi e Filippo Sensi, come Sordi in Fumo di Londra , imitavano Tony Blair e Alastair Campbell. L'elenco è lungo ma, sia detto con onore, Conte sta già accorgendosi che la vittoria è affollata e la pernacchia è solitaria.
La rabbia dei grillini, lottizzatori mancati della Tv. La coerenza non è proprio il tratto distintivo dei pentastellati, ma accusare l'ad Fuortes di aver «scelto la vecchia logica della lottizzazione» suona proprio come un nonsense. Rocco Vazzana su Il Dubbio il 18 novembre 2021. Tutti contro la lottizzazione dei partiti in Rai. Tranne al momento delle nomine. Così, il Movimento 5 Stelle – da sempre nemico della spartizione, fatta salva la parentesi dei due governi Conte – ora sbraita, si agita, sbraccia. Perché il partito di maggioranza relativa in Parlamento è rimasto fuori da tutti i giochi di potere di Viale Mazzini. E ora Giuseppe Conte punta il dito contro tutti: contro l’amministratore delegato, contro il governo, contro gli altri partiti. Tutti responsabili del complotto anti grillino. Perché la lottizzazione farà pure schifo, ma se tutti lo fanno perché proprio il Movimento non dovrebbe? La coerenza non è proprio il tratto distintivo dei pentastellati – capaci di indossare qualsiasi divisa e cambiare costantemente prospettiva e posizioni in base alle contingenze – e l’ex premier non fa che continuare a camminare su un solco già tracciato da altri. Ma accusare l’ad Fuortes di aver «scelto la vecchia logica della lottizzazione», escludendo «il partito di maggioranza relativa, che rappresenta 11 milioni di elettori», suona proprio come un nonsense. L’accusa, semmai, dovrebbe essere opposta: di essere uscito, cioè, dal seminato lottizzatore proprio attraverso l’esclusione del partito maggiore, a cui, secondo antichi manuali, sarebbe toccata una bella scorpacciata di nomine. Conte, in altre parole, non se la prende con la lottizzazione in sé ma col mancato invito al banchetto del Movimento 5 Stelle. E l’esclusione non rivela una congiura del sistema contro l’unica forza etica, disinteressata al potere e alle sue logiche, denuncia semmai l’incapacità di quella organizzazione di partecipare a un gioco al quale fino a poco tempo fa recitava un ruolo da protagonista. Reinventarsi puri all’improvviso è un esercizio comune a tutte le forze politiche, ma sarebbe meglio far passare un po’ di tempo tra una posizione e l’altra. Perché gli italiani avranno pure memoria breve, ma non così tanto.
Jacopo Iacoboni per lastampa.it il 23 novembre 2021. Giuseppe Conte ha appena ridimensionato la decisione di non partecipare alle trasmissioni della Rai. Una decisione definitiva?, gli hanno chiesto i cronisti in Senato. E la risposta dell’avvocato del popolo è stata più conciliante e meno battagliera: «Definitiva che significa, per tutta la vita natural durante del Movimento?Occorreva chiarire che sia il merito sia il metodo, per le ragioni già dette, non ci sono apparsi assolutamente condivisibili. Non ci è apparso chiaro il criterio e occorreva precisarlo anche per correttezza nei confronti dei cittadini». E insomma: «Non è che vogliamo contrastare quella che è la funzione del servizio pubblico o prendere la decisione irreversibile, ma occorreva un punto di chiarimento». La cosa, d’altra parte, aveva suscitato tantissimi malumori, tra i grillini, nella lunga storia di odio, e poi amore, per il piccolo schermo.
Una storia controversa di odio (e amore)
In principio fu il punto G. Con un orrendo, e purtroppo indimenticato post sessista, Beppe Grillo riversò sulla consigliera M5S Federica Salsi l’abietta accusa che andava in tv senza permesso perché ci godeva, «il punto G, quello che ti dà l'orgasmo nei salotti dei talk show». Salsi di lì a poco fu cacciata dai 5 stelle, in una delle tante storie brutte di queste gogne grilline, una stagione di cappa e spada in cui ne successero davvero di tutti i colori. Ma poi sulla tv le cose si erano a tal punto ribaltate che la pressione intelligente di Rocco Casalino e la mediazione di Nicola Biondo con un recalcitrante Gianroberto Casaleggio avevano convinto il guru dei 5S a concedere, a un gruppo di parlamentari selezionati, di andare nei talk show. Fu creata una pattuglia di «volti tv». Una quindicina di eletti in cui c’erano i futuri big, da Di Maio e Di Battista a Roberto Fico, Taverna, Virginia Raggi e Laura Castelli, li si spedì a Milano alla Casaleggio ai corsi tv tenuti dall’allora coach tv Silvia Virgulti, e insomma, l’ukase di Grillo e Casaleggio cadde. Anzi, paradossalmente, si può dire che i big grillini divennero big, anche internamente, proprio grazie al fatto che loro andavano sempre in tv, e altri no. La tv li creò, sanno che la non tv li può distruggere. E’ stato perciò assai singolare veder risbucare fuori l’ukase per iniziativa di Giuseppe Conte, che pure vuole dar vita a un nuovo corso del Movimento. Forse su suggerimento del portavoce Casalino, anche se sul punto le ricostruzioni divergono, Conte ha prima stabilito che in tv andranno solo i cinque del suo team di guida del M5S, e poi – dopo la vicenda delle nomine Rai – ha addirittura annunciato con sdegno che i grillini non andranno più nella tv pubblica. Mai.Tout court. Fattibile o meno che sia questa minaccia (per altri, una promessa), è un fatto che per un Movimento nel quale ogni scalata interna al potere, e ogni conquista di posizioni di forza, è passata dalla tv non meno (e anzi, probabilmente di più) che dai social, privarsi del piccolo schermo è una tortura insopportabile. Succede così che ormai non passi giorno senza che qualche grillino attacchi Conte sulla tv, dandogli in sostanza dell’illiberale. L’ultimo è adesso Sergio Battelli, ex capogruppo e ex tesoriere alla Camera, un grillino della prima ora, con tanti amici e tanto seguito nel gruppo parlamentare, che fa questo ragionamento: «Credo che la modalità vittimismo, della serie “i giornali che l'hanno con noi”, sia il passato. La scelta di non partecipare più alle trasmissioni targate Rai è legittima, certo, ma secondo me affrettata. E ve lo dice uno che, a volte per scelta e altre per contingenza, in tv ci va ben poco. Quindi nulla di personale. In un mondo iperconnesso che viaggia velocemente se abbandoni uno spazio comunicativo nessuno si strapperà le vesti perché ci sarà sempre qualcun altro che lo riempirà al tuo posto. Ecco perché credo che l’Aventino nuoce esclusivamente a chi lo applica». Ma la rivolta all’Aventino è ormai corale. Un altro grillino molto vicino, come Battelli, a Luigi Di Maio, e cioè l’ex ministro Vincenzo Spadafora, aveva detto giorni fa «con dispiacere ho annullato la mia partecipazione tv da Lucia Annunziata. Rispetto l’indicazione (l’aveva chiamata “indicazione”, non “divieto”) ma chiedo: quando finirà la protesta? Una volta ottenuto cosa? Ecco, vorrei un confronto su questo con Conte, nei gruppi parlamentari». Poi però era stato piuttosto duro e sincero: «È evidente che ci sia la volontà di oscurare chi ha posizioni dialettiche rispetto alla linea ufficiale». Ieri anche Lucia Azzolina, altra ex ministra, ha detto «è chiaro che la decisione di Giuseppe Conte di non far partecipare esponenti del M5S alle trasmissioni RAI non potrà essere eterna». E dove lo diceva? Alla radio, visto che in tv non si può. Idem Primo Di Nicola, grillino e ex giornalista all’Espresso: «Comunicativamente ma non solo quella di Conte è una decisione sbagliata. Così si presta il fianco alle critiche di chi vuole ancora continuare a descrivere il M5S come un partito sotto tutela e di chi non vede l'ora di additarci nel servizio pubblico come lottizzatori interessati a dettare la scaletta di notizie e trasmissioni a direttori di tg e conduttori di talk show». E non è che Roberto Fico, quando gli è stato chiesto di commentare queste decisioni contiane, le abbia esattamente difese a spada tratta: «Io non entro nel merito delle dichiarazioni, da presidente della Camera sapete bene come mi muovo». C’è chi dice che sia sempre e comunque colpa di Di Maio, in una visione che attribuisce ogni problema di Conte al suo presunto antagonista interno. Ma proprio Spadafora ha onestamente chiarito che «far ricadere la colpa su Di Maio conferma una enorme debolezza del leader. Che diventa debolezza di tutti». L’Aventino non piace ai grillini, che a lungo avevano goduto di nettare e ambrosia della tv.
Massimo Franco per il “Corriere della Sera” il 18 novembre 2021. L'«Aventino televisivo» annunciato dal capo dei grillini, Giuseppe Conte, va iscritto non solo nello scontro col governo di Mario Draghi, ma in quello interno al M5S. Le nomine annunciate alla Rai hanno provocato un cortocircuito perché alimentano i sospetti dell'ex premier sulle manovre del ministro degli Esteri grillino, Luigi Di Maio, contro di lui. Lo sciopero del video minacciato da Conte è una chiamata a raccolta di quanti, nel Movimento, detestano non solo Draghi ma l'ala «governista». E accelera una resa dei conti in incubazione da mesi. L'accusa a Palazzo Chigi di avere avuto un ruolo nelle scelte in materia di informazione è verosimile, e insieme scivolosa. Parlare di lottizzazione dopo averla praticata sistematicamente nei due anni e mezzo di governo è una sorta di manifesto sulle contraddizioni del grillismo prima e dopo l'approdo al potere. Il capo del M5S sembra riconoscerlo in modo indiretto, quando dice: «Le logiche che guidano il servizio pubblico non ci sono mai piaciute. Anche noi ci siamo ritrovati prigionieri di questo sistema. Ma non abbiamo i numeri sufficienti per modificarlo». Sa di protesta più per essere stati trascurati, che per una contestazione del metodo. Anche perché quando Conte sostiene che i vertici della Rai hanno «scelto di escludere, tra le forze dell'arco parlamentare, unicamente il M5S, partito di maggioranza relativa grazie a undici milioni di elettori», sembra rivendicare una quota di potere. L'impressione è che il «suo» Movimento non sia stato consultato, provocando una reazione furibonda; altri referenti grillini probabilmente sono stati contattati e hanno avallato l'accordo. Il silenzio del resto dei Cinque Stelle dopo l'annuncio di Conte che non parteciperanno più alle trasmissioni sulla Rai tradisce come minimo un certo imbarazzo. E conferma una situazione interna tesissima. Di Maio ieri ha parlato, ma di Albania. E lo scontro per la scelta dei capi dei gruppi parlamentari è solo uno dei tanti fronti aperti tra l'ex premier e una parte della nomenklatura. Nei giorni scorsi era affiorato il malessere anche per l'apertura di Conte a Berlusconi in materia di riforme istituzionali. Si tratta di un nervosismo che incrocia sia il tema dell'alleanza col Pd, sia le strategie per il Quirinale. Segnala soprattutto, però, la difficoltà dei vertici del Movimento di prendere atto delle logiche inesorabili di una nuova fase. E non solo perché a Palazzo Chigi c'è Draghi. Quegli «undici milioni di elettori» evocati per avere voce in capitolo sulle nomine oggi non sono un blocco omogeneo; né corrispondono, e da tempo, al vero peso elettorale dei Cinque Stelle. La Rai è storicamente un sensore degli equilibri di potere. Al di là dei proclami sull'indipendenza dalla politica, anche ora li riflette.
Emanuele Buzzi per il “Corriere della Sera” il 18 novembre 2021. «Davvero lo ha detto?»: c'è chi a freddo reagisce con incredulità alla decisione di Giuseppe Conte e dei Cinque Stelle di non partecipare ai programmi Rai dopo l'annuncio delle nuove nomine. La mossa dei vertici lascia i più storditi. «Così ci tagliamo le gambe da soli», dice un pentastellato. Nel gruppo si creano due filoni di pensiero. C'è chi sottolinea come Conte sia riuscito a ricompattare la squadra, anche a livello di immagine, presentandosi in conferenza stampa con alcune voci critiche come Primo Di Nicola e, soprattutto, con il capogruppo alla Camera, Davide Crippa, con cui il presidente M5S sta tentando di ricucire. Molti, però, contestano i vertici M5S nel merito. «Ci annulliamo sparendo dal servizio pubblico. Perché?», si domandano nel Movimento. Questioni di visibilità personale, certo, ma anche di orizzonti politici. «Eravamo quelli dei partiti fuori dalla Rai e ora usciamo dalla Rai perché non ci fanno posto», controbatte un Cinque Stelle della prima ora. E c'è chi guarda oltre. Un pentastellato super partes analizza: «Per Conte è un suicidio politico: lamentarsi pubblicamente di non avere peso. Incomprensibile». Nel mirino finisce anche Paola Taverna, che parlando della lottizzazione scrive: «Peccato che in questo gioco i vertici aziendali si siano dimenticati della prima forza politica in Parlamento», innescando ira e veleni dei colleghi. E ovviamente in controluce tra le tensioni c'è il dualismo tra Conte e Luigi Di Maio, a cui i vertici imputano il risultato della trattativa. Bisogna, però, tornare indietro al primo pomeriggio per comprendere meglio la decisione (e i malumori) dei vertici M5S. Conte riunisce i ministri pentastellati (tranne Di Maio assente per motivi istituzionali) e quelli che saranno poi i volti che lo accompagneranno in conferenza stampa per un faccia a faccia sulla stregua da adottare. Davanti (anche) ai membri M5S della Vigilanza Rai - che si schierano al fianco dell'ex premier - Conte si lamenta di non essere stato mai ricevuto da Carlo Fuortes. Stefano Patuanelli, a sua volta, sottolinea di non essere stato mai coinvolto come capodelegazione dei Cinque Stelle nelle interlocuzioni delle ultime settimane. Viene evidenziata la mancata conferma di Giuseppe Carboni al Tg1 e sul banco degli imputati finisce il ministro degli Esteri, che invece ha visto Fuortes. C'è anche chi chiede di contattare il responsabile della Farnesina. Conte nei giorni scorsi ha insistito per strappare un ok sul nome di Carboni, ma - spiegavano a inizio settimana nel Movimento - «si sta intestando da solo una sconfitta». La partita della Rai rischia di rimescolare le carte - già confuse - all'interno dei Cinque Stelle. «Conte ha mostrato debolezza», sottolinea un dirigente, che mette anche in chiaro: «Allo stesso tempo ha cercato di compattare il gruppo,ha smosso internamente le acque, riuscendo a riavvicinare alcuni parlamentari: vediamo cosa accadrà». I fedelissimi del leader non hanno dubbi sulla mossa e avvisano: «Da adesso inizia una nuova fase», un messaggio che suona come un avvertimento in un Movimento mai così fragile.
Da repubblica.it il 12 novembre 2021. Entro il fine settimana l'organigramma sarà messo nero su bianco, ma intanto si sa che la direzione della scuola di formazione del M5S sarà affidata al senatore Mario Turco, uno dei cinque vicepresidenti del Movimento. Le 'Frattocchie' a 5 Stelle sono un progetto caro a Giuseppe Conte, che le aveva fatte inserire nel nuovo statuto: "La scuola di formazione si prefigge la formazione continua e l'aggiornamento permanente specialistico di coloro che si impegnano e che intendono impegnarsi in politica, con particolare attenzione ai giovani", è scritto. E quindi da qui a inizio 2022 la scuola potrebbe partire davvero. Sarà aperta "a tutti i cittadini", assicura Turco. Ma su corsi, sede e professori ancora non si sbilancia nessuno. Però le tre principali materie saranno economia, sviluppo sostenibile, ambiente. "Tre argomenti correlati e attorno ai quali vogliamo discutere e coinvolgere le persone, nella convinzione che occorrano dei nuovi modelli", riflette Turco. Attorno a questi pilastri si svilupperanno incontri e approfondimenti. "Coinvolgeremo esperti internazionali, premi Nobel, accademici", è stata la ripromessa dell'ex presidente del Consiglio pochi giorni fa parlando in assemblea coi parlamentari. I corsi non saranno ovviamente neutri, si stanno contattando relatori e professori di orientamento progressista, più Joseph Stigliz e Paul Krugman e meno cultori della scuola di Chicago, culla del pensiero neoliberista. Un altro tassello che spinge a sinistra il Movimento, in procinto di passare al gruppo dei socialisti europei a Bruxelles e Strasburgo. Dopodiché la scuola "si prefigge l'obiettivo di fornire la formazione permanente e l'aggiornamento dei portavoce eletti e degli amministratori locali e di tutti coloro che rivestono incarichi pubblici", recitava sempre lo Statuto. Questo però sarà un passaggio ulteriore e successivo. Prima di tutto c'è l'intenzione di riaprirsi ai 'cittadini', di organizzare eventi e seminari che possano riattivare la partecipazione, cioè uno dei punti politicamente più deboli che sta vivendo il Movimento.
Antonio Atte per Adnkronos l'11 novembre 2021. Se il nuovo corso del Movimento 5 Stelle avesse un volto, sarebbe quello di Michele Gubitosa. Imprenditore, classe 1979, il deputato irpino, membro delle Commissioni Difesa e Bilancio di Montecitorio, è una delle figure su cui il leader Giuseppe Conte ha deciso di puntare per il rilancio del progetto M5S, al punto da volerlo al suo fianco nella squadra dei cinque vicepresidenti insieme a Paola Taverna, Mario Turco, Riccardo Ricciardi e Alessandra Todde. La scheda diffusa dal Movimento al momento della sua nomina come vice lo presentava così: "Professionista nel settore dell'Information Technology, ambito in cui ha iniziato a lavorare nel 1997, negli ultimi 20 anni ha affiancato le più grandi aziende del Paese nel percorso di digitalizzazione". E di strada ne ha fatta Gubitosa da quando, 24 anni fa circa, aprì la prima attività nel garage dei suoi genitori a Montemiletto, paesino dell'avellinese da cui tutto è partito. Una storia da Silicon Valley. In origine assemblava e riparava pc per i suoi compaesani, Gubitosa. Oggi lo fa per gli italiani, in tutta la Penisola. Si chiama Hs Company la società di informatica fondata dallo Steve Jobs irpino (copyright del 'Corriere dello Sport'). Un'azienda che nel 2019 - ultimo bilancio disponibile - ha fatturato 11 milioni 976mila 580 euro. E che negli ultimi tempi si è aggiudicata appalti importanti, come si evince da dati pubblici rintracciabili sul web. Il 30 settembre del 2020, per esempio, la società di Gubitosa vince un bando Consip per la "manutenzione degli apparati di networking relativi al Sistema informatico della Fiscalità, al Dag e al Dt del Mef e alla Corte dei Conti". Importo contratto: 1 milione 336mila 587,06 euro. Alla Hs Company, rileva l'Adnkronos, vanno 13.687 euro al mese per 36 mesi, per un totale di 492.732 euro. Il 10 dicembre 2020 la società del vice di Conte si aggiudica invece la convenzione Consip per la fornitura all'Agenzia delle Entrate di apparecchiature multifunzione in noleggio: l'importo complessivo del lotto 1 è di 223.440,80 euro, alla Hs Company andranno 2.083 euro al mese per 48 mesi, per un totale di 99mila 984 euro. Andando indietro negli anni, tra i clienti dell'azienda irpina - che ha il suo quartier generale a Milano - spiccano anche Acqualatina Spa, gestore del servizio idrico nel Sud del Lazio (in questo caso Hs fattura 6.753 euro al mese per 36 mesi) e l'Ente autonomo del Volturno, l'azienda campana che gestisce, tra le varie compagnie di trasporto pubblico, anche la Circumvesuviana (8.170 euro al mese per 48 mesi). Nel lungo curriculum di Hs si segnala anche: la gestione e il supporto dei servizi dell'estrazione del Lotto per diverse edizioni della Lotteria Italia; help desk e assistenza tecnica di Expo 2015; manutenzione dei sistemi Apfis della Polizia scientifica (era il 2014 e l'azienda di Gubitosa in quella gara batté la multinazionale Ibm per soli 3mila euro). Stando all'ultima dichiarazione dei redditi pubblicata sul sito della Camera, dove Gubitosa dichiara un reddito complessivo di 93.437 euro, il deputato M5S risulta possessore di 2 milioni di quote della Hs Company (1 euro, il valore di una singola quota): da quando è stato eletto in Parlamento, Gubitosa si è dimesso da tutte le cariche attive, restando socio unico. Gli appalti ad ogni modo rappresentano solo una minima parte del core business della Hs, società che - come affermò lo stesso Gubitosa in un servizio dedicatogli da Rai Parlamento nel 2019 - effettua migliaia di interventi al giorno su tutto il territorio nazionale. Ma gli affari per il vicepresidente M5S sono anche una questione di cuore. Non solo informatica, ma anche calcio. Nel 2017 Gubitosa, da socio di minoranza, diventò presidente dell'Avellino, squadra di cui è tifosissimo. Ma alla fine della stagione si dimise dalla società biancoverde a causa di dissidi con gli altri soci. Nel 2016, tra l'altro, le cronache locali raccontarono di una cena all'Hotel Vesuvio di Napoli dove Gubitosa, a tavola con un ristretto gruppo di imprenditori, conobbe Silvio Berlusconi. All'ex patron del Milan Gubitosa - allora era vicepresidente della squadra irpina - regalò una maglia dell'Avellino. Tra battute e chiacchiere sul calcio (il Cav gli avrebbe chiesto informazioni sul rendimento di un giovane della primavera passato dal Milan all'Avellino, il difensore Rodrigo Ely) scattò la scintilla. Per mesi si parlò di un corteggiamento di Forza Italia nei confronti dell'imprenditore irpino in vista delle elezioni politiche 2018. Ma non se ne fece nulla, perché alla fine Gubitosa scelse il Movimento 5 Stelle: fu il deputato Carlo Sibilia a presentarlo all'allora capo politico Luigi Di Maio, che candidò l'imprenditore nell'uninominale Campania 2-06. Il resto è storia nota: ex alfiere “dimaiano”, Gubitosa ha abbracciato con convinzione il nuovo progetto targato Conte. Con lo sguardo sempre attento ai social. Come raccontato da “Il Foglio”, dall'aprile 2019 a oggi lo Steve Jobs di Montemiletto ha speso 52.114 euro in inserzioni pubblicitarie su Facebook. Per lui Conte usa solo parole al miele. "Gubitosa ci sarà indispensabile nel nuovo corso per prestare orecchio costante alle esigenze degli imprenditori, per capire sempre le difficoltà e anche la bellezza di fare impresa in Italia da Nord a Sud", ha dichiarato l'ex premier nella sua ultima intervista a “Otto e Mezzo”. E non è un caso che nel neonato Comitato economico interno al M5S, dove siedono Laura Castelli, Stefano Buffagni, Mario Turco ed Emiliano Fenu, ci sia anche lui, il mago dei computer venuto dall'Irpinia.
Marco Zonetti per "vigilanzatv.it" il 9 novembre 2021. Domenica scorsa, ospite da Fabio Fazio a Che tempo che fa su Rai3, Vincenzo Spadafora, ex Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega alle Parti Opportunità ed ex Ministro dello Sport e delle Politiche Giovanili, ha fatto "coming out" rivelando la propria omosessualità. Non esattamente un segreto di Stato, ma tant'è. Da quel momento in poi, tale confessione di essere gay in diretta televisiva, promuovendo al tempo stesso il suo libro, ha monopolizzato il dibattito pubblico, occupando giornali e talk show e mettendo in ombra la vera rivelazione choc, quella sì, fatta da Spadafora a Fazio e alla nazione intera. Ovvero il meccanismo con il quale il M5s scelse nel 2018 Giuseppe Conte quale Presidente del Consiglio. Grazie alle domande pungolanti del perfido Fazio, Spadafora ha infatti ammesso che la selezione di Conte per presiedere il Governo M5s-Lega avvenne come in un "casting" per un "reality". "Momenti surreali" (cit.) nei quali, in un albergo di Milano, i grillini scrivevano vari nomi papabili sui fogli (sic!), riducendo poi il tutto a tre candidati: un'alta dirigente, un prefetto e per l'appunto Conte. Il prefetto fu scartato per via della carica invisa a Matteo Salvini, che invece proponeva il professor Giulio Sapelli. Ma dopo un colloquio di Conte di fronte a una sorta di giuria composta dallo stesso Spadafora, Luigi Di Maio, Matteo Salvini e Giancarlo Giorgetti, la scelta ricadde per l'appunto sull'avvocato di Volturara Appula. Ascoltata la confessione di Spadafora su come l'Italia finì per avere lo sconosciuto Conte a Palazzo Chigi, in cauda venenum Fazio ha assestato una bella stoccata commentando le dinamiche di scelta adottate dai grillini, simili a quelle di un casting per Il Grande Fratello: "Anche perché c'era qualcuno che se ne intendeva di reality", alludendo a Rocco Casalino, uno dei protagonisti dalla prima edizione del GF nonché divenuto poi potentissimo portavoce dell'ex Premier pentastellato. "Non mi crei più problemi di quanto questa intervista potrà già crearmi" ha replicato dunque Spadafora comprendendo la malaparata, per poi passare alla confessione della sua omosessualità, distogliendo così l'attenzione dalla vera, e assai più sconvolgente, rivelazione su come avvenne la scelta di colui che per quasi due anni ha governato l'Italia. Altro che coming out, uno scenario da brivido da far impallidire Black Mirror.
Quarta Repubblica, la bomba di Bruno Vespa su Giuseppe Conte: "Legami con i servizi segreti". Libero Quotidiano il 16 novembre 2021. "Io confermo sillaba per sillaba quello che ho scritto nel libro e quella di Cesa per chi sa leggere non è una smentita". A dirlo è Bruno Vespa che, ospite di Quarta Repubblica su Rete 4, torna a parlare di quanto fatto emergere nel suo ultimo libro Perché Mussolini rovinò l'Italia (e come Draghi la sta risanando). "Io non mi sono inventato nulla - esordisce nello studio di Nicola Porro durante la puntata del 16 novembre -. Confermo quello che ho scritto, ossia che Cesa è stato avvicinato da un signore dei servizi segreti". Insomma, una sorta di intimidazione. Nel libro infatti si legge che Cesa riceve la visita "di un importante agente segreto che conosceva da tempo e che gli avrebbe detto, più o meno: non preoccuparti, questa storia si risolve, ma cerca di comportarti con saggezza". Il riferimento del giornalista è al periodo di tempo che intercorre tra la fine del Conte bis e l'arrivo di Mario Draghi. In questo lasso di tempo Giuseppe Conte avrebbe corteggiato il leader dell'Udc Lorenzo Cesa, che poteva offrire all'avvocato di Volturara Appula una dote di tre senatori con lo scopo di formare un suo terzo esecutivo. E ancora: "Ho ricostruito i colloqui in cui Conte offre a Cesa ministeri e altro, ma Cesa gli ha detto di no". Fin qui nulla di nuovo negli ambienti della politica, "ma la cosa inquietante - prosegue - è che i servizi segreti in un Paese democratico si spacchino a favore di questo o quel governo. Mi auguro non sia vero". Infine Vespa chiede che andrebbe rivisto anche l'incontro di Renzi con un altro uomo dei servizi segreti.
Quarta Repubblica, Vittorio Sgarbi: "Gioco sporco con gli 007". Lo scandalo spazza via Giuseppe Conte: "Dimissioni subito". Libero Quotidiano il 16 novembre 2021. Le rivelazioni di Bruno Vespa sulla fine del secondo governo Conte hanno scosso gli ospiti di Quarta Repubblica. È accaduto nella puntata in onda lunedì 15 novembre su Rete 4, dove il giornalista ha ribadito i legami tra il leader del Movimento 5 Stelle, prima premier, e i servizi segreti. A prendere la parola negli studi di Nicola Porro è Vittorio Sgarbi. "Il problema è Conte - esordisce -, dovrebbe dimettersi da qualsiasi ruolo per aver usato i servizi a vantaggio del suo governo". Vespa ha infatti parlato di Lorenzo Cesa, il leader dell'Udc che ha negato il suo aiuto nella formazione del terzo governo Conte. Lui - sono state le parole del giornalista - "è stato avvicinato da un signore dei servizi segreti" subito dopo aver detto "no" all'ex presidente del Consiglio. Insomma, una sorta di intimidazione su cui il critico d'arte non ci va per il sottile: "Questa notizia ci dà la misura della totale assenza di credibilità dei 5 stelle". L'accusa che emerge dalle rivelazioni di Vespa nel suo ultimo libro Perché Mussolini rovinò l'Italia (e come Draghi la sta risanando) è che Conte le abbia tentate tutte pur di rimanere a Palazzo Chigi. Tentativi però falliti, visto che il neo grillino è stato messo alla porta da Matteo Renzi in un ribaltone che ha portato all'arrivo di Mario Draghi.
Antonio Polito per corriere.it il 10 novembre 2021. Ci sono vicende della politica italiana che nascono nel segno del mistero, della trama, e lì restano per sempre. Speriamo che non faccia questa fine anche la vicenda della mancata nascita del Conte ter. Ricordiamo tutti che, quando Renzi fece cadere il governo giallorosso, o giallorosa se si preferisce, si creò un fronte molto attivo per ottenere la riconferma per la terza volta, con una terza diversa maggioranza, dell’avvocato pugliese. Per riuscirci, si cercarono freneticamente voti sparsi in Parlamento, una riedizione della saga dei «Responsabili» lanciata ai suoi tempi da Berlusconi. Poi non se ne fece niente, e Mattarella chiamò Draghi. C’è ora una pagina del nuovo libro di Vespa, Perché Mussolini rovinò l’Italia (e come Draghi la sta risanando), che apre nuovi inquietanti squarci su quei giorni convulsi. Vespa infatti racconta, sulla base di informazioni evidentemente di prima mano, che Lorenzo Cesa decise di dire no alle offerte di Conte perché questi si rifiutò di passare prima per una crisi di governo, considerata da lui invece indispensabile per giustificare il sostegno del suo gruppo. «Cinque giorni dopo, all’alba di mercoledì 21 gennaio — racconta Vespa — uomini della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro per ordine del procuratore Nicola Gratteri, perquisivano l’abitazione romana di Cesa contestandogli il reato di associazione per delinquere aggravata dal metodo mafioso». E se questa coincidenza può essere certamente casuale e giustificata solo dalle esigenze dell’inchiesta giudiziaria, più inspiegabile è la successiva: «Subito dopo la perquisizione, il segretario dell’Udc ricevette la visita di un importante agente segreto che conosceva da tempo e che gli avrebbe detto, più o meno: non preoccuparti, questa storia si risolve, ma cerca di comportarti con saggezza». Non sarebbe la prima volta che pezzi dei Servizi tentano di influire sulla dialettica politica e parlamentare. Ma sarebbe interessante sapere, almeno, chi.
Il retroscena sulla (mancata) nascita del Conte Ter. “Comportati con saggezza, l’indagine si risolve”, la visita dello 007 a Cesa: la spy story dietro la trattativa per il Conte Ter. Carmine Di Niro su Il Riformista il 10 Novembre 2021. Le “barbe finte”, agenti dei servizi segreti, hanno avuto un ruolo nel tentativo di far nascere il governo Conte Ter? La bomba la sgancia Bruno Vespa nel suo libro “Perché Mussolini rovinò l’Italia (e come Draghi la sta risanando)” in riferimento alle trattative, in quei giorni concitati, per portare un gruppo di ‘Responsabili’ nelle file della maggioranza e sostituire così i renziani di Italia Viva, decisi a far sloggiare da Palazzo Chigi Giuseppe Conte. Al centro di questa sorta di spy story all’italiana c’è Lorenzo Cesa, il segretario dell’Udc che alla fine si sfilò dicendo no all’offerta di Conte e del PD-M5S all’ingresso nella maggioranza come stampella del governo. Una scelta, ricostruire Vespa, arrivata per il rifiuto dell’ex presidente del Consiglio di passare prima per una formale crisi di governo, considerata invece dal leader dei centristi indispensabile per giustificare il sostegno del suo gruppo parlamentare. È nel mezzo di queste trattative politiche, scrive Vespa, che arriva l’intervento della magistratura. “Cinque giorni dopo, all’alba di mercoledì 21 gennaio — racconta Vespa, riportato dal Corriere della Sera — uomini della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro per ordine del procuratore Nicola Gratteri, perquisivano l’abitazione romana di Cesa contestandogli il reato di associazione per delinquere aggravata dal metodo mafioso”. Ed è qui che Vespa racconta del presunto intervento dei servizi. Il giornalista scrive infatti che subito dopo la perquisizione nella casa romana del segretario dell’UDC, Cesa ricevette la visita “di un importante agente segreto che conosceva da tempo e che gli avrebbe detto, più o meno: non preoccuparti, questa storia si risolve, ma cerca di comportarti con saggezza”. La domanda è ovvia: ammesso che quanto scritto da Vespa corrisponda al vero, chi si è mosso per far recapitare a Cesa l’avvertimento sulle future mosse politiche da fare? Già lo scorso mese dall’entourage di Cesa veniva raccontato a questo giornale, in un articolo di Aldo Torchiaro, una “insostenibile pressione”, in quei giorni di fine gennaio. “Apparati dello Stato e perfino del Vaticano” avrebbero sollecitato con insistenza una conclusione della crisi che portasse alla riconferma di Giuseppe Conte e impedito alla crisi di aprire la prospettiva che portò poi invece alla formazione del governo Draghi.
Carmine Di Niro. Romano di nascita ma trapiantato da sempre a Caserta, classe 1989. Appassionato di politica, sport e tecnologia
Le minacce degli 007 per convincere i riottosi ad appoggiare Giuseppi. Paolo Bracalini l'11 Novembre 2021 su Il Giornale. L'avvertimento a Cesa: "Comportati bene". La "passione" dell'ex premier per i Servizi. Un pezzetto alla volta iniziano ad emergere particolari interessanti su quel periodo oscuro tra la fine del Conte Bis e l'investitura di Draghi. Tre settimane scarse in cui l'ex premier Conte avviò una campagna con pochi scrupoli e con molti mezzi (alcuni alla luce del sole, altri meno) per arruolare truppe di parlamentari e cercare di dare vita ad un terzo governo con la vecchia maggioranza più la «quarta gamba». Un'operazione sostenuta politicamente dal Pd, grande sponsor del Conte ter prima di scoprirsi fedele a Draghi, da gruppi di peones interessati a incassare poltrone, ma a quanto pare anche da apparati più nascosti. L'episodio che rivela Bruno Vespa nel suo libro Perché Mussolini rovinò l'Italia (e come Draghi la sta risanando) è inquietante e ha al centro un protagonista di quei giorni, il corteggiatissimo (da Conte) leader dell'Udc Lorenzo Cesa, che poteva offrire all'avvocato di Volturara Appula una dote di tre senatori, numeri succulenti in quei giorni di spasmodica caccia ai voti in Parlamento. Cesa non accettò le offerte di Conte, e pochi giorni dopo ricevette la visita degli uomini della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro che «per ordine del procuratore Nicola Gratteri, perquisivano l'abitazione romana di Cesa contestandogli il reato di associazione per delinquere aggravata dal metodo mafioso». Una coincidenza temporale, certo. Tuttavia un secondo episodio getta una luce molto ambigua sulla vicenda. Subito dopo la perquisizione dell'abitazione, Cesa riceve infatti la visita «di un importante agente segreto che conosceva da tempo e che gli avrebbe detto, più o meno: non preoccuparti, questa storia si risolve, ma cerca di comportarti con saggezza». Una frase che, in quel frangente politico molto delicato, suona come un avvertimento. Di chi si trattava? E per conto di chi recapitava quel messaggio? Misteri. Certo è che del dossier servizi segreti Conte si era sempre molto interessato, al punto da tenere a lungo per sè la delega sugli 007. Ma già molto prima, nel 2018, Conte aveva nominato un suo uomo di fiducia come Gennaro Vecchione a capo del Dis (Dipartimento delle informazioni per la Sicurezza) mentre come Sottosegretario di Stato con delega ai servizi di intelligence Pietro Benassi, cioè il suo ex consigliere diplomatico a Palazzo Chigi. È significativa non solo la consuetudine con i due uomini indicati da Conte ai vertici dei Servizi, ma anche la tempistica della nomina di Benassi: il 21 gennaio 2021. Il giorno successivo Conte completa i nuovi vertici dei Servizi segreti nominando tre vicedirettori all'Aise (servizi segreti estero) e Aisi. Il tutto, quindi, solo una settimana dopo che Renzi aveva ritirato i suoi ministri aprendo la crisi di governo, e dando quindi il via alle manovre di Conte per arrivare ad un ter. Utilizzando anche gli apparati segreti dello Stato? È un'ipotesi che è circolata spesso, e che ora si rafforza con l'episodio riguardante Cesa (che, interpellato dal Giornale, preferisce non commentare). Gli uomini dell'Udc, sentiti da Riformista, hanno raccontato di una «insostenibile pressione» in quei giorni per entrare nel Conte ter, un'operazione condotta non solo da Palazzo Chigi ma addirittura da «apparati dello Stato e perfino del Vaticano». Il direttore della Stampa, Massimo Giannini, scrisse che nella ricerca dei responsabili erano coinvolti «noti legali vicini al premier, presidenti di ordini forensi a nome dello Studio Alpa, generali della Guardia di Finanza, amici del capo dei servizi segreti Vecchione» e alte gerarchie ecclesiastiche. Una ricostruzione allora smentita da Palazzo Chigi, ovviamente. Non tutti però nel M5s remavano in quella direzione. Nel sui libro l'ex sottosegretario Spadafora, molto vicino a Di Maio, racconta che fu Fico a mettere in contatto Grillo e Draghi. Un passaggio decisivo per portare alla nascita dell'attuale maggioranza e seppellire le ambizioni di Conte per un terzo mandato. Anche le guerre intestine dentro il M5s, pro e contro Conte, sono un mistero da servizi segreti. Paolo Bracalini
Claudio Antonelli per "la Verità" l'11 novembre 2021. Il libro di Bruno Vespa (Perché Mussolini rovinò l'Italia e come Draghi la sta risanando) fa emergere un altro fantasma del Conte ter e del probabile uso dei servizi e delle agenzie di intelligence per stringere nuove alleanze dentro e fuori il Parlamento. A sottolineare la paginetta è un articolo di Antonio Polito pubblicato, o meglio imboscato, dal Corriere della Sera. Nelle poche righe si racconta la vicenda giudiziaria di Lorenzo Cesa, già deputato ed europarlamentare dell'Udc. Il centrista decise di dire no alle offerte di Conte, motivando il diniego in un modo molto semplice. Niente supporto, senza prima aprire una crisi di governo. «Cinque giorni dopo», si legge nel testo, «uomini della Dda di Catanzaro coordinati dal procuratore Nicola Gratteri perquisiscono l'abitazione romana di Cesa contestando l'accusa di associazione per delinquere». Fatto fin qui pubblico e avvenuto il 21 gennaio. Fatto di cui lo stesso Gratteri parla in almeno due interviste, spiegando che le tempistiche sono state dettate da esigenze investigative e che comunque lo stesso Cesa aveva già pubblicamente fatto sapere di non voler sostenere un eventuale Conte ter. Come dire, nessuna interferenza politica. Il fatto nuovo è però riportato poche righe sotto. «Subito dopo la perquisizione, il segretario dell'Udc riceve la visita di un agente dei servizi che conosceva da tempo che gli avrebbe detto più o meno: non preoccuparti, questa cosa si risolve, ma cerca di comportarti con saggezza». L'articoletto esplosivo ieri non ha suscitato reazioni. Cesa non ha replicato. Silenzio anche da parte di Conte. Eppure il direttore della Stampa, Massimo Giannini, aveva dedicato a metà gennaio un dettagliato articolo di accusa contro l'allora premier. Si descriveva un probabile utilizzo di alcuni generali della Gdf e di rappresentanti delle agenzie di intelligence per perorare la causa del terzo mandato. Palazzo Chigi smentì seccamente. Negando qualunque tipo di fondatezza. Giannini incassò facendo capire che sapeva altre cose e poi il mese successivo, il 13 per la precisione, a ricevere la campanella di Palazzo Chigi è ufficialmente Mario Draghi. Segue la nomina di Franco Gabrielli a sottosegretario con delega all'intelligence e a metà maggio il cambio di passo drastico al vertice del Dis, dipartimento delle informazioni per la sicurezza. Gennaro Vecchione, uomo di fiducia di Conte, viene sostituito da Elisabetta Belloni. Con il trascorrere dei mesi da diverse inchieste giudiziarie o giornalistiche emergono pezzetti di notizie che ogni volta riportano a quell'editoriale di Giannini. Uomini vicini a Conte e Vecchione spuntano con costanza. Nell'inchiesta sulle presunte influenze di Luca Di Donna, ex partner di studio di Conte, è emerso il nome dell'allora capo di gabinetto dell'Aise, il generale Enrico Tedeschi. Presente insieme a un suo sottoposto a un incontro con un broker di mascherine cinesi. In un'altra inchiesta che riguarda Mario Benotti , mascherine cinesi e i rapporti con l'ex commissario Domenico Arcuri, è lo stesso Benotti a evocare i servizi quando afferma di avere avuto alert su possibili inchieste. La pax draghiana che ha sistemato con molta moral suasion anche la tensione che si era creata tra Lega e Fratelli d'Italia all'interno del Copasir ha avuto un effetto diretto anche su un'altra figura storica del Dis. Marco Mancini, celebre ai tempi di Pollari, è stato accompagnato alla porta dal neo direttore Belloni all'indomani di una inchiesta di Report che ha svelato un incontro tra lo 007 e il senatore Matteo Renzi. Un elemento che porta a unire i puntini e spiega quanto sia stata importante la delega ai servizi per l'intera durata del governo Conte e quanto impegno abbia messo Renzi nel far cadere l'esponente grillino. La notizia di Cesa non smentita è l'ultimo tassello. Almeno per ora. Per dire come il comparto sia con le orecchie alzate. Le fibrillazioni ieri sono derivate da un articolo pubblicato da Dagospia. Il sito ha riportato un comma finito in Gazzetta lo scorso 5 novembre lasciando intendere l'intenzione di Gabrielli di anticipare i pensionamenti per introdurre nuove leve. La notizia non appare fondata. Ma serve a misurare il polso. Comprensibile, quindi, che il governo Draghi voglia intervenire in modo selettivo con il bisturi, così come il nuovo presidente del Copasir abbia spiegato alla Verità in una intervista che il comitato si occupa di governo e di agenzie, non dei parlamentari. Sarebbe però interessante fare luce su quanto fatto da Conte per prorogare e nominare dirigenti. Lo stesso Mancini è stato in predicato di diventare vice di Vecchione. Bisognerebbe anche fare chiarezza su tutte le scelte attuate in contrasto con la legge statutaria del comparto. A chi tocca? Forse al Parlamento. Più che al Copasir. Per i motivi scritti sopra scritti. L'altroieri è stato audito dal Comitato il direttore dell'Aise, Giovanni Caravelli, su temi come Etiopia, sicurezza energetica e difesa europea. Sul tavolo sono finite anche domande sulle trasferte retribuite di Renzi all'estero. Tema non certo di competenza dell'Aise. Risultato? I giornali ci hanno titolato. Ma così il tema finisce nel nulla. Per questo e pure per i fantasmi del Conte ter sarebbe opportuno che il Parlamento dicesse la sua e chiedesse a chi di dovere.
Jacopo Iacoboni per "La Stampa" il 12 novembre 2021. Tra la tarda mattinata e il primo pomeriggio di sabato 16 gennaio il segretario dell’Udc Lorenzo Cesa ebbe alcuni contatti politici del livello più alto in cui gli fu chiesto, senza girarci intorno, l’appoggio dei senatori Udc a Giuseppe Conte in una chiave di «responsabilità nazionale» nel voto di fiducia che si sarebbe dovuto tenere a Palazzo Madama il martedì mattina successivo, 19 gennaio. La risposta di Cesa fu aperta, ma non su un punto: per aprire un dialogo con i centristi occorreva passare da una crisi formale di governo. Proprio in quella giornata stava nascendo in Senato il gruppo Maie-Italia23, concepito per accogliere i sostenitori di Conte. La risposta di Cesa non piacque a chi in quei giorni faceva pressioni per un Conte ter. E furono tanti. Cinque giorni dopo, all’alba di mercoledì 21 gennaio, agenti della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, per ordine del procuratore Nicola Gratteri, perquisivano l’abitazione romana di Cesa contestandogli il reato di associazione per delinquere aggravata dal metodo mafioso. Una coincidenza, naturalmente, ma adesso Bruno Vespa ne racconta un’altra nel suo nuovo libro: «Subito dopo la perquisizione, il segretario dell’Udc ricevette la visita di un importante agente segreto che conosceva da tempo e gli avrebbe detto, più o meno: non preoccuparti, questa storia si risolve, ma cerca di comportarti con saggezza». Vespa non ne rivela il nome, e Cesa si è chiuso nel silenzio. A La Stampa risulta che abbia parlato di nuovo ieri l’altro con il giornalista, e non abbia fatto nessuna smentita. Una fonte importante tra i centristi riferisce non di un incontro, ma di un altro tipo di contatti, con qualcuno dei servizi, fatto sta che il racconto è confermato. È solo l’ultimo tassello di una connessione di interessi e poteri trasversali che si mossero in quelle ore, soprattutto attorno ai democristiani, che però si riveleranno più ostici del previsto. Una fonte centrista che ha la massima conoscenza della storia ci racconta: «Cesa riceveva una telefonata al minuto, in quelle ore. Politiche, istituzionali, e anche da uomini del Vaticano». Chiarisce: «Molte erano pressioni vere e proprie. Dal Vaticano non pressioni, ma alcuni uomini del Vaticano ci esponevano la forte preoccupazione di una crisi al buio, in un momento così drammatico per l’Italia». Su La Stampa il direttore Massimo Giannini, in un editoriale del 17 gennaio che ora riceve nuove conferme, aveva scritto «di senatori contattati da noti legali vicini al premier, da presidenti di ordini forensi a nome dello Studio Alpa, da generali della Guardia di Finanza, da amici del capo dei servizi segreti Vecchione, da arcivescovi e monsignori vicini al cardinal Bassetti e alti prelati vicini alla Comunità di Sant’Egidio». Palazzo Chigi fece una smentita rituale. Alcuni testimoni diretti riferiscono anche di un attivismo di avvocati provenienti dallo studio Alpa. Sicuramente Andrea Benvenuti, diventato poi segretario di Conte. Un’altra fonte dice anche di telefonate da parte dell’avvocato senior dello studio, Luca Di Donna, circostanza che però altri negano. Come che sia su questo ultimo punto, proprio un’inchiesta su Di Donna (per un presunto traffico d’influenze in un’altra vicenda, riguardante gli appalti delle mascherine cinesi nella prima fase della pandemia) ha fatto emergere – scrisse La Stampa – che ricevendo un imprenditore, Di Donna si fece trovare «presso lo studio Alpa» con il capo di gabinetto dell'Aise (i servizi segreti esteri) Enrico Tedeschi. Una nostra fonte racconta come a quell’incontro fosse presente anche un altro alto ufficiale, che l’imprenditore fa però fatica a inquadrare. Sui servizi Conte è sempre stato assai criticato. Aveva tenuto il controllo per sé, accentrando tutto nella relazione personale con il generale della Guardia di Finanza Gennaro Vecchione, capo del Dis. Solo alla fine il leader M5S cedette all’ambasciatore Piero Benassi la delega di controllo. Il quale fu convocato con insistenza dal Copasir, nell’ultima settimana di Conte a Palazzo Chigi, ma la fine del governo fece cadere quella richiesta di capire alcuni passaggi cruciali. Mario Draghi tra i primi suoi atti ha nominato Franco Gabrielli autorità delegata all’intelligence, e Elisabetta Belloni al Dis, chiari segnali anche simbolici di fine di quella stagione. Ora il Copasir ha intenzione di sentire Cesa, per capire bene cosa sia accaduto in quei giorni.
La spy story dietro l'operazione (fallita) dei responsabili. Conte ter, così i servizi segreti provarono a salvare il governo dell’avvocato del popolo. Aldo Torchiaro su Il Riformista l'11 Novembre 2021. Il Conte Ter doveva nascere per forza. E la maggioranza che non c’era, si doveva trovare a tutti i costi. Tanto che sembra averci lavorato un pezzo del vertice di quei servizi segreti che con Conte erano diventati un’appendice di Palazzo Chigi. Dal libro di Bruno Vespa appena presentato (Perché Mussolini rovinò l’Italia e come Draghi la sta risanando) si assume una confidenza che l’autore non può che aver ricevuto dal protagonista di questa storia: Lorenzo Cesa. Il segretario Udc sarebbe stato al centro di pressioni fortissime, nei giorni in cui si cercava la maggioranza raccogliticcia (I “Responsabili”) per il Conte Ter. Cesa nicchiò e infine negò di dare l’appoggio della formazione centrista a Conte. Per pura coincidenza, tre giorni dopo il voto al Senato – era il 21 gennaio – ricevette in casa una perquisizione della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, per ordine del procuratore Nicola Gratteri. Gli contestarono il reato di associazione per delinquere aggravata dal metodo mafioso. Anche nell’intervista recentemente fatta con il Riformista, Cesa fa riferimento alla singolare combinazione, nelle stesse giornate, di decisioni politiche e inchieste roboanti. Che nulla avevano di fondato: il leader Udc è stato prosciolto da tutte le accuse, anzi ha visto la sua posizione stralciata dall’inchiesta ancora nella fase preliminare. Come gli era stato pronosticato da uno 007 che lo ha raggiunto a casa, in quelle ore concitate. Con Conte appeso a un filo, Mattarella aveva evidentemente già iniziato a comporre il numero di telefono di Mario Draghi per sondarlo. Ma c’è ancora un margine per ripescare Conte, che fino all’ultimo si illude. Briga. Fa chiamare. È a quel punto che accade l’incredibile: «Subito dopo la perquisizione, il segretario dell’Udc ricevette la visita di un importante agente segreto che conosceva da tempo e che gli avrebbe detto, più o meno: non preoccuparti, questa storia si risolve, ma cerca di comportarti con saggezza», scrive Vespa nel libro. Chi decide di parlare oggi lo fa anche perché le partite aperte allora, sono oggi chiuse. Il generale Vecchione non dimora più a capo dei servizi, allontanato il 14 maggio da Mario Draghi. Legato a Conte da una solida amicizia, è stato al suo fianco dall’inizio del Conte I alla fine del Conte II. E l’ombra dei servizi la ritroviamo in più punti della cronistoria del Conte II. Si parlò insistentemente di uomini dell’intelligence che facevano pressioni per Conte, qualcuno anche transitando per le segrete stanze dello studio Di Donna-Alpa-Conte. Ed era in quello studio che – ancora indietro, nella primavera 2020 – l’avvocato Luca Di Donna, sotto le insegne del collega di studio più anziano, Giuseppe Conte, riceveva i clienti insieme con il capo di gabinetto dell’Aise, i servizi di controspionaggio, Enrico Tedeschi. E con un secondo generale, verosimilmente membro dell’intelligence, che il teste Giovanni Buini fatica a identificare. E d’altronde solo Cesa può fare il nome dell’importante dirigente dei servizi che lo andò a trovare, e tutto ieri Cesa è rimasto blindato: “non conferma e non smentisce”, ci fa sapere il suo portavoce Salvo Ingargiula che però si lascia sfuggire: «Di queste cose parla nelle sedi istituzionali, al Copasir». Parlerà al Copasir? La voce dal sen fuggita può trovare riscontro solo nell’agenda del Comitato parlamentare per la sicurezza. Le cordate degli 007 sono note, le poltrone che contano pure. Draghi ha imposto un cambio della guardia che però ha inciso fino a metà. «Chi comanda sempre è il giro di quelli che chiamiamo istituzionali, da Franco Gabrielli a Luciano Carta», ci dice una gola profonda dei servizi. Se solo Cesa può dire chi lo era andato a trovare e da chi era stato spinto, quel che si può escludere a una prima analisi è che fosse un uomo dell’Aise. E il campo si restringe all’Aisi, al cui vertice siede Mario Parente, generale dei Carabinieri la cui ascesa si lega a indicazioni di matrice dem. «Marco Mancini stava dall’altra parte», suggerisce la nostra fonte. A una attenta lettura l’evoluzione dei fatti – per come la concatena Vespa – tende a far pensare a una manovra ordita da chi è più vicino a Gratteri. E chi è più vicino a Gratteri si chiama Marco Mancini. «E non dovete farvi trarre in inganno: Mancini non era affatto tra gli uomini ai quali Giuseppe Conte avrebbe potuto rivolgersi», ci ricorda la nostra fonte. Il contestato scoop di Report, realizzato in circostanze mai del tutto chiarite, ha reso noto l’incontro di Mancini con Matteo Renzi. La cordata opposta, dunque. Di pressioni fortissime in quei giorni di fine gennaio se ne vedevano ovunque, e i discorsi di Conte a Camera e Senato erano infarciti di blandimenti sperticati. “Amici democratici cristiani”, si era lanciato Conte: ed ecco che Cesa viene messo sui carboni ardenti. Poi si era appellato ad “un uomo di cultura come il socialista Nencini”. Anch’egli protagonista di un giallo; Renzi gli raccomanda di votare contro la fiducia (Italia Viva e Psi integrano lo stesso gruppo) ma lui, appartatosi a palazzo Madama con Giuseppe Conte fino alle 22 della sera del 19 gennaio, ne uscirà con una carica insperata, correndo in aula per votarlo. Secondo una indiscrezione, un accordo su una posizione istituzionale di primo piano nel nascituro governo. Poi però i piani andarono diversamente. Arrivò Mario Draghi e con lui l’Autorità delegata per la sicurezza della Repubblica venne affidata nelle mani di Franco Gabrielli, ed Elisabetta Belloni venne incaricata di guidare il Dis dopo l’uscita di Vecchione. Da allora non si hanno più notizie di agenti segreti che girano di casa in casa a suggerire ai parlamentari come devono votare.
Aldo Torchiaro. Romano e romanista, sociolinguista, ricercatore, è giornalista dal 2005 e collabora con il Riformista per la politica, la giustizia, le interviste e le inchieste.
Selvaggia Lucarelli per il "Fatto quotidiano" il 20 settembre 2021. Se è vero che Rocco Casalino è tornato come coach tv del Movimento 5 Stelle e ha deciso che in tv ora debba parlare solo Giuseppe Conte, bisogna che qualcuno parli con Rocco Casalino e magari faccia da coach al coach della tv dei 5 Stelle. Perché va bene che del Movimento degli esordi resti poco o niente, ma passare dal "Vaffanculo" a "La accompagno alla porta, mi saluti la sua consorte", forse non è esattamente un affare. Sto parlando, ovviamente, delle recenti performance di Giuseppe Conte in tv. Conte finisce di parlare e non sai che ha detto, in quel continuo, sovrumano esercizio di diplomazia e di allergia al conflitto che rischia di renderlo una figura sbiadita. O, peggio, di renderlo il roboante "avevo ragione io" di Beppe Grillo, che non aspetta altro. Chiedi "Che ora è?" a Conte e lui risponderà che sono le otto, ma ha il massimo rispetto anche per il resto dei fusi orari. Emblematico, in questo senso, il disperato tentativo di Corrado Formigli di cavargli qualcosa nell'intervista di giovedì a Piazzapulita. Ci ha provato col forcipe, forse serviva una trivella per il greggio. Formigli gli chiede se è d'accordo con il Green passe lui "sì al Green pass, garantendo il diritto al lavoro". Eh già. E la qualità è il miglior risparmio! Venezia è bella ma non ci vivrei! Formigli ci riprova: "Che voto darebbe a Draghi?". Risposta frizzante: "Ho difficoltà a dare a me stesso i voti, figuriamoci a Draghi!". Eh già. Buona la carne, ma vuoi mettere un buon piatto di pasta? Formigli non molla: "Nel Conticidio di Travaglio si dice che lei doveva cadere già nel 2019". "I complotti non mi affascinano, certe politiche del mio governo non piacevano". Allora lo incalza Alessandra Sardoni: "Cosa non piaceva del suo governo?". "Non lo so, noi eravamo per l'inclusione sociale". Eh già. E la cacca del bambino è santa! Il computer rovina la vista! Ai miei tempi ci si alzava da tavola solo quando tutti avevano finito! Insomma, se va avanti così, il prossimo Conticidio sarà ad opera di Conte stesso. Travaglio ha già il suo prossimo libro in stampa: Contesuicidio.
Giuseppe Conte, la maxi-consulenza da 400mila euro (su cui Il Fatto Quotidiano sorvola). P.F. su Libero Quotidiano il 19 settembre 2021. Per oltre un anno, con la scusa che i verbali «non erano attendibili» in quanto non firmati e per «non compromettere le indagini», il Fatto Quotidiano ha tenuto in un cassetto le dichiarazioni dell'avvocato Piero Amara sulla loggia Ungheria. Una scelta "deontologica" che ha tutelato Giuseppe Conte, quando era presidente del Consiglio, dal fango nel ventilatore. «Vietti mi chiese di far guadagnare denaro ad avvocati e professionisti a lui vicini e avvenne in quel periodo con l'avvocato Conte, oggi premier, a cui facemmo conferire un incarico dalla società Acqua Marcia spa di Roma, incarico che fu conferito a lui e al professor Alpa grazie al mio intervento su Fabrizio Centofanti che all'epoca era responsabile delle relazioni istituzionali e degli affari legali di Acqua Marcia», raccontò Amara a dicembre del 2019 ai pm di Milano. «L'importo che fu corrisposto da Acqua Marcia ad Alpa e Conte era di 400mila euro a Conte e di un milione di euro ad Alpa». «Questo l'ho saputo da Centofanti che si arrabbiò molto perché il lavoro era sostanzialmente inutile trattandosi della rivisitazione del contenzione della società, attività che fu svolta da due ragazze in poche ore e l'importo corrisposto fu particolarmente elevato», aveva aggiunto. «Non ho nulla a che fare con i loschi traffici di Amara, non l'ho mai conosciuto. Trecento pareri legali mi hanno occupato per quasi un anno, quindi quel compenso era il minimo: tutte quelle parcelle hanno passato il vaglio del tribunale e dei commissari giudiziali nominati dai giudici fallimentari», la risposta di Conte. Acqua marcia era controllata da Francesco Bellavista Caltagirone. Dopo la consulenza per Acqua Marcia, finita in concordato, Conte aveva lavorato per l'imprenditore Leonardo Marseglia nella compravendita di un albergo a Venezia, nel portafoglio della società di Caltagirone. Un potenziale conflitto d'interessi: Conte, già consulente di Acqua Marcia (di cui conosceva i documenti del concordato), aveva assistito Marseglia che del concordato era il beneficiario. Gli incarichi «non sono entrati in conflitto, trattasi di epoche diverse: il primo risale al 2012-13, mentre quello per Marseglia risale a due anni dopo. E comunque il contenuto dell'incarico non era tale da creare potenziali conflitti», la replica di Conte. Amara raccontò i problemi di Acqua Marcia per omologare il concordato. Per l'omologa serviva nominare gli avvocati «Enrico Caratozzolo, Guido Alpa e Giuseppe Conte». Alla domanda su chi fosse il giudice che ha gestito il concordato, Amara ebbe delle amnesie. E su queste dichiarazioni è pendente da mesi a Roma un procedimento, senza indagati, per bancarotta per dissipazione.
I conti non tornano...Finanziamenti al M5S, chi paga le spese di Conte e Raggi? Aldo Torchiaro su Il Riformista il 16 Settembre 2021. Giuseppe Conte, è la velina che circola nei giornali, sarebbe al verde. In aspettativa non retribuita dall’università, non godrebbe di rimborsi come presidente del M5S. “Viaggia a sue spese in tutta Italia”, si legge perfino. Sono fandonie. Almeno in parte: perché tutti i bilanci e i regolamenti dei soggetti politici prevedono emolumenti e compensi. Al M5S piace tanto la retorica da aspiranti francescani, come più volte reiterato da Beppe Grillo. Però francescani non sono, e tanto poveri neanche. L’ultimo bilancio alla Camera fotografava a fine aprile scorso 7,2 milioni di residuo attivo, benché le spese complessive arrivassero a 4,8 milioni di euro, di cui quasi 2,5 milioni per il personale della comunicazione. Questo senza contare le collaborazioni a progetto, aumentate nell’ultimo anno fino all’importo di 1,6 milioni di euro. Un milione e seicentomila euro di contratti temporanei, solo per incarichi a Montecitorio. Si sommi la metà degli stessi valori per il Senato e si avrà un residuo di oltre dieci milioni di euro. Alla faccia del poverello di Assisi. Le contribuzioni dei parlamentari arrivano, anche se risentono dei fuoriusciti. Il sito tirendiconto.it non esiste più, dismesso tra i marosi della riorganizzazione interna, ma nessuno ci ha fatto troppo caso. Però Conte, viene detto, “viaggia a sue spese”. Eppure lo si vede entrare e uscire dalle auto blindate della scorta, quella che peraltro spetta per protocollo di sicurezza al presidente del Consiglio uscente. Il tema vero forse è nelle pieghe della cosiddetta “Spazzacorrotti”, quella legge capestro tanto fortemente voluta proprio dai Cinque Stelle che impedisce ad un leader di partito di prestare la propria opera di professionista – addio quindi alle laute consulenze presso lo Studio Alpa – e di insegnare all’università. Ma Conte da presidente del M5S quale emolumento percepisce? Lo abbiamo chiesto agli uffici pentastellati di Camera e Senato, per ora senza ricevere risposta. Arriveranno invece presto notizie dai numerosi “ribelli” del Movimento, quelli che il nuovo corso di Conte non lo hanno mandato giù. Contro ogni scaramanzia, venerdì 17, in un bar di Piazza Bellini, a Napoli, i militanti illustreranno insieme all’avvocato Lorenzo Borrè le ragioni dell’impugnazione del voto che ha incoronato Conte presidente del nuovo M5S all’inizio di agosto, e che secondo i ricorrenti presenterebbe “sette motivi di illegittimità”: uno di questi sarebbe la presunta non iscrizione di Conte al M5S. Gli stessi attivisti sostengono che «il 17 luglio 2021 (lo stesso giorno in cui ha indetto le votazioni per l’approvazione del nuovo statuto)» l’allora reggente grillino Vito Crimi, membro anziano del Comitato di garanzia, avrebbe chiesto all’Associazione Rousseau di «effettuare l’iscrizione di Giuseppe Conte al Movimento 5 Stelle», adempimento «non ottemperato» dall’Associazione presieduta da Davide Casaleggio, fresca di divorzio dal M5S. Tra l’altro, in quei giorni il nuovo portale del Movimento non era abilitato a registrare le nuove iscrizioni: tuttora nelle Faq del sito movimento5stelle.eu campeggia una scritta in cui si legge che «momentaneamente le nuove iscrizioni sono sospese». Tamburi di guerra suonati, perdipiù, da quell’avvocato Borré che fino a ieri nel Movimento veniva considerato come la Cassazione, una fonte indiscutibile di diritto. È lui a tuonare: «Sarà il Tribunale civile a valutare la validità delle speciali modalità di “registrazione” di cui ha usufruito Conte. È comunque politicamente grave, vieppiù per un movimento che recitava il mantra “uno vale uno”, il fatto che Conte abbia potuto accedere ad una procedura non specificata». Se Conte piange miseria, e il sito tirendiconto.it chiude, non si hanno notizie aggiornate delle donazioni a Virginia Raggi. Che pure ci sono. Ammontavano a circa ventimila euro nel mese di luglio, ma per agosto e settembre non abbiamo ancora dati. Sappiamo che tra i generosi contributori spontanei ci sono imprese edili, società attive nel settore della ristorazione, candidati della lista civica, parlamentari (romani e non) del Movimento 5 Stelle. Scorrendo i nomi dei donatori ci si imbatte in qualche impresa di costruzioni, a partire dalla Ns Costruzioni Srl, che nel mese di luglio ha versato 600 euro nelle casse del Comitato. La ditta era assurta agli onori della cronaca negli ultimi anni per aver acquistato lo storico Villino Naselli nel quartiere Coppedè, di proprietà di una congregazione di suore: l’edificio stile liberty di Via Ticino, progettato all’inizio degli anni ‘30, fu abbattuto nel 2017 per far spazio a una palazzina. L’opera divise gli abitanti del quartiere e fu bollata dal critico d’arte Vittorio Sgarbi come “un orrore”. Il gruppo costruttore respinse ogni critica e il Comune si tenne accuratamente fuori dalla disputa. A luglio ha versato 600 euro al Comitato Raggi. Un altro bonifico da 600 euro è stato effettuato dalla Cuma 6 Srl, azienda che si occupa della costruzione di edifici residenziali e non. Nella lista dei finanziatori del Comitato compaiono poi i nomi di Vincenzo Oreste Lupattelli, titolare della Millennium Immobiliare Snc, con una quota versata di 2.400 euro, e di Vincenzo Bonifati (1.500 euro), presidente del Gruppo Bonifati, attivo da oltre 40 anni nel settore dell’edilizia pubblica, privata e delle grandi opere. Figura tra i donatori, con un versamento di 1.500 euro, anche Maria Palma Del Sole, general manager della Vincenzo Tundo Spa, azienda aggiudicataria dal 2013 del servizio di trasporto scolastico riservato e del servizio a chiamata disabili per Roma Capitale. Così come la società Navona Clama Srl (600 euro), che gestisce il Bar Ristorante “Tre Scalini” in Piazza Navona. Dalla lista spuntano ricorrenti bonifici da 600 euro, erogati da altruisti e generosi donatori di provenienza diversa. Pochissimi versamenti da 500 euro, nessuno da 700. Non può non suscitare curiosità il ripetersi della quota da 600 euro. Una “pezzatura”, una cifra tonda né piccola né grande, quasi segnaletica.
Aldo Torchiaro. Romano e romanista, sociolinguista, ricercatore, è giornalista dal 2005 e collabora con il Riformista per la politica, la giustizia, le interviste e le inchieste.
Lisa Di Giuseppe per "Domani quotidiano" il 15 settembre 2021. Giuseppe Conte cerca lavoro. Il motivo non è soltanto che il neoleader è spossato dalla campagna elettorale, come ha ammesso spiegando che è «una faticaccia enorme» e che non potrà «reggere fisicamente a lungo». La vera preoccupazione è il conto in banca: ha bisogno di nuove entrate. L'avvocato di Volturara Appula non può contare né sugli introiti della sua attività nello studio dell'avvocato Guido Alpa né sullo stipendio da professore all'università di Firenze. La legge impedisce ai leader di partito di svolgere entrambe le attività. Le finanze di Conte dunque languono, soprattutto di fronte a un impegno economico importante come la campagna elettorale che lo sta portando in tutta Italia. Il partito riesce a coprire solo una parte delle spese: dopo la rottura con Rousseau pochi parlamentari e consiglieri regionali hanno seguito l'invito dell'ex reggente Vito Crimi a versare 2.500 euro al mese al Movimento. La campagna costa, e non poco: per finanziarla i Cinque stelle si dividono le spese. «Conte arriva, scende dalla jeep, fa il comizio che abbiamo messo in piedi noi e poi dobbiamo portarlo a cena», dice un deputato che lo ha accompagnato di recente a un appuntamento della campagna sul suo territorio. Si capisce che dover contribuire di tasca propria alla campagna di un leader che sul partito oggi dice una cosa e domani il suo contrario è un'attività che suscita entusiasmi limitati. Se i costi degli appuntamenti sono coperti da fondi privati di deputati e senatori e dalle casse dei rami locali del Movimento, i trasferimenti e le altre spese ricadono invece su Conte, che sta attingendo anche al suo patrimonio personale. Lo sforzo sta iniziando a mettere alla prova il leader senza portafoglio. Una soluzione Conte ce l'avrebbe farsi eleggere in parlamento, cosa che gioverebbe anche all'alleanza di centrosinistra tra Movimento 5 stelle e Pd. Il leader ha messo gli occhi sul collegio Roma I, quello che raccoglie il centro storico e arriva fino al quartiere Ostiense e al rione Prati. Certo, per candidarsi l'attuale deputato di quel collegio dovrebe lasciare l'incarico, ma la possibilità che accada non è così remota: il parlamentare è Roberto Gualtieri, il candidato del Pd al Campidoglio. Se dovesse essere eletto, ci saranno le elezioni suppletive: si ripeterebbe lo schema che era stato ipotizzato per il collegio di Primavalle, dove pure era stata ventilata la candidatura del leader del Movimento, poi sfumata. La differenza è che per vincere Gualtieri avrà bisogno dei voti del Movimento al ballottaggio. Per íl momento nei sondaggi è dato secondo dietro al candidato del centrodestra, Enrico Michetti. La voce di un accordo tra Conte e Gualtieri (l'appoggio al ballottaggio in cambio del sostegno alle suppletive) era già circolata in agosto e smentita dal leader dei Cinque stelle, ma ora che la campagna entra nel vivo e il sostegno, anche economico, del partito non è quello che l'avvocato si aspettava, l'ipotesi ha ripreso quota. Si tratta però di un seggio ambito: anche l'ex segretario del Pd Nicola Zingaretti starebbe valutando di candidarsi in caso di un successo di Gualtieri. L'altro aspetto che salta all'occhio è quanto poco Conte scommetta sulle amministrative in generale e sulla corsa di Virginia Raggi in particolare: qualche giorno fa ha spiegato che «questa tornata amministrativa non può essere significativa per il corso del Movimento», non proprio un messaggio di rilancio. Sembra quasi che l'avvocato voglia cautelarsi rispetto al disastro annunciato della tornata elettorale. A questo punto lo sguardo del capo del Movimento, ancora alle prese con le difficoltà che accompagnano ogni inizio, sembra rivolto all'estratto conto più che al conto delle preferenze.
ALDO GRASSO per il Corriere della Sera il 12 settembre 2021. L'importanza di chiamarsi Giuseppi. Da quando il premier Giuseppe Conte è stato ribattezzato Giuseppi, nel famoso tweet di endorsement del presidente Donald Trump, ebbene da allora la maledizione della svista, del lapsus, del refuso è scesa su di lui. Implacabile. Conte fa tappa a Milano per supportare la candidata sindaca Layla Pavone, ma la chiama Romano (il profilo social di tale Layla Romano è a luci rosse). Scuse per la gaffe. Giorni prima, cita lo stato di povertà di 200 mila bambini milanesi. Ma, secondo la casistica Istat, la popolazione under 14 a Milano è ferma a 175 mila persone. Non tutte povere. Ai primi di settembre a Roma, il leader del M5S interviene a un comizio a sostegno della rielezione di Virginia Raggi ma confonde l'Atac, l'Azienda municipalizzata per i trasporti, con l'Ama, che invece è l'Azienda municipalizzata dei rifiuti. Scuse per la gaffe. Vi ricordate quando a Potenza esordì con «quale Presidente della Repubblica sono garante della coesione nazionale», spostando Palazzo Chigi al Quirinale? O quando, parlando di «Mes confezionato», confuse il governo Monti con quello precedente di Berlusconi? Parlando di Mike, Umberto Eco sosteneva che la gaffe nasce sempre da un atto di sincerità non mascherata. Va trattata con leggerezza: non è una provocazione come la sincerità mascherata. Lo dice chiaramente Giuseppe Conte: «Se andremo al ballottaggio, come credo, mi auguro che il Pd ci appoggi». Il leader del Movimento, a Torino per sostenere la candidata sindaca M5S Valentina Sganga, commenta gli scenari legati al ballottaggio: «Non ci sono le condizioni in questo momento per poter dire, dopo gli atteggiamenti assunti dal Partito democratico torinese, che noi appoggiamo il Pd a Torino». Parole che guardano non solo oltre il primo turno, ma anche oltre i confini di Torino. Quelle del leader pentastellato suonano come il preludio a quello che sarà forse il primo confronto vero tra alleati dopo l'esito del primo turno delle Amministrative. L'occhio è rivolto a quei capoluoghi come Torino appunto, ma anche Milano e soprattutto Roma, dove M5S e Pd si sfidano. «Con le forze dell'area di centrosinistra e con il Pd in particolare - ha argomentato Conte - coltiviamo un dialogo continuo e costante. Ma in alcune realtà territoriali questo non è stato possibile, e una di queste è Torino. A me personalmente dispiace che non ci sia stata la possibilità, e non lo imputo certo al Movimento 5 Stelle, di creare un progetto comune con obiettivi condivisi per questa città. C'è stato un irrigidimento da parte del Pd locale, ne prendiamo atto». Per il leader del M5S la settimana di campagna elettorale al Nord si è conclusa con un bagno di folla al Mercato centrale del capoluogo piemontese. Con lui, oltre a Sganga, anche l'attuale sindaca Chiara Appendino e l'ex ministra Lucia Azzolina, due esponenti che secondo le indiscrezioni avranno un ruolo centrale anche nel futuro del Movimento targato Conte. Ad accompagnare l'ex premier - come già accaduto in altre tappe del suo tour negli ultimi giorni - anche alcuni contestatori. Una ventina di esponenti no green pass hanno esposto uno striscione («Conte traditore Torino non ti vuole»). L'ex premier ha incontrato anche i lavoratori dell'ex Embraco. «Si è impegnato a chiedere conto della situazione e del fallimento del progetto Italcomp al viceministro dello Sviluppo economico Alessandra Todde» spiega Ugo Bolognesi della Fiom Cgil di Torino. E mentre l'ex premier fa campagna a Torino, Luigi Di Maio, che era con Conte a Bologna venerdì, è a Napoli per sostenere Gaetano Manfredi. Il ministro è protagonista anche di un siparietto con un cittadino che gli offre una tazza di caffè.
JACOPO IACOBONI per lastampa.it il 12 settembre 2021. Rischia di essere ricordato, nonostante ogni sforzo contrario, come il momento più rivelatore della fase che sta attraversando Giuseppe Conte: il discorso di Finale Emilia. Come sapete, venerdì 10 settembre l’ex premier, parlando a una delle feste dell’Unità che sta visitando in questo tour al nord, si è lasciato andare a un commento di straordinaria sincerità: «Questo è un impegno stressantissimo, una faticaccia enorme, non credo che la potrò reggere anche fisicamente a lungo. E quindi faremo in modo che ci sia qualcuno più bravo di me, quando sarà il momento». La Stampa è in grado di raccontare cosa c’è dietro questa frase, che potrebbe essere un semplice sfogo o – secondo altre fonti nel Movimento – l’indicatore molto preciso di un malessere realmente esistente: la solitudine dell’avvocato dentro il suo stesso partito. Gli elementi di questa «solitudine» sono più d’uno. Fin dall’inizio della sua scalata alla leadership del M5S, Conte ha avuto alcuni sostenitori assai esposti nel Movimento – Paola Taverna, Stefano Patuanelli, Giancarlo Cancelleri, ma anche parlamentari influenti come il vicecapogruppo Riccardo Ricciardi, o la deputata Alessandra Majorino. Persone che gli hanno dato sostegno anche quando la sua leadership appariva contrastata dall’appeal esercitato da Luigi Di Maio presso molti grillini, specialmente alla Camera, e dai modi suadenti di Roberto Fico. Adesso però, con l’avvicinarsi delle prime nomine interne dell’avvocato del popolo, un po’ tutti nel M5S si aspettato il giusto guiderdone politico. C’è in ballo innanzitutto una segreteria, in cui Conte potrà collocare una decina di loro, ma non di più (forse meno). Ci sono in ballo ritocchi nei capigruppo parlamentari. Ci sono candidature in regioni importanti (per esempio la Sicilia: cosa succederebbe se Conte non si spendesse per Cancelleri presidente?). Ognuno di questi passaggi rappresenta una mina e una potenziale fila davanti alla porta dell’avvocato del popolo: dieci persone al massimo saranno contente, e duecento recrimineranno. Ci sono poi le prospettive di essere ricollocati nelle liste future, oppure no: sapendo che sulle liste Conte ascolta in modo particolare due figure che stima da tempo, Guido Alpa e l’ambasciatore Piero Benassi, in tanti grillini ormai temono (complice anche la riduzione dei parlamentari) di non essere ricandidati. I posti per le riconferme sono quindici, non uno di più. In questo quadro, alcuni dei parlamentari (non solo alcuni dei calabresi) non stanno restituendo al partito, alle scadenze previste, i 2500 euro mensili previsti dal nuovo Statuto contiano. Altri tentennano. C’è poi la campagna elettorale per le amministrative. Conte viene sempre più percepito, nel Movimento, come l’attore di una campagna d’immagine personale, più che una campagna elettorale tradizionale in favore dei candidati del Movimento. In molti posti l’ex premier non è andato, com’è umano costretto a declinare tanti inviti da grillini sul territorio: ma lasciando l’amaro in bocca a tanti candidati. Quando è andato, a volte ha messo le mani avanti in modo non entusiasmante – per tanti big del Movimento - sull’esito del voto. «Questa tornata amministrativa non può essere significativa per il nuovo corso del M5S. Mi sono trovato con le liste già pronte, le ho sottoscritte», ha detto Conte in tv, prima di partire per l’Emilia. E’ parsa una sconfessione palese di Raggi, ma anche dell’assetto che si è creato a Torino: con la rottura tra M5S e Pd. Come se Conte avesse più a cuore il suo rapporto con il Pd che la cura dei bisogni del mondo e del ceto politico grillino. C’è poi una questione di staff. L’ex premier, uscito da Palazzo Chigi, non ha più il sostegno di persone fisse. Il suo portavoce è adesso convogliato ai gruppi, con ha spiegato Conte stesso a Ceglie Messapica, a fine agosto, a chi glielo chiedeva: «Casalino è stato assunto alla Camera e al Senato e è responsabile per le tv, quindi ha un compito molto più gravoso, perché ora lavora non più per un singolo, ma per i gruppi parlamentari del M5S». La brava Mariachiara Ricciuti, forse la preferita dall’ex premier, ha bisogno in questa fase di più tempo per felici vicende personali. E così Conte viene accompagnato ora da uno ora da un altro membro della comunicazione (nell’ultima fase da Dario Adamo, proveniente però dai social). Qualcuno teme che l’avvocato venga deliberatamente mandato allo sbaraglio: sicuramente una cattiveria messa in giro dai suoi avversari. Di sicuro però è in un momento in cui è più vulnerabile che mai politicamente. Certo, un centinaio di parlamentari appaiono molto attivi nell’appoggiare e rilanciare le sue iniziative e mettere like sui social: sono in campo due società di comunicazione digital esterne, che tengono alto questo “likificio” contiano. Pratica in cui certo anche altri leader politici sono impegnati, ma rende difficile al dunque distinguere il consenso reale da quello fantasmatico e presunto.
5 Stelle infuriati: "Dichiarazioni strampalate". “Non credo reggerò a lungo, rilanciare il Movimento faticaccia enorme”, Conte si "sfoga" ed evoca l’addio. Carmine Di Niro su Il Riformista il 10 Settembre 2021. Dopo aver chiesto e ottenuto la cacciata di Davide Casaleggio e dell’associazione Rousseau, aver fatto cambiare lo statuto per essere proclamato leader assoluto, Giuseppe Conte è già pronto a mollare il Movimento 5 Stelle? L’ex premier da Finale Emilia, dove è intervenuto questa mattina nel corso del suo tour in Emilia Romagna per le amministrative, evoca un passo indietro dalla guida dei 5 Stelle, anche se ovviamente non così vicino nelle tempistiche.
“Stiamo rilanciando il progetto del M5s, lo porteremo avanti, al di là degli interpreti. Siccome non ritengo di essere infallibile, e nemmeno vedo davanti un orizzonte poi così lungo, ve lo dico francamente: questo è un impegno stressantissimo. Lavorare così per il bene comune è una faticaccia enorme, quindi non credo che la potrò reggere fisicamente a lungo”, ha detto Conte da un palco allestito a Finale Emilia. L’obiettivo? “Fare in modo che ci sia qualcuno più bravo di me, quando sarà il momento”. Ma il progetto 5 Stelle per l’ex presidente del Consiglio è forte e dovete appoggiarlo, non lasciate che altri parlino con la vostra voce”.
LA MEZZA MARCIA INDIETRO – Parole ‘sospette’ che hanno aperto un caso anche all’interno del Movimento, tanto da costringere di fatto Conte a fare chiarezza poche ore dopo il comizio di Finale Emilia, questa volta con un punto stampa a Cattolica, dove è intervenuto a sostegno del candidato sindaco pentastellato Mariano Gennari. Qui, pressato dai giornalisti sul tema, Conte ha compiuto una mezza retromarcia: “Se si assume una responsabilità del genere, come presidente del Consiglio o alla guida di una forza politica, e lo si fa con serietà nell’interesse dei cittadini per il bene comune, vi assicuro che è un impegno enorme”. Impegno che “richiede quindi un importante sforzo fisico”, sottolinea Conte, “era questo quello che volevo dire”. Anzi, ribadisce il leader pentastellato che rilancia, “c’è tanto entusiasmo e voglia di lavorare per il bene del Paese, c’è tantissimo entusiasmo tra le persone e questo ci dà la consapevolezza che siamo chiamati ad un compito di responsabilità”.
IL CASO AGITA I 5 STELLE – Parole che, come detto, hanno agitato non poco il Movimento 5 Stelle. Il deputato Gianluca Vacca commenta polemicamente l’uscita del leader pentastellato: “Sembra un po’ anomalo che un leader, appena eletto alla guida di un Movimento, dichiari di essere stanco – dice all’AdnKronos – Non mi pare una grande iniezione di fiducia questa dichiarazione. Bisogna capire cosa intendesse dire”. L’ex sottosegretario all’Istruzione qundi rincara la dose: “E’ una dichiarazione un po’ strana, uno che ha appena iniziato non penso si possa stancare subito, in così poco tempo. Sono parole strampalate. Magari è una battuta uscita male. Noi nelle piazze ci siamo sempre stati, lo abbiamo fatto per anni”. E non va meglio nelle chat interne del Movimento, dove le critiche sono pesanti. Una deputata ricorda come Beppe Grillo abbia “attraversato a nuovo lo Stretto di Messina…”, a proposito della fatica fisica citata da Conte. Un altro senatore, alla prima legislatura, tenta invece la carta del paragone: “Ma cosa ha voluto dire? Sembra di sentire Zingaretti durante gli ultimi giorni della sua segreteria Pd. Se queste parole gli sono ‘uscite male’ è necessario chiarire questo equivoco: serve una dichiarazione che sprizzi energia politica da tutti i pori”.
Carmine Di Niro. Romano di nascita ma trapiantato da sempre a Caserta, classe 1989. Appassionato di politica, sport e tecnologia
L'ex premier annuncia la votazione del 2 e 3 agosto. Conte lancia il nuovo statuto e attacca Cartabia: “No all’impunità, il vento del M5s soffia ancora”. Antonio Lamorte su Il Riformista il 17 Luglio 2021. Il nuovo Movimento 5 Stelle riparte dal “patto della spigola”. Giuseppe Conte in un messaggio video sul suo canale Facebook ha presentato il nuovo Statuto del Movimento 5 Stelle. Il video di poco meno di dieci minuti annuncia un nuovo corso del Movimento 5 Stelle e la votazione che si terrà il 2 e il 3 agosto. Il voto si terrà sulla piattaforma telematica SkyVote. Il documento guarda al 2050. Il Presidente del Comitato di Garanzia Vito Crimi ha introdotto i “valori identitari e la vocazione innovativa” del Movimento che “il presidente Giuseppe Conte, su incarico del garante Beppe Grillo, ha pertanto elaborato una proposta di modifica dello Statuto che, oltre a definire con chiarezza ruoli e funzioni, introduce nuovi strumenti organizzativi e la Carta dei Principi e dei Valori”. “In qualità di Presidente del Comitato di Garanzia, pertanto, revoco, su indicazione del Garante, l’indizione assembleare di cui alla mia precedente comunicazione del 2 luglio 2021 e convoco l’Assemblea degli iscritti dalle ore 10 alle ore 22 dei giorni 2 e 3 agosto in prima convocazione e dalle ore 10 alle ore 22 dei giorni 5 e 6 agosto in seconda convocazione per votare la proposta di modifica dello Statuto e contestuale revoca della deliberazione assembleare del 17 febbraio 2021”. La votazione sarà valida solo se parteciperanno almeno la maggioranza assoluta degli iscritti e quindi a maggioranza dei voti espressi. Il testo del quesito che sarà sottoposto agli iscritti da almeno sei mesi: “Approvi la proposta di modifica dello Statuto, contenente anche la Carta dei principi e dei valori, visionabile sul sito movimento5stelle.eu e di contestuale revoca della deliberazione assembleare del 17 febbraio 2021?” Qualora dovesse passare il quesito la voce “Comitato direttivo” sarà sostituita da “Presidente” e l’assemblea” sarà chiamata a votare per l’elezione del Presidente, indicato dal Garante, Beppe Grillo, nella persona del prof. Giuseppe Conte. È lo stesso Beppe Grillo che aveva definito inadeguato Conte come guida del M5s – ma che aveva appoggiato e lodato come guida del governo, anzi di due governi, uno con la Lega e un altro con il Partito Democratico – e lo stesso Giuseppe Conte che non aveva esitato a dare il suo al comico e Garante e fondatore del Movimento. Tutto finito, tutto superato, tutto risolto. Scurdammoce o’ passato. Dove poteva finire a finire “a pesci fetenti” è invece tutto ricominciato dal “patto della spigola”. Ovvero da quella foto scattata a Marina di Bibbona che ritraeva i due leader sorridenti e finalmente in pace dopo settimane di tumulti che sembravano aver spaccato il Movimento. Conte abbronzato, in camicia, nella sua dichiarazione social. “Il vento del M5s soffia ancora”. Conte ha ammesso di aver conosciuto la politica a Palazzo Chigi. Ha difeso il reddito di cittadinanza. Ha ricordato il guru e fondatore Gianroberto Casaleggio. Ha fatto un po’ di campagna acquisti e invitato i sostenitori a riunirsi. Ha annunciato un tour in Italia – come non ricordare i tour di Beppe Grillo e di Alessandro Di Battista degli esordi? Ha parlato di Giustizia facendo riferimento alla riforma del processo penale voluta dalla ministra della Giustizia Marta Cartabia. “Io non canterei vittoria – aveva commentato dopo l’approvazione della riforma in Consiglio dei ministri – non sono sorridente sull’aspetto della prescrizione, siamo ritornati a una anomalia italiana”. Dove l’anomalia italiana è invece quella da ripianare per rendere i tempi compatibili alla linea del Recovery Fund e degli standard europei. Un Conte a tutto campo o quasi.
Il testo del video di Giuseppe Conte: “È finalmente arrivato il momento tanto atteso: il Movimento 5 Stelle riparte, con nuovo slancio e nuova forza. Sono stati mesi difficili, lo sappiamo. Abbiamo tutti vissuto momenti di smarrimento, di stanchezza. Ma abbiamo saputo superarli, lasciandoceli alle spalle. Ora possiamo ripartire, spinti da quel vento che per il M5S soffia ancora: è il vento delle battaglie che verranno, quelle ancora da vincere, il vento che spazza via nubi e incomprensioni. A partire da oggi potrete leggere il nuovo Statuto e la Carta dei Valori del Movimento, che saranno disponibili sul nostro sito a questo link: (...)Poi tra 15 giorni si aprirà la votazione. Nello Statuto troverete quelle che considero le basi per rilanciare la nostra azione comune: la piena agibilità politica del Presidente del Movimento e una chiara separazione fra i ruoli di garanzia e quelli di indirizzo politico. Gli iscritti avranno un ruolo sempre più centrale. Questo nuovo corso partirà dai Gruppi territoriali e dai Forum tematici, che saranno al centro di questo processo di rinnovamento. Gli iscritti potranno dar vita a Gruppi territoriali di scambio e di confronto, legati a singole realtà territoriali. Mentre i Forum tematici ci consentiranno un costante dialogo con la società civile: saranno luoghi di discussione, di confronto e di elaborazione di progetti, aperti anche ai non iscritti. Le proposte elaborate dai Gruppi territoriali e dai Forum tematici saranno ampiamente valorizzate. Ci sarà infatti un Comitato nazionale progetti, che a tempo pieno lavorerà per esaminare i progetti e le proposte legislative che perverranno dai Gruppi territoriali e dai Forum tematici. Sarà questo il modo per valorizzare e rilanciare quel grande progetto civico e politico nato 12 anni fa dalle intuizioni e dalla passione di Beppe Grillo e di Gianroberto Casaleggio. Una cosa che mi sta molto a cuore è la Scuola di Formazione. L’abbiamo pensata per la formazione e l’aggiornamento permanente rivolto a tutti coloro che intendono impegnarsi in politica, in particolare i giovani. Ma sarà anche il luogo di confronto e di aggiornamento per tutti i parlamentari e gli amministratori locali. In questi anni anche il Movimento è cambiato mantenendo però immutato il suo tratto distintivo: mettere al centro sempre e soltanto l’interesse dei cittadini. Questa grande comunità ha avuto il merito di aver imposto nel dibattito politico temi che stavano a cuore solo ai cittadini, ma che la classe politica fingeva di ignorare: l’etica pubblica, la lotta agli sprechi e ai privilegi, la politica intesa come servizio pubblico, la disparità e la lotta alle diseguaglianze e – non ultima – la sostenibilità ambientale. Oggi questo progetto ha bisogno di nuova linfa, di ritrovarsi e ritrovare quella caparbietà e quello spirito che lo hanno portato ad essere forza trainante per il cambiamento del Paese: è quello che i cittadini si aspettano da noi, è ciò che sono disposti a fare con noi, ed è il motivo per cui hanno dato grande fiducia al Movimento. Nel 2018 il Movimento ha ottenuto la fiducia di oltre 10 milioni di italiani ed è diventato la prima forza politica in Parlamento grazie agli impegni presi con gli elettori. Questi impegni in parte li abbiamo già mantenuti, realizzando gran parte delle riforme che avevamo promesso. E che oggi non possiamo lasciare che vengano cancellate. E’ una questione di rispetto per la democrazia, di rispetto degli elettori. E’ una questione di coerenza, fondamentale per alimentare il rapporto di fiducia tra cittadini e Movimento. Nel periodo in cui ho ricoperto il ruolo di Presidente del Consiglio ho lavorato unicamente per l’interesse generale, tenendo sempre bene a mente il valore dell’etica pubblica. Nella mia permanenza a Palazzo Chigi ho compreso l’importanza della Politica, con la P maiuscola, ho toccato con mano cosa significa avere una grande responsabilità nei confronti del proprio Paese, in particolare in uno dei momenti più drammatici della sua storia. Non ho mai nemmeno per un momento agito per un mio tornaconto personale, per un mio interesse presente o futuro. Sono così e continuerò ad essere così anche alla guida del Movimento. Questo è l’unico modo che conosco di lavorare, l’unico modo che conosco di fare politica. Ed è l’unico modo per servire davvero il mio Paese. Al governo abbiamo sfidato il totem inossidabile dell’Europa dell’austerità. Ci siamo presi insulti anche qui in Italia: populisti, fanatici, velleitari. Siamo quelli che hanno risposto per primi alla pandemia senza un manuale di istruzioni. Senza mai arrenderci abbiamo portato in Italia un grande piano di investimenti, indirizzando l’Europa intera sulla linea della solidarietà. Siamo quelli della legge Spazzacorrotti, quelli dei decreti contro il precariato e a favore dei diritti dei riders, quelli che hanno tagliato le tasse e reso più pesanti le buste paga dei lavoratori con il taglio del cuneo fiscale, quelli che per primi hanno iniziato a parlare di sostegni per autonomi e partite Iva. Siamo quelli che hanno agito concretamente per attenuare il divario tra Nord e Sud. Stanziando risorse per riequilibrare le differenze territoriali cosi che i Comuni italiani saranno più uguali, ed avranno le stesse risorse per asili nido e spesa per le attività di rilievo sociale. Siamo quelli del superbonus che sta aiutando il settore dell’edilizia e rilanciando l’economia, traducendo in fatti concreti l’auspicio della transizione ecologica. Abbiamo realizzato il Reddito di cittadinanza, che oggi qualcuno per interesse vorrebbe smantellare. Ma non è questa la strada per aiutare davvero gli italiani: piuttosto miglioriamolo, rendiamo davvero efficace e funzionante la parte sulle politiche attive del lavoro, perché questo è ciò che serve, non eliminarlo. Siamo quelli che vogliono processi veloci, ma non accetteranno mai che vengano introdotte soglie di impunità e venga negata giustizia alle vittime dei reati. Non accetteremo mai, ad esempio, che il processo penale per il crollo del ponte Morandi possa rischiare l’estinzione. Noi siamo e saremo sempre dalla parte di chi non ce la fa. Una platea che purtroppo si sta allargando ogni giorno di più: giovani, precari, donne, piccole e medie imprese, lavoratori autonomi e partite iva, categorie che tanto hanno sofferto durante i lockdown e che hanno pagato un prezzo altissimo per questa crisi economica. Ci rivolgeremo anche a quel ceto medio che oggi fa fatica ad arrivare a fine mese, è anche a loro che abbiamo pensato quando con la legge di bilancio dello scorso anno abbiamo introdotto la riforma dell’assegno unico. Ma vogliamo sostenere anche il ceto produttivo, che ha bisogno di regole certe e di una burocrazia efficiente che favorisca le attività economiche e non le ostacoli. E’ per questo che ci batteremo per uno Statuto dell’impresa, che promuova le imprese socialmente responsabili. Noi ci saremo sempre, con la nostra forza e la nostra coerenza. Ma per ottenere risultati è necessario essere uniti ed essere in tanti. Il Movimento 5 Stelle dovrà essere compatto per rispettare la volontà dei 10 milioni di elettori che ci hanno votato, per riconquistare la loro fiducia e di tanti altri che non hanno perso la speranza di cambiare l’Italia. Rivolgo un appello ai vecchi e ai nuovi sostenitori. Fateci sentire il vostro calore, fateci sentire il vostro sostegno. Non vi chiediamo altro. Riunitevi, parlate tra voi e con noi, proponete i vostri progetti. L’Italia ha bisogno di nuove idee, delle nostre idee. Apriamoci, confrontiamoci, contaminiamoci. Io, da parte mia, girerò tutta l’Italia mi fermerò a discutere nelle vostre piazze, davanti alle vostre case. Perché non si fa politica solo nei luoghi istituzionali, la politica è dappertutto, ovunque vi siano cittadini che, con passione, si confrontano per il bene della loro comunità. C’è una comunità che lotta per questi valori e che merita azioni e rassicurazioni immediate. Una comunità in cui mi riconosco e per cui voglio spendere me stesso, tutta la mia passione e tutte le mie possibilità. Io sono pronto, non intendo mollare di un centimetro. In tanti non intendono farlo: sono quelli che hanno sempre creduto nel Movimento 5 Stelle. E io sono con loro. E saremo ben accoglienti con tutte le nuove amiche e i nuovi amici che vorranno camminare con noi. Insieme, ora.
Antonio Lamorte. Giornalista professionista. Ha frequentato studiato e si è laureato in lingue. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Ha collaborato con l’agenzia di stampa AdnKronos. Ha scritto di sport, cultura, spettacoli.
Terribile Vittorio Sgarbi contro Giuseppe Conte sulla giustizia: “Parlaci di Ciro Grillo”. Libero Quotidiano il 16 luglio 2021. Parlaci di Ciro Grillo: è terribile Vittorio Sgarbi. Che infierisce da par suo sulla presunta pace tra Giuseppe Conte e Beppe Grillo. Al tweet non fa difetto, come al solito, la chiarezza: “L’ex premier Giuseppe Conte dopo l’incontro con il comico: “Ora sulla giustizia ci faremo sentire”. Ecco, ci dica, per esempio, cosa pensa delle gravi accuse al figlio di Beppe Grillo”. Non male, a dire la verità. Perché Sgarbi anticipa il tema dello scontro prossimo venturo in casa pentastellata. Che sarà proprio sulla giustizia, il nuovo tasto dolente per la maggioranza che sostiene il governo di Mario Draghi. Perché i Cinque stelle hanno sempre più bisogno di un tema identitario da sollevare di fronte al loro elettorato. E la riforma Cartabia può fare al caso loro. Draghi lo sa e sa anche che Conte ne approfitterà per mettere in difficoltà l’esecutivo, anche se l’Elevato ha promesso al premier che non ostacolerà la riforma. Di qui la freccia acuminata di Sgarbi nei confronti di Grillo e Sgarbi. Col primo polemizza da tempo perché – sostiene Sgarbi – avrebbe manovrato politicamente per salvare il pargolo anche se nessuno potrebbe mai confermarlo. E col secondo per sfotterlo sulla sua bulimia da potere preconizzando lo scontro con il comico. Una partita da popcorn.
Maurizio Belpietro per la verità il 27 giugno 2021. Anni fa, quand'era sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Antonio Catricalà mi rivelò che Mario Monti, in vista delle elezioni del 2013, progettava di fondare un suo partito. L'ex rettore della Bocconi gli aveva chiesto se fosse disposto a candidarsi con lui, e Antonio, con cui ero in confidenza fin dai tempi della sua presidenza all' Antitrust, mi chiese che cosa ne pensassi. Gli risposi con franchezza che quello dell'allora premier era un errore frutto di un complesso di superiorità perché, se fino a prima poteva sperare di godere dell'appoggio di tutte le forze politiche e magari anche di arrivare a conquistare la poltrona di Giorgio Napolitano, una volta sceso in campo Monti si sarebbe fatto contare e si sarebbe scoperto il bluff di un consenso legato al ruolo e non alla persona. Antonio pareva perplesso, ma alla fine, non so se tenendo in conto la mia opinione, quella di altri o per un ragionamento personale, non si candidò. In quei mesi, tuttavia, non erano in pochi a pensare che se l'ex rettore avesse fondato un partito avrebbe fatto sfracelli. I sondaggi gli attribuivano percentuali a doppia cifra, immaginando che potesse rubare voti a destra e a manca. Secondo qualcuno, addirittura con il suo nome nel simbolo si poteva andare oltre il 20%. Un tipo furbo e navigato come Pier Ferdinando Casini ne pareva certo. Un giorno mi confidò: «Tu non sai come lo salutano le persone quando lo incontrano a un evento pubblico: la gente si spella le mani». Nonostante molti fossero pronti a scommettere su un risultato importante, rimasi della mia opinione, che non dava Monti molto lontano dal 7%. Sbagliai di poco, perché a urne aperte si scoprì che Scelta civica aveva sedotto l'8,30% degli elettori e con i vari partiti alleati, cioè Udc di Casini e Futuro e libertà di Gianfranco Fini, arrivava a malapena al 10. Come sia finita poi è noto: in breve, il partito si squagliò e per gli onorevoli eletti con Monti cominciò una transumanza verso altri pascoli. Oggi, se si parla del professore, la gente si volta da un'altra parte e del suo governo, che pure fu appoggiato da una larga maggioranza parlamentare, nessuno si ricorda volentieri. Anzi: molti lo ritengono un errore, che ha prodotto le crisi successive, da quelle economiche a quelle politiche. Il capro espiatorio in fondo piace a tutti e io che criticai l'ex rettore della Bocconi fin dal principio, ossia da quando presentò la sua famosa manovra lacrime e sangue, preferisco non unirmi al coro. Se ho ricordato il «caso Monti» non è però per parlare della preistoria, ma per affrontare un argomento di attualità, ovvero la possibile ridiscesa in campo di Giuseppe Conte il quale, dopo lo scontro con Beppe Grillo, mediterebbe di fondare un suo partito e di dare la scalata non solo ai 5 stelle, ma addirittura alla sinistra, con l'intento di diventare il leader della coalizione e di ritornare prima o poi alla guida di Palazzo Chigi. A gonfiare l'ambizione dell'ex avvocato del popolo sono i molti sondaggi che vengono fatti circolare. Anche in questo caso si parla di risultati a doppia cifra. C' è chi dice il 15%, chi addirittura immagina il 20. Voti rubati ai 5 stelle e anche al Pd. L'ex premier avrebbe già pronto il simbolo e pure la squadra del nuovo Movimento e in prima fila, ovviamente, ci sarebbe il mitico Rocco Casalino, ovvero l'ex portavoce, l'uomo che si fece ritrarre seduto al tavolo con Angela Merkel quasi fosse egli stesso un capo di governo. La verità è che la politica è una brutta bestia, e per quanto uno si sforzi di dire che è un semplice cittadino prestato alle istituzioni o, come disse Conte, che non è un uomo per tutte le stagioni, una volta assaporato il potere non si è più disposti a rinunciarvi. Si può essere stati per quasi tutta la vita rettore della Bocconi o professore universitario apprezzato, ma quando si depositano le terga sulla poltrona di capo dell'esecutivo e ci si accomoda accanto ai potenti della terra durante i vertici internazionali, ci si monta facilmente la testa ed è poi difficile, se non impossibile, smontarsela, cioè ritornare alla vita di prima, tranquilla, gratificante, ma grigia e senza le telecamere e le strette di mano. Succede a tutti, in particolare a chi non ha fatto la gavetta politica, ha cioè ricevuto la nomina dall' alto, quasi per caso. Soprattutto succede se non si è conquistato il consenso popolare, ma lo si è ottenuto in dono insieme con il ruolo istituzionale. Può darsi che mi sbagli, ma presto Conte potrebbe scoprire che i milioni di italiani che immagina pronti a seguirlo e a riportarlo a furor di popolo alla guida del Paese, sono solo nella sua testa e in quella dei cortigiani che fino a ieri lo hanno blandito, alcuni dei quali, per ideologia o miopia, non smettono di blandirlo neppure ora. Insomma, nel suo caso, più che parlare di Conticidio, parlerei di suicidio. Consumato dall' alto di troppa presunzione.
M5s, servono 450mila euro per licenziare Casaleggio jr. 450 mila euro per sbloccare Giuseppe Conte e scongelare la piattaforma Rousseau. Forse per l'ultima volta. Domenico Di Sanzo - Gio, 25/03/2021 - su Il Giornale. 450 mila euro per sbloccare Giuseppe Conte e scongelare la piattaforma Rousseau. Forse per l'ultima volta. Ma prima di inaugurare il nuovo corso bisogna compiere l'ultimo rito del «vecchio M5s». Una votazione online sul sito di Davide Casaleggio, per modificare lo Statuto e consegnare a Conte le chiavi dei Cinque Stelle. L'ex premier, leggendo le carte che regolano la vita del Movimento, ha capito di essere ancora legato mani e piedi al figlio del cofondatore. Lo Statuto, in particolare, è una botte di ferro per Casaleggio. I fedelissimi del presidente di Rousseau infatti fanno notare come il testo sancisca l'osmosi tra il M5s e l'Associazione guidata dall'imprenditore. Circola questa battuta, per spiegare il rompicapo che Conte è chiamato a risolvere: «Casaleggio tiene per i c******i i Cinque Stelle, che però nel frattempo lo stanno strozzando». Deputati e senatori possono anche liberarsi di Rousseau, ma prima Conte ha bisogno di un voto sulla piattaforma per diventare il nuovo leader. Così Casaleggio punta ad alzare la posta per recuperare i 450mila euro che pretende dai parlamentari morosi. Una volta approvata la leadership dell'ex avvocato del popolo, si potrà procedere al divorzio consensuale. Anche perché una battaglia legale rischierebbe di bloccare il processo rifondativo, costringendo l'ex premier a creare una nuova associazione del M5s. Il tutto partendo con nuove iscrizioni, perché a quel punto Casaleggio reclamerebbe i dati degli attuali iscritti. Resta da trovare la quadra con Rousseau e con i parlamentari. Da un lato si punta a convincere il guru a non pretendere i contributi non versati da chi è stato espulso o è fuoriuscito. Dall'altro, l'obiettivo è spiegare ai parlamentari che, senza il saldo, anche parziale, del debito non si potrà procedere all'agognata rifondazione. Proprio per questo, nei prossimi giorni i big del M5s dovrebbero incontrare Casaleggio per sottoscrivere la buonuscita. Mentre Conte già domenica potrebbe presentare a Grillo e agli altri il suo progetto politico. E non si fermano le manovre interne. Fa ancora discutere nel M5s la creazione dell'associazione «Italia + 2050», contenitore vicino a Conte animato da Carlo Sibilia.
I sostenitori del movimento contiano. Conte va alla guerra con Casaleggio: pronto alle vie legali contro Rousseau. E intanto 40 parlamentari appoggiano Italia Più 2050. Aldo Torchiaro su Il Riformista il 24 Marzo 2021. In attesa che Casaleggio sblocchi la piattaforma Rousseau, nelle more del divorzio del secolo tra Davide e Beppe Grillo, Giuseppe Conte sta mettendo mano all’organizzazione del succedaneo dei Cinque Stelle. Senza Rousseau il passaggio di consegne del Movimento nelle mani dell’ex premier è inibito, bloccato a monte dall’impossibilità di votarlo. E la guerra di logoramento avrebbe spazientito l’Avvocato del popolo. Dopo la foto sulla spiaggia di Bibbona con Grillo, Conte ha lesinato le apparizioni in pubblico. Ma a Firenze segnalano un intenso viavai dal suo studio legale, nel frattempo riaperto. Luci accese fino a tardi. Stanco dei ricatti milanesi, sta lavorando ad un soggetto nuovo, dal nome che Il Riformista ha anticipato ieri: Italia Più 2050. E ieri l’associazione “ItaliaPiù2050” ha mosso i primi vagiti. Per ora è un sito web, registrato lo scorso 11 marzo da Diego Antonio Nesci, vulcanico e poliedrico “enfant prodige” che ha dato vita a Parole Guerriere, una associazione della galassia 5 Stelle da cui pure ha saputo tenere una prudente distanza di sicurezza. È avvocato anche Nesci, anzi: abogado. Con l’esame fatto in Spagna. Il sito che incanala subito verso una procedura di iscrizione, un tesseramento vero e proprio basato su un doppio livello: si può essere Aderente, senza versare alcuna quota, oppure Socio ordinario, versando dieci euro. Bisogna sottoscrivere una accettazione tramite modulistica intestata alla associazione “P.G. Italia”. Non tutti possono iscriversi automaticamente, però: provandoci, veniamo rimandati all’approvazione di un Consiglio Direttivo. Che dunque deve già esistere, anche se il sito fino a ieri sera non presentava alcun organigramma. Qualche nome, a forza di chiedere, salta fuori. Il presidente della commissione Affari Costituzionali della Camera, Giuseppe Brescia, twitta: «Italia Più 2050 è la naturale evoluzione del think-tank Parole Guerriere e si muoverà nel solco tracciato da Beppe Grillo per il M5S guidato da Giuseppe Conte. Per mettere radici sui territori, per promuovere la transizione ecologica e lo sviluppo sostenibile in Italia». Si parla di 40 parlamentari M5S già coinvolti, tra cui spiccano oltre a Brescia anche Carlo Sibilia, Mirella Liuzzi, Maurizio Cattoi, Emanuele Scagliusi, Fabrizio Trentacoste. Per loro la quota di iscrizione, quali soggetti fondatori, sarebbe di 3000 euro, il boost iniziale necessario a far decollare una macchina destinata a soppiantare il sistema Casaleggio-Rousseau. E a “internalizzare” la funzione dello “Scudo della Rete” grazie a un fondo ad hoc. Una mossa che va di pari passo con la ricerca di un nuovo strumento tecnologico per sostituire Rousseau, dal momento che il divorzio tra i 5 Stelle e la piattaforma di Casaleggio appare ormai quasi scontato. Nel frattempo il M5S, tramite il tesoriere Claudio Cominardi, ha aperto un conto in banca dove confluiranno i soldi che, da mesi ormai, i parlamentari pentastellati hanno smesso di versare all’Associazione di Casaleggio. E si fanno sempre più insistenti le voci che vorrebbero Conte pronto ad adire le vie legali per sbrogliare la matassa Rousseau. «Mi auguro» che non si finisca in un’Aula di Tribunale per risolvere le controversie tra il M5S e l’Associazione Rousseau «e che prevalga il buonsenso. Certo, se si continua a dire che il Movimento 5 Stelle deve 450mila euro a Rousseau è difficile che ci sia un’alternativa», ha fatto sapere il ministro delle Politiche Agricole Stefano Patuanelli. E Lombardi, altra lealista contiana appena diventata Assessore in Regione Lazio, rincara: «I conti non tornano, abbiamo rilevato che Rousseau ha incamerato, solo nel 2019, per lo Scudo della Rete, 320mila euro, ne ha spesi 20mila e ne ha accantonati 125mila nel fondo per le spese legali. Restano ben 175mila euro che avrebbero potuto finanziare abbondantemente il servizio, senza la necessità di doverlo sospendere. Cosa che invece è stata fatta». La diatriba non si appiana e Conte potrebbe mettere in pista la sua salda dotazione giuridica: se Casaleggio vuole la guerra, potrebbe averla. “Parole guerriere” d’altronde è tutto dire. Nesci, che traghetta questa sigla verso la sua “naturale evoluzione” di ItaliaPiù 2050, è un notorio anti-Davide. Meridionale orgoglioso, è il fratello di Dalila Nesci, attuale sottosegretaria per il Sud e la coesione territoriale, che ieri sera ha twittato: «Benvenuta Italia Più 2050 per sostenere il M5S guidato da Conte». A ben guardare, Italia2050 è però un progetto politico registrato da altri: l’imprenditore lombardo di origini persiane, Karim Shahir Barzegar, di Azienda Italia, lo rivendica: «Un anno fa abbiamo aperto una associazione sull’esempio del modello anglosassone, per portare proposte alla politica in maniera apartitica, parlare al decisore politico per rappresentare il mondo del lavoro trasversalmente», ci dice. Decine di incontri tra Roma e Milano, un documento intitolato “Piano strategico Italia 2050” che è arrivato alla Presidenza del Consiglio ai tempi di Conte. Peraltro avendo avuto cura di registrare il marchio presso la piattaforma europea Proofy, dove il programma politico e il marchio Italia 2050 è stato depositato erga omnes. Nessuna conflittualità in vista, però. «Volevamo indicare un orizzonte ampio per la politica che deve saper guardare al dopo, non solo all’oggi. Se abbiamo ispirato qualcuno ne siamo felici. Rivendichiamo la paternità dell’idea, ma il bello delle idee, in politica, è farle circolare».
· Giuseppe Conte.
Vittorio Feltri per "Libero quotidiano" il 6 dicembre 2021. Molti italiani si lagnano perché qualche leader politico mena il torrone nei palazzi romani senza aver ricevuto un mandato dal popolo votante. La qual cosa non è vietata dalla legge ma contrasta un po' con il principio che per fare politica in modo legittimo si deve ottenere la delega degli elettori. Enrico Letta è diventato segretario del Pd senza essere stato scelto senza poter vantare un solo suffragio. Solo recentemente egli entrato in Parlamento dalla porta di servizio con un espediente, cioè sostituendo un tizio, la cui scomparsa aveva reso indispensabile una consultazione straordinaria. Niente di drammatico, però è un fatto che Letta si e issato ai vertici dei progressisti senza avere titoli adeguati. Attualmente il presidente del Consiglio, Mario Draghi, persona rispettabile, è entrato a Palazzo Chigi essendo un grande banchiere, ma privo di consensi certificati provenienti dai cittadini. Per non parlare dal suo predecessore, Giuseppe Conte, che prima di essere promosso premier era sconosciuto anche nel condominio dove abita. È caduto dal cielo ed è piombato sulla poltrona di capo del governo. Con quale merito, con quali credenziali? Zero. Ignoro quale sia il metodo utilizzato per portarlo tanto in alto. Questo signore era un avvocato che esercitava l'attività forense all'insaputa dei connazionali. Di punto in bianco costui è diventato l'uomo più influente del Paese. Perché? Mistero. Tutti noi ce lo siamo visto piombare tra i piedi senza capire da che parte arrivasse. Lo abbiamo sopportato per un paio di anni, lui è le sue prediche notturne tese a suggerirci come dovevano comportarci durante la prima fase micidiale della pandemia. I suoi ovviamente non erano consigli ma ordini, a cui la massa ha obbedito secondo lo stile di una scolaresca di prima elementare. Ma come abbiamo fatto a sopportare per tanto tempo i comandi di un tizio del quale non erano note le opere e neppure l'estrazione accademica? Incomprensibile. Abbiamo avuto come primi ministri Fanfani, Andreotti, Craxi e Ciampi (per citarne alcuni alla rinfusa) e poi ci siamo beccati Conte, non il Ct della nazionale di calcio, bensì legale senza storia. Accendevamo la tv allorché le tenebre avevano avvolto le città ed avevamo di fronte a un personaggetto supponente che ci dettava i compiti da eseguire. Ed ora che è tornato ad essere un uomo qualunque continua a tirare la giacchetta ai miserabili grillini che gli danno pure retta. Solo in Italia possono succedere cose così. Un partito fondato da un comico, Beppe Grillo, è finito nelle mani di un azzeccagarbugli. Da una situazione del genere non usciremo facilmente se non grazie ad un auspicabile cataclisma.
Vittorio Feltri per “Libero quotidiano” il 26 novembre 2021. Giuseppe Conte non è malvagio, ha una sua ostentata eleganza che scade un po' quando egli si presenta in pubblico con la pochette a quattro punte nel taschino ovviamente della giacca. Un dettaglio futile che gli perdoniamo. Il suo problema è che era un avvocato e a un certo punto, in base a una incomprensibile alchimia politica, è diventato, sbandierando il vessillo del Movimento 5 stelle, presidente del consiglio pur privo di qualche esperienza specifica. Bisogna riconoscere che all'inizio Giuseppe riuscì a cavarsela egregiamente, affrontando l'esordio della pandemia con una certa grinta. Forse gli italiani non l'hanno ammirato ma nemmeno disprezzato. I suoi pistolotti notturni venivano al principio ascoltati con curiosità, poi, data la loro ripetitività, hanno scocciato. La permanenza di Conte a Palazzo Chigi non si è conclusa con un trionfo. È stata una manovra astuta di Matteo Renzi a costringere il premier a togliersi dai piedi per fare posto a Mario Draghi, altra categoria. Giuseppe, essendosi leggermente sopravvalutato, invece di tornare immantinente nel suo studio legale è rimasto nel pandemonio romano nella convinzione errata di poter svettare. Ciao mamma. Egli, spinto da qualcuno, si è persuaso di diventare leader pentastellato, senza accorgersi di non avere gli attributi necessari. In pratica ha inanellato una serie di gaffe delle quali non si è reso conto; a parte Marco Travaglio che lo stima, nessuno o pochi grillini lo considerano un capo accettabile. Di conseguenza il partito fondato da Grillo non lo apprezza e non lo segue con passione. Ma il povero foggiano non si rassegna, e invece di ritirarsi, insiste nell'intento di trionfare. Cosicché anche il comico ligure lo prende per i fondelli dicendo che Conte è uno specialista nel lanciare dei penultimatum, come dire che parla a vanvera, che non è un segnale di stima. Il neopresidente stellato non riesce più a farsi ascoltare seriamente da nessuno, voleva incidere sulla scelta del capogruppo grillino al Senato e non c'è stato un cane che gli abbia dato retta; alla Camera sarà obbligato a confermare Crippa per dimostrare che comanda lui; sulle nomine Rai ha perso 6-0, sconfitta plateale. Nel frattempo è scoccata l'ora dei sondaggi da cui si evince che il M5S è sceso all'11 per cento, un terzo dei consensi recuperati magicamente nelle ultime elezioni nazionali, 33 per cento. Un disastro su tutti i fronti che costringe Giuseppe all'angolo, mettendolo in condizioni di ritirarsi in buon ordine allo scopo di non rimediare altre probabili figuracce. In effetti il suo partito non lo regge più, sa che nelle sue mani il rischio è quello di sparire dalla scena, ammesso che non sia già scomparso. Caro Conte noi non le siamo ostili ma non comprendiamo la sua ostinazione nel fare un mestiere che non è il suo.
Estratto dell’articolo di Matteo Pucciarelli per “la Repubblica” il 26 novembre 2021. È un dissenso che si muove sottocoperta, felpato. Ma la novità è che il ragionamento comincia a non essere più un tabù, perlomeno informalmente: può esistere un M5S senza Giuseppe Conte a guidarlo. L'alternativa reale e concreta non c'è ancora, si guarda alla ex sindaca di Roma Virginia Raggi, i più nostalgici al ministro Luigi Di Maio, ma sono solo sensazioni. Però appunto, l'aria che tira non è quella che si respirava fino a due o tre mesi fa, quando la convinzione generalizzata era che senza il cappello dell'ex presidente del Consiglio il destino del Movimento sarebbe stato segnato. Bisogna prima fare un rewind e tornare a martedì scorso, con Beppe Grillo che ha platealmente ironizzato sul mezzo dietrofront di Conte sul caso Rai, definendolo "specialista di penultimatum". Il capofila degli scontenti è proprio il fondatore del Movimento, il quale non casualmente non proferiva verbo da mesi, salvo portare avanti i temi a lui più cari sul proprio blog, volando decisamente alto rispetto alle beghe quotidiane della politica. Appena ha (ri)preso pubblicamente, ha fulminato Conte. (…) Anche perché l'ultimo sondaggio che ha dato il M5S all'11 per cento, pubblicato dal Sole 24 Ore, dice una cosa: l'effetto Conte in cui speravano tutti non c'è stato. Dopodiché di "ribelli" in chiaro, al momento, ce ne sono pochi. Un po' come avveniva ai tempi di Di Maio capo politico, quando il dissenso si muoveva molto alle spalle. Però qualcuno che ci mette la faccia più degli altri c'è: dall'ex sottosegretario Angelo Tofalo al deputato Sergio Battelli, dal vicepresidente della commissione di Vigilanza Rai Primo Di Nicola all'ex ministro Vincenzo Spadafora.
Estratto dell’articolo di Matteo Pucciarelli per “la Repubblica” il 26 novembre 2021.
Grillo martedì però ha fulminato Conte, non percepisce sfiducia?
«La presenza di Grillo arricchisce il M5S. Il suo acume e le sue visioni sono un valore aggiunto. Le sue battute e il colore le accogliamo in senso positivo e contestualizziamo».
Quando affronterete il capitolo due mandati?
«Dopo il nuovo organigramma e la nomina del capo dello Stato».
I quesiti: dall'inchiesta Open all'estratto conto. Le 13 domande di Conte e del M5S a Renzi: “Confrontiamoci in tv, dalle mascherine al Venezuela”. Redazione su Il Riformista il 15 Novembre 2021. Un confronto in tv. Tredici domande a testa. E’ quanto rilancia Matteo Renzi, leader di Italia Viva, dopo aver ricevuto 13 domande da parte dell’ex premier Giuseppe Conte e del suo Movimento 5 Stelle, di cui è presidente. “Sarò felice di rispondere in un confronto in diretta Tv. Aspetto la sua proposta di data e nel frattempo preparo le 13 domande per lui, dalle mascherine al Venezuela. Sono certo che non scapperà dal confronto democratico. Vero?”. Questo il cinguettio di Renzi poco dopo le 19.30 di lunedì 15 novembre. I quesiti partoriti dai grillini hanno come riferimento l’inchiesta Open, rilanciata quotidianamente da Il Fatto Quotidiano negli ultimi giorni. ’13 domande a tutela del confronto democratico #RenziRispondi‘. Si intitola così il lungo post pubblicato dal Movimento 5 Stelle sul proprio sito, e rilanciato via social, in cui vengono poste a Renzi una serie di quesiti che toccano alcuni temi emersi, dall’inchiesta Open ma non solo. “Queste domande – si legge sul blog – sono poste dal M5S nell’interesse di tutti i cittadini, a garanzia dei principi di piena trasparenza e accountability, che devono contraddistinguere l’operato di tutti i politici e che sono fondamentali per alimentare la fiducia dei cittadini nelle istituzioni e nella classe politica’. ‘Su questi aspetti il Movimento 5 Stelle non è disponibile ad arretrare di un millimetro – sui sottolinea -. La politica non può essere solo questione di rispetto delle norme, penali in particolare. Per noi la politica, in via primaria e imprescindibile, è questione di rispetto della dignità delle persone e di ‘disciplina e onore’. In definitiva, è questione di ‘etica pubblica’. Senza coscienza morale, il nostro Paese non ha futuro”. Tra i 13 quesiti posti dal M5S a Renzi molti vertono sull’inchiesta Open, ma c’è spazio anche per domande legate ad altri temi.
“Senatore Renzi, lei ha definito ipotesi di scuola il progetto mirato a creare una struttura di propaganda antigrillina e a diffondere rilevazioni mirate a distruggere la reputazione e l’immagine pubblica del M5S e di alcuni giornalisti. Ma a che tipo di scuola e di offerta didattica lei e i suoi collaboratori vi siete dedicati? Questo progetto, già a una prima lettura, presenta una quantità impressionante di profili di illiceità (investigatori privati, siti anonimi, server sottratti alla legge italiana, diffusione di notizie false e diffamatorie etc.). Come mai lei, all’epoca segretario del Partito democratico, anziché prendere le distanze da questo inquietante progetto lo inoltrò, via i-phone, senza alcun commento, a un altro suo collaboratore, ingenerando – oggettivamente – l’equivoco che la sua intenzione fosse di dar seguito al progetto?”.
“Come mai ha ritenuto di ribadire, ancora recentemente, la stima nei confronti del giornalista che ha elaborato questo progetto, nonostante la palese violazione delle regole deontologiche dei giornalisti e il palese contrasto con la tutela dei diritti fondamentali degli esponenti del Movimento 5 Stelle e dei giornalisti presi di mira? Quali sono le ragioni per cui non vuole o non può stigmatizzare l’operato di chi ha lavorato al progetto? Il progetto prevedeva di far riprendere dai media tradizionalì questa campagna denigratoria grazie a una serie di interlocutori, nei giornali e nelle tv, con cui costruire un rapporto personale e fiduciario. Non ritiene di doversi scusare con il Movimento 5 Stelle e con le persone che il piano da lei ricevuto e trasmesso si proponeva di distruggere e diffamare?”.
“Come spiega la mail inviata a un suo stretto collaboratore che conterrebbe l’indicazione di conoscere le scalette e di indirizzare i contenuti delle tv?”.
“Può spiegare i contenuti dell’accordo – di cui si parla nelle carte dell’inchiesta – tra il suo ex-portavoce Agnoletti e Orfeo e dell’accordò per Mediaset? Può spiegare il significato dell’espressione ‘dare uno sguardo particolare su Gruber, Floris, Formigli, Giletti, Minoli’?”.
“Le paiono comportamenti consoni a un ex premier nonché leader di un partito e rispettosi della libertà di informazione? Le paiono accordi compatibili con incarichi dirigenziali nel servizio pubblico radiotelevisivo?”.
“Lei ha spesso accusato altri partiti di usare social network per le loro macchine del fango, per le loro ‘bestie’ e per le notizie false diffuse solo per screditare gli avversari. Come spiega le carte emerse dall’inchiesta sulla fondazione Open secondo cui, nel marzo 2017, il coordinatore della sua comunicazione inviò una mail in cui si parlava esplicitamente di 16 persone che gestivano 128 account postando contenuti denigratori nei confronti del Movimento 5 Stelle?”.
“Ora che si scopre che queste iniziative venivano elaborate e discusse dai suoi collaboratori: intende prendere le distanze da loro e, nel caso in cui lavorino ancora con lei, intende allontanarli oppure certe condotte sono censurabili soltanto se attribuite ad altri?”.
“Al di là di eventuali divieti di legge, le sembra compatibile con il principio costituzionale di disciplina e onore la condotta di un parlamentare che incassa lauti compensi dal governo saudita e apprezza il ‘nuovo rinascimento arabo’ nonostante la innegabile compressione dei diritti fondamentali delle persone, in particolare delle donne e degli omosessuali, e le terribili accuse per l’assassinio del giornalista Khashoggi?”.
“Lei è stato componente in questa legislatura della commissione Difesa e poi Esteri del Senato: come può un parlamentare garantire i cittadini italiani di difendere i loro interessi se si lascia finanziare da governi esteri?”.
“Lei, a parole, ha mostrato di avere a cuore le battaglie per i diritti civili. Le sembra coerente con queste dichiarazioni la sua assenza al momento del voto sul ddl Zan, in Senato, motivata da una ennesima trasferta in Arabia Saudita? Le carte dell’inchiesta testimoniano l’urgenza di chiudere la fondazione Open entro il 31 gennaio 2019 in modo da evitare l’applicazione della legge Spazzacorrotti (n. 3/2019), fortemente voluta dal Movimento 5 Stelle. Per quale ragione eravate così preoccupati sino a preferire la liquidazione affrettata di Open, che ha portato ad accertare una perdita ingente e a rinunciare ai fondi residui del Comitato per il sì al referendum?”.
“Intende contrastare o non si opporrà, con il suo partito Italia Viva, alla battaglia che il Movimento 5 Stelle sta conducendo in Parlamento per introdurre una più stringente normativa sul conflitto di interessi, con esplicito divieto per i parlamentari italiani di ricevere finanziamenti da governi stranieri?”.
“Lei, con il suo partito Italia Viva, siete stati i più fieri oppositori dell’annullamento della concessione autostradale ad Autostrade per l’Italia, controllata dai Benetton tramite Edizione Holding. In particolare, nel 2018, dopo il crollo del Ponte Morandi, lei attaccò la procedura di annullamento della concessione, precisando di ‘non avere preso un euro dai Benetton’. Come mai, nel 2019, ha invece accettato un finanziamento da Alessandro Benetton, membro del Cda di Edizione Holding? Non ha ritenuto quantomeno inopportuno ricevere somme dai Benetton a procedura ancora aperta? E perché non avvertì il bisogno di informare i suoi elettori di questo bonifico, visto che si era vantato del contrario? Lo stesso discorso vale per i finanziamenti a Open da parte di alcuni gruppi imprenditoriali, che per l’ipotesi accusatoria formulata dalla Procura di Firenze sarebbero illeciti e addirittura corruttivi, in quanto seguiti da provvedimenti normativi favorevoli ai soggetti finanziatori. Il procedimento penale avrà il suo corso e lei avrà le più ampie possibilità di far valere le sue ragioni. Ma non crede che questi comportamenti rischiano di minare la fiducia dei cittadini nelle istituzioni e nella classe politica? Non pensa che l’etica pubblica sia un valore da preservare, a prescindere dalla sfera della responsabilità penale?”.
“Nel gennaio del 2018, durante la trasmissione tv Matrix, esibì ai telespettatori il suo estratto conto di circa 15.000 euro, affermando testualmente: ‘Se volete fare i soldi, non fate politica. Se vuoi fare i soldi vai nelle banche d’affari, prendi i contratti milionari che ti offrono, non ti metti a fare il politico. Chi fa il politico ha questi conti correnti, non ne ha altri. Se ne ha altri c’è qualcosa che non torna Io sulla trasparenza non faccio sconti a nessuno Mi piacerebbe che per trasparenza tutti quelli che fanno politica presentassero anche tutti i conti correnti, dove li hanno e come tirano fuori i soldi’. Perché oggi si lamenta che nelle carte dell’inchiesta in corso siano stati acquisiti alcuni finanziamenti che risultano dal suo estratto conto? Perché non ha avvertito l’esigenza, per il principio di trasparenza da lei stesso più volte invocato, di informare i suoi elettori, man mano che i suoi conti correnti lievitavano con ogni sorta di introiti?”.
Il leader 5S evocava un conflitto di interessi. Renzi contro Conte, veleno tra ex premier: “Su Autostrade e Benetton illazioni squallide, lui gli ha regalato 8 miliardi”. Carmine Di Niro su Il Riformista il 9 Novembre 2021. Tra Renzi e Conte torna lo scontro. Il duello tra ex premier è avvenuto a distanza: uno dagli schermi tv di La7, ospite di Lilli Gruber a ‘Otto e Mezzo’, l’altro sui social, su Facebook.
Oggetto del contendere è l’inchiesta sulla Fondazione Open e sui soldi che il senatore fiorentino avrebbe ricevuto da Alessandro Benetton e dall’Arabia Saudita per i suoi ‘speech’.
“Mi colpisce molto che un senatore prenda soldi da enti pubblici di uno Stato estero”, attacca il leader del Movimento 5 Stelle, che quindi lancia la sua proposta sul tema: “Risolveremo con una legge sul conflitto di interesse”. Poi la stoccata sui soldi dalla famiglia Benetton arrivati al leader di Italia Viva, dopo che il Fatto Quotidiano aveva ricostruito come Renzi, dopo essere intervenuto a un meeting sulle “eccellenze Made in Italy”, nel 2019, organizzato a Firenze dalla 21 Investimenti Sgr di Alessandro Benetton, si è visto versare dalla stessa quasi 20mila euro sul suo conto. “Mi ha colpito poi che un pagamento arrivi da parte di uno dei Benetton proprio mentre noi ci battevamo contro la concessione di autostrade. Mi chiedo con che stato d’animo Italia Viva possa aver approcciato alla cosa”, è l’accusa di Conte. Accuse respinte con forza dal numero uno di Italia Viva, che su Benetton parla di “illazione squallida” che dimostra come “Conte sia un uomo dominato dal rancore”. Per Matteo Renzi le parole del leader del Movimento 5 Stelle sono “false come sarebbe facile dimostrare se solo accettasse un confronto TV cosa che ha paura di fare”.
La verità per Renzi è che la revoca delle concessioni autostradali alla famiglia Benetton “è figlia di una cultura populista e demagogica che ha portato il contribuente italiano a regalare circa 8 miliardi alla società dei Benetton. I Benetton non hanno pagato: hanno incassato, grazie a Conte e al suo populismo”.
Renzi ricorda come Italia Viva si sia schierata contro “praticamente da sola” smarcandosi con le sue ministre Teresa Bellanova ed Elena Bonetti dal voto in Consiglio dei ministri. “Ci siamo schierati contro – aggiunge Renzi – perché Conte stava facendo un regalo al concessionario mascherato con il populismo di chi non pensa alla realtà ma solo ai like sui social. Questa è la verità. E sono pronto a dimostrarla, numeri alla mano, in qualsiasi dibattito pubblico Conte accetti di fare da qui alle elezioni. Su di me e sull’indagine Open, l’avvocato grillino ha detto falsità. Non so se per ignoranza giuridica o per malafede politica. O per entrambe”.
Il leader di IV quindi rivendica ancora una volta la ‘mossa politica’ che ha portato alla caduta del governo Conte e all’arrivo a Palazzo Chigi di Mario Draghi. “Potremo dire ai nostri nipoti che in uno dei momenti più difficili della storia repubblicana un gruppo di parlamentari ha avuto il coraggio di sfidare l’opinione comune, mandando a casa un premier non all’altezza come Conte e creando le condizioni per l’arrivo di Draghi. Da allora non ci sono più le Azzolina, i Bonafede, i Casalino, l’ABC del populismo. Ma c’è il Governo Draghi e l’Italia ha recuperato prestigio. Conte può insultarmi, può mentire, può fare illazioni. Ma non può cambiare la storia: noi lo abbiamo mandato a casa perché non era capace. E di questa scelta sono e sarò sempre orgoglioso”, conclude Renzi nel suo intervento.
Carmine Di Niro. Romano di nascita ma trapiantato da sempre a Caserta, classe 1989. Appassionato di politica, sport e tecnologia
Emiliano Fittipaldi e Giovanni Tizian per "Domani" il 12 ottobre 2021. La procura di Roma che sta indagando sull'ex socio di Giuseppe Conte, l'avvocato Luca Di Donna, e su una presunta associazione a delinquere finalizzata al traffico di influenze illecite, sta analizzando nuove piste investigative. Che stavolta mirano a capire i motivi di alcune decisioni prese dalla struttura commissariale per l'emergenza Covid, che al tempo dei reati contestati a Di Donna e altri avvocati accusati di aver mediata tra l'ente e aziende private era guidata da Domenico Arcuri. Innesco dell'inchiesta giudiziaria, è fatto noto, sono state le dichiarazioni del testimone Giovanni Buini. Un imprenditore del settore medico sanitario che ha spiegato a Piazzale Clodio («si è presentato spontaneamente», dicono i magistrati nel decreto di perquisizione; «in realtà sono stato convocato, io non ho fatto nessuna denuncia» ha spiegato lui) di essere venuto in contatto con Di Donna e l'avvocato Gianluca Esposito per intermediare la vendita di ingenti quantità di mascherine alla struttura commissariale. Buini aveva già piazzato agli uomini di Arcuri qualche settimana prima alcuni carichi di dispositivi individuali: «Un milione di mascherine chirurgiche del tipo IIR, le più performanti», spiega a Domani. Stava trattando a voce per una commessa molto più imponente, da ben 160 milioni di pezzi. È per gestire questa partita che Buini decide di coinvolgere la coppia di legali. I due avrebbero subito evidenziato all'imprenditore «la vicinanza del Di Donna con ambienti istituzionali», cioè con i "trafficati" Conte e Arcuri, e poi gli avrebbero poi chiesto compensi per la mediazione professionale. Durante un primo incontro del 30 aprile 2020 Buini avrebbe accettato l'affare, salvo fare marcia indietro dopo un secondo rendez-vous avvenuto il 5 maggio allo studio Alpa – oltre Di Donna era presente anche il capo di gabinetto dell'Aise Enrico Tedeschi – rescindendo l'accordo con Esposito e l'amico di Conte. Buini manda a Di Donna una pec, una giravolta – spiega ai pm – dovuta alle «modalità opache» della proposta di mediazione che lui stesso aveva inizialmente sottoscritto.
La commessa revocata
Buini però va oltre. E racconta agli inquirenti romani, consegnando anche alcune email come prova, che dopo qualche giorno dall'incontro con Di Donna la struttura commissariale non solo decide di fermare la mega commessa, ma gli chiede pure di andarsi a riprendere mezzo milione di mascherine della prima fornitura che lui aveva già consegnato agli uffici di Arcuri. È Antonio Fabbrocini, braccio destro dell'ex commissario, a scrivere l'11 maggio una mail in cui segnalava la decisione di restituire le mascherine di Buini «per sopravvenute mutate esigenze della struttura commissariale». Nel messaggio non ci sono altre spiegazioni, né si contesta la qualità del prodotto. La procura non ipotizza per ora ritorsioni, ma vuole capire come mai, in un momento in cui il paese era investito dalla prima devastante ondata di Covid e le mascherine erano merce preziosa, i fedelissimi di Arcuri hanno deciso di rinunciare a un carico che era già stato recapitato, senza nemmeno spiegarne i motivi. In questi mesi i magistrati non hanno voluto interrogare alcun funzionario della struttura commissariale né chiedere documentazione in via ufficiale in modo da tenere coperta l'indagine più a lungo possibile, ma ora gli accertamenti sul caso verranno probabilmente velocizzati. Anche perché al principio i magistrati avevano ipotizzato, proprio per via della bizzarra rifusione, il reato di corruzione e abuso d'ufficio da parte di funzionari ignoti del commissariato, delitto poi modificatosi in traffico d'influenze illecite contro i presunti mediatori. Scelta dovuta non solo gli sviluppi investigativi, ma anche perché le leggi speciali consentono alla struttura anti Covid ampissimi margini di determinazione su ogni scelta. Che rischia dunque di diventare criticabile, ma penalmente insindacabile.
Gestione discutibile
La vicenda che coinvolge Di Donna e compagni, come quelle parallele che hanno investito un altro conoscente di Arcuri, il giornalista Mario Benotti, e il fedelissimo di Massimo D'Alema Roberto De Santis (anche lui indagato per traffico di influenze) sono tutte spie di una gestione quantomeno discutibile degli appalti della dell'epoca pre-Figliuolo. Arcuri non è ad oggi iscritto nel registro degli indagati, ma lo scandalo rischia di coinvolgerlo da un punto di vista etico e politico: gli appalti gestiti dalla sua struttura hanno infatti permesso a persone che lui conosceva bene di fare affari d'oro. E hanno come protagonisti soggetti come De Santis e Di Donna che sono legati a politici di primo piano (Conte in primis) che hanno permesso allo stesso Arcuri di diventare uno degli uomini più influenti del paese. Se il do tu des non è mai stato provato, il conflitto di interessi è evidente. Perché la pandemia non è stata affatto una livella, ma ha impoverito molti e arricchito altri fortunati. Molti di questi, è l'ipotesi della procura di Roma, non hanno però incassato parcelle a cinque zeri grazie al loro talento imprenditoriale o alla capacità di mettere prodotti competitivi sul libero mercato, ma esclusivamente per le loro capacità relazionali e le amicizie nelle strutture che gestiscono appalti. Le inchieste cercheranno di capire se si tratta davvero di raccomandazioni illecite, oppure se i business sono – come sostengono gli indagati – tutti legali e trasparenti.
Estratto dell'articolo di Marco Lillo per il "Fatto quotidiano" il 13 ottobre 2021. Il professor Luca Di Donna è indagato con i colleghi Valerio De Luca e Gianluca Esposito per associazione a delinquere finalizzata al traffico di influenze illecite, per la vicenda delle consulenze ricevute da imprenditori interessati alle commesse per l'emergenza Covid. […] Di Donna […] è il presidente della Commissione dell'esame di avvocato del distretto di Roma. Esposito, professore ordinario alla Sapienza, è direttore del "Corso anticorruzione e appalti della Pubblica amministrazione", proposto ma non ancora attivato, nel quale dovrebbe insegnare anche Di Donna. […] Si è parlato molto […] dei rapporti tra Di Donna e Giuseppe Conte, che ha sostenuto di non frequentarlo da quando è diventato premier. In pochi si sono soffermati sul ruolo di presidente della Commissione di esame degli avvocati. Alcuni giornali hanno ricordato che Di Donna è stato nominato con decreto da Alfonso Bonafede. "Non lo ha scelto il ministro. La scelta è stata del Consiglio dell'Ordine di Roma", spiega il presidente dell'Ordine di Roma, Antonino Galletti […] E ora che si fa? […] Di Donna è solo indagato e resta innocente fino al terzo grado di giudizio. Però un passo indietro in attesa di chiarire la sua posizione sarebbe sensato. Almeno l'Ordine darebbe un segnale agli aspiranti avvocati, un po' disorientati dalle notizie sui loro futuri colleghi che insegnavano la lotta alla corruzione. Di Donna e gli altri commissari dovranno decidere solo sulla base dell'esame orale (niente scritti) chi diventerà avvocato. Non devono solo essere, ma anche sembrare al di sopra di ogni sospetto.
Emiliano Fittipaldi per editorialedomani.it il 13 ottobre 2021. L’inchiesta giudiziaria che ha terremotato l’inner circle di Giuseppe Conte e che vede coinvolto anche Luca Di Donna, ex socio dell’avvocato di Volturara Appula accusato di aver intermediato illegalmente business su mascherine e test molecolari, offre ogni giorno nuovi spunti investigativi. Non solo sui reati ipotizzati, ancora cristallizzati nel decreto di perquisizione al socio dell’ex premier, al legale Gianluca Esposito e altri 11 imputati, indagati a vario titolo per traffico di influenze illecite e associazione a delinquere. Ma anche sulle mosse dell’imprenditore Giovanni Buini, il supertestimone dalle cui dichiarazioni è partita l’inchiesta della procura di Roma. Domani ha già dato conto di come l’11 maggio del 2020 la struttura commissariale per l’emergenza Covid, al tempo guidata da Domenico Arcuri, avesse deciso di restituire al mittente mezzo milione di mascherine fornite dal titolare della società Ares Safety. Una scelta apparentemente anomala (al tempo c’era grande penuria di dispositivi individuali) e avvenuta subito dopo la decisione, da parte di Buini, di far saltare l’accordo economico preso con Di Donna ed Esposito. Se la procura sta indagando per capire se ci siano stati abusi, Domani è ora in grado di raccontare che Buini la stessa sera del 5 maggio, poche ore dopo il secondo incontro avuto con Di Donna (durante il quale era presente sia il capo di gabinetto dell’Aise Enrico Tedeschi sia un carabiniere in servizio all’agenzia che lo aveva accompagnato) accende il computer e manda una email ad Arcuri in persona. Una missiva nella quale non fa alcun cenno agli incontri con l’amico dell’allora premier grillino. Ma tira in ballo Guido Bertolaso, al tempo consulente per l’emergenza Covid della regione Lombardia a guida leghista. «Buonasera commissario Arcuri, sono Giovanni Buini, titolare di una società che vende dispositivi di protezione individuale. Ci siamo sentiti per tramite di Guido Bertolaso e vi abbiamo fornito una partita di mascherine chirurgiche 10 giorni fa», scrive l’imprenditore. «La informo che possiamo darle 10 milioni di mascherine chirurgiche e due milioni di mascherine FFP2 a settimana a condizioni vantaggiose. Le chiedo un appuntamento per proporle di regolarizzare le possibili forniture future. Cordiali saluti». Buini sembra dunque cercare in quei giorni non solo la mediazione (poi saltata per le presunte richieste economiche di Di Donna) con uomini dell’entourage di Conte, ma anche con un pezzo da novanta vicino al centrodestra come Bertolaso. Che, risulta a fonti vicino la struttura anti Covid, avrebbe davvero presentato l’imprenditore perugino all’ex commissario. A insaputa degli interessi di Buini, come già per i “trafficati” Arcuri e Conte? Sentito al telefono lo stesso Buini dice: «Non mi ricordo della mail che avrei mandato ad Arcuri. Le dico però che avevo già lavorato con la struttura commissariale prima di conoscere Di Donna. Mi ero sentito più volte con l’ex capo della protezione civile Angelo Borrelli. Bertolaso? Siamo solo amici, giochiamo a volte insieme a golf. Ma non credo lui avesse strumenti di darmi nessunissima introduzione ad Arcuri». La vicenda del testimone Buini dunque si complica. Così come i motivi della «singolare coincidenza» temporale – così la chiamano i pm – tra l’interruzione dei rapporti con Di Donna e la decisione da parte di Arcuri di chiudere i rapporti con la Ares Safety. Il sei maggio, il giorno dopo l’incontro con Di Donna, l’azienda del commerciante riceve infatti a sorpresa una visita dai carabinieri del Nas, e l’indomani un altro controllo della Guardia di finanza. Una doppia ispezione di cui la struttura commissariale viene subito a conoscenza: sarebbe l’evento che mette in allerta Arcuri, convincendolo a restituire a Buini le mascherine già consegnate. Una motivazione plausibile, seppure nella mail mandata dal braccio destro di Arcuri Antonio Fabbrocini all’imprenditore l’11 maggio non vi siano spiegazioni di sorta, se non una frase generica che tira in ballo «sopravvenute mutate esigenze» degli uffici. L’imprenditore nega comunque che con le sue dichiarazioni ai magistrati abbia voluto finanche congetturare ritorsioni contro di lui, né vuole accusare i Nas e la Gdf di controlli ad orologeria. «La procura farà le sue valutazioni, sono il primo a dire che possano essere solo di suggestioni. Vedremo. Sono solo un commerciante che provava a vendere mascherine. Non cerco notorietà». Arcuri e i suoi ex collaboratori (nessuno di loro è indagato) presto potrebbero essere ascoltati dagli investigatori per dare la loro versione dei fatti, e sciogliere ogni dubbio sul perché abbia restituito la fornitura. Intanto, risulta a Domani, che qualche incontro tra l’allora commissario e l’avvocato Di Donna è davvero avvenuto. Di sicuro a fine luglio del 2020 quando Arcuri si è seduto al tavolo di un ristorante dei Parioli, il Gallura. A una cena a cui era presente proprio Di Donna, l’avvocato Esposito, il professor Federico Tedeschini, un importante direttore generale del Mise e due altri avvocati. Arcuri sarebbe arrivato a metà della serata, invitato da Esposito per un saluto rapido. Se sappiamo che è stato quest’ultimo a pagare il conto, non conosciamo il contenuto delle discussioni della comitiva. «Solo una cena per salutarsi prima delle vacanze», spiega uno degli astanti. Che aggiunge che non c’è nulla di anomalo o conflitti di interesse o opportunità, anche perché «Arcuri ed Esposito si conoscono da anni». L’avvocato oggi indagato è stato in effetti per anni direttore generale degli incentivi alle aziende del Mise, un ufficio che interloquisce proprio con Invitalia, di cui Arcuri è amministratore delegato dal 2007.
Da liberoquotidiano.it il 29 settembre 2021. "Ci sarebbe un'inchiesta sull'operato stesso del presidente Conte, nessuno può scagliare la prima pietra". Basta questa semplice annotazione giornalistica di Alessandro Sallusti per far perdere il controllo a Giuseppe Conte. A DiMartedì, su La7, si affronta il caso della settimana, l'inchiesta per cessione di sostanze stupefacenti che ha travolto Luca Morisi, ex responsabile della comunicazione di Matteo Salvini. Una vicenda personale diventata ben presto volano per una campagna mediatica e politica contro la Lega. "C'è una inchiesta su persone a lei vicine, c'è il caso Grillo", ricorda Giovanni Floris all'ex premier, in collegamento. Il riferimento è a Luca Di Donna, molto vicino a Conte e suo ex collega nello Studio Alpa che sarebbe nel mirino dell'antiriciclaggio per "operazioni finanziarie sospette". Conte, neo-leader del Movimento 5 Stelle, reagisce male, in maniera molto nervosa: "Dottor Floris la interrompo. Sui giornali fanno inchieste su di me? Non sono più presidente del Consiglio, valuterò. Perché, è chiaro, da premier non ho mai mosso un dito contro la libertà di stampa, ora sono molto più libero". Il messaggio nemmeno tanto nascosto tra le righe è il seguente: voleranno querele. "Non diciamo fesserie - prosegue Conte, che perde il suo classico aplomb -, mi hanno accennato che le questioni sono sempre ricollegabili alle dichiarazioni di tal avvocato Amara e su questo io sono uscito subito, in piena trasparenza. Perché non potrei parlare di etica pubblica, se non chiarissi subito eventuali posizioni, eventuali insinuazioni. L'ho chiarito più volte: che nessuno si azzardi a parlare di questioni che mi riguardano illecite, perché non tollero più". "E se mi permette, dottor Sallusti - conclude l'ex premier - la vicenda di un padre nei confronti di un figlio, di fronte a un'accusa che va provata e circostanziata, mi sembra una vicenda diversa da quella di un braccio destro di un leader politico. Ma ripeto: speculazioni politica sul dottor Morisi non vanno fatte, Salvini deve rispondere delle sue azioni politiche".
Luca Di Donna, l’avvocato vicino a Conte, e le accuse: «Soldi illeciti e amicizie potenti». Giovanni Bianconi e Ilaria Sacchettoni su Il Corriere della Sera il 6 ottobre 2021. Il professor Luca Di Donna, 42enne avvocato e ordinario di Diritto privato alla «Sapienza», è indagato per traffico di influenze. Le intercettazioni: «Gli è cambiata la vita dal giorno alla notte». Gli intercettati, un collega e un manager, lo chiamavano «il prof». Perché l’avvocato d’affari quarantaduenne Luca Di Donna è pure ordinario di Diritto privato alla Sapienza, dove insegnava il suo maestro Guido Alpa, oltre che amico dell’ex premier Giuseppe Conte con il quale condivideva lo studio legale. E nella conversazione registrata dai carabinieri del Comando provinciale di Roma, uno degli interlocutori confidava all’altro: «Gli è cambiata la vita! Quelli si sono trovati dal giorno alla notte quell’altro sfigato a fare il fenomeno, no? E stanno a sfruttare la situazione... Perché hanno la gente che gli va a chiedere le cose!... Lui dice che è lui, è il suo nome invece che dà valore alle cose... È meglio giocarcelo quando devi calare un asso, non per le stronzate!».
«Potere e arricchimento»
Frammenti di un colloquio nel quale, riassumono gli inquirenti, si spiega «che il Di Donna ha acquisito potere e ha potuto condurre gli interventi che hanno portato un arricchimento economico per tutti i sodali, dopo che una terza persona si è affermata (s’intende verosimilmente sotto il profilo politico); da quel momento le porte della Pubblica amministrazione si sono aperte per loro, e le hanno sfruttate a pieno». Se qualcuno dovesse pensare a Conte, non coinvolto nell’indagine, il capo dei Cinque Stelle ribadisce che «da quando sono diventato presidente del Consiglio non ho più frequentato Di Donna, né so nulla della sua attività professionale». L’intercettazione citata nel decreto di perquisizione eseguito ieri è uno degli elementi raccolti dalla Procura di Roma nell’inchiesta su Di Donna e gli altri due avvocati Giancarlo Esposito e Valerio De Luca, svelata dalle «visite» degli investigatori nei rispettivi studi professionali. L’ipotesi di reato è «associazione per delinquere finalizzata al traffico di influenze», nonché — insieme ad alcuni imprenditori che avrebbero pagato e promesso somme ritenute illecite — per tre episodi di sospetto traffico di influenze. Uno dei quali vede coinvolto la vecchia struttura commissariale per l’emergenza Covid guidata da Domenico Arcuri.
Le commesse per i tamponi molecolari
A carico di Di Donna e dei suoi coindagati che, secondo l’accusa, «si associavano allo scopo di ricevere utilità da soggetti privati sfruttando e mettendo a disposizione reciproca le relazioni di ciascuno di loro con soggetti incardinati ai vertici di istituzioni pubbliche e strutture appaltanti», c’erano alcune segnalazioni di operazioni sospette da parte della Banca d’Italia. Ma a far scattare l’indagine (inizialmente per corruzione, poi derubricata) è stata la denuncia di un imprenditore che dopo una prima fornitura di mascherine chirurgiche cercava altre commesse. Un amico gli aveva segnalato proprio gli avvocati Di Donna e Esposito (già direttore generale del ministero dello Sviluppo economico) i quali gli «avevano fatto sottoscrivere un accordo per il riconoscimento in loro favore di somme di denaro in percentuale sull’importo degli affidamenti che avrebbero ottenuto dalla struttura commissariale; i due non avevano mancato di rimarcare la vicinanza del Di Donna con ambienti istituzionali governativi». Dopo un secondo incontro presso lo studio Alpa, l’imprenditore s’era tirato indietro per «le modalità opache della proposta di mediazione».
I bonifici dopo la sigla dei contratti
Le successive indagini hanno accertato che a seguito di un contratto ottenuto dalla società Adaltis per la fornitura di test molecolari, Di Donna, Esposito e De Luca avrebbero guadagnato almeno 381.800 euro (ma un altro calcolo porta la cifra a circa 800.000). Ottenuti e spartiti con regolari bonifici, sebbene per la Procura si tratti di «remunerazione indebita della mediazione illecita, in quanto occulta e fondata su relazioni personali con pubblici ufficiali della struttura commissariale». Il primo contratto per Adaltis, «con procedura negoziata e senza previa pubblicazione di bando», è stato firmato a giugno 2020, ma l’offerta è stata presentata e accettata a metà maggio. In quel periodo i carabinieri hanno accertato, oltre alle riunioni tra imprenditori e mediatori, «diverse comunicazioni telefoniche» tra Esposito, Di Donna ed esponenti della struttura anti-Covid. Gli inquirenti segnalano i «numerosi contatti» tra Esposito, il commissario Arcuri e il responsabile della logistica dell’Ente. Inoltre ci sono contatti tra Di Donna e Arcuri che cominciano il 5 maggio e terminano il 15, tra l’inizio e la fine dell’offerta di Adaltis. Che però, fanno notare alla ex struttura per l’emergenza, sarebbe stata scelta dalle Regioni dopo le iniziali indicazioni di Confindustria dispositivi medici. A dicembre 2020 Adaltis ha ricevuto nuovi appalti di test molecolari per quasi 2 milioni e mezzo di euro, dopo i quali «Di Donna, Esposito e De Luca hanno ricevuto bonifici che non trovano, allo stato, lecita spiegazione». Un consulente della società, intercettato, racconta che Di Donna e De Luca proponevano una consulenza annuale: «Valerio (De Luca, ndr) gli ha riferito che il livello con cui si relazionano è talmente elevato che non deve aspettarsi un contratto molto economico». Altre intermediazioni retribuite avrebbero riguardato finanziamenti di Invitalia e del ministero per lo Sviluppo economico.
Emiliano Fittipaldi e Giovanni Tizian per editorialedomani.it il 5 ottobre 2021. Luca Di Donna, amico e fedelissimo dell'ex premier Giuseppe Conte, è stato perquisito ieri dai carabinieri, che hanno fatto visita al suo ufficio a piazza Cairoli e nella sua abitazione. Indagato dalla procura di Roma per associazione a delinquere finalizzata al traffico di influenze illecite insieme ad altri due professionisti, Gianluca Esposito e Valerio De Luca, l'avvocato che per anni ha lavorato con il presidente del M5S nello studio di Guido Alpa, è di fatto accusato di aver speso il nome di alti funzionari pubblici (tra cui lo stesso Conte e Domenico Arcuri, ex commissario straordinario all'emergenza Covid, entrambi non iscritti nel registro degli indagati e dunque “trafficati”) per gestire affari nell'ambito delle forniture sanitarie e non. Una settimana fa Domani aveva raccontato come, mentre Conte era a Palazzo Chigi, l'ex socio di studio avesse spiccato il volo, chiudendo in pochi anni contratti a cinque zeri e riuscendo a diventare uno dei legali d'affari più quotati in città. Ora gli investigatori credono che almeno alcune delle parcelle incassate da Di Donna sia frutto di comportamenti illeciti: in pratica il professore ordinario della Sapienza avrebbe ottenuto consulenze irregolari da aziende private interessate all'assegnazione di appalti pubblici.
Di Donna vantando influenze e amicizie verso alcuni pubblici ufficiali vicini ai centri di spesa si sarebbe fatto dare e promettere denaro come prezzo della propria mediazione. Gli appalti finiti nel mirino degli investigatori sono quelli per forniture (sanitarie e non) per la struttura commissariale per l'emergenza Covid, per il ministero dello Sviluppo economico e per Invitalia, agenzia guidata ancora da Arcuri, sostituito invece dal generale Figliuolo dal governo Draghi. Gli uffici dei tre enti statali non sono stati comunque oggetto, ad oggi, di perquisizioni. «L'avvocato Di Donna ha svolto semplicemente la propria attività professionale in totale trasparenza», spiegano fonti vicini al professore, certe che Di Donna potrà spiegare ogni dubbio e uscire indenne dallo tsunami giudiziario. Che potrebbe imbarazzare anche Conte, seppur del tutto estraneo all'indagine: i rapporti tra i due sono stati strettissimi per lustri, tanto che qualche settimana fa secondo il Fatto Quotidiano il nuovo capo politico dei grillini aveva immaginato di promuovere l'amico come direttore della nascitura scuola di formazione politica del movimento.
Giuseppe Conte, indiscreto: avvocati e lobbisti, la mappa dei potentissimi amici. Così è sceso in campo in politica. Libero Quotidiano il 28 settembre 2021. Da semisconosciuto a presidente del Consiglio. È accaduto davvero a Giuseppe Conte passato dall'essere un docente universitario a ottenere la poltrona di Palazzo Chigi. Un miracolo? Forse. Ma molto sarebbe merito - secondo il Domani - del cerchio magico di Conte. Al vertice, il più ascoltato, resta il giurista Guido Alpa. "La coppia - scrive il quotidiano - si incontra a cena spesso e volentieri (spesso il mercoledì), dove discutono di alleanze (dal Senato raccontano che anche la presidente Maria Elisabetta Casellati qualche mese fa partecipò a un pranzo a tre) e prospettive politiche: Alpa non ci ha messo direttamente le mani, ma ha dato più di un consiglio anche nella stesura del nuovo statuto del M5s, pietra del rancore mai sopita tra il neopresidente e Grillo". L'attuale leader del Movimento 5 Stelle prima di entrare in politica ha accumulato incarichi accademici in progetti spesso curati da Alpa, che ne hanno propiziato gli affari. Basta pensare alle consulenze da 400mila euro ottenute dal lobbista Fabrizio Centofanti e Francesco Gaetano Caltagirone. Tra i vari intrecci spunta poi il nome di Luca Di Donna (ordinario di diritto privato europeo alla Sapienza) avanzato dal Fatto Quotidiano, che ha ipotizzato possa essere dietro la nuova scuola di formazione del M5s. Proprio Di Donna, stando al Domani, è "uno degli amici più cari del neopresidente grillino". Poi è la volta di Alessandro Di Majo, membro del cda della Rai nonché figlio di Adolfo, noto civilista ed ex collega di Alpa alla Sapienza. Ma il vero "gemello diverso" di Conte - così lo definisce il quotidiano - si chiama Fabrizio Di Marzio, un avvocato cassazionista che frequenta l’ex premier da vent’anni. Insomma, tutte amicizie ben lontano dall'accezione pentastellata del "popolo".
Roma, indagine sulle consulenze dell’avvocato Luca Di Donna vicino all'ex premier Conte. Fulvio Fiano su Il Corriere della Sera il 28 settembre 2021. Un fascicolo al momento senza indagati e ipotesi di reato è stato aperto dalla Procura di Roma in relazione alle attività di consulenza svolte negli ultimi anni con la pubblica amministrazione dall’avvocato Luca Di Donna, collega di studio dell’ex premier Giuseppe Conte e da quest’ultimo voluto al proprio fianco anche nella sua attività politica, tanto da affidargli la stesura del nuovo statuto del Movimento 5 Stelle. La notizia è trapelata ieri sui quotidiani La Verità e Il Domani.
La genesi dell’indagine e i flussi di denaro. Discordanti le versioni sulla genesi dell’indagine affidata ai carabinieri del Comando provinciale della Capitale. Secondo il primo quotidiano, gli accertamenti sarebbero partiti da alcune dichiarazioni fatte dall’avvocato Piero Amara, già al centro di numerose altre vicende penali. Secondo l’altro giornale, ci sarebbe invece a monte una segnalazione di operazione sospetta (ossia meritevole di approfondimento) da parte di Bankitalia. Nel biennio 2016-18 Di Donna è stato consigliere giuridico del sottosegretario alla presidenza del Consiglio Sandro Gozi e titolare di due società, la Persefone immobiliare srl e la Samsara srl, rimaste però inattive. La segnalazione — riporta Il Domani — evidenzia che il conto di Di Donna «è alimentato da due società bulgare e una lussemburghese». Su questi movimenti di denaro si concentrerebbero gli accertamenti.
Allievo di Guido Alpa e consulente di Mps e Leonardo. Allievo come Conte del professore Guido Alpa, il 43enne cassazionista ha ottenuto negli anni, prima che il futuro premier venisse chiamato in politica, incarichi di consulenza da Monte dei Paschi, controllata dal Tesoro, e dalla partecipata statale Leonardo tramite sue società. In seguito, secondo le anticipazioni di stampa, potrebbe aver speso il nome dell’ex socio divenuto presidente del Consiglio per accrescere la propria capacità relazionale. Il reato di traffico di influenze, così come quello di millantato credito sono però al momento solo ipotesi sullo sfondo.
La scuola di formazione del Movimento. In ogni caso, l’emergere della vicenda, pur con i suoi contorni ancora incerti, avrebbe avuto una eco anche in Parlamento, come riporta l’agenzia di stampa Adnkronos, che cita fonti anonime interne al Movimento 5 Stelle. Le perplessità nascerebbero, secondo questa ricostruzione, attorno all’ipotesi circolata di recente in base alla quale Di Donna potrebbe essere coinvolto nella futura scuola di formazione del Movimento, sulla quale proprio Conte starebbe lavorando. «Il progetto per il nuovo M5S richiede un approccio basato sui criteri di trasparenza, chiarezza e correttezza», è la sintesi del pensiero raccolto dall’ Adnkronos alla Camera, dove alcuni deputati sarebbero pronti a invitare Conte «a chiarire al più presto questa vicenda».
Giacomo Amadori per "la Verità" il 28 settembre 2021. È una indagine segretissima quella che i pm di Roma stanno conducendo su Giuseppe Conte e i suoi uomini d'oro e che svela Panorama in edicola domani. In particolare ci si concentra su Luca Di Donna, ex collega dello studio Alpa, rampante avvocato con ottime entrature in politica e nell'intelligence, considerato l'eminenza grigia dell'ex premier. I magistrati stanno verificando modalità e tempi del suo ricchissimo portafoglio clienti che, durante gli anni di Giuseppe Conte alla guida del governo, gli ha consentito di quintuplicare il fatturato. In particolare, gli inquirenti si stanno concentrando sui sostanziosi incarichi di consulenza con aziende dello Stato. Tra le ipotesi di reato sul tavolo c'è il traffico illecito di influenze. Ma non solo. Ogni stagione politica ha la sua inchiesta simbolo. Se l'ultimo governo Berlusconi è stato sconquassato dalle indagini su cene eleganti e Bunga bunga e Matteo Renzi sta ancora facendo i conti con Consip e Open, gli anni del Conte 1 e Conte 2 andranno probabilmente riletti alla luce di un nuovo, clamoroso fascicolo a cui sta lavorando la Procura di Roma. Il procedimento è ancora nella fase iniziale, ma potrebbe segnare davvero la fine dell'età dell'innocenza del Movimento 5 stelle, molto di più delle vicende tipicamente romane di Luca Lanzalone e Raffaele Marra. A dare il via alle investigazioni sarebbero state le dichiarazioni del faccendiere Piero Amara sugli incarichi affidati attraverso un altro lobbista molto chiacchierato, Fabrizio Centofanti, all'allora avvocato Giuseppe Conte. Amara ha citato anche il professor Guido Alpa, maestro dell'ex premier, ma l'illustre studioso non è coinvolto nell'inchiesta. Come detto, sono in corso gli accertamenti preliminari, o per lo meno questo è il poco che trapela dalla Procura. Dove ammettono che il fascicolo esiste, ma che il problema è capire il modello. Tradotto: è vero che le dichiarazioni di Amara su Conte hanno innescato un procedimento, ma non è detto che il nome dell'ex capo del governo sia già stato o sarà iscritto sul registro degli indagati. Di certo le investigazioni si stanno concentrando su alcuni personaggi che ruotano intorno all'ex premier e utilizzano il suo nome per fare affari. Questi personaggi millantano oppure Conte è a conoscenza delle loro iniziative? Le indagini, coordinate dal procuratore Michele Prestipino e dall'aggiunto Paolo Ielo, dovranno chiarirlo. Secondo alcune fonti l'ipotesi di reato più accreditata al momento è il traffico illecito di influenze, ma non sono escluse contestazioni più gravi. La figura che spicca nell'inchiesta, a quanto risulta a Panorama, è un avvocato romano, considerato da più parti l'eminenza grigia di Conte. Si tratta del 42enne Luca Di Donna, il quale negli ultimi anni è diventato un ben remunerato consulente di aziende controllate dallo Stato. Ma l'uomo su cui la Procura capitolina sta concentrando la sua attenzione non è un signore qualsiasi. Ha una rubrica con contatti di altissimo livello, anche nel mondo dell'intelligence. A lui Conte ha affidato la stesura del nuovo statuto del Movimento 5 stelle, il documento che lo scorso giugno ha portato l'ex presidente del Consiglio e Beppe Grillo sull'orlo della rottura. «Non possiamo lasciare che un movimento nato per diffondere la democrazia diretta e partecipata si trasformi in un partito unipersonale governato da uno statuto seicentesco» sbottò l'ex comico. [] Il nome di Di Donna, sui giornali, è stato associato anche alla costituenda scuola di formazione politica dei grillini e alla stesura delle liste per le prossime Amministrative. Lo scorso inverno fu speso il suo nome nelle convulse ore in cui parlamentari di gruppi diversi erano stati contattati per entrare nella squadretta di «responsabili» che avrebbe dovuto salvare il Conte 2. C'è chi giura che Di Donna, quando l'ex avvocato del popolo è stato nominato presidente del Consiglio nel giugno 2018, abbia inviato a clienti e colleghi un messaggio esultante ed esplicito: gli si erano aperte le porte di Palazzo Chigi.Lui e il nuovo primo ministro avevano lavorato fianco a fianco nello studio Alpa. Poi avevano traslocato, c'è chi dice insieme e chi separatamente, nell'ufficio sopra a quello di Alpa, anche se il centralino resta lo stesso. Ancora oggi le telefonate vengono smistate dalle segretarie del professore pigmalione. Per qualcuno Conte & Di Donna hanno tentato di emanciparsi dal maestro e in qualche momento i rapporti con lui sarebbero diventati tesi, ma il legame con il 73enne giurista ovadese resta il loro marchio di fabbrica. La Procura di Roma sta approfondendo diversi affari di Di Donna con la pubblica amministrazione. Qualcuno parla anche delle solite mascherine anti Covid. In diverse occasioni il professionista avrebbe speso il nome di Conte e adesso gli inquirenti intendono capire se lo abbia fatto all'insaputa dell'ex premier. Siamo di fronte a un possibile traffico di influenze o a qualcos' altro? Noi, al momento, possiamo ricostruire la carriera ufficiale del giovane legale da quando l'amico è entrato a Palazzo Chigi. Intanto va evidenziato che le sue entrate, tra il 2017 e il 2018, si sono quintuplicate, toccando quasi 750mila euro, e nel 2020, l'anno d'oro con Conte alla guida del governo giallo-rosso, hanno sfiorato gli 800mila euro. L'unica flessione è stata registrata nel 2019 quando il reddito è «solo» raddoppiato rispetto al 2017. [] Ma che il legale romano sia per il Contismo quello che il collega Alberto Bianchi è stato per il Renzismo lo conferma un'altra vicenda. Bianchi, indagato a Firenze per finanziamento illecito e traffico di influenze, è stato per anni il presidente della Fondazione Open, la cassaforte dell'attività politica dell'ex Rottamatore. Nel fascicolo d'inchiesta sono entrate anche le parcelle da quasi tre milioni di euro saldate a Bianchi dalla famiglia Toto, dinastia di costruttori abruzzesi. [] Adesso i Toto, dopo aver dovuto rinunciare a Bianchi, indagato e depotenziato, si sono rivolti a Di Donna per provare a ottenere anche la sospensione della rata del 2019 dovuta ad Anas, sempre da 55 milioni circa. Un tentativo questa volta fallito. Dalle banche dati emerge che Di Donna, spesso in pool con Alpa (il quale gli ha versato 90mila euro nel 2020) e altri principi del Foro, viene ingaggiato in procedimenti amministrativi davanti al Tar contro lo Stato. [] Nel 2020 è stato retribuito con 20mila euro pure dal Monte dei Paschi di Siena, banca controllata dal Tesoro, per un ricorso (rigettato) in Cassazione. Di Donna ha ricevuto incarichi anche da aziende partecipate come il gruppo Leonardo (di cui Alpa, sia detto per inciso, è consigliere non esecutivo d'amministrazione) e dai commissari della Società italiana per condotte d'acqua Spa, la terza azienda di costruzioni italiana che è finita in amministrazione straordinaria nell'agosto del 2018. [...]..Nel 2019 l'onorario è stato di 223mila euro e nel 2020 di 154mila. Da Inso (Sistemi per le infrastrutture sociali) Spa, controllata da Condotte, sono arrivati, sempre nel 2020, altri 260mila euro. Il 1° giugno scorso la Inso è stata ceduta a Fincantieri, altra azienda di Stato. Nel frattempo Di Donna ha incassato ben 637mila euro da un unico soggetto pubblico. [] A proposito di investimenti nel mattone, a Di Donna risultano intestati diversi immobili nel centralissimo corso Vittorio Emanuele II, a Roma, dove risiede. In un elegante palazzo possiede tre appartamenti per complessivi 18,5 vani, al secondo, quinto e sesto piano. Di Donna, dal 2020, controlla pure il 33,33 per cento delle quote della Juris prudentia Srl, centro di studi per la formazione e l'aggiornamento professionale, anche questa inattiva. Il socio qui è il crotonese Giampiero Zurlo, 38 anni, presidente, a.d. e responsabile della direzione relazioni istituzionali & lobbying della società Utopia [].
Giacomo Amadori per la Verità il 29 settembre 2021. Dopo lo scoop di Panorama sulle indagini che riguardano gli affari del cerchio magico di Giuseppe Conte in Procura si sono agitate le acque. Anche perché il fascicolo principale, quello sull'avvocato Luca Di Donna, sarebbe in una fase cruciale con in vista rapidi sviluppi. Il legale, lo ricordiamo, è stato collega di studio dell'ex premier e da quando il capo del movimento 5 stelle è entrato a Palazzo Chigi si sarebbe trasformato in un efficacissimo brasseur d'affaires. Dal 2018 ha speso il nome di Conte per iniziare business di tutti i tipi, dalle mascherine alle consulenze legali con importanti aziende pubbliche. Ma i clienti lo hanno scelto anche per opporsi alle decisioni dello Stato come ha fatto la famiglia Toto, schiatta di costruttori abruzzesi, che lo ha ingaggiato per ottenere la sospensione di una rata da 55 milioni dovuta ad Anas. Di Donna è sotto inchiesta per traffico di influenze illecite, e non è il solo iscritto sul registro degli indagati: insieme con lui sono coinvolti alcuni presunti complici. E nel fascicolo sarebbero ipotizzati anche altri reati, tra cui la corruzione e il riciclaggio. Conte, in questa inchiesta, è considerato solo «trafficato», non emergendo dalle prime investigazioni un suo attivo interesse nella conclusione degli affari dell'amico, il quale avrebbe speso il nome dell'ex premier a sua insaputa. In compenso in Procura, il pool che si occupa dei reati contro la pubblica amministrazione, coordinato dall'aggiunto Paolo Ielo, ha sul tavolo un altro procedimento che riguarda Conte e che parte dalle dichiarazioni del faccendiere Piero Amara su alcune consulenze ricevute, su interessamento di alcuni presunti esponenti della loggia Ungheria, dall'ex presidente del Consiglio ai tempi in cui era avvocato e dal suo maestro Guido Alpa per assistere la società immobiliare Acqua marcia in un concordato preventivo. Il fascicolo è partito da Milano, poi è stato trasmesso a Roma che, a sua volta, l'ha inviato a Perugia per un'ipotizzata competenza. Qui la Procura ha escluso il coinvolgimento di magistrati del Tribunale fallimentare di Roma e ha rimandato le carte nella Capitale dove adesso il fascicolo può procedere liberamente. Il reato iscritto è bancarotta per dissipazione. Ma se, a giudizio di Amara, la nomina di Conte e Alpa sarebbe stata la condizione ineludibile per Acqua marcia per ottenere l'omologazione del concordato, le investigazioni non stanno facendo emergere illeciti dimostrabili. Molto più concreto il filone che riguarda Di Donna. Gli inquirenti hanno concentrato la loro attenzione su di lui dopo aver ricevuto una segnalazione di operazione sospetta dall'ufficio Antiriciclaggio della Banca d'Italia. La Sos è del 30 giugno del 2021 e riguarda un bonifico estero da 18.200 euro. «Il segnalato, docente e avvocato, dal 2016 al 2018 è stato consigliere giuridico del sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei ministri presso il dipartimento per le Politiche europee» si legge nel documento. All'epoca il sottosegretario era il piddino Sandro Gozi, il quale aveva come collaboratore un altro esperto di mascherine, il giornalista Rai Mario Benotti. Ma i due, Benotti e Di Donna, sostengono di non conoscersi. I risk manager spiegano che «tra la clientela del segnalato si riscontrano talune società a partecipazione pubblica riscontrabili tra gli ordinanti dei bonifici in ingresso. Tra esse si menziona la società Condotte immobiliare, ordinante in data 19 maggio 2020 di un bonifico di 164 mila euro []. Il conto è altresì alimentato da taluni bonifici dall'estero, come quelli disposti dalla BN Consult (Bulgaria) per euro 685.786, Pop 12 Sarl (Lussemburgo) per euro 95.160 e Ganchev Eood Eood (Bulgaria) per euro 18.200 (il pagamento che ha innescato la segnalazione, ndr)». Prosegue la nota: «In taluni casi parte della provvista originatasi dai bonifici esteri è stata impiegata per operazioni di trasferimento con causali sottostanti riferibili a "rimborso prestito", come nel caso dell'accredito estero di 321.006 euro seguito, in data 9 agosto 2018, da un trasferimento di euro 37mila in favore di B.P.». Gli analisti spiegano anche di procedere alla segnalazione di operazione sospetta nei confronti di Di Donna in quanto «destinatario anche di una richiesta di approfondimento da parte della Vostra Autorità. Nell'ottica della collaborazione attiva si rappresenta un quadro più integrato [] avendo lo stesso relazioni d'affari con società a partecipazione statale ovvero oggettivo essendo transitati sul conto corrente bonifici esteri ovvero in un ristretto arco temporale transazioni con causali sottostanti riferibili a prestiti». La società lussemburghese indicata nella segnalazione, la Popo 12 Sarl, è riconducibile all'imprenditore Raffaele Mincione, imputato nel processo in corso in Vaticano insieme con altri finanzieri e il cardinale Becciu. Mincione aveva scelto come consulente legale Guido Alpa nella vicenda della Banca Carige. Dopo i nostri articoli una fonte ci ha riferito che «Di Donna è stato anche interessato dall'imprenditore Francesco Becchetti (società Albania Beg ambient) per intervenire su Enel per sponsorizzare una transazione di alcune centinaia di milioni di euro a chiusura di un contenzioso risalente nel tempo. A questo fine, nei primi mesi del 2020, Di Donna si è recato a Londra (dove Becchetti vive), per negoziare l'incarico, il quale avrebbe avuto veste formale di un incarico di assistenza per tutt' altri fini». La Albania Beg da da oltre vent' anni ha aperto un contenzioso con Enel da 430 milioni di euro. All'origine della contesa c'è un contratto di collaborazione, mai andato a buon fine, per la costruzione di una centrale idroelettrica in Albania. Di Donna avrebbe ricevuto incarichi dalla stessa Enel per un altro contenzioso riguardante gli impianti idroelettrici di Terni, e da Poste italiane. Le indagini degli inquirenti ci diranno se gli introiti di Di Donna, passati da poco più di 100.000 euro a quasi un milione l'anno dopo l'ascesa al governo del suo amico Conte, siano solo frutto di una regolare attività professionale.
Giacomo Amadori per “La Verità” il 30 settembre 2021. . Ha collaborato François de Tonquédec. Giuseppe Conte ha scaricato l'amico indagato Luca Di Donna a tempo di record. Dopo aver appreso dalla Verità che la Procura di Roma sta investigando sul vecchio compagno di studio legale ha velocemente derubricato il collega da intimo a lontano conoscente: «Luca Di Donna non ha mai collaborato con me, non gli ho dato l'incarico da presidente del Consiglio, non so nulla della sua attività professionale» ha giurato l'ex avvocato del popolo che aveva scaricato con la stessa rapidità anche il fu socio di governo Matteo Salvini. Poi il presidente del M5s ha aggiunto: «C'è un giornale oggi, lo dico perché è autorevole, il Corriere della Sera, che ha scritto che ha collaborato allo statuto del Movimento 5 Stelle e che avrebbe avuto l'incarico di redigere il progetto della scuola di formazione. Assolutamente no, mai, mai convolto in nessuna forma e in nessun modo». L'autorevole Corriere aveva copiato le notizie da altri giornali, in particolare dalla Verità, ma Conte, pur non citandoci, è stato costretto a fare lo scarica barile. Noi possiamo confermare, grazie a fonti di primissimo livello all'interno del Movimento 5 stelle, che al faticoso parto dello statuto ha partecipato Di Donna affiancato da un notaio, in veste di rappresentante di Conte, mentre Beppe Grillo ha fatto verificare il testo dal nipote Enrico, avvocato genovese. Durante la stesura ci sono stati anche momenti di tensione e il fondatore del movimento era arrivato a definite la prima versione dello statuto «secentesco», dal momento che attribuiva pieni poteri a Conte. Ieri i frequentatori dello studio Alpa che hanno letto le dichiarazioni dell'ex premier hanno mostrato perplessità nel vedere con quale facilità uno dei due dioscuri del giurista piemontese, Conte appunto, avesse scaricato l'altro in nome di un'ipotetica Ragion di Stato. Il problema è che anche a Conte deve essere arrivata la notizia della delicatezza dell'inchiesta su Di Donna ed è costretto a parare i colpi in vista di una tornata elettorale che non si annuncia trionfale. Senza contare che presso la Procura di Roma è ancora aperto un fascicolo (iscritto per bancarotta) sui suoi affari personali, un procedimento legato alle dichiarazioni del faccendiere Piero Amara e in fase, a quanto ci risulta, di archiviazione. Conte ha negato di essere mai intervenuto a favore di Di Donna, ma di certo, secondo gli inquirenti, coordinati dal procuratore Michele Prestipino e dall'aggiunto Paolo Ielo, l'indagato avrebbe speso il nome dell'ex premier per ottenere incarichi. A giudizio dei pm, però, lo avrebbe fatto all'insaputa del già primo ministro, tanto che Di Donna è sotto indagine per traffico di influenze illecite. Nel fascicolo, che coinvolge anche altri soggetti, sono contestate ulteriori ipotesi di reato, come la corruzione. Se Conte fa finta quasi di non conoscerlo, Di Donna non rilascia dichiarazioni ufficiali per difendersi. In passato i due, prima che Giuseppi diventasse presidente del Consiglio, hanno condiviso anche qualche cliente. Per esempio Raffaele Mincione, oggi imputato in Vaticano per corruzione nella vicenda dell'acquisto di un palazzo londinese. Il lobbista Luigi Bisignani presentò ad Alpa e a Conte il finanziere e questi ottenne dall'attuale presidente dei 5 stelle, per la sua cordata, un parere pro veritate per la scalata a Retelit. Era il maggio del 2018 e da lì a poco Conte sarebbe diventato premier. La consulenza legale era sul possibile esercizio da parte del governo del golden power nei confronti della società titolare di una rete in fibra ottica e comproprietaria di un cavo internazionale per le telecomunicazioni Europa-Asia.Con Conte a Palazzo Chigi, Mincione e i suoi alleati puntarono al controllo di Banca Carige e chiesero un parere tecnico per sapere se i diritti di voto in assemblea dei pacchetti di azioni riconducibili alla cordata di Mincione potessero essere esercitati oltre il 10 per cento. Alla fine il gruppo non ha potuto votare con l'eccedenza e ha presentato contro la cordata avversaria (guidata dal finanziere Vittorio Malacalza) un esposto che, però, non ha sortito effetti. In compenso Alpa e Di Donna hanno potuto incassare 78.000 euro (93.600 con l'Iva) a testa, mentre il finanziere per l'«assemblea di Carige» ha dovuto sborsare quasi 600.000 euro. A pagare gli onorari è stata la Pop 12, la società lussemburghese di Mincione e il «progetto di parcella per consulenza e assistenza stragiudiziale per Pop 12 Sarl nei confronti di Malacalza investimenti e Banca Carige Spa» di Di Donna è finita tra le carte del processo Vaticano, poi trasmesse anche in Italia. All'epoca telefono e mail di Di Donna erano ancora quelli dello studio Alpa. Oggi resta in comune il centralino. L'inchiesta su Di Donna è partita da una segnalazione di operazione sospetta dell'Antiriciclaggio che ha messo nel mirino un bonifico da 18.200 euro proveniente da una società bulgara produttrice di latte in polvere per neonati, la Ganchev eood eood. Sempre dalla Bulgaria sarebbero arrivati 685.786 euro dalla Bn Consult, una società di progettistica, per una consulenza non meglio identificata. Anche questo bonifico è stato inserito nella Sos. Di Donna ha ricevuto importanti consulenze da società partecipate come Enel, Mps, Leonardo e Condotte (da cui ha incassato, considerando anche una controllata, 637.000 euro).Tra i clienti privati del legale ci sono diverse aziende che operano nel settore delle cartolarizzazioni. Altre ditte si occupano di costruzioni marittime e fluviali, bonifiche, raccolta e trasporto di rifiuti, pulizie industriali. Di Donna ha lavorato anche (direttamente e attraverso alcune controllate) con il Sorgente group, di proprietà di Valter Mainetti, editore del quotidiano Il Foglio.
Emiliano Fitttipali e Giovanni Tizian per "Domani" il 28 settembre 2021. Luca Di Donna, ex collega di studio Giuseppe Conte e fedelissimo dell’ex premier, tanto che, scrive il Fatto Quotidiano, potrebbe diventare capo della scuola di formazione politica del Movimento 5 stelle, è stato segnalato all’antiriciclaggio per alcune operazioni finanziarie considerate sospette, di cui Domani aveva dato conto ieri in un’inchiesta. «Il segnalato, docente e avvocato, dal 2016 al 2018 è stato consigliere giuridico del sottosegretario alla presidenza del Consiglio (Sandro Gozi, ndr). Risulta da visura camerale titolare effettivo di due società inattive, la Persefone immobiliare srl e la Samsara srl» si legge nella segnalazione. «Tra la clientela del segnalato si riscontrano talune società a partecipazione pubblica. Tra esse si menziona la società Condotte immobiliare, ordinante in data 19 maggio 2020 di un bonifico di 164 mila euro. Tale società finita in amministrazione straordinaria giudiziaria nel 2018 era amministrata da tre commissari di nomina ministeriale». Secondo la segnalazione che l’istituto di credito ha inviato all’autorità antiriciclaggio (che, ricordiamolo, non è obbligatoriamente indice di reato, ma solo un report di movimenti anomali da verificare meglio) il conto di Di Donna «è altresì alimentato da taluni bonifici dall’estero, come quelli disposti dalla BN Consult (Bulgaria) per euro 685.786, Pop 12 Sarl (Lussemburgo) per euro 95.160 e Ganchev Eood Eood (Bulgaria) per euro 18.200». La prima società – al netto di omonimie – risulta essere una spa finanziaria con sede a Sofia, mentre la seconda è una società estera di Raffaele Mincione, imprenditore che aveva assunto Alpa (ed evidentemente anche l’allievo Di Donna) come consulente legale nella vicenda della Banca Carige, che aveva visto impegnato tempo fa il finanziere in una difficile scalata contro la famiglia Malacalza. La Ganchev Eood Eood è invece un’azienda specializzata in alimenti per neonati, dal latte in polvere ai biscotti. Non è chiaro quali siano le prestazioni specifiche fornite da di Donna ai clienti: l’avvocato ha declinato qualsiasi commento, per questioni legate alla privacy dei suoi patrocinati. La segnalazione si conclude così: «In taluni casi parte della provvista originata dai bonifici esteri è stata impiegata per operazioni di trasferimento con causali sottostanti riferibili a “rimborso prestito”, come nel caso dell’accredito estero di 321mila euro seguito, in data 9 agosto 2018 da un trasferimento di euro 37mila» in favore di una donna. Di Donna è consigliere stimato del presidente del M5s e suo amico di vecchia data. I rapporti tra i due non si sono mai interrotti nemmeno quando il legale di Volturara Appula si è trasferito a palazzo Chigi. «Lui, Alpa e Di Donna sono una triade indissolubile», ha ripetuto ieri una fonte dello studio dell’anziano giurista in Piazza Cairoli. Al netto delle ipotetiche nomine che Conte dovrà fare nell’ambito della riorganizzazione dei Cinque stelle è un fatto che il legale sia diventato negli ultimi tre anni uno dei giovani avvocati d’affari più in vista della Capitale. Un futuro nel movimento non è tuttavia, dicono uomini vicini a Di Donna, un suo obiettivo, non è interessato a entrare nel partito. Precocissimo, è professore ordinario di diritto provato europeo alla Sapienza, università dove il maestro Alpa aveva una cattedra fino a due anni fa, e oggi gestisce business milionari che gli hanno consentito di recente di comprare tre appartamenti di lusso al centro di Roma spendendo oltre due milioni di euro. Nominato a gennaio 2021 dall’ex ministro Alfonso Bonafede presidente della commissione d’esame per gli avvocati a Roma, Domani ha scoperto che di recente ha ottenuto anche un importante incarico dal Monte dei Paschi di Siena, banca oggi controllata dal ministero dell’Economia e che raramente allarga a esterni la sua platea di avvocati storici. Per Di Donna l’istituto ha fatto un’eccezione, affidandogli un incarico assai delicato: il ricorso in Cassazione contro la Jp Morgan e contro gli obbligazionisti delle cosiddette azioni “fresh” con cui l’istituto, con una complessa operazione finanziaria, nel 2009 aveva disposto un aumento di capitale di quasi un miliardo di euro. Dopo la crisi finanziaria della banca, gli obbligazionisti “fresh” che hanno perso soldi stanno oggi tentando di riottenere parte dei risparmi, e hanno chiesto nel 2017 a un tribunale lussemburghese di congelare quasi 50 milioni di euro che Jp Morgan stava girando a Mps. Un pagamento che gli obbligazionisti considerano «in loro danno». La banca senese di risposta ha subito chiesto nel 2018 al tribunale di Milano di dichiarare l’Italia sede di competenza della controversia, ma i giudici hanno dato torto all’istituto. Il ricorso in Cassazione contro quest’ultima decisione è stato seguito da Di Donna in persona: a marzo del 2021 è arrivata la sentenza che ha rigettato l’istanza dell’avvocato. Per la cronaca, dal 2020 in Mps comanda nuovo amministratore delegato Guido Bastianini, ex manager della Carige considerato dai giornali vicino ai Cinque Stelle, mentre nel cda il governo Conte II ha voluto fortemente Nicola Maione come consigliere indipendente. Un legale vicinissimo sia ad Alpa che a Di Donna, tanto che qualche anno fa i tre hanno coordinato insieme un prestigioso master in diritto privato europeo. «Tutti i bonifici fatti dall’avvocato Di Donna sono tracciati e trasparenti», spiegano al telefono fonti vicine al suo studio. «Non ha mai ottenuto profitto accreditandosi, come dicono i suoi nemici, come miglior amico dell’ex premier: tutti gli incarichi sono solo frutto del suo duro lavoro». I suoi conoscenti non smentiscono né confermano un altro suo rapporto professionale. Quello con Francesco Becchetti, ex patron della tv albanese Agon Channel. Un imprenditore che era proprietario – insieme all’ex re della monnezza romana Manlio Cerroni – anche di una società di energia, la Albania Beg, che da vent’anni ha aperto un contenzioso con Enel da 430 milioni di euro in relazione a un presunto inadempimento da parte del colosso elettrico statale di un accordo per la costruzione di una centrale idroelettrica in Albania da parte di Enelpower. Stabilimento che poi non è mai stato realizzato. Enel (a parte una sentenza sfavorevole della Corte di Cassazione di Tirana) ha vinto quasi tutte le cause intentate dall’imprenditore, ma in Lussemburgo è ancora depositato un procedimento aperto. Chissà se Becchetti s’è rivolto a Di Donna proprio per provare a chiudere il lungo e difficile contenzioso. Non sarebbe certo sorprendente: per molti, da Luigi Bisignani ad accademici di fama, passando per finanzieri e lobbisti romani, l’amico di Conte è uno dei migliori “Mr Wolf” in circolazione, capace di risolvere diatribe e problemi su business vari e contratti assortiti.
Giovanni Tizian e Emiliano Fittipaldi per “Domani” il 27 settembre 2021. «Quando ho visto che Giuseppe Conte era stato scelto per fare il presidente del Consiglio, ho capito che il M5s come lo conoscevamo era morto: il sistema era riuscito a mettere alla leadership di un movimento antagonista un avvocato d’affari contiguo all’establishment, con l’obiettivo di normalizzarlo. Così è stato». Ascoltare una fonte che lavora allo studio di Guido Alpa (vecchio mentore dell’ex premier), spulciare contratti riservati e documenti di concorsi universitari permette di analizzare meglio il fenomeno Conte. E il percorso che ha permesso a un barone universitario semisconosciuto, con formazione democristiana e disponibile a chiudere fino al 2017 business milionari lavorando con professionisti condannati per associazione a delinquere e bancarotta fraudolenta, di diventare il capo assoluto di un partito giustizialista, nemico giurato dei poteri forti e difensore degli ultimi e dei dimenticati. “L’avvocato del popolo”, fortunata invenzione di Rocco Casalino, è infatti un avvocato d’affari vecchia maniera, che spesso ha lambito conflitti di interessi plurimi (tanto invisi alla propaganda pentastellata) e frequentatore di salotti che appaiono lontani anni luce dagli ambienti del grillismo doc. Ancora oggi un pezzo dei Cinque stelle teme che la scelta di incoronare Conte nuovo leader sia stata un errore madornale, mentre molti s’interrogano su chi siano davvero i consiglieri dell’ex premier e quali i suoi referenti fuori dal partito. Domanda che, in vista della riorganizzazione del M5s, si fanno sia i fedelissimi della sua corrente (tra loro ci sono, per ordine di influenza sul leader, Mario Turco e Rocco Casalino, subito dietro svettano Alfonso Bonafede, Vito Crimi, Paola Taverna e Stefano Patuanelli), sia i gruppi rimasti fedeli a Luigi Di Maio e a Beppe Grillo. Garante che solo tre mesi fa dava a Conte dell’assoluto incapace, perché privo di «visione politica e capacità manageriali», e che ha recentemente blindato il comitato di garanzia del M5s – in grado di sfiduciare lo stesso presidente – inserendo due antagonisti dell’ex premier come Virginia Raggi e Di Maio. Partiamo dal vertice della piramide. Nel cerchio magico di Conte il più ascoltato resta Guido Alpa. I rapporti tra i due sono ottimi. La coppia si incontra a cena spesso e volentieri (spesso il mercoledì), dove discutono di alleanze (dal Senato raccontano che anche la presidente Maria Elisabetta Casellati qualche mese fa partecipò a un pranzo a tre) e prospettive politiche: Alpa non ci ha messo direttamente le mani, ma ha dato più di un consiglio anche nella stesura del nuovo statuto del M5s, pietra del rancore mai sopita tra il neopresidente e Grillo. Quando Conte era a palazzo Chigi i rapporti erano diventati per motivi di opportunità meno frequenti, tanto che i due usavano come ufficiale di collegamento per messaggi e informazioni delicate lo sconosciuto Gabriele Cicerchia, da anni factotum dello studio Alpa, che Conte fece assumere nel suo staff di palazzo Chigi come «collaboratore del capo di gabinetto» Alessandro Goracci. Con uno stipendio da 75mila euro l’anno. Durante il premierato, i legami hanno avuto anche dei bassi. A causa, dicono i maligni, del timore di Conte di essere associato ai gruppi di potere di cui il maestro è da sempre espressione. Nonostante il rapporto intimo sia stato per il giurista di Volturara Appula assai fecondo: diventato collaboratore preferito del numero uno di una grande scuola giuridica nazionale, ottenuto un ufficio personale nello studio di Alpa a piazza Cairoli, l’ex premier prima di entrare in politica ha accumulato incarichi accademici in progetti spesso curati da Alpa, che ne hanno propiziato la scalata all’università, le buone relazioni. E gli affari. Tra i tanti, ricordiamo le consulenze da 400mila euro ottenute dal lobbista Fabrizio Centofanti e Francesco Gaetano Caltagirone per il concordato della società Acqua Marcia, finite al setaccio delle procura di Perugia e di Roma dopo le dichiarazioni di Piero Amara (Conte non è indagato, ma c’è un’inchiesta a piazzale Clodio per bancarotta fraudolenta ancora aperta). Oltre la compravendita milionaria dell’hotel di Venezia Molino Stucky. Un affare dove l’integerrimo avvocato, di fronte a una ricca parcella, non disdegnò di lavorare fianco a fianco con un architetto già condannato per associazione a delinquere e bancarotta fraudolenta, il pregiudicato Arcangelo Taddeo, consulente con Conte del gruppo Marseglia che si accaparrò l’hotel a prezzi di saldo. Conte ha dato pareri anche al finanziere Raffaele Mincione – ex cliente di Alpa oggi imputato per corruzione in Vaticano – impegnato nella scalata Retelit. Ma dissidi tra l’ex presidente del Consiglio e Alpa ci sono stati anche a settembre 2018, quando l’anziano docente sperava che il suo protegé prendesse la cattedra di diritto privato alla Sapienza di Roma che lui stava lasciando causa limiti d’età. Conte non ritirò la domanda nonostante fosse ormai diventato premier, ma fu costretto a sfilarsi dopo che la notizia del concorso, raccontata da chi vi scrive, fu rilanciata da alcuni media internazionali. I conflitti di interesse erano tanti, e non riguardavano solo il nuovo status politico di Conte: presidente della commissione che avrebbe dovuto giudicarlo era stato infatti designato Enrico Del Prato, un ordinario che arrivò alla Sapienza grazie a una procedura selettiva vinta anni prima (presidente della commissione che lo premiò era Alpa), e che nel 2017 aveva indicato lo stesso Conte come presidente di un arbitrato milionario alla Camera arbitrale di Milano. Intrecci tipici del malcostume accademico italiano, da sempre stigmatizzati dai grillini ma, nel caso di Conte, giustificati o ignorati. Come il tema del merito: il nuovo capo politico non sembra intenzionato a ricorrere, nella struttura del partito che verrà, ai migliori e ai più capaci, ma ai fedelissimi dell’inner circle. Il Fatto Quotidiano ha ipotizzato che nel lancio della nuova scuola di formazione del M5s possa essere coinvolto l’avvocato Luca Di Donna, definito uomo «molto apprezzato dall’ex premier». Non sappiamo se la nomina andrà in porto, ma certamente Di Donna – anche lui enfant prodige dello studio Alpa – è uno degli amici più cari del neopresidente grillino. «Conte, Di Donna e Guido formano una triade indissolubile», chiosano dallo studio del maestro, da dove Conte ha attinto anche per l’assunzione del 29enne Andrea Benvenuti, suo ex segretario particolare a palazzo Chigi. Anche Di Donna entrò giovanissimo nelle grazie dell’anziano giurista, che prima lo volle come allievo, poi collaboratore di studio. Anche oggi i due sono inseparabili: il nuovo ufficio di Di Donna è a un piano di distanza da quello di Alpa, sempre a piazza Cairoli a Roma. Un’amicizia che ha portato fortuna: Di Donna, come Conte, ha bruciato tutte le tappe accademiche ed è diventato a poco più di 40 anni ordinario di diritto privato europeo alla Sapienza. Un record, nonostante qualche invidioso creda che le sue pubblicazioni scientifiche non giustifichino una carriera così veloce e brillante. Certamente non la pensava così l’ex sottosegretario Sandro Gozi, che lo volle come suo consigliere giuridico nel 2016-2018 nel dipartimento dove lavorava, come segretario di Gozi, anche Mario Benotti, il giornalista indagato per traffico di influenze per aver ottenuto una mega provvigione milionaria intermediando tra il commissariato straordinario per l’emergenza Covid guidato al tempo da Domenico Arcuri e alcune aziende cinesi di mascherine, che ottennero una commessa superiore al miliardo di euro. «Mai conosciuto Di Donna», dice Benotti a Domani. L’amico di Conte ha rapporti amicali con Luigi Bisignani, e con un pezzo importante dei salotti che contano. La nuova rettrice della Sapienza, Antonella Polimeni, lo stima così tanto da avergli affidato la responsabilità degli Affari legali dell’ateneo. In attesa di possibili incarichi nel M5s (che lui smentisce ai suoi amici), a gennaio 2021 l’ex ministro Bonafede lo ha nominato presidente della commissione di esami di avvocato a Roma, su proposta dell’ordine degli avvocati di Roma. Di Donna cura con grande attenzione anche il suo business: dal diritto societario ai contratti del settore delle scommesse, da arbitrati a consulenze varie, il suo conto in banca recentemente si è assai gonfiato. A Domani risulta che tempo fa la lussemburghese Pop 12 sarl di Mincione ha pagato a Di Donna una consulenza per Banca Carige circa 100mila euro, mentre altre 160mila euro sono arrivati da Condotte, una spa immobiliare finita in amministrazione straordinaria per cui il legale è consulente. Soldi a palate sono arrivati anche da società finanziarie straniere (oltre 680mila dalla finanziaria bulgara BN Consulting) e da aziende specializzate in alimenti per neonati. Gli affari dell’amico del presidente vanno così a gonfie vele che in tre anni il secondo allievo prediletto di Alpa è riuscito, a leggere i documenti del catasto, a comprarsi tre meravigliosi appartamenti contigui nel centro di Roma di fronte a Castel Sant’Angelo: 374 metri quadri complessivi, per una spesa di oltre due milioni di euro. Di Donna, sentito al telefono, spiega che per questioni di privacy non può parlare della sua clientela. Ma un’altra fonte a lui vicina dice che «i business di Luca sono tutti puliti e trasparenti, frutto solo del suo lavoro di avvocato. Conte? Non gli ha mai dato nulla, Di Donna s’è fatto da solo con lo studio e il sudore». Gli amici che frequenta dell’avvocato del popolo, di certo, con il popolo inteso in senso grillino sembrano avere poco da spartire. Nell’entourage ristretto del presidente c’è un pezzo dell’establishment nazionale: l’ex capo dei servizi segreti Gennaro Vecchione, che ha perso il posto dopo i pasticci sul caso Mancini-Renzi ma resta fidato suggeritore del professore, l’ex commissario straordinario Arcuri, anche lui silurato dal governo Draghi dalle inchieste sulla struttura commissariale in seguito alla vicenda Benotti, l’ambasciatore Pietro Benassi ed Ermanno De Francisco. Quest’ultimo è un magistrato amministrativo che Conte conobbe anni fa a casa del potente avvocato Andrea Zoppini, e che con Conte è diventato capo del dipartimento affari giuridici e legislativi di palazzo Chigi. Per la cronaca, De Francisco la settimana scorsa ha denunciato per calunnia Pietro Amara, dopo che i media hanno pubblicato un verbale dove l’ex legale dell’Eni lo cita tra gli appartenenti della fantomatica Loggia Ungheria. Ma referenti di Conte sono diventati pure Gerardo Capozza, attuale segretario generale dell’Aci che lavora con il grillino per creare reti relazionali al sud, il padre della fidanzata Olivia (cioè il ricco immobiliarista Cesare Palladino, proprietario dell’hotel a 5 stelle Plaza) e l’aristocratico Giovanni Caffarelli, figlio di un duca e console onorario delle isole di Samoa. Proprietario di palazzi e negozi in via Condotti a Roma, Caffarelli è finito sui giornali per aver organizzato – con il suo comitato R3R Roma Tridente – proteste contro la sindaca Raggi per il degrado del centro storico della capitale. Un affezionato di Conte è anche Alessandro di Majo, che lo scorso luglio Giuseppe ha imposto come membro del cda della Rai nonostante i mugugni di un pezzo rilevante dei parlamentari pentastellati che volevano eleggere, dopo una serie di colloqui interni, il professore Antonio Palma. Di Majo, infatti, non lo conosceva nessuno. È però certo che è il figlio di Adolfo, noto civilista, ex collega di Alpa alla Sapienza e influente avvocato romano. Alessandro ha lavorato quasi sempre nello studio del papà, fino al gennaio del 2018, quando la famosa terza commissione del Csm (quella finita nella scandalo Palamara) lo nominò consigliere di cassazione per «meriti insigni». Un incarico importante che a sorpresa Di Majo lasciò dopo meno di un anno con dimissioni irrevocabili che oggi qualche maligno imputa a screzi con la presidente della sezione tributaria Camilla Di Iasi, considerata giudice severa e integerrima. Di Majo junior, che non ha mai preso l’abilitazione all’insegnamento universitario, ha però cambiato idea un’altra volta poche settimane dopo, provando a revocare le sue stesse dimissioni irrevocabili. Dopo il niet del Csm e del ministero di Giustizia, l’avvocato non si è arreso e di recente ha fatto addirittura istanza al Tar per farsi reinsediare. Ma ha perso. Anche il Consiglio di stato nel 2020, in appello, gli ha dato torto. Il mistero sul perché delle dimissioni resta insoluto, così come il motivo per cui Conte nonostante il pasticcio abbia voluto a tutti i costi piazzare l’amico (che secondo la Stampa ha incredibilmente rifatto domanda al Csm per rientrare in Cassazione) nello strategico board della televisione di stato. Ma il vero gemello diverso di Conte si chiama Fabrizio Di Marzio, un avvocato cassazionista che frequenta l’ex premier da vent’anni, con intrecci relazionali che disegnano una ragnatela di rapporti finora sconosciuti. Se è già noto che i due sono co-direttori della rivista Giustizia Civile edita da Giuffrè e che, come scoprì Domani, l’ex socia di Di Marzio, l’avvocato Giuseppina Ivone, fu assunta insieme a Guido Alpa e Conte dall’imprenditore Fabrizio Centofanti per alcune consulenze per il concordato Acqua Marcia, in pochi sanno che Di Marzio è diventato da poco professore ordinario all’Università di Chieti-Pescara. Un sogno diventato realtà al fotofinish, dopo che l’abilitazione a professore di prima fascia presa nel 2013 stava per scadere. Nell’ottobre del 2019 l’amico di Conte ha infatti vinto una procedura selettiva sconfiggendo altri agguerriti concorrenti. Presidente della commissione giudicatrice è stato Claudio Scognamiglio, professore a Tor Vergata e direttore di una delle aree di Giustizia Civile, il giornale diretto da Conte. Ciascun commissario, Scognamiglio compreso, ha dichiarato «la non sussistenza di collaborazioni (con i vari candidati, ndr) che presentino i caratteri della sistematicità, stabilità, continuità tali da dar luogo a un vero sodalizio professionale», come si legge nei verbali del concorso. Scognamiglio non ha dunque ritenuto rilevante il fatto che il candidato che doveva giudicare fosse il capo della rivista scientifica di cui lui è direttore d’area. Di Marzio, sentito al telefono, dice: «Nessuna inopportunità: io e Claudio non abbiamo mai avuto nessun tipo di rapporto economico. Conosco centinaia di colleghi con cui ho lavorato o scritto libri e pubblicazioni: con questo ragionamento mi sarebbe impossibile partecipare a un concorso». Il rischio di conflitti di interesse riguarda però anche altre evidenze: Renato Scognamiglio, papà di Claudio, è stato uno dei primi maestri di Conte, co-direttore (seppur autosospesosi tra giugno 2018 e febbraio 2021) con Di Marzio. Mentre qualche mese dopo la promozione di Di Marzio, risulta che Conte abbia piazzato Andreina Scognamiglio, sorella di Claudio, come membro della Commissione nazionale sulle grandi opere. Oltre a lei l’ex premier ha nominato nell’organismo il capo della protezione civile Fabrizio Curcio e Rosaria Giordano, una ex collaboratrice del suo staff a palazzo Chigi e, ça va sans dire, tra gli animatori della rivista. Questioni di opportunità ed etica pubblica, nonché guerre alle baronie universitarie, sono state per anni alla base della propaganda grillina. Ma a Conte si perdona tutto. Amici comuni sostengono che l’ex premier avesse promesso a Di Marzio nientemeno che il posto di segretario generale a palazzo Chigi, e che il neoprofessore sia rimasto dispiaciuto per aver avuto nel 2020, su nomina diretta del solito Bonafede, solo una poltrona (comunque prestigiosa) nel comitato direttivo della scuola superiore della magistratura. Una posizione per cui Di Marzio nel 2016 aveva già fatto domanda, ma che il Csm gli aveva negato. «Conte non mi ha mai promesso nulla. Certo, mi stima molto: sono certo che se avessi chiesto qualcosa, l’avrei ottenuta. Ma ho preferito fare il giudice e non entrare nell’amministrazione pubblica», ragiona il professore. Tornando a Centofanti, l’Espresso pubblicò qualche mese fa un video dove era in compagnia di Conte e Di Marzio a un vernissage. Il lobbista, che ha da poco patteggiato 1,6 anni di carcere per corruzione nell’inchiesta su Palamara, conferma di conoscere assai bene il presidente del movimento. «Ho frequentato Conte sia prima sia dopo avergli dato la consulenza in Acqua Marcia da 400mila euro. Per cinque anni lui e Di Marzio mi hanno fatto organizzare gli eventi della loro rivista. Loro non mettevano un euro: io guadagnavo solo se trovavo gli sponsor per i loro meeting. Una volta Conte mi ha anche chiesto di fare un convegno al Gran Hotel Plaza. All’inizio non capii perché. Solo dopo ho saputo che era l’albergo era del “suocero” di Conte». In effetti, una fattura ottenuta da Domani evidenzia che la società Cosmec di Centofanti ha sborsato al Plaza dei Palladino circa 8mila euro per l’affitto di una sala per un convegno di Giustizia Civile intitolato “Concisione e sobrietà negli atti giudiziari”. Era il 5 maggio 2017: Conte non si privò dell’aiuto dell’imprenditore nonostante il nome dello stesso fosse uscito un mese prima su tutti i giornali perché indagato e perquisito per corruzione nell’ambito dell’inchiesta che porterà i magistrati sulle tracce di Amara. La presenza di Di Marzio e Conte al vernissage del 2021 non è casuale: oltre alle riviste giuridiche e alle relazioni, la coppia di amici ha in comune la medesima passione per l’arte. Di Marzio, soprattutto, ha un debole per la pittura: artista a tempo perso, da anni organizza mostre personali grazie all’amico Matteo Smolizza, un gallerista che ha curato anche la pubblicazione del catalogo delle opere dell’ex magistrato di Cassazione (ma Di Marzio fu pure giudice fallimentare a Roma). Titolo: “Paradise”. Smolizza è titolare della casa d’aste Bonino, che – scopriamo – ha lavorato spesso insieme alla ex socia di studio di Di Marzio, la Ivone, anche lei nel comitato scientifico di Giustizia Civile. Come nel fallimento del gruppo Angelini. Ma anche nel concordato Acqua Marcia il mercante d’arte si è trovato consulente. Il suo compito è stato quello di mettere all’asta quadri e mobili degli hotel siciliani a cinque stelle un tempo gestiti da Bellavista Caltagirone e Centofanti. Il lobbista dice di non conoscere Matteo. Ma certamente conosce assai bene il di lui padre Aldo Smolizza, che fu consulente al personale di Acqua Marcia prima del crac. Smolizza senior fu infatti dirigente della Croce rossa, l’ente di volontariato in cui Centofanti iniziò la sua carriera. Domani ha scoperto che Aldo è stato condannato di recente dalla Corte dei Conti, insieme all’ex commissario della Croce Rossa Maurizio Scelli, a risarcire in solido un danno erariale da ben 900mila euro. Chi ha difeso in questi anni Smolizza nei vari procedimenti davanti ai magistrati contabili? Naturalmente Guido Alpa e Giuseppe Conte: per gli amici degli amici si fa questo e altro.
«Mi mostrarono un articolo: spiegava che Luca Di Donna era il fedelissimo di Conte». Giovanni Bianconi Sciacca su Il Corriere della Sera il 6 ottobre 2021. L’incontro con gli avvocati Luca Di Donna e Gianluca Esposito, Giovanni Buini lo ricorda bene. È lui il trentacinquenne imprenditore umbro autore della denuncia che ha fatto scattare l’inchiesta della Procura di Roma sui due legali e altri undici indagati per traffico di influenze illecite. «Non avrei mai immaginato che mi avrebbero chiesto dei soldi per l’intermediazione, quando è successo mi sono spaventato», racconta. E ricorda bene anche un altro particolare della prima riunione avvenuta un anno e mezzo fa, il 30 aprile 2020, nello studio dell’avvocato Esposito: «Mi hanno mostrato un articolo di giornale in cui c’era scritto che l’avvocato Di Donna era stato un collega di studio di Giuseppe Conte, e che era rimasto un “fedelissimo” dell’allora presidente del Consiglio». Quanto basta per far capire al giovane manager in cerca di contatti con la struttura commissariale dell’emergenza Covid che da quello studio si potevano aprire molte porte. «È una cosa che mi ha rattristato molto — dice ora Buini — perché l’amico che mi aveva indicato Esposito non aveva fatto cenno all’ipotesi che ci sarebbero state richieste economiche. E lui stesso, quando gliel’ho riferito, mi ha consigliato di lasciar perdere». Ieri l’ex premier ora a capo del Movimento Cinque Stelle, ha voluto ribadire di essere «assolutamente all’oscuro di eventuali fatti che sono oggetto di inchiesta». Ovviamente è possibile che gli indagati suoi conoscenti abbiano speso il nome di Conte a sua insaputa, e non solo quello. Una settimana dopo, il 5 maggio, Buini è stato invitato a un secondo incontro, nello studio legale di Guido Alpa che è stato il maestro sia di Di Donna che di Conte: «In questa storia di suggestioni ce ne sono molte — commenta — ed è palese che ci fosse qualcosa di significativo in alcuni particolari. Ma le conclusioni devono tirarle i magistrati, non io». Quella volta c’era anche un generale della Guardia di finanza: «Il nome non me lo ricordo, e ora non sono sicuro nemmeno che fosse della Finanza. Non so dire che significato avesse la sua presenza; io agli inquirenti ho voluto solo rappresentare i fatti, senza didascalie». Si tratta del generale Enrico Tedeschi, capo di gabinetto dell’Aise, il servizio segreto per la sicurezza esterna. Il 7 maggio 2020 Buini ha disdetto ogni accordo con Di Donna e Esposito, e per adesso la sua denuncia ha prodotto — assieme ad alcuni riscontri, alle intercettazioni e ai «pedinamenti elettronici» fatti attraverso l’analisi degli spostamenti dei telefonini — le perquisizioni che hanno parzialmente svelato gli elementi d’accusa nei confronti degli inquisiti. I reati contestati, oltre alla presunta associazione per delinquere finalizzata al traffico di influenze, sono tre episodi di ipotetiche tangenti pagate o promesse per intermediazioni che i pubblici ministeri considerano illegittime quando hanno «la propria causa, unica o assorbente, sulle relazioni personali — di amicizia, parentela, politica — possedute dal mediatore verso l’agente pubblico, idonea a rappresentare una sovra-rappresentazione illecita». È ciò che sarebbe accaduto con i due avvocati inquisiti. In un caso avrebbero ricevuto soldi per essere stati gli intermediari di forniture di tamponi molecolari acquistati dal commissario per l’emergenza Covid, Domenico Arcuri. Il quale ieri ha precisato che gli acquisti furono decisi dalle Regioni e non dalla sua struttura; nel caso specifico la Sicilia e il Lazio. Negli altri due episodi, invece, si contestano le promesse di compensi per operazioni non realizzate che coinvolgono il ministero per lo Sviluppo economico, dove Esposito ha lavorato per anni come direttore generale. Proprio lui, difeso dall’avvocato Mattia La Marra, avrebbe preteso dal gruppo industriale Barletta 60.000 euro iniziali, più un incarico al fratello architetto per almeno 300.000 euro e un successivo milione e mezzo in cambio di un finanziamento pubblico da 30-40 milioni di euro per la ristrutturazione di una struttura alberghiera di lusso a Maratea, in Basilicata. Di Donna invece, difeso dall’avvocato Mauro Capone, doveva diventare la «chiave di accesso remunerata» a dirigenti o funzionari pubblici utili a ottenere l’aggiudicazione di alcuni progetti di ricerca finanziati dal Mise. In una email si parla di «cominciare concretamente ad avviare un percorso di collaborazione ad assumere un mandato di consulenza». Illecitamente retribuita, secondo i magistrati.
Emiliano Fittipaldi e Giovanni Tizian per editorialedomani.it il 6 ottobre 2021. Indagato dalla procura di Roma per associazione a delinquere finalizzata al traffico di influenze illecite insieme ad altri due professionisti di fama, Gianluca Esposito e Valerio De Luca, l’avvocato che per anni ha lavorato con il presidente del M5s è di fatto accusato di aver speso il nome di alti funzionari pubblici (tra cui lo stesso Conte e Domenico Arcuri, ex commissario straordinario all’emergenza Covid, entrambi non iscritti nel registro degli indagati e dunque parti lese in quanto “trafficati”) per intermediare affari nell’ambito di forniture a enti statali. La settimana scorsa Domani aveva raccontato come, mentre Conte era a palazzo Chigi, l’ex socio di studio avesse spiccato il volo, chiudendo in pochi anni contratti a cinque zeri e riuscendo a diventare uno dei legali d’affari più quotati in città. Ora gli investigatori credono che alcune delle parcelle incassate da Di Donna siano il frutto di comportamenti illeciti: in pratica il professore ordinario alla Sapienza – il quarantenne è allievo, come Conte, di Guido Alpa – avrebbe ottenuto consulenze irregolari da aziende private interessate all’assegnazione di appalti pubblici. Di Donna, vantando influenze e amicizie verso alcuni pubblici ufficiali, si sarebbe fatto dare e promettere così denaro come prezzo della propria mediazione. Gli appalti finiti nel mirino degli investigatori riguarderebbero forniture (sanitarie e no) destinate alla struttura commissariale per l’emergenza Covid, al ministero dello Sviluppo economico e a Invitalia, agenzia nazionale per gli investimenti guidata ancora da Arcuri. Gli uffici dei tre enti statali non sono stati comunque oggetto, a oggi, di perquisizioni. Ai tre professionisti vengono contestate parcelle complessive per circa 7-800mila euro. Quelle sub judice incassate da Di Donna sono tre, per una somma complessiva di poco più di 100mila euro, mentre altre somme da 90mila e 60mila euro sarebbero state solo “promesse” per l’attività di intermediazione indebita, ma non incassate. Il professore, come ha spiegato Domani, è finito anche sotto la lente dell’ufficio antiriciclaggio della Banca d’Italia per alcuni bonifici arrivati dall’estero: tra questi quelli da una finanziaria bulgara, la BN Consult, di oltre 685mila euro, le consulenze con Raffaele Mincione da 95mila euro e quello con una società, ancora in Bulgaria, di 18.200 euro, la Ganchev Eood Eood. Consulenze – tutte fatturate – che sono solo una parte degli introiti del professore, che negli ultimi anni ha chiuso deal importanti. Che gli hanno anche permesso di comprarsi tre meravigliosi appartamenti allo stesso piano di uno dei più bei palazzi di Roma, di fronte a Castel Sant’Angelo: 374 metri quadri complessivi, per cui Di Donna ha speso oltre due milioni di euro. Le segnalazioni di operazioni sospette, su cui stanno comunque lavorando anche i pm romani, non sono state però l’innesco dell’inchiesta penale, come nulla c’entrano presunte dichiarazioni dell’ex collaboratore dell’Eni Piero Amara, citate qualche giorno fa da alcuni organi di stampa. In realtà lo scorso Natale un testimone chiave si è presentato autonomamente in procura rilasciando dichiarazioni su alcuni appalti gestiti dalla struttura commissariale, e dando così il via alle indagini. In principio i magistrati hanno ipotizzato anche il reato di corruzione, immaginando un possibile ruolo di dirigenti pubblici infedeli, ma con il proseguo delle investigazioni (ci sono centinaia di intercettazioni agli atti) la corruzione è stata riconfigurata e modificata in traffico di influenze illecite, ormai categoria autonoma nel diritto penale. Oltre a Di Donna è stato perquisito anche l’avvocato De Luca, considerato vicino all’allievo di Alpa, e l’avvocato Esposito: ex direttore generale del Mise (era stato anche responsabile per l’incentivazione delle attività imprenditoriali), Esposito è accusato di aver reso come professore universitario – è docente a Salerno – alcuni pareri pro veritate che sarebbero in realtà consulenze mascherate. Le accuse che dovranno essere provate, anche perché tutti gli indagati – che preferiscono non rilasciare dichiarazioni a Domani – sembrano essere sicuri che gli incarichi ottenuti da società e aziende private a caccia di appalti pubblici siano solo frutto di normali rapporti professionali. «L’avvocato Di Donna ha svolto semplicemente la propria attività di avvocato in totale trasparenza», spiegano fonti vicini al professore, certe che Di Donna potrà sciogliere ogni dubbio davanti ai pm e uscire indenne dallo tsunami giudiziario che lo ha coinvolto. L’indagine potrebbe però creare danni politici anche a Conte, seppur solo “trafficato” e del tutto estraneo all’indagine: amico intimo di Di Donna, i rapporti tra i due sono stati strettissimi per lustri, tanto che qualche settimana fa, secondo il Fatto Quotidiano, il nuovo capo politico dei grillini aveva immaginato di promuovere l’amico come direttore della nascitura scuola di formazione politica del movimento. Di Donna ha escluso con i suoi amici ogni impegno politico, spiegando che tutto quanto guadagnato negli ultimi anni deriva solo dal duro lavoro, e non dal rapporto con l’amico. Vicinissimo a Luigi Bisignani, l’avvocato è diventato anche un pezzo grosso della Sapienza (la rettrice Antonella Polimeni gli ha affidato di recente la responsabilità degli affari legali dell’ateneo), e ha avuto incarichi di rilevo da spa gestite dall'azionista pubblico, come la banca Mps o la società Condotte, guidata da tempo da commissari straordinari scelti dal Mise. Anche l’ex ministro Alfonso Bonafede, uomo di Conte, lo stima molto e lo ha nominato presidente della commissione di esami di avvocato a Roma. L’inchiesta è solo in una fase iniziale: vedremo se i rapporti, veri o millantati, con la politica e pubblici funzionari sono stati usati illecitamente da Di Donna oppure se riuscirà a spiegare le sue mosse e relative ricche parcelle ai pm, chiarendo che sono conseguenza esclusiva della sua attività professionale. Di certo per ora i sospetti sull’avvocato crea un certo imbarazzo al capo politico dei Cinque stelle ed ex premier.
Emiliano Fittipaldi E Giovanni Tizian per editorialedomani.it il 6 ottobre 2021. Nel decreto di sequestro si segnala anche un incontro tra uno dei testimone chiave dell’accusa, l’imprenditore Giovanni Buini, e lo stesso Di Donna. Appuntamento organizzato il 5 maggio 2020 «presso lo studio legale Alpa» in cui si doveva discutere dei dettagli dell’intermediazione dell’avvocato e del suo collega Gianluca Esposito, capaci a loro dire di garantire a Buini affidamenti diretti da parte della struttura commissariale al tempo guidata da Arcuri. «I due non avevano mancato di rimarcare la vicinanza di Di Donna con ambienti istituzionali governativi», scrivono i pm Fabrizio Tucci e Gennaro Varone riassumendo le dichiarazioni a verbale dell’imprenditore, che descrive un incontro preliminare avvenuto cinque giorni prima. Nell’ufficio Di Donna stavolta non è con Esposito, ma si fa trovare in compagnia di un generale della guardia di finanza. «Il quale aveva rappresentato al Di Donna la necessità per la struttura di reperire dispositivi di protezione individuale», si legge ancora nel decreto. Risulta a Domani che il generale in questione sia Enrico Tedeschi. Un finanziere che da lustri non lavora più tra le file delle fiamme gialle, ma nei servizi segreti. In particolare all’Aise, l’agenzia informazioni e sicurezza esterna guidata oggi da Giovanni Caravelli. Tedeschi è uno dei più alti in grado, essendo da anni capo di gabinetto a Forte Braschi. Tedeschi è stato sentito dalla procura di Roma come persona informata sui fatti e ha fatto relazione interna ai suoi capi, spiegando che agiva su mandato ufficiale per cercare disponibilità di mascherine. Non risulta essere tra gli indagati. È stato certamente compito dei nostri 007, durante la pandemia, monitorare le forniture sanitarie e proteggere la nostra sicurezza nazionale. Quello che risulta anomalo in questo caso è che Conte, a quel tempo presidente del Consiglio, aveva anche la delega ai servizi. Che ha preferito, caso più unico che raro nella storia repubblicana, mantenere l’incarico senza mai delegare la delicata autorità ad altri: Mario Draghi è tornato alla tradizione nominando capo della nostra intelligence il sottosegretario Franco Gabrielli. Sapevano all’Aise che Tedeschi aveva contatti con un fedelissimo di Conte come Di Donna? Qualcuno gli aveva ordinato di contattare proprio il professore allievo di Guido Alpa? Sapeva l’allora premier che gli uomini dell’intelligence, che a lui dovevano riferire, che erano andati a bussare alla porta dello studio di cui lui era stato importante socio fino a pochi mesi prima? Perché delle due l’una: o siamo di fronte a un conflitto d’interessi gigantesco oppure uomini dentro e fuori le istituzioni hanno approfittato della vicinanza (forse millantata) con l’avvocato del popolo per muoversi su crinali quantomeno inopportuni. L’affare tra Biella e Di Donna, comunque, non si è mai fatto. Il 30 aprile il professore ed Esposito si erano accreditati con Buini, titolare di società che producono mascherine e altre protezioni individuali, «accreditandosi come intermediari in grado di garantirgli» appalti da parte della struttura commissariale all’emergenza Covid. «In detta occasione avevano fatto sottoscrivere al Buini senza rilasciargliene copia un accordo per il riconoscimento in loro favore di somme di denaro, in percentuale sull’importo degli affidamenti» che avrebbero ottenuto dall’ente guidato allora da Arcuri. Due giorni dopo il secondo incontro con Di Donna e Tedeschi, però, Buini cambia idea: le «modalità opache della proposta di mediazione» lo convincono a recedere dall’accordo fatto con l’avvocato e il presunto sodale. Quando l’affare salta, però, arriva un’altra cattiva notizia all’imprenditore: l’ente governativo di Arcuri con cui aveva già chiuso un contratto decide di sospendere i rapporti con lui. Secondo i pm della Capitale «in singolare coincidenza con l’interruzione dei rapporti tra Di Donna ed Esposito il Buini aveva ricevuto una email del Fabbrocini (Antonio, stretto collaboratore di Arcuri, ndr) con la quale la struttura commissariale gli comunicava il mancato perfezionamento del contratto di fornitura di ulteriori quantitativi di mascherine e, addirittura, la restituzione “per sopravvenute mutate esigenze della struttura commissariale” delle 500mila mascherine precedentemente già consegnate». I pm non ipotizzano vendette trasversali contro l’imprenditore, ma parlano solo di «curiose casualità». Certamente l’analisi dei tabulati di Esposito e Di Donna hanno evidenziato «contatti plurimi o frequentissimi» tra i due avvocati indagati e l’ex commissario Arcuri. Anche qui: possibile che l’allora potentissimi braccio destro di Conte non sapesse che Di Donna era un fedelissimo del premier? Secondo i magistrati no: il nome di Arcuri sarebbe stato “usato” dal professore amico dell’ex premier a insaputa del civil servant promosso sempre da Conte. Per la cronaca, Arcuri è ancora a capo di Invitalia e Di Donna – volatilizzatosi il business con le mascherine di Buini – ne ha però chiusi altri con forniture diverse come test molecolari della società Adaltis, di cui sono indagati alcuni dirigenti. Secondo l’accusa, sempre trafficando influenze con alti funzionari pubblici della struttura commissariale di Arcuri.
Giacomo Amadori per “La Verità” il 6 ottobre 2021. L'ex commissario all'emergenza Domenico Arcuri è più «trafficato» del Grande raccordo anulare nelle ore di punta. Dopo la vicenda della maxi commessa da 1,2 miliardi di euro di mascherine cinesi fornite da Mario Benotti & c., adesso è il turno di altri soggetti privati che attraverso tre legali e un imprenditore, avrebbero avvicinato illecitamente uomini chiave della struttura commissariale, del Ministero dello sviluppo economico e di Invitalia per vendere attrezzature mediche e ottenere finanziamenti. Figura centrale dell'inchiesta della Procura di Roma è un amico ed ex collega nello studio Alpa di Giuseppe Conte. Si tratta dell'avvocato Luca Di Donna, indagato per traffico di influenze illecite come anticipato nei giorni scorsi da Verità e Panorama. Nel decreto di perquisizione consegnato ieri a tredici indagati (la maggior parte imprenditori) si leggono i reati contestati. Di Donna, il collega Gianluca Esposito, e l'imprenditore Pierpaolo Abet, cinquantenne romano, sono accusati di associazione per delinquere finalizzata al compimento di «più delitti contro la pubblica amministrazione». I tre avrebbero sfruttato e messo «a disposizione reciproca le relazioni di ciascuno di loro con soggetti incardinati ai vertici di istituzioni pubbliche e stazioni appaltanti»; ripartito tra di loro i proventi ricevuti e giustificato le movimentazioni tra di loro con mandati di collaborazione professionale. In particolare «si associavano allo scopo di ricevere utilità da soggetti privati interessati ad affidamenti o finanziamenti o appalti» pubblici per gli interventi effettuati «presso i pubblici ufficiali», ma anche per «remunerare i pubblici ufficiali che mettevano a disposizione le loro funzioni in favore della segnalazione ricevuta». Quest' ultimo passaggio fa intuire che l'ipotesi di corruzione, già anticipata dalla Verità, resti sullo sfondo, anche se nel decreto di perquisizione non compare tra le contestazioni. Gli avvocati Di Donna ed Esposito insieme a Valerio De Luca, altro cinquantenne romano, e cinque tra imprenditori e manager della Adaltis e di una società collegata sono, invece, accusati di traffico di influenze illecite. Cioè di «raccomandazioni» a pagamento. Anche in questo caso gli avvocati avrebbero messo a disposizione «relazioni personali» con pubblici ufficiali della struttura commissariale («tra i quali il commissario Arcuri e il dottor Ventriglia», Rinaldo, colonnello dei Carabinieri in pensione, già «advisor alla logistica» della struttura) per far ottenere alla Adaltis commesse per la fornitura di test molecolari. Gli indagati, grazie alla «mediazione illecita», avrebbero incassato denaro «al di fuori di un ruolo professionale/istituzionale». Nel giugno '20 la Adaltis ha ottenuto l'affidamento di una fornitura di 100.000 test per un importo di 800.000 euro. In cambio i tre avvocati hanno percepito, secondo l'accusa, 65.500 euro. Nel dicembre la Adaltis ha ricevuto un secondo affidamento da 2,55 milioni di euro e i legali si sono assicurati tre pagamenti da 90.000 euro ciascuno. Non basta. Di Donna, De Luca e Abet (gli ultimi due presidenti e ad di Universal Trust) sfruttando i rapporti del primo presso Invitalia «che agiva per conto del Mise» si sarebbero fatti promettere consulenze da clienti privati «interessati a ottenere il finanziamento di alcuni progetti [] in fase di valutazione da parte di Invitalia per conto del Mise». Agli atti c'è anche un altro episodio di traffico di influenze illecite e coinvolge il gruppo Barletta. Questa volta il protagonista sarebbe Esposito che avrebbe utilizzato le sue conoscenze in Invitalia e al Mise, dove in passato «aveva ricoperto incarichi dirigenziali». Il legale si sarebbe fatto promettere una ricca consulenza (60.000 euro all'atto della firma e 300.000 sotto forma di incarico progettuale per il fratello architetto) per far ottenere al gruppo un finanziamento da 30/40 milioni di euro per la ristrutturazione dell'hotel Santavenere di Maratea. L'inchiesta nasce dalla denuncia dell'imprenditore G. B., titolare di società produttrici di dispositivi di protezione individuale. Tra fine marzo e aprile 2020, effettua una prima fornitura con la struttura commissariale. Il suo intento è continuare la collaborazione e allora un amico lo mette in contatto con Di Donna ed Esposito, presentati «quali soggetti in grado di assicurargli entrature presso la struttura commissariale». In effetti i due, in un incontro del 30 aprile 2020, si accreditano come tali. In questa occasione la coppia di avvocati fa «sottoscrivere a G. B., senza rilasciargliene copia, un accordo per il riconoscimento in loro favore di somme di denaro, in percentuale sull'importo degli affidamenti». Durante il colloquio i due non mancano «di rimarcare la vicinanza di Di Donna con ambienti istituzionali governativi». In pratica la sua amicizia con l'allora premier Conte. A questo punto per G. B. la situazione inizia a diventare sospetta: il 5 maggio 2020 «presso lo studio Alpa Di Donna si era fatto trovare in compagnia di un generale della Guardia di finanza», il quale avrebbe rappresentato la necessità, da parte della struttura, di reperire mascherine. Di fronte a queste «modalità opache», l'imprenditore, due giorni dopo, recede formalmente dall'accordo concluso con Di Donna ed Esposito. E che cosa succede? «In singolare concomitanza con l'interruzione dei rapporti» con i due avvocati G. B. avrebbe «ricevuto una mail da parte di Antonio Fabbrocini (responsabile unico del procedimento, ndr) con la quale la struttura commissariale gli comunicava il mancato perfezionamento del contratto di fornitura di ulteriori quantitativi di mascherine e addirittura la restituzione per sopravvenute mutate esigenze della struttura commissariale delle 500.000 mascherine precedentemente già consegnate». Una coincidenza davvero inquietante.I carabinieri del Nucleo investigativo di Roma hanno trovato diversi riscontri alle dichiarazioni di G. B. e anche un altro imprenditore, titolare di una società informatica, ha raccontato di essere stato contattato dai due avvocati che gli avrebbero proposto «di entrare a far parte di un progetto, finanziato con soldi pubblici, per la realizzazione di un polo strategico per la salute in Calabria e per altri progetti» in cambio del «riconoscimento in loro favore di una percentuale pari al 5%o dell'importo complessivo delle operazioni». Gli investigatori dell'Arma, durante le indagini, hanno verificato «l'inserimento di fatto di Di Donna e di Esposito all'interno della struttura di comando gerente gli affidamenti per l'emergenza Covid e la loro concreta possibilità di garantire ai privati affidamenti diretti e forniture dietro il riconoscimento di compensi per l'attività di intermediazione». E i legali contrabbandavano con i privati questo loro accreditamento presso la struttura e il Mise come «necessario passe-partout» per l'ottenimento di nuove commesse. I tabulati telefonici hanno evidenziato «contatti frequentissimi tra Esposito e il commissario Arcuri» e «plurimi contatti tra Di Donna e Arcuri», oltre che di entrambi con «utenze intestate a Invitalia». Anche in questa indagine la prima ipotesi di reato è stata la corruzione (grazie a cui è stato possibile effettuare le intercettazioni), anche se successivamente, come nel caso di Benotti & C., la Procura, non avendo (ancora) rintracciato le presunte tangenti ai pubblici ufficiali, ha riqualificato il reato in traffico di influenze. Certo, di fronte a questo quadro probatorio, risulta difficile credere che da questa inchiesta non usciranno altre sorprese.
(AGI il 6 ottobre 2021) "Non voglio entrare nel merito dell'inchiesta sull'avvocato Di Donna, ex socio di Giuseppe Conte. E' lavoro della magistratura. Ma che emergano legati al suo nome episodi di forniture, sanitarie e non, durante l'emergenza Covid (proprio quando Conte era a capo del governo) fa capire - se ce ne fosse bisogno - quanto sia urgente una Commissione parlamentare d'inchiesta che faccia luce su come siano stati spesi i soldi, tanti, degli italiani durante la pandemia". Così in un post su Facebook il presidente di Italia viva Ettore Rosato.
Giuliano Foschini e Andrea Ossino per “la Repubblica” il 7 ottobre 2021. «A quello gli è cambiata la vita. Ti devi mettere nei suoi panni, "in the shoes" come si dice in America. Quelli si sono trovati dal giorno alla notte quell'altro sfigato a fare il fenomeno». «E ora stanno a sfruttare la situazione!». In questa conversazione, intercettata dai carabinieri del reparto operativo di Roma, c'è tutta la storia di un importante professore e avvocato romano - Luca Di Donna - e di un suo amico già dirigente pubblico (per anni al Mise), Gianluca Esposito che, all'improvviso sono diventati i «signori del 5 per cento». Tanto pretendevano dagli imprenditori che chiedevano la loro consulenza, «in modo da sfruttare le loro relazioni personali con pubblici ufficiali». L'allora commissario per l'emergenza Covid Domenico Arcuri, per esempio, dirigenti di Invitalia e del Mise, e quella «terza persona affermata», come viene definito negli atti, che è l'allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Non è un mistero, infatti, che Di Donna fosse amico dell'ex premier Conte. O, meglio, compagno di studio quando entrambi lavoravano con il professor Guido Alpa. «In passato lo frequentavo, ma da quando sono diventato premier non l'ho più visto» dice però Conte. Di Donna è indagato per associazione a delinquere finalizzata al traffico di influenze illecite. E per questo ieri è stato perquisito su ordine dei sostituti Gennaro Varone e Fabrizio Tucci, in un'indagine (13 gli indagati) coordinata dal procuratore aggiunto Paolo Ielo e dal Capo, Michele Prestipino. Di Donna, dunque, trafficava spendendo il nome degli alti dirigenti. E verosimilmente anche del premier. Ma lo faceva, per lo meno questo ha ricostruito la Procura, a loro insaputa. L'indagine nasce per corruzione, per poi essere derubricata in traffico di influenze perché non c'è prova che i contratti oggetto dell'inchiesta vengano chiusi grazie all'intermediazione dei due. L'inchiesta parte con la denuncia di un imprenditore, Giovanni Buini, «a cui era stata revocata» si legge negli atti, «dalla struttura commissariale una commessa per la fornitura di mascherine chirurgiche». A Buini, per risolvere il problema, vengono indicati Esposito e Di Donna. Che l'imprenditore incontra il 30 aprile 2020 «quali intermediari - scrivono i pm nel decreto di perquisizione - in grado di garantire affidamenti diretti da parte della struttura. In quell'occasione, i due avevano fatto sottoscrivere al Buini un accordo per il riconoscimento in loro favore di somme di denaro. I due non avevano mancato di rimarcare la vicinanza di Di Donna - scrivono ancora i pm - con ambienti istituzionali governativi». «In un secondo incontro - si legge ancora negli atti - Di Donna si era fatto trovare presso lo studio Alpa in compagnia di un generale della Finanza». La storia finisce però male perché, come ricostruiscono i pm, Arcuri revoca l'appalto all'imprenditore. Ma quello che interessa agli investigatori è il metodo: un altro imprenditore ha raccontato di essere stato contattato da Di Donna e Esposito «per entrare a far parte di un progetto, finanziato con soldi pubblici, per la realizzazione di un polo per la salute in Calabria». In cambio, come da contratto, il 5% delle operazioni. Il punto ora è capire quanto millantassero o se davvero, come racconta uno degli imprenditori, fossero «un asso da calare» nel rapporto con le istituzioni. È vero che il contratto delle mascherine finisce male, ma è anche vero che i carabinieri annotano molti contatti tra Arcuri ed Esposito (che però era stato un importante dirigente Mise) e Di Donna. Agli atti c'è poi la storia di una procedura negoziata d'urgenza, senza bando, per l'acquisto di tamponi molecolari. Poco più di tre milioni di euro finiscono a una società - Adaltis - che aveva un contratto di consulenza con i due. Che hanno incassato circa 400mila euro per l'intermediazione. «I bonifici - scrive la Procura nel decreto - al momento non trovano lecita spiegazione: l'interessamento e l'offerta dei propri servizi e delle proprie entrature per l'affidamento da parte del Commissario. Non si giustifica lecitamente anche in ragione del fatto che non si ravvisa alcuna necessità di consulenze offerte dai legali che peraltro non risultano avere alcun rapporto formale con la struttura del Commissario». Con Esposito e Di Donna si muoveva anche un terzo avvocato, Valerio De Luca. Che non andava per il sottile. «Mi ha detto - dice un imprenditore a cui avevano offerto consulenza - che il livello con cui si relazionano è talmente elevato che non deve aspettarsi un contratto molto economico». «De Luca sosteneva - annota la Procura - che Di Donna avesse acquisito potere e ha potuto condurre gli interventi che hanno portato un arricchimento per tutti i sodali, dopo che una terza persona si è affermata» da un punto di vista politico. «Da quel momento tutte le porte della pubblica amministrazione si sono aperte per loro».
Così il legale indagato tramava per Conte. Lodovica Bulian il 7 Ottobre 2021 su Il Giornale. Il senatore Saccone (Udc): "Telefonate per conto di Di Donna nei giorni della caduta dell'esecutivo". Spuntano contatti tra l'avvocato e Arcuri per un appalto da 800mila euro. Fari anche su un progetto in Calabria. «In passato lo frequentavo, ma da quando sono diventato premier non l'ho frequentato più. Non so nulla della sua successiva attività professionale». Dopo l'arrivo a Palazzo Chigi Giuseppe Conte dice di non aver avuto più alcun rapporto con l'amico avvocato Luca Di Donna (nel tondo), oggi indagato con altre 12 persone dalla Procura di Roma per associazione a delinquere finalizzata al traffico di influenze illecite. Di certo però dopo l'ascesa del premier - con cui Di Donna condivide lo stretto legame con Guido Alpa, vero mentore di Conte - le «parcelle» del 42enne avvocato d'affari della Capitale sono state consistenti. Secondo i pm con gli avvocati Giancarlo Esposito e Valerio De Luca, avrebbe sfruttato «relazioni con soggetti incardinati ai vertici di istituzioni pubbliche e strutture appaltanti» proponendosi ad aziende private come il passepartout necessario per poter accedere agli affari con lo Stato, dalla struttura dell'ex commissario Domenico Arcuri, a Invitalia, fino al ministero dello Sviluppo economico. Fin qui l'inchiesta. Ma per capire quanto Di Donna sarebbe stato addentro i palazzi del potere, oggi fonti qualificate ricordano che il suo nome sarebbe arrivato fino in Parlamento, nei giorni cruciali della crisi di governo del Conte 2, quando la caccia a possibili responsabili per salvare l'esecutivo dell'avvocato del popolo era febbrile: «Arrivavano chiamate da qualsiasi mondo». E almeno due senatori si sarebbero trovati dall'altro capo del telefono degli intermediari in cerca di «costruttori», che avrebbero dichiarato di agire proprio per conto di Di Donna. Uno dei due, Antonio Saccone, Udc, oggi conferma al Giornale: «Non mi ha chiamato direttamente ma attraverso dei miei amici, che a suo nome (quello di Di Donna, ndr), mi hanno chiesto di dare una mano a Conte».
Nell'aprile del 2019 Conte e Di Donna si trovavano entrambi in Cina, il primo a Pechino per celebrare l'intesa Italia-Cina sulla Belt and Road Initiative, la nuova via della Seta tanto cara al M5s, il secondo a Wuan, per l'inaugurazione dell'Istituto Italo-Cinese con l'Università Sapienza, per cui l'avvocato, che è anche professore di Diritto privato europeo nello stesso ateneo, era titolare della cattedra. Conte ha smentito seccamente ricostruzioni secondo cui Di Donna avrebbe collaborato alla stesura del nuovo Statuto del M5s, e che sarebbe stato tra i nomi individuati per la scuola di formazione politica del Movimento. L'ex premier, così come Arcuri, sono estranei all'inchiesta. In una delle intercettazioni citate nel decreto di perquisizione, gli interlocutori spiegano però che «Di Donna ha acquisito potere e ha potuto condurre gli interventi che hanno portato un arricchimento economico per tutti i sodali, dopo che una terza persona si è affermata (s'intende verosimilmente sotto il profilo politico). Da quel momento le porte della Pubblica amministrazione si sono aperte per loro, e le hanno sfruttate a pieno». Gli intercettati parlano di Di Donna come di un nome in grado di aprire le porte agli affari con la pa, secondo l'accusa. Dagli appalti Covid a progetti di investimento finanziati dallo Stato. Uno degli obiettivi sarebbe stato far ottenere all'azienda Adaltis commesse per la fornitura di test molecolari dalla struttura di Arcuri. Nel giugno 2020 la Adaltis sigla un contratto per 800mila euro di pezzi, che si sarebbe però definito il 14 maggio: e tra il 5 e il 15 maggio, annotano gli inquirenti, risultano contatti diretti tra Di Donna e Arcuri. A dicembre la stessa azienda ha ottenuto un'altra fornitura da 2,5 milioni di euro. Non solo appalti Covid, per cui ora da Italia Viva Ettore Rosato chiede una commissione d'inchiesta sulle forniture. Un altro imprenditore, titolare di una società informatica, sarebbe stato contattato da Di Donna ed Esposito per un progetto, finanziato con soldi pubblici, in Calabria in cambio di una percentuale pari al 5%. Lodovica Bulian
Luca Di Donna e l’affare mascherine: perché nel suo studio c’era il generale dei servizi segreti Enrico Tedeschi? Giovanni Bianconi su Il Corriere della Sera l’8 Ottobre 2021. Il generale Enrico Tedeschi, capo di gabinetto dell’Aise, era nello studio dell’avvocato Luca Di Donna, indagato per l’affare mascherine. Perché? «Ero lì per valutare i prezzi», risponde lui. L’imprenditore Giovanni Buini: «Mai parlato di vendite». Perché c’era un generale dei servizi segreti al fianco dell’avvocato Luca Di Donna, mentre il legale cercava di concordare la propria intermediazione (retribuita) per forniture di mascherine nel pieno dell’emergenza Covid? L’indagine della Procura di Roma in cui Di Donna è indagato per associazione a delinquere e traffico d’influenze illecite passa anche da questa domanda, giacché la risposta arrivata finora potrebbe non essere del tutto convincente. Il generale in questione è Enrico Tedeschi, capo di gabinetto dell’Aise, l’Agenzia per la sicurezza esterna, entrato nell’ex Sismi (gli 007 militari) quando a dirigerlo era Nicolò Pollari, proveniente dalla Guardia di finanza. Come Tedeschi, che ha salito i gradini fino ad assumere un ruolo centrale nella gestione del Servizio. Ma forse in cerca di altri traguardi. Il 5 maggio 2020 si trovava nello studio di Di Donna (lo stesso del professor Guido Alpa, maestro dell’avvocato finito sotto inchiesta e di Giuseppe Conte, in quel momento presidente del Consiglio) in compagnia di un altro dirigente dell’Agenzia.
L’incontro. Poco dopo arrivò l’imprenditore umbro Giovanni Buini, fornitore di mascherine in cerca di contatti per ottenere commesse dal commissario per l’emergenza Domenico Arcuri. «L’avvocato mi aveva invitato con un messaggio telefonico — ricorda Buini —. Il generale mi fu presentato, senza precisare che era dei Servizi». Nella testimonianza ai magistrati, Tedeschi avrebbe riferito che era suo compito recuperare i dispositivi di protezione per l’Aise, e di essere andato da Di Donna sapendo che lì un’azienda avrebbe presentato la propria offerta; ma valutato troppo altro il prezzo richiesto, disse che non era interessato. Buini fornisce però un’altra versione: «Di Donna spiegò che ero impegnato in quel settore, il generale commentò che era un periodo in cui molti avevano difficoltà a reperire le mascherine, ma mai parlammo della possibilità che io le vendessi alla sua struttura. Nella maniera più assoluta». Resterebbe comunque un’anomalia che per cercare mascherine — incarico che effettivamente ha svolto durante l’emergenza — Tedeschi si sia rivolto a Di Donna, che ufficialmente non aveva alcun ruolo nel settore; tant’è che la sua mediazione retribuita è ora considerata un reato dagli inquirenti. E comunque c’era il commissario di governo a cui chiedere, che ha rifornito il Dipartimento per le informazioni e la sicurezza ad ogni richiesta. Ciò non significa che le singole Agenzie non potessero muoversi autonomamente, ma resta il fatto che — secondo Buini — all’incontro nello studio Alpa-Di Donna non ci fu alcuna proposta.
La sensazione. «Io penso che il generale fosse lì affinché l’avvocato ottenesse ulteriore credito ai miei occhi», dice ora il giovane imprenditore. Nel precedente incontro avvenuto nello studio dell’avvocato Gianluca Esposito (anche lui indagato per gli stessi reati), i due legali avevano fatto capire a Buini che Di Donna era «un fedelissimo» del premier Conte, e la presenza di un generale sarebbe potuta servire ad aumentare le referenze di quell’avvocato. Ma dopo la richiesta di soldi, Buini aveva già deciso di rinunciare alla sua mediazione: «Ero andato lì per dirglielo, non l’ho fatto proprio perché c’erano altre persone. Me ne sono andato e il generale è rimasto lì. Poco dopo ho mandato la mail di disdetta dell’accordo». A maggio 2020 il governo doveva nominare i nuovi vice-direttori delle Agenzie di sicurezza, e Tedeschi era uno degli aspiranti; è possibile che, secondo una prassi molto comune, cercasse in Di Donna uno sponsor presso Conte. Fosse così, e fossero vere le sensazioni di Buini, l’avvocato cercato da Tedeschi per caldeggiare la propria nomina avrebbe poi sfruttato la presenza del generale per favorire l’accordo con l’imprenditore che vendeva mascherine. Una scalata interna ai Servizi che s’intreccia con gli affari privati di un professionista. Al quale sfuggì il contratto sulle mascherine, ma che — secondo l’accusa della Procura — grazie all’emergenza Covid avrebbe guadagnato e spartito con gli altri due avvocati indagati almeno 400.000 euro da un paio di commesse di tamponi molecolari.
Giacomo Amadori per “La Verità” il 7 ottobre 2021. Al momento è la vera vittima dell'inchiesta sull'avvocato Luca Di Donna, amico ed ex collega del premier Giuseppe Conte. Per la Procura di Roma il procedimento sarebbe «scaturito» dalla sua «presentazione spontanea» a piazzale Clodio. «In realtà sono stato convocato. Io non ho fatto nessuna denuncia, nemmeno un esposto. Sono stato chiamato per rendere talune informazioni che ho prontamente fornito: immagino che quella questione fosse già nota agli inquirenti. Magari ero stato intercettato». Inizia così il colloquio con l'imprenditore Giovanni Buini, trentacinquenne originario di Assisi, profondamente provato dalle disavventure che lo hanno travolto nell'ultimo anno. «Mi creda, però, che l'importanza di questa cosa l'ho capita al punto di andare a raccontare tutto, senza trattenermi niente. Sono rimasto schifato e ho fatto tutto quanto il possibile per la collettività». Prima di continuare, però, ricordiamo i fatti. Davvero clamorosi. Dopo che nell'aprile del 2020, con la sua Ares Safety Srl, Buini aveva fornito un milione di mascherine alla struttura commissariale al prezzo di 0,42 euro al pezzo (totale 420.000 euro), mentre è in trattativa per ulteriori forniture, entra in contatto con gli avvocati Esposito e Di Donna, indicatigli dall'amico Mattia Fella quali facilitatori con la struttura commissariale. I legali, come abbiamo raccontato ieri, prima gli fanno firmare un accordo per il riconoscimento di somme di denaro e poi lo convocano nello studio Alpa (dove aveva lavorato anche Conte), non senza aver rimarcato «la vicinanza di Di Donna con ambienti istituzionali governativi». All'appuntamento Di Donna avrebbe fatto trovare a Buini anche un generale della Guardia di finanza (che sarebbe transitato nei servizi segreti) che avrebbe evidenziato la necessità di mascherine per la struttura. A questo punto «le modalità opache» della proposta di mediazione convincono Buini a recedere dall'accordo già sottoscritto. Risultato? «In singolare concomitanza con l'interruzione dei rapporti» con i due avvocati, si legge nel decreto di perquisizione, Buini avrebbe «ricevuto una mail da parte di Antonio Fabbrocini (responsabile unico del procedimento, ndr) con la quale la struttura commissariale gli comunicava il mancato perfezionamento del contratto di fornitura di ulteriori quantitativi di mascherine e addirittura la restituzione per sopravvenute mutate esigenze della struttura commissariale delle 500.000 mascherine precedentemente già consegnate». Buini, imprenditore nel settore dell'abbigliamento e dei dispositivi di protezione, nonché importatore dalla Cina, aveva iniziato il business inviando a Invitalia una mail, in cui informava la struttura di avere un milione di mascherine a disposizione. «Ci ricontattarono per chiederci se davvero avessimo disponibilità immediata e gliele abbiamo messe a disposizione a un prezzo ben più basso di quello che ci avrebbe riconosciuto il mercato. Che in quel momento pagava anche 0,6, 0,7 centesimi». Di Donna ed Esposito quando intervengono? «Quando stava per essere formalizzato il secondo contratto». Un accordo da due milioni di mascherine. La settimana successiva Buini ne avrebbe dovuto fornire altri 5 e ulteriori 10 milioni ogni sette giorni per tre mesi. Quasi 170 milioni di dispositivi in tutto che avrebbero dovuto portare nelle tasche di Buini circa 70 milioni di euro. «Se avessi accettato le condizioni di Di Donna ed Esposito sarei ricco, ma sono orgoglioso di quel che ho fatto. Gli imprenditori come me non dovrebbero sottostare a certe logiche, questi poteri andrebbero disinnescati». Ovviamente Buini non immaginava che annullando il contratto con i due avvocati avrebbe perso milioni: «Il contratto più grande, quello da 160 milioni non lo avevo ancora firmato, lo avevo solo concordato. Lo avrei siglato da lì a qualche giorno. Ma poi la struttura commissariale non ha più risposto alle mie telefonate, né alle mail, né su Whatsapp. Da quando ho mandato quella Pec sono stato completamente ignorato». Qualcuno le avrà detto qualcosa? «Quando hanno disdetto la fornitura ho chiesto spiegazioni via mail e il responsabile dei contratti, Antonio Fabbrocini, mi ha risposto che "per mutate sopravvenute esigenze della struttura commissariale" non sarebbe stato possibile procedere a nessun tipo di contratto. Questa mail i pm ce l'hanno. Credo che sia uno dei documenti caldi dell'inchiesta. Anche perché dopo hanno comprato milioni di chirurgiche a un prezzo maggiore del mio». Il riferimento neppure troppo velato è alla fornitura da 800 milioni di pezzi da parte di Mario Benotti & c.. Buini ripensa a quanto gli sia successo: «Mi avevano coinvolto in una video conferenza con tutte le organizzazioni dei farmacisti. Il generale Rinaldo Ventriglia, l'uomo che si occupava della logistica nella struttura commissariale, mi pregò di fare partire il carico delle 500.000 mascherine alla sera alle sei anziché la mattina dopo perché sarebbe stato troppo tardi. Poi quelle stesse mascherine, pochi giorni dopo, me le ha rispedite indietro. Sono rimasto esterrefatto. All'epoca eravamo in pienissima pandemia e quei signori con quelle facce scure la sera venivano a darci il numero dei morti». Gli chiediamo se ricordi il nome del generale della Guardia di finanza che avrebbe incontrato nello studio Alpa. Risposta: «Non me lo ricordo e poi ho paura di dire cose coperte da segreto». Era in divisa? «No. I militari, che erano due, avevano la faccia pulita e perbene. Ho avuto l'impressione che fossero lì per avvalorare la figura di quella persona e che, magari, Di Donna mi avesse fatto capitare appositamente nell'orario in cui attendeva quei signori». L'incontro è avvenuto nello studio Alpa o in quello Di Donna? «No era lo studio Alpa, anche se non ho incontrato il professore. Mi sembra di ricordare che ci fosse anche una foto dell'avvocato Alpa con il Papa». Chiediamo a Buini se qualcuno gli abbia fatto riferimenti a Conte. «Di lui mi ha parlato l'avvocato Esposito. Mi ha anche fatto vedere un articolo su Internet in cui Di Donna era indicato come uno dei fedelissimi di Conte, di cui era il braccio destro». Di Donna le ha fatto gli stessi discorsi? «No». Buini ha incontrato la coppia di legali due volte, una nello studio Esposito, l'altra nello studio Alpa. Poi li ha cercati inutilmente per un paio di settimane per disdire l'accordo. Ma non essendoci riuscito ha deciso di inviare una pec. Dopo la quale sono iniziati tutti i suoi guai. Visto che insistiamo con le domande, Buini ci stoppa: «Quando sono andato a deporre ho detto tutto. Non mi sono tenuto nulla. Ma ho anche avuto tristi conseguenze dopo questa vicenda». Non sappiamo se il riferimento sia ad alcune inchieste di cui i giornali hanno dato notizia e in cui Buini risulta indagato per diversi reati. Le notizie di stampa sono uscite nel 2021, dopo la sua deposizione a Roma: «Non voglio fare collegamenti, potrebbero essere suggestioni, ma per me è stato un anno molto pesante. Le confermo che quando il mio nome è finito sui media avevo già parlato con la Procura di Roma». Un ultimo interrogativo: Buini ha mai incontrato l'ex commissario Domenico Arcuri? «No. E non gli ho mai nemmeno parlato».
Giacomo Amadori per "la Verità" l'8 ottobre 2021. Mercoledì 29 settembre Panorama nel servizio di copertina sull'inchiesta per traffico di influenze nei confronti di Luca Di Donna, «l'uomo che inguaia Conte», ha anticipato che l'avvocato vicino all'ex premier aveva «una rubrica con contatti di altissimo livello, anche nel mondo dell'intelligence». Per esempio il legale amico di Conte era certamente in rapporti con il capo di gabinetto dell'Aise Enrico Tedeschi, generale della Finanza, entrato nel vecchio Sismi nel 2002 al seguito dell'allora direttore Niccolò Pollari. E a Forte Braschi è considerato l'ultimo pollariano rimasto, dopo il pensionamento di Marco Mancini, suo vecchio amico, mandato in pensione dopo (cronologicamente parlando) le polemiche sul suo incontro con Matteo Renzi in un autogrill. Tedeschi, 56 anni, era considerato vicino anche al vecchio capo del Dis Gennaro Vecchione, molto legato all'ex premier Conte. Al generale è attribuita la frequentazione di Gianni Letta, avezzanese come lui, di Massimo D'Alema (Pollari e i pollariani erano noti frequentatori dell'inner circle dell'ex premier pugliese) e dell'imprenditore Giancarlo Elia Valori. Come capo di gabinetto, in piena pandemia, era autorizzato a cercare mascherine (anche perché il capo di gabinetto ha anche compiti logistici), ma non a rivolgersi a Di Donna per reperirle. Il 5 maggio 2020 il legale indagato convoca nello studio Alpa l'imprenditore perugino Giovanni Buini che ha già fornito alla struttura commissariale guidata da Domenico Arcuri un milione di mascherine e che è stato convinto ad affidare a Di Donna una consulenza per ottenere ulteriori commesse. Quel giorno nell'ufficio ci sono anche Tedeschi e un altro 007. Il capo di gabinetto si presenta nello studio Alpa in un periodo di interregno: proprio in quei giorni il direttore dell'Aise Luciano Carta stava lasciando l'incarico e stava passando il testimone a Giovanni Caravelli che viene nominato il 13 maggio. Fonti della Verità assicurano che in quel periodo Tedeschi era a caccia di sponsor per la nomina a vicedirettore. Ma Buini anziché rimanere colpito dalla presenza degli uomini dei servizi segreti all'incontro, si spaventa e il 7 maggio invia una pec per disdire l'accordo con Di Donna e con il collega Gianluca Esposito. L'11 maggio riceve una mail dalla struttura commissariale che gli comunica il mancato perfezionamento del contratto per ulteriori forniture. Da quel momento perde ogni commessa. Il 26 dicembre 2020 Buini riferisce tutto alla Procura di Roma e il 30 dicembre Tedeschi viene convocato per rendere la sua versione. Ma qual è stato il ruolo dei servizi nell'approvvigionamento di mascherine e negli affari dei faccendieri che hanno ruotato intorno a quelle forniture? Conte all'epoca ha la delega ai nostri 007 e il 7 maggio 2020, il giorno in cui Buini annulla l'accordo con Di Donna, Mario Benotti, un altro personaggio accusato di traffico di influenze per un appalto da 1,2 miliardi di euro di mascherine, incontra il commissario Domenico Arcuri. Secondo Benotti, Arcuri lo avrebbe incontrato per spiegargli la necessità di interrompere i rapporti con lui perché «c'era una difficoltà, a Palazzo Chigi lo avevano informato che c'era un'indagine su tutta questa situazione, forse dei servizi []». Di nuovo gli 007. Si tratta di una coincidenza? Non è facile crederlo.
Fabio Amendolara per “La Verità” il 7 ottobre 2021. Prima lo screening per individuare le aziende con cui puntare ai bandi, poi i primi contatti per illustrare gli obiettivi, ovvero intercettare finanziamenti pubblici a gogo, e, infine, il contratto con tanto di royalty. «Una percentuale pari al 5 per cento dell'importo complessivo delle operazioni». I magistrati della Procura di Roma ritengono che andasse ai due big del settore: gli avvocati Luca Di Donna e Gianluca Maria Carmelo Esposito. Una bozza di contratto l'ha esibita davanti ai carabinieri l'imprenditore calabrese Francesco Alcaro, classe 1985, titolare della società informatica Jarvit srl. Di Donna ed Esposito, il Gatto e la Volpe di questa storia, l'avrebbero agganciato per proporgli la realizzazione del Polo strategico per la salute in Calabria. Ovviamente il progetto era finanziato con fondi pubblici. «Noi avevamo la tecnologia di base», ha spiegato Alcaro alla Verità, «e siccome la nostra azienda non si occupa della parte burocratico-legale, né dei processi per richiedere finanziamenti o roba del genere, perché facciamo tecnologia e software, per raggiungere l'obiettivo ci fu proposta una partnership». La finalità, quindi, era quella di proporsi per la messa in opera del Polo strategico per la salute, che in tempi di Covid deve essere uno di quei progetti sui quali le Regioni sono pronte a puntare un po' di soldi. Ma il Gatto e la Volpe come sono arrivati alla Jarvit di Alcaro? «Noi ci occupiamo anche di sistemi industriali, suppongo che le ricerche le avranno fatte su questo. Penso che non eravamo soltanto noi i potenziali clienti-partner». L'imprenditore spiega così il metodo Di Donna. L'avvocato ha chiamato in azienda e deve aver pizzicato le corde giuste. «Ci ha cercati lui», racconta Alcaro, «l'avvocato si presentava bene, sembrava abbastanza importante». Le premesse c'erano tutte. «Ci ha spiegato che aveva a disposizione degli esperti, diceva di venire da una scuola importante e che aveva le risorse per strutturare tutta la documentazione utile», afferma Alcaro. E aggiunge: «Però per me questi non sono dei dettagli che potessero far pensare a qualcosa di illecito». Anche perché Di Donna, ex socio di Giuseppe Conte, era diventato perfino consulente della commissione antimafia, paradosso, per le valutazioni sulle attività criminali in tempi di Covid. Ma qualche sospetto all'imprenditore deve essere venuto, visto che a un certo punto la Jarvit ha chiesto di annullare il contratto. «Il progetto alla fine non si è fatto», spiega l'imprenditore, «e non abbiamo usufruito dei servizi che ci erano stati proposti dagli avvocati, perché era un contratto per il raggiungimento di obiettivi. E non abbiamo mai realizzato nulla. Questi progetti sono così, non si possono fare con un mero business plan». A quel punto alla Jarvil è suonato un campanello d'allarme. «Non c'era alcuna parte attiva», afferma l'imprenditore. In pratica, la Jarvit deve essere servita come specchietto per le allodole. O, almeno, deve essere ciò che ha sospettato Alcaro: «Il contratto era un mero pezzo di carta, perché non c'era un'organizzazione. I nostri progetti sono molto strutturati. Quando partono si avvia contestualmente un processo». In questo caso tutto sembrava concentrarsi invece su requisiti e scartoffie. E, così, alla Jarvit decisero di troncare con i due avvocati. «Dopo esserci consultati con il nostro legale abbiamo deciso di chiedere che il contratto venisse rescisso». Coincidenza: il tutto avviene qualche mese prima della convocazione dei carabinieri. «Il contratto era limitativo, c'erano clausole vessatorie», spiega ancora Alcaro, «e allora abbiamo preferito disdire e tutelare la nostra azienda». A quel punto, per gli investigatori che stavano lavorando sul metodo Di Donna, Alcaro si è trasformato in un importante testimone. Soprattutto perché sul contratto era segnata quella percentuale del 5 per cento che avrebbero incassato Di Donna & C., «inseriti di fatto», sostiene l'accusa, «all'interno della struttura di comando gerente gli affidamenti per l'emergenza Covid e la loro concreta possibilità di garantire ai privati affidamenti diretti e forniture dietro riconoscimento di compensi per la loro attività di intermediazione». I loro tabulati telefonici, infatti, hanno evidenziato contatti che gli inquirenti definiscono «frequentissimi» tra l'avvocato Esposito e Domenico Arcuri, in quel momento commissario straordinario per l'emergenza. Ma anche con alcuni dei componenti di Invitalia che sono entrati a far parte della struttura commissariale. E infatti è emerso che nel mese di giugno 2020 il commissario straordinario ha affidato con procedura negoziata e senza pubblicazione del bando una prima fornitura di 100.000 test molecolari per il Covid alla società Adaltis, per un importo di almeno 800.000 euro. Dai tabulati sono subito emersi i contatti tra i rappresentanti e i consulenti della Adaltis con gli avvocati della cricca. L'esame delle celle telefoniche, poi, ha permesso di riscontrare che il 14 maggio, data considerata centrale per l'affidamento, Marco Spadaccioli della Altis e gli avvocati Luca Di Donna, Valerio De Luca e Gianluca Esposito, hanno agganciato ponti ripetitori «che servono la zona in cui è ubicato lo studio di Esposito» a Roma. Il contratto con la Altis sarebbe stato firmato il giorno seguente, proprio nello studio di Esposito, «il quale», scrivono i pm, «poi effettivamente riceverà, per il tramite del collega Di Donna, parte delle rimesse conseguenti all'assegnazione delle commesse». In quel periodo Esposito e Di Donna hanno intrattenuto diverse comunicazioni con esponenti della struttura commissariale. E anche con Arcuri, 14 maggio compreso, giorno dell'incontro tra gli avvocati e la Adaltis. Gli inquirenti ritengono «di elevato interesse i contatti», perché partono dal 5 maggio, ovvero poco prima dell'avvio di richiesta d'offerta per la Adaltis, e terminano il 15 maggio, proprio il giorno successivo all'incontro nello studio di Esposito. Le ulteriori fonti di prova? Il 27 giugno Di Donna manda una fattura alla Adaltis per 65.000 euro. Ma le commesse per Adaltis non sono finite. Ce n'è un'altra di dicembre 2020. La somma: 1.387.000 euro, sempre per i test molecolari. La struttura commissariale, a quel punto gestita dal generale Francesco Figliuolo, suo malgrado, ha saldato nel maggio scorso, in due tranche. Anche in questo caso, annotano i carabinieri, si svolge un incontro nello studio di Esposito. Il 26 maggio, quindi, parte il bonifico dalla Adaltis: 90.178 euro in favore di Di Donna che, a sua volta, bonifica a Esposito 38.064 euro. «Immediatamente dopo gli affidamenti», evidenziano i pm, «Di Donna, Esposito e De Luca hanno ricevuto dalla Adaltis bonifici che non trovano allo stato lecita spiegazione: l'interessamento e l'offerta dei propri servizi e delle proprie entrature per l'affidamento da parte del Commissario per l'emergenza Covid non si giustifica lecitamente, atteso che, anche in ragione della natura e della rapida tempistica delle procedure, non si ravvisa alcuna necessità di consulenze offerte dai legali». Gli avvocati, insomma, erano, secondo l'accusa, «intermediari necessari».
GIACOMO AMADORI e François de Tonquédec per la Verità. il 10 ottobre 2021. Il 2 giugno 2018 a Palazzo Chigi ascende l'avvocato del popolo, al secolo Giuseppe Conte. Nella Città eterna per molti quell'avvocato amministrativista è un perfetto sconosciuto, ma non per Luca Di Donna, che del neopremier è stato collega nel prestigioso studio del professor Guido Alpa. Il giovane legale in carriera può vantare anche un legame personale con il primo ministro e non solo professionale. Tanto che quando Conte assurge al soglio di capo del governo, lui prende lo smartphone e digita un messaggio che diventa il suo piedistallo: «Abbiamo un amico presidente del Consiglio». Amen. Pochi, ma definitivi caratteri che vengono inviati ad alcuni fidati clienti che velocemente spargono la voce. E a Roma tutti iniziano a rivolgersi al presunto nuovo Mazarino per sbrogliare matasse particolarmente intricate, soprattutto se riguardano i rapporti con la pubblica amministrazione. Dal 2018 sono in tanti ad affidarsi a Di Donna, considerato una specie di passe-partout per risolvere le grane con il mondo grillino e oggi indagato dalla Procura di Roma per associazione per delinquere finalizzata al traffico di influenze. Una storia esemplare del metodo Di Donna riguarda un cronico contenzioso tra il Comune di Roma, guidato dalla sindaca Virginia Raggi, e una società immobiliare, la Fregenetta Srl, le cui quote appartengono, attraverso una controllante, all'avvocato Benedetta De Paola. È il 28 ottobre del 2016, quando l'assessore al patrimonio del XIII Municipio, Alessio Di Ganci, invia all'assessore al bilancio del Campidoglio, Andrea Mazzillo, una missiva in cui denuncia «l'affitto spropositato (3 milioni di euro a fronte di un canone di mercato inferiore alla metà)» che il Comune versa «nelle casse di una società privata (Fregenetta Srl) che fornisce l'edificio scolastico "Boccea 590"». All'omonimo indirizzo ha sede un istituto comprensivo e il Comune di Roma ha in affitto dal 2010 la struttura di 8.000 metri quadrati che lo ospita, con un contratto della durata di 6 anni, rinnovabili tacitamente. Nella lettera Di Ganci denuncia anche la mancanza di «alcuni certificati obbligatori» relativi all'antincendio, alla conformità dell'impianto elettrico e all'agibilità dei locali. Dal gennaio 2018 inizia a interessarsi della pratica l'assessora al patrimonio, Rosalba Castiglione. La quale, nei mesi successivi, inizia un fitto scambio epistolare con gli uffici del dipartimento per riuscire a «ovviare all'esosità del canone pagato» e per acquisire i certificati mancanti. Ma non trova la soluzione. E così il 30 aprile 2018 viene depositato un esposto in Procura e il 26 luglio il Comune invia formale disdetta della locazione in scadenza il 30 giugno 2020. A questo punto la società Fregenetta si affida allo studio Alpa per provare a risolvere la faccenda. Il dossier viene affidato a Di Donna, il quale in quelle settimane aveva avvertito il suo circuito che c'era «un amico presidente del Consiglio». Ma per l'amministratore unico della Fregenetta, Stefano Proietti, Di Donna si sarebbe «rivelato niente di che, tutte chiacchiere e basta». Ci ha anche detto che era stato «un buco nell'acqua» e ha definito il legale «un personaggio un po' particolare». Sarà. Ma un risultato alla fine lo ha portato a casa. Il 18 dicembre 2018 la Raggi si interessa in prima persona alla vicenda e in particolare, come scrive alla sua assessora, «alla delicata questione discendente dall'avvenuto recesso dal contratto di locazione» della scuola di via Boccea. La sindaca invita l'assessora, in perfetto burocratese, «ad assumere ogni opportuna iniziativa volta a garantire che le interlocuzioni di competenza inerenti la rinegoziazione del rapporto contrattuale con la proprietà immobiliare, da definirsi con la massima urgenza e priorità, possano addivenire a una soluzione entro il termine del 31 dicembre» così da «scongiurare ogni eventuale ricaduta, anche solo potenziale, sulla regolare continuità delle attività scolastiche». Un messaggio inequivocabile: ciò che conta è avere un posto dove mettere gli studenti. Anche a costo di sprecare 1,5 milioni di euro. La Castiglione, il 20 dicembre, non arretra e fa sapere che a novembre il Dipartimento del patrimonio e delle politiche abitative ha approvato un avviso pubblico per il reperimento di immobili da destinare alle scuole. Solo in caso di assenza di offerte andrebbe presa in considerazione la «rinegoziazione del contratto». Anche perché, informa l'assessore, il 30 aprile 2018 «si è provveduto a depositare un esposto» in Procura. In realtà per Proietti la disdetta era una specie di bluff per provare a rinegoziare il contratto, un tentativo, poi miseramente fallito. Infatti il Comune non avrebbe avuto una struttura alternativa dove collocare i mille studenti del plesso, mentre la Fregenetta aveva già trovato un altro affittuario, «una scuola internazionale». A sbloccare l'impasse sarebbe stata una riunione con i rappresentanti del Comune, a cui avrebbero partecipato sia Proietti che Di Donna. L'avvocato avrebbe fatto la parte del poliziotto cattivo: «Disse: "Guardate, il dottor Proietti vi dà un mese di tempo, 40 giorni per liberare l'immobile sennò suono la campanella, tutti fuori"». E avrebbe minacciato di fare una causa da 40 milioni di euro pari al valore dell'edificio. A quel punto, gongola Proietti, «c'è stata la revoca immediata della disdetta, dopo tre ore». La parcella di Di Donna sarebbe costata «qualche decina di migliaia di euro». A questo punto chiediamo all'amministratore se l'avvocato indagato avesse speso anche con lui la carta della possibile influenza sulla Raggi. Risposta: «Senta, non è che gli ho dato tanto peso». Più un nì che un no. Non è chiaro se questa riunione sia avvenuta prima o dopo la seconda lettera della Raggi, la quale il 27 dicembre 2018 ha posto alla sua assessora un aut aut: «Ti chiedo di fornirmi rassicurazioni circa la prosecuzione delle attività scolastiche sino alla fine dell'anno 2018/2019, nonché di informarmi sulle attività e sulle determinazioni che si intendono intraprendere in previsione dell'anno scolastico 2019/2020». Con una chiosa sibillina che invitava a tener «conto di quanto stabilito al comma 3 dell'articolo 3 del medesimo contratto». Evidentemente la sindaca aveva compulsato l'accordo o qualcuno lo aveva fatto per lei, lasciandole presagire rischiose e onerose cause. Fatto sta che ancora oggi il Comune continua a pagare l'esoso affitto che, a quanto ci risulta, non solo non è stato disdetto, ma neppure rinegoziato.
Giacomo Amadori Fabio Amendolara per la Verità il 10 ottobre 2021. Che il festino a casa di Luca Morisi fosse finito in una sorta di ricatto era ormai chiaro. Ma ora una dichiarazione del procuratore capo di Verona Angela Barbaglio dà anche un peso giudiziario alla vicenda: «Indaghiamo per verificare eventuali ricatti che possa aver subito Luca Morisi», ha detto il magistrato al Messaggero. La toga ha spiegato anche che «diversi giornali hanno ipotizzato un simile scenario» e che per questo motivo «non possiamo non appurare se simili condotte ci siano state». Se ci siano già state iscrizioni nel registro degli indagati per reati più gravi della presunta cessione di droga non è confermato. Ma fonti vicine alla Procura parlano di una possibile richiesta di archiviazione da parte dei pm per quanto concerne Morisi. Barbaglio, però, specifica che «a oggi non è stata presa ancora nessuna decisione in merito». Il 14 agosto Petre Rupa, ventenne rumeno, ha contattato i carabinieri per denunciare «un furto» (il mancato pagamento da parte di Morisi di una parte della cifra a suo dire pattuita) mentre ai giornali aveva raccontato una panzana, l'ennesima di questa storia, e cioè che avrebbe contattato l'Arma, anziché il 118, poiché si era sentito male a causa della droga. Lui e il collega David Solomon Dumitru avrebbero raccontato di aver ricevuto da Morisi il Ghb che i carabinieri hanno trovato nello zaino di Petre. Una bugia che ha portato all'incriminazione di Morisi per cessione di stupefacente, accusa poi cavalcata dai giornali, nonostante fosse chiaramente smentita dalla chat tra Morisi e Alexander, pubblicata ovviamente a tornata elettorale conclusa. Ma adesso l'accusa nei confronti dello spin doctor della comunicazione leghista sta per essere archiviata e da indagato potrebbe diventare parte offesa. Anche perché il consumo di cocaina, chiunque l'abbia acquistata, viene considerata dalla Procura un consumo di gruppo e non come una cessione (vietata) di Morisi ai suoi estemporanei compagni di bisboccia. Per più di una settimana i giornali italiani hanno nascosto la vera storia degli escort che hanno passato la vigilia di Ferragosto con Morisi. Ma anche dopo c'è chi gli ha concesso di sproloquiare e di fare le vittime. In realtà, come ha scritto La Verità lunedì scorso, c'erano da tempo gli elementi per poter ipotizzare il reato di estorsione. Dopo il caso dell'hotel Metropol e del sottosegretario Armando Siri un'altra bomba mediatica si è sgonfiata nelle mani dei cronisti embedded, salvo lasciare sul campo i soliti feriti. Ma David Solomon Dumitru, 25 anni, e Petre Rupa, 20, sono davvero due vittime del sistema. Dumitru sulla Stampa ha potuto raccontare di essere stato costretto a fare l'escort dalla pandemia. «Lavoravo in un bar. È stata la pandemia a stravolgere la mia esistenza. Non avevo più soldi per vivere e nemmeno da mandare casa. Io mantengo tutta la mia famiglia», ha detto in lacrime. E ha aggiunto che da quando abbiamo pubblicato il suo nome sul giornale non chiama più nessun cliente e non ha neanche i soldi per fare la spesa. Perché lui questo «lavoro brutto e difficile» non lo fa per «comprarsi la roba di Louis Vuitton». Non ci voleva molto a verificare per i colleghi della Stampa che quello che loro stavano descrivendo come un ventunenne costretto a battere dalla pandemia, fosse in realtà un venticinquenne con una discreta esperienza nel settore. Per esempio noi abbiamo trovato dei suoi annunci risalenti al 2017, dove la sua foto sorridente con l'inconfondibile tatuaggio in mezzo al petto («la famiglia è per sempre») corredava questo annuncio: «Sono Alexander, bello, atletico, 20 Anni, versatile, dotato 20 cm e bel culo, perfetto x soddisfare le tue fantasie sessuali. Ricevo in un ambiente bello pulito e discreto. Offro qualità. Sono aperto e disponibile x qualsiasi servizio. Sono educato e simpatico, non dubitare e contattami». In bella mostra abbigliamento firmato e addominali scolpiti. Il cellulare collegato al post era quello che oggi usa come telefono privato, con tanto di foto profilo da padre amorevole con neonato. Nel 2016 usava lo stesso indirizzo Internet di Grinder un altro Alexander, ma in questo caso si tratta di un prostituto italiano. Per quanto riguarda Rupa, in arte Nicolas, abbiamo scoperto che uno dei numeri che utilizza per il lavoro era stato salvato da un cliente, come risulta nella banca dati di un sito che raccoglie rubriche di cellulari, come «Nicolas Rom». Essì, perché abbiamo scoperto anche questo, che pure l'origine etnica può essere spacciata per attirare clienti: su International escort si trova questo annuncio: «Bisessuale gigolo Rom per tutti». Sul sito fa sapere di essere poliglotta e di parlare spagnolo, castigliano, italiano e russo. A Milano qualcuno dice che anche Alexander sia di origine Rom e che occorra cercarlo in uno dei campi nomadi della città. All'indirizzo di residenza nessuno lo conosce. Il giovanotto non ha precedenti specifici, ma solo uno per guida senza patente. Venne fermato da una volante di Padova il mese prima di compiere il dicottesimo anno d'età. Nicolas, pure lui muscolosissimo, non deve essere quel ragazzino fragile che ha raccontato di essere ai cronisti e nel 2019 è stato persino segnalato per lesioni a Villa Literno, in provincia di Caserta. Nel marzo del 2020, in pieno lockdown è stato segnalato insieme con Nicolas dai carabinieri a Roma per inosservanza delle misure anti Covid. I due infatti nella Capitale si offrivano in coppia in zona San Giovanni e San Lorenzo. Qui, in via dei Volsci, piena zona universitaria, Nicolas risulta residente in un anonimo condominio popolare. Al suo interno ci sono 5 scale. Per salire al secondo piano dove si trova l'appartamento del ragazzo, bisogna attraversare il cortile interno. In fondo a un corridoio piuttosto buio si trova il portoncino marrone scuro dell'appartamento. Sul campanello c'è un nome di donna. Suoniamo e non risponde nessuno. Ormai i due escort sono diventati due fantasmi. In attesa che l'attenzione mediatica scemi e i clienti tornino a bussare alla loro porta.
Antonio Atte per Adnkronos il 7 ottobre 2021. Secondo quanto apprende l'Adnkronos si va verso l'autosospensione di Luca Di Donna da consulente della Commissione parlamentare antimafia. L'avvocato e professore universitario, già collega di studio dell'ex premier Giuseppe Conte, è indagato con altre persone per associazione a delinquere finalizzata al traffico di influenze illecite: lo scopo, secondo l'accusa, sarebbe stato quello di ottenere appalti e forniture presso Invitalia, il Mise e la struttura commissariale per l'emergenza Covid. L'anno scorso Di Donna è stato nominato come consulente della Commissione antimafia nell'ambito della "Relazione sulla prevenzione e la repressione delle attività predatorie della criminalità organizzata durante l'emergenza sanitaria", documento approvato dalla Commissione nella seduta del 22 giugno 2021 e nel quale il nome di Di Donna compare tra i ringraziamenti. "Il nome di Di Donna? L'ho proposto io, è stato proposto insieme ad altre due o tre persone nella stessa seduta. Poi l'ufficio di presidenza ha fatto le sue valutazioni e l'hanno proclamato", spiega all'Adnkronos il deputato del Pd Paolo Lattanzio, ex M5S, coordinatore Comitato "Prevenzione e repressione delle attività predatorie della criminalità organizzata durante l'emergenza sanitaria". Perché è stato scelto Di Donna? "E' stata una proposta fatta sulla base del curriculum. Ho visto dei Cv utili al lavoro che avevo in mente di fare. Quindi ho proposto lui, Pierpaolo Romani e un operatore anti-camorra di Napoli. Da quanto tempo conoscevo Di Donna? Non lo conoscevo di persona, semplicemente è uno dei top come docenti universitari su questi temi, ha un curriculum da paura, quindi è stato uno dei nomi che abbiamo fatto". Il nome dell'avvocato è stato suggerito da ambienti 5 Stelle? "No, non mi è stato suggerito dai 5 Stelle", risponde Lattanzio, che ha fatto parte del gruppo parlamentare M5S fino al 7 agosto 2020. A quando risale l'indicazione di Di Donna? "Non ricordo esattamente, il Comitato ha iniziato a lavorare nell'estate del 2020". Il legale svolto il suo incarico a titolo gratuito? "La maggior parte dei consulenti è a titolo gratuito. Avrà partecipato tre o quattro volte ai lavori". Che tipo di contributo ha dato alla relazione finale? "La relazione è lavoro mio e dei parlamentari. I consulenti partecipano e ad hoc vengono interpellati". L'Adnkronos ha contattato anche Nicola Morra, presidente della Commissione antimafia ed ex esponente del Movimento 5 Stelle: "Di Donna? Ha partecipato soltanto a pochissime riunioni, credo due, di quel Comitato e ci è stato assicurato dal coordinatore che non ha concorso minimamente alla stesura di quel documento". Nelle prossime ore è attesa l'autosospensione di Di Donna come consulente: "Mi aspetterei proprio di sì", chiosa Lattanzio. Ieri il leader pentastellato Giuseppe Conte è intervenuto nuovamente sul tema, ribadendo di non avere contatti con Di Donna da molto tempo: "Non provo alcun imbarazzo per l'inchiesta sull'avvocato Di Donna. Ribadisco quanto detto già: da quando sono stato presidente del Consiglio non ho avuto modo di incontrarlo e non so nulla delle sue attività professionali, quindi sono assolutamente all'oscuro di eventuali fatti che sono oggetto di inchiesta".
Così Di Donna & Co. facevano da tramite per arrivare ad Arcuri. Lodovica Bulian l'11 Ottobre 2021 su Il Giornale. Un imprenditore che mediò: "Esposito mi disse che conosceva il commissario". Centrale nell'inchiesta della Procura di Roma sull'associazione per delinquere finalizzata al traffico di influenze illecite che coinvolge l'avvocato Luca Di Donna, considerato in passato molto vicino all'ex premier Giuseppe Conte, è stata la testimonianza di un imprenditore umbro, il 35enne Giovanni Buini. Dopo che nell'aprile del 2020, con la sua azienda, aveva fornito mascherine alla struttura commissariale, avrebbe avuto in ballo un'altra trattativa per una fornitura molto più ampia. È a questo punto che sarebbe entrato in contatto con Di Donna - legale dello studio di Guido Alpa, vero mentore dell'ex premier - e con l'altro avvocato indagato, Gianluca Esposito, ex direttore del ministero dello Sviluppo economico. I due gli avevano proposto un contratto di consulenza, secondo i pm, «per il riconoscimento in loro favore di somme di denaro in percentuale sull'importo degli affidamenti che avrebbero ottenuto dalla struttura commissariale; i due non avevano mancato di rimarcare la vicinanza del Di Donna con ambienti istituzionali governativi». Contratto annullato via pec dallo stesso Buini dopo averlo firmato. Poco dopo la struttura commissariale a sua volta avrebbe interrotto ogni dialogo con l'imprenditore su eventuali ulteriori commesse. Ma come è entrato in contatto Buini con gli avvocati Esposito e Di Donna? Tramite «l'amico» Mattia Fella, non coinvolto nell'indagine. Imprenditore nel settore viaggi, finito nel lontano 2008 dentro un'inchiesta su presunti finanziamenti illeciti all'allora ministro dell'Ambiente, Alfonso Pecoraro Scanio, e poi archiviato. «Io conoscevo l'avvocato Gianluca Esposito - risponde raggiunto al telefono - Di Donna non l'ho mai conosciuto né incontrato. In quel periodo non ero in Italia. Sono amico di Buini, all'epoca mi aveva detto che aveva disponibilità di mascherine e mi chiedeva se conoscevo qualcuno per poter fornire questi dispositivi alla struttura commissariale. Lo misi in contatto con Esposito perché pensavo che siccome era stato direttore generale del ministero dello Sviluppo economico potesse avere contatti con la struttura commissariale», guidata allora dall'ex commissario Domenico Arcuri. Insomma, una sorta di facilitatore in un momento di emergenza «per essere utile al Paese. Poi so che si sono incontrati - continua - e Buini mi riferì che gli fu presentato questo Di Donna. Per me dovevano semplicemente fornire un contatto, una mail, qualcuno con cui rapportarsi alla struttura del commissario, invece gli fu proposto un contratto consulenza. Io consigliai immediatamente di mandare una pec e annullarlo. Mi sembrava una cosa anomala». Sapeva se Esposito conoscesse Arcuri? «Esposito - risponde Fella - mi disse di sì, che aveva avuto contatti con Arcuri, che lo conosceva, non so se dai tempi in cui era stato direttore al ministero dello Sviluppo economico, ma mi disse di sì. Io però di questo Di Donna non sapevo niente». È molto amico di Esposito? «No, è persona che avevo conosciuto tanto tempo fa quando eravamo soci nello stesso circolo Roma. Dopo questa vicenda di Buini sono rimasto molto male, non l'ho più sentito». Secondo l'accusa, sarebbero state proprio le relazioni personali di Esposito e Di Donna il mezzo con cui poter ottenere compensi da aziende private in cambio di intermediazioni considerate «illecite» dai pm, proprio «sfruttando e mettendo a disposizione reciproca le relazioni di ciascuno di loro con soggetti incardinati ai vertici di istituzioni pubbliche e strutture appaltanti». A un secondo incontro, nello studio legale di Guido Alpa, oltre a Buini e Di Donna, ci sarebbe stato anche Enrico Tedeschi, capo di gabinetto dell'Aise, il servizio segreto per la sicurezza esterna. «Da quello che mi ha detto Buini - ricorda Fella - sembrava che fosse lì per un incontro precedente e non per parlare di commesse». Lodovica Bulian
Gli incontri con lo 007. I pm ora vogliono capire se Conte era informato. Luca Fazzo l’8 Ottobre 2021 su Il Giornale. I fari sul ruolo di Tedeschi con Di Donna negli uffici del mentore dell'allora premier. Un incontro che era una sorta di trappola per topi, due faccendieri intorno a un imprenditore da spolpare in cambio del via libera ai grandi appalti di Stato nei mesi più terribili del Covid. A quell'incontro, una presenza anomala: un uomo chiave dei nostri servizi segreti, il capo di gabinetto dell'intelligence interna. L'alto funzionario ha dato la sua spiegazione ai pm romani che indagano sugli altri protagonisti dell'incontro, gli avvocati Luca Di Donna e Gianluca Esposito, accusati di associazione a delinquere finalizzata al traffico di influenze. La credibilità della versione fornita dallo 007, a quanto si è appreso, è «in corso di valutazione». Ma è indubbio che la presenza dell'uomo a quel tavolo fosse del tutto irrituale. E che riaccenda bruscamente l'attenzione su un tema mai del tutto sopito, ovvero l'intreccio di rapporti che all'epoca dei governi Conte 1 e Conte 2 legava il premier ai nostri servizi segreti: di cui, caso senza precedenti, aveva tenuto per sé il controllo diretto. L'alto papavero dell'Aise che partecipa a quell'incontro si chiama Enrico Tedeschi, ed è un veterano delle nostre barbe finte. Proviene dalla Guardia di finanza ma la sua carriera l'ha fatta tutta dentro il Sismi, di cui fa parte da venticinque anni. Lo raccontano come un uomo più da ufficio che da teatro operativo, ma preparato, serio, perbene. Per fare il salto di qualità, però, Tedeschi ha dovuto aspettare che al vertice del servizio salissero prima Alberto Manenti e poi Luciano Carta. È Manenti - nominato direttore da Matteo Renzi nel 2014 - a promuovere Tedeschi caporeparto. Ed è il successore Luciano Carta - designato da Giuseppe Conte - a fare di lui il capo di gabinetto. Una figura fondamentale negli equilibri interni del servizio: nomine che, tradizionalmente, il direttore dell'agenzia sottopone al beneplacito del presidente del Consiglio o del suo delegato all'intelligence: figure che nel novembre 2018 coincidono nella stessa persona, il premier Conte. Di fatto, il 5 maggio 2020 l'imprenditore Giovanni Buini, ansioso di piazzare le sue mascherine all'Alto commissariato, si trova davanti il braccio destro di Conte, cioè Di Donna; uno 007 nominato da Conte, cioè Tedeschi; e il tutto avviene nello studio del professor Guido Alpa, il mentore di Conte. Possibile che di tutto questo Conte fosse all'oscuro? È a questa domanda che stanno cercando risposta i pm romani quando ipotizzano - come si legge nel decreto di perquisizione - «il trasferimento del fulcro decisionale dalla pubblica amministrazione a un centro occulto». Di questo «centro occulto» chi fa parte, oltre a Di Donna e Esposito? Nel suo verbale di interrogatorio davanti ai pm romani, lo 007 Tedeschi potrebbe avere spiegato che la sua presenza era solo finalizzata all'acquisizione di mascherine. Lo stesso varrebbe per un altro generale dell'esercito presente all'incontro. Ma se le necessità dell'esercito sono comprensibili, che bisogno avevano i servizi segreti di centinaia di migliaia di dispositivi anti-Covid? Senza contare che la centrale di spesa per queste esigenze è collocata presso il Dis, l'organismo di coordinamento delle due agenzie di spionaggio. Un pasticcio, insomma, che alimenta l'impressione che dentro l'emergenza Covid si siano mossi affari e manovre cui i servizi segreti non sono rimasti estranei. Basta ricordare quanto testimonia Mario Benotti, l'ex giornalista arricchitosi con la fornitura di mascherine cinesi al commissario Domenico Arcuri. Il 7 maggio 2020 (due giorni dopo, si noti, l'incontro tra Di Donna, Esposito, Tedeschi e l'imprenditore Buini) Arcuri, che di Benotti è amico di lunga data, lo avvisa che da Palazzo Chigi gli è stato comunicato che i servizi segreti stanno indagando sui suoi rapporti con i fornitori cinesi: e interrompe i rapporti. Domanda: perché i «servizi» misero all'erta Conte proprio quando l'uscita di scena di Benotti avrebbe potuto spianare la strada alla cordata sponsorizzata da Di Donna?
Luca Fazzo (Milano, 1959) si occupa di cronaca giudiziaria dalla fine degli anni Ottanta. È al Giornale dal 2007. Su Twitter è Fazzus.
Lodovica Bulian per "il Giornale" il 7 ottobre 2021. «In passato lo frequentavo, ma da quando sono diventato premier non l'ho frequentato più. Non so nulla della sua successiva attività professionale». Dopo l'arrivo a Palazzo Chigi Giuseppe Conte dice di non aver avuto più alcun rapporto con l'amico avvocato Luca Di Donna, oggi indagato con altre 12 persone dalla Procura di Roma per associazione a delinquere finalizzata al traffico di influenze illecite. Di certo però dopo l'ascesa del premier - con cui Di Donna condivide lo stretto legame con Guido Alpa, vero mentore di Conte - le «parcelle» del 42enne avvocato d'affari della Capitale sono state consistenti. Secondo i pm con gli avvocati Giancarlo Esposito e Valerio De Luca, avrebbe sfruttato «relazioni con soggetti incardinati ai vertici di istituzioni pubbliche e strutture appaltanti» proponendosi ad aziende private come il passepartout necessario per poter accedere agli affari con lo Stato, dalla struttura dell'ex commissario Domenico Arcuri, a Invitalia, fino al ministero dello Sviluppo economico. Fin qui l'inchiesta. Ma per capire quanto Di Donna sarebbe stato addentro i palazzi del potere, oggi fonti qualificate ricordano che il suo nome sarebbe arrivato fino in Parlamento, nei giorni cruciali della crisi di governo del Conte 2, quando la caccia a possibili responsabili per salvare l'esecutivo dell'avvocato del popolo era febbrile: «Arrivavano chiamate da qualsiasi mondo». E almeno due senatori si sarebbero trovati dall'altro capo del telefono degli intermediari in cerca di «costruttori», che avrebbero dichiarato di agire proprio per conto di Di Donna. Uno dei due, Antonio Saccone, Udc, oggi conferma al Giornale: «Non mi ha chiamato direttamente ma attraverso dei miei amici, che a suo nome (quello di Di Donna, ndr), mi hanno chiesto di dare una mano a Conte». Nell'aprile del 2019 Conte e Di Donna si trovavano entrambi in Cina, il primo a Pechino per celebrare l'intesa Italia-Cina sulla Belt and Road Initiative, la nuova via della Seta tanto cara al M5s, il secondo a Wuan, per l'inaugurazione dell'Istituto Italo-Cinese con l'Università Sapienza, per cui l'avvocato, che è anche professore di Diritto privato europeo nello stesso ateneo, era titolare della cattedra. Conte ha smentito seccamente ricostruzioni secondo cui Di Donna avrebbe collaborato alla stesura del nuovo Statuto del M5s, e che sarebbe stato tra i nomi individuati per la scuola di formazione politica del Movimento. L'ex premier, così come Arcuri, sono estranei all'inchiesta. In una delle intercettazioni citate nel decreto di perquisizione, gli interlocutori spiegano però che «Di Donna ha acquisito potere e ha potuto condurre gli interventi che hanno portato un arricchimento economico per tutti i sodali, dopo che una terza persona si è affermata (s'intende verosimilmente sotto il profilo politico). Da quel momento le porte della Pubblica amministrazione si sono aperte per loro, e le hanno sfruttate a pieno». Gli intercettati parlano di Di Donna come di un nome in grado di aprire le porte agli affari con la pa, secondo l'accusa. Dagli appalti Covid a progetti di investimento finanziati dallo Stato. Uno degli obiettivi sarebbe stato far ottenere all'azienda Adaltis commesse per la fornitura di test molecolari dalla struttura di Arcuri. Nel giugno 2020 la Adaltis sigla un contratto per 800mila euro di pezzi, che si sarebbe però definito il 14 maggio: e tra il 5 e il 15 maggio, annotano gli inquirenti, risultano contatti diretti tra Di Donna e Arcuri. A dicembre la stessa azienda ha ottenuto un'altra fornitura da 2,5 milioni di euro. Non solo appalti Covid, per cui ora da Italia Viva Ettore Rosato chiede una commissione d'inchiesta sulle forniture. Un altro imprenditore, titolare di una società informatica, sarebbe stato contattato da Di Donna ed Esposito per un progetto, finanziato con soldi pubblici, in Calabria in cambio di una percentuale pari al 5%.
PAOLO FERRARI per Libero Quotidiano il 10 ottobre 2021. «Di Donna qui in avvocatura? Veniva sempre con Alpa e Conte. È stato portato da loro». A dirlo, in colloquio ieri con il Riformista, è l'avvocato Salvatore Sica, vice presidente della Scuola superiore dell'avvocatura italiana. Interpellato dal quotidiano di Piero Sansonetti sui rapporti fra Di Donna, Alpa e Conte, Sica ha affermato che i tre erano una cordata, anzi, "un sodalizio". «Di Donna - ha aggiunto Sica - era sempre al seguito di Conte e di Alpa». Un rapporto, dunque, consolidato e che non si sarebbe fermato alla sola condivisione dello studio professionale in piazza Cairoli a Roma, come dichiarato dall'ex premier Giuseppe Conte.
BEN INTRODOTTO Ma che Di Donna fosse ben introdotto nei vertici dell'avvocatura, nonostante la sua giovane età, risulta anche dal fatto che lo scorso gennaio venne nominato presidente della Commissione d'esame per l'abilitazione forense nel distretto della Corte d'Appello di Roma. Il decreto di nomina porta la data del 21 gennaio. Si tratta di uno degli ultimi atti del ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, grillino e, soprattutto, grande sponsor di Conte. Il governo Conte due terminerà la sua esperienza cinque giorni più tardi, dopo settimane di fortissime tensioni. Matteo Renzi aveva, infatti, deciso di togliere la fiducia all'esecutivo guidato dall'avvocato del popolo. Ci furono, allora, tentativi frenetici di dar vita un Conte ter con l'aiuto dei cosiddetti "responsabili". E anche in quella occasione Di Donna giocò la sua partita, contattando diversi esponenti politici, ad esempio Antonio Saccone o Lorenzo Cesa, parlamentari dell'Udc. Il nome di Alpa, ex presidente del Consiglio nazionale forense e ordinario di diritto civile all'università La Sapienza di Roma, mentore di Di Donna e Conte, era stato fatto nei mesi dall'avvocato Piero Amara. In una testimonianza ai pubblici ministeri di Milano, Amara aveva dichiarato che l'ex vice presidente del Consiglio superiore della magistratura, Michele Vietti, gli chiese «di far guadagnare denaro ad avvocati e professionisti a lui vicini». Grazie ai buoni auspici di Amara, Conte ed Alpa ottennero incarichi dalla società Acqua Marcia spa di Roma. «L'importo che fu corrisposto da Acqua Marcia ad Alpa e Conte- precisò Amara - era di 400mila euro a Conte e di un milione dieuro ad Alpa».
LA PROVVIGIONE Di Donna è ora indagato dalla Procura della Capitale per associazione a delinquere finalizzata al traffico d'influenze. Giovanni Buini, titolare di una società produttrice di dispositivi di protezione, ha raccontato ai pm romani che Di Donna e l'avvocato Gianluca Esposito gli avevano chiesto di riconoscergli una provvigione per essere meglio introdotto con la struttura commissariale di Domenico Arcuri. Buini non aveva accolto l'invito ed aveva denunciato tutto ai carabinieri di Roma. All'incontro, come riportato ieri da Libero, era presente anche il generale della guardia di finanza Enrico Tedeschi, in servizio presso i Servizi segreti. Su questa vicenda, che sta agitando il mondo politico da giorni, ieri è tornato all'attacco anche l'ex premier e leader di Italia Viva Matteo Renzi, chiedendo l'istituzione di una commissione parlamentare d'inchiesta. «Penso ci siano troppe cose poco chiare sul passato, sui banchi a rotelle, sulle mascherine, sui ventilatori cinesi che non funzionavano. Mentre c'erano 126.000 italiani che morivano di Covid c'erano centinaia di milioni di euro che venivano intascati in stranissime commissioni. Su questa vicenda occorre andare fino in fondo e io al Senato continuerò a fare la mia battaglia affinché si faccia chiarezza», ha affermato il leader di Italia Viva nella sua consueta e-news settimanale, sottolineando che l'affaire Di Donna sarà peggio di «tangentopoli, vedrete. Ci tornerò pesantemente sopra nei prossimi giorni».
Il retroscena. Inchiesta su Di Donna, Conte trema: l’ex premier messo all’angolo, si scalda Di Maio. Aldo Torchiaro su Il Riformista il 7 Ottobre 2021. L’indagine per associazione a delinquere nei confronti di Luca Di Donna allunga un’ombra pesantissima sull’ex premier Giuseppe Conte. L’ipotesi accusatoria riguarda supposte irregolarità dell’assegnazione di appalti e forniture da parte della Struttura commissariale per l’emergenza Covid, del Ministero dello Sviluppo economico e di Invitalia, l’agenzia nazionale per gli investimenti guidata dall’ex commissario Domenico Arcuri. Martedì, su incarico dei pm, la polizia giudiziaria ha perquisito studi e abitazioni degli indagati sequestrando alcuni documenti. «Il legale è stato collega di studio dell’ex premier Giuseppe Conte», sintetizzano gli avvocati romani che meglio lo hanno conosciuto. Però su questo essere colleghi di studio si fa melina, si fa filtrare che «poi gli studi sono stati separati, adesso sono due entità indipendenti». Noi siamo entrati nel palazzo di Piazza Cairoli, a Roma, per verificare: la medesima targa d’ottone, seppur per listelli, scolpisce e incornicia un sodalizio ineffabile tra Guido Alpa, Giuseppe Conte e Luca Di Donna. Quando telefoniamo per chiedere di Di Donna, è la stessa segretaria di Giuseppe Conte che risponde. Non c’è falla nella memoria di chi ripercorre a ritroso il tempo fino alla sera della nomina di Conte a Palazzo Chigi, quando Di Donna fece sapere ai contatti più fidati della sua rubrica di essere al settimo cielo. Ed è stato Di Donna a tessere l’ordito dei negoziati che da Mastella a Ciampolillo provarono a rimettere in piedi la maggioranza per un Conte Ter. Quantomeno, era anche Di Donna a telefonare agli interessati (ne avevamo dato conto sul Riformista, senza essere smentiti). La prossimità, la contiguità, la familiarità tra Di Donna e Conte non è mai stata messa in discussione, nel corso delle migliaia di articoli scritti in quest’ultimo anno da tutta la stampa. Ieri però si è aperto un caso nel caso. Luca Di Donna è indagato per associazione per delinquere finalizzata al traffico di influenze, ma non ha praticamente mai conosciuto Giuseppe Conte. Ne parlava sempre? Allora millantava. Non lo conosceva nella realtà. Ce lo spiega Il Fatto, con un interessante insider di Marco Lillo e Valeria Pacelli: nella descrizione che ci svelano i colleghi, Di Donna è «un avvocato che ha affittato lo studio legale che ospitò lo studio di Giuseppe Conte – di proprietà di una società terza e che i due non hanno mai condiviso». Incredibilmente, al Fatto sono riusciti scoprire che l’identità dell’avvocato Di Donna sarebbe quella di un brillante millantatore sconosciuto ad Alpa e a Conte. Il fatto che li si trovi insieme in centinaia di articoli, post sui social, persino fotografie, non deve dunque indurci in errore. «Si tratta di una indagine delicata, dato che i nomi dei pubblici ufficiali (Conte, ndr.) sono stati spesi a loro insaputa». Di Donna come Carneade, chi era costui? Niente affatto collaboratore di Giuseppe Conte, ma uno che ha speso il nome del leader del M5s – allora presidente del Consiglio – per facilitare, è l’accusa, un giro di commesse nell’ambito delle mascherine e di altri dispositivi di sicurezza sanitaria. E proprio nel momento di massima emergenza, quando la regìa in effetti era concentrata nelle mani di Giuseppe Conte e di Arcuri. Ettore Rosato, vice presidente della Camera, Iv, è furioso: «Vediamo come proseguono le indagini sull’ex socio di Conte, ma questo caso fa capire come sia urgente una commissione parlamentare d’inchiesta che faccia luce su come sono stati spesi i soldi degli italiani durante la pandemia». Una richiesta cui si associano diversi gruppi della maggioranza e che segna una ulteriore mina lungo il percorso di Giuseppe Conte. Ci mancava l’inchiesta per le mascherine cinesi. L’esito delle elezioni lo ha messo nell’angolo: erano in tanti ieri alla Camera a dire che è iniziato il “Conte down”. Nelle stesse ore, Carlo Calenda otteneva da Roberto Gualtieri la promessa che terrà i grillini fuori da qualunque maggioranza. Ultimi giorni, si dice, per il più breve regnante del Movimento. A fargli le scarpe si prepara, com’era nell’aria, Luigi Di Maio. Il ministro degli Esteri è volato a Parigi, ieri, per un lungo colloquio riservato con il segretario di Stato americano, Tony Blinken. Sempre così, alla vigilia delle investiture importanti.
Aldo Torchiaro. Romano e romanista, sociolinguista, ricercatore, è giornalista dal 2005 e collabora con il Riformista per la politica, la giustizia, le interviste e le inchieste.
Morra revoca la consulenza concessa. Di Donna inguaia Conte: il ruolo dell’amico dell’ex premier tra consulenze all’Antimafia, appalti e "Responsabili". Aldo Torchiaro su Il Riformista l'8 Ottobre 2021. Il caso Conte-Di Donna si infittisce ogni ora che passa. Per le circostanze inquietanti che via via si stanno acclarando. Per l’entità degli affari su cui era richiesta una percentuale. Per le tante domande aperte, che più si moltiplicano e più rimbalzano contro un muro di gomma, a partire dalle discrepanze tra le ricostruzioni. Da una settimana la Procura di Roma sta coordinando una indagine per associazione a delinquere finalizzata al traffico di influenze illecite nei confronti di Luca Di Donna. Si parla di 160 milioni di mascherine che l’imprenditore Giovanni Buini doveva produrre e che dovevano essere acquistate dalla struttura commissariale di Arcuri, con una commissione dell’8% per l’intermediazione. L’avvocato 42enne è tra i collaboratori più stretti di Guido Alpa e dunque, per quella proprietà transitiva che tutti a piazza Cairoli numero 6 ben conoscono, di Giuseppe Conte. Della collaborazione stretta e continuativa dei tre giuristi è facile trovare riscontro. Nel contesto ordinistico e accademico romano c’è evidenza di almeno una dozzina di articoli scientifici, pubblicazioni, atti di convegni in cui le tre firme di Alpa, Conte e Di Donna compaiono insieme come coautori, correlatori, colleghi di studio sugellati in un inossidabile sodalizio. Adesso che l’amico è finito nei guai, dopo la denuncia dell’imprenditore umbro Giovanni Buini, che non voleva sottostare alla “clausola dell’otto per cento”, l’ex premier Conte afferma di aver perso da tempo le tracce di Di Donna. Non ne ha notizie da quando è diventato premier, addirittura. «Non so nulla delle sue attività professionali», ha dichiarato il leader del M5s. Peccato che proprio il Movimento ne abbia voluto la nomina a consulente della Commissione parlamentare antimafia nell’estate 2020. Quando Conte era premier, sì, ma già non sapeva più nulla dell’ormai ex amico. Perché tutta questa storia avviene, è la versione ufficiale, a insaputa di Giuseppe Conte. L’avvocato Di Donna telefonava a nome di Conte, ma Conte non ne ha mai saputo niente. Quello organizzava riunioni presso lo studio legale con la targa Avvocato Giuseppe Conte, ma Conte non ne sapeva niente. Anche quando Luca Di Donna fa chiamare qualche senatore a nome di Conte, chiedendo di votare l’indomani la fiducia in aula, Conte non ne sapeva nulla. E quando Luca Di Donna invita presso lo studio legale per la firma di un contratto di consulenza e intermediazione Giovanni Buini, e gli fa trovare il generale Enrico Tedeschi, capo di gabinetto dell’Aise, apparato di sicurezza dedicato all’intelligence verso l’estero, il premier Conte, che delle nomine nei servizi segreti si stava occupando in quelle settimane, non ne sapeva niente. Gliel’hanno fatta proprio bene, tutto alle spalle dell’allora presidente del Consiglio. Tutti: lo studio legale, gli amici di sempre, perfino qualcuno al vertice dei servizi. Una vicenda tutta da approfondire e da verificare, nell’interesse stesso di Conte di cui si può immaginare lo stato d’animo. Tradito dai suoi stessi collaboratori, lui che proprio in quel frangente lavorava alla promozione del generale Vecchione a capo del Dis. Intanto la nomina di Di Donna alla commissione antimafia, adesso che lo scandalo è pubblico, è stata revocata in tutta fretta dal presidente della commissione, Nicola Morra. I Cinque Stelle fanno marcia indietro, adesso. «Di Donna revocato a tutela di tutti», twittano sollevati. Ma le accuse nei confronti dell’assistente di Alpa sono gravissime e se Conte non riesce a ricordare neanche più l’ultima volta che lo ha visto, tornerebbe utile quell’iniezione di fosforo che solo una commissione di inchiesta potrebbe dare. «Conte nega eppure viene fuori che è stato indicato dai grillini», chiede conto la vicepresidente dei senatori di Italia Viva, Laura Garavini. «Serve un momento di chiarezza sul ruolo di Di Donna all’interno del M5s e nei rapporti con l’ex presidente del Consiglio. Siamo di fronte a una persona che, se fossero confermate le indagini, aveva le mani ovunque: dall’antimafia agli appalti, dalla costruzione dello sfortunato gruppo dei responsabili per Conte sino a quella del nuovo corso del M5s guidato dall’ex premier. Troppa opacità, serve chiarezza», dice Garavini. Il Riformista prova a ricostruire gli eventi ai quali fa riferimento la denuncia di Giovanni Buini; ci sarebbe stato un primo incontro nello studio dell’avvocato Gianluca Maria Esposito, coindagato, quindi un incontro successivo – presso lo studio Di Donna – dove Buini si sarebbe trovato di fronte a due generali, tra cui Tedeschi, che è stato già sentito dalla Procura. L’avvocato Esposito fornisce una ricostruzione divergente: «Non ho mai preso parte a nessun incontro con altre persone». Anche se non nega di aver ricevuto Buini nel suo studio su richiesta di un contatto in comune. «Mi contattò Buini per intervento di un cliente che conosco da quindici anni, Stanislao Fella. Buini voleva che il mio studio seguisse la sua società, per lo più per questioni civilistiche come la redazione di contratti. Motivo per cui lo indirizzai da Di Donna che fa civile». Disconosce qualsiasi addebito e smentisce di aver preso parte a riunioni successive. «Stanno raccontando una realtà inesistente», ci dice. È certo che in questa storia, come in ogni vero giallo, più d’uno mente.
Aldo Torchiaro. Romano e romanista, sociolinguista, ricercatore, è giornalista dal 2005 e collabora con il Riformista per la politica, la giustizia, le interviste e le inchieste.
Le trame del sodalizio tra l'avvocato e l'ex premier. La cordata Di Donna provò a salvare il governo Conte, e spunta l’ombra della massoneria…Aldo Torchiaro su Il Riformista il 9 Ottobre 2021. Luca Di Donna rimane l’uomo del mistero: coabita con Giuseppe Conte come un’ombra. C’è, ma appena si accendono i fari, scompare. La targa con il suo nome è incollata sulla porta dello studio di Giuseppe Conte, dove da giorni ripetono una formula da legulei: “lo studio è di proprietà di una società terza, i due non lo hanno mai condiviso”. Da due giorni Il Fatto Quotidiano ripubblica questa velina, tale e quale. Senza mai dire quale sia la società terza. Lo abbiamo chiesto a Guido Alpa. “Occupo l’appartamento al terzo piano, la società locatrice è dei proprietari dell’intero palazzo, i conti Pasolini dall’Onda”. Nobiltà ravennate che affita a Alpa, Conte, Di Donna e all’ambasciata Russa. Nello specifico, Luca Di Donna condivide con Giuseppe Conte il piano di sopra. “Stanno al quarto piano. Anche Di Donna ha locato l’appartamento dalla società dei proprietari del palazzo”, prosegue Alpa. Ma, mette le mani avanti, “non ci sono specchi, né giochi di sorta”. Insomma, anche Alpa degli affari di Di Donna non se sa molto. “Con il professor Di Donna ho seguito e seguo tuttora alcune pratiche ma non c’è associazione professionale. Ciascuno ha i suoi clienti”. E infine ribadisce la propria estraneità ai fatti: “Non conosco le vicende di cui parlano i giornali e tanto meno le persone nominate”. Di commesse pubbliche, non vuole neanche parlare: “Non mi sono mai occupato di commesse ministeriali”. Rimane certo che il prestigioso curriculum di Di Donna si è arricchito di lustro quando a presiedere il Consiglio Nazionale Forense era Guido Alpa. Le glosse dei suoi articoli scientifici sono un continuo rimando ad Alpa e a Conte. Ritroviamo un documento del 2014 in cui il Cnf insieme con Temple University organizzavano, sotto le insegne dello stesso Alpa, un bel viaggio di studio negli Stati Uniti. Per prendervi parte andava mandata una mail a Luca Di Donna e far seguire bonifico su Bnl di Torre Argentina. Da lì in avanti una intensa partecipazione alle attività dell’ordine degli avvocati, per l’avvocato rampante, tanto da essere individuato quale Presidente della commissione per l’esame da avvocato a Roma, per il 2020. Per il Cnf e la Scuola superiore dell’avvocatura Di Donna parlerà, il prossimo 20 e 21 ottobre, ad un’importante tavola rotonda nazionale sul ruolo delle scuole forensi. Il vice presidente della Scuola Superiore dell’Avvocatura, Salvatore Sica, usa termini chiari: “Di Donna qui in avvocatura? Veniva sempre con Alpa e Conte. È stato portato da loro. Non sopporto gli atteggiamenti di chi dopo dice di non conoscere più nessuno”. E ribadisce: era una cordata, “un sodalizio”. Anzi, usa una parola ancora più esplicita: “Un trio”. “Fa sorridere pensare che non si frequentino. Di Donna era sempre al seguito di Conte ed Alpa”. Ma precisa: “Organicamente non ha nulla a che vedere con l’avvocatura italiana”. Rimane un’ombra. E per dargli un corpo incontriamo in un caffè di piazza San Lorenzo in Lucina un consulente che ha operato per le istituzioni e che rivela, chiedendoci l’anonimato, di aver trattato anni fa una compravendita fondiaria. “Dovevo acquistare un terreno e gli amici del GOI, la massoneria, mi indirizzarono per avviare le trattative da Luca Di Donna, che ho incontrato nello studio di piazza Cairoli 6”. Chiediamo lumi, si limita a dire: “Di quella compravendita non se ne fece niente, ma dall’obbedienza mi dissero che per gli affari importanti era il nostro punto di riferimento”. C’è libertà associativa, ci mancherebbe. Ma sulla rete di potentissime amicizie che legano Di Donna e Conte adesso sono in tanti a chiedere al Parlamento di assumere una iniziativa forte. Forza Italia, Italia Viva e ieri anche Fratelli d’Italia, con il senatore Giovambattista Fazzolari: “Trapelano notizie disgustose e sconcertanti su un meccanismo di mangiatoia fatta da persone vicine all’ex premier Conte su tutta la gestione dell’epidemia Covid. Ultimo in ordine di tempo della lunga lista di figuri che si sarebbero abbuffati grazie all’emergenza e ai buoni rapporti col governo Conte II, l’avvocato Luca Di Donna, già collega di studio Di Conte, indagato per loschi giri di appalti e consulenze. Una situazione che richiederebbe immediatamente chiarezza”. Alle sorti del Conte II sono legate – come era stato rilevato già al tempo – numerose telefonate partite da Piazza Cairoli. E non solo. Dall’entourage di Lorenzo Cesa trapela quella che ci viene definita “una insostenibile pressione”, in quei giorni di fine gennaio. “Apparati dello Stato e perfino del Vaticano” avrebbero sollecitato con insistenza una conclusione della crisi che portasse alla riconferma di Giuseppe Conte e impedito alla crisi di aprire la prospettiva che portò poi invece alla formazione del governo Draghi. Tra le segreterie, i portavoce, gli uffici stampa il nome di Di Donna è indissolubilmente legato a quelle telefonate concitate. Anche se Giuseppe Conte non ne sapeva assolutamente niente: giura solennemente che lui dell’amico Di Donna ha perso le tracce dal giugno 2018. Allontanandosi dalla luce le ombre, si sa, s’allungano a dismisura.
Aldo Torchiaro. Romano e romanista, sociolinguista, ricercatore, è giornalista dal 2005 e collabora con il Riformista per la politica, la giustizia, le interviste e le inchieste.
Di Donna, quelle anomalie da commissione d'inchiesta. Lodovica Bulian il 9 Ottobre 2021 su Il Giornale. Iv chiede di indagare in Parlamento sugli affari legati all'avvocato amico di Conte. Ecco cosa non torna. Sono le inchieste a svelare il mondo opaco che si aggirava intorno ai possibili affari con lo Stato nell'anno della pandemia. Figure di intermediari oggi sotto indagine per traffico di influenze illecite, che sarebbero stati capaci di sfruttare relazioni personali per ottenere compensi su mediazioni considerate «occulte» dai pm, basate non su ruoli formali ma su conoscenze e amicizie. Che sarebbero diventate - alterando i meccanismi di mercato e di libera concorrenza - il «passpartout» per far accedere aziende private ad appalti per le forniture Covid. O per escluderne altre. Come sembra emergere dall'ultima inchiesta della Procura di Roma che ipotizza un'associazione a delinquere finalizzata al traffico di influenze illecite che aveva come figura centrale Luca Di Donna, detto «il Prof» per via della sua cattedra di diritto privato europeo alla Sapienza. L'ex collega e amico di Giuseppe Conte dai tempi della collaborazione nello studio di Guido Alpa, vero mentore dell'ex premier, avrebbe sfruttato - insieme con un altro avvocato ben addentro ai palazzi del potere, Gianluca Esposito - «relazioni con soggetti incardinati ai vertici di istituzioni pubbliche e strutture appaltanti» per ottenere compensi da parte di aziende private su forniture alla struttura dell'ex commissario Arcuri. Il quale, estraneo all'inchiesta, ha negato ogni coinvolgimento: «Mai assegnato appalti e forniture ad imprese rispetto alle quali risultava in alcun modo un interesse dell'avvocato Di Donna». Restano però per ora senza spiegazione i «contatti plurimi o frequentissimi» di cui parlano gli investigatori, tra i due avvocati indagati e l'ex commissario. Nonché «l'inserimento di fatto all'interno della struttura» e la loro «concreta possibilità di garantire ai privati affidamenti diretti e forniture». Come nel caso, secondo l'accusa, dell'impresa Adaltis, che ha fornito test molecolari per oltre tre milioni di euro. Forniture sarebbero invece state stoppate a un'altra azienda, quella dell'imprenditore Giovanni Buini, che dopo una prima commessa di mascherine si sarebbe visto rifiutare ogni altro incarico dopo aver a sua volta rifiutato la mediazione di Di Donna. E un'incognita è l'anomala presenza di un membro dei servizi, Enrico Tedeschi - capo di gabinetto all'Aise - a un incontro tra Buini e Di Donna. La giustificazione che avrebbe fornito Tedeschi sarebbe legata a un'attività di monitoraggio per la ricerca di dispositivi di protezione individuale. Di Donna invece sarebbe stato presentato a Buini come uomo molto vicino a Conte. Ma dopo l'arrivo a Palazzo Chigi l'ex premier dice di non aver avuto più alcun rapporto con l'amico avvocato: «In passato lo frequentavo, ma da quando sono diventato presidente del Consiglio non l'ho frequentato più. Non so nulla della sua successiva attività professionale». E pensare che Di Donna, definito da chi lo conosce «pupillo di Guido Alpa», era anche diventato consulente della commissione Antimafia proprio sugli appalti Covid. Alla notizia dell'inchiesta l'incarico gli è stato revocato: «Non ho mai avuto occasione di frequentare, incontrare, conoscere l'avvocato Di Donna. Posso dire che il curriculum scientifico di Di Donna è certamente importante e questo aveva convinto tutta la Commissione ad accettare la proposta di conferimento di incarico avanzata dal coordinatore del Comitato XX che ha presieduto i lavori dedicati all'analisi che la Commissione Antimafia ha dedicato alla situazione Covid», spiega il presidente Nicola Morra. Conoscenze con l'ex commissario Arcuri sarebbero state il tramite per la maxi commessa di mascherine per cui sono indagati - ancora per traffico di influenze illecite - il giornalista Mario Benotti e altri tre intermediari. Indagato in questo caso è anche lo stesso Arcuri con l'ipotesi di peculato. Nell'aprile del 2020, il momento di massima emergenza e difficoltà nel reperimento di mascherine, aveva autorizzato l'acquisto da 1,2 miliardi di euro, per 800 milioni di pezzi da tre aziende cinesi, che a loro volta avevano assicurato agli intermediari italiani provvigioni per 70 milioni di euro. Il frutto di un'attività di «mediazione occulta», secondo i pm. E Benotti avrebbe puntato a fare «altri affari», se i rapporti con Arcuri non si fossero interrotti. Come si legge nell'ordinanza del gip che aveva disposto le misure interdittive, il giornalista intercettato confidava alla moglie la sua «frustrazione per il fatto che il commissario ha interrotto i rapporti con lui e che questo potrebbe essere il sintomo che Arcuri avrebbe avuto notizie in forma riservata su qualcosa «che ci sta per arrivare addosso», chiaro riferimento alla possibilità di indagini giudiziarie». Italia Viva chiede una commissione parlamentare d'inchiesta sugli appalti. Oltre 13 miliardi di euro il valore di quelli indetti da Stato e regioni, secondo l'Osservatorio di Openpolis, in tutto il 2020. Lodovica Bulian
Emiliano Fittipaldi e Giovanni Tizian per "Domani" l'8 ottobre 2021. Lo scandalo giudiziario che ha coinvolto il fedelissimo dell'ex premier Giuseppe Conte, il legale Luca Di Donna, rischia di avere adesso riflessi importanti anche dentro i nostri servizi segreti e nei dipartimenti dell'intelligence di palazzo Chigi. Domani ha raccontato come il 5 maggio 2020 durante un incontro tra Di Donna e l'imprenditore Giovanni Buini – che cercava intermediari importanti per vendere mascherine alla struttura commissariale – nello studio Alpa fosse presente anche Enrico Tedeschi. Non un generale della finanza qualsiasi, ma il numero tre dell'Aise, l'agenzia informazioni e sicurezza estera diretta da poco più di un anno da Giovanni Caravelli. La notizia ha terremotato non solo Forte Braschi, ma anche il Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (Dis) guidato da Elisabetta Belloni e gli uffici del sottosegretario Franco Gabrielli. Tedeschi è infatti un uomo dei servizi considerato vicino a Marco Mancini e Nicolò Pollari, in ottimi rapporti con Gianni Letta, ma soprattutto è da anni capo di gabinetto dell'Aise, una poltrona delicatissima. Che ci faceva la spia nello studio dell'avvocato d'affari Di Donna, ex socio dell'allora premier Conte che al tempo era pure autorità delegata responsabile della nostra intelligence? Interrogato dai pm anticorruzione come persona informata sui fatti, Tedeschi ha minimizzato il suo ruolo, spiegando di aver conosciuto Di Donna in salotti privati. Dopo essere stato sentito dai pm ha però dovuto dare conto dei fatti anche al suo attuale capo Caravelli (all'epoca dell'incontro tra Tedeschi e Di Donna era vicedirettore con delega alla Libia), al quale ha spiegato come all'inizio dell'emergenza pandemica aveva avuto il compito, da parte dell'allora numero uno Luciano Carta, di trovare ogni canale utile per importare mascherine necessarie a contrastare il Covid. Un'incombenza che in effetti Carta (a maggio era ormai in uscita) aveva qualche mese prima affidato a lui e ad altre spie dell'agenzia. I rapporti della nostra intelligence, però, venivano sviluppati con aziende italiane o estere specializzate in protezioni individuali e forniture sanitarie: nessuno pare avesse autorizzato Tedeschi a stringere legami con un avvocato vicinissimo al premier Conte e che, secondo le accuse della procura di Roma, che indaga Di Donna per associazione a delinquere finalizzata al traffico di influenze illecite, in quel momento stava intermediando business opachi con le mascherine per profitti privati. Tedeschi dovrà probabilmente chiarire i contorni della faccenda ai suoi superiori, e chiarire se si trovava lì su ordine diretto e solo per scovare mascherine per la struttura commissariale guidata da Domenico Arcuri o se sapeva (fonti vicino a Tedeschi escludono però con forza) che Di Donna aveva chiesto all'imprenditore Buini una commissione come scambio dell'intermediazione e che l'avvocato sarebbe stato in grado di far ottenere a Buini «affidamenti diretti da parte della struttura commissariale», scrivono i pm Gennaro Varone e Fabrizio Tucci. I magistrati credono che Di Donna "trafficasse", dunque utilizzasse a loro insaputa, i nomi dello stesso Arcuri e di Conte. Non sappiamo al momento se il sottosegretario con delega all'intelligence Franco Gabrielli, uomo di fiducia di Mario Draghi, abbia anche lui aperto un faro sulla faccenda. I precedenti lasciano immaginare quali possano essere le conseguenze di vicende di questo tenore interne al comparto: quando mesi fa la superspia Mancini fu fotografata in un'area di servizio a parlare con il senatore Matteo Renzi, Gabrielli e Belloni impiegarono pochi giorni a ottenere il pensionamento anticipato dell'agente. Vedremo se stavolta Tedeschi riuscirà a convincere invece che non esistono né scandali né motivi di inopportunità nell'aver incontrato Di Donna. In questa storia di influenze, amicizie, spie e mascherine, è finito anche Buini: l'imprenditore di Perugia si è infatti trovato nel mezzo dell'inchiesta che lambisce il sistema di potere dell'ex presidente del consiglio Conte. Il sistema sotto accusa funzionava così: da un lato l'impresa che proponeva la fornitura, dall'altro la struttura commissariale per l'emergenza (l'acquirente) ai tempi guidata da Arcuri (messo lì da Conte), nel mezzo Di Donna, secondo i pm, il mediatore. Buini ha incontrato una prima volta ad aprile 2020 Di Donna e Gianluca Esposito, partner d'affari del primo e anche lui indagato. L'imprenditore perugino aveva in ballo con il commissario per l'emergenza una fornitura di 160 milioni di mascherine da distribuire alle farmacie a prezzi calmierati. «Avevo un accordo verbale con la struttura», ha detto Buini a Repubblica. Un suo amico, però, suggerisce all'imprenditore di incontrare due avvocati, Di Donna ed Esposito. Buini sostiene che fin dal primo incontro i due professionisti hanno fatto pesare i loro agganci con il capo del governo, facendogli firmare un accordo con cui lui si impegnava a versare ai due una consulenza pari all'8 per cento della commessa. Esposito, conferma Buini a Domani, gli ha detto che con Di Donna avrebbero potuto garantire affidamenti diretti dalla struttura di Arcuri perché l'avvocato professore alla Sapienza era il braccio destro del premier. Segue un secondo appuntamento nello studio Alpa, alla presenza stavolta di Tedeschi. Dopo l'incontro, però, Buini chiude i rapporti con Di Donna e compagnia, sicuro che avrebbe comunque concluso il contratto con la struttura commissariale. Nel giro di poco, capisce che gli uffici del commissario non erano più interessati alla sua proposta, «più vantaggiosa rispetto ad altre», sostiene l'imprenditore, che aggiunge: «Tutto quello che dovevo dire l'ho riferito ai magistrati, le connessioni eventuali fatele voi giornalisti, io voglio solo dimenticare, ho paura di ritorsioni, preferisco dimenticare». Di certo sappiamo che Buini era un cliente considerato affidabile fino a poche settimane prima: aveva già fatto arrivare ad Arcuri un milione di mascherine. E di certo c'è anche che i mediatori che usavano il nome di Conte avevano avuto contatti con Arcuri e la sua struttura commissariale: gli investigatori definiscono in particolare «di elevato interesse» i contatti tra Arcuri e Di Donna avvenuti tra il 5 e il 15 maggio 2020: nel mezzo, l'11 maggio, si colloca una delle offerte di forniture al centro dell'inchiesta. Per Buini il periodo post Di Donna sarà molto tormentato. Anche perché già un anno fa aveva subito una denuncia per truffa per una partita di mascherine considerate non a norma: «Si è chiarito tutto, dopo è stata autorizzata la vendita. Mi risulta sia una vicenda chiusa». Poi è finito sotto inchiesta pure a Perugia in un giro di colletti bianchi e prestanome di società: «Da un accertamento tributario con una contestazione di 50mila euro l'anno sono finito sotto indagine per associazione a delinquere e intestazione fittizia. Ma non c'entro nulla».
Di Donna, quelle anomalie da commissione d'inchiesta. Lodovica Bulian il 9 Ottobre 2021 su Il giornale. Iv chiede di indagare in Parlamento sugli affari legati all'avvocato amico di Conte. Ecco cosa non torna. Sono le inchieste a svelare il mondo opaco che si aggirava intorno ai possibili affari con lo Stato nell'anno della pandemia. Figure di intermediari oggi sotto indagine per traffico di influenze illecite, che sarebbero stati capaci di sfruttare relazioni personali per ottenere compensi su mediazioni considerate «occulte» dai pm, basate non su ruoli formali ma su conoscenze e amicizie. Che sarebbero diventate - alterando i meccanismi di mercato e di libera concorrenza - il «passpartout» per far accedere aziende private ad appalti per le forniture Covid. O per escluderne altre. Come sembra emergere dall'ultima inchiesta della Procura di Roma che ipotizza un'associazione a delinquere finalizzata al traffico di influenze illecite che aveva come figura centrale Luca Di Donna, detto «il Prof» per via della sua cattedra di diritto privato europeo alla Sapienza. L'ex collega e amico di Giuseppe Conte dai tempi della collaborazione nello studio di Guido Alpa, vero mentore dell'ex premier, avrebbe sfruttato - insieme con un altro avvocato ben addentro ai palazzi del potere, Gianluca Esposito - «relazioni con soggetti incardinati ai vertici di istituzioni pubbliche e strutture appaltanti» per ottenere compensi da parte di aziende private su forniture alla struttura dell'ex commissario Arcuri. Il quale, estraneo all'inchiesta, ha negato ogni coinvolgimento: «Mai assegnato appalti e forniture ad imprese rispetto alle quali risultava in alcun modo un interesse dell'avvocato Di Donna». Restano però per ora senza spiegazione i «contatti plurimi o frequentissimi» di cui parlano gli investigatori, tra i due avvocati indagati e l'ex commissario. Nonché «l'inserimento di fatto all'interno della struttura» e la loro «concreta possibilità di garantire ai privati affidamenti diretti e forniture». Come nel caso, secondo l'accusa, dell'impresa Adaltis, che ha fornito test molecolari per oltre tre milioni di euro. Forniture sarebbero invece state stoppate a un'altra azienda, quella dell'imprenditore Giovanni Buini, che dopo una prima commessa di mascherine si sarebbe visto rifiutare ogni altro incarico dopo aver a sua volta rifiutato la mediazione di Di Donna. E un'incognita è l'anomala presenza di un membro dei servizi, Enrico Tedeschi - capo di gabinetto all'Aise - a un incontro tra Buini e Di Donna. La giustificazione che avrebbe fornito Tedeschi sarebbe legata a un'attività di monitoraggio per la ricerca di dispositivi di protezione individuale. Di Donna invece sarebbe stato presentato a Buini come uomo molto vicino a Conte. Ma dopo l'arrivo a Palazzo Chigi l'ex premier dice di non aver avuto più alcun rapporto con l'amico avvocato: «In passato lo frequentavo, ma da quando sono diventato presidente del Consiglio non l'ho frequentato più. Non so nulla della sua successiva attività professionale». E pensare che Di Donna, definito da chi lo conosce «pupillo di Guido Alpa», era anche diventato consulente della commissione Antimafia proprio sugli appalti Covid. Alla notizia dell'inchiesta l'incarico gli è stato revocato: «Non ho mai avuto occasione di frequentare, incontrare, conoscere l'avvocato Di Donna. Posso dire che il curriculum scientifico di Di Donna è certamente importante e questo aveva convinto tutta la Commissione ad accettare la proposta di conferimento di incarico avanzata dal coordinatore del Comitato XX che ha presieduto i lavori dedicati all'analisi che la Commissione Antimafia ha dedicato alla situazione Covid», spiega il presidente Nicola Morra. Conoscenze con l'ex commissario Arcuri sarebbero state il tramite per la maxi commessa di mascherine per cui sono indagati - ancora per traffico di influenze illecite - il giornalista Mario Benotti e altri tre intermediari. Indagato in questo caso è anche lo stesso Arcuri con l'ipotesi di peculato. Nell'aprile del 2020, il momento di massima emergenza e difficoltà nel reperimento di mascherine, aveva autorizzato l'acquisto da 1,2 miliardi di euro, per 800 milioni di pezzi da tre aziende cinesi, che a loro volta avevano assicurato agli intermediari italiani provvigioni per 70 milioni di euro. Il frutto di un'attività di «mediazione occulta», secondo i pm. E Benotti avrebbe puntato a fare «altri affari», se i rapporti con Arcuri non si fossero interrotti. Come si legge nell'ordinanza del gip che aveva disposto le misure interdittive, il giornalista intercettato confidava alla moglie la sua «frustrazione per il fatto che il commissario ha interrotto i rapporti con lui e che questo potrebbe essere il sintomo che Arcuri avrebbe avuto notizie in forma riservata su qualcosa «che ci sta per arrivare addosso», chiaro riferimento alla possibilità di indagini giudiziarie». Italia Viva chiede una commissione parlamentare d'inchiesta sugli appalti. Oltre 13 miliardi di euro il valore di quelli indetti da Stato e regioni, secondo l'Osservatorio di Openpolis, in tutto il 2020. Lodovica Bulian
Paolo Ferrari per "Libero quotidiano" il 13 ottobre 2021. «Di Donna non l'ho mai incontrato durante la mia presidenza del Consiglio». Lo ha detto ieri sera Giuseppe Conte, ospite a DiMartedì su La7. «Non so nulla della sua attività professionale in quel periodo, se avesse utilizzato il mio nome sarebbe stato un utilizzo indebito». Le posizioni dell'avvocato Luca Di Donna e del generale della guardia di finanza Enrico Tedeschi continuano ad essere molto dibattute. Di Donna, insieme al collega Gianluca Maria Esposito, ha incontrato l'imprenditore Giovanni Buini, il 5 maggio 2020, presso lo studio romano dell'avvocato Guido Alpa, per discutere dei dettagli dell'intermediazione con la struttura commissariale presieduta da Domenico Arcuri. Alla richiesta di versare una provvigione sull'importo finale della commessa sulla fornitura di mascherine, Buini si era tirato indietro, per poi denunciare il tutto ai carabinieri. All'appuntamento era presente Tedeschi, capo di gabinetto dell'Aise. Il generale ha motivato la sua presenza quel giorno con la necessità dire perire mascherine per il personale dell'intelligence. A differenza di Di Donna ed Esposito, indagati per traffico di influenze, Tedeschi è stato solamente interrogato dai pm. Ma andiamo con ordine, iniziando da Di Donna. I parlamentari pentastellati hanno chiesto a Giuseppe Conte di fornire chiarimenti sul ruolo e sui numerosi incarichi ricevuti da Di Donna quando egli era premier. Proprio ieri, dalle colonne del Fatto Quotidiano, il presidente dell'Ordine degli avvocati di Roma, Antonio Galletti, ha ventilato l'ipotesi che Di Donna si possa dimettere da presidente della Commissione d'esame per l'abilitazione all'esercizio della professione forense nel distretto della Capitale. Era stato l'Ordine di Roma ad indicare lo scorso gennaio il nome di Di Donna al ministro della Giustizia Alfonso Bonafede. In attesa che Di Donna decida, dopo essersi già autosospeso da consulente della Commissione parlamentare antimafia, risulta confermata la sua presenza al convegno organizzato la settimana prossima dal Consiglio nazionale forense e dalla Scuola superiore dell'avvocatura sul ruolo delle scuole forensi. Intanto è giunta la precisazione del gruppo Barletta, l'impresa di costruzioni coinvolta nell'indagine a carico dei due avvocati. Pare che l'avvocato Esposito si fosse presentato per fargli ottenere dei finanziamenti da parte di Invitalia. Il gruppo Barletta stava realizzando un progetto a Maratea. Era stato, allora, sottoscritto un contratto di consulenza fra il gruppo Barletta ed Esposito a ottobre 2020. Il gruppo Barletta, però, aveva deciso di non avvalersi delle prestazioni professionali di Esposito ed era scaturito un contenzioso davanti al giudice civile a giugno, «prima della notizia dell'indagine». Il gruppo precisa che non «è stata presentata alcuna domanda di finanziamento ad Invitalia, mai erogati compensi ad Esposito». Per quanto riguarda Tedeschi, invece, da quanto si è appreso l'attuale direttore dell'Aise, il generale dell'esercito Giovanni Caravelli, gli avrebbe al momento rinnovato la fiducia, confermandolo nell'incarico.
Ilaria Sacchettoni per il "Corriere della Sera" il 15 ottobre 2021. Luca Di Donna, già collega dell'ex premier Giuseppe Conte, e i suoi soci, gli avvocati Gianluca Esposito e Valerio De Luca, indagati per traffico di influenze, avevano messo a punto il loro metodo: servirsi dei motori di alcuni enti di ricerca per contattare imprenditori in cerca di autopromozione e di appalti. Quindi proporsi di accreditarli con ministeri ed enti pubblici veicolando loro investimenti. Infine ottenere guadagni sulle commesse andate in porto. Sono i carabinieri del nucleo investigativo a ricostruirlo: «De Luca racconta (a un amico, ndr ) di come abbia ingaggiato un imprenditore di nome Antonio Colasante che dice essere titolare di un'importante azienda che però necessita di interlocuzioni di più alto livello con esponenti istituzionali». I due - De Luca e il suo interlocutore - trattano l'eventualità di una quota d'ingresso da chiedere all'imprenditore: «Ma ovviamente con l'amicizia che c'è non gli chiederà diecimila euro perché tanto... i guadagni ci saranno su altre cose speriamo...». Anche con Giovanni Buini, imprenditore che ha denunciato in Procura, Esposito e De Luca si rendono disponibili. Durante un appuntamento tra Buini, De Donna ed Esposito questi svela il proprio metodo: «Per farmi comprendere chi avevo di fronte mi fece leggere un articolo di stampa che cercò su Internet in cui il Di Donna era dipinto come il fedelissimo del capo del governo, Conte». Poi, sempre per sottolineare l'autorevolezza del suo collega, aggiunge: «Esposito mi disse che lui e Di Donna, qualora ce ne fosse stato bisogno, avrebbero potuto agevolarmi o crearmi delle opportunità di lavoro con la presidenza del Consiglio, sempre facendo riferimento alla vicinanza del Di Donna al presidente del Consiglio». Altrove De Luca parla di imprenditori che da «sfigati» sono divenuti milionari grazie «al modello prof» con riferimento a Di Donna, che è professore di diritto. Dalle carte emerge che nei giorni del grande affare sulle mascherine a Domenico Arcuri, ex commissario all'emergenza Covid, arrivò una serie di sms sia da Esposito che da Di Donna. Nove sms da Esposito a cui Arcuri rispose con appena 3 messaggini. E 12 da Di Donna a cui Arcuri scrisse solo due volte. Per l'occasione Mattia Fella, conoscente di Buini, comunica con Guido Bertolaso: «Sto cercando di avere un appuntamento tramite lo studio dell'avvocato Irti per vedere se riusciamo ad arrivare a una composizione bonaria della vicenda » scrive sui problemi incontrati nell'appalto per la fornitura di mascherine. L'obiettivo degli indagati è mettere a disposizione dell'imprenditore di turno un capitale di relazioni istituzionali di alto profilo: «Lui - dicono intercettati i protagonisti - ha bisogno di entrare in un sistema Paese... che lui non è ancora accreditato invece nei mondi... nei salotti buoni». Intermediari dei salotti buoni, insomma. Il progetto imprenditoriale viene solo dopo. Così, per fare un esempio, quando Esposito viene a sapere che Paolo Barletta, imprenditore e socio della influencer Chiara Ferragni, pensa a un progetto per ristrutturare un hotel di lusso a Maratea, gli propone di veicolargli un finanziamento di Invitalia».
Giovanna Vitale per "la Repubblica" il 15 ottobre 2021. «Io non ho raccomandato nessuno!» protesta Guido Bertolaso, il cui nome è spuntato fra le pieghe dell'inchiesta sull'avvocato Luca Di Donna, amico e socio di Giuseppe Conte, indagato per aver tentato di pilotare alcuni appalti Covid. Nella primavera 2020 l'ex capo della Protezione civile avrebbe sponsorizzato, con l'allora commissario all'emergenza Arcuri, l'imprenditore Giovanni Buini, pronto ad aggiudicarsi una maxi-commessa da 160 milioni di mascherine.
Dottor Bertolaso, intanto come conosce Buini?
«L'ho conosciuto cinque o sei anni fa su un bellissimo campo da golf in Umbria. Mi ha fatto subito un'ottima impressione: aveva una faccia pulita e onesta, mi è sembrato un ragazzo a posto cui piaceva fare l'imprenditore rispettando le regole».
È vero che è stato lei a presentarlo ad Arcuri?
«Assolutamente sì, adesso perché siamo in campagna elettorale sembra una cosa scorretta, ma ce lo ricordiamo tutti come stavamo messi un anno e mezzo fa: la gente moriva a grappoli, le mascherine erano introvabili e quelle che c'erano erano fuori norma. Un giorno mi chiama 'sto ragazzo e mi fa: "Guarda che io posso fornire mascherine a norma, perfette, certificate, però Arcuri non lo conosco". Allora io gli dico: "Bene, questa è la sua mail istituzionale, scrivigli, spiegagli tutto e poi sarà lui a valutare, a decidere se è utile"».
E poi cosa succede?
«Buini mi richiama a distanza di poco per dirmi che Arcuri gli ha risposto e probabilmente si vedranno. Dopo una settimana mi ritelefona e mi fa: è successa una cosa strana, mi avevano fatto l'ordine, poi si sono messi in mezzo alcuni personaggi ed è saltato tutto».
Che personaggi?
«Mi ha raccontato che c'era questo avvocato Di Donna che a un certo punto pretendeva una consulenza perché sosteneva di essere stato lui a fargli avere la commessa da Arcuri. Buini mi ha chiesto: "Che faccio?". E io: "Se ritieni che sia una richiesta indebita vai subito in Procura". Poi non ho saputo più nulla, quello che è accaduto dopo l'ho letto sui giornali».
Ma lei perché ha raccomandato Buini?
«Ma io non ho raccomandato nessuno! Ho solo suggerito di mandare una mail ad Arcuri, al quale poi ho scritto un sms: "Ti chiamerà questo ragazzo che forse può aiutarvi con le mascherine". Non è che ho insistito. In quel momento mi sembrava un dovere morale cercare di dare una mano al Paese che si trovava nei guai. Dopodiché non ho avuto nessun altro rapporto né con Buini né con Arcuri».
E Arcuri da quanto lo conosce?
«Lo conobbi a palazzo Chigi nel 2007, quando un alto funzionario della Presidenza del consiglio, governo Prodi, mi convoca e mi presenta due persone: Arcuri, allora già capo di Invitalia, e Giampi Tarantini (il famoso procacciatore di ragazze per le feste di Berlusconi, ndr ). In quella occasione mi dicono che avrebbero voluto realizzare un grande centro di Protezione civile in Puglia: "Arcuri ci mette i soldi e Tarantini lo realizza". Io rimasi basito, dissi no e me ne andai. Mi seccai molto di questa piccola imboscata».
Chi era questo alto funzionario?
«Lasciamo stare. Quando, anni dopo, venne fuori che fu Berlusconi a farmi conoscere Tarantini feci pure una nota Ansa per ristabilire la verità, cioè che era stato Arcuri a presentarmelo. L'ho messo anche a verbale alla Procura di Bari, che mi interrogò in relazione all'inchiesta su Tarantini».
Quando ha segnalato Buini ad Arcuri sapeva che le sue aziende erano sotto indagine?
«No, non è che sono un amico intimo né frequento i tribunali di Perugia».
Passando all'attualità, Michetti le ha proposto di fare il commissario ai rifiuti, qualora diventasse sindaco di Roma. Accetterebbe di farlo anche se vincesse Gualtieri?
«Io sono un funzionario dello Stato, servo le istituzioni. Chi dice che sono un tecnico di destra spara cazzate. Chi mi chiese di fare il Giubileo del 2000? Rutelli con Prodi al governo. Quando Rutelli si candidò premier, chi scrisse il suo programma? Io, con Paolo Gentiloni. Dopodiché Michetti è stato geniale a ipotizzare un commissario del governo per i rifiuti della Capitale e mi ha chiesto di farlo, in modo più corretto rispetto a Calenda: non potevo dire di no. Gualtieri non me lo chiederà. La verità è che qui nessuno ha idea di come gestire la spazzatura. Lei crede che qualcuno sappia che succederà a fine mese? Le discariche di Aprilia e di Civitavecchia chiuderanno e Roma non saprà più dove smaltire la sua immondizia. Un cataclisma».
Quindi sbaglia il sindaco Sala a dire che lei non è indipendente?
«Mi addolora che lo dica Sala, sa bene quanto ho fatto negli ultimi 8 mesi per i cittadini lombardi. E se lui è riuscito a realizzare quel popò di Expo è perché fui io a o classificarlo come Grande evento. Sono sempre stato indipendente da tutti, è questo che dà fastidio».
Giacomo Amadori François De Tonquédec per "la Verità" il 15 ottobre 2021. L'avvocato Di Donna vide in tv il direttore Belpietro mostrare la copertina di Panorama con l'inchiesta sui suoi affari e sui rapporti con Conte e si allarmò. Al punto che rimase nel suo ufficio fino a notte fonda, quando la sua compagna uscì con uno scatolone per poi rientrare a mani vuote. Secondo gli inquirenti furono distrutte delle prove. La scena che passerà alla storia dell'inchiesta su Luca Di Donna, l'avvocato amico dell'ex premier Giuseppe Conte, è quella ripresa nella notte tra il 27 e il 28 settembre dal sistema di videosorveglianza di piazza Cairoli 6, a Roma, dove si trovano lo studio professionale dello stesso Di Donna (accusato di associazione per delinquere finalizzata al traffico di influenze) e quello del suo maestro, il giurista Guido Alpa. Ma prima di descrivere la scena, occorre tornare indietro di qualche ora. Il perché lo scrivono ai magistrati i carabinieri del Nucleo investigativo nel penultimo capitolo di un'informativa di 196 pagine inviata urgentemente il 28 settembre alla Procura di Roma. Il motivo dell'urgenza è esplicato nel titolo del paragrafo 11 del documento: «L'anticipazione nel corso di una trasmissione televisiva della copertina del settimanale Panorama in cui verrà pubblicato che il legale (Di Donna, ndr) sarebbe indagato nell'ambito di un'indagine della Procura di Roma». I militari annotano che «nella serata di lunedì 27 settembre, dopo che intorno alle 21,10 il giornalista Maurizio Belpietro ha mostrato» in tv la copertina di Panorama «nella quale è ritratto, sotto il titolo "L'uomo che inguaia Conte", l'immagine di Luca Di Donna, lo stesso legale, che si trovava in ufficio, si è trattenuto oltre il solito orario (nel corso dell'indagine non è quasi mai rimasto in ufficio oltre le 20)». Ebbene, alle 0,43, una telecamera installata dai carabinieri riprende una donna, identificata «verosimilmente» nell'avvocato Maria Concetta Marzo, penalista e compagna di Di Donna, uscire dal portone dove si trova lo studio e rientrare «un minuto dopo, come se avesse fatto un giro di perlustrazione». All'1,18, sempre la stessa signora «esce dal portone con uno scatolone in mano e rientra un minuto dopo, senza scatolone». Di Donna, invece, «si allontana dall'ufficio» all'1,50. Per questo i carabinieri, guidati dal tenente colonnello Dario Ferrara, sottolineano «l'urgenza di acquisire quanto prima tutti gli elementi di prova ancora esistenti, in quanto qualora venisse citato qualcun altro degli indagati nell'articolo che domattina 29 settembre 2021 verrà pubblicato sul settimanale Panorama, vi sarebbe la probabilità che altri soggetti coinvolti nella vicenda decidano di distruggere altre prove». Per questo gli investigatori chiedono di «valutare la possibilità di emettere con urgenza [] un decreto di perquisizione personale» nei confronti di sette indagati, tra cui Di Donna e i colleghi Gianluca Esposito e Valerio De Luca. Le perquisizioni erano pronte per il 29 settembre mattina. Ma poi sono state rinviate, forse per non influenzare le elezioni della domenica successiva. Lo 007 Nella storia entrano anche i servizi segreti. Infatti, come ha raccontato l'imprenditore Giovanni Buini, a un incontro con Di Donna per discutere di una fornitura di mascherine, era presente anche il capo di gabinetto dell'Aise Enrico Tedeschi, cinquantaseienne di Cerchio (L'Aquila), il quale, il 30 dicembre 2020, ha spiegato al procuratore aggiunto Paolo Ielo e al pm Fabrizio Tucci, come fosse entrato in contatto con Di Donna: «L'ho conosciuto a casa della dottoressa Brunella Bruno (giudice amministrativo, ndr), con cui ho rapporti di amicizia, a una cena, alla presenza di magistrati contabili. Il rapporto si è poi evoluto attraverso Giovanni Bruno, professore alla Sapienza e fratello di Brunella Bruno, che credo fosse presente anche alla cena di cui ho parlato». Giovanni Bruno è un altro allievo di Guido Alpa e nell'agosto del 2018 è stato scelto come commissario della società Condotte Spa, in amministrazione straordinaria. Da Condotte e da una controllata, come ha svelato Panorama, Di Donna ha già incassato 637.000 euro di consulenze. Nel febbraio 2021 i commissari hanno conferito a Di Donna un ulteriore incarico che prevede una retribuzione con una parte fissa di oltre 20.000 euro al mese più una parte variabile per una durata di circa 2 anni. I pm hanno chiesto a Tedeschi la ragione della sua presenza nello studio Alpa insieme con Di Donna. Risposta: «La ragione era istituzionale. Per le funzioni che svolgo, in quel momento di estrema difficoltà nell'approvvigionamento di dispositivi di protezione individuale, noi come struttura eravamo alla ricerca di forniture di mascherine. Ne avevo parlato con Di Donna, così come, del resto, con altre persone ed egli mi comunicò che doveva incontrare un fornitore di mascherine che poteva essere utile consultare». Ma a Tedeschi non sarebbe stato presentato solo Buini: «Vi erano anche altre persone. In particolare incontrai altri due possibili fornitori di strumenti di sanificazione. Ho il ricordo di aver chiesto a un collaboratore della mia struttura, esperto di questioni tecniche, di essere presente, soprattutto con riguardo alla materia delle sanificazioni e termoscanner. Voglio aggiungere che la mia struttura non ha mai chiuso alcun tipo di accordo di forniture con Buini, né con gli altri».«braccio destro di Conte» Il 26 dicembre 2020 Buini in Procura dà la sua versione dei fatti e spiega che era stato l'amico Mattia Fella (cinquantottenne imprenditore barese domiciliato a Miami con buone entrature politiche) a consigliargli di parlare con Esposito, che conosceva, il quale aveva buoni rapporti con la struttura commissariale: «Io presi un appuntamento con l'avvocato Esposito, che incontrai nel suo ufficio, insieme a un altro legale, che si presentò come avvocato Di Donna. In questa circostanza egli mi disse di essere il braccio destro del presidente del Consiglio e di avere buoni rapporti con la struttura commissariale». Il 28 dicembre, sentito una seconda volta dai carabinieri del Nucleo investigativo di Roma, Buini approfondisce il racconto: «Esposito mi parlò dell'avvocato Di Donna, alla sua presenza, e per farmi comprendere chi avevo di fronte mi fece leggere un articolo di stampa che cercò su internet in cui il Di Donna era dipinto come un "fedelissimo" del capo del governo Giuseppe Conte. Esposito mi cominciò a parlare del lavoro che stavo facendo per la fornitura delle mascherine e dei dpi ed io gli parlai delle varie difficoltà affrontate. Esposito mi disse che lui e Di Donna, qualora ce ne fosse stato bisogno, avrebbero potuto agevolarmi o crearmi delle opportunità di lavoro con la Presidenza del Consiglio dei ministri, sempre facendo riferimento alla vicinanza del Di Donna al Presidente del Consiglio». La narrazione di un Di Donna legatissimo a Conte, trova riscontro nell'intercettazione del 7 settembre 2021 effettuata sul cellulare del broker sanitario Lorenzo Gragnaniello (indagato). Al telefono con un uomo che gli investigatori identificano come Salvatore, Gragnaniello parlando del legale dice: «Non hai ancora avuto la notizia adesso è il referente di Conte per quanto riguarda la ristrutturazione del partito ...». Quindi aggiunge: «Comunque ha avuto questo incarico, quindi di conseguenza sarà pure impegnato politicamente». Nonostante il vantato rapporto con l'ex premier il contratto tra Buini e i due avvocati ha, però, vita breve: «Uscito dall'ufficio dell'Esposito, ho riferito a Fella l'esito dell'incontro e gli ho parlato anche dei contratti firmati. Fella mi rispose sorpreso e scocciato per la stipula del contratto []. Nel corso della stessa conversazione Fella mi consigliò di recedere immediatamente dal contratto. Personalmente rassicurai Fella dicendogli che nel corso dell'incontro che avrei avuto con il Di Donna, avrei revocato ogni mandato». Il 5 maggio 2020, alle 12, Buini si reca all'appuntamento con Di Donna presso lo studio Alpa e lo trova con altre due persone che non conosceva: «Uno dei due si è presentato come il generale Enrico Tedeschi dei servizi segreti, mentre il secondo uomo, che non si è presentato, nel corso della conversazione è stato indicato come generale dei Ris dei carabinieri. [] Credo che l'incontro, assolutamente interlocutorio, sia durato circa mezz' ora ed io [] lasciai la riunione andando via senza nemmeno affrontare il problema della revoca del mandato. Per revocare il mandato e il contratto stipulato con i due legali, ho provveduto ad inviare una Pec in data 7 maggio 2020».Gli sms col commissario Nei giorni in cui si articola la vicenda Di Donna, Esposito e il commissario Arcuri si scambiano numerosi messaggi. Il 30 aprile, giorno del primo incontro tra Buini e i due avvocati, Esposito, alle 21,44, invia 4 sms sul cellulare del commissario. Che a sua volta risponde due volte nel giro di 120 secondi. C'è poi un altro botta e risposta e, infine, Esposito chiude le comunicazioni con altri tre invii. Gli investigatori rilevano anche «gli sms scambiati dall'utenza in uso all'avvocato Di Donna con quella in uso al commissario Arcuri tra il 5 e il 7 maggio. Tra le 18,31 e le 21,06 del 5 maggio Di Donna invia 7 sms ad Arcuri. Che replica con due messaggi alle 22,55. Di Donna ne invia altri tre, l'ultimo alle 23,38. Il 7 maggio, alle 15,52, Di Donna spedisce due sms ad Arcuri, apparentemente privi di riscontro. Alle 11,55, quattro ore prima, Buini aveva inviato ai due avvocati indagati la Pec con la disdetta del contratto e alle 12,20, appena 25 minuti dopo l'annullamento dell'accordo, Esposito aveva mandato un whatsapp a Fella, piuttosto aggressivo, che si chiudeva così: «A buon rendere». L'8 maggio Antonio Fabbrocini, responsabile del procedimento, liquida sulla porta del suo ufficio Buini e gli annuncia che «non avrebbe proceduto alla definizione della fornitura concordata pochi giorni prima, senza fornire alcuna giustificazione».La denuncia Sette mesi dopo, Fella, stimolato dalle notizie pubblicate dalla Verità (e rilanciate soprattutto in tv) sulla maxi commessa di mascherine da 1,2 miliardi di euro vendute grazie all'intermediazione di Mario Benotti & C. al commissario, racconta l'accaduto a un ufficiale dell'Arma, che informa l'autorità giudiziaria. Da questo scaturisce il fascicolo aperto dalla Procura di Roma. Ai magistrati che, il 24 dicembre 2020, gli chiedono conto dell'irrituale procedura Fella spiega: «Sono portatore di conoscenze, alcune delle quali dirette, altre mediate, in relazione alla questione dell'approvvigionamento delle mascherine, nel primo periodo della pandemia. Dalla lettura dei giornali di questo periodo ho ritenuto che tali conoscenze fossero utili per le indagini in corso presso la Procura di Roma». Un'intuizione davvero azzeccata.
Le trame di Di Donna, l'amico di Giuseppi che faceva il mediatore. Lodovica Bulian il 19 Ottobre 2021 su Il Giornale. Il fascicolo per traffico di influenze. Lo schema degli intermediari che sarebbero stati capaci di sfruttare relazioni personali per ottenere compensi su mediazioni considerate «occulte» dai pm, perché basate non su ruoli formali ma su conoscenze e amicizie, ritorna anche nell'altra inchiesta della Procura di Roma per traffico di influenze illecite. Ancora su mascherine, ma anche test molecolari e progetti finanziati dal Ministero dello Sviluppo economico. Indagato con altre 11 persone l'avvocato d'affari Luca Di Donna, considerato in passato vicino all'ex premier Giuseppe Conte dai tempi in cui condividevano l'attività allo studio di Guido Alpa, vero mentore dell'oggi leader del Movimento cinque stelle. Nell'indagine i carabinieri del nucleo investigativo, da intercettazioni e accertamenti, rilevano come l'avvocato «ha acquisito potere e ha potuto condurre gli interventi che hanno portato un arricchimento economico per tutti i sodali, dopo che una terza persona si è affermata (s' intende verosimilmente sotto il profilo politico). Da quel momento le porte della Pubblica amministrazione si sono aperte per loro, e le hanno sfruttate a pieno». Indagato anche l'avvocato Gianluca Esposito, ex direttore generale al Mise. L'indagine è partita dalla testimonianza di un imprenditore, Giovanni Buini, entrato in contatto proprio con Esposito e poi con Di Donna per il tramite dell'amico Mattia Fella. L'obiettivo sarebbe stato poter fornire la struttura commissariale di mascherine a prezzi «calmierati». Ma i due legali gli avrebbero proposto un vero contratto di consulenza che Buini poi avrebbe deciso di annullare. Per i pm quell'accordo sarebbe stato finalizzato «al riconoscimento in loro favore di somme di denaro in percentuale sull'importo degli affidamenti che avrebbero ottenuto dalla struttura commissariale». Quando gli viene presentato Di Donna, l'imprenditore ricorda che «per farmi comprendere chi avevo di fronte mi fece leggere un articolo di stampa che cercò su Internet in cui il Di Donna era dipinto come il fedelissimo del capo del governo, Conte». L'ex premier Conte, estraneo all'indagine, ha sempre dichiarato di non aver avuto più alcun rapporto con l'ex collega dopo il suo arrivo a Palazzo Chigi. Contatti diretti emergono invece, annotano gli inquirenti, tra Di Donna, Esposito e Arcuri. Quest' ultimo non indagato. Lodovica Bulian
Estratto dell'articolo di Marco Lillo Valeria Pacelli per il "Fatto quotidiano" il 6 ottobre 2021. Associazione a delinquere finalizzata al traffico di influenze. È il reato che la Procura di Roma contesta a Luca Di Donna, professore ordinario della Sapienza e avvocato che ha affittato lo studio legale che ospitò lo studio di Giuseppe Conte (di proprietà di una società terza e i due non lo hanno mai condiviso). […] Ieri dunque i carabinieri hanno perquisito sia l'abitazione che l'ufficio di Di Donna, che si trova al quarto piano nello stesso stabile dello studio del professor Guido Alpa. L'avvocato Alpa e Conte sono molto amici e i due studi condividevano fino all'uscita dell'ex premier dalla professione il centralino della segreteria e alcuni clienti. […]
Da “la Repubblica” il 19 ottobre 2021. L'inchiesta della procura di Roma su Luca Di Donna - il professore vicino all'ex premier Giuseppe Conte, al centro di un'indagine per traffico di influenze - fa la prima vittima: è il generale Enrico Tedeschi, ufficiale della Guardia di Finanza in servizio all'Aise da trent' anni dove svolgeva il ruolo di capo di gabinetto. Tedeschi ha annunciato ai suoi superiori di essere pronto a lasciare l'incarico, anche per evitare un eventuale procedimento disciplinare, velocizzando i tempi che lo porteranno al pensionamento. Il nome di Tedeschi lo ha messo sul tavolo l'imprenditore Giovanni Buini, uno degli accusatori di Donna. Ha raccontato infatti di essere stato allo studio Alpa per incontrare Di Donna e il suo collega Gianluca Esposito: avrebbero dovuto discutere di un contratto di consulenza, sulla base del quale i professionisti avrebbero dovuto aiutarlo a ottenere appalti pubblici per la distribuzione di Dpi. In quell'occasione, Buini ha raccontato di aver incrociato proprio Tedeschi: scambiarono due chiacchiere, i numeri di telefono e parlarono di mascherine. «Ero stato incaricato dall'Aise di trovare Dpi. Per questo ero lì» ha spiegato Tedeschi ai pm che lo hanno interrogato. In realtà la tesi non reggeva: Aise usava canali ufficiali per recuperare mascherine. E soprattutto nessuno lo aveva autorizzato a quell'incontro nello studio del professor Alpa.
Giuseppe Conte, non solo Di Donna: ecco la "banda degli onesti" dell'ex premier, quanti guai giudiziari. Francesco Specchia su Libero Quotidiano il 20 ottobre 2021. «Onestà! Onestà! Onestà!». Suona sfiatato, in queste ore, il motto di piazza dei Cinque Stelle di qualche millennio fa, quello che - direttamente ispirato alla poetica di Davigo - spingeva la band di Giuseppe Conte a ritenere il sospetto «anticamera della verità». Ora, la notizia è che l'ex commissario per il Covid Mimmo Arcuri e l'avvocato Luca Di Donna, sodali a vario titolo di Conte, risultano ufficialmente indagati per corruzione, peculato e abuso d'ufficio e traffico di influenze illecite, tutt'insieme. Approssimazione, violazioni di legge reiterate, morale vischiosa: la band di Conte oggi ci ricorda la Banda degli onesti di Totò, si passa dalla regia di Piercamillo Davigo a quella di Camillo Mastrocinque. Resta da capire se ad Arcuri va la parte del Principe De Curtis o di Peppino De Filippo, il mitico falsario Lo Turco. Sicuramente Di Donna è Giacomo Furia, dei tre il caratterista. Premettiamo: siamo garantisti, e questo terzetto dell'impossibile è giudizialmente innocente fino al terzo grado. Eppure non è bello. E spiazza il fatto che Arcuri sia indagato per la maxi-commessa da 1,25 miliardi per 800 milioni di mascherine Made in China giudicate non solo spropositatamente costose ma addirittura pericolose. Ci eravamo preparati, beninteso. Report sul caso aveva costruito una puntata, Libero sul tema è sempre stato aggiornatissimo. E bastava avere dei figli a scuola o ascoltare le invettive di Vincenzo De Luca («Cheste so' le mascherine di Bugs Bunny») per dubitare che quei dispositivi, a forma di piccolo pannolone, potessero avere tenuta stagna. Su Arcuri proseguono anche le indagini per altri due capi d'accusa, che si allungano fino ai conti sospetti di Invitalia di cui il caro Mimmo è onnipotente amministratore.
MADE IN CHINA
Sempre innocente fino a prova contraria, ci mancherebbe. Epperò fa specie leggere, dalla Guardia di Finanza, che «una considerevole porzione dell'intera fornitura sia stata validata sulla base di una sistemica sostituzione dei test-report». Il tutto mentre Arcuri alternava querele contro i giornalisti a ospitate tv; e nel frattempo aumentavano i contagi; ci diceva che tutto andava bene madama la marchesa; e firmava contratti da 100 milioni di pezzi con società olandesi con un solo dipendente, a prezzi raddoppiati; e sbagliavale forniture per il fabbisogno nazionale di camici, tamponi, reagenti. E se glielo facevi notare, diamine, s' incazzava pure e congratulandosi con se stesso si dava «delle pacche sulle spalle da solo». Scriveva Milena Gabanelli sul Corriere della sera: «Arcuri, manager politico navigato, non ha competenze specifiche in Sanità, ma l'articolo 122 gli consente di avvalersi di soggetti attuatori e di società in house, nonché delle centrali di acquisto. Decide di non farlo». Questo è Arcuri. Ora, si trattasse solo di inerzia, andrebbe anche bene. In realtà è l'attivismo degli onesti a creare problemi. Per esempio Di Donna, amico e coautore di molti testi scientifici di Giuseppe Conte, finisce nei guai a causa di un imprenditore che non voleva sottostare alla "clausola dell'otto per cento" da lui pretesa come mediazione per i grossi affari. Un casino pericoloso. Di tutta risposta, Conte, da premier, afferma di aver perso le tracce dell'amico carissimo. Il quale, però, proprio Conte regnante, diventa consulente della Commissione parlamentare antimafia (oggi è revocato), e si vanta attraverso il capo di gabinetto dell'Aise di avere influenza sugli appalti, quindi su Arcuri quindi su Conte stesso. Aldilà dell'esito delle indagini resta, per l'ex premier (non indagato) lo sgarro peggiore. La violazione del patto di trasparenza e, appunto, di onestà con gl'italiani.
PATTO DI FIDUCIA
Conte, durante il lockdown, chiedeva al popolo sudore, sangue e sacrifici. La gente moriva, la paura di non farcela avvolgeva il futuro e la palingenesi dell'Italia del dopo Covid doveva accendersi nel rispetto di un rinnovato rapporto cittadino/istituzione. Ogni politico avrebbe dovuto estendere la propria statura a quella di un padre costituente. Noi pensavamo al New Deal rooseveltiano, e alla nuova Frontiera di Kennedy («non chiederti cosa può fare il tuo paese per te...ecc ecc») e ci siamo ritrovati con la solita mentalità limacciosa, venale e- nel migliore dei casi - pasticciona della Banda degli onesti. Al di là come vada, ovvio che, col senno di poi, il generale Figliuolo ti sembra Eisenhower....
Dal “Corriere della Sera” il 6 ottobre 2021. «Escludo che nell'esercizio dell'attività professionale abbia compiuto illeciti. Non ho letto gli atti, di questa vicenda ho appreso soltanto perché ne hanno parlato i giornali». È il commento alla perquisizione del professor Guido Alpa, titolare dello studio e maestro di Di Donna.
Guido Alpa: «Mi chiamano Prezzemolino, ma odio apparire. Mai fatto favori a Conte». Stefano Lorenzetto su Il Corriere della Sera il 5 novembre 2021. Il giurista: «Non ho scritto io lo statuto M5S. Non conosco Grillo. Becciu voleva che lo difendessi». Il caso Di Donna: «Manovra a tavolino». Nella facoltà di Biologia dell’Università di Genova a quel tempo mancava tutto: stabulari, microscopi, vetrini, provette. Fu così che l’aspirante zoologo Guido Alpa ripiegò su Giurisprudenza e divenne ciò che è, uno dei maestri del diritto, accanto ai Delitala, ai Carnelutti, ai Nuvolone, ai Sandulli, ai Rodotà. «Infesto le riviste giuridiche da 50 anni, per me scrivere e respirare sono la stessa cosa», si schermisce. Ma qualcosa dell’antica vocazione è rimasto. A Otto, il bassottino che lo attende nella sua residenza ligure il venerdì sera e gli tiene compagnia fino al martedì mattina quando riparte per Roma, è riuscito a insegnare 150 locuzioni equivalenti ad altrettanti comandi. Farsi capire dagli animali più che dagli uomini procura all’avvocato Alpa un’angustia indicibile. «Vedo il mio nome accostato con pervicacia a vicende cui sono del tutto estraneo», sospira. Più esplicito il documento sottoscritto da 140 estimatori, 126 dei quali docenti universitari, che denuncia come «da tre anni a questa parte» il professor Alpa, per un decennio presidente del Consiglio nazionale forense che rappresenta gli oltre 200.000 avvocati italiani, sia «fatto oggetto di una continua, virulenta e infamante campagna mediatica», nella quale «gli vengono attribuiti inesistenti favoritismi concorsuali nei confronti dell’ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte, oscure relazioni di potere politico ed economico, comportamenti disonesti se non illeciti». Primo firmatario il giurista Pietro Rescigno, classe 1928, accademico dei Lincei. Un’attestazione di solidarietà giunta dopo che il nome di Alpa è stato accostato a quello dell’avvocato Luca Di Donna, in passato suo collaboratore, indagato per traffico illecito di influenze.
Da quanti anni ha lo studio a Roma?
«Da 30, da quando fui chiamato alla cattedra di Diritto privato alla Sapienza».
Mi aspettavo uno stuolo di associati.
«Lavorano con me otto avvocati, quattro qui e quattro a Genova. Mi occupo solo di diritto civile e commerciale. Organizzazione piccola, spese piccole».
Disse l’ex consigliere di Mediobanca.
«Non ho mai ricoperto questa carica».
È Wikipedia ad attribuirgliela, citando come fonte un noto quotidiano.
«La dice lunga sullo stato dell’informazione. Non conoscevo Enrico Cuccia».
Biologo mancato, giurista per caso.
«Cominciai ad amare il diritto dal terzo anno di università. Dal giorno in cui il mio maestro Stefano Rodotà, dovendo spiegarci il concetto di proprietà, trasse di tasca alcuni foglietti e ci lesse le lettere che i soldati avevano scritto al condottiero Oliver Cromwell per suggerirgli come disciplinare la materia in Inghilterra. Prima nessuno di noi capiva i valori in campo dietro le astruse formule giuridiche, ci limitavamo a consultare il codice».
Perché scelse il diritto civile?
«Perché costruisce la società, mentre quello penale serve più che altro a colpire. Ma ero affascinato anche dalle lezioni del professor Carlo Federico Grosso».
Primo difensore di Annamaria Franzoni nel processo per il delitto di Cogne.
«Mi avrebbe visto in tv da Bruno Vespa a esaminare il plastico della villetta?».
Il suo primo caso in tribunale?
«Un incidente d’auto a Genova. Con i giudici Vito Monetti e Giancarlo Pellegrino mi confrontai su un criterio: non quello del reddito perduto a causa del sinistro, bensì della lesione alla salute. Da lì nacque il cosiddetto danno biologico».
Il premier Conte, Alpa e il ruolo nella banca Carige. Palazzo Chigi: «Nessun conflitto»
Luca Di Donna, l’avvocato vicino a Conte, e le accuse: «Soldi illeciti e amicizie potenti»
Come conobbe Giuseppe Conte?
«Era già assistente di Diritto civile alla Sapienza quando io vi arrivai nel 1991. Non sono stato né il suo maestro né il suo mentore. Abbiamo lavorato insieme a qualche pratica e scritto un libro a quattro mani, ma non è mai stato mio associato. I nobili Pasolini dall’Onda gli diedero in affitto lo studio sopra il mio. Lo chiuse quando divenne premier. Mi sembrò un delitto, perché lo stimo molto, è un finissimo giurista».
Avete mai emesso fatture insieme?
«Si riferisce alla pratica affidataci da Rodotà, all’epoca garante per la privacy, in difesa del suo ufficio contro la Rai? O alla persecuzione delle Iene per dimostrare che ero nella commissione di un concorso vinto da Conte? Un assedio durato mesi. Una sera me le ritrovai appostate in aeroporto nonostante all’ultimo momento avessi cambiato il volo Genova-Roma. A tutt’oggi non riesco a capire chi abbia potuto allertarle».
Il miglior pregio di Conte?
«È molto intelligente. E anche molto paziente e molto tenace».
Il peggior difetto?
«Non ha la percezione del tempo. Arriva in ritardo agli appuntamenti perché si dimentica di caricare l’orologio».
Quando gli fu proposto di fare il presidente del Consiglio, si consultò con lei?
«No. La sua carriera pubblica è autonoma rispetto alle mie idee. Non fui tra coloro che gioirono per quell’incarico. Pensavo, e penso, che fosse un errore dedicarsi alla politica a tempo pieno».
È normale che abbia presieduto due governi consecutivi di segno opposto?
«Gli posi la stessa obiezione. Mi rispose che aveva un suo progetto da perseguire con entrambe le coalizioni».
E qual era questo progetto?
«Conte è profondamente religioso. È molto sensibile alla giustizia sociale, ai diritti fondamentali, alla tutela dei deboli. In loro vede l’immagine di Cristo».
Lei no?
«Con il tempo la mia religiosità è diventata laica. Però anch’io mi sento vicino ai poveri, agli umili, agli immigrati».
Per questo ha meritato la commenda dell’Ordine di san Gregorio Magno presieduto da papa Francesco?
«Quella la ebbi da Benedetto XVI».
Mi risulta che il cardinale Angelo Becciu volesse ingaggiarla come difensore nel processo in Vaticano per la vicenda del palazzo di Sloane Avenue a Londra.
«Vero. Avrei accettato volentieri, ma gli interessi del porporato erano in conflitto con quelli di un altro imputato, Raffaele Mincione, da me assistito nel caso Carige. Questione di deontologia».
Meglio lavorare per Palazzo Chigi.
«Un’altra grande falsità. Mai avuto incarichi. Anzi, proprio per il rapporto amicale con Conte, mentre era premier mi astenni da qualsiasi attività forense che fosse in conflitto con i ministeri».
Però voi due v’incontravate a cena.
«L’ho rivisto solo a luglio dopo tanto tempo, al Bellacarne, nel Ghetto. Gli avventori lo hanno applaudito. Poi circa un mese fa, nello stesso ristorante kosher».
Conosce Beppe Grillo?
«No. Ignoro persino i nomi dei genovesi che abitano nel mio palazzo».
Non ha steso lei lo statuto del M5S?
«Ennesima menzogna colossale».
Ha votato almeno per Virginia Raggi?
«Per fortuna voto a Genova».
Ha detto «per fortuna»?
«Voce dal sen fuggita. Cancelli. Vedo i pentastellati con simpatia. Hanno cercato d’introdurre nuove forme di partecipazione politica. Ma il compito che Conte si è assegnato mi pare improbo».
Mi parli dell’avvocato Luca Di Donna.
«Persona perbene, brillante. Non si è laureato con me. Ha lavorato nel mio studio, poi ha occupato quello lasciato libero da Conte. Sono molto triste per l’inchiesta che lo ha coinvolto. È aberrante che una persona venga a conoscere dai giornali atti coperti dal segreto istruttorio. Un caso dai contorni opachi».
Esclude che serva a colpire Conte?
«Non lo escludo affatto».
Per gli inquirenti Di Donna aveva «acquisito potere». Si parla di «un arricchimento economico per tutti i sodali, dopo che una terza persona si è affermata».
«Supposizioni. Hanno strumentalizzato financo la sua nomina a presidente in una commissione per l’esame di avvocato. Chiunque sa che si tratta di una grande perdita tempo, nemmeno retribuita, e che il ministero della Giustizia stenta a trovare docenti disponibili».
Su Di Donna, la Procura di Roma riporta un’intercettazione dei carabinieri: «Gli è cambiata la vita!».
«Gli è cambiata la vita? Non lo so. A me pare che conduca la stessa di prima».
Dalle carte emergerebbe che Di Donna avrebbe incontrato nello studio Alpa un imprenditore e un generale della Finanza per una fornitura di mascherine.
«Non conosco le persone citate. L’equivoco nascerà dal fatto che i nostri uffici sono ubicati nello stesso edificio».
Ne ha chiesto conto a Di Donna?
«Certo. “Sono tutte cose non vere”, ha risposto. Ha assistito questo imprenditore, il quale, una settimana dopo avergli conferito l’incarico, gliel’ha revocato. A una mia precisa domanda, ha risposto di non aver neppure ricevuto un acconto».
Lei conosce Domenico Arcuri?
«L’ho incontrato solo una volta in vita mia, a un pranzo, anni fa».
Qual è il suo attuale stato d’animo?
«Meno amareggiato, dopo gli attestati di stima. Un po’ l’età e un po’ l’esperienza m’insegnano che tutto passa. Il mio nonno paterno emigrò per fame in Argentina dal 1924 al 1952. Lasciò a casa moglie e quattro figli. Tre di loro andarono in guerra. Alla caduta del fascismo diventarono partigiani. Sono un resistente pure io. La vita mi ha allenato ai sacrifici».
La notte dorme, almeno?
«Sì, sì. Con l’antistaminico Remeron».
Ha mai dato interviste?
«Come questa, no. Dagospia mi chiama Prezzemolino, ma detesto apparire».
Come definirebbe la giustizia in Italia?
(Ride). «Un malato cronico. Massimo D’Alema mi ha chiesto un articolo sul tema per Italiani europei. Ebbene, è dal 1865, da quando esiste il codice di procedura civile, che si parla di riformarla».
Non ha nulla da rimproverarsi?
«Leggendo i giornali, mi sono chiesto in che cosa avessi sbagliato. Non ho trovato risposta. Ma se questo è il costo della democrazia, mi pare troppo alto».
Il gotha dell’Accademia: «Giù le mani da Alpa!». Straordinaria mobilitazione dal mondo dell’Università e del Diritto in difesa del grande giurista e presidente emerito del Cnf: «È oggetto di un’infamante campagna mediatica da tre anni. Ci rivolgiamo alle istituzioni», si legge in un appello pubblico firmato da centinaia di nomi, «perché da tale aggressione giudichino non la vittima, che ha una statura scientifica e morale assoluta, ma l’infimo livello dei suoi aggressori». Il Dubbio il 18 ottobre 2021. Da tre anni a questa parte il prof. Guido Alpa è fatto oggetto di una continua, virulenta ed infamante campagna mediatica. Gli vengono attribuiti inesistenti favoritismi concorsuali nei confronti dell’ex presidente del Consiglio prof. Giuseppe Conte, oscure relazioni di potere politico ed economico, comportamenti disonesti se non illeciti. Noi che conosciamo il prof. Alpa da anni, qualcuno anche da più di quaranta, sentiamo il dovere di far sentire, alta, la nostra voce a testimonianza della statura scientifica e morale del prof. Alpa. Del suo equilibrio e della sua ponderazione. Del suo davvero straordinario percorso di ricerca che ne fa uno dei non molti giuristi italiani con una reputazione internazionale. Del suo stile e della sua correttezza professionale che lo hanno portato per ben 10 anni a presiedere il Consiglio Nazionale Forense, l’istituzione pubblica che rappresenta gli oltre 200.000 avvocati italiani. Ma soprattutto vogliamo affermare a voce alta – in faccia a rappresentazioni grottesche e frutto di crassa ignoranza – che Guido Alpa ha saputo rappresentare, e tutt’ora rappresenta, in continuità con il suo Maestro Stefano Rodotà, una visione del diritto dalla parte dei soggetti marginali; del diritto come espressione di umanesimo e di cultura; della Giustizia come cuore dello stato di diritto. Una passione civile che da 50 anni trasmette, attraverso le centinaia di suoi libri e migliaia di suoi saggi, a colleghi e a generazioni di giovani studiosi. Troviamo vergognosa la campagna che contro di lui viene rivolta e ci rivolgiamo alle Istituzioni dello Stato – che nel corso di questi decenni Guido Alpa ha servito con generosità e discrezione e che dunque ben ne conoscono le qualità – perché da questa aggressione giudichino non la vittima, ma l’infimo livello degli aggressori.
Pietro Rescigno, Linceo
Rosalba Alessi, Università Di Palermo
Sandro Amorosino, Università La Sapienza, Roma
Gabriella Autorino, Università Di Salerno
Gaetano Azzariti, Università La Sapienza, Roma
Roberto Bin, Università Di Ferrara
Massimo Brutti, Università La Sapienza, Roma
Luciana Cabella Pisu, Università Di Genova
Giovanni Cabras, Università Roma Tre
Paolo Caretti, Università Di Firenze
Paolo Comanducci, Università Di Genova
Guido Corso, Università Roma Tre
Diego Corapi, Università La Sapienza, Roma
Giovanni Cordini, Università Di Pavia
Pasquale Costanzo, Università Di Genova
Gabriele Crespi Reghizzi, Università Di Pavia
Lorenzo D’avack, Università Roma Tre
Carla Faralli, Università Di Bologna
Gilda Ferrando, Università Di Genova
Maria Rosaria Ferrarese, Università Di Cagliari
Antonio Gambaro, Università Di Milano
Silvio Gambino, Università Della Calabria
Giovanni Giacobbe, Università Lumsa, Roma
Adriano Giovannelli, Università Di Genova
Carlo Guarnieri, Università Di Bologna
Guido Guidi, Università Di Urbino
Antonio Iannarelli, Università Di Bari
Sergio Lariccia, Università La Sapienza, Roma
Nicola Lipari, Università La Sapienza, Roma
Adelmo Manna, Università Di Foggia
Giacomo Marramao, Università Roma Tre
Guido Melis, Università La Sapienza, Roma
Luigi Moccia, Università Roma Tre
Antonio Padoa Schioppa, Università Di Milano
Massimo Paradiso, Università Di Catania
Mario Patrono, Università La Sapienza, Roma
Ubaldo Perfetti, Università Di Macerata
Eligio Resta, Università Roma Tre
Paolo Ridola, Università La Sapienza, Roma
Giampaolo Rossi, Università Roma Tre
Pasquale Stanzione, Università Di Salerno
Elda Turco Bulgherini, Università Tor Vergata, Roma
Giovanna Visintini, Università Di Genova
Paolo Zatti, Università Di Padova
Silvia Calamandrei, Archivio Calamandrei, Montepulciano
Andrea Barenghi, Università Del Molise
Gian Antonio Benacchio, Università Di Trento
Emanuele Bilotti, Università Europea, Roma
Giovanni Bruno, Università La Sapienza, Roma
Ilaria Caggiano, Università Suor Orsola Benincasa, Napoli
Enzo Cannizzaro, Università La Sapienza, Roma
Remo Caponi, Università Di Firenze
Roberto Caranta, Università Di Torino
Francesco Cardarelli, Università Foro Italico, Roma
Michele Carducci, Università Del Salento
Diana Cerini, Università Milano-Bicocca
Alessandro Ciatti Caimi, Università Di Torino
Giovanni Comandè, Scuola Superiore Sant’anna, Pisa
Massimo Confortini, Università La Sapienza, Roma
Enrico Damiani, Università Di Macerata
Barbara De Donno, Università Luiss
Francesco D’ippolito, Università Della Campania
Valerio Donato, Università Di Catanzaro
Tommaso Edoardo Frosini, Università Suor Orsola Benincasa, Napoli
Arianna Fusaro, Università Di Padova
Lucilla Gatt, Università Suor Orsola Benincasa, Napoli
Sergio Gerotto, Università Di Padova
Emanuela Giacobbe, Università Lumsa, Roma
Federica Giardini, Università Di Padova
Andrea Guaccero, Università Roma Tre
Paola Ivaldi, Università Di Genova
Luca Loschiavo, Università Di Teramo
Francesco Macario, Università Roma Tre
Giuseppe Martinico, Scuola Superiore Sant’anna, Pisa
Ugo Mattei, Università Di Torino
Antonello Miranda, Università Di Palermo
Laura Moscati, Università La Sapienza, Roma
Maria Donata Panforti, Università Di Modena
Giampaolo Parodi, Università Di Pavia
Michele Perrino, Università Di Palermo
Giorgio Pino, Università Roma Tre
Saverio Regasto, Università Di Brescia
Giorgio Resta, Università Roma Tre
Vincenzo Ricciuto, Università Tor Vergata, Roma
Angelo Rinella, Università Lumsa, Roma
Pieremilio Sammarco, Università Di Bergamo
Giovanni Sartor, Istituto Universitario Europeo, Firenze
Maurizio Sciuto, Università Di Macerata
Mario Serio, Università Di Palermo
Guido Smorto, Università Di Palermo
Claudia Storti, Università Di Milano
Alberto Toffoletto, Università Di Milano
Raffaele Torino, Università Roma Tre
Lara Trucco, Università Di Genova
Piero Zanelli, Università Di Bologna
Vincenzo Zeno-Zencovich, Università Roma Tre
Nadia Zorzi, Università Di Bologna
Biagio Andò, Universita Di Catania
Ettore Battelli, Università Roma Tre
Simone Benvenuti, Università Roma Tre
Francesca Brunetta D’usseaux, Università Di Genova
Fausto Caggia, Università Kore, Enna
Giovanna Capilli, Università San Raffaele, Roma
Francesca Caroccia, Università Dell’Aquila
Claudia Morgana Cascione, Università Di Bari
Nadia Coggiola, Università Di Torino
Margherita Colangelo, Università Roma Tre
Amalia Diurni, Università Tor Vergata, Roma
Giovanni Facci, Università Di Bologna
Andrea Gemma, Università Roma Tre
Roberta Montinaro, Università L’orientale, Napoli
Francesca Naddeo, Università Di Salerno
Luigi Nonne, Università Di Sassari
Flavio Peccenini, Università Di Bologna
Francesca Rescigno, Università Di Bologna
Angelo Riccio, Università Di Bologna
Gianluca Scarchillo, Università La Sapienza, Roma
Alessia Valongo, Università Di Perugia
Noah Vardi, Università Roma Tre
Leopoldo Vignudelli, Università Di Modena
Carlos Antonio Agurto Gonzáles, Giurista, Lima
Annalisa Atti, Università Di Bologna
Deborah Bianchi, Avvocato, Firenze
Stefano Carabetta, Università Di Messina
Lorenzo Cavalaglio, Notaio, Roma
Francesco Chiappetta, Avvocato, Milano
Michele Clemente, Avvocato, Roma
Elisabetta Corapi, Università Tor Vergata, Roma
Giuseppe Corasaniti, Avvocato, Roma
Giovanna Corrias Lucente, Avvocato, Roma
Amarillide Genovese, Università Di Bari
Alberto Giampieri, Avvocato, Roma
Cristiano Iurilli, Università Tor Vergata, Roma
Patrizio Messina, Avvocato, Roma
Giovanna Montella, Università La Sapienza, Roma
Maria Cecilia Paglietti, Università Roma Tre
Federica Resta, Giurista, Roma
Mario Siragusa, Avvocato, Roma
Rebecca Spitzmiller, Università Roma Tre
Sirio Zolea, Università di Macerata
Guido Calabresi, Yale University
Francesco Capriglione, Università LUISS, Roma
Adolfo di Majo, Università Roma Tre
Niccolò Abriani, Università di Firenze
Valerio Lemma, Unimarconi, Roma
Fabrizio Marinelli, Università dell’Aquila
Mirella Pellegrini, Università LUISS, Roma
Andrea Sacco Ginevri, Università Uninettuno, Roma
Marco Sepe, Unitelma-Sapienza, Roma
Enrico Antonio Emiliozzi, Università di Macerata
Antonio Fici, Università del Molise
Illa Sabatelli, Università Uninettuno, Roma
Paolo Gaggero, associato dell’Università di Roma-Sapienza
Alessandro Somma, ordinario dell’Università di Roma – Sapienza
Gianluca Sicchiero, ordinario dell’Università di Venezia
Fabio Toriello, associato dell’Università di Sassari
Giovanni Doria, ordinario dell’Università di Roma – Tor Vergata
Carlo Rossello, ordinario dell’Università di Genova
Ernesto Stajano, Roma – Scuola Nazionale dell’Amministrazione
Mariangela Ferrari, associata dell’Università di Milano – Bicocca
Marco Pellissero, ordinario dell’Università di Torino
Antonino Cataudella, già ordinario dell’Università di Roma-Sapienza
Francesco Benatti, già ordinario dell’Università di Milano-Statale
Maria Rosaria Marella, ordinaria dell’Università di Perugia
Maurizio D’Ettore, ordinario dell’Università di Firenze
Oliviero Diliberto, ordinario dell’Università di Roma-Sapienza
Geminello Preterossi, ordinario dell’Università di Salerno
Arturo Maresca, ordinario dell’Università di Roma-Sapienza
Stefano Bellomo, ordinario dell’Università di Roma-Sapienza
Enrico Del Prato, ordinario dell’Università di Roma-Sapienza
Paolo Corrias, ordinario dell’Università di Cagliari
Cesare Pinelli, ordinario dell’Università di Roma-Sapienza
Sergio Maria Carbone, già ordinario dell’Università di Genova
Andrea D’Angelo, già ordinario dell’Università di Genova
Giorgio Lener, ordinario dell’Università di Roma-Tor Vergata
Riccardo Guastini, già ordinario dell’Università di Genova
Roberta Tiscini, ordinaria dell’Università di Roma-Sapienza
Roberta Peleggi, associata dell’Università di Roma-Sapienza
Alessandra Paolini, associata dell’Università di Roma – Sapienza
Alessandra Di Martino, associata dell’Università di Roma – Sapienza
Maria Costanza, ordinaria dell’Università di Pavia
Angelo Barba, ordinario dell’Università di Siena
Giovanni D’Amico, ordinario dell’Università di Reggio Calabria
Claudio Consolo, ordinario dell’Università di Roma-Sapienza
Andrea Mora, ordinario dell’Università di Modena e Reggio Emilia
Maria Rosaria Maugeri, ordinaria dell’Università di Catania
Daniela Memmo, ordinaria dell’Università di Bologna
Giovanni De Cristofaro, ordinario dell’Università di Ferrara
Enrico Damiani, ordinario dell’Università di Macerata
Giuseppe Vettori, già ordinario dell’Università di Firenze
Lorenzo Cuocolo, ordinario dell’Università di Genova
Manuela Mantovani, ordinaria dell’Università di Padova
Ermanno Calzolaio, ordinario dell’Università di Macerata
Realino Marra, ordinario dell’Università di Genova
Giorgio Afferni, associato dell’Università di Genova
Roberto Pucella, ordinario dell’Università di Bergamo
Mauro Orlandi, ordinario dell’Università di Milano – Cattolica
Paolo Cendon, già ordinario dell’Università di Trieste
Tommaso dalla Massara, ordinario dell’Università di Verona
Angelo Venchiarutti, associato dell’Università di Trieste
Michele Sesta, già ordinario dell’Università di Bologna
Massimo Franzoni, ordinario dell’Università di Bologna
Giusella Finocchiaro, ordinario dell’Università di Bologna
Enrico Al Mureden, ordinario dell’Università di Bologna
Rita Rolli, ordinaria dell’Università di Bologna
Massimo Zaccheo, ordinario dell’Università di Roma – Sapienza
Carmela Camardi, ordinaria dell’Università di Venezia
Umberto Breccia, già ordinario dell’Università di Pisa
Massimo Proto, ordinario dell’Università di Roma – Link Campus
Roberto Carleo, ordinario dell’Università di Napoli – Parthenope
Silvio Martuccelli, ordinario dell’Università di Roma – LUISS Guido Carli
Luigi Balestra, ordinario dell’Università di Bologna
Valerio Pescatore, ordinario dell’Università di Brescia
Maria Pia Pignalosa, associata dell’Università di Roma – Foro italico
Diego Rossano, ordinario dell’Università Parthenope di Napoli
Antonella Antonucci, ordinario dell’Università di Bari
Alberto Urbani, ordinario dell’Università Ca’ Foscari di Venezia
Francesco Moliterni, ordinario dell’Università di Bari
Leonardo Dibrina, straordinario dell’Università Marconi di Roma
Domenico Siclari, ordinario dell’Università La Sapienza di Roma.
Nicola Biondo per nicolariccardobiondo.medium.com il 2 novembre 2021. Quanto ha pesato politicamente lo studio Alpa durante la stagione di Giuseppe Conte? C’è una storia, priva di risvolti giudiziari, che merita di essere raccontata. Una storia di diplomazia parallela nella quale spuntano lo studio dove l’ex-presidente si è affermato professionalmente e l’avvocato Luca Di Donna oggi indagato per associazione a delinquere finalizzata al traffico di influenze illecite. Di Donna è il vertice di una serie di relazioni con il regime cinese attenzionate da tempo nei report dei servizi italiani e non solo, come vedremo. La trama di questa diplomazia parallela va rintracciata a Trieste nella tarda primavera del 2020 quando l’Anac — l’autorità anti-corruzione — depone il numero uno del porto giuliano Zeno D’Agostino. Con mossa abile e spregiudicata D’Agostino chiama a sua difesa la studio Alpa. Mossa legale e legittima ma molto politica perché, come è noto, chiamare Alpa significava chiamare l’uomo che in quel momento sussurrava all’avvocato del Popolo saldamente a Palazzo Chigi e con un indice di gradimento ai massimi storici. Mossa che innesca una crisi diplomatica che qui proviamo a raccontare. Ufficialmente D’Agostino era stato ritenuto “colpevole” di conflitto di interessi, da qui la decisione dell’’Anac di rimuoverlo. In realtà quello stop è un tassello della lunga battaglia tra l’espansionismo cinese e l’Occidente. E racconta della virata filo-cinese che i governi Conte hanno impresso nel triennio ‘18-’20. D’Agostino manager capace e stimato, da sinistra a destra, fino alla sua rimozione era l’uomo dell’accordo di ferro con il colosso statale di Pechino CCCC per la creazione di piattaforme logistico/distributive collegate ai terminal. Il porto di Trieste sarebbe diventato l’hub principale della Via della Seta, l’arma politico-commerciale dell’espansionismo di Pechino. D’Agostino era l’interprete perfetto della nuova alleanza geo-politica che la Lega a Cinquestelle aveva messo in campo non appena arrivati nella stanza dei bottoni. L’accordo era di portata storica: Trieste sarebbe diventata la principale porta d’oriente nel cuore d’Europa, D’Agostino appariva l’uomo giusto nell’epoca giusta, Conte l’uomo che aveva fondato questa Ost-politik 2.0 forte dell’appoggio vaticano, della sua vecchia amicizia con il cardinale Achille Silvestrini e soprattutto con il suo erede il cardinale Parolin: tutti desiderosi di aprire alla Cina. Il set di questa visione fu Villa Nazareth, sorta di college vaticano ma in realtà la vera Farnesina vaticana. Dietro l’accordo c’era chi vedeva una cessione di sovranità ad un regime totalitario, una scelta precisa del governo giallo-verde. Trieste diventò così ufficialmente un problema di sicurezza nazionale. Non solo per l’Italia ma anche per la Nato e gli Usa. L’accordo con i cinesi andava fermato. Su Trieste, e in particolare sul porto, l’attenzione delle intelligence erano fortissime da tempo. Altrettanto noto era il crescente fastidio degli americani. Nessuno però si sarebbe aspettato che a far precipitare tutto sarebbe arrivato un esposto anonimo contro D’Agostino: da qui il procedimento e poi la rimozione avvenuta nel giugno 2020. Fin qui la politica. Ma passiamo agli affari. Luca Di Donna è uno degli ambasciatori “all’orecchio” dell’inner circle contiano (e non si offenda l’ex-Presidente ma davvero non è credibile che i due vecchi amici e colleghi allo studio Alpa non si sarebbero più visti dopo l’ascesa a Palazzo Chigi). Di Donna in Cina è di casa: è nel board dell’istituto italo-cinese che nell’aprile 2019 venne presentato a Whuan mentre nelle stesse ore Conte era a Pechino al forum sulla Via della Seta. Torniamo a Trieste: i contatti tra D’Agostino e lo studio Alpa furono dettati non solo da una scelta professionale ma eminentemente politica. Chiamare in soccorso Alpa significava palesare fortissime connessioni governative, andare alla matrice di chi aveva deciso la svolta filo-cinese. Non solo: a Trieste c’è chi sostiene che il contatto fu mediato proprio da Luca Di Donna. L’avvocato infatti entrerà nel collegio di difesa di D’Agostino che contro l’allontanamento ricorse al Tar. Una difesa in punta di diritto ma anche molto politica. Ciò che fece saltare sulla sedia l’intelligence italiana, ma anche quella a stelle e strisce, furono una serie di foto. D’Agostino convocò una manifestazione dopo il siluramento a cui parteciparono centinaia di persone, una scena in stile “fronte del porto”. In mezzo alla folla apparvero alcune bandiere della Repubblica Popolare. Trieste, uno dei baluardi occidentali durante e dopo la guerra fredda, stava entrando nell’orbita cinese: questa fu la lettura dell’intelligence italiana e americana. La propaganda di Pechino si scatenò: sia a livello diplomatico che mediatico. Ciò avveniva negli stessi mesi in cui Palazzo Chigi affidava la video-sorveglianza del suo perimetro e dei suoi ingressi ad una ditta cinese e si sperticava in lodi per gli aiuti, la maggior parte dei quali (ventilatori e mascherine) farlocchi, provenienti da Pechino. Tutti atti finiti nei dossier dell’intelligence d’oltreoceano e al Copasir. La storia del porto e delle ramificazioni internazionali filo-cinesi del potere contiano non finisce qui, il fascicolo è ancora aperto. Alla fine Zeno D’Agostino è stato reintegrato al porto di Trieste, appena un mese dopo il suo allontanamento: lo studio Alpa e quello Di Donna vinsero la battaglia al Tar. Che però segnalò come il conflitto di interessi non era una tesi campata in aria. Nel settembre 2020 il colosso cinese finì nella black list degli Usa, la “Entity List”. Era un chiaro segnale: Pechino non deve entrare a Trieste. La via della Seta si fermò. Bloccato l’accordo con i cinesi al loro posto a Trieste sono arrivati i tedeschi di Hhla. Che proprio dallo scorso mese di settembre hanno come socio di minoranza Cosco, un colosso della logistica made in China. Come dicono alcuni vecchi lupi di mare triestini, “sanno proprio di soia, questi wurstel”.
Elena e la passione per Conte: «E' il sogno della mia vita». Franco Maurella su Il Quotidiano del Sud il 22 settembre 2021. STRAVEDE per Giuseppe Conte, Elena Buccino, la “pasionaria” della politica che avversa la desta e ritiene Giuseppe Conte il migliore dei politici italiani, condividendone i principi che ne animano l’azione politica. Elena Buccino è la stessa persona che a Villapiana Lido ha contestato il leader della Lega, Matteo Salvini, urlando e sovrastando gli altoparlanti fino a farsi ascoltare. Motivo della protesta il reddito di cittadinanza che Salvini vuole abolire e per tacitare la bionda Elena ha usato il microfono per dire che la sua protesta era dovuta al fatto che percepiva il reddito di cittadinanza e non voleva perderlo. “Sono una bracciante agricola – riferisce Elena Buccino – che si spacca la schiena lavorando pesantemente ma percependo un salario da fame. Mi chiedo perché al Nord i salari sono giusti e qui da noi seppure lavoriamo sodo, siamo sottopagati. I datori di lavoro al sud non pagano come dovrebbero”. “E’ bene che Salvini lo sappia – aggiunge – che io non percepisco alcun reddito di cittadinanza ma vivo del frutto, povero, del mio lavoro. Per questo ho una rabbia dentro che non riesco a sfogare”.
Accogliamo di buon grado lo sfogo di Elena Buccino che vorrebbe essere ospitata in una trasmissione televisiva di una emittente nazionale “magari Barbara D’Urso”, per “dirgliene quattro a quelli della destra che hanno governato la Calabria riducendola nello stato in cui si trova e denunciare i datori di lavoro che ci schiavizzano e non ci pagano come dovrebbero”. Il riferimento è al lavoro, alla sanità, alle infrastrutture che mancano e nemmeno si vedono all’orizzonte. Poi, con Elena apriamo il capitolo Giuseppe Conte. Lei, la “pasionaria” si reca in quel di Rossano per vedere e ascoltare il suo idolo. “E’ sempre stato il sogno della mia vita – dice Elena – incontrare Giuseppe Conte, poterlo vedere dal vivo, toccarlo, parlargli”. Le chiediamo: di tutto questo cosa ti è stato possibile realizzare. Elena risponde: “Io ero alle spalle del palco ed il cordone di polizia mi impediva di avvicinarmi. Allora lo ho chiamato e ho urlato Giusé girati. Lui si è girato e mi ha salutato. Gli ho mandato un bacio ed ho urlato che volevo essere al posto della sua compagna”. Da dove nasce questo amore per Conte? “E’ sempre stato l’uomo della mia vita. Lo adoro come uomo e come politico e quello che gli ho detto lo penso davvero”. Dunque, il sogno lo hai realizzato. “Non del tutto, il sogno è incompleto perché voglio parlargli mentre a Rossano mi sono limitata a guardarlo”. Per dirgli cosa? “Tante cose ma sono riuscita solo a passargli un biglietto. Lui ha sorpassato i poliziotti è venuto vicino a me e si è preso il biglietto che gli ho scritto”. Cosa gli hai scritto, se si può dire? “Ho solo scritto Giuseppe, ti prego chiamami e gli ho dato il numero del mio cellulare”. Quale Conte preferisci, l’uomo o il politico? “Mi piace tutto di Giuseppe Conte, come uomo e come politico perché siamo stato governati dalla destra e lui è l’uomo giusto per cambiare il futuro della Calabria”.
Aldo Grasso per il “Corriere della Sera” il 18 settembre 2021. Corrado Formigli ha inaugurato la nuova stagione di «Piazzapulita» (La7) con una decisa presa di posizione a favore dei vaccini: «Abbiamo un punto di vista molto forte e mai come in questo momento i media devono schierarsi. Lo faremo senza togliere la parola a chi la pensa diversamente. Credo che il green-pass sia uno strumento di libertà, è ovviamente un obbligo vaccinale sotto mentite spoglie, ma è finalizzato a far vaccinare le persone e a garantire una maggiore sicurezza». Giusto, non dimentichiamo mai il drammatico momento che stiamo attraversando. In un'intervista si era lamentato del fatto che «prendersela con i talk show sia ormai come sparare sulla Croce Rossa, ma [essi] assolvono il loro compito di raccontare la realtà». Certo, i talk raccontano la realtà se esplicitano un punto di vista (come Formigli ha fatto a inizio trasmissione), diventano invece corresponsabili della confusione che regna sui vaccini se artatamente alimentano la polemica e creano le condizioni per la rissa. Ospite per la prima volta della trasmissione c'era Giuseppe Conte. E qui si pone un secondo, interessante problema di comunicazione, soprattutto in relazione al contesto (il riferimento alla realtà presente) in cui si colloca la parola dell'ex premier. Nonostante l'incalzare delle domande, è sinceramente difficile seguire un ragionamento di Conte: il suo eloquio non è mai diretto, concreto, ma piuttosto elusivo. A una domanda precisa risponde sempre con perifrasi, con concetti vaghi, con contorsioni sintattiche sorrette da una sorta di lirismo malinconico («Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno»). Terzo esempio comunicativo: Marco Minniti e Ale Di Battista duellano sull'Afghanistan e su altri scenari di guerra. L'uno, Minniti, più realista del re, l'altro, Di Battista, più idealista che mai, in proporzione diretta alla sua conoscenza dei problemi.
"Conte si fa i c... suoi": tra i 5S è Chi l'ha visto? Francesco Curridori l'1 Settembre 2021 su Il Giornale. Giuseppe Conte sale sul banco degli imputati non solo per le troppe gaffe, ma anche per il flop che si pensa arriverà con le prossime amministrative. In casa M5S, poi, brucia "l'assenza" da Primavalle. Il M5S non potrà riconfermare il seggio di Primavalle. I parlamentari pentastellati, tra lo sconcerto generale, hanno appreso dalle agenzie che non vi sarà alcun loro candidato a Roma nel seggio lasciato libero da Emanuela Del Re, dopo essere stata nominata rappresentante speciale dell'Ue per il Sahel. In Transatlantico, i malumori serpeggiano e il neo leader del M5S, Giuseppe Conte, autore di alcune importanti gaffe sull'Afghanistan e sui ddl Sicurezza, viene visto come il principale responsabile di questa situazione. “L'impressione è che Conte si stia facendo i c.... suoi tant'è vero che noi parlamentari non lo sentiamo da tempo”, dice a ilGiornale.it un'autorevole figura del Movimento. “Lui si sta facendo i suoi tour elettorali-politici nei salotti e noi, anche su Primavalle, non sapevamo nulla”, aggiunge la nostra fonte. “Ora si atteggia a padrone del Movimento, ma le amministrative saranno la sua deadline”, preannunciano i più critici all'ex premier. Basta, infatti, fare un breve tour tra le città al voto per capire che le amministrative, per il M5S, saranno lacrime e sangue. A Torino, il sindaco uscente Chiara Appendino non si ripresenta e la candidata Valentina Sganga è fuori dai giochi, mentre a Milano Beppe Sala ha rifiutato l'appoggio dei pentastellati che schierano la manager Layla Pavone. La Capitale, invece, è l'esempio classico della difficoltà di trovare una sintesi tra Pd e M5S. Conte ci aveva provato sostenendo tacitamente la candidatura di Nicola Zingaretti al Campidoglio, ma Virginia Raggi non si è fatta da parte e, ora, Enrico Letta ha implicitamente respinto l'idea di un sostegno del Pd alla sindaca uscente. “Al ballottaggio arriverà Gualtieri”, ripete da giorni il segretario dem. Ed è chiaro che “se si va divisi sul sindaco, poi è difficile fare un patto per il collegio di Primavalle”, ci fanno sapere dal Pd. “E dove ci sono uscenti a cui si è fatto opposizione non è che improvvisamente fai un accordo”, ribadiscono i dem che hanno schierato il segretario cittadino Andrea Casu, ma non nutrono grandi speranze di vittoria.“Sulla carta non ha molte chances, ma se Gualtieri va bene, magari riesce anche a portare a casa la vittoria”, dicono i più ottimisti. “È ovvio che è un tentativo disperato sennò non avremmo puntato su Casu”, ammettono in casa Pd. Le intese tra i due partiti, quindi, sono state possibili solo per la Regione Calabria e per i capoluoghi di Bologna e Napoli, “due città dove vinceremo, ma con candidati del Pd”. La Capitale, invece, è data per spacciata: “Mi sembra difficile che la Raggi vinca e, in ogni caso, tutto rimarrà sottotraccia fino alle amministrative”, ci dicono i grillini. Ma, a preoccupare non sono solo le amministrative. In Emilia Romagna ben 37 attivisti hanno lasciato il M5S, mentre in Parlamento il reddito di cittadinanza viene messo in discussione da quasi tutte le forze politiche. “Tutte le piccole conquiste del M5S sono radicalmente messe in discussione e, quindi, tenere il piede in due staffe, come hanno fatto Grillo e Conte, non paga più anche perché Draghi sta operando come uno schiacciasassi e chi assume posizioni mediane vengono schiacciati”, ci spiega un ex pentastellato per nulla pentito di aver abbandonato il Movimento. “I miei ex colleghi continuano a voler galleggiare, ma le acque sono troppo agitate per poterlo fare ancora a lungo”, evidenzia la nostra che aggiunge: “Loro hanno riversato tutte le loro aspettative su Conte che ha ancora un patrimonio di popolarità che gli deriva dal periodo in cui era a Palazzo Chigi però non basta per rilanciare il Movimento”. Dal 2018 a oggi, infatti, ha dimezzato i suoi voti “ed è difficile che Conte possa accontentare gli appetiti dei tanti che vorrebbero continuare un'esperienza che continua a franare”, fa notare l'ex grillino. Ecco, dunque, che l'indiscrezione di Dagospia, secondo cui Conte, sostenuto in questo da Travaglio, sarebbe favorevole a eleggere Mario Draghi al Colle per ottenere le elezioni, sembra avere un certo fondamento. “Beh è chiaro che Travaglio voglia far andare Conte il prima possibile al voto per togliere di mezzo gli anti Fatto Quotidiano dal M5S”, ci confermano i grillini.
Francesco Curridori. Sono originario di un paese della provincia di Cagliari, ho trascorso l’infanzia facendo la spola tra la Sardegna e Genova. Dal 2003 vivo a Roma ma tifo Milan dai gloriosi tempi di Arrigo Sacchi. In sintesi, come direbbe Cutugno, “sono un italiano vero”. Prima di entrare all’agenzia stampa Il Velino, mi sono laureato in Scienze della Comunica
Stefano Feltri per “Domani” il 31 agosto 2021. Per qualche tempo è circolata una certa nostalgia per Giuseppe Conte, la cui popolarità dipendeva soprattutto dalla tendenza molto italiana di omaggiare il potente di turno e dall’essersi trovato a guidare il paese durante la pandemia. Ora Conte è tornato come leader dei Cinque stelle, parla, scrive, fa interviste. E a ogni uscita conferma quanto immotivata fosse la stima di cui ha goduto presso tanti nei mesi difficili del 2019-2020. Conte si erge a paladino della cruciale misura anti povertà del reddito di cittadinanza – varato dal suo primo governo – ma sbaglia clamorosamente il numero dei poveri a Milano (non ci possono essere 200.000 bambini poveri su 210.000 minorenni residenti a Milano). Poi interviene sulla crisi dell’Afghanistan e non si capisce bene cosa voglia dire: trattare con i Talebani è al contempo un’ovvietà (gli Stati Uniti lo fanno da anni) e una scelta di posizionamento su uno scacchiere dove alcuni paesi e l’Onu trattano i Talebani da terroristi e altri, come Cina o Pakistan, come strumenti per le proprie esigenze geopolitiche. In una intervista al Corriere della Sera, ora Conte riesce in un singolare sforzo di dissociazione dalla realtà: ci sono cose fatte dal suo governo che i ministri facevano da soli, tipo i decreti Sicurezza di Matteo Salvini. Soltanto ora Conte riconosce che quelle misure ingiustamente punitive per i richiedenti asilo “hanno messo per strada decine di migliaia di migranti dispersi per periferie e campagne”. Il 24 settembre 2018, invece, presentava quei decreti come un’alternativa necessaria alla “accoglienza indiscriminata” di cui si era macchiata l’Italia. Salvini al suo fianco annuiva. Altre misure nelle parole di Conte sembrano quasi eventi meteorologici, fuori dal controllo della politica, tipo quota 100: le misure di pensionamento anticipato, volute con uguale vigore da Lega e Cinque stelle, sono costate quanto il reddito di cittadinanza (19 miliardi in tre anni) ma si sono rivelate completamente inutili. Lo ha certificato Pasquale Tridico, presidente dell’Inps nominato da Conte: pensionamenti anticipati di 180.000 uomini e 73.000 donne in due anni, soprattutto pubblico impiego e a reddito medio-alto, e l’analisi dei dati Inps «non mostra evidenza chiara di uno stimolo alle maggiori assunzioni da parte dell’anticipo pensionistico». La storia che le aziende avrebbero assunto giovani al posto dei pensionati era una balla, propalata dal governo Conte per giustificare una misura clientelare a fini elettorali. Alla domanda su cosa fare dopo quota 100, che per fortuna finisce quest’anno visto che era attivata in via sperimentale, Conte non riesce a dare una risposta chiara, giusto il solito ritornello su «avviare un confronto per ampliare la lista dei lavori gravosi e usuranti». Che non vuol dire niente, ma «avviare un confronto» è sempre cosa buona e giusta. Dopo un aspro scontro con Beppe Grillo sul nuovo statuto del Movimento Cinque stelle, Conte ha ottenuto i poteri di indirizzo che reclamava. Non ha ancora dimostrato di avere un’idea chiara di cosa farne.
Giuseppe Conte, il ritratto di uno sconfitto: dal "buco" nel curriculum ai disastri con Arcuri. Ecco chi è davvero. Giuliano Zulin su Libero Quotidiano l'01 luglio 2021. Dovrà trovarsi un lavoro adesso Giuseppe Conte. Fino a pochi mesi fa decideva le nostre vite, con i proclami a notte fonda su chi potevamo incontrare e dove era lecito spostarsi. I Dpcm, i codici Ate co, le zone a colori, l'autocertificazione. Ora è il nulla l'avvocato foggiano. Potrà fare un partito per conto proprio, e i soldi chi li mette? Potrà continuare a insegnare a Firenze, questo sì. Ma la sua carriera politica sembra agli sgoccioli. Arrivato dal nulla, con un curriculum taroccato sull'inglese, sparirà nel nulla? Beppe Grillo ha sentenziato ieri che Giuseppi «non ha visione politica». In effetti non si era mai visto un signore che si dichiara «di sinistra» e poi va in Aula spalleggiato da Luigi Di Maio, all'epoca anti-Ue, e da Matteo Salvini, anti-Ue e anti -clandestini. In Parlamento si autonominò «avvocato del popolo». Fece da garante a un contratto, quello gialloverde, che in realtà piaceva a molti italiani. Durante quell'estate 2018 pareva che il Paese potesse cambiare davvero. Peccato che alla prima difficoltà, ovvero scrivere la Finanziaria, l'allora premier prese in giro gli italiani e l'Europa: vi ricordate quando sostituì il deficit al 2,4% (bocciato da Bruxelles) con il 2,04%? Come se la Commissione Ue fosse scema, come se i contribuenti fossero dei beoti. Conte si inimicò i vertici continentali per varare Quota 100 e il reddito di cittadinanza. Le altre riforme previste nel contratto? Era tutto un «entro un mese la bozza», «entro una settimana ne parleremo», «entro un anno...». Fatti mai. Prendere tempo, ecco la qualità dell'allora premier. Ma un'altra sua caratteristica era ed è il camaleontismo: difese Salvini dall'inchiesta sulla Russia e sugli sbarchi. Salvo poi voltargli le spalle appena il Capitano decise di salutare la compagine gialloverde. Il capolavoro fu l'incontro con i cinesi comunisti. L'avvocato li ricevette in pompa magna a Roma e poi volò a Pechino per inaugurare la Via della Seta, facendo imbestialire gli americani. Conte però, opportunista e appunto camaleonte, è ripartito a razzo con i giallorossi. Per fare cosa? Comandare. Bearsi di essere il premier. Mostrare la pochette. Ergersi a riserva della repubblica. D'altronde abbandonando il cattivone leghista, la fanfara progressista aveva iniziato a incensare- complice il gran lavoro del fidato Rocco Casalino - l'ex avvocato del popolo. Guai a criticarlo. Però i risultati non arrivavano, anzi l'influenza Dem aveva spinto Giuseppe a seminare tasse, salvo poi ritirarle pena la sconfitta del Pd in Emilia Romagna. Grillo ieri ha anche spiegato che Conte «non ha capacità manageriali». Certo, a fine gennaio 2020, dalla Gruber sentenziò: «La pandemia? Siamo prontissimi». Infatti, colto di sorpresa dal Covid, prima accusò l'ospedale di Codogno, poi affidò la gestione della macchina di protezione (mascherine, guanti) a Domenico Arcuri, l'uomo che sussurrava alle primule, ma che non ne ha imbroccata una, e infine accusò i giornalisti che fecero domande scomode a Bergamo, alle tre di notte. Ma d'altronde Conte impose i suoi diktat, con dirette improvvisate, a mezzanotte e dintorni. Incutendo il terrore con i suoi Dpcm e le sue auto certificazioni, che cambiavano ogni settimana. Sempre Grillo, sempre ieri, ha fatto sapere che Giuseppi non ha «capacità di innovazioni». Lo avevamo notato un'estate fa durante i famosi Stati generali a Villa Pamphili. Il "monarca" foggiano ospitò imprenditori, attori, cantanti. Una passerella che avrebbe dovuto portare idee nuove per far ripartire il Paese. Una settimana di parole, retroscena, foto: tutto inutile. Il premier era impegnato in altro: gettarsi a terra per avere il Recovery. Pur di raccontare che lui ha portato a casa più soldi di tutti, ha accettato condizioni capestro: si è impegnato ad aumentare il contributo italiano alla Ue. E fin lì... il problema è che il suo piano di riforme era un libro bianco, nel senso di vuoto. Talmente carico di niente che in Europa erano preoccupati: dobbiamo dare 209 miliardi a un signore che non sa come spenderli? Beppe Grillo ha infine sentenziato che Conte «non ha esperienza di organizzazioni». Due -tre esempi per dimostrare la veridicità di questa affermazione: 1) La sanatoria per i clandestini, che costò parecchie lacrime alla ministra Bellanova. Gli imprenditori agricoli si accontentavano di far arrivare gli stranieri che ogni anno vengono per la stagione. No, bisognava dare la possibilità a chiunque fosse per caso nel territorio italiano. Risultato finale? Un flop, evasa una domanda su 10, le altre su "Chi l'ha visto?". 2) I banchi a rotelle. Come far rientrare gli studenti in vista dell'autunno? Con dei "giostre", buone per fare l'autoscontro in classe. Ogni colpa ricadde sulla ministra Azzolina, però la faccia in una famosa conferenza stampa ce la mise il presidente del Consiglio. Per cui si autorizzò uno dei più grandi sprechi della storia repubblicana. 3) Le terapie intensive, queste sconosciute. Roberto Speranza, titolare della Sanità, un anno fa si dedicò alla stesura di un libro mai nato. Ma al premier non venne l'idea che bisognava incrementare le rianimazioni. Così a novembre, tornammo tutti in quarantena. E a Natale ai domiciliari. Conte ha steso un Paese. Economicamente e psicologicamente. Voleva rassicurarci, stava per diventare il becchino dell'Italia. Grazie a Renzi ce ne siamo liberati. Però, se Grillo lo ritiene un «incapace» perché ci ha rifilato questo tarocco? Ma vaffa...
Giuseppe Conte, retroscena e sospetto: la dichiarazione di guerra a Beppe Grillo solo una farsa? Libero Quotidiano il 28 giugno 2021. Cosa c’è dietro lo strappo di Conte a Grillo? Niente, l’ennesimo bluff. Lo rivela Dagospia che scrive che questa è la convinzione di deputati e senatori grillini. "Tutti già sanno che l'ex premier manderà a Beppe Grillo nelle prossime ore la versione modificata dello Statuto, così come l’ha chiesta grillo, a quel punto il comico accetterà e Conte potrà vendersi ai media la sua vittoria di Pirro", scrive il sito di Roberto D'Agostino. Eppure Conte in conferenza stampa era stato chiaro: "Nell'approssimarsi all'appuntamento per il lancio del nuovo corso con Beppe Grillo sono emerse diversità di vedute su alcuni aspetti fondamentali. E' emerso un equivoco di fondo: io credo che non abbia senso imbiancare una casa che ha bisogno di profonde ristrutturazioni. L'ho sempre detto, non mi sarei mai prestato ad un’operazione di facciata, di puro restyling", aveva precisato l'ex premier. "Il confronto all'Hotel Forum con Grillo fu molto schietto. Ho elencato alcune carenze, ambiguità che impediscono le grandi potenzialità di questa forza politica che potrebbero dispiegarsi appieno. Ho illustrato una serie di innovazioni secondo me indispensabili. Dall'incontro all'Hotel Forum ci siamo lasciati con il mio impegno a elaborare un progetto di riforma del M5S, che una volta condiviso ci avrebbe fatto partire con il piede giusto. Ho iniziato quindi a lavorare ad una sfida complessa ma anche stimolante. In questi 4 mesi ho studiato tanto, ho studiato gli Statuti del M5S, ho ascoltato suggerimenti di parlamentari, sindaci e singoli iscritti. Beppe sa bene che ho avuto e avrò sempre rispetto per lui. Spetta a lui decidere se essere il genitore generoso che lascia crescere la sua creatura in autonomia o il genitore padrone che ne contrasta l'emancipazione. Per lui c'è era e ci sarà sempre il ruolo di Garante, ma ci sarà distinzione tra la filiera di garanzia e la filiera degli organi di politica attiva al cui vertice ci deve essere il leader politico e la filiera di controllo", aveva chiarito Grillo. Ma ora la nuova versione di Dagospia sembra aprire tutt'altri scenari.
Paolo Bracalini per "il Giornale" il 28 giugno 2021. «Cosa si stanno litigando? Una scatoletta di tonno aperta e ormai già mangiata». Nicola Biondo, ex capo della comunicazione M5s alla Camera ai loro esordi, li conosce molto bene i personaggi della commedia (tragica, per l'Italia) del Movimento Cinque Stelle.
«È la guerra di Conte che in questo momento non è leader, non è eletto, non controlla i gruppi parlamentari, non è niente. Sta cercando di continuare a vivere di politica, ha assaporato il potere gli è piaciuto così tanto che non ne può più fare a meno. L' uomo è fatto così, ha un'ambizione a livelli patologici».
Quindi sta cercando di far fuori Grillo.
«Ha messo in moto la sua propaganda per farlo apparire in modo negativo, come se fosse il cattivo mentre lui è il buono, e i media stanno al gioco perché Conte è funzionale al disegno del Pd di allearsi con il M5s. Ma Grillo non è Davide Casaleggio, non riusciranno a eliminarlo. Grillo gli ha consegnato le chiavi della macchina, ma in un certo senso la macchina è sua».
Si è pentito di aver indicato Conte come leader?
«Lui e Gianroberto Casaleggio hanno sempre avuto idea che il M5s fosse un taxi da consegnare al figurante di turno, ma quando il figurante si mette in testa di fare di testa sua poi loro ti riportano all' ordine. È quello che sta succedendo ora. In più Conte non ha nessuna investitura come leader, è uno che è stato messo su un piedistallo e si è convinto di essere stato incoronato».
Ma la base grillina con chi sta?
«La base M5s è una chimera, non esiste più ma da molti anni.
Quella che consideriamo base sono quelli che sognano di ripercorre le orme di Luigi di Maio».
I miracolati in Parlamento mai sazi di tonno.
«A parte alcuni che vanno in processione nella casa romana di Conte e sono tutti senatori, come la Taverna e Patuanelli, il pensiero del gruppo parlamentare è riassumibile in una frase attribuita al ministro D'Incà e mai smentita: non si può andare a votare perché i nostri devono maturare i quattro anni per il diritto alla pensione. C' è un parlamentare M5s, di cui non farò mai il nome, che mi chiama tutti i giorni per sfogarsi».
E cosa dice?
«Dice: Ma davvero credi ai sondaggi che ci danno al 17%? Ma quando mai! Magari!. Sanno benissimo che non saranno mai rieletti e vogliono far durare la giostra il più possibile».
E chi può far durare di più il governo Draghi, Grillo o Conte?
«Grillo ha un rapporto personale con Draghi, lo ha incontrato e sentito più volte al telefono, è uno dei grandi sponsor dell'attuale maggioranza. L' altro con cui ha confidenza Draghi è Di Maio, non certo Conte».
Si dice infatti che con Conte leader il M5s potrebbe cambiare posizione rispetto al governo Draghi, addirittura farlo cadere.
«Ma no, questa è la variante Travaglio, il suo cupio dissolvi. Conte sarebbe un leader per interposta persona, non è in Parlamento, non governa i gruppi. La sua è solo una sete di poltrona».
Ma come finirà questa faida?
«Si arriverà ad una composizione, questo interessa soprattutto a Conte che senza il Movimento non va da nessuna parte. Chi se lo prende, una corrente del Pd? No, troveranno una sintesi, assai più gradita a Grillo che a Conte. Nel frattempo continuerà la guerra delle veline».
Tipo quali?
«Quella fatta uscire sull' incontro di Grillo con l'ambasciatore cinese, a cui Conte non avrebbe partecipato perché impossibilitato da concomitanti impegni. Ma figuriamoci, ma chi ci crede? In realtà mi dicono che Conte abbia dato intenzionalmente dato buca a Grillo per farlo apparire come filocinese e screditarlo agli occhi di Draghi, e far credere che alla base della rottura tra lui e Grillo ci siano visioni differenti di politica estera, quando invece è solo una guerra di potere. Tra l'altro tutta la partita delle mascherine cinesi e dei ventilatori cinesi difettosi sono opera del governo Conte. L' uso delle veline durante la sua presidenza del Consiglio andrà studiato nei libri di storia un giorno».
Il vaffa di Conte a Grillo. Luca Sablone il 28 Giugno 2021 su Il Giornale. L'ex premier sferza il garante: "Per lui va tutto bene così com'è, decida se fare il padre padrone. Non riesco a impegnarmi in un progetto in cui non credo". Nel Movimento 5 Stelle scoppia la bufera totale. Le bordate lanciate da Giuseppe Conte a Beppe Grillo sono davvero pesanti. L'ex presidente del Consiglio è intervenuto in conferenza stampa per spiegare la situazione nel M5S e fare luce sui rapporti con il garante. Non le ha mandate a dire. Anzi, l'avvocato ha colto l'occasione per togliersi qualche sassolino dalla scarpa: "Con Beppe sono emerse diversità di vedute su alcuni aspetti fondamentali. È emerso un equivoco di fondo: non ha senso imbiancare una casa che necessita di una profonda ristrutturazione. Beppe mi è sembrato ritenere che tutto vada bene così, salvo alcuni moderati aggiustamenti. Ho sempre detto che non mi sarei mai prestato a una mera operazione di facciata o di restyling". Ha sferzato duramente il comico genovese, senza giri di parole: "Ma così il M5S rischia una fase di declino. Non riesco a impegnarmi in un progetto in cui non credo. È un'iniziativa che richiede grande testa e grande cuore". Dichiarazioni che sanno di cannonate politiche verso il comico genovese, a cui lo stesso Conte ha rivolto un appello: "Spetta a lui decidere se essere il genitore generoso che lascia crescere la sua creatura in autonomia o il genitore padrone che ne contrasta l'emancipazione".
Le condizioni di Conte. L'ex premier ha dettato delle condizioni ben precise per raccogliere la sfida alla guida del Movimento 5 Stelle. Nella giornata di domani consegnerà i documenti prima a Grillo e poi a Vito Crimi, chiedendo che siano diffusi a tutti i membri della comunità. "Sono condizioni imprescindibili del mio impegno. Ho avuto un fittissimo scambio di mail con Beppe, ho accolto un buon numero delle sue osservazioni. Le altre non possono accoglierle, perché alterano questo disegno e creano confusione di ruoli e di funzioni", ha fatto sapere. Conte ha ribadito l'assoluto "no" a una leadership dimezzata. Anche se spesso è stato definito come un uomo delle mediazioni, su questo campo però non accetta mezze misure e punta a una chiarezza totale dei ruoli: "Non possono esserci mediazioni. Serve una leadership forte e solida. Una diarchia non può essere funzionale. Non ci può essere un leader ombra affiancato da un prestanome e in ogni caso non poteri essere io". Altro fattore importante è quello legato alla comunicazione, per cui l'avvocato ha voluto mettere subito le mani avanti evitando eventuali ambiguità future: "Il leader di turno deve avere completo controllo della comunicazione". Alla base pentastellata ha chiesto "di non rimanere spettatrice passiva di questo processo", invitandola a partecipare in prima persona alla valutazione della sua nuova proposta attraverso un voto online degli iscritti. Da qui la sfida al comico genovese: "Non mi basterà una maggioranza risicata e auspico che si esprima il prima possibile. Mi metto in discussione. Per partire dobbiamo essere forti".
Caos nei gruppi M5S. Nel pomeriggio era filtrato pessimismo: fonti di primo piano avevano parlato di "posizioni inconciliabili". Nel tardo pomeriggio di ieri vi è stata una telefonata tra i due: inizialmente si era parlato di spiragli di ottimismo per la buona riuscita di mediazione, ma con il passare delle ore le positività erano andate a sbattere con una fase di stallo a oltranza. "La telefonata è andata malissimo. Ormai è davvero difficile ci si possa mettere d'accordo...", aveva riferito chi aveva parlato di Grillo. Inoltre è saltato il blitz del garante a Roma: probabilmente ha ritenuto che non fosse utile rimettersi in viaggio verso la Capitale. La situazione di totale incertezza sta agitando le acque nei gruppi pentastellati. Gli eletti della Camera sembrano schierarsi dalla parte di Grillo, mentre al Senato le truppe contiane potrebbero avere maggiore peso. Fonti autorevoli del Movimento 5 Stelle, a poche ore dalla conferenza stampa dell'avvocato, avevano palesato uno stato di agitazione dovuto anche alle eccessive pretese di Conte: "Lo abbiamo chiamato per rilanciare il Movimento, non per scatenare la guerra mondiale".
Luca Sablone. Classe 2000, nato a Chieti. Fieramente abruzzese nel sangue e nei fatti. Estrema passione per il calcio, prima giocato e poi raccontato: sono passato dai guantoni da portiere alla tastiera del computer. Diplomato in informatica "per caso", aspirante giornalista per natura. Provo a raccontare tutto nei minimi dettagli, possibilmente prima degli altri. Cerco di essere un attento osservatore in diversi ambiti con quanta più obiettività possibile, dalla politica allo sport. Ma sempre con il Milan che scorre nelle vene. Incessante predilezione per la cronaca in tutte le sue sfaccettature: armato sempre di pazienza, fonti, cellulare, caricabatterie e… PC.
Elisa Calessi per “Libero quotidiano” il 28 giugno 2021.
Professor De Masi, secondo lei come va fa finire? Giuseppe Conte lascia o trova un accordo con Beppe Grillo?
«Credo che in questo momento sia quasi impossibile fare una previsione. Di sicuro Conte è molto ferito dal modo con cui Grillo ha trattato la faccenda: l'ha ridicolizzato e Conte è un professore universitario, ha un suo aplomb».
Perché lo ha trattato così? Gli è scappata la frizione o era una scelta deliberata?
«Grillo ci tiene realmente a mantenere in mano il timone del Movimento. Si è visto sottratto della funzione di Garante, la funzione massima che c'era, e ha reagito. Hanno tutti e due le loro ragioni».
È uno scontro di potere o tra diverse visioni politiche?
«Le visioni comportano potere. Tra due visioni vince la più potente. La politica è il campo del potere».
Domenico De Masi, sociologo e professore emerito di Sociologia del lavoro presso l'Università La Sapienza di Roma, conosce molto bene i Cinquestelle. È considerato uno degli intellettuali più vicini al loro mondo.
Lei ha incontrato più volte Grillo. Che impressione le ha fatto?
«È una persona intelligente. È l'uomo che insieme a Casaleggio ha creato un Movimento che in 8 anni è riuscito a rappresentare un italiano su tre. Uno che ha creato un movimento e lo sente suo, come un padre col figlio. Così come Gianni Agnelli sentiva sua la Fiat».
Ha sbagliato Conte a non tenerne conto nel nuovo Statuto?
«Conte non lo conosco. Ma pensavo avesse una tattica diversa, che lavorasse di più ai fianchi. Sappiamo che riesce a mettere insieme persone diverse, a creare accordi più che disaccordi. Lo ha fatto nel primo e poi nel secondo governo da lui guidati. Pensavo si sarebbe adoperato a mettere insieme le varie anime del Movimento: quella governativa, quella movimentista e quella digitale di Casaleggio. Invece è stato molto netto nel chiudere i rapporti con Davide Casaleggio e Di Battista. Pensavo fosse più temporeggiatore».
Però era stato Grillo a sceglierlo. È un Crono che mangiai suoi figli?
«Per una decina di anni ho studiato più di 400 gruppi creativi: redazioni, laboratori, troupe. Una costante che mi ha sempre stupito è che i creatori dei gruppi, siano movimenti, partiti o club, a un certo punto è come se prendessero le distanze e facessero di tutto per ammazzarli».
Come mai?
«La spiegazione è più psicanalitica che sociologica. È come se, arrivati all'apice e temendo il declino, si preferisse che la propria creatura morisse. Accadde una cosa simile con il settimanale Il Mondo di Mario Pannunzio. Ebbe un successo enorme. A un certo punto uscì un numero in cui Pannunzio annunciò che sarebbe stato l'ultimo. E non ne uscirono più. Mi sono capitati molti casi in cui il fondatore ha chiuso l'esperienza o ha creato i presupposti perché finisse».
Nel momento in cui il Movimento doveva trasformarsi in qualcosa di più strutturato, rischia di esplodere. È destinato a non cambiare mai?
«Sì. E anche questo è stato studiato. Un grande sociologo della politica italiana, Robert Michels, teorizzò che tutti i partiti sono nati come movimenti, ma non tutti i movimenti si trasformano in partito. Alcuni ci riescono, altri no. Alle Sardine non è riuscito. È riuscito ad Amedeo Bordiga con il Pci e a don Luigi Sturzo con la Dc».
Giuseppe Salvaggiulo per "la Stampa" il 12 maggio 2021. «Conte è un finissimo giurista e un bravo avvocato. Poteva mettere a frutto la sua esperienza di governo. Invece ha preferito mettersi in gioco. Ammiro il coraggio, è una grande scommessa con sé stesso». Chiacchierata con Guido Alpa, mentore dell' ex premier, nei giorni dell' uscita del suo libro, «Il diritto di essere sé stessi», edito da «La nave di Teseo» nella collana Krisis diretta da Massimo Cacciari e Natalino Irti. Libro colto tra diritti, identità, letteratura e politica.
Che idea si è fatto della caduta del governo Conte?
«L'idea che nel nostro Paese un governo non può durare più di tanto. È la storia dal 1948, non del 2021».
Perché?
«Perché la politica italiana è strutturalmente instabile».
E del governo Draghi?
«Che è il più attrezzato alla nuova fase, dominata dalla dimensione economica: Recovery Fund, ritorno dell'inflazione, sostenibilità del debito pubblico».
L'unità nazionale le piace?
«Serve realismo. In questo momento è utile che tutti cooperino, superando idee e interessi di parte».
Durerà?
«I governi Conte erano incalzati da opposizioni agguerrite. Draghi no. Eppure i partiti già litigano, perché ognuno deve mantenere la propria identità».
Qual è quella di Conte?
«È convinto che destra e sinistra siano superate, perché i modelli ideologici su cui si fondavano sono erosi».
Lei è d'accordo?
«No. Penso che ci siano ancora fattori distintivi: fraternità, solidarietà, inclusione, diritti».
Intanto Conte deve vedersela con la piattaforma Rousseau.
«La effettiva dimensione dell'identità digitale non è stata ancora percepita, la gente ancora non si rende conto di quanto sia pericoloso scambiare dati personali con servizi».
È stato colpito dalle rivelazioni dell'avvocato Amara su incarichi e parcelle, suoi e di Conte?
«Non ho mai conosciuto l'avvocato Amara. Gli incarichi ricevuti da curatore e giudice delegato sono legittimi e congrui, posso documentarlo».
Che cosa pensa della presunta loggia segreta Ungheria?
«Una boutade».
A che fine?
«Strategia difensiva, tecnica di condizionamento, forse intento di destabilizzazione».
Nel suo libro c'è una parte sull' omofobia, con un accenno alla «cultura dell'italiano medio». Perché, com'è?
«Tradizionale, nel senso che non ha registrato avanzamenti pari a quelli del costume e degli stili di vita. La diversità di orientamento sessuale e affettivo è ancora perseguitata».
Il suo giudizio sul ddl Zan?
«Mi sembra una questione di civiltà».
Sorpreso che sia così osteggiato?
«No. È sintomatico dell' esistenza, nella società italiana, di tabù con fondamenta ataviche. Il diritto di vivere la diversità nell' orientamento sessuale e affettivo viene ancora visto con disagio. Poi non stupiamoci se i nostri ragazzi vanno a Londra per sentirsi più liberi».
C' è un pericolo per la libertà di espressione?
«Non è questo il problema, se la libertà può provocare danni alle persone. Per esempio io sono favorevole alla sanzione per i negazionisti».
Che cosa pensa del dibattito sulla «dittatura» del politicamente corretto?
«Distinguerei. C'è differenza tra dire "giudei" e dire "ebrei", "nero" e "negro". Viceversa trovo superficiale l'ossessiva declinazione al femminile delle parole come sindaca e ministra: perché storpiarle? Mi pare una preoccupazione epiteliale».
La cultura dei diritti nel mondo politico è più avanzata di quella nella società?
«La mancata condanna della discriminazione (contro gli stranieri, gli ebrei, gli omosessuali) riflette la cultura diffusa e talvolta diventa un vessillo da issare a fini elettorali».
Si riferisce alla destra sovranista?
«Non solo. Anche la sinistra raramente reagisce con il necessario vigore».
E il Movimento 5 Stelle?
«Difficile dirlo in assenza di un dibattito culturale, con giornali e riviste che ne esprimano il pensiero».
Con Conte leader quale sensibilità si imporrà?
«Profondamente religiosa e centrata su umanità, serietà, trasparenza».
Avrà anche un difetto.
«Qualche volta medita troppo e può apparire temporeggiatore. Ma è solo scrupolo».
Così però non è un difetto.
«Eh eh».
Giuseppe Conte e il tesoro di Acqua Marcia. Ecco la vera storia. Vittorio Malagutti e Carlo Tecce su L'Espresso il 14 Maggio 2021. Una girandola di incarichi e ricche parcelle. Sempre sul filo del conflitto d'interessi. Coinvolti magistrati, avvocati e consulenti. Tra loro anche il lobbista Centofanti, poi arrestato per corruzione, che in un video ride e scherza con il futuro premier. Via del Babuino a Roma, galleria d’arte Benucci, dicembre del 2012. La voce di Adele che accompagna il video fa perdonare la videocamera tremula. Il filmato amatoriale indugia su tre uomini che ridono e si danno affettuose pacche sulle spalle. Quello al centro in completo scuro, che parla gesticolando, si chiama Fabrizio Di Marzio, un magistrato che da poco ha lasciato il tribunale fallimentare di Roma per approdare alla Corte di Cassazione e, soprattutto, è l’autore dei quadri appesi alle pareti dei saloni affollati di gente. Quello a destra, che un po’ imbarazzato offre lo sguardo all’obiettivo, è Fabrizio Centofanti, imprenditore di sé stesso e lobbista del gruppo Acqua Marcia del finanziere Francesco Bellavista Caltagirone. Originario di Artena, campagna romana, Centofanti fu ragazzo prodigio di militanza missina, poi ufficiale dell’esercito per i rapporti con i media e alla Croce Rossa nella stagione di Maurizio Scelli. Anni dopo, nel febbraio del 2018, verrà arrestato con plurime accuse di frode fiscale, corruzione giudiziaria, associazione a delinquere, cioè le inchieste che hanno macchiato l’onore della magistratura, provocato la radiazione del pm Luca Palamara e squarciato il mondo oscuro del faccendiere Piero Amara. Il video dura sei minuti e per una trentina di secondi si sofferma sul magistrato pittore e i suoi due ospiti. Quello col ciuffo e la riga in mezzo, ripreso di profilo, è Giuseppe Conte, avvocato, professore, allievo prediletto del maestro civilista Guido Alpa e futuro presidente del Consiglio. «Abbastanza vicina per iniziare una guerra. Tutto quello che ho è qui sul pavimento», sussurra Adele in “Turning Tables”. Quel pomeriggio di vernissage di otto anni fa un sacco di cose non erano ancora accadute a Centofanti, Di Marzio e Conte e a tanti loro amici. Il ginepraio di nomi, posti e soldi illustrato in questa inchiesta giornalistica è necessario per chiarire, attraverso fonti aperte e riservate, quello che il plurinquisito, condannato e aspirante “pentito” Amara ha riversato in più verbali ai pubblici ministeri di Milano, un materiale ambiguo che è diventato incandescente e fascicolo d’indagine con i magistrati che si accusano a vicenda. Nella sua fluviale deposizione Amara – come scoperto dal quotidiano “Domani” – ha riferito che Michele Vietti, allora vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, nel 2012 gli raccomandò Conte per imporlo come consulente legale di Acqua Marcia affinché il gruppo di Bellavista Caltagirone, in grave crisi, ottenesse il concordato dal tribunale di Roma. E poi ha svelato la presenza di una fantomatica loggia massonica denominata Ungheria a cui erano affiliati avvocati, magistrati e giudici. La nostra ricostruzione dimostra che già nel 2012 c’era con certezza un rapporto diretto fra il lobbista Centofanti e il legale Conte e che, con altrettanta certezza, esisteva una comitiva di professionisti che ha fatto carriera assieme. Di questa comitiva era parte, da illustre gregario, anche il due volte premier e nuovo capo dei Cinque Stelle.
TRACOLLO E FATTURATI. Il racconto di Amara ruota attorno all’agonia del gruppo Acqua Marcia di Bellavista Caltagirone fra il 2012 e il 2013. Sui conti pesavano debiti per oltre un miliardo di euro e le banche, da tempo in allarme, avevano interrotto i negoziati per il salvataggio di Acqua Marcia quando ai primi di marzo del 2012 il patron Bellavista Caltagirone fu arrestato per un’accusa da cui poi verrà assolto, quella di truffa ai danni dello Stato nella costruzione del porto turistico di Imperia. Con il socio di maggioranza agli arresti domiciliari e i creditori alle porte, nell’agosto del 2012 Centofanti venne addirittura promosso presidente di Acqua Marcia per alcune settimane. Reclutato nel 2008 per tessere relazioni d’alto bordo, dalla politica ai banchieri, il lobbista fece il suo mestiere e diventò il regista del disperato tentativo di salvare un gruppo che controllava 26 società, gestiva aeroporti, immobili, strutture turistiche e alberghi di lusso come il Villa Igea di Palermo e il Molino Stucky sull’isola veneziana della Giudecca. Non c’era tempo da perdere perché le banche minacciavano di pignorare immobili e titoli e c’era il pericolo concreto della bancarotta. Serviva un’intesa di massima con i creditori per arrivare a un’ipotesi di concordato da sottoporre al tribunale fallimentare di Roma. A fine settembre alla presidenza del gruppo venne indicato un commercialista esperto come Tiziano Onesti, che nel video della mostra appare con Centofanti, Di Marzio e Conte. Occorreva, però, anche una squadra di consulenti che mettesse a punto un piano di rientro dai debiti. L’incarico era ambito da molti professionisti perché Acqua Marcia valeva oltre 2 miliardi di euro di attivo e le parcelle sono commisurate al valore del patrimonio. Come si legge nel verbale del consiglio di amministrazione di Acqua Marcia del primo febbraio 2013, l’incarico di predisporre «il contenuto della domanda di concordato» fu affidato agli avvocati Guido Alpa, Giuseppina Ivone ed Enrico Caratozzolo (in quest’ordine nel documento, ndr). Oltre a questa squadra di legali, Acqua Marcia si avvalse anche della collaborazione di Conte. Il nullaosta dei giudici al concordato è del giugno 2013. Secondo quanto emerge dalle carte societarie, la parcella totale dei tre professionisti fu di 1,6 milioni di euro. Alpa venne contattato da Centofanti come già avvenuto per un parere sulla vicenda del porto di Imperia e non da Bellavista Caltagirone, che interpellato dall’Espresso dice di non conoscere il legale ligure con studio a Genova e Roma. Di sicuro né Caratozzolo né Ivone avevano lo spessore giuridico e la conclamata reputazione di Alpa. Il primo era l’ex assistente di Michele Vietti, già sottosegretario alla Giustizia nel governo di Silvio Berlusconi e in quel periodo vicepresidente del Csm. Negli ambienti giudiziari di Roma l’avvocata Ivone era nota anche per le sue collaborazioni professionali, fra pubblicazioni e seminari, con Di Marzio, il magistrato immortalato nel video del dicembre 2012 con Conte e Centofanti. La stessa Ivone ha spiegato all’Espresso che per Acqua Marcia fu interpellata da Caratozzolo all’inizio del 2012. E i dubbi sono più di uno: in quel momento non c’era l’ipotesi del concordato e sfuggono i titoli che permettessero a Caratozzolo di contattare colleghi. Con il concordato in corso, dal giugno 2013 e sino al 2016 in qualità di legale delle società di Acqua Marcia, Ivone ha incrociato il suo percorso professionale con Roberto Falcone, nominato dal tribunale come commissario giudiziale di una controllata del gruppo, la Acquamare. Falcone e Ivone, amici di vecchia data, oggi condividono lo studio a Roma anche con Di Marzio, che nel 2019 si è dimesso dalla magistratura e adesso fa l’avvocato. Ivone sostiene che la sua amicizia con il collega Falcone diventato commissario giudiziale non solleva alcun problema di conflitto d’interessi, anche se hanno lavorato su due lati opposti: uno per conto della procedura e l’altra a libro paga del gruppo Acqua Marcia. Il nome dei due professionisti si sovrappone anche in altre occasioni. Nominato curatore fallimentare dell’università privata Cepu, per esempio, nel 2016 Falcone ha chiamato l’amica e collega come legale della procedura. Quando fu ingaggiata per l’importante e redditizio incarico di consulente di Acqua Marcia, l’avvocata Ivone era conosciuta come professionista specializzata in crisi d’impresa. E proprio in questo campo, due anni prima, aveva già potuto cimentarsi nel compito fin lì di maggiore importanza e prestigio della sua carriera e l’unico fuori da Roma. A febbraio del 2010, infatti, Ivone fu nominata curatrice fallimentare del gruppo di cliniche Villa Pini di Chieti. L’incarico le era stata affidato dal giudice Adolfo Ceccarini, al pari di Ivone grande amico di Di Marzio. Pochi mesi dopo, a fine 2010, Ceccarini arriverà al tribunale fallimentare di Roma. Di Marzio ha confermato all’Espresso la sua amicizia con Ceccarini, ma ha specificato di averlo conosciuto soltanto dopo il 2010. Nel 2013 la procedura fallimentare del gruppo Villa Pini ha messo all’asta l’imponente collezione di quadri e altri oggetti di valore di Vincenzo Angelini, l’ex proprietario del gruppo. Per gestire la vendita fu chiamato, «nel rispetto di tutte le procedure», dice Ivone, il critico d’arte Matteo Smolizza. Il suo nome compariva anche tra i consulenti della liquidazione di Cepu il cui curatore era Falcone. Smolizza ha collaborato più volte con Di Marzio: per le attività artistiche private dell’ex magistrato e per i suoi progetti culturali con l’Osservatorio agromafie di Coldiretti di cui è componente.
AMICO A DISTANZA. Adesso Di Marzio è responsabile dell’area giuridica di Coldiretti e ha un ufficio nella sede a un passo dal Quirinale. Per l’Ordine degli avvocati di Roma, però, l’ex magistrato risulta domiciliato in piazza Cavour nello studio di Falcone e Ivone. «Condividiamo l’appartamento con Falcone, ma non c’è alcuna associazione professionale» dice Ivone, che però insieme a Falcone controlla anche una società, la Servizi immobiliari professionali. Di Marzio ha accettato di rispondere all’Espresso a proposito di questi incroci che possono apparire quantomeno inopportuni: «Un sodalizio professionale come l’ho avuto con Giusy (Ivone) l’ho avuto anche con Giuseppe (Conte). Nel dicembre 2019 sono stato assunto dall’università di Pescara perché ho superato un concorso per professore ordinario di diritto privato. A quel punto ho deciso di verificare la possibilità di iscrivermi all’albo degli avvocati. Tuttavia», continua Di Marzio, «dal gennaio 2020 ho accettato di svolgere la mia attività di capo area giuridica di Coldiretti. Dovevo però indicare un domicilio ai fini della regolarità dell’iscrizione. E allora lì (nell’ufficio di piazza Cavour, Ndr) ho tre amici. Giusy è una mia amica. Io ho messo il mio nome nella targa e tra l’altro è la mia domiciliazione effettiva, ma non ho neanche una stanza lì perché non do alcun contributo economico. Non c’è nessuna associazione professionale». Di Marzio ha incontrato Ivone quand’era giudice nel 2006, la frequentazione con Conte è meno datata, ma ha una svolta nel novembre 2013. Quando l’editore Giuffré assegnò a Di Marzio e Conte, perché Alpa declinò l’invito, la direzione della rivista giuridica “Giustizia Civile” nel novembre 2013. In quel periodo la Cosmec di Centofanti, una società usata dal lobbista per affari poi finiti sotto processo, organizzò una serie di convegni, conclusi da Alpa, per celebrare l’edizione digitale della rivista giuridica. Di Marzio ha ricordato di aver incrociato Centofanti più o meno a ridosso del vernissage del 2012 e che nel 2013 alla Cosmec, specializzata nei dibattiti di magistrati e avvocati, fu delegata la logistica dell’evento e la ricerca degli sponsor, che poi furono trovati in Eni, Enel e Gse. Di Marzio smentisce di essere un suggeritore occulto dell’amico Giuseppe e dunque di aver interferito, come gli è stato attribuito, nella mancata nomina del pm Nino Di Matteo alla guida del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap) durante il mandato ministeriale del Cinque stelle Alfonso Bonafede, a sua volta molto amico del due volte presidente del Consiglio. L’ex magistrato confessa anche di aver diradato gli incontri di persona con il suo amico Conte per evitare reciproci imbarazzi. «Con Giuseppe ho vissuto i giorni delle consultazioni nel maggio 2018», racconta Di Marzio. «Potevo ambire a molto», aggiunge, «ma ho preferito restargli lontano». Nel suo colloquio con L’Espresso, Di Marzio ha menzionato soltanto un’unica eccezione alla regola, quando il ministro Bonafede lo nominò nel comitato direttivo della Scuola superiore della magistratura. Adesso Conte, intervistato dal Fatto Quotidiano, neanche si ricorda se fu Centofanti a firmare i suoi contratti per Acqua Marcia. Non ricorda che Caratozzolo era un’estensione di Vietti, che Alpa l’ha tirato su bene, che Ivone era amica del suo amico Di Marzio. Non ricorda, insomma, che viene da lì, da una famiglia allargata. «I can’t give you what you think you gave me». «Non posso darti quello che tu pensi di avermi dato». È sempre Adele, colonna sonora di quel vernissage. Quando c’erano tutti, come altre, tante volte. E Conte sapeva chi dava e chi prendeva.
Il dossier del collaboratore di Giustizia. Piero Amara, il "Buscetta" dei colletti bianchi, inguaia Conte: consulenze e veleni. Paolo Comi su Il Riformista il 29 Aprile 2021. L’avvocato Piero Amara, l’ideatore del cosiddetto Sistema Siracusa, che utilizzando le parole del sostituto procuratore generale di Messina Felice Lima, è «una delle più gravi, estese e spudorate corruzioni sistemiche mai realizzate», è ormai a pieno titolo il Buscetta del terzo millennio. Le sue dichiarazioni presso varie Procure d’Italia stanno togliendo il sonno in questi giorni a politici e ad alti magistrati che hanno avuto negli ultimi anni rapporti con lui. Amara è balzato agli onori delle cronache agli inizi del 2018, quando venne arrestato in una operazione congiunta delle Procure di Roma e Messina per associazione a delinquere finalizzata, fra l’altro, alla frode fiscale e alla corruzione in atti giudiziari. Amara aveva messo in piedi un “team” di professionisti e magistrati – ben rodato – finalizzato a pilotare i processi e ad aggiustare le sentenze al Consiglio di Stato. Con lui venne arrestato il giudice Riccardo Virgilio, presidente di sezione a Palazzo Spada. Scarcerato dopo poco, Amara ha iniziato una “collaborazione” con gli inquirenti, patteggiando una pena sotto i quattro anni che, per il momento, lo ha messo al riparo dal carcere. Chi fin da subito non era affatto convinto della bontà del suo “pentimento” era stato il pm romano Stefano Rocco Fava che, agli inizi del 2019, aveva chiesto di arrestare nuovamente l’avvocato siciliano. Dai riscontri in possesso di Fava, Amara avrebbe ricevuto la cifra di 25 milioni di euro da Eni, poi diventati 80, pur in pendenza dei procedimenti romani e siracusani. Il motivo di questa corposa dazione sarebbe stato legato alla corruzione dell’allora pm di Gela, Giancarlo Longo, per procedimenti a tutela dell’amministratore delegato del colosso petrolifero Claudio Descalzi presso la Procure di Trani e Siracusa. Tale dazione avrebbe reso ricattabili i vertici di Eni. Amara, quindi, non aveva detto tutto quello di cui era a conoscenza sulle corruzioni. L’aggiunto Paolo Ielo aveva, però, respinto la richiesta di Fava a cui, poi, sentito il procuratore Giuseppe Pignatone, era stato anche tolto il fascicolo. Interrogato a Perugia, Amara era stato fra i principali accusatori dell’ex zar delle nomine Luca Palamara. A fine 2019 le peripezie giudiziarie lo portarono a Milano dove si sottopose a quattro interrogatori in meno di un mese davanti all’aggiunto Laura Pedio e al sostituto Paolo Storari nell’ambito delle indagini sui depistaggi nel processo Eni-Nigeria. E a questo punto la storia si tinge di giallo. Tali verbali, oltre ad essere inviati per competenza a varie Procure, sono stati inviati, non è dato sapere come e da chi, nei mesi scorsi alle redazioni di importanti quotidiani nazionali. I quotidiani, che non si sono mai sottratti in casi analoghi alla pubblicazione di verbali d’indagine, mantengono il riserbo per motivi diversi: da un lato perché vengono chiamati in causa esponenti dell’ex compagine governativa, la cui linea politica è stata appoggiata pancia a terra, dall’altro perché sono citati importati magistrati, soprattutto di Roma, da sempre loro fonti privilegiate. La pubblicazione del contenuto dei verbali è iniziata l’altra settimana a cura del Domani. Il primo a finire nel mirino è stato Filippo Patroni Griffi. Il presidente del Consiglio di Stato avrebbe indotto Amara a non licenziare l’esperta di relazioni istituzionali e sua amica Giada Giraldi, assunta in una delle società dell’avvocato siciliano, con un contratto di circa 4-5mila euro al mese, a seguito di una raccomandazione del faccendiere laziale Fabrizio Centofanti. Amara avrebbe detto ai pm di aver assunto nel 2017 Giada Girardi per fare un piacere all’allora influente presidente della Quarta sezione del Consiglio di Stato. Patroni Griffi, però, sarebbe stato anche il presidente del collegio che doveva decidere in un contenzioso tra due società, il titolare di una delle quali era assistito dallo stesso Amara. Ieri è stato il turno di Giuseppe Conte. L’ex premier era stato segnalato da Amara per una consulenza per la società Acqua marcia, controllata da Francesco Bellavista Caltagirone con un compenso pattuito di 400 mila euro. A fare il nome di Conte sarebbe stato (ma ha negato fermamente) Michele Vietti, ex presidente del Csm. Dopo la consulenza per Acqua Marcia, finita in concordato, Conte aveva lavorato per l’imprenditore pugliese Leonardo Marseglia nella compravendita del Molino Stucky, stupenda struttura extralusso che sorge sull’isola della Giudecca a Venezia, e nel portafoglio della società di Caltagirone. Sulla carta un potenziale conflitto d’interessi, dal momento che Conte aveva lavorato prima come consulente di Acqua Marcia (di cui conosceva i documenti del concordato) e poi con Marseglia, che di quel concordato aveva beneficiato. Su questa trasmissione incontrollata di verbali è intervenuto ieri in Plenum al Csm il togato Nino Di Matteo, annunciando che nei mesi scorsi ha ricevuto un «plico anonimo, tramite spedizione postale, contenente la copia informatica e priva di sottoscrizione dell’interrogatorio di un indagato risalente al dicembre 2019 dinanzi a un’Autorità giudiziaria». Nella lettera che accompagnava il faldone, ha spiegato Di Matteo, «quel verbale veniva ripetutamente indicato come segreto». «Nel contesto dell’interrogatorio – aggiunge – l’indagato menzionava in forma evidentemente diffamatoria, se non calunniosa, circostanze relative a un consigliere di questo organo». L’ex pm ha quindi spiegato di aver subito contattato la Procura competente, cioè quella di Perugia, per riferire i fatti. Il suo timore, infatti, è che “tali dichiarazioni e il dossieraggio anonimo” possano “collegarsi a un tentativo di condizionamento” dell’attività di Palazzo dei Marescialli. La speranza è che le «indagini in corso possano tempestivamente far luce sugli autori e le reali motivazioni della diffusione di atti giudiziari in forma anonima». Il togato chiamato in causa è Sebastiano Ardita, davighiano della prima ora, accusato di far parte di una loggia massonica. Patroni Griffi, Conte, Ardita, hanno smentito le ricostruzioni di Amara, annunciando denunce. Chi sarà il prossimo? Paolo Comi
Fabrizio Boschi per "il Giornale" il 29 aprile 2021. Un nome che torna spesso. Piero Amara, l'uomo dei dossier e dei depistaggi, al centro di un sistema di relazioni tra consiglieri di Stato e aziende. Dalle vicende Eni - di cui è stato avvocato esterno - alle sentenze pilotate al Consiglio di Stato, dal «Sistema Siracusa» al caso dell'ex pm Luca Palamara. Coinvolto in vari procedimenti penali (deve scontare in carcere quasi 4 anni), l'avvocato siciliano è diventato ora il grande accusatore. Amara riempie da tempo i verbali dei pm raccontando le vicende di politici di partiti diversi, potenti assortiti e toghe d' ogni genere. L' ultimo suo bersaglio è l'ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte, che è adesso in forte imbarazzo per via di certi incarichi svolti prima di diventare premier. Il quotidiano Domani scrive che Amara avrebbe spifferato ai pm di aver «raccomandato» Conte per fargli ottenere, nel 2012-2013, consulenze dal Gruppo Acqua Marcia Spa (la più antica società immobiliare italiana) pagate circa 400mila euro. Una cifra legittima, ma sospetta secondo il testimone. Il nome di Conte sarebbe stato fatto ad Amara da Michele Vietti, l'ex Udc, eletto vicepresidente del Csm nel 2010. Vietti sarebbe stato a conoscenza del fatto che Francesco Bellavista Caltagirone, che controllava Acqua Marcia, doveva far omologare dal tribunale di Roma il concordato preventivo della sua società. L' impero dell'immobiliarista, infatti, prima di sfiorare il fallimento nel 2013 per un debito con le banche superiore al miliardo, spaziava dagli hotel ai porti, dagli aeroporti ai servizi finanziari e alla comunicazione. Secondo Amara la nomina di Conte come avvocato di Acqua Marcia (insieme a Guido Alpa ed Enrico Caratozzolo) era condizione fondamentale «per riuscire a ottenere l'omologazione del concordato stesso». Conte annuncia querela per calunnia: «Mai visto Amara in vita mia, non ho avuto rapporti professionali nemmeno con Vietti. Quanto percepito è congruo». E anche Vietti smentisce: «Amara mente». Uomo senz' altro da prendere con le pinze, i pm lo sanno, ma da ulteriori verifiche emerge che Fabrizio Centofanti (l'imprenditore accusato di aver corrotto Palamara e che nel 2012 era a capo delle relazioni istituzionali di Acqua Marcia) ha davvero ricevuto da Amara la richiesta di incaricare Conte. Può darsi anche che Amara menta, ma c' è una lettera del 2012 dove Centofanti scrive al professor Conte per chiedergli formalmente il «conferimento di un incarico professionale per la società dell'Acqua Pia Antica Marcia Spa». Due anni dopo Conte agevolerà anche l'acquisizione dell'hotel Molino Stucky di Venezia, controllato da Acqua Marcia, da parte dello sconosciuto imprenditore pugliese Leonardo Marseglia, che sbaragliò la concorrenza dei più importanti fondi immobiliari al mondo. Qualcuno potrebbe insinuare il conflitto d' interessi dato che Conte era stato prima consulente di Acqua Marcia (di cui conosceva i documenti del concordato) e poi di Marseglia, che di quel concordato ha beneficiato. Gli incarichi di Conte, scrive Domani, sono probabilmente tutti leciti, ma i suoi comportamenti non sono molto vicini all' homo novus senza macchia descritto dalla propaganda del M5s potenziale nuovo capo dei grillini. E l'ex premier, in un post su Facebook, respinge anche questa affermazione: «Attività pienamente lecita».
Giuseppe Conte, il "pentito" del caso Palamara rivela gli affari d'oro: "Raccomandato per 400mila euro". Lui? "Querela". Libero Quotidiano il 29 aprile 2021. Giuseppe Conte è finito nel mirino di Piero Amara, avvocato siciliano, al centro di un sistema di relazioni tra consiglieri di Stato e aziende, dalle vicende Eni - di cui è stato legale esterno - alle sentenze pilotate al Consiglio di Stato, dal "Sistema Siracusa" al caso dell'ex pm Luca Palamara, scrive il Giornale che cita l'inchiesta di Domani, il quotidiano di Carlo De Benedetti. Amara è coinvolto in diversi procedimenti penali e deve scontare in carcere quasi 4 anni. Ora è diventato il grande accusatore: ai pm ha raccontato le vicende che coinvolgono politici di partiti diversi, potenti vari e toghe, e appunto quelle che riguardano l'ex premier. Il quale è in imbarazzo per alcuni incarichi svolti prima di diventare presidente del Consiglio. Amara avrebbe detto ai piemme di aver "raccomandato" Conte per fargli ottenere nel 2012 e 2013 consulenze dal Gruppo Acqua Marcia Spa (la più antica società immobiliare italiana) pagate circa 400mila euro. Cifra legittima, secondo il testimone, ma sospetta. E ancora. Sarebbe stato Michele Vietti, ex Udc, vicepresidente del Csm nel 2010, a fare il nome di Conte. Vietti, a quanto pare, sapeva che Francesco Bellavista Caltagirone, che controllava Acqua Marcia, doveva far omologare dal tribunale di Roma il concordato preventivo della sua società. Secondo Amara la nomina di Conte come avvocato di Acqua Marcia (insieme a Guido Alpa ed Enrico Caratozzolo) era condizione fondamentale "per riuscire a ottenere l'omologazione del concordato stesso". Ma Conte annuncia querela per calunnia: "Mai visto Amara in vita mia, non ho avuto rapporti professionali nemmeno con Vietti. Quanto percepito è congruo". Pure Vietti smentisce: "Amara mente". Anche i pm sanno che le sue dichiarazioni vanno prese con le pinze però da altre verifiche emerge che Fabrizio Centofanti (l'imprenditore accusato di aver corrotto Palamara e che nel 2012 era a capo delle relazioni istituzionali di Acqua Marcia) ha davvero ricevuto da Amara la richiesta di incaricare Conte. Insomma, forse Amara mente ma c'è una lettera del 2012 nella quale Centofanti scrive a Conte per chiedergli formalmente il "conferimento di un incarico professionale per la società dell'Acqua Pia Antica Marcia Spa". Due anni dopo Conte agevolerà anche l'acquisizione dell'hotel Molino Stucky di Venezia, controllato da Acqua Marcia, da parte dello sconosciuto imprenditore pugliese Leonardo Marseglia. C'era un conflitto di interessi per Conte? I suoi incarichi, riporta Domani, sono probabilmente tutti leciti, ma i suoi comportamenti non sono molto vicini all'idea di "trasparenza" del Movimento 5 stelle. L'ex premier, da parte sua, respinge tutte le illazioni: "Attività pienamente lecita". Secondo l'ex premier si tratta di una vendetta di De Benedetti: "Gli affari li concludono gli imprenditori", come l'editore di Domani De Benedetti: "Da presidente del Consiglio non mi sono mai concesso il piacere di incontrarlo privatamente, pur sollecitato varie volte a farlo. Ma come lei sa mi sono dovuto dedicare a tempo pieno ai bisogni del popolo, di qui la rinuncia di cui l'ingegnere mi sta ripagando amabilmente".
Emiliano Fitttipaldi per “Domani” il 29 aprile 2021. Giuseppe Conte ha replicato all’inchiesta di Domani in merito ai suoi affari e alle consulenze segrete da centinaia di migliaia di euro con la società Acqua Marcia e con l’hotel Molino Stucky con una lunga lettera su Facebook. L’ex premier e capo in pectore del M5s lamenta come diffamatori «titolo» e «passaggi interni dell’articolo», senza tuttavia smentire nulla dei suoi incarichi e contratti. Poi aggiunge: «L’avvocato civilista non fa affari, tantomeno segreti, ma svolge attività professionale, tra cui consulenze e pareri legali, rispettando la riservatezza dei propri assistiti». Conte non è più un semplice legale da tre anni, ma un ex premier e il capo in pectore del più importante partito della maggioranza. Dunque che un giornale si occupi di consulenze e business di un politico di primo piano non è solo è lecito, ma doveroso. Conte su Facebook nega nuovamente (avevamo già riportato nell’articolo le sue smentite) le affermazioni di Piero Amara, un imprenditore-corruttore di giudici che – in alcune dichiarazioni rilasciate ai magistrati di Milano e finite ora a Perugia – ha detto di aver «raccomandato» anni fa l’ex premier, il suo maestro Guido Alpa ed Enrico Caratozzolo, a Fabrizo Centofanti, allora potente legale di Acqua Marcia. Il lobbista ha assunto i tre avvocati nel 2012 e nel 2013 per consulenze legali in merito al piano di ristrutturazione del debito e del concordato preventivo dell’impero immobiliare che è stato di Francesco Bellavista Caltagirone. Non dubitiamo che Conte (e gli altri avvocati citati dal “facilitatore” Amara) non sappia nulla di presunte raccomandazioni, nel caso avvenute a sua insaputa: già ieri l’ex premier ci aveva chiarito che potrebbe sporgere querela per calunnia contro quelli che ritiene suoi diffamatori. Le carte trovate da Domani non sono state però smentite dall’ex presidente del Consiglio. Conte conferma che Centofanti (oggi indagato per una presunta corruzione in atti giudiziari insieme a Luca Palamara, ndr) nel 2012 gli ha mandato una lettera d’incarico da 150mila euro. Mentre da visure camerali è sicuro che nel cda della controllata per cui Conte doveva fare pareri legali (la Acquamare) in quel periodo sedeva Amara in persona. Al netto dei soldi ottenuti da Centofanti e dai commissari del concordato, è però l’operazione Molino Stucky a far sorgere qualche interrogativo. Il Molino Stucky è infatti un albergo extralusso che Bellavista Caltagirone possedeva sull’isola della Giudecca. Secondo stime prudenziali del concordato valeva circa 300 milioni di euro ed era controllato una società di Acqua Marcia (la Ghms srl), finita anch’essa in concordato preventivo. E Conte ci ha detto di aver fatto la valutazione «sull’intero gruppo». Un anno e mezzo dopo aver lavorato al concordato Acqua Marcia e fatturato per la spa di Bellavista, l’ex premier ha preso però un altro incarico da un gruppo pugliese guidato da Leonardo Marseglia che nel 2015 ha assunto Conte per lavorare all’operazione finanziaria che gli porterà in dote il Molino Stucky: invece di essere messo all’asta al prezzo indicato dal piano concordatario come inizialmente previsto, dopo l’ok dei giudici e dei creditori l’hotel è finito a Marseglia. Un impresario specializzato in olio d’oliva che grazie all’expertise di Conte ha battuto fondi asiatici e americani, riuscendo a comprarsi i crediti delle banche (280 milioni) a circa la metà (145 milioni), di cui 25 di risorse proprie e il resto finanziato dagli stessi istituti di credito. «Un’operazione complessa e brillante» ci dice Conte. Che non ricorda quanto ha fatturato al cliente a cui ha fatto fare l’affare del secolo: «Un milione di euro? Molto meno: non ero venale con i miei clienti». Domani però ha scoperto che il professore di diritto privato non è stato l’unico consigliere di Marseglia nell’operazione Molino Stucky. Conte ha lavorato con Arcangelo Taddeo. Un architetto pugliese, già tecnico comunale del comune di Carovigno, che è finito anni fa in grossi guai giudiziari per il fallimento della grande Compagnia italiana turismo, società di cui era diventato nel 2005 amministrazione delegato. Taddeo, quando lavorava all’operazione Stucky con Conte, era stato da poco condannato in primo grado a 17 anni di carcere per bancarotta fraudolenta. «Sì, sapevo al tempo che Taddeo aveva un contenzioso pesante con Cit. Ma io ero il legale di Marseglia, Taddeo era solo il consulente scelto da Marseglia, non da me. Dovevo per principio evitare di lavorare all’operazione Molino Stucky con un condannato in bancarotta? Scusi, ma quindi un avvocato smette di fare l’avvocato?», dice Conte a Domani. «È sicuro la sentenza di Taddeo sia passato in giudicato? Quell’impianto accusatorio era davvero molto discutibile». Abbiamo contattato gli uffici del commissario della Cit, che ci hanno spedito la sentenza definitiva della condanna penale di Taddeo, passata in giudicato nel 2017. Gli anni di carcere comminati dai giudici della Cassazione sono scesi – dopo l’appello – a sette, ma i reati sono gravi: bancarotta fraudolenta aggravata e associazione a delinquere. Anche Milena Gabanelli ed esponenti del M5s come Elio Lannutti, nel 2012, avevano denunciato le azioni di Taddeo in inchieste tv e interrogazioni parlamentari. Conte risulta essere infatti stato avvocato di Taddeo ancora nel 2018: un breve articolo di Repubblica di luglio di quell’anno informava che l’avvocato foggiano aveva perso una causa nella quale assisteva Taddeo in persona che pretendeva «un risarcimento di 9 milioni di euro» per presunti danni provocati a lui e alla Cit. Una causa che l’ex premier e il suo cliente ormai pregiudicato hanno perso: «Il tribunale civile di Venezia – scriveva Repubblica – ha condannato Taddeo a rifondere le spese legali alle altre parti: 360mila euro».
Giuliano Foschini per repubblica.it il 29 aprile 2021. "Non sono un tipo abituato a esagerare o a sbilanciarmi. Ma davvero in questo caso mi sento in dovere di farlo: con Giuseppe Conte l'Italia non è in mani sicure. Ma si- cu- ris- si- me!". Scandisce così le parole, alzando anche la voce, Leonardo " Dino" Marseglia, il re pugliese dell'olio (e poi delle biomasse, e poi del turismo, e poi ancora fino ad arrivare a 700 milioni di fatturato all'anno), uno dei pochi a poter parlare del nuovo premier incaricato con cognizione di causa. Conte è infatti ( o meglio è stato, visto che il suo incarico è scaduto a dicembre del 2017, anche se non è ancora stato sostituito) nel consiglio di amministrazione di una delle società della holding Marseglia, la Ghms. "E' una società che abbiamo creato per comprare l'hotel di Venezia, Hilton Molino Stucky. Era un'operazione delicatissima, come avversari avevamo i più importanti fondi immobiliari del mondo. Era impossibile. E invece ce l'abbiamo fatta. Soprattutto grazie a Conte". Marseglia è imprenditore alla vecchia maniera. Detesta la comunicazione (non ha un ufficio, per dire), negli archivi si trovano disavventure giudiziarie (finite poi in assoluzioni) e poco altro, se non attacchi proprio dei 5 Stelle su alcuni progetti della sua holding. "In quel consiglio di amministrazione mi serviva una figura di garanzia, una persona riconosciuta da tutti come valida. E il professor Conte mi ha fatto questa cortesia: ma era una nomina pro forma, non è mai venuto nemmeno a una riunione. Dopodiché io vi posso assicurare che l'Italia è in mani sicure".
Come vi siete conosciuti?
"A Rosa Marina, perché lui viene lì a fare la villeggiatura estiva. Alcune persone che conosco mi avevano detto che c'era questo grande avvocato e così ho voluto conoscerlo. Mi ha fatto subito una grandissima impressione: è una persona seria".
Sembra innamorato.
"Sono sincero. Questo paese ha bisogno di una persona come lui".
Di cosa esattamente?
"Noi siamo soffocati dalla burocrazia, dalle regole anche quando non servono. I soldi ci sono, in Italia siamo pieni di soldi, soltanto che è difficile spenderli. Io sono sicuro che la prima cosa che il professore farà una volta al Governo è uccidere la burocrazia, quello è il suo lavoro, ne abbiamo parlato più volte. All'Italia serve qualcuno che faccia funzionare le cose: sa qual è il modo per vedere se le cose vanno bene?".
Quale?
"Il prezzo delle case. Se il mercato è immobiliare, i soldi stanno. Altrimenti è uno scatafascio. A Monopoli dove in questi anni hanno governato bene, i prezzi sono alle stelle. Dobbiamo augurarci prezzi immobiliari altissimi in tutta Italia".
Ha sentito il professore in queste ore?
"Ha già un sacco di problemi...Non mi sembrava il caso. Ma nei prossimi giorni gli manderò anche un messaggino".
Laura Cesaretti per "il Giornale" il 29 aprile 2021. Tutta colpa dell'Ingegnere: Giuseppe Conte, come è comprensibile, ha preso malissimo lo sberlone arrivato ieri mattina dal quotidiano Il Domani, che raccontava i suoi «affari segreti» con pezzi da novanta dell'establishment imprenditoriale italiano (quelli che i grillini usavano chiamare «prenditori» e su cui scagliavano anatemi terribili), le laute consulenze, i rischi di conflitto di interessi. L'ex premier ha letto e riletto la lunga inchiesta del quotidiano fondato da Carlo De Benedetti, ha pensato e ripensato e poi ha vergato un lungo post sul suo medium preferito, Facebook, per replicare. La prosa contiana, come al solito ampollosa e azzeccagarbugliesca, si dilunga nello spiegare come l'articolo sia «diffamatorio» e i suoi non siano «affari» ma normale «attività professionale da avvocato civilista». Poi arriva la zampata velenosa: «Gli affari li concludono gli imprenditori» come l'editore di Domani De Benedetti: «Da presidente del Consiglio non mi sono mai concesso il piacere di incontrarlo privatamente, pur sollecitato varie volte a farlo. Ma come lei sa mi sono dovuto dedicare a tempo pieno ai bisogni del popolo, di qui la rinuncia di cui l'ingegnere mi sta ripagando amabilmente». Ecco: non è chiaro di quali «bisogni del popolo» (si spera non fisiologici) l'ex premier fosse intento ad occuparsi, ma di certo l'articolo che lo colpisce nasce, a dire di Conte, da una vendetta di De Benedetti, che - come una maliarda respinta dall' integerrimo gentiluomo che tentava di sedurre - reagisce a suon di colpi bassi. Attaccato per non aver ceduto alle avance dei poteri forti: così Conte - che pure, alla testa di due diversi governi in tre anni, qualche contatto anche ravvicinato coi poteri forti lo ha avuto - tenta di uscire dall' imbarazzo. Un imbarazzo politico e d' immagine, che non ci voleva in un momento particolarmente delicato per chi sta tentando di assumere la guida di un partito in sfacelo, ed è immerso fino al collo nel pasticcio senza uscita delle faide grilline e delle demenziali regole interne. Perché se è probabile che non ci sia niente di illecito nelle prestazioni passate dell'avvocato Conte, come nota lo stesso Domani, resta il fatto che «i comportamenti e le relazioni non sembrano somigliare molto a quelli dell'homo novus senza macchia descritto dalla propaganda M5s». Quel Conte che venne descritto al popolo grillino come «una perla rara», uno «tosto che si è fatto tutto da sé» da Di Maio, quando ne annunciò l'arruolamento come ministro, e poi l'upgrade a premier. Del resto Di Maio fu il primo ad accorgersi, masticando amaro, che il modesto avvocato pugliese dal curriculum ritoccato era in realtà molto più introdotto di lui nei vasti sottoboschi del potere romano, e capace di galleggiarci agevolmente da solo, proprio grazie alle reti pazientemente tessute negli anni. Quel che più faceva impressione, ieri, era il silenzio di gran parte dei vertici grillini (Di Maio in testa) davanti all' imbarazzante tegola caduta sull' aspirante leader M5s. Solo nel tardo pomeriggio (e, raccontano, dopo un certo ansioso pressing del solito Rocco Casalino e dintorni) qualcuno ha iniziato a spendere due parole a difesa di Conte, denunciando il tentativo di «delegittimazione ad orologeria» (Crimi), perché «è chiaro che Conte leader di un M5s rinnovato incute timore» (Baldino). «Hanno paura che la sua missione riesca» (Gubitosa). «Dà fastidio a molti, quindi lo infangano» (Taverna). La tesi difensiva di Conte è trasmessa tramite Crimi: gli «editori impuri» lo attaccano perché M5s ha presentato proposte contro il conflitto d' interessi. Sarà.
Dagospia il 28 aprile 2021. Conte attacca il sottoscritto e il nostro editore. Senza smentire una virgola dell'inchiesta sulle sue consulenze e i suoi contratti da centinaia di migliaia di euro. Ottenuti anche grazie all'Acqua Marcia, a Centofanti e a Marseglia. Emiliano Fittipaldi
Dagospia il 28 aprile 2021. Dal profilo Facebook di Giuseppe Conte. Gentile dott. Fittipaldi, ho letto questa mattina l’articolo che mi ha dedicato sul quotidiano “Domani” dal titolo “Gli affari segreti di Conte”. Questo titolo e vari passaggi interni dell’articolo sono palesemente diffamatori. Già dal titolo, a ben guardare, Lei tradisce una concezione davvero “singolare” della professione di avvocato. Un avvocato civilista, che è la professione che ho svolto prima di diventare Presidente del Consiglio, non fa affari, tantomeno segreti. Un avvocato civilista svolge attività professionale: difende i clienti nei processi e fornisce consulenze e pareri legali, rispettando - è un preciso e rigoroso dovere imposto dal codice deontologico forense - la riservatezza dei propri assistiti. Gli “affari” - ostentati o segreti non spetta me dirlo - li concludono gli imprenditori, come ad esempio il Suo datore di lavoro, ing. De Benedetti. Quanto a quest’ultimo, da Presidente del Consiglio non mi sono mai concesso il piacere di incontrarlo privatamente, pur sollecitato varie volte a farlo. Ma come Lei sa mi sono dovuto dedicare a tempo pieno ai bisogni del popolo, della gente comune, di quei cittadini - per intenderci - che non hanno santi protettori sulla terra e che, ancor più con la sopravvenuta pandemia, si sono ritrovati a vivere in condizioni di forte sofferenza. Di questa rinuncia, peraltro, l’ing. De Benedetti mi sta ripagando amabilmente, ragionando di me - in tutte le occasioni pubbliche che gli sono offerte - con pertinace livore. Nel Suo articolo scrive, tra le altre cose: “Gli affari segreti di Conte sono quelli di un avvocato d’affari di successo, probabilmente leciti, ma i comportamenti e le relazioni non sembrano somigliare molto a quelli dell’homo novus senza macchia descritto dalla propaganda del Movimento 5 Stelle. Questo senza considerare le dichiarazioni di Amara che, fossero confermati i fatti raccontati, porterebbe la vicenda su un piano diverso e piu scivoloso”. Caro Fittipaldi, questa mia attività professionale non è stata “probabilmente lecita”, come finge di concedermi. È stata pienamente lecita. Corretta e trasparente. Già ieri, nel corso di una conversazione telefonica, le ho chiarito che non ho mai avuto rapporti personali né professionali con l’avv. Piero Amara, della cui esistenza ho appreso leggendo le cronache dei giornali. Escluderei inoltre che il mio nome come professionista possa essere stato suggerito dall’avv. Michele Vietti, per la semplice ragione che non ho mai avuto rapporti personali o professionali neppure con lui. Fermo restando che sapevo chi era in ragione dei suoi impegni politici e del suo incarico come Vice-Presidente del CSM. Quanto al contenuto degli incarichi professionali, nulla di segreto. Quando il Gruppo Acqua Marcia è entrato in tensione finanziaria a seguito dell’arresto di Francesco Bellavista Caltagirone (neanche lui mai conosciuto o incontrato), mi è stato chiesto di redigere all’incirca 300 pareri legali per certificare lo stato di tutti i contenziosi giudiziali e di tutte le vertenze extragiudiziali che riguardavano le varie società del Gruppo. Questi pareri legali, che hanno richiesto un impegno professionale particolarmente intenso, sono stati necessari per valutare, più puntualmente, le potenziali poste attive e passive delle società al fine di presentare un concordato preventivo che fosse rispondente alle effettive condizioni economico-finanziarie del Gruppo. I relativi compensi professionali, peraltro, a conferma della limpidezza dell’incarico, sono passati al vaglio e mi sono stati liquidati dai vari Commissari giudiziari nominati dal Tribunale fallimentare di Roma, in relazione alle varie società ammesse al concordato. Quanto al secondo incarico professionale di cui si fa cenno nell’articolo, trattasi di un incarico di consulenza legale in relazione a una complessa operazione finanziaria di cartolarizzazione che ha riguardato la società GHMS, che era proprietaria dell’hotel Molino Stucky di Venezia. Questo secondo incarico, che pure riguarda una società del Gruppo Acqua Marcia, risale ad alcuni anni dopo (al 2015, mentre i pareri legali di cui sopra risalgono al 2012/2013). Per questo secondo incarico ho avuto accesso, al pari di tutti gli altri professionisti, a tutta la completa documentazione e, quindi, a tutte le pertinenti informazioni che sono state messe a disposizione (nella c.d. data room) di tutti i soggetti (anche molti fondi stranieri) che hanno mostrato interesse per l’operazione. Cordialmente, Giuseppe Conte
Emiliano Fittipaldi per Editorialedomani.it il 28 aprile 2021. Piero Amara, l’avvocato dei misteri che ha da poco inguaiato con le sue dichiarazioni prima Luca Palamara e poi il presidente del Consiglio di stato Filippo Patroni Griffi, è un fiume in piena. “Facilitatore” con natali ad Augusta, provincia di Siracusa, ha deciso da qualche tempo di collaborare con la giustizia. E prima a Milano, poi a Roma infine a Perugia, Amara sta riempiendo centinaia di pagine di verbali (molti dei quali ancora segretati) che gli investigatori stanno esaminando. Per verificarne l’attendibilità, in primis. E per trovare riscontri ad accuse gravi che coinvolgono politici di partiti diversi, potenti assortiti e toghe d’ogni ordine e grado. Ora, in uno degli interrogatori davanti ai pm di Milano, Amara ha parlato – ha scoperto Domani – anche dell’ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Raccontando di aver di fatto “raccomandato” il suo nome affinché l’avvocato di Volturara Appula ottenesse una consulenza dalla società Acqua Marcia, quando lo stesso, controllato al tempo da Francesco Bellavista Caltagirone, si avviava verso un concordato preventivo a causa di debiti per centinaia di milioni di euro con le banche. Una presunta segnalazione che avrebbe permesso a Conte, dice Amara, di ricevere contratti e conferimenti di incarico per circa 400mila euro, non tutti incassati. Il nome di Conte, dice il Mr Wolf siciliano, gli sarebbe stato fatto direttamente da Michele Vietti: l’ex Udc, eletto vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura nel 2010, sarebbe stato un importante referente di Amara (così almeno racconta ancora l'avvocato) nel mondo della politica, degli affari e della magistratura. Il testimone aggiunge a verbale che Vietti sarebbe stato a conoscenza del fatto che Bellavista Caltagirone doveva far omologare dal tribunale di Roma il concordato della sua azienda, in grave crisi di liquidità a partire dal 2011. «Vietti mi chiese così di parlare con Fabrizio Centofanti», aggiunge Amara. Centofanti è l’imprenditore diventato famoso perché accusato di aver corrotto Palamara, e che nel 2012 era gran capo delle relazioni istituzionali di Acqua Marcia, più consigliere con delega agli affari legali della spa. Ecco: proprio Centofanti, conclude Amara, avrebbe dovuto assumere come avvocati di Acqua Marcia non solo Conte, ma anche Guido Alpa ed Enrico Caratozzolo. Secondo Amara la nomina era condizione fondamentale «per riuscire a ottenere l’omologazione del concordato stesso». Non sappiamo se i nomi di Conte e di Alpa siano stati davvero “raccomandati” ad Amara da Vietti, né se è vero che quel concordato (che ha poi avuto l’ok del tribunale fallimentare di Roma) poteva davvero passare solo a seguito di quelle nomine caldeggiate a Centofanti da Amara. Sarà la magistratura perugina ad accertare la realtà dei fatti e la presenza di eventuali calunnie. Conte, sentito da Domani, smentisce categoricamente, annunciando denuncia per calunnia: «Mai visto Amara in vita mia, non ho avuto rapporti professionali nemmeno con Vietti, è surreale». Anche Vietti, sentito al telefono, smentisce le dichiarazioni del testimone: «Escludo categoricamente di aver mai raccomandato nessuno per Acqua Marcia, non ricordo nemmeno se ho mai conosciuto Amara. Non so perché mi tira in ballo, non ricordo nemmeno di avere avuto rapporti con lui». Al netto delle dichiarazioni dell’ex legale dell’Eni e delle decisioni delle procure in merito alla sua attendibilità, però, Domani ha condotto un’indagine autonoma. Scoprendo – attraverso documenti aziendali, visure camerali e testimonianze incrociate – non solo che Centofanti ha confermato ai pm di Perugia che Amara gli ha chiesto di assumere Conte, ma che l’ex premier ha in effetti ottenuto consulenze dalla spa di Bellavista Caltagirone per centinaia di migliaia di euro. Affari (probabilmente del tutto leciti) di cui però finora nessuno sapeva nulla. Centofanti ha aggiunto che, se è vero che Amara gli ha fatto il nome di Conte per una consulenza, lo stesso nome dell’ex premier era già sul suo tavolo, perché proposto dagli altri avvocati da lui precedentemente contattati per lavorare alla ristrutturazione del debito e al possibile concordato preventivo di Acqua Marcia. Cioè proprio Caratozzolo e Alpa, coadiuvati da Giuseppina Ivone. Chi sono? Catarozzolo, che compare anche come liquidatore di Acqua Marcia, è stato consigliere giuridico di Vietti quando quest’ultimo era sottosegretario al ministero della Giustizia, ma è anche un brillante legale assai stimato. Alpa è tra i principali giuristi italiani («non aveva certo bisogno della mia segnalazione» aggiunge Vietti) ed è maestro e mentore di Conte. Infine Ivone, avvocata cassazionista di fama, ha avviato uno studio a Roma diviso con il collega Fabrizio Di Marzio, condirettore insieme a Conte della rivista Giustizia civile.com (Ivone è nel comitato scientifico), e autore di un manuale sulla riforma della legge fallimentare con il solito Vietti. Visti gli intrecci professionali e amicali tra i protagonisti è del tutto possibile, al netto della richiesta di Amara a Centofanti di cui lo stesso Conte forse nulla sapeva, che la proposta di scegliere l’ex premier sia stata fatta dallo stesso collegio difensivo. «Amara Mente», chiude Vietti. Può essere. È certo, però, da altri documenti trovati da Domani che il 20 giugno 2012 Centofanti spedisca una lettera formale a Conte, per il «conferimento di un incarico professionale per la consulenza e l’elaborazione di pareri a beneficio della società dell’Acqua Pia Antica Marcia spa, nell’ambito dell’iniziativa Porto di Imperia, anche nell’interesse del controllante Acqua mare srl», cioè la società che aveva lavorato alla realizzazione dell’infrastruttura tanto cara all’ex ministro Claudio Scajola. Ora dalle visure camerali risulta, a sorpresa, che nel cda della società Acquamare sedeva in quei mesi non solo Centofanti, ma anche Amara. All’«illustrissimo professore», Centofanti e Camillo Bellavista Caltagirone (il padre Francesco era stato arrestato qualche mese prima nell’inchiesta sul porto di Imperia, vicenda da cui è stato assolto, e non poteva firmare deleghe o incarichi di consulenza) chiedono una serie di pareri legali e «una ricognizione dei rapporti giuridici» della Acquamare, «rapporti che coinvolgono anche la capogruppo». Il tutto per «potere completare la predisposizione di un piano di risanamento funzionale e/o alla presentazione di un concordato preventivo o anche di un accordo di ristrutturazione dei debiti». Insomma, il compito di Conte era quello di rivedere il contenzioso della società. Solo per l’espletamento di questo incarico per Acquamare, Centofanti comunica al futuro presidente del Consiglio che «le sarà corrisposto un compenso pari a 150mila euro, oltre accessori di legge come Iva e cpa». Fonti vicine al concordato segnalano che Conte avrebbe fornito pareri anche per altre società controllate da Acqua Marcia (in tutto erano oltre venti, ognuna con un suo concordato e un commissario liquidatore) e che l’accordo finale con la società di Bellavista sarebbe stato di 400mila euro complessivi. Una cifra troppo elevata per il lavoro effettivamente svolto, ha ipotizzato Amara. Conte invece, anche se non ricorda quanto ha incassato alla fine («probabilmente molto meno») dice che le cifre sono assolutamente congrue, visto che «io ho lavorato al contenzioso per tutte le società del gruppo. Non ricordo se la lettera d’incarico era firmata da Centofanti». Di sicuro ancora il 23 maggio 2014 Conte fatturava alla spa di Caltagirone oltre 50mila euro, come «saldo dei compensi relativi all’elaborazione del parere relativo» a una fideiussione «rilasciata dalla Società Acqua Pia Antica Marcia spa in favore della controllata Acquamare». Un parere tecnico di 17 pagine consegnato a dicembre 2012 che Domani ha potuto visionare. Al di là delle supposizioni di Amara, fino a prova contraria i compensi di Conte garantiti prima da Centofanti e poi dai nuovi amministratori del gruppo (Tiziano Onesti ne è diventato il presidente) sono del tutto legittimi. C’è però un’altra vecchia vicenda che – collegata a quella delle consulenze per Acqua Marcia di cui nulla finora si sapeva – apre nuovi interrogativi. Conte e lo studio Alpa (che secondo Amara avrebbe preso da Acqua Marcia una parcella di circa un milione di euro) hanno lavorato per la spa di Bellavista Caltagirone per mesi. L’impero dell’immobiliarista, prima di sfiorare il fallimento per un debito superiore al miliardo contratto con le banche, spaziava dai palazzi ai porti, dagli aeroporti ai servizi finanziari e alla comunicazione. Fino ai grandi alberghi di lusso della Sicilia, come Villa Igiea e Des Palmes di Palermo, San Domenico a Taormina, Des Etrangers a Siracusa e i due Excelsior di Catania e Palermo. Tutti passati di mano nel corso degli anni. Un altro grande albergo controllato allora dal gruppo, vero fiore all’occhiello di Bellavista Caltagirone, era il Molino Stucky, stupenda struttura extralusso che sorge sull’isola della Giudecca, a Venezia. Un hotel gigantesco da 379 stanze possedute tramite un’altra controllata di Acqua Marcia, la Grand hotel Molino Stucky srl (Ghms srl), anche lei finita in concordato preventivo a luglio 2013, dopo l’ok del tribunale fallimentare di Roma. Per la cronaca, il giudice delegato era Claudio Tedeschi. L’idea iniziale – leggendo le carte del tribunale – era quella di liquidare l’intero patrimonio societario, in modo da pagare il debito da 280 milioni di euro vantato dalle banche creditrici. Su tutti Unicredit e Royal Bank of Scotland, che nel 2008 avevano erogato un finanziamento a Bellavista da 250 milioni di euro, mutuo necessario all’imprenditore romano per comprarsi l’hotel. Per mesi i giornali ipotizzano aste tra i maggiori fondi internazionali, anche perché, secondo una prima perizia, il valore dell’albergo era di ben 350 milioni di euro. Non solo per la bellezza e la posizione dell’edificio, ma anche in virtù di un contratto d’affitto blindato da 14,5 milioni di euro l’anno garantiti da Hilton, la multinazionale che ha da anni in gestione la struttura. Considerando una redditività del 5 per cento del bene affittato, il Molino varrebbe almeno 300 milioni, cifra prudenziale inserita non a caso nel piano concordatario. Nel 2015 è stata creata una nuova società quasi omonima, la Ghms Venezia spa: qualcuno ipotizza, oltre all’asta, che le banche possano decidere di rilevare le azioni e diventare proprietarie della struttura con affitto sicuro incorporato. Grandi fondi americani e di Singapore si dicono interessati. Ma a sorpresa, in breve tempo, l’albergo da sogno finisce nelle mani di un imprenditore pugliese sconosciuto alle cronache nazionali, Leonardo Marseglia. Che riesce a comprarsi, attraverso un veicolo di cartolarizzazione costruito ad hoc, i crediti deteriorati delle banche. Sborsando però non 280 milioni, ma solo 145. Di cui – risulta a Domani – 25 in equity (cioè grazie a risorse proprie) e altri 120 milioni finanziati di nuovo dagli stessi istituti di credito, che si trovano in pegno le quote della nuova società che controlla l’albergo. Per Marseglia è un capolavoro finanziario. L’imprenditore di Ostuni che ha sbaragliato la concorrenza e messo d’accordo banche e soprattutto amministratori del concordato e giudici ha fatto tutto da solo? Sappiamo che Conte ha certamente lavorato come consulente al concordato per l’Acqua Marcia, che controllava l’albergo veneziano, fatturando centinaia di migliaia di euro. Eppure Marseglia – appena presa la società dal concordato – piazza proprio il giurista pugliese nel nuovo cda della Ghsm Venezia. È il novembre del 2015, e Conte resterà socio d’affari di Marseglia fino a dicembre 2017. «È solo un incarico onorifico», dice en passant Marseglia nel maggio del 2018. Ma nella stessa intervista a Repubblica, che lo chiama per chiedergli l’origine della loro amicizia, si lascia sfuggire che sarebbe stato il neopremier in persona ad aiutarlo (non dice in che veste) nell’affare del secolo. «Il Molino Stucky era una operazione delicatissima» dice a Giuliano Foschini. «Come avversari avevamo i più importanti fondi immobiliari del mondo. Era impossibile. E invece ce l’abbiamo fatta, soprattutto grazie a Conte». Conte, si scopre ora, aveva un incarico a pagamento con Marseglia. Qualcuno ora potrebbe gridare al conflitto d’interessi potenziale, dal momento che Conte ha lavorato prima come consulente di Acqua Marcia (di cui conosceva i documenti del concordato) poi con Marseglia, che di quel concordato ha beneficiato. «Lei adombra una mia condotta professionale impropria» dice Conte «Le chiarisco che il mio incarico per Acqua Marcia e quello successivo per HGMS non sono ai entrati in conflitto. Trattasi di epoche diverse: la prima risale al 2012-13, mentre l’incarico per Marseglia risale a due anni dopo. E comunque il contenuto dell’incarico non era tale da creare potenziali conflitti, perché la documentazione posta in data room per consentire a tutti gli interessati di visionare e valutare gli assets era completa e identica per tutti e semmai dopo qualche anno ancora più ricca». Gli affari segreti di Conte sono quelli di un avvocato d’affari di successo, probabilmente leciti, ma i comportamenti e le relazioni non sembrano somigliare molto a quelli dell’homo novus senza macchia descritto dalla propaganda del Movimento 5 Stelle. Questo senza considerare le dichiarazioni di Amara che, fossero confermati i fatti raccontati, porterebbe la vicenda su un piano diverso e più scivoloso. I magistrati milanesi che hanno raccolto le parole di Amara tra fine 2019 e inizio 2020 si muovono con cautela. Tanto che nessun fascicolo di reato è stato finora aperto sulla vicenda Acqua Marcia. La storia è arrivata di recente anche sulla scrivania di Raffaele Cantone, neo procuratore capo della procura di Perugia, perché (indirettamente e senza fare nomi) Amara ipotizza il coinvolgimento nella vicenda dei giudici della fallimentare romani, di cui sono competenti gli uffici giudiziari della città umbra. Non solo, i nemici di Amara considerano l’avvocato un depistatore professionista (è indagato a Milano per aver creato un falso dossier per sviare le indagini su Eni) un potenziale calunniatore mosso da interessi oscuri che – per salvare sé stesso – avrebbe inventato circostanze false, al solo fine di sembrare un testimone utile all’accusa. D’altro canto sono molti i pm che negli ultimi anni stanno prendendo molto sul serio le dichiarazioni auto-vetero accusatorie di Amara e del suo collaboratore più stretto, Giuseppe Calafiore. È vero che la procura di Brescia ha archiviato il fascicolo sul giudice Marco Tremolada, tirato in ballo da Amara in merito a un ipotetico accesso privilegiato che i difensori di Eni avrebbero avuto con lui, cioè il presidente del collegio del processo Eni che ha da poco assolto tutti gli imputati. In quel caso, però, lo stesso Amara aveva riferito parole de relato, senza fare accuse specifiche, tanto che non risulta essere stato poi indagato per calunnia. Quando Amara si autoaccusa di reati e descrive circostanze di cui è stato testimone, però, più di un magistrato sembra dargli credito: una recente sentenza della Corte d’appello sul giudice corrotto Nicola Russo definisce Amara «pienamente credibile», per «completezza, precisione, coerenza interna, ragionevolezza delle accuse», evidenziando anche la mancanza di volontà di «vendetta, o inimicizia e rancori». Anche il fatto che Amara sia interessato a patteggiare pene più miti accusando e autoaccusandosi, secondo i giudici romani «non intacca affatto la credibilità delle accuse fornite» sul caso Russo. Un’altra sentenza del gup di Roma, dopo che le dichiarazioni di Amara e Calafiore hanno portato sul banco degli imputati alcuni magistrati amministrativi accusati di corruzione in atti giudiziari (Riccardo Virgilio e Raffaele De Lipsis hanno poi patteggiato, ma i verbali di Amara hanno creato problemi anche a Luigi Pietro Caruso), evidenzia l’attendibilità dei due testimoni: «Entrambi gli imputati meritano il riconoscimento della circostanza attenuante in dipendenza dell’indiscutibile, efficace contributo fornito nel corso delle indagini per un proficuo inquadramento della vicenda investigata e per l’individuazione degli altri soggetti coinvolti negli accordi corruttivi». Toni e parole simili dalla procura di Catania che nell’agosto scorso ha scritto come «Amara e Calafiore hanno reso dichiarazioni eteroaccusatorie davanti agli uffici giudiziari di Roma, Messina e Palermo tutte riscontrate. Al momento devono quindi ritenersi soggetti che stanno collaborando con la giustizia». Vedremo se le nuove dichiarazioni su Acqua Marcia saranno considerate altrettanto attendibili, oppure no. L’ultima “vittima” di Amara, il presidente del Consiglio di stato Filippo Patroni Griffi indagato con il lobbista per induzione indebita per la presunta raccomandazione di una sua amica, ha negato con forza ogni addebito, e ha fatto esposto in procura a Roma per calunnia contro l’ex avvocato dell’Eni. Sia davvero un pentito genuino o un geniale mestatore capace di ingannare (e far perdere anni) alle più importanti procure italiane, un fatto è certo: di Amara sentiremo parlare ancora a lungo.
Dagospia il 23 aprile 2021. Gad Lerner per il “Fatto quotidiano” - estratto, ……………………. professor Conte, forse la stupirà perché lei oggi gode di ottimi indici di popolarità, ma noi non la conosciamo abbastanza. Non basta sapere come ha governato, e neanche come ha saputo prendere le distanze da Salvini e poi da Renzi. Lo so, ha fatto scelte chiare. Dopo il maldestro tentativo di scongiurare la crisi del suo esecutivo reclutando dei "responsabili" - pur giustificato dall' emergenza in cui versa il Paese - ha saputo lasciare Palazzo Chigi con dignità e ha mostrato senso di responsabilità anche nei confronti del suo successore. Di più. Ha fatto suo il difficile progetto di rifondazione del M5S , la forza politica che l' aveva designato e che, nonostante le lacerazioni e lo stato di debilitazione culturale in cui versa, continua a rappresentare una quota rilevante dell' elettorato.…………………..Suppongo che lei abbia fatto tesoro delle esperienze fallimentari del passato: le forze politiche allestite intorno alla singola personalità del leader - i partiti personali - quando non si giovino delle risorse patrimoniali e del potere mediatico di un uomo abile e ricco, son destinate a durare poco. Non suoni irrispettoso, però, se le anticipo che le sue imminenti dichiarazioni programmatiche, quand' anche corredate da riferimenti ideali e scelte di campo esplicite, da sole non basteranno all' avvio del suo percorso di militanza fuori dalle stanze ministeriali. Professor Conte, lei si è conquistato la stima di molti concittadini ma, per diventarne il riferimento politico, deve fornirci anche un rendiconto della sua biografia. È vero, in altri Paesi abbiamo conosciuto leadership che si sono imposte provenendo direttamente dalla società civile, generate da esperienze sindacali o da movimenti per i diritti civili. Ma non è questo il percorso che l' ha portata direttamente al governo. Un racconto sincero dei suoi esordi politici la rafforzerebbe enormemente. Non deve tenerselo nel cassetto per un futuro libro di memorie. Come andò che scelse di rendersi disponibile al M5S ? Cosa pensò quando Di Maio e Salvini le proposero di fare il presidente del Consiglio? Perché accettò di guidare una coalizione con la Lega e cos' ha capito cammin facendo di quel partito, fino alla costruzione di un' alleanza alternativa? Badi bene. Non sto chiedendole inutili autocritiche postume, ma di raccontarci la natura delle trasformazioni che ha vissuto, fino a portarla a divenire una personalità di riferimento del centrosinistra. È l' anello mancante per fare patti chiari sul futuro.
Dagospia il 23 aprile 2021. Nicola Biondo - linkiesta.it il 10/2019. L’avvocato Guido Alpa presiede una collana ed è membro del comitato editoriale della casa editrice dell’ateneo (che ha pubblicato anche il professor Mifsud). Tutto legittimo, ma il legame intellettuale tra i due governi Conte e il centro studi dove è nato il Russiagate non si può negare. Ci sono due tipologie di personaggi pubblici: i primi hanno lo “stile Cuccia”, più sono potenti meno amano apparire. Poi ci sono i “wannabe”, quelli che hanno una tendenza compulsiva ad apparire, i forzati del selfie e delle foto-opportunity: e solitamente questa pulsione è inversamente proporzionale al potere, e al talento. Non c’è alcun dubbio che Guido Alpa, maestro e mentore del Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, vada inserito nella prima categoria. Ma non solo. Perché nella geografia del potere attuale c’è un partito trasversale nel quale in molti tempo fa hanno deciso di salire, quello della Link University. E in questo “partito” Alpa è perfettamente inserito. Il nome del giurista che in molti definiscono il ghostwriter politico di Conte compare nel cuore della macchina messa in piedi dall’ex ministro democristiano Enzo Scotti. Alpa infatti è un membro del consiglio editoriale di Eurilink, la casa editrice dell’università balzata agli onori della cronaca mondiale per la scomparsa di uno dei suoi soci, Joseph Mifsud, uomo chiave del Russiagate. Che Alpa sia un “fan” della Link è un tassello, finora, rimasto sconosciuto ai più nella ricostruzione dell’attuale sistema di potere che appoggia il Conte-bis. Ed è proprio su questo tema che il premier Conte sarà chiamato a rispondere martedì al Copasir. A partire da una serie di interrogativi: la Link è “l’università delle spie” come ha detto George Papadopoulos, anche lui coinvolto nel Russiagate, finito in carcere per aver mentito al Fbi, ed ex- membro di spicco dell’organizzazione pro-Trump? Oppure è la fucina di una nuova classe dirigente, come si è sempre vantato il dominus della Link, Enzo Scotti? Ma soprattutto, come è stato rivelato da Linkiesta, che cosa contiene il report del nostro controspionaggio sulla Link e la vicenda Mifsud? Queste informazioni sono state girate all’Amministrazione Trump che ha inviato per ben due volte il Ministro della giustizia William Barr a Roma? Che Alpa sia un “fan” della Link è un tassello, finora rimasto sconosciuto ai più, nella ricostruzione dell’attuale sistema di potere che appoggia il Conte-bis. Sconosciuto anche perché non menzionato nel curriculum del professore genovese, almeno l’ultimo in ordine temporale rintracciabile in rete: una dimenticanza, di sicuro. Intendiamoci, avere rapporti con la Link è legittimo. Ma la rete di relazioni che si intravedono salire sul palcoscenico della Link aiuta ad inquadrare le strategie politiche, nazionali e non solo. Link appare come il luogo perfetto per un remake de La grande Bellezza ma in chiave politica, una “terrazza” dove si incontrano politici e amministratori pubblici, professori senza alcuna pubblicazione che concionano di cybersecurity insieme ai vertici dei servizi di sicurezza. Si allarga quindi il numero di persone legate a Conte e ai suoi due governi che hanno rapporti con l’università al centro dello scandalo italiano sul Russiagate. Alpa però non è un insegnante alla Link, come qualche ex-ministro del Conte 1 o sottosegretario o consigliere: l’uomo che sussurra a Conte è intraneo a quel mondo. È Presidente del comitato scientifico della collana “STUDI E DIALOGHI GIURIDICI — AMBITO PRIVATISTICO” e membro del comitato editoriale della casa editrice che, tra le altre cose, ha pubblicato anche un testo prefato da Mifsud. Alpa ha anche firmato un volume collettaneo uscito nel 2018 sul ventennale della Link. Il rapporto Conte-Alpa si arricchisce così di una nuova puntata. Ed è un file che ha creato qualche grattacapo all’inquilino di Palazzo Chigi. Nel 2018, Conte è stato accusato di essere stato “aiutato” dal mentore nell’esame per ottenere la cattedra universitaria: il Pd allora gridò allo scandalo e si rifugiò su Twitter con l’hastag #concorsopoli, la Lega fece spallucce. Oggi invece è proprio Matteo Salvini ad andare a caccia dei particolari di quella vecchia storia: in un’interrogazione parlamentare depositata pochi giorni fa, i leghisti fanno espresso riferimento ai rapporti tra “l’allievo” Conte e il “maestro” Alpa. Conte si è sempre difeso con forza, respingendo le accuse.
Emiliano Fittipaldi per l’Espresso - Articolo del 18 giugno 2018. Il presidente esecutore. Il premier fantasma. L’uomo invisibile. Un vaso di coccio. Pinocchio tra il Gatto Di Maio e la Volpe Salvini. Il primo presidente del Consiglio di cui non si conosce un’idea: Giuseppe Conte, il nuovo capo del governo italiano, è stato accolto come un oggetto misterioso da quasi tutti gli addetti ai lavori, che da qualche settimana stanno cercando di riempire i vestiti sartoriali del professore di contenuto politico e umano. Un compito difficile, perché è la prima volta nella storia della Repubblica che il Parlamento ha dato fiducia a un premier di cui non sapeva praticamente nulla. Issare l’inespertoConte a Palazzo Chigi è certamente uno dei principali esperimenti del laboratorio politico grillo-leghista che sta forgiando gli inizi della Terza Repubblica. Per i più critici «l’avvocato del popolo» (claim inventato dalla macchina della comunicazione pentastellata guidata da Rocco Casalino) è solo un grigio notaio che dovrà attuare un contratto di governo stilato e firmato dai vicepresidenti del Consiglio che lo affiancavano come due badanti durante il discorso programmatico di martedì scorso, dall’opposta prospettiva il professor Conte viene invece descritto come la perfetta incarnazione del sogno americano in salsa grillina. Un premier che viene dalla Puglia, figlio di una famiglia semplice del Sud che grazie alla tenacia, alle capacità individuali e a una ferrea ambizione è riuscito a 54 anni a scalare tutta la piramide sociale, fino a sedersi sulla poltrona più importante della nazione. Come dicono alla Casaleggio, «un self made man che incarna tutti i valori del M5S», e che ha scritto da solo la sceneggiatura della sua vita. «Più che un film sembra un miracolo», ripetono oggi parenti e conoscenti, ancora attoniti nel vedere in televisione l’amico che ha passato le ultime vacanze di Natale nella casetta di mamma a San Giovanni Rotondo discutere i destini del mondo al G7, assiso insieme al presidente americano Trump, il francese Macron e la grande nemica dei populisti italiani, Angela Merkel. Il miracolo, in realtà, inizia quattro anni fa, quando Alfonso Bonafede, nuovo ministro della Giustizia e uomo ombra di Luigi Di Maio, s’innamora del cattedratico, che ha conosciuto come studente alla facoltà di giurisprudenza di Firenze. È lui a chiedere a Conte nel settembre del 2013 di entrare come componente laico nel Consiglio di Presidenza della Giustizia amministrativa in quota M5S. «Non sono dei vostri, il mio cuore batte a sinistra», avrebbe chiarito il professore, che alla fine però accetta la corte e il posto da vicepresidente. Conte è così ambizioso («forse troppo», ha confessato il padre al Tg2) che, mentre flirta con i grillini, fa amicizia anche con pezzi del Pd. Mira in alto, come ha fatto fin da quand’era piccolo, e punta al Giglio magico di Renzi. Il primo link, spiega qualche buona fonte fiorentina, ha le sembianze di Francesca Degl’Innocenti, avvocato che ha insegnato Diritto civile con Conte alla Scuola di specializzazione per le professioni legali, e che risulta collaborare con lo studio Tombari: quello in cui lavorava Maria Elena Boschi. Il nuovo premier non solo allaccia rapporti con la ministra delle Riforme, ma riesce a conoscere anche Matteo Renzi in persona. L’incontro è avvenuto qualche tempo fa, in forma privata. Se qualcuno sorride affermando che Conte si offrì anche ai renziani, va però ricordato che lo stesso neopremier bocciò la candidatura della “vigilessa” Antonella Manzione, fedelissima di Matteo, a una poltrona al Consiglio di Stato per “mancanza di requisiti”. Le simpatie piddine, comunque, erano note in parte anche a Di Maio, tanto che nel M5S qualcuno racconta che il leader di Pomigliano d’Arco lo inserì nella lista dei possibili ministri grillini (Conte era stato designato alla Pubblica amministrazione) anche come eventuale pontiere di un’alleanza post voto con i dem. Sappiamo che quel ponte è crollato subito. Per provare a spiegare la genesi dell’incredibile scalata a Palazzo Chigi bisogna dunque percorrere altre strade. Quando a inizio maggio è ormai chiaro che Di Maio e Salvini, a causa dei veti incrociati, devono obbligatoriamente individuare un terzo nome per il premier, gradito ad entrambi ma appartenente all’entourage del partito più votato, Di Maio, Grillo e i maggiorenti della Casaleggio (su tutti Davide, Casalino e Pietro Dettori) individuano in lui il profilo migliore. Un avvocato ambizioso ma pacato, un tecnico con un viso pulito, sufficientemente incolore per non offuscare il leader politico. Dopo il sì di Salvini, propongono (ufficiosamente) il nome di Giuseppe Conte a Mattarella e al suo principale consigliere Ugo Zampetti. I due, che preferiscono un premier politico e di spessore, non l’hanno mai sentito in vita loro. Chiedono così informazioni ai loro fedelissimi. In primis al presidente del Consiglio di Stato Alessandro Pajno, legatissimo al presidente della Repubblica, che negli ultimi quattro anni ha visto Conte all’opera tra i corridoi di Palazzo Spada; poi al gruppo di professionisti e grand commis di Stato capeggiato da Giulio Napolitano, figlio del presidente emerito Giorgio, e dall’avvocato Andrea Zoppini, entrambi grandi amici del figlio di Mattarella, Bernardo Giorgio. I primi feedback sono positivi, così a Conte - seppur privo di qualsiasi esperienza amministrativa - viene dato l’ok. Il suo profilo viene preferito ad altri più prestigiosi (come quello dell’economista Giulio Sapelli) ipotizzati da Di Maio e Salvini: la speranza del Quirinale è che un premier alle prime armi e politicamente debole possa accettare qualche consiglio sugli alti burocrati da piazzare nei gabinetti, nelle segreterie di Palazzo Chigi e di altri ministeri. Non è detto che Conte colga i suggerimenti. Nessuno, in fondo, conosce davvero la sua indole, ne sa quale potrà essere il suo livello di autonomia rispetto ai diktat dei due firmatari del contratto di governo. Analizzando la sua biografia, parlando con civilisti e amici, l’enigma Conte può essere almeno in parte sciolto. Perché il presidente ha un passato interessante, e una rete relazionale sotterranea e trasversale. Con contatti nel Pd e qualcuno persino dentro Forza Italia. Conte, soprattutto, ha un “maestro” a cui deve moltissimo e su cui fa ancora affidamento per suggerimenti di ogni tipo, il professor Guido Alpa, e cura una carriera accademica a cui tiene forse più di ogni cosa: L’Espresso ha scoperto che ha fatto da poco domanda per un concorso “ex articolo 18” per essere chiamato alla Sapienza, e che all’ateneo qualcuno dei suoi concorrenti parla già - nel caso dovesse vincere proprio lui - di lampante conflitto d’interessi. Conte è nato a Volturara Appula, un paese di 416 anime in provincia di Foggia. I genitori, fedeli di Padre Pio, appartengono alla piccola borghesia impiegatizia del Sud: il padre Nicola è stato impiegato del minuscolo Comune per anni, la madre Lillina faceva la maestra elementare. Dopo pochi anni passati a Volturara, la famigliola si sposta a San Giovanni Rotondo. Giuseppe, ragazzo riservato e sgobbone, finisce le medie e il liceo classico con il massimo dei voti. È il 1982. Conte vuole laurearsi in legge e si trasferisce a Roma, alla Sapienza. I soldi della famiglia non bastano a vivere nella Capitale, così nel 1983 il neopremier partecipa al concorso del Collegio universitario “Villa Nazareth”, un ente ecclesiastico che accoglie gratuitamente nelle camerate gli studenti che hanno curriculum scolastici eccellenti e provenienti, spiegano dalla Santa Sede «da famiglie che, per condizione socio-economica o culturale, non siano in grado di sostenerli negli studi: è dal 1946 che al Nazareth aiutano i talenti a sbocciare». Anche se Conte non viene ufficialmente ammesso, al Nazareth diventa di casa. Nei giorni scorsi i giornali avevano raccontato delle entrature vaticane del presidente del Consiglio: se l’appartenenza all’Opus Dei è una bufala, il rapporto con il cardinale Achille Silvestrini è invece forte e radicato. La porpora, 95 anni a ottobre, è infatti dal 1986 il capo della fondazione che controlla Villa Nazareth: i rapporti cordiali con il giovane Conte iniziano allora, e nel corso del tempo si intensificano, fino a diventare strettissimi. Anche dopo la laurea il futuro premier continua a collaborare come volontario con l’istituto ecclesiastico. Diventa una sorta di consigliere giuridico di Silvestrini, e dal 1992 aiuta l’ente agevolando gli interscambi culturali tra i nuovi ospiti del collegio e alcune facoltà straniere. È Silvestrini, dunque, a nominarlo nel cda del trust intitolato al Cardinal Domenico Tardini (il fondatore del Nazareth) con sede a Pittsburgh, ed è sempre al Nazareth che Conte conosce l’attuale segretario di Stato Pietro Parolin. «In effetti si sono incontrati quando Sua Eminenza è stato direttore della scuola, alla fine degli anni Novanta. Al tempo si sono incrociati qualche volta, ma non si vedono da vent’anni», dicono Oltretevere. Di altri rapporti con le sfere ecclesiastiche non esistono evidenze. Con la laurea in tasca, Conte comincia a cercare lavoro. Sia nell’università sia negli studi legali della Capitale. Inizialmente i suoi referenti sono il relatore della sua tesi Giovan Battista Ferri, ordinario di diritto privato di cui diventa assistente, e l’avvocato Renato Scognamiglio, un pezzo da novanta che ha lavorato anche all’Iri, al ministero del Tesoro e all’Acquedotto pugliese. «Fino al 1998 Conte aveva questi due riferimenti. Nello studio di Scognamiglio gli avevano dato una stanza minuscola, strapiena di fascicoli: quando entravi a Giuseppe nemmeno riuscivi a vedergli il ciuffo. Lavorava dalla mattina alla sera, ogni tanto si concedeva una partita di calcetto in un circolo sul Tevere. Pensavamo tutti che sarebbe andato all’Università di Sassari, dove teneva lezioni, ma alla fine fece il concorso di ricercatore anche a Firenze, lo vinse e decise di andare in Toscana. Era il 1998. Da allora i rapporti con Ferri e Scognamiglio si sono via via diradati, e la sua guida è diventata Guido Alpa», ricorda chi lo conosce da sempre. Il professore ordinario, 70 anni, è la figura chiave della rete di relazioni del nuovo presidente del Consiglio. Genovese doc, “maestro” di una prestigiosa scuola giuridica, allievo di Stefano Rodotà, presidente per lustri del potente Consiglio nazionale forense, una lista di incarichi sterminati (l’ultimo è quello avuto nel 2014, quando è diventato membro del board di Leonardo-Finmeccanica anche grazie alla segnalazione, raccontano le cronache, dell’amico Denis Verdini), anche Alpa è uno che si è fatto da solo. È figlio di un ferroviere e nel giovane Conte il maestro, che non ha mai avuto figli, rivede se stesso. I due diventano inseparabili, e iniziano a lavorare insieme: prima al Cnr (nel 1999 il trentacinquenne Giuseppe cura parte di un progetto diretto da Alpa; in quell’anno il futuro premier riesce anche a comprare una bella casa a via Giulia da 450 milioni di lire, quella ipotecata da Equitalia nel 2009 per 52 mila euro di tasse non pagate), poi nell’avviatissimo studio del luminare, di cui Conte dal 2002 diventa il collaboratore preferito. A quarant’anni la sua carriera spicca il volo. Dinamico e intraprendente, stimato dalla categoria dei civilisti come un «buon giurista» (tra i tanti colleghi avvocati ed esperti di diritto intervistati da L’Espresso nemmeno i più sfavorevoli hanno usato parole negative su questo argomento), il neopremier diventa professore associato a Firenze nel 2001 (verrà chiamato come ordinario nel 2012) e comincia ad accumulare incarichi accademici importanti, spesso in progetti coordinati da Alpa in prima persona. Il mentore, che ancora oggi lo consiglia, è un appassionato lettore di Dostoevskij, non a caso citato da Conte nel suo primo discorso alle Camere. Dandy fissato con la moda inglese e le camicie su misura, appassionato di auto d’epoca (una Jaguar, pagata pochi soldi, è spesso in garage perché sempre rotta) e di vecchi orologi a corda di valore modesto, Conte viene chiamato nel Comitato scientifico della Scuola superiore dell’avvocatura del Consiglio nazionale forense (presieduto dal solito Alpa), poi alla Luiss e da Confindustria come membro della commissione Cultura. La partecipazione a conferenze e convegni è assidua, e la produzione di saggi e pubblicazioni a getto continuo. Proprio per aver voluto elencarli tutti Conte ha scritto il curriculum monstre da 12 pagine , che passerà alla storia, più che per i ritocchini e gli abbellimenti, come esempio plastico di chi venuto dalla provincia profonda vuole dimostrare al mondo - e, paradossalmente, all’establishment che i grillini aborrono - di avercela fatta davvero. Un curriculum che presto sarà letto con attenzione anche dai tre membri della commissione del dipartimento di scienze giuridiche della Sapienza, che presto dovrà sancire il vincitore della procedura selettiva voluta dall’ateneo romano per un posto da ordinario di diritto privato e civile. Il neopremier ha presentato domanda a fine 2017 (insieme a competitor di peso come il giovane ordinario Giovanni Perlingeri, figlio del giurista Pietro, e a Mauro Orlandi, considerato tra i migliori allievi di Natalino Irti, altro mammasantissima del diritto italiano) e risulta ancora tra i candidati. La cattedra è ambitissima, per un altro anno sarà ancora in mano al pensionando Alpa, ma per Conte metterci i gomiti sopra rappresenterebbe il coronamento della cavalcata accademica. Il rischio, ora, è che il sogno possa sfumare a causa della nuova avventura politica. Se la Sapienza scegliesse proprio lui, i rischi sono due: le polemiche sul possibile conflitto di interessi, definito dal professore «un tarlo che mina il nostro sistema economico-sociale fin nelle sue radici... noi rafforzeremo la normativa attuale in modo da estendere le ipotesi di conflitto fino a ricomprendervi qualsiasi utilità, anche indiretta»; e il fatto che Conte dovrebbe mettersi subito in aspettativa. I gravosi impegni didattici richiesti dalla procedura di chiamata non sarebbero certo compatibili con quelli istituzionali. Compulsando amici e colleghi, incrociando vecchi arbitrati e incarichi pubblici, si scoprono altri dettagli della vita privata e della rete relazionale del premier misterioso. Se è noto che è stato sposato con Valentina Fico, avvocato di Stato con cui ha avuto un figlio che ha oggi dieci anni («è legatissimo a lui, una volta lo portò pure a una cena annuale dei civilisti, cosa rara a un evento tanto formale», racconta chi era presente), se è un fatto che non esce quasi mai dalla sua casa di 80 metri quadri al centro di Roma se non per andare nello studio Alpa in piazza Cairoli o nel pied-à-terre di Firenze, in pochi sanno che Giuseppe è stato padrino di battesimo del figlio di Stanislao Chimenti. Chimenti è un avvocato molto affermato, partner di Delfino e Associati, e grande collezionatore di incarichi pubblici: oltre ad essere stato ex commissario straordinario della Tirrenia e della Siremar, fu al timone anche del fallimento Ittierre, la grande azienda tessile molisana che ha guidato fino al 2015. Quest’ultimo mandato è stato foriero di molte amarezze: Chimenti è stato infatti rinviato a giudizio a gennaio del 2016 perché accusato di aver affidato all’avvocato Donato Bruno (onorevole di Forza Italia scomparso tre anni fa, vicinissimo a Cesare Previti e a Berlusconi) consulenze per ben 3,7 milioni di euro, talvolta secondo l’accusa «superiori ai massimi tariffari». Il problema principale, però, è la presunta presenza di un interesse privato tra i due: i pm scrivono infatti che «con Donato Bruno Chimenti coltivava da anni rapporti di collaborazione professionale, in forza dei quali usufruiva gratuitamente» degli uffici e dei servizi «dello studio Bruno», oltre a percepire «periodicamente compensi dallo stesso studio». Ora, risulta a L’Espresso che Conte e Chimenti avrebbero legato proprio tramite l’avvocato forzista morto nel 2015: il neopremier ha in effetti bazzicato lo studio di Bruno quando quest’ultimo collaborava con quello di Alpa. Ma c’è un altro esponente di Forza Italia che può vantare un’amicizia di lunga data con Conte: si tratta di Maurizio D’Ettore, un ex socialista originario di Locri diventato, come il premier, ordinario di diritto privato a Firenze, che da qualche anno si è buttato tra le fila dei berluscones diventando coordinatore provinciale di Arezzo del partito. Se il professore pentastellato non ha mai preso un voto, alle ultime elezioni il collega è stato invece eletto alla Camera in pompa magna. I bene informati dicono che sia stato proprio D’Ettore a rassicurare il suo capo Berlusconi sulle capacità (e sulla moderazione) di Conte. Non ci sono controprove, ma un fatto è certo: il grillino e il berlusconiano vantano un rapporto d’amicizia decennale, e forse non sarà facile per D’Ettore fare opposizione dura e pura a chi stima da sempre. Altra vecchia conoscenza di Conte è il consigliere di Cassazione Fabrizio Di Marzio, che con il presidente del Consiglio dirige la rivista online “Giustizia Civile” (dove Alpa ha firmato molti articoli) e che siede dal 2016 nella delicata Commissione di garanzia per il controllo dei rendiconti dei partiti politici del Parlamento. Qualche giorno fa in un editoriale sul sito della rivista Di Marzio ha omaggiato il presidente del Consiglio con parole definitive («sono davvero contento, Giuseppe è una persona seria e perbene, questa scelta merita la fiducia di tutti»), e forse ora Pd, Forza Italia e gli altri partiti di opposizione (i cui conti Di Marzio deve radiografare annualmente) potrebbero sollevare contro di lui il tema, così caro al M5S e allo stesso premier, del conflitto di interessi. La ragnatela di Conte comprende anche Ugo Grassi, professore all’Università Parthenope di Napoli e neosenatore grillino («Quello di Sergio Mattarella è un attentato alla Costituzione. Dirò di più, è anche una forma di alto tradimento... Io non sono un costituzionalista, sono un collega di Conte, ma sto studiando il merito della questione», annunciò Grassi qualche ora prima della giravolta del suo capo Di Maio), e Giovanni Bruno, altro docente di diritto privato con cui il premier si è conosciuto alla Fondazione Tardini del cardinale Silvestrini, e con cui ha codifeso Francesco Bellavista Caltagirone in un difficile contenzioso con il Comune di Imperia per la vicenda del porto. Se con Chimenti, Bruno, Di Marzio e D’Ettore i rapporti sono ottimi, il suo amico più intimo, oltre ad Alpa, è Luca Di Donna. Anche lui giovane allievo del maestro, è riuscito a entrare alla Sapienza come ricercatore a soli 29 anni (il presidente della procedura comparativa era Stefano Rodotà). Di Donna due settimane fa è stato tra gli animatori di un appello pubblico in difesa di Giuseppe, massacrato - si legge - come «una vittima sacrificale» per la vicenda del curriculum da «un giornalismo che per la propria sopravvivenza è alla spasmodica ricerca di scoop». Il primo firmatario della lettera era Alpa, e oltre a quelli di Di Donna in calce si trovano altri nomi della rete di Conte: come i professori Raffaele Di Raimo e Claudio Rossano, e come Francesco Capriglione, esperto di arbitrati bancari ed ex potente condirettore centrale addetto alle consulenze legali della Banca d’Italia. Anche il premier ha ottenuto più di una consulenza da Via Nazionale: nel 2012 è stato infatti nominato tra i componenti del Collegio di Napoli dell’Abf (Arbitro bancario finanziario), l’ente che deve risolvere le controversie tra istituti e correntisti italiani. «Per fare quei lodi bisogna eccellere nell’arte della mediazione, e Giuseppe è uno dei più bravi in assoluto. Capriglione è un grande amico di Alpa, ma stima Conte innanzitutto perché è uno capace di suo», chiosa chi al premier vuole bene. Vedremo solo nei prossimi mesi se il premier marziano è stato assunto da Di Maio e Salvini solo per conciliare possibili crisi politiche tra i due leader, o se al contrario riuscirà a imporsi dimostrando autonomia di azione e di pensiero. Valori che la Costituzione italiana pretende da chi siede sulla poltrona più importante della presidenza del Consiglio.
È questa qui l’alternativa al temuto insorgere delle destre? Il senso di Giuseppi per la democrazia. Iuri Maria Prado su Il Riformista il 4 Aprile 2021. Gli sgorga proprio naturale. Lo disse (o dicette?) al tempo dell’incarico di governo: «Aggiungerò tanta passione, che mi sgorga naturale nel servire il paese che amo». E ieri, mentre snocciolava i criteri di indirizzo del “neo movimento” affidatogli dai lombi del vaffanculo, gli è sgorgato naturale che la democrazia rappresentativa è sì in grossa crisi, ma «non appare eliminabile». Mancava un “purtroppo” ed era perfetto. Né la precisazione successiva fatta da Giuseppe Conte, vale a dire che la democrazia rappresentativa «va anzi rafforzata», revoca il senso profondo di quel conato. Siccome non “appare” eliminabile, teniamocela, e per rafforzarla vien buona la pratica esecutiva di cui l’avvocato del popolo, col movimento che l’ha issato al potere, ha dato eccellente prova durante il doppio governo del cambiamento che ha mirabilmente presieduto: la democrazia della conferenza stampa con il parlamento in lockdown, un posto come un altro vicino a “Chigi”, con il capo della junta che si rende “disponibile” a visitarlo un paio di volte al mese: non una barzelletta, ma roba scritta negli atti di questa funestata Repubblica. È questa qui l’alternativa al temuto insorgere delle destre? Forse varrebbe la pena di considerare che il fortissimo punto di riferimento di tutti i progressisti, ora acquisito in prospettiva di affascinante avventura neo comunitaria, ritiene che la democrazia rappresentativa sia meritevole di manutenzione perché, mannaggia, “non appare” eliminabile. E che a rafforzarla cada in taglio il modello italiano secondo il protocollo grillino, quello che al primo punto prevedeva la turba che accerchiava Montecitorio gridando ai parlamentari di uscire con le mani alzate.
DAGONOTA il 2 aprile 2021. Povero “Giuseppi”: è finito prima ancora di nascere! Il discorso di ieri all’assemblea virtuale dei Cinque stelle sembrava una brutta copia del contratto di Berlusconi con gli italiani. Ci mancava solo "l'Italia è il Paese che amo". Lo “schiavo di Casalino” ha letto un testo che era il nulla cosmico. Grillo già sta avendo i primi dubbi: ma siamo sicuri che questo qui funzioni?
Fabrizio Roncone per il “Corriere della Sera” il 2 aprile 2021. Il racconto di ieri notte. Vediamo com' è andata (comunque niente di pazzesco, non fatevi illusioni). Allora: alle 21,30, su Facebook, ci sarebbe Giuseppe Conte che, in diretta, spiega come ha deciso di prendersi il tribolato Movimento 5 Stelle per rifondarlo e trasformarlo, ufficialmente, in un vero grande partito (capi e capetti - a modo loro - come sapete si sono già portati avanti da tempo dividendosi in correnti e diventando la casta che promettevano di combattere, risucchiati dal potere, golosi di potere, cacciatori di poltrone, sensibili al lusso e perfettamente a loro agio sulle auto blu con lampeggianti - la senatrice Paola Taverna, per dire: prima, a Palazzo Madama, con gli zatteroni di sughero e i jeans strappati e, adesso, tutta in ghingheri con la sua Louis Vuitton d'ordinanza, « Abbbelliii, ma che per caso state a rosicà ?»). Non saltate alle conclusioni: poi vedremo come e perché l'operazione politica è tutt' altro che facile da realizzare, anzi i dubbi sono enormi, anche perché è piuttosto complicato immaginarsi Beppe Grillo che molla sul serio il suo adorato giocattolo a qualcuno, fosse pure un ex Avvocato del popolo diventato addirittura, su Wikipedia, Conte I e Conte II. Mentre Giuseppi (cit. Donald Trump) parla, si procede un po' per sensazioni, con immagini in dissolvenza. Intanto, colpisce torni di notte - Enrico Letta, per restare a cronache recenti, due domeniche fa si presentò all'assemblea del Pd intorno a mezzogiorno: e invece Conte è sempre così a suo agio nelle tenebre, forse è banale tendenza all'insonnia, forse sono botte di narcisismo acuto e gli piace sapere che fuori è buio e tutti noi siamo qui, davanti ai computer accesi, ad ascoltarlo. Certo, un anno fa, c'era un pubblico diverso. Eravamo milioni. Un intero Paese. Chissà se ci chiude, se ci apre, ha detto di stare tranquilli, l'aveva detto solo per darci coraggio, comunque gli sono venuti i capelli bianchi sulle tempie, fa quello che può, non sta facendo male. Contavamo i morti, vivevamo nel terrore. E però avevamo fiducia: sì, ci fidavamo di Conte. Era in testa ai sondaggi. Poi arrivò l'estate. E, veloce, un terribile autunno: con la seconda ondata di Covid e una crisi di governo abbastanza memorabile. L'ultima immagine: lui, Conte, dietro a un banchetto, sul portone di Palazzo Chigi (no, Rocco: non fu una grande idea, proprio no). Quanto tempo è passato? Dall'archivio del giornale, poco fa, chiedevano: sicuro era febbraio? Sì, non sono passati nemmeno due mesi e stasera - per un giovedì niente Netflix, niente Piazzapulita , niente Isola dei famosi - un pubblico assai ridotto e selezionato: ci sono i gruppi parlamentari riuniti, gli eurodeputati e i consiglieri regionali (loro anche collegati via Zoom); poi larghe fette di popolo grillino, cronisti in smart working e Goffredo Bettini in pantofole nella sua casa di trenta metri quadrati al piano terra di un palazzo sul dorso di Monte Mario, la luce tenue di una abatjour e libri preziosi, un letto, una finestra con panorama sulle cupole illuminate di Roma e fogli pieni di appunti, bozze di schemi con cui il grandioso stratega dem - non sempre infallibile - ha convinto Conte che il nuovo partito grillino debba stare nel recinto del centrosinistra. Eccolo, Conte: la voce priva del solito velluto, un piglio deciso, la pochette bianca senza punte, meno vezzosa, una solida libreria alle spalle: però il succo dei ragionamenti è sempre un filo sfumato, molti «ma anche», molti sottintesi, molte allusioni. Del resto, il progetto è ambizioso, complesso, spinoso: Conte spiega che non sarà un'operazione di marketing, di restyling, ci sarà un nuovo statuto, immagina una forza anti-élite ma con ambizioni di governo, di respiro progressista, europeista, che non rinneghi i valori delle origini, pur salvando comunque qualcuno dalla ghigliottina del doppio mandato (per capirci: un po' di establishment verrà graziato perché - ha spiegato Conte in privato - sarebbe sbagliato smarrire esperienze conquistate in anni trascorsi a Palazzo Chigi; di sicuro non si ricorrerà però alla mandrakata del «mandato zero» che s' erano inventati i colonnelli, quella «che il primo giro di Parlamento non si conteggia. Così, alla fine, i mandati sono tre»). Sul tavolo, intatto, resta il problemone della piattaforma Rousseau: Davide Casaleggio reclama 500 mila di euro, ma con lui tratta - personalmente - Beppe Grillo. Appunto: Grillo. Siamo qui ad ascoltare Conte, le sue parole rimbalzano in diretta sul web, sulla Moleskine - dopo venti minuti - c'è scritto: in effetti, parla da leader. Ma per quanto gli sarà concesso? Sono dubbi legittimi, necessari. Sembra ieri che Grillo annunciava solenne davanti alle telecamere: «Il capo è Di Maio». Poi si voltava, e con il suo ghigno: «Al piccoletto, una controllatina gliela do comunque io».
Grillo affida il M5S a Conte: a lui la «rifondazione» e la leadership. Emanuele Buzzi e Tommaso Labate su Il Corriere della Sera l'1/3/2021. «Bisogna aspettare, attendiamo il più possibile con il voto sul comitato direttivo. Diamo il tempo a Giuseppe di presentarci il suo progetto»: Beppe Grillo parla per mezz’ora, è un fiume in piena, sulla terrazza dell’Hotel Forum a Roma dove ha riunito il gotha M5S per varare e blindare l’ingresso dell’ex premier nel Movimento. Tutti insieme per approvare la svolta che il garante vuole imprimere e far sì che Conte non venga tradito dal fuoco amico. Schierarsi contro l’ex presidente del Consiglio — fa intendere Grillo — è come mettersi contro il garante. Lo showman ligure torna in prima linea proprio per tenere insieme i vari pezzi, le varie anime dei Cinque Stelle allo sbando. «Abbiamo le tecnologie, le idee e lo spirito di comunità che ci ha sempre contraddistinto. Ora è arrivato il momento di andare lontano», scriverà qualche ora dopo sul blog. Ma in queste parole c’è il senso del discorso del garante, che difende anche il ruolo di Rousseau: «Per noi è fondamentale, va ripagato il debito che abbiamo e fatto un contratto di servizio». Davide Casaleggio è assente, ma Grillo ne ricorda il ruolo (e si preannuncia anche un confronto tra i due). I big che assistono al suo intervento lo descrivono «carico e contento». L’idea del garante è quella — come anticipato dal Corriere— di mettere in mano a Conte un Movimento nuovo. Una sfida che l’ex premier raccoglie. Anche se ancora non ha un incarico formale. Anche se come viene precisato «lavorerà a questo progetto e se verrà condiviso da tutti solo allora si impegnerà a realizzarlo». L’ex presidente del Consiglio prende la parola (per circa trenta minuti) e spiega le sue idee, quelle di un Movimento più aperto alla società civile. Ad ascoltarlo ci sono tutti i maggiorenti M5S: da Luigi Di Maio a Roberto Fico, da Stefano Patuanelli a Paola Taverna, i capigruppo, Vito Crimi, Alfonso Bonafede e Riccardo Fraccaro. E ancora l’ex portavoce di Palazzo Chigi Rocco Casalino, l’avvocato Andrea Ciannavei e Pietro Dettori. Sono arrivati tutti al summit «segreto» prima di mezzogiorno (gli ultimi a giungere al Forum sono stati proprio l’ex premier e il garante) e lì «in un clima conviviale» sono rimasti al ristorante sulla terrazza per quasi quattro ore. «Il primo step di un percorso che si avvia»: dice un Cinque Stelle. Già, perché molto probabilmente i contatti andranno avanti nelle prossime settimane una volta che l’ex premier avrà definito i contorni del nuovo Movimento e quali modifiche statutarie attuare. «Io vi faccio una proposta poi la si valuta insieme», ragiona con i big l’ex premier. Un passaggio «chiavi in mano» necessario per ridisegnare la struttura. Le ipotesi sono ancora «tutte possibili»: dal presidente al leader. Il garante preferirebbe una «guida sicura» (non una struttura appunto), ma ha dato mandato pieno a Conte. Di sicuro alla fine del processo ci sarà un voto su Rousseau. Ma anche in questo caso ci sono due spade di Damocle sul Movimento. La prima riguarda la scelta dei membri del comitato direttivo che da statuto appena varato va fatto entro metà marzo, la seconda riguarda i cavilli e le cause legali pendenti. Queste ultime sono materia «professionale» per il Conte avvocato, mentre il primo punto imporrà una scelta a breve sui tempi del percorso iniziato al Forum. Se non si voterà, tornerà una fase di stallo politico con tutti gli impicci del caso (sconfessando però tutto il lavoro — costi compresi — degli Stati generali). E Conte dovrà ridisegnare lo statuto a partire da lì. E non sono escluse sorprese. «Si può fare tutto», chiosa un pentastellato. Ma nel Movimento le tensioni rimangono altissime. Se l’ingresso di Conte è ben visto praticamente da tutti, molti non hanno gradito il «caminetto» riservato a pochi big. «Squadra che perde non si cambia», commenta sarcastico un Cinque Stelle. E ancora dice un altro: «Non possono decidere i dodici che hanno condotto il Movimento sull’orlo del baratro». Anche in questo caso Conte — viene assicurato — «avrà libertà di manovra»: ossia potrà scegliere i suoi uomini su cui rifondare il Movimento. L’ex premier dovrà anche confrontarsi con la pattuglia dei fuoriusciti che provano a ingrossare le fila: si parla di nuovi contatti per avere «numeri importanti» a Camera e Senato. Una sfida per pesare di più e sfilare l’elettorato al Movimento che li ha cacciati. «Questa settimana faremo passi avanti», dice una fonte.
Conte deve tornare a lavorare, l’Università di Firenze richiama l’ex premier: “Aspettativa terminata”. Aldo Torchiaro su Il Riformista il 6 Febbraio 2021. Giuseppe Conte ed Elena Bonetti erano i due docenti universitari del governo uscente. Tra i due c’è però qualche differenza. Bonetti appena dimessa da Ministra ha lasciato Roma ed è tornata ad insegnare analisi matematica a Milano. Dopo averlo annunciato il 14 gennaio, con tanto di foto: lei che fa gli scatoloni, svuota l’ufficio al Ministero. E saluta con un tweet: «È stato un onore servire questo Paese nei palazzi romani delle istituzioni. Torno a farlo nelle aule universitarie milanesi. La politica è servizio». In effetti i professori universitari prestati alle istituzioni, perché chiamati ad alti incarichi, vengono posti in congedo d’ufficio. Ma lo stesso congedo termina automaticamente al decadere dell’investitura. «Dal giorno stesso in cui è uscita dal Ministero ha ripreso il lavoro: ha già preso parte alle prime riunioni, da metà gennaio», ci confermano i suoi collaboratori. È davvero rientrata?, chiediamo al dipartimento. «Una persona che lavora qui, e ha chiesto di lavorare qui perché ama la ricerca e l’insegnamento torna più che volentieri all’università», ci rispondono, un po’ sorpresi dalla domanda. E ci dettagliano le attività su cui è impegnata. Non ce ne vogliano, perché facendo le stesse domande all’Università di Firenze, le risposte cambiano. Il Rettore Luigi Dei inquadra Giuseppe Conte. «È professore ordinario di diritto privato presso il Dipartimento di Scienze giuridiche. Ha svolto il suo compito di presidente del Consiglio al meglio, adesso lo aspettiamo qui». A Firenze. Anzi a Novoli, in via delle Pandette. Un po’ diversa da quella via del Corso dove l’ex premier, accudito dalla scorta, amava richiamare gli sguardi dei passanti. «L’incarico di presidente del Consiglio dei Ministri svolto da Conte», sottolinea il rettore Dei, ha dato «sicuramente lustro alla nostra Università», ma adesso che il mandato governativo è in conclusione, per il titolare di Diritto privato sarà automatico il reintegro nella vita accademica. In base alla legge 383 del 1980, il docente che assume una carica pubblica nello Stato entra in aspettativa obbligatoria. Una volta che la Presidenza del Consiglio comunicherà al Rettorato la decadenza dalla carica, Conte deve riprendere possesso della sua cattedra universitaria. Entro due settimane. E mentre Draghi prepara il cronoprogramma di governo – si è scoperto che sul Recovery c’è tutto da rifare, conti in testa – per Conte la segreteria didattica ha pronto il cronoprogramma del rientro al lavoro. «Potrebbe tornare a svolgere attività didattica già dal 22 febbraio, inizio del secondo semestre dell’anno accademico. Ma questo sarà da vedere in base alla programmazione annuale del suo insegnamento. Nel caso in cui non fossero previste lezioni per la sua cattedra, Conte si dedicherà alla ricerca, allo studio ed eventualmente ai colloqui con gli studenti». La prossima volta che cercherà dei volontari in aula, quindi, potrebbe non essere per la Fiducia. Chiediamo agli uffici se ci siano già state interlocuzioni. No: Conte non ha parlato con il Rettore, ci confermano, negli ultimi tempi. Non ha preso contatto con le segreterie. Non ha ancora voluto comunicare la data di rientro. Ahia. Quando ha piantato il tavolino in mezzo alla piazza, per gridare “Sappiate che ci sono e ci sarò”, lo aveva capito che invece non c’è già più? Lunedì sembra dover riconsegnare le chiavi di palazzo Chigi. Per rimanere a Roma gli occorrerebbe un salvagente: un incarico pubblico, quale che sia. Ma sembra che della personalità più irrinunciabile della politica, tutt’a un tratto, si possa perfino fare a meno. E poi Firenze è bellissima, in primavera.
Dalla poltrona alla cattedra, Giuseppe Conte torna a insegnare all'università. Archiviata l'esperienza alla presidenza del consiglio, Giuseppe Conte torna a Firenze e riprende la docenza di diritto in ateneo da marzo. Il rettore di Scienze Giuridiche ha dato l'ok ma è incerto il suo ruolo. Novella Toloni Giovedì 18/02/2021 su Il Giornale. Si torna ai santi vecchi, recita il detto e Giuseppe Conte sembra prenderlo alla lettera. L'ex premier, rimpiazzato da Mario Draghi alla presidenza del Consiglio, è pronto a tornare al suo vecchio impiego, quello di docente universitario di Diritto Privato all'ateneo fiorentino. "Vedo nel mio futuro immediato il rientro a Firenze come professore dell'università", aveva detto Conte in un'intervista al Fatto Quotidiano pochi giorni fa. Ma il ritorno al passato non è stato del tutto scontato. Negli ultimi giorni, infatti, Conte ha temuto il mancato reintegro a causa della chiusura degli orari delle lezioni e della programmazione didattica già stabiliti per i prossimi mesi. "Dobbiamo verificare", aveva fatto sapere il rettore Luigi Dei, che ha firmato l'atto di rientro di Giuseppe Conte in qualità di ordinario del dipartimento di Scienze Giuridiche, a Novoli, a partire dal primo marzo. Nel caso in cui non ci fosse la cattedra, Conte si limiterebbe a fare ricerca, avevano chiarito dall'ateneo. E invece, a sorpresa, ecco aprirsi lo spiraglio verso la risoluzione della questione. Giuseppe Conte tornerà all'università di Firenze anche se non è chiaro in quale veste. Lo ha confermato Luigi Rei, il rettore dell'Università di Firenze, su Rai Radio1. Ospite della trasmissione radiofonica Un giorno da pecora, il rettore ha annunciato che incontrerà Conte la prossima settimana per concordare il suo reintegro. "Ho sentito Giuseppe Conte - ha dichiarato il direttore - lo vedrò la prossima settimana e il primo marzo tornerà ad insegnare da noi, diritto privato oppure civile. Mi ha detto che ha molta nostalgia degli studenti, mi è parso avesse voglia di tornare all'Università, ama molto la parte didattica del nostro lavoro". Secondo fonti universitarie, riporta Repubblica, la data indicata dal rettore - stabilita come il 1° marzo in quanto inizio del secondo semestre di lezioni a Giurisprudenza - non va intesa in senso stretto: "Conte deve prendere accordi con la preside della scuola di Giurisprudenza, Paola Lucarelli e con il direttore del dipartimento di scienze giuridiche". Non è escluso, nell'attesa, che Giuseppe Conte possa tenere una lectio magistralis per raccontare la sua esperienza di governo.
Firenze, il rettore: "Conte torna a insegnare in università". La Repubblica il 18 febbraio 2021. Lo ha annunciato Luigi Dei che poi precisa: "Lo vedrò la prossima settimana e decideremo cosa fare". "Ho sentito Giuseppe Conte, lo vedrò la prossima settimana e il primo marzo tornerà ad insegnare da noi, diritto privato oppure civile. Mi ha detto che ha molta nostalgia degli studenti, mi è parso avesse voglia di tornare all'Università, ama molto la parte didattica del nostro lavoro". Così ha rivelato il rettore dell'Università di Firenze Luigi Dei, ospite di Un Giorno da Pecora, su Rai Radio1. L'ex premier è molto atteso dagli studenti e dai suoi stessi colleghi a Firenze. Gli studenti avevano chiesto di affidare nell'immediato a Conte una lectio magistralis da tenere nell'aula magna del rettorato per raccontare la sua esperienza di governo. Secondo fonti universitarie comunque la data indicata dal rettore, il 1 marzo, non va intesa in senso stretto: "Conte deve prendere accordi con la preside della scuola di Giurisprudenza, Paola Lucarelli e con il direttore del dipartimento di scienze giuridiche". La programmazione didattica di solito viene fatta mesi prima e quindi adesso l'organizzazione del semestre è già stabilita da un calendario preciso. Quindi l'ex premier incontrerà la prossima settimana il rettore e insieme decideranno i prossimi impegni in ateneo. Nel tardo pomeriggio, però, è arrivata una precisazione dell rettore Luigi Dei: "In riferimento ad un mio intervento a un programma di Radio 1 rai vorrei precisare che non ci sono novità rispetto a quanto comunicato ieri circa il rientro del professore Giuseppe Conte all'università di Firenze. Come già dichiarato dovrei incontrarlo la prossima settimana: in quella sede, insieme alla presidente della scuola di Giurisprudenza e al direttore del Dipartimento di Scienze giuridiche saranno definiti gli impegni didattici del professor Conte. La data del 1° marzo si riferisce esclusivamente all'inizio del secondo semestre delle lezioni della scuola di Giurisprudenza".
Giuseppe Conte, terremoto all'università di Firenze: "Indagato per associazione a delinquere il rettore Dei", concorsi truccati? Libero Quotidiano il 04 marzo 2021. Luigi Dei, rettore dell’università di Firenze, è indagato per associazione a delinquere finalizzata alla corruzione e all’abuso d’ufficio. Accuse molto gravi, che terremotano l’ateneo fiorentino, che tra l’altro ha appena riaccolto Giuseppe Conte, tornato all’insegnamento dopo la conclusione (soltanto temporanea?) Della sua esperienza politica. Dopo quasi tre anni trascorsi a Palazzo Chigi, l’ormai ex premier si è ritrovato in un’università scossa dall’avviso di garanzia recapitato al rettore, che tanto si era speso per riaverlo subito con una lectio magistralis. La Procura di Firenze ha ipotizzato un sistema che gestiva cattedre e concorsi: oltre al rettore sarebbero una trentina gli indagati. I reati ipotizzati sono l’associazione a delinquere, corruzione, concussione e abuso d’ufficio. In particolare le accuse mosse a Luigi Dei sarebbero relative a due concorsi, avvenuti tra il 2019 e i primi mesi del 2021. In mattinata è avvenuta anche la perquisizione della Guardia di Finanza negli uffici dell’università e nelle case degli indagati, tra cui quelli del rettore e del dg di Careggi, Rocco Damone. L’ateneo fiorentino ha rilasciato un comunicato ufficiale sull’avviso di garanzia ricevuto dal rettore: “Ogni documentazione ritenuta utile è stata acquisita dall’autorità giudiziaria per ogni opportuna valutazione”. Luigi Dei, difeso dall’avvocato Sigfrido Fenyes, si è detto “sereno e fiducioso che ogni vicenda potrà essere chiarita”.
Andrea Bulleri e Luca Serranò per repubblica.it il 5 marzo 2021. Altri sviluppi nell’inchiesta della procura di Firenze sui concorsi pilotati a medicina, per cui sono finite sul registro degli indagati 39 persone tra cui il rettore Luigi Dei, il direttore generale di Careggi Rocco Damone, quello del Meyer Alberto Zanobini e numerosi primari e professori universitari. Questa mattina i pm Luca Tescaroli e Antonino Nastasi hanno notificato richieste di interdizione dalle proprie funzioni a carico di 8 persone, tutte indagate per corruzione, tra cui proprio il rettore Luigi Dei. Significa la sospensione dell'attività. La richiesta riguarda anche il dg di Careggi Rocco Damone, il direttore del dipartimento oncologico e primario dell'urologia oncologica, Marco Carini, il direttore del dipartimento di medicina sperimentale e clinica dell'Università di Firenze Corrado Poggesi, il professor Niccolò Marchionni, direttore del dipartimento cardiovascolare e primario della cardiologia di Careggi, e l‘associato di chimica Sandra Furlanetto. Analogo provvedimento è stato chiesto per due professori di Ancona e Milano. La decisione sulle interdizioni spetta ora al gip Antonio Pezzuti: gli interrogatori sono fissati dal 17 al 30 marzo. L’inchiesta ipotizza storture nel sistema di co-finanziamento delle cattedre universitarie da parte dell’azienda ospedaliera, che avrebbe portato a un condizionamento degli esiti dei bandi. Secondo la Procura guidata da Giuseppe Creazzo, diversi concorsi sarebbero stati pilotati secondo uno schema che prevedeva favori reciproci. Il ruolo principale, sempre secondo le prime ricostruzioni, lo aveva un presunto centro di potere composto a sette persone, tutte accusate di aver preso parte a un’associazione a delinquere responsabile di “una serie indeterminata di reati di abuso di ufficio”, e “finalizzata alla preordinata individuazione dei vincitori di concorsi pubblici per professore ordinario, associato e ricercatori”.
Massimo Gramellini per il "Corriere della Sera" il 10 febbraio 2021. Sic transit gloria Conte, però che rapidità. Ancora alla fine di gennaio - dieci giorni fa - una metà del Parlamento gridava compatta «o Conte o morte», i ciampolilli s' accalcavano alla sua corte e i sondaggi facevano a gara nel certificarne la popolarità. «Giuseppi» il leader per caso, il padre della Patria chiusa in casa, il conquistatore dei denari d' Europa, il federatore del centrosinistra e via salmeggiando. Ma appena Conte ha ricominciato a non contare, si è ritrovato in mano una lettera di licenziamento controfirmata dai suoi stessi soci, e senza neanche uno straccio di liquidazione. Il ministero degli Esteri meglio di no, altrimenti Di Maio si offende. La Giustizia, manco a parlarne. La candidatura a sindaco di Roma, ecco, se proprio ci tiene, ma tanto non ci tiene. A un certo punto Radiomercato lo ha spedito addirittura a Bruxelles come commissario europeo in cambio di Gentiloni e milioni, ma era una manovra diversiva. Restava un collegio vacante di senatore a Siena, quasi una mancia per un ex-presidente del Consiglio fresco di beatificazione come lui. Ieri Boschi e Zingaretti gli hanno negato anche quella. Boschi con qualche perfidia, ma tra avversari giurati ci sta, e il Pd con le classiche tecniche del ghosting (scomparire di colpo) e dello scaricabarile, utilizzate in amore dai meno coraggiosi per liberarsi di un partner che non serve più, senza precludersi la possibilità di richiamarlo un domani, casomai.
Conte cerca poltrone ma perde pure la cattedra. Sfuma l'Università di Roma mentre il Pd lo scarica nella corsa al seggio di Siena. Pasquale Napolitano, Giovedì 11/02/2021 su Il Giornale. Giuseppe Conte perde poltrona, seggio e cattedra. Una tripla beffa per l'ormai ex avvocato del popolo, chiamato da Salvini e Di Maio prima, Zingaretti e Grillo poi, a guidare i governi del cambiamento. Una parabola discendente, culminata il 26 gennaio scorso con le dimissioni da presidente del Consiglio. Ma la notte appare ancor più buia delle previsioni. Conte, nonostante sia stato osannato da tutti, oggi fatica a incassare dal Pd il via libera alla candidatura nel collegio uninominale per la Camera dei deputati di Siena: posto lasciato vacante dopo le dimissioni dell'ex ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan. Eppure, chi ora sbarra la strada verso il Parlamento all'avvocato di Volturara Appula, prima lo riempiva di complimenti. È la politica, bellezza. Oggi le parole al miele sono tutte rivolte al futuro capo dell'esecutivo Mario Draghi. Anche il premier dimissionario si accoda: «Se fossi iscritto a Rousseau voterei sì a Draghi», dice ai cronisti fuori Palazzo Chigi. Zingaretti (un leader che non brilla per coerenza) si era, però, spinto molto avanti il 20 dicembre 2019: «Conte è oggettivamente un punto fortissimo di riferimento di tutte le forze progressiste». Zingaretti è lo stesso segretario dem che oggi nega l'ok alla candidatura nel collegio di Siena: «Nessuna volontà di imporre dall'alto nulla. Le alleanze si decidono nei territori. Rispetteremo l'autonomia dei territori». Lo stop (in questo caso non è una novità) arriva anche dalla renziana Maria Elena Boschi che in quel collegio può esercitare la sua influenza politica: «Il destino personale di Conte francamente non è la priorità, prima vengono i 60 milioni di cittadini italiani». Il premier sente puzza di tradimento: «Non ne so nulla», ribatte. Missione Siena fallita. Resta la poltrona di capo del Movimento. Opzione rifiutata: «Io presidente del M5S? Non ambisco a incarichi personali e formali, l'importante è avere una traiettoria politica da offrire agli elettori». Conte, dopo lo sfratto da Palazzo Chigi, sta provando a resistere sul campo (politico). Non si schioda. Perché dall'Università è arrivata un'altra beffa: dovrà rinunciare alla cattedra, tanto inseguita, di diritto privato a La Sapienza che fu del suo maestro Guido Alpa. Nel 2018 Conte inoltrò la domanda per il concorso con l'obiettivo di traslocare dall'ateneo di Firenze. Nel frattempo però arrivò la chiamata di Salvini e Di Maio per la guida dell'esecutivo gialloverde. Conte provò, comunque, a presentarsi alla prova di inglese. Beccato dalla stampa, decise di rinunciare. Il concorso è andato avanti: il corso di diritto privato è stato affidato al napoletano Giovanni Perlingieri. Seconda beffa. Conte sta tentando altre vie d'uscita: la candidatura a sindaco di Roma e un incarico in Ue. Poche chance di inserirsi nella partita per il Campidoglio. Virginia Raggi non ha alcuna intenzione di cedere il passo. Sono già pronti comitati per il bis. In Europa, Conte si gioca la carta di un incarico. Quale? La poltrona di Paolo Gentiloni, commissario Ue del governo italiano, non è al momento disponibile. Resta un'ultima mossa: rientrare nella squadra dei ministri dell'esecutivo Draghi. Ma oggi sembra una missione impossibile.
Maurizio Belpietro per "la Verità" il 10 febbraio 2021. Siccome c'è il Covid, in Italia non si può votare. Così per lo meno ha deciso il presidente della Repubblica, incaricando Mario Draghi di formare un nuovo esecutivo. Tuttavia, se c'è da piazzare Giuseppe Conte per evitargli di accomodarsi sui banchi universitari, a fare il professore, si può fare un'eccezione. Ebbene sì, da giorni non si discute del futuro dell'Italia, ma di quello dell'ex presidente del Consiglio, il quale da quando è stato spodestato da Matteo Renzi, non sa bene come occupare il proprio tempo. Di tornare a insegnare non se ne parla: l'avvocato di Volturara Appula si è abituato al palcoscenico della politica e le retrovie delle aule scolastiche non fanno più per lui. Il nostro, dopo aver tentato di fomentare una rivolta contro l'ex governatore della Bce allo scopo di fargli mancare i voti dei 5 stelle in Parlamento, pare avesse preso in considerazione l'idea di rimanere come ministro degli Esteri. Ma qualche cosa deve avergli fatto capire che non era aria e che Draghi, conoscendo di persona tutti i leader del G20, non avrebbe certo avuto bisogno di qualcuno che agli incontri internazionali gli reggesse la borsa. Pare che, prima di prendere la solenne decisione di rifiutare un ministero che nessuno gli aveva proposto, Giuseppi abbia cercato di intercettare l'Elevato in missione a Roma. Non si sa se per proporgli di votare contro il nascente nuovo governo o per cercare di farsi infilare in qualcuna delle caselle rimaste libere. Sta di fatto che Beppe Grillo, dopo averlo usato per impedire che nel 2019 si andasse alle elezioni, consentendogli con una straordinaria operazione di trasformismo di dar vita al Conte bis, lo ha trattato come un kleenex usato. Risultato, al povero ex premier è toccata la sorte di cercare di imbucarsi all'assemblea grillina, per ripetere la minaccia già pronunciata al banchetto da venditore di strada allestito in piazza Colonna il 4 febbraio: «Io ci sono e ci sarò». Insomma, non vi libererete tanto facilmente di me. L'idea iniziale era di diventare presidente del Movimento. A Grillo avrebbe lasciato la qualifica di fondatore, ma a lui sarebbe toccata quella di direttore. Il progetto però si è schiantato contro le ambizioni di Luigi Di Maio, il quale ha mollato la poltrona di reggente a Vito Crimi, tuttavia come tutti sanno non vede l'ora di riprendersela e adesso che il giurista pugliese ha perso Palazzo Chigi e pure il tocco magico è convinto che sia arrivato il momento. A Conte, a cui nel frattempo è appassita la pochette e il ciuffo si è scompigliato, è stato offerto di bruciarsi con la candidatura a sindaco di Roma. Per i grillini sarebbe stato un affare, perché avrebbero preso due piccioni con una fava: liberarsi cioè di Virginia Raggi, che ha intenzione di ripresentarsi, e in un sol colpo pure delle ambizioni dell'ex premier. Ma Giuseppi, fiutando di doversi confrontare con Carlo Calenda e temendo qualche sgambetto del Pd e di Italia viva, ha preferito rispondere con un «no, grazie», aggiungendo che fare il sindaco della Capitale non sarebbe il suo mestiere. Sottinteso: io, dopo aver fatto il presidente del Consiglio, non mi posso rassegnare alla poltrona in Campidoglio. Al massimo, visto che quella di Palazzo Chigi è momentaneamente occupata, posso ambire al Quirinale. Ci siamo capiti: il caso Conte, da politico che era, sta diventando umano, in quanto il rischio è che l'avvocato si aggiri per mesi attorno a piazza Colonna senza saper bene come impiegare il proprio tempo. Una situazione incresciosa, simile a quella dei parlamentari trombati, che dopo anni la mattina presto li vedi ruotare intorno a Montecitorio come pesci nell'acquario, in attesa di incontrare qualche ex collega con cui fingere di avere ancora un ruolo.Risultato, per levarsi di torno il fastidioso questuante, a qualcuno è venuta l'idea di candidarlo alle elezioni suppletive, quelle che si dovranno svolgere per rimpiazzare l'ex ministro Pier Carlo Padoan, il quale come è noto ha lasciato il posto in Parlamento per quello più comodo e meglio retribuito di presidente di Unicredit. Conte dovrebbe correre nel collegio di Siena, guarda caso quello tanto caro ai compagni finché c'è da preservare il Monte dei Paschi e soprattutto tappare i buchi di un bilancio bancario che fa acqua da tutte le parti. Ecco, per levarsi il problema, le elezioni vietate a tutto il resto degli italiani perché i 5 stelle e il Pd, secondo i sondaggi, le perderebbero, a Siena si potrebbero fare. Potrebbero, al condizionale. Perché poi ci sono quei guastafeste dei renziani e degli ex renziani, che con Conte paiono avere un conto personale da regolare. Infatti, appena si è diffusa la voce di una candidatura nel collegio di Siena, Maria Elena Boschi si è incaricata subito di affossarla, liquidando la faccenda con un «abbiamo altre priorità». Poi è stato il turno di Dario Nardella, sindaco di Firenze, che per non avere un ingombrante rivale a due passi da casa ha suggerito all'ex premier di riprendere la via della Capitale. Sì, insomma, se si è sicuri di vincerle le elezioni si possono fare, ma Giuseppi di questo passo potrebbe finire come la Bella de Torriglia, talmente bella che nessuno se la piglia.
Francesco Merlo per “la Repubblica” il 12 febbraio 2021. Conte che si offre ai selfie per le strade di Roma sembra Benigni nel film di Woody Allen. Ricordate? Era il "Signor Qualsiasi" che all' improvviso diventava il più famoso d' Italia proprio perché era il più anonimo, il più qualsiasi. E quando di botto i giornalisti non lo cercavano più e nessuno lo riconosceva, ormai allampanato dal successo correva per Roma: "Ehi, sono io, volete un autografo, uno scoop, volete vedermi su una gamba sola?".
Vittorio Feltri su Giuseppe Conte: "Vilipeso e disoccupato. Ha fallito ma lo rispetto". Vittorio Feltri su Libero Quotidiano il 12 febbraio 2021. Giuseppe Conte, ex presidente del Consiglio, merita una citazione latina degna di una lapide di marmo: "Sic transit gloria mundi". Traduco in volgare: la gloria che ti riserva questo mondo è effimera, la dura no, non dura. Per due anni e mezzo il premier deposto è stato adulato non solo dai politici di riferimento, bensì anche dalla maggioranza degli italiani, i quali gli hanno consacrato un oceano di consensi. Sembrava che l'avvocato fosse immarcescibile, che rimanesse al comando delle misere operazioni di governo fino alla scadenza naturale della legislatura. Poi è giunto Matteo Renzi, che ha un patrimonio di voti residuale (2 per cento), ed è riuscito a scalzarlo con facilità irrisoria. Complimenti al rottamatore per eccellenza, sempre sottovalutato dai superficiali attori della politica, il quale ricorda la vicenda di Davide e Golia. Roba vecchia eppure sempre attuale. Non appena è stato strombazzato il nome di Mario Draghi, la scena è cambiata all'istante. Le poderose leccate di terga riservate al foggiano si sono trasferite in un nano secondo verso il posteriore del grande banchiere. Sul quale una ondata spaventosa di saliva si è abbattuta. Un esercito di leccatori professionali è tuttora impegnato a umettare i glutei di Draghi, di cui immagino l'imbarazzo, conoscendo l'uomo e la sua riservatezza. Questo d'altronde è il costume nazionale: l'ultimo arrivato va portato in trionfo ancor prima si segga sul trono. Al cosiddetto Supermario vengono attribuite doti divine in grado di trasformare il Paese da sacco di letame in cesto di rose. Non dubitiamo delle capacità professionali del famoso banchiere, tuttavia sappiamo che un conto è amministrare un importante istituto di credito e un altro è guidare un gruppo di sciamannati che poltriscono in Parlamento. Quindi aspettiamo i fatti: ora non è il caso di muovere il pollice all'insù o all'ingiù. Sarebbe prematuro. Oltre che ingiusto. Per adesso condanniamo senza riserve il trattamento cui è sottoposto Conte, disoccupato e vilipeso: lo trovo disgustoso. Questo personaggio non è da premio Nobel, per lungo tempo ci ha tediato con monologhi notturni mediante cui impartiva lezioni di comportamento a tutti noi poveri tapini, egli ci ha imposto divieti assurdi per combattere il virus con metodi ruspanti e inefficaci. E ci ha inflitto Arcuri e Speranza, due pressappochisti improvvisatisi tecnici della Sanità, che hanno combinato soltanto casini senza risolvere nemmeno un decimo dei problemi sanitari. Ed eccoci qui in attesa di vaccini che non arrivano, ciò che inquieta la popolazione, per giunta alle prese con una crisi economica devastante dovuta al fatto che senza salute pubblica non può verificarsi l'agognato rilancio dell'economia. Ciò detto Conte va rispettato, ci ha provato in tutti i modi e ha fallito, come avrebbe fallito chiunque. Confidiamo in Draghi, evitando però di attribuirgli un successo che non ha per il momento ottenuto. Calma e gesso. Molto gesso. Termino pubblicando i risultati di un sondaggio significativo. Domanda: chi avrebbe preferito come prossimo premier? Mario Draghi: 52 per cento; Giuseppe Conte: 29. Giudichi il lettore.
Ritratto di un ex Presidente. Chi è Giuseppe Conte, da prestanome della coppietta Salvini-Di Maio a leader del mai nato partito del 9%. Paolo Guzzanti su Il Riformista il 7 Febbraio 2021. Letterariamente parlando, l’avvocato Giuseppe Conte è un personaggio fantastico. Fate finta per un attimo che quel che è accaduto dalle elezioni ad oggi non sia reale ma l’abbiate letto in un romanzo o visto in un come il film Il giardiniere con Peter Sellers del 1979. Chance era un giardiniere con leggero handicap mentale che l’aveva costretto a vivere sempre dentro un giardino, che curava con austera competenza ma incapace di andare oltre la visione del mondo di una patata. Si esprimeva per metafore agricole sulle stagioni, la potatura e la siccità e diventò il candidato alla Presidenza degli Stati Uniti mentre una disperata Shirley MacLaine tentava vanamente di fare sesso con lui, interessato soltanto alla sequenza dei canali televisivi. Partiamo dalla fine – provvisoria ma forse definitiva – dell’avvocato Giuseppe Conte: era solo, rabbioso e disperato sulla piazza davanti a Palazzo Chigi dove esprimeva i suoi concetti agricoli, o forse politici. Parlava al movimento, al Pd e alla sinistra, al popolo dei clandestini chiamati alla resistenza, sotto la sua leadership. Incredibile, ma assolutamente vero. Quella scena appena vista costituisce il capitolo finale dell’uomo che un giorno aveva incontrato per strada un tizio che lo aveva presentato a un tale che gli aveva detto senti, perché non vieni con noi, andiamo al Quirinale, ti presentiamo al capo dello Stato e poi da cosa nasce cosa e infatti era nato un governo. Anzi due. Era pronto per il tre. Mattarella, se ricordiamo bene, era incazzato nero quando se lo trovò davanti. Era successo infatti che i bravi ragazzi del New York Times avevano controllato il curriculum inviato alla Camera per candidarsi ad un ufficio amministrativo. Il quotidiano americano allora ce l’aveva con lo sconosciutissimo avvocato Giuseppe Conte perché era stato indicato come candidato a guidare un governo di estrema destra. Negli uffici romani del New York Times il caporedattore Jason Horovitz aveva scoperto qualcosa di comico: l’avvocato, non sapendo allora come oggi, la lingua inglese, aveva frequentato i corsi estivi della New York University e poi li aveva presentati come un titolo accademico. Sergio Mattarella quando se lo ritrovò davanti lo guardò come un varano, il lucertolone – o drago – di Komoto e gli sibilò qualcosa come spero che il suo curriculum sia stato aggiornato. Figura di merda. E allora tutta la sinistra rideva di Conte perché lo sconosciuto era il candidato a governare insieme agli odiati M5S e all’odiatissimo Salvini. Anche alla Duquesne University di Pittsburgh smentivano di aver mai visto il signor Conte, come all’University of Malta, all’Internationales Kulturenstitut di Vienna dove precisarono che nel loro istituto si insegna e si apprende soltanto in tedesco. Ciò che vogliamo sottolineare è che quando emersero queste vere o presunte gaffe, tutta la stampa si gettò a capofitto nella caccia all’uomo allora considerato di estrema destra. Perché l’incredibile personaggio uscito dal nulla era allora destinato a governare come prestanome della coppietta Salvini-Di Maio i quali, sbarrandosi la strada a vicenda, avevano scelto uno sconosciuto avvocato di Volturara Appula, da un assistente di studio dello stesso avvocato, un certo Bonafede Alfonso, DJ per vocazione ma aspirante ministro della Giustizia. Bonafede era un pentastellato e conosceva Di Maio e così finirono tutti al Quirinale in un set cinematografico che ricorda l’incipit del Cavaliere Inesistente in cui Carlo Magno passa stancamente in rassegna i suoi capi militari a ciascuno dei quali chiede: “Ecchisietevoicavalieredifrancia?” E quelli, ad uno ad uno, si presentavano alzando la celata, salvo l’ultimo che restò con la celata abbassata. «E perché non fate vedere il vostro volto?» chiese Carlo Magno. «Perché io non esisto, sire», fu la risposta alla quale il capostipite dei Carolingi non ebbe da obiettare, avendolo il sole reso assonnato e indifferente. Quando il cavaliere Conte si presentò al Presidente, le cose andarono più o meno nello stesso modo: «Ecchissietevoi, candidato al governo?». «Piripì-perepè, poropò-purupù» rispose il candidato. «Ah, va bene – rispose il Presidente – magari la prossima volta cerchiamo di essere un po’ meno paraculi, vero?». «Scusi non accadrà mai più», assicurò il candidato. Tutto accadde in una atmosfera onirica e grottesca, unica al mondo e subito dimenticata, o meglio lobotomizzata dal preciso momento in cui il cavaliere senza celata fece il gran pernacchio al capo leghista in Senato provocando così il fenomeno del rimangiamento della parola data da Zinga, l’uomo che mai e poi mai e poi ancora mai, e – se non l’avete ancora capito – mai, si sarebbe abbassato a un’alleanza coi penta siderali, manco se l’ammazzavano. Accadevano – ed era solo pochi mesi fa – eventi magnifici o almeno non previsti dallo zodiaco, dal calendario di frate Indovino e dalla Cabala. Il Conte, come il Golem di Praga, si era levato in tutta la sua fragilità gigantesca dai piedi d’argilla e tuonava, tuonava, anzi farfugliava con una loquacità che più d’una volta gli aveva sconnesso i congiuntivi, non tanto per superficialità dialettale residua, ma per una reale mancanza di considerazione per la differenza fra ciò che è ipotetico (congiuntivo) e il mondo reale dell’indicativo. Un cianfruglio, un gorgoglio indifferenziato, una torbida accozzaglia di finali di verbo e di partita. Oggi Conte è diventato un monstre molto complicato, ambizioso, pericoloso, ferito a sangue nell’identità miracolosa che gli era piovuta dal cielo come un pesce sganciato da un gabbiano in alta montagna. Abbiamo assistito alla sua metamorfosi da buon manichino a servizio della strana coppietta che lo ha generato, al nuovo Arturo Ui circondato da un manipolo di esternatori-social, da tweettaroli di borgata, facebookisti da malincontro. Alla metamorfosi parteciparono unanimi le televisioni di chiacchiericcio (quelle in cui a qualsiasi domanda venga dallo studio l’inviato sotto la pioggia risponde “Assolutamente sì”) dove si assisteva all’imposizione subliminale e sublinguale dell’immagine del Conte, che si presentava come salvaschermo a tutto, anche al posto delle previsioni del tempo. Il meteorologo diceva nebbia in val Padana e sullo schermo si vedeva la solita clip – sempre quella – in cui Giuseppe Conte pensoso avanza fra specchiere in un Palazzo Chigi adatto a Re Sole, con telecamera a favore finché non si siede da solo davanti a una dozzina di teleschermi ciascuno connesso con un grande della terra, alla peggio un nano. Sempre uguale, manicurato al dettaglio e totalizzante. Ovunque. Comunque. Dossierato. Ha sempre con sé seimila pagine stampate con dentro il nulla dettagliato. Discorsi prolissi e pontificali, ma detti con concessione alla modestia, privi di qualsiasi significato e peso specifico, ma da condividere per esaustione. Il monstre era nato, non dipendeva più dalla strana coppia che per sua fortuna si era divisa e la fata turchina, con un bacio notturno aveva trasformato il burattino in un bambino vampiro azzimato, impomatato, profumato di barberia. Un po’ era il suo DNA, giustamente ambizioso (nulla contro l’ambizione, ci mancherebbe) e un po’ il guaglione miracolato, della famiglia dei Nuovi Guaglioni della Repubblica, uno che vendeva gelati allo Stadio, un altro che azionava il macchinario da DJ, tutti con quell’espressione stupìta, quella crisi identitaria in corso. Ora il piccolo colosso, l’abbiamo visto, sa fare la faccia feroce. Ha sbagliato l’apertura e gli hanno fatto lo scacco del barbiere, lo ha fregato Calandrino Renzi che gli ha dato a bere di aver trovato la pietra elitropia che rende invisibili e lui se l’è bevuta e si è ritrovato fuori da Palazzo Chigi. Il cerchio si chiude: anche Chance il Giardiniere si era trovato fuori dal suo giardino, nel mondo che non aveva mai visto. E una bella signora lo investe, lo soccorre, lo adotta e lo introduce nel salotto di quelli che contano. Conte era arrivato ai supremi salotti dorati con stucchi e tendaggi, più un Presidente americano che gli dà una manata sule spalle storpiandone per sempre il nome, tanto chi se ne frega: e dove si ritrova? In mezzo alla piazza, davanti a Palazzo Chigi dopo un’ora e mezza col Drago che gli deve aver fatto capire come gira il mondo. Non si era mai visto un nuovo Presidente incaricato che va dal predecessore e gli spiega come gira il mondo e come si dovrà comportare lui, d’ora in poi. È stato un dialogo franco, senza peli sulla lingua. Dunque, non amichevole. E infine quella sortita davanti alle telecamere in cui – raccomandando di seguire le prescrizioni del Quirinale (cosa che tutti fanno simulando fronde e borbottii) si improvvisa capo dei Cinque Stelle (“agli amici del movimento dico…”) e ufficiale di collegamento col PD, Leu, chiunque. Un attacco di gollismo (nel senso di De Gaulle) pugliese? Gli è forse apparso Padre Pio? Avrà dietro di sé i soliti poteri forti, o l’intelligence che lui ha curato con senso familistico? E poi, tutta quella gente che lo consola, lo consiglia, lo conforta, lo confonde. Vai a sapere. Certo, gli hanno rubato il giocattolo: il suo partito mai nato del nove per cento che esiste, se esiste, come il Gatto di Schroedinger, soltanto finché non apri la scatola per vedere se è morto o vivo. Il suo partito infatti esiste soltanto se ci sono le elezioni. E non essendoci le elezioni, il palloncino si gonfia con immaginabile frustrazione da impotenza. Dev’essere molto doloroso e frustrante, lo diciamo con sincero rispetto. Ma anche con allarme. Che farà costui, ora che gli hanno smontato la testa? Bisognerà vedere nella prossima puntata se il nostro Conte ritrova la pietra filosofale, il filo d’Arianna o quel che accidenti gli occorre per non finire sulla Luna, sparato da un colpo di cannone come un famoso barone dal nome impronunciabile.
Ritratto di Giuseppe Conte, premier affetto da eiaculazione precoce del cervello. Paolo Guzzanti su Il Riformista l'8 Marzo 2020.
Istruzioni per l’uso di questo articolo: se non l’avete mai visto perché siete troppo giovani, correte a vedere uno dei più bei film di tutti i tempi, che in italiano è stato titolato Oltre il giardino (del 1980) interprete Peter Seller al suo meglio. Il nostro crudele e dichiarato proposito è quello di mettere a confronto il capo del nostro governo, il professor Giuseppe Conte, con il protagonista del film, un giardiniere con un leggero ma visibile handicap mentale che va incontro a una straordinaria imprevista carriera. Sgombriamo subito il campo: il paragone fra i due ha senso, ma con una importante distinzione: The Gardner è afflitto da un ritardo mentale, mentre Giuseppe Conte è secondo noi affetto da anticipo mentale che è, in politica, l’eiaculazione precoce del pensiero. Ciò che rende accettabile metterli sullo stesso piano è l’inaspettata carriera. Nel film, un giardiniere che non ha mai visto il modo oltre il giardino in cui è nato e vissuto diventerà presidente degli Stati Uniti grazie al fatto che le sue frasi semplici, banali, tipo «quando finisce la siccità le rose possono sbocciare» non vengono prese per quel che sono – banalità al livello più elementare – ma per astutissime metafore dal contenuto densissimo, che fanno impazzire analisti e servizi segreti, incapaci di decifrare la magnifica segretezza e saggezza del giardiniere che sa sempre quando accennare all’avvicendarsi delle stagioni o alla necessità di prendere l’ombrello quando piove. Avrete dunque capito, gentili lettori e – se ci legge – lo stesso professor Conte, dove vogliamo andare a parare: per la prima volta nella storia delle democrazie moderne – ai tempi di Pericle sarebbe stato improponibile e inaccettabile – un giorno, un signore con il suo zainetto a rotelle incrocia un altro signore col suo trolley (il mancato primo ministro Carlo Cottarelli) e si presenta al capo dello Stato con cui ha una conversazione simile a quella che Carlo Magno ebbe, secondo Italo Calvino, con un misterioso cavaliere dalla lucente armatura. Questo colloquio non ha a che fare con Oltre il Giardino ma ci diverte ricordarlo per divertire il lettore con l’evidente analogia, e andiamo a memoria. Carlo Magno passando in rivista i suoi cavalieri con annesse truppe chiede a ciascuno: «E chi siete voi, Cavaliere di Francia?». E il protagonista scintillante e metallico risponde dal chiuso dell’armatura: «Emo, Bertrandino di Gallia Citeriore e Fez…» e seguita con la celata abbassata sicché Carlo Magno si spazientisce: «Perché non mostrate il volto, cavaliere?». «Perché io non esisto» risponde il Cavaliere Inesistente. Carlo Magno a questo punto borbotta qualcosa come: «Oh, be’, boh, ma guarda un po’ tu» e prosegue nella sua ispezione delle forze in campo. Ricordiamo bene quando il nostro Giardiniere, benché Conte, si presentò su al Colle. Il nostro Carlomagno del Quirinale più o meno gli chiese. «E chi siete voi, cavaliere dello Stivale?». «Avvocato, Presidente, solo avvocato». «Ho letto il vostro curriculum e ci è sembrato eccentrico» disse Carlomagnattarella riferendosi al fatto – scovato da un sagace cronista del New York Times – che l’inaspettato sconosciuto aveva fatto passare come un titolo le lezioni di inglese alla New York University, ciò che aveva onestamente fatto un bel po’ incazzare tutti, Carlo Magno compreso. Poi – andiamo a spanne, ma vicini alla riva della verità – il colloquio proseguì con: «E chi vi ha portato qui, cavaliere avvocato?». E lui: «Il signor Di Maio dello Stadio di Napoli». La fine è (quasi) nota quindi non vale la pena di insistere. Torniamo al Conte ignoto e subito primo ministro: nessuno ne aveva visto uno, prima. Ha sbagliato parecchie volte i congiuntivi e mostra una curiosità fonetica: non è sempre sicuro della pronuncia delle parole perché si avventura in una selva di luoghi comuni subordinati a grappoli in cui si perde. Una delle sue boe d’ormeggio è l’espressione “a tutto tondo”, che fa supporre una decisa avversione per i tondi parziali. E l’altra – in multiproprietà – “la trasparenza”. Tutto ciò che il nostro Giardiniere spiega è talmente trasparente che alla fine non si vede. Quando andò alla festa di “Liberi e uguali”, anfitrione D’Alema, creò imbarazzo per aver detto di aver chiesto come cortesia personale ai governi dei paesi europei, di prendersi la loro quota di migranti. Come sarebbe a dire, “per cortesia personale”? Ecco, in questo piccolo accidente, non infrequente, c’è il miglior Peter Seller involontario di Conte. È infatti escluso che avesse intenzione di dire davvero quel che ha detto, ma è vittima di arzigogoli spagnoleschi che non riesce mai a filtrare in un linguaggio limpido. Molto più di quella di De Mita, la sua eloquenza è intraducibile in inglese. La storia del suo rapporto con Salvini, dall’amour passion all’odio senza risparmio, è anch’essa unica nella storia delle democrazie, dove nessuno – mai – è succeduto a se stresso come capo di due coalizioni successive, una di destra che più a destra non si può, e una di sinistra che di più è impossibile. Ne ha risentito alla lunga il suo abbigliamento, passato da un doppiopetto da prima comunione-misto Padrino a una tenuta scamiciata ritenuta più omogenea ai nuovi alleati, perdendo la sua famosa pochette. Il Giardiniere di Peter Seller non era vanitoso. Era modestissimo e non si rendeva conto di essere oggetto di adorazione e anche di passione femminile. Conte sembra invece avido di adorazione, ma consapevole della necessità di apparire casual, amico del popolo o, come dicono i romani, scaciato. La maledizione con cui è venuto politicamente al mondo è quella di apparire un opportunista che ha vinto alla lotteria. E ne è visibilmente consapevole cosa che aggrava il peccato originario con piccole scompostezze, ma specialmente con eccessi verbali di una ridondanza alluvionale. Se mai ci leggesse, gli consiglieremmo di rivedere l’originale Oltre il Giardino, in cui il suo modello si esprime in mondo talmente breve ed elegante, da far pensare a tutti che fosse un pensatore sottile, mentre voleva soltanto dire che finché le mele non sono mature, meglio lasciarle sull’albero. Conte invece spiega la storia dell’albero, dà le ricette di quattro torte di mele e poi dimentica da dove era partito. Di sicuro non pensava – ad esempio – a quel che diceva quando si definì en passant “Presidente della Repubblica” perché voleva dire Presidente del governo di questa Repubblica. Purtroppo nella sciarada del Quirinale che costituisce il corona virus settennale italiano, una gaffe del genere è atroce e Peter Seller al suo posto avrebbe detto «Non ho con me le cesoie adatte». Prendiamolo nella sua recente conferenza stampa in cui, avendo accanto il ministro Gualtieri, annuncia la chiusura di scuole e università. Il governo ha ragione a fare l’unica cosa che si può fare per non provocare il contagio e poi la morte di centinaia di migliaia di persone perché sa che secondo l’Organizzazione mondiale della Sanità il contagio potrebbe arrivare al sessanta per cento e dunque – dovendo procedere alla cieca – l’unica cosa da fare è distanziare gli esseri umani fra loro affinché le loro salive non vengano sparate a cerbottana nelle gole altrui. Ma quando una giornalista gli chiede perché l’abbia fatto, il nostro Giardiniere risponde con un pezzo di letteratura pesante: «Ieri sera ci siamo riuniti per avere un aggiornamento a tutto tondo perché credo che come prima cosa tutti i componenti del governo, che sono adesso alla guida del Paese, debbano essere periodicamente aggiornati su quello che è l’andamento della curva e delle criticità con cui l’emergenza ci sta sfidando e dopo alcune ore di confronto, poi nella parte finale, ci siamo dedicati poi al tema delle scuole e l’abbiamo sviscerato già nel corso dell’incontro e in modo molto trasparente, lo ridico, è maturato l’indirizzo della chiusura delle scuole che non è una scelta facile, è una scelta complessa: e questo governo ha assunto questa scelta con piena responsabilità e anche consapevolezza delle difficoltà perché chiudere le scuole significa anche creare dei disagi, può avere impatto sulle imprese e i luoghi di lavoro e dà un segnale se volete all’estero perché è chiaro che chiudere le scuole in Italia significa acclarare quello che è sotto gli occhi di tutti. Per completare la nostra decisone abbiamo chiesto la cortesia al professor Brusatello di farci arrivare un parere che poi ci è arrivato e da ieri tanti esperti e scienziati e altri hanno dichiarato tutti che sono misure che possono avere un impatto positivo perché anche in questo momento anche gli scienziati non hanno evidenze scientifiche su un virus le cui loro hanno difficolta, ma in ogni caso quando dico che ci basiamo su valutazioni tecnico scientifiche non dico che noi seguiamo alla lettera ma noi abbiamo una nostra responsabilità, noi valutiamo a tutto tondo e dall’indicazione sanitaria sociale anche culturale per garantire verità e trasparenza e ieri è stata una anticipazione che è filtrata ha dato per scontata una decisione finale che non era stata ancora presa…».
La vittoria dell'autoritarismo. Dal Conte uno al bis tutti i disastri combinati da Giuseppi. Angela Azzaro su Il Riformista il 4 Febbraio 2021. I due anni che abbiamo alle spalle non sono anni qualsiasi. Sono anni in cui il populismo, nella sua forma autoritaria, ha vinto e stra vinto lasciando sul campo le macerie. E a indicare questa discesa agli Inferi è forse la persona meno adatta a rappresentare il ruolo. L’avvocato del popolo, il professore ordinario cresciuto nello studio del potentissimo Guido Alpa, la persona mite, affabile, che parla con il cuore in mano. Ma proprio questo ha tratto in inganno convincendo fan ed elettori, perché dietro l’immagine costruita ad arte dal fedele e inseparabile Rocco Casalino, Giuseppe Conte ha dato vita a due governi – uno continuità dell’altro – che hanno realizzato il programma dei Cinque stelle in tutto e per tutto: distruggere la democrazia, piegare la giustizia al volere della magistratura e non dello stato di diritto, usare i migranti come arma di propaganda e di ricatto. Dalla Russia agli Usa i suoi alleati sono stati i presidenti autoritari e quel Giuseppi scritto da Donald Trump per sostenerlo non può essere archiviato a semplice folclore. Fa ridere, ma un riso amaro, triste, di chi quel Giuseppi lo ha avuto come presidente del Consiglio per più di due anni. Lo hanno tolto dal cilindro, con un gioco di prestigio per realizzare il governo giallo verde. È il 21 maggio del 2018 e l’avvocato del popolo taglia il nastro del primo governo Conte. Alle elezioni il movimento Cinque stelle ha portato a casa un bel bottino, ma non abbastanza da avere da solo la maggioranza. Il centrodestra unito ha numeri più alti, ma non sufficienti. Inizia così il gioco dei tatticismi, degli incontri, delle mosse ad effetto. Ma ancora prima del voto si sapeva che le due forze populiste, Lega e 5s, si erano incontrate e avevo predisposto un accordo che le portasse unite al governo in nome del sovranismo. Era sufficiente che la Lega rompesse con il centrodestra (ma non per sempre) e che i 5 stelle iniziassero con la lunga serie di tradimenti delle loro parole d’ordine. Il grido “mai alleati con nessuno” diventa via via alleati con la Lega, poi con il Pd, poi chissà. Accadrà lo stesso per il limite dei mandati, per il passaggio da un gruppo all’altro, per i rimborsi, per… Solo su una cosa non smettono mai di essere coerenti: l’amore innato, viscerale, potremmo anche dire patologico, per le sante manette. È la parola magica dei Cinque stelle e farà sì che il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, resti in sella sia nel Conte uno che nel bis. E che sul ter faccia crollare tutto: o Fofò o morte. È lui che ha voluto Conte alla guida dell’esecutivo, è un suo amico, e l’avvocato del popolo non lo ha mai mollato, forse anche quando avrebbe voluto, quando difendere l’indifendibile era diventato un fardello. Ma sarebbe ingeneroso dare tutta la colpa al guardasigilli: Conte non ha mai fatto niente per ostacolare le picconate contro lo stato di diritto, contro la Costituzione e contro i diritti dei carcerati, trattati come cittadini di serie zeta e non come esseri umani tutelati dall’articolo 27 della Carta. Conte non si è mai differenziato – siamo ancora al primo mandato – neanche dalla politica sui migranti. Il sadismo di Matteo Salvini contro le persone che fuggono per rifarsi una vita non ha avuto da parte sua un vero stop, anzi è pieno di interviste e video in cui il nostro rivendica le politiche su regolarizzazioni e flussi del governo giallo verde. E infatti nel passaggio al Conte bis ci vuole un anno per mettere mano ai decreti sicurezza, con alcuni cambiamenti, ma senza operare una vera e propria rottura con le politiche precedenti, basta vedere che cosa ancora oggi sta accadendo lungo la rotta balcanica. Persone che vagano nella neve, senza protezione, senza cibo, abbandonate a se stesse. E molte ci sono arrivate dopo che sono state respinte non dal leader della Lega ma dall’attuale, ministra dell’Interno, Lamorgese. Siamo così alla nuova maggioranza composta da 5 stelle, Pd (da cui poi si distacca Italia viva) e Leu. Un governo che non ha prodotto le rotture attese e che ha vivacchiato, rinviando giorno dopo giorno le grandi scelte. Un governo che soprattutto non ha fatto niente per ribaltare le spinte populiste e autoritarie. Niente sulla giustizia, niente sulla difesa della democrazia a iniziare dal ruolo del Parlamento. Così è stata gestita la pandemia, con i dpcm: decreti amministrativi del presidente del Consiglio che hanno saltato i passaggi della condivisione. A Conte mai eletto, doveva dar fastidio lo sfoggio di democrazia e per rendere ancora più lontana ogni vaga idea di rappresentanza si è inventato i comitati tecnici di ogni specie e foggia per cercare di superare l’emergenza, rendendo ancora più profonda la crisi della democrazia e della politica, già duramente messe alla prova. È forse questa la colpa più grande del partito democratico. Non certo aver provato a salvare il Paese da un Salvini in pieno delirio di onnipotenza, ma non aver capito quanto profondo fosse il baratro tracciato dal populismo. L’illusione di Zingaretti, che purtroppo perdura, è quella di curare il populismo facendolo suo, alleandosi in maniera permanente con i Cinque stelle, ormai peraltro ridotti alle ombre di ciò che furono. È una tecnica suicida, che come giustamente ha definito su questo giornale Biagio de Giovanni appartiene alla sfera della sindrome di Stoccolma: si ama chi ti sta annientando. Perché di annientamento si tratta: sulla giustizia, come sui temi sociali, i dem sono andati dietro al movimento che ha distrutto quel po’ di democrazia che ancora restava nel nostro Paese. Invece di fare le barricate per fermarli, hanno dato loro ragione facendosi trascinare nella palude. Ci si poteva anche alleare, ma sapendo che la contesa culturale e politica restava intatta, in primo luogo per salvare le istituzioni che escono da questi anni logorate, impoverite, stanche. Mario Draghi arriva alla fine di questo processo. È il sintomo di una crisi profonda, la conseguenza di un sistema politico che non regge più, in cui è saltato l’equilibrio tra i poteri dello Stato. Pensare che il suo arrivo sia una buona notizia, la fine del periodo nero, non significa credere nel potere salvifico di una singola persona, pensare che si possa ripristinare tutto con la bacchetta magica. Draghi nasce dalla crisi ma può essere l’occasione per ricostruire dalle macerie. Che sono macerie sociali e macerie politiche. La crisi sociale è appena iniziata e la gestione del Recovery fund è una opportunità per chi ha di meno, per chi rischia il licenziamento, per chi arriva da altri Paesi e viene qui a lavorare senza diritti. Si deve far ripartire tutto e bisogna farlo bene. Ma la ricostruzione riguarda anche le istituzioni e lo stato di diritto. E per farlo dobbiamo dire addio al populismo con in tasca la Costituzione.
Da affaritaliani.it il 10 agosto 2020. "Tre quarti d'ora di confronto serrato per fare un bilancio dell'anno di governo e per anticipare strategie e linee guida dell'attività in agenda", aveva detto in esordio della terza edizione de "La Piazza" il direttore di Affaritaliani.it, Angelo Maria Perrino, introducendo il presidente del Consiglio dei Ministri, Giuseppe Conte, per la terza volta consecutiva all'iniziativa programmata in piazza Plebiscito a Ceglie Messapica (Brindisi). Con la consegna della maglietta che chiede treni più veloci e con gli applausi al premier, si è conclusa, dopo oltre un'ora, l'intervista in piazza Plebiscito, realizzata rispettando le disposizioni imposta dal Covid, con gli 800 ammessi nel luogo aperto, indossando mascherina ed applicando il distanziamento sociale, e con autorità e giornalisti, a cui erano state riservate 150 sedie disponibili in idoneo spazio. Alla fine, partendo dal coronavirus sono stati toccati tutti gli argomenti dell'agenda nazionale e internazionale, referendum costituzionale compreso. In prima fila, a seguire l'evento la compagna del premier Olivia Paladino, il prefetto di Brindisi, Umberto Guidato; il presidente della Provincia e sindaco del capoluogo, Riccardo Rossi, il Commissario prefettizio del Comune di Ceglie, viceprefetto Pasqua Erminia Cicoria. Mentre il pubblico defluiva dal varco di uscita da Orto Vico Nannavecchia, tra visibili ed imponenti misure di sicurezza, si è saputo che, resta rispettato il protocollo di ospitalità già adottato lo scorso anno, in occasione dell'edizione 2019 della manifestazione: cena presso il ristorante dello chef stellato Antonella Ricci e pernottamento in una masseria sulla via che collega Ceglie Messapica a Cisternino.
Conte: Mio compito è evitare che si piantino bandierine, a volte voglia c'è - "Il ruolo che io ho è un ruolo che avverto come di grande responsabilità. Cerco ne dialogo con tutte le forze politiche di orientare questo confronto per cercare di migliorare il dl agosto. Ci siamo resi conto che queste misure ci dovranno consentire l'impatto ad autunno di questa recessione economica e sociale. In questo dialogo il mio compito sarà sempre quello di orientare tutte le forze politiche a mettere da parte qualche bandierina per l'interesse generale. Le forze, quando il confronto viene così impostato, seguono questa linea. Sempre con spirito di servizio". Lo dice il premier Giuseppe Conte - ospite de 'La Piazza', l'evento organizzato dal quotidiano online Affaritaliani.it a Ceglie Messapica, in provincia di Brindisi - rispondendo a chi gli ricorda che Luigi Di Maio, qualche giorno fa, invitava il premier a prendere la tessera del M5S.
Conte: Non sono interessato a fare un mio partito - "Non farò un mio partito". Lo dice il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ospite de 'La Piazza', l'evento organizzato dal quotidiano online Affaritaliani.it a Ceglie Messapica, in provincia di Brindisi. "Quando dissi che non mi vedo lontano dalla politica, intendevo che non mi vedo, una volta finita questa esperienza, tornare normale cittadino senza dare contributo di idee - aggiunge -. Questo non vuol dire che farò un mio partito".
Aborto, Conte: Decisione di Speranza, importante assistenza sanitaria e psicologica - "E' stata una decisione del ministro della Salute, non ci siamo consultati". Lo dice il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ospite de 'La Piazza', l'evento organizzato dal quotidiano online Affaritaliani.it a Ceglie Messapica, in provincia di Brindisi. "Non ho elementi per valutare se occorrano 3 giorni di ricovero, ma l'importante è che in questi casi ci sia una valida assistenza e un supporto psicologico", aggiunge.
Conte: A cena con Grillo o Casaleggio? Con Beppe si affronta futuro - A cena andrebbe più volentieri con Beppe Grillo o Davide Casaleggio? "Con Grillo. Senza nulla togliere a Casaleggio, con Grillo si parla e si affronta il futuro". Lo dice il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ospite de “La Piazza”, l'evento organizzato dal quotidiano online Affaritaliani.it a Ceglie Messapica, in provincia di Brindisi.
Conte: A cena con Crimi o Zingaretti? Insieme, parleremmo anche di regionali - A cena andrebbe più volentieri con Vito Crimi o Nicola Zingaretti? "Li porterei tutti e due, così si potrebbe parlare anche di elezioni regionali...". Lo dice il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ospite de 'La Piazza', l'evento organizzato dal quotidiano online Affaritaliani.it a Ceglie Messapica, in provincia di Brindisi.
Conte: Con Di Maio tante volte a cena, andrei con Di Battista - A cena andrebbe più volentieri con Luigi Di Maio o Alessandro Di Battista? "Con Di Maio sono andato spesso, andrei volentieri con Di Battista". Lo dice il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ospite de 'La Piazza', l'evento organizzato dal quotidiano online Affaritaliani.it a Ceglie Messapica, in provincia di Brindisi.
Conte: Con Salvini difficoltà comunicazione, confido dialogo migliore con Meloni - A cena andrebbe più volentieri con Meloni o Salvini? "Con Salvini c'è qualche difficoltà di comunicazione, confido di poter dialogare meglio con la Meloni". Lo dice il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ospite de “La Piazza”, l'evento organizzato dal quotidiano online Affaritaliani.it a Ceglie Messapica, in provincia di Brindisi.
Conte: A cena con Zaia o Fontana? Con governatore Veneto - A cena andrebbe più volentieri con Fontana o Zaia? "Con Zaia". Lo dice il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ospite de 'La Piazza', l'evento organizzato dal quotidiano online Affaritaliani.it a Ceglie Messapica, in provincia di Brindisi.
Referendum, Conte: Voterò per il taglio dei parlamentari - "E' un po' personale, ma al referendum io voterò per il taglio dei parlamentari". Lo dice il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ospite de 'La Piazza', l'evento organizzato dal quotidiano online Affaritaliani.it a Ceglie Messapica, in provincia di Brindisi.
L.elettorale, Conte: Eccentrico se non sostenessi proporzionale - "Sarebbe abbastanza eccentrico, singolare, se il presidente del Consiglio se non sostenesse il proporzionale. Mi auguro che il dialogo prosegua e si finalizzi". Lo dice il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ospite de “La Piazza”, l'evento organizzato dal quotidiano online Affaritaliani.it a Ceglie Messapica, in provincia di Brindisi.
Migranti, Conte: Dire Di Maio “salviniano” è torto a ministro - "Dire che il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, sia 'salviniano'" sul tema immigrazione "è fargli un torto, non perché Salvini sia spregevole, ma perché l'opera è più complessa e non si limita a dire teniamoli in mare 5, 10 o 15 giorni". Lo dice il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ospite de “La Piazza”, l'evento organizzato dal quotidiano online Affaritaliani.it a Ceglie Messapica, in provincia di Brindisi. "Dobbiamo prevenire i flussi e contenerli" dalla Tunisia e per questo "stiamo collaborando con le autorità, perche' "non posso chiedere sacrifici agli italiani" per evitare il diffondersi del coronavirus e poi "tollerare che arrivino in Italia migranti positivi che vanno in giro liberamente".
Usa, Conte: Che vinca Trump o Biden non cambieranno rapporti con Italia - "Sono convinto che non ne deriveremmo nessuna conseguenza negativa nel caso vinca Trump o Biden alle elezioni presidenziali americane, nonostante il buon rapporto tra me e il presidente Trump". Lo dice il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ospite de 'La Piazza', l'evento organizzato dal quotidiano online Affaritaliani.it a Ceglie Messapica, in provincia di Brindisi.
Tlc, Conte: Su 5G che sia Usa o Cina difesa sicurezza e interessi Italia - "Siamo aperti al 5G, ma non siamo aperti a dire scegliamo la Cina o gli Stati Uniti. Con Usa c'è una sinergia incredibile. Faremo in modo che chiunque sia interessato lo faccia alla luce delle nostre esigenza di interesse e sicurezza nazionale". Lo dice il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ospite de 'La Piazza', l'evento organizzato dal quotidiano online Affaritaliani.it a Ceglie Messapica, in provincia di Brindisi.
Tlc, Conte: Entro fine mese definizione Rete Unica, banda larga prima di 5G - "Prima di dire si o no alla Cina" sul 5G, "dobbiamo portare la banda larga in tutto il Paese. E' stato annunciato in passato, ma non siamo ancora riusciti a realizzarlo. Sarà un dossier che troverà spazio nel piano di rilancio da presentare all'Europa. Occorre la Rete Unica, siamo determinati, abbiamo le idee chiare e dobbiamo realizzarla in pochi anni. Sono convinto che entro la fine del mese ci sarà la definizione del percorso, in cui c'è anche il 5G". Lo dice il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ospite de “La Piazza”, l'evento organizzato dal quotidiano online Affaritaliani.it a Ceglie Messapica, in provincia di Brindisi.
Libano: Conte, auspichiamo commissione inchiesta - "Poche ore fa abbiamo fatto una videoconferenza internazionale promossa dalla Francia a cui ho partecipato io, Trump e vari leader mondiali. Abbiamo operato una ricognizione su tutti gli aiuti per il Libano, abbiamo auspicato una commissione internazionale d'inchiesta o nazionale con osservatori internazionali per fare luce sull'incidente. Non ho elementi per ipotizzarne la causa. Siamo vicini al popolo libanese. Auspichiamo che quell'incidente diventi lì una opportunità per eseguire le riforme strutturali che il popolo libanese attende da anni". Lo dice il premier Giuseppe Conte, ospite de 'La Piazza', l'evento organizzato dal quotidiano online Affaritaliani.it a Ceglie Messapica, in provincia di Brindisi
Conte: Governo meridionalista? Sciocchezze, folle tralasciare nord - "Pensare di concentrarci al Sud tralasciando il nord sarebbe folle" e chi lancia accuse su questo punto, dice "sciocchezze". Lo dice il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ospite de 'La Piazza', l'evento organizzato dal quotidiano online Affaritaliani.it a Ceglie Messapica, in provincia di Brindisi.
Conte: Obiettivo del governo non è una banca pubblica - "L'obiettivo del governo non è una banca pubblica". Lo dice il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ospite de 'La Piazza', l'evento organizzato dal quotidiano online Affaritaliani.it a Ceglie Messapica, in provincia di Brindisi. "Sicuramente il sostegno alle famiglie e alle imprese è fondamentale, soprattutto al Sud", aggiunge.
Ponte Stretto, Conte: Sia capolavoro ingegneria, penso anche a sottomarino - "Non dico faremo il Ponte (sullo Stretto di Messina), perché non ci sono le condizioni. Ma prima dobbiamo preoccuparci dei collegamenti" interni. Lo dice il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ospite de 'La Piazza', l'evento organizzato dal quotidiano online Affaritaliani.it a Ceglie Messapica, in provincia di Brindisi. "Sullo Stretto dobbiamo pensare, quando si riveleranno le condizioni, a un capolavoro di ingegneria - aggiunge -. Un ponte anche sottomarino, ci stavo pensando".
Coronavirus, Conte: Delittuoso propaganda per consenso durante pandemia - "In una situazione come quella che abbiamo vissuto" con l'emergenza coronavirus, "sfruttare la propaganda per il consenso è delittuoso". Lo dice il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ospite de “La Piazza”, l'evento organizzato dal quotidiano online Affaritaliani.it a Ceglie Messapica, in provincia di Brindisi.
Recovery fund, Conte: Italia dovrà correre più degli altri Paesi europei - "L'Italia dovrà correre più degli altri Paesi, non al di sotto della media europea". Lo dice il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ospite de “La Piazza”, l'evento organizzato dal quotidiano online Affaritaliani.it a Ceglie Messapica, in provincia di Brindisi, a proposito del recovery plan per le risorse europee.
Coronavirus, Conte: Se ricerca conferma segnali positivi presto vaccino - "L'Italia è leader nella ricerca del vaccino. Siamo in alcuni progetti di ricerca, con segnali positivi. Se si dovessero confermare queste previsioni, c'è la possibilità di disporre presto del vaccino e di poterlo mettere a disposizione di altri Paesi europei. Quando presto? Mesi diciamo. Entro l'anno? Speriamo". Lo dice il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ospite de 'La Piazza', l'evento organizzato dal quotidiano online Affaritaliani.it a Ceglie Messapica, in provincia di Brindisi. "Non ritengo che dovrà essere obbligatorio", sottolinea il premier, aggiunge.
Coronavirus, Conte: Non abbiamo palla di vetro per prevedere nuove ondate - Cosa dobbiamo attenderci in autunno sul fronte coronavirus? "Non abbiamo una 'intelligence', le informazioni che abbiamo le condividiamo". Lo dice il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ospite de 'La Piazza', l'evento organizzato dal quotidiano online Affaritaliani.it a Ceglie Messapica, in provincia di Brindisi. "Non abbiamo la palla di vetro per prevedere nuove ondate, non ce l'hanno nemmeno gli scienziati", aggiunge.
Camici Lombardia, Conte: No conoscenza diretta, indaga la magistratura - Sull'inchiesta lombarda sui camici "non ho conoscenza diretta, sta indagando la magistratura". Lo dice il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ospite de 'La Piazza', l'evento organizzato dal quotidiano online Affaritaliani.it a Ceglie Messapica, in provincia di Brindisi.
Coronavirus, Conte: Su P. civile giudizi ingenerosi, è chiave modello - Sulla Protezione civile ci sono "giudizi ingenerosi. La chiave del modello italiano è stata ancora una volta la Protezione civile: su mascherine, terapie intensive e subintensive. Le ha reperite ovunque e oggi siamo produttori. Come sempre di eccellenza". Lo dice il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ospite de “La Piazza”, l'evento organizzato dal quotidiano online Affaritaliani.it a Ceglie Messapica, in provincia di Brindisi
Coronavirus, Conte: Pubblicheremo tutto, nulla da nascondere - "Non ho posto alcun segreto di Stato. A distanza di tempo è giusto che siano resi pubbliche. Consentiremo la pubblicazione di tutto, non abbiamo nulla da nascondere". Lo dice il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ospite de 'La Piazza', l'evento organizzato dal quotidiano online Affaritaliani.it a Ceglie Messapica, in provincia di Brindisi.
Coronavirus, Conte: Io detto falso a pm? Sonora sciocchezza - "Su alcuni giornali si sta dicendo che ho detto il falso ai pm" di Bergamo, ma "è una sonora sciocchezza". Lo dice il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ospite de 'La Piazza', l'evento organizzato dal quotidiano online Affaritaliani.it a Ceglie Messapica, in provincia di Brindisi.
Coronavirus, Conte: Rivendico riservatezza decisioni delicate, ma non è segreto - "Chiariamo bene le cose: immaginate cosa significava per gli scienziati riunirsi per suggerire soluzioni. E farlo sotto i riflettori. Quando c'è un processo decisionale così delicato, io rivendico la riservatezza, che non è secretare". Lo dice il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ospite de 'La Piazza', l'evento organizzato dal quotidiano online Affaritaliani.it a Ceglie Messapica, in provincia di Brindisi.
Coronavirus, Conte: Dpcm quando erano necessari, con grande responsabilità - "Il dialogo tra il governo centrale e i governi locali è stata la chiave del modello italiano". Lo dice il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ospite de “La Piazza”, l'evento organizzato dal quotidiano online Affaritaliani.it a Ceglie Messapica, in provincia di Brindisi. "I Dpcm? Non mi sono mai divertito. Lo abbiamo adottati quando erano necessari, con grande responsabilità - aggiunge -. Ogni volta che abbiamo dovuto affrontare un decreto abbiamo svolto un grande lavoro".
Coronavirus, Conte: Mai detto che avremmo lasciato scelte a scienziati - "Di fronte a una pandemia, a un nemico invisibile e sconosciuto, era normale che tutti i virologi o gli epidemiologici avessero un'indicazione. Ho sempre detto che avremmo lavorato fianco a fianco con gli scienziati, non ho mai detto che il governo avrebbe ceduto il suo compito agli scienziati". Lo dice il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ospite de 'La Piazza', l'evento organizzato dal quotidiano online Affaritaliani.it a Ceglie Messapica, in provincia di Brindisi. "Non ho mai detto che avremmo seguito alla lettera le indicazioni degli scienziati, ma che le decisioni avrebbero avuto queste come base", aggiunge.
Conte: Progetti sanità finanziati con risorse Ue. Mes? Intanto attivato Sure - "Molti progetti per la sanità rientrano nei piani di rilancio che sarò finanziato con i fondi europei". Lo dice il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ospite de 'La Piazza', l'evento organizzato dal quotidiano online Affaritaliani.it a Ceglie Messapica, in provincia di Brindisi. "Mes? Intanto abbiamo attivato lo Sure, che è stato un bel regalo di compleanno, ieri", aggiunge.
Coronavirus, Conte: Ssn eccellenza, ma non era preparato a pandemia - "Il nostro Sistema sanitario è efficiente, per certi versi eccellenti se comparato con altri. Ma non era predisposto per una pandemia da Covid-19. Questa pandemia ha rilevato delle criticità, abbiamo dovuto assumere circa 30mila tra medici e personale sanitario e abbiamo investito, in questi 5 mesi, risorse pari a quelle investite negli ultimi 5 anni". Lo dice il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ospite de “La Piazza”, l'evento organizzato dal quotidiano online Affaritaliani.it a Ceglie Messapica, in provincia di Brindisi
Coronavirus, Conte: Mai perso la pazienza né la fiducia - "No, non ho mai perso la pazienza, non me lo potevo permettere". Così il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ospite de 'La Piazza', l'evento organizzato dal quotidiano online Affaritaliani.it a Ceglie Messapica, in provincia di Brindisi. "Ci sono stati momenti drammatici dove anche io ho avuto il timore perché le misure non davano subito i loro effetti, ma non ho perso la fiducia che prima o poi queste misure avrebbero sortito degli effetti positivi. Non ho mai perso la fiducia, mai", ha concluso.
Coronavirus, Conte: Mi costa non poter ancora abbracciare miei genitori - "Anche io non ho visto i miei genitori, perché ho rispettato il lockdown. Ieri sono stato con loro, ma non posso ancora abbracciarli, e la cosa mi costa". Lo dice il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ospite de 'La Piazza', l'evento organizzato dal quotidiano online Affaritaliani.it a Ceglie Messapica, in provincia di Brindisi.
Coronavirus, Conte: Lockdown? Messo in sicurezza Paese, orgoglioso di decisione - "Abbiamo messo in sicurezza il Paese, sono orgoglioso di averlo fatto". Lo dice il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ospite de “La Piazza”, l'evento organizzato dal quotidiano online Affaritaliani.it a Ceglie Messapica, in provincia di Brindisi, a proposito della scelta di adoperare il lockdown per tutta l'Italia.
Coronavirus, Conte: Non potevamo affrontare emergenza al Nord e al Sud - "Non avremmo mai potuto affrontare la situazione pandemica al Nord e anche al Sud". Così in merito al lockdown il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ospite de 'La Piazza', l'evento organizzato dal quotidiano online Affaritaliani.it a Ceglie Messapica, in provincia di Brindisi.
Coronavirus, Conte: Lockdown per tutti dopo fuga nella notte da Milano - "Nella notte tra il 7 e l'8 marzo avevamo deciso la zona rossa per tutta la Lombardia. Poi è successa una cosa nuova, nella notte molti sono fuggiti per paura del Lockdown e abbiamo pensato di mettere in sicurezza il sud, quindi il Paese". Lo dice il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ospite de 'La Piazza', l'evento organizzato dal quotidiano online Affaritaliani.it a Ceglie Messapica, in provincia di Brindisi.
Coronavirus, Conte: Non abbiamo nulla da rimproverarci - "Anche con il senno di poi non abbiamo nulla da rimproverarci". Così il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ospite de 'La Piazza', l'evento organizzato dal quotidiano online Affaritaliani.it a Ceglie Messapica, in provincia di Brindisi.
Coronavirus, Conte: Decisioni prese sempre su base valutazione esperti - "Cosa non rifarei? Non saprei in questo momento. Sin qui abbiamo preso delle decisioni, anche i famosi Dpcm, che a monte avevano dei decreti legge, li abbiamo assunti sempre avendo a base le valutazioni degli esperti. Con grande condivisione di tutti i ministri, anche se ero io a firmarli, e con grande condivisione di governatori e sindaci". Lo dice il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ospite de “La Piazza”, l'evento organizzato dal quotidiano online Affaritaliani.it a Ceglie Messapica, in provincia di Brindisi.
Coronavirus, Conte: Autopsie non erano vietate, ordinanza min.Salute - "Non è esatto dire che fossero vietate le autopsie. Lei si riferisce a un'ordinanza del ministero della Salute".Così il premier Giuseppe Conte alla kermesse di Affariitaliani.it a Ceglie Messapica.
Coronavirus, Conte: Lavorato sempre con coscienza e responsabilità - "Essere additati come modello a livello internazionale è un grande merito collettivo. Errori? Ci sono state giornate e settimane molto difficili, decisioni sofferte, perché in una pandemia ci sono valutazioni sociali ed economiche, ma abbiamo lavorato sempre con metodo, responsabilità e coscienza e questa è stata la nostra forza". Lo dice il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ospite de “La Piazza”, l'evento organizzato dal quotidiano online Affaritaliani.it a Ceglie Messapica, in provincia di Brindisi.
Conte blob, dall’«avvocato del popolo» all’«opposizione maleducata»: le frasi celebri. Pubblicato venerdì, 14 febbraio 2020 su Corriere.it da Maria Teresa Meli. Nessun politico di professione avrebbe utilizzato la frase pronunciata ieri da Giuseppe Conte per attaccare Italia viva : «Opposizione aggressiva e anche un po’ maleducata». Quell’accenno alle buone maniere poco si confà al la politica nostrana. Ma il premier, si sa, viene dalla cosiddetta società civile e il suo linguaggio è assai diverso da quello degli esponenti di partito. Tutti, per esempio, ricordano quando, dopo il conferimento del suo primo incarico annunciò: «Sarò l’avvocato del popolo». A un politico non sarebbe venuta in mente una dichiarazione del genere, a un giurista sì. E chi è avvezzo alle aule parlamentari non avrebbe mai confessato candidamente, come ha fatto Conte, dopo la fiducia al governo giallo-verde: «Un mese fa non ci avrei mai creduto». Un politico, dopo la sconfitta giallo-rossa in Umbria non avrebbe mai liquidato così la faccenda: «Una popolazione pari alla provincia di Lecce non può cambiare le sorti del governo». Nè sarebbe incorso in questa gaffe: «Io sono, quale presidente della Repubblica, garante della coesione nazionale, quindi noi non andremo a sottrarre nulla al Sud, andremo a riconoscere alcune specifiche competenze ad alcune Regioni del Nord». No, non avrebbe mai soffiato il posto a Sergio Mattarella, seppur solo verbalmente . E difficilmente avrebbe definito l’8 settembre l’avvio di «un periodo di ricostruzione prima morale e poi materiale del nostro Paese». Però un politico avrebbe tranquillamente parlato di in terza persona alla maniera del premier: «Conte un uomo che ha una certa età esperienza e competenza professionale. E’ difficile anche solo pensare che possa essere un uomo di qualcuno». Anzi non avrebbe, perché in realtà è già accaduto. Parlano spesso e volentieri in terza persona sia Silvio Berlusconi che Matteo Renzi. E tutti i politici hanno pronunciato almeno una volta nella vita un’affermazione simile a quella di Conte: «L’Italia ha un programma di ripresa incredibile. C’è tanto entusiasmo e tanta fiducia da parte dei cittadini e c’è tanta determinazione da parte del governo. Ci sono tutte le premesse per un bellissimo 2019 e per gli anni a venire». C’è quindi tempo e modo per il premier di imparare il linguaggio della politica italiana. Del resto, a luglio dell’anno scorso, quando i giornali scrivevano che Conte avrebbe potuto guidare anche un governo giallo-rosso, il presidente del Consiglio ha fatto sfoggio di una certa maestria , dimostrando di non avere nulla da invidiare a un politico di professione: «Che io possa andare in Parlamento a cercare una maggioranza alternativa, quando è ben chiaro che io in Parlamento ci vado per trasparenza nei confronti dei cittadini e rispetto delle istituzioni, è pura fantasia. Invito voi giornalisti che dovete riempire le pagine. Non facciamo i peggiori ragionamenti della prima Repubblica. Restituiamo alla politica la sua nobiltà e la sua nobile vocazione. Voliamo alto».
Paolo Bracalini per “il Giornale” il 2 giugno 2020. E sono due anni a Palazzo Chigi, arrivatoci quasi per caso, quando nessuno neppure conosceva Giuseppe Conte, avvocato da Volturara Appula, inventato da Di Maio come soluzione per andare al governo insieme alla Lega e assaporare finalmente il gusto del potere dopo troppi anni di miseria grillina. Un mix impossibile fu l' alleanza gialloverde, un premier improbabile è sempre stato Conte, eppure è ancora lì, con una maggioranza diversa ma con la piega dei capelli sempre impeccabile, anche durante il lockdown dei barbieri. Nessuno avrebbe scommesso un euro sulla sua durata biennale, viste le premesse. Già prima di essere designato era finito in una polemica sul curriculum gonfiato da fantomatiche frequentazioni di atenei che non lo avevano mai visto. Conte era dato già per spacciato prima ancora di mettere piede a Palazzo Chigi, un fantoccio creato e bruciato nel giro di poche ore. Invece l' avvocato ha smentito tutti i gufi, dimostrando grandi abilità nell' arte della sopravvivenza, opportunismo e trasformismo mirabili. Si ricorda la sua esultanza sfrenata nel quartier generale dei Cinque stelle alla vista dei risultati elettorali nel 2018. Salvo poi assicurare di non essere mai stato organico ai grillini, che pure lo avevano proposto come ministro M5s. Si ricorda altrettanto la sua arringa contro «il business dell' immigrazione, cresciuto a dismisura sotto il mantello di una finta solidarietà», detto con toni squisitamente leghisti. Salvo poi cambiare rotta e scoprire che «abbiamo bisogno anche dei migranti», quando c' era da accontentare il Pd, nuovo alleato. Ma già molto prima di scoprirsi ammiratore di Di Maio, Conte aveva provato interesse per il renzismo, filtrato da Maria Elena Boschi, collega avvocato civilista in quel di Firenze, dove Conte è professore universitario. È proprio in quei panni di accademico che invece, sempre a Firenze, ha incrociato il suo destino con i Cinque stelle, avendo avuto come aiutante l' avvocato Alfonso Bonafede, futuro ministro e mentore del suo ex professore nel passaggio dalla cattedra alla poltrona politica. Un' ambizione che Conte ha sempre coltivato, con pazienza ma con tenacia, applicando un' innata capacità di adattarsi alle situazioni e plasmare le proprie idee a seconda dell' occasione. Ora sovranista, ora di sinistra, ora cattolico moderato con agganci in Vaticano, ora inflessibile difensore dei confini (al governo con Salvini) ora europeista senza frontiere, dal noi «siamo orgogliosamente populisti, anti sistema, ascoltiamo la gente» del Conte 1 al «nuovo umanesimo» del Conte 2, da «avvocato del popolo» a uomo solo al comando, per decreto e in diretta Facebook. L' Italia nel frattempo è cambiata, la maggioranza anche, l' economia stravolta, l' unica costante è il suo attaccamento al potere. In quello il premier può vantare qualche successo. Anche se arrivato lì per misteriose congiunzioni astrali e in rappresentanza di nessuno se non delle proprie ambizioni, Conte è già ben piazzato nella classifica di longevità dei premier italiani: più duraturo di Gentiloni, Monti, Letta, Amato, D' Alema e molti altri. Il giurista, qualifica a cui teneva moltissimo nei primi tempi, si è ambientato benissimo nella palude politica italiana, fino a coltivare sogni da statista e progetti di partiti personali. Complice il sostegno benevolo di giornali e tg Rai, ben lavorati dal fidato Casalino, il premier riesce incredibilmente a surfare sulle macerie di un Paese in recessione, senza pagarne le conseguenze. La disastrosa gestione dell' emergenza Covid non sarebbe stata perdonata ad altri suoi predecessori, a lui sì. In questi due anni è passato attraverso discreti temporali, il Russiagate, il concorso da ordinario passato grazie alla commissione del suo ex socio Guido Alpa, ma soprattutto il primato di aver portato il Pil a -10%, lui che prevedeva anni «bellissimi» per l' Italia. Per altri sarebbe stata la fine, per lui no. Il fatto di aver dichiarato guerra alla Lega lo ha fatto benvolere dall' establishment. È chiaro che punti a finire la legislatura. Nel curriculum a cui tiene molto potrebbe scrivere «2018-2023, presidente del Consiglio». Per lui, ma solo per lui, anni d' oro.
La strana parabola di quisque de populo. Antropologia di Giuseppe Conte, primo ministro uscito da un sorteggio tra amici di amici. Paolo Guzzanti de il Riformista il 5 Giugno 2020. Perché gli italiani si rispecchiano nelle scarpe lustre di Giuseppe Conte? L’antropologia del Primo ministro, uscito da un sorteggio e da una catena di amici di altri amici, va decifrata guardando gli italiani, non lui, come il dito e la Luna. Lui funziona come una macchia di Rorschach, il test di figure senza senso in cui ciascuno vede quel che vuole, cioè se stesso. Così forse si spiega la fortuna di Conte che placa i rari turbamenti delle coscienze del nostro popolo. Inoltre, è una garanzia di giustizialismo e di trojan nei telefonini. Agli italiani piace che gli altri siano intercettati. Le intercettazioni ardono i potenti immaginari come fascine del rogo. Cultura del diritto? Non pervenuta. Che roba è? Poi, la politica. La nostra società sembra averne abbastanza della politica, complicata come il bridge quando invece è più rilassante giocare a rubamazzetto o ad asso pigliatutto. Ricordate i grandiosi tempi dei grandi partiti con i congressi persino delle correnti? Le divisioni fra socialisti? Le evoluzioni e le crisi fra i comunisti? I dotti contorcimenti nella Dc? Persino la posizione intrigante dei missini di Giorgio Almirante? Ricordate De Mita passato alla storia come “intellettuale della Magna Grecia”, definizione di Gianni Agnelli? O il primo Berlusconi con i disperati tentativi di riformare la giustizia e il processo, gli scontri titanici tra i poteri blindati di quella magistratura e la politica di allora? Tutto finito. Non solo la Terra è tornata piatta, ma l’orizzonte della politica è diventato puerile: il “Vaffa Day” lo capiscono tutti. I forconi, anche. Arrestateli tutti, è più facile. Sono tutti ladri, va sempre forte. E le Procure al potere reale sono consolanti come avere per portiere un secondino, con tutto il rispetto per i lavoratori del ramo. È anche facile cadere nel luogo comune e dire che gli italiani sono fatti così, e segue il barzellettaio delle furbizie e delle scorciatoie. L’aveva capito Leopardi nel suo reportage sul Carattere degli Italiani, l’aveva raccontato Manzoni con la Colonna infame, la peste e l’assalto ai forni; l’aveva testimoniato il vero Pinocchio di Collodi, disavventure di un povero ragazzo del popolo (un altro Renzo Tramaglino, ma col naso più lungo) e ci mettiamo anche la cinica confessione di Mussolini poco prima della fine, quando un giornalista americano gli chiese perché avesse inventato il fascismo: «Non l’ho creato io – disse spudoratamente – ma è nella natura degli italiani alla quale ho aggiunto solo la coreografia. Se fossi nato in Inghilterra sarei un Primo ministro laburista». Gran faccia tosta, ma tutti sappiamo che nel sangue italico circola questa voglia di farla finita con la politica, con le sofisticherie, con la cultura che se non è divisiva e problematica, che cultura è. Tutto dipende dalla natura umana ma, ci sembra, l’evoluzione politica e culturale si misura appunto nella distanza che il bipede Sapiens sa creare allontanandosi dalla natura. Il Neolitico fu il più alto momento di evoluzione perché gli umani scoprirono i vantaggi dell’organizzazione dei compiti, delle norme, persino dei vizi e del quieto vivere. Ma il richiamo della caverna esiste sempre e l’Italia rappresentata dal governo Conte è cavernicola, benché in doppio petto. La nostalgia cavernicola si misura dal mancato funzionamento delle garanzie a tutela della singola persona unica e irripetibile che ha bisogno di essere protetta da chi rotea la clava. Qualcuno dirà: e che c’entra Conte, che è un uomo così pacato, elegante e ragionevole, così verboso e ovattato, così ipnotico per stanchezza indotta? È vero, Conte non appare come un energumeno. Ma, peggio, è una figura debole: è la nuova macchia di Rorschach in cui ognuno vede i suoi inconfessati istinti soddisfatti. Già, il fatto che uno sconosciuto sia arrivato al vertice di una liberal-democrazia solo perché conosceva qualcuno (Bonafede) che conosceva qualcun altro (Di Maio) che lo porta in gita sul Colle per fargli apprezzare il panorama, è un evento unico nella storia delle democrazie di tutti i tempi. Il fatto poi che lo abbia saputo incarnare senza fare una piega e neanche un plissé, e persino guidare due diverse maggioranze espresse dallo stesso Parlamento, una di estrema destra e una di estrema sinistra, agiterebbe qualsiasi mente normal-democratica. Però, avete visto, funziona: piace al grillismo stradaiolo, ma anche agli eredi del Pci che non si sa che cosa vedono in lui, ma ci stanno pensando. La destra a tre punte separate di Salvini, Berlusconi e Meloni, non lo considera un ingombro da rimuovere ma un governo con cui trattare nella fase della ricostruzione. Dunque, allo stato dell’arte di questo maledetto 2020, il soggetto piace per tautologia, come nell’antico sketch di Vianello e Tognazzi al tempo della TV in bianco e nero, basato sulla ripetizione di due sole battute: «Tu che ne dici?», «Io dico che piace». A ripetizione. Così la pigrizia ha preso il posto del tessuto interstiziale della cultura, mentre il livello della pubblica istruzione si è adattato ai livelli sempre più banali e mediocri, sostenuta rigorosamente – la pigrizia – da esibizioni di ignoranza crassa da parte di conduttori televisivi e di telegiornali. Al popolo viene somministrata quasi quotidianamente una predica papale, una presidenziale e una conferenza stampa di Giuseppe Conte, come elisir anestetico. La Giustizia più desiderabile? Manette a manetta. I detenuti non sono esseri umani, ma neanche gli indagati o i sospettati, anche in via ipotetica. Chi, poi, debba essere sospettato, lo decidiamo noi e voi lo saprete attraverso la pubblicazione pilotata di frammenti di intercettazione che scegliamo noi. Stampa e commentatori, come l’intendence di Napoleone, seguiranno. Anzi, ormai precedono. L’Italia del 2020, breve memo per gli analisti del futuro, era un Paese intorpidito e abituato alla pappa fatta, politicamente parlando. La questione dei diritti civili, per fare un esempio, può andare benissimo se si parla dell’America, ma non di fatti nostri. Decade, di conseguenza, l’uso dei verbi e dei tempi complessi. Non è che Conte ignori il congiuntivo. Gli si è atrofizzato il pensiero ipotetico. Il linguaggio collettivo unificato, nel frattempo, è cresciuto nel tono piagnone e omicida, ma con tanta solidarietà ecosostenibile. Bonificato il campo delle questioni di principio abbandonate come iscrizioni egizie, Conte appare perfetto: loquace senza dire nulla che non abbia già detto, fornisce indicazioni stradali per la scorciatoia. Il Covid-19 con l’infusione televisiva del Primo ministro usato anche come salvaschermo nei telegiornali ha sigillato il sarcofago della democrazia liberale, tanto che la mummia sembra che stia benissimo. Dal vetro, sembra quasi viva.
Ritratto di Giuseppe Conte, premier affetto da eiaculazione precoce del cervello. Paolo Guzzanti de Il Riformista l'8 Marzo 2020. Istruzioni per l’uso di questo articolo: se non l’avete mai visto perché siete troppo giovani, correte a vedere uno dei più bei film di tutti i tempi, che in italiano è stato titolato Oltre il giardino (del 1980) interprete Peter Seller al suo meglio. Il nostro crudele e dichiarato proposito è quello di mettere a confronto il capo del nostro governo, il professor Giuseppe Conte, con il protagonista del film, un giardiniere con un leggero ma visibile handicap mentale che va incontro a una straordinaria imprevista carriera. Sgombriamo subito il campo: il paragone fra i due ha senso, ma con una importante distinzione: The Gardner è afflitto da un ritardo mentale, mentre Giuseppe Conte è secondo noi affetto da anticipo mentale che è, in politica, l’eiaculazione precoce del pensiero. Ciò che rende accettabile metterli sullo stesso piano è l’inaspettata carriera. Nel film, un giardiniere che non ha mai visto il mondo oltre il giardino in cui è nato e vissuto diventerà presidente degli Stati Uniti grazie al fatto che le sue frasi semplici, banali, tipo «quando finisce la siccità le rose possono sbocciare» non vengono prese per quel che sono – banalità al livello più elementare – ma per astutissime metafore dal contenuto densissimo, che fanno impazzire analisti e servizi segreti, incapaci di decifrare la magnifica segretezza e saggezza del giardiniere che sa sempre quando accennare all’avvicendarsi delle stagioni o alla necessità di prendere l’ombrello quando piove. Avrete dunque capito, gentili lettori e – se ci legge – lo stesso professor Conte, dove vogliamo andare a parare: per la prima volta nella storia delle democrazie moderne – ai tempi di Pericle sarebbe stato improponibile e inaccettabile – un giorno, un signore con il suo zainetto a rotelle incrocia un altro signore col suo trolley (il mancato primo ministro Carlo Cottarelli) e si presenta al capo dello Stato con cui ha una conversazione simile a quella che Carlo Magno ebbe, secondo Italo Calvino, con un misterioso cavaliere dalla lucente armatura. Questo colloquio non ha a che fare con Oltre il Giardino ma ci diverte ricordarlo per divertire il lettore con l’evidente analogia, e andiamo a memoria. Carlo Magno passando in rivista i suoi cavalieri con annesse truppe chiede a ciascuno: «E chi siete voi, Cavaliere di Francia?». E il protagonista scintillante e metallico risponde dal chiuso dell’armatura: «Emo, Bertrandino di Gallia Citeriore e Fez…» e seguita con la celata abbassata sicché Carlo Magno si spazientisce: «Perché non mostrate il volto, cavaliere?». «Perché io non esisto» risponde il Cavaliere Inesistente. Carlo Magno a questo punto borbotta qualcosa come: «Oh, be’, boh, ma guarda un po’ tu» e prosegue nella sua ispezione delle forze in campo. Ricordiamo bene quando il nostro Giardiniere, benché Conte, si presentò su al Colle. Il nostro Carlomagno del Quirinale più o meno gli chiese. «E chi siete voi, cavaliere dello Stivale?». «Avvocato, Presidente, solo avvocato». «Ho letto il vostro curriculum e ci è sembrato eccentrico» disse Carlomagnattarella riferendosi al fatto – scovato da un sagace cronista del New York Times – che l’inaspettato sconosciuto aveva fatto passare come un titolo le lezioni di inglese alla New York University, ciò che aveva onestamente fatto un bel po’ incazzare tutti, Carlo Magno compreso. Poi – andiamo a spanne, ma vicini alla riva della verità – il colloquio proseguì con: «E chi vi ha portato qui, cavaliere avvocato?». E lui: «Il signor Di Maio dello Stadio di Napoli». La fine è (quasi) nota quindi non vale la pena di insistere. Torniamo al Conte ignoto e subito primo ministro: nessuno ne aveva visto uno, prima. Ha sbagliato parecchie volte i congiuntivi e mostra una curiosità fonetica: non è sempre sicuro della pronuncia delle parole perché si avventura in una selva di luoghi comuni subordinati a grappoli in cui si perde. Una delle sue boe d’ormeggio è l’espressione “a tutto tondo”, che fa supporre una decisa avversione per i tondi parziali. E l’altra – in multiproprietà – “la trasparenza”. Tutto ciò che il nostro Giardiniere spiega è talmente trasparente che alla fine non si vede. Quando andò alla festa di “Liberi e uguali”, anfitrione D’Alema, creò imbarazzo per aver detto di aver chiesto come cortesia personale ai governi dei paesi europei, di prendersi la loro quota di migranti. Come sarebbe a dire, “per cortesia personale”? Ecco, in questo piccolo accidente, non infrequente, c’è il miglior Peter Seller involontario di Conte. È infatti escluso che avesse intenzione di dire davvero quel che ha detto, ma è vittima di arzigogoli spagnoleschi che non riesce mai a filtrare in un linguaggio limpido. Molto più di quella di De Mita, la sua eloquenza è intraducibile in inglese. La storia del suo rapporto con Salvini, dall’amour passion all’odio senza risparmio, è anch’essa unica nella storia delle democrazie, dove nessuno – mai – è succeduto a se stresso come capo di due coalizioni successive, una di destra che più a destra non si può, e una di sinistra che di più è impossibile. Ne ha risentito alla lunga il suo abbigliamento, passato da un doppiopetto da prima comunione-misto Padrino a una tenuta scamiciata ritenuta più omogenea ai nuovi alleati, perdendo la sua famosa pochette. Il Giardiniere di Peter Seller non era vanitoso. Era modestissimo e non si rendeva conto di essere oggetto di adorazione e anche di passione femminile. Conte sembra invece avido di adorazione, ma consapevole della necessità di apparire casual, amico del popolo o, come dicono i romani, scaciato. La maledizione con cui è venuto politicamente al mondo è quella di apparire un opportunista che ha vinto alla lotteria. E ne è visibilmente consapevole cosa che aggrava il peccato originario con piccole scompostezze, ma specialmente con eccessi verbali di una ridondanza alluvionale. Se mai ci leggesse, gli consiglieremmo di rivedere l’originale Oltre il Giardino, in cui il suo modello si esprime in mondo talmente breve ed elegante, da far pensare a tutti che fosse un pensatore sottile, mentre voleva soltanto dire che finché le mele non sono mature, meglio lasciarle sull’albero. Conte invece spiega la storia dell’albero, dà le ricette di quattro torte di mele e poi dimentica da dove era partito. Di sicuro non pensava – ad esempio – a quel che diceva quando si definì en passant “Presidente della Repubblica” perché voleva dire Presidente del governo di questa Repubblica. Purtroppo nella sciarada del Quirinale che costituisce il corona virus settennale italiano, una gaffe del genere è atroce e Peter Seller al suo posto avrebbe detto «Non ho con me le cesoie adatte». Prendiamolo nella sua recente conferenza stampa in cui, avendo accanto il ministro Gualtieri, annuncia la chiusura di scuole e università. Il governo ha ragione a fare l’unica cosa che si può fare per non provocare il contagio e poi la morte di centinaia di migliaia di persone perché sa che secondo l’Organizzazione mondiale della Sanità il contagio potrebbe arrivare al sessanta per cento e dunque – dovendo procedere alla cieca – l’unica cosa da fare è distanziare gli esseri umani fra loro affinché le loro salive non vengano sparate a cerbottana nelle gole altrui. Ma quando una giornalista gli chiede perché l’abbia fatto, il nostro Giardiniere risponde con un pezzo di letteratura pesante: «Ieri sera ci siamo riuniti per avere un aggiornamento a tutto tondo perché credo che come prima cosa tutti i componenti del governo, che sono adesso alla guida del Paese, debbano essere periodicamente aggiornati su quello che è l’andamento della curva e delle criticità con cui l’emergenza ci sta sfidando e dopo alcune ore di confronto, poi nella parte finale, ci siamo dedicati poi al tema delle scuole e l’abbiamo sviscerato già nel corso dell’incontro e in modo molto trasparente, lo ridico, è maturato l’indirizzo della chiusura delle scuole che non è una scelta facile, è una scelta complessa: e questo governo ha assunto questa scelta con piena responsabilità e anche consapevolezza delle difficoltà perché chiudere le scuole significa anche creare dei disagi, può avere impatto sulle imprese e i luoghi di lavoro e dà un segnale se volete all’estero perché è chiaro che chiudere le scuole in Italia significa acclarare quello che è sotto gli occhi di tutti. Per completare la nostra decisone abbiamo chiesto la cortesia al professor Brusatello di farci arrivare un parere che poi ci è arrivato e da ieri tanti esperti e scienziati e altri hanno dichiarato tutti che sono misure che possono avere un impatto positivo perché anche in questo momento anche gli scienziati non hanno evidenze scientifiche su un virus le cui loro hanno difficolta, ma in ogni caso quando dico che ci basiamo su valutazioni tecnico scientifiche non dico che noi seguiamo alla lettera ma noi abbiamo una nostra responsabilità, noi valutiamo a tutto tondo e dall’indicazione sanitaria sociale anche culturale per garantire verità e trasparenza e ieri è stata una anticipazione che è filtrata ha dato per scontata una decisione finale che non era stata ancora presa…». Parole emesse come radiazioni ridondanti per la smania di voler tutto spiegare, giustificare, puntualizzare, chiarire, contestare, replicare, quando l’arte del giardiniere è fatta di materiale sintetico. E che quando è tempo di siccità bisogna augurarsi la pioggia. Ma se la pioggia è eccessiva, dobbiamo augurarci che ceda il passo al sole. Ecco, roba così, un po’ più terra terra, mai oltre il giardino di casa.
Giuseppe Conte, il "trasformista". Ospite a "Otto e Mezzo" il direttore di Panorama, Maurizio Belpietro, ha presentato il libro dedicato al premier e parlato dell'attuale situazione politica. Maurizio Belpietro il 13 gennaio 2020 su Panorama. Conte è machiavellico innanzitutto nel rimanere a Palazzo Chigi dove prima era alleato con la Lega e poi ha cambiato passando a fianco del Partito Democratico, anzi addirittura con Leu che è tutto da spiegare. Prima infatti si diceva orgogliosamente populista, oggi si sente, e lo dice, vicino alla sinistra con Zingaretti che lo ha considerato un punto di riferimento “essenziale”. L’abilità camaleontica di Conte è sotto gli occhi di tutti. Non risponde mai con precisione ma cerca sempre di mantenersi aperte diverse possibilità: è europeista, poi dice che l’Europa è da cambiare. Dice che è contro la Tav ed attacca Macron, poi dice che la Tav è da fare. Lo stesso per il Tap, l’Ilva, Alitalia. Per non parlare di autostrade, che ancora non sappiamo come finirà. Fa l’avvocato ed anche in politica si comporta come tale, ma non l’avvocato del popolo, come si definiva. E’ più l’avvocato di se stesso. E’ stato sicuramente sottovalutato, come politico, chiamato il “Burattino” dei vicepremier ma ora ci rendiamo conto che un’abilità gli va riconosciuta. E’ anche molto popolare tra la gente ma ricordo che la stessa cosa accadde con Mario Monti, che da premier aveva un gradimento altissimo, poi quando è sceso in campo con un suo partito alle elezioni ha preso il 5%. Quindi bisogna attendere la prova dei fatti, più che quella delle parole. Il centrosinistra cerca di fare sostanzialmente quello che ha sempre fatto, con questo ritrovo nel convento di Rieti. Cerca per prima cosa di trovare un nuovo nome, e di nomi nel centrosinistra ne hanno cambiati diversi negli ultimi anni. Cerca poi di trovare un aggancio nella cosiddetta “società civile”: oggi sono le “Sardine” ma anni fa ricordiamo i Girotondi, poi il “Popolo Viola” per cercare di trovare nuovi spunti. Ma in realtà non fanno mai una riflessione seria su quelle che sono le ragioni che hanno portato il partito ad essere sempre più debole, al di là del suo nome. La sostanza rimane sempre la stessa. Tempo però che dietro questo incontro ci sia una ragione molto più semplice e banale; siamo infatti alla vigilia delle elezioni regionali in Calabria e soprattutto in Emilia Romagna che sono molto importanti per il Partito Democratico dato che proprio in quella terra, da sempre, c’è il cuore del voto del partito comunista. Perdere quella regione sarebbe devastante e così Zingaretti con questa riunione nel conclave cerca di raccogliere la simpatia ed il sostegno delle Sardine, aprendo a loro le porte del Pd, nella speranza che tra 13 giorni queste votano Bonaccini. Io penso che il M5s si spaccherà perché è composto da mille anime, troppe. E stato un movimento che anni fa è riuscito ad intercettare un cambiamento nella società, la protesta. Ha offerto proposte, idee, su temi importanti come l’ambiente. Oggi però è cambiato. Oggi è composto da gruppi che hanno idee totalmente diverse; un pezzo del Movimento vuole appoggiare Conte, altri invece vorrebbero tornare con la Lega e non stanno bene con il Pd. Credo che si romperà, forse una scissione, forse guidata da Di Battista o dallo stesso Di Mio, che punta ad un partito dall’animo più rivolto verso il sud. Ma questo credo sarà il destino del partito di Grillo. In generale viviamo un periodo di politica molto volatile e sono pochi, se ci sono, i partiti che possono dirsi “stabili”. Pensate ad esempio al M5S che nel 2018 alle politiche conquistò il 34% ed ora ha i voti meno che dimezzati. Giorgia Meloni oggi insidia Matteo Salvini e non solo per motivi personali. Riesce infatti ad intercettare il voto di chi è di centrodestra ma non vuole votare Salvini ma raccoglie anche i voti degli scontenti del sud che avevano appoggiato e sostenuto DI Maio. Anche la Meloni ha detto che se la Borgonzoni dovesse vincere in Emilia si torna al voto. In realtà non c’è nessuna conseguenza diretta, ma è solo logica politica, non c’è nessun obbligo. Abbiamo visto che a nulla sono servite le vittorie in Umbria, Piemonte ed in tutte le altre regioni che erano governate soprattutto dalla sinistra. Ma, ripeto, non è scritto da nessuna parte che in caso di vittoria del centrodestra in Emilia si debba poi andare al voto e sciogliere le camere.
Dagospia il 15 gennaio 2020. Pubblichiamo lo stralcio di un capitolo tratto dal libro Giuseppe Conte. Il trasformista (edito da Piemme e da ieri in libreria), scritto da Maurizio Belpietro con Antonio Rossitto e anticipato sul numero di Panorama da oggi in edicola. Il libro svela segreti e retroscena dell’irresistibile carriera del premier. L’estratto che potrete leggere fa luce, grazie a documenti inediti, sull’esame per ordinario vinto dal presidente del Consiglio. Testo di Maurizio Belpietro e Antonio Rossitto pubblicato da “la Verità” il 15 gennaio 2020. Quando gli danno dello «sconosciuto avvocato», Conte trasecola. «Ma se ho centinaia di clienti» si sfoga con i collaboratori più fidati. Ed è pure diventato ordinario a soli 38 anni. Ha ragione da vendere, il premier. Nelle università italiane, storicamente asfissiate da baronie e familismo, si arriva in media a scalare il gradino più alto della carriera accademica quasi all' età della pensione. I docenti di prima fascia con meno di 40 anni, certifica l' ultimo rapporto del ministero dell' Istruzione, sono appena 20 su 12.975: meno dello 0,2 per cento. State allegri, italiani: in quel laghetto dalle acque cristalline ha nuotato anche l' anguilla di Palazzo Chigi, docente di diritto privato all' Università di Firenze. [...] La vera ascesa comincia quando, dopo aver vinto l' apposito concorso, ad aprile 1998 viene nominato ricercatore di diritto privato a Firenze. Da quel momento brucerà tutte le tappe: in poco più di quattro anni scalerà ogni vetta accademica. A giugno 2000 vince il concorso per professore associato. Il posto viene bandito dalla Seconda Università di Napoli. Nella commissione ci sono Raffaele Rascio, della Federico II, il più prestigioso ateneo campano, e Giovanni Furgiuele, che sarà vicino di stanza di Conte all' Università di Firenze. Rascio e Furgiuele, meno di due anni più tardi, si ritrovano di nuovo insieme in una commissione. Di nuovo nella Seconda Università di Napoli. Sempre per un concorso, ma da ordinario. E, ancora una volta, il prescelto è il giurista di Volturara Appula. Tra i cinque docenti che lo giudicano c' è anche Guido Alpa. Insegna diritto civile alla Sapienza di Roma ed è un celebratissimo avvocato italiano. La sua presenza in quella commissione cela un' accusa di favoritismo che il presidente del Consiglio rifiuterà con sdegno. Perché Alpa e Conte non sono legati solo da reciproca stima e sicura fiducia: i due nel 2002, poco prima di quel concorso, decidono di aprire insieme uno studio professionale. Anzi, una semplice condivisione di spazi, derubricherà il premier. [] Per farla breve: non c' è un conflitto d' interessi? [...] Per scoprirlo, bisogna consultare i documenti ufficiali e incrociare le date. [] Lo studio legale in comune viene aperto all' inizio del 2002. Proprio mentre Alpa si appresta a giudicare il suo pupillo. In un' intervista al Secolo XIX, il luminare chiarirà: «La commissione era stata estratta a sorte». [...] Peccato che dai documenti risulti il contrario. Alpa viene eletto, non sorteggiato. Ed è perfino il più votato tra i commissari: 54 preferenze. [] E alle sue spalle, con 39 indicazioni, c' è ancora Furgiuele. Morale: Conte diventa ordinario anche grazie agli entusiastici giudizi dell' allora vicino di studio professionale e del venturo vicino di stanza in facoltà [].Alle 9.30 del 13 luglio 2002, assieme agli altri tre membri, i due giuristi si ritrovano nel dipartimento di Diritto comune patrimoniale dell' Università Federico II. È il momento del verdetto. [] Quattro candidati non ottengono nemmeno una preferenza. Conte invece fa l' en plein: cinque voti su cinque. Con la stessa percentuale bulgara, viene dichiarato idoneo anche Carlo Venditti, figlio di Antonio, già ordinario di diritto commerciale proprio alla Federico II di Napoli.
Due plebisciti. Ciascun commissario, annota il verbale finale, prima del voto «dichiara di non avere relazioni di parentela o affinità fino al quarto grado con i candidati e che non sussistono cause di astensione di cui all' articolo 51 del Codice di procedura civile». E che cosa prevede la succitata norma? Il giudice deve astenersi dal giudizio se ha un interesse personale. [] È il caso di Alpa? [] Conte e Alpa, negli ultimi anni, solo dall' Autorità per la protezione dei dati personali hanno avuto complessivamente otto incarichi. Sempre insieme. [] Conte e Alpa sono due assi pigliatutto: su 13 cause conferite ad avvocati esterni negli ultimi anni, se ne aggiudicano [] ben otto. Ovviamente non ci sono solo le difese in nome e per conto del Garante. [] Nel 2006 rappresentano Craft, la società che ha brevettato i tutor, contro Autostrade, accusata di aver contraffatto il loro brevetto industriale. Nel 2013 difendono l' ospedale San Giovanni di Roma in una causa per la gestione del servizio di mensa. E nel 2014 i due si alternano nella difesa della Granarolo, il famoso gruppo alimentare. Sono indizi di un «sodalizio»? Nemmeno per sogno: eravamo solo coinquilini, ripete Conte []. Ma c' è un particolare che complica il quadro. E non è affatto di scarso rilievo. Perché è lo stesso Conte ad aver seminato dubbi su dubbi. Nell' autunno 2013 invia alla Camera dei deputati il suo smisurato curriculum per concorrere all' elezione nel Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa. Il futuro capo del governo, lasciando poco spazio all' immaginazione, scrive di sé: «Dal 2002 ha aperto con il prof. avv. Guido Alpa un nuovo studio legale dedicandosi al diritto civile, societario e amministrativo». Così, il 18 settembre 2013, assieme ai membri laici delle magistrature speciali, il professore viene scelto per la rinomata carica. Si dimetterà a marzo 2018, soltanto dopo aver accettato la candidatura come ministro della Pubblica amministrazione in un ipotetico governo grillino. Ancora ignaro che il fato avrà in serbo per lui qualcosa di ben più sbalorditivo: la guida di due governi. []
Caso Conte-Alpa: “la verità” di Maurizio Belpietro. Le Iene News il 14 gennaio 2020. Nel suo ultimo libro Maurizio Belpietro intervista il premier Giuseppe Conte e lo incalza sulla vicenda del concorso universitario che lo ha nominato professore di diritto ordinario. Tra gli esaminatori c’era il professor Guido Alpa, che Antonino Monteleone e Marco Occhipinti hanno scoperto aver lavorato insieme al premier in una causa civile a difesa del Garante della Privacy. Maurizio Belpietro, direttore del quotidiano La Verità, torna sul caso Conte-Alpa, di cui in esclusiva vi abbiamo raccontato più volte nei servizi di Antonino Monteleone e Marco Occhipinti. Lo fa in un suo libro appena dato alle stampe, “Giuseppe Conte il trasformista”, nel quale racconta i presunti “scivoloni”, privati e politici, del premier “avvocato del popolo italiano”. A Maurizio Belpietro che lo intervista per il libro, Conte, dopo avere ripetuto che in realtà il professor Guido Alpa non è il suo maestro, ribadisce un leitmotiv già più volte espresso a Le Iene: “Tra noi non c’è mai stata un’associazione né formale né neppure di fatto. Non ci dividevamo i proventi. Eravamo solo coinquilini”. Un concetto che ribadisce più volte: “Non si è trattato di una collaborazione professionale”. Dopo avere ammesso di avere un po’ “infiocchettato” il suo curriculum vitae, è costretto a tornare sul concorso universitario di Caserta, con il quale nel 2002 fu nominato professore ordinario di diritto privato.
Maurizio Belpietro lo incalza e gli fa notare che proprio Guido Alpa, sentito sul suo ruolo di esaminatore al concorso, avrebbe affermato di essere stato sorteggiato per quel ruolo. Una dichiarazione però che il giornalista smentisce seccamente: “Le carte che abbiamo consultato smentiscono Alpa, in realtà venne eletto con un plebiscito: 54 voti”. Conte contrattacca: “Quanti voti servivano per diventare professore ordinario? Tre su cinque. E io quanti ne ho presi? Cinque. Dunque voi avete un concorso che nel 2002 ha designato ordinario questo fessacchiotto, oggi presidente del Consiglio. E Guido Alpa non era nemmeno a capo della Commissione…” Una posizione sposata anche da Rocco Casalino, portavoce e capo ufficio stampa di Giuseppe Conte, che prova a intervenire a sua difesa: “Anche senza il voto di Alpa, Conte avrebbe vinto comunque il concorso”. Una vicenda che non sembra ancora volersi esaurire, quella del concorso universitario del 2002 a Caserta. Parliamo del concorso che ha nominato Giuseppe Conte professore ordinario di diritto privato, subito dopo una causa civile nella quale lui e il suo esaminatore, Guido Alpa, hanno lavorato insieme. Ci siamo chiesti se il professore che l’ha giudicato e promosso al concorso era incompatibile, sulla base della loro collaborazione professionale con l’esaminato. Vi avevamo mostrato un documento esclusivo, che sembrava mettere in crisi la ricostruzione che Giuseppe Conte aveva dato suoi rapporti professionali con Guido Alpa, del fatto che avessero fatturato ognuno per proprio conto riguardo a quell'incarico dato dal Garante per la Privacy, dato insieme agli avvocati Conte e Alpa e che dunque quest’ultimo fosse incompatibile per legge nel suo ruolo di esaminatore al concorso. Abbiamo pubblicato anche il progetto di parcella per la causa civile del 2002 nella quale il premier Conte e il professor Alpa difesero il Garante per la Privacy. Un progetto su carta intestata a entrambi gli avvocati, con la richiesta di pagamento dell’intera cifra di 26.830,15 euro su un unico conto corrente intestato ad Alpa di una filiale di Genova di Banca Intesa. Il tutto firmato da entrambi. Antonino Monteleone e Marco Occhipinti si sono chiesti perché mandare un’unica lettera ai due professionisti se, come ha sempre sostenuto Giuseppe Conte, “si trattava di due incarichi distinti e non c’era un’associazione né di diritto né di fatto e soprattutto se quell’incarico fu pagato con due fatture separate”. Giuseppe Conte, nel corso di una tesissima conferenza stampa, aveva ribadito la sua posizione, rivolgendosi alla Iena: “Se lei si è procurato la lettera di conferimento dell’incarico e ha visto che l’incarico è stato conferito ad Alpa e a Conte… abbiamo sviscerato che un collegio difensivo può essere composto anche da venti avvocati nel civile… Se l’incarico mi è stato conferito dal Garante e io non mi faccio pagare come in questo caso perché ritengo di aver svolto attività difensiva non di rilievo, evidentemente non me la sono sentita di fatturare essendo il Garante un ente pubblico. Lei stesso si è fatto dire dal Garante che anche qualche altra volta, dove sono io solo nel collegio difensivo, non mi sono fatto pagare”. Abbiamo proseguito nella nostra inchiesta, mostrandovi i verbali di 5 udienze di quel processo al tribunale civile di Roma, da cui si evince che Conte partecipò quasi sempre, mentre Guido Alpa quelle 5 udienze le saltò tutte. È legittimo dunque pensare al “dominus” che manda a udienza il suo “giovane allievo”? E abbiamo pubblicato anche un altro documento, che con maggiore forza sembrerebbe smentire la versione di Conte sul pagamento delle sue spettanze nel primo grado di quel processo. Si tratta della seconda parte del progetto di parcella firmato da Alpa e da Conte, in cui compare la lista delle prestazioni che i due professionisti indicano come svolte e che chiedono all’autorità di pagare su un unico conto corrente. Nella lista delle prestazioni da fatturare sono indicate le voci che riguardano sicuramente anche il lavoro svolto da chi ha partecipato alle udienze, quindi come detto, presumibilmente da Giuseppe Conte. Nell’elenco c’è la partecipazione alle udienze dal valore di 416 euro, la precisazione conclusioni, stimata 103 euro, l’assistenza all’udienza conteggiata per 2.160 euro e la discussione in pubblica udienza valutata 1.392,50. Che in generale si tratti di prestazioni attribuibili anche da Giuseppe Conte sembra certificato dal fatto che c’è la sua firma sul progetto di parcella. Perché mai dunque, ci chiediamo, l’avvocato Conte avrebbe dovuto firmare un documento con l’elenco delle prestazioni fornite da un altro avvocato, se lui con quelle prestazioni non aveva niente a che fare? Per verificare il vero significato di queste carte, le abbiamo portate a Corrado Ferriani, commercialista e docente di diritto penale dell’economia, che le commenta così: “Si tratta di un classico progetto di parcella, un documento tipico dei professionisti che viene emesso nei confronti del cliente per chiarire alla fine di una prestazione l’attività svolta, i soggetti che l’hanno svolta ed evidentemente gli estremi per il pagamento della successiva fattura che sarà emessa nel momento del pagamento. È ovvio che chi emette un avviso di parcella, deve necessariamente aver svolto una prestazione, in questo caso evidentemente due soggetti. Questo documento sta dicendo all’autorità che i due professionisti che hanno emesso la nota proforma hanno svolto le prestazioni indicate nell’oggetto e nella fattispecie sono quelle chiaramente indicate per onorari e diritti complessivi per 21.920 euro”. Mostriamo le stesse carte anche a un professore di diritto civile, Roberto Calvo, che spiega le informazioni che ricava dalla lettura: “Ricavo l’informazione che è stato conferito un mandato da parte dell’autorità garante ai due professori, per una causa civile. Poi c’è un progetto di parcella firmato da entrambi. È un incarico congiuntivo, quindi un incarico conferito da due professionisti per un identico oggetto. Da lì arriva un rapporto contrattuale da cui può nascere un rapporto di debito e credito con il conferente quindi il garante con la pubblica amministrazione, parlo di debito nel senso che può anche nascere in astratto una responsabilità del professionista”. E aggiunge: “I professionisti stanno dicendo al cliente che hanno operato congiuntamente e hanno agito come se fosse stato conferito un mandato congiuntivo alla difesa oggetto di questa vicenda. I professionisti in questione chiedono al cliente il pagamento di un incarico conferito collettivamente, come ho detto prima”. Antonino Monteleone gli fa una domanda secca: “Se lei fosse il garante capirebbe da questo documento che Conte rinuncia ai compensi?”. La risposta è altrettanto secca: “Evidentemente no”. Secondo il professor Calvo dunque dai documenti a firma Alpa-Conte non si evince alcuna rinuncia da parte di Conte affinché i suoi compensi non siano pagati, ma anzi sembrerebbe che l'indicazione sia di girarli direttamente sul conto indicato nel progetto di parcella. “Quindi lei mi sta dicendo con questa lettera di incarico del garante che è di gennaio 2002, automaticamente il commissario Alpa diventa incompatibile al concorso di luglio?”, chiede ancora la Iena. “Io non voglio insegnare ad Alpa nulla, dico solo che a mio modo di vedere è sufficiente, come per altro dice la giurisprudenza amministrativa, che vi sia un rapporto professionale da cui nasca un rapporto da cui poi possono derivare rapporti, vicende di debito e credito verso il cliente, ma anche verso i singoli professionisti… In astratto eh, sia chiaro”. Monteleone insiste: “Quindi quando Conte dice ‘io ho deciso di rinunciare ai miei compensi’, rinuncia a beneficio del garante o a beneficio dell’avvocato Alpa?”. “La seconda ipotesi”. La Iena chiede ancora: “Dire che l’avvocato giudicato abbia lavorato gratis per l’avvocato giudicante è un’affermazione fuori dalla realtà?” “È un’affermazione che quanto meno è smentita dai documenti che io vedo. Io naturalmente non posso giudicare i propositi, giudico i documenti e dai documenti risulta che entrambi hanno preteso, come legittimo e doveroso, perché parliamo di attimi legittimi e doverosi sia chiaro…”. Un’ultima: “Conte dice, più volte, mi ha detto Conte: ‘Lei è fuori di testa, lei è fuori di testa perché continua a insistere su una cosa che non esiste’. E la cosa che secondo Conte non esiste è che non è mai esistito conflitto tra lui esaminato a Caserta e Alpa membro della commissione che lo giudicava. Sono io fuori di testa professore?”. “Assolutamente no, il conflitto nasce nel momento in cui è stato conferito ad entrambi questo incarico, da cui nasce un rapporto professionale”. Andiamo dal premier Giuseppe Conte, che ribadisce più volte che il concorso non è stato assolutamente viziato. “Lei, Monteleone, si può incaponire… ma non cambia il fatto come voi dovete dimostrare una cointeressenza economica nel 2002… Le confesso che ho chiesto al commercialista: “Trovami la fattura del 2002 del primo grado”. Questa sua teoria significherebbe che si creerebbero incompatibilità in tutto il mondo legale perché nei collegi difensivi spesso ci si ritrova più avvocati. Il fatto di essere in collegio difensivo con un altro avvocato se abbiamo un mandato dallo stesso cliente non crea un’incompatibilità, uno. Lei ritiene di accreditare ai telespettatori, secondo lei, che io nel 2002 ho avuto un vantaggio indebito da Alpa che era ininfluente, perché bastavano tre commissari e invece è stata l’unanimità su cinque. Quindi vincerebbe qualsiasi prova di resistenza davanti ai giudici, vorrebbe accreditare il fatto che avrei aspettato il 2009 per sdebitarmi nei confronti di Alpa, ma questa è follia”. E aggiunge: “Diciamo che io ho avuto rispetto nei confronti del Garante perché potevo fatturare per mio conto. Nel secondo grado, nel terzo grado, le sue indagini hanno dimostrato che io ho fatturato… e quindi ho fatto la fattura separata e Alpa ha fatto… In primo grado essendo stato il mio apporto difensivo marginale ho inteso, per rispetto di un ente pubblico, all’epoca c’era Rodotà vorrei ricordare… lei non vuole chiarire ai telespettatori… non vuole che io risponda: posso? Le ho spiegato questo, credo, che migliaia di avvocati che ha sentito le avranno spiegato che nel processo civile la magna pars, gran parte dell’attività difensiva è scritta, le memorie scritte, studiare la controversia, studiare, questa è una causa molto delicata”. “Ma se era molto delicata perché ha dato un apporto marginale..”, gli chiede Monteleone. “Mi fa finire? È terribile, ascolti Monteleone, mi faccia finire, poi giudicherà il popolo…”. Antonino Monteleone e Marco Occhipinti hanno deciso allora di sentire proprio Raffaele Cantone, all’epoca presidente dell’Anac, per cercare di fare chiarezza una volta per tutte. Monteleone chiede: “La chiamavo perché sto cercando di capire se l’autorità quando ai tempi in cui lei era presidente fu formalmente incaricata di esprimere un parere sulla questione del concorso dell’avvocato conte prima di diventare presidente del consiglio”. Raffaele Cantone risponde così: “Sì, ci fu un esposto, mi pare di un’associazione di consumatori. Noi facemmo un intervento di carattere procedurale, dicemmo che in realtà si trattava di una vicenda non recente per i quali il nostro intervento di qualunque tipo sarebbe stato irrilevante visto che nei confronti di quel concorso nessun atto amministrativo poteva essere fatto”. Appare quindi evidente, almeno stando alle parole di Cantone e al documento esclusivo che pubblichiamo, che Giuseppe Conte non avrebbe detto il vero quando ha affermato che l’Anac si era pronunciata “escludendo la comunanza di interessi economici”. Monteleone prosegue: “Lei fece anche un’intervista a Radio Capital nell’ottobre del 2018, nella quale disse effettivamente è plausibile la spiegazione del presidente Conte, se è vero come lui sostiene che hanno, emesso fatture separate per l’incarico del 2002”. “Io avevo detto semplicemente che mi sembrava plausibile la spiegazione che aveva dato”, aggiunge Cantone. La Iena lo incalza: “L’unica cosa che volevo capire è se due professionisti che usano una carta intestata comune che firmano entrambi un progetto di parcella possono definirsi due professionisti che svolgono incarichi distinti e separati”. La risposta di Raffaele Cantone è assolutamente inequivocabile: “Certamente i fatti emersi sono diversi da quelli che erano stati rappresentati all’epoca, però io non me la sento di esprimere un giudizio. L’unica cosa che mi sento di dirle è che ovviamente rispetto alla situazioni che io vissi all’epoca le cose sono cambiate, quindi all’epoca lui aveva dato una giustificazione. Oggi le cose sono cambiate”.
Giuseppe Conte, un premier a due facce: quante volte che si è smentito nell'ultimo anno e mezzo. Gianluca Veneziani su Libero Quotidiano il 14 Gennaio 2020. In principio era Giuseppe, poi Giuseppe si è fatto Giuseppi. Per spiegare la doppiezza del presidente del Consiglio si potrebbero evocare categorie letterarie, lo strano caso del dr. Giuseppe e di mr. Conte oppure il Bis-conte raddoppiato, parafrasi a rovescio del Visconte dimezzato di Calvino; si potrebbe parlare di camaleontismo politico e cromatico, ossia della sua capacità di adattarsi a contesti e colori cambiati, dal gialloverde al giallorosso; o ipotizzare un tentativo mal riuscito di sintesi logico-matematica, di mettere insieme l'Uno e il Due e di sfidare il principio di non contraddizione; o ancora si potrebbe stendere il personaggio in questione su un lettino e fare una diagnosi di sdoppiamento dell'io e schizofrenia politica. Tutti questi sforzi non riuscirebbero tuttavia a rendere ragione del fatto che Conte non è una sola persona, ma sono due individui distinti: Con-Te appunto, perché c'è qualcuno con lui, oppure Giuseppi, come in modo lungimirante, e non con una gaffe, lo aveva definito Trump. Il vero dramma è che il personaggio, o meglio i "personaggi" in questione, non si accorgono del loro essere Uno, Due, Nessuno e Centomila. Nell'ultima intervista rilasciata al Foglio il premier ha avuto l'ardire di ribadire la sua «piena coerenza di azione» e di convinzioni. Peccato che la realtà, ossia le sue stesse dichiarazioni, lo smentiscano. Si potrebbe prendere un dossier a caso per capire come Con-te, su ogni tema, pensi una cosa e il suo esatto contrario. E spesso, non ricordandosi quale fosse la posizione presa in precedenza, preferisca stare nel mezzo, fare esercizi di equilibrismo, non sbilanciarsi né da un lato né dall'altro, dando un colpo al cerchio e l'altro alla botte, anche a costo di darsi la zappa sui piedi.
GIRAVOLTA LIBICA. Si veda la sua linea sulla Libia, in merito a cui è riuscito a dire che sta con al-Serraj, con Haftar, con entrambi e con nessuno dei due. Un capolavoro di diplomazia. Nel settembre del 2019, incontrando al-Serraj a Roma, Conte elogiava il governo di quello e ne accoglieva con favore le iniziative. Parlando alcuni giorni fa col Foglio, tuttavia, Conte ricordava sì di aver «appoggiato il governo presieduto da al-Serraj», ma allo stesso tempo di tenere particolarmente a un «dialogo con Haftar». Tanto che poco dopo, grazie a un pasticcio epocale, incontrava Haftar e non al-Serraj, che evidentemente si era accorto di essere appoggiato ma non troppo. Stessa posizione terzista sul Venezuela a riguardo del quale Conte dice che «non abbiamo riconosciuto Guaidó come presidente, ma non abbiamo mai detto che appoggiavamo Maduro». Più che con Guaidó, Conte sta nel Guado, tra color che son sospesi. Inutile chiedersi da che parte stia Conte tra Usa e Iran, perché forse non lo sa neppure lui. Almeno sull'Europa però ce l'avrà una posizione coerente e chiara? Sì, come no. Conte 1 è quello che nell'agosto del 2018 sbraitava contro l'Ue accusandola di «ipocrisia» e minacciava: «L'Italia ne trarrà le conseguenze»; e ancora nel febbraio 2019 rincarava la dose sostenendo che «l'Europa ha perso il contatto con il suo popolo». Bastava tuttavia un cambio di casacca, di colore giallorosso, per cambiare idea: e così, tra un appoggio a Ursula von der Leyen e una trattativa sul Mes, nell'ottobre del 2019 Conte 2 arrivava a dire che «il nostro governo vede l'Europa come pilastro». Di conseguenza, si rovesciava il suo atteggiamento sull'immigrazione: se nel discorso di insediamento del giugno 2018 Conte 1 tuonava «Metteremo fine al business dell'immigrazione» e «combatteremo il traffico di esseri umani», nel discorso di fine 2019 Conte 2 annunciava la sua volontà di modificare i decreti sicurezza, unico argine contro il traffico di clandestini. E sui rapporti con la Russia? Il Conte 1, in versione filo-Cremlino, annunciava che «ci faremo promotori di una revisione del sistema delle sanzioni», il Conte 2, allontanatosi dalla Russia con tremore, tiene a far sapere: «Non sostengo la rimozione delle sanzioni tout court».
IL BALLETTO SU TARANTO. In materia di economia si sperava tuttavia che Conte non diventasse Conti e non cambiasse idea sui conti. E invece, se gli parli oggi di flat tax e di quota 100, fa lo gnorri, finge di non capire, dice che non è roba sua. Eppure un tempo gli piacevano e se ne vantava. Gli facciamo un promemoria: era il giugno 2018 quando lui poneva come «obiettivo la flat tax»; il settembre 2019 lo Smemorato di Volturara Appula ribaltava però il tavolo e diceva di puntare a una «rimodulazione delle aliquote fiscali in linea con la progressività della tassazione» (se le tasse sono progressive, tanti saluti alla tassa piatta). E su quota 100? Qui la variazione è stata ancora più repentina: nell'ottobre 2019 Giuseppi diceva che «quota 100 è un pilastro della manovra», mentre ora afferma che «si può aprire una discussione su quota 100» in quanto «è nata come misura transitoria». Da pilastro a provvedimento passeggero. Sic transit gloria quotae centi. Il balletto più imbarazzante riguarda l'Ilva, e in particolare la questione dello scudo penale. Leggete qua. Il 5 novembre 2019 Conte 1 annuncia: «Saremo inflessibili, lo scudo penale non è nel contratto». Il 21 novembre, appena 16 giorni dopo, Conte 2 ci ripensa: «Potremmo considerare lo scudo penale». Ed ecco che qualche giorno fa Conte 3 proclama il contro-contrordine: «Il tema dello scudo penale non è stato affrontato. È un tema che è stato subito accantonato». Ci vorrebbe uno scudo, sì. Ma per proteggere i premier Giuseppi dal ridicolo.
Gianluca Veneziani
Da ''la Verità'' il 14 gennaio 2020. Chi è davvero Giuseppe Conte? Come è stato possibile che un anonimo professore universitario sia diventato il premier «buono per tutte le stagioni», osannato dalle cancellerie europee? Passato con disinvoltura da destra a sinistra, transitato da populista ad avvocato dei poteri forti, da ingenuo diventato spietato, Giuseppe Conte è indubbiamente il presidente del Consiglio più ambiguo e misterioso della storia della Repubblica. Maurizio Belpietro e Antonio Rossitto svelano tutti i segreti e i voltafaccia della sua irresistibile carriera in Giuseppe Conte. Il trasformista, edito da Piemme, da oggi in libreria. Dalla vicinanza al Vaticano alle trame internazionali ordite per la rielezione, e così far fuori Matteo Salvini, fino ai rapporti con i servizi segreti e gli 007 americani. E poi gli incroci accademici e lavorativi con il suo mentore, il potentissimo Guido Alpa, che non ha mai lesinato complimenti al suo allievo Giuseppi, il camaleontico premier per caso ma adesso pronto a tutto. E proprio sui rapporti Conte-Alpa La Verità pubblica uno stralcio dal capitolo intitolato «Lo smemorato di Volturara Appula». Un lungo colloquio con il presidente del Consiglio che, come molti narcisi, parla spesso di sé in terza persona, sfoderando massicce dosi di sicumera, fiducia e autostima. Perché gni gesto e parola di Conte tracimano vanità. Scusate, ma il signorino qui aveva detto alle tre» È il primo pomeriggio del 27 novembre 2019. Giuseppe Conte entra sornione nella saletta di Palazzo Chigi indicando Rocco Casalino, il suo portavoce. «Ho 15 minuti di ritardo e mi scuso» dice mentre prepara calorose strette di mano. Il premier è stato di parola. Come promesso, ci ha concesso l' intervista. Certo, forse sperava in un colloquio più informale. Quando intuisce che perfino le sue prime parole sono finite in un memo vocale, sembra sbigottito: «Ma che fa, registrate pure i saluti? Questa è deformazione professionale. E che diamine!». Si alza di scatto e afferra lo smartphone, appoggiato sul tavolino: «Ecco, siamo qui con il presidente del Consiglio che s' è appena scusato per il ritardo» scandisce nel microfono con intonazione da telecronista.
Il siparietto distende gli animi. Casalino sorride. Accanto a lui, c' è il segretario particolare di Conte. Si chiama Andrea Benvenuti ed è un dottorando di diritto privato a Firenze. Nonostante il delicatissimo ruolo che riveste, ha appena 27 anni.
È cordiale, alto e segaligno. È stato lui a intrattenerci amabilmente durante l' anticamera. Incuriositi dalla sua giovane età, per ingannare l' attesa gli abbiamo chiesto dei suoi trascorsi: «Lavoravo nel famoso studio Alpa in piazza Cairoli» ci ha rivelato dopo qualche esitazione. Insomma, l' assistente più fidato del premier era un altrettanto fidato collaboratore del suo onnipresente mentore.
Tutte le strade di Conte portano ad Alpa? Sarà questo, ovviamente, uno degli argomenti principali dell' intervista. Ma prima, da vero gentiluomo, il primo ministro non dimentica i convenevoli. Come molti narcisi, parla spesso di sé in terza persona: «Il direttore Belpietro è stato il primo giornalista a incontrare il presidente del Consiglio» riferisce a portavoce e segretario particolare. Così comincia a ripercorrere il fortuito incontro nella stazione ferroviaria di Firenze, il giorno della sua nomina a capo del governo. «Adesso i giornali non li leggo più» informa. Gli facciamo notare che dicevano lo stesso anche Silvio Berlusconi e Margaret Thatcher, «per evitare dispiaceri».
Conte userebbe lo stesso stratagemma. «Ma vi pare possibile che si siano occupati per giorni del cesso del presidente del Consiglio?» prorompe. Be', però ventiseimila di ristrutturazione non sono quisquilie: ha preteso perfino una doccia con otto bocchette «Mi rifiuto, dai. Fa male al giornalismo.» Com' è noto, non ama la categoria. «State facendo un dossier contro di me, raccogliendo le peggiori cose. Ma io vi darò un contributo per parlare male» promette. Invano. Perché nel corso della chiacchierata, durata un paio d' ore, il premier sfodererà piuttosto massicce dosi di sicumera, fiducia e autostima. Ogni gesto e parola di Conte tracimano vanità. Quello in cui difetta, a suo dire, sono invece le facoltà mnemoniche. «Non ricordo bene le date» premette. Il sottotesto è evidente: non mi chiedete di essere puntuale e circoscrivere gli eventi. La memoria è corta. Una premessa che potrebbe sembrare un' arguzia, utile a evitare dettagli e circostanze. Cominciamo, dunque. E partiamo da Alpa, il famoso avvocato con cui la sua carriera s' incrocia di continuo. Il tema del primo quesito è quasi d' obbligo: il famigerato concorso all' Università Vanvitelli di Caserta. Conte, però, con un inaspettato preambolo, marca debita distanza: «Si dice impropriamente che Alpa sia il mio maestro. Il mio maestro, in realtà, è stato Giovanni Battista Ferri, della scuola giuridica romana. Mi sono laureato con lui e sono diventato il suo assistente. Solo quando ho vinto il posto di ricercatore a Firenze ho incontrato Alpa. Quindi non sono stato un suo allievo. Poi è nata questa opportunità: lui aveva uno studio a Genova, con Tomaso Galletto, ma cercava un appoggio a Roma. Decise allora di aprire uno studio professionale anche qui. E lo fece con me, visto che mi conosceva». Le date, a cui il presidente del Consiglio è tanto allergico, sono però fondamentali. Proprio in quel periodo, Alpa viene eletto nella commissione d' esame che nominerà Conte ordinario. Non è un enorme conflitto d' interessi? Il premier comincia a spazientirsi: «Tra noi non c' è mai stata un' associazione, né formale e neppure di fatto. Non ci dividevamo i proventi. Eravamo solo coinquilini». Lei però, nel curriculum inviato anni dopo alla Camera dei deputati, scrive: «Dal 2002 ha aperto con il prof. avv. Guido Alpa un nuovo studio legale dedicandosi al diritto civile, societario e fallimentare». Il primo ministro si rabbuia: «È chiaro che, messa così, sembra che abbiamo aperto uno studio professionale insieme». Già. E l' ha messo nero su bianco, persino in un atto ufficiale. «In realtà, avrei dovuto scrivere che eravamo coinquilini.» Quindi ha infiocchettato? Alza le spalle: «Sì, il curriculum è un po' infiocchettato». Lo dice come se fosse la cosa più naturale del mondo. Immemore che proprio quel curriculum gli ha garantito un' ambitissima poltrona: membro del Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa. Assomiglia un po' al famoso smemorato di Collegno, che del passato non ricordava nulla.
Ma noi non demordiamo. Lo studio in comune ha visto la luce prima o dopo il concorso?
«Guardate, come vi ho detto, le date non le ricordo.» Noi, invece, sì: Alpa viene eletto nella commissione a marzo 2002. A quel tempo, lavoravate già gomito a gomito? Segue qualche altro tentennamento, poi pesca la reminiscenza: «La sostanza è che, in costanza di concorso, effettivamente c' era un rapporto di coinquilinaggio».
Ricorrendo al solito giuridichese, alla «costanza di concorso» e al «coinquilinaggio», il premier dunque conferma: il luminare e l'associato decidono di aprire e condividere uno studio. E poco dopo il luminare, Alpa, è nominato nella commissione che farà dell' associato, Conte, un giovane e baldo docente ordinario, appena trentottenne e già sul gradino più alto della carriera universitaria. Il premier derubrica. Ma a noi la circostanza, assieme al curriculum «infiocchettato», sembra dirimente. Insistiamo, ancora una volta. Se lei ha un rapporto così stretto con un collega, che poi la giudicherà, a noi viene in mente solo una cosa: il conflitto d' interessi. «Ma non è una collaborazione professionale!» sbotta Conte. Gli ricordiamo che, prima del concorso, insieme avevano già difeso insieme il Garante della privacy. «Io avevo i miei clienti: pochi. Alpa invece ne aveva tantissimi. Sì, qualche volta siamo stati insieme in un collegio difensivo. Ma l' Anac ha chiarito che questo non crea conflitti d' interesse. Pure l' Ilva, per fare un esempio, ha un collegio di dieci difensori, ma non c' è fra loro un' associazione.» Il paragone, ovviamente, non regge: nessuno ha giudicato l' altro in un concorso.
L'obiezione non viene raccolta. L' anguilla prova abilmente a scivolare via. «C' è la forma e c' è la sostanza» facciamo notare. Guardiamo Casalino. Sbuffa come una vaporiera. Tiriamo fuori l' ultima intervista concessa da Alpa al Secolo XIX. In quel concorso - ha assicurato al quotidiano genovese - è stato sorteggiato. È un dettaglio utilissimo a rimarcar distanza. Ma le carte che abbiamo consultato smentiscono i ricordi di Alpa. In realtà, venne eletto con un plebiscito: 54 voti. «Ha detto un' inesattezza» conferma Conte, prima di partire al contrattacco. «Faccio a voi una domanda: quanti voti servivano per diventare ordinario?» Tre su cinque. «E io quanti ne ho presi?» Cinque. «Dunque, voi avete un concorso che nel 2002 ha designato ordinario questo fessacchiotto, oggi presidente del Consiglio. All' unanimità. E Alpa non era nemmeno a capo della commissione». []Vogliamo chiarire. I giornalisti fanno domande. E noi non siamo venuti a prendere il caffè. Conte rimarca: «Perché sussista il conflitto d' interessi ci dev' essere cointeressenza economica. Sono stato uno dei primi giuristi che ha scritto di privacy. Stefano Rodotà, che all' epoca era il Garante, lo apprezzò molto. Per questo, il giovane Conte venne chiamato ad affiancare Alpa». È l' unica causa che avete fatto assieme? La risposta la conosciamo già: no. Solo l' Autorità per la privacy ha dato ai due altri sette incarichi. «Non ve lo so dire» ribatte però questa volta. «Dicono che sono un avvocato sconosciuto, ma di cause ne ho fatte migliaia. Come faccio a ricordarle? Impossibile».
Il clima è tutt' altro che disteso. Il premier è abituato a circumnavigare, con successo, attorno a ogni domanda. «Ma anche senza il voto di Alpa, avrebbe vinto comunque il concorso» osserva Casalino. Però la presenza di Alpa è curiosa, ricordiamo eufemisticamente. «Ma non era neppure il mio maestro!» esplode Conte. Ritiriamo fuori il ritaglio mostrato prima: l' intervista ad Alpa. È intitolata: Il mio allievo Conte è neutrale, ma prima o poi dovrà schierarsi. «Quindi state facendo un discorso di opportunità! È un concorso del 2002. Non è stato impugnato da nessuno. Tra me e Alpa non ci sono conti correnti in comune. Perché state rimestando? Cosa volete sostenere? Qual è la notizia? Che nel 2002, di fronte ai veri scandali universitari, in un concorso un coinquilino giudica l' altro? Questo sarebbe scandaloso? Ma che notizia è? Dov' è lo scandalo?» Casalino suggerisce una risposta: «L' insinuazione è che, senza Alpa, lei non avrebbe fatto carriera». [] Insomma, siamo dei petulanti rompicoglioni. Questo deve pensare di noi il capo del governo. Gli ricordiamo che s' era lamentato dei giornalisti ancor prima di conoscerli. Mentre era ancora un aspirante premier, avevano tirato fuori la storia di Equitalia, costretta a pignorargli la casa per le pendenze con il fisco. «Qualcuno ha persino scritto che sarei passibile di condanna» aggiunge lui. E poi, rivolto a Casalino: «Sègnale queste cose, che dopo». Conte vi manda il conto? «Se farò qualcosa, sarà da semplice cittadino, quando non sarò più presidente del Consiglio» aggiunge riferendosi a probabili e prossime querele. «Non mi potete togliere questa prerogativa.» Interveniamo: le critiche vanno accettate. «Qui c' è il mio portavoce» replica pronto, indicando Casalino: «Portavoce, mi hai mai sentito dire: "Questa critica non l' accetto?"».
Domanda retorica. [] Il capo del governo chiarisce: «Non si può far causa sotto l' ombrello di Palazzo Chigi». Dunque, l' avvocato Conte aspetterà che i tempi maturino: come il cinese lungo la riva del fiume. [] Chiusa l' ennesima parentesi sulla stampa, torniamo al pignoramento di Equitalia. «Capita nelle migliori famiglie. Quell' indirizzo era privo di portiere. Ci vivevamo io e la mia ex moglie. Io uscivo la mattina e tornavo la sera. E la mia allora consorte non era più precisa di me. Ogni tanto arrivavano le cartelle, ma non c' è mai stata evasione.» Le altre accuse, in quel periodo, sono arrivate per aver difeso il metodo Stamina. Se n' è pentito? «Io non ho mai incontrato Vannoni. Mentre insegnavo a Firenze, è venuta da me una coppia di giovani fiorentini. Speravano che la figlia potesse continuare le cure. Da professionista non mi sono posto il problema dell' efficacia del metodo, ma solo di dare una possibilità a una famiglia disperata [...]».
L' altro intrigo, riemerso negli ultimi mesi, è il parere pro veritate firmato dall' avvocato Conte su Retelit, un' azienda partecipata dal fondo Fiber 4.0, a sua volta riconducibile al finanziere Raffaele Mincione. Poco dopo, sulla questione, si sarebbe pronunciato il governo gialloverde. Non era il caso di rifiutare l' incarico? «Mi è stato affidato prima della nomina. Adesso, ho riguardato le date e ho visto le coincidenze. Probabilmente ho firmato l' atto venerdì, domenica m' hanno proposto di fare il premier e il parere è partito lunedì. Ma io lavoravo come una bestia. Avevo in piedi centinaia di situazioni professionali.» L' hanno pagata quindicimila euro: se lo ricorda? «Figuratevi Io non mi ricordo nemmeno cosa ho mangiato a pranzo. » Si ricorderà, almeno, chi le chiese la disponibilità per guidare il governo gialloverde. «Mi telefonò Di Maio: "Giuseppe, ti chiederei la cortesia di venire a Milano". Io ero in spiaggia. Gli domando perché. "Ti vorrei fare conoscere Salvini". Ti ricordi, Rocco? » Casalino aggiunge un retroscena: «C' era stata una riunione. Il Movimento aveva scelto Conte. La Lega, invece, puntava sull' economista Giulio Sapelli. Quella fu una furbata. Eravamo consapevoli che lui era di un altro livello. "Mettiamoli subito indirettamente a confronto" pensammo. "Così si evidenziano la genialità di uno e la follia dell' altro". Era un modo per mettere in imbarazzo la Lega». La riunione per selezionare il candidato alla presidenza del Consiglio viene fissata nel pomeriggio del 13 maggio 2018. «Allora, sentite questa» racconta Conte. «Io atterro a Milano in tarda mattinata. Mi viene a prendere in aeroporto l' autista e mi porta in quest' albergo in centro a Milano, accanto al Duomo, dove ho prenotato una stanza. Nel pomeriggio, arrivano Di Maio e Salvini». Il leader dei 5 stelle è accompagnato da Vincenzo Spadafora, poi nominato sottosegretario alla presidenza del Consiglio e ora ministro per le Politiche giovanili e lo sport. Con il capo del Carroccio c'è invece Giancarlo Giorgetti, l' eminenza grigia del partito. Lo scopo di questa riunione informale è, appunto, far conoscere il candidato del Movimento ai due leghisti. Conte prosegue: «Dopo aver fatto quest' incontro, mi dicono: "Adesso dobbiamo vedere Sapelli. Come facciamo senza che ci vedano tutti?". Io replico: "Non c' è problema. Vi presto la mia stanza. Devo solo verificare una cosa". Chiamo in portineria. Chiedo se fanno vedere la partita della Roma con la Juventus anche nella hall. La risposta è affermativa. Io scendo e loro possono usare la stanza». Adesso ci racconta del Russiagate? Alla domanda segue qualche attimo di silenzio. «Dite di Salvini a Mosca?» controbatte il premier, malcelando ingenuità. No, quella è Moscopoli. Ha invece mai conosciuto Joseph Mifsud, il professore maltese sospettato di spionaggio? «Ma state scherzando?» E ha incontrato il ministro della Giustizia americana, William Barr? «Né Barr né nessun altro. Ho dato la delega a Vecchione. Ma non gli ho mica detto: "Rispondi a tutto quello che ti chiedono". Del resto, la richiesta americana è stata cauta e prudente: "Vorremmo informazioni sull' operato della nostra intelligence e ci piacerebbe definire il perimetro di questa collaborazione". È stato uno scambio di cortesie istituzionali. La prima riunione, appunto, è servita a definire il perimetro d' ingaggio». Perché ha tenuto la delega ai servizi segreti? «C' è una ragione precisa. Il presidente del Consiglio ha comunque la responsabilità di tutto il comparto. Un' eventuale delega non mi metteva al riparo dalle responsabilità. A quel punto lì, il giurista che è in me ha fatto una riflessione: "Se ne devo comunque rispondere, dovrei nominare un alter ego, oppure un fratello". Ma non li ho. Allora ho preferito tenermi la rogna. Immaginate se ci fosse stato un altro al posto mio, senza contezza dei rischi e della complessità politica e giuridica Chissà che casino sarebbe successo su Barr!» Quindi l'agente speciale Conte, immodestamente, ha colto subito il pericolo? «Ho la capacità d' inquadrare i rischi delle cose. Io sono terribile come avvocato! I miei collaboratori avevano calcolato il 90% di vittorie». Scopriamo uno spietato principe del foro. «No, sono di una correttezza unica. Ma ho alle spalle una vita di studio intenso e grande determinazione. Meglio non avermi contro». A suo dire, l' avrebbe dimostrato pure oltreconfine. [] «Hanno imparato a rispettarmi. Ero appena arrivato. Ero l' ultimo. Pensate al primo Consiglio europeo: non sapevo neanche come muovermi. Invece, siamo rimasti lì tutta la notte, a litigare con Merkel e Macron. Non in modo velleitario, ma con argomentazioni giuridiche. Alla fine, sono dovuti stare zitti.» A quel punto, sarebbe scoppiato l' amore. E quanto è contato, proprio al momento della rinascita del governo, l' appoggio delle cancellerie europee? «Mah, per me è difficile valutarlo». S' intromette Casalino: «Per il Movimento, e ci metto la testa nel fuoco, zero. Per il Pd, forse è stato più importante il suo mondo: Prodi, la Chiesa». Il G7 di Biarritz è stato però un trionfo, replichiamo. Ed è qui che egolatria e vanità prendono il largo. A vele spiegate. «Per un premier dimissionario come me, andare al vertice non era una gran cosa, anche psicologicamente. Ma tu Rocco, che eri lì con me, mi hai visto sfiduciato o depresso?» Rocco scuote la testa. Conte riprende il filo, gongolante: «I colleghi non mi evitavano. Anzi, mi apprezzavano e mi stimavano. Però, diciamocela tutta: è un fatto personale».
Già, diciamocela tutta: l' Europa ha tifato giallorosso?
«Mah, solo l' ultimo giorno, a un certo punto, era un po' cominciata a circolare la cosa. E qualcuno ha detto: "Ci piacerebbe che tu rimanessi primo ministro"». Chi? «Dal premier indiano, Narendra Modi, al presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk». Per non parlare di Donald Trump «Quando stavamo andando via, mi chiamò: "Giuseppe, devi rimanere in politica". Ma fidatevi, è più un fatto personale. Lui non aveva nemmeno motivi per andare contro Salvini». A parte Moscopoli. Conte abbassa la voce, fino a trasformarla in un sussurro: «Trump di Moscopoli se ne strasbatte. Lo staff magari è attento a certe cose, ma lui no. Dovreste conoscerlo Trump» butta lì, come se parlasse di uno stravagante vicino di casa. «La prima volta che ci siamo visti, mi ha preso da parte: "Giuseppe, sei simpatico. Cosa posso fare per te? Vieni a trovarmi negli Stati Uniti. Facciamo una grande visita di Stato"». Fino all' ormai celebre cinguettio: l' augurio che Giuseppi resti premier. «Prima di partire, mi ha detto: "Ti faccio un tweet, ti faccio un tweet"». Casalino aggiunge un aneddoto: «Al primo G7, appena eletto, c' era uno spettacolo a notte fonda. Chiunque voleva sedersi accanto a Trump. Lui invece chiese al presidente di stare accanto lui. Hanno chiacchierato tutta la sera». Non rimane che fare ammenda. Non c' eravamo accorti di avere a Palazzo Chigi un protagonista dei consessi internazionali, ammirato e inseguito dai leader della terra. Come sul fronte interno, d' altronde. I 5 stelle sono ormai ai suoi piedi. Parla spesso con Beppe Grillo? «Rarissimamente. Recentemente abbiamo discusso un paio di volte dell' Ilva. Lui è molto interessato alle transazioni energetiche e alle nuove tecnologie. Ha sempre idee innovative. È davvero stimolante scambiarsi idee sulla società del futuro. Mi piace. Senza offendere nessuno: è quello nel Movimento che ha la visione più strategica». [] Ben più assidui sono invece i rapporti con Luigi Di Maio, ma qualcosa s' è rotto. «No, assolutamente.» Si sono invertiti i ruoli: prima era lui che guidava, ora è Conte. Prima era lei in ombra, adesso è il contrario. «Sono ruoli completamente diversi. Io sono molto attento a non interferire nelle vicende interne del Movimento. Che poi possa fare d' ispirazione è un altro conto.» Il passaggio dunque è compiuto: da burattino a burattinaio. «No, burattinaio no. Non mi riconosco. Che burattinaio? In modo opaco, intendete? Mai. Non sarei più credibile come presidente del Consiglio. È ovvio che, in un momento di transizione per il Movimento, colga grande simpatia e fiducia da parte di buona parte dei parlamentari dei 5 stelle. E lo si vede anche A Napoli la gente con me è stata calorosissima. Questo mi fa piacere. E credo pure sia nell' interesse di tutti che guardino a me con simpatia e fiducia.
Però, attenzione: sarebbe assolutamente deleteria una mia azione intrusiva. Non funzionerebbe. Dopo qualche settimana, i nodi verrebbero al pettine. Significherebbe deviare il ruolo del presidente del Consiglio. Entrare a piè pari nelle vicende di una forza politica. E poi, perché? Perché Di Maio ha qualche difficoltà come leader? Peggio. Paradossalmente, potrei interloquire con il Movimento se non ci fossero questi retroscena. Ora, a maggior ragione, mi devo astenere». Casalino è più esplicito: «Diciamocela in maniera nuda e cruda. Un gruppo parlamentare, che vuole colpire Luigi, cerca un altro al suo posto. Insomma, capisco che qualcun altro voglia mettere lui. Questo però non significa né che sia disponibile, né che si stia muovendo in tal senso». Nessuno dei due lo ammetterà mai. Conte, una volta smessa la casacca giallorossa, potrebbe indossare quella ocra del Movimento. Per adesso è costretto a fare il padre nobile. Ma la sua appartenenza politica sembra ormai chiara. A meno che il fato non gli riservi l' ennesima, sbalorditiva, sorpresa: il Quirinale. «Vedremo» commenta Casalino alzando gli occhi al cielo. «Ma mi volete già imbalsamare?» ci domanda []. Conte ci accompagna fino all' ascensore. I saluti finali confermano la sua riconosciuta cordialità. Vigorose strette di mano. Il camaleonte sogghigna. Volta le spalle e sparisce tra gli stucchi di Palazzo Chigi.
Premier Conte, concorso universitario e rapporti con Guido Alpa: ha mentito? Le Iene il 2 dicembre 2019. Antonino Monteleone e Marco Occhipinti, nel servizio in onda a Le Iene martedì sera dalle 21.15, mostrano una serie di documenti inediti e clamorosi, secondo i quali Giuseppe Conte nella vicenda del concorso all’università e del suo rapporto professionale col maestro e mentore Guido Alpa, non avrebbe detto tutta la verità. Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha mentito agli italiani sul concorso con il quale nel 2002 è diventato professore ordinario di diritto privato all’Università di Caserta “Luigi Vanvitelli” (qui sopra potete vedere l'ultimo servizio andato in onda)? Il professor Guido Alpa, già mentore e amico di Giuseppe Conte, era incompatibile nel ruolo di commissario d’esame di Giuseppe Conte? Antonino Monteleone e Marco Occhipinti, nel servizio in onda martedì a Le Iene su Italia1, tornano sulla vicenda del concorso universitario sostenuto da Giuseppe Conte a Caserta, nel quale uno dei commissari era proprio il professore Guido Alpa. Lo fanno mostrandovi in esclusiva una serie di documenti clamorosi che smentiscono tutte le versioni date sinora dal premier su questa storia. Nelle precedenti puntate della loro inchiesta, Antonino Monteleone e Marco Occhipinti si erano chiesti se si fosse trattato di un concorso universitario regolare, dato che un’eventuale comunanza di interessi economici tra commissario d’esame e candidato avrebbe fatto scattare l’incompatibilità di Alpa come esaminatore di Conte. Il premier ha mentito, quando ha parlato dei suoi rapporti di lavoro con Alpa? Se i documenti di cui Le Iene sono entrati in possesso fossero autentici, si può sostenere che la sua nomina a professore ordinario di diritto privato sarebbe avvenuta irregolarmente? Dei rapporti con Alpa aveva già parlato lo stesso Conte nel suo curriculum vitae: “Dal 2002 ha aperto con il prof. avv. Guido Alpa un nuovo studio legale dedicandosi al diritto civile, diritto societario e fallimentare”. Per stessa ammissione di Conte si sarebbe trattato di uno studio a Roma, a via Cairoli, dislocato su due piani, in cui il giovane Conte occupava il piano superiore, ma aveva in realtà un unico numero di telefono e una stessa segretaria, pagata da entrambi. Giuseppe Conte, in una lettera al quotidiano La Repubblica dell’8 ottobre 2018, si era giustificato spiegando che all’epoca Conte e Alpa erano “coinquilini”, trattandosi di una semplice condivisione della segreteria e del numero telefonico, ma con distinte attività professionali e in spazi diversi, Alpa al primo piano e Conte al secondo, per cui ognuno avrebbe pagato il suo affitto separatamente. Nulla di più. Vi abbiamo poi raccontato della causa del 2002, nella quale Guido Alpa e Giuseppe Conte hanno entrambi difeso l’Autorità garante della privacy. Una causa per la quale, aveva tenuto a precisare Giuseppe Conte, per stroncare i dubbi su una eventuale comunanza di interessi economici tra i due, ognuno aveva fatturato per conto suo. Le Iene hanno fatto ben due diverse richieste di accesso agli atti per verificare che quanto dichiarato dal premier fosse vero, ma l’Autorità per la Privacy le ha sempre respinte. E avevano anche chiesto a Conte di mostrare, all’insegna della massima trasparenza, almeno la sua fattura relativa a quell’incarico presso il Garante della Privacy, relativamente al primo grado. Il premier però non ci ha mai mostrato la sua fattura o qualsiasi altra cosa dimostrasse che quanto da lui dichiarato fosse vero, ma oggi siamo in grado di anticiparvi un documento esclusivo, che potete leggere qui. È il 29 gennaio del 2002 quando l’Autorità garante per la protezione dei dati personali invia una lettera di incarico per fare assumere la propria difesa nell’ambito di quella causa, una controversia tra Rai, Garante e Agenzia delle entrate, aperta al Tribunale civile di Roma. La lettera ha un unico numero di protocollo, è inviata a un unico studio legale, presso un unico indirizzo e indovinate a chi è indirizzata? “Al Prof. Guido Alpa e al Prof Avv. Giuseppe Conte, Via Sardegna, 38, Roma”. La lettera di incarico recita così: “Con riferimento alla controversia in oggetto, e a seguito dell’indisponibilità manifestata dall’Avvocatura dello Stato che ha assunto la cura degli interessi della controparte, il garante prega le SS.VV., ai sensi dell’art. 17 del reg. n. 1/2000 del garante e dell’art. 43 del r.d. del 30 ottobre 1993, n.1611, di assumere la difesa di questa Autorità come da procura che verrà sottoscritta dal Presidente”. A questo punto ci chiediamo: perché mandare un’unica lettera ai due professionisti se, come ha sostenuto Giuseppe Conte, si trattava di due incarichi distinti e non c’era un’associazione né di diritto nè di fatto e soprattutto se quell’incarico fu pagato con due fatture separate? E perché Conte non ci ha mai mostrato, come più volte da noi richiesto, la fattura intestata a lui? Questa lettera di incarico, lo ricordiamo ancora una volta, è arrivata a gennaio 2002, cioè sei mesi prima che si concludesse il concorso universitario di Caserta. Stando a questa lettera, inoltre, emerge un’altra cosa che non torna rispetto alle versioni precedenti e non è di poco conto: Giuseppe Conte nel 2002 non avrebbe aperto un nuovo studio con Guido Alpa come indicato sul suo curriculum, e non sarebbe neanche stato in affitto al piano superiore dello stesso stabile a via Cairoli, dove Alpa aveva al piano di sotto un suo studio separato, come sostenuto in una lettera al direttore di Repubblica l’8 ottobre 2018. Al contrario come si evince dal documento mostrato in esclusiva dalle Iene, l’avvocato Conte era domiciliato presso lo studio Alpa in via Sardegna, dove lo stesso Guido Alpa in un’intervista mai smentita racconta che il giovane Conte fosse suo ospite. Antonino Monteleone è andato allora a chiedere spiegazioni al Premier Giuseppe Conte, con in mano la lettera di incarico del Garante della Privacy e con altri documenti esclusivi che smentiscono quanto dichiarato sulla vicenda finora dal presidente Giuseppe Conte. Le fatture riguardo all’assistenza legale fornita al Garante per quella causa di primo grado erano davvero due, distinte e separate, come sempre sostenuto dal Presidente? Questa cosa avrebbe escluso un comune interesse economico tra esaminato ed esaminando. Oppure era una sola, cosa che costituirebbe grave motivo di imbarazzo per il professore Giuseppe Conte? L’avvocato più famoso d’Italia ha confermato quanto dichiarato ormai un anno fa, oppure ha cambiato versione ancora una volta?
Scoprite cosa ha risposto il premier alla Iena nel servizio in onda martedì sera su Italia1, dalle 21.15.
Conte e il concorso universitario: ecco la parcella fumante. Le Iene il 3 dicembre 2019. Nella puntata di questa sera de Le Iene, Antonino Monteleone e Marco Occhipinti ci mostrano altri documenti esclusivi che dimostrerebbero che il Premier Conte avrebbe mentito sui suoi rapporti di lavoro con il Prof. Guido Alpa e che quest’ultimo non avrebbe potuto esaminarlo nel concorso che lo nominò professore di diritto privato a Caserta. Un nuovo documento esclusivo confermerebbe che il premier Conte e il professor Alpa erano legati da interessi economici e professionali e quindi quest'ultimo non sarebbe potuto essere il commissario d'esame al concorso universitario di Caserta del 2002, con il quale Conte è diventato professore ordinario di diritto privato. E' la nuova clamorosa scoperta di Antonino Monteleone e Marco Occhipinti, che spiegheranno stasera nel corso della puntata de Le Iene, e che vi anticipiamo qui. Pubblichiamo infatti il progetto di parcella per la causa civile nella quale il primo ministro Conte e il professor Alpa difesero il Garante per la privacy. E' su carta intestata a entrambi, con la richiesta di pagamento dell’intera cifra di 26.830,15 euro su un unico conto corrente di una filiale di Genova di Banca Intesa, il tutto firmato da entrambi, Guido Alpa e Giuseppe Conte. È ancora possibile a questo punto sostenere, come ha fatto Giuseppe Conte nell’ultimo anno ai microfoni delle iene, che non vi fossero interessi economici in comune e che non vi fosse incompatibilità del professor Alpa nel giudicare Conte al concorso universitario? Il primo ministro ha mentito sul fatto che ognuno avesse fatturato per conto suo? Il presidente del Consiglio ha sempre negato il rapporto professionale con Guido Alpa, nonostante nel suo curriculum vitae lui stesso avesse scritto così: “Dal 2002 ha aperto con il prof. avv. Guido Alpa un nuovo studio legale dedicandosi al diritto civile, diritto societario e fallimentare”. Si sarebbe trattato di uno studio a Roma, a via Cairoli, dislocato su due piani, in cui il giovane Conte occupava il piano superiore, uno studio che aveva in realtà un unico numero di telefono e una stessa segretaria, pagata da entrambi. Giuseppe Conte in una lettera al quotidiano La Repubblica aveva detto che lui e Alpa erano solo “coinquilini”, uniti da una semplice condivisione della segreteria e del numero telefonico, ma con distinte attività professionali in spazi diversi e con contratti di affitti diversi. Nell’articolo pubblicato ieri vi abbiamo mostrato in esclusiva un altro documento, una lettera di incarico del Garante per la privacy in cui si chiede a Guido Alpa e a Giuseppe Conte di assumere la difesa dell’Ente in una controversia legale con Rai e Agenzia delle entrate, aperta al Tribunale civile di Roma. Giuseppe Conte, per stroncare i dubbi su un'eventuale comunanza di interessi economici tra i due, ha sempre sostenuto che ognuno aveva fatturato per conto suo. Il documento però sembra raccontare un’altra storia: la lettera ha un unico numero di protocollo, è inviata a un unico studio legale, presso un unico indirizzo. E indovinate a chi è indirizzata? “Al Prof. Guido Alpa e al Prof Avv. Giuseppe Conte, Via Sardegna, 38, Roma”. Ci siamo chiesti perché mandare un’unica lettera ai due professionisti se, come ha sostenuto Giuseppe Conte, “si trattava di due incarichi distinti e non c’era un’associazione né di diritto né di fatto e soprattutto se quell’incarico fu pagato con due fatture separate”. Quel documento conferma anche un’altra circostanza su Giuseppe Conte non avrebbero detto la verità. Prima del concorso universitario, da quanto riferito da Alpa, Conte era ospite in via Sardegna e non come aveva detto il premier alle Iene e a Repubblica con un contratto d’affitto separato per il suo studio al piano di sopra di quello di Alpa, in piazza Cairoli, dove si trasferirà alcuni anni dopo. Questa sera, insieme ai nuovi documenti esclusivi, vi mostreremo anche i verbali di udienze di quel processo al tribunale civile di Roma, da cui si evince che Conte partecipò sempre, tranne una sola volta in cui fu sostituito, mentre Guido Alpa non andò mai. È legittimo dunque pensare al “dominus” che manda a udienza il suo “giovane allievo”? Non perdete questa sera, su Italia1 dalle 21.15 a Le Iene, la nuova puntata dell’inchiesta di Antonino Monteleone e Marco Occhipinti sulla vicenda del concorso universitario più importante della sua vita, per l’avvocato Giuseppe Conte, presidente del Consiglio. Il confronto con la nostra iena è tutto da vedere. Alla fine dell’accesa disputa il Presidente ammetterà l’esistenza per quell’incarico di una sola fattura?
Guardate qui sotto l'ultimo servizio di Antonino Monteleone e Marco Occhipinti sulla vicenda del concorso universitario di Giuseppe Conte
Conte, le Iene e il progetto di parcella a doppia firma con Alpa. Pubblicato martedì, 03 dicembre 2019 da Corriere.it. «Questa è la “parcella fumante”. La prova che il premier Giuseppe Conte ha mentito». Le Iene rilanciano l’accusa al presidente del Consiglio di non aver detto la verità sulla sua collaborazione professionale ed economica con l’avvocato Guido Alpa, lo stesso che lo giudicò nel concorso universitario di Caserta del 2002 per la cattedra di diritto privato. E a riprova mostrano un documento «su carta intestata a entrambi, con la richiesta di pagamento dell’intera cifra di 26.830,15 euro su un unico conto corrente di una filiale di Genova di Banca Intesa, firmato da entrambi, Guido Alpa e Giuseppe Conte». Palazzo Chigi in una nota precisa: «Si tratta di un progetto di parcella ma non una fattura unica». La puntata delle Iene di martedì 3 dicembre, Antonino Monteleone e Marco Occhipinti», parte dall’interrogativo scottante: «È ancora possibile sostenere, come ha fatto Giuseppe Conte nell’ultimo anno, che non vi fossero interessi economici in comune e che non vi fosse incompatibilità del professor Alpa nel giudicare Conte al concorso universitario?». Un interrogativo che viene più volte chiesto di fugare allo stesso presidente del Consiglio, a margine di una visita a Vallo della Lucania. «Non c’è mai stata una fattura unica» ripete Conte. Nel documento cointestato però, rimarcano le Iene, «c’è un riepilogo del compenso dovuto per un unico importo complessivo di 26.830,15 da saldare su un solo conto corrente a me intestato, documento, e seguono le coordinate bancarie di una filiale di Banca intesa di Genova».
Parcella fumante, le Iene inchiodano Conte: "Difesa di Palazzo Chigi aggrava la sua posizione". Giuseppe Conte si trova nei guai fino al collo. Le Iene lo hanno smascherato e ora è difficile mentire. Serena Pizzi, Mercoledì 04/12/2019, su Il Giornale. La puntata di ieri sera de Le Iene ha messo in luce una parte del passato oscuro del premier Giuseppe Conte. La parcella "fumante" - così ormai la chiamano tutti - ha creato non poche difficoltà all'ex avvocato del popolo. Quella fattura che non c'è, quella carta intestata (doppia), quei possibili favoritismi all'esame, tutto crea qualche dubbio intorno alla figura del "candido" premier. E se da una parte Conte si giustifica e cerca di avere la risposta a tutto, dall'altra la iena lo inchioda. Antonino Monteleone ha messo in difficoltà il premier. Gli ha portato i documenti (che lui pensava che mai sarebbero venuti fuori) e gli ha mostrato che qualcosa non torna. Intervistato dall'Adnkrons, il giornalista ha dato la sua versione dei fatti. "Una storia italiana, molto italiana, sia nell'evoluzione che nell'epilogo - dice -. La difesa di Palazzo Chigi, secondo me, aggrava la posizione del presidente del Consiglio, che replica dicendo che sostanzialmente ha lavorato gratis per la persona che lo ha giudicato al concorso per la cattedra di professore ordinario". La iena è consapevole che questa "non sia la questione del secolo", ma ha la sua importanza: stiamo dicendo che "Conte ha consentito al professor Alpa di fatturare anche il suo lavoro, perché ricordiamo che Alpa in Tribunale al primo grado non ha mai messo piede, andava sempre l'avvocato Conte". Perché Conte va a lavorare in udienza e poi dice che fattura tutto Alpa? Perché mette la sua firma in calce ad un progetto di parcella comune?, si chiede la Iena, secondo cui "se due avvocati sono distinti e separati non hanno la carta intestata in comune". Monteloene si fa parecchie domande, vuole capire. In questa storia, qualcosa che non va c'è. È evidente. "Mi chiedo - continua all'Adnkrons - il fatto che non si sia fatto pagare da uno dei commissari che lo ha giudicato al concorso, vi sembra una bazzecola? Secondo me no". E in effetti non è proprio una cosa da niente. Anzi. La iena, quindi, nel ricostruire il tutto mette in evidenzia le varie contraddizioni, le diverse versioni dei fatti (prima le due fatture, poi il giornalista trova i documenti e Conte, invece, dice di non averli trovati) e come il premier abbia cercato di galleggiare senza sprofondare. "La realtà è che Conte cambia versione tre volte nel giro di poco più di un anno, che le fatture divise che aveva annunciato non esistono, perché ha fatturato Alpa, e che quindi il presidente Conte ha lavorato gratis per uno dei commissari del concorso per la cattedra di professore ordinario - conclude -. Il presidente Conte ha poi pubblicato l'intervista integrale su Facebook, ma qualche secondo lo ha tagliato. Noi eccetto qualche taglio necessario per così dire per la “punteggiatura”, abbiamo mandato le interviste integrali". Diciamo che questo non è proprio un bel momento per il premier. Si trova inguaiato fino al collo. Ci mancava questa fattura, il concorso e l'amico. E ora c'è pure il Mes.
C.Gu. per “il Messaggero” il 5 dicembre 2019. Un «progetto di parcella» redatto «su carta intestata a entrambi, con la richiesta di pagamento dell'intera cifra di 26.830,15 euro su un unico conto corrente di una filiale di Genova di Banca Intesa, il tutto firmato da entrambi, Guido Alpa e Giuseppe Conte». È questo il documento, mostrato ieri nel servizio delle Iene Antonino Monteleone e Marco Occhipinti, che incastrerebbe il premier: secondo i giornalisti conferma che Conte e il professor Alpa erano già legati da interessi economici e professionali e quindi quest'ultimo non poteva svolgere il ruolo di commissario d'esame al concorso universitario di Caserta del 2002, con il quale Conte è diventato professore ordinario di diritto privato. «Assolutamente scorretto», la replica di palazzo Chigi, che confuta punto punto il servizio tv. La firma congiunta apposta sull'atto riguarda la causa civile nella quale Conte e Alpa hanno difeso il garante per la privacy. «È ancora possibile a questo punto sostenere, come ha fatto il premier nell'ultimo anno, che non vi fossero interessi economici in comune e che non vi fosse incompatibilità del professor Alpa nel giudicare Conte al concorso universitario? Il primo ministro ha mentito sul fatto che ognuno avesse fatturato per conto suo?», si domandano le Iene. Quel documento, affermano i giornalisti, conferma anche un'altra circostanza sulla quale il presidente del Consiglio non avrebbero detto la verità. Prima del concorso universitario, ha riferito Alpa, Conte era ospite in via Sardegna e non, come ha sostenuto il premier, con un contratto d'affitto separato per il suo studio al piano di sopra di quello di Alpa, in piazza Cairoli, dove si trasferirà alcuni anni dopo. Non solo. Rileggendo i verbali delle udienze di quel processo al tribunale civile di Roma, si evincerebbe che Conte sia stato sempre presente in aula, tranne una volta in cui fu sostituito, mentre Alpa non andò mai. «È legittimo dunque pensare al dominus che manda a udienza il suo giovane allievo?», si chiedono i giornalisti. «È un progetto di parcella ma non una fattura unica», è, nella sostanza, la replica di Conte. «Questo non preclude che poi ciascun professionista emetta la propria fattura. All'epoca del concorso e anche successivamente non c'è mai stata associazione professionale, formale o anche solo sostanziale, tra il professor Alpa e l'allora avvocato Conte».
(Adnkronos il 5 dicembre 2019) - E' diventato il caso del giorno. Alcuni quotidiani hanno data la notizia della parcella del premier come prima notizia, altri hanno fatto approfondimenti. Come sempre la pubblica opinione si è divisa, e sui social c'è chi si fa notare come Conte alla fine dell'intervista trasmessa dalle Iene ieri sera se la sia cavata bene e chi invece sottolinea come la bugia sia venuta a galla. Conte, già ieri sera, aveva messo su Facebook l'integrale del servizio delle Iene, come a dimostrare di non temere nulla. La iena Monteleone, ovviamente, ha un'idea ben chiara di come sono andare le cose. "Una storia italiana, molto italiana, sia nell'evoluzione che nell'epilogo. La difesa di Palazzo Chigi, secondo me, aggrava la posizione del presidente del Consiglio, che replica dicendo che sostanzialmente ha lavorato gratis per la persona che lo ha giudicato al concorso per la cattedra di professore ordinario". Così all'Adnkronos la 'Iena' Monteleone, ritorna sul caso sollevato dall'inchiesta della trasmissione di Italia Uno all'indomani della messa in onda e della replica di palazzo Chigi. "Capisco che non è la questione del secolo - aggiunge la Iena -, però qui si sta dicendo che Conte ha consentito al professor ALPA di fatturare anche il suo lavoro, perché ricordiamo che ALPA in Tribunale al primo grado non ha mai messo piede, andava sempre l'avvocato Conte". "Perché Conte va a lavorare in udienza e poi dice che fattura tutto ALPA? Perché mette la sua firma in calce ad un progetto di parcella comune?", si chiede la Iena, secondo cui "se due avvocati sono distinti e separati non hanno la carta intestata in comune". "Sto aspettando qualche avvocato che mi smentisca in tal senso, visto che il professore-avvocato Conte mi ha rimproverato di essere ignorante in tema giuridico e di dinamiche di assistenza legale", dice ancora Monteleone, sottolineando che a suo avviso "ogni avvocato per dovere deontologico si fa pagare il suo lavoro, non esiste il patrocinio pro bono, esiste il patrocinio dello Stato per chi non se lo può permettere. Poì mi chiedo: il fatto che non si sia fatto pagare da uno dei commissari che lo ha giudicato al concorso, vi sembra una bazzecola? Secondo me no". Quanto all'altro argomento usato dal premier, che ha spiegato di aver vinto il concorso di Caserta con l'unanimità della Commissione, "questo non vuol dire nulla - dice ancora Monteleone - perché basta che anche un solo commissario sia incompatibile per rendere l'intera procedura irregolare". Dunque, è un "argomento un po' deboluccio". "La verità è che per un anno ci hanno detto che ognuno aveva fatturato per conto suo. Poi, dopo che abbiamo trovato i documenti, Conte ha detto effettivamente di non aver trovato la fattura", sottolinea la Iena, ricordando che "a gennaio 2019 abbiamo chiesto al presidente di mostrare la sua fattura" e che "il garante della privacy prima e il Tar dopo ci hanno detto no", con "una sentenza, tra l'altro, quest'ultimo, che ha demolito la legge sull'accesso civico agli atti della pubblica amministrazione, stabilendo criteri che renderanno impossibile per i giornalisti avvantaggiarsi della normativa". "La realtà è che Conte cambia versione tre volte nel giro di poco più di un anno, che le fatture divise che aveva annunciato non esistono, perché ha fatturato Alpa, e che quindi il presidente Conte ha lavorato gratis per uno dei commissari del concorso per la cattedra di professore ordinario", evidenzia ancora Monteleone, che conclude: "Il presidente Conte ha poi pubblicato l'intervista integrale su facebook, ma qualche secondo lo ha tagliato. Noi eccetto qualche taglio necessario per così dire per la "punteggiatura", abbiamo mandato le interviste integrali".
La parcella "equivoca" tra il premier Conte e l'avvocato Alpa. Il Corriere del Giorno il 4 Dicembre 2019. Le Iene mostrano un nuovo documento: “Avevano interessi comuni”. Palazzo Chigi ancora una volta nega: “Non è una fattura comune ma solo un progetto”. “Un nuovo documento esclusivo confermerebbe che il premier Conte e il professor Alpa erano legati da interessi economici e professionali e quindi quest’ultimo non sarebbe potuto essere il commissario d’esame al concorso universitario di Caserta del 2002, con il quale Conte è diventato professore ordinario di diritto privato”. E’ quanto è stato pubblicato ieri dal sito de Le Iene, che anticipava “la nuova clamorosa scoperta di Le Iene che è stata svelata nel corso della puntata di ieri sera. Il programma “Le Iene” (Italia 1) ha esibito una parcella “su carta intestata a entrambi, con la richiesta di pagamento dell’intera cifra di 26.830,15 euro su un unico conto corrente di una filiale di Genova di Banca Intesa, il tutto firmato da entrambi, Guido Alpa e Giuseppe Conte“. “È ancora possibile a questo punto sostenere, come ha fatto Giuseppe Conte nell’ultimo anno ai microfoni delle Iene, che non vi fossero interessi economici in comune e che non vi fosse incompatibilità del professor Alpa nel giudicare Conte al concorso universitario? Il primo ministro ha mentito sul fatto che ognuno avesse fatturato per conto suo?“, si domandano Le Iene. Palazzo Chigi respinge questa accusa, rispondendo che “si tratta di un progetto di parcella ma non una fattura unica“. Le Iene ricordano inoltre che “il presidente del Consiglio ha sempre negato il rapporto professionale con Guido Alpa, nonostante nel suo curriculum vitae lui stesso avesse scritto così: «Dal 2002 ha aperto con il prof. avv. Guido Alpa un nuovo studio legale dedicandosi al diritto civile, diritto societario e fallimentare“. Per essere precisi, si sarebbe trattato di uno studio ubicato a Roma, in via Cairoli, dislocato su due piani, dei quali il giovane Conte occupava il piano superiore, in uno studio legale che in realtà aveva un unico numero di telefono e la stessa segretaria che veniva retribuita da entrambi. Il premier Conte aveva invece sempre sostenuto che non c’è mai stata un’associazione professionale, formale o anche solo sostanziale, tra il prof. Alpa e l’allora avv. Conte sia all’epoca del concorso che successivamente , e smentisce che ci sia mai stato un conto corrente unico utilizzato da entrambi. All’epoca del concorso (2002) il prof. Alpa aveva uno studio professionale associato con un avvocato genovese e comunque non avrebbe potuto avete due differenti studi associati. A conferma di quanto sostenuto – secondo l’ufficio stampa di Palazzo Chigi – non è mai esistita una partita iva comune o anche solo un conto corrente cointestato o comunque utilizzato per proventi in comune. Secondo i portavoce di Conte è quindi scorretto affermare che ci sia o ci possa essere una fattura in comune tra Guido Alpa e Giuseppe Conte sostenendo che “Il documento mostrato dalle Iene non vale a dimostrare il contrario ed è una chiara sciocchezza che esso smentisca la ricostruzione sin qui fornita dal Presidente Conte”. Il premier Conte ribadisce: “Non abbiamo mai fatto una fattura insieme, cioè avevamo conti separati. Guardi io ho controllato, questo chiariamolo, allora io ho controllato per il primo grado, in realtà la mia fattura non l’ho trovata, invece ho trovato la fattura del secondo grado e del terzo grado della Cassazione”. A Monteleone ha detto: “Lei non sa nulla di diritto, si fidi e le hanno spiegato male come funzionano i processi… È normale che se ci sono 10 avvocati al collegio difensivo non vanno tutti e 10. Basta che vada uno a coprire l’udienza, in rappresentanza di tutti”. Secondo la versione di Conte è quindi normale che due professionisti, autonomi ma coinquilini, e quindi dotati di una segreteria comune, abbiano emesso un unico progetto di parcella, a firma congiunta, con riferimento alla causa per la quale facevano parte del medesimo collegio difensivo. Questo non preclude in alcun modo che, sulla base di quel singolo, complessivo progetto di parcella, poi ciascun professionista emetta autonomamente e distintamente la propria fattura, per ottenere il pagamento dei propri compensi. Alla fine in circa mezz’ora di intervista il premier ha cambiato più volte la sua versione: “si è passati da non esiste una fattura unica”, al “io la mia fattura per il primo grado non l’ho trovata“, all’ultima versione “sì effettivamente per quel lavoro fatturò solo Alpa“. E se fatturò solo Alpa, con Conte che partecipò a quasi tutte le udienze, mentre Alpa mai! Ne è la riprova la circostanza che la fattura emessa da Guido Alpa in relazione al processo di primo grado nella causa Garante Privacy/Rai è la fattura del solo Guido Alpa. I relativi compensi sono stati erogati sul conto corrente personale di quest’ultimo, e non su un conto corrente comune relativo a una presunta società di professionisti. La decisione di Conte di non farsi pagare è dettata dal fatto che, nel primo grado di giudizio, il suo apporto all’istruzione e alla conduzione della causa era stato marginale rispetto a quello del professor Alpa. Del resto, come riconoscono correttamente anche gli inviati delle Iene, vi sono stati altri incarichi che il professor Conte ha svolto per il Garante, anche senza il coinvolgimento professionale di Alpa, decidendo poi di non farsi pagare. Ma le Iene insistono nel sostenere che “il premier Conte e il professor Alpa erano legati da interessi economici e professionali e quindi quest’ultimo non sarebbe potuto essere il commissario d’esame al concorso universitario di Caserta del 2002, con il quale Conte diventò professore ordinario di diritto privato“. Il documento in realtà sembra raccontare una storia differente: la lettera inviata allo studio ha un unico numero di protocollo, è inviata a un unico studio legale, presso un unico indirizzo. E soprattutto è indirizzata “al Prof. Guido Alpa e al Prof Avv. Giuseppe Conte, Via Sardegna, 38, Roma”. Ci siamo chiesti, dicono Le Iene, perché mandare un’unica lettera ai due professionisti se, come ha sostenuto il premier Giuseppe Conte, “si trattava di due incarichi distinti e non c’era un’associazione né di diritto né di fatto e soprattutto se quell’incarico fu pagato con due fatture separate“. “Se la collaborazione era in corso, il premier Conte non sarebbe potuto essere valutato dal professor Guido Alpa. Ma se il rapporto di lavoro era stato interrotto almeno due anni prima il problema non si pone” è l’opinione di Umberto Fantigrossi, presidente uscente degli avvocati amministrativisti, il quale per chiarire la problematica sollevata dal programma tv Le Iene ha spiegato che “non esistono regole precise, ci muoviamo nell’ambito dei principi poiché per orientarci in questo campo dell’incompatibilità si applicano alle commissioni di concorso, per via analogica, le norme che valgono per i giudici in base al codice di procedura civile”. Quindi secondo il professor Fantigrossi “l’incompatibilità tra esaminando ed esaminatore, tra allievo e maestro, sussiste qualora la collaborazione sia in atto, ma se invece è passata il vantaggio cessa di esistere“. Per l’avvocato Fantigrossi “è tutta una questione di tempi, se tra la collaborazione e il concorso è trascorso un tempo congruo, il problema non esiste”.
Maurizio Belpietro per ''la Verità'' il 03 dicembre 2019. Le Iene azzannano in tv l' avvocato del popolo, che adesso deve difendere sé stesso. La notizia è arrivata alla fine di una giornata in cui era stato Giuseppe Conte ad azzannare. In Parlamento, dove era andato a rispondere sul caso del Fondo salva Stati, il presidente del Consiglio aveva accusato Matteo Salvini di spregiudicatezza e scarsa cultura delle regole, perché il capo della Lega si era azzardato a «insinuare» un tradimento del governo sul Mes, il meccanismo economico di stabilità. Ma prima ancora che arrivasse la replica dell' ex ministro dell' Interno alle bordate, è arrivata una nota della trasmissione tv in onda su Italia 1. Il comunicato della rete Mediaset annunciava che Le Iene avrebbero messo in onda un servizio con documenti inediti sulla carriera del professor Giuseppe Conte. In pratica, una lettera d' incarico dell' Autorità garante della privacy risalente al 2002, un testo che rappresenterebbe la prova del conflitto d' interessi del capo del governo quando salì in cattedra. La storia in parte era già stata raccontata quando Conte fece il suo ingresso a Palazzo Chigi. All' epoca Repubblica tirò fuori la notizia che il premier era stato promosso docente ordinario da una commissione di cui faceva parte Guido Alpa, docente che con Conte divideva lo studio di Roma. Il neo premier replicò sostenendo di non essere mai stato socio del professore e di non aver mai fatto parte del suo studio. Una difesa un po' fragile, ma supportata del formalismo dell' assenza di cointeressi professionali, ossia dalla mancanza di parcelle in comune per attività forensi svolte dai due. A consolidare la tesi giunse poi un parere dell' Anac, l' autorità anticorruzione, che certificò il mancato intreccio professionale fra i due avvocati. Dunque, anche se avevano una stanza nel medesimo edificio, a pochi passi l' uno dall' altro, Alpa e Conte non erano soci e il primo non aveva giudicato l'altro in una situazione di oggettivo conflitto d' interessi. Fine? No, perché adesso Le Iene hanno trovato la lettera d' incarico della causa già oggetto di dubbi. Il documento risale agli inizi del 2002, cioè sei mesi prima del concorso che consentì a Conte di diventare professore ordinario all' età di 38 anni. Nel testo ritrovato dal programma Mediaset il Garante della privacy chiede ad Alpa e al futuro presidente del Consiglio di patrocinare una causa a difesa dell' Authority. Per le Iene sarebbe la prova che i due avvocati avevano in qualche modo interessi comuni e dunque il più anziano e noto, cioè il professor Alpa, mesi dopo avrebbe giudicato il più giovane, promuovendolo. L' inviato di Italia 1 ha gioco facile nel puntare il dito, perché nonostante sia stato sollecitato a farlo, finora il presidente del Consiglio non ha mostrato la prova che taglierebbe la testa al toro, ovvero la fattura per le prestazioni professionali prestate al Garante. Se fosse intestata solo a lui e non anche al professor Guido Alpa si dimostrerebbe la separazione fra i due, ma senza non si può mostrare nulla, se non i dubbi verso una situazione di fatto che certo appare piuttosto anomala. Sappiamo come vanno - e soprattutto come andavano - certe cose nelle università italiane, dove la scelta dei prof da premiare non sempre risponde al criterio dell' oggettività. Perciò, nel caso del presidente del Consiglio, appare un po' curioso che nella commissione che lo giudicò idoneo a ricoprire l' incarico di professore ordinario ci fosse Guido Alpa, cioè un coinquilino di studio, anche se un po' più grande e più famoso. Inquilino che poi, dopo l' elevazione di Conte al soglio di Palazzo Chigi, lo gratificherà di un' intervista in cui lo definisce un suo allievo. Solo che gli allievi di regola poi non vengono messi in cattedra dai maestri. Al momento non è nota la reazione di Conte, anche se sull' argomento il premier ritiene di aver già detto tutto, giudicando chiuso il caso. La lettera però oggettivamente lo riapre, perché anche se le formalità sono rispettate e non si può sostenere l' esistenza di un' associazione professionale che impedisse la presenza di Alpa in quella commissione, l' inopportunità resta. I due si conoscevano, dividevano lo stesso ufficio e, anche se ciascuno operava per conto proprio, sei mesi prima di quel concorso furono entrambi incaricati dallo stesso cliente e per di più con la stessa lettera. L' avvocato dirà che la legge è rispettata e le insinuazioni provvederà a perseguirle quando non sarà più a capo del governo. Ma a chi lamenta spregiudicatezza e scarsa cultura delle regole agli altri, è richiesto un supplemento di cautela, perché la forma sarà anche rispettata, ma la sostanza rimane. Le stanze quelle sono. Così come i dubbi.
Alessandro Rico per ''La Verità'' il 03 dicembre 2019. Dopo la clamorosa smentita della tesi di Giuseppe Conte, che s' era detto non al corrente di essere un papabile premier quando firmò il parere per Fiber 4.0 (la sera prima di consegnarlo era a un vertice con Matteo Salvini e Luigi Di Maio), si prospetta un' altra grana per la reputazione del presidente del Consiglio. Stavolta, non nelle sue vesti di avvocato del popolo, ma di avvocato privato, per clienti di prestigio, come l' Autorità garante per la protezione dei dati personali. La vicenda rischia di proiettare ombre inquietanti sul rapporto di Conte con il suo mentore Guido Alpa e sulla legittimità del concorso da professore ordinario, che il premier vinse nel 2002 e nella cui commissione figurava proprio il giurista piemontese. La storia la racconteranno Antonino Monteleone e Marco Occhipinti questa sera, alle Iene, su Italia 1, alle ore 21.15. E ovviamente andranno a raccogliere anche la versione di Conte. I due già l'anno scorso avevano messo sotto la lente d' ingrandimento la relazione professionale del presidente del Consiglio con il professore, titolare di una cattedra di diritto civile alla Sapienza. Le iene avevano indagato sullo studio legale che lo stesso Giuseppi, nel proprio curriculum, dichiarava di aver aperto con Alpa a Roma, in via Cairoli, zona Esquilino. Secondo le spiegazioni fornite dal premier in una lettera a Repubblica dell' 8 ottobre 2018, si trattava in realtà di un appartamento in cui gli inquilini condividevano solamente numero di telefono e segretaria, pagando però due affitti diversi e soprattutto fatturando ciascuno per conto proprio. Alpa era al piano di sotto, Conte al piano di sopra, ma i professionisti lavoravano separatamente. Sullo sfondo, c' era il concorso del 2002 da professore ordinario per l' università casertana Luigi Vanvitelli, con cui Conte ottenne l' abilitazione e nella cui commissione sedeva anche Alpa. Chiaramente, se fosse provato che i due avvocati erano effettivamente associati, ne deriverebbe che quel concorso era viziato. Le Iene ritengono di aver raccolto un nuovo indizio che farebbe sospettare che il premier abbia mentito sulla vicenda. Il 29 gennaio del 2002, ovvero sei mesi prima che si concludesse il concorso a Caserta, l'Autorità garante per la protezione dei dati personali invia una lettera d' incarico per la propria difesa nell'ambito di una controversia con la Rai e l' Agenzia delle entrate, aperta al tribunale civile di Roma. La missiva, rilevano Monteleone e Occhipinti, «ha un unico numero di protocollo, è inviata a un unico studio legale, presso un unico indirizzo»: via Sardegna 38, Roma. Destinatari, proprio Guido Alpa e Giuseppe Conte. Ma allora, se i due avvocati lavoravano e fatturavano indipendentemente, che senso aveva spedire un' unica lettera a entrambi? E soprattutto, perché nel suo curriculum Giuseppi alludeva a uno studio in via Cairoli, se questa lettera d' incarico mostrerebbe che Conte era domiciliato presso lo studio Alpa in via Sardegna, a due passi da via Veneto, a mezz' ora di camminata dall' Esquilino? D'altra parte, la redazione delle Iene ricorda di aver presentato due richieste di accesso agli atti per verificare che le dichiarazioni del presidente del Consiglio fossero vere. L' Autorità, però, le ha respinte entrambe. E Conte non ha mai mostrato la fattura di questa prestazione legale: se fosse intestata solo a lui, il premier fugherebbe ogni dubbio su un eventuale rapporto professionale con Alpa e, conseguentemente, sulla sua carriera accademica. L' avvocato del popolo si avvarrà ancora della facoltà di non rispondere al popolo?
TRAVAGLIO IN DIFESA DI CONTE. Estratto dall'articolo di Marco Travaglio per ''il Fatto Quotidiano'' il 5 dicembre 2019. (…) L' altroieri è fallito miseramente l' ennesimo tentativo delle Iene di sbugiardare il premier Conte sui suoi rapporti con lo studio Alpa nel 2002, ai tempi della sua promozione, decisa da una commissione presieduta da Alpa, a professore di Diritto privato: la fattura che doveva smentirlo non era una fattura, ma un progetto di parcella; riguardava Alpa e non Conte, che in quella causa sostituì Alpa in alcune udienze senza farsi pagare; e non può inficiare il concorso del 2002 per conflitti d' interessi perché risale al 2009, sette anni dopo il concorso, in cui peraltro Conte fu promosso da 5 commissari su 5. Ieri naturalmente il Giornale e La Verità hanno rilanciato la bufala ("La bugia di Conte", "La parcella che inchioda Conte"). E tal Renzi ha dichiarato al Messaggero: "Se quello che viene contestato a Conte fosse stato contestato a me, i 5Stelle chiederebbero le dimissioni e scatenerebbero i social contro di me. Non so cosa sia successo tra Conte e Alpa. Penso che sarà Conte il primo ad aver interesse a chiarire". A parte che Conte l'ha fatto per l' ennesima volta con un' intervista alle Iene, è curioso che Renzi dica di "non sapere quel che è successo tra Conte e Alpa": se non lo sa, come può fare paragoni con quello che viene contestato a lui? E quando mai ha chiarito quel che viene contestato a lui, infinitamente più grave di quel che veniva contestato a Conte, visto che Conte, Alpa e nessun loro amico o parente sono indagati, mentre Renzi ha padre e madre condannati in primo grado e tutti i fedelissimi indagati e/o imputati (Lotti, Carrai, Bianchi, Bonifazi, i coniugi leopoldi Donnini-Mammoliti, Vannoni, Del Sette, Saltalamacchia, ecc.). (…)
Dagospia il 5 dicembre 2019. La replica di Antonino Monteleone, autore con Marco Occhipinti del servizio delle ''Iene'' sul rapporto tra Conte e Alpa: «La fattura che doveva smentirlo non era una fattura, ma un progetto di parcella; riguardava Alpa e non Conte, che in quella causa sostituì Alpa in alcune udienze senza farsi pagare; e non può inficiare il concorso del 2002 per conflitti d'interessi perché
risale al 2009, sette anni dopo...». Non è un messaggio del portavoce del Presidente del Consiglio, ma l'editoriale apparso su un quotidiano italiano. C'è molta confusione. Mettiamo alcuni punti in chiaro.
1) Nessuna coppia di professionisti che svolge incarichi "distinti" e "separati" firma progetti di parcella su carta co-intestata e doppia firma.
2) Riguardava solo Alpa? Urge visita dall'optometrista. Perché qui qualcuno ha scritto senza vedere né l'intestazione né le firme in calce al documento.
3) Conte si presenta a TUTTE le udienze tranne una. Alpa non si presenta MAI.
4) Esaminatore (ALPA) ed esaminato (CONTE) avevano "interessi economici e professionali" comuni prima dell'avvio delle procedure per il concorso da professore ordinario, durante e successivamente. Per restringere il campo: la causa di primo grado del Garante Privacy contro la RAI si incardina in tempi che quasi si sovrappongono col concorso. Scrivere il progetto di parcella insieme sette anni dopo annullerebbe questa incontrovertibile circostanza di fatto?
Solo alla luce di queste circostanze si comprende perché Conte a ottobre 2018 e a gennaio 2019 fosse spinto dalla necessità di sottolineare che "ognuno ha fatturato per conto suo". Ma si è rivelata un'affermazione F-A-L-S-A. Ne volete un'altra? Secondo il sito casertace.net Guido Alpa, nella sua sterminata carriera e nelle innumerevoli commissioni di concorso delle quali ha fatto parte, SOLO una volta sarebbe stato all'Università di Caserta. Al concorso da ordinario di Giuseppe CONTE. Uno dice... coincidenze.
Le Iene e il premier Conte. Una sola cosa era importante e l’abbiamo appurata noi: Guido Alpa commissario a S.MARIA C.V. solo una volta nella vita. Casertace.net il 3 Dicembre 2019. Stasera, tra pochi minuti Le Iene daranno del bugiardo al presidente del consiglio Giuseppe Conte. Mai puntata del popolare programma di Italia 1 era stata tanto annunciata, dettagliata, spiegata prima di andare in onda. Onestamente, in questa circostanza studiamo il problema del nostro mestiere, della lunga militanza in un territorio in cui la legalità reale è inesistente. Dunque, il disincanto si impadronisce dei nostri pensieri e ci fa accogliere queste cose con una scrollata di spalle. Non è che occorresse un supplemento di indagine per capire che Conte, con il professorone Guido Alpa avesse raccontato balle. Pensate un pò che quando uscì per la prima volta la notizia, il professorone, per anni e anni potentissimo presidente della Cassa forense nazionale, cioè del tesoro dell’Ordine degli avvocati, Conte disse che lui e Alpa non avevano mai collaborato professionalmente e che avevano due studi distinti, uno in un piano di uno stabile romano, l’altro nello stesso stabile ma al piano superiore. Ovviamente non ci ha creduto nessuno. Men che meno noi. Si sa che gli italiani sono molto indulgenti rispetto a queste cose, e la notizia pubblicata all’epoca da Repubblica perchè Conte era il premier della coalizione 5 Stelle-Lega, oggi viene rilanciata dalla rete di Berlusconi e dai giornali dell’area di centrodestra. In paesi come gli Stati Uniti e la Germania, non sarebbe stata necessaria la dimostrazione formale, palmare della bugia. Già quella storia del primo piano e del secondo piano sarebbe stata sufficiente per certificare l’inopportunità grave di un comportamento che aveva portato il professore Alpa ad essere il decisivo componente della commissione che a Santa Maria Capua Vetere aveva sancito l’idoneità di Giuseppe Conte, tradottasi poi in una chiamata per la cattedra di diritto privato all’università di Firenze. E invece stasera Le Iene mostreranno che esiste una sola fattura relativa all’incarico che Alpa e Conte hanno svolto quali avvocati del garante nazionale della privacy e quella sarà la prova provata che i due erano soci di fatto professionali. L’unica cosa che Le Iene avrebbero dovuto fare, con i mezzi che hanno sarebbe stato un gioco da ragazzi acquisire questa informazione, sarebbe stata quella di verificare se quella seduta di esame del 2002, quella commissione eletta con i voti di tutti i professori ordinari italiani di quella specifica materia, sia stata una tantum del professore Alpa. Al tempo preside della facoltà di Giurisprudenza, di quella che si chiamava Sun, cioè seconda università di Napoli, c’era il professore Franciosi. Ebbene, la verifica l’abbiamo fatta noi. Guido Alpa è stato commissario del concorso per professore ordinario di diritto privato alla facoltà di Giurisprudenza di Santa Maria Capua Vetere, una ed una sola volta, cioè quando al concorso partecipò Giuseppe Conte. Che altro dobbiamo dire? Un’altra cosa. Quando Guido Alpa ha lasciato la sua cattedra di ordinario di diritto privato a La Sapienza di Roma, è stato attivato il concorso. Ricordate quando un anno e mezzo fa tutti i telegiornali parlarono dell’impegno che Conte avrebbe dovuto affrontare partecipando ad un concorso? Si trattava esattamente di quello de La Sapienza. Va bè, ma in Italia non succederà niente, perchè funziona così. Se sei frescone, furbino, bugiardino, fai il premier.
Dagospia il 4 dicembre 2019. DA “Un Giorno da Pecora - Radio1”. Se il rapporto con Giuseppe Conte inficia il fatto che il professor Alpa fosse un commissario del suo esame per la cattedra di Caserta? “Se si parla di opportunità, probabilmente il professor Alpa avrebbe potuto non farne parte, per un estremo scrupolo. Se Alpa ne faceva parte si vede che era assolutamente tranquillo. I problemi della politica comunque mi pare siano altri, questo è un tema secondario”. A parlare, ospite di Un Giorno da Pecora, su Rai Radio1 è Andrea Mascherin, Presidente del consiglio Nazionale Forense, che oggi è stato ospite della trasmissione condotta da Geppi Cucciari e Giorgio Lauro.
Conte, duro botta e risposta con Monteleone: "Al limite dovrebbe dire 'lei è un frescone'". Le Iene 6 dicembre 2019. Nel corso di una conferenza stampa a palazzo Chigi il presidente del Consiglio ha attaccato Antonino Monteleone: “Lei dice menzogne, non ho lavorato gratis per Alpa”. Poi lo difende per i vergognosi attacchi subiti sui social. Con Marco Occhipinti la Iena torna sul concorso del 2002 che ha nominato Conte professore ordinario, mostrando nuovi documenti esclusivi. “Perché dice che ho lavorato gratis per Alpa? Al limite dovrebbe dire: ‘lei è un frescone, ha lavorato gratis per il Garante’. Questa è diffamazione”. Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha apostrofato così Antonino Monteleone durante una conferenza stampa a palazzo Chigi insieme al ministro della Giustizia Alfonso Bonafede. Il premier è tornato sul caso del concorso universitario che nel 2002 ha nominato Conte professore ordinario di diritto privato ancor prima che la Iena facesse la sua domanda. Domenica 8 dicembre durante la puntata de Le Iene vi mostreremo le nuove scoperte che abbiamo fatto sul caso del concorso universitario del premier. Antonino Monteleone e Marco Occhipinti ci hanno mostrato nuovi documenti esclusivi. Ve ne abbiamo parlato in questo articolo anticipandovi il primo di una serie, che sembrano testimoniare che Giuseppe Conte avrebbe mentito sui suoi rapporti professionali con Guido Alpa, e che dunque quest’ultimo fosse incompatibile per legge nel suo ruolo di esaminatore al concorso. “Lei sta studiando questo caso da molto tempo”, ha detto il premier a Monteleone durante la conferenza stampa. “Ha acquisito tutte le carte possibili e immaginabili, le ho risposto più volte nelle interviste. L’ultima volta per mezz’ora (come potete vedere cliccando qui)”. Poi arriva l’attacco alla Iena: “C’è rimasto male, perché ho visto che ha fatto dei post su Facebook in cui scrive delle cose offensive”. “Impossibile, cose offensive è impossibile”, replica Monteleone. “Io le dico, ma come può scrivere "il presidente Conte ha lavorato gratis per uno dei commissari del suo concorso"?”, ribatte il premier. “Sono venuto a farle una domanda su questo tema presidente”, gli risponde Monteleone. Qui però non c’è spazio per la domanda della Iena, e il presidente del Consiglio dice: “Diciamolo ai cittadini perché credo che ormai tutti sappiano di questo caso”, ha detto Conte. “Se lei si è procurato la lettera di conferimento dell’incarico e ha visto che l’incarico è stato conferito ad Alpa e a Conte… abbiamo sviscerato che un collegio difensivo può essere composto anche da venti avvocati nel civile. Lei ha constatato che eravamo io e Alpa: perché lei dice che io ho lavorato gratis per Alpa? Se l’incarico mi è stato conferito dal Garante, e io non mi faccio pagare come in questo caso perché ritengo di aver svolto attività difensiva non di rilievo, evidentemente non me la sono sentita di fatturare essendo il Garante un ente pubblico. Lei stesso si è fatto dire dal Garante che anche qualche altra volta, dove sono io solo nel collegio difensivo, non mi sono fatto pagare. Anche in famiglia sono sempre stato tacciato di essere poco venale. Anche con altri clienti è capitato di aver lasciato lì qualche fattura e non essermi fatto pagare. Perché dice che ho lavorato gratis per Alpa? Al limite dovrebbe dire: “lei è un frescone, ha lavorato gratis per il Garante”. Questa è diffamazione. Non dovete approfittarvi del fatto che da quando sono presidente del Consiglio ho detto che non avrei mai querelato i giornalisti, perché continuate a scrivere menzogne su menzogne.” “Sono venuto qui per farle solo una domanda”, prova a intervenire Monteleone ma il premier lo interrompe subito senza farlo parlare: “Gliela faccio io la domanda, perché ha scritto questo nel post su Facebook dopo l’intervista di mezz’ora? Lei fa solo domande ma può offendere!”. Il presidente del Consiglio è poi tornato sulle vergognose offese ricevuti sui social network dalla Iena, arrivando persino ad augurargli il cancro, e si è rivolto a questi hater: "Voi potete anche ritenere di difendere la mia posizione, ma offendere Monteleone e i familiari quello no, perché non aggiunge nulla alla civiltà del dibattito". Finalmente c’è spazio per la domanda di Antonino Monteleone, che però è stata tagliata dal sito de La Repubblica che invece aveva riportato il botta e risposta e che quindi vi proponiamo qui: “Siccome è cambiata più volte la sua versione…”. “No, è stata sempre la stessa” replica immediatamente Conte. “Anche questo è offensivo. Quello è un progetto di parcella, non è una fattura. La fattura l’ha emessa solo Alpa perché abbiamo appurato che io al Garante non ho mai fatturato. Quindi non c’è una fattura in comune. Quello che lei tendenziosamente cerca di insinuare potrebbe avere un rilievo se Alpa avesse raddoppiato il suo compenso e quindi si fosse fatto pagare anche per conto di Conte. Quella fattura però prevede solo il compenso di Alpa, Conte ha rinunciato. Se ne faccia una ragione”. “A noi risulta che lei non abbia lavorato gratis per il Garante”, risponde Monteleone. “Ci risulta dai documenti, che ha chiesto all’Autorità di versare anche i suoi compensi sul conto di Alpa, che è stato il suo esaminatore…”. “Ma questa è diffamazione, lei sta insistendo”, ribatte immediatamente Conte. “A noi risulta così”. “Lei è fuori di testa”, sbotta il premier. “Io non ho fattura e non ho chiesto il raddoppio della fattura”. “Le sto chiedendo se Alpa, quando ha fatturato, aveva nelle sue voci delle parti che gli spettavano”, chiede Monteleone. “Lei vuole dimostrare una comunanza di interessi attraverso un progetto di parcella che risale al 2009, e attraverso questo vorrebbe dimostrare una comunanza d’interessi che riguarda il 2002, l’anno del concorso. Dopo sette anni poteva cambiare il mondo, ma non dimostrerebbe mai l’esistenza di una cointeressenza economica del 2002. È un fatto logico: un documento del 2009 non potrà mai dimostrare la cointeressenza di un fatto concorsuale del 2002. Se ne faccia una ragione”. A questo punto Conte si alza e fa per andarsene, mentre Monteleone sta ancora provando a formulare una domanda per lui: “A noi risulta che tra le voci che ha presentato Alpa ci fossero anche la presenza in udienza, che era solo sua. Le chiedo: se Alpa ha incassato i compensi per la presenza in udienza è un problema o no?”. “Il fatto che io abbia partecipato non ha alcun rilievo economico, perché nel processo civile le memorie difensive sono quelle che contano”, risponde Conte che poi se ne va per davvero. Potrete vedere le nuove scoperte di Antonino Monteleone e Marco Occhipinti nella puntata de Le Iene di domenica 8 dicembre.
Dagospia il 6 dicembre 2019. Il premier Conte non ci sta alle accuse della Iena sulla fatturazione in comune con Guido Alpa, nell'ambito del concorso universitario di Caserta nel 2002. "Lei è fuori di testa", dice l'inquilino di Palazzo Chigi al giornalista in conferenza stampa. "Monteleone, se ne faccia una ragione: non riuscirà a dimostrare una fatturazione in comune con Alpa", ha aggiunto Conte rispondendo alla provocazione dell'inviato della trasmissione di Italia Uno.
Marco Billeci per fanpage.it il 6 dicembre 2019. C’è un passaggio nell’arringa difensiva dell’avvocato Giuseppe Conte di fronte alle polemiche sul concorso con cui l’attuale premier è diventato professore ordinario che rischia di rivelarsi un boomerang. “L’Anac ha detto che non c’è nessun conflitto d’interessi”, ha affermato più volte il premier per ribattere alle accuse circa la presenza del suo mentore Guido Alpa nel collegio che nel 2002 gli assegnò una cattedra all’università di Salerno. I documenti visionati da Fanpage.it, che riportiamo in questo articolo, dimostrano che le cose non stanno proprio così. La vicenda – scoperchiata per la prima volta da Repubblica nell’ottobre 2018 – è stata riportata alla ribalta negli ultimi giorni dalla trasmissione televisiva “Le Iene”. L’innesco del caso, come detto, è la presenza del professor Guido Alpa nel collegio dei docenti chiamati a giudicare i candidati del concorso vinto dall'attuale Presidente del Consiglio. Alpa è considerato il maestro professionale di Conte e ha condiviso per anni con lui l’indirizzo dello studio professionale. I due hanno anche lavorato insieme in diverse occasioni. Secondo “Le Iene”, la collaborazione tra Conte e Alpa andava al di là della condivisione degli spazi e degli incarichi e si configurava invece come un vero e proprio sodalizio economico e professionale. Di conseguenza, Alpa non sarebbe potuto essere uno dei commissari chiamati a giudicare il premier nel suo concorso universitario. Falso, replica Conte che sottolinea innanzitutto come la sua promozione sia avvenuta all’unanimità, per cui il giudizio di Alpa non sarebbe stato decisivo. Ma soprattutto, il premier rivendica che la sua attività professionale e quella di Alpa si siano sempre svolte in parallelo, senza alcun tipo di associazione professionale che avesse potuto gettare l’ombra di conflitto d’interessi sul concorso sostenuto nel 2002 dall’avvocato del popolo. Per avvalorare la sua tesi, Conte nella sua difesa sui media ha citato più volte i pareri sul tema dell’Autorità Nazionale Anticorruzione che lo assolverebbero. L’ultima volta lo ha fatto rispondendo alle domande dell’inviato delle Iene, come documentato nella versione integrale dell’intervista pubblicata sul profilo Facebook ufficiale del premier. “L’Anac ha già detto che non c’è nessuna cointeressenza d’interessi”, dice Conte nel video. L’autorità guidata all’epoca da Raffaele Cantone è stata chiamata a pronunciarsi sul caso a seguito dell’esposto dell’avvocato pesarese Silvio Ulisse. Nel maggio 2019, l’Anac risponde all'avvocato Ulisse, con una lettera che ricalca le conclusioni a cui è giunta l'istruttoria in merito al concorso universitario sostenuto da Conte. Nella lettera, che pubblichiamo integralmente, si sottolinea come la vicenda riguardi “fatti molto risalenti nel tempo e, in quanto tali, nemmeno modificabili in autotutela”. In pratica, si prende atto dell’impossibilità di intervenire sull’esito di un concorso che si è tenuto ormai 17 anni fa. Di conseguenza, l’autorità riguardo al procedimento “ritenendo preclusa qualunque possibile valutazione nel merito, ne ha disposto l’archiviazione”. L’Anac dunque non ha mai detto che tra Conte e Alpa non c’era conflitto d’interessi. Più semplicemente, l’organismo anticorruzione ha valutato come sia ormai impossibile modificare il corso degli eventi e quindi si è fermato prima di pronunciarsi sul merito della questione. Se parlassimo di un processo, si tratterebbe di prescrizione e non di assoluzione. Conte nella sua difesa chiama in causa in realtà anche un'altra delibera dell’Anac. Si tratta di un documento del marzo 2017 in cui Raffaele Cantone afferma che “ai fini della sussistenza di un conflitto di interessi fra un componente la commissione di concorso e un candidato, la collaborazione professionale o la comunanza di vita […] deve presupporre una comunione di interessi economici o di vita tra gli stessi di particolare intensità e tale situazione può ritenersi esistente solo se detta collaborazione presenti i caratteri della sistematicità, stabilità, continuità tali da dar luogo ad un vero e proprio sodalizio professionale.” Questo parere, tuttavia, si limita a fissare dei criteri generali di incompatibilità fra esaminante ed esaminato, riguarda una vicenda distinta da quella che ha coinvolto il premier ed è comunque precedente allo scoppio della vicenda Conte-Alpa. L’unico pronunciamento dell’Anac sul caso specifico è quello rivelato adesso da Fanpage.it. Non condanna Conte, ma nemmeno lo assolve. Sul caso del concorso grazie al quale Conte è diventato professore ordinario si era espresso, nell’ottobre del 2018, anche il presidente dell’Anac, Raffaele Cantone. Che affermava: “Conte dà una spiegazione plausibile. Il fatto che un soggetto possa scrivere un libro insieme o si trovi a essere co-difensore in un procedimento non integra di per sé gli estremi della comunione di interessi”. Un giudizio, quello di Cantone, che è diverso dal parere dell’autorità, che sostanzialmente non entra nel merito. Cantone sottolinea ancora: “Abbiamo provato a spiegare che non basta l’esistenza di un rapporto fra maestro e discente, c’è bisogno di una comunione di interessi economici”. Un concetto ribadito qualche giorno dopo: “Una collaborazione sporadica e l’ufficio condiviso non bastano per stabilire che vi sia comunanza di interessi tra lui e il prof Guido Alpa”.
Concorso universitario di Conte e caso Alpa: nuovo documento esclusivo. Le Iene il 10 dicembre 2019. Antonino Monteleone e Marco Occhipinti tornano sul concorso universitario del 2002 che ha fatto diventare Giuseppe Conte professore ordinario di diritto privato. Guido Alpa, suo commissario d’esame, ma anche avvocato incaricato insieme a Conte in una causa civile, era incompatibile nel giudicarlo e promuoverlo? Ecco due nuovi documenti che smentirebbero la versione del premier e confermerebbero l’incompatibilità di Alpa. Con Antonino Monteleone e Marco Occhipinti torniamo a chiederci se il concorso universitario del 2002 che ha nominato Giuseppe Conte professore ordinario di diritto privato sia stato viziato dall’incompatibilità di uno dei suoi esaminatori, il professor Guido Alpa. E se il premier non abbia mentito più volte da un anno a questa parte per difendere la regolarità di quel concorso.
Lo facciamo nel servizio in onda a Le Iene stasera a Le Iene dalle 21.15 su Italia 1. Un servizio nel quale vi mostriamo in esclusiva due nuovi documenti, la seconda parte del progetto di parcella con la lista delle prestazioni svolte in una causa civile del 2002 e l'unica parcella emessa per quell'incarico, che dimostrerebbero ulteriormente l’incompatibilità di Guido Alpa a giudicarlo in quel concorso. Ve ne abbiamo parlato nelle precedenti puntate della nostra inchiesta, nella quale vi abbiamo raccontato che Guido Alpa, oltre che commissario d’esame di Giuseppe Conte, sarebbe stato incaricato di difendere insieme a lui il Garante della Privacy in una causa civile al Tribunale di Roma contro la Rai. E che a causa di questo incarico comune quindi sarebbe stato incompatibile nel giudicarlo al concorso universitario, che ha portato Conte a salire sul gradino più alto della carriera universitaria. Qualche giorno fa vi abbiamo mostrato un documento esclusivo, la prima parte del progetto di parcella di quella causa civile del 2002, in cui difendevano il Garante della Privacy. Una causa nella quale, lo ricordiamo, sono stati incaricati per la difesa, l’avvocato Giuseppe Conte e il professor Guido Alpa, con un'unica lettera d'incarico, un unico protocollo e indirizzata allo stesso indirizzo dello studio Via Sardegna 38 di Guido Alpa, fatto che smentirebbe le dichiarazioni del premier che aveva sostenuto che all'epoca avrebbe avuto uno studio con locali e affitti separati, al piano di sopra da quello di Alpa a piazza Cairoli. Mentre poi Alpa avrebbe raccontato che nel 2002 l'allora giovane di belle speranze Giuseppe Conte era suo ospite nel suo studio a via Sardegna. Avevamo pubblicato in esclusiva un progetto di parcella compilato su carta intestata e firmata da entrambi, con la richiesta di pagamento dell’intera cifra di 26.830,15 euro su un unico conto corrente, di una filiale di Genova di Banca Intesa. Il tutto appunto firmato sia da Alpa che da Conte. Perché mai, ci siamo chiesti, l’avvocato Conte avrebbe dovuto firmare questo progetto di parcella se, come ha sostenuto ai nostri microfoni, lui con quelle prestazioni non aveva niente a che fare e se in più lui dal Garante alla Privacy non intendeva farsi pagare? Oggi pubblichiamo un nuovo documento esclusivo che potete leggere qui, ovvero la seconda parte di quel progetto di parcella, clamoroso per il suo contenuto perché smentisce la ricostruzione dei fatti data dal premier dopo il nostro servizio della scorsa settimana. Tra qualche ora poi pubblicheremo in esclusiva la testimonianza di una figura di rilievo delle istituzioni, che smentirà anche lui le dichiarazioni del premier. Anche il documento che vi mostriamo adesso, ancora una volta, parla chiaro ed elenca nel dettaglio le voci delle prestazioni per le quali è stato richiesto il pagamento: c’è la partecipazione alle udienze dal valore di 416 euro, la precisazione conclusioni, stimata 103 euro, l’assistenza all’udienza conteggiata per 2.160 euro e la discussione in pubblica udienza valutata 1.392,50. Oltre che tante altre voci, che tutte insieme sembrano essere il totale delle prestazioni fornite al cliente dai due avvocati. Non a caso l'elenco delle competenze si trova su una carta intestata a nome di Alpa e Conte e come dicevamo è firmata da entrambi. L'altro documento che vi mostriamo è la parcella poi emessa da Guido Alpa, importante come prova, perché ci consente di notare come il totale fatturato da Alpa corrisponda con il totale delle voci delle prestazioni indicate nel progetto di parcella cofirmato da Alpa e Conte. Secondo tutti gli esperti del settore interpellati dalle Iene, il progetto di parcella sembra dare un'indicazione chiara al Garante: paga tutte le competenze qui elencate su uno stesso conto corrente. La lettura di questi due documenti va incrociata con un'altra documentazione esclusiva trovata dalle Iene: i verbali di 5 udienze di quella causa del 2002, dai quali si evinceva che in primo grado avesse presenziato in aula quasi sempre Giuseppe Conte, mentre tutte le volte in cui il giovane avvocato era presente, non lo era invece il suo collega anziano e già molto affermato Guido Alpa. Il presidente del Consiglio aveva sostenuto come nel corso del primo grado della causa a cui si riferisce quella parcella, lui non avesse svolto attività difensiva di rilievo e aveva deciso dunque di non farsi pagare dal suo cliente, l'Autorità per la Protezione dei dati Personali. Ma se è vero che non si è fatto pagare, allora come si spiega la seconda pagina di quel progetto di parcella, che contiene voci di prestazioni svolte durante le udienze a cui partecipò solo Giuseppe Conte? Perché quelle prestazioni sono state inserite nella lista delle competenze da pagare, con tanto di corrispettivo economico determinato per ognuna di quelle voci? E se non fossero state prestazioni da lui eseguite perché mai anche Giuseppe Conte firmò anche lui quel progetto di parcella? Come avrà giustificato ai microfoni di Antonino Monteleone questi due nuovi documenti esclusivi che abbiamo trovato?
Conte e il concorso universitario: Cantone smentisce il premier. Le Iene il 10 dicembre 2019. Torniamo sul caso del concorso universitario con cui Giuseppe Conte è diventato professore ordinario di diritto privato: pubblichiamo la nostra telefonata con Raffaele Cantone, ex presidente dell’Anac, che smentisce la versione di Conte sul parere dato dall’Autorità anti corruzione. E vi mostriamo anche quel parere di Anac. Tutto nel servizio di Antonino Monteleone e Marco Occhipinti. Torniamo sul concorso universitario di Caserta, che nel 2002 ha affidato a Giuseppe Conte la cattedra di professore ordinario di diritto privato. Vi mostriamo un nuovo documento esclusivo e con la telefonata a Raffaele Cantone, ex presidente di Anac, che di fatto smentisce la versione di Giuseppe Conte. Quel concorso, come vi abbiamo raccontato durante le precedenti puntate dell’inchiesta di Antonino Monteleone e Marco Occhipinti, potrebbe essere stato viziato da incompatibilità. A giudicare Conte, infatti, tra i commissari d’esame, c’era il suo mentore e amico Guido Alpa. E proprio il professor Alpa, abbiamo scoperto, poco prima di quell’esame avrebbe lavorato a una causa civile, insieme a Giuseppe Conte, per difendere l’Autorità garante della Privacy. Vi avevamo mostrato un primo documento esclusivo, il progetto di parcella per quella causa: su carta intestata a entrambi e con la richiesta di pagamento dell’intera cifra di 26.830,15 euro su un unico conto corrente intestato ad Alpa di una filiale di Genova di Banca Intesa. Il tutto firmato da entrambi. Sull’importo della fattura, Conte aveva detto, nel corso di una infuocata conferenza stampa: “Lei forse non lo sa, ma gli enti pubblici devono farsi pagare ai minimi tariffari. Quella quindi è una fattura sicuramente ai minimi tariffari che prevede solo il compenso di Alpa. Conte ha rinunciato, se ne faccia una ragione”. Avevamo allora pubblicato anche la seconda parte di quel progetto di parcella, un documento in cui compare la lista delle prestazioni che i due professionisti indicano come svolte e che chiedono all’autorità di pagare su un unico conto corrente. Nella lista delle prestazioni da fatturare sono indicate le voci che riguardano sicuramente anche il lavoro svolto da chi ha partecipato alle udienze. A proposito di queste ultime vi avevamo mostrato anche i verbali di 5 udienze, dai quali risultava evidente che in primo grado Conte avesse quasi sempre presenziato in aula, tranne una volta in cui era stato sostituito. Giuseppe Conte, a proposito di quell’incarico legale e della presenza in udienza, aveva però dato un’altra versione: “Dico la verità ero in un periodo particolarmente impegnativo, per altri fronti, perché mi stavo consolidando nel mondo universitario della ricerca eccetera e quindi l’attività difensiva se l’è fatta, intendo dire quella seria, più solida, quella più impegnativa, se l’è fatta Alpa… e io ho fatto l’udienza quando ero libero, io non credo di essere stato a tutte le udienze, comunque diciamo quando davo una mano…”. Nella seconda parte del progetto di parcella le voci pagate sono indicate con chiarezza: c’è la partecipazione alle udienze dal valore di 416 euro, la precisazione conclusioni, stimata 103 euro, l’assistenza all’udienza conteggiata per 2.160 euro e la discussione in pubblica udienza valutata 1.392,50. Che in generale si tratti di prestazioni svolte anche da Giuseppe Conte sembra certificato dal fatto che c’è la sua firma sul progetto di parcella. Perché mai allora, ci chiediamo, l’avvocato Conte avrebbe dovuto firmare un progetto di parcella con l’elenco delle prestazioni fornite da un altro avvocato, se lui con quelle prestazioni non aveva niente a che fare? Ma c’è ancora un altro punto molto importante da chiarire, ovvero il presunto parere di Anac, l’Autorità nazionale anti corruzione, sul caso del concorso universitario del 2002. Giuseppe Conte a questo proposito ci aveva detto: “A parte che questo l’ha valutato già l’Anac, ha detto che non c’è nessuna, cointeressenza di interessi… io avevo la mia attività professionale, Alpa aveva la sua attività professionale, Alpa aveva uno studio professionale a quell’epoca…” Antonino Monteleone e Marco Occhipinti hanno deciso allora di sentire proprio Raffaele Cantone, all’epoca presidente dell’Anac, per cercare di fare chiarezza una volta per tutte (la telefonata con il presidente Cantone potete ascoltarla nel video che pubblichiamo in alto). Monteleone chiede: “La chiamavo perché sto cercando di capire se l’autorità quando ai tempi in cui lei era presidente fu formalmente incaricata di esprimere un parere sulla questione del concorso dell’avvocato conte prima di diventare presidente del consiglio”. Raffaele Cantone risponde così: “Sì, ci fu un esposto, mi pare di un’associazione di consumatori. Noi facemmo un intervento di carattere procedurale, dicemmo che in realtà si trattava di una vicenda non recente per i quali il nostro intervento di qualunque tipo sarebbe stato irrilevante visto che nei confronti di quel concorso nessun atto amministrativo poteva essere fatto”. Lo potete giudicare voi stessi, leggendo il parere di Anac, a questo link. Appare quindi evidente, almeno stando alle parole di Cantone e al documento esclusivo che pubblichiamo, che Giuseppe Conte non avrebbe detto il vero quando ha affermato che l’Anac si era pronunciata “escludendo la comunanza di interessi economici”. Monteleone prosegue: “Lei fece anche un’intervista a Radio Capital nell’ottobre del 2018, nella quale disse ‘effettivamente è plausibile la spiegazione del presidente Conte, se è vero come lui sostiene che hanno, emesso fatture separate per l’incarico del 2002’”. “Io avevo detto semplicemente che mi sembrava plausibile la spiegazione che aveva dato”, aggiunge Cantone. La Iena lo incalza: “L’unica cosa che volevo capire è se due professionisti che usano una carta intestata comune che firmano entrambi un progetto di parcella possono definirsi due professionisti che svolgono incarichi distinti e separati”. La risposta di Raffaele Cantone è assolutamente inequivocabile: “Certamente i fatti emersi sono diversi da quelli che erano stati rappresentati all’epoca, però io non me la sento di esprimere un giudizio. L’unica cosa che mi sento di dirle è che ovviamente rispetto alla situazioni che io vissi all’epoca le cose sono cambiate, quindi all’epoca lui aveva dato una giustificazione. Oggi le cose sono cambiate”.
Da repubblica.it il 30 marzo 2021. Il Tribunale dei ministri ha archiviato il procedimento che vedeva indagato per peculato l'ex presidente del Consiglio, Giuseppe Conte in relazione all'uso della scorta. Al vaglio dei pm della Procura di Roma, dopo una denuncia di Fdi, era finito un episodio del 26 ottobre, ovvero l'intervento della scorta del premier per fare uscire da un supermercato Olivia Palladino, compagna di Conte, vista la presenza all'esterno di un inviato della trasmissione le Iene. I pm di piazzale Clodio dopo avere iscritto l'ex premier avevano, come da prassi, inviato gli atti al Tribunale dei Ministri. L'indagine era partita lo scorso autunno. Il 26 ottobre la compagna del premier, Olivia Paladino, era in giro sotto casa quando venne "braccata" da un giornalista de Le Iene, Filippo Roma, che le chiedeva dei problemi con il Fisco di suo padre, Cesare, patron dell'hotel Plaza nella Capitale. La fidanzata del presidente del Consiglio, per sfuggire alle domande, si rifugiò in un supermercato. Dopo pochi minuti alcuni agenti della scorta del capo del governo arrivarono per "metterla in salvo". In seguito all'accaduto, la Procura di Roma aveva ricevuto l'esposto di Roberta Angelilli di Fratelli d'Italia che segnalava l'episodio e ipotizzava "un uso improprio" della scorta da parte di Conte.
Cesare Paladino, il "suocero" di Giuseppe Conte non ha pagato una fornitura di prosecco: scatta la denuncia. Libero Quotidiano il 04 novembre 2020. Cesare Paladino, papà di Olivia Paladino compagna del premier Giuseppe Conte, è un imprenditore e proprietario del Grand Hotel Plaza di Roma. Tempo fa era stato indagato per peculato dalla Procura di Roma, che lo accusava di essersi intascato la tassa di soggiorno versata dai turisti che approdavano nel cinquestelle lusso di via del Corso. Un'altra volta si è scoperto che aveva un debito con il fisco di quasi 36 milioni di euro con la rateizzazione concessa Paladino a un certo punto smette di pagare le rate. Adesso invece è accusato di non aver saldato una fornitura da 5mila euro al suo hotel di prosecco. Paladino è accusato di questo da un imprenditore del nordest: Sandro Bottega. L'uomo ha una azienda di vini e di grappe. All'inizio del 2019 entra in contatto con il Plaza. A primavera iniziano le forniture, che per legge Paladino dovrebbe pagare a sessanta giorni, ma dopo novanta giorni non ha ancora ricevuto un euro: "Abbiamo seguito la prassi che utilizziamo in tutti i casi in cui il cliente non paga. Prima abbiamo segnalato garbatamente, poi abbiamo sollecitato per tre volte, infine abbiamo mandato una diffida facendo presente che se non saldavano le fatture avremmo dovuto adire le vie legali. Non è successo niente, per quasi un anno. Così il 30 settembre abbiamo ottenuto un decreto ingiuntivo dal tribunale di Treviso". Ma la cosa, scrive il Giornale, non si è risolta neanche così: "Non siamo riusciti a notificare il decreto perché adesso l'albergo è chiuso e l'amministratore era sempre assente. Dovremo fare causa, e i soldi chissà quando li vedremo. L'ultima che abbiamo fatta è durata dieci anni", conclude amaramente l'imprenditore veneto.
Luca Fazzo per “il Giornale” il 4 novembre 2020. Dal genero, che manda avanti un Paese, potrebbe farsi insegnare almeno come si manda avanti un albergo. Eh sì, perché Cesare Paladino da una parte è il papà di Olivia Paladino, splendida compagna del premier Giuseppe Conte; ma nella vita privata è un imprenditore di lungo corso, padrone del Grand Hotel Plaza di Roma. E in questa veste è caduto in più di un inciampo. Fino al più recente, e finora inedito: centinaia di bottiglie di ottimo prosecco, consegnate al suo albergo e mai pagate. Un paio d'anni fa Paladino senior era stato indagato per peculato dalla Procura di Roma, che lo accusava di essersi intascato la tassa di soggiorno versata dai turisti che approdavano nel cinquestelle lusso di via del Corso. Poi era saltato fuori un debito con il fisco di quasi 36 milioni di euro: rateizzazione concessa, e Paladino che a un certo punto smette di pagare le rate. Si parla di grossi importi, buchi che non sono giustificabili con il trauma da Covid 19 del settore turistico, perché gli episodi sono tutti precedenti all'esplodere dell'epidemia. E Paladino non può dare la colpa al lockdown neanche per la strana storia del prosecco sparito. Qui l'importo è decisamente minore, si parla di meno di cinquemila euro. Ma proprio questo rende ancora più curiosa la vicenda: come è possibile che un albergo di lusso, dove una suite per un fine settimana costa come lo stipendio di un metalmeccanico, non riesca a pagare qualche cassa di vino? Eppure la storia è documentata: nei racconti e nelle carte della vittima del first suocer. A rimanere gabbato è stato un imprenditore del nordest profondo, si chiama Sandro Bottega e ha una azienda - che si chiama come lui - di vini e di grappe a Godego di Sant' Urbano, seimila abitanti tra Conegliano e Vittorio Veneto. La Bottega è nata quarant' anni fa ed è cresciuta strada facendo, oggi è una spa che esporta in 130 paesi, ma non smette di cercare clienti anche in patria. E all'inizio del 2019 entra in contatto con il Plaza. Solite verifiche di solvibilità, salta fuori la storia delle tasse intascate, ma l'azienda sembra a posto. D'altronde come non fidarsi, quando Google ti racconta che la figlia (e socia) del padrone sta col capo del governo? A primavera iniziano le forniture, che per legge Paladino dovrebbe pagare a sessanta giorni. Ma non paga nè a sessanta, nè a ottanta, nè a novanta. Da Godego di Sant' Urbano iniziano a preoccuparsi: «Abbiamo seguito la prassi - racconta Bottega - che utilizziamo in tutti i casi in cui il cliente non paga. Prima abbiamo segnalato garbatamente, poi abbiamo sollecitato per tre volte, infine abbiamo mandato una diffida facendo presente che se non saldavano le fatture avremmo dovuto adire le vie legali. Non è successo niente, per quasi un anno. Così il 30 settembre abbiamo ottenuto un decreto ingiuntivo dal tribunale di Treviso». Cosa risolta? Manco per niente: «Non siamo riusciti a notificare il decreto perché adesso l'albergo è chiuso e l'amministratore era sempre assente. Dovremo fare causa, e i soldi chissà quando li vedremo. L'ultima che abbiamo fatta è durata dieci anni». Intanto, mentre al di là del Piave aspettano che suo padre saldi i debiti, Olivia Paladino viene immortalata in un video su Dagospia mentre si rifugia in un supermercato per scappare da una troupe. A salvarla arriva una scorta. La sua? O del fidanzato?
Da liberoquotidiano.it il 7 settembre 2020. Per Giuseppe Conte sono tempi duri. Non ci sono solo le litigate al governo, ma anche quelle in famiglia. Il suocero, Cesare Paladino, padre della compagna Olivia Paladino, è infatti in "guerra" con l'Agenzia delle Entrate controllata dal ministero dell'Economia. Il tutto risale al 2019 quando Cesare Paladino, proprietario del lussuoso Grand Hotel Plaza di Roma, patteggiò per aver evaso il versamento della tassa di soggiorno: un ammanco totale di due milioni di euro mai versati - secondo gli inquirenti - dal 2014 al 2018. L’imprenditore, dopo aver pagato tutto il dovuto, patteggiò – con sospensione della pena concordata – un anno, due mesi e una settimana di prigione. Ma per il padre della compagna del premier i dissapori non sono finiti qui, perché a causa della crisi del "mattone" le società della famiglia Paladino usufruirono della cosiddetta "pace fiscale", o meglio della “"rottamazione ter" voluta dal Conte-Uno, trovandosi in sofferenza con il Fisco per circa 36 milioni di euro. Ed ecco che subentra la rateizzazione, chiesta e ottenuta, di 27 milioni. Da qui poi si passa al ricorso: Cesare Paladino – che deve ancora corrispondere all’Agenzia delle Entrate oltre 15 milioni di euro – si è appellato contro il Fisco per chiedere di dilazionare il pagamento in diciotto tranches e per protesta ha deciso di chiudere i rubinetti. A spiegare quanto realmente starebbe accadendo è Franco Bechis che sul Tempo scrive: le società dei Paladino non sarebbero "in grado di versare quelle rate taglia extralarge senza rischiare di mandare in crisi seria tutto il gruppo". Insomma, un caso che non può che imbarazzare Conte. Il suocero in guerra con il Fisco e che rifiuta i pagamenti.
Olivia Paladino e il Fisco, "i vantaggi se li prenderebbe lei". Conte e il suocero, l'affare si ingrossa. Libero Quotidiano l'8 settembre 2020. Lo scontro tra Cesare Paladino e il Fisco imbarazza Giuseppe Conte, anche perché stavolta in ballo c'è pure Olivia Paladino, la figlia di Cesare e fidanzata del premier. Come rivelato da Franco Bechis sul Tempo, l'imprenditore romano dopo aver usufruito del "regalino" del genero (la norma approvata dal suo governo che depenalizza il mancato versamento della tassa di soggiorno) ha iniziato un bracio di ferro con l'Agenzia delle Entrate su cartelle esattoriali per 36 milioni di euro di tasse e imposte in ritardo o non pagate. La "pace fiscale" ha fatto sì che fossero "rottamabili" 27 di quei 36 milioni, diventati dunque poco meno di 15 milioni e mezzo da pagare "in dieci non troppo comode rate, a cominciare da luglio 2019", sottolinea il Giornale. La Immobiliare di Roma-Splendido srl, di proprietà di Paladino, ha fin qui "pagato solo la prima rata, per confermare l'adesione alla rottamazione, saltando il secondo pagamento che era previsto a novembre scorso", e nel frattempo ha fatto ricorso contro l'Agenzia delle entrate, chiedendo di sospendere i pagamenti fino a risoluzione della controversia. La situazione, già spinosa, rischia di farsi esplosiva perché ora coinvolge la "Agricola Monastero Santo Stefano Vecchio", società che controlla la Roma-Splendido e che, scrive il Giornale, "risulta intestata proprio a Olivia, la fidanzata di Conte, per il 47,5%, quota identica a quella della sorella, mentre il restante 5 per cento è del fratellastro, John Rolf Shawn Shadow, figlio del primo matrimonio della compagna di Cesare, Ewa Aulin", Come sottolinea Bechis sul Tempo, sarebbe proprio Olivia "ad avvantaggiarsi direttamente" nel caso in cui l'Agenzia delle Entrate decida di piegarsi alla richiesta del ricorso. Insomma, il solito odore di conflitto d'interessi all'italiana. Ma in ballo non c'è Silvio Berlusconi e dunque pochi si indignano.
Federico Capurso per “la Stampa” il 7 settembre 2020. Una manina, tra le 500 pagine del decreto Rilancio, ha inserito una norma per depenalizzare il mancato versamento delle tasse di soggiorno da parte degli albergatori. Prima si doveva pagare fino al 200% dell'ammanco e si rischiava il carcere. Adesso, almeno la prigione si potrà evitare. E a pensar bene, sembra che il principio, in tempi di emergenza, sia quello di togliere un po' di peso dalle spalle di chi già fatica a tenere aperto il proprio hotel. Eppure, tra i furbetti condannati per non aver pagato le tasse di soggiorno al proprio Comune spunta anche il suocero del premier: Cesare Paladino, proprietario del lussuoso hotel Plaza in via del Corso. Il padre dell'attuale fidanzata di Giuseppe Conte, dal 2014 al 2018, si è dimenticato di versare due milioni di euro nelle casse già tristi del Campidoglio. Così, il suocero ha patteggiato, pagando tutto il dovuto e ricevendo, oltre alla sanzione, una condanna a 1 anno 2 mesi e 7 giorni di carcere. Non avrebbe mai indossato il pigiama a righe, ma la fedina, quella sì, si sarebbe sporcata, non fosse stato per il decreto Rilancio. Tanto che gli avvocati del "suocero" avrebbero già chiesto la revisione della sentenza. E a pensar male.
Giuseppe Conte, il regalo al padre di Olivia Paladino: condannato per tasse non pagate? Cambia la legge. Sandro Iacometti su Libero Quotidiano il 13 agosto 2020. Certo, incassare soldi pubblici destinati a chi è in affanno quando hai il portafogli gonfio non è bello. Se poi a farlo è addirittura chi quei soldi li ha stanziati lo è ancora meno. E di molto. Ma pensiamo davvero che basterà scagliare un po' di pietre contro quel manipolo di parlamentari barboni per chiudere la vicenda dei furbetti del bonus? Ad esempio, cosa diremmo di un premier che infila in un decreto una norma per evitare il carcere a suo suocero? Quando Silvio Berlusconi veniva accusato di varare modifiche al codice di procedura penale a suo vantaggio si scatenava il finimondo. Del "bonus" che si è regalato Giuseppe Conte, però, non ne parla quasi nessuno. Eh sì, perché dopo l'indennizzo da 600 euro elargito a cani, porci e deputati col Cura Italia, l'esecutivo guidato dall'avvocato del popolo ha varato anche il decreto Rilancio. E lì dentro, all'articolo 180, commi 3 e 4, si legge, tra le altre cose, che «per l'omesso, ritardato o parziale versamento dell'imposta di soggiorno e del contributo di soggiorno si applica una sanzione amministrativa». Intendiamoci, la modifica normativa non è scandalosa. Anzi. Finora una giurisprudenza consolidata a colpi di sentenze della Cassazione aveva fatto passare il principio che gli albergatori, costretti dallo Stato a raccogliere dai turisti i 7 euro della tassa di soggiorno da destinare agli enti locali, fossero equiparati a pubblici ufficiali. Di conseguenza, qualsiasi intoppo nel trasferimento dei tributi raccolti, anche da parte di chi ha un semplice bad and breakfast o mette in affitto una camera con Airbnb, comportava l'accusa di peculato (art. 314 cp) e il rischio di condanne fino a 10 anni e sei mesi. A peggiorare la situazione ci si è messo lo spazzacorrotti voluto dai grillini, che ha inserito il peculato tra i reati ostativi alla concessione delle misure alternative alla detenzione. In altre parole, si va in galera. Bene, dunque, anche se sorprendente, vista la furia pentastellata contro l'infedeltà dei pubblici ufficiali e qualsiasi forma di corruzione, la depenalizzazione del mancato o ritardato versamento delle imposte da parte di albergatori e affini. Dopo il dl Rilancio l'illecito è diventato amministrativo: si restituisce la somma trattenuta illegittimamente, si paga una sanzione e la vicenda si chiude. Cosa c'entra Conte, direte voi. Ebbene, tra i primi a beneficiare dell'allentamento giuridico è spuntato Cesare Paladino, amministratore unico della società Unione esercizi alberghieri di lusso s.r.l che gestisce la struttura ricettiva Grand Hotel Plaza, un albergone di altissimo livello nella centralissima via del Corso a Roma. Per problemi che qui non interessa chiarire, Paladino ha omesso di trasferire al comune di Roma tra il 2014 e il 2018 due milioni di tasse di soggiorno pagate dagli ospiti della struttura. Indagato nell'estate del 2018, lo scorso anno, a giugno, ha patteggiato una pena a un anno, due mesi e 17 giorni. Appena approvato il decreto, il legale Stefano Maria Bortone si è precipitato in tribunale per presentare istanza al gup per la revoca della sentenza di patteggiamento e la cancellazione della condanna.
CONGIUNTI. Il dettaglio che manca è che Cesare è il papà di Olivia Paladino, la bella signora che in questi giorni compare sulle riviste patinate con il fisico scolpito accanto al presidente del Consiglio. Ora, l'imprenditore non è tecnicamente un parente di Conte, semmai un congiunto o un affetto stabile, come insegnano i Dpcm, e non dovrebbe rischiare le manette, perché le condanne sotto i due anni c'è la sospensione condizionale della pena. Ma azzerare la sentenza gli consentirebbe comunque di pulire completamente la sua fedina penale e forse, anche se la giurisprudenza in merito non è concorde, di far ripartire da zero il contenzioso con il comune di Roma sui due milioni di balzelli non versati. Insomma, un beneficio non da poco. Possibile che il premier non fosse a conoscenza dell'impatto della norma sulla vicenda giudiziaria del padre della sua fidanzata ufficiale? Certo, così come i bonus da 600 euro sono stati chiesti da commercialisti troppo zelanti o da compagne che volevano sperimentare il servizio. Molti dei politici che hanno incassato il bonus per gli autonomi non ne sapevano nulla. E lo stesso sarà per Conte. Di sicuro il premier era anche all'oscuro del consistente vantaggio che, come ha svelato a suo tempo Franco Bechis, le aziende della famiglia Paladino hanno ottenuto nell'autunno del 2018 con la rottamazione ter. Grazie al provvedimento varato sotto il Conte I molte società intestate a Cesare, alle figlie Cristiana e Olivia e al loro fratellastro Jhon Rolf Shadow Shawn, figlio di primo letto di Ewa Aulin, la bella attrice che sposò Cesare in seconde nozze, hanno potuto chiedere la rateizzazione, senza multe e interessi, di ventisette milioni di euro di pendenza con l'Agenzia delle entrate. Parliamo di operazioni legali, per carità. Niente truffe e niente inganni. Proprio come i soldi chiesti dai parlamentari. Ma se quei benefici ci sembrano ingiusti e indecorosi, siamo sicuri che non lo siano pure quelli ottenuti dai "congiunti" di Conte?
Giuseppe Conte, spunta un altro regalo al suocero Cesare Paladino: sconto sulle tasse per 27 milioni di euro. Sandro Iacometti su Libero Quotidiano il 14 agosto 2020. Tutto tace dalle parti di Palazzo Chigi. Mentre fioccano le confessioni di parlamentari e amministratori locali che che si sono pappati il bonus destinato agli autonomi in bolletta, Giuseppe Conte non dice una parola sulla depenalizzazione dell'evasione fiscale sulla tassa di soggiorno che ha consentito al suocero Cesare Paladino di chiedere l'annullamento della condanna. Dopo l'articolo di Libero pure i forzisti Lucio Malan e Maurizio Gasparri, hanno provato a chiedere lumi, ma senza risultati. Eppure di spiegazioni il premier dovrebbe darne più d'una. Già, perché, come abbiamo anticipato ieri, l'aiutino fornito da Conte col decreto Rilancio (è lì dentro che è stata infilata la trasformazione del peculato in illecito amministrativo) non è stato un caso isolato. Tutt' altro. L'avvocato del popolo si è dato da fare per la famiglia fin da subito. Per la precisione fin dall'ottobre del 2018, quando fu approvato uno dei primi atti del governo guidato da Lega e M5S, il decreto fiscale. Ricordate le polemiche furibonde tra Matteo Salvini e Luigi Di Maio sul cosiddetto scudo penale per chi avesse aderito alla sanatoria? La storia della manina che di nascosto avrebbe introdotto una sorta di condono nel testo? Ebbene, la disputa si risolse solo dopo un lunghissimo vertice di maggioranza, al termine del quale proprio Conte si fece garante del provvedimento, assicurando di aver visionato e concordato tutto il documento dalla prima all'ultima riga. Difficile dunque, per un esperto di diritto come lui, non accorgersi che il provvedimento avrebbe dato una grossa mano alle aziende dei Paladino. Aziende della cui situazione finanziaria difficilmente Conte poteva essere completamente all'oscuro. Stando alle relazioni dei sindaci recuperate all'epoca da Franco Bechis, le società possedute da Cesare, dalle figlie Cristiana e Olivia (la fidanzata del premier) e dal loro fratellastro Jhon Rolf Shadow Shawn, avevano già tentato di liberarsi dalle pendenze fiscali con le prime due rottamazioni varate dal governo Pd, ma i problemi non erano stati risolti a causa anche delle maglie strette della sanatoria. E i revisori avevano iniziato a mettere in guardia gli amministratori sulla crescita dei debiti di natura tributaria e sul possibile superamento delle soglie di punibilità per evasione. La rottamazione ter varata dal Conte I si mostrava ben più generosa delle precedenti. E i Paladino ci si sono tuffati a pesce. Una dopo l'altra, scriveva il direttore del Tempo, «hanno fatto domanda la Archimede immobiliare, l'Agricola Monastero Santo Stefano Vecchio, l'Unione esercizi alberghi di lusso e l'Immobiliare di Roma Splendido». Risultato: i "congiunti" del premier si sono liberati in un colpo solo di 27 milioni di arretrati fiscali (altri 9 non sono riusciti ad infilarli dentro l'operazione), senza pagare un euro su interessi, more e sanzioni e ottenendo una comoda rateizzazione del dovuto. Ora, è possibile che il premier non sapesse. Ed è pacifico che della rottamazione delle cartelle esattoriali hanno potuto beneficiare centinaia di migliaia di contribuenti. Ma il conflitto di interessi, piaccia o no, funziona così. Soprattutto quello che piace ai grillini. Non tiene conto della buona fede o dell'universalità delle leggi, ma solo della possibilità che si possa trarre un vantaggio personale dalla propria attività istituzionale. Cosa sarebbe successo se la stessa cosa fosse capitata a Salvini?
Franco Bechis per iltempo.it il 29 luglio 2021. L'ultimo disperato tentativo di non fare andare gambe all'aria l'unità della nuova famiglia dell'ex premier Giuseppe Conte è fallito il 15 giugno scorso. E' stata l'ultima volta che i tre fratelli Paladino, Olivia- la compagna che convive con il nuovo capo del M5s, Cristiana e Shawn John hanno avuto un contatto formale per cercare di trovare una soluzione alla divisione fra fratelli del gruppo fondato dal padre, Cesare Paladino, che ha come pietra preziosa al suo interno la proprietà delle mura e la gestione dell'Hotel Plaza di Roma. Ad incontrarsi per la possibile mediazione sono stati i professionisti che assistono la famiglia e per Shawn John i suoi avvocati, Angelo Di Silvio e Luigi Todaro, che avevano il compito di fare liquidare il dovuto al suo cliente, deciso a separarsi definitivamente dagli affari della famiglia. La mediazione è fallita e le distanze incolmabili fra le parti faranno trascinare il divorzio fra i fratelli nei tribunali civili e penali della capitale, dove molteplici cause rischiano di trasformarsi in una bomba sui Paladino's, una delle famiglie imprenditoriali di rilievo della capitale, con gli inevitabili schizzi anche sulla vita privata dell'ex presidente del Consiglio, attivo sia pure con un ruolo minore in politica. E' una vera e propria guerra dei Roses che si prefigura, perché Shawn John ha deciso di giocarsi ormai la battaglia di tutta la sua vita, andando fino in fondo. Un po' gli altri familiari lo hanno portato al punto di non ritorno, perché il figlio- o meglio figliastro- di Paladino da mesi è stato messo in cassa integrazione Covid dalla società del gruppo di cui era dipendente a tempo indeterminato con uno stipendio certo non faraonico (3 mila euro mensili), e la Cig non gli è nemmeno stata pagata regolarmente. Da mesi riceve buste paga con l'importo, ma non ha visto accreditato un solo euro sul suo conto. Non gli è restato che dare le dimissioni volontarie dalla Immobiliare Roma Splendido e di fare la domanda di Naspi per cercare di avere almeno la disoccupazione. Allo stesso tempo però ha chiesto di farsi liquidare la sua quota nel gruppo, e cioè il 5% della capogruppo del consistente impero immobiliare, che si chiama Agricola Monastero Santo Stefano Vecchio, ed è una srl. Secondo una perizia di parte messa sul tavolo della mediazione dai legali di Shawn John quel 5% varrebbe 12,5 milioni di euro. Con quella valutazione per altro le quote di Cristiana e della fidanzata di Conte, Olivia, varrebbero più di 118 milioni di euro ciascuna. Ma dalla famiglia è arrivato un solo messaggio: quella somma va dimenticata, al massimo si può cercare un compratore della quota e in tempi difficili come questi non ci sarebbe da attendersi più che qualche centinaio di migliaia di euro di realizzo. E la trattativa qui si è chiusa preparando un autunno caldissimo di cause. Shawn John come si vede non è stato trattato da Cesare Paladino come le sue due sorelle. Il motivo è semplice: i tre giovani hanno la stessa madre naturale, Eva (in arte Ewa) Aulin, la splendida attrice svedese che spezzò i cuori di una intera generazione alla fine degli anni Sessanta, ma padri diversi. Cristiana e Olivia sono figlie naturali di Cesare Paladino. Shawn John era già nato dalla relazione di mamma con un poeta e scrittore inglese, John Shadow e in famiglia Paladino è arrivato con mamma quando aveva già tre anni (e ovviamente non erano ancora nate le sorelle). Fin dall'inizio si è sentito trattare come un peso dal patrigno, che lo ha allevato e anche mantenuto da giovane cercando però di tenerlo il più possibile lontano da casa. Anche d'estate veniva mandato in un collegio in Svizzera, e non faceva vacanze con i genitori come tutti i bambini. E solo in tarda adolescenza da un insegnante svizzero ha saputo la verità che gli era sempre stata nascosta: suo padre non era Cesare, come aveva sempre creduto. Non che quello naturale fosse stato mai presente: non si sono mai conosciuti, e l'occasione non c'è più perché è morto nel 2014. Da quel momento però i rapporti familiari si sono un po' freddati, e Shawn John raggiunta la maggiore età ha cercato un minimo di indipendenza, iniziando a lavorare come commesso in un negozio di Roma, e poi andando ad abitare da solo. Era una cosa che per altro faceva tutta la famiglia, senza spiegare molto lo stato dei rapporti fra i suoi membri. Mamma Eva rassicurava il figliolo che nessuno aveva intenzione di trattarlo diversamente dagli altri, ma non aveva rivelato a nessuno un particolare che risulta solo alla banca dati del catasto: già nel 1994 nell'atto di acquisto di una casa in via di Campo Marzio lei fece scrivere che la pagava con le sue risorse personali (da attrice aveva guadagnato bene), perché era in corso la separazione da Paladino. I figli lo avrebbero però saputo molti e molti anni più tardi. Qualche mese fa la Aulin ha venduto quella casa che aveva comprato per 1,6 miliardi di lire e in parte l'ha permutata con un casale parzialmente da ristrutturare nel grossetano, non lontano dalle Terme di Saturnia. In tutti questi anni comunque i rapporti fra le due sorelle e il fratellastro erano rimasti buoni, ottimi quelli con Cristiana che ha sempre frequentato. Anche con patrigno, mamma e Olivia con cui si festeggiavano puntualmente il Natale e i compleanni con rimpatriate di tutti e qualche amico importante che non mancava mai all'appuntamento, come il generale della Finanza Gennaro Vecchione amico da sempre di papà Cesare, e poi in grande confidenza con Giuseppe Conte che lo volle alla guida dei servizi segreti italiani. Con Olivia la frequentazione è stata più rarefatta. Un po' perché giovanissima lei aveva perso la testa per il suo professore universitario, Wolfang Gerola, con cui concepì una figlia, chiamata anche lei Eva. L'unione durò pochissimo, e in famiglia circa 4 anni fa arrivò il non ancora premier Giuseppi, che a lungo aveva corteggiata Olivia andando a prendere i figli a scuola, e poi l'aveva fatta cadere ai suoi piedi inondandola di champagne Crystal per cui la signorina stravede (e ne è omaggiata anche oggi). Ma da mesi ormai i rapporti fra le due sorelle e Shawn John sono inesistenti e ricucire sembra davvero impossibile. La miccia oramai è accesa, e si stanno preparando le munizioni per la guerra dei Roses-Paladino che farà vedere bei fuochi di artificio nei prossimi mesi.
Fulvio Fiano per il "Corriere della Sera" il 29 luglio 2021. La richiesta di vedersi liquidata la parte spettante del patrimonio societario di Cesare Paladino innesca una guerra giudiziaria tra i tre figli dell'imprenditore, Shawn John e le sue due sorellastre Cristina e Olivia, quest' ultima compagna dell'ex premier e oggi leader di M5s, Giuseppe Conte. Tutto nasce dalle (relative) difficoltà economiche nelle quali si è venuto a trovare, complice la crisi da Covid, il 52enne Shawn John, socio minoritario nella holding dell'imprenditore romano e dipendente di una delle società del gruppo che gestisce tra l'altro l'Hotel Plaza , messo da questa in cassa integrazione ma senza ricevere, a suo dire, lo stipendio da cinque mesi tanto da licenziarsi un mese fa così da poter chiedere il sussidio di disoccupazione. Era la sua unica fonte di reddito. Da qui la sua richiesta di recesso, con relativa liquidazione, dalla quota di patrimonio che detiene nella Agricola Monastero Santo Stefano Vecchio. Si tratta di un cinque per cento pari a un valore stimato di 12,5 milioni di euro, che però il resto della famiglia non intenderebbe riconoscergli. Al limite accetterebbe di mettere le quote sul mercato e valutarne il possibile ricavo. Dietro la disputa economica, come sempre in questi casi, si cela però dell'altro. Un risentimento per come sono stati condotti gli affari in famiglia, al di là dei buoni rapporti andati avanti fino a che non è scoppiata questa grana ricostruita dal quotidiano Il Tempo . Olivia, 41 anni, e Cristiana, 47, detengono infatti quote societarie ben maggiori di quelle del fratellastro, il 47,5% a testa, pari a circa 118 milioni di euro ciascuna, mentre Cesare Paladino, 77 anni, agisce da amministratore di fatto. I tre fratelli hanno la mamma in comune, la svedese Eva Aulin, ma Shawn John è nato da un precedente matrimonio della popolare attrice degli anni '60 con lo scrittore inglese John Shadow. Tanto che a provvedere al «benessere» del figlio sarebbe stata lei con il suo patrimonio personale. Alla sua richiesta di liquidazione delle quote, la famiglia Paladino, complice una ristrutturazione aziendale in corso, avrebbe opposto, secondo i legali Angelo Di Silvio e Luigi Todaro, ritardi e omissioni nel fornire i dettagli necessari all'operazione. Per risalire al valore delle stesse è stato quindi necessario fare indirettamente riferimento ai bilanci. Shawn John (che a febbraio 2020 ha ottenuto il nulla osta a lasciare la carica di amministratore unico delle società Agricola Andromeda S.r.l. e Colle Rao S.r.l.), chiederà dopo l'estate la nomina di un commissario ad acta per sbloccare la delibera di recesso dalle quote. In caso contrario, la «guerra giudiziaria» è già annunciata anche su altro fronte. Shawn John è infatti indagato dalla procura di Roma per il mancato versamento di 871mila euro di contributi Inps a dipendenti di una società del gruppo, la Immobiliare Roma Splendido, in un periodo in cui ne è stato l'amministratore. La pendenza penale è emendabile versando il dovuto ma il 52enne potrebbe decidere di non avvalersi di questa possibilità e andare a processo: «Le responsabilità della gestione non erano solo mie», fa sapere in modo sibillino. La Immobiliare splendido è la società nella cui gestione rientra il Grand Hotel Plaza di Roma, un cinque stelle costato qualche grattacapo, e uno strascico polemico, all'allora premier Giuseppe Conte in un'altra vicenda giudiziaria già conclusa. Si tratta del mancato versamento al Comune di Roma della tassa di soggiorno (quattro milioni di euro totali) chiesta nel periodo 2014-2018 ai turisti che hanno alloggiato nella struttura di via del Corso. Dopo l'iniziale condanna patteggiata da Cesare Paladino a un anno e due mesi per peculato, la sentenza è stata poi revocata e commutata in mera sanzione amministrativa come previsto nel decreto Rilancio voluto proprio dal governo Conte. Nel motivare la decisione, presa lo scorso dicembre superando il parere contrario della procura, il gup aveva sottolineato che «il legislatore è intervenuto stabilendo che questa condotta non è più reato, compiendo una valutazione "politica"» e in riposta alle polemiche che ne seguirono il ministro della Cultura Dario Franceschini si fece avanti per affermare di essere stato lui in prima persona, e non il premier, ad aver proposto quella norma per andare incontro alle difficoltà degli albergatori piegati dall'emergenza Covid. L'ordinanza di revoca è stata poi annullata ad aprile in Cassazione, non essendo la norma applicabile in modo retroattivo. Paladino aveva nel frattempo liquidato al Comune due dei quattro milioni dovuti ottenendo così il patteggiamento.
Dall'hotel del suocero di Conte alla Azzolina. Il vizietto del governo per le leggi ad personam. Comma nel dl Rilancio per il titolare del Plaza. Il caso dell'abitazione della Trenta. Massimo Malpica, Venerdì 14/08/2020 su Il Giornale. Ad personam. Nel governo Conte norme e leggine talvolta cadono a fagiolo per esponenti dello stesso esecutivo, regalando agli stessi, o a persone a loro vicine, vantaggi che è difficile definire inaspettati. Lo stesso premier, come è noto, varando il decreto rilancio ha fatto un bel favore al «suocero», Cesare Paladino, papà della sua fidanzata Olivia. Che, da proprietario dell'Hotel Plaza di Roma, aveva omesso di versare la tassa di soggiorno al Campidoglio tra 2014 e 2018, intascandosi quei 2 milioni di euro. Un «vizietto», a quanto pare, diffuso tra gli alberghi del Bel Paese e della capitale, visto che nell'indagine che aveva coinvolto Paladino c'erano in mezzo anche una ventina di altri hotel. Paladino, accusato dal pm Paolo Ielo di peculato (quei soldi vengono incassati per conto delle casse pubbliche), a giugno 2019 chiede di patteggiare una pena a un anno, due mesi e sette giorni di reclusione. Meno di un anno dopo, Conte nel decreto rilancio ai commi 3 e 4 dell'articolo 180 modifica il ruolo di riscossore per gli albergatori, e dunque il peculato per chi intasca la tassa di soggiorno si trasforma in «semplice» evasione fiscale. I maligni potrebbero pensare a una mossa per dare una ripulita alla fedina penale del papà della fidanzata, e il senatore di Fi Lucio Malan rilancia la storia, oggi, ricordando il differente peso che il M5s sembra dare ai «furbetti» del bonus rispetto alla vicenda della depenalizzazione della tassa di soggiorno che ha «sgravato dall'accusa di peculato il padre della compagna» di Conte, spiega Malan, che attacca: «Trattandosi di 2 milioni sottratti ai cittadini commettendo un reato, e non dei famosi 600 euro percepiti in modo del tutto vergognoso ma senza infrangere la legge (peraltro anch'essa firmata dallo stesso governo che ha depenalizzato la tassa di soggiorno), ci aspettiamo almeno le stesse sdegnate reazioni, in particolare dagli esponenti del Movimento 5 stelle». Nessuna leggina, ma solo un'interpretazione «personalistica» delle norme, dietro la storia della casa di servizio dell'ex ministro pentastellato della Difesa Elisabetta Trenta. Un alloggio di pregio che le era stato assegnato per servizio al momento dell'entrata nel precedente governo: 141,76 euro di canone, 173 euro in più per «affittare» anche l'arredamento. Non esattamente un prezzo di mercato. Quando a settembre cade il governo, quell'alloggio ministeriale finisce riassegnato proprio al marito dell'ex ministro, il maggiore dell'Esercito Claudio Passarelli, e la coppia rivendica il diritto a vivere lì quando il caso viene alla luce. La procura militare di Roma apre un fascicolo per capire meglio, la Trenta cede, e all'inizio dello scorso gennaio la coppia trasloca nella casa di proprietà, al quartiere Prenestino. Ultimo caso in ordine di tempo, è l'autoassunzione della ministra dell'istruzione Lucia Azzolina, che nel 2017 aveva partecipato al concorso per dirigenti scolastici classificandosi al posto 2.543 quando, ad agosto 2019, viene pubblicata la graduatoria. Due avvisi, nel giro di pochi giorni, fissano in 2,045 i dirigenti da assumere immediatamente. E il 4 agosto scorso con la Azzolina ministro, dal ministero arrivano altri 458 posti assegnabili in 18 regioni. La Azzolina sembrerebbe ancora fuori (si arriverebbe al numero 2.503), ma un decreto dipartimentale di ottobre scorso, a nuovo governo fresco di insediamento, ripulisce la graduatoria, cancellando 80 candidati classificati prima della ministra, che dunque finisce per occupare un posto in graduatoria che le darebbe diritto, da subito, a essere assunta. Ma ovviamente per fare la preside, la ministra potrà attendere di finire la sua esperienza al governo.
“Io, ex ministra grillina, dico: ho subìto la gogna mediatica anche dai miei…”. L'ex ministra della Difesa, Elisabetta Trenta, finita nei guai per una casa del ministero, dice: "Credo che il Movimento, proprio perché è stato molto rigido su questioni del genere, sia diventato vittima delle proprie idee e rigidità". Valentina Stella su Il Dubbio il 26 marzo 2021. Le polemiche scaturite in merito al fatto che l’ex sottosegretario alla Difesa, Angelo Tofalo, non avrebbe ancora liberato l’alloggio a Roma ottenuto quando aveva l’incarico governativo hanno fatto riaffiorare la stessa questione che interessò l’ex Ministra grillina Elisabetta Trenta, adesso professore straordinario di studi internazionali alla Link Campus University. Lei ha scelto di difendere Tofalo contro il fango mediatico che gli è arrivato addosso.
Perché ha deciso di schierarsi al fianco di Tofalo?
Nel momento in cui sono venuta a conoscenza della vicenda di Tofalo, che dai giornali è stata comparata con la mia, ho sentito l’esigenza di difenderlo con la verità che conosco io. E allo stesso tempo ho deciso di difendere anche Nicola Morra che probabilmente è stato attaccato più per la sua attività che in merito ai fatti. Bisogna andare in difesa di chi viene attaccato dal fango mediatico. La stampa dovrebbe essere la prima a non volere essere strumento di diffusione di notizie false, perché ne vale della reputazione dei giornalisti. Una sana democrazia si fonda su una giusta e corretta informazione, che consente ai cittadini di valutare. Quello che ho visto e che ho sperimentato anche su me stessa è che molta stampa diviene serva di persone, movimenti, organizzazioni, lobby che vogliono distruggere immagine e carriere degli avversari o, semplicemente, fermarne alcune tappe del percorso.
Come avvenuto con Lei.
Nei miei confronti è stata messa in atto una grande opera di diffamazione; nonostante il Ministro Guerini, rispondendo ad una interrogazione, avesse detto che era tutto regolare, nonostante la magistratura avesse aperto e chiuso un fascicolo, a distanza di un anno ancora escono di nuovo sui giornali le stesse polemiche. Vorrei aggiungere una cosa.
Prego.
C’è una chiara sproporzione tra lo spazio che la stampa concede alla notizia scandalo e quello dato al chiarimento che sgonfierebbe lo scandalo stesso. Il problema poi è che può anche intervenire una smentita successiva ma i social non perdonano e la notizia falsa continua a girare perpetuamente.
Quando il Corriere della Sera pubblicò l’articolo riguardante il suo alloggio e diede il via a numerose critiche verso di lei, fu chiamata per raccogliere il suo punto di vista prima che il pezzo andasse in stampa?
No, non fui chiamata, se non dopo che il primo articolo era già uscito. E però se il giornalista ha gli strumenti dovrebbe prima verificare le varie versioni. E allora viene da dire che c’è un forte uso politico della stampa. Eppure da politica non avrei mai pensato di dover avere paura dei giornalisti.
Però nel suo caso il fuoco fu amico: non solo il Movimento non la sostenne ma alcuni la accusarono pesantemente.
Io su questo non ho mai reagito perché a me interessava e interessa ancora il progetto del Movimento sul quale continuo ad investire, sperando che si possa recuperare. In ogni caso, non mi è mai mancato l’appoggio degli attivisti che avevano capito la situazione e il sostegno dei militari che conoscevano bene i dettagli. Non voglio pensare che il fuoco amico sia stato strumentale. Comunque io ho dimenticato e guardo avanti.
Ma allora sono stati superficiali, perché prima di sparare a zero contro di lei le avrebbero dovuto fare una telefonata per capire.
Credo che il Movimento, proprio perché è stato molto rigido su questioni del genere, sia diventato vittima delle proprie idee e rigidità. Anche solo il dubbio ha comportato una reazione di quel tipo, che io assolutamente non condivido perché credo che tra ‘commilitoni’ ci si supporti e si creda l’uno nell’altro. In questo il Movimento dovrebbe cambiare perché poi alimenta facili strumenti di esclusione. Siamo in una fase di rifondazione, magari è l’occasione per guardare anche a questi aspetti.
Le stesse distorsioni che lei ha evidenziato accadono anche in capo giudiziario: quando vieni accusato ti danno la prima pagina, quando vieni assolto il trafiletto. Proprio in questi giorni si sta discutendo del recepimento di una direttiva europea che rafforzerebbe la presunzione di innocenza.
Non entro nel merito della discussione parlamentare perché non conosco i dettagli. Però è chiaro che nessun può essere contro il principio di non colpevolezza o il giusto processo, costituzionalmente garantiti. Il ministro Cartabia ha ribadito che l’impalcatura della legge come messa in piedi da Bonafede è corretta e non si tocca, questo per noi è importante. Certo ha ribadito che vedrà di recepire correttivi da tutti i gruppi. Su questa discussione, sulla possibilità che il punto di caduta sia un compromesso accettabile, resta da comprendere. Ma la professoressa Cartabia è persona di indiscusso valore.
Vuole aggiungere qualcosa?
Sì. Si è parlato molto di finanziamenti pubblici all’informazione. Io non sono contraria, perché rispetto il pluralismo dell’informazione. Tuttavia ritengo che dovrebbero esserci dei criteri da adottare per il finanziamento: numero delle vendite, numero di notizie false o non corrette pubblicate, querele ricevute, rettifiche pubblicate. La stampa così sarebbe più responsabile.
Però il Movimento Cinque Stelle ha chiesto la chiusura di Radio Radicale che invece manda in onda la notizia non filtrata e dà voce a tutti.
Io non sono d’accordo con la chiusura di Radio Radicale: è uno strumento che spesso ho utilizzato per conoscere la verità dei fatti da fonte diretta.
Fiorenza Sarzanini per il "Corriere della Sera" il 23 marzo 2021. Il monolocale ristrutturato e arredato si trova nel palazzo dell' Aeronautica, a Roma. Il deputato del Movimento 5 Stelle Angelo Tofalo lo ha ottenuto come alloggio di servizio quando era sottosegretario alla Difesa. E a un mese dalla caduta del governo guidato da Giuseppe Conte non lo ha ancora liberato. È vero che la legge gli concede 90 giorni per lasciarlo, ma già l' assegnazione era stata un' eccezione e per questo gli sono state comunicate le «cessate esigenze». Il parlamentare del M5S però non risulta aver effettuato il trasloco, nonostante abbia un' altra casa nella Capitale e dunque non ci sia alcun motivo concreto per mantenere la titolarità del contratto. Non è la prima volta che accade. Nel novembre 2019 si scoprì che anche Elisabetta Trenta - pure lei dei Cinque Stelle - aveva tenuto l' alloggio di servizio dopo essersi dimessa da ministra della Difesa. Lei spiegò che le spettava perché il marito è un militare, salvo essere poi costretta ad andare via visto che la coppia aveva una casa di proprietà a Roma, dunque nessun diritto a rimanere. L' appartamento assegnato a Tofalo ha camera da letto, bagno, soggiorno e cucina. Si trova nello stabile di via Castro Pretorio, di fronte al palazzo che ospita lo Stato Maggiore dell' Arma azzurra, dove lo stesso Tofalo aveva l' ufficio. Il prezzo dichiarato come alloggio di servizio era 300 euro, cifra che adesso dovrebbe essere stata «ritoccata» visto che lui lo occupa come «ospite». A questa somma vanno aggiunti circa 100 euro per le utenze. Sembra scontato che debba andare via, rimane da capire perché non l' abbia fatto appena ha smesso di essere sottosegretario. Perché abbia ritenuto di continuare a utilizzarlo pur non avendo più alcun incarico di governo e soprattutto alla Difesa. Dell' Aeronautica è sempre stato un sostenitore, sul profilo Twitter spiega di essere stato «rapito dall' Intelligence per diffondere la cultura della Sicurezza», sostiene le forze armate e l' Aeronautica con particolare impegno. Ma la casa è comunque un privilegio, un benefit che non gli spetta. Nel gennaio 2020 era stato proprio Tofalo, nel pieno delle polemiche sugli alloggi occupati dai «sine titulo», a sostenere che «la Difesa deve accelerare nella riacquisizione dei propri beni». Buona intenzione che nel suo caso deve aver trovato eccezione. L' alloggio gli è stato attribuito appena diventato sottosegretario anche se la direttiva emanata dallo stato maggiore della Difesa non lo prevede. Si tratta comunque di una scelta discrezionale, che può essere dettata da motivi di sicurezza e dunque, almeno fino a che ha ricoperto l' incarico nessuno ha eccepito sulla regolarità dell' assegnazione. La scelta di ristrutturare l' appartamento è comunque apparsa eccessiva visto che nello stesso palazzo per nessun altro alloggio si è deciso di fare altrettanto e tanto è bastato per scatenare le ironie sul «Movimento 5 stanze». Ma nulla è stato eccepito. Ora sono però cambiate le condizioni e proprio perché si trattava di un' eccezione ci si aspettava che nel giro di pochi giorni sarebbe stato organizzato il trasloco. Non è accaduto e lo Stato maggiore ha deciso di avviare la procedura comunicando con una lettera i termini per la riconsegna dell' appartamento. I 90 giorni dopo i quali scatta lo «sfratto» scadono il 16 maggio. Alla Difesa giurano che Tofalo farà i bagagli al più presto.
Elisabetta Trenta lascia il Movimento 5 Stelle: "Troppi compromessi e retromarce". Libero Quotidiano il 03 giugno 2021. Il Movimento 5 Stelle va sempre più deteriorandosi. L'ultimo addio è quello dell'ex ministra Elisabetta Trenta. "Lascio i 5 Stelle, più precisamente questo Movimento - ha annunciato su Facebook all'alba di giovedì 3 giugno -. Lascio con tanto dolore ma senza il rimpianto di non averci creduto e di non averci provato fino all’ultimo. Questa non è più la casa della trasparenza, della democrazia dal basso, della partecipazione e della coerenza con valori che sono e resteranno comunque miei. Lascio perché il coraggio di andare contro, quando è necessario, è stato messo in secondo piano dai personalismi, perché i troppi compromessi e le retromarce sono la negazione dei sogni di chi ha creduto in noi". Poi il pensiero della fu titolare della Difesa va a Luigi Di Maio, il grillino che più di tutti l'ha voluta al ministero in epoca gialloverde: "Caro Luigi ti sarò sempre riconoscente per avermi voluto come Ministro della Difesa, dandomi una grande e unica opportunità. Mi sono sentita orgogliosamente parte della tua squadra. Dovevamo e volevamo cambiare il Paese e invece, tra troppe paure, è cambiato il Movimento. Da parte mia, e lo sai bene, non ho mai ceduto sui nostri valori imprescindibili anche quando alcuni si sono messi contro di me cercando di infamarmi. Agli Stati Generali era stata promessa una svolta, una grande riflessione partecipata per ripartire e invece, per non ammettere che la base è altrove, tutto è finito velocemente in un cassetto". La Trenta lascia dunque il Movimento, ma non la politica in attesa - è la sua promessa - di ricominciare. Da dove ancora non è dato sapersi: "Io ci sarò sempre per tutti, non importa il partito e sarò sempre pronta a lavorare con chi crede nei valori di un’Italia giovane, dinamica e innovatrice, giusta, forte, pienamente inserita nel contesto europeo, Nato e internazionale, E da qualsiasi parte andrò, porterò con me i valori che mi hanno fatto aderire al Movimento e che oggi, mi costringono a lasciarlo per realizzarli". Infine la frecciata agli ormai ex compagni di avventura: "Oggi c’è bisogno di competenza, serietà e cuore e io non smetterò di metterli a disposizione del sogno di rendere il nostro Paese e il nostro mondo un posto migliore per i nostri figli".
Franco Bechis per "Iltempo.it" il 10 dicembre 2020. Grazie a una norma del decreto rilancio firmato da Giuseppe Conte è stato sottratto ai magistrati il "suocero" del premier, Cesare Paladino, papà della fidanzata Olivia Paladino. Un vero e proprio colpo di spugna che ha appena cancellato una condanna penale per peculato (ridicolizzando così la famosa spazzacorrotti finita in cenere e trasformata in salvacondotto per i famigli) patteggiata dal suocero di Conte per un anno e due mesi di condanna per non avere versato al comune di Roma di Virginia Raggi in cinque anni quasi 2 milioni di tassa di soggiorno dovuta. Immaginatevi cosa sarebbe accaduto se al posto di Conte ci fosse stato un Matteo Renzi o un Silvio Berlusconi a fare leggi ad personam per i propri familiari! Titoloni, edizioni straordinarie, M5s sulle barricate, manifestazioni davanti a Montecitorio. Ma questa volta la legge ad familiam l'ha firmata un loro idolo, quindi tutti con la testa sotto la sabbia come degli struzzi. Si voltano dall'altra parte e nascondono la polvere sotto il tappeto. Però abbiamo capito ora perché il premier ha voluto chiamare "rilancio" quel decreto con il colpo di spugna che sbianchettava la fedina penale del papà della sua fidanzata: serviva a rilanciare il suocero di Conte...in società!
Dagospia il 10 dicembre 2020. Michele Anzaldi (Italia Viva) su Facebook: Grazie a una norma del governo Conte (inserita in un decreto sulla pandemia), il suocero di Conte si è visto revocare la condanna precedentemente patteggiata per aver evaso 2 milioni di euro di tassa di soggiorno. Sembra incredibile ma è vero, così scrive il Corriere della sera. Chissà che ne pensano Grillo, M5s, Anac, Antitrust. Chissà che ne pensa il direttore dell'Agenzia delle Entrate Ruffini, che oggi spiega come i 90 miliardi di euro di evasione fiscale annua siano la vera piaga che impedisce all'Italia di avere servizi efficienti e tasse più basse. Viene da chiedersi: se lo avesse fatto qualunque altro presidente del Consiglio, cosa sarebbe successo? C'è ancora qualcuno che ha il coraggio di dire che le domande delle Iene, contro le quali sono stati mandati a intervenire addirittura gli agenti della scorta del premier, non meritavano risposte? Ora i telegiornali e le trasmissioni Rai faranno il loro dovere giornalistico approfondendo questa vicenda e facendo loro le domande che alle Iene sono state impedite?
Giulio De Santis per il ''Corriere della Sera - Roma'' il 10 dicembre 2020. Cesare Paladino, gestore del Grand Hotel Plaza, ha ottenuto la revoca della sentenza di patteggiamento a un anno e due mesi di reclusione con l’accusa di peculato per non aver versato due milioni di euro di tassa di soggiorno al Comune tra il 2014 e il 2018. Il gup Bruno Azzolini ha accolto l’istanza d’incidente di esecuzione presentata lo scorso 29 luglio dall’avvocato e professore Stefano Bortone, difensore di Paladino, padre di Olivia Paladino, compagna del presidente del Consiglio, Giuseppe Conte. La richiesta di revoca è stata avanzata pochi giorni dopo la conversione in legge da parte dei due rami del Parlamento del decreto Rilancio, contenente l’articolo 180. Norma che ha stabilito come, nei confronti del gestore responsabile del mancato versamento dell’imposta, d’ora in avanti si applicherà solo una sanzione amministrativa. Nel motivare la decisione, il gup – presidente dei gip a Piazzale Clodio - ha sottolineato che «il legislatore è intervenuto stabilendo che questa condotta non è più reato, ma solo una sanzione amministrativa». Prosegue il gup osservando che il legislatore «non può dubitarsi che abbia compiuto una valutazione “politica”, privando di rilevanza penale la fattispecie». Infine, Azzolini conclude, scrivendo che «la previsione di una sanzione amministrativa non lascia dubbi sulla volontà di prendere atto della gravissima situazione del settore alberghiero (che perdura da anni), crisi portata al collasso di recente dall’emergenza sanitaria». Il gup ha deciso di concedere la revoca, respingendo il parere sfavorevole avanzato dalla procura durante l’incidente di esecuzione svoltosi lo scorso 30 novembre. Secondo gli inquirenti, la norma non è un «abolitio criminis» perché non modifica la nozione astratta d’incaricato di pubblico servizio, ma elimina solo le condizioni con cui, a partire dall’intervento legislativo, un singolo albergatore non è più identificabile in questa veste. La valutazione della procura, tuttavia, ha già incontrato diverse bocciature. Lo stesso gup Azzolini, lo scorso 10 novembre, ha dichiarato il non luogo a procedere nei confronti di un albergatore, accusato di non aver pagato la tassa di soggiorno. Ancora prima, lo scorso 23 giugno, il Tribunale ha assolto con la formula perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato un albergatore, accusato di peculato per non aver versato 160mila del contributo. Paladino, prima del patteggiamento, ha restituito i due milioni di euro non versati nei quattro anni precedenti. A questa somma, il proprietario del Plaza ha aggiunto anche un risarcimento danni. La procura, in seguito alla restituzione della cifra, aveva dato parere favorevole al patteggiamento.
Condanna revocata al suocero. Anzaldi: "Conte ha agito nelle tenebre..." Il renziano Michele Anzaldi annuncia di essere pronto a presentare un'interrogazione parlamentare per fare luce sulla vicenda della legge ad personam, fatta per il cognato di Conte. Francesco Curridori, Sabato 12/12/2020 su Il Giornale. "Il Governo dica con chiarezza di chi è stata la manina che ha inserito la depenalizzazione dell’evasione della tassa di soggiorno nel decreto". Il deputato di Italia Viva Michele Anzaldi, intervistato da ilGiornale.it, chiede che il governo faccia luce sul caso della condanna per peculato del padre della compagna di Conte, cancellata grazie ad una norma del Dl Rilancio.
Lei ha parlato di “legge ad personam”. Perché?
“Quando la norma sulla depenalizzazione dell’evasione della tassa di soggiorno spuntò nel decreto Rilancio, che doveva servire a rilanciare l’economia subito dopo la fase più acuta della pandemia, ci fu chi, compreso il sottoscritto, paventò il rischio che fosse una legge ad hoc per il suocero del premier. Non era chiaro, infatti, come la depenalizzazione di un atto di evasione fiscale e peculato potesse servire a rilanciare l’economia. Ci fu detto che era una strumentalizzazione, perché la norma non si poteva applicare retroattivamente, e la condanna al proprietario dell’Hotel Plaza era ormai passata in giudicato, peraltro patteggiata".
E invece...?
"E, invece, oggi scopriamo che quella norma è stata applicata retroattivamente solo nel caso del Plaza, come rivela Franco Bechis sul Tempo, con la cancellazione della condanna a 1 anno e 2 mesi ma senza il raddoppio della sanzione previsto nella norma, che avrebbe significato un pagamento fino a 4 milioni: una storia incredibile. Ma ora chiedo che sia fatta massima trasparenza”.
Che tipo di trasparenza chiede?
"Quella norma è stata inserita nel decreto dal Governo, prima ancora che il decreto arrivasse in Parlamento, quindi è completamente di origine governativa. Nella versione uscita dal Consiglio dei ministri e pubblicata in Gazzetta ufficiale il 19 maggio quel comma già c’era. Quale è stato l’ufficio legislativo del Governo che l’ha voluto? È stato il ministero dei Beni culturali e turismo, cui le norme del settore dovrebbero teoricamente fare riferimento? Oppure è arrivato da qualche altro ministero? Oppure a inserirlo è stato il Dagl (Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi ndr) che fa diretto riferimento a Conte a palazzo Chigi? La stranezza è che quella norma non è stata rivendicata pubblicamente da nessuno, di certo non dal ministro del Turismo. Se era davvero così utile per il rilancio dell’economia, perché nessuno l’ha sottolineato?".
Che cosa si aspetta quindi?
“Sarebbe utile e corretto che venissero pubblicati i verbali della seduta del preconsiglio dei ministri che ha dato il via libera a quella norma, per risalire al responsabile e fare piena trasparenza. Il preconsiglio è l’organo che si occupa della redazione formale di un decreto, si svolge a Palazzo Chigi con i capi legislativi di tutti i ministeri e viene presieduto dal capo del Dagl, nominato dal presidente Conte. Ogni decreto, prima ancora di arrivare in Consiglio dei ministri, passa da lì".
Si spieghi meglio...
"Tutti i ministeri inviano al Dagl le proposte di articolato da inserire nel decreto, poi è il Dagl che si occupa concretamente di assemblare il tutto e redigere formalmente il decreto. A questo punto è doveroso che la gestazione di quel comma, un vero e proprio colpo di spugna, sia resa pubblica. Se il governo non lo farà a breve, se a svelarlo non sarà qualche doverosa inchiesta giornalistica, lo chiederò formalmente con un’interrogazione parlamentare”.
Conte, in passato, ha attaccato Salvini e Meloni dichiarando che non voleva agire "col favore delle tenebre". Non le sembra che questo caso, quello del Recovery e dei servizi segreti, dimostrino proprio il contrario?
"Direi che questa volta lo ha certificato con una pec.Perché se lei chiede un parere ai ministri su dei progetti illustrati in 128 e per un importo di 200 miliardi in poche ore con una pec inviata alle due di notte, se non è quello il favore delle tenebre non saprei dire".
In passato il M5S avrebbe chiesto le dimissioni, mentre ora tutto tace. Siamo di fronte a un caso di garantismo a senso unico?
"Mi pare evidente: i Cinquestelle si sono sempre mostrati durissimi con gli altri e garantisti con i loro, spesso anche oltre l'omertà. Qui non si tratta di garantismo, ma di trasparenza".
Alla luce di questo caso e delle recenti tensioni nella maggioranza, secondo lei, Conte dovrebbe dimettersi?
"Al presidente del Consiglio Italia Viva ha chiesto un netto cambio di rotta, è evidente che così non si può andare avanti. Io mi spingerei personalmente anche oltre, ma mi rimetto alla posizione espressa dal partito. Se questo cambio concreto, tangibile non arriva da lui, è evidente che arriverà dal Parlamento".
Liana Milella e Maria Elena Vincenzi per “la Repubblica” il 15 dicembre 2020. Fu una norma ad personam, fu una norma ad familiam, o fu solo una norma filo albergatori per via del Covid? Ma soprattutto, di chi fu la manina, o addirittura la manona, che inserì quella norma nel decreto Rilancio del 19 maggio? Norma che oggi favorisce il (di fatto) suocero di Giuseppe Conte. Quel Cesare Paladino proprietario dell' hotel Plaza - e padre di Olivia, la compagna del premier - che grazie a quella norma si vede cancellata la condanna per non aver pagato allo Stato la tassa di soggiorno da due milioni di euro che aveva riscosso dai clienti. La storia è antica, risale a maggio. Ma ora, a farla finire dentro la lite tra Renzi e Conte, è un' interrogazione che il deputato di Italia viva Michele Anzaldi ha già scritto e sta per depositare alla Camera. Il suo contenuto - come risulta a Repubblica che l' ha letto - è destinato a inasprire il rapporto l' ex premier e il premier attuale. Anche se Anzaldi, componente della commissione di vigilanza sulla Rai, ci tiene subito a dire che questa battaglia la sta portando avanti dal primo giorno. Da quando quelle poche righe sono finite nel decreto Rilancio. Però ora la storia si riapre tutta. E deve finire con un chiarimento senza se e senza ma. Perché Anzaldi vuole sapere «quale sia stato l' ufficio legislativo che ha proposto di inserire la norma per depenalizzare l' omesso pagamento della tassa di soggiorno». Quell' articolo 180 è stato proposto «in tutto o in parte da un ministero», oppure il Dipartimento degli affari giuridici e legislativi di palazzo Chigi ha contribuito alla stesura? Anzaldi non si accontenta. Chiede se la norma sia stata discussa durante un pre Consiglio e vuole i verbali, visto che a capo del Dipartimento «c'è un magistrato, Ermanno de Francisco, nominato da Conte il 25 giugno 2018». Perché - scrive - «grazie a questa depenalizzazione il padre della compagna del premier si è visto cancellare, con valore retroattivo, una condanna passata ingiudicato con il patteggiamento». La storia si riapre. Perché Paladino, scrive Anzaldi, «titolare del Grand Hotel Plaza di Roma, a luglio 2019 era stato condannato alla pena di 1 anno, 2 mesi e 17 giorni di reclusione per l'omesso versamento al Comune della tassa di soggiorno negli anni 2014-2018, per un totale di 2.047.677 euro». Ma quella condanna adesso non c'è più. Paladino ha fatto ricorso, il capo dei gip di Roma Bruno Azzolini l'ha accolto e l'ha cancellata. Il chiarimento dovrà essere politico. Anche se a maggio, alle prime rimostranze, fu il ministero del Turismo, materiale autore dell'inserimento, a dire che la norma voleva solo favorire gli albergatori in crisi per il Covid. Un'affermazione che non ha mai sopito le voci sulla norma ad familiam. Che adesso divide pure la magistratura. Aver cambiato la qualifica dell'albergatore, da "incaricato di pubblico servizio", e quindi imputabile di peculato, a semplice riscossore, ha cancellato il peculato. Ma non basta. Come ogni norma penale, anche questa non potrebbe essere retroattiva e "coprire" un reato commesso prima del maggio 2020 quando il decreto è entrato in vigore. Paladino, già nell'estate del 2019, aveva patteggiato la condanna. Ma poi, un anno dopo a legge approvata, ha fatto ricorso per cancellarla. E qui si apre la controversia dentro la magistratura. La procura di Roma ha detto subito no al ricorso con una memoria perché la norma non può essere retroattiva. D'accordo la Cassazione che si occupa di un caso simile di Trapani: l'abolitio criminis c'è solo dal decreto legge in poi. Quindi chi, prima di luglio 2020, non ha versato la tassa di soggiorno può essere accusato e condannato per peculato. Eppure a Roma è accaduto che un giudice, peraltro il capo dell' ufficio dei gip Bruno Azzolini, abbia revocato la pena di Paladino perché quel reato non può più essere contestato in quanto è stato cancellato dalla legge. La procura di Roma farà ricorso. E la partita torna in Cassazione. Ma prima il caso riesplode per via del renziano Anzaldi.
Tassa soggiorno, Franceschini: nessun mistero, la norma l’ho voluta io. Comunicato Stampa del "Mibact" il 15 dicembre 2020. “Nessun mistero. La norma sulla depenalizzazione del mancato versamento della tassa di soggiorno l’ho voluta io, dopo una audizione in Parlamento, e ho chiesto io ai miei uffici di scriverla. O meglio l’hanno chiesta molti gruppi parlamentari di opposizione e maggioranza, le Regioni, le associazioni di categoria e io l’ho fatta preparare e l’ho presentata perché giusta”. Così il ministro per i beni e le attività culturali e per il turismo, Dario Franceschini torna sulla norma del dl rilancio che ha modificato la disciplina della tassa di soggiorno. “Nessuna norma "salva suoceri" o fantomatiche manine di Palazzo Chigi - aggiunge Franceschini - la norma nasce negli uffici del Mibact perché è una norma giusta e il presidente del Consiglio non ne era a conoscenza prima che la portassi in Consiglio dei ministri, così come io non sapevo della vicenda del Plaza. Il mistero semmai è come si possa continuare ad alimentare retroscena quando abbiamo spiegato più e più volte come sono andate le cose, l’ultima quattro giorni fa con una nota stampa diramata dal Mibact. La modifica della disciplina sulla tassa di soggiorno introdotta dall’articolo 180 del decreto rilancio - ricorda Franceschini - è stata frutto di un approfondito dibattito parlamentare che ha visto coinvolte maggioranza e opposizione. La norma risponde a specifiche richieste delle associazioni di categoria e delle Regioni, presentate a più riprese al Governo e al Parlamento - non solo in questa legislatura - di estendere al settore alberghiero la disposizione già in vigore per le locazioni turistiche dal 2017, che non considera agente contabile il gestore della struttura ricettiva. Nel corso dell’esame parlamentare dei decreti Cura Italia e Liquidità diversi gruppi parlamentari di maggioranza e opposizione (tra questi Pd, M5S, Fdi, Fi, Gruppo misto) hanno presentato emendamenti per modificare in tal senso la disciplina segnalandolo anche nel corso delle audizioni e con interpellanze e interventi in aula. La proposta normativa era inoltre presente nel documento con le osservazioni di Federalberghi al decreto-legge n. 18 del 2020 così come, negli stessi termini, nel documento con le osservazioni della Commissione Turismo e Industria Alberghiera della Conferenza delle Regioni e Province Autonome al decreto legge 17 marzo 2020 n. 18. La misura è stata inserita, come sottolineato e chiesto da tutti gli operatori e dalle diverse forze politiche, guardando al presente e al futuro, non al passato: su questo, siamo certi che la magistratura troverà la giusta soluzione. A valle di questo dibattito, il ministero ha raccolto queste richieste e ha proposto la disposizione poi approvata, individuando così un ruolo più appropriato per i gestori. Tutto questo, peraltro, era stato già comunicato con apposita nota stampa del MIBACT quattro giorni fa. Fine del mistero”.
Conte, la norma salva-suocero ha un padre. Ma c'è ancora un mistero...Da iltempo.it il 15 dicembre 2020. "Nessun mistero. La norma sulla depenalizzazione del mancato versamento della tassa di soggiorno l’ho voluta io, dopo una audizione in Parlamento, e ho chiesto io ai miei uffici di scriverla". Così il ministro per i Beni e le attività culturali e per il Turismo, Dario Franceschini, esce allo scoperto e rivendica la norma del dl rilancio che ha modificato la disciplina della tassa di soggiorno. Norma da più parti definita ad personam dal momento che, retroattivamente, ne ha beneficiato al momento solo Cesare Paladino, imprenditore romano a capo di un importante gruppo che fra l'altro ha la proprietà del prestigioso Grand Hotel Plaza di Roma. È il padre di Olivia Paladino, fidanzata del premier Giuseppe Conte. Ebbene, l'autore è Franceschini che puntualizza che "l’hanno chiesta molti gruppi parlamentari di opposizione e maggioranza, le Regioni, le associazioni di categoria e io l’ho fatta preparare e l’ho presentata perché giusta". Non si tratta, però, sostiene il dem, di "nessuna norma ’salva suoceri' o fantomatiche manine di Palazzo Chigi, la norma nasce negli uffici del Mibact perché è una norma giusta e il presidente del Consiglio non ne era a conoscenza prima che la portassi in Consiglio dei ministri, così come io non sapevo della vicenda del Plaza. Il mistero semmai è come si possa continuare ad alimentare retroscena quando abbiamo spiegato più e più volte come sono andate le cose". Già, anche se chi ha presentato interrogazioni a riguardo, come il deputato di Iv, Michele Anzaldi, continui a non essere del tutto soddisfatto delle spiegazioni. "Grazie alla mia interrogazione, finalmente dopo 7 mesi di silenzi e opacità c’è un ministro che rivendica pubblicamente la norma che ha depenalizzato il mancato versamento della tassa di soggiorno", dichiara Anzaldi che riconosce a Franceschini il merito di averci messo la faccia. Ma "resta il mistero e la stranezza dell’applicazione retroattiva della norma decisa da un giudice di Roma proprio per il titolare del Grand Hotel Plaza di Roma, a differenza di quanto è stato deciso invece in altri tribunali e addirittura di quanto decretato dalla Cassazione, secondo cui la norma non può essere retroattiva. Dubbi sui quali si esprime anche il ministro Franceschini, secondo il quale ’la misura è stata inserita guardando al presente e al futuro, non al passato. Per qualcuno, però, è stata un paracadute che ha cancellato una condanna passata in giudicato".
Da repubblica.it il 16 dicembre 2020. Non è affatto chiuso, né politicamente, né giudiziariamente, il caso della norma pro-albergatori. Quella che a maggio ha di fatto cancellato il reato per chi, in quella categoria, fino a maggio non ha versato allo Stato la tassa di soggiorno incassata dai clienti. Il ministro del Turismo Dario Franceschini, capo delegazione del Pd a palazzo Chigi, se n’è assunto la piena paternità. “Sono stato io a volerla” ha scritto furibondo contro chi, come il deputato di Italia viva Michele Anzaldi, interroga il capo del governo per sapere se ci sia stato il suo zampino nel volere e nell’approvare la legge. Non fu, dice Franceschini, una norma “ad familiam”, ma una modifica dei codici chiesta da un’intera categoria con il pieno consenso delle forze parlamentari. Ma un fatto è lì, impresso nelle carte giudiziarie. Cesare Paladino, “suocero” in pectore del premier in quanto padre della sua compagna Olivia, ha fruito della norma che, da maggio, cancella il reato di peculato per un albergatore che non versi per tempo le quote della tassa di soggiorno regolarmente versata dai clienti e che di conseguenza spetta allo Stato. Paladino si tenne in tasca due milioni di euro. Messo sotto inchiesta e considerato colpevole è stato condannato nel 2019 a un anno, due mesi e 17 giorni. Ha patteggiato la pena. Ha pagato. Ma ovviamente sulla fedina penale la condanna resta. O meglio: è rimasta fino a un paio di settimane fa quando il gip di Roma Bruno Azzolini l’ha cancellata ritenendo che il reato stesso fosse stato sbianchettato dalla legge Rilancio, passata per decreto a maggio e poi definitivamente a luglio. Attenzione, perché le tappe in questa storia sono importanti. E ovviamente lo sono anche le ricadute politiche visto che di mezzo c’è il premier Conte. Appena la norma entra nel decreto - era il 19 maggio - subito si solleva il primo polverone. E tutti legano quelle righe al nome di Paladino. E quindi alla figura del premier giurista come possibile suggeritore. Conte tace. Il ministero del Turismo, e non Franceschini con nome e cognome, esce con la prima precisazione, identica a quello che il ministro sostiene oggi. Ma il polverone è lì. Tuttavia Cesare Paladino sembra non temere le conseguenze politiche delle sue mosse per il “genero”. Quando la norma passa definitivamente chiede la revoca della sua sentenza. A questo punto il polverone diventa una tempesta mediatica. Perché lo ha fatto? Voglia di poter contare su una fedina penale pulita? Timore di un eventuale cumulo di condanne? Certo è che ha voluto chiedere e ha ottenuto che la sua condanna evaporasse. Grazie alla decisione del gip Bruno Azzolini. Vicenda chiusa? Niente affatto. Perché proprio qui si apre il capitolo giudiziario della faccenda. Perché già giovedì scorso la procura di Roma ha rimesso mano al fascicolo Paladino. Ha preso atto della decisione del gip, ma al contempo ha deciso di ricorrere immediatamente in Cassazione, convinta com’è che non si possa cancellare un reato commesso “prima” - e in questo caso addirittura ben oltre un anno prima - rispetto all’approvazione della nuova legge. La procura di Roma peraltro si sente in una botte di ferro perché, alle spalle, ha già una decisione della Cassazione su un caso simile che coinvolge un albergatore di Trapani, e per il quale ha respinto recisamente qualsiasi interpretazione assolutoria. Ha, cioè, escluso la via dell’abolitio criminis, impraticabile proprio perché in materia penale non è possibile applicare una legge, pur se favorevole, a un reato che è stato commesso “prima” dell’entrata in vigore della legge stessa. Del resto, sul punto, i documenti sono estremamente chiari. Sono proprio quelli che Repubblica ha potuto consultare ed è in grado di anticipare. Da un lato, la decisione del gip Bruno Azzolini che cancella il reato di Paladino. Dall’altro, il ricorso alla Suprema corte della procura di Roma. Due linee giuridiche contrapposte. Come si può evincere da questi strategici passaggi che riguardano, appunto, da una parte, la relazione tra la commissione del reato, cioè la tassa di due milioni di euro non versata allo Stato da Paladino, e dall’altra la cancellazione di quello stesso reato che di fatto sarebbe stato depenalizzato dalla norma per la quale l’albergatore non è più un “incaricato di pubblico servizio” che quindi deve allo Stato la tassa e se non la versa incorre nel peculato, ma un semplice cittadino. Oggi il ministro del Turismo Franceschini rivendica la sua norma come sacrosanta, perché chiesta non solo dalla categoria degli albergatori per via della crisi economica da Covid, ma anche dalle forze politiche che tutte d’accordo l’avevano votata senza sollevare eccezioni. Eppure il problema esiste, se è vero come è vero che due uffici, all’interno dello stesso palazzo di giustizia, danno un’interpretazione opposta del caso. Tant’è che il gip Bruno Azzollini scrive: “Il legislatore è intervenuto sulla situazione di fatto, specifica, del gestore della struttura ricettiva che omette di versale le somme dovute dei clienti per il soggiorno a titolo di imposta o di contributo, statuendo che quella condotta non è più reato, ma è punita con una sanzione amministrativa: non può dubitarsi che abbia compiuto una valutazione “politica”, privando di rilevanza penale la fattispecie”. Da qui deriva, secondo Azzolini, che “l’esplicita previsione di una sanzione amministrativa, senza riserve di applicazione della legge penale, non lascia dubbi sulla volontà di prendere atto della gravissima situazione del settore alberghiero (che perdura da anni), portata più di recente al collasso dalla emergenza sanitaria, e prevedere di conseguenza una disciplina di minor rigore nei confronti dei soggetti esposti al rischio di sanzione penale in ragione del ruolo di agenti riscossori, senza alcuna contropartita”. Ma non basta perché Azzolini arriva alla conclusione che “salva” Paladino tant’è che scrive: “È appena il caso di osservare che ritenere che la depenalizzazione operi solo per quei comportamenti successivi all’entrata in vigore del decreto legge 34/2020 sarebbe profondamente ingiusto in quanto introdurrebbe una disparità di trattamento di situazione identiche in evidente violazione di precetti di rango costituzionale”. A questo punto Paladino è di nuovo pulito come un panno lavato. Ma la risposta della procura di Roma è assolutamente, puntuale, lapidaria e tranchant: “Il coma 3 dell’articolo 180 del decreto 34/2020 non ha efficacia retroattiva, ma soprattutto non può dirsi integrativo della norma penale, non avendo inciso sulla norma incriminatrice. Infatti non si può concludere che la norma sopravvenuta incida sulla norma incriminatrice soltanto perché il fatto, in concreto considerato, oggi non è più punibile”. E ancora: “Il comma 3 non investe la norma incriminatrice poiché non modifica la nozione astratta di incaricato di pubblico servizio, ma elimina le condizioni che consentono (o meglio, consentivano) di qualificare il singolo albergatore come incaricato di pubblico servizio”. Inevitabile, a questo punto, la conseguenza sulla sopravvivenza del reato: “Non vi è quindi abolitio criminis, perché la norma sopravvenuta non espunge dalla macro-categoria degli incaricati di pubblico servizio la sotto-categoria degli incaricati alla riscossione delle imposte per conto di un ente pubblico. Piuttosto, la norma sopravvenuta impedisce, da ora in poi, di ricondurre i singoli albergatori alla sotto-categoria degli incaricati alla riscossione delle imposte per conto di un ente pubblico, trasformandoli in obbligati. Così come, mutatis mutandi, l’adesione della Romania alla UE non modifica la nozione di straniero extracomunitario, ma semplicemente esclude i romeni da questa nozione”. La procura poi ricorda che proprio su questa strada si è mossa la Cassazione e scrive: “Questa impostazione ha, di recente, ricevuto l’avallo della sesta sezione penale della Corte di Cassazione con la sentenza del 28 settembre che, nel valutare la questione attinente le conseguenze derivanti dall’entrata in vigore della novella, con riferimento alle condotte antecedenti, ha affermato che, in mancanza di norme di diritto intertemporale, la modifica opera solo dall’entrata in vigore della norma e non per il passato”. Ed è proprio da quel “solo” che, a questo punto, riparte la querelle giuridica sulla norma. Che ha un padre, Franceschini, ma un beneficiario, il “genero” di Conte. E questo è un dato fattuale, e quindi incontestabile. Che forse avrebbe dovuto sconsigliare Paladino dal presentare quel ricorso. Meglio tenersi la condanna che inguaiare Conte.
Olivia Paladino, il borsone e la scorta: ora il caso finisce in procura. I senatori della Lega hanno firmato un'interrogazione parlamentare, per chiarire la vicenda relativa a un presunto uso improprio della scorta da parte della compagna del premier Conte. Francesca Bernasconi, Mercoledì 04/11/2020 su Il Giornale. "Abbiamo presentato un'interrogazione al ministro Lamorgese perché chiarisca i contorni di una vicenda che, se confermata, sarebbe gravissima". Ad annunciarlo sono i senatori della Lega, William De Vecchis e Gianfranco Rufa, che hanno firmato l'interrogazione per chiedere chiarimenti sul comportamento della compagna del presidente del Consiglio, Olivia Paladino, che avrebbe chiesto l'intervento della scorta per allontanare i cronisti delle Iene. La vicenda è stata raccontata sul sito Dagospia, che ha pubblicato un video, in cui si vede la compagna di Giuseppe Conte in un supermercato, dove sembra essersi rifugiata per sfuggire a Fabrizio Roma, inviato delle Iene. La Paladino, stando alle immagini, avrebbe lasciato una borsa all'interno del supermercato: "Ti lascio la borsa qui da Alessandro, tanto poi lui te la dà", avrebbe detto la compagna di Conte, stando alle trascrizioni fornite da Dagospia a commento del video. "E io la porto a casa, va bene perché se è al domicilio, ci vengono dietro è peggio, a questo punto meglio...", sarebbe stata la risposta dell'agente intervenuto. La vicenda viene riassunta anche nell'interrogazione parlamentare presentata dalla Lega: "Il 26 ottobre 2020, a difesa della fidanzata dell'attuale presidente del Consiglio dei ministri, incalzata dai giornalisti con domande sulla vicenda dell'hotel "Plaza" a Roma, sarebbero intervenuti agenti incaricati della sicurezza personale del premier". La scorta avrebbe impedito ai giornalisti di avvicinarsi alla Paladino. Se le vicende documentate dal video si dimostrassero vere, specificano i senatori leghisti, "si riscontrerebbe un evidente uso improprio di personale con funzioni di sicurezza nei confronti di soggetti che ricoprono cariche pubbliche, e potrebbero addirittura riscontrarsi profili di illiceità penale". Per questo, è stata presentata una richiesta di spiegazioni, relativamente a questo fatto. L'UCIS, ufficio centrale interforze per la sicurezza personale, istitutito all'interno del Dipartimento della pubblica sicurezza, ha il compito di gestire e fornire la protezione necessaria alle persone che ricoprono incarichi istituzionali nazionali ed esteri, oltre che fornire protezione alle persone destinararie di minacce o pericoli specifici. In quest'ottica, è stato previsto il servizio di agenti qualificati per intervenire in situazioni rischiose e pericolose, che è appunto la scorta. "Il presidente del Consiglio dei ministri, per il ruolo che svolge e l'importanza che riveste a livello nazionale ed internazionale- spiegano i senatori del Carroccio-ha non solo il diritto ma anche il dovere di avvalersi della scorta". Se la notizia data da Dagospia fosse confermata, però, si tratterebbe di un uso improprio di questo servizio: "Chiediamo trasparenza e l'accertamento della verità- concludono i senatori- perché la Lega sarà sempre contro insopportabili favoritismi, privilegi e ingiustizie".
Da open.online il 4 novembre 2020. C’è un servizio delle Iene che forse è così ingombrante da aver richiesto una inusuale censura. Infatti il servizio di Filippo Roma e Mario Occhipinti che riguarda vicende private legate al premier, previsto già giovedì scorso, non è andato in onda. Negli ambienti vicini alla trasmissione di Italia 1 si parla esplicitamente di un intervento dall’alto. Ma cosa c’è nel servizio? Facciamo un passo indietro. Venerdì 30 ottobre La Verità, il quotidiano diretto da Maurizio Belpietro, esce con un articolo dedicato alle proteste di alcuni lavoratori dell’Hotel Plaza di proprietà di Cesare Paladino (padre di Olivia, la compagna del premier Giuseppe Conte), il quale non pagherebbe gli stipendi. Il pezzo si sofferma anche su un’altra notizia, peraltro già regalata ai lettori da Il Tempo in agosto: e cioè che Paladino, grazie a un articolo del decreto Rilancio emanato dal governo che derubrica da peculato a sanzionare amministrativa l’omesso versamento della tassa di soggiorno, ha richiesto la cancellazione di una sentenza con la quale nel 2019 ha patteggiato un anno e tre mesi e la restituzione allo Stato di due milioni di euro. La Verità, en passant, cita un parapiglia di qualche giorno prima tra un inviato delle Iene e Olivia, la compagna del premier. Secondo e ultimo passo indietro. Il parapiglia c’è stato ed è avvenuto la mattina di lunedì 26 ottobre a Roma. L’inviato delle Iene Fabrizio Roma è a caccia di Olivia, alla quale vuole chiedere ragione del presunto favore del presidente del Consiglio al papà e delle difficoltà dello storico Hotel Plaza del quale la compagna del premier è una delle dirigenti. E nella piazzetta romana cara ai bibliofili si imbatte nella preda, vestita sportiva e con un borsone alla mano. Senonché la signora sfugge alle domande, si rifugia in un negozio del quale conosce i proprietari e chiede aiuto agli uomini di una scorta che ha tutta l’aria di essere quella di Palazzo Chigi. La caccia sembra finire qui. Se non fosse perché la dirigente di Fratelli d’Italia Roberta Angelilli presenta un esposto alla Procura di Roma per il ricorso alla scorta a suo dire indebito. Cosa che, si racconta nei corridoi di Montecitorio, ha mandato il presidente del Consiglio su tutte le furie con conseguente reprimenda telefonica a Giorgia Meloni. E soprattutto se non fosse perché il sito Dagospia entra in possesso di un video girato da un passante che, entrato nel negozio, registra il dialogo tra Olivia, il proprietario e il caposcorta. Eccone la trascrizione:
OLIVIA PALADINO: Ale??… (chiamando il tipo del supermercato)
OLIVIA PALADINO alla scorta: ti lascio la borsa qui da Alessandro (tipo del supermercato)
SCORTA: Sì sì sì
OLIVIA PALADINO: Tanto poi lui te la dà
SCORTA: E io la porto a casa, va bene perché se è al domicilio, ci vengono dietro è peggio, a questo punto meglio…
OLIVIA PALADINO: Sì vado a casa, mi serve domattina …
SCORTA: Quello sì, cioè è solo un discorso che poi riprendono l’ingresso però …
LIVIA PALADINO: Ale, ti lascio la mia borsa
TIPO SUPERMERCATO: Dove ce l’hai? Vai, la tengo dietro a Carla eh
Insomma, più che delle domande delle Iene la signora sembra preoccupata di disfarsi del borsone. L’ipotesi di Dagospia è che Olivia stesse andando in palestra proprio il giorno dopo che il compagno Conte le aveva chiuse in tutta Italia. Ma il mistero rimane. Come rimane il mistero sul perché il servizio delle Iene non esca. E questa non sarebbe l’unica ragione d’imbarazzo del presidente del Consiglio e della sua compagna. Perché c’è chi mormora di una cena a lume di candela, di un ristorante stellato aperto proprio per la coppia e di una testimone. Aspettiamo le prossime puntate.
INTERROGAZIONE DI SENATORI DELLA LEGA AL MINISTRO DELL'INTERNO: ''PERCHÉ LA SCORTA DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO SI OCCUPA DI ALLONTANARE GIORNALISTI DALLA SUA COMPAGNA?'' Dagospia il 4 novembre 2020.
Pubblicato il 3 novembre 2020, nella seduta n. 272. DE VECCHIS , RUFA - Al Ministro dell'interno. - Premesso che: per contrastare efficacemente le situazioni di pericolo e di minaccia è stato istituito all'interno del Dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell'interno l'ufficio centrale interforze per la sicurezza personale (UCIS), che ha compiti di gestione complessiva per la protezione personale e si occupa di fornire la scorta alle personalità istituzionali nazionali ed estere, nonché alle persone soggette, per funzioni o per altri comprovati motivi, a specifici pericoli o minacce;
la scorta è un dispositivo di protezione svolto da agenti altamente qualificati per prevenire le situazioni di rischio ed intervenire in caso di pericolo imminente;
il Presidente del Consiglio dei ministri, per il ruolo che svolge e l'importanza che riveste a livello nazionale ed internazionale, ha non solo il diritto ma anche il dovere di avvalersi della scorta;
notizie di stampa riportano la notizia secondo cui, il 26 ottobre 2020, a difesa della fidanzata dell'attuale Presidente del Consiglio dei ministri, incalzata dai giornalisti con domande sulla vicenda dell'hotel "Plaza" a Roma, sarebbero intervenuti agenti incaricati della sicurezza personale del premier, che si sarebbero frapposti tra lei e i giornalisti e le avrebbero consigliato, come risulta da un video pubblicato da "Dagospia", di lasciare all'interno di un supermercato in cui si era rifugiata il borsone con cui era entrata, incaricandosi personalmente di recuperarlo in seguito;
se questo rispondesse al vero, si riscontrerebbe un evidente uso improprio di personale con funzioni di sicurezza nei confronti di soggetti che ricoprono cariche pubbliche, e potrebbero addirittura riscontrarsi profili di illiceità penale,
si chiede di sapere se i fatti riportati rispondano al vero e, in caso affermativo, quali siano le motivazioni che giustificano la presenza nella circostanza del personale incaricato della sicurezza personale del premier, e se il Ministro in indirizzo ritenga che gli agenti abbiano rispettato gli incarichi loro assegnati.
Simonetta Sciandivasci per ilfoglio.it il 31 agosto 2020. Su Instagram, Olivia Paladino la chiamano Princess Holly. Ha il suo comitato di groupies (risicato, ma la signora si farà), Le bimbe di Olivia Paladino, costola non autorizzata di Le bimbe di Giuseppe Conte, che segue, venera, lumeggia il Premier e fa di lui un meme da fotoromanzo, un maschio maschile ma non virile, romantico mai principesco, seducente mai batrace. E solo, soprattutto. Disponibile. Nostro. Ottimo partito, in senso tanto politico quanto maritale. Non c’è una foto, nell'Instagram delle groupies, in cui lui sia con lei, che del resto ha preso a comparirgli di fianco pubblicamente da molto poco, e sempre per poco, con l’aria distaccata di chi siede a una tavolata di grecisti che parlano solo greco antico, l’aria dell’universo assente. Olivia Paladino si vede ma non c’è, le foto che circolano di lei sono quasi tutte rubate, in tutte guarda altrove, sorride poco, non fa trapelare altro che non sia il dovere di presenza, che assolve con formalità perfetta e glaciale. Non sappiamo che voce abbia, e direte che questa non è una novità, la first lady all’italiana è una mamma all’italiana: comparsa in pubblico, regista in privato; fantesca fuori, monarca dentro. Ed è vero, di tutte le mogli dei nostri premier non abbiamo conosciuto che il nome e cognome da nubili, nel caso di Agnese Landini, la signora Renzi, anche professione e prezzo dei golfini. Nei giorni scorsi qualche indignato con molto tempo libero e condizionatori ha tentato di appiccare un incendio dolciniano ai danni di Holly, fotografata con una Kelly di Hermès molto costosa, ma le fiamme non hanno divampato che in qualche caminetto, anche perché attenti non lavoratori hanno analizzato le foto della borsa e sancito che non si tratta di una Hermès – sìssignori, c’è gente che ha avuto mille cose, tutto il bene e tutto il male del mondo, e chi ha avuto solo il debunking delle irritazioni da giardino. E però di Paladino non conosciamo la voce perché è lei a non voler parlare, e non perché le venga richiesto di non farlo: è lei che si sottrae, si ritrae, e riesce a farlo senza mai darci l’impressione di volerci schivare, ma sembrando sempre, semplicemente, altrove. Lei ha il suo albergo di famiglia, l’Hotel Plaza, e i suoi amici, le borse, sua figlia, il suo bel mondo romano che quasi non si direbbe romano da quanto è signorile, la sua allure, il suo mistero, la sua malinconia latente nei momenti più felici. Accompagna il compagno quando può, quando proprio deve, e si porta addosso tutta la sua estraneità che la rende inattaccabile, intoccabile, immune alla lusinga della popolarità. Lui Premier e lei imprenditrice, lui poroso, lei impermeabile. Lui meridionale, e non c’è pochette a quattro punte nel taschino che possa cancellarlo, lei romana con sangue svedese, quindi immune alla dolcezza truce daa capitale der monno infame. Olivia e Giuseppe non li vediamo abbracciati mai, mano nella mano neppure, ma su qualche copertina estiva quest’anno siedono in spiaggia, abbracciati in modo lasco, molto ma molto paritario, diciamo nordeuropeo, tutti e due con gli occhi verso il mare, verso l’orizzonte, tutti e due concentrati su altro. Holly non cede al popolare come Filippa di Svezia (Lagerback, naturalmente, che s’è fatta baciare e sbranare dal marito Daniele Bossari, quando è andata a trovarlo al Grande Fratello, perché sapeva d’essere la sua unica speranza per riprendere terreno, e infatti lui da quasi espulso che era, ha vinto l’edizione). Holly non cede alla passione come Ingrid Bergman, svedese pure lei, che con Roberto Rossellini fece l’amore “quasi in piedi”, durante un festino, a casa di amici, e rimase incinta. Figuriamoci. Non sono cose da first lady, men che meno una first lady morganatica come lei, che non è sposata ma soltanto fidanzata. Lei è inarrivabile, inavvicinabile, alta, seria, adeguata, inespugnabile. Lui la porta a fare la spesa in loden in giacca e cappotto blu servitore dello Stato, e lei sbuffa. Lui è carico di sacchetti, lei ha le braccia conserte e la faccia contrariata, così contrariata che i giornali scrivono che i bellissimi sono ai ferri corti. È il novembre del 2019, di Holly si sa ancora così poco che la cantonata è inevitabile. Invece, e lo abbiamo imparato col tempo, quella fotografia è la radiografia della coppia, di Conte, del governo. Lui si sforza di sorridere, di mostrarsi agile e cioè abituato alla manutenzione ordinaria, ma aggrotta la fronte così tanto che sembra sentirlo imprecare. Lei, libera da ogni obbligo, se ne fotte completamente e fa chi è, è chi fa. Lui ne esce da eroe, compagno accorto e liberale, progressista gentile, diremmo quasi di sinistra se non fosse che i peggiori maschilisti sono i maschi di sinistra (ma non lo sanno, non lo fanno apposta, è maschilismo introiettato). Lei ne esce da Regina delle Nevi. Dicono alcuni che in privato Olivia sia assai imperiosa, e suggerisca (intimi?) a Conte tutto o quasi tutto, ne sia consigliera, timoniera, maestra. Anche se a noi non sembra, perché a noi sembra che quel ruolo spetti a Rocco Casalino, che lo desidera con lo stesso ardore che lacerava Marilyn Monroe quando cantava Happy Birthday, Mr President e che invece, pare, stia sostanzialmente nelle mani di Olivia. C’è il modo Kardashian d’essere first lady e il modo Holly: il Kardashian prevede che lei non si stacchi mai da lui, ne diventi garante, trasfonda e travasi la sua popolarità in suo favore; l’Holly prevede una studiatissima, quasi lacerante indifferenza. Lui va per la sua strada, lei per la sua, s’incontrano a cena ogni tanto e mangiano un fiore, lo confondono con l’amore, capita che vadano al cinema all’aperto, e si siedano per terra, a piazza San Cosimato, tra i cinefili del Cinema America che non han padrone come te. Lui giovanile, lei principesca, anzi principessa: come la Jasmine di Aladin riconoscibile dall’allure pure con addosso un sacco di patate. Tanto principessa che le sue borse sembrano Hermes anche quando non sono Hermès, perché l’Hermès lei lo irradia, lo ha nel sangue, non importa che lo indossi o no: addosso a lei tutto diventa Hermès.
"Ha una borsa da 80mila euro". I veleni (inutili) sulla signora Conte. La foto della Paladino con un Kelly giudicata troppo costosa. Valeria Braghieri, Venerdì 14/08/2020 su Il Giornale. Questo ravanare nella borsa di Olivia Paladino con la discrezione di cani antidroga è forse lo sport estivo più inelegante del web. Da dove iniziare? Intanto beata lei, era elegantissima tutta, non solo per la Kelly di Hermès in vimini e pelle. E, se non sbagliamo, è anche questo che si chiede ad una first lady (anche se tecnicamente, per lei, è ancora in corso il provino per il ruolo da protagonista): l'eleganza, la perfezione, il fatto di farci sognare con mise scelte adeguatamente per ogni occasione pubblica. Non capiamo, quindi, per quale motivo andiamo in solluchero per ogni outfit di Kate Middleton, Melania Trump e Brigitte Macron, e poi ci indigniamo perché Olivia è perfetta. Solo perché un look ogni dieci le altre tirano fuori il capetto low cost di H&M in perfetto stile politically correct? Ieri, davanti alla foto di Olivia e Conte, il web ha addirittura tirato in ballo i Paesi del Terzo Mondo per le sue insostenibili differenze tra lo stile di vita di popolo e regnanti. La rete si indigna perché, sbirciando sui siti, è venuto fuori che la borsa estiva della ganza del premier Giuseppe Conte costerebbe 81.604 euro (sul portale Farfecht). È vero, ci sono dei monolocali, tra Torrevecchia e Quartaccio, che con una simile cifra sarebbero già pagati per metà almeno. Ma cosa c'entra, santo cielo? A parte il fatto che le borse di Hermès, la Birkin in particolar modo, sono considerate beni rifugio perché sono oggetti aspirazionali che non perdono mai valore, anzi. Come dire che se mai doveste trovarvi in difficoltà, nella vita, sarebbe molto più sicuro poter contare su una borsa come quella della signora Paladino, che sul diamante dell'adorata nonna. Ma poi, scusate, Olivia è la figlia del signor Paladino che a Roma, in via del Corso, possiede l'Hotel Plaza. Ciò significa che, verosimilmente, la bionda compagna di Conte ci fa fare un'ottima figura pure a spese sue. Ma cosa chiedere di più? Invece no. L'Hermès che aveva al braccio costa troppo. Troppo per cosa? Troppo per chi? Cosa dovrebbe sfoggiare al polso, per andare bene, un sacchetto della Coop? Cosa dovrebbe fare Olivia per stare accanto al suo Giuseppi che, al momento, è il premier di un Paese ammorbato dal Covid (come tutti, d'altronde) e annientato economicamente da un sacco di altri motivi, oltre al Covid? Cosa dovrebbe fare la signora Paladino-nemmeno-ancora-moglie del presidente del Consiglio per diventare la first sciura degli italiani in disgrazia? Espiare preventivamente, dando fuoco alla sua onirica cabina armadio? Tenere nei caveau del suo hotel cinque stelle i beni rifugio che possiede, Kelly inclusa, per nasconderli al popolo? Vestirsi d'ora in poi solo H&M, Zara o Mango? Attenta signora Paladino, perché non c'è nemmeno una catena italiana tra quelle citate e poi le contesterebbero anche questo. In ogni caso, cara Olivia, se davvero sarà su Giuseppi che cadrà la sua scelta, si abitui e si prepari a noi italiani. Lei, che ha la fortuna di essere metà svedese per parte di mamma. Che di cognome fa Aulin e, se non altro, l'aiuterà con i mal di testa da First Lady.
Olivia Paladino? I due figli e il "mistero" della sorella e genitori. Indiscrezioni dalla casa del premier: forse, a Natale...Libero Quotidiano il 18 dicembre 2020. Quello di quest’anno sarà un Natale diverso per tutti. Anche per il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, ancora impegnato con il resto dell’esecutivo nella definizione delle misure restrittive da adottare di qui a qualche giorno. Innanzitutto il premier non andrà nella sua casa in campagna questo Natale. Come riporta il settimanale Chi, il presidente del Consiglio trascorrerà le festività a Roma con la fidanzata Olivia Paladino e con i figli Niccolò ed Eva (avuti da relazioni precedenti). Olivia forse vedrà anche sua sorella e i genitori, ma scaglionati in due incontri diversi, per non trasgredire le regole anti-Covid che vietano qualsiasi tipo di aggregazione.
Olivia Paladino e la borsetta Kelly di Hermes da 80mila euro, italiani in rivolta. "Ecco il vero regalino di Conte". Libero Quotidiano il 14 agosto 2020. Uno schiaffo alla miseria da Olivia Paladino? Molto, sui social, si sta discutendo della borsetta da 80mila euro e rotti sfoggiata dalla compagna del premier Giuseppe Conte in Puglia. Una Kelly di Hermes in stile picnic valutata, appunto, 81.604 euro. Vero? Falso? Come ha fatto notare il sito Bufale.net, specializzato nello smascherare fake news, la borsa presenterebbe alcune differenze rispetto alla versione "da collezione" e quindi acquistabile a un prezzo decisamente meno astronomico. Oppure potrebbe trattarsi addirittura di una delle tante imitazioni della borsa più iconica della storia della moda dell'ultimo secolo. In ogni caso, come ha ricordato anche Giada Oricchio sul Tempo, da questo "caso" emergono 2 verità. Prima: gli insulti sulla Rete sono immotivati, visto che la Paladino proviene da una famiglia benestante, lavora come manager nel lussuoso Grand Hotel Plaza di Roma e potrebbe togliersi molti sfizi, senza ricorrere ai "regalini" di Conte. Seconda verità: "L'unico “regalo” certo - ricorda il Tempo - è quello di Conte al padre della fidanzata. Cesare Paladino, tra il 2014 e il 2018, non ha versato al Comune di Roma due milioni di euro di tassa di soggiorno. Prima ha patteggiato, poi ha chiesto la revoca della sentenza in base alla norma del Decreto Rilancio che ha derubricato "l'omesso, ritardato o parziale versamento dell'imposta di soggiorno da peculato a sanzione amministrativa". Altro che una borsetta di lusso.
Da "Chi" il 18 agosto 2020. “Chi” è in grado di svelare finalmente il “giallo” dell’estate: Olivia Paladino, compagna del premier Giuseppe Conte, in Puglia non ha sfoggiato una borsetta Kelly vintage di Hermès da 81 mila euro. E nemmeno una Kelly taroccata di midollino. La borsetta in questione è sì di midollino e pelle, ma abbiamo scoperto che Olivia l’ha acquistata (assieme a un completo di lino e un costume da bagno) alcune settimane fa nel negozio “Chance” di viale Tittoni a San Felice al Circeo, pagandola 140 euro. La borsetta, esposta in vetrina (foto in alto), è molto differente dalla vera Kelly di Hermès sia per la chiusura, sia per la dimensione e le rifiniture e soprattutto per il costo.
(ANSA il 30 novembre 2020) - Sulla vicenda dell'intervento della scorta di Giuseppe Conte per far uscire da un supermercato la compagna del premier, Olivia Paladino, è stata presentata - a quanto si apprende da fonti informate - una relazione di servizio al ministero dell'Interno, che ricostruirebbe l'episodio su cui indaga la procura di Roma dopo una denuncia di Fratelli d'Italia. In base alla relazione, il personale di scorta era in attività definita "di osservazione e controllo" sotto casa della compagna del presidente del Consiglio perché lui era nell'appartamento. Mentre erano in attesa del premier, i poliziotti si sarebbero resi conto della concitazione a pochi metri e un addetto del supermercato avrebbe chiesto aiuto perché una signora era in difficoltà. Dal documento emergerebbe che 'non è mai stata usata la macchina della scorta', anche perché la signora Paladino è tornata subito a casa, che si trova a pochi metri; che inoltre 'non c'è stato un intervento di Conte' e che il premier non era informato e ha saputo della vicenda "solo quando è uscito di casa".
Dagospia il 30 novembre 2020. Filippo Roma da Giletti: è credibile che durante la Pandemia Conte alle 11 sia ancora a casa della fidanzata? A noi ci risulta che stesse al lavoro, infatti alle 11.30 era in collegamento con la cerimonia ufficiale in memoria di Willy Monteiro Duarte.
Ilaria Sacchettoni per il “Corriere della Sera” il 30 novembre 2020. Il premier Giuseppe Conte potrebbe aver abusato della propria scorta per fini personali, lasciando che a servirsene fosse la compagna, Olivia Paladino, per sfuggire a un agguato delle Iene . La Procura di Roma indaga sull' episodio ipotizzando, al momento, il reato di abuso d' ufficio. A breve l' incartamento sarà inviato al tribunale dei ministri per valutare se procedere o archiviare l' indagine. La denuncia dalla quale tutto è partito è stata presentata dalla parlamentare di Fratelli d' Italia, Roberta Angelilli, anche sulla scorta di quanto sintetizzato sul quotidiano La Verità . E infatti, il 30 ottobre scorso, il giornale diretto da Maurizio Belpietro riportava la notizia di un parapiglia esploso pochi giorni prima (il 26 ottobre scorso) quando Filippo Roma, giornalista delle Iene aveva cercato di intervistare la Paladino sulla questione del controverso decreto che favorirebbe suo padre, Cesare Paladino, titolare dell' Hotel Plaza, sotto il profilo tributario. La scena è la seguente: la Paladino, incalzata da Roma, si rifugia nel piccolo supermercato di piazza della Fontanella borghese, dove viene «soccorsa» dagli agenti della scorta della presidenza del Consiglio, lì davanti. In particolare sarebbe stato un addetto del supermercato a fare riferimento agli uomini della scorta. Ma perché questi ultimi erano lì? Ed è vero che la compagna del premier li ha ingaggiati senza avere alcun titolo per farlo? «Se effettivamente la Paladino avesse usufruito di agenti della scorta del presidente del Consiglio si sarebbe verificato un uso improprio di personale con funzioni di sicurezza relative a soggetti che ricoprono funzioni pubbliche» si legge nell' esposto finito sulla scrivania del procuratore capo di Roma Michele Prestipino. Intanto i magistrati hanno convocato Roma come persona informata sui fatti e da lui si sono fatti spiegare ragioni e modalità della tentata intervista. Ma da Palazzo Chigi qual è la replica? L' entourage del premier precisa che sulla vicenda è stata presentata una relazione di servizio dal ministero dell' Interno. In particolare è stato specificato «che personale di scorta era in attività di osservazione e controllo al di sotto dell' abitazione della compagna del presidente del Consiglio perché lui era nell' appartamento. La scorta era quindi in attesa del presidente. I poliziotti si sono resi conto della concitazione a pochi metri e un addetto del supermercato ha chiesto aiuto perché c' era una signora in difficoltà». Secondo il premier dunque non si sarebbe verificato alcun abuso, il ruolo degli agenti sarebbe giustificato dalla sua presenza.
Andrea Augello (Fratelli d'Italia) per affaritaliani.it il 4 dicembre 2020. Giuseppe Conte, ancora una volta, non ha esitato a calpestare ogni decoro istituzionale, servendosi di uno spazio televisivo riservato alle comunicazioni del governo in materia di misure di contenimento della pandemia per promuovere sé stesso e persino la sua fidanzata agli occhi degli italiani, dichiarandosi vittima di un attacco personale basato su falsità e mistificazioni, culminato in un esposto di Fratelli d’Italia, che avrebbe poi dato origine ai suoi problemi con la giustizia. Vediamo cos’è successo davvero: Conte si lamenta del fatto che questo esposto abbia chiesto alla Procura di Roma di chiarire se ci sia o meno stato un uso improprio della scorta del Presidente del Consiglio intervenuta, lo scorso 25 Ottobre, per “salvare” la signora Paladino dalle domande di Filippo Roma sulla vivace e controversa gestione del padre di Olivia dell’Hotel Plaza a Roma, dove ora decine di lavoratori rischiano di perdere il posto. Ovviamente questo genere di protezioni non rientrano tra i doveri di ufficio delle scorte: Filippo Roma non è un terrorista, ma solo un giornalista che fa il suo lavoro, magari in modo insistente, ma pur sempre il suo onesto lavoro di cronista. Rispondere alle sue domande non è obbligatorio, basta tacere e andare per la propria strada. Invece la Iena ha raccontato a “Non è l’Arena” che gli uomini della scorta di Conte si sono frapposti tra lui e la signora, peraltro spintonandolo, e che sono arrivati cinque minuti dopo che Olivia si era “rifugiata” in un piccolo supermarket, facendo una telefonata con il suo telefono portatile. E’ stata quindi la Procura di Roma, dopo averlo ascoltato e dopo aver acquisito dal Ministero degli Interni una relazione del servizio scorte sull’accaduto, a decidere di trasferire il fascicolo al Tribunale dei Ministri, assumendo come ipotesi di reato ascrivibile a Giuseppe Conte il peculato. Quindi ricapitoliamo: l’unico “attacco personale” visibile, in questa vicenda, è quello della scorta di Conte a Filippo Roma, che sarebbe stato spintonato da agenti di Polizia determinati ad impedirgli di fare domande scomode alla Paladino. Quanto all’iniziativa giudiziaria di Fratelli d’Italia, se Conte ritiene che un normalissimo esposto sia un attacco alla sua regale persona, dovrebbe forse prima acquisirne copia: l’atto, che reca la firma di Roberta Angelilli, si limita a riportare le ricostruzioni dell’episodio proposte da diversi giornali, chiedendo ai magistrati di accertarne la veridicità e ogni eventuale responsabilità di un uso “improprio” della scorta. Non è un esposto “contro” Giuseppi, ma una doverosa richiesta di approfondimento di una vicenda inquietante, che vede una persona che non avrebbe diritto ad alcuna scorta a spese dei contribuenti, la signora Paladino, giovarsi dell’intervento di ben tre poliziotti soltanto perché infastidita dalle domande di un giornalista. Nell’atto non viene ipotizzata alcuna responsabilità diretta del Premier, lasciando alla Procura il compito di accertare i fatti. Quindi, se ora Conte si trova indagato dal Tribunale dei Ministri, non è perché ha subito, come racconta nel suo sproloquio a reti unificate, un “attacco personale”, ma perché la Procura di Roma, sentita la deposizione di Filippo Roma e acquisita la relazione sull’accaduto del Ministero degli Interni, ha ritenuto meritevole di un’indagine più accurata la vicenda e, non potendo al momento escludere una responsabilità del Presidente del Consiglio, ha trasmesso per competenza il fascicolo al Tribunale dei Ministri dove Giuseppi risulta indagato per peculato. Indagato non vuol dire condannato: spetterà ai suoi legali dimostrarne l’innocenza e, poiché non sarà facile provare le responsabilità della catena di comando che ha portato i tre agenti ad intervenire in favore della Paladino, potrebbe persino sperare in un’ archiviazione. Bisognerà acquisire le immagini girate da Filippo Roma, verificare se la versione del Premier regga ad un attento esame dei suoi spostamenti in quella giornata, ascoltare la testimonianza degli agenti di scorta e della signora Paladino. Di certo ci sono alcune imprecisioni e qualche paradosso nella Giuseppi's version: intanto lui dice che sarebbe intervenuto un solo poliziotto in soccorso della compagna, mentre le immagini pubblicate su Dagospia attestano che gli agenti erano tre. Lui sostiene anche che la scorta si trovava davanti all’abitazione della Paladino perché lui era lì, mentre Filippo Roma sostiene che la troupe delle Iene stazionava davanti al portone della Paladino dalle sette del mattino e che, fino alle undici, quando lei è uscita ed ha avuto inizio il tentativo di intervistarla, non si sono visti né Conte né la sua scorta, che invece sarebbe apparsa provvidenzialmente cinque minuti dopo, quando la Paladino, dopo essersi rifugiata in un supermercato ha fatto una telefonata (non sappiamo a chi). Inoltre nella versione di Giuseppi c’è almeno un paradosso inspiegabile: se davvero lui si trovava a casa della Paladino, che sorge a meno di cento metri dal supermercato dove sarebbe intervenuta la scorta, per di più in procinto di uscire, visto che alle undici e trenta aveva un impegno istituzionale a Palazzo Chigi, è difficile credere che gli agenti si siano allontanati dal portone del palazzo dal quale stava per raggiungerli il Premier, solo per sedare un semplice battibecco tra un giornalista e la signora Paladino. Incredibile che sia accaduto, a meno che non abbiano prima informato il Presidente della necessità di ritardare di qualche minuto la sua uscita perché c’era da tirare fuori dall’imbarazzo la sua compagna. Certo, ci sarebbe un’altra spiegazione plausibile, come la presenza di altri agenti davanti al portone, in attesa dell’uscita di Conte. Ma Filippo Roma sostiene che i tre poliziotti che lo hanno intercettato fossero gli unici presenti tra la casa e il supermercato e che le immagini potrebbero confermarlo. Infine c’è la vicenda del borsone della Paladino. Il Ministro Lamorgese, nel riferire al Parlamento sull’accaduto, ci ha tenuto a specificare che la signora Paladino aveva una borsa e che l’avrebbe lasciata nel supermercato e non affidata ad una delle guardie che la avevano appena salvata dal malvagio Filippo Roma. La preoccupazione del Ministro è stata fugare il sospetto che le guardie della scorta fungessero oltre che da antidoto a giornalisti scomodi per la compagna del Premier anche da sherpa. Tuttavia anche questo punto pare controverso: nel video pubblicato su Dagospia c’è un dialogo tra la Paladino e un agente, dal quale sembra abbastanza agevole concludere che sia proprio la guardia a consigliare alla Paladino di lasciare la borsa nel supermercato, spiegando che avrebbe poi provveduto lui stesso a ritirarla e a portarla a casa. L’unica cosa certamente vera dichiarata ieri da Conte a reti unificate, è che la signora Paladino non è salita su un auto blu per sfuggire alle Iene: peccato che nessuno lo abbia mai neppure adombrato, né nell’esposto, né nelle dichiarazioni rese pubblicamente da Filippo Roma nella trasmissione non è l’Arena. Per tutte queste ragioni e per le molte lacune della versione governativa dell’accaduto, e non certo per un “attacco personale” al Premier, la Procura ha trasmesso le carte al Tribunale dei Ministri. La ripugnante performance televisiva dell’autodifesa sgangherata e fuori luogo di Giuseppe Conte, conferma la statura infima del personaggio, la spregiudicatezza del suo addetto stampa, l’assoluta inadeguatezza di entrambi a ricoprire ruoli istituzionali e l’insensibilità di fronte al momento drammatico che stanno vivendo l’Italia e gli italiani mentre si contano purtroppo a centinaia le vittime quotidiane della pandemia e centinaia di migliaia di posti di lavoro e piccole aziende e medie aziende cancellati dal lockdown. Oltre a testimoniare un esagerato nervosismo per una vicenda invero assai modesta e all’altezza dei suoi protagonisti, che certo non rappresenterà il processo del secolo e che si sarebbe facilmente potuta evitare se la scorta avesse lasciato la signora Paladino a risolversi da sola i suoi problemi di comunicazione con la troupe delle Iene. Come sarebbe stato del tutto normale attendersi.
Giuseppe China e François De Quengo per “la Verità” il 3 dicembre 2020. Via della Fontanella Borghese non è solo al centro di Roma, la strada è anche al centro del caso che coinvolge la scorta del premier Giuseppe Conte, la sua compagna Olivia Paladino e l' inviato delle Iene Filippo Roma. Sulla vicenda, oggetto di indagini del Tribunale dei ministri di Roma, è intervenuta ieri durante un question time alla Camera il ministro Luciana Lamorgese. In aula la titolare del Viminale ha esordito precisando: «Gli elementi che mi appresto a riferire, non sono tratti da una presunta relazione di servizio bensì da un appunto informativo [] predisposto a seguito della pubblicazione di alcuni articoli di stampa». Non ci sarebbe quindi nessuna relazione di servizio sui fatti avvenuti la mattina del 26 ottobre, quando gli uomini del presidente sarebbero intervenuti per sottrarre la first lady alle domande del giornalista sulle vicende giudiziarie del padre, che ha patteggiato una condanna a 1 anno e due mesi per peculato per la ritardata restituzione di circa 2 milioni di tassa di soggiorno al Comune di Roma (risarcito su ordine della Procura). Un inseguimento breve, visto che la donna si è chiusa nel supermercato che dista poche decine di metri dalla sua abitazione. Nella risposta, il ministro, ha affermato che la scorta si trovava nelle vicinanze dell' abitazione della signora Paladino in attesa che ne uscisse il presidente del Consiglio dei ministri. Gli agenti, impegnati in una operazione di controllo preliminare avrebbero notato la presenza della troupe della trasmissione Le Iene e uno di loro si sarebbe prima avvicinato al supermercato, poi sarebbe stato chiamato in causa da un dipendente. Una versione che contrasta con le affermazioni dell' inviato Mediaset, che ha escluso la presenza della scorta durante il lungo appostamento sotto l' appartamento della first lady, concluso verso le 11 quando, armata di borsone da palestra, la compagna di Giuseppi è uscita da casa. Filippo Roma ha anche evidenziato che mezz' ora dopo, il premier era in collegamento da Palazzo Chigi per una cerimonia di commemorazione di Willy Monteiro. Nel video dell' intervento si sente Conte esordire dicendo di aver seguito tutti gli interventi precedenti al suo. Torniamo in via Fontanella Borghese. Il palazzo signorile in cui abita la fidanzata del presidente del Consiglio, è disposto di tre piani. Spesso le persiane sono chiuse, ma la maggior parte dei commercianti della zona conosce bene la first lady. La titolare di un negozio sull' altro lato della via ci dice: «Qualche volta sul balcone ho visto sia lei (Paladino ndr) che la figlia». Spieghiamo che dei suoi colleghi ci avevano parlato dell' attico, ma la nostra interlocutrice ribatte: «Non ho mai visto nessuno lì». Come detto, l' edificio è imponente, ma al catasto l' appartamento indicato dalla dirimpettaia come l' abitazione di «Olly» non risulta essere più adibito ad uso abitativo dal 2007. Salvo sviste della vicina, quindi sotto il profilo formale la coppia trascorrerebbe il tempo libero in un locale destinato a «negozi e botteghe». Olivia e la sorella Cristiana possiedono il 47,5 per cento a testa della Srl Agricola monastero Santo Stefano Vecchio, che proprietaria di una tenuta agricola a Fiano Romano, composta da 30 tra immobili, terreni boschivi e seminativi tra i quali spicca il monastero che dà il nome all' azienda. Santo Stefano Vecchio controlla direttamente (10,6 per cento delle quote) e attraverso altri veicoli (Immobiliare Splendido e Immobiliare Archimede) la Srl Unione esercizi alberghi di lusso, la società di gestione del Plaza, situato in un palazzo che fa parte del portafoglio immobiliare della Immobiliare Splendido. Via della Fontanella Borghese è un piccolo feudo di famiglia: alla società proprietaria dell' appartamento, la Immobiliare Splendido, sono intestati sette immobili, compreso un negozio fronte strada di 162 metri quadri e altri ai piani superiori di 176 e 119 metri quadri. Da lì in una manciata di minuti a piedi si raggiunge via del Corso, qui al 128 sorge l' albergo di famiglia: il Grand Hotel Plaza. Una struttura di lusso, in questo momento chiusa al pubblico per il Covid, al cui interno si trova una palestra. Passo indietro: quando Paladino si rifugiò nel supermercato vicino casa, venne realizzato un video nel quale si vede che la donna aveva lasciato nel mini market un borsone da palestra, che è stato oggetto di un concitato dialogo durante l' intervento della scorta. La domanda è lecita: in quella sacca - che secondo quanto riferito dal ministro Lamorgese non è stata affidata alla scorta - c' erano indumenti sportivi che Paladino avrebbe utilizzato nella struttura dell' albergo? Gli altri edifici riconducibili alla Immobiliare di Roma Splendido srl sono dislocati negli angoli più esclusivi della Capitale. Nel quartiere Parioli, a via Archimede per la precisione, in un palazzo moderno sono otto le unità che fanno capo alla società di famiglia. Poco lontano, a via Po, altri due appartamenti, uno di proprietà della Agricola Monastero e uno della Archimede Immobiliare composto da 5,5 vani. Tra i negozi bisogna annoverarne anche uno poco distante dal Colosseo. La dipendente dello studio medico a fianco racconta: «Da quando ci siamo trasferiti qui, nel 2016, l' ho sempre visto sfitto. Tanto che ad un certo punto volevamo ingrandirci e abbiamo chiesto informazioni all' amministratore, ma non se n' è fatto nulla». Poi nel cuore di Trastevere ancora locali commerciali e appartamenti. «Ho questa attività da più di 15 anni e il magazzino di fianco quasi mai è aperto. Raramente portano qualche oggetto». Dopo avere fatto presente alla titolare che il magazzino appartiene alla Paladino, la signora ribatte: «Sì lo so, ha anche un attico». L' edificio in questione che domina piazza Santa Maria in Trastevere fa angolo con una delle vie che portano alla piazza, lungo la quale si trovano altri immobili di famiglia, tra cui un grande appartamento di ben 18 vani. Complessivamente, alle società della famiglia della compagna del premier sono intestati 27 immobili a Roma, ai quali se ne aggiungono altri nel Lazio, che insieme ai terreni, portano le proprietà a 70. Nonostante questo ben di Dio di patrimonio immobiliare, alcuni dipendenti dell' hotel Plaza, di proprietà di Cesare Paladino, il padre di Olivia, lamentavano mancati pagamenti e si erano rivolti all' ispettorato del lavoro. Negli ultimi giorni la coppia Conte-Paladino è stata alla prese anche con un altro «giallo» legato all' uso della scorta. Nella serata dello scorso 31 ottobre una donna abitante nel centro storico di Roma avrebbe visto la compagna di Giuseppi a cena in un' enoteca dopo l' orario di chiusura dei ristoranti e sarebbe stata allontanata dalla scorta del premier. A chiarire definitivamente la questione ha provveduto l' ufficio stampa di Palazzo Chigi, che in una nota ricevuta e pubblicata da Dagospia, il sito che ha pubblicato l' audio, scrive: «In merito a una notizia che sta circolando in queste ore, basata sulla comunicazione audio di una presunta testimone, la quale afferma che il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte avrebbe partecipato a una cena la sera del 31 ottobre scorso in un ristorante rom che invece doveva rimanere chiuso per le misure restrittive da poco adottate, l' ufficio stampa di Palazzo Chigi precisa che si tratta di notizie false, destituite di ogni fondamento, a carattere gravemente diffamatorio». E ancora: «Si precisa che l' ultima volta che il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha cenato nel ristorante indicato dalla presunta gestione risale alla fine di settembre». Una smentita che riguarda quindi il solo Conte, che in effetti non è stato visto dalla signora, ma non la sua compagna. La veridicità delle affermazioni contenute nell' audio è tutta da dimostrare, ma se fosse il racconto fosse confermato si aprirebbe un interrogativo su un intervento della scorta in assenza del premier.
Dagospia il 2 dicembre 2020. La risposta della ministra dell'Interno Luciana Lamorgese al question time alla Camera. Signor Presidente, onorevoli deputati, l'onorevole Morelli richiama l'attenzione del Governo su un asserito intervento improprio del dispositivo di sicurezza ravvicinata di cui usufruisce il Presidente del Consiglio dei Ministri, professor Giuseppe Conte, posto in essere a favore della compagna del Presidente, signora Olivia Paladino, avvenuto in una strada del centro storico di Roma. Riguardo all'episodio in questione, fornisco una ricostruzione dei fatti, precisando preliminarmente che gli elementi che mi appresto a riferire non sono tratti da una presunta relazione di servizio di cui è cenno nell'interrogazione, bensì da un appunto informativo fornitomi dai competenti uffici e predisposto a seguito della pubblicazione di alcuni articoli di stampa. Nella mattina del 26 ottobre scorso, personale del predetto dispositivo di tutela si trovava nelle immediate vicinanze dell'abitazione della signora Paladino, in attesa che ne uscisse il Presidente del Consiglio dei Ministri. Com'è d'uso nell'attuazione di siffatti servizi tutori, alcuni operatori impegnati in una preliminare attività di osservazione notavano la presenza di una troupe televisiva, risultata poi essere del programma Le Iene, munita di videocamera e microfono, che stazionava dinanzi ad un vicino supermercato. In relazione a tale presenza, uno degli addetti alla tutela del Presidente si avvicinava alla troupe allo scopo di verificare eventuali aspetti critici collegati all'imminente passaggio del Presidente Conte. In quel frangente, la signora Paladino, uscita a piedi dal palazzo e immediatamente inseguita dalla troupe televisiva, decideva, per sottrarsi alle insistenti domande dell'inviato del programma, il giornalista Filippo Roma, di rifugiarsi all'interno dell'attiguo supermercato, raggiungendo il fondo del locale. A questo punto, il titolare del negozio richiamava l'attenzione dell'operatore della scorta, avvertendolo di aver chiesto all'inviato e ai tecnici della troupe televisiva di uscire dall'esercizio, tenuto conto che il loro ingresso era avvenuto al solo scopo di ottenere dichiarazioni dalla signora Paladino. Aggiungo che, dagli elementi informativi riferiti, la stessa signora appariva chiaramente turbata, sicché uno degli operatori addetti alla tutela, coadiuvato da due colleghi, provvedeva esclusivamente ad accompagnarla verso l'abitazione, distante poche decine di metri, dove peraltro in quel momento si trovava il Presidente del Consiglio. La troupe televisiva continuava comunque a seguire la signora Paladino e a porle con insistenza domande, senza tener conto del turbamento della signora e della sua volontà di non rilasciare alcuna dichiarazione, desistendo solo a pochi metri dal portone dell'abitazione, da cui poi si allontanava spontaneamente. Preciso infine che, in base alle informazioni pervenutemi, la persona alla quale la signora Paladino, prima di lasciare il negozio, ha consegnato una borsa, non era un operatore del servizio di tutela del Presidente Conte, bensì uno dei titolari dell'esercizio commerciale.
Dagospia l'1 dicembre 2020. Riceviamo e pubblichiamo: Caro Dago, mi chiedo cosa sarebbe successo a mia madre, che in quattro anni di governo non una sola volta ha utilizzato la macchina della prefettura, di cui aveva diritto e ha continuato a fare la spesa in tram, se si fosse comportata come questi nuovi e onesti governanti...anche lei a testa in giù?
Dagospia l'1 dicembre 2020. Riceviamo e pubblichiamo dall’ufficio stampa di Palazzo Chigi: In merito a una notizia che sta circolando in queste ore, basata sulla comunicazione audio di una presunta testimone, la quale afferma che il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte avrebbe partecipato a una cena la sera del 31 ottobre scorso in un ristorante romano che invece doveva rimanere chiuso per le misure restrittive da poco adottate, l’Ufficio Stampa di Palazzo Chigi precisa che si tratta di notizie false, destituite di ogni fondamento, a carattere gravemente diffamatorio. Si precisa che l’ultima volta che il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha cenato nel ristorante indicato dalla presunta testimone risale alla fine di settembre. Anche le altre notizie riferite nella comunicazione audio sono completamente false e diffamatorie. E’ falso che la sera del 31 ottobre la scorta del Presidente Conte stazionasse davanti al detto ristorante ed è falso che l’auto del Presidente Conte sia un’Audi elettrica.
Trascrizione dell'audio: Ieri sera 31 ottobre, ore 20.30 in zona piazza Montecitorio dove c’è una enoteca con all’interno un ristorante stellato molto famoso c’era a cena il signor Conte, sicuramente con la sua compagna e forse con altre persone. Una mia amica che abita lì vicino cercando parcheggio per parcheggiare il suo Twizy (che ha bisogno della colonnina per essere ricaricato) ha visto che nel posto che lei di solito utilizza perché abita lì vicino, c’era la macchina del nostro Presidente Conte. A quel punto, insospettita dal fatto che la macchina si trovasse lì a quell’ora, essendo vicina a questa enoteca famosa e conoscendo il proprietario di questa enoteca, è entrata, ha visto la proprietaria e appena ha visto la proprietaria questa le ha detto di andarsene via, e lei ha detto: come devo andarmene via? Ma tu devi essere chiusa perché a quest’ora il tuo locale dev’essere chiuso o comunque funzionare solo per l’asporto, chi c’è dentro che non devo vedere? E lei continuava a dire: Bea per favore esci, Bea, perché questa mia amica si chiama Beatrice, per favore esci, non trattenerti perché non puoi trattenerti. Mentre discuteva con la proprietaria ha visto la fidanzata del nostro Presidente Conte uscire dalla stanza dove stava mangiando e recarsi in bagno. Subito dopo questa scena e stata re-intimata a uscire e come se non bastasse sono arrivate le persone della scorta di Conte che l’hanno messa alla porta. Questo è quello che è successo ieri sera, 31 ottobre, con un decreto fatto dal signor Conte il quale è il primo a trasgredirlo.
DAGONOTA l'1 dicembre 2020. Mattia Feltri oggi intitola il suo editoriale ''Burattini senza fili'', noi avremmo scelto ''giornalisti senza notizie''. Sia lui su ''La Stampa'' che Francesco Merlo su ''Repubblica'' corrono a difendere la povera compagna del premier, Olivia Paladino, considerata una inerme ''moglie di, figlia di'' (forse il tema è ancora caldo per Mattia). Se la prendono con la iena Filippo Roma che, povero stronzo, sta dalle 7 di mattina davanti alla casa che ''Olly'' – come la chiamano le sue bimbe su Instagram – divide con il presidente del Consiglio, solo per farle qualche domanda sui due milioni di euro in imposte non versate dall'hotel di cui è proprietaria, sui dipendenti e fornitori non pagati, sulle sanatorie fiscali e penali di cui la sua famiglia ha goduto, incidentalmente, da quando Giuseppe Conte è Presidente del Consiglio. Ebbene sì, cari Feltri e Merlo, Olivia Paladino non è solo figlia di Cesare, storico proprietario e gestore del Grand Hotel Plaza, ma è titolare al 47,5% (esattamente a metà con la sorella) della società Agricola Monastero Santo Stefano Vecchio, che controlla il suddetto albergo. Dunque ''Olly'' è comproprietaria nonché manager dell'hotel, non solo ''moglie di'' e ''figlia di''. E se il suo hotel non paga dipendenti e fornitori, gode di sanatorie penali e fiscali decise dal governo presieduto dal suo compagno, qualche domanda è legittimo porla proprio a lei, che non è una passante. Se volesse esserlo, le basterebbe cedere le sue quote a qualcun altro, magari in grado di rispondere a un giornalista. Di sicuro non ai giornalisti Feltri e Merlo, che l'ultima notizia l'hanno data nel secolo scorso e che non hanno manco fatto la fatica di leggere la ''Verità'', ''il Giornale'' o questo disgraziato sito per scoprire che ''Olly'' non è solo la deliziosa e vagamente robotica compagna del premier, ma un'imprenditrice a capo di un discreto impero immobiliare e alberghiero, e che dunque può essere avvicinata da chi le domande ancora le fa e le notizie ancora le trova, senza che la scorta di Palazzo Chigi si metta impropriamente in mezzo.
PS: I due non hanno manco fatto la fatica di vedere il video qui sotto, dal quale avrebbero capito che la poverina non si è rifugiata nel supermercato per scappare dalla iena o comprare un etto di prosciutto, bensì per nascondere il suo borsone da palestra dietro la cassa, nell'attesa dell'intervento degli agenti di Palazzo Chigi. Trovandosi a pochi passi da casa, per ''sfuggire alle domande'' sarebbe potuta rientrare nel portone. Ma così facendo avrebbe mostrato la borsa che aveva a tracolla e che faceva intuire la sua destinazione: una palestra. Proprio nei giorni in cui le palestre erano chiuse per rispetto del dpcm firmato da un signore che dorme in casa sua. Che la compagna del premier vada in palestra mentre agli altri è vietato – per chi non si ricordasse più di che forma sono fatte – è una notizia.
Mattia Feltri per ''la Stampa'' l'1 dicembre 2020. Si infittiscono le domande su Olivia Paladino, la compagna del presidente del Consiglio. Di rado si vedono i due fianco a fianco, per lo più in foto rubate per strada, quasi mai in occasioni ufficiali. Di Olivia Paladino non esistono interviste, né in video né scritte. Non si sa che pensi, che voce abbia, per dirla male non fa la first lady. Forse unico essere umano dei paesi Nato, non ha profili social. Si direbbe quasi l' inaudito: che voglia condurre la vita senza condividerla coi programmi del pomeriggio, i follower, i paparazzi, gli inviati. E, si direbbe, il resto del mondo non se ne capacita. Infatti, un mese fa, una troupe l' ha pedinata per sapere che avesse da dire sulle relazioni fra il padre e il premier, e se siano sfociate, come si legge, in vantaggi fiscali concessi al primo dal secondo. Lei è fuggita e si è rifugiata in un supermercato finché la scorta di Conte non è arrivata in soccorso. Le domande sono: Olivia Paladino aveva diritto all' aiuto delle guardie di Palazzo Chigi? Che teneva nel borsone portato a tracolla? C' era casomai attrezzatura sportiva in tempi in cui frequentare le palestre è vietato? E perché Mediaset non ha trasmesso le immagini del pedinamento? Non sarà per i nuovi clandestini rapporti fra il titolare delle reti e quello del governo? Tutto legittimo, per carità. Ma manca una domanda: siamo sicuri di avere il diritto di inseguire una donna, fin dentro il supermercato dove ha cercato riparo, per imporle di parlare, e di cose che non le competono, e per il gusto dello scoop, in definitiva per ridurla come la moltitudine, persuasa che la vita sia uno show?
Francesco Merlo per ''la Repubblica'' l'1 dicembre 2020. Per fare spettacolo della sua fragilità di figlia e "moglie", una "Iena" ha inseguito la compagna di Conte interrogandola sul peculato di cui fu accusato il padre. La signora Olivia, rifugiata in un negozio, è stata "salvata" dalla scorta del premier. A lui i giudici contestano l' abuso della scorta: peculato. Così Conte, colpevole di malgoverno, diventa l' innocente da difendere. La scorta, generosa e gentile, è da premiare. Olivia Paladino fugge dalle 'Iene' in un supermercato e nasconde un borsone.
Giacomo Amadori e Giuseppe China per “la Verità” l'1 dicembre 2020. Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte è stato informato ieri dalla Procura di Roma del procedimento che lo riguarda (nato da un esposto di Roberta Angelilli di Fdi dopo lo scoop della Verità), come previsto dalla legge costituzionale del 1989: «Il procuratore della Repubblica, omessa ogni indagine, entro il termine di quindici giorni, trasmette con le sue richieste gli atti relativi al collegio di cui al successivo articolo 7 (il Tribunale dei ministri, ndr), dandone immediata comunicazione ai soggetti interessati perché questi possano presentare memorie al collegio o chiedere di essere ascoltati». Il premier potrà presentare documenti a difesa, come, si suppone, la relazione di servizio della sua scorta che aveva già informato il Viminale da cui dipende (essendo agenti destinati al presidente del Consiglio) del parapiglia avvenuto in via della Fontanella Borghese di Roma, quando la stessa scorta e il giornalista delle Iene Filippo Roma avevano avuto un confronto mentre l' inviato poneva domande a Olivia Paladino. Nella relazione di servizio gli angeli custodi del premier hanno riferito di che «si trovavano in osservazione e controllo» al di sotto dell' abitazione della compagna del premier, in quanto Conte era nell' appartamento della Paladino e i poliziotti attendevano l'uscita del premier. Questo per evidenziare che non erano partiti da Palazzo Chigi per sottrarre la Paladino dalle grinfie della Iena. Questo significherebbe, come ha sottolineato Roma, che lunedì 26 ottobre alle 11 del mattino Conte era a casa della fidanzata, mezz' ora prima di un collegamento ufficiale dal suo ufficio sulla vicenda dell' omicidio di Willy Montero Duarte. Certo, la Presidenza del Consiglio dista 500 metri da via Fontanella Borghese, ma la ricostruzione andrà verificata, anche perché gli inquirenti capitolini, che non potevano fare investigazioni, si sono limitati a chiedere delucidazioni all' inviato e hanno trasmesso il fascicolo al Tribunale dei ministri. Il presidente del collegio è Maurizio Silvestri e toccherà a lui e alle colleghe Marcella Trovato e Chiara Gallo stabilire se nell' utilizzo della scorta ci sia un reato e soprattutto se si tratti di un reato ministeriale, cioè commesso nell' esercizio delle funzioni. È lo stesso collegio che ha archiviato le accuse di omissione di atti d' ufficio e abuso d' ufficio mosse nei suoi confronti per aver negato lo sbarco della Alan Kurdi. Silvestri compare anche nelle chat di Palamara. In una conversazione di gruppo molto numerosa, intitolata «Saluto Titti (Tiziana Gualtieri, ndr)», il 29 marzo 2018, scrive: «Un bacio a Titti». Del presidente del Tribunale dei ministri parla anche il procuratore di Viterbo Paolo Auriemma, il quale scrive a Palamara: «Ho chiamato Maurizio Silvestri (all' epoca una delle toghe più autorevoli dell' ufficio Gip di Roma, ndr) e gli ho spiegato la situazione di Marco e F. e ha detto che lo chiamerà in giornata [] naturalmente l' ho legato alla riservatezza». Replica Palamara: «Bravo». Mancinetti (dal 2018 al 2020 consigliere del Csm, costretto alle dimissioni per un' incolpazione) era rientrato all' ufficio Gip dalla Corte d' appello e si preoccupava delle possibili incompatibilità in procedimenti in cui la difesa era rappresentata dall' amica F., avvocato. Il reato inizialmente ipotizzato per cui è stato iscritto il fascicolo è il peculato, che si configura quando il pubblico ufficiale o l' incaricato di un pubblico servizio, avendo per ragione del proprio ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità di denaro o altra cosa mobile altrui, se ne appropria. Ma dopo aver sentito Roma gli inquirenti si sono convinti che l' ipotesi di reato più corretta è l' abuso d' ufficio. Il motivo? Lo stesso inviato ha ammesso che nella vicenda non sarebbe stata utilizzata nessuna auto: la casa della Paladino dove sembra stazionasse la scorta, dista solo 50 passi dal market, dove si è svolto il breve alterco. Che farà il Tribunale dei ministri? Se vuole approfondire la questione, dovrà acquisire i filmati realizzati dalle Iene e mai andati in onda, e chiedere i tabulati della Paladino per verificare se abbia chiamato la scorta di Conte o il compagno negli istanti in cui Roma la incalzava con le sue domande. Ieri negli studi Mediaset erano attesi gli uomini della Procura di Roma che avrebbero dovuto prelevare i video, ma evidentemente, non potendo fare indagini, il procuratore Prestipino e il pm Carlo Villani hanno preferito inviare gli atti al Tribunale dei ministri senza fare ulteriori accertamenti. Dopo l' esplosione del caso del fascicolo su Conte una fonte, B. F., ci ha contattato per raccontarci che la sera di Halloween una sua amica ha visto l' auto di Conte, un' Audi elettrica scura, che veniva ricaricata a una colonnina in via dei Prefetti a Roma. La signora sarebbe entrata nell' enoteca di fronte alla macchina e avrebbe chiesto se per caso si trovasse a cena il capo del governo, nonostante la chiusura dei locali stabilita da uno dei suoi dpcm. Mentre la titolare chiedeva all' intrusa di allontanarsi, la donna avrebbe intravisto la Paladino attraversare la sala e dirigersi verso la toilette. A questo punto sarebbe intervenuta la scorta per allontanare la «ficcanaso». Il proprietario del locale, Daniele, ci ha detto: «Sinceramente non ricordo se ad Halloween Giuseppe Conte e Olivia Paladino siano stati qui. Sono clienti abituali, la signora Paladino l' ho vista crescere. Una delle ultime volte che sono venuti al locale mi pare che fosse settembre». Il registro delle prenotazioni non aiuta a fare chiarezza. Olivia ha ancora la residenza a 140 passi da qui, nell' abitazione della madre.
PERCHÉ MEDIASET NON MANDA IN ONDA IL SERVIZIO SULLA SCORTA DI CONTE E OLIVIA PALADINO? DAGONOTA il 30 novembre 2020. A proposito di censure editoriali, tema molto caldo in questi giorni, come mai Mediaset non ha mai mandato in onda il servizio delle ''Iene'' in cui Filippo Roma prova a fare delle domande a Olivia Paladino sulla gestione dell'hotel di famiglia e viene bloccato dalla scorta del Presidente del Consiglio, con un'operazione così irrituale e scomposta da aver scatenato un esposto da parte di parlamentari di Fratelli d'Italia e ora l'apertura di un fascicolo da parte della Procura di Roma? E soprattutto, visto che il programma va in onda due volte a settimana (martedì e giovedì), pieno di servizi in replica, troveranno ora uno strapuntino queste immagini che hanno portato a un'indagine sull'operato dell'Avvocato degli italiani? Vedendole, come si intuisce dal racconto che Filippo Roma ha fatto ieri sera a ''Non è l'Arena'', si capirebbe come sono andate le cose. Nell'articolo di ''Repubblica'' di oggi (il premier sotto indagine è notizia da taglio basso a pagina 13…) si parla del video pubblicato da questo sito, senza citarci ovviamente, in cui Olivia Paladino si rifugia nel supermercato per lasciare il borsone da palestra che non vuole venga inquadrato. La versione è quella ufficiale: la scorta era sotto casa Paladino perché c'era anche Conte. Subito smentita da Filippo Roma: ''Ero appostato lì dalle 7 di mattina e non ho visto nessun agente di scorta. Volevo intervistare Olivia Paladino e dopo essere entrato nel supermercato, respinto dal gestore, mi sono messo ad aspettare fuori. Solo dopo un po' è arrivata la scorta di Conte''. Il punto è semplice: se anche dovessimo credere a questa storia, e il premier fosse ancora a casa della compagna alle 11 di mattina (assai difficile visto che alle 11.30 era in collegamento con la cerimonia in ricordo di Willy Monteiro), gli uomini della sua scorta possono smettere di proteggerlo per impedire a un giornalista di avvicinarsi alla sua fidanzata, che si trova in un altro posto? Tornando al servizio, immaginiamo che in settimana vada in onda. Altrimenti il sospetto che il premier sia intervenuto con il suo nuovo alleato di governo nonché editore di Mediaset, per far bloccare la messa in onda, diventerebbe una certezza.
PS. L'abitazione di Olivia Paladino, una traversa di via del Corso, non si trova per niente davanti al supermercato di Fontanella Borghese, dista bensì ad almeno 300 metri. Quindi la scorta del premier è stata chiamata per "soccorrere" la Paladino nel supermercato impegnata a nascondere la borsa sportiva che aveva con sé - dal giorno prima le palestre erano off limit per Dpcm.
Da liberoquotidiano.it il 30 novembre 2020. Massimo Giletti: “Peccato che non verrà mai nei nostri programmi, almeno credo”, ha dichiarato Giletti lanciando forse una frecciatina a La7 e a Lilli Gruber, che la scorsa settimana invece è riuscita ad avere un faccia a faccia in studio proprio con Conte. Dopo lo scoop della «Verità», sul primo ministro è partita un'indagine per l'accusa di abuso d'ufficio La sicurezza del presidente aveva «salvato» la compagna dalle domande di Filippo Roma delle «Iene».
Giacomo Amadori Fabio Amendolara per “la Verità” il 30 novembre 2020. Lo scoop della Verità sulla scorta del premier Giuseppe Conte utilizzata per proteggere dai giornalisti la compagna Olivia Paladino ha portato all' iscrizione del primo ministro sul registro degli indagati con l' accusa di abuso d' ufficio. Infatti dopo l' articolo del nostro giornale, Roberta Angelilli, membro dell' esecutivo nazionale di Fratelli d' Italia, ha presentato un esposto alla Procura di Roma. E questa ha aperto un fascicolo d'inchiesta. Quest'ultimo è finito sul tavolo del pm Carlo Villani, uno dei magistrati del pool per i reati della pubblica amministrazione. La Procura, dopo una verifica preliminare, ha deciso di inviare le carte (dovrebbero partire oggi) al Tribunale dei ministri che ha la competenza a fare le indagini. Tale tribunale dovrà decidere se quello ipotizzato (ma potrà anche riqualificarlo) sia un reato ministeriale o meno, e cioè se sia stato commesso da Conte nell' esercizio delle proprie funzioni. In caso contrario la palla ripasserà alla Procura di Roma. L'inchiesta della Verità è partita da un' altra notizia, la stessa che ha messo in moto Le Iene, e cioè che alcuni dipendenti dell' hotel Plaza, di proprietà di Cesare Paladino, il padre di Olivia, lamentavano mancati pagamenti e si erano rivolti all' ispettorato del lavoro. Una storia particolarmente imbarazzante se si considera che lo stesso Paladino ha patteggiato una condanna a 1 anno e due mesi per peculato per la ritardata restituzione di circa 2 milioni di tassa di soggiorno al Comune di Roma (risarcito su ordine della Procura). Ma il suo avvocato, Stefano Bortone, ha presentato istanza di revisione, dopo che il governo del «genero» Conte ha qualificato la condotta di omesso versamento della tassa di soggiorno come illecito amministrativo e non più come reato penale. Ma i pm romani si sono schierati contro l'ipotesi di una sanatoria retroattiva, considerando non contestabile il reato di peculato solo a partire dell' entrata in vigore del decreto. Alla fine il servizio delle Iene non è andato in onda e le immagini girate dalla troupe non sono state sequestrate perché la Procura non poteva fare indagini. La scorta ha inviato al ministero dell' Interno un' informativa di servizio in cui si spiega che gli uomini del presidente «si trovavano in osservazione e controllo» al di sotto dell' abitazione della compagna del premier, in quanto Conte si trovava nell' appartamento della Paladino e i poliziotti attendevano l' uscita imminente del premier. Nell' esposto della Angelilli si legge: «In data 30 ottobre 2020 il quotidiano La Verità ha pubblicato in prima pagina un articolo (che l' esponente di Fratelli d' Italia ha allegato, ndr) dal titolo "Il suocero di Conte non pagava le tasse e neppure i lavoratori. Un decreto lo salva"». L' articolo ricostruiva il «parapiglia» scoppiato la mattina del 26 ottobre, davanti a un piccolo supermercato di via di Fontanella di Borghese a Roma, tra il giornalista delle Iene Filippo Roma e Olivia Paladino, compagna del premier Giuseppe Conte. Angelilli riporta ampi stralci della ricostruzione della Verità: «Filippo Roma stava cercando di intervistare, sulle presunte agevolazioni ricevute dal padre (come ha confermato una fonte che era presente davanti al supermercato, ndr), Olivia Paladino che nel tentativo di sottrarsi all' intervista si sarebbe rifugiata in un negozio da cui sarebbe successivamente uscita scortata da alcuni soggetti che, da quanto riportato dal quotidiano La Verità avevano tutta l' aria di far parte della scorta del presidente del Consiglio». Roma ha anche riferito che quegli uomini ben vestiti si erano «frapposti» tra lui e la Paladino, impedendogli di avvicinarsi. A questo punto Angelilli tocca il cuore della questione: «Se effettivamente la Paladino avesse usufruito di agenti della scorta del presidente del Consiglio», valuta l' ex consigliera regionale, «si sarebbe verificato un uso improprio di personale con funzioni di sicurezza relative a soggetti che ricoprono funzioni pubbliche». Il punto da chiarire, infatti, è proprio legato al ruolo degli uomini intervenuti. La Angelilli ha chiesto alla Procura di «disporre gli opportuni accertamenti in ordine ai fatti così come esposti, valutando gli eventuali profili d' illiceità penale degli stessi e, nel caso, individuare i possibili soggetti responsabili al fine di procedere nei loro confronti». Il 31 ottobre abbiamo scritto un nuovo articolo, in cui si sottolineava «la denuncia per l' intervento della scorta di Giuseppi contro le Iene», in cui raccoglievamo nuove testimonianze. A supportare la nostra versione, poi, è spuntato un video amatoriale pubblicato il 4 novembre sul sito Dagospia. Nelle immagini si vede Olivia Paladino dentro al negozio con la mascherina sul volto, una borsa da palestra appesa all' avambraccio e una stecca di cioccolata in mano. Olivia vuole lasciare nel minimarket il borsone nero. La donna sembra avere confidenza anche con il proprietario del minimarket, che chiama «Ale». Quindi si rivolge a un uomo brizzolato in giacca blu (al bavero, in bella mostra, ha una spilletta rotonda) che le sta accanto e che probabilmente fa parte della scorta: «Ti lascio la borsa qui da Alessandro». Lui ripete per tre volte «sì». E Olivia aggiunge: «Tanto poi lui te la dà». Il presunto guardaspalle aggiunge: «E io la porto a casa, va bene, perché se al domicilio ci vengono dietro è peggio...». Lei riprende il discorso: «Sì, vado a casa, mi serve domattina...». E lui conclude: «Quello sì, cioè... è solo un discorso che poi riprendono l' ingresso però...». I due escono dal campo. E si sente Olivia dire: «Ale, ti lascio la mia borsa». Un uomo con giubbotto nero (probabilmente Ale) risponde: «Dove ce l' hai?». Poi il negoziante passa davanti alla camera del cellulare con la borsa e va alla cassa: «Vai, la tengo dietro a Carla, eh». Quindi si rivolge a un altro uomo che nel frattempo è entrato nel market (probabilmente Filippo Roma) e lo invita a lasciare il negozio: «Deve uscire, deve andare via!». Ieri pomeriggio la notizia dell' iscrizione di Conte girava in tutte le redazioni, dopo che sabato Filippo Roma, protagonista del servizio, era stato sentito come persona informata dei fatti dal pm Villani.
Ilario Lombardo per “la Stampa” il 30 novembre 2020. Prima un servizio delle Iene mai andato in onda sui canali Mediaset, poi un video che finisce sul sito Dagospia che spinge un' ex europarlamentare di Fratelli d' Italia, Roberta Angelilli, a presentare un esposto, datato 30 ottobre, contro il presunto uso privato della scorta del presidente del Consiglio da parte della fidanzata Olivia Paladino. Passa un mese e dalla Procura di Roma filtra la notizia di un' indagine per abuso d' ufficio a carico del premier che già oggi potrebbe essere trasmessa al Tribunale di Ministri e che con tutta probabilità porterà all' inscrizione del capo del governo nel registro degli indagati. Ma per capire come si è arrivati sin qui, e per fare chiarezza tra versioni contrastanti, bisogna riavvolgere il corso degli avvenimenti e mettere ordine tra i fatti, partendo dalla mattina in cui tutto è avvenuto. Il 26 ottobre la compagna del premier si barrica nel supermercato di piazza Fontanella Borghese, nel pieno centro di Roma, a qualche centinaio di metri da Palazzo Chigi. Sta cercando di sfuggire alle telecamere del programma tv le Iene che la tallona per chiederle conto dei presunti mancati pagamenti ai dipendenti del padre di lei, Cesare Paladino, proprietario dell' Hotel Plaza, e di altrettante presunte agevolazioni che sarebbero derivate da un decreto legge. Paladino ha con sé una borsa della palestra, un dettaglio che non passa inosservato all' inviato di Mediaset Filippo Roma, perché proprio il giorno prima era stato firmato il Dpcm che ha decretato la chiusura dei centri sportivi. La donna è nascosta nel supermercato quando, pochi minuti dopo, arriva un uomo della scorta del presidente del Consiglio. L' immagine è mossa, l' audio un po' soffocato ma la si sente dire: «Lascio qui la borsa». E l' uomo della sicurezza di Conte aggiungere: «Sì così io la porto a casa». L' agente vuole evitare che le telecamere riprendano l' ingresso di casa di lei, proprio lì di fronte. Questa è la storia documentata da un video. Si vede la fidanzata, la scorta, un dipendente del supermercato che le dà una mano. Da qui in avanti le versioni delle ricostruzioni dei fatti divergono. Secondo un' informativa inviata al ministero dell' Interno, responsabile dell' organizzazione e degli uomini della sicurezza del premier, un agente si trovava in quel momento sotto l' abitazione della compagna perché Conte «era nell' appartamento». Attenzione, questo è un passaggio fondamentale: l' informativa afferma che il premier non era a Palazzo Chigi, «la scorta era in attesa del presidente quando i poliziotti si sono resi conto della concitazione a pochi metri e di un addetto al supermercato che chiede aiuto per una signora in difficoltà». Nessuna auto di scorta, come qualcuno ha ipotizzato, precisa la relazione al Viminale: «La signora Paladino è tornata immediatamente a casa che è lì a pochi metri» e «non c' è stato alcun intervento da parte di Conte che non era informato, tanto che ha saputo della vicenda soltanto quando è sceso». Dunque, Conte sarebbe stato in casa. Le Iene però la raccontano in maniera diversa. Due giorni fa, l' inviato Filippo Roma è stato sentito dai magistrati come persona informata dei fatti. Il fascicolo è in mano al pm della Capitale Carlo Villani. Roma racconta di essersi piazzato sotto casa di Paladino sin dalle sette del mattino e di non aver mai visto né gli agenti della scorta appostati di fronte, né autoblu. Dopo le 10.30 si fionda con la telecamera su di lei. La scorta interviene, marcandolo stretto mentre tenta inutilmente di rivolgere le domande a Paladino. Roma smentisce quanto scritto nell' informativa inviata al ministero dell' Interno: «Sarebbe molto grave se, in piena pandemia, il premier stesse ancora a poltrire in casa». Infatti, secondo lui, non è così e il premier non era in casa. Tanto più che alle 11.30 Conte era atteso in video-collegamento per commemorare la morte del giovane Willy. «Inoltre, la distanza era davvero minima dal portone di casa - spiega ancora Roma alla Stampa- . Se la scorta fosse stata lì sarebbero intervenuti subito, invece è passato qualche minuto. E poco prima ho visto Olivia mettersi al telefono». Parole che lasciano intravedere la possibilità che gli agenti si siano mossi da Palazzo Chigi dopo una chiamata. Passano cinque minuti e l' inviato delle Iene riceve, comunque, una telefonata da Rocco Casalino, portavoce del premier. Da quanto si apprende anche Casalino e altri membri dello staff, oltre ovviamente a Paladino, dovrebbero essere chiamati dai magistrati come persone informate dei fatti. L' esposto di Angelilli è del 30 ottobre. Da quanto risulta, Conte ha poi chiamato la leader di Fdi Giorgia Meloni per chiedere lumi su questa denuncia. Ma fino a ieri nessuno, o quasi, ne era al corrente.
La fidanzata del premier Conte sotto inchiesta antiriciclaggio per i sospetti di Banca d’Italia. Il Corriere del Giorno il 31 Maggio 2020. Olivia Paladino fidanzata del premier Giuseppe Conte, comproprietaria dell’ Hotel Plaza di Roma,è stata segnalata dall’ Ufficio Antiriciclaggio della Banca d’Italia per una comunicazione di “operazione sospetta” insieme alla sorella Cristiana Paladino e al fratellastro, John Rolf Shawn Shadow. Sotto la lente alcune operazioni finanziarie della società Agricola Andromeda srl, dedita all'”utilizzo di aree forestali”, collegata alla famiglia della Paladino. La segnalazione è relativa ad un finanziamento ricevuto dalla società di famiglia nel lontano 1994 dall’ex Banca popolare della Marsica per la cifra di un miliardo di lire. Un debito che i Paladino avrebbero tentato di rateizzare dal 2016, ma che nel frattempo è stato ceduto dall’ex Banca popolare della Marsica al Monte dei Paschi di Siena il quale a sua volta lo ha ceduto alla Sestino Securitisation srl, una società di cartolarizzazione che ancora oggi detiene il credito nei confronti della famiglia Paladino. E’ proprio a seguito delle trattative dei Paladino con la Securitisation srl , attraverso la mediazione finanziaria della Italfondiario spa e della società Dobank che a giugno 2019, ha cambiato ragione sociale diventando Dovalue, in qualità di agenti della riscossione, che sono partite le due segnalazioni di operazione sospetta con data 23 aprile 2016 e 21 luglio 2017. Ad inviare le segnalazioni alla Banca d’ Italia per delle operazioni ritenute sospette sarebbe stata proprio la Italfondiario a seguito della “mancata trasparenza delle fonti di finanziamento della Andromeda“. Infatti nel 2017 l’ attuale compagna di Giuseppe Conte (che risulta ancora legalmente sposato e mai separato da sua moglie) la sorella ed il fratellastro avevano cercato di sanare un debito di 500.000 euro con un’offerta di 330.000, mediazione che non era andata a buon fine. Due anni dopo, quando l'”avvocato del popolo” …. si era già insediato a Palazzo Chigi, come per incanto…. la società Agricola Andromeda srl, è riuscita a chiudere la propria esposizione debitoria con un versamento di soli 145.000 euro, cioè meno della metà di quanto aveva offerto due anni prima, e meno di un terzo del debito iniziale ! Un’operazione a dir poco sospetta che ha fatto scattare la segnalazione a Bankitalia da parte del riscossore.
Stefano Filippi per “la Verità” il 17 agosto 2020.
Roberto D'Agostino, fondatore e anima del sito Dagospia, che stagione è questa estate post Covid?
«C'è tensione nell'aria, sono vacanze con le nubi e minacce di temporali, dove la gente se ne va a Ibiza o in Croazia inconsapevole di rischiare la vita».
Parliamo di Giuseppe Conte fotografato in spiaggia con la compagna bella, triste e silenziosa.
«A dire il vero mi domando perché nessuno riesce a intervistare la moglie separata di Conte».
Magari lei non vuole.
«Si va a rompere i coglioni a tutti, bisognerebbe romperli un po' anche a lei».
E Olivia Paladino?
«È una donna che pone molte domande. Sua figlia porta il cognome della madre, ma chi è il padre? E poi c'è il fatto che Conte è andato ad abitare a Palazzo Chigi, ma vive con lei in un altro appartamento dalle parti di via del Corso. Saranno anche cazzi suoi, ma quando uno diventa premier diventano cazzi di tutti».
Simonetta Sciandivasci per ilfoglio.it il 16 agosto 2020. Su Instagram, Olivia Paladino la chiamano Princess Holly. Ha il suo comitato di groupies (risicato, ma la signora si farà), Le bimbe di Olivia Paladino, costola non autorizzata di Le bimbe di Giuseppe Conte, che segue, venera, lumeggia il Premier e fa di lui un meme da fotoromanzo, un maschio maschile ma non virile, romantico mai principesco, seducente mai batrace. E solo, soprattutto. Disponibile. Nostro. Ottimo partito, in senso tanto politico quanto maritale. Non c’è una foto, nell'Instagram delle groupies, in cui lui sia con lei, che del resto ha preso a comparirgli di fianco pubblicamente da molto poco, e sempre per poco, con l’aria distaccata di chi siede a una tavolata di grecisti che parlano solo greco antico, l’aria dell’universo assente. Olivia Paladino si vede ma non c’è, le foto che circolano di lei sono quasi tutte rubate, in tutte guarda altrove, sorride poco, non fa trapelare altro che non sia il dovere di presenza, che assolve con formalità perfetta e glaciale. Non sappiamo che voce abbia, e direte che questa non è una novità, la first lady all’italiana è una mamma all’italiana: comparsa in pubblico, regista in privato; fantesca fuori, monarca dentro. Ed è vero, di tutte le mogli dei nostri premier non abbiamo conosciuto che il nome e cognome da nubili, nel caso di Agnese Landini, la signora Renzi, anche professione e prezzo dei golfini. Nei giorni scorsi qualche indignato con molto tempo libero e condizionatori ha tentato di appiccare un incendio dolciniano ai danni di Holly, fotografata con una Kelly di Hermès molto costosa, ma le fiamme non hanno divampato che in qualche caminetto, anche perché attenti non lavoratori hanno analizzato le foto della borsa e sancito che non si tratta di una Hermès – sìssignori, c’è gente che ha avuto mille cose, tutto il bene e tutto il male del mondo, e chi ha avuto solo il debunking delle irritazioni da giardino. E però di Paladino non conosciamo la voce perché è lei a non voler parlare, e non perché le venga richiesto di non farlo: è lei che si sottrae, si ritrae, e riesce a farlo senza mai darci l’impressione di volerci schivare, ma sembrando sempre, semplicemente, altrove. Lei ha il suo albergo di famiglia, l’Hotel Plaza, e i suoi amici, le borse, sua figlia, il suo bel mondo romano che quasi non si direbbe romano da quanto è signorile, la sua allure, il suo mistero, la sua malinconia latente nei momenti più felici. Accompagna il compagno quando può, quando proprio deve, e si porta addosso tutta la sua estraneità che la rende inattaccabile, intoccabile, immune alla lusinga della popolarità. Lui Premier e lei imprenditrice, lui poroso, lei impermeabile. Lui meridionale, e non c’è pochette a quattro punte nel taschino che possa cancellarlo, lei romana con sangue svedese, quindi immune alla dolcezza truce daa capitale der monno infame. Olivia e Giuseppe non li vediamo abbracciati mai, mano nella mano neppure, ma su qualche copertina estiva quest’anno siedono in spiaggia, abbracciati in modo lasco, molto ma molto paritario, diciamo nordeuropeo, tutti e due con gli occhi verso il mare, verso l’orizzonte, tutti e due concentrati su altro. Holly non cede al popolare come Filippa di Svezia (Lagerback, naturalmente, che s’è fatta baciare e sbranare dal marito Daniele Bossari, quando è andata a trovarlo al Grande Fratello, perché sapeva d’essere la sua unica speranza per riprendere terreno, e infatti lui da quasi espulso che era, ha vinto l’edizione). Holly non cede alla passione come Ingrid Bergman, svedese pure lei, che con Roberto Rossellini fece l’amore “quasi in piedi”, durante un festino, a casa di amici, e rimase incinta. Figuriamoci. Non sono cose da first lady, men che meno una first lady morganatica come lei, che non è sposata ma soltanto fidanzata. Lei è inarrivabile, inavvicinabile, alta, seria, adeguata, inespugnabile. Lui la porta a fare la spesa in loden in giacca e cappotto blu servitore dello Stato, e lei sbuffa. Lui è carico di sacchetti, lei ha le braccia conserte e la faccia contrariata, così contrariata che i giornali scrivono che i bellissimi sono ai ferri corti. È il novembre del 2019, di Holly si sa ancora così poco che la cantonata è inevitabile. Invece, e lo abbiamo imparato col tempo, quella fotografia è la radiografia della coppia, di Conte, del governo. Lui si sforza di sorridere, di mostrarsi agile e cioè abituato alla manutenzione ordinaria, ma aggrotta la fronte così tanto che sembra sentirlo imprecare. Lei, libera da ogni obbligo, se ne fotte completamente e fa chi è, è chi fa. Lui ne esce da eroe, compagno accorto e liberale, progressista gentile, diremmo quasi di sinistra se non fosse che i peggiori maschilisti sono i maschi di sinistra (ma non lo sanno, non lo fanno apposta, è maschilismo introiettato). Lei ne esce da Regina delle Nevi. Dicono alcuni che in privato Olivia sia assai imperiosa, e suggerisca (intimi?) a Conte tutto o quasi tutto, ne sia consigliera, timoniera, maestra. Anche se a noi non sembra, perché a noi sembra che quel ruolo spetti a Rocco Casalino, che lo desidera con lo stesso ardore che lacerava Marilyn Monroe quando cantava Happy Birthday, Mr President e che invece, pare, stia sostanzialmente nelle mani di Olivia. C’è il modo Kardashian d’essere first lady e il modo Holly: il Kardashian prevede che lei non si stacchi mai da lui, ne diventi garante, trasfonda e travasi la sua popolarità in suo favore; l’Holly prevede una studiatissima, quasi lacerante indifferenza. Lui va per la sua strada, lei per la sua, s’incontrano a cena ogni tanto e mangiano un fiore, lo confondono con l’amore, capita che vadano al cinema all’aperto, e si siedano per terra, a piazza San Cosimato, tra i cinefili del Cinema America che non han padrone come te. Lui giovanile, lei principesca, anzi principessa: come la Jasmine di Aladin riconoscibile dall’allure pure con addosso un sacco di patate. Tanto principessa che le sue borse sembrano Hermes anche quando non sono Hermès, perché l’Hermès lei lo irradia, lo ha nel sangue, non importa che lo indossi o no: addosso a lei tutto diventa Hermès.
Paladino (Hotel Plaza) ristruttura 57 milioni di debiti. Andrea Montanari per “MF” l'11 febbraio 2021. L’assenza di turisti ha avuto colpito il business alberghiero romano e i riflessi sul comparto immobiliare sono stati rilevanti. Così la famiglia di imprenditori del real estate Paladino, composta dal padre Cesare e dalle figlie Cristiana e Olivia (è la compagna del premier Giuseppe Conte), proprietaria dello storico Grand Hotel Plaza (5 stelle lusso e 200 stanze) è dovuta ricorrere a una procedura per risanare i conti del gruppo. In particolare, come emerge dai documenti delle società Immobiliare di Roma Splendido e della controllante Archimede Immobiliare - la capofila della galassia è la Agricola Monastero Santo Stefano Vecchio -, i Paladino hanno definito accordi di ristrutturazione e risanamento del debito con Unicredit, l’unica banca esposta. Nel dettaglio il progetto prevede che le due società, esposte complessivamente per 57,63 milioni (una ventina di milioni il credito vantato dalla banca milanese) definiscano nei prossimi anni la dismissione di asset real estate per un ammontare di 24,8 milioni. Il tutto per saldare il debito con Unicredit ma soprattutto con l’Agenzia delle entrate, gli istituti di previdenza e il Comune di Roma. I due piani (quello di Archimede al 2026 e quello di Immobiliare Roma Splendido al 2030) prevedono l’inte- grale saldo del debito con il Fisco e con la giunta capitolina con pagamenti su base pluriennale. I flussi di cassa per rispettare le scadenze prestabili- te saranno garantiti, oltre che dalle dismissioni di immobili a Roma e di un castello a Torre Sabina (Rieti), dall’incasso del canone d’affitto di 5,5 milioni, che tornerà a versare da giugno la società che gestisce il Plaza e che fa sempre riferimento ai Paladino, proprietari tra l’altro della maison di moda Sorelle Fontana.
Il «suocero» di Conte vende immobili e castello. Fabio Amendolara e Giuseppe China per “La Verità” l'11 febbraio 2021. La famiglia Paladino, padre Cesare in testa e le figlie Cristiana e Olivia (compagna del premier Giuseppe Conte), ha avviato con la banca Unicredit la procedura di ristrutturazione e risanamento del debito del gruppo che amministra. I Paladino sono proprietari dello storico Grand hotel Plaza di Roma (un 5 stelle lusso al momento chiuso per ristrutturazione). Come emerge dai documenti delle società Immobiliare Splendido e della controllante Archimede Immobiliare (la capofila della galassia è la Agricola Monastero Santo Stefano Vecchio), i Paladino, riporta Milano finanza, avrebbero già definito gli accordi. Per la precisione, a essere parte della pratica, per un rimodulazione del debito complessivo di 57,63 milioni di euro, sono le società Immobiliare Splendido e la Archimede immobiliare. Il progetto con la banca milanese, cui spettano circa 20 milioni, prevede la dismissione di asset per un ammontare di 24,8 milioni. Sono quindi stati predisposti due piani, il primo per Archimede e il secondo per Immobiliare Splendido (con scadenze rispettivamente 2026 e 2030), che stabiliscono l'integrale saldo di quanto dovuto al Fisco e alla giunta romana con pagamenti su base pluriennale. Tra i creditori, infatti, ci sono anche l'Agenzia delle entrate, gli istituti di previdenza e il Comune di Roma.
Capitolo fisco: la cosiddetta «rottamazione ter», varata dal Conte uno, ha permesso la rateizzazione senza multe e interessi di 27 milioni di euro. Però quando mancavano ancora 15 milioni da versare, i Paladino hanno smesso di pagare chiedendo che le dieci rate venissero trasformate in 18. Per quanto riguarda l'Inps non bisogna dimenticare che la Procura di Roma ha aperto un'indagine a carico del «suocero» di Conte che non avrebbe pagato i contributi ai dipendenti. Ma c'è anche la più nota vicenda legata al mancato versamento della tassa di soggiorno al Comune di Roma, per un importo di circa due milioni, somma che il proprietario del Plaza avrebbe dovuto bonificare tra il 2014 e il 2019, e che invece aveva trattenuto. Circostanza che si è conclusa prima con il patteggiamento a un anno e due mesi per peculato, poi grazie al Decreto rilancio quel reato è stato depenalizzato. La sentenza è stata poi revocata e Paladino quindi eviterebbe anche la super multa, perché al momento dei fatti la riforma non era ancora in vigore. L'impegno economico per la ristrutturazione del debito è garantito dalla dismissione di immobili a Roma e di un castello a Torre Sabina (Rieti) e anche dall'incasso del canone di affitto di 5,5 milioni che tornerà a essere versata dalla società che gestisce il Plaza. La struttura negli ultimi mesi è stata al centro delle cronache anche per i racconti degli ex dipendenti per il mancato pagamento degli stipendi. E ora arriva l'ennesima stoccata dall'ex chef executive André Evans, il quale sul suo profilo Facebook ha scritto in un italiano sgangherato: «E noi ex dipendente aspettiamo ancora la liquidazione non percepito ma dichiarato nel unico dati falsati, aspettiamo il legge a fare il suo percorso... Bravo Cesare e Olivia della vostra onesta... Sotto le scarpe».
André Evans, lo chef contro Olivia Paladino e papà: "Onestà sotto i piedi, aspetto la legge". Imbarazzo per Giuseppe Conte. Libero Quotidiano il 09 febbraio 2021. André Evans, per circa sei anni è stato chef executive al Grand Hotel Plaza di Roma, di proprietà del suocero di Conte, Cesare Paladino. A marzo 2019 ha lasciato ed è andato a dirigere il ristorante della Banca d'Italia. L'addio a Paladino non è stato dei migliori. Sulla pagina Facebook di Evans, lo scorso 23 gennaio, infatti, si è sfogato contro il suo ex datore di lavoro e la figlia Olivia, compagna di Giuseppe Conte: "Aspettiamo che la legge faccia il suo corso La vostra onestà... sotto i piedi". Andre Evans ha lavorato al Grand Hotel Plaza dal 2013 al 2019 e ha scoperto tramite il Tempo che il suocero del premier abbia usufruito degli ammortizzatori sociali, istituiti per l'emergenza Coronavirus, per indennizzare la sorella della fidanzata di Conte. "E noi ex dipendente aspettiamo ancora la liquidazione non percepito, ma dichiarato nel unico dati falsati, aspettiamo il legge a fare il suo percorso... Bravo Cesare e Olivia della vostra onesta... Sotto le scarpe", lo sfogo dello chef. Al cuoco non sarebbe stata versata la liquidazione. "Confermo, ma sono stato ingannato alla grande! Non credo che sarà così facile, ma non perdo speranza". Eppure sul profilo Instagram del Plaza i Paladino parlavano molto bene dei piatti di Evans e del suo curriculum: "Il nostro executive chef si è laureato in Francia e vanta prestigiose esperienze in tutta Europa". Ora Evans è passato al gruppo Pellegrini che, gestisce anche la ristorazione per i dipendenti di Palazzo Koch, la sede della Banca d'Italia dove è cresciuto professionalmente Mario Draghi. Una coincidenza curiosa in questi giorni in cui il passaggio di consegne tra Conte e l'ex governatore della Bce è sempre più vicina. Corsi e ricorsi che non sembrano portare bene al premier dimissionario che vede perdere il suo posto a Palazzo Chigi, e vede il suo ex cuoco lavorare nella "casa" professionale di chi gli toglierà il posto.
Da iltempo.it il 9 febbraio 2021. Prima ancora di Sergio Mattarella c’era qualcuno che già aveva capito quanto fosse opportuno liberarsi di Giuseppe Conte per affidarsi a Mario Draghi. Si tratta del maestro dei fornelli André Evans. Che per circa sei anni è stato «chef executive» al Grand Hotel Plaza di Roma, di proprietà del suocero di Conte, Cesare Paladino. E poi, a marzo 2019, ha trasferito la sua arte culinaria nel ristorante della Banca d’Italia. Un ambiente che più «draghiano» non si potrebbe. Il «divorzio» dai Paladino, però, dev’essere avvenuto in maniera piuttosto turbolenta. Lo si capisce scorrendo la pagina Facebook di Evans. Il 23 gennaio, infatti, lo chef posta sulla sua bacheca lo scoop del Tempo che racconta come il gruppo fondato dal suocero del premier abbia sfruttato gli ammortizzatori sociali varati a causa dell’emergenza Coronavirus per indennizzare la sorella della fidanzata di Conte. Che, però, oltre a essere dipendente, è anche proprietaria dello stesso gruppo. La notizia manda su tutte le furie Evans, che «condisce» il post con parole di sdegno: «E noi ex dipendente aspettiamo ancora la liquidazione non percepito ma dichiarato nel unico dati falsati, aspettiamo il legge a fare il suo percorso... Bravo Cesare e Olivia della vostra onesta... Sotto le scarpe». Nonostante l’italiano non perfetto (Evans è di origini londinesi), il senso del messaggio è abbastanza chiaro: al momento del divorzio professionale, al cuoco non sarebbe stata versata la liquidazione. E la vicenda avrebbe tuttora una coda legale. Anche se lo chef non sembra essere molto ottimista in proposito. Un amico gli scrive: «Spero tu ti sia già rivolto ad un legale». E André risponde: «Confermo, ma sono stato ingannato alla grande! Non credo che sarà così facile ma non perdo speranza». Per non citare altri commenti in cui quelli che sembrerebbero a loro volta ex dipendenti del gruppo rimproverano a Evans di essersi mosso troppo tardi perché «conoscevi il soggetto». Una storia d’amore e di fornelli finita piuttosto male, dunque. Eppure, quando lo chef cucinava per i Paladino, i datori di lavoro sembravano soddisfatti del suo operato. Sul profilo Instagram del Plaza spendevano parole al miele per i suoi piatti e ne magnificavano il curriculum: «Il nostro executive chef si è laureato in Francia e vanta prestigiose esperienze in tutta Europa». Poi qualcosa si è rotto. E così Evans è passato al gruppo Pellegrini che, tra le altre cose, si occupa della ristorazione per i dipendenti di Palazzo Koch. Una sistemazione economicamente molto più sicura rispetto alla precedente, visto che le difficoltà contabili dei Paladino sono ormai cronaca quotidiana in rassegna stampa. Sempre a fine gennaio, Il Tempo raccontava come, tra Imu e Tasi non pagate, la famiglia acquisita di Conte sia debitrice del Comune di Roma per la bellezza di 11 milioni e mezzo di euro. A tal proposito, i Paladino hanno proposto all’amministrazione Raggi un piano di rientro della durata di sei anni.
Franco Bechis per “il Tempo” il 25 gennaio 2021. C’è una inchiesta della procura di Roma sui bilanci del gruppo guidato da Cesare Paladino, il suocero di Giuseppe Conte, papà di Olivia, la compagna del premier. L'indagine ha il numero di registro 34401/20 e le ipotesi di reato sono quelle previste dalla legge 74 del 2000, a iniziare da quelle contenute nell'articolo 10 bis, sull'omesso versamento di ritenute dovute e certificate. Il reato ipotizzato è ai danni dell'Inps, a cui non sarebbero stati versati né in tempo né in ritardo contenuto i versamenti dovuti per i dipendenti di alcune società. Al centro dell'inchiesta c'l'Immobiliare di Roma splendido srl di cui oggi è amministratore unico proprio il suocero del premier. È la società che oltre a numerosi altri cespiti è proprietaria anche delle mura dell'Hotel Plaza, il cinque stelle gestito dalla stessa famiglia Paladino attraverso una altra società controllata. L'indagine della procura ha ad oggetto proprio i debiti con l'Inps riportati nel piano di risanamento del gruppo sottoposto dai Paladino al principale creditore bancario, Unicredit, per ottenere quello sconto da 15,5 a 4,5 milioni di euro svelato giorno proprio da Tempo. In quel documento si ipotizzava una rateizzazione del dovuto all'Inps in sei anni a partire dal 2021 per 871.307 euro complessivi. Cifra minore rispetto ad altri debiti tributari, ma non versare i contributi all'Inps fa scattare il reato penale (con pena possibile compresa fra 6 mesi e due anni) al di sopra dell'omissione di 150 mila euro da versare. Ed è quel che contesta la procura agli amministratori del gruppo. Conferma attraverso il suo avvocato di avere ricevuto la notizia dell'indagine con la richiesta di elezione di domicilio il cognato del premier Shawn Jhon Shadow, figlio di primo letto di Ewa Aulin, la mamma della fidanzata del premier e dell'altra sorella Cristiana. Shawn Jhon infatti era stato amministratore dell'Immobiliare splendido fino al 2017, in un periodo in cui quella immobiliare aveva assunto la forma giuridica della sas. Ma l'indagine riguarda anche il bilancio di quell'anno e sicuramente quello dell'anno successivo. Al momento nella Immobiliare Roma Splendido risulta ancora un debito residuo con Inps di 50.380 euro relativi al 2017, di 163.380 euro relativi al 2018 e di 171.542,99 euro relativi all'anno 2019, oltre a quelli in essere del 2020. Il suocero di Conte per altro era stato messo sull'avviso dal sindaco e revisore unico, Barbara Piconi, nella sua relazione pubblicata in calce al bilancio 2018 dell'immobiliare, avvertendo «che la situazione debitoria verso il fisco potrebbe attenuarsi nel caso di conclusione positiva e dunque con il pagamento dell'ultima rata nel piano del le adesioni alle cd "rottamazione bis e ter" ma ciò non toglie la responsabilità penale connessa alle soglie di punibilità che la scrivente ha rammentato all'amministratore nel corso delle verifiche trimestrali esortandolo ad adempiere entro i termini prestabiliti». Non bastava quindi aderire alle rottamazioni, anche a quelle varate dal governo Conte, per cancellare la responsabilità penale dei mancati versamenti. E ora i nodi vengono al pettine davanti alla procura di Roma, che a questo punto ha acceso un faro su tutto il gruppo. Nonostante i mancati versamenti all'Inps dei contributi dovuti la società, come svelato da il Tempo, ha chiesto ed ottenuto all'istituto di previdenza l'accesso alla cassa integrazione Covid per i nove dipendenti, fra cui figurano la figlia di Paladino, Cristiana e appunto Shawn Jhon Shadow. Proprio lui ci ha tenuto a fare sapere con la lettera del suo legale Angelo di Silvio che pubblichiamo integrale di avere rice vuto effettivamente la cassa Covid, per altro pagata con grande ritardo come sanno bene tutti i dipendenti italiani (il 18 gennaio sono stati accreditati 851,95 euro relativi al periodo 22 giugno- 18 luglio e certo non è un record di tempestività). Il fratellastro della fidanzata di Conte ci tiene però a fare sapere di non essere affatto un riccone, perché quello stipendio ora ridotto a cassa Covid la sua unica entrata, e il trattamento ricevuto in famiglia non è quello di chi ritiene che i figli siano tutti uguali. Da quel che viene scritto sembra che non si vada così d'amore e d'accordo in quella famiglia. E c'è da aspettarsi che la saga familiare non finisca affatto qui. Ma prima bisogna affrontare la procura di Roma.
LA PROCURA DI ROMA INDAGA SUI BILANCI DEL GRUPPO GUIDATO DA CESARE PALADINO SUOCERO ACQUISITO DI “GIUSEPPI” CONTE. Il Corriere del Giorno il 5 Febbraio 2021. IL REATO IPOTIZZATO È OMESSO VERSAMENTO DI RITENUTE DOVUTE E CERTIFICATE. AL CENTRO DELL’INCHIESTA C’È LA SOCIETÀ “IMMOBILIARE DI ROMA SPLENDIDO SRL” , PROPRIETARIA DELL’HOTEL PLAZA GESTITO DALLA STESSA FAMIGLIA PALADINO.. Fra i faldoni delle inchieste su cui sta lavorando la Procura di Roma compare quella che ha il numero di registro 34401/20 sui bilanci del gruppo societario guidato da Cesare Paladino, il cosiddetto suocero di Giuseppe Conte, padre di Olivia, la compagna dell’ormai ex-premier, per la quale ha lasciato moglie e figlio. Le ipotesi di reato per cui si procede sono quelle previste dalla legge 74 del 2000, a iniziare da quelle contenute nell’articolo 10 bis, sull’omesso versamento di ritenute dovute e certificate. Il reato ipotizzato dai magistrati è di danni economici all’Inps, procurati dalla società Immobiliare Roma Splendido con sede a Roma di cui oggi è amministratore unico proprio Cesare Paladino neo-suocero “acquisito” dell’ ex premier Conte, che non avrebbe versato né nei termini previsti tempo né tantomeno in un ritardo contenuto i versamenti previdenziali dovuti per i dipendenti di alcune società della famiglia Paladino. La società Immobiliare Splendido srl è proprietaria anche delle mura dell’Hotel Plaza di Roma, il cinque stelle gestito dalla stessa famiglia Paladino attraverso una altra società controllata, oltre a numerosi altri cespiti. L’indagine della procura capitolina verte sui debiti con l’Inps riportati nel piano di risanamento del gruppo presentato dalla famiglia Paladino al principale creditore bancario, Unicredit, per ottenere il considerevole sconto da 15,5 a 4,5 milioni di euro, svelato alcuni giorni fa dal quotidiano romano Il Tempo diretto da Franco Bechis. In quel piano di risanamento si proponeva una rateizzazione dell’ esposizione nei confronti dell’Inps , dilazionata in sei anni a partire dal 2021 per una somma complessiva di 871.307 euro. Una esposizione minore rispetto ad altri debiti tributari in essere, solo che non versare i contributi all’Inps fa scattare il reato penale che prevede una pena compresa fra 6 mesi e 2 anni di carcere, al di sopra dell’omissione di 150 mila euro da versare. E’ questa la contestazione della procura romana agli amministratori del gruppo Paladino. La conferma come scrive Il Tempo arriva da Shawn Jhon Shadow, figlio di primo letto di Ewa Aulin, la mamma della fidanzata del premier e dell’altra sorella Cristiana, che è diventato cognato acquisito dell’ex-premier Conte. Shawn Jhon Shadow attraverso il suo avvocato ha confermato di avere ricevuto la notizia dell’indagine con la formale notifica di elezione di domicilio, in quanto era stato fino al 2017 amministratore dell’Immobiliare Splendido, in un periodo nel quale la società aveva assunto la forma giuridica della S.a.s. (società in accomandita semplice). Ma l’indagine in corso riguarda non solo il bilancio di quell’anno, ma certamente anche quello dell’anno successivo. Attualmente nei bilanci della Immobiliare Roma Splendido risulta ancora un debito residuo con Inps di 50.380 euro relativi al 2017, di 163.380 euro relativi al 2018 e di 171.542,99 euro relativi all’anno 2019, oltre a quelli in essere del 2020. Cesare Paladino era stato messo sull’avviso dal sindaco e revisore unico della società , Barbara Piconi, nella sua relazione pubblicata in calce al bilancio 2018 dell’immobiliare, dove segnalava “che la situazione debitoria verso il fisco potrebbe attenuarsi nel caso di conclusione positiva e dunque con il pagamento dell’ultima rata nel piano del le adesioni alle cd “rottamazione bis e ter” ma ciò non toglie la responsabilità penale connessa alle soglie di punibilità che la scrivente ha rammentato all’amministratore nel corso delle verifiche trimestrali esortandolo ad adempiere entro i termini prestabiliti“. Pertanto non era sufficiente aderire alle rottamazioni, anche a quelle varate dal governo Conte, per annullare la responsabilità penale dei mancati versamenti, su cui indaga la Guardia di Finanza delegata dalla Procura di Roma, che a questo punto ha acceso un faro su tutto il gruppo. Ma c’è dell’incredibile. Infatti nonostante i mancati versamenti all’Inps dei contributi dovuti la società Immobiliare Roma Splendido, ha chiesto ed ottenuto all’istituto di previdenza l’accesso alla cassa integrazione Covid per i nove dipendenti, fra cui figurano la figlia di Paladino, Cristiana e appunto Shawn Jhon Shadow. Proprio Shawn Jhon Shadow attraverso la lettera del suo legale Angelo di Silvio ha reso noto di avere ricevuto effettivamente la cassa integrazione Covid, per altro pagata con grande ritardo come sanno bene tutti i dipendenti italiani (il 18 gennaio sono stati accreditati 851,95 euro relativi al periodo 22 giugno- 18 luglio e certo non è un record di tempestività). Il fratellastro di Olivia Paladino, fidanzata di Giuseppe Conte, ha tenuto di fare sapere di non essere affatto un benestante, perché quello stipendio ora ridotto a cassa Covid è la sua unica entrata economica, e il trattamento ricevuto dalla famiglia di Cesare Paladino non è quello di chi ritiene che i figli siano tutti uguali. Ma c’è da aspettarsi che la “faida” familiare non finisca qui. Ma prima di ogni caso la famiglia Paladino deve affrontare la Procura di Roma. Dove il caro “Giuseppi” ormai non può più fare nulla…
Contributi non pagati, indagati i «Paladinos». Francesco Bonazzi per "La Verità" il 26 gennaio 2021. Lo spettro dei Renzi, famiglia dalle inesauribili disavventure giudiziarie, inizia ad agitare anche il già traballante Giuseppe Conte. Saranno forse gli storici a stabilire se a Palazzo Chigi possa salire solo gente con famiglie problematiche, oppure se vi sia una sorta di maledizione nelle tappezzerie cinquecentesche che colpisce i familiari di chi diventa presidente del Consiglio senza passare dalle urne. Ma intanto, alla vigilia della relazione annuale sullo stato della giustizia del ministro Alfonso Bonafede, la giustizia stessa si occupa dei bilanci della famiglia di Olivia Paladino, la biondissima e silenziosa compagna quarantenne del premier. Come ha riferito ieri Il Tempo, c' è un' inchiesta della Procura di Roma, guidata da Michele Prestipino, sui bilanci del gruppo immobiliare e alberghiero guidato da Cesare Paladino, che in quanto papà di Olivia è il suocero di fatto di Giuseppe Conte. L' indagine ha il numero di registro 34401/20 e le ipotesi di reato per le quali i pm procedono sono quelle previste dalla legge 74 del 2000, sull' omesso versamento di ritenute previdenziali dovute e certificate. Il reato ipotizzato è ai danni dell' Inps, a cui non sarebbero stati versati in tempo, o almeno in un ritardo contenuto, una serie di contributi per i dipendenti. L' inchiesta ha come perno centrale i conti della «Immobiliare di Roma Splendido srl», società amministrata da Cesare Paladino che, tra le sue varie partecipazioni, annovera le mura dell' Hotel Plaza di Roma, albergo di lusso gestito da un' altra società dei Paladino. Gli importi contestati sono superiori alla soglia di punibilità dei 150.000 euro e sarebbero pari a oltre 850.000 euro. Il reato ha pene relativamente lievi, comprese tra i sei mesi e i due anni, e va detto che in tempi di crisi economica è spesso messo in discussione. Tuttavia, in base alle carte della transazione tra la famiglia Paladino e Unicredit, che nei mesi scorsi ha concesso un robusto sconto sulla posizione debitoria (da 15 milioni e mezzo a soli quattro e mezzo), sembra di capire che i contributi non versati siano relativi ad anni precedenti alla crisi Covid. Sono così finiti nel mirino della Procura romana Cesare Paladino e il figliastro Shawn John Shadow, figlio di primo letto dell' attrice svedese Ewa Aulin. Le indagini riguardano i bilanci del 2017 e del 2018 e non è chiaro se coinvolgano anche Olivia Paladino e la sorella Cristiana. Come riporta il quotidiano romano, l' indagine penale non è esattamente un fulmine a ciel sereno, almeno per il suocero del premier. Il sindaco e revisore unico Barbara Piconi, nella relazione di accompagnamento al bilancio del 2018, osservava che «la situazione debitoria verso il fisco potrebbe attenuarsi nel caso di conclusione positiva e dunque con il pagamento dell' ultima rata prevista nel piano delle adesioni alle cd «rottamazione bis e ter» ma ciò non toglie la responsabilità penale connessa alle soglie di punibilità che la scrivente ha rammentato all' amministratore nel corso delle verifiche trimestrali esortandolo ad adempiere entro i termini prestabiliti». Significa che anche approfittando delle provvidenziali rottamazioni disposte dal genero Giuseppi, la famiglia Paladino aveva di fronte un rischio penale. Ma la crisi deve avere avuto un impatto pesante anche su questa famiglia dell' alta borghesia romana, che oltre a essere esposta su settori a rischio come l' alberghiero e l' immobiliare, aveva evidentemente già una profonda situazione debitoria con le banche, sulla quale si sono abbattute la pandemia cinese e i lockdown decisi dal governo. Altro segnale di difficoltà, come raccontato domenica, è il fatto che sorella e fratellastro della first fidanzata hanno chiesto e ottenuto la cassa integrazione Covid come due barman qualsiasi. Per altro, pare che Shawn non se la passi benissimo, o almeno non tanto bene come le sorellastre, e questo sarebbe causa di qualche incomprensione in famiglia. È una piccola divaricazione che si coglie anche nella lettera del suo avvocato viterbese, Angelo Di Silvio, nella quale si conferma che il giovane ha preso la cassa integrazione, ma si spiega che l' ha chiesta perché non ha altri redditi. Ora, sperando che Conte non inizi proprio da qui per lo snellimento della giustizia e le depenalizzazioni dei reati finanziari prossimi venturi, la famiglia della sua Olivia rischia di collezionare avvisi di garanzia. Soprattutto per via di papà Cesare, già graziato nei mesi scorsi, quando un patteggiamento a un anno e due mesi per l' evasione milionaria della tassa di soggiorno, dovuta dai suoi alberghi al Comune di Roma, si è sciolta come neve al sole grazie a una depenalizzazione varata dal genero. Buono per i Paladinos, ma va detto che se simili fortune fossero capitate a un Berlusconi avremmo probabilmente assistito ai girotondi intorno a Palazzo Chigi. O sotto il vicino Plaza. E però il grande nemico del momento di Conte, Matteo Renzi, ha a sua volta a che fare con una famiglia che gli procura fastidi a raffica. Il papà Tiziano rischia il processo per lo scandalo Consip e con le società di famiglia ha combinato pasticci di ogni genere, talvolta insieme alla moglie Laura Bovoli. Da notare, che la prima disavventura giudiziaria dei coniugi Renzi è del 1998 e riguardava contributi Inps non pagati per i dipendenti della loro società di distribuzione di giornali. Un' eventuale riappacificazione politica di Renzi e Conte potrebbe partire proprio da qui: o l' abolizione della famiglia, o l' abolizione dei contributi Inps.
Franco Bechis per iltempo.it il 22 gennaio 2021. Sono brutti tempi davvero per tutti. Pensate che perfino la famiglia acquisita del presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, quella della fidanzata Olivia, è finita in cassa integrazione in deroga fino allo scorso mese di novembre. Messi in cassa Covid concessa proprio dal governo per l'emergenza coronavirus per buona parte dell'anno scorso sia la sorella della fidanzata del premier, Cristiana Paladino, che il fratellastro Shawn John Shadow, figlio di primo letto della suocera del premier, Ewa Aulin. Entrambi erano infatti dipendenti di una delle società del gruppo fondato dallo suocero di Conte, Cesare Paladino. Assunti dalla società proprietaria- fra l'altro- delle mura del celebre Hotel Plaza di via del Corso: la Immobiliare di Roma Splendido srl. Cristiana impiegata a tempo indeterminato dal primo luglio 2017 come segretaria di direzione a 62.621 euro l'anno, e John assunto sei mesi dopo con la stessa identica qualifica a 59.473 l'anno. E' arrivata la batosta del virus e la società amministrata proprio dal suocero non ha potuto fare altro che ricorrere agli ammortizzatori sociali messi a disposizione da Conte prima con il decreto Cura Italia e poi con il Rilancio Italia. Legittimo, e i poveretti hanno dovuto tirare un po' la cinghia perché la Cassa Covid interamente a carico dello Stato italiano non è che eroghi grandi mensili, inferiori ai mille euro mensili. Ne hanno usufruito tutti i dipendenti della Immobiliare Roma splendido (sono 9 in tutto), e quindi anche i due cognati di Conte. Che però non sono dipendenti come tutti gli altri, perché insieme alla terza sorella, la fidanzata del premier, sono i reali proprietari del gruppo Paladino, visto che è interamente in mano ai tre figli il capitale della società holding che controlla tutto il gruppo: la Agricola Monastero Santo Stefano Vecchio srl. Il 47,5% della proprietà del gruppo è in mano proprio ad Olivia, una quota identica è in mano alla sorella Cristiana e il 5% a John, che è figlio acquisito per Cesare Paladino. Dunque è stata concessa la cassa Covid dal governo a dipendenti che però erano anche imprenditori con partecipazioni che valgono milioni e milioni di euro. Ed è assai meno comune che gli ammortizzatori vengano concessi a lavori dipendenti che sono anche proprietari milionari. Ma è stata data, come è certificato nelle corpose carte del piano di risanamento della società presentato ai creditori (in primis Unicredit) e asseverato da un professionista di primo ordine come il professore Pierpaolo Singer. Non è noto se nella Cassa Covid nella famiglia acquisita dal premier sia finita anche la sola che manca: Olivia. Lei non è dipendente della società che possiede le mura del Plaza, ma di quella che gestisce l'albergo di lusso, che si chiama Unione esercizi alberghi di lusso (Uneal), dove risulta inquadrata come “general manager” e formalmente come “quadro” della società. Non facendo parte direttamente dei piani di ristrutturazione del debito del gruppo Paladino, non ci sono documenti dettagliati se non l'ultimo bilancio a disposizione. Lì si spiega che i dipendenti sono in tutto 67, e si spiega che da marzo avendo dovuto chiudere l'albergo per i dipendenti si è pensato alla Cassa Covid concessa dal governo. Ma le notizie all'interno dello stesso bilancio sono contraddittorie. Nella nota integrativa è scritto: “a causa della chiusura delle attività prevista dalla emergenza Covid 19, a partire dal mese di marzo 2020, aderendo alle norme del cd Decreto Cura Italia e del successivo Decreto Rilancio, tutti i dipendenti della società sono stati messi in CIG in deroga: ciò comporterà una riduzione dei costi fissi ad essi legati che si rifletterà nel bilancio 2020”. Se tutti in cassa Covid, allora anche Olivia. Ma nella relazione sulla gestione degli amministratori si scrive che “il 90% dei dipendenti della società è stato messo in Cig in deroga legata all'emergenza Covid”, quindi non proprio tutti e forse Olivia se l'è risparmiata a differenza dei due fratelli. Qualche problema non da poco nel gruppo Paladino c'è, perché i debiti erano veramente colossali. Di una parte si è venuti a capo grazie a una generosa transizione accordata dalla banca creditrice, quella Unicredit di cui da ottobre è designato presidente l'ex ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan. La Immobiliare di Roma splendido aveva un debito di 15,5 milioni con Unicredit, in parte derivante dallo stesso mutuo con cui sono state acquistate le mura del Plaza. La banca accetta di essere pagata solo per 4,5 milioni di euro (condonandone 11 milioni) in tre rate annuali da 1, 1,5 e 2 milioni di euro da pagare entro il 30 giugno fra il 2021 e il 2023. Stesso accordo in un'altra società, la Archimede immobiliare, dove il debito residuo era intorno ai 6 milioni di euro ma è stato ricontrattato in 2 milioni di euro pagati però subito. Con l'accordo bancario quindi parte dei guai sono stati risolti. Ne restano altri 27 milioni di euro da pagare invece al fisco solo con la Roma splendido: in parte all'Agenzia dell'Entrate, qualcosina all'Inps ma quasi la metà al Comune di Roma. Perché salta fuori che la famiglia Paladino non solo non ha pagato alle casse comunali se non quando il fondatore è finito a processo per anni la tassa di soggiorno riscossa ai clienti del Plaza. Ma non ha nemmeno versato nelle casse del Comune guidato da Virginia Raggi per anni gran parte dell'Imu e della Tasi dovuta. Ci sono in bilancio 2,6 milioni di debiti Imu 2012-2013, altri 2,6 milioni di debiti Imu 2014-2015, poi 116 mila euro non versati della Tasi 2014-2015, un debito da saldare di 1,093 milioni di euro per Imu-Tasi in ciascuno degli anni 2016, 2017, 2018 e 2019 e 728 mila euro da pagare alla stessa voce per il 2020. Ora si propone al comune di Roma di saldare il dovuto per circa 11,5 milioni di euro da rateizzare fra il 2021 e il 2026, mentre i debiti con il fisco vengono rateizzati fino al 2030. Naturalmente tutto questo è sulla carta (e il dettaglio lo trovate negli articoli in queste pagine), ma per potere restituire davvero quelle somme bisogna che sia che il Plaza torni a fatturare come prima della pandemia pagando l'affitto delle mura, sia vendere un numero non indifferente di proprietà immobiliari della famiglia di cassintegrati in deroga. E qui c'è la brutta notizia per Conte: fra i cespiti in vendita c'è anche l'alloggio dove spesso concede parte del suo prezioso tempo all'amata Olivia. Bisognerà presto cambiare casa. E con il clima politico che si sente in queste ore, Giuseppi rischia davvero l'ein plein dei traslochi...
· Beppe Grillo.
(ANSA il 13 dicembre 2021) Il gip di Livorno Mario Profeta ha respinto la richiesta del pm Sabrina Carmazzi di archiviazione per violenza privata nei confronti di Beppe Grillo ai danni del giornalista Francesco Selvi. Il giudice ha disposto che il pubblico ministero formuli l'imputazione nei confronti di Beppe Grillo entro 10 giorni. I fatti risalgono al 7 settembre 2020 quando sulla spiaggia di Marina di Bibbona Francesco Selvi stava cercando di intervistare Beppe Grillo per la trasmissione di Rete4 'Diritto e Rovescio'. Grillo strappò di mano il cellulare al giornalista e lo spinse violentemente giù dalle scale dello stabilimento balneare dove si trovava, procurandogli un trauma distorsivo al ginocchio sinistro. Da questi fatti scaturì la denuncia per violenza privata e lesioni fatta dal giornalista alla procura di Livorno contro il fondatore di M5s. Poi il pm livornese ha notificato l'avviso di conclusione delle indagini a Beppe Grillo per l'accusa di lesioni mentre, invece, ha richiesto al gip l'archiviazione per violenza privata. Oggi il giudice delle indagini preliminari ha respinto la richiesta di archiviazione per questa ipotesi di reato. Le immagini del cellulare del giornalista trasmesse da Rete 4 e quelle della telecamera di sorveglianza sulla spiaggia postate da Grillo sul suo blog dettero vita ad un botta e risposta fra Grillo e il programma condotto da Paolo Del Debbio.
Nuovi guai per Grillo, imputato per violenza contro un giornalista. Il video dell’aggressione. Marta Lima 13 dicembre 2021 su Il Secolo d'Italia. Il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Livorno, Mario Profeta, ha respinto la richiesta del pubblico ministero Sabrina Carmazzi di archiviazione per violenza privata nei confronti di Beppe Grillo ai danni del giornalista Francesco Selvi. Il giudice ha disposto che il pubblico ministero formuli l’imputazione nei confronti di Grillo entro 10 giorni. E’ quanto rende noto l’Associazione Stampa Toscana, ribadendo “solidarietà al collega Selvi, così come respinge e condanna tutti gli atti contro i giornalisti impegnati in prima linea sul fronte della notizia”. I fatti risalgono al 7 settembre del 2020 quando sulla spiaggia di Marina di Bibbona Francesco Selvi stava cercando di intervistare Beppe Grillo per la trasmissione di Rete4 “Dritto e Rovescio”. Grillo, secondo l’accusa, strappò di mano il cellulare al giornalista e lo spinse per le scale dello stabilimento balneare dove si trovava procurandogli un trauma distorsivo al ginocchio sinistro. Da qui la denuncia per violenza privata e lesioni fatta dal giornalista alla Procura di Livorno. “L’Associazione Stampa Toscana seguirà dunque con attenzione la vicenda assicurando piena vicinanza al collega Selvi”, annuncia il presidente Sandro Bennucci.
Emanuele Buzzi per il “Corriere della Sera” il 14 dicembre 2021. Una nuova bufera investe Beppe Grillo. Per il fondatore dei Cinque Stelle tra pochi giorni arriverà un'imputazione coatta per il reato di violenza privata nei confronti del giornalista Francesco Selvi: una grana giudiziaria in parte inattesa per il garante dei Cinque Stelle, perché il pubblico ministero Sabrina Carmazzi aveva chiesto l'archiviazione. Ma il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Livorno, Mario Profeta, ha deciso di respingere la richiesta degli inquirenti disponendo che il pubblico ministero formuli l'imputazione nei confronti di Grillo entro 10 giorni. Carmazzi ha anche notificato al garante del Movimento l'avviso di conclusione delle indagini per l'altro capo di accusa nei suoi confronti, ossia lesioni. La vicenda incriminata risale al 7 settembre 2020, e ha come teatro la spiaggia di Marina di Bibbona, dove il fondatore dei 5 Stelle è solito trascorrere buona parte della sua estate, e lo stabilimento balneare adiacente la casa di Grillo. In quell'occasione Selvi stava cercando di intervistare Beppe Grillo per il programma di Rete 4 «Dritto e Rovescio» condotto da Paolo Del Debbio. Lo showman, secondo l'accusa, strappò di mano il cellulare al giornalista e lo spinse per le scale dello stabilimento dove si trovava procurandogli un trauma distorsivo al ginocchio sinistro. La trasmissione mandò in onda il servizio di Selvi puntando l'indice contro il garante per il suo comportamento. Grillo a sua volta - dopo qualche giorno - replicò alla tesi di Selvi postando sui suoi canali social le riprese delle telecamere di sorveglianza dello stabilimento balneare che riprendevano la vicenda e i suoi protagonisti. Ne nacque un botta e risposta (anche video) che infiammò i social network. Sulla vicenda e sui suoi ultimi sviluppi prende posizione l'Associazione stampa toscana, ribadendo «solidarietà al collega Selvi, così come respinge e condanna tutti gli atti contro i giornalisti impegnati in prima linea sul fronte della notizia». La richiesta del giudice arriva al termine di un periodo travagliato per il garante del Movimento, dopo il rinvio a giudizio per il figlio Ciro e la querelle con Giuseppe Conte che ha infiammato (e diviso) i i pentastellati a luglio. Nelle ultime settimane, Grillo ha preferito mantenere un basso profilo, evitando anche passaggi pubblici a Roma tanto richiesti da diversi parlamentari che auspicano un suo maggior coinvolgimento.
Beppe Grillo? Alessandro Sallusti: immaginatevi se Matteo Salvini mandasse un cronista all'ospedale. Alessandro Sallusti su Libero Quotidiano il 14 dicembre 2021. Per carità, non stiamo parlando della fine del mondo né dello scandalo del secolo. Parliamo di due notizie che riguardano due icone della sinistra, Beppe Grillo e Roberto Saviano. Per il primo è stata respinta la richiesta di archiviazione dell’inchiesta sull’aggressione a un giornalista, Francesco Selvi, di Diritto e Rovescio, il programma condotto da Paolo Del debbio su Rete4, avvenuta nel settembre del 2020 sulle scale di un locale della spiaggia di Marina di Bibbona dove il leader dei Cinque Stelle stava pranzando.
Per Saviano invece la Cassazione ha ordinato di rivedere al rialzo il risarcimento per plagio dovuto ai colleghi giornalisti che si erano visti i loro articoli copiati di sana pianta – senza citazione – nel libro Gomorra che ha dato origine alla fortuna dello scrittore. Saviano e la Mondadori, casa editrice del fortunato libro, non possono insomma pensare di cavarsela con i seimila euro liquidati nel 2016 durante il processo di primo grado.
Non è la prima volta che Beppe Grillo viene coinvolto in questioni che hanno a che fare con la violenza, fosse anche solo violenza verbale. E non è la prima volta che torna a galla il caso delle scopiazzature contenute in Gomorra. Il problema è che non ci sarà mai una “prima volta” in cui le scivolate di Grillo e Saviano diventeranno notizia per i mezzi di informazione che vanno per la maggiore, allineati come sono sul pensiero dominante.
Immaginatevi se Salvini mandasse al pronto soccorso un cronista – il malcapitato ha avuto cinque giorni di prognosi - che lo avvicina per fargli una domanda, immaginatevi se si scoprisse che, per esempio, Vittorio Feltri avesse copiato da altri pari pari capitoli dei suoi libri. In entrambi i casi se ne parlerebbe per giorni come di uno scandalo nazionale. Del resto siamo un Paese che si indigna di più per una innocente, per quanto deprecabile, toccatina al sedere di una giornalista donna che non per un leader politico, capo di un partito di governo, che aggredisce un giornalista maschio.
Ecco, purtroppo siamo nel Paese dei Grillo e dei Saviano, gente che per dirla alla Giulio Andreotti «parlano in continuazione di etica, di buoni principi, e che a forza di discuterne non hanno poi il tempo di praticarla».
I problemi del garante pentastellato. Beppe Grillo, guai anche in tribunale: imputazione ‘coatta’ per l’aggressione al giornalista di ‘Dritto e rovescio’. Fabio Calcagni su Il Riformista il 13 Dicembre 2021. Per Beppe Grillo c’è una nuova grana da sbrigare, e questa volta non riguarda il Movimento 5 Stelle sempre più lacerato da conflitti interni e da una leadership, quella di Giuseppe Conte, che appare quantomeno offuscata.
Dopo il rinvio a giudizio del figlio Ciro, accusato di violenza sessuale ai danni di una 19enne italo-norvegese assieme a tre amici per il presunto stupro avvenuto nel luglio 2019 in Costa Smeralda, nella villa del padre a Porto Cervo, ora tocca a Grillo senior avere a che fare con la magistratura. Il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Livorno, Mario Profeta, ha infatti respinto la richiesta del pubblico ministero Sabrina Carmazzi di archiviazione per violenza privata nei confronti di Beppe Grillo ai danni del giornalista Francesco Selvi. Il gip ha disposto che il pubblico ministero formuli l’imputazione ‘coatta’ nei confronti di Grillo entro 10 giorni. Dopo la denuncia del giornalista alla procura di Livorno, il pm aveva notificato l’avviso di conclusione delle indagini per Grillo per l’accusa di lesioni mentre aveva chiesto al gip l’archiviazione per violenza privata. A renderlo noto è l’Ast, l’Associazione dei giornalisti toscani. I fatti risalgono al 7 settembre del 2020 quando sulla spiaggia di Marina di Bibbona (Grosseto) Francesco Selvi stava cercando di intervistare Beppe Grillo per la trasmissione di Rete4 ‘Dritto e Rovescio’, programma condotto da Paolo Del Debbio. Grillo, secondo l’accusa, strappò di mano il cellulare al giornalista e lo spinse per le scale dello stabilimento balneare dove si trovava procurandogli un trauma distorsivo al ginocchio sinistro. Da qui la denuncia per violenza privata e lesioni fatta dal giornalista alla Procura di Livorno. Da parte sua Grillo aveva invece postato sul suo blog un video come prova in sua difesa in cui si vedevano le riprese dall’accaduto da una telecamera di sicurezza dello stabilimento balneare.
Fabio Calcagni. Napoletano, classe 1987, laureato in Lettere: vive di politica e basket.
San Grillo, protettore dei fannulloni. Francesco Maria Del Vigo il 19 Novembre 2021 su Il Giornale. Volevano abolire la povertà e come è andata a finire lo sappiamo tutti. Ora vorrebbero pure tagliare il lavoro. Volevano abolire la povertà e come è andata a finire lo sappiamo tutti. Ora vorrebbero pure tagliare il lavoro. Che tra i grillini e il mondo dell'occupazione non ci fosse un buon rapporto, lo si era capito già dai primordi del movimento. Il cavallo di Troia dell'avventura pentastellata, d'altronde, è sempre stato il reddito di cittadinanza, una misura che lo dimostrano le cronache di tutti i giorni non ha certamente incentivato l'occupazione, ma si è limitata a distribuire sussidi statali a chiunque. Ed esiste ormai una vasta letteratura sulla percentuale di non occupati tra grillini candidati e poi successivamente eletti nelle istituzioni. Un record assoluto nella storia parlamentare. Quindi, dopo aver pagato milioni di italiani per stare comodamente sdraiati a casa propria, quale poteva essere il naturale passo successivo dell'epopea M5S contro l'occupazione? Far lavorare meno (4 giorni su 7) quelli che un impiego già lo hanno. L'idea, non nuova, la rilancia Beppe Grillo direttamente dal suo ex blog di successo, dopo mesi nei quali si era tenuto alla larga dal lanciare nuove proposte politiche. «Quattro giorni posson bastare», scrive il fondatore del Movimento, facendo il verso al vecchio slogan «lavorare meno, lavorare tutti». Motto che, al di fuori dei cortei sindacali, non ha mai funzionato. «Dall'aprile 2021 negli Stati Uniti, oltre 19 milioni di lavoratori hanno lasciato il proprio lavoro spiega l'ex comico citando l'economista americano Anthony Klotz -. In Italia tra aprile e giugno 2021 si sono registrate 485.000 dimissioni, su un totale di 2,6 milioni circa di contratti cessati. La quota di abbandono volontario sul totale degli occupati ha superato il 2% per la prima volta da anni, a livelli non lontani da quelli degli Usa». Questo sarebbe, secondo il guru, il risultato del combinato disposto tra chi, esaurito dal lavoro, voleva dimettersi già da anni e chi durante i mesi del lockdown ha avuto una «epifania pandemica». Praticamente una visione mistica da divano: l'occupato che preferisce stare a casa e avere più tempo libero, ma ovviamente percependo il medesimo salario. Quindi, secondo i grillini, la settimana lavorativa di quattro giorni deve diventare centrale nel dibattito politico. È la quadratura del cerchio, il compimento del sogno di smontare la società capitalistica a favore di una totalmente assistenzialistica. Lavorare meno sarebbe quindi il vaccino a tutti i nostri problemi. Una teoria che da anni affascina il mondo della sinistra post marxista, ma che finirebbe inevitabilmente con il gravare sulle tasche degli imprenditori e dello Stato. Senza dare beneficio alcuno all'economia e, ancora una volta, senza produrre un posto di lavoro. La diminuzione delle ore di impiego è già stata sperimentata in Germania, Canada e Francia: in tutti i casi l'occupazione non è aumentata, ma, anzi, diminuita. La soluzione per uscire dalla crisi è rimboccarsi le maniche, non mettersi il pigiama.
Francesco Maria Del Vigo. Francesco Maria Del Vigo è nato a La Spezia nel 1981, ha studiato a Parma e dal 2006 abita a Milano. E' vicedirettore del Giornale. In passato è stato responsabile del Giornale.it. Un libro su Grillo e uno sulla Lega di Matteo Salvini. Cura il blog Pensieri Spettinati.
Dal "Corriere della Sera" il 25 ottobre 2021. Conti in rosso e rischio liquidazione per Beppe Grillo: la pandemia da coronavirus ha avuto i suoi effetti anche sui suoi conti. La società creata dal fondatore e garante del Movimento 5 Stelle, alla quale è affidata la gestione del suo blog, la Beppegrillo Srl, ha chiuso l'ultimo bilancio (quello relativo all'anno 2020) con un passivo di 12.457 euro, a fronte del risultato positivo di 65.753 euro riportato nell'esercizio precedente. «L'andamento della gestione - è il testo della relazione al bilancio riportato dall'Adnkronos - è stato fortemente influenzato dall'emergenza epidemiologica Covid-19», i cui effetti si sono riversati anche sul settore dei portali web, caratterizzato «da una drastica riduzione dei fruitori e clienti richiedenti pubblicità sul web». Nella nota che accompagna il documento si registra un campanello d'allarme per la società di Grillo: «A causa della pandemia Covid-19 le imprese commerciali in genere hanno ridotto drasticamente i costi per la pubblicità» e «tale trend» ha interessato anche la Beppegrillo Srl. «Si conta nel corso del biennio 2021/2022 di stipulare nuovi contratti pubblicitari. Diversamente e tempestivamente - è l'avvertimento - la società sarà messa in liquidazione». Si riducono anche i depositi bancari dell'azienda: le disponibilità liquide passano da 54.464 euro a 27.436 euro.
Domenico Di Sanzo per “il Giornale” il 25 ottobre 2021. Si conta nel corso del «biennio 2021/2022 di stipulare nuovi contratti pubblicitari. Diversamente e tempestivamente, la società sarà messa in liquidazione». Questo è il passaggio più allarmante della nota integrativa all'ultimo bilancio - visionato dall'Adnkronos - della Beppegrillo Srl, il contenitore societario attraverso cui il Garante e fondatore del M5s gestisce anche il suo Blog. Dopo il divorzio dalla Casaleggio Associati a inizio 2018, il sito del comico genovese è gestito in proprio da una società con sede a Genova, la città di Grillo. Solo che la Srl, stando al rendiconto, non se la passa troppo bene. E senza un aumento dei ricavi pubblicitari rischia la liquidazione. Secondo il documento, la crisi del Blog sarebbe dovuta alle conseguenze negative della pandemia da Coronavirus. Quindi il passivo di 12.457 registrato nel 2020, a fronte di un attivo di 65.753 euro dell'anno precedente, «è stato fortemente influenzato dall'emergenza epidemiologica Covid-19», si legge. Un crollo dovuto dal calo della domanda di pubblicità sul web. «Una drastica riduzione dei fruitori e clienti» di spazi pubblicitari, che ha penalizzato tutto il settore, compreso il Blog di Beppe Grillo, che, rispetto ai suoi anni d'oro, sconta una perdita di influenza politica e di capacità di dettare i temi dell'agenda. E pensare che lo spazio web del comico è stato per anni uno dei più letti al mondo. Nel 2008 - un anno prima della fondazione dei Cinque Stelle - il settimanale britannico The Observer posizionava Grillo al nono posto in una classifica dei blogger più potenti a livello globale. Ora il declino progressivo, dovuto alle trasformazioni del Movimento e alla posizione più defilata assunta dal fondatore negli ultimi anni. Nel testo della nota integrativa, però, la cattiva performance finanziaria è attribuita esclusivamente al virus. «A causa della pandemia Covid-19 le imprese commerciali in genere hanno ridotto drasticamente i costi per la pubblicità», è spiegato nella relazione. Dunque l'avvertimento: o si inverte il trend con nuovi contratti oppure la Beppegrillo Srl è destinata alla liquidazione. Da qui l'importante segno negativo sui «ricavi delle vendite e delle prestazioni», che passano dai 240.538 euro del 2019 agli attuali 57.939 euro. Con la liquidità disponibile che scende da 54.464 euro a 27.436 euro e un patrimonio netto di 126.544 euro rispetto ai 139.001 del bilancio precedente. Nel documento c'è un capitolo che fa riecheggiare le notizie di dicembre 2019 su un'ipotesi di indagine dell'antiriciclaggio della Banca d'Italia su alcuni bonifici della società di trasporto marittimo Moby Spa destinati alla Casaleggio Associati e proprio al Blog di Grillo per l'acquisto di spazi pubblicitari. L'azienda di Vincenzo Onorato, che finanziava anche la fondazione Open di Matteo Renzi, ora versa in una grave crisi economica e a febbraio ha chiesto alla Srl del comico genovese un accordo per la ristrutturazione di un debito di 73.200 euro. A luglio il tribunale di Milano ha aperto la procedura di concordato preventivo della Moby Spa. Qualunque sarà la cifra frutto del patto, Grillo spera in una boccata d'ossigeno per i conti della sua società. Altrimenti c'è lo spettro della liquidazione.
Lorenzo Mottola per liberoquotidiano.it il 10 ottobre 2021. Un sintomo della crisi dei Cinquestelle è sicuramente la scarsa attenzione che ormai i quotidiani prestano alle proposte del fondatore del Movimento. Eppure Beppe Grillo continua a sparare di tutto sul suo blog. Cose che nella maggior parte dei casi farebbero sorridere, se non stessimo parlando di uno dei personaggi più influenti del Paese. Dopo aver suggerito di fertilizzare i campi con la birra e di fabbricare water che producono energia e danari, il comico è tornato a discutere di automobili, accodandosi a una petizione lanciata da alcune associazioni ambientaliste. Il tema è questo: dato che le auto inquinano e fanno male, bisognerebbe vietarne la pubblicità come è stato fatto con i pacchetti di sigarette. E lo stesso bisognerebbe fare con chi opera nel trasporto aereo e nell'energia. Niente più spot in tv o manifesti per le città. E allo stesso modo, dicono i promotori, bisognerebbe mettere al bando le sponsorizzazioni di eventi da parte di chi fabbrica i Suv, come è successo quando è stato proibito di fissare il marchio "Marlboro" sugli alettoni delle Ferrari in Formula Uno. Solo che stavolta dovrebbe essere la Ferrari stessa a oscurare il proprio simbolo, perché è diseducativo. Una cosa importante da dire: non stiamo parlando di una burla, ci sono dietro organizzazioni come Green peace e la questione arriverà sicuramente a Bruxelles. Sulla necessità di questo intervento si potrebbe lungamente discutere. Così come sul pulpito da cui proviene la predica. Il problema di tanti ambientalisti è che trovano sempre fastidioso lo smog prodotto dal prossimo, meno il proprio. Così, per esempio, ricordiamo che Grillo adora girare in yacht quando è in vacanza, si è fatto varie campagne elettorali su camper diesel e si presentava a Roma su dei van che avrebbero potuto trasportare tutti gli elettori attualmente rimasti ai Cinquestelle nel Nord Italia. Tutti e 6. Ha fatto discutere la strana auto ibrida (una Kia) con la quale Beppe ha iniziato a spostarsi nella Capitale da qualche anno. Ma va detto che spesso si è "appoggiato" anche alle vetture di servizio dei suoi eletti. Girava in auto blu. Eva aggiunto che fino al 2015 possedeva una normalissima Mercedes classe A, oltre al suo scooter. Veicoli inquinanti come quelli di tutti i comuni mortali. Eppure nel frattempo continuava a parlare di auto a idrogeno. E diffondeva calcoli su quante persone venivano uccise ogni anno dallo smog nelle nostre città: "Morti di guerra in tempo di pace, 68mila". Se poi proprio volessimo metterci a fare le pulci, scopriremmo che anche i siti sui quali Grillo ha costruito la sua fortuna politica inquinano. Tutta colpa dei combustibili fossili usati per produrre l'energia per data center e server e delle modalità poco efficienti con cui vengono realizzati i siti web. Certo, non tutti i siti sono uguali: alcuni sporcano di più e altri di meno. Il Blog delle stelle, per esempio, è una vera pattumiera: produce 2.45 grammi di Co2 ogni volta che qualcuno si collega. Fa quindi peggio dell'82% delle pagine web testate dai calcolatori "verdi" disponibili online. Un po' meglio il suo blog, che produce solo 0,9 grammi di Co2 a contatto. A voler essere maligni, infine, si potrebbe ricordare a Grillo che anche abbandonare rottami di automobile in giro per l'Italia non è un'operazione da veri ambientalisti. E che la carcassa del suv sul quale si trovava quando si schiantò a Limone Piemonte nel 1981 (tutti conoscono la storia, evitiamo quindi di riproporre i dettagli) è rimasta abbandonata per quasi quarant' anni in fondo a una valletta verde prima che il sindaco della città costringesse il leader dei pentastellati a pagarne la rimozione. Insomma, Greta non sarebbe affatto contenta di Beppe, anche se il comico fa di tutto per cercare di accreditarsi come un suo precursore. A chiacchiere.
Da profeta al Bar Sport. Per Grillo ora scocca l'ora della decrescita felice. Stefano Zurlo il 26 Agosto 2021 su Il Giornale. L'Ultima dell'ex guru finito ai margini: il reddito universale da finanziare col Pil. È la decrescita infelice di Beppe Grillo. Un tempo animava un seminario tenuto dal Nobel Joseph Stiglitz e predicava il futuro, mischiando i panni del guru con quelli di Robin Hood. Oggi, nel pieno di una crisi di mezza estate, la vena istrionica perde ogni ancoraggio e il profeta sempre più solo si ritrova al bar Sport. Così, il fondatore dei 5 Stelle lancia la sua ultima teoria: il reddito universale. Quello di cittadinanza, che pure aveva una giustificazione forte nel dramma di milioni di italiani, ha fatto flop? Benissimo, si può sempre aprire il luccicante libro dei sogni e infiocchettarlo chiamando in soccorso, nientemeno, Martin Luther King, l'apostolo dei neri diseredati. La proposta è semplice come una provocazione a buon mercato, di quelle che si afferrano non nei think tank frequentati dai grandi economisti ma oltre la porta dello scompartimento sul treno: le Banche centrali devono garantire a ciascuno - ma ciascuno chi? - il diritto ad avere un reddito. Perfetto. Ma come finanziarlo? Ovvio, si prende il 30 o fino al 30 per cento del Pil e lo si spezzetta bonificandolo a milioni di indigenti o comunque cittadini che non aspettano altro. C'era un tempo in cui le antenne del comico genovese captavano i movimenti profondi nella società e la coppia visionaria Grillo-Casaleggio interpretava l'aspirazione al nuovo, mascherata dalla cipria del sarcasmo e dalla furia iconoclasta dell'artista. C'era, discutibile fin che si vuole, un nocciolo di idee che collegava Grillo a pensatori inquieti e delusi dal turbocapitalismo. Oggi, a voler essere generosi, restano le suggestioni: dall'helicopter money al domani tutto automazione e benessere, vagheggiato da Elon Musk. Riaffiorano dal sottosuolo le suggestioni populiste, da Peron a Chavez che pare, con il suo modello fallimentare, il punto di riferimento per una deriva sempre più confusa e improbabile. I soldi ci sono e sono a disposizione; casomai non dovessero bastare, si possono sempre fabbricare: si stampi moneta, come i bolivares del Venezuela, e chi se ne importa dell'inflazione e del moltiplicarsi della povertà che si fa miseria. Al Meeting di Rimini, martedì, solo Giuseppe Conte ha difeso come un avvocato d'ufficio il reddito di cittadinanza, affondato un po' da tutti. Ma quello, al confronto, è una mancia che aveva una sua filosofia, pure se molti oggi ammettono che lo strumento è da ripensare. Aggiustamenti e manovre della politica. Grillo si è eclissato ed è uscito dai radar, le sue truppe, colpite da troppe defezioni, vivono con disagio la crisi e lo sfaldamento del Movimento, lui sembra essere tornato ai suoi show e offre illusioni ottiche di modesta fattura. C'era la decrescita felice, chiave di violino di un mondo da riprogrammare. Oggi siamo alla più infelice delle parabole: i Nobel e i professoroni devono essersi dileguati con le loro lavagne e le loro equazioni, resistono i proclami. Ci pensino le Banche centrali a convogliare i flussi finanziari seguendo i desiderata del capopopolo che ha smarrito il tocco del fuoriclasse. Certo, da un personaggio di genio può sempre arrivare l'illuminazione sorprendente. Per ora, però, la luce si è spenta: i discepoli dell'Elevato, come si autodefinisce mixando ironia e compiacimento, meritavano qualcosa di più di un approdo come quello di Pinocchio nel paese dei balocchi. Stefano Zurlo
Da "Libero Quotidiano" il 12 agosto 2021. L'ultima "visione" di Beppe Grillo si chiama "reddito universale". Proprio mentre sul reddito di cittadinanza, ultima bandiera del M5S, si annidano nubi sempre più minacciose, con la Lega che chiede la sua cancellazione e il premier Mario Draghi che, a sorpresa, lo difende, il fondatore e garante del Movimento rilancia e alza addirittura il tiro. «Il reddito di base universale può creare una società migliore e una vita migliore per tutti, l'unica sfida è il finanziamento. Ecco una delle possibili soluzioni. Apriamo il dibattito». Grillo lo ha scritto su Twitter, lanciando un articolo sul suo blog firmato Shigheito Sasaki. Nel testo si legge: «Ora che è stato dimostrato che il reddito di base universale può creare una società migliore e una vita migliore, l'unica sfida è il finanziamento. Se la Banca Centrale, che crea denaro dal nulla, emettesse denaro per far vivere le persone, non ci sarà bisogno di un enorme aumento delle tasse». Nel pezzo si sostiene che all'inizio dovremmo assicurarci che «il denaro venga creato dal nulla», riaffermando che sono le persone «a creare la domanda nell'economia e che il solo fatto di essere vivi è prezioso». La sfida a questo punto, si legge sul blog di Grillo, è incentrata tutto sul finanziamento: se la Banca Centrale facesse la sua parte, il più sarebbe fatto e in tal modo «tutte le persone saranno libere dalla schiavitù del denaro e la povertà sarà sradicata dal nostro mondo». Scrive Grillo: «Come sarà il mondo dopo il Covid-19? E cosa dovremmo fare? Il sogno di Martin Luther King era il reddito di base (...) Sono passati più di 50 anni dalla morte di Martin Luther King e le cose stanno peggiorando. È ovvio a tutti che la povertà è la più grande sfida nella società umana. È l'elemento prevalente nel nostro pianeta. Se fossimo degli alieni, constateremo che sulla Terra la maggior parte dei popoli vive in uno stato di precarietà allarmante, mentre una esigua schiera di individui governano nella totale ricchezza». Quindi la visione finale sulle orme dello stesso Martin Luther King: quella di una nuova «marcia, non violenta», che rappresenta «forse l'opportunità che cerchiamo. Una grande e imponente marcia. Come sarebbe meraviglioso se accadesse contemporaneamente in tutte le banche centrali del mondo. Abbiamo tutti la stessa sfida».
Estratto da un articolo di Flavio Bini per repubblica.it. Soldi per tutti, all'infinito. L'ultima proposta lanciata da Beppe Grillo sul proprio sito va persino oltre il sogno del reddito universale accarezzato per anni dal fondatore del Movimento 5 Stelle. Progetto poi - con l'avvento al governo dei pentastellati - trasformato in un più ragionevole reddito di cittadinanza, un sussidio destinato alle fasce più deboli della popolazione. Questa volta la proposta è doppia: non solo un contributo universale, quindi concesso indifferentemente a ricchi e poveri, ma finanziato non con la fiscalità generale, le tasse, ma direttamente per via monetaria. Quello che più semplicisticamente viene definito "stampare moneta".
Il mito dell'helicopter money. Così come concepita da Beppe Grillo, la proposta non ha eguali nella storia. Sicuramente non in Europa, dove le emissioni di moneta sono regolate dalla Banca Centrale Europea, che per statuto non può finanziare direttamente gli stati. Più come provocazione che come ipotesi concreta, negli anni passati, tra le armi che la Bce avrebbe potuto mettere in campo per dare una scossa all'asfittica economia europea si era parlato di Helicopter money, cioè la possibilità di creare moneta distribuendola ai cittadini, direttamente o indirettamente attraverso gli stati. Niente che sia mai stato realizzato da nessuna grande banca centrale del mondo e soprattutto niente che sia previsto dalle regole istitutive della Bce.
Il flop dell'esperimento finlandese. Anche l'idea di un reddito per tutti, senza distinzioni tra ricchi e poveri, ha però per ora trovato pochissime applicazioni. Il test più recente si è svolto in Finlandia nel 2017. Il governo di Helsinki ha pagato 560 euro per due anni a duemila persone senza lavoro scelte a caso tra gli oltre 200 mila disoccupati del Paese. E ha continuato a farlo nel corso del tempo anche se nel corso del biennio avessero o meno trovato lavoro. L'obiettivo della sperimentazione era chiaro: osservare il comportamento dei percettori del sussidio di fronte a potenziali offerte di lavoro. Il rischio dei sussidi contro la povertà è che disincentivino le persone nella ricerca di un impiego, un reddito concesso in maniera indistinta avrebbe quindi superato questo ostacolo, contribuendo potenzialmente alla crescita dell'occupazione. Al termine dei due anni i risultati si sono rivelati poco incoraggianti: il contributo ha reso i percettori più felici, migliorandone il benessere e la salute mentale, ma non li ha aiutati nella ricerca del lavoro.
Il test tedesco: 1200 euro per tre anni. Un altro esperimento, su scala molto più contenuta, è stato avviato in Germania lo scorso anno con un test su 1500 persone. A 122 di questi per tre anni è stato concesso un sussidio da 1200 euro al mese, senza vincoli di reddito o di spesa, ad altri 1378 no studiando nel corso del triennio il comportamento dei percettori del reddito rispetto al gruppo di controllo, cioè di chi non incasserà i soldi. Anche in questo caso lo studio è volto a verificare come beneficiare di un reddito stabile e fisso indipendentemente dal proprio lavoro possa cambiare le proprie abitudini di vita o professionali.
"Cuba resiste". Grillo si schiera con il regime. Luca Sablone il 18 Luglio 2021 su Il Giornale. Il garante del M5S rilancia la lettera di Frei Betto, teologo che sta con la Rivoluzione. Ira di Fratelli d'Italia: "Di Maio prenda le distanze o si dimetta". Continuano le proteste a Cuba contro il governo. Esattamente una settimana fa sono iniziate le prime contestazioni a San Antonio de Los Banos, una cittadina a circa 25 chilometri a sud della capitale L'Avana, per poi estendersi a tutte le principali città cubane. I manifestanti - al grido di "Libertà", "Patria e vita" (la canzone simbolo dell'opposizione che sbeffeggia lo slogan della rivoluzione "Patria o morte"), "Abbasso la dittatura" e "Non abbiamo paura" - chiedono le dimissioni del presidente Miguel Diaz-Canel. I cittadini hanno espresso il loro forte malcontento sia per la grave crisi economica (vista la mancanza di cibo e generi di prima necessità) sia per la gestione della pandemia. Sui fatti di Cuba ha preso posizione Beppe Grillo. Ma, anziché schierarsi col popolo in ginocchio, ha preso le parti del regime rilanciando sul proprio blog la lettera di Frei Betto, teologo e scrittore brasiliano che sta con la Rivoluzione.
Grillo sta col regime. Betto, attualmente consulente del governo cubano per l'esecuzione del Piano per la sovranità alimentare e l'educazione alimentare, ha commentato i disordini di questi giorni e si è schierato con il regime comunista dell'Avana. Il teologo sostiene che la Rivoluzione sarà in grado di assicurare tre diritti umani fondamentali: "Cibo, salute e istruzione, oltre a casa e lavoro". "Potreste avere un grande appetito perché non mangiate ciò che più vi piace, ma non avrete mai fame. La vostra famiglia avrà istruzione e assistenza sanitaria, compresi gli interventi chirurgici complessi, totalmente gratuiti, come dovere dello Stato e diritto di ogni cittadino", ha aggiunto. In realtà la situazione è ben lontana da quella prospettata da Betto, come già sottolineava qualche giorno fa Silvio Berlusconi: "La grande manifestazione di protesta dei cittadini cubani contro il regime comunista al grido di "libertà" è motivata dalla grave situazione economica, sanitaria e sociale". La pandemia ha infatti aggravato una situazione già fragile facendo mancare cibo e soprattutto forme alternative di sostentamento rispetto al turismo che di fatto è stato bloccato per oltre un anno e mezzo a causa del virus. Il governo di Díaz-Canel ha risposto con agenti in tenuta anti sommossa, arresti di massa e soprattutto chiusura di internet, forse uno dei motori più importanti della protesta. Già nel 2020, coi primi segnali di mal contento, L'Avana aveva stretto le maglie del controllo e secondo l’Osservatorio Cubano per i Diritti Umani almeno 1.800 persone, tra attivisti e oppositori, sarebbero finite in manette.
Gli attivisti Blm in ginocchio dai comunisti. Sempre seconod Betto la situazione a Cuba è figlia delle sanzioni degli Stati Uniti, inasprite dall'amministrazione di Donald Trump, e delle pressioni internazionali. "Gli insoddisfatti della Rivoluzione, che gravitano nell'orbita del 'sogno americano', sono stati quindi i promotori delle proteste", è la convinzione di Betto. Che infine ha sottolineato come questa fragilità "presta il fianco alle manifestazioni di malcontento, senza che il governo abbia dispiegato truppe o carri armati nelle strade". "La resilienza del popolo cubano, alimentata da esempi come Martí, Che Guevara e Fidel, si è dimostrata invincibile. È a lei che noi tutti, che lottiamo per un mondo più giusto, dobbiamo solidarietà", ha concluso. Il punto è che oltre all'embargo Cuba soffre di un sistema economico che semplicemente non funziona. La burocrazia socialista dei barbudos non ha permesso uno sviluppo economico adeguato. I margini di autonomia imprenditoriale sono assenti e gli investimenti per la crescita ridotti ai minimi termini. Come ha raccontato l'Economist agli allevatori è persino proibito macellare una mucca se non ha raggiunto un certo peso o prodotto almeno almeno un certo quantitativo di latte durante la sua vita. Uno scenario tutt'altro che prospero.
Bufera contro Grillo. La presa di posizione di Grillo ha scatenato subito la polemica. In Fratelli d'Italia Carlo Fidanza ha espresso lo sconcerto totale: "Gravissimo! Beppe Grillo sul suo blog difende il regime comunista cubano e inneggia alla rivoluzione castrista". Il capodelegazione al Parlamento europeo di FdI-Ecr e responsabile Esteri del partito di Giorgia Meloni, attraverso un post su Facebook, ha ricordato che la forza politica di cui il comico genovese è ancora garante (ovvero (Movimento 5 Stelle) esprime il ministro degli Esteri nell'attuale governo guidato da Mario Draghi.
L'appello di Fidanza infatti è rivolto proprio a Luigi Di Maio: "Cosa ne pensa Di Maio? È questa la posizione sua e del governo italiano sulla gravissima repressione in corso a Cuba? Di Maio prenda le distanze da Grillo o, per coerenza, si dimetta". Gli ha fatto eco Andrea Delmastro, deputato di Fratelli d'Italia: "Allucinante! Oggi Beppe Grillo sul suo blog elogia il regime comunista di Cuba. Possibile che i 5 Stelle siano sempre al fianco delle spietate dittature!? Di Maio cosa avrà da dire?". La scelta di Grillo di rilanciare il lungo testo di Frei Betto ha trovato l'assoluta contrarietà anche di Fabrizio Cicchitto, presidente dell'associazione Riformismo e libertà e già presidente della commissione Esteri: "Benissimo. Grillo oltre che amico dei cinesi lo è anche del governo cubano che sta massacrando i dimostranti. Non è chiaro qual è la posizione su Maduro. Nel passato tutto il M5S era per Maduro. Quindi abbiamo un movimento del tutto affidabile sulla politica estera. E adesso vogliono anche dare lezioni sulla giustizia. Certamente ispirati dai testi cubani e cinesi".
Luca Sablone. Classe 2000, nato a Chieti. Fieramente abruzzese nel sangue e nei fatti. Estrema passione per il calcio, prima giocato e poi raccontato: sono passato dai guantoni da portiere alla tastiera del computer. Diplomato in informatica "per caso", aspirante giornalista per natura. Provo a raccontare tutto nei minimi dettagli, possibilmente prima degli altri. Cerco di essere un attento osservatore in diversi ambiti con quanta più obiettività possibile, dal...
Piergiorgio Odifreddi per "la Stampa" il 2 luglio 2021. Cerco di mettermi nei panni, alquanto scomodi, dell'ingenuo cittadino che si è recato a votare alle elezioni politiche del 2018, per scegliere tra i candidati quello che meglio lo potesse rappresentare in Parlamento. Undici milioni di questi cittadini hanno deciso di votare per il M5S, che da anni predicava di essere a favore della democrazia diretta, e prometteva di non effettuare alcuna scelta politica che non fosse stata approvata in rete dal suo popolo. Grazie ai voti di questi cittadini, sono stati eletti 162 deputati su 630, e 75 senatori su 315: una maggioranza relativa, ma non assoluta. Peccato, perché il Movimento aveva assicurato, fin dalla sua costituzione, che non avrebbe fatto alleanze con nessuno: al massimo poteva accettare i voti altrui su proposte proprie. Cioè, proponeva evangelicamente agli altri ciò che il Pd aveva chiesto a lui nel 2013, a ruoli invertiti. Sicuramente non si sarebbero fatte alleanze con il Pd stesso, individuato come "il partito dei pedofili di Bibbiano". E nemmeno con la Lega, dalla quale il Movimento si sentiva "geneticamente diverso". Sappiamo tutti com' è andata a finire: nei tre governi di questa legislatura i 5S hanno fatto dapprima un governo con la Lega ma senza il Pd, poi un governo con il Pd ma senza la Lega, e ora un governo con il Pd e con la Lega. Naturalmente, così è sempre successo in politica, ma il M5S sosteneva di essere diverso. E gli elettori grillini sono stati almeno consultati, come promesso? Niente affatto. Si sono fatte consultazioni in rete tra qualche decina di migliaia di iscritti, che però non rappresentavano affatto gli undici milioni di elettori 5S, ma solo se stessi e i primi follower di Grillo. In realtà, nel Movimento governa uno solo, ed è Grillo. Il quale potrà anche dichiarare di essere "il garante, non un coglione", ma mente sul primo fronte e sul secondo fate voi. Infatti, non appena Conte gli ha proposto di fare appunto il garante, l'ha mandato a quel paese perché "non ha visione politica, né capacità manageriale", benché l'avesse appunto scelto lui, come presidente del Consiglio e come nuovo leader del Movimento. Ora Grillo ha annunciato la solita buffonata di una consultazione in rete, per decidere il futuro del Movimento. Ma non può nascondere a se stesso e al Paese il fatto che non esiste in Italia un partito più antidemocratico del suo, nel quale a fare il bello e il cattivo è un uomo solo: molto peggio che Forza Italia ai tempi di Berlusconi, e del Pd ai tempi di Renzi. Grillo non è affatto un garante, ma una variabile impazzita che aspira a fare il padre-padrone del Movimento, come ha detto Conte, e il dittatore nel Paese, come possiamo aggiungere noi. Forse non tutti ricordano, infatti, cosa successe al momento della rielezione di Napolitano, quando Grillo istigò i propri facinorosi a una specie di marcia su Roma, perché non era stato eletto Rodotà. Per combinazione, quella sera io ero appunto con Rodotà, a Bari, per una manifestazione, e ho potuto assistere da dietro le quinte a cosa succedeva. C'era aria di colpo di Stato, e Rodotà fu informato dal ministero dell'Interno che Grillo era stato avvisato: se fosse arrivato a Roma per guidare la protesta di fronte al Parlamento, sarebbe stato arrestato, in senso letterale. Infatti lui fece marcia indietro e non si mosse da Genova. Forse potrebbero arrestarlo ora, in senso metaforico, i suoi ex elettori, molti dei quali hanno ormai capito di che pasta è fatto l'uomo, e quanto valgano i suoi proclami: anche perché ormai si sa che pure Grillo ha i propri conflitti di interessi, famigliari e geopolitici, e anche lui non è altro che uno "psiconano". Ma le elezioni sono anatema: non solo Grillo, ma anche Letta, rimangono abbarbicati a drappelli di parlamentari che non rappresentano ormai più i loro elettori, ma che devono prima eleggere un nuovo presidente della Repubblica, e poi aspettare fino a che il vento non cambi. Anche se, visto come vanno appunto le cose in Parlamento, ci si può chiedere a cosa servirebbe comunque votare, oggi o domani, se poi intanto i leader e i partiti degli elettori se ne infischiano, e usano i loro voti soltanto come alibi per farsi i fatti propri.
L'ambientalista Grillo con una casa sul bagnasciuga del mare. Per lui non ci sono vincoli ambientali, idrogeologici e distanze di rispetto? In affitto a 12.750 euro a settimana la villa in Toscana di Beppe Grillo. Maurizio Bologni su La Repubblica il 28 giugno 2021. Sulla spiaggia di Marina di Bibbona, ha segnato la storia politica del movimento 5S: dai summit al caminetto coi leader pentastellati ai faccia a faccia con Giuseppe Conte. Disponibile da settembre. Da Villa Corallina, splendida dimora di Beppe Grillo isolata dalla macchia mediterranea sulla spiaggia di Marina di Bibbona, provincia di Livorno, passa la storia politica del Movimento 5S, ma anche quella personale del comico diventato leader politico. Dai ripetuti summit del caminetto – c’è anche quello nella residenza al mare – coi vertici del partito, ai recenti faccia a faccia con Giuseppe Conte, tutto in quella che qualcuno ha definito l’ultima villa di un potere balneare, anche fatta perquisire dalla magistratura nel settembre 2019 nell’ambito dell’inchiesta giudiziaria per lo stupro di gruppo che coinvolge Ciro, figlio del leader.
Da leggo.it il 29 giugno 2021. Da teatro di summit del Movimento 5 Stelle e incontri faccia a faccia con l'ex premier Giuseppe Conte, a casa per le vacanze per chiunque volesse soggiornarvi. Villa Corallina, la splendida dimora di Beppe Grillo a Marina di Bibbona (Livorno) è in affitto alla modica cifra di 12.750 euro a settimana: l'annuncio è facilmente reperibile su Emma Villas, realtà leader di intermediazione immobiliare di dimore e casolari di prestigio per vacanze. La villa, otto stanze e sette bagni, che già in passato è stata affittata, come riporta il sito di Repubblica Firenze, e che Grillo dichiarò nel 2013 di voler ritirare dal mercato, ricompare dunque nel portafoglio di residenze di charme offerte in affitto per questa estate da Emma Villas. Il prezzo è tutto meritato: la casa ha 16 posti letto ed è decisamente bellissima, sia per quanto riguarda gli interni che negli spazi esterni.
Ugo Magri per huffingtonpost.it il 28 giugno 2021. Per quanto possa suonare provocatorio, sacrilego, addirittura osceno, c’è tanto in comune tra Berlusconi e Grillo. Il quale rispetto a Conte si sta comportando proprio come l’altro, otto anni fa, aveva trattato il povero Alfano: presi a pedate entrambi per lesa maestà. Variano i personaggi, cambiano le etichette, ma la storia inesorabile si ripete a conferma che la politica ha “corsi e ricorsi”, come direbbe Vico, ovvero il teatrino è sempre lo stesso. C’è un leader carismatico un po’ vecchio e spompato che finge di volersi ritirare, individua il presunto successore, lo incoraggia a farsi avanti, addirittura si incontrano per concordare il passaggio delle consegne e poi sul più bello, quando l’altro ormai si sente in tasca le chiavi di casa, bruscamente lo accompagna alla porta. Addio. È la fenomenologia tipica del Fondatore, che non può sganciarsi dalla sua creatura. Separarsene significherebbe morire. Cervello, razionalità e buonsenso spingevano il Cav a farsi da parte perché nel 2013 andava verso gli ottanta con uno sciame di Procure alle spalle. Per giunta Alfano era il più ligio dei suoi seguaci, sempre spalmato a pelle d’orso, disposto perfino a immolarsi come nel famoso “lodo” che doveva garantire a Silvio l’immunità perpetua. Ma si sa: la pancia, cioè le emozioni, ottenebrano la mente. Sul più bello prevalse l’auto-conservazione. Cosicché il padre-padrone ripudiò il figlioccio oltretutto facendogli fare la parte del pirla, sostenendo che Angelino non aveva il “quid”, la marcia in più indispensabile per guidare Forza Italia. Diversamente da allora, stavolta è Beppe che accusa Giuseppe di considerarlo un “coglione” (mai sospetto del genere sarebbe passato per la mente del Cav); però lo schema rimane identico, qualcuno che si considera furbo e qualcun altro fesso: un livello, umanamente parlando, da far cadere le braccia. Le somiglianze non si fermano qui. Sia Berlusconi che Grillo si sono allevati la serpe in seno. Alfano il “traditore” era un signor nessuno che nelle stanze di via del Plebiscito dava una mano a Paolino Bonaiuti, portavoce berlusconiano; fu preso a benvolere e di gradino in gradino, così si racconta, diventò ministro. Pure Conte dovrebbe baciare il terreno su cui Grillo ha posato il piede: fu proposto a Mattarella che, quando gli diede l’incarico di governo, nemmeno sapeva chi fosse. Lui e Angelino spuntati come funghi, sbucati dal nulla, “homines novi” in tutti i sensi, cooptati per una strana congiunzione astrale eppure impazienti di incassare un malloppo politico mai guadagnato né tantomeno sudato, ricevendolo in eredità. Conte nutre oggi la stessa pretesa di Alfano: quella che l’anziano leader si arrenda senza pugnare, rassegnato al proprio destino, anzi felice di levarsi di torno, magari commettendo suicidio per abbreviare la transizione. Purtroppo, evidentemente, non funziona così. Grillo, come Berlusconi, ha fabbricato la sua fortuna con migliaia di show, milioni di “vaffa” e perfino traversate a nuoto tra Scilla e Cariddi. Una fatica bestia; Conte nulla di tutto ciò. Può solo piegarsi o, in alternativa, cambiare aria.
Difatti Alfano, cacciato, fondò un partitino, salvo mollare tutto per dedicarsi agli affari. Oggi fa i soldi e nessuno ne parla più. Gasato dai sondaggi, invece, Conte immagina un movimento cucito su misura per lui (“ConTe” potrebbe chiamarsi); super-leaderista, plastificato, intimamente berlusconiano; un modello che in tanti hanno provato a imitare: da Di Pietro a Renzi, a Monti, a Grillo medesimo. Tra i Cinquestelle c’era parvenza di partecipazione gestita, Dio solo sa come, dalla piattaforma Rousseau; caduta la finzione democratica, le liti al vertice vengono trattate come fatti privati. Gli iscritti grillini, come quelli forzisti, sono tappezzeria. La morale qual è? Che chi li ha visti dal vivo prova rimpianto per i cari, vecchi, bistrattati partiti di una volta. Dove di democrazia interna ce n’era fin troppa. Per emergere si sgomitava, occorreva sporcasi le mani nelle sezioni, nei comitati, nelle cellule, nei congressi. Si faceva carriera misurandosi con gli elettori. Di nomine dall’alto nemmeno a parlarne. Nessuno si ritrovava al vertice di un partito perché passava di lì per caso; ma nemmeno poteva venirne cacciato con l’etichetta di “ingrato”.
Marco Imarisio per il "Corriere della Sera" il 28 giugno 2021. D'accordo, Beppe Grillo è un pazzo. Oppure un visionario. Ma qualunque definizione gli si attribuisca, nella sua testa lui è pur sempre e prima di ogni cosa la persona che da sola ha portato il Movimento dallo zero al 25 per cento del 2013, poi aumentato nel 2018 di altri sette punti sull' onda lunga del referendum costituzionale. Negli anni seguenti, quando saliva sul palco per i comizi e si stupiva della scarsa affluenza, dava la colpa al pubblico. «Lo sapete o no, che davanti a voi c' è una star?». Le uniche certezze sono che Grillo ha una più che discreta opinione di sé stesso, e che con lui la faccenda non è quasi mai politica, ma personale. Il cofondatore del M5S ritiene di avere maturato da tempo il diritto di entrare e uscire a suo piacimento, e di venire al tempo stesso consultato su quel che avviene all' interno dei Cinque Stelle. E se qualcuno non lo fa, diventa una furia. Figurarsi se si tratta di Giuseppe Conte, al quale sta garantendo una nuova vita politica affidandogli chiavi in mano la sua creatura. Non importa se quest' ultima frase risponde al vero. Grillo la pensa così. La crisi tra due litiganti che giocano a chi gonfia di più il petto non è una questione di statuto, di politica estera, o di portavoce. Tutto comincia e finirà con una fiducia che Grillo sente tradita e che non sarà facile da ricostruire. Ancora prima di trattare il passaggio di consegne, c'era da costruire un rapporto personale, lavoro al quale l' ex presidente del Consiglio non sembra essersi molto dedicato. Grillo aveva dato l'assenso alla richiesta fatta da Conte di riscrivere lo Statuto di M5S, e gli sembrava di avere fatto una concessione molto importante. L' unica condizione era stata l'invito pressante a confrontarsi con i suoi due avvocati, uno dei quali è il nipote Enrico Grillo, figlio di suo fratello Andrea, uomo di fiducia assoluta. Quando Conte annuncia di chiudersi in ufficio per dedicarsi all' opera fondativa del nuovo M5S, lo fa con il suo gruppo legale. Senza consultare nessun altro. Grillo chiama più volte Conte, che da sempre ha un rapporto complicato con il telefono. Non risponde. Anche le mail dei suoi avvocati cadono nel vuoto. Con la Cina va anche peggio, se possibile. Prima di andare in visita all'ambasciata, Grillo chiama più volte l'ex presidente del Consiglio, anche per discutere dell'opportunità della sua presenza. L'unica volta che ottiene udienza telefonica, è per sentirsi dire che l'indomani non gli avrebbe fatto compagnia, ma in mattinata sarebbe passato a trovarlo nel suo hotel romano per una chiacchierata. Conte non si fa vedere. L'irritazione per la scarsa capacità comunicativa del nuovo socio comincia a diventare qualcosa di più serio. Quando arriva il giorno del nuovo Statuto, lo strappo è già in essere. Il cofondatore del M5S non ha grande dimestichezza con le questioni legali. Quando si trattò di scrivere le prime tavole della legge pentastellate, ne concordò il contenuto con Gianroberto Casaleggio, ma poi fu quest' ultimo a seguire la loro stesura. Questa volta i suoi avvocati gli dicono di non firmare. Grillo non firma. E va all'attacco, convinto di essere vittima dell'ingratitudine altrui. Fu lui il primo a elogiare in pubblico l'oggetto misterioso Conte nell'ottobre del 2019, durante la kermesse dei Cinque Stelle a Napoli, nonostante guidasse una alleanza con la Lega che detestava. È stato lui a proporlo per la guida del Movimento che verrà, nonostante i dubbi personali, che ancora permangono, sulla sua vocazione ecologica. Anche i parlamentari più vicini a Conte sono convinti che le colpe non stanno da una sola parte, quella oggi meno spendibile al mercato della politica. Se l'ex presidente del Consiglio avesse coinvolto Grillo, lo avrebbe portato dove voleva. Invece ha voluto fare tutto da solo. Alla fine, si tratta soprattutto di una questione umana. E proprio per questo, anche se per comuni convenienze potrebbe anche arrivare una pace più o meno posticcia, resteranno comunque degli strascichi importanti.
Tommaso Labate per il Corriere della Sera il 26 giugno 2021. «Ragazzi miei, se state convincendo Grillo a farmi una telefonata per chiedermi scusa in privato, be', sappiate che a me non basta. Non basta una telefonata per sanare quello che ha fatto e che ha detto. Se poi Beppe decidesse di farmi delle scuse pubbliche». A questo punto, siamo a metà pomeriggio, Giuseppe Conte si concede una pausa non si sa quanto studiata, lasciando che i puntini di sospensione della frase colpiscano nel segno i suoi interlocutori. Il ministro Stefano Patuanelli, Paola Taverna e il capogruppo M5S al Senato Ettore Licheri hanno il volto immobile delle statue di sale, perché le raffiche dialettiche dell'ex presidente del Consiglio stanno cancellando uno dopo l'altro tutti gli spazi possibili di una mediazione con Beppe Grillo. La mini-delegazione si era presentata a casa dell'ex premier dopo che le voci della rottura imminente avevano invaso i terminali delle agenzie di stampa per tutta la mattina; la vicepresidente del Senato, evidentemente convinta di trovarsi di fronte all' ennesima frattura non scomposta, uno strappo anche violento però rammendabile, all'ora di pranzo aveva giocato la carta della mozione degli affetti. «Giuseppe, sono Paola», aveva detto al telefono la senatrice Taverna. «Ti devo dire una cosa: sappi che io non posso rinunciare al Movimento Cinquestelle ma sappi che non posso rinunciare neanche a te. Possiamo venire a casa tua?». Il Conte che il tridente pentastellato si ritrova davanti è un muro di gomma. «Non torno indietro», scandisce a più riprese. Cadono sul pavimento tutte le carte che gli ambasciatori avevano tenuto nel taschino, da una telefonata con Grillo da organizzare seduta stante a una gita organizzata a Marina di Bibbona, da una nuova assemblea coi gruppi a un rocambolesco ritorno del Garante nella Capitale; niente da fare su comunicati stampa, appelli pubblici, riunioni, inviti alla ragione. E quando si paventa l'ipotesi che Grillo si scusi in privato, l'avvocato chiude il sipario: «Se poi Beppe decidesse di farmi delle scuse pubbliche», pausa lunga, «mah comunque non credo che la convivenza tra me e lui sia ancora possibile». Il Movimento Cinquestelle rimane quindi aggrappato a un «comunque». L' unico spiraglio di trattativa, per evitare che il matrimonio politico tra l'eterno garante e il leader in pectore venga annullato prima ancora di essere stato consumato, è in quel centimetro quadro di terreno minato. La condizione necessaria perché Conte non molli i M5S sono le scuse pubbliche di Grillo rispetto all' affondo di ieri l'altro; ma non è dato sapere se questa condizione sia sufficiente. Sulla diarchia che il garante ha voluto riportare nell' agenda del Movimento corredandola dalla celebre frase «non sono un cogl...e», l'ex presidente del Consiglio è pronto a salutare e a levare il disturbo. Convinto di avere dalla sua l'intera ragione. «Le hai viste, no, le carte del nuovo statuto?», dice a Di Maio quando il ministro degli Esteri gli telefona per l'ennesima volta. «Là dentro c' erano i pieni poteri per me, come va dicendo in giro qualcuno? O un meccanismo di pesi e contrappesi, un rinnovamento vero, una strada per un Movimento in cui finalmente si sarebbe capito chi fa cosa, senza doppioni inutili?». Altra frase rivolta al passato, altro pessimo segnale. Riavvolgendo il nastro alla prima mattina, c' è Conte ancora sotto choc che rivede le notizie sulla sortita di Grillo nella Capitale sui giornali e in tv. «Io l'ho sempre rispettato così come lui aveva rispettato me. Il Beppe di ieri (giovedì, ndr) non me lo sarei mai potuto immaginare», dice agli amici più stretti. E ancora: «Io non mai chiesto nulla a nessuno. È stato lui, insieme a tutti gli altri, a chiedermi di fare il leader e di rinnovare il Movimento». A mezzogiorno, tanto per dire dell'accelerazione, il pacchetto di mischia contiano è già alla ricerca di una location che ospiti la conferenza stampa che l'ex presidente del Consiglio ha intenzione di organizzare entro lunedì o martedì, quella in cui la rottura - a meno di colpi di scena clamorosi - sarà formalizzata. Si studiano varie ipotesi: teatri, centri congressi, sale spaziose. «E comunque non attaccherò personalmente Beppe», ragiona a voce alta l'avvocato come a fissare in testa i punti del discorso, dando ai suoi l'impressione di quella diffidenza che nelle storie d' amore è un segnale quasi definitivo, molto di più del rancore. Poi però qualche traccia di rabbia rompe l'atmosfera segnata comunque da un drammatico aplomb. «Non perdonerò mai a Beppe quello che ha detto e che ha fatto. Non me lo sarei mai aspettato». Fuori c' è una temperatura ferragostana. Dentro un gelo polare che con l'aria condizionata di casa Conte ha poco a che vedere.
Sebastiano Messina per la Repubblica il 26 giugno 2021. Conte ha i voti, ma non il comando. Di Maio ha il potere, ma non il titolo. Crimi ha il titolo, ma non il potere. Grillo non ha il comando, né il potere né i voti. Ma il pallone - il simbolo - è suo, e dunque si gioca con le sue regole. È sempre stato così, e così sarà anche stavolta: alla fine si farà come dice il comico- fondatore-garante, e svanirà come un miraggio nel deserto l'illusione di riformare il Movimento 5 Stelle, missione impossibile che il troppo ambizioso Giuseppe Conte aveva imprudentemente accettato, credendo forse che bastassero le sue astuzie di avvocato d' affari per far firmare a Beppe Grillo, come un contratto di leasing, un nuovo statuto che trasferisse a lui la guida dei pentastellati. Sembrava un progetto facile, nella sua apparente semplicità. Trasformare un'organizzazione virtuale in un partito contemporaneo. Con una sede che fosse fatta di mattoni e non di megabyte. Con organismi democratici dove si potesse discutere e votare guardandosi negli occhi anziché schiacciando un tasto. Con un programma che non fosse una accozzaglia di sogni, utopie e illusioni. E magari con una scelta di campo che rendesse possibili alleanze e battaglie comuni con quei partiti che al Movimento hanno teso la mano, dimenticando insulti, dileggi e offese personali. Il colpo di coda del comico genovese dimostra invece che la sua creatura è irriformabile. Che un Movimento nato da un Vaffa- day non può cambiare natura adottando le regole della democrazia parlamentare. Che chi è andato al potere sventolando la bandiera del populismo non può diventare «liberale e moderato», come va dicendo Luigi Di Maio. Tutti sanno che i grillini non sono più quelli di una volta. Che i meetup inventati da Grillo per «divertirsi, stare insieme e condividere idee e proposte per un mondo migliore» sono quasi spariti, e quei pochi rimasti sono stanze dove volano i coltelli. Che l'assalto al Parlamento - la «scatoletta di tonno» che doveva essere aperta in un attimo dall' apriscatole grillino - si è trasformato nell' occupazione del Palazzo, con copiosa sistemazione di amici, compagne e parenti. Che il sogno della democrazia diretta, fatta di leggi votate online dai cittadini e di riunioni sempre rigorosamente in streaming, è stato tradito da una gestione verticistica con riunioni rigorosamente a porte chiuse. Che la promessa di entrare a Montecitorio e a Palazzo Madama solo come «portavoce dei cittadini» - mai «onorevoli» come gli usurpatori della partitocrazia - rinunciando a ogni benefit per accontentarsi solo di uno stipendio di 3000 euro è stata dimenticata da un pezzo, sommersa da generosissime ricevute di ristoranti e alberghi di lusso. Dall' inaspettato successo del 2013, quando un elettore su quattro votò per Grillo, il Movimento ha cambiato linea su quasi tutto, come ha scritto benissimo Mattia Feltri su "La Stampa". Uno valeva uno, ora uno non vale più uno. Voleva uscire dall' Euro e dalla Nato, ora è a favore dell'uno e dell'altra. Era No-Tav, No-Tap e No-Vax, ma poi ha detto sì a Tav, Tap e vaccini. Era contro le auto blu, i cambi di casacca e le alleanze con gli altri partiti, ma ora viaggia solo in auto blu, ha il record dei cambi di casacca e si è alleato a turno con tutti gli altri partiti (eccetto Fratelli d' Italia, ma c' è ancora tempo). Un solo tabù ha resistito finora: quello del limite dei due mandati. Ma si sta già cercando una scappatoia - un voto degli iscritti, per esempio - per consentire le opportune eccezioni perché, come nel romanzo di Orwell, tutti sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri. Il compito che lo stesso Grillo aveva affidato a Conte era quello di prendere in mano un partito che in tre anni ha letteralmente dimezzato i suoi consensi (dal 32 per cento delle politiche al 16 degli ultimi sondaggi) riorganizzandolo rapidamente. Oggi però risulta evidente che il fondatore e garante del Movimento voleva solo incamerare la popolarità (e i voti) dell'ex premier, conservando per sé il potere di dire su ogni questione - dalle alleanze alle candidature, dalla comunicazione alle espulsioni - l'ultima parola. Quando Conte l'ha capito, ormai era troppo tardi.
Jacopo Iacoboni per La Stampa il 26 giugno 2021. Beppe Grillo, che fu il fondatore del Movimento 5 stelle, nella mattina (neanche tanto tardi) è salito via su un'auto davanti all'hotel Forum e se n'è andato. Via da Roma, senza nessun incontro con Giuseppe Conte, e forse portandosi dietro il "suo" Movimento. Suo, non di Giuseppe Conte, o di Rocco Casalino o di Travaglio. La lettura del Fatto quotidiano lo ha infastidito ancora di più, convinto ormai che ci sia stata un'operazione per metterlo all’angolo, intimidirlo mediaticamente e sottrargli definitivamente ogni presa sulla sua creatura, il Movimento originario. “Non ci riusciranno”. "In piazza c'ero io, non loro", ha detto ricordando i giorni dello Tsunami Tour. La cronaca è nota solo in parte, nella scenata di Grillo di giovedì sera. Grillo ha detto due cose, una pubblica e palese, una serie di frasi pronunciate davanti a così tante persone che erano fatte apposta per uscire in tempo reale sui media, e arrivare dritto dove avrebbero fatto male: “Sono il garante ma non sono un coglione. Conte lo deve capire, ha bisogno di me”. E poi: "Non sono un prestanome, figuratevi se sono il prestanome di Conte”. (e invece, parole al miele su Di Maio, che era seduto in prima fila in assemblea, davanti a lui: “Sei uno dei ministri degli Esteri più bravi della storia”). La seconda cosa l'ha detta a orecchie più selezionate, ma non così esplicitamente come la traduciamo qui noi: il vincolo del secondo mandato può cambiare, a due condizioni. Uno, se c'è un corretto voto online degli iscritti, e due, se naturalmente il garante (cioè lui) decide che si può fare. Per la prima volta Grillo sta offrendo ai parlamentari 5S quella scialuppa di salvataggio che Conte in realtà regalerebbe solo a una decina, quindicina al massimo di big (gli unici due veri fedeli che sono rimasti all'avvocato sono Paola Taverna, a cui è stato promesso un seggio blindato, e Stefano Patuanelli). Grillo invece riformula la faccenda in una chiave, almeno all'apparenza, orizzontale. Dunque tutti i parlamentari al secondo mandato si sentono potenzialmente coinvolti, se non chiamati. Ad aggiungere agitazione c’è la storica diffidenza del gruppo parlamentare M5S verso Conte, e in più le notizie di un notevole attivismo, sul fronte delle candidature future, sia di persone stimate da Guido Alpa, sia di professionisti apprezzati da Piero Benassi. Con all’orizzonte, liste elettorali totalmente “contizzate”. La cosa non ha messo tranquilli i grillini che ogni giorno, a modo loro, lavorano nelle aule e nelle commissioni parlamentari. Dietro tutto questo c'è però una storia nella storia. Clamorosa. Fino a due giorni fa (martedì), la mediazione tra Grillo e Conte procedeva senza gravi intoppi, si limavano parole, senza nessuna rottura, anzi. Il casus belli della frattura è stato quando Grillo ha preteso e ottenuto, come capo della comunicazione del M5S, Nina Monti, collaboratrice e organizzatrice di fiducia del suo nuovo blog, figura molto distante da Casalino, di cui il comico non si fida più. Da quel momento, è partito per due giorni un cannoneggiamento mediatico, che Grillo ritiene contiano, contro di il comico, culminato nelle mazzate ricevute dal Fatto quotidiano. Ora la linea di Conte nelle prossime quarantott'ore è chiara: far creder di essere disposto anche ad andarsene e fondare un suo Movimento. Ma Grillo sa che si tratta di un palese bluff politico. Il golpe anti-Grillo è sostanzialmente fallito. In tutto questo, i due unici veri big grillini, Luigi Di Maio e Roberto Fico, tacciono. Stanno mediando per arrivare a una composizione, ma neanche Fico (Di Maio è scontato) è sceso in campo in pubblica difesa di Conte. Di Maio ha annullato la sua partecipazione a un seminario web che era inizialmente previsto anche con Conte, nel pomeriggio, sull'economia circolare. E quando qualcuno ha intercettato a Pozzuoli il presidente della Camera, e gli ha chiesto cosa pensa che stia succedendo, Fico non ha risposto una cosa tipo: aiuteremo Conte a risolvere questa cosa. Ha risposto: "Non dico niente per ora". Post scriptum. Ieri anche Davide Casaleggio è apparso più grillino che mai, e questo è quasi ovvio, nella contesa con Conte. A Radio Capital ha detto: "Penso che tra Grillo e Conte ci siano visioni diverse del Movimento che stanno emergendo", e Grillo rappresenta quella originaria. Meno ovvia un'altra cosa: Grillo sta dicendo in giro che un voto online se modificare la regola del secondo mandato può avvenire sulla piattaforma Rousseau.
Tutte le balle di Grillo e le finte retromarce. Stefano Iannaccone il 25 Giugno 2021 su Il Giornale. Più volte l'ex comico ha lasciato intendere di voler passare la mano. Ma, poi, è sempre tornato in scena. Conte deve farsene una ragione se vuole guidare i 5 Stelle. Dall’annuncio di essere stanchino, in versione Forrest Gump, all’intenzione di fare un passo di lato per pensare al teatro, fino alla recente volontà manifestata di lasciare tutto nelle mani di Giuseppe Conte. Sono tante le volte in cui Beppe Grillo ha detto di volersi fare da parte, magari dedicandosi ad altro. In un ruolo meno visibile. Salvo poi tornare, in grande stile, sfasciando quello che aveva contribuito a costruire. Una conferma che non riesce proprio a stare lontano dal potere, in particolare della gestione del Movimento 5 Stelle, che ha co-fondato con Gianroberto Casaleggio. Dopo l’intervento con cui ha indebolito la leadership di Conte, c’è stata l’ennesima conferma: finché avrà l’energia per farlo, Grillo sarà in scena. Con buona pace di chi lo vorrebbe più defilato o, addirittura, fuori dai giochi. Se davvero l’ex avvocato del popolo vuole guidare il M5S deve farsene una ragione: “Beppe”, come lo chiamano tutti i parlamentari, ci sarà sempre, pronto a rientrare sul palcoscenico all’improvviso. Senza alcun annuncio, peraltro.
Quando Grillo era stanchino. Del resto, da attore consumatori è un esperto di colpi di scena. È stato per anni il suo lavoro. Già nel 2014, anno della prima vera sconfitta del Movimento (alle Europee), annunciava di essere un po’ stanchino, citando una frase di Forrest Gump. Non riusciva più a correre appresso al suo Movimento, così nacque la mitologica creatura del direttorio, formato da Alessandro Di Battista, Luigi Di Maio, Roberto Fico, Carla Ruocco e Carlo Sibilia. Sembrava una svolta epocale, il momento in cui “i ragazzi”, come amava definirli, avrebbero potuto camminare da soli. Invece il direttorio è stato solo una meteora. L’organismo politico dei pentastellati non ha lasciato grosse tracce nella storia: così è archiviato dallo stesso Grillo. Eppure l’ex comico aveva ribadito, nel 2016, il concetto di voler fare “un passo di lato”, annunciando il ritorno al teatro, in un'accorata intervista al Corriere della Sera. Quella era la sua passione, la recitazione, il pubblico: sembrava davvero stufo della politica. Poi la morte del suo sodale, Gianroberto Casaleggio, ha cambiato i progetti in maniera radicale: lo ha costretto a riprendere le fila del discorso per evitare lo sfarinamento del M5S. Appariva come una necessità, uno sforzo inevitabile dato il momento.
Il passaggio di consegne con Di Maio. Tanto che, dopo un anno, nel 2017, l’ex comico è sembrato di nuovo animato dal sincero sentimento di cedere lo scettro, incoronando Di Maio come numero uno dei grillini. “Da domani il capo politico del M5S non avrà più il mio indirizzo, tutte le denunce arriveranno a te”, scandì Grillo al momento della proclamazione. Aveva garantito di non sparire, ma le parole erano presagio di un “addio”. Qualcuno pensava a una fine dei giochi, Macché. Con l’indebolimento della leadership di Di Maio, durante il governo gialloverde, il fondatore è tornato in pompa magna, facendo tappa a Roma, nel 2019, con tanto di photo opportunity tra i due. Fu annunciata come il simbolo del sigillo della pace, ma era una forma di commissariamento da parte di Grillo. Anzi l’anticamera delle dimissioni di Di Maio da leader. Insomma, "Beppe" c’è stato, sempre, rimescolando tutto. Lo stesso film sta andando in scena ora, nonostante il fondatore del Movimento avesse lasciato intendere di voler lasciare la sua eredità a Conte. Quell’ex presidente del Consiglio incensato con i migliori elogi nei mesi scorsi. Invece resta agli atti che, neppure questa volta, Grillo si è fatto da parte. Anzi. Anche se per Davide Casaleggio c’è qualcosa di più profondo: “Credo ci siano due visioni diverse del Movimento che stanno emergendo. Ho già espresso diverse volte il mio pensiero su M5s e su come si stia trasformando in qualcos’altro, i principi erano chiari fin ad un anno fa e ora meno e per questo ho deciso di prendere le distanze”. Ma, in fondo, un cavillo per non uscire di scena lo si trova sempre. Specie per un attore consumato.
Stefano Iannaccone. Irpino di nascita, classe '81, vivo e lavoro a Roma dal 2005. Sono giornalista politoc-parlamentare e scrittore. Dagli studi in Scienze della Comunicazione ai primi passi nel mondo del giornalismo, sono trascorsi sati qualcosa come due decenni. Oltre che per IlGiornale.it scrivo per Panorama, IlFattoquotidiano.it, Impakter Italia e Fanpage. In passato ho lavorato per il quotidiano La Notizia e Lettera 43. Mi aggiro per i Palazzi della politica, in particolare Montecitorio. Quindi, le inchieste sugli sprechi, la politica in ogni sua sfaccettatura sono alla base del mio lavoro. Ma mi occupo anche di esteri e attualità. E sogno di seguire, da inviato, un Giro d'Italia. Finora (spero che ce ne siano altri) ho scritto cinque libri. L'ultimo è un romanzo, intitolato, Piovono bombe (edito da Les Flâneurs).
DAGONEWS il 25 giugno 2021. Lo strappo del Grillo furioso ha reso felici come una pasqua Travaglio e Casalino. Due tipini fini che hanno sempre detestato l’usurpatore Draghi (vedi il travagliesco libro “Contro” di Di Battista) da una parte, dall’altra, hanno sempre spinto, caldeggiato, rintronato Conte al suono di “fai il tuo partito, così non deve niente a nessuno, vai per la tua strada, molla il governo-ammucchiata, vai all’opposizione, che ci stai a fare con Italia Viva di Renzi e la Lega di Salvini?”. Oggi, attovagliato a pranzo, Di Maio aveva in mano un telefonino dual: una linea con Beppemao (già tornato a Genova), l’altra con la Pochette ammosciata. Il ministro (per mancanza di prove) degli Esteri si è sbattuto come un moulinex per convincerli a trovare un compromesso: non sai quanti parlamentari ti seguiranno, io non posso abbandonare Grillo, troviamo la quadra (a Conte); non ti far prendere dall’emotività, Conte è stato il nostro premier e non merita i tuoi vaffanculo (a Grillo). Da democristiano rinato Di Maio, ancora brillo per la lode ricevuta dell’Elevato (“il miglior ministro degli Esteri”), così otterrebbe un due piccioni con una fava: sia Conte che Grillo dimezzati da un eventuale compromesso politico. Un accordo che Travaglio e Casalino vedono come un dito nell’occhio.
Marco Travaglio passa al linciaggio: Beppe Grillo sei un cogl***, la barbarica prima pagina del "Fatto Quotidiano". Libero Quotidiano il 26 giugno 2021. Un assoluto e continuativo Travaglio di bile, sul Fatto Quotidiano. Già, dopo l'agguato di Beppe Grillo a Giuseppe Conte, dopo quel "sono il garante non sono un cogl***", l'house organ dell'ex premier ha iniziato a cannoneggiare senza soluzione di continuità contro il comico M5s. Marco Travaglio, insomma, è furibondo. Lo voleva e lo vuole a tutti i costi, Conte a capo dei pentastellati, piano per il quale spinge da tempo. Ma ora, il sogno sembra essersi spezzato. E così ecco che ieri, venerdì 25 giugno, si vedeva un Beppe Grillo in prima pagina intento a sfasciare a mazzate il M5s. Dunque il durissimo fondo del direttore, a cui Travaglio ha dato seguito oggi, ribadendo i concetti a lui cari. Secondo Marco Manetta il "cog***" in questa storia sarebbe Beppe Grillo. E ora, ha aggiunto Travaglio, il M5s - dopo quanto fatto dal comico - potrà essere guidato soltanto da un "cog*** servo sciocco". Crisi di nervi vera, insomma, quella del direttore. E così, per continuare a menar fendenti contro il comico - ah, come cambiano in fretta le cose della vita ... -, ecco che oggi, sabato 26 giugno, Travaglio arma anche la penna di Vauro. Nella parte alta della vignetta ecco una pipa e il classico "ceci n'est pas une pipe", questa non è una pipa, il capolavoro di Magritte. Sotto, ecco la raffigurazione di un Grillo furibondo e in calce la scritta: "Ceci n'est pas un couillon", ossia "questo non è un cogl***". Insomma, il comico si becca del "cogl***" per l'ennesima volta.
Da liberoquotidiano.it il 26 giugno 2021. "AAA cogl***e cercasi", scrive Marco Travaglio nel suo editoriale su Il Fatto quotidiano. E visto che Giuseppe Conte non ha nessuna intenzione di ricoprire questo ruolo Beppe Grillo dovrà trovare qualcun altro. L'Elevato immaginava che l'ex presidente del Consiglio "avrebbe accettato di fare il re travicello, il pennacchio tira-voti, il fiore o la pochette all'occhiello", mentre lui "avrebbe seguitato a comandare con la lucidità che ultimamente gli è propria". Infatti, prosegue il direttore de Il Fatto, "ha suggerito a Conte, che si avvaleva di consiglieri come la Mazzucato, di 'studiare cos' è il M5S” dopo aver consegnato la tessera onoraria a Draghi e a Cingolani, che invece cos' è il M5S lo sanno bene, infatti si circondano di liberisti e antiambientalisti". Concetto che Marco Travaglio aveva già espresso nell'editoriale di ieri venerdì 25 giugno. E Giuseppe Conte a questo punto, che cogl***e non è, osserva ancora Travaglio, "non potrà che respingere la proposta indecente. E Grillo dovrà farla a qualcun altro". "Ma chi potrà accettarla?", si chiede dunque il direttore. "Non certo un big in grado di recuperare o almeno mantenere i voti: al massimo un cogl***e, un servo sciocco a caccia di medagliette-patacca". Un cogl***e evidentemente difficile da trovare. "E, senza un capo politico degno di questo nome, i 5Stelle defungeranno a breve", è la nerissima profezia finale di Travaglio. "E lasceranno orfani milioni di elettori che costringeranno Conte, volente o nolente, a dare loro una casa". Insomma, conclude il direttore, "delle due l'una: o Grillo si accorge del disastro che ha combinato e rimedia finché è in tempo; o tutto può accadere. Anche che, nel processo di omologazione ai suoi acerrimi nemici, lanci un anatema alla Fassino: 'Se Conte vuol fare politica, fondi un partito e vediamo quanti voti prende'".
Andrea Scanzi insulta Beppe Grillo: "Psico-tiranno distruttore". Che caso, avete notato che ieri Marco Travaglio...Libero Quotidiano il 26 giugno 2021. Marco Travaglio detta la linea, Andrea Scanzi esegue. Eccolo quindi in un articolo pubblicato sul Fatto quotidiano di oggi sabato 26 giugno, mentre sintetizza e ripete esattamente le parole che il direttore del suo giornale ha scritto nel suo editoriale di ieri venerdì 25 giugno. "Grillo è un artista straordinario. Un visionario sublime. Un animale da palcoscenico raro. Purtroppo, come tutti gli iper-talentuosi, vive di up & down. E il down attuale, che dura dalla resa incondizionata nella trattativa con Draghi, è imbarazzante", scrive Scanzi. Quindi copia quanto scritto da Travaglio: "Già solo per aver scambiato Draghi e Cingolani per grillini, lo PsicoBeppe dovrebbe nascondersi per anni. Invece parla, sbraita e gioca al tiranno che, pur di non cedere il regno, preferisce distruggere tutto". Quindi prosegue: "La scena di giovedì è stata da vomito: lui che sfotte Conte, fa il ganassa e scambia uno snodo fondamentale della politica italiana per un monologo al Palafava di Vitiano. Penoso". E di nuovo fa sue le parole del direttore: "Grillo sta bombardando l'uomo che ha scelto lui (bipolarismo sfrenato) e l'unico politico che può salvare i 5Stelle. Genio! Senza il Movimento 5 Stelle, Conte può fare quello che vuole. Senza Conte, il M5S può andare al massimo affan***o". Infine, Andrea Scanzi, conclude, e questa volta ci mette del suo facendo uno sforzo immane: "Ripijate, Grillo: meglio uscire (un po') di scena che sembrare il mezzo rincogl***ito che si evira per far dispetto alla moglie". Insomma, siamo sempre lì. Travaglio ordina, il suo soldatino Scanzi esegue.
Otto e Mezzo, Marco Travaglio disperato: "Grillo è venuto a Roma per sfregiare Conte, roba da manicomio". Libero Quotidiano il 25 giugno 2021. C’era una certa attesa per l’ultima puntata di Otto e Mezzo, la trasmissione di approfondimento politico condotta da Lilli Gruber su La7. E ovviamente non poteva mancare Marco Travaglio per parlare della “variante Grillo” che sta seriamente attentando alla vita del Movimento 5 Stelle: Giuseppe Conte si è preso tempo fino a lunedì, dopodiché se non verrà trovato un punto di incontro abbandonerà la nave e metterà nei guai non solo i grillini, ma anche il Pd che lo aspettano alla finestra per un’alleanza. “Cacciari dice che è necessaria un’intesa tra Grillo e Conte perché è un esperto di logica, ma qui siamo in un manicomio”, ha esordito Travaglio, che poi ha aggiunto: “Dopo che si erano messi d’accordo, Grillo arriva, spara come se fosse uno show, si mette a fare l’esame del sangue grillino a Conte… È venuto apposta a Roma per sfregiarlo e mettergli i gruppi contro, ma è stato lui a chiamare Conte per chiedergli di rifondare Movimento. A questo punto non si capisce più nulla. Se Grillo è lucido è un disastro, crede davvero che uno che ha fatto il premier possa andare lì a fare il suo portaborse? Ma allora faccia lui il capo politico”. Se invece non fosse lucido, sarebbe ugualmente un disastro “perché ha il potere di portare il M5s sul fondo. Tra l’altro questo è un Grillo draghiano, non più quello del vaffa. È più governativo Grillo che non Conte in questo momento. Io credo che abbiano due giorni - ha chiosato Travaglio - Conte ha deciso di non reagire e di prendere tempo fino a lunedì”.
Marco Travaglio per il "Fatto quotidiano" il 25 giugno 2021. Ci eravamo quasi riavuti dallo choc per la rivoluzionaria affermazione di Draghi “Lo Stato è laico” e già pregustavamo le successive, tipo “La pioggia è bagnata”, “Il ghiaccio è freddo”, “Per vedere la tv bisogna accenderla”, “All ’Equatore fa decisamente più caldo che al Polo Nord”, “Meglio una donna giovane e bella che una vecchia racchia”, quando siamo stati folgorati da un’altra frase che definire sorprendente è riduttivo: “Lo statuto di Conte è diverso dal nostro”. L’ha detta ieri Grillo nel suo monologo ai parlamentari 5Stelle, sottolineando non a caso che “io sono un visionario e Conte no”. Solo un visionario, infatti, poteva notare che affidando a Conte il compito di guidare e rifondare i 5Stelle, lo statuto dei 5Stelle sarebbe stato diverso da quelli dei 5Stelle guidati da Grillo e da Di Maio. Se fosse stato ancor più visionario, Grillo l’avrebbe previsto già il 28 febbraio, quando convocò Conte e gli altri big per chiedere al primo di fare il capo politico e di riscrivere lo statuto. Ma evidentemente in quei giorni aveva già esaurito le visioni con Draghi e Cingolani, scambiandoli per grillini della prima ora e mandando il M5S al macello nel governo più restauratore mai visto (a proposito di chi “sa cosa sono i 5Stelle” e di chi se l’è scordato). Ma il sospetto è che in quel caso, più che di visioni, si trattasse di allucinazioni. E che la sindrome persista, almeno a leggere altre perle di saggezza del visionario. Tipo che “è Conte ad avere bisogno di me”. In che senso un affermato avvocato civilista e docente universitario divenuto in tre anni il politico italiano più popolare, il premier che ha affrontato la pandemia e ottenuto il Recovery Fund, quello che ha risolto i casini altrui con Casaleggio, avrebbe bisogno di Grillo, è un concetto che sfugge ai più. Ma qui, più che di visioni, è questione di vocabolario. Cosa intendeva esattamente Grillo quando chiese a Conte di fare il capo politico, visto che ora pretende di decidere al suo posto la linea politica, la segreteria e la comunicazione? Ha presente la differenza tra capo politico e prestanome, portaborse, badante? L’affermazione “non sono un coglione”, detta dall’interessato, vale quel che vale. Ma qualunque capo politico accettasse di farsi dettare la linea politica, la segreteria e la comunicazione da un altro non sarebbe un capo politico: sarebbe un coglione.
Come se ne esce? In due soli modi.
1) Gli eletti e gli iscritti ai 5Stelle votano sulla nuova piattaforma (“uno vale uno”) per decidere chi fa il capo e chi fa il coglione.
2) Conte si grillizza per un giorno, manda tutti affanculo e se ne torna a fare l’av - vocato e il professore, dopo quattro mesi di volontariato senza stipendio, riconsegnando i 5Stelle a Grillo: è lui che li ha fondati, è giusto che sia lui ad affondarli.
Filippo Facci per Libero Quotidiano il 26 giugno 2021. Le battaglie perse sono le più divertenti, ma ormai Travaglio rischia di morire dal ridere (e noi pure, a leggerlo) perché siamo, ormai, al masochismo esibito, alla candidatura di orfano politico a vita, a un elogio del peggio e del nulla che ha qualcosa di scientifico. Cioè: Travaglio, ora, ha mollato pure Grillo. Il direttore del Fatto, da 25 anni, cerca di intercettare il peggio del qualunquismo forcaiolo per traghettarlo verso personaggi che poi si vanno a schiantare con fragori da rompere il timpano: ma lui resta sordo nel porsi ogni domanda. Non è tanto la persona di Travaglio a contare (lui ha una sua importanza, ma non così tanta) quanto il percorso di una parte di questo Paese disgraziato, che non ha mai vinto - fatta salva una breve stagione grillina, appunto - ma che può consolarsi in una cosa sola: ha fatto tanti danni. Non è certo una novità che Travaglio sostenga Giuseppe Conte, un mediocre avvocato paraculo estratto dal nulla e al nulla ri-destinato: ma ora Travaglio, per accreditare un lapillo, giunge a delegittimare il vulcano. Secondo Travaglio, Conte sarebbe «un affermato avvocato civilista e docente universitario divenuto in tre anni il politico italiano più popolare». Non c' è una sola cosa vera in questa frase, ma non staremo a smentirla. Conte, secondo Travaglio, è «il premier che ha affrontato la pandemia e ottenuto il Recovery Fund». Sicuro. La pandemia l'ha affrontata: con esiti misurabili in vari modi (compreso il numero dei morti) non ultimo la necessità di sostituirlo per urgente dettato del Capo dello Stato. Il Recovery Fund non l'ha ottenuto: gliel' ha bocciato l'universo mondo, e Mario Draghi ha dovuto riscriverlo perché era tutto da rifare. Ma il problema è Grillo, secondo Travaglio: lui ha «mandato il M5S al macello nel governo più restauratore mai visto», frase accettabile sul piano del restauro di ciò che era tarlato e inservibile.
LA CARRIERA Grillo, secondo Travaglio, pretende di decidere al posto di Conte «la linea politica, la segreteria e la comunicazione», quando la linea politica e la segreteria e la comunicazione del governo Conte (chiamiamole) hanno indotto senza indugio a invocare un governo di unità nazionale. Ma, secondo Travaglio, chiunque «accettasse di farsi dettare la linea politica» eccetera «sarebbe un coglione». A suo modo, ci avviciniamo al punto. Devono essere i grillini «a decidere chi fa il capo e chi fa il coglione», dice Travaglio, posto che entrambi sono apertamente candidati. Oppure: Conte «manda tutti affanculo e se ne torna a fare l'avvocato» mentre Grillo, i Cinque Stelle, «è lui che li ha fondati, è giusto che sia lui ad affondarli». Sì, ci avviciniamo al punto. È tutto sul Fatto di ieri. In attesa di puntualizzare, persino Travaglio ha tempo di valutare le scelte lungimiranti di una carriera (sua) imperniata sull' equilibrio e sulla ponderazione. Travaglio lavorò per il Giornale di Montanelli dal 1987 al 1994, e si adeguò alla linea craxiana-democristiana di un direttore che peraltro definì Berlusconi come migliore editore possibile. Poi Montanelli fondò La Voce e Travaglio lo seguì: ma il quotidiano chiuse rapidamente. Prima ancora di intraprendere un'intera carriera contro Berlusconi, Travaglio scrisse un paio di libri per la Mondadori di Berlusconi e questo nel 1994, quando la celebre discesa in campo era già stata annunciata da tempo: il primo libro si chiamava "Stupidario del calcio e altri sport", il secondo invece "Palle mondiali". Un titolo autobiografico. Quando Valentino Castellani si candidò a sindaco di Torino, Travaglio fece fuoco e fiamme: era il 1993 e Castellani fu subito eletto, tanto che Travaglio ci scrisse assieme il libro agiografico "Il mestiere di sindaco". Seguì un periodo confuso. Travaglio, nel periodo secessionista della Lega, scrisse sulla Padania con lo pseudonimo di Calandrino, ché il suo vero cognome pareva troppo smaccato. Scrisse anche per Il Borghese, ma chiuse. Dopo la retorica leghista, rivolta contro i parassiti pagati dalla Rai e per esempio dall' Unità, cioè dal contribuente, Travaglio scrisse per l'Unità e lavorò per la Rai. L' Unità ha chiuso. Andò da Daniele Luttazzi: chiuso il programma. Promosse programmi della Guzzanti, di Oliviero Beha e di Massimo Fini: mai fatti.
FOLGORAZIONE In tutto questo sostenne l'avventura politica di Antonio Di Pietro, che sappiamo com' è finita. Sostenne Gian Carlo Caselli all' Antimafia: fecero una legge per bloccarlo. Gli capitò anche un incidente che non ama sia ricordato: forse per ingenuità, portò la famiglia in Sicilia a trascorrere le vacanze in presenza di un favoreggiatore di mafiosi arrestato tre mesi dopo. «Io faccio solo il giornalista» amava ripetere prima di fare comizi alle manifestazioni politiche di Grillo e di Di Pietro: facendo intanto spettacolini teatrali, invocando il diritto di satira anziché di opinione, vendendo dvd di se stesso e libri di carte passate dai magistrati. Altri punti di riferimento furono i magistrati Woodcock, Forleo, De Magistris e Di Matteo: no comment. La vera folgorazione però rimase sempre quella per Beppe Grillo, il cui qualunquismo aveva sbaragliato tutti gli altri: era rimasto vivo giusto lui. Ora Travaglio gli dà bacio della morte.
Gli strappi di Beppe Grillo che non può accettare un Movimento «personale». Marco Imarisio su Il Corriere della Sera il 24/6/2021. La volontà del fondatore del Movimento 5 Stelle di tenere una linea antisistema. E l’ex premier è il bersaglio. La giusta distanza stava diventando un esilio. Beppe Grillo aveva detto alle persone a lui più vicine che per l’ennesima volta era giunto il momento di osservare le vicende del suo Movimento più da lontano. Come un vero padre nobile, e non come un «Elevato» che a norma di Statuto conserva il potere intangibile di decidere cosa è bene e cosa è male per la sua creatura. Alla fine di febbraio, dopo l’incontro a Marina di Bibbona con Giuseppe Conte, era tornato nella sua casa di Genova ben contento di rivendicare la propria stanchezza e la liberazione dalle incombenze quotidiane della politica. A sigillarlo tra le mura domestiche c’era stato poi il disastroso video con il quale difendeva il figlio Ciro dalle accuse di stupro, che oltre a rivelarsi un boomerang per le vicende giudiziarie dell’erede, aveva anche ridotto di molto la sua agibilità politica, trasformandolo per qualche tempo in una sorta di impresentabile. Sembrava scomparso, il cofondatore del M5S. Ogni tanto affiorava, ma solo a livello di retroscena, il suo malcontento per la gestione della lite di condominio sulla piattaforma Rousseau. Lui avrebbe voluto una soluzione più conveniente e dignitosa per Davide Casaleggio, che al netto delle incomprensioni personali rimane pur sempre il figlio di Gianroberto, l’altra metà della storia. Negli ultimi quindici giorni è cambiato tutto. Prima, a sorpresa, un no secco alla deroga al secondo mandato, che ha destato molte perplessità nell’ex presidente del Consiglio, il quale con i suoi tortuosi giri di parole aveva appena detto che qualche deroga ad personam sarebbe comunque stata possibile. Neppure il tempo di catalogare l’uscita alla voce «borbottio dell’anziano leader», che Grillo annunciava la visita all’ambasciatore cinese, mettendo in difficoltà l’ala governista che sostiene Conte e al tempo stesso partecipa all’esecutivo del suo nemico Mario Draghi, in quei giorni alle prese con un G7 all’insegna di un ritrovato atlantismo. A quel punto è apparso chiaro che la rifondazione del M5S non sarebbe stata una passeggiata. E le beghe sulle liste degli iscritti erano Disneyland in confronto allo scontro che si stava profilando all’orizzonte. Perché il bersaglio del ritrovato attivismo di Grillo è proprio Conte. La battaglia sul nuovo Statuto sarà cruenta, sono in ballo principi fondamentali, ma è solo l’inizio. Nel suo continuo andare e venire dalla politica pesano stati d’animo molto personali. A volte è inutile cercare un filo di razionalità laddove semplicemente ci sono gli umori di un leader che si considera unità di misura del Movimento che lui ha creato. Quel che va bene a lui, va bene al M5S. E il passare del tempo non ha mai scalfito questa sua intima convinzione, così forte da farlo tornare più volte sui propri passi, dopo aver annunciato «il passo di lato», «il ritorno sulle scene», «la vita da Cincinnato». Grillo «sente» il Movimento come se fosse la sua linea d’ombra, come la vita mentre gli sembra di perderla. Più si isola, nell’ultimo caso da tutto, dal dibattito pubblico, dal palcoscenico, sempre di più rinchiuso in casa, più ritorna con rinnovata irruenza. L’ex comico ha la destabilizzazione nel proprio codice genetico. Uno vale uno, ma solo per l’Elevato. Il problema è che adesso sono in due, ed entrambi hanno scoperto la vocazione autoritaria dell’altro. L’investitura di Conte non è stata certo una decisione collegiale. Ha deciso Grillo da solo. Ma l’ex presidente del Consiglio non sembra aver capito cosa significasse quella mano calata dall’alto. Non esistono i pieni poteri, se non per una sola persona. Figurarsi quando l’Elevato ha cominciato a capire che i fini divergevano, e non di poco. L’ex comico identifica la salvaguardia del Movimento nel mantenimento di una linea antisistema, di natura ribellistica. Se il filone giustizialista si è rinsecchito causa l’alleanza del M5S con pressoché l’intero arco parlamentare, non restano che le Cinque stelle, acqua, ambiente, trasporti, connettività e sviluppo. Ma Grillo si è convinto che Conte sia più interessato a un semplice M5S governista che alla maieutica ecologista. E non può accettare un Movimento personale come era stato bi-personale quello suo e di Casaleggio padre, se svuotato di ogni antagonismo e trasformato in un piedistallo dove appoggiare quella popolarità che i sondaggi ancora consegnano all’ex premier. Alla fine, sullo Statuto si troverà un accordo, perché entrambi i contendenti, che a diverso titolo si sentono in debito con la sorte, avrebbero troppo da perdere da una rottura definitiva. Ma da due debolezze non nasce mai alcuna forza. E neppure un nuovo Movimento con basi solide.
S.Can. per "il Foglio" il 23 giugno 2021. Roma. La situazione è "seria". E grave. Ammettono i pochi che riescono a parlare con Giuseppe Conte, rintanato nel suo ufficio romano con il suo staff legale. Quello alle prese con "una più puntuale e chiara distinzione di ruoli e competenze tra vecchi e nuovi organi". Intanto i parlamentari assistono spiazzati allo scontro con Beppe Grillo. Nel giorno in cui scoppia il caso del ddl-Zan, il leader in pectore del M5s non favella, non dà una linea, non indirizza i deputati e i senatori pentastellati. Vuoto pneumatico. Segnali di sbandamento evidente, segnali che la situazione è davvero "seria". Perché? Grillo non molla. Anzi, quando ieri mattina ha letto sui giornali la linea dell'ex premier ("se Beppe non crede nel progetto, salta tutto") è andato su tutte le furie. L'ex comico ha capito che Conte vuole lo scontro e che non ha paura ad affrontarlo di petto. E che "pensa di ricattarmi, di condizionarmi, di essere indispensabile: il simbolo è il mio", dice il Garante agli amici che lo raggiungono. Per la prima volta c' è qualcuno nel Movimento che affronta il fondatore, lo prende per i ricci, non ha paura delle sue reazioni, che possono essere, come si sa, violente, non ponderate, passionali, di pancia. Di fatto, la trattativa per tutta la giornata non fa passi in avanti: Conte, da una parte, rivendica massima autonomia nel nuovo statuto; Grillo, dall' altra, è intenzionato a non cedere di un passo, a non farsi ridimensionare, a non vedere, queste sono sue parole, "il mio movimento trasformato nel partito personale di Giuseppe". Nella costituzione contiana infatti è previsto che il capo politico abbia mano libera su tutto: dall' indicazione degli organi collegiali fino al tesoriere, passando per gli organismi locali. E senza mai passare da una scelta della rete, ovviamente. Visto che l'altro pilastro della famigerata democrazia diretta, Davide Casaleggio, ormai se n'è andato con la palla (Rousseau) e la sua sostituzione, dal punto di vista digitale, è ancora lontana dal venire e soprattutto dall' essere testata. Conte vuole avere l'ultima parola sulla linea politica, che non deve essere più sindacabile da parte di chi creò tra vaffa e gogne il partito che adesso è maggioranza relativa in Parlamento. Si scontrano dunque due mondi, ma anche due personalità complesse. Grillo è pronto a chiamare a raccolta i parlamentari per raccontare loro i motivi dello scontro: da giorni pensa a questo. Uno show. E sarebbe una mossa esiziale per le ambizioni dell'ex premier che si vedrebbe le truppe ammutinate. Conte, invece, fa trapelare l'ipotesi di un partito proprio senza più condizionamenti: nuovo statuto, nuove regole, zero mediazioni. Il partito di Conte, appunto. Un piano B tante volte accarezzato ai tempi del governo rossogiallo, ma mai messo in pratica, forse per mancanza di ardore. Le pochissime persone che parlano con l'ex presidente del Consiglio dicono che alla fine un'intesa si definirà e che si riuscirà a trovare una mediazione sullo statuto che possa accontentare, e non svilire, il vecchio capo. Ma lui ci starà? E soprattutto: come potrebbero comportarsi, di converso, i parlamentari davanti a un divorzio così clamoroso? E qui la mente corre subito a Luigi Di Maio. Una facile narrazione potrebbe darlo abbastanza soddisfatto di questo clamoroso flop del rivale interno. Ma la verità è più complessa. Il ministro degli Esteri sta cercando di fare il piccione viaggiatore tra le due sponde in guerra. I parlamentari lo cercano e vogliono avere notizie fresche. "Di Maio sta lavorando fianco a fianco con Conte per dare il via al nuovo progetto", così riferiscono i parlamentari che in queste ore stanno intasando di messaggi il telefono dell'ex capo politico. "Beppe vuole bene al movimento", dice sempre Di Maio ai suoi fedelissimi. E su Conte ribadisce: "Dobbiamo stare uniti attorno a Giuseppe. Questo è il momento di essere propositivi", dice ancora il titolare della Farnesina tornando da Pristina dopo esser intervenuto davanti all' assemblea della repubblica del Kosovo. Anche a Roma lo attende la guerra. Ma interna. Con venti di scissione annessi. Di Maio seguirebbe mai Conte in un partito nuovo? C' è chi dice no.
Emanuele Buzzi per corriere.it il 24 giugno 2021. Un passo avanti, ma il traguardo non è ancora raggiunto. Beppe Grillo arriva a Roma per incontrare i parlamentari — tra cui anche l’ex capo politico, il ministro degli Esteri Luigi Di Maio — e parlare del nuovo statuto contiano. L’ex premier Giuseppe Conte, non invitato, non partecipa al faccia a faccia. Tra i due, però, come anticipato dal Corriere, nelle ultime ore c’è stato un confronto, una telefonata che è servita in parte a chiarire i nodi. Ma le tensioni restano alte e l’intesa, seppure le parti siano più vicine, non è siglata. Grillo durante il suo discorso con i deputati mette in chiaro: «Stiamo lavorando bene con Conte, per lo statuto servono ancora 2-5 giorni». Un punto che suona come un riavvicinamento. E il garante gioca sul filo della diplomazia. A partire dal tema dei due mandati: «Io sono per i due mandati, farei anche una legge, ma lo metteranno al voto gli iscritti». Un passo che suona come un eventuale nulla osta ai cambiamenti se decisi dalla base. I nodi però sono ancora al pettine. «Sono il garante non sono un cogl...», sbotta Grillo. Che incalza su uno dei temi per lui cruciali: «Ma perché mi devo sentir dire “non ti devi occupare di comunicazione”. Ma come? Io ho fatto questo per tutta la vita e allora dico che ora di cambiare la comunicazione di M5S. Casalino è bravissimo sulle tv, ma deve parlare anche con me, non solo con Conte. Ho chiesto che si interfacci anche con me, è una vita che faccio comunicazione». Grillo non si piega: «Conte deve assimilare le nostre cose. Lui non sa cos’è veramente il Movimento... Non ha girato con noi nelle piazze... Gli ho detto: tu non sei un visionario. Io sono un visionario. È un uomo di cultura, un curioso».
Il nuovo simbolo: «Io un po’ di sinistra, Casaleggio più di destra...»
Grillo ha presentato un nuovo simbolo, con la dicitura «2050» all’interno, e ha spiegato che anche all’origine del Movimento c’era un dialogo tra posizioni diverse («Io un pochino di sinistra, Gianroberto Casaleggio un pochino di destra, non eravamo d’accordo su tutto...», ha detto).
Gli elogi a Di Maio. «Cingolani? Se continua così, è un bagno di sangue»
Grillo ha anche parlato del ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani — «Se continua così, è un bagno di sangue» — e ha elogiato Di Maio: «Sei uno dei ministri degli Esteri più bravi della storia». Parole seguite da applausi dei deputati. E c’è già chi nel Movimento le legge come una contrapposizione a Conte.
Grillo attacca Conte: studi chi siamo. Poi la telefonata per evitare la rottura. Emanuele Buzzi su Il Corriere della Sera il 25/6/2021. Il fondatore del Movimento ha incontrato gli eletti dei 5 Stelle. «Di Maio? Tra i ministri degli Esteri più grandi di sempre». Poi la telefonata per evitare la rottura. Appesi a un filo, quello telefonico. Beppe Grillo e Giuseppe Conte, dopo una giornata all’insegna della tensione, si parlano, cercano un chiarimento per evitare una rottura che a quell’ora - quella della cena - sembra nell’aria. Grillo ha rivendicato con forza il suo peso nel M5S, Conte è pronto a rifiutare quella che molti già battezzano come una diarchia. Al telefono, il garante chiede risposte sulle criticità all’ex premier. Lui, l’avvocato, cerca di calmare le acque. I contiani parlano di un approccio al progetto rifondativo «che voleva essere alternativo al M5S precedente» e che «non è stato compreso», così come gli ingranaggi relativi alla comunicazione. La tensione è altissima, raggiunge lo zenit dopo ore di travaglio. Ma riavvolgiamo il nastro della giornata. Il garante a Roma incontra deputati e senatori. Un blitz e una marcatura anche «fisica», con tanto di foto di gruppo a Palazzo Madama (richiesta dai senatori) — 24 ore dopo l’incontro tra i parlamentari e Giuseppe Conte — con mascherine e nuovo logo dei Cinque Stelle. A deputati e senatori affida un fuoco di fila di battute e frasi, che servono per ribadire la sua centralità nel Movimento. Grillo usa la clava - metaforicamente parlando - ma al tempo stesso tiene aperta una porta per il dialogo. «Sono il garante non sono un cogl...», sbotta. E incalza su uno dei temi per lui cruciali: «Ma perché mi devo sentir dire “non ti devi occupare di comunicazione”. Ma come? Io ho fatto questo per tutta la vita e allora dico che ora di cambiare la comunicazione di M5S». Grillo si lascia andare a una sassaiola di stoccate: «Conte deve studiare e imparare cos’è il Movimento», «gli ho detto che io sono un visionario, lui non lo è» ed è «lui ad aver bisogno di me, non io di lui». Grillo attacca il ministro Roberto Cingolani ed elogia pubblicamente anche Luigi Di Maio (e c’è chi legge la mossa in chiave anti-Conte): «Sei uno dei ministri degli Esteri più bravi della storia», ha detto con tanto di applauso dell’assemblea. Bordate accompagnate al tempo stesso da quelli che sembrano segnali di riavvicinamento: «Stiamo lavorando bene con Conte, per lo statuto servono ancora 2-5 giorni». «D’accordo su tre quarti dello statuto, è una brava persona». E tocca anche il tema dei due mandati: «Io sono per i due mandati, farei anche una legge, ma lo metteranno al voto gli iscritti». E in serata, quando sui siti campeggiano le prese di posizione del garante, i toni cambiano e si fanno più soft.
Ma quello che Grillo sottolinea più volte e con amarezza è la mancanza di condivisione: «A Conte avevamo detto di prendere lo statuto e di farlo evolvere, di partire dal nostro statuto. Lui invece ha preso due avvocati e ha scritto un’altra cosa. Me lo ha dato e mi ha detto di non farlo leggere a nessuno. Io l’ho letto e tante cose non andavano». E c’è chi tra i big lo rimarca: «Se Giuseppe avesse fatto sentire Grillo parte del progetto, ora non saremmo a questo punto». Che oggi non fosse il giorno dell’intesa tra Conte e Grillo lo si era capito fin dalla prima mattina, quando è rimbalzata la notizia di un confronto telefonico (dopo giorni di gelo) tra l’ex premier e il garante. «Nessun chiarimento, non c’è un punto di caduta», avvisano subito fonti interne. D’altronde i mediatori sono al lavoro da giorni. Sul piatto sono state messe in campo diverse opzioni, compresi dei faccia a faccia a Marina di Bibbona. Tutti senza successo. E più lo scontro è salito di tono, con tanto di voci di un passo d’addio di Conte, più Grillo ha sentito la necessità di rendere tangibile a tutti (anche all’ex premier) la sua centralità nel Movimento.
M5S, Grillo a Roma: "È Conte ad avere bisogno di me, sono il garante non sono un coglione". La Repubblica il 24/6/2021. Beppe Grillo ha da poco terminato la sua assemblea con i deputati alla Camera - lo hanno accolto con gli applausi, in diversi però erano assenti - ora passerà ai senatori. Il garante del M5S, dopo gli screzi a distanza con il leader in pectore Giuseppe Conte, ha ricordato che "è lui ad avere bisogno del Movimento e io gli posso essere molto utile". Conte inoltre "non conosce le piazze", cioè la storia movimentista dei 5Stelle. "Sono il garante, non sono un coglione", altra frase durissima del suo intervento. Ma non è una rottura conclamata, più che altro però il tutto suona come un avvertimento. Il progetto di rifondazione con l'ex premier va avanti, ma a delle condizioni. Ci sono delle divergenze di vedute, come avveniva in passato tra lui e Gianroberto Casaleggio, ha ricordato e ammesso il comico genovese. Nel caso specifico, sulla centralità (o meno) che dovrà avere Grillo nel neo-Movimento. Anche sulla comunicazione: il fondatore del M5S pretende di essere coinvolto dallo staff di Conte, guidato da Rocco Casalino. Per l'occasione inoltre Grillo ha presentato il nuovo simbolo del partito. In realtà è identico a prima, ma laddove in basso una volta c'era l'indirizzo del Blog delle Stelle d'ora in poi ci sarà l'anno 2050.
Altro punto, il tetto ai due mandati. Grillo ha ribadito di non essere d'accordo a superarlo, ma si è detto disposto a far votare gli iscritti per eventualmente modificare parzialmente la norma fondativa. Infine, il garante ha espresso la sua insoddisfazione - condivisa da gran parte del M5S - verso il lavoro del ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani, il cui nome pure era stato "vidimato" da Grillo.
M5s, Conte esce e sbatte la porta "Mancano le condizioni per proseguire". Affari Italiani il 25/6/2021. Giuseppe Conte è ad un passo dalla rottura definitiva con Beppe Grillo. Adesso ricucire sarà davvero dura, anche se in tarda serata i duoi hanno ricominciato a sentirsi. L'ex premier non ha gradito le parole del garante ai parlamentari grillini. L'avvocato - si legge sul Fatto Quotidiano - non crede ai suoi occhi, quando nel tardo pomeriggio cominciano a girargli le agenzie che riassumono il discorso del comico ai deputati. Ma a stupirsi non è certo solo lui. Tutti i big pensavano e speravano che il Garante avrebbe usato toni distensivi, magari limitandosi a qualche puntura di spillo. Troppo per i contiani, tutti, che in serata sussurrano un superlativo come una parola d’ordine per riconoscersi nella bufera: "Malissimo". È andata malissimo, dicono. Ed è la stessa, identica valutazione che fa Conte. “Se dovessi reagire a caldo, non ci sarebbero più le condizioni per andare avanti” confida ai suoi. “Per come ha parlato Grillo - prosegue il Fatto - il Movimento diventerebbe una diarchia”. Con due capi e due voci, l’una a marcare l’altra. Impossibile da accettare, per l’avvocato. Anche perché le premesse erano ben altre. Conte si sente delegittimato, dal Garante a cui pure in queste settimane ritiene di aver dato ampi segnali. “Lo Statuto glielo aveva mandato a inizio giugno, e su trenta cose che Grillo chiedeva ha detto sì a venti” sostiene un contiano doc. Ma non è bastato, perché forse non poteva bastare.
"Grillo l'ha preso a cannonate...". Perché Conte ora trema. Francesco Curridori il 25 Giugno 2021 su Il Giornale. Mente Beppe Grillo attaccava l'ex premier e, di fatto, si riprendeva le redini del M5S, “i contiani erano tutti quanti depressi e col broncio”, ci rivelano le nostre fonti. “Oggi Conte esce assolutamente depotenziato”. Il verdetto dei deputati grillini presenti all'incontro con Beppe Grillo è inequivocabile. Il fondatore del M5S “ha tirato delle vere e proprie cannonate contro Conte”, è il commento che un deputato al secondo mandato rilascia a ilGiornale.it. “Grillo ha fatto capire che lui è il garante e lui deve metter bocca su alcune cose. Insomma, non molla e, perciò, Beppe Conte si deve adeguare”, sottolinea la nostra fonte. La sostanza del suo discorso è stata: “Voi non mi potete escludere da questo movimento. Io devo partecipare e dire la mia sulla comunicazione e sulla democrazia interna”. Di fatto, però, Grillo ha parlato pochissimo dello Statuto: “Più che altro ha bombardato Conte e, poi, ha parlato per tre quarti d'ora sulla transizione ecologica”. Ma non solo. Grillo si è impuntato sul logo perché sicuramente Conte lo voleva cambiare. “Stava girando un logo nuovo con lo sfondo blu”, ci fanno sapere i pentastellati. Niente da fare. Grillo è stato categorico anche su questo: “Il logo è 'Movimento 2050'. Punto”. Conte, in poche parole, si è visto trattare come un corpo estraneo, o meglio uno scolaretto alle prime armi che deve ancora capire cos'è il Movimento e che spetta a Grillo spiegarglielo. E, dunque, se fa un lato Grillo ha avuto delle parole di elogio nei confronti dell'ex premier (lo ha definito “integerrimo”), dall'altro si è ripreso il M5S e non intende mollarlo. Anzi. Il comico genovese è stato molto duro anche sulla comunicazione e ha chiarito che Rocco Casalino, d'ora in poi, dovrà rendere conto anche a lui e non soltanto a Conte. “Ha detto che le foto di Conte allo stadio e di Di Maio con la pizza fanno parte di uno stile comunicativo vecchio e brutto”, ci ricorda la nostra fonte che aggiunge: “Testualmente ha detto proprio che quelle foto 'fanno cagare'...”. “Oggi Grillo ha detto tante verità sulla nostra comunicazione e ha sparigliato completamente le carte. Se prima eravamo confusi, ora lo siamo ancora di più”, dicono i pentastellati. In Senato, però, il fondatore del M5S ha usato parole più concilianti, probabilmente per scendere a patti con Beppe Conte. “La prima versione è quella che conta. Con noi – dicono i deputati pentastellati - è stato veramente trasparente e poco conta se, ora, in Senato, sta ritrattando e aggiustando il tiro”. Mente Grillo parlava “i contiani erano tutti quanti depressi e col broncio”, ci rivela un deputato al primo mandato che ha carpito alcuni loro commenti. “Beppe ha esagerato”. “Conte fa questo sacrificio e lui vuole stare sempre in mezzo...”, avrebbero detto i fedelissimi dell'avvocato di Volturara Appula. “Dalla Taverna a Bonafede, passando per la Azzolina, i contiani erano tutti sotto choc..”, aggiungono le nostre fonti che, ora, si chiedono: “Conte, dopo tutte queste bordate, come fa a dire che è il capo e a fregarsene di Grillo?”.
Francesco Curridori. Sono originario di un paese della provincia di Cagliari, ho trascorso l’infanzia facendo la spola tra la Sardegna e Genova. Dal 2003 vivo a Roma ma tifo Milan dai gloriosi tempi di Arrigo Sacchi. In sintesi, come direbbe Cutugno, “sono un italiano vero”. Prima di entrare all’agenzia stampa Il Velino, mi sono laureato in Scienze della Comunicazione e in Editoria e Giornalismo alla Lumsa di Roma. Dal 2009 il mio nome circola sui più disparati giornali web e siti di approfondimento politico e nel 2011 è stata pubblicata da Aracne la mia tesi di laurea su Indro Montanelli dal titolo “Indro Montanelli, un giornalista libero e controcorrente”. Dopo il Velino ho avuto una breve esperienza come redattore nel quotidiano ‘Pubblico’ diretto da Luca Telese. Dal 2014 collaboro con ilgiornale.it, testata per la quale ho prodotto numerosi reportage di cronaca dalla Capitale, articoli di politica interna e rumors provenienti direttamente dalle stanze del “Palazzo”.
Gad Lerner per “il Fatto quotidiano” - Estratto il 24 giugno 2021. Il fondatore a un certo punto diventa figura ingombrante per qualsiasi partito che aspiri a radicarsi nella società sul lungo periodo.……..Garante di che cosa? Ho sempre trovato fastidiosa l' ironia con cui Grillo usa autodefinirsi l' Elevato. Sopra chi e che cosa ritiene di elevarsi, tanto da rivendicare un' investitura a vita, come un monarca o un papa, sia pure travestito da giullare?…….Davvero Conte, una volta ricevuta l' investitura degli iscritti, dovrebbe lasciare a un Garante l' ultima parola sulle scelte fondamentali del MoVimento? Cercando una giustificazione, la prima sarebbe la riconoscenza: il fondatore ha meriti storici che non possono essere disconosciuti, limitarsi ad accantonarlo sarebbe irrispettoso, ma da qui a concedergli la titolarità di un potere di veto, cene corre.……………Qualcuno lo dovrà pur dire. Il numero di cittadini italiani che fanno dipenderei loro orientamenti politici da una speciale ammirazione per Beppe Grillo, col passare degli anni, si è naturalmente ridimensionato, proprio come avvenne ai fondatori dei partiti che citavo all' inizio. Votare M5S non equivale più a votare Grillo. Lui per primo dovrebbe compiacersene.………………..La sua comunicazione risulta usurata, inevitabilmente. Semmai la brutale semplificazione che la contraddistingue, ha ostacolato fin qui l'apporto degli intellettuali e dei quadri dirigenti senza cui un partito radicato nella società va in affanno. Conte dovrà tentare un loro non facile recupero.……………….
Tanto per cominciare, mi auguro che Conte trovi il coraggio di fare chiarezza sulla spinosa questione del Garante: in bei modi o con uno strappo, faccia lui, ma questo è un passaggio ineludibile. Quanto a Grillo, un grande uomo di teatro sa programmare anche la propria uscita di scena.
Dagospia il 25 giugno 2021. Da "Radio Capital". “Il movimento 5 stelle si sta trasformando in qualcos'altro in questi ultimi anni. I principi del Movimento erano ben chiari, ora non lo sono più. Ancora non ho capito le idee di Conte sul Movimento, non capisco perché tenga così segreto il suo Statuto. Non è con uno statuto che si fa un movimento. Sicuramente è il momento più difficile in tutta la storia del Movimento 5 stelle” così Davide Casaleggio, ospite a “The Breakfast Club” su Radio Capital. “Cosa resterà del Movimento? Sicuramente il simbolo, i principi fin qui sono scritti nello Statuto e nel codice etico ma mi sa che vogliono riscrivere pure quelli. Nell’ultimo anno troppe deroghe e violazioni ai principi e alle regole costitutive, che sono stati il motivo per cui sono state attratte tante persone, per questo se i principi vengono meno le persone si disaffezionano. La regola dei due mandati? È uno dei tre pilastri che avevamo proposto durante il V Day, era la legge dei cittadini. Semplicemente per far partecipare i cittadini alla politica e secondo me potrebbe essere applicato all'intero arco costituzionale. Beppe Grillo ha ribadito il suo punto di vista sul tema dei due mandati. Lui crede che sia in linea con i principi costitutivi del Movimento”. Sulla consegna dati degli iscritti alla piattaforma Rousseau, Casaleggio precisa: “Noi abbiamo sempre detto che se il rappresentante legale del Movimento ci avesse chiesto i dati, li avremmo consegnati. E così è stato, ma solo dopo che è stato individuato chi fosse questo rappresentante legale. Il tema non è una questione di dati, il Movimento non si fonda su uno statuto nuovo tenuto segreto o su una serie di mail contenute in un server. Si fonda su degli ideali, su delle battaglie. Questo è il tema principale. Di Battista? Con Alessandro abbiamo sempre avuto un ottimo rapporto di amicizia, come con altre persone del Movimento. Credo che in questo momento sia focalizzato su altri progetti. Mio padre di destra e Grillo di sinistra? Cerco di evitare di utilizzare le etichette della politica, preferisco parlare di singole battaglie. Mettersi addosso una bandiera politica serve a semplificare le discussioni”
Marco Imarisio per il "Corriere della Sera" il 25 giugno 2021. L'ultima sconfitta dell'Atene elettronica è definitiva. Gianroberto Casaleggio ha perso la guerra che aveva dichiarato in un libro del 2011, quando con Beppe Grillo scrisse un volume che aveva come sottotitolo La Rete contro i partiti, e quella precisazione sembrava un modo per dire che in realtà era solo farina del suo sacco, era lui che sapeva di Internet, non l'altra metà del Movimento. Ma allora tutto sembrava ancora così incerto. Quei due, considerati visionari o matti o entrambi, teorizzavano che in attesa dell'avvento della democrazia digitale e diretta ispirata all' età d'oro di Pericle, per meglio rispondere al popolo e servirlo, ai cittadini eletti sarebbe stato più conveniente lasciare la catena corta. Che non si sa mai. E così l'anno seguente, quando apparve il Codice etico del Movimento 5 Stelle, all' articolo 2, sotto la voce «Obblighi per i soggetti candidati», si leggeva che ciascun associato doveva obbligarsi, in particolare, «a non presentare la propria candidatura per una carica elettiva, qualora siano già stati esperiti dall' iscritto n. 2 mandati elettivi», di ogni ordine e grado. Il Codice etico, più ancora del Non Statuto che ne era la traduzione, rappresentava le tavole della legge, ideate e redatte da Casaleggio in persona, come ammise lui stesso in una lettera al Corriere della sera dello stesso anno, quando di questa figura sconosciuta si parlava ancora come del «piccolo fratello» di Grillo, con riferimento a 1984, il romanzo di George Orwell. «È evidente che non lo sono» scriveva. «La definizione contiene però una parte di verità. Grillo per me è come un fratello, un uomo per bene che da questa avventura ha tutto da perdere a livello personale». Basta leggere queste ultime righe per capire quanto debba essere costata all' ex comico genovese la sua sostanziale astensione sul tema della regola dei due mandati, decretata ieri a malincuore con l'affidamento della parola definitiva sul tema a un referendum tra gli iscritti, che però potrebbe anche rivelarsi una tagliola sul cammino di Giuseppe Conte. Perché il feticcio del cittadino che lascia le sue cariche e torna a casa è ancora ben presente nell' immaginario collettivo del vecchio Movimento. Non è un caso che nel suo messaggio di addio al Movimento, Davide Casaleggio abbia citato l'Atene di Pericle e il vincolo del doppio mandato che rappresentava l'architrave di quella utopia, come se volesse rivendicare l'eredità del padre. L'ultimo tabu cade perché come lo stesso Grillo ha ammesso l'anno scorso, «una classe dirigente non può essere inventata su due piedi». E siccome ormai non resta più niente dell'identità del Movimento, «Il No alla Tav è nel nostro Dna», «Siamo come i Panda, non ci alleeremo mai con nessuno» e la democrazia diretta viene rimandata a data da destinarsi con l'addio alla piattaforma Rousseau, ecco che nel ripudio dell'ultimo lascito di Casaleggio padre, uno non vale più uno, anzi ce n'è almeno una dozzina che conta molto più degli altri. Salvo qualche rara eccezione titolare di carica istituzionale come Roberto Fico, sono tutti fedelissimi di Luigi Di Maio, destinati a formare la nomenclatura del nuovo Movimento, visto che l'ex presidente del Consiglio è sprovvisto di truppe proprie. I nomi sono sempre quelli. Lo stesso Di Maio, Fico per le ragioni di cui sopra, e poi Alfonso Bonafede, forse l'unico che ha davvero varcato il Rubicone a favore di Conte, Vito Crimi che ha portato la croce della reggenza, inciampando parecchie volte, Paola Taverna che fu di lotta estrema e ora pare una dorotea, Laura Castelli che già ai tempi del governo con la Lega dichiarò fede incondizionata nell'attuale ministro degli Esteri, e poi Roberta Lombardi, Davide Crippa, Danilo Toninelli, Carlo Sibilia, Fabiana Dadone, fino a Stefano Buffagni, che spesso parla fuori dal coro ma è l'unico legame del Movimento 2.0 con Milano e quindi resterà. La lista dei salvati magari sarà un poco più lunga, ma non si uscirà comunque da questo seminato made in Pomigliano d' Arco, a riprova del fatto che non sarà solo con Grillo che Conte dovrà spartire lo scettro. I sommersi destinati a un ritorno alle loro professioni originarie saranno molti di più. Anche la logica dei sondaggi che lascia intendere come i posti a sedere nel loggione del terzo mandato siano limitati. Senz'altro insufficienti per far accomodare gli altri cento in attesa di uno strapuntino. A questo numero ci si arriva sommando cinquanta deputati, diciannove senatori, e una quarantina di consiglieri regionali, che da tempo stanno pensando a mosse e destinazioni future. Un plotone di scontenti al quale non mancherà certo il materiale d' archivio per rinfacciare scarsa coerenza ai capi politici del vecchio Movimento 5 Stelle. Non solo a Grillo, si intende. Con il suo ultimo tweet del 31 dicembre 2018, prima degli auguri di buon anno, Di Maio scrisse che la regola dei due mandati era certa come «l'alternanza delle stagioni». Ma si sa che non esistono più le mezze stagioni, e forse neppure quelle intere.
Ilario Lombardo per "la Stampa" il 22 giugno 2021. Delusione. Così rispondono le fonti più vicine a Giuseppe Conte sondate per conoscere lo stato d’animo dell’ex premier dopo lo strappo con Beppe Grillo. L’avvocato è deluso per la china che sta prendendo la dialettica interna al M5S. Prima la contesa sui dati degli iscritti alla piattaforma Rousseau, lo scontro e il divorzio con Davide Casaleggio. Ora il conflitto esploso con Grillo a poche ore dalla presentazione ufficiale del nuovo statuto del Movimento. Gliel’avevano spiegato per bene che i grillini è come se fossero avvolti da un incantesimo malefico che li trascina in eterne risse e lacerazioni periodiche. Ma Conte non si aspettava di dover arrivare a duellare con il comico, colui che gli ha consegnato le chiavi della sua creatura. Racconta chi gli ha parlato nelle ultime ore che però Conte è deciso a non capitolare: la condizione imprescindibile perché il nuovo progetto vada in porto è che Grillo ne sia pienamente convinto. Se non fosse così, secondo l’avvocato non ci sarebbero le condizioni minime per dare nuova vita e nuovo slancio al Movimento. L’ex premier, fa sapere, è pronto a fermarsi qui. Se a Grillo serve qualche giorno in più bene, ma poi Conte vuole una risposta definitiva. Lo statuto è la pietra fondativa del partito che immagina. Ci ha lavorato per mesi, creando un’architettura più articolata, adatta a un percorso politico di rilancio, senza le arzigogolate trovate del non-partito liquido. Glielo aveva chiesto Grillo di farlo, sostiene con amarezza l’ex premier, prima che qualcosa si spezzasse. Da quanto si è potuto ricostruire, Grillo non ha gradito soprattutto metodo e comportamento di Conte, ma anche alcuni passaggi del testo che, a suo avviso, ridimensionerebbero il suo ruolo di garante. Di certo il comico genovese si è lamentato con più persone di un fatto: «Non mi risponde manco al telefono – si è sfogato – non può non rispondermi al telefono se lo chiamo più volte». Quando poi ha saputo che, anche senza il suo via libera definitivo al testo, si stava predisponendo tutto per fissare l’evento di presentazione del nuovo statuto, per domani o dopodomani, Grillo lo ha fatto saltare. C’è dell’altro, però, che non andrebbe giù al comico. Conte avrebbe imposto una tabula rasa della squadra dei legali che da sempre fanno parte della famiglia del M5S. Andrea Ciannavei, il notaio Valerio Tacchini ed Enrico Grillo, quest’ultimo nipote del fondatore e suo avvocato personale. Sarebbero stati loro a suggerire a Grillo di fare attenzione alle formule usate nello statuto. A comporlo, d’altronde, è stato un avvocato, che conosce i segreti del linguaggio legale. Mesi fa, al momento dell’incoronazione a leader, a Conte era stato fatto presente da molti big del M5S: prima o dopo il nodo Grillo, i suoi post, il controcanto politico che già Luigi Di Maio aveva dovuto subire, sarebbe venuto fuori. Un assaggio c’è stato la settimana scorsa, per l’enorme pasticcio che ha creato la visita di Grillo all’ambasciatore cinese in Italia. Dopo aver inizialmente confermato la sua presenza, Conte ha disertato l’incontro avvenuto proprio mentre al G7 il premier italiano Mario Draghi stringeva la mano del presidente americano Joe Biden e partecipava alla stesura del comunicato finale contro l’«autocrazia» di Pechino. Grillo non ha gradito il ripensamento di Conte ma, non contento, subito dopo ha ospitato sul blog un duro attacco al summit dei sette in Cornovaglia e al successivo vertice Nato a Bruxelles. Altro motivo di imbarazzo per un ex premier come Conte, per il ministro degli Esteri Di Maio e per gran parte del M5S al governo. L’avvocato non vuole interferenze sulla linea politica. Lo statuto riscritto di suo pugno riorganizza il Movimento con nuovi organi di garanzia e di rappresentanza, cercando di definire meglio la distinzione dei ruoli e delle competenze. Ma secondo chi ha potuto leggere il testo, il ruolo del garante non viene ridimensionato. Certo, Grillo non potrà avere più il potere di fare e disfare come gli pare. Ci saranno un capo politico o presidente, due o tre vicepresidenti, una segreteria che avranno il compito di prendere le decisioni. Grillo resterà padre ma non più padrone, custode di una storia e guida spirituale. Sempre che non decida di far crollare tutto e riprendersi il giocattolo.
Massimo Franco per il "Corriere della Sera" il 22 giugno 2021. I veti incrociati che condannano il Movimento Cinque Stelle in un limbo raccontano una doppia anomalia: una risolta, l'altra no. La prima era quella della piattaforma Rousseau di Davide Casaleggio, e del rapporto perverso con una società privata chiamata a regolare le votazioni e a tenere in cassaforte la lista degli iscritti. In modo tormentato, e tra minacce di ritorsioni giudiziarie, la prima anomalia sembra superata. Ma l'altra, quella della figura del fondatore e garante Beppe Grillo, padre-padrone di un movimento definito da sempre col suo aggettivo sostantivato, è lì, intatta. E pesa a tal punto da impedire una metamorfosi di per sé contraddittoria e faticosa; a costringere la leadership in incubazione dell'ex premier Giuseppe Conte a restare tale; e a rinviare per l'ennesima volta il lancio di un nuovo statuto che dovrebbe trasferire una fetta sostanziosa di potere dal «garante», appunto, allo stesso Conte. Il cortocircuito nasce dal tentativo di spostare i rapporti di forza dal personaggio-simbolo delle strategie grilline, al premier che ha rappresentato dal 2018 il Movimento Cinque Stelle di governo. La sfida riflette fedelmente le incognite sul futuro della formazione tuttora di maggioranza relativa in Parlamento. E ripropone il tema di una «diversità» difficile da smaltire senza rischiare di fare saltare ogni equilibrio residuo. Anche perché l'idea di spogliare Grillo di gran parte della sua influenza senza che sia d' accordo si sta rivelando un azzardo superiore al conflitto tra il Movimento e Casaleggio. È stato quello che si è definito «l'elevato» a voler partecipare alle consultazioni con Mario Draghi quando è andato in crisi il governo Conte. In quel caso, si è davvero comportato da «garante» della collaborazione del Movimento Cinque Stelle nei confronti del nuovo premier. Il fatto che l'ipotesi di un movimento più simile a un partito possa preludere anche a un conflitto con Palazzo Chigi, inserisce un elemento di contrasto. E aumenta il rischio di una destabilizzazione destinata non tanto a mettere nei guai Draghi, ma a fare implodere un M5S già percorso da tensioni che nessuno è in grado di controllare. Ma il tema è ancora più di fondo, e riguarda il peso di Grillo. Che la sua leadership sia appannata è indubbio; che le vicende giudiziarie del figlio lo abbiano reso vulnerabile e meno lucido è altrettanto evidente. La domanda che il vertice allo stato nascente si sta ponendo, però, è se possa esistere un grillismo senza e contro Grillo; se i Cinque Stelle possano ancora definirsi grillini, qualora arrivasse lo smarcamento, quasi la scomunica da parte del fondatore. È un interrogativo al quale al momento nessuno sa rispondere: per primi i suoi seguaci tentati e insieme spaventati dalla prospettiva di fare a meno di lui.
Simone Canettieri per “il Foglio” il 22 giugno 2021. Beppe Grillo è risoluto. E non ha voglia di scherzare, per una volta. “Tengo il punto: costi quel costi”, ripete il Garante del M5s che tale vuole continuare a essere. Perché non ci sta a vedere Giuseppe Conte trasformato “nel líder máximo della mia creatura”. La tensione fra l’ex premier e l’ex comico è stata anticipata dal Foglio la settimana scorsa e continua a non produrre schiarite. Al punto che l’evento organizzato questa settimana – una sorta di Ted a cui sta lavorando Rocco Casalino – è slittato. La faccenda è nelle mani degli avvocati: da una parte il nipote dell’Elevato, Enrico detto Chicco, Grillo; dall’altra il tandem legale contiano Cardarelli-Colucci. Che cosa reclama il vecchio capo? Semplice. Grillo non vuole che siano cambiate le prerogative del Garante, cioè se stesso, nello statuto “del nuovo Movimento” che l’avvocato di Volturara Appula sta scrivendo con uno zelo da leguleio. “Con nuovi organi di garanzia e di rappresentanza, con il risultato che nel nuovo statuto vi è una più puntuale e chiara distinzione di ruoli e competenze tra vecchi e nuovi organi”, ragiona Conte con il suo staff. Con il quale si lascia andare uno sfogo: “La condizione imprescindibile perché questo progetto vada in porto è che Beppe ne sia ancora pienamente convinto. Diversamente, non vi sarebbero le condizioni per rilanciare il Movimento”. I punti contesi sono quattro. Ma è soprattutto il primo su cui Grillo è pronto davvero a tutto. Recita l’attuale statuto del 2017: “Il Garante è il custode dei valori fondamentali dell’azione politica dell’Associazione. In tale spirito esercita con imparzialità, indipendenza ed autorevolezza le prerogative riconosciute dallo statuto. In tale veste, oltre ai poteri previsti nel presente statuto, al Garante è attribuito il potere di interpretazione autentica, non sindacabile, delle norme del presente statuto”. Basta ripercorrere, d’altronde, la storia di questa legislatura per capire il potere esercitato da Grillo sul M5s: fu lui a dire sì al governo con la Lega nel 2018 e fu sempre lui a dire sì al Conte bis con il Pd (mentre un pezzo di Movimento ancora berciava al grido “mai con il partito di Bibbiano”). E infine, fu sempre Grillo, dopo una lunga conversazione notturna, a dare il via libera all’esecutivo con Mario Draghi premier: l’ex banchiere centrale trasformatosi da nemico numero uno in un “grillino”, secondo la battuta di Beppe. Mosse che l’ex comico ha preso sempre in solitaria. Andando contro, di volta in volta, ai desiderata dei suoi colonelli. Per ultimo, nel caso dell’appoggio a Draghi, anche contro Conte che avrebbe preferito tornare al voto. Anche perché Grillo è il proprietario del simbolo (associazione 2012) che l’ex premier vuole usare, visto che in quello attuale ancora compare nel logo la scritta “blogdellestelle”, di proprietà di Casaleggio e legato all’associazione Rousseau. Grillo è atteso a Roma tra oggi e domani. Per un faccia a faccia con Conte: non verrà da solo. Ma si porterà con sé gli avvocati. Si troverà un’intesa? Tutto può succedere. L’ex premier dice che non vuole ridimensionare Grillo. Ma se Beppe ha perso convinzione sul progetto, pensa Conte, salta tutto: addio rilancio. Dopo Casaleggio, un altro ostacolo.
Andrea Giacobino per iltempo.it il 27 maggio 2021. Si separano le strade di Beppe Grillo e del fratello Andrea nel business del mattone. Qualche giorno fa, infatti, a Genova davanti al notaio Filippo D’Amore è stato registrato un atto di cessione quote attraverso il quale Andrea Grillo ha venduto al fratello Giuseppe l’1% della Gestimar srl, consentendo così al fondatore del Movimento Cinque Stelle di salire al 100% del capitale. La transazione è avvenuta ad un prezzo di 2mila 580 euro, pari esattamente al valore nominale considerando che la società ha un capitale di 258mila euro. C’è però da osservare che la Gestimar, di cui proprio Andrea Grillo risulta ancora amministratore unico, ha da anni in portafoglio proprietà a Marinella Golfo Aranci e Porto Cervo in Sardegna, oltre a una serie di uffici a Genova e Nervi e a multiproprietà in Valtournanche, a bilancio per 463mila euro.
DAGONOTA il 27 marzo 2021. Che cazzo deve fa' Grillo per consegnare a Conte un partito! Prima li ha sbattuti dietro la lavagna come ciucci, sbeffeggiandoli come "miracolati". Quindi li ha gelati: "il limite dei due mandati non si tocca". Un vaffa ai Di Maio, Fico, Toninelli, Fraccaro, Patuanelli, e compagnia stonando. L'elevato ha capito che doveva fare piazza pulita delle camarille delle correnti e dei vari protestatari alla Lezzi e Dibba. Aria! Aria! Fuori dalle palle! Devo dare a Giuseppe Conte una nuova classe dirigente, gente scetata da prendere magari nelle amministrazioni territoriali, tipo l'Appendino. Che Beppemao vedrebbe bene come in duplex con l'Avvocato di Padre Pio.
Domenico Di Sanzo per “il Giornale” il 27 marzo 2021. Beppe Grillo si connette su Zoom a sorpresa durante l'assemblea dei parlamentari infastiditi dai temporeggiamenti di Giuseppe Conte. Mentre il leader incaricato si districa tra i grovigli del M5s, il Garante continua a puntare sulla transizione ecologica e sogna i 5s in salsa verde. Doveva essere la prima lezione del professore Marco Morosini, nuovo consulente del Movimento, vecchio ghostwriter ambientalista del fondatore. Nonché l'occasione per presentare alla truppa Roberto Cingolani, titolare del nuovo ministero voluto da Grillo. Ma il comico mette in piedi un piccolo-show. Parla dell'innalzamento dei mari. Esorta i parlamentari: «Dovete metterci passione quando comunicate». Invoca un reset della comunicazione. «Dovete studiare», dice. Poi andrete in Tv. Sfotte bonariamente gli eletti: «miracolati». Cerca di far digerire alla platea Cingolani, sospettato di renzismo. «Io sono l'Elevato, lui il supremo», scherza citando la battuta fatta dopo le consultazioni con Draghi. E ancora, la Transizione ecologica «entri nei licei», il reddito di cittadinanza sia «universale, «la regola dei due mandati è un pilastro», «con Rousseau troveremo un accordo». Parole al miele per Draghi: «Non è un banchiere senza sentimenti, ha mantenuto la parola su transizione ecologica e reddito di cittadinanza». E mentre Grillo blinda la candidatura di Virginia Raggi a Roma, resta la polvere sotto il tappeto. «Non sappiamo neanche una parola di quello che si sono detti con Letta, è peggio di prima». A taccuini chiusi, dai gruppi parlamentari del M5s filtra insofferenza per le tempistiche e i metodi della rifondazione di Conte. Chi si aspettava di essere coinvolto di più è deluso. In Parlamento i grillini commentano il faccia a faccia tra il loro leader designato e il neo-segretario del Pd Enrico Letta. Si lamentano di non essere riusciti a sapere una sola frase di ciò che Conte ha detto all'alleato dem. Nemmeno ai parlamentari più esperti è arrivato nulla. Nel gruppone si sentono, ancora una volta, in balìa di forze esterne. Le svolte maturano solo durante i famosi «caminetti». I vertici top secret contro cui tante volte si sono scagliati i grillini. Così se Conte fino a un paio di settimane fa era acclamato come il salvatore della patria, allora adesso comincia a essere al centro di un po' di malcontento. C'è chi la butta sul ridere e dice che forse era meglio tenersi il reggente Vito Crimi. Un parlamentare dice: «Se continuiamo così va a finire che guideranno il M5s Brescia e Sibilia». Il riferimento è a Italia + 2050, l'associazione autoproclamatasi contiana creata da alcuni parlamentari della corrente «Parole Guerriere». Non manca chi insinua che la sigla possa essere utilizzata per bypassare il limite del doppio mandato, dirottando in un'altra lista chi non potrà candidarsi. E viene tirato in ballo anche il gruppo dei responsabili, creato per salvare Conte durante l'ultima crisi di governo. Una formazione che l'ex premier vorrebbe recuperare, in modo da creare una sua riserva personale oltre il M5s. Chi è già oltre, come Alessandro Di Battista, polemizza sul voto di giovedì in Giunta delle autorizzazioni al Senato sull'utilizzo di alcune intercettazioni in cui è coinvolto il senatore di Forza Italia Luigi Cesaro. Barbara Lezzi, espulsa, rilancia.
Mario Ajello per “il Messaggero” il 28 marzo 2021. «Ma Grillo è matto?», «Beppe ci fa o ci è?», «Conte lo deve smentire o qui facciamo una rivoluzione!». Non è stato presa bene in M5S l'annuncio del Fondatore, anche detto l'Elevato, sul divieto del terzo mandato per i parlamentari stellati: «Questo nostro pilastro non si tocca». Parola di Beppe che comunque ha concesso: «Gli eletti che finiscono il secondo mandato non saranno abbandonati». I grillini sono infuriati con lui, vogliono restare in Parlamento tutti, se ne infischiano della vecchia regola dei due soli mandato. Molti big ma soprattutto semi-big del Movimento stanno riempendo le chat interne di messaggi stupiti e irritati: «Scateniamo il Vietnam». E c'è chi minaccia: «Adesso o Conte smentisce Grillo o avrà contro i parlamentari al secondo mandato per due anni». Quelli che restano da qui alla fine della legislatura. Grillo sembra comunque orientato a non cedere su questo tema e si muove in pieno accordo con Conte. Il quale da leader stellato non vorrà caricarsi di tanti pesi inutili rappresentati da parlamentari al secondo giro - basti pensare alle ex ministre pasdaran o ai Toninelli - non considerati meritevoli del terzo. Grillo è dalla sua parte: «Conte dovrà avere un movimento nuovo nei temi e nelle persone. Molto più verde e molto più preparato sulla transizione ecologica e sui grandi argomenti del mondo 2050. I miracolati ora devono mettersi a studiare». La protesta è furibonda. «Blindare i 2 mandati ora - ragiona un big pentastellato - è una scelta suicida: si tratta in pratica di mandare al macero chi dovrebbe sovvenzionare il nuovo Movimento. Se Conte avalla la scelta di Grillo, il partito se lo fa da solo». Ma questa mossa Grillo l'ha fatta anche per questo: per fermare tutte le correnti che stanno nascendo in M5S per condizionare la leadership di Conte e per garantirsi un posto al sole nella prossima stagione. Ovvero farsi ricandidare. La corrente Sibilia per fare un esempio. C'è una corsa a dirsi più contiani di Conte per farsi riconfermare da Conte. Si moltiplicano tra senatori e deputati associazioni e gruppi tematici con l'obiettivo di acquisire potere contrattuale in vista dell'arrivo di Conte. Chi non deve temere il diktat di Grillo, e lo sa benissimo, è l'attuale gruppo dirigente (tutto al secondo mandato ma che avrà anche il terzo): ovvero Di Maio, Patuanelli, forse Fraccaro, forse Crimi, Bonafede, la Taverna, la Castelli. Per loro ci sarà la deroga per meriti (veri o presunti) acquisiti sul campo e anche perché, è il caso del ministro degli Esteri, con Conte fila d'amore e d'accordo, rappresenta la garanzia di continuità anche agli occhi di Grillo e un punto di equilibrio nel Movimento.
Fabrizio Roncone per il “Corriere della Sera” il 28 marzo 2021. Beppe Grillo: c'è roba, ci facciamo una pagina. Fate mente locale. Negli ultimi due mesi: ha costretto il Movimento a seguire Mario Draghi (passato dall'essere «figlio di Troika» a «banchiere dotato di sentimenti»); ha espulso i parlamentari che si opponevano alla capriola (urlò a Stefano Patuanelli: «La Lezzi non è d'accordo? Ho-ca-pi-to-be-ne? Cacciatela!»; ai grillini che vanno in tivù ha ricordato le vecchie regole: «Non fatevi interrompere. Se succede, vi alzate e ve ne andate» (quelli, vanitosi e preoccupati, hanno subito scritto agli autori dei talk: «Per favore, non fateci interrompere»); si è convinto che il futuro debba essere «green», parola misteriosa per la maggior parte dei parlamentari, che così adesso nelle interviste parlano tutti come Greta Thunberg, ma sotto peyote; ha rotto con Davide Casaleggio, con il quale è sempre stato cordialmente in antipatia (trattative in corso per mitigare le richieste economiche del figlio di Gianroberto, la piattaforma Rousseau ha i conti in rosso: ma considerate che, secondo la leggenda, Grillo si sarebbe fatto crescere la barba per risparmiare sulle lamette); poi ricordandosi che, fondamentalmente, è un comico, si è esibito nella solita pagliacciata, uscendo dall'hotel Forum di Roma con un casco da astronauta in testa; poco prima, nella sua suite al quinto piano con vista Colosseo, serissimo aveva però annunciato a capi e capetti che «il Movimento andrà avanti con il centrosinistra e il vostro nuovo leader sarà Giuseppe Conte»; venerdì - infine - Grillo è intervenuto a sorpresa all'assemblea congiunta dei gruppi parlamentari e ha seminato puro terrore evocando la terribile «regola del doppio mandato». Più che un capo, un padrone. Spregiudicato. Perfido. Capriccioso. Magari ora risparisce per qualche mese. Però, intanto: panico. Intendiamoci: i parlamentari grillini sono abituati a Grillo, ascoltano di tutto, si fanno dire di tutto. All'assemblea dell'altro giorno, di punto in bianco: «Siete dei miracolati! E so quello che dico» (appunto, per dire: Laura Castelli, viceministro dell'Economia, gestiva un Caf; Sergio Battelli, presidente commissione Affari europei, terza media e dieci anni commesso in un negozio per animali; Paola Taverna, vicepresidente del Senato, tredici anni in un laboratorio di analisi cliniche; e via così, in moltissimi casi). Infatti nessuno osa dire quello che sarebbe normale dire: no, scusa, Beppe, questi toni anche no, non puoi umiliarci così. Niente. Zero. Incassano (del resto, incassano pure un ricco stipendio mensile). Lui si diverte con il ghigno che conoscete (poi ne parla sempre con gli amici di una vita, un gruppetto genovese, tipi famosi e di successo, e ridono come matti: «Avreste dovuto vedere come mi guardavano, nessuno fiatava»): i parlamentari, in effetti, muti anche quando ha ricordato che molti di loro, giunti al secondo mandato - compreso il gruppo dirigente quasi al completo - si sarebbero dovuti trovare un lavoro alla fine della legislatura (Luigi Di Maio, non casualmente, propone da tempo la mandrakata del «mandato zero». «E che significa?», gli chiese ingenuamente Vito Crimi detto «Orsacchiotto» - copyright Roberta Lombardi. «Semplice: il primo giro non lo calcoliamo. Così, di fatto, i mandati diventano tre»). Date per scontato che Giuseppe Conte stia riflettendo con apprensione. E non solo per questa grana del secondo mandato, la rivolta cova sotterranea. La domanda che ronza in testa all'ex premier adesso è: con Grillo sulle spalle che capo sarei? Conte sa che Grillo cambia idea con efferata facilità. Sul palco, nei suoi spettacoli, diceva: «Ma la mamma di Salvini, quella sera, non poteva prendere la pillola?», e poi con la Lega ci ha fatto un governo. Sul Pd: «Detiene il monopolio immorale del record di indagati», e pure con il Pd è andato a Palazzo Chigi. E quindi decine di spettacoli teatrali No vax: «La poliomielite stava scomparendo per cazzi suoi», «L'Aids è la più grande bufala del mondo», «Ne uccide di più il vaccino o il virus?» - oltre fake news sparse e silenzi improvvisi sui suoi luoghi oscuri, compresa la tragica vicenda giudiziaria che, in Sardegna, coinvolge il figlio Ciro. Eccolo Beppe Grillo di anni ormai 72. Sembra di sentirlo nel solito mantra violento. «Voi giornalisti mi fate schifo, siete vermi che strisciano, fantasmi vigliacchi, lombrichi miserabili». Lasci stare, è domenica, se la goda.
Franco Manzitti per blitzquotidiano.it l'8 marzo 2021. M5s, alle origini un concerto al Cep di Pra. Flavio Gaggero ricorda quel giorno: Celentano era d’accordo ma non fece nulla, poi Beppe Grillo agì. “Mi ha telefonato ancora ieri sera Beppe Grillo. Era molto soddisfatto del governo Draghi. E soprattutto di quel Ministero della Transizione Ecologica che lui è riuscito a ottenere. Vedrai che ora le cose cambieranno veramente……mi ha detto.” Racconta dell’ultimo colloquio con Grillo, l’ ”elevato”, il “garante” del M5s, se ancora si chiamano così. Il suo migliore amico insieme con Gino Paoli e Renzo Piano. Siamo a Genova nello studio medico di questo personaggio riservato, un po’ segreto, che ti riceve in camice verde, visiera e tutte le protezioni del caso, tra un paziente e l’altro. Siamo a Pegli, ieri comune, oggi delegazione nel Ponente di Genova, tra vecchi ville eleganti in giardini incantati e la pista di atterraggio dell’ aeroporto genovese. Pegli non a caso, perché è qui, in questo luogo genovese, dove nasce il gruppo di cui Gaggero e Grillo fanno parte. E che ha svolto, svolge e svolgerà un ruolo non secondario in molti avvenimenti importanti della vita pubblica. Compreso il varo dell’ultimo governo Draghi, per il quale il lasciapassare entusiastico di Grillo e del M5s è stato fondamentale. Non ci sono solo Grillo e Gaggero in questo gruppo di amici strettissimi, “amici per la vita”, come ti dice il dentista sempre sorridente. Quattro amici al bar, come dicono i versi della canzone di uno di loro, un altro genovese quasi doc, Gino Paoli. “Tutto è incominciato a scuola, alle medie di Pegli, dove io ero in classe insieme con Gino Paoli e Renzo Piano, anche loro pegliesi come me. E’ nata una amicizia eterna, che non è mai venuta meno. Eravamo diversi dagli altri compagni di scuola. Parlavamo di esistenzialismo, filosofia, di umanità, di grandi impegni che avremmo dovuto prenderci nella vita. Gli altri compagni ci guardavano strano, le ragazze non capivano…” Sono gli anni Quaranta e Cinquanta e quei tre ragazzi formano una squadra che durerà tutta la vita. Due di loro diventeranno famosissimi . Mentre anche Gaggero farà la sua brillante carriera di medico, certo meno esposta del cantante di tante generazioni e dell’architetto superstar. “Allora parlavamo di esistenzialismo e facevamo grandi progetti e crescevamo sempre insieme, racconta Gaggero. Gino Paoli conquistava tutte le ragazze , io volevo già fare il medico e Renzo sognava di costruire”. “Nel gruppo Beppe Grillo è arrivato un po’ dopo, era più giovane di noi e ce lo ha portato Renzo Piano. Il rapporto con noi si è solidificato subito come con gli altri. Un sintonia perfetta, che dura. Praticamente ci telefoniamo quasi tutti i giorni e cerchiamo di fare del bene agli altri.” Sembra una visione “buonista”, una versione ottimistica di un alleanza attraverso la quale passano tante vicende, il successo di Paoli e Piano. Ma ora soprattutto quella dirompente di Beppe Grillo, da supercomico a leader del Movimento che squassa la politica italiana del terzo Millennio. “Grillo è pulitissimo e onestissimo, glielo posso garantire, è animato solo da propositi altruistici”, dice con il suo candore assoluto il dentista Gaggero. Allarga ancora di più il suo sorriso. “Posso spiegare bene perché a un certo momento da artista comico come era, ed è ancora, si è lanciato nell’avventura politica del M5s, non essendo affatto un politico.” “A un certo punto della sua vita, insieme a noi ha fatto un ragionamento”, racconta Gaggero. “Sono stato molto fortunato. Ho avuto molto, ho raggiunto un grande successo, ho guadagnato tanto. Ed ora è il momento di fare qualcosa per gli altri”. Gaggero diventa quasi biblico nello spiegare quella che non viene scritta come una conversione, ma piuttosto come una scelta drastica di vita. “È il discorso dei talenti, Grillo ne aveva molti e ha deciso di spenderli in un altro modo.” “Ricordo bene il momento del primo annuncio di quello che avrebbe fatto. Ben prima dei vaffa days. Eravamo andati tutti noi a una manifestazione al Cep di Prà, c’erano tanti cantanti e anche Adriano Celentano. E Grillo è venuto fuori con quell’annuncio. Abbiamo ricevuto tanto, ora dobbiamo dare! Ovviamente poi lui è partito davvero. Anche Celentano, che predicava molto, era d‘accordo, ma poi Grillo è partito col M5s e Celentano no.” Si ma chi è allora Grillo oggi, un politico, quello che non voleva essere? Gaggero sorride sempre, sotto la visiera di medico buono, che ha la fila di pazienti curati gratis fuori dal suo studio. “Grillo non è un politico, è un utopista, un sognatore che ora pensa di avere realizzato il suo sogno. Per questo è così contento del governo Draghi e di quel ministero dove c’è Cingolani, che è amico anche di Piano. I robot che hanno permesso di costruire bene e rapidamente il ponte di Genova di Renzo Piano li ha mandati Cingolani. “È tutta una congiuntura positiva quella che mettiamo insieme”, dice Gaggero. “E Grillo, per quello che sta succedendo, passerà alla Storia. Renzi si occupa del sottobosco politico. Grillo dei suoi sogni. Non possono essere messi insieme nella cronaca politica di questi mesi sconvolgenti:”. Il gruppo pegliese dei tre amici più Grillo con il passare degli anni si è consolidato e allargato, ha avuto perdite, ma anche rinforzi. Gaggero ricorda don Andrea Gallo, il “prete da marciapiede” genovese, noto per le sue battaglie sociali, scomparso otto anni fa. “Ci aveva insegnato che il modo migliore per aiutare gli altri non è offrire solo soldi e cose materiali. Ma realizzare azioni e opere che facciano stare meglio più gente possibile, aiutare chi è in difficoltà . Quindi altro che beneficenza, ma azioni vere, fino al bing bang politico. Nel gruppo c’era anche Arnaldo Bagnasco, ex camallo del porto, diventato uno degli inventori della televisione ai tempi di Mixer, alla fine presidente di Palazzo Ducale. “ Lui ci aiutava con la sua grandissima capacità comunicativa.“ Il suo posto è stato preso da Antonio Ricci, anche lui ligure, grande autore Tv, oggi l’inventore di “Striscia la notizia”. Hanno tutti lo stesso stile questi “quattro amici al bar”, di cui Gaggero è un po’ la bussola, il punto di riferimento, in questo angolo anche un po’ riservato di Pegli. “Diventando vecchi ci sentiamo sempre più spesso”, racconta ancora. “E la parola d’ordine è sempre una domanda: stai lavorando? Guai smettere! Io sono in studio a 83 anni dodici ore al giorno. Solo da sette anni non lavoro più la domenica, Ma quello che lavora di più è Renzo Piano. Non si ferma mai. E’ sempre in giro per il mondo. Un po’ lo invidiamo.” Renzo Piano, che è anche senatore a vita, forse è anche il più vicino a Gaggero, con il suo fantastico studio-atelier genovese, sulla collina di Vesima, a pochi chilometri da questo studio-bussola. “Non ho mai visto Renzo così concentrato come sul ponte di Genova. Per lui quella storia è stata una ferita incredibile, quel crollo. Ma poi quel cantiere che ha ricostruito così bene e così rapidamente. “Vedi Flavio – mi ha spiegato – è tutto merito delle maestranze genovesi, della loro capacità di mettere insieme i pezzi con quella precisione. Parlano tanto di modello Genova. Ma secondo me quello è stato il modello Piano. Senza di lui, che la mattina dopo il crollo era già li a prendere le misure, il ponte non ci sarebbe….” Ma non si può non tornare a Grillo, che ora è così prepotentemente sulla scena, che domina le trattative politiche, che irrompe e poi se ne va con il casco da astronauta. Gaggero torna a quell’annuncio dal palco genovese, tra una canzone e uno show, quando anche agli amici per primi aveva annunciato la sua “discesa in campo”. “Era la sua vocazione, quasi una vocazione religiosa, con il suo stile, con la tecnica di grande comico, che si maschera, irrompe nelle piazze, sfida la politica. “Io e Piano soprattutto lo teniamo sempre in guardia. Gli abbiamo spiegato che non tutti i politici sono cattivi, che bisogna distinguere, che non si può rompere con tutti. Ma gli abbiamo anche spiegato che deve distinguere tra i suoi. “Draghi gli piace, ma non possiamo dire che è un trasformista. Perché prima magari il suo giudizio sul superbanchiere era diverso. E’ uno pulito, che crede sempre fino in fondo in quello che fa e ora è molto convinto.” Ma non è che almeno in passato Grillo avesse qualche idea politica, almeno qualche convinzione, prima di “buttarsi” da quel palco? Gaggero lo esclude. Racconta della sua personale convinzione socialista, ereditata da un padre che a Pegli era il segretario della sezione del Psi, amico di Sandro Pertini. Da cui aveva imparato la lezione che per diventare un buon amministratore bisogna prima studiare. E se non sei capace allora non amministrare, stattene nel partito. Già ma tanta amicizia, rapporti tanto stretti, quasi quotidiani, cosa possono far prevedere per il futuro di Grillo, secondo questa visione “pegliese”, ma sicuramente ben più allargata? “Grillo è molto preoccupato per l’Italia, pensa ora di avere fatto la cosa giusta con Draghi. E crede in quel ministero-svolta. Ha imparato a distinguere anche tra i grillini veri, passando attraverso anche qualche esperienza genovese. Nella quale ha cambiato il giudizio su qualche “militante” locale. Come quella Alice Salvatore, ex consigliera regionale, ora uscita dal Movimento. Gaggero insiste e per spiegare come è veramente l’”elevato” racconta dell’ultimo Natale. Che, come ogni anno, lui e Grillo hanno trascorso pranzando con la comunità di sant’Egidio. Insieme con i più poveri e ai malati di Alzheimer. Passando ore e ore in compagnia degli ultimi. “Bisognava vedere la pazienza di Beppe con loro, che neppure lo riconoscevano, a cercare di distrarli, di farli sorridere…. Quando è finito il pranzo ci siamo accorti che non avevamo neppure mangiato un boccone e ci siamo accontentati di un bicchiere di acqua minerale, senza neanche le bollicine.” Genova è nel cuore di Grillo. Anche se è , come titolava “L’Espresso” qualche tempo fa, il luogo dove per l’ex comico, oggi grande stratega, “tutto comincia e tutto finisce”. Tutto comincia al Cep di Prà nella politica-non politica del Movimento- forse non più movimento. A Sant’Ilario, la residenza ufficiale, la bellissima villa sulla collina di Nervi. Dove probabilmente il sogno che il dentista amico Gaggero ha raccontato è germogliato in quei giardini da favola. E tutto finisce con le delusioni, le fughe dei fedelissimi della prima e della seconda ora grillina. I “comunali” Paolo Putti e Marika Cassimatis, fuoriusciti con polemica dal movimento. E ora, dopo la svolta Draghi, i reietti senatori Matteo Mantero e Mattia Crucioli, eletti in Liguria. E, insieme ai deputati Leda Volpi e Marco Rizzone, espulsi, usciti o cacciati. C’è un diaspora grillina nella terra madre. Che è anche culminata con lo strappo di quella Alice Salvatore, ex pupilla di Grillo, autocandidata alla presidenza della Regione in settembre. “Bocciata” dal suo mentore, che già ragionava in termine di grandi alleanze. E poi affondata in una corsa solitaria, quando Grillo aveva acconsentito alla scelta di Ferruccio Sansa, come candidato giallorosso al trono regionale. Gaggero sorride ancora di fronte alle domande sulle “beghe” di partito e di Movimento e ripete, da questa bolla di Pegli a Genova, che Beppe non è un politico. E si muove in ben altro modo rispetto ai politici per realizzare i suoi sogni.
La rivoluzione comica di Grillo. Dalla violenza del vaffa alla rivoluzione MiTE, la transizione grillesca è arrivata ormai al capolinea. Francesco Maria Del Vigo - Ven, 05/03/2021 - su Il Giornale. Dalla violenza del vaffa alla rivoluzione MiTE, la transizione grillesca è arrivata ormai al capolinea. Ieri il fondatore dei Cinque Stelle ha pubblicato sul suo blog un post lunghissimo, infinito, titolato appunto «La rivoluzione MiTE». Mite è l'acronimo dell'ormai celeberrimo Ministero per la transizione ecologica, ma è anche il nuovo stato d'animo politico che l'ex comico vuole infondere ai suoi Cinque Stelle. Siamo passati dall'era del Maalox a quella dello Xanax: prima doveva placare i bruciori di stomaco delle batoste elettorali, ora deve calmare le ansie di chi non riesce ad accettare una inversione a U così maiuscola. Perché prima che ecologica, la transizione che è davanti agli occhi di tutti è quella dei grillini. Il fondatore lo dice gattopardescamente ai suoi: «In un anno tutto è cambiato. Per restare fedele a sé stesso cambia anche il MoVimento 5 Stelle. Cambia parole. Cambia metodo». E poi via con una serie infinita di citazioni che vanno da Roosevelt a Papa Francesco, passando per Mario Draghi. È la svolta ecumenica del Movimento 5 Stelle. Casaleggio citava Serge Latouche, il papà della decrescita felice, e ora Grillo cita l'ex numero uno della Bce: «Come altri banchieri centrali e statisti in altri Paesi dice di aver capito quale è la vera sfida del secolo: Lasciare un buon Pianeta, non solo una buona moneta». Perché la grande rivoluzione mite che l'ex comico cerca di intestare alla sua creatura politica, è la transizione ecologica. Nell'impossibilità di difendere tutte le scelte di un governo che del dna grillino non ha nulla, Beppe punta tutto sull'ecologia. Gioca la carta della distrazione di massa. «La Transizione Ecologica non è uno dei tanti rami dell'albero dell'economia o della politica. La Transizione Ecologica è la radice dell'albero del benessere. Dal suo successo dipende la salute di tutto l'albero, di tutti i suoi rami e di tutte le sue foglie», pontifica nella sua articolessa. Transizione che andrà fatta «costi quel che costi, ossia whatever it takes, come già disse il Presidente Draghi quando si trattò di salvare la moneta comune». La medesima moneta contro la quale Grillo firmava appelli per la sua abolizione. Ma poco importa. È cambiato tutto e il guru, come un prestigiatore, nasconde la transizione (del suo partito) dietro la transizione (ecologica). Che, sia chiaro, è cosa importantissima, ma deve essere maneggiata da chi non è cresciuto nel brodo di coltura dell'ambientalismo fondamentalista. Regna il caos sotto il cielo dei Cinque Stelle. E infatti Grillo pubblica il suo programma rivoluzionario mentre sul Blog delle Stelle compare l'annuncio del «manifesto controvento» di Rousseau con lo scopo di «anteporre le riforme alle poltrone». Ma mentre Grillo e Casaleggio filosofeggiano e la fronda antigovernista affila i coltelli, gli elettori continuano la loro inarrestabile transizione. Verso gli altri partiti.
"Mi appoggiava il piede tra le gambe". Adesso Ciro Grillo si difende così. Angela Leucci il 20 Novembre 2021 su Il Giornale. La difesa di Ciro Grillo userà video e altro materiale digitale: punta a dimostrare il consenso della ragazza. Ma dimentica i video e il contenuto di certi messaggi inviati su WhatsApp. Il caso Ciro Grillo si avvia verso il processo. La difesa assicura che tutte le proprie azioni saranno volte alla difesa dei quattro ragazzi indagati - Grillo, Edoardo Capitta, Francesco Corsiglia e Vittorio Lauria - ma senza mancare di sensibilità verso S., che li accusa di stupro di gruppo.
Le mosse della difesa
Secondo quanto riportato Quarto grado, una dichiarazione sulla strategia di difesa è stata fornita da Enrico Grillo, zio di Ciro e suo legale: “La linea di condotta nostra non eccederà mai lo stretto necessario per esercitare il diritto di difesa”. Questo significa che saranno sentite le due amiche, l’accusatrice S. e R, che invece ha affermato di aver sempre dormito durante le presunte violenze, saranno riascoltati i 4 accusati e saranno portati in tribunale diversi video, tra cui uno di oltre 20 secondi che potrebbe rappresentare, secondo la difesa, una possibilità per contestualizzare la serata sotto la chiave del consenso.
Ciro Grillo e il mistero del bacio: perché è stato filmato?
È appunto il consenso e la possibilità di S. di esprimerlo che detteranno gli esiti del processo. Al momento, da quanto è emerso, la presunta sopravvissuta alle violenze appare dai video mostrati come perfettamente a proprio agio con i quattro indagati. A partire dal video registrato al Billionaire dopo la mezzanotte di quel giorno di luglio 2019 dal fratellastro di Ciro, video che è agli atti del processo. Perché il ragazzo stava registrando quel filmato?
Ci sono poi le dichiarazioni di Francesco Corsiglia, anche per lui S. era perfettamente a proprio agio in quella situazione: “Già nel tragitto ho fatto delle avances visive, sguardi e sorrisi a S., perché era una bella ragazza e mi appoggiava il piede tra le gambe”.
I lividi e i messaggi su WhatsApp
Tutto questo non basterebbe a esprimere il consenso, tanto più che S. aveva dei lividi ed è stato evidenziato come la ragazza potrebbe non essere stata necessariamente in uno stato di coscienza vigile, alterato dall’alcol e - si ipotizza - da altre sostanze. Inoltre il fatto che S. si sentisse sicura della propria sessualità, come più volte è stato rimarcato, si potrebbe ritorcere contro la difesa: una ragazza che è tanto a proprio agio, è possibile che avverta sensi di colpa dopo un presunto rapporto sessuale di gruppo e senta il bisogno di denunciare dei ragazzi con cui è stata volontariamente?
In più ci sono dei messaggi scambiati su WhatsApp a pesare sul capo dei quattro accusati. I ragazzi raccontano la "conquista" con gli amici, ma ciò che suona particolarmente misterioso è una frase attribuita in chat a Edoardo Capitta: “All’inizio sembrava che volesse”. Cosa significa esattamente? È a tutti questi interrogativi che dovrà rispondere la giustizia.
Angela Leucci. Giornalista, ex bibliotecaria, filologa romanza, esperta di brachigrafia medievale e di cinema.
Tommaso Fregatti Matteo Indice per "la Stampa" il 22 ottobre 2021. Alla fine hanno scelto il rito ordinario, evitando di chiedere il processo abbreviato che contempla l'automatico sconto d'un terzo della pena. Il colpo di scena è arrivato mercoledì sera, al termine d'una lunga e sofferta riunione, nella quale si sono materializzati momenti di tensione e opinioni contrastanti. Nel corso dell'incontro la squadra di avvocati che segue Ciro Grillo, 22 anni, figlio di Beppe leader del Movimento Cinque Stelle e i suoi tre amici e coetanei Edoardo Capitta, Francesco Corsiglia e Vittorio Lauria, ha deciso di comunicare al giudice di Tempio Pausania di procedere, laddove i ragazzi vengano rinviati a giudizio, con il dibattimento. Senza decurtazioni preventive di un'eventuale condanna, ma con la possibilità di difendersi a 360 gradi. I quattro sono accusati del presunto stupro di gruppo ai danni di Silvia - studentessa norvegese oggi ventunenne - e di abusi sessuali sull'amica Roberta avvenuti nel residence di Cala di Volpe in Costa Smeralda, tra la notte e la mattina del 17 luglio 2019, proprietà di Grillo. Alla riunione erano presenti tutti gli avvocati della squadra della difesa, Alessandro Vaccaro, Gennaro Velle, Romano Raimondo, Enrico Grillo, Ernesto Monteverde e Mariano Mameli. All'inizio c'era chi spingeva per il rito abbreviato (procedura più snella, con vantaggi come lo sconto automatico, che non permette agli imputati di sviscerare tutte le indagini difensive e spesso rappresenta un'implicita ammissione di colpevolezza) e chi, invece, voleva l'ordinario, più lungo e rischioso soprattutto nell'entità della condanna, dove ci si può però difendere in modo più capillare. Le divisioni nel collegio difensivo, in base a quanto filtrato nelle ultime ore, sono state rilevanti, ma si è infine arrivati alla mediazione che li presenterà coesi il 5 novembre davanti al giudice dell'udienza preliminare Caterina Interlandi. Sarà lei a decidere se mandare a processo i quattro genovesi. Nel giugno scorso la Procura Tempio Pausania aveva chiesto di processare Ciro Grillo e i suoi amici con addebiti pesantissimi. In primis la violenza sessuale di gruppo «per aver costretto Silvia, abusando delle sue condizioni di inferiorità fisica e psicofisica dovuta all'assunzione di alcolici a compiere atti di natura sessuale» e violenza sull'amica Roberta (contestata solo a Grillo, Capitta e Lauria) «per aver filmato e scattato foto a sfondo erotico a Roberta mentre si trovava in stato di incoscienza poiché dormiva». Nelle carte viene dettagliata la notte vissuta da Silvia, secondo i pm costretta prima a subire un doppio rapporto con Corsiglia e poi con gli altri amici. In precedenza, insistono i pm, «l'avevano forzata a bere vodka afferrandola per i capelli e tirandole indietro la testa». I quattro, interrogati, si sono difesi spiegando che la ragazza era consenziente. L'indagine era stata segnata dall'exploit di Beppe Grillo. Dalla sua villa genovese con un video aveva preso le difese del figlio e degli amici. Definendo «consenziente» la ragazza e aggiungendo che «i quattro non hanno violentato nessuno, semplicemente sono stati protagonisti di una ragazzata», scatenando polemiche e riportando l'attenzione mediatica sul caso. Il processo si giocherà molto su quanto emerso dai social. Tra le fonti di prova con cui i magistrati chiedono il processo figura «l'acquisizione ed elaborazione dei dati informatici di Facebook, Instagram riguardante i soggetti coinvolti attraverso foto, post e like». Quel materiale, a parere dei difensori, doveva scagionare i quattro certificando i buoni rapporti con Silvia nei giorni dopo presunto stupro, ma rischia di riverberarsi contro gli indagati, messi nei guai anche da intercettazioni telefoniche e ambientali.
Giacomo Amadori per "Panorama" il 22 ottobre 2021. La Gallura è un luogo arcaico. Da quelle parti i contadini raccontano che, la notte, ci si può imbattere nella réula, una schiera di morti usciti dall’Oltretomba per danzare e fare penitenza. Nel capoluogo, la città di granito di Tempio Pausania, si sposarono civilmente Dori Ghezzi e Fabrizio De André che qui, in località L’Agnata, si era trasferito per fare il contadino e l’allevatore. Testimone di nozze del cantautore, era il 1989, fu Beppe Grillo. Che mai avrebbe immaginato che trent’anni dopo, in quella cittadina che ha intestato all’amico «Faber» pure una piazza, sarebbe finito alla sbarra il suo ultimogenito Ciro (classe 2001), il quale, insieme a tre amici, è accusato di aver stuprato il 17 luglio 2019 nella propria abitazione di Cala di Volpe la ventenne italo-norvegese S.J..Sui social e persino in qualche giornale c’è chi sospetta che misteriose forze oscure stiano cercando di insabbiare il processo. Più banalmente, i riflettori accesi sul caso si sono abbassati perché la prossima udienza è fissata per il 5 novembre. E il Tribunale di Tempio, dopo la chiusura degli ombrelloni sulla vicina Costa Smeralda, continuerà a ospitare il dibattimento dell’anno. Entro il 25 ottobre le difese dovranno scegliere il rito da seguire. In caso di abbreviato il giudizio si svolgerebbe a porte chiuse e il Gup Caterina Interlandi sarebbe chiamata a decidere sulla base delle carte depositate sino a quel momento. Panorama ha potuto visionare il fascicolo ed è in grado di svelare quali siano le armi in mano ad accusa, difesa e parti civili. Per ricostruire la vicenda, occorre partire dall’inizio dell’iter processuale, ovvero dal momento della denuncia, quando sia i carabinieri della stazione Milano Porta Garibaldi che il centro di Soccorso violenza sessuale e domestica della clinica meneghina Mangiagalli hanno ritenuto di inoltrare alla Procura competente (quella di Tempio Pausania) i fatti denunciati dalla ragazza. Il 26 luglio 2019 la responsabile del centro, Alessandra Kustermann, la ginecologa, il medico legale e la psicologa inviano ai pm, «ravvisando gli estremi di un delitto procedibile d’ufficio», una denuncia di reato con annessa scheda clinica e documentazione fotografica. Se l’esame ginecologico, effettuato a otto giorni dai fatti, non offre spunti di particolare rilievo, i medici si soffermano sui lividi riscontrati sul corpo della ragazza, in particolare su braccio e avambraccio destro, e su entrambe le gambe. Segni che, in quel momento, paiono coerenti con il racconto della giovane, la quale sostiene di essere stata «obbligata ad avere rapporti vaginali a rotazione con tutti e quattro i ragazzi, che si disponevano uno a consumare il rapporto e altri a tenerla ferma impedendole ogni forma di resistenza». Una versione ribadita dagli esperti della Mangiagalli nel capitoletto intitolato «Esame obiettivo generale» in cui si legge: «I ragazzi la tenevano immobilizzata per gambe e braccia impedendole di muoversi». Queste aree di «soffusione verdastra del tegumento» sono dovute davvero alla notte di sesso con Ciro e compagni? Prima di rispondere non si può non tenere presente che nel luglio 2019 la presunta vittima praticava kitesurf, uno sport che può lasciare segni a causa dell’attrito violento con la tavola e le onde. Per l’avvocato della ragazza, Giulia Bongiorno, la causa dei segni è certamente da ricondurre agli abusi. A suo giudizio, ai danni psicologici patiti dall’assistita occorre aggiungere che «la persona offesa ha riportato diversi ematomi […] come risulta dalle riproduzioni fotografiche allegate alla cartella clinica del 25 luglio 2019». Il consulente delle difese Marco Salvi sta da tempo confrontando le immagini dei lividi con centinaia di foto e video trovati nel cellulare di S. e risalenti ai giorni successivi al presunto stupro (scatti e filmati in cui la giovane è ritratta in costume da spiaggia). E la sua consulenza sarà depositata entro ottobre. Un’amica di S., A.M., sentita a verbale, ha parlato di quei segni: «Ricordo di alcune foto di lei davanti a uno specchio in cui si vedevano chiaramente alcuni lividi sul costato a sinistra, sulla scapola destra e sulla coscia o all’altezza del bacino». Cioè in parti diverse da quelle documentate dalla Mangiagalli. E dove sono finiti gli scatti inviati ad A.M.? «Io non li ho salvati perché avevo timore di metterla in imbarazzo, poiché stava perdendo molto peso in maniera preoccupante e non era seguita da alcun specialista» ha concluso la testimone. In un audio scambiato subito dopo i fatti con l’amica norvegese Mia, è la stessa S. a fare riferimento ai lividi e al proprio rapporto con il cibo. Ecco come la stessa difesa della ragazza ha tradotto la conversazione: «Mi sento molto insicura. Lo ammetto. Ma tipo, come posso dire, quando non mangio, per esempio, vomito, rimetto, mi lascio morire di fame, arrivo quasi a distruggermi, giuro su Dio… tipo tutti questi lividi, non è che mi prenda cura di me perché la metà di quello che ho sulle braccia, non la avrei se, per esempio, mi prendessi cura di me […]». Sul punto R.M., compagna di vacanze di S. e a sua volta vittima di abusi (i ragazzi si sono fatti fotografare vicino a lei dormiente con i membri in bella vista), ha dichiarato ai carabinieri: «Quando sono andata a svegliare S. non ho notato nessun segno particolare sul suo corpo, sebbene abbia visto che era nuda non mi sono soffermata a guardarla». Dunque nella guerra di perizie entreranno anche queste voci che paiono dare ai lividi un significato più ampio rispetto all’effetto di una costrizione. La ricostruzione di S. non sembrerebbe confermata dal video di 25 secondi depositato agli atti e in cui Ciro Grillo riprende con uno smartphone una piccola parte dell’amplesso di gruppo. Il filmato è considerato dalle difese un argomento a proprio favore, sebbene il procuratore Gregorio Capasso e la pm Laura Bassani non l’abbiano ritenuto tale e per questo abbiano chiesto il rinvio a giudizio di Grillo junior, Edoardo Capitta, Francesco Corsiglia e Vittorio Lauria. All’inizio di quei 25 secondi Ciro filma il proprio volto sorridente, poi sposta l’inquadratura sulla «scena del crimine». Si notano una piccola stanza, un lettino singolo con lenzuola azzurre, un abat-jour beige, una finestra con le persiane chiuse. La giovane è supina sul letto, ma non sembra trattenuta da nessuno. Si vede Capitta inarcarsi sul volto della coetanea per ottenere sesso orale, mentre, ripreso di spalle, Lauria consuma un rapporto vaginale. La ragazza, mentre si stende sul letto, dà l’impressione di incrociare per un istante lo sguardo con la telecamera del cellulare, poi inizia a masturbare Ciro che a quel punto riporta l’inquadratura sul proprio viso, esibendo un’espressione tra il divertito e l’incredulo. In quel frammento di filmato, l’unico, insieme con un altro più breve, che riprende il sesso di gruppo, la ragazza dà la sensazione (errata sia per la parte civile sia per la pubblica accusa) di essere consenziente, essendo attiva ed emettendo gemiti. Nel video più corto, lungo 6 secondi, la studentessa è carponi: Ciro riceve una fellatio e anche in questo caso fa le facce. Lauria sembra impegnato in un cunnilingus. Non si tratta di dettagli voyeuristici (ce ne sarebbero molti altri), ma di dati fondamentali per valutare se gli ipotetici aggressori potessero cogliere la contrarietà all’amplesso multiplo dell’occasionale partner. S. era ubriaca, «minorata» nella sua capacità di dare il consenso? È l’ipotesi del suo legale, accolta pienamente dagli inquirenti. La Bongiorno parla espressamente di «inferiorità fisica e psichica della ragazza dovute allo stato di alterazione alcolica (sarebbe stata costretta a ingurgitare vodka, ndr), alla stanchezza per la nottata trascorsa e allo stravolgimento emotivo causato dalla violenza subìta in precedenza (da parte di Corsiglia, che ha sempre negato l’accusa, ndr)». L’alterazione alcolica, allo stato degli atti, potrebbe non essere facile da dimostrare. Nel telefonino di S. non ci sono immagini del 17 luglio 2019, la data della violenza contestata, tranne una scattata nella discoteca Billionaire, dove S. e R. hanno incontrato i loro ipotetici aguzzini: sorridono felici prima dell’inizio dell’incubo. La italo-norvegese indossa una tutina bianca e nera, l’amica un vestito corto e scuro. Le uniche istantanee agli atti risalgono alla sera, dopo le 22, quando la ragazza è già tornata da diverse ore nella stanza del bed & breakfast dove sta trascorrendo le ferie. Nell’occasione si fa sei autoscatti in felpa e pantaloncini e immortala un bicchiere con dentro una tisana che le serve a smaltire gli eccessi di qualche ora prima. In due immagini si vedono le gambe in primo piano e si può intuire un livido sul ginocchio, ma i selfie non sembrano finalizzati a immortalare i segni dello stupro. C’è poi il tema del rapporto tra S. e R., che a sua volta si è costituita parte civile e la notte dei presunti abusi, anziché «salvare» la compagna, si sarebbe rimessa a dormire. S. nel febbraio del 2020 confida ai magistrati che lei e R. non sono «nemmeno più amiche». E nell’audio con Mia, poche ore dopo la notte a casa Grillo, sistema l’ex compagna di classe per le feste: «Pensavo fosse una delle mie amiche più care, si è rivelata un’egoista e un’ignorante su tutto. Tanto che praticamente non le parlo più». In realtà il 18 luglio le due ragazze danno l’idea di essere ancora molto affiatate: si fanno scattare decine di foto e ritrarre in video mentre si baciano e abbracciano. Scherzano sulle loro forme molto diverse, più mediterranea R., snella e nordica S.. La quale si fa immortalare anche mentre si esibisce in una complicata verticale. Il 19 luglio, come il 17, è un altro giorno quasi senza foto-ricordo: nella memoria del telefonino restano lo screenshot di una videochiamata, un’immagine della ragazza in bikini nero e un filmato in cui si vede S. alzare il pollice: è ancora in pigiama e ha un asciugamano in testa. Sono da poco passate le 19 e il cellulare inquadra un pentolino in cui bolle dell’acqua. La madre ha raccontato ai carabinieri che al suo arrivo in Sardegna, quel venerdì sera, avrebbe trovato la figlia «in condizioni pietose», tanto che «tremava come in preda alle convulsioni». La causa ufficiale era un’«insolazione», ma la donna ha successivamente collegato quello stato allo stupro. Ancora due giorni dopo, S.J., nonostante le attenzioni dei genitori, che l’hanno curata con stracci bagnati e antipiretici, sarebbe stata «giù di morale, a prescindere dalla febbre». Descrizione che confligge un po’ con il copiosissimo archivio multimediale. Che documenta quanto segue: il 20 luglio S. si è recata nella villa con piscina di un amico, dove, tra tuffi e risate (questo perlomeno attestano i video della giornata), ha trascorso il pomeriggio mentre la sera, con tutta la famiglia e con R., ha mangiato in un ristorante all’aperto, sfoggiando un abitino leggero giallo, nero e bianco. Alle 5 e 40 della domenica è andata a correre e, intorno alle 14, ha fatto l’ultima lezione di kite. Agli atti ci sono anche i selfie divertiti e buffi con la sorella sull’aereo che le stava riportando a Milano. A onor del vero S., sabato notte, verso le 2 e 40 ha ripreso il solito pentolino fumante con a fianco una bustina del farmaco Tachifludec. Scatto che confermerebbe lo stato influenzale della ragazza. Poco prima aveva salvato alcune pagine web sull’Hiv. Resta il dubbio: l’indisposizione è davvero riconducibile all’incubo vissuto nell’appartamento di Cala di Volpe di proprietà di Grillo? Tra le carte depositate si trova anche l’esito del colloquio psicologico avvenuto il 26 luglio 2019: «La ragazza racconta quanto accadutole, spiega che nei giorni successivi non riusciva a dormire e di notte piangeva. Racconta inoltre che faceva fatica a mangiare e aveva flashback delle immagini della violenza e riviveva le sensazioni di quella notte, risentendo un senso di soffocamento e dolore in sede vaginale». Nel recente atto di costituzione di parte civile, depositato dall’avvocato Bongiorno e destinato alla richiesta di risarcimento del danno, si fa riferimento a una «profonda sofferenza morale tuttora perdurante»: «L’evento ha provocato persistenti riverberazioni sull’esistenza della persona offesa, incidendo in maniera permanente sulle abitudini di vita di S., sui suoi rapporti con i propri familiari e amici e, più in generale, sulle sue attività dinamico-relazionali». Non basta: «L’integrità psicofisica di S.J. è risultata irrimediabilmente alterata. L’esperienza dolorosa, infatti, ha provocato nella persona offesa l’insorgenza di un disturbo post-traumatico da stress, come certificato dalla relazione medico-psichiatrica del 10 maggio 2021 […]». C’è, infine, una stoccata contro il fondatore del Movimento 5 stelle: «Il morboso clamore mediatico suscitato dalla vicenda, esploso in conseguenza delle dichiarazioni a mezzo social rese dal padre dell’imputato Ciro Grillo - rimasto sopito sino a quel momento e confinato a cronache locali - ha esposto S.J. a un processo di vittimizzazione secondaria, portandola a rivivere il trauma patito e riacutizzando la relativa sintomatologia». Da qui la richiesta di risarcimento. Ma S.J. è vittima dei quattro imputati o dei suoi fantasmi? Nell’immediatezza dei fatti la ragazza avrebbe informato la madre dei «pettegolezzi» che giravano sul suo conto e che la «mettevano in cattiva luce». Con l’amica norvegese Mia la studentessa-modella è stata ancora più esplicita, tanto che, via messaggio, l’interlocutrice le consiglia di non darsi colpe e di consultare uno psicoterapeuta. S., dopo aver promesso di farsi vedere da uno specialista, insiste (la traduzione è della consulente della Procura): «[…] Magari, chi lo sa, mi aiuterà a tornare nella strada giusta […]. Hai ragione, sto accumulando così tanti episodi e altro che non riesco più a gestirli e diventa sempre più difficile capire perché cose così accadano e come evitarle […]». Dopo essersi lamentata di essere usata e buttata «via come spazzatura» anche da quelli che considerava «amici», ribadisce in un lungo vocale gli stessi concetti e specifica, però, di ritenere il sesso «secret», un termine che la parte civile ha reso in italiano con il termine «sacro», una scelta non condivisa dalle difese, ma anche da una traduttrice da noi consultata, per cui il significato giusto sarebbe «riservato». Altra accezione su cui non c’è accordo tra le parti è quella da attribuire al verbo inglese «hook up»: per la consulente scelta dalla Bongiorno significa «divertirsi», ma secondo altre fonti il significato più giusto in questo contesto sarebbe «rimorchiare». Nelle carte c’è un ulteriore audio di S. che potrebbe risolvere la disputa linguistica: «Ma io Milano l’ho già fatta fuori, cioè nel senso è ridicola la mia situazione... io non volevo tornare a Milano anche per questo motivo, cioè io scendo giù di casa, di sera no, vado lì al bar Magenta, che c’è Ivan che mi dice: “Ma allora quei ragazzi dell’altra sera blablabla”. […] la sfiga madornale è il fatto che magari mi faccio gente in diverse serate, poi me li ritrovo lì, tutti insieme allo stesso tavolo e son tipo “Ah guarda il gruppetto che mi sono fatta a luglio” magari, o a giugno o a marzo, sempre così, ma che cazzo di sfiga. Poi tipo gente che magari mi ferma per strada e mi fa: “Ah ma tu sei la ragazza di ieri sera”. E io sono tipo: “Ah ah, io non mi ricordo della tua faccia”. Però ok, ci sta. Fanculo il mondo». Con gli investigatori l’amica A. M. ha dichiarato che S. è una ragazza «un po’ troppo influenzabile» e, mentre le conoscenze femminili la rispettano, i ragazzi pensano che sia «una ragazza più facile di altre». Tanto che in un bar (il Magenta?) aveva sentito dire da un cameriere che «alcuni ragazzi della Cattolica, riferendosi a S., dicevano che anche loro in tempi diversi, in discoteca, se l’erano già fatta». Dal prossimo 5 novembre Ciro & c. dovranno sperare, nella terra della réula, di non aver trovato un giudice come quello cantato da De André.
Giusi Fasano per il "Corriere della Sera" il 2 Novembre 2021. «In linea puramente teorica non è possibile escludere l'uso di sostanze di questo tipo, prima o in associazione con l'alcol». Quando scrive «sostanze di questo tipo», il professor Enrico Marinelli fa riferimento alle cosiddette droghe da stupro, «particolarmente insidiose», precisa lui, «in quanto costituite da liquidi inodori e incolori, facilmente mescolabili alle comuni bevande, anche non alcoliche, senza che la vittima se ne possa accorgere». Tutto questo il professore lo dice in una consulenza medico legale sul caso Grillo voluta e depositata in vista dell'udienza preliminare di venerdì 5 novembre, a Tempio Pausania. La relazione - 20 pagine - è «redatta nell'interesse» di Silvia e si concentra «sui fatti avvenuti tra il 16 e il 17 luglio del 2019» a Cala di Volpe (Porto Cervo), in Sardegna. Per i pochi che non ne avessero mai saputo nulla: Silvia è una ragazza oggi 21enne che quell'estate denunciò per violenza sessuale di gruppo Ciro Grillo - figlio del garante dei cinquestelle Beppe - e i suoi amici Edoardo Capitta, Francesco Corsiglia e Vittorio Lauria, anche loro adesso tutti ventunenni. Lei mise a verbale il racconto di uno stupro subito la mattina del 17, prima da uno soltanto di loro (Corsiglia) e poi da tutti quanti assieme. Loro giurano invece che sia stato sesso consenziente, che, al contrario, sia stata lei a prendere l'iniziativa e che nella seconda parte di questa storia Corsiglia fosse assente perché si era addormentato. In casa, assieme a Silvia e ai quattro ragazzi, c'era anche Roberta, l'amica con la quale la sera del 16 Silvia era andata al Billionaire di Briatore e assieme alla quale aveva deciso di seguire a Cala di Volpe Ciro Grillo e gli amici appena conosciuti. Roberta però è una presenza puramente fisica, non una testimone oculare di quel che avvenne, perché durante la presunta violenza dormiva sul divano e anzi: è diventata lei stessa vittima di abusi perché mentre dormiva tre dei ragazzi hanno scattato fotografie e girato un breve video in pose e atteggiamenti osceni accanto a lei. Ora, a pochi giorni dall'avvio dell'udienza preliminare, l'avvocata Giulia Bongiorno, che difende Silvia, ha depositato la consulenza firmata dal professor Marinelli. E per la prima volta dall'inizio delle indagini in questa vicenda compare, sia pure «in linea teorica» e in un documento di parte, l'ipotesi dell'utilizzo della droga dello stupro mai avanzata dagli inquirenti. Il consulente ci arriva ragionando sul blackout legato all'assunzione di alcol: «un'amnesia - spiega - senza la perdita di coscienza e la capacità di compiere azioni complesse come conversare, guidare, avere rapporti sessuali e perfino uccidere». Silvia ha sempre raccontato di essere stata costretta a bere da una bottiglia un cocktail di vodka e lemonsoda poco prima della violenza di gruppo. Era presente a se stessa fino a decidere del sesso consenziente, come dicono i ragazzi? Dopo calcoli sul livello di alcolemia, tabelle e indicazioni scientifiche, il professore ha dedotto che no, «non può aver espresso un valido consenso al rapporto di gruppo» poiché l'alcol «scemava grandemente la sua capacità decisionale e annullava la sua capacità di autodeterminazione». E la valutazione va oltre. Il docente ritiene che sia «presumibile con alto grado di probabilità, che i presenti fossero tutti coscienti della sua temporanea incapacità di autodeterminazione». La consulenza, alla fine, valuta il racconto di Silvia come credibile e compatibile con gli approfondimenti medico legali eseguiti; considera collegate alla costrizione fisica subita le lesioni rilevate su braccia e gambe della ragazza al Soccorso violenza sessuale Mangiagalli di Milano il giorno della denuncia e mette in evidenza un disturbo post-traumatico da stress.
I lividi, il ghb, l'alcol: il caso Grillo a una svolta. Luca Sablone il 2 Novembre 2021 su Il Giornale. Nella consulenza medico-legale emerge che i lividi sul corpo sono "compatibili con un meccanismo di pressione e afferramento attuato da più persone contemporaneamente con le mani". E non si esclude la droga dello stupro. Il caso Ciro Grillo continua a infittirsi di incognite e ipotesi a pochi giorni da un appuntamento cruciale: venerdì 5 novembre il gup di Tempio Pausania, Caterina Interlandi, dovrà decidere sul rinvio a giudizio del figlio del fondatore del Movimento 5 Stelle e dei suoi tre amici genovesi. Ciro Grillo, Edoardo Capitta, Francesco Corsiglia e Vittorio Lauria andranno a processo o saranno prosciolti? Questo il bivio di un caso intricato che al fondo ha sempre la stessa domanda: si è trattato di uno stupro o i rapporti sessuali sono stati consenzienti? Versioni differenti tra accusa e difesa, su una vicenda che continua ad arricchirsi di particolari. E nelle ultime ore sul tavolo del gup è arrivata una consulenza medico-legale che può pesare come un macigno.
La droga dello stupro
È spuntata ora l'ipotesi che possano essere state utilizzate sostanze inibitorie come il Ghb, la cosiddetta "droga dello stupro". Nella relazione del professor Enrico Marinelli, specialista in medicina legale, si legge che "in linea puramente teorica non è possibile escludere l'uso di sostanze di questo tipo, prima o in associazione con l'alcol". Va sottolineato che la consulenza medico-legale è di parte: è stata depositata da Giulia Bongiorno, che difende la giovane Silvia (nome di fantasia, che ha denunciato l'ipotetico stupro). È bene chiarire che quella dell'uso della droga dello stupro è una possibilità e non una certezza. Così come tiene a sottolineare Sandro Vaccaro, difensore di Vittorio Lauria: "Sulle ipotesi si può dire qualunque cosa. Possiamo dire qualsiasi cosa priva di fondamento, come priva di fondamento è l’ipotesi della droga dello stupro". Le droghe da stupro nella consulenza medico-legale vengono ritenute "particolarmente insidiose" poiché sono "costituite da liquidi inodori e incolori, facilmente mescolabili alle comuni bevande, anche non alcoliche, senza che la vittima se ne possa accorgere".
Quei lividi sul corpo
Altra questione di fondamentale importanza è quella dei lividi sulle braccia e sulle gambe che Silvia mostrò alle dottoresse della clinica Mangiagalli di Milano. Una sua amica ha raccontato di aver ricevuto alcune foto di lei davanti a uno specchio "in cui si vedevano chiaramente alcuni lividi sul costato a sinistra, sulla scapola destra e sulla coscia o all'altezza del bacino". E ha aggiunto di averle detto di "avvertire dolori nelle parti intime".
Per la consulenza medico-legale quei lividi risultano essere "compatibili con un meccanismo di pressione e afferramento attuato da più persone contemporaneamente con le mani". Il racconto della ragazza, che sostiene di essere stata costretta a una serie di rapporti sessuali con Grillo&Co, potrebbe essere dunque credibile e compatibile con gli approfondimenti medico-legali eseguiti. Secondo cui è evidente un disturbo post-traumatico da stress diagnosticato alla ragazza, giudicato "coerente con un rapporto non consenziente e invasivo".
L'alcol e i rapporti
Silvia ha denunciato di essere stata costretta a bere da una bottiglia un cocktail (di vodka e lemonsoda?). Questo sarebbe avvenuto prima dell'ipotetica violenza sessuale. Un aspetto di cui si è occupata la consulenza medico-legale, che stima il tasso alcolemico nel sangue della ragazza in 1.08 grammi/litro. La tesi di parte è che la giovane studentessa "non può aver espresso un valido consenso al rapporto di gruppo" visto che l'alcol "scemava grandemente la sua capacità decisionale e annullava la sua capacità di autodeterminazione". Ma la versione di Ciro Grillo e dei suoi amici resta la stessa: Silvia era consenziente.
Luca Sablone. Classe 2000, nato a Chieti. Fieramente abruzzese nel sangue e nei fatti. Estrema passione per il calcio, prima giocato e poi raccontato: sono passato dai guantoni da portiere alla tastiera del computer. Diplomato in informatica "per caso", aspirante giornalista per natura. Provo a
Telefonate, chat e intercettazioni da trascrivere. Rinviata l'udienza decisiva sul figlio di Grillo. Luca Fazzo il 6 Novembre 2021 su Il Giornale. I legali degli imputati hanno fornito nuovi documenti "inediti e rilevanti". Scegliere il processo in aula, portare in una lunga serie di udienze la storia di quella notte del luglio 2019 in Costa Smeralda sarà «sale sulle ferite» della ragazza che finì nelle grinfie di Ciro Grillo, figlio di Beppe, e dei suoi amici. A dirlo ieri è Giulia Bongiorno, difensore di parte civile della studentessa italo-norvegese che figura come vittima nel processo instaurato a Tempio Pausania, dopo che gli avvocati dei quattro imputati avevano confermato la decisione di non chiedere il rito abbreviato e di affrontare il processo ordinario. «È una scelta legittima su cui non mi sentirete mai esprimere un giudizio - dice la Bongiorno - anche se il protrarsi della vicenda è per la mia assistita una ferita su cui viene aggiunto sale».
La scelta del tipo di processo ha un significato preciso: Grillo junior e gli altri non puntano a limitare i danni cercando sconti di pena, ma alla assoluzione piena. E per arrivare alla assoluzione devono dimostrare in aula che la ragazza mente. Il sesso c'è stato, sesso a turno e sesso di gruppo, ma lei era d'accordo. Il rinvio a giudizio chiesto dalla Procura di Tempio Pausania potrebbe essere deciso già nel corso della prossima udienza, fissata per il 26 novembre. La decisione del giudice preliminare Caterina Interlandi poteva arrivare già ieri, ma i legali degli imputati hanno chiesto di acquisire, attraverso una perizia fonica, nuove trascrizioni di intercettazioni telefoniche effettuate dai carabinieri nel corso delle indagini. Si tratterebbe di intercettazioni «inedite e rilevanti» utili, secondo i legali, a dimostrare l'inconsistenza dell'accusa mossa ai quattro. Cosa ci sia esattamente nelle nuove intercettazioni, e soprattutto perché saltino fuori proprio ora dopo oltre due anni di indagini non è dato, per il momento, sapere. Il giudice ha dato tempi stretti per la loro analisi e trascrizione: entro dieci giorni i consulenti dovranno avere terminato il lavoro e messo il materiale a disposizione delle parti, per il 26 è fissata la discussione e la decisione sul rinvio a giudizio. Si tratta, in realtà, di una decisione praticamente scontata. Davanti agli elementi portati in aula dalla Procura, è impensabile che il gip consideri l'innocenza dei quattro giovani talmente evidente da non richiedere un processo. Sarà in aula, davanti al tribunale, tra qualche che mese, che i quattro dovranno provare a dimostrare la loro tesi. Convincendo i giudici, o almeno instillando in loro il dubbio che la ragazza in realtà fosse d'accordo. Anche la mossa di ieri, con la richiesta di nuove trascrizioni, è ormai finalizzata a quanto accadrà in aula. Contro la presunta vittima i difensori porteranno non solo il materiale estratto dal suo telefono, le immagini in cui dopo la notte nella villa di Grillo appariva sorridente e rilassata. Punteranno anche su testimonianza e perizie psicologiche. Ma il momento cruciale sarà l'interrogatorio che la ragazza dovrà sostenere in aula, rivivendo minuto per minuto la lunga nottata, e rispondendo ai controesami delle difese.
Luca Fazzo (Milano, 1959) si occupa di cronaca giudiziaria dalla fine degli anni Ottanta. È al Giornale dal 2007. Su Twitter è Fazzus.
GIACOMO AMADORI e François de Tonquédec per La Verità il 6 novembre 2021. Tutto rinviato al 26 novembre. Ieri a Tempio Pausania è stato un velocissimo mezzogiorno di fuoco. Infatti già alle 12,40 era terminata la seconda seduta dell'udienza preliminare in cui il giudice Caterina Interlandi dovrà decidere se mandare a giudizio o prosciogliere dall'accusa di violenza sessuale di gruppo Ciro Grillo, Edoardo Capitta, Francesco Corsiglia e Vittorio Lauria. Il Tribunale del popolo, quello mediatico, ha già stabilito che i quattro ventenni sono colpevoli di aver stuprato S.J. e di aver molestato R.M., coetanee milanesi. Ma, come sanno i lettori della Verità la vicenda è più complessa di quanto sembri, a partire dalla versione di S.J. messa in dubbio in più punti da chat, captazioni e video. L'appuntamento di ieri davanti al giudice è durato così poco perché, hanno protestato i difensori, il procuratore non aveva chiesto un'udienza stralcio per la cernita delle intercettazioni d'interesse. Così il Gup ha incaricato un perito, con l'accordo di tutti, per trascrivere (entro il 15 novembre) una dozzina di telefonate, già presenti nel fascicolo, considerate rilevanti in questa fase dalle parti e non ancora sbobinate e ha stabilito di rimandare la discussione al 26 novembre, giorno in cui il procuratore Gregorio Capasso, gli avvocati delle parti civili (Giulia Bongiorno per S. e Vinicio Nardo per R.) e gli avvocati degli indagati (Romano Raimondo e Gennaro Velle per Corsiglia, Enrico Grillo e Andrea Vernazza per Grillo junior, Ernesto Monteverde e Mariano Mameli per Capitta e Alessandro Vaccaro per Lauria) dovranno esporre le proprie ragioni. Le difese formalizzeranno in quella sede la scelta del rito ordinario e non di quello abbreviato, che avrebbe garantito ai ragazzi lo sconto di un terzo dell'eventuale pena. L'accusa sarà rappresentata dal solo Capasso visto che la pm Laura Bassani, dopo aver chiesto di rimanere applicata al caso, nonostante il trasferimento a Sassari al Tribunale per i minorenni, ha rinunciato a sorpresa. La parte civile ha chiesto copia di una conversazione nel cui brogliaccio si legge che quando viene contattato dai carabinieri, dopo la denuncia di S., «Vittorio dice che ha paura che quella lì li abbia denunciati». Nelle chiamate prescelte dalle difese, però, i ragazzi sembrano del tutto ignari del motivo per cui erano stati convocati dagli uomini dell'Arma. Snodo cruciale della contesa giudiziaria sarà l'accertamento delle condizioni psicofisiche di S. al momento del rapporto sessuale di gruppo, visto che le molestie a R.M. dormiente sono cristallizzate nelle foto e in un breve video e quindi difficilmente negabili. L'aggravante dell'alcol è il punto più delicato della vicenda, visto che la minorata difesa o comunque la mancanza di un valido consenso permettono di configurare il reato di stupro in base alla consolidata giurisprudenza della Cassazione. Per gli avvocati degli indagati è, però, difficile che la ragazza, se fosse stata stordita dalla vodka al punto da perdere conoscenza, potesse svolgere poche ore dopo una lezione di kitesurf in mare come in effetti ha fatto. Il consulente di parte civile, il professor Enrico Marinelli, ha scritto: «S. J. non può aver espresso un valido consenso al rapporto di gruppo poiché l'effetto dell'alcol con alta probabilità scemava grandemente la sua capacità decisionale». Nel febbraio del 2020, la ragazza, davanti al procuratore Capasso che la incalzava, mettendo in risalto alcune contraddizioni del suo racconto, aveva fatto riferimento a un black out di cui non aveva parlato nella prima dettagliata denuncia davanti a due carabiniere: «Non saprei dire quanto sia durato il tutto, nella mia testa due minuti. Ma poi sono svenuta e mi sono risvegliata nel letto dove credo mi abbiano portato i ragazzi». E allora Marinelli azzarda: «Questo fenomeno è associabile anche all'uso delle cosiddette droghe da stupro []. In linea puramente teorica non è possibile escludere l'uso di sostanze di questo tipo prima o in associazione con l'alcool». I ragazzi hanno ammesso di aver bevuto vodka e limonata a casa. Lei ha, invece, denunciato di essere stata costretta a ingurgitarla a forza e che la bevanda aveva un «odore strano». Ma non sarebbe stata solo S. a bere la miscela alcolica la mattina del 17 luglio 2019 nell'appartamento in cui lei e l'amica R. erano rimaste ospiti a dormire insieme con gli indagati. Uno di questi, Capitta, in un messaggio Whatsapp inviato il giorno stesso alle 14:23 a un amico a cui racconta gli eventi della mattina, scrive: «Bevuto beverone alle 9». Una definizione della mix con l'«odore strano» che poi lo stesso giorno, alle 21:32, viene ripetuta in una chat di gruppo: «Stavo bevendo il beverone e (S., ndr) lo ha preso e se ne è gocciato tipo un quarto». Secondo il racconto di Capitta, quindi, S. non sarebbe stata forzata a bere, ma avrebbe ingurgitato spontaneamente il liquido nella bottiglia, forse per mostrarsi spavalda. Perché Capitta, davanti a un gruppo di ragazzi che si vantano di ogni genere di stupidaggini e delle loro imprese erotiche da B-movie anni '70, avrebbe dovuto mentire su questo particolare? Per precostituirsi un alibi? Ma allora perché, sempre via chat, ostenta il sesso a 4 e l'assunzione di alcol? In un messaggio racconta: «Che ridere ero ubriaco marcio. Frate te lo giuro». E poi insiste: «Ma io ero veramente alle 10 e 30 di mattina ubriaco marcio». Anche se si trattasse di smargiassate, questi sms sono incompatibili con un tentativo di sviare le indagini. Tali comunicazioni tra coetanei paiono genuine e ci portano a escludere del tutto l'ipotesi della somministrazione della cosiddetta droga dello stupro, che in questo caso sarebbe stata ingerita in primo luogo dal presunto stupratore. Dunque, nonostante i titoli a effetto di alcuni giornali, l'assunzione di Ghb, che non è mai stata contestata dai magistrati, va lasciata fuori da questa brutta storia. Anche perché nelle loro chat i ragazzi non hanno nessun problema a parlare di altre sostanze vietate e in particolare dell'assunzione di cannabis. Nei messaggi, ricorre spesso la parola «scittare», che significa confezionare spinelli. Per esempio il primo agosto 2019, Ciro Grillo scrive a Capitta: «Preso weed (marijuana, ndr) ma poi di nuovo scitto». Ma se gli inquirenti non hanno mai contestato l'aggravante dell'uso di sostanze stupefacenti, lo hanno fatto per la somministrazione della vodka: a giudizio dei pm S. sarebbe stata costretta a bere, anche se non c'è nessuna evidenza di ciò. E anche altre dichiarazioni della giovane italo-norvegese non hanno trovato riscontro. La ragazza ha denunciato di essere stata abusata sia da Corsiglia che dagli altri tre amici. Ma qualcosa non torna già nella ricostruzione della presunta prima violenza. R. a verbale ha dichiarato: «A un certo punto ho visto S. e Corsi dirigersi verso una stanza ad appartarsi all'interno. Ciò è stato fatto per quello che ho visto volontariamente da tutti e due. Effettivamente ho pensato che S. e Corsi avessero l'intenzione o stessero avendo un rapporto sessuale perché si erano trattenuti qualche minuto all'interno della stanza anche se io non avevo sentito nulla di particolare». S., invece, sostiene di aver subito violenza, di aver provato a svegliare l'amica e di aver pianto vicino a lei (lacrime che R. ha confermato). Poi le avrebbe chiesto di vestirsi. Ma senza successo: «R. quindi tornava a dormire, io sono andata a sedermi nel patio».E lì dice di averla vista Maria Cristina S., una vicina di casa, amica di Parvin Tadjik, la mamma di Ciro Grillo. Ricorda di essere passata davanti al giardino davanti all'appartamento dei ragazzi alle 6.15-6.30, dopo il primo presunto stupro. La donna avrebbe visto S.: «Stava seduta con i piedi appoggiati sul tavolo e con un asciugamano in testa a mo' di turbante che stava fumando una sigaretta». I loro sguardi si sarebbero incrociati a distanza di due o tre metri e vi era il «massimo silenzio»: «Non ho notato nulla di particolare» ha dichiarato la donna ai magistrati. Poco dopo S., sempre con Corsiglia e altri due indagati, sarebbe andata a comprare le sigarette in paese. Perché la stuprata segue il suo stupratore? Per paura? Ma in paese non poteva provare a scappare o a chiedere aiuto? Evidentemente, sosterranno l'accusa e le parti civili, non ha trovato il coraggio. Fatto sta che in una foto agli atti si vede la ragazza di spalle in auto. Nello scatto, poco nitido, S., che si trova sul sedile posteriore, ha la testa rivolta verso il guidatore, Corsiglia, il suo presunto aguzzino, come se stessero parlando. Terminato l'acquisto, il gruppetto sarebbe tornato a casa e lì S. sarebbe stata abusata dagli altri tre ragazzi, due ore e mezza dopo il rientro dal paese. Ma nessuno ha sentito nulla nelle casette del golf club, nonostante la presunta violenza sia avvenuta verso le 9 e 30 del mattino e in un appartamento circondato da altre case i cui inquilini sono stati tutti sentiti dagli inquirenti (compresa mamma Parvin che si trovava nell'appartamento adiacente a quello occupato dal figlio e dai suoi amici). Ma torniamo al sesso di gruppo. In una delle chat depositate per l'udienza preliminare Capitta descrive il rapporto sessuale a un amico: «3vs1 stanotte. Lascia stare». L'interlocutore chiede dettagli. Risposta: «No, no Simo. Poi ti farò vedere». E in effetti Grillo junior ha girato con il cellulare di Capitta due video, uno di 25 secondi e uno di 6 che riproducono il rapporto a quattro e in cui la ragazza dà l'impressione di essere consenziente e non di sicuro con mani e braccia bloccate come denuncerà in seguito. Certo i filmati sono brevi, ma non c'è traccia di costrizioni. Capitta il 25 luglio invia a Lauria anche due foto di quelle scattate con i peni estratti vicino al volto di R. dormiente. Su questo passaggio di filmati e foto e sulla loro condivisione con gli amici è stata ipotizzato il reato di revenge porn, ma questa fattispecie è entrata in vigore dopo la data degli invii sui cellulari. In più Capitta, di fronte alle diverse richieste di video da parte di terzi, si è sempre rifiutato in modo netto. Ieri l'avvocato Bongiorno, che, lo ricordiamo, è anche senatrice della Lega, ha dichiarato all'arrivo a Tempio Pausania: «Ogni volta che si parla sui giornali di questa vicenda per la mia assistita è come spargere sale sulla ferita. L'enfatizzazione mediatica è stata una prova pesante».
GIUSEPPE FILETTO per la Repubblica il 6 novembre 2021. Undici intercettazioni, "catturate" dai carabinieri e messe agli atti come brogliacci, vanno trascritte da un perito sopra le parti, nominato dal giudice per l'udienza preliminare. Perciò il gup Caterina Interlandi del Tribunale di Tempio Pausania ieri, dopo appena mezz' ora di udienza, ha dovuto rimandare tutto al 26 novembre prossimo. In quella data probabilmente si decideranno le sorti di Ciro Grillo (figlio del fondatore dei 5S) e dei suoi tre amici genovesi Edoardo Capitta, Francesco Corsiglia e Vittorio Lauria che hanno già scelto il rito ordinario anziché l'abbreviato che consentirebbe in caso di condanna lo sconto di pena di un terzo. Ieri tutti assenti, ma accusati dal procuratore capo di Tempio Gregorio Capasso dei reati di stupro di gruppo nei confronti della italo-norvegese Silvia e di violenza sessuale ai danni della sua amica Roberta (i nomi sono di fantasia). La Procura ha chiesto il processo per gli imputati e il giudice dovrà decidere se accogliere la richiesta o archiviare. Le due studentesse milanesi la sera del 16 luglio 2019 avevano conosciuto Ciro e gli altri al Billionaire di Porto Cervo. Poi l'invito a passare la notte nella villa in uso alla famiglia Grillo, a Cala di Volpe. L'indomani gli abusi sessuali denunciati da Silvia. Anche se i ragazzi hanno sempre parlato di "rapporti consenzienti". Nei confronti di Roberta (difesa dall'avvocato Vinicio Nardo) invece si tratta di atti osceni mentre lei dormiva, ma "documentati" da foto e video. Cinque delle intercettazioni sono ritenute fondamentali dalla Procura e rappresenterebbero l'ossatura dell'accusa. Altri quattro colloqui telefonici per gli avvocati della difesa (Alessandro Vaccaro, Andrea Vernazza, Enrico Grillo, Romano Raimondo, Gennaro Velle, Enrico Monteverde e Mariano Mameli) proverebbero invece il consenso di Silvia. Due altre intercettazioni per l'avvocato Giulia Bongiorno, che difende Silvia, sarebbero "inedite" e la prova che la sua cliente sia stata costretta a subire gli abusi sessuali. «E ogni volta che la vicenda riemerge sui media, per la mia assistita è come spargere sale su una ferita ancora aperta», ha aggiunto. Alcuni degli 11 colloqui, di cui è stata chiesta la trascrizione, sono gli stessi, sia per l'accusa che per la difesa, ma letti in modo diverso. Parliamo di quanto ascoltato dai carabinieri della Compagnia Duomo di Milano dal 26 luglio 2019, giorno in cui Silvia presenta denuncia, al 29 agosto, quando la Procura dispone il sequestro dei telefonini degli indagati e scattano le perquisizioni nelle loro abitazioni di Genova e nella villetta di Cala di Volpe. Quella mattina i carabinieri convocano i quattro nella caserma di Genova-Quinto. Tra loro, però, partono le chiamate: "Ci cercano?". Eppoi: "Ma cosa vogliono?". Per la difesa i colloqui sono la prova della loro buonafede. Per l'accusa, invece, i giovani sanno di essersi messi nei guai. Ieri il gup avrebbe voluto iniziare la discussione, per arrivare a una conclusione quanto prima, e nell'aula a porte chiuse non sono mancati momenti di frizione con le parti che hanno chiesto le trascrizioni, facendo slittare i tempi. «Senza entrare nel merito, penso che il 26 novembre l'udienza preliminare potrebbe terminare» ha detto il procuratore capo al termine dell'udienza, sotto un cielo plumbeo, aggiungendo: «Si tratta di atti già depositati ».
Giacomo Amadori per "la Verità" l'8 novembre 2021. Alla fine è uscita la prova anche del bacio in discoteca tra Ciro Grillo e la presunta vittima di stupro, la ventenne italo-norvegese S.J.. A mandarlo in onda in esclusiva è stata ieri sera la trasmissione Controcorrente di Retequattro, condotta da Veronica Gentili. Si tratta di un video di 30 secondi girato durante la serata che Ciro e i suoi amici hanno trascorso dopo la mezzanotte del 17 luglio 2019 nella discoteca Billionaire di Porto Cervo insieme con le ragazze milanesi che adesso li accusano di violenza e molestie. E da questo locale bisogna partire per raccontare tutta la storia. Qui i quattro genovesi (Grillo jr, Francesco Corsiglia, Edoardo Capitta e Vittorio Lauria) e le due milanesi si sono conosciuti grazie a un comune amico, Alex. Ciro ha prenotato un tavolo da 12 e i ragazzi hanno pagato 600 euro per una bottiglia di vodka e una di champagne. Come hanno raccontato tutti i protagonisti la comitiva ha ballato, riso e si è divertita.Ma veniamo al filmato. Ciro e S. sono seduti da soli nel privé e dalle immagini sembra che a farsi avanti sia la giovane e che inizialmente il figlio del leader 5 stelle scosti il viso, per poi ripensarci e provarci a sua volta. In questo caso senza essere corrisposto. Ciro, in qualità di indagato, viene interrogato il 5 settembre del 2019 dai magistrati di Tempio Pausania e parla di quel bacio. Sei giorni dopo, la sua difesa consegna agli inquirenti il video girato, tra l'una, 20 minuti e 2 secondi e l'una e 20 minuti e 32 secondi, con il telefonino da Matteo Scarnecchia, fratellastro di Grillo jr e organizzatore di eventi. Nei verbali dell'inchiesta sono entrati anche i corteggiamenti di quella serata. Per esempio R. si è soffermata sulle attenzioni degli indagati nei confronti di S.: «Nel prosieguo della serata mi sono accorta che un po' tutti i ragazzi si avvicinavano interessati a S.». R. ha sottolineato di non aver dato confidenza ai genovesi, contrariamente all'amica: «All'interno del locale nessuno dei ragazzi si è avvicinato a me anche perché io sono più riservata, mentre S. è più estroversa». In Procura testimoni, vittime e indagati hanno parlato anche del bacio. Un'effusione su cui non sono mancate le domande degli inquirenti. Per le parti civili quel furtivo schiocco di labbra non significa niente, mentre per le difese è la prova di una complicità che, poi, durante la notte sarebbe diventata passione. Il bacio è stato descritto così dal figlio di Grillo: «Durante la serata ci ho provato con S., la quale mi ha anche baciato». Alex, l'amico che ha messo in contatto le ragazze milanesi con i coetanei genovesi, ha aggiunto: «A un certo punto mi sono girato e ho visto non in pista, ma nel privé, che Ciro Grillo e S. si baciavano, erano soli nel privé». Anche Vittorio Lauria ha affrontato l'argomento: «Vidi S. e Ciro baciarsi in discoteca». R. è quella che si è dilungata di più sull'episodio: «Mentre ero in pista mi sono voltata verso il tavolo e ho visto Ciro e S. da soli seduti su un divanetto, che si baciavano, in particolare ho visto che il bacio è partito da S. e che dopo pochissimo S. si staccava, non mi è sembrato lo respingesse in maniera brusca, ma, comunque, conoscendola, mi è sembrato dal suo atteggiamento che non corrispondesse l'interesse verso Ciro; ho visto che dopo questo gesto S. è rimasta comunque seduta sul divano accanto a Ciro e che parlavano». La trasmissione Controcorrente ha anche trasmesso alcuni audio inediti trovati sul cellulare di S. J. e risalenti alla fine di luglio del 2019, ovvero a un paio di settimane dopo il presunto stupro in Sardegna. Si riferiscono all'organizzazione di una vacanza in Brasile per fare kite surf con Leonardo, un ragazzo che S. aveva appena iniziato a frequentare. La giovane è in agitazione, non sa come comportarsi. Ma, visto che ha appena denunciato la violenza, la madre le ha sconsigliato di partire. Alla fine, S. comunica a un'amica la sua decisione: «Sono felice di dire di no, del fatto che non andrò in Brasile, anche mamma adesso sta continuando a dire di non andare». Per correggersi subito dopo: «Mi dispiace dire di no, che palle, anche perché un po' ho voglia, ovviamente ho voglia, però, dall'altra parte non mi sento di andare». In un altro vocale precisa: «Nel senso, semmai dico: "Sono successe cose personali e non me la sento di andare, preferisco stare con la mia famiglia in calma e tranquillità" non lo so, dovrò inventare qualche stronzata, che alla fine è vero non posso raccontare quello che è successo». Poi arriva lo sfogo finale: «Guarda ti giuro, fossi stato in un altro stato mentale, lui senza ragazza e tutto fosse stata un'estate diversa in poche parole, porca t se ci sarei stata però in queste condizioni mi sento ristretta di non lo so, ho la mia barriera la mia circonferenza di quello che posso fare è troppo ristretta, manco mi riconosco sinceramente sono un po' ammanettata in questo momento e quindi niente prenderò la coca cola, perché giustamente io sono astemia (sogghigna, ndr) e poi, boh, andrò a dormire nel mio lettino singolo a casa mia dicendo ciao ciao». La trasmissione ha dedicato un servizio pure alle scuse di R. a S.. Infatti dopo aver subito il primo presunto stupro a casa dei quattro ragazzi genovesi, la studentessa italo-norvegese si sarebbe presentata piangente dall'amica R., ma questa non avrebbe compreso la situazione e si sarebbe rimessa a dormire. Il 31 luglio, dopo che S. aveva presentato denuncia e R. era stata interrogata dai carabinieri, la stessa R. scrive a S. questo messaggio, in cui si scusa per non essersi resa conto dell'accaduto: «[] Quella sera in Sardegna non ci sono stata per te, ma vorrei spiegarti il mio punto di vista, non per trovare una scusa ma perché tu capisca le mie azioni. Quando tu mi hai svegliata e stavi piangendo io non ho capito cosa era successo e anche quando tu me lo hai spiegato io non sapevo cosa fare. Non avevo capito al 100% cosa fosse successo e non riuscivo a pensare chiaramente, volevo solo andarmene da lì e parlare con te. Non puoi capire quanto io mi sia pentita di non aver fatto qualcosa immediatamente e più volte ho cercato di parlare con te, ma quando vedevo che cambiavi argomento non volevo forzarti considerando ciò che era successo. [] Scusa tantissimo per tutto, posso solo immaginare come tu ti senta in questo periodo e non sai quanto mi spiaccia non esserci stata per te. Ti voglio bene e mi manchi tanto». Un messaggio che non sembra aver avuto l'effetto voluto. Infatti il 17 febbraio 2020 davanti ai magistrati S. prima dichiara: «Questa esperienza mi ha legato di più a R.. A Milano è venuta spesso a casa mia per chiedermi come stavo». Nello stesso interrogatorio, poche risposte dopo, però, fa una bruca retromarcia: «Sono certa di aver detto a R. che ero stata violentata, anche qualche mese dopo le ho chiesto perché non fossimo andate via quando l'avevo svegliata e lei mi ha risposto che non si era resa conto di quello che le avevo detto. Adesso non siamo più amiche».
(ANSA il 26 novembre 2021) - Sono stati rinviati tutti a giudizio i quattro ragazzi, tra cui Ciro Grillo, accusati di violenza sessuale ai danni di una giovane. Il processo nei confronti di Grillo jr e Francesco Corsiglia, Edoardo Capitta e Vittorio Lauria, inizierà il 16 marzo prossimo. Lo ha deciso il gup di Tempio Pausania. I quattro giovani sono accusati di violenza sessuale di gruppo nei confronti di una coetanea italo-norvegese, dalla cui denuncia era scaturita l'indagine. I fatti risalirebbero al luglio di due anni fa in Costa Smeralda. Il rinvio a giudizio era stato sollecitato dal procuratore Gregorio Capasso. Il collegio difensivo aveva invece sollecitato il non luogo a procedere e chiesto che si proceda con rito ordinario
Ciro Grillo & Co. a processo per stupro. Luca Sablone il 26 Novembre 2021 su Il Giornale. Il gup di Tempio Pausania decide il rinvio a giudizio per Grillo jr e i tre amici genovesi: sono accusati di violenza sessuale. La prima udienza fissata al 16 marzo 2022. La decisione è arrivata: Ciro Grillo, Edoardo Capitta, Francesco Corsiglia e Vittorio Lauria vanno a processo per il presunto stupro che sarebbe avvenuto ai danni di Silvia (nome di fantasia) nella villetta a Cala di Volpe dopo una serata in discoteca. Il gup di Tempio Pausania alla fine ha scelto il rinvio a giudizio per il figlio del garante del Movimento 5 Stelle e per i suoi tre amici genovesi. La prima udienza si terrà il 16 marzo 2022. Le difese dei quattro giovani dovrebbero formalizzare la scelta del rito ordinario. A rappresentare l'accusa nel processo sarà Gregorio Capasso, procuratore di Tempio Pausania, che si è limitato a dichiarare: "L'impianto accusatorio ha retto. È stata accolta la nostra richiesta, ora si farà un processo e si vedrà". Il 5 novembre scorso è stato scelto di rinviare a oggi la decisione cruciale per il caso dai contorni complicati ancora da chiarire in maniera approfondita: è stato preferito prendere ulteriore tempo per ottenere la trascrizione di diverse intercettazioni che ancora non erano state trascritte negli atti a disposizione delle parti.
Le reazioni
L'avvocato Giulia Bongiorno, che difende Silvia, si dice "soddisfatta" perché "mai prima di ora ho assistito a una volontà di sgretolare atti che hanno un significato". Ritiene che ci sia stato "un accanimento contro la mia assistita che è stata messa sul banco degli imputati"; precisa però che non si riferisce ai difensori ma "a quello che ho letto, sono sati distorti gli atti". Un commento è arrivato anche da Gennaro Velle, il difensore di Corsiglia: "Andremo a processo e al dibattimento vedremo, quello dell'udienza preliminare è un passaggio tecnico".
Le "scatole nere"
Prima della decisione del gup aveva preso parola con i giornalisti l'avvocato Giulia Bongiorno, che difende Silvia: ha fatto riferimento alla presenza di "scatole nere", ovvero tutte le intercettazioni su cui ha puntato il suo intervento, che si affiancano a "tanti riscontri contro gli imputati". Senza dimenticare che secondo la Cassazione "le dichiarazioni della persona offesa di un delitto di violenza sessuale, dopo la verifica della credibilità, costituiscano di per sè prova per una condanna".
La consulenza medico-legale
Nelle ultime settimane è spuntata l'ipotesi dell'utilizzo della droga dello stupro: nella consulenza medico-legale di parte firmata dal professor Enrico Marinelli, voluta e depositata dall'avvocato Giulia Bongiorno che difende Silvia, si afferma che "in linea puramente teorica non è possibile escludere l'uso di sostanze di questo tipo, prima o in associazione con l'alcol". Il riferimento è alle sostanze inibitorie come il Ghb.
Il professor Marinelli ha scritto inoltre che la ragazza "non può aver espresso un valido consenso al rapporto di gruppo". Questo perché, a suo giudizio, l'alcol "scemava grandemente la sua capacità decisionale e annullava la sua capacità di autodeterminazione".
Il caso
I fatti risalgono alle ore tra il 16 e il 17 luglio 2019, quando il gruppetto dei quattro amici e le due ragazze si conoscono in discoteca al Billionaire. Decidono poi di andare nella villetta a Cala di Volpe ed è proprio qui, secondo la versione di Silvia, che si sarebbero consumati gli stupri. Ci sarebbero stati infatti diversi rapporti sessuali, ma la comitiva di Ciro Grillo ritiene che fossero consenzienti. Questo è lo snodo principale: mentre la giovane studentessa italo-norvegese ha denunciato la violenza sessuale contro la sua volontà, i quattro giovani ritengono che lei fosse consapevole di ciò che stava accadendo.
Ci sono poi altri dettagli su cui occorrerà fare chiarezza. Si parla ad esempio di foto a Roberta (nome di fantasia, amica di Silvia) mentre dormiva, con tanto di genitali vicino al volto. C'è poi il fronte dei video: sono stati girati filmati di quegli atti sessuali e poi sono stati fatti girare nelle chat social oppure fatti visionare ad altri? Senza dimenticare l'aspetto della droga, di cui si parla negli sms choc.
Quanto all'alcol, Silvia ha raccontato di essere stata costretta a bere da una bottiglia un cocktail (di vodka e lemonsoda?) prima dei rapporti sessuali. Una versione smentita da chi si difende, secondo cui invece l'avrebbe bevuto di sua spontanea volontà per sfidare il gruppetto. Un altro aspetto importante riguarda quei lividi sulle braccia e sulle gambe che mostrò alle dottoresse della clinica Mangiagalli di Milano. Secondo la consulenza medica di parte risultano essere "compatibili con un meccanismo di pressione e afferramento attuato da più persone contemporaneamente con le mani". Il tutto viene giudicato "coerente con un rapporto non consenziente e invasivo".
Luca Sablone. Classe 2000, nato a Chieti. Fieramente abruzzese nel sangue e nei fatti. Estrema passione per il calcio, prima giocato e poi raccontato: sono passato dai guantoni da portiere alla tastiera del computer. Diplomato in informatica "per caso", aspirante giornalista per natura. Provo a raccontare tutto nei minimi dettagli, possibilmente prima degli altri. Cerco di essere un attento osservatore in diversi ambiti con quanta più obiettività possibile, dalla politica allo sport. Ma sempre con il Milan che scorre nelle vene. Incessante predilezione per la cronaca in tutte le sue sfaccettature: armato sempre di pazienza, fonti, cellulare, caricabatterie e… PC.
La decisione del Gup, processo il 16 marzo. Ciro Grillo e i suoi 3 amici rinviati a giudizio per il presunto stupro: rischiano fino a 12 anni di carcere. Carmine Di Niro su Il Riformista il 26 Novembre 2021. Tutti rinviati a giudizio. Il gup del tribunale di Tempio Pausania Caterina Interlandi al termine dell’udienza preliminare ha stabilito che Ciro Grillo e i suoi tre amici Edoardo Capitta, Francesco Corsiglia e Vittorio Lauria dovranno affrontare il processo per la presunta violenza sessuale di gruppo ai danni di una studentessa italo-norvegese 19enne risalente alla notte tra il 16 e il 17 luglio 2019, avvenuta nella villa in Costa Smeralda del comico genovese. Gli avvocati dei quattro (Ernesto Monteverde, Enrico Grillo, Andrea Vernazza, Gennaro Velle, Romano Raimondo, Alessandro Vaccaro e Mariano Mameli) aveva deciso nelle scorse settimane di non chiedere il rito abbreviato. La decisione del gup è arrivata dopo un’ora di Camera di consiglio, che ha accolto così la richiesta del procuratore di Tempio Pausania Gregorio Capasso, che ha già annunciato di voler rappresentare l’accusa. La denuncia da parte della ragazza era arrivata il 26 luglio a Milano, dieci giorno dopo il presunto stupro ai suoi danni. In caso di condanna Grillo e i suoi tre amici, che non erano in aula al momento della decisione, rischiano fino a 12 anni di condanna. La prima udienza del processo si svolgerà a Tempio Pausania il 16 marzo 2022. Soddisfatto, ovviamente, il procuratore Capasso: “L’impianto accusatorio ha retto. E’ stata accolta la nostra richiesta, ora si farà un processo e si vedrà“, ha spiegato con poche parole ai cronisti presenti. L’avvocato difensore della presunta vittima, la parlamentare della Lega Giulia Bongiorno, prima della decisione del Gup aveva spiegato che nel processo “ci sono numerosi riscontri contro gli imputati, abbiamo anche la scatola nera che comprende tutte le intercettazioni e le chat, come quelle della mia assistita nella stessa notte dello stupro“. Dopo la decisione del Gup Interlandi di rinviare a giudizio i quattro amici, la stessa Bongiorno ha denunciato il clima contro la sua assistita, che “è finita sul banco degli imputati“. “Se mi chiedete se sono felice la mia risposta è no, perché la mia assistita sta soffrendo tutt’ora, se mi chiedete invece se sono soddisfatta la mia riposta è si perché veramente, come mai prima di ora, ho assistito a una volontà di sgretolare atti che hanno un significato. C’è stato un accanimento contro la mia assistita che è stata messa sul banco degli imputati e non mi riferisco ai difensori ma a quello che ho letto, sono stati distorti gli atti“, ha accusato l’avvocato difensore della studentessa italo-norvegese.
Carmine Di Niro. Romano di nascita ma trapiantato da sempre a Caserta, classe 1989. Appassionato di politica, sport e tecnologia
(ANSA il 26 novembre 2021) - "Abbiamo assistito alla pubblicazione di frammenti di atti mal interpretati, oggi la gup ha risposto a questo tentativo di sgretolare atti che hanno un significato ben preciso". Così l'avvocata Giulia Bongiorno commenta la decisione della gup di Tempio Pausania, Caterina Interlandi, di rinviare a giudizio Ciro Grillo, Francesco Corsiglia, Edoardo Capitta e Vittorio Lauria. "Non sono felice ma sono soddisfatta, la mia assistita soffre tuttora e ho atteso per dire che si è assistito a una distorsione da parte di alcuni giornali e la ragazza è finita sul banco degli imputati, ma il materiale probatorio racconta una verità diversa". Mentre il procuratore Gegorio Capasso si limita a dire che "l'impianto accusatorio ha retto ai fini dell'udienza preliminare" e gli avvocati difensori Gennaro Velle, Ernesto Monteverde e Mariano Mameli confermano il rito ordinario, Bongiorno sottolinea che "oggi è il giorno dopo il 25 novembre, anche questa giornata diventa importante", riferendosi al fatto che ieri si celebrava la Giornata internazionale contro la violenza di genere. "Sono arrivata a Tempio che pioveva tantissimo e ho visto un arcobaleno, l'ho preso per un segnale", confida l'avvocata. "La Cassazione dice che per andare a processo in caso di violenza sessuale basta la dichiarazione della persona offesa, se ritenuta attendibile in questo caso c'è molto di più e la scelta della giudice lo dimostra". Giulia Bongiorno spiega che "se mi chiedete se sono felice la risposta è no, perché la mia assistita soffre tuttora, ma se mi chiedete se sono soddisfatta la risposta è sì, perché ho atteso sino a oggi per dire che si è assistito a una distorsione da parte di alcuni giornali per cui la ragazza è finita sul banco degli imputati, ma il materiale probatorio racconta una verità
Ciro Grillo, lo sfogo di Silvia: «Finalmente ricomincio a respirare». Giusi Fasano su Il Corriere della Sera il 27 Novembre 2021. La ragazza che li ha denunciati si è isolata e ha cambiato casa. L’avvocata Bongiorno: è come se fosse uscita da un’apnea ma è traumatizzata e molto sofferente: «C’è chi si permette di pubblicare il suo nome e renderla identificabile». «E adesso come ti senti? Sei sollevata? Arrabbiata?». L’avvocata Giulia Bongiorno le parla al telefono mentre corre verso l’aeroporto di Olbia. Le spiega che questo primo passo è andato, ce l’ha fatta. Dall’altra parte c’è silenzio, un sospiro e poi lei che risponde: «Avvocato, io oggi finalmente ricomincio a respirare». Non è ragazza di troppe parole, Silvia. Ci è voluta tutta la fiducia del mondo per sedersi davanti alla sua legale e raccontare i dettagli della violenza di gruppo che giura di aver subito. Ieri, sapere che hanno creduto a lei e non a loro — ai quattro ragazzi accusati e rinviati a giudizio — è stato come uscire dall’apnea in cui l’aveva costretta la tensione di questi mesi.
«Traumatizzata e sofferente»
L’avvocata Bongiorno racconta di una ragazza «traumatizzata, molto sofferente» che vive ogni giorno «come se avesse accanto perennemente la sensazione fisica di quello che le è successo, una specie di compagna quotidiana». Non è più a casa sua, non frequenta più molti dei vecchi amici, prova a non guardare la televisione quando parlano di lei, i suoi genitori la proteggono come possono. E per chiarire: Silvia, come (quasi) tutti la chiamano dall’inizio, non è il suo vero nome, così come non è reale il nome dell’altra ragazza, Roberta.
«Ma poi c’è chi si permette di pubblicare il suo nome e cognome e renderla identificabile» se la prende Giulia Bongiorno. «Io trovo che questo sia gravissimo, mai ho assistito a una tale volontà di sgretolare la verità e distorcere i fatti. Sono stufa di leggere pezzettini di atti isolati che vengono interpretati male. Tutto questo, tra l’altro, diventa un deterrente per le donne che vogliono denunciare».
La madre
Nel suo rifugio segreto, chiamiamolo così, Silvia prova a ricostruire vita e autostima; non pensare a quel giorno è la parola d’ordine, anche se ogni tanto qualcuno le manda messaggi con qualche titolo di giornale che la riguarda. «Sofferente ma determinata», dice di lei l’avvocata Bongiorno.
Ieri non la finiva più di dirle grazie, ma niente lacrime: questo è il momento di respirare, per dirla con le sue parole. La mamma, invece, è scoppiata a piangere e si è ricordata che il 16 di marzo — cioè il giorno fissato per la prima udienza in tribunale — è la data del compleanno di sua madre. «Lo voglio vedere come un segnale di buon auspicio», ha detto lei all’avvocata Bongiorno.
«Falsità su nostra figlia»
I genitori di Silvia non hanno mai rilasciato interviste. Da loro è arrivata soltanto una nota, diffusa a fine aprile scorso, in cui dicevano: «Non è facile rimanere in silenzio davanti alle falsità che si continuano a scrivere e a dire sul conto di nostra figlia. Abbiamo appreso che frammenti (frammenti!) di video intimi vengono condivisi tra amici, come se il corpo di nostra figlia fosse un trofeo: qualcosa che ci riporta a un passato barbaro che speravamo sepolto insieme alle clave».
Le indagini non erano ancora chiuse. Purtroppo c’era molto altro e molto peggio da sapere.
"Silvia inattendibile", Grillo punta a screditare la vittima della violenza. Giuseppe Filetto su La Repubblica il 28 Novembre 2021. La strategia difensiva del fondatore M5S per il figlio. Pronta la perizia della psicologa forense: sarà usata nel processo. Se la gioca tutta Beppe Grillo. Senza scrupoli. Nel tentativo di difendere il figlio Ciro e i suoi tre amici (Edoardo Capitta, Francesco Corsiglia e Vittorio Lauria) dalle accuse di stupro di gruppo a danno di Silvia e di violenza sessuale nei confronti di Roberta. Le due ragazze (nomi di fantasia) di Milano nell'estate 2019 erano in vacanza in Sardegna e passarono la notte del 17 luglio nella villetta di Cala di Volpe in uso ai Grillo.
"Abbiamo la scatola nera". Cosa cambia nel caso di Ciro Grillo. Luca Sablone il 26 Novembre 2021 su Il Giornale. Adesso spunta la "scatola nera", ovvero intercettazioni e chat anche nella stessa notte del presunto stupro: "Ci sono tanti riscontri contro gli imputati". Il caso Ciro Grillo si tradurrà in una battaglia legale tra testimonianze, intercettazioni e chat. Da una parte Silvia (nome di fantasia) denuncia di essere stata stuprata dal figlio del garante del Movimento 5 Stelle e dai suoi tre amici genovesi; dall'altra i quattro ragazzi parlano di sesso consenziente. Qual è la vera versione dei fatti? Violenza sessuale o rapporti consapevoli?
Ciro Grillo & Co.: chi sono i ragazzi accusati di violenza sessuale
Nel frattempo è arrivata una decisione che segna un punto importante nella vicenda: il gup di Tempio Pausania ha deciso il rinvio a giudizio e dunque il gruppetto andrà a processo con l'accusa di violenza sessuale di gruppo. L'avvocato Giulia Bongiorno, che difende la studentessa italo-norvegese, ha parlato di "scatola nera". Un'importante "arma" che potrebbe pesare in un processo che si prospetta piuttosto animato.
La "scatola nera"
La Bongiorno ha fatto sapere che con il termine "scatola nera" si fa riferimento a tutte quelle intercettazioni e quelle chat a disposizione, "come quelle della mia assistita nella stessa notte dello stupro". Il tutto, sempre secondo l'avvocato che difende Silvia, è affiancato da "tanti riscontri contro gli imputati". La Bongiorno ha puntato il suo intervento proprio sulla "scatola nera" e, parlando con i giornalisti, ha voluto ricordare che "la Cassazione ritiene che le dichiarazioni della persona offesa di un delitto di violenza sessuale, dopo la verifica della credibilità, costituiscono di per sé prova per una condanna".
Le intercettazioni
Durante il processo potrebbero assumere particolare valore alcune intercettazioni che sono state fatte ascoltare a Quarto grado, programma in onda su Rete 4. Una di queste riguarda il vocale che Silvia ha inviato a un'amica in Norvegia. Parole da cui affiorerebbero anche dei sensi di colpa per ciò che è accaduto, per cui bisognerà vedere quale sarà l'effettiva interpretazione che ne sarà data. "Non so se fosse colpa mia o no quella notte, giuro che è stato così difficile evitarlo. È stupido da dire e probabilmente non mi crederai, non so. Qualcuno probabilmente non mi crede, ma è stato così difficile fermare chiunque, altrimenti non l’avrei mai fatto", sarebbero state le sue parole.
"La ragazza messa sotto accusa"
A questo però si aggiunge anche un fattore umano. La Bongiorno ha usato infatti parole fortissime per sferrare un'accusa pesante: "Forse mai ho assistito a questa volontà di sgretolare atti che hanno un significato ben preciso". Ha parlato di "accanimento" nei confronti della ragazza che ha denunciato il presunto stupro, che è stata "messa sotto accusa". Una precisazione però è doverosa: l'avvocato ha specificato di non riferirsi ai difensori, ma a quanto letto sui giornali.
Per Silvia non è affatto facile ritrovare la serenità totale nella vita quotidiana, visto che ormai il caso è diventato mediatico: "Per la mia assistita è pesantissimo quello che sta subendo perché deve tenere la tv spenta". La Bongiorno ha denunciato il fatto che sarebbero state diffuse le sue generalità, i suoi dati anagrafici, identificata pure con il cognome. E si è detta "stufa" di leggere "piccoli pezzettini di atti isolati", ma al tempo stesso fa notare che oggi il gup "ha dato una risposta a quasta frammentazione di materiale probatorio".
Luca Sablone. Classe 2000, nato a Chieti. Fieramente abruzzese nel sangue e nei fatti. Estrema passione per il calcio, prima giocato e poi raccontato: sono passato dai guantoni da portiere alla tastiera del computer. Diplomato in informatica "per caso", aspirante giornalista per natura. Provo a
Chi sono i ragazzi accusati di violenza sessuale. Rosa Scognamiglio il 26 Novembre 2021 su Il Giornale. Ciro Grillo e gli amici sono stati rinviati a giudizio. I quattro ragazzi genovesi sono accusati di violenza sessuale di gruppo nei confronti di una 19enne. Il giorno del verdetto è arrivato. Il gup di Tempio Pausania Caterina Interlandi ha deciso di rinviare a giudizio Ciro Grillo e i suoi amici - Francesco Corsiglia, Vittorio Lauria ed Edoardo Capitta - per il presunto episodio di violenza sessuale di gruppo, aggravato dal consumo di sostanze alcoliche, ai danni della 19enne italo-norvegese che nell'estate del 2019 denunciò i quattro ragazzi genovesi per stupro.
A fronte dell'esito dell'udienza preliminare, ricostruiamo le circostanze della vicenda in riferimento ai verbali degli indagati sul racconto di quella notte turbolenta a Cala di Volpe, in Sardegna.
"Mi appoggiava il piede tra le gambe". Adesso Ciro Grillo si difende così
I fatti in sintesi
La storia è ormai nota alle cronache. È il 17 luglio del 2019. Silvia e la sua amica Roberta (nomi di fantasia) conoscono la comitiva dei genovesi durante una serata al Billionaire, noto locale della Costa Smeralda. Attorno alle 5 del mattino le due ragazze decidono di ritornare al bed & breakfast dove alloggiano durante quei giorni di vacanza ma, per via dell'ora tarda, non riescono a prenotare un taxi. A quel punto Ciro Grillo e gli amici invitano entrambe per "una spaghettata" nella casa che hanno preso nel resort sardo al Pevero, accanto alla villa di Grillo senior, con la promessa che poi le avrebbero accompagnate in albergo. Le ragazze accettano l'invito. Da quel momento è un susseguirsi di racconti discordanti su circostanze di sesso promiscuo su cui grava l'ipotesi di reato per violenza sessuale di gruppo. In mezzo a tutto questo, c'è uno scambio di video e chat ancora da chiarire.
Nuovi guai per Ciro Grillo: spunta la droga dello stupro
La versione di Silvia
Partiamo dal racconto di Silvia che, otto giorni dopo l'accaduto, decide di denunciare i quattro ragazzi genovesi per violenza sessuale. Stando al racconto della giovane, il primo ad abusare di lei sarebbe stato Francesco Corsiglia. Dopo la spaghettata sul patio, pressappoco alle 6 del mattino, Silvia si sarebbe ritirata in camera da letto. Corsiglia l'avrebbe raggiunta: "Mi ha spinta a letto e si è buttato su di me – racconta la ragazza ai magistrati di Tempio Pausania, il procuratore capo Gregorio Capasso e il sostituto Laura Bassani, nella convocazione del 17 febbraio 2020 – Continuava a spingermi. In quel momento io mi ribellavo e cercavo di andarmene". Poi il ragazzo l'avrebbe "spinta" nel box doccia, in bagno, dove avrebbe tentato un nuovo approccio sessuale. La giovane avrebbe voluto opporre resistenza "ma non riuscivo a gridare", spiega ai magistrati.
"Corsiglia mi ha lanciato il suo asciugamano, come se fossi una spazzatura – ricorda la 19enne – E allora sono scoppiata a piangere. Altri due ragazzi sono entrati in bagno e mi continuavano a dire 'perché stai piangendo, cosa è successo?'". In lacrime, la ragazza sarebbe andata dalla sua amica Roberta - che intanto riposava sul divano - per chiederle di andare via ma la giovane avrebbe fatto spallucce sopraffatta dal sonno. A quel punto Ciro Grillo, Vittorio Lauria ed Edoardo Capitta "per distrarmi mi hanno offerto da bere, mi hanno tenuto la testa e fatto bere metà bottiglia di vodka - racconta ancora Silvia - La mia testa ha iniziato a girare, ma ero abbastanza lucida ancora. Mi hanno accompagnato in una stanza, mi hanno detto che potevo dormire lì, che potevo stare tranquilla".
E invece, attorno alle 9 del mattino, si sarebbe consumata la presunta violenza di gruppo. "Sentivo che si davano il 'passaggio' e dicevano 'ehi dai, fai veloce che tocca a me' e cose del genere. Io non riuscivo più a gridare, non sentivo più la forza nel corpo. Ero distrutta. Dopo non so, ho visto nero.- conclude Silvia – Non so più cosa sia successo. Mi sono risvegliata in un altro letto, in un'altra stanza". Il presunto rapporto, o presunto stupro, secondo le versioni, è stato filmato con lo smartphone di uno dei ragazzi indagati e per ben 21 mesi è stato oggetto d'indagine da parte degli investigatori.
La vodka, il gruppo, la violenza: le colpe del caso Grillo
La difesa di Francesco Corsiglia
Francesco Corsiglia sarebbe stato dunque il primo della comitiva ad approcciare con Silvia poi si è ritirato in camera a dormire. Il ragazzo si è difeso dall'accusa di stupro sostenendo che tra lui e la 19enne italo-norvegese ci fosse del feeling. "Con lei l'intesa era cominciata in taxi. Poi ho avuto l'impressione che non fosse soddisfatta della mia prestazione, avrebbe voluto durasse di più - racconta nel corso dell'interrogatorio dello scorso maggio - Il rapporto sotto la doccia era durato solo tre minuti e io non avevo avuto un'erezione completa. Ero in imbarazzo. Tutti insieme mi avevano preso in giro per questo". Più tardi, pressappoco alle 7.15, sarebbe stato svegliato da Ciro Grillo: "Mi hanno fatto cambiare stanza - ripercorre quel frangente Corsiglia - Quando mi sono svegliato lui mi ha detto testualmente: 'Ce la siamo tromb... tutti e tre'".
Il racconto di Ciro Grillo
Uno dei "nomi caldi" attorno a cui ruota l'inchiesta per violenza sessuale di gruppo è quello di Ciro Grillo. La linea difensiva scelta dal ragazzo, all'epoca dei fatti contestati dalla Procura di Tempio Pausania 20enne, tende a ridimensionare la vicenda. Seppur abbia ammesso che la situazione avesse preso una piega inaspettata – "Forse siamo andati un po' più in là, doveva essere un gioco", precisa – nega che Silvia sia stata costretta a bere vodka.
"La mattina del 17 luglio 2019 eravamo nel patio io, Vittorio Lauria ed Edoardo Capitta assieme a Silvia. Silvia ha bevuto qualche sorso di vodka, da sola e senza che nessuno di noi la costringesse – racconta nel corso dell'interrogatorio - Dopo la vodka ricordo che abbiamo parlato in modo scherzoso del rapporto sessuale che lei aveva appena avuto con Francesco Corsiglia e parlando lei ci ha lasciato intendere che era meglio una cosa con tre piuttosto che con uno solo". Poi il racconto dei minuti successivi e i dettagli di quello che, all'unisono, i ragazzi descrivono come "rapporto consensuale". La difesa di Grillo Jr, assistito dal cugino Enrico Grillo, quindi parla di "qualche sorso di vodka" bevuto volontariamente dalla ragazza, non "mezza bottiglia" fatta bere a forza (come racconta Silvia) e neanche di "un quarto di bottiglia per sfida", come ha detto Lauria nel corso di un'intervista al programma televisivo "Non è l’Arena".
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Il verbale di Vittorio Lauria
Vittoria Lauria è l'altro ragazzo indagato per violenza sessuale di gruppo. Così come il resto della comitiva, nell'interrogatorio del 5 settembre scorso, fornisce una versione dei fatti diametralmente opposta alla presunta vittima. Il suo racconto prende il via dalla serata al Billionaire. "Dopo aver preso un tavolo ed esserci incontrati con altre persone, di cui alcuni amici di Ciro, abbiamo consumato tutti insieme due bottiglie, una di vodka e una di spumante – riferisce Lauria ai magistrati - Eravamo circa 11 o 12 persone comprese S. e R. che conoscevo in quell'occasione. Con le medesime non ho avuto particolare modo di interloquire durante la serata. Vidi S. e Ciro baciarsi in discoteca".
Poi, il racconto prosegue con alcuni dettagli relativi alla presunta intesa tra Francesco Corsiglia e Silvia, del rapporto sessuale consumatosi tra i due, fino al momento in cui il gruppetto – con anche la ragazza – decide di bere l'avanzo di vodka mescolato a limonata della sera prima. "Prima l'ha sorseggiata Edoardo, poi l'ho assaggiata io e l'ho ritenuta imbevibile, S. ne ha bevuto più di noi, meno di un quarto di litro [...] - precisa Lauria - Lei era seduta alla mia sinistra con una gamba accavallata sulle mie e mi disse: 'Dammi che vi faccio vedere che ne bevo di più'. Dopo questo lei disse: 'Andiamo a dormire'[...]. E noi l' abbiamo seguita dopo circa un minuto, ritenendo che il suo fosse un invito a seguirla".
Cruciale nella lunga e corposa testimonianza resa agli inquirenti è il punto in cui il ragazzo descrive le riprese video del rapporto sessuale di gruppo (a esclusione di Corsiglia). "Durante i rapporti sessuali abbiamo girato un video, in particolare lo ha fatto Edoardo, al quale, nei giorni successivi, chiesi di non farlo vedere a nessuno, né inviarlo ad alcuno, perché sono fidanzato - conferma il giovane - Non penso che Edoardo abbia mostrato in giro il video. S. non si è accorta di essere ripresa perché in quel momento era girata di spalle". A Vittorio Lauria e Ciro Grillo i magistrati di Tempio Pausania contestano anche di essersi fatti fotografare in piedi "con il pene in prossimità del viso" di Roberta, l'amica di Silvia, che intanto dormiva sul divano.
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Le chat di Edoardo Capitta
Sesso promiscuo (con consenso da accertare) ma anche video e foto finite sul gruppo WhatsApp "Official Mostri" dove Ciro e i suoi amici si vantano della "notte brava" a Cala di Volpe. È il 17 luglio del 2019 quando, dopo aver riaccompagnato Silvia e Roberta ad Arzachena, pressappoco alle 14.45, i ragazzi cominciano a chattare con gli amici lontani. Il più attivo del gruppo è Edoardo Capitta che, in una chat registrata con lo pseudonimo "Capi" scrive a un amico: "No, non puoi capire"; "Cosa?" chiede l'altro. "No... 3 vs 1 stanotte, lascia stare". "Spiega meglio" insiste l' amico. "No, no, sì, poi ti farò vedere". "Ma con una tipa?"; "Ma no, guarda... ero ubriaco marcio. Frate te lo giuro". "Ma chi eravate? Te, Corsi e Ciro?". Risponde Capitta: "3 vs 1, ovvio. Ma io veramente alle dieci del mattino ero ubriaco marcio... bevuto beverone alle nove".
Secondo l'accusa, questo passaggio della conversazione tra Capitta e il suo amico (estraneo alla vicenda), lascerebbe intendere che quella notte a Cala di Volpe non c'è stato "sesso consensuale" ma di "violenza sessuale". E a proposito del presunto rapporto promiscuo, Capitta racconta: "Non so come siamo finiti in camera da letto, lei ci disse che non aveva mai avuto un rapporto a quattro. Io per pudore mi preoccupavo del fatto che ci fossero la finestra e le tende aperte e che qualche vicino ci potesse vedere, in particolare la mamma di Ciro, che alloggiava a fianco. Silvia aveva un comportamento attivo e ci faceva richieste". Dopo il rapporto di gruppo, Capitta e Silvia si sarebbero appartati da soli in un'altra camera: "Dopo pochi minuti decidevo di non proseguire, non mi piaceva la situazione. Le dicevo che volevo smettere e andare a dormire. Lei non diceva nulla. Io sono andato a dormire nell'altra camera. Lei e Ciro lì hanno avuto un ulteriore rapporto".
"3 contro una tr...". L'analisi delle chat di Grillo
Il rinvio a processo
Il gup di Tempio Pausania, Caterina Interlandi ha deciso di rinviare a giudizio Ciro Grillo e i suoi amici con l'ipotesi di reato per violenza sessuale di gruppo. Agli atti della Procura, oltre ai verbali di Roberta (l'amica di Silvia) e la testimonianza della moglie di Grillo senior, Parvin Tadjk, le trascrizioni per esteso delle conversazioni intercorse tra gli amici nelle settimane successive alla "notte incriminata". Sullo sfondo c'è anche l'ipotesi della droga dello stupro perché, secondo il medico legale Enrico Marinelli "in linea puramente teorica non è da escludere l'uso di sostanze di questo tipo, prima o in associazione con l'alcol". A latere della vicenda ci sono poi i genitori, più o meno famosi, dei ragazzi coinvolti. Monta la rabbia del papà di Roberta: "Hanno esibito il corpo di mia figlia come un trofeo", dice a proposito del video relativo al presunto stupro.
Rosa Scognamiglio. Nata a Napoli nel 1985 e cresciuta a Portici, città di mare e papaveri rossi alle pendici del Vesuvio. Ho conseguito la laurea in Lingue e Letterature Straniere nel 2009 e dal 2010 sono giornalista pubblicista. Otto anni fa, mi sono trasferita in Lombardia dove vivo tutt'oggi. Ho pubblicato due romanzi e un racconto illustrato per bambini. Nell'estate del 2019, sono approdata alla redazione de IlGiornale.it, quasi per caso. Ho due grandi amori: i Nirvana e il caffè. E un chiodo fisso...La pizza! Di "rosa" ho solo il nome, il resto è storia di cronaca nera.
"Vai, levale". Il video di Grillo jr con la ragazza addormentata. Francesca Galici il 29 Novembre 2021 su Il Giornale. A Controcorrente sono stati mostrati in anteprima i video del racconto della presunta vittima e un video inedito di Ciro Grillo e un amico durante quella sera. Nella puntata di Controcorrente in onda domenica 28 novembre sono stati mostrati in esclusiva due video inerenti il caso di Ciro Grillo, che insieme ad altri 3 amici è stato rinviato a giudizio con l'accusa di violenza sessuale su una giovane italo-norvegese, Silvia. I fatti sono quelli noti dello scorso luglio 2019 e il processo inizierà il prossimo marzo. Si preannuncia già una battaglia legale a colpi di perizie che, se da una parte mirano a dimostrare l'inattendibilità del racconto della ragazza, dall'altra vogliono dimostrare che la giovane non fosse nel pieno delle sue facoltà. Nel programma condotto da Veronica Gentili è stato mostrato uno dei video girati quella famosa giornata, messo agli atti, in cui si vedono chiaramente Ciro Grillo e il suo amico in quella che sembra essere la sala della villa del garante del Movimento 5 stelle in Costa Smeralda. È uno dei video registrati quando l'amica di Silvia dormiva. L'amico di Grillo ha i boxer abbassati e invita il figlio del garante del M5s a fare lo stesso, mentre lui si avvicina alla giovane. I due ridacchiano e, come ha spiegato la conduttrice, è stato censurato prima della messa in onda per evitare di mostrare le parti salienti del video, quelle in cui si vedono i due giovani avvicinare le loro parti intime al volto della ragazza addormentata. Beppe Grillo, nel famoso video di aprile, ha definito tutto questo una "goliardata" ma tre dei quattro ragazzi, tra i quali Grillo, sono a processo anche per questo. In altri due video, invece, è contenuto il racconto di quella notte della ragazza: "La mia amica era stanca, quindi è andata a dormire. Io sono rimasta con questi ragazzi. Uno di loro aveva chiesto di accompagnarlo in camera per prendere tipo delle coperte". Quindi i due entrano nella camera da letto e a quel punto, stando al racconto della giovane, "mi ha tipo spinto sul letto e si è forzato su di me. Continuava tipo a tenermi giù. Io in quel momento comunque mi ribellavo e cercavo di andare. Non capivo cosa stesse facendo e lui mi tirava tipo dalle gambe. Provava ad aprire, così. Continuava a forzarsi e io non volevo e comunque sono riuscita a respingerlo in quel momento e sono tornata di là con gli altri". La ragazza dice di aver "fatto finta di nulla" e di aver avuto dagli amici la rassicurazione che avrebbe avuto una camera tutta per sé quella notte. Ma poi Silvia dichiara: "Questo ragazzo di prima è tornato in camera e si è praticamente rifondato su di me, però lì è riuscito a trattenermi e mi tirava i capelli, mi aveva immobilizzata, quasi tipo bloccata e non riuscivo… Cioè non riuscivo a muovermi. E di nuovo era riuscito a togliermi i vestiti e mi apriva le gambe. Io avevo paura, ma comunque non riuscivo a gridare tanto. Sentivo che i suoi amici erano dietro la porta". Silvia ha continuato a raccontare quei momenti, di come il ragazzo la teneva immobilizzata fino a quando, in un momento di distrazione, dice di essere riuscita a liberarsi ma mentre stava uscendo dalla stanza sarebbe stata nuovamente bloccata. A quel punto, sarebbe stata buttata dentro la doccia. "Con una mano mi teneva la testa ferma contro il muro, mi ha fatto male", spiega la giovane, che poi continua: "Una volta finito, lui è uscito dalla stanza mi ha dato un accappatoio e io mi sono rivestita". A quel punto la ragazza è scoppiata a piangere. Poi, riferendosi agli altri ragazzi che sono arrivati in un secondo momento, Silvia dice: "Avevano visto tutto, continuavano a ridere". In tutto questo l'amica di Silvia si sarebbe svegliata solo in un secondo momento ma, ricevuta la rassicurazione da parte dei ragazzi che le avrebbero riaccompagnate a casa, è tornata a dormire. Silvia, quindi, sarebbe andata a sedersi in un gazebo, poi raggiunta da due della comitiva, che dopo averla distratta l'avrebbero "forzata a bere". Così spiega la ragazza nel suo racconto. Le avrebbero tenuto la testa per farle consumare circa metà bottiglia di vodka, che le avrebbe fatto girare la testa ma senza privarla totalmente della lucidità. L'altra ragazza dormiva, gli amici a quel punto l'avrebbero accompagnata in un'altra stanza. A quel punto ci sarebbe stata l'altra violenza. "Uno dei ragazzi mi ha tirato su di lui e mi ha bloccato la testa tipo sul petto. Io non mi ero accorta che gli altri fossero dietro di me, mi hanno svestita da dietro, mi hanno bloccata, e quello che era sdraiato sopra di me mi ha preso la testa e... E li continuavo a sentire che si davano il passaggio. Dicevano: 'Dai, dai, dai veloce tocca a me', cose del genere". A quel punto la ragazza dice di essere senza forze, distrutta, "dopo non so quanto ho visto nero, poi non so cosa sia successo".
Francesca Galici. Giornalista per lavoro e per passione. Sono una sarda trapiantata in Lombardia. Amo il silenzio.
Giacomo Amadori per “La Verità” il 28 novembre 2021. In vista di quello che si annuncia come il processo dell'anno, i difensori di Ciro Grillo & C., rinviati a giudizio venerdì con l'accusa di violenza sessuale di gruppo ai danni di S.J. e R.M., hanno pronte almeno due consulenze ancora riservate. Una è quella del dottor Marco Salvi, medico legale che dovrà rispondere alle conclusioni del professor Enrico Marinelli che, incaricato dall'avvocato di parte civile Giulia Bongiorno, ha detto la sua sui lividi trovati sul corpo della ragazza e sulle conseguenze che l'alcol ingerito dalla studentessa tra la sera del 16 luglio 2019 e l'alba del 17 avrebbero avuto sul suo corpo. Per Marinelli la parte offesa «non può aver espresso un valido consenso al rapporto di gruppo» perché l'alcol «scemava grandemente la sua capacità decisionale e annullava la sua capacità di autodeterminazione». Ora toccherà a Salvi replicare. Gli avvocati di Grillo junior, Francesco Corsiglia, Edoardo Capitta e Vittorio Lauria non hanno depositato la consulenza durante l'udienza preliminare per non scoprire tutte le loro armi, ma lo faranno certamente a marzo. Stessa cosa per gli aspetti psicologici. I legali degli imputati si sono rivolti a Lucia Tattoli, psicologa che collabora con la Procura e il Tribunale di Genova. L'esperta dovrà tracciare un profilo psicologico della ragazza sulla base delle sue dichiarazioni, in particolare della lunga videoregistrazione (di oltre cinque ore) della denuncia del 26 luglio 2019. Il procuratore Gregorio Capasso si era rivolto alla dottoressa Cinzia Piredda, responsabile per la Sardegna della Società italiana di psicologia clinica forense. Capasso ha chiesto alla professionista di valutare, «sulla base delle audizioni e delle dichiarazioni rese dalla persona offesa» sia in sede di denuncia sia davanti al pm, «modalità e meccanismi di elaborazione e rievocazione dei ricordi della medesima» e in particolare quelli collegati alla mattina del 17 luglio 2019. Anche la Piredda ha analizzato video e audio delle testimonianze del 26 luglio 2019 e del 17 febbraio 2020, quando la ragazza venne sentita a Tempio Pausania dagli inquirenti. La psicologa ha evidenziato la differenza di atteggiamento della ragazza con i carabinieri e con i magistrati. In caserma, ha scritto, «alterna momenti in cui manifesta tranquillità, ad esempio quando descrive se stessa e le attività sportive praticate, a momenti in cui mostra una certa emotività, ad esempio quando descrive i fatti accaduti in occasione dei rapporti sessuali con i ragazzi, emotività che si palesa con continue interruzioni del discorso, balbettamenti, aumento della gestualità, movimenti continui sulla sedia». La situazione peggiora di molto quando si presenta davanti ai pm e questi introducono nel discorso testimonianze esterne: «Questi elementi di novità hanno determinato in S. una manifestazione emotiva-reattiva molto evidente e una maggiore attivazione fisiologica: si allontana con il corpo dalla scrivania del pm, facendo aderire la schiena alla poltrona e spostando la stessa dalla scrivania, come a cercare una certa distanza fisica ed emotiva, il respiro diventa più veloce, il viso diventa rosso e inizia a piangere». Tra le sorprese il racconto del presunto stupro subito in Norvegia nel maggio del 2018 da parte di David Enrique Bye Obando, coetaneo originario del Nicaragua. Una vicenda su cui la Procura di Tempio Pausania ha aperto un fascicolo contro ignoti, dopo che la giovane ha confermato di aver rivelato alle amiche più strette di aver subito una violenza carnale anche in quel caso, seppur mai denunciata. La Piredda conclude così la sua consulenza: «Si può affermare che le modalità e i meccanismi di elaborazione e rievocazione dei ricordi da parte di S., compresi i particolari mancanti rispetto all'intera serata, rientrano - secondo un parametro di normalità- nei processi di funzionamenti della memoria. Si ritiene utile segnalare che dai racconti della persona offesa emerge la difficoltà di quest' ultima di assumere e mantenere il controllo delle situazioni e di manifestare fattivamente la propria opposizione alle altrui condotte». La psicologa evidenzia un'ammissione di S.: «Io tendo, a volte magari non sto attenta e dovrei prendermi più cura di me stessa e non finire in situazioni così la cazzata era legata al fatto che sono andata a casa loro... dita in faccia perché sono una cretina nel senso si sa che non si va a casa di sconosciuti». E secondo la Piredda «queste difficoltà emergono in diversi momenti del racconto fatto da S.». Per questo la conclusione è tranciante: «Dal colloquio e dalla descrizione dei fatti emerge la difficoltà da parte di S. a esprimere la propria volontà e rispondere con un diniego a richieste poste dagli altri». Risultato che non dispiace alle difese che, però, vuole anche avere un proprio parere da giocarsi in aula, visto che a causa di questa presunta incapacità di dire di no adesso quattro amici rischiano sino a 12 anni di galera. Al profilo tracciato dalla Piredda adesso dovrà rispondere Lucia Tattoli. Dopo la laurea alla Sapienza in psicologia, si è specializzata a Genova con un master di II livello in criminologia e scienze psichiatrico forensi. A Parma, invece, ha perfezionato lo studio della valutazione del danno e della psicopatologia delle condotte criminali. È stata spesso incaricata di valutare l'attendibilità di giovani e giovanissime vittime di presunti abusi sessuali in qualità sia di perito dei giudici sia di consulente dei pubblici ministeri. S., nel primo verbale davanti alle carabiniere, aveva anche raccontato come fosse nata la sua decisione di confessare la vicenda del presunto stupro alla madre, una volta ritornata a Milano dalla Sardegna: «Io comunque gliene volevo parlare, perché comunque sono in buoni rapporti con mamma, naturalmente. Non ne ho avuto l'opportunità perché lei lavorava [] l'ho vista sempre stressata, pero quella sera era tornata a casa prima e, appunto, lei mi ha visto un attimo giù e che non so, avevo cose per la testa, allora ho deciso di raccontarglielo». Nella versione riassuntiva del verbale si legge: «Le ho confidato che avevo tante cose per la testa e le ho detto che c'erano tanti pettegolezzi in giro sul mio conto che mi mettevano in cattiva luce». Ma poi quel verbale sul punto non dice più nulla. Dei gossip sul conto di S.J. si parla diffusamente nella trascrizione integrale. «Che brutte voci ci sono in giro su di te?» le ha chiesto la marescialla. E la ragazza ha aperto il cuore e ha raccontato le voci che la assillavano: «Pensano che siccome sono norvegese e allora sono facile, cose così». In tanti, in Italia e in Norvegia, si sarebbero fatti avanti, chiedendole con poco garbo di fare sesso. Su certe battute aveva smesso di riderci su da tempo: «Certe volte magari diventano troppo pesanti, poi... gente che non mi conosce si fa idee strane» ha detto alle investigatrici. E così, la mattina del 17 luglio, è arrivata la goccia che ha fatto traboccare il vaso nella testa di S.J., la ragazza che, per la psicologa della Procura, non sapeva dire di no.
Giacomo Amadori per "la Verità" il 29 novembre 2021. La trasmissione Controcorrente di Rete 4, condotta da Veronica Gentili, ieri sera ha mandato in onda un documento inedito di grande impatto emotivo. Ha trasmesso il video realizzato nella stazione milanese dei carabinieri di Porta Garibaldi il 26 luglio 2019, tra le 18.35 e l'1.30 di notte. Immagini che immortalano l'allora diciottenne S.J. mentre denuncia davanti a due marescialli donna dell'Arma Ciro Grillo e tre suoi amici, oggi tutti rinviati a giudizio, per violenza sessuale di gruppo. Un filmato che, nella versione integrale, dura più di cinque ore, ma che ha il suo momento cruciale tra il diciannovesimo e il ventiseiesimo minuto, quando, tutto d'un fiato, la studentessa riferisce alle militari la sua verità. Per poi specificare particolari che non sempre hanno tenuto alla verifica dei fatti. Ma quei primi 6-7 minuti sono importanti per cercare di scoprire, nelle increspature della sua voce, nel suo sguardo, nelle pause e nel linguaggio del corpo, chi sia davvero questa ragazza. Se sia una vittima o una bugiarda. O solo una giovane donna che ha parzialmente rielaborato, magari involontariamente, il sesso di gruppo a cui ha partecipato all'alba del 17 luglio 2019. Un cedimento alle pulsioni altrui che non si può escludere sia stato favorito dall'alcol ingerito e che la studentessa, a posteriori, potrebbe aver giudicato inaccettabile per la sua reputazione. Un'analisi di quel video è stata fatta, come abbiamo raccontato ieri, dalla psicologa incaricata dalla Procura di Tempio Pausania di stilare un profilo della giovane. Al termine del suo lavoro Cinzia Piredda, responsabile per la Sardegna della Società italiana di psicologia clinica forense, ha scritto: «Dal colloquio e dalla descrizione dei fatti emerge la difficoltà da parte di S. a esprimere la propria volontà e rispondere con un diniego a richieste poste dagli altri». E per giustificare queste sue conclusioni riporta tre episodi: «Quando S. descrive il momento in cui, seduta sotto il gazebo con i ragazzi, beve la vodka poco prima del secondo rapporto sessuale, assecondando senza opposizione il gesto di uno dei ragazzi []; quando chiede a R. (l'amica che si trovava con lei nella casa, vittima di molestie, ndr) di andar via, dopo il primo rapporto sessuale, ma la sua richiesta non viene accolta dall'amica» e S. «non insiste con R., nonostante racconti il suo disagio e accetta di rimanere ancora nella casa». E infine «quando racconta di un precedente rapporto sessuale non consenziente con il suo migliore amico, avvenuto in Norvegia nel maggio del 2018. Anche in questa occasione, secondo quanto riportato, emerge la difficoltà di S. a negarsi a un rapporto sessuale non desiderato». Ma nel racconto della italo-norvegese, anche nella parte ascoltata ieri sera a Controcorrente, qualcosa non torna, sebbene per la psicologa, «i particolari mancanti rispetto all'intera serata, rientrano - secondo un parametro di normalità - nei processi di funzionamento della memoria». Per esempio la ricostruzione del rapporto a tre con Grillo junior, Edoardo Capitta e Vittorio Lauria è clamorosamente lacunoso. S. sostiene di essere stata bloccata in una posizione a «quattro zampe» da Vittorio, che era sotto di lei, mentre gli altri due facevano i loro comodi alle sue spalle. L'investigatrice l'ha incalzata: «Perciò tu non sei riuscita a vedere ognuno di loro». E S. ha confermato: «Io vedevo le loro gambe. Cioè sentivo i loro nomi, li sentivo proprio che mi toccavano». Il maresciallo ha insistito: «Quindi non riuscivi a vederli in faccia?». S. ha annuito: «In faccia no». Però ci sono almeno due video, uno di 25 secondi e un altro di 11 (ma di quella stessa scena esistono versioni di durata più breve) che raccontano tutt' altra storia. La studentessa non appare trattenuta con brutalità: in uno è in posizione supina e in un altro sotto di lei c'è Ciro Grillo e non Vittorio. Ha dimenticato tutto o ha preferito riportare solo in parte un rapporto che successivamente appare consenziente? Nei diversi filmati colpiscono le espressioni goliardiche di Ciro Grillo che fa le faccette mentre guarda uno degli amici che lo riprende con il cellulare. Il giovanotto sembra più interessato a farsi inquadrare dall'improvvisato «regista» che alla propria performance erotica. Stesso copione quando Ciro si avvicina di soppiatto con «il pisello in mano», per dirla con Beppe Grillo, a R. che sta dormendo sul divano. Insomma «un coglione» fatto e finito, sempre per citare il fondatore del Movimento 5 stelle. O almeno così appare in quei secondi di filmato. Nella narrazione di S., come ha puntualizzato Controcorrente, viene completamente rimosso un episodio di quella mattinata, quando la giovane, dopo il primo presunto stupro sarebbe andata con il suo stesso aguzzino e altri due imputati a comprare le sigarette nella frazione di Arzachena, distante pochi chilometri dall'appartamento. Di quella circostanza esisterebbe più di una prova. Per esempio nel processo che partirà il prossimo 16 marzo le difese chiederanno di esaminare le celle telefoniche, anche perché ci risulta che il telefonino di Capitta, intorno alle 7 del mattino, orario del passaggio dal bar tabacchi, avesse agganciato un ripetitore diverso da quella che copre l'appartamento. S. è davvero andata in paese con i tre? Se sì, perché non ha segnalato agli inquirenti quello spostamento? Pensava potesse rendere meno credibile la versione del primo stupro? Non lo sappiamo. Di certo, al ritorno nella casa dove soggiornavano i ragazzi, S. ride e scherza con Vittorio. Gli picchietta il naso con il dito medio come testimonia un video agli atti. Nella sua denuncia la presunta vittima descrive una trasformazione del ragazzo degna di dottor Jekyl e mister Hyde. Infatti dopo quel filmato scherzoso, sarebbe diventato un orco: «Si e alzato e mi ha preso per i capelli e me l'ha fatta bere (la vodka, ndr). Cioè me l'ha fatta bere tutta in un sorso». C'è anche la questione dei segni sul corpo di S. a dividere accusa e difesa. i medici della clinica Mangiagalli, che per primi hanno visitato S., il 25 luglio 2019, hanno evidenziato cinque lividi su braccio e avambraccio destro, e su entrambe le gambe. Segni che, in quel momento, sembravano coerenti con il racconto della giovane, la quale sosteneva di essere stata «tenuta ferma» dai suoi stupratori, in modo da impedirle «ogni forma di resistenza». Ma gli avvocati degli imputati si chiedono se queste aree di «soffusione verdastra del tegumento» non potrebbero essere conseguenza del kitesurf praticato dalla ragazza, uno sport che può lasciare segni a causa dell'attrito violento con le onde e la tavola. L'amica R. quando, nel pomeriggio del 17 luglio, andò a cercare S., non rilevò, però, nulla di particolare: «Non ho notato alcun segno sul corpo di S. quando sono andata a svegliarla». In un audio inviato subito dopo i fatti all'amica norvegese Mia, S. si dà quasi la colpa per quelle ecchimosi: «[] tutti questi lividi, non è che mi prenda cura di me perché la metà di quello che ho sulle braccia, non la avrei se, per esempio, mi prendessi cura di me []». Le difese hanno anche contestato un altro passaggio della testimonianza di S., questa volta riguardante Francesco Corsiglia: «Gli ho detto di smetterla, che era un animale e che era un grande stronzo. Però lui non ha smesso [] continuava a tirarmi i capelli indietro e a baciarmi sul collo e ha lasciato tipo dei succhiotti». Ma di questi segni, nelle foto dei giorni immediatamente successivi i legali degli imputati e il loro consulente Marco Salvi, medico legale, non sembrano aver trovato traccia. Ci sono, infine, le versioni discordanti su come siano tornate a casa le due presunte vittime dopo la notte trascorsa con i coetanei genovesi. Il 26 luglio in caserma S. dice: «Abbiamo trovato un taxi» e i ragazzi «non sono venuti ad accompagnarci fuori [] sono stati in casa». La militare chiede: «Chi l'ha chiamato tu o R.?». S. risponde sicura: «R.». Ma R. ha dato un'altra versione. Opposta. «S. chiedeva a Corsiglia di riaccompagnarci a casa» ha detto. «Veniva con noi anche Ciro che si sedeva davanti al lato passeggero, mentre io e S. ci sedevamo dietro». I genovesi proponevano di far colazione insieme e S. «diceva che voleva tornare subito a casa». Risultato: le due amiche sono state scaricate ad Arzachena, dove «S. chiamava un taxi». Nel verbale del 26 luglio la ragazza italo-norvegese ha affidato ai due marescialli anche gli ultimi feroci pettegolezzi messi in giro dai suoi stessi amici. Per esempio, i gossip sulla vacanza che aveva deciso di trascorrere in Brasile per fare kitesurf con il fidanzato della migliore amica di sua sorella: «Hanno iniziato a dire: "Eh, tanto si sa che sc, si sa che farete questo"...». Per questo S. ha deciso di rinunciare al viaggio: «Anche dopo tutta questa cosa (il presunto stupro, ndr) non ho più voglia di partire» ha ammesso. Ma i pettegolezzi andavano avanti da tempo, anche per colpa delle amiche a cui aveva affidato le confidenze sui suoi primi rapporti sessuali: «Dal nulla io sono incinta o non so quanta gente ho in giro. Adesso a quanto pare in Norvegia ho rotto mille cuori, sc... con mezzo mondo. Cioè cose così».
Ciro Grillo alla sbarra, Alessandro Sallusti e la "strana coincidenza": cosa non torna in magistratura. Alessandro Sallusti su Libero Quotidiano il 27 novembre 2021. Ciro Grillo, figlio ventenne del comico fondatore dei Cinque Stelle, andrà a processo insieme a tre amici con l'accusa di violenza sessuale. Lo ha deciso ieri la giudice del tribunale di Tempio Pausania, nord della Sardegna, dopo aver esaminato le carte della procura che ha indagato sui fatti avvenuti la notte del 16 luglio 2019 nella villa della famiglia Grillo di Cala di Volpe e in particolare su quelli denunciati da una ragazza di 19 anni che ha sostenuto di essere stata violentata a ripetizione da quattro ragazzi, uno dei quali Ciro, conosciuti poco prima in discoteca. La decisione di andare a processo arriva a due anni e mezzo dai fatti, una eternità se si considera che il presunto reato è immortalato nei video girati quella notte dai ragazzi stessi trovati nei loro telefonini subito sequestrati. Una eternità se paragonata ai sei mesi che fu il tempo trascorso tra l'avviso di garanzia e il rinvio a giudizio nel 2011 di Silvio Berlusconi per il caso Ruby dopo un'indagine ben più complessa e risultata poi totalmente infondata. Intendo dire che la velocità della giustizia è direttamente proporzionale non alla gravità del fatto ma agli interessi politici che attorno a quel fatto gravitano. L'inchiesta su Grillo junior ne è un esempio. Quando è scoppiato il caso, siamo nell'estate del 2019, ministro della Giustizia era il grillino Alfonso Bonafede. Per quasi due anni nulla è successo, la cosa sembrava finita nel dimenticatoio per poi tornare alla ribalta nei primi mesi di quest' anno, poco dopo l'insediamento - avvenuto a febbraio - del nuovo governo che ha visto il ministero della Giustizia cambiare di mano e uscire dall'orbita Cinque Stelle. Apriti cielo. Ad aprile, in un memorabile video, Beppe Grillo sbotta contro la magistratura e mette in dubbio pure la trasparenza della ragazza che sostiene di essere stata vittima del branco. Imbarazzo generale, anche in casa grillina, ma l'inchiesta dà l'impressione di rallentare ancora, fino alla svolta tecnicamente a questo punto inevitabile di ieri. Non tocca a me ovviamente stabilire se Ciro Grillo sia colpevole. Segnalo solo delle coincidenze che sommate ai ritardi diventano indizio di una magistratura ancora una volta così così.
Ciro Grillo, "conferme anche dal procuratore": cosa non torna nell'inchiesta, ombre in magistratura. Paolo Ferrari su Libero Quotidiano il 30 novembre 2021. Gli uffici giudiziari di Tempio Pausania non devono essere una grande priorità per il Consiglio superiore della magistratura, l'organo di autogoverno delle toghe che si occupa delle loro promozioni e dei loro trasferimenti. Le premure e le attenzioni del Csm sono rivolte, probabilmente, ad uffici giudiziari più importanti, come la Procura di Roma, la cui nomina del procuratore si trascina da oltre due anni fra interminabili ricorsi e controricorsi. Essendo tutte le energie concentrate altrove, il destino di un piccolo tribunale del nord della Sardegna è finito in secondo piano, con le inevitabili conseguenze. La Procura che ha svolto le indagini per violenza sessuale nei confronti di Ciro Grillo e dei suoi tre amici, ad esempio, presenta attualmente una carenza di organico del 33 per cento, fra le più elevate d'Italia. E sono solo sei gli anni di servizio complessivi dei quattro pm che vi esercitano le funzioni. A vigilare su questi magistrati alle prime armi vi è il procuratore Gregorio Capasso che, a settembre del 2018, era addirittura rimasto con un solo pm. Capasso, il cui nome compare nelle famose chat di Luca Palamara, aveva chiesto a quest'ultimo «una applicazione extradistrettuale e una pubblicazione straordinaria dei posti vacanti» per poter mandare avanti la disastrata baracca. La segnalazione, però, non andò in porto. I pm di Tempio Pausania, appena maturano il periodo minimo di permanenza (tre anni), fanno domanda e scappano a gambe levate. Sarebbe interessante capire il motivo. Emblematico al riguardo il caso della pm Laura Andrea Bassani, che ha condotto proprio le indagini su Grillo junior e i suoi amici. La magistrata, lo scorso aprile, prima ancora di aver terminato la seconda fase delle indagini, aveva presentato domanda di trasferimento per la Procura dei minori di Sassari. Essendo l'unica aspirante, il Csm aveva votato all'unanimità il suo trasferimento, e ai primi di agosto la pm era già nella nuova sede, lasciando Capasso nel panico. Il procuratore, appreso del trasferimento della sua sostituta, aveva dichiarato di aver richiesto formalmente il "posticipato possesso" della magistrata presso il nuovo ufficio di Sassari, «in modo da consentire alla collega di definire almeno una parte del carico di procedimenti a lei assegnato e di provare a chiudere i processi più importanti da lei seguiti». Il grido di dolore di Capasso si era però scontrato con quello della capa della Procura dei Minori di Sassari, Luisella Fenu, che spingeva per l'immediato arrivo della pm. Trattandosi di due istanze "contrapposte", si erano annullate a vicenda. Per restare in tema di ruoli scoperti, da circa un anno è vacante il posto di procuratore generale di Cagliari. Si tratta di una nomina importante, in quanto il pg potrebbe disporre l'applicazione della Bassani a Tempio Pausania, per non lasciare da solo Capasso nei giorni delle udienze del processo a Grillo junior e ai suoi tre amici. In una Procura abbandonata dal Csm e dal ministero della Giustizia è dunque piombata l'indagine sul figlio del fondatore del partito di maggioranza relativa. Indagine interminabile. La denuncia ai carabinieri da parte della ragazza venne presentata il 26 luglio del 2019, una decina di giorni dopo la presunta violenza subìta. I telefonini dei quattro furono sequestrati il mese successivo, il loro primo interrogatorio avvenne il 5 settembre 2019, a ridosso della formazione del governo Conte 2. La perizia sui telefonini venne depositata alla fine gennaio 2020. Poi più nulla per mesi. Le indagini vennero chiuse a novembre dell'anno scorso, per essere riaperte e quindi richiuse a maggio di quest'anno. Il dibattimento, che inizierà il prossimo 16 marzo, si preannuncia molto complicato. Grillo junior e i suoi amici rischiano almeno dodici anni di carcere e si giocheranno il tutto per tutto in udienza. Beppe Grillo è già partito lancia in resta con una super perizia per dimostrare l'inattendibilità della ragazza. La linea difensiva è che si sia trattato di un rapporto "consenziente".
Quel silenzio assordante attorno al caso di Ciro Grillo. Francesco Curridori il 26 Novembre 2021 su Il Giornale. Parlamentari giallorossi e femministe irriducibili tacquero quando scoppiò il 'caso Ciro Grillo'. Quando si parla della vicenda di Ciro Grillo la mente torna inevitabilmente al video postato dal padre Beppe sui social lo scorso aprile. La vicenda della violenza sessuale per la quale il figlio del fondatore del M5S è stato rinviato a giudizio, fino alla pubblicazione di quel video, è stata opportunamente e deliberatamente tenuta a tacere. Non si sono sentite le orde di femministe che hanno prontamente condannato altri stupratori come l'imprenditore Alberto Genovese oppure il regista Fausto Brizzi (poi risultato innocente). Fino a che Beppe Grillo non se n'è uscito con quel video delirante non ci sono state 'paginate' di disapprovazione del Fatto Quotidiano il quale, però, non ha esitato nel fiondarsi sull'avversario politico quando la Lega è stata investita dal 'caso Morisi'. No, nulla di tutto questo è avvenuto fino all'aprile scorso, probabilmente perché non si voleva turbare la nascente alleanza giallorossa. Un silenzio assordante, rotto solo da Beppe Grillo che, con quel video, mise non poco in imbarazzo i parlamentari pentastellati. La maggior parte di loro si guardò bene dal commentare quelle parole, mentre alcuni ebbero l'ardire addirittura di difenderlo. Alessandro Di Battista, che all'epoca era già fuori dal Movimento, disse: “Tanti lo hanno criticato legittimamente, io essendo amico e volendo bene a Beppe non mi devo per forza accodare ai critici. Mi ha indignato soprattutto la strumentalizzazione politica che è stata fatta per attaccare il movimento, io continuo a difenderlo anche essendone uscito fuori”. E, se per la maggior parte gli esponenti grillini di sesso maschile tacquero sia prima sia dopo quel video, Paola Taverna difese il leader del M5S. La vicepresidente del Senato dichiarò: "Ciò che prova Beppe a livello umano posso solo immaginarlo, e da mamma gli sono vicina. La magistratura è al lavoro, perciò auspico che giornali e talk show lascino che questa vicenda si risolva, come giusto che sia, in tribunale. Serve rispetto: no a speculazioni da sciacalli". La senatrice grillina Giulia Lupo, infine, aveva posto l'accento sul lato umano dell'intera vicenda descrivendo Grillo padre come “una persona disperata e quando si è disperati si ha poca lucidità. Per i valori che ci ha sempre insegnato, però, non credo volesse sminuire la questione delle violenze di genere”. Insomma, i pentastellati, da sempre giustizialiati con tutti gli avversari, di fronte a una vicenda come questa si sono scoperti improvvisamente garantisti. E, anche il 'forcaiolo' Fatto Quotidiano che non si è fatto scrupoli nel pubblicare il numero di conto corrente di Matteo Renzi ha evitato accuratamente di guardare troppo dal buco della serratura della villa estiva dei Grillo, rispettando il classico doppiopesismo che regna sovrano da decenni nella sinistra italiana.
Francesco Curridori. Sono originario di un paese della provincia di Cagliari, ho trascorso l’infanzia facendo la spola tra la Sardegna e Genova. Dal 2003 vivo a Roma ma tifo Milan dai gloriosi tempi di Arrigo Sacchi. In sintesi, come direbbe Cutugno, “sono un italiano vero”. Prima di entrare all’agenzia
L'ultima mazzata per papà Beppe. Mesi in disparte dopo il video-autogol. Domenico Di Sanzo il 27 Novembre 2021 su Il Giornale. Per la difesa del figlio il garante è stato attaccato anche dai suoi. La parabola discendente del guru, oggetto di minacce. Il botto, le urla. Poi il silenzio durato sette mesi. Infine le minacce e il rinvio a giudizio. La Gup di Tempio Pausania ha mandato a processo Ciro Grillo, ultimogenito di Beppe, e i suoi tre amici, accusati di stupro di gruppo da una ragazza italo-norvegese per i fatti accaduti nell'estate del 2019 in Costa Smeralda, nella villa del comico. Ovviamente il fondatore del M5s non c'entra con le vicende processuali e per il figlio vale il la presunzione di non colpevolezza fino al terzo grado di giudizio. Ma è indubbio che la questione penderà come una spada di Damocle sul leader Beppe Grillo (nella foto nel suo video in difesa dei ragazzi) fino alla chiusura del dibattimento, che potrebbe concludersi con una condanna fino a 12 anni di carcere per i quattro imputati. Inevitabile che il percorso giudiziario, che si annuncia lungo e difficile, condizionerà l'azione politica del Garante del Movimento. E anche le sue possibilità di intervenire direttamente nelle faide interne di un M5s sempre più sfilacciato e balcanizzato. Forse sono state complici le fughe di notizie su un blitz imminente, resta il fatto che il comico continua a rinviare una discesa a Roma che i parlamentari gli chiedono da tempo. Nel caos stellato, la decisione di prendere il 2 per mille come fanno gli altri partiti è solo l'ultima barriera eretta tra il «gran custode dei valori» e Giuseppe Conte, il rifondatore. Grillo è sempre stato contrario a questa forma di finanziamento del partito, Conte si è reso conto che non ne può fare a meno. La base parlamentare è già spaccata. Mentre nel frattempo Conte e i suoi lanciano un aut-aut agli eletti che si stanno allontanando dall'avvocato: «Se non ci appoggiate non sarete ricandidati». Peccato che la parola definitiva sulle prossime liste spetti a Luigi Di Maio, presidente del Comitato di Garanzia voluto da Grillo. A mettere in subbuglio mezzo Parlamento, il Garante ci aveva pensato il 19 aprile scorso. Con un video estemporaneo. L'unica intrusione nell'inchiesta sul figlio. Senza dubbio un autogol, dato che lo sfogo ha irritato perfino i deputati e i senatori più vicini all'Elevato. «Se dovete arrestare mio figlio, perché non ha fatto niente, allora arrestate anche me perché ci vado io in galera», aveva detto Grillo in quell'occasione. E ancora: «Io voglio chiedere perché un gruppo di stupratori seriali, compreso mio figlio dentro, non sono stati arrestati. La legge dice che gli stupratori vengono arrestati e messi in galera e interrogati in galera o ai domiciliari». Quindi la parte più controversa del discorso. «Sono liberi da due anni, ce li avrei portati io in galera a calci nel culo. Allora perché non li avete arrestati? Perché vi siete resi conto che non è vero niente, non c'è stato niente perché chi viene stuprato e fa una denuncia dopo 8 giorni vi è sembrato strano», le frasi che suonano come una colpevolizzazione della presunta vittima. Anche l'amico ed ex pm di Mani Pulite Antonio Di Pietro sgridava così Grillo sette mesi fa: «Voglio bene a Beppe, ma così ha danneggiato le ragazze e il figlio». Arriviamo così agli ultimi giorni. La politica, con lo sberleffo a Conte «specialista di penultimatum» in riferimento all'embargo del M5s sulla Rai. La cronaca, con le brutte minacce alla famiglia Grillo contenute in una lettera arrivata nella villa del comico a Genova. «Condoglianze, avrai lutti in famiglia nel periodo delle Feste». La Procura sospetta un collegamento con l'inchiesta che riguarda Ciro. Domenico Di Sanzo
Quando Beppe Grillo difendeva il figlio Ciro a spada tratta. Francesco Boezi il 26 Novembre 2021 su Il Giornale. Il rinvio a giudizio di Ciro Grillo riporta alla mente la difesa in video del padre. Il MoVimento, nonostante tutto, ancora lontano dal garantismo. Il rinvio a giudizio di Ciro Grillo apre il cassetto dei ricordi e la memoria non può che andare dalle parti del video con cui Beppe Grillo ha provato a difendere suo figlio. I toni di quell'intervento hanno suscitato una marea di critiche difficili da dimenticare. Tra ipotesi varie e possibili retroscena, non c'è dubbio che quel filmato abbia scosso le coscienze di molti italiani, diventando un passaggio molto discusso sulle cronache. "Ormai sono due anni, sono stufo. Se dovete arrestare mio figlio, perché non ha fatto niente, allora arrestate anche me perché ci vado io in galera", ha tuonato il fondatore del MoVimento 5 Stelle in quella circostanza. Era l'aprile di quest'anno. E ancora: "Io voglio chiedere perché un gruppo di stupratori seriali, compreso mio figlio dentro, non sono stati arrestati. La legge dice che gli stupratori vengono arrestati e messi in galera e interrogati in galera o ai domiciliari". Sino a questo punto, le considerazioni del creatore del grillismo erano state soprattutto relative al tipo di atteggiamento assunto dalla Giustizia rispetto al caso. Poi la parte del discorso più discussa in ambito mediatico-politico: "Sono liberi da due anni, ce li avrei portati io in galera a calci nel culo. Allora perché non li avete arrestati? Perché vi siete resi conto che non è vero niente, non c’è stato niente perché chi viene stuprato e fa una denuncia dopo 8 giorni vi è sembrato strano". Tanti - ai tempi - hanno fatto notare come una donna abbia tutto il diritto di denunciare, all'interno dei tempi consentiti sotto il profilo giuridico, quando si sente pronta, considerando pure la necessità di elaborazione psicologica che una persona che ha subito violenza - o che nel caso di Ciro Grillo potrebbe aver subito una violenza - può avere. Il garantismo prevede che sino al terzo grado di giudizio tutti debbano essere considerati innocenti. Un principio che vale anche per Ciro Grillo e che dovrebbe essere rammentato soprattutto a chi ha fatto del giustizialismo una bandiera da sventolare in funzione di qualche consenso. Tra le realtà che si sono contraddistinte per non avere troppi scrupoli nel condannare esponenti poltici sul piano pubblico ancora prima della sentenza di terzo grado, c'è di sicuro il MoVimento 5 Stelle. Oggi Giuseppe Conte dice di aver operato una svolta tanto linguistica quanto contenutistica, ma la sostanza politica di certe posizioni, comprese quelle sulla Giustizia, come dimostrato dalle barricate sulla riforma che avrebbe voluto Alfonso Bonafede, è sempre lo stesso. Beppe Grillo, per il suo video, ha usato le medesime intensità delle convinzioni giustizialiste grilline. Del resto il capostipite è lui. Una similitudine che, quando si parla di una difesa di tipo familiare, può persino apparire paradossale. Ma lo stile urlato, pensandoci bene, è sempre lo stesso.
Francesco Boezi. Sono nato a Roma, dove vivo, il 30 ottobre del 1989, ma sono cresciuto ad Alatri, in Ciociaria. A ilGiornale.it dal gennaio del 2017, seguo la politica dai "palazzi", ma sono anche l'animatore della rubrica domenicale sul Vaticano: "Fumata bianca". Per InsideOver mi occupo delle competizioni elettorali estere e la vita dei partiti fuori dall'Italia. Per la collana "Fuori dal Coro" de IlGiornale ho scritto due pamphlet: "Benedetti populisti" e "Ratzinger, il rivoluzionario incompreso". Per la casa editrice La Vela, invece, ho pubblicato un libro - interviste intitolato "Ratzinger, la rivoluzione interrotta", che è stato finalista al premio Voltaire. Nel 2020, per le edizioni Gondolin, ho pubblicato "Fenomeno Meloni, viaggio nella Generazione Atreju".
Il manettaro garantista. Giuseppe De Lorenzo il 19 Aprile 2021 su Il Giornale. Quindi, oggi... Il giustizialista Grillo difende il figlio. - Il video di Beppe Grillo che difende il figlio accusato di stupro va visto, non accontentatevi dei virgolettati sui giornali. Per la prima volta parla l’uomo e non il comico: è emozionato, infuriato, ferito. E avrebbe pure alcune ragioni sul processo “mediatico” se non fosse che lui è il leader dei Cinque Stelle: chi di giustizialismo colpisce, di giustizialismo perisce. Se s’è pentito, chieda scusa ai tanti “figli di..” cui la politica manettara dei grillini ha rovinato la vita.
Estratto dell’articolo di Giacomo Amadori per “Panorama”, pubblicato da “La Verità” l'8 settembre 2021. Per ricostruire la vicenda, occorre partire dall'inizio dell'iter processuale, ovvero dal momento della denuncia, quando sia i carabinieri della stazione Milano Porta Garibaldi che il centro di soccorso violenza sessuale e domestica della clinica meneghina Mangiagalli hanno ritenuto di inoltrare alla Procura competente (quella di Tempio Pausania) i fatti denunciati dalla ragazza. Il 26 luglio 2019 la responsabile del centro, Alessandra Kustermann, la ginecologa, il medico legale e la psicologa inviano ai pm, «ravvisando gli estremi di un delitto procedibile d'ufficio», una denuncia di reato con annessa scheda clinica e documentazione fotografica. Se l'esame ginecologico, effettuato a otto giorni dai fatti, non offre spunti di particolare rilievo, i medici si soffermano sui lividi riscontrati sul corpo della ragazza, in particolare su braccio e avambraccio destro, e su entrambe le gambe. Segni che, in quel momento, paiono coerenti con il racconto della giovane, la quale sostiene di essere stata «obbligata ad avere rapporti vaginali a rotazione con tutti e quattro i ragazzi, che si disponevano uno a consumare il rapporto e altri a tenerla ferma impedendole ogni forma di resistenza». Una versione ribadita dagli esperti della Mangiagalli nel capitoletto intitolato «Esame obiettivo generale» in cui si legge: «I ragazzi la tenevano immobilizzata per gambe e braccia impedendole di muoversi». Queste aree di «soffusione verdastra del tegumento» sono dovute davvero alla notte di sesso con Ciro e compagni? Prima di rispondere non si può non tenere presente che nel luglio 2019 la presunta vittima praticava kitesurf, uno sport che può lasciare segni a causa dell'attrito violento con la tavola e le onde. Per l'avvocato della ragazza, Giulia Bongiorno, la causa dei segni è certamente da ricondurre agli abusi. A suo giudizio, ai danni psicologici patiti dall'assistita occorre aggiungere che «la persona offesa ha riportato diversi ematomi [] come risulta dalle riproduzioni fotografiche allegate alla cartella clinica del 25 luglio 2019». Il consulente delle difese Marco Salvi sta da tempo confrontando le immagini dei lividi con centinaia di foto e video trovati nel cellulare di S. e risalenti ai giorni successivi al presunto stupro (scatti e filmati in cui la giovane è ritratta in costume da spiaggia). E la sua consulenza sarà depositata entro ottobre. Un'amica di S., A.M., sentita a verbale, ha parlato di quei segni: «Ricordo di alcune foto di lei davanti a uno specchio in cui si vedevano chiaramente alcuni lividi sul costato a sinistra, sulla scapola destra e sulla coscia o all'altezza del bacino». Cioè in parti diverse da quelle documentate dalla Mangiagalli. E dove sono finiti gli scatti inviati ad A.M.? «Io non li ho salvati perché avevo timore di metterla in imbarazzo, poiché stava perdendo molto peso in maniera preoccupante e non era seguita da alcun specialista» ha concluso la testimone. In un audio scambiato subito dopo i fatti con l'amica norvegese Mia, è la stessa S. a fare riferimento ai lividi e al proprio rapporto con il cibo. Ecco come la stessa difesa della ragazza ha tradotto la conversazione: «Mi sento molto insicura. Lo ammetto. Ma tipo, come posso dire, quando non mangio, per esempio, vomito, rimetto, mi lascio morire di fame, arrivo quasi a distruggermi, giuro su Dio tipo tutti questi lividi, non è che mi prenda cura di me perché la metà di quello che ho sulle braccia, non la avrei se, per esempio, mi prendessi cura di me []». Sul punto R.M., compagna di vacanze di S. e a sua volta vittima di abusi (i ragazzi si sono fatti fotografare vicino a lei dormiente con i membri in bella vista), ha dichiarato ai carabinieri: «Quando sono andata a svegliare S. non ho notato nessun segno particolare sul suo corpo, sebbene abbia visto che era nuda non mi sono soffermata a guardarla». Dunque nella guerra di perizie entreranno anche queste voci che paiono dare ai lividi un significato più ampio rispetto all'effetto di una costrizione. La ricostruzione di S. non sembrerebbe confermata dal video di 25 secondi depositato agli atti e in cui Ciro Grillo riprende con uno smartphone una piccola parte dell'amplesso di gruppo []. Tra le carte depositate si trova anche l'esito del colloquio psicologico avvenuto il 26 luglio 2019: «La ragazza racconta quanto accadutole, spiega che nei giorni successivi non riusciva a dormire e di notte piangeva. Racconta inoltre che faceva fatica a mangiare e aveva flashback delle immagini della violenza e riviveva le sensazioni di quella notte, risentendo un senso di soffocamento e dolore in sede vaginale». Nel recente atto di costituzione di parte civile, depositato dall'avvocato Bongiorno e destinato alla richiesta di risarcimento del danno, si fa riferimento a una «profonda sofferenza morale tuttora perdurante»: «L'evento ha provocato persistenti riverberazioni sull'esistenza della persona offesa, incidendo in maniera permanente sulle abitudini di vita di S., sui suoi rapporti con i propri familiari e amici e, più in generale, sulle sue attività dinamico-relazionali». Non basta: «L'integrità psicofisica di S.J. è risultata irrimediabilmente alterata. L'esperienza dolorosa, infatti, ha provocato nella persona offesa l'insorgenza di un disturbo post-traumatico da stress, come certificato dalla relazione medico-psichiatrica del 10 maggio 2021 []». C'è, infine, una stoccata contro il fondatore del Movimento 5 stelle: «Il morboso clamore mediatico suscitato dalla vicenda, esploso in conseguenza delle dichiarazioni a mezzo social rese dal padre dell'imputato Ciro Grillo - rimasto sopito sino a quel momento e confinato a cronache locali - ha esposto S.J. a un processo di vittimizzazione secondaria, portandola a rivivere il trauma patito e riacutizzando la relativa sintomatologia». Da qui la richiesta di risarcimento.
Dibattimento mediatico e giuria del popolo: processo all’italiana sul caso Grillo jr. Il processo vero non è ancora iniziato ma la macchina mediatico-giudiziaria è quasi arrivata a sentenza. Tutto sulla pelle di un ragazzo e una ragazza. Rocco Vazzana su Il Dubbio il 21 aprile 2021. Il processo non è mai iniziato, il dibattimento sì. Sui media. Difesa e accusa di Ciro Grillo e della sua presunta vittima scelgono di anticipare il confronto fuori dall’aula di Tribunale, producendo fantomatiche prove, ascoltando improvvisi testimoni e lanciandosi in arringhe via social. Inizia Beppe Grillo, padre del maggiore indiziato, convinto che il figlio non abbia «fatto niente», riconoscendo al massimo la colpevolezza per il reato di “coglionaggine”, nuova fattispecie creata appositamente dal garante M5S per quattro «ragazzi di 19 anni che si divertono e ridono in mutande e saltellano con il pisello». La vittima? Nessuna vittima per “l’avvocato” Grillo, la ragazza era certamente consenziente «perché una persona che viene stuprata la mattina, al pomeriggio va in kitesurf, e dopo 8 giorni fa una denuncia. È strano». Cala il gelo in “aula” per qualche istante. Poi sono la mamma e il papà della ragazza a rispondere al comico, definendo la sua arringa «una farsa ripugnante». «Cercare di trascinare la vittima sul banco degli imputati, cercare di sminuire e ridicolizzare il dolore, la disperazione e l’angoscia della vittima e dei suoi cari sono strategie misere e già viste», aggiungono. Processo finito? No. Perché c’è ancora un genitore che non ha parlato. E Parvin Tadjik, moglie di Grillo, presente nella villa dove sarebbe stato consumato l’abuso, vuole aggiungere qualcosa, per replicare a Maria Elena Boschi (tra i tanti membri di un’immaginaria giuria popolare): «C’è un video che testimonia l’innocenza dei ragazzi, dove si vede che lei è consenziente, la data della denuncia è solo un particolare», rincara la donna. E tra un commentatore e l’altro interviene un altro avvocato, questa volta vero, della ragazza: «Porterò il video di Beppe Grillo in Procura perché reputo che sia una prova a carico, documenta una mentalità», dice Giulia Bongiorno. Prova a carico di chi non è chiaro, visto che sotto indagine c’è Ciro e non Beppe. Del resto, sono tanti gli elementi poco chiari in questa vicenda in cui vittime e carnefici si confondono nelle urla del processo in piazza.
Il giornalismo spietato contro Grillo e Boda. Il figlio del comico subisce un processo a mezzo stampa. Come lo ha subito la dirigente del ministero dell'istruzione indagata per corruzione. E' ora che procure e giornalismo separino le carriere. Davide Varì su Il Dubbio il 20 aprile 2021. Il messaggio è duro. Ed è rabbioso. A tratti appare come la rabbia dolente di un padre che da anni assiste al processo (per ora tutto mediatico) al proprio figlio accusato di stupro. Uno stillicidio quotidiano con titoli sparati e foto impietose. «Mio figlio è su tutti i giornali come stupratore seriale insieme ad altri tre ragazzi. Se fossero veri stupratori seriali li avrei portati io in galera a calci nel culo», ha infatti urlato nel suo breve video: un minuto, o poco più, di urla. Un flusso ininterrotto di accuse. È un dolore vero, quello del comico. Forse sguaiato e con tratti di insopportabile di misoginia. E’ un dolore che non ha tenuto conto di chi ha denunciato quella violenza. Ma tutto questo sarà esaminato in un’aula di tribunale, non siamo qui a emettere sentenze. Anzi, è esattamente quello da cui dobbiamo tenerci alla larga. Qualcuno in queste ore ricorda a Grillo che lui e suo figlio stanno subendo lo stesso trattamento che i suoi militanti hanno riservato a decine, centinaia di persone indagate e processate a mezzo stampa. Potremmo ricordarglielo anche noi del Dubbio, ma sbaglieremmo perché ora Grillo è dall’altra parte della sbarra, dalla parte dell’imputato. La vicenda del figlio di Grillo arriva pochi giorni dopo il tentato suicidio di Giovanna Boda, la dirigente del ministero dell’Istruzione indagata per corruzione che si è gettata dallo studio del suo avvocato dopo aver visto altri titoloni e altre foto impietose di un’indagine ancora in corso. Sono storie dolorosissime che ricordano a tutti noi quanto sia indispensabile e urgente che i giornalisti si tengano ben lontani dai magistrati. E viceversa. E forse, come qualcuno ha già detto, è questa la vera e più urgente separazione delle carriere che va realizzata.
(ANSA il 19 aprile 2021) - "Mio figlio è su tutti i giornali come stupratore seriale insieme ad altri 3 ragazzi...io voglio chiedere veramente perché un gruppo di stupratori seriali non sono stati arrestati, la legge dice che vanno presi e messi in galera e interrogati. Sono liberi da due anni, ce li avrei portati io in galera a calci nel culo. Allora perché non li avete arrestati? Perché vi sete resi conto che non è vero niente, non c'è stato niente perché chi viene sturpato e fa una denuncia dopo 8 giorni vi è sembrato strano. Se non avete arrestato mio figlio arrestate me perché ci vado io in galera". Così Beppe Grillo si sfoga in un video su fb.
Lo sfogo social del fondatore del M5S. Beppe Grillo scopre il garantismo per il figlio Ciro indagato per stupro: “E’ un coglione ma non c’è stato niente”. Carmine Di Niro su Il Riformista il 19 Aprile 2021. Ciro Grillo e i suoi tre amici “sono quattro coglioni, non quattro stupratori”. Così Beppe Grillo interviene per la prima volta con un video su Facebook sulla vicenda giudiziaria che riguarda il figlio 19enne Ciro, accusato di stupro da una ragazza italo-svedese e sotto inchiesta assieme a tre amici, che nei prossimi giorni potrebbero essere rinviati a giudizio dalla Procura di Tempio Pausania. Grillo quindi, per difendere il figlio accusato di un reato gravissimo, scopre improvvisamente il garantismo, soltanto dopo aver fondato il partito più manettaro della storia italiana. Nel video, poco meno di due minuti in cui il fondatore del Movimento 5 Stelle usa toni durissimi per commentare la vicenda, attacca magistrati e stampa. “Mio figlio – spiega Grillo – è su tutti i giornali come uno stupratore seriale insieme ad altri tre ragazzi. Io voglio chiedere, voglio una spiegazione perché un gruppo di ‘stupratori seriali’, compreso mio figlio dentro, non sono stati arrestati. La legge dice che gli stupratori vengono arrestati e messi in galera e interrogati in galera o ai domiciliari”. Invece, aggiunge Grillo, “sono lasciati liberi per due anni, perché? – si chiede -. Perché non li avete arrestati subito? Ce li avrei portai io in galera, a calci nel culo“. Poi il garante del Movimento 5 Stelle tenta di smontare personalmente le accuse della 19enne che ha denunciato il figlio e i suoi tre amici per il presunto stupro avvenuto nella villa del comico genovese a Porto Cervo, nell’estate del 2019. “Vi siete resi conto che non è vero niente che c’è stato lo stupro. Perché una persona stuprata la mattina, al pomeriggio fa kitesurf e dopo 8 giorni fa la denuncia vi è sembrato strano. Bene, è strano – è la teoria di Grillo – E poi non è l’avvocato a parlare o io, che sono il padre, a difendere mio figlio: c’è il video. C’è tutto il video, passaggio per passaggio, si vede che è consenziente, si vede che c’è il gruppo che ride, che sono ragazzi di 19 anni che si stanno divertendo, che sono in mutande e saltellano col pisello così perché sono 4 coglioni, non 4 stupratori e io sono stufo perché sono due anni“, aggiunge Grillo, visibilmente adirato. Nell’ultima parte, come un fiume in piena, Grillo aggiunge: “Se dovete arrestare mio figlio, che non ha fatto niente, allora arrestate anche me, perché ci vado io in galera“.
LA VICENDA – Nei giorni scorsi Ciro Grillo e i tre amici indagati sono stati ascoltati dai magistrati della Procura di Tempio Pausania. Secondo quanto trapelato, tutti hanno ribadito la loro innocenza e la tesi di un rapporto consensuale con la 19enne. Di parere opposto gli inquirenti, che indagano per stupro di gruppo: la vittima del ‘branco’ sarebbe stata “afferrata per i capelli per bere mezzo litro di vodka e costretta ad avere rapporti di gruppo”, si legge negli atti.
In un verbale dei magistrati si legge in particolare che “verso le sei del mattino mentre R. M. (amica della vittima, ndr) dormiva”, la 19enne italo-svedese è “stata costretta” ad avere rapporti sessuali in camera da letto e nel box doccia del bagno, con uno dei ragazzi, mentre “gli altri tre indagati hanno assistito senza partecipare”. La ragazza avrebbe quindi perso conoscenza “fino 15 quando è tornata a Palau”, scrivono i pm. I quattro indagati secondo i magistrati l’avrebbero costretta ad avere “cinque o sei rapporti” sessuali.
Entro la settimana i magistrati sardi potrebbero chiedere al gip, il giudice per le indagini preliminari, il rinvio a giudizio, con gli avvocati difensori che sperano nell’archiviazione del caso.
Carmine Di Niro. Romano di nascita ma trapiantato da sempre a Caserta, classe 1989. Appassionato di politica, sport e tecnologia.
Ecco perché Beppe Grillo rompe il silenzio sul figlio Ciro. La procura di Tempio Pausania verso il rinvio a giudizio del ventenne (e tre amici) per «stupro di gruppo», il leader grillino lo difende: «Perché non l’avete arrestato subito?». Non ha detto una parola per 21 mesi, neanche quando l’Espresso dedicò al caso una copertina. Susanna Turco su L'Espresso il 19 aprile 2021. Per la prima volta dopo ventuno mesi, con un video su Facebook, Beppe Grillo parla del caso che vede suo figlio Ciro, oggi ventenne, accusato con tre amici (Edoardo Capitta, Francesco Corsiglia e Vittorio Lauria) di aver stuprato una studentessa, nel luglio 2019, nella casa di famiglia a Porto Cervo. «Perché non li avete arrestati subito?», incalza Grillo che prende le difese del figlio (argomentando presunti rapporti consensuali, la linea della difesa) e utilizza per paradosso proprio l’argomento della tempistica delle indagini (lunghissime), come paletto per puntellarne l’innocenza: «La legge dice che gli stupratori vengono presi e messi in galera, interrogati in galera o ai domiciliari. Sono lasciati liberi per due anni... Perché non li avete arrestati subito?». Una ricostruzione con passaggi che provocano l'indignazione generale, nella quale si cerca addirittura di mettere in discussione la tempistica della denuncia da parte della studentessa (otto giorni), come se l’autenticità dipendesse dalla rapidità. Si cerca di «trascinare la vittima sul banco degli imputati», chiariscono puntualmente gli stessi genitori della ragazza, che descrivono quella di Grillo come «una farsa ripugnante». Adesso che, secondo le indiscrezioni, si va verso il rinvio a giudizio da parte della procura di Tempio Pausania, il garante dei Cinque stelle rompe così un silenzio assoluto (anche di media e politica) durato quasi due anni: non disse una parola neanche quando l'Espresso, unico nella stampa italiana, dedicò al caso una copertina. Un silenzio che è pesato come un macigno sulla carriera di leader politico di Grillo, e che ha accompagnato tutte le sue svolte, il cambio di pelle di quello che fu il leader del Vaffa: la fine del governo con Matteo Salvini, l'apertura improvvisa a un accordo con il Pd per un nuovo esecutivo – agosto 2019, proprio nei giorni in cui la procura cominciava le indagini. Fino all'urlo di oggi, che vede il Garante tra i soci di maggioranza del governo guidato da Mario Draghi. Mentre la sua creatura politica, il Movimento 5 Stelle, arranca come mai era accaduto nella sua ormai decennale storia.
Alberto Pinna per il "Corriere della Sera" il 19 aprile 2021. È tutto nelle foto e nei video estratti dai telefoni cellulari. Immagini esplicite, se non crude quanto le parole della studentessa italosvedese che ha denunciato di essere stata ubriacata e violentata dal gruppo dei ragazzi genovesi - Ciro Grillo, Edoardo Capitta, Francesco Corsiglia e Vittorio Lauria - in vacanza sulla Costa Smeralda. Loro insistono: «Era consenziente». Negli interrogatori dei giorni scorsi, allegati con protocollo riservato, la versione degli indagati: una festicciola spinta, la vodka a fiumi, sesso ma mai violenze, gli scambi di messaggi «amichevoli» con S.J. nei giorni successivi, qualche «non ricordo» e contestazioni della procura sulle contrastanti evidenze di foto e video. Difficile che i magistrati gli credano; sembrano anzi orientati per la richiesta di rinvio a giudizio, come traspare dalle notazioni che sottolineano la rilevanza dei riscontri. Ancora da chiarire la violenza sulla seconda ragazza. Sesso di gruppo anche con lei? In un' immagine la si vede profondamente addormentata sul divano, mentre uno dei quattro ragazzi la umilia. Nella fase iniziale delle indagini R.M. ha affermato di essere piombata in sonno profondo, troppo l' alcol bevuto, e di avere pochi e confusi ricordi di quella notte. Ma è stata poi risentita, le sono state mostrate le immagini e avrebbe detto qualcosa di più. Altre immagini e video fra la doccia e la camera da letto. S.J. ha raccontato di aver cercato di svincolarsi dalla stretta di uno dei ragazzi, per raggiungere il soggiorno. Barcollava ma non era ancora in stato di semincoscienza etilico; è stata circondata dagli altri tre, che l' hanno bloccata, strattonata e spinta verso la stanza, sul matrimoniale. I controlli sui telefoni sono concentrati negli ultimi mesi del 2019, su utenze utilizzate da Ciro Grillo e dai suoi amici dopo che, a indagini già in corso, i loro cellulari erano stati sequestrati. Parvin Tadjik, moglie di Beppe Grillo, risulterebbe essere stata intercettata anche dopo aver testimoniato. Dormiva nell' appartamento accanto. Evidentemente il suo «Non ho sentito nulla» non ha convinto i magistrati.
Ilario Lombardo per "la Stampa" il 20 aprile 2021. Il padre, Beppe Grillo, si gonfia furibondo di dolore urlando in un video l'innocenza presunta del figlio e il figlio, Ciro, l'accusato, riappare su Instagram e si autoassolve rilanciando il video del padre e l' hashtag #freeciruz. In queste settimane è andata in onda una serie, "Your honor", che racconta il dramma di un giudice diviso tra l'imperativo morale della coscienza su cui ha costruito la sua professione e il tentativo di nascondere la colpa del figlio, reo di aver lasciato morire un ragazzo investito dalla sua auto. Una tragedia che si infila tra il ruolo naturale di padre e quello sociale di giudice e che viene in mente guardando il video di Grillo in difesa del figlio accusato dalla procura di Tempio Pausania di aver stuprato con tre amici una ragazza italo svedese nel luglio 2019, nella villa del comico genovese in Costa Smeralda. Non è un video dai soliti toni grotteschi e ferocemente abrasivi: Grillo si denuda dal ruolo di comico per trasformarsi in genitore disperato, travolto dalla macchina della giustizia, dalla fame dei media, dalla danza del sensazionalismo che si alimenta tanto più quanto il protagonista al centro del vortice è famoso, è un figlio di. «Se dovete arrestare mio figlio perché non ha fatto niente, allora dovete arrestare anche me, perché ci vado io in galera». Il dolore del padre è totalizzante, investe la telecamera nella gestualità che assorbe e trascende la teatralità naturale del mestiere: nella sua casa, con il suo smartphone Grillo è solo un papà incredulo che fa quello che fanno tanti altri papà che non vogliono credere a quello che sta succedendo.
Se la prendono con quella che percepiscono come gogna mediatica e giudiziaria, senza pensare alle conseguenze di uno sfogo che investe la presunta vittima, sospettata di essere una bugiarda per non aver denunciato subito. «Mio figlio è descritto come uno stupratore seriale. Voglio una spiegazione - chiede Grillo - Perché non li avete arrestati?». Perché alla fine sotto quel dolore c' è un attacco alla magistratura. Non è importante se motivato o meno. È un attacco diretto, duro, violento di un leader politico alla magistratura. Come Silvio Berlusconi, come Matteo Salvini, come chiunque a propria difesa usa la prerogativa della notorietà e della rilevanza politica. Solo che stavolta colpisce ancora di più perché viene da chi ha fondato un partito schieratosi incondizionatamente, sin dalla nascita, con la magistratura, quando indagini e processi coinvolgevano i propri avversari politici. Puntuali glielo ricordano da destra Forza Italia e la Lega: «Garantismo a giorni alterni - dice Salvini -, se sei davvero garantista non applaudi se io vado a processo. E poi spero che la linea difensiva del figlio non sia che la ragazza ha denunciato troppo tardi». Sì perché è Grillo stesso a rispondere così alla domanda sul perché non siano mai stati arrestati, nonostante le pesanti accuse: «Perché vi siete resi conto - dice rivolto ai magistrati - che non è vero niente. Che una persona che viene stuprata al mattino, che va a fare kitesurf al pomeriggio, e dopo otto giorni fa la denuncia vi è sembrato strano. E lo è infatti». Una tesi che provoca reazioni inorridite nel Pd e in Italia Viva, e gettano nell' imbarazzo il M5S. «Un video scandaloso - attacca la capogruppo di Iv Maria Elena Boschi - ti devi vergognare per parole di maschilismo che fanno torto a tutte le donne vittime di violenza che spesso impiegano settimane per denunciare». E Barbara Seracchiani, dal Pd, lapidaria: «Non c' è amarezza di padre che tenga» e getti la colpa su «una ragazza che ha denunciato lo stupro». Per Grillo il teorema dell' accusa è fondato sul nulla, si sbriciola di fronte a un video dove, rivela, «si vede passaggio per passaggio che» il sesso di gruppo con la ragazza sarebbe stato «consenziente» e non c' è stata violenza per ben sei rapporti sessuali come sostiene l' accusa. Nel video «si vede un gruppo che ride, si vede che sono ragazzi di 19 anni che si stanno divertendo, che sono in mutande e saltellano con il pisello perché sono 4 coglioni non 4 stupratori». Le ultime 72 ore sono state dure. L'interrogatorio di Ciro e i dettagli dell' accusa sulla ragazza che sarebbe stata tenuta per i capelli e costretta a bere vodka diventano insostenibili per Grillo. La decisione di fare il video è presa d' istinto. Il figlio lo segue. Riapre il profilo Instagram "Ciruzzolohill" che aveva abbandonato da due anni per rilanciare il video del papà. «Condividete ovunque» scrive e lascia l' hashtag #freeciruz. Ciruzzo libero.
Federico Capurso per "la Stampa" il 20 aprile 2021. Qualcuna, nel video di Beppe Grillo, vede solo il dolore di un padre. Qualcun' altra si nasconde dietro un «no comment». Ma la maggior parte delle donne del Movimento fa un passo in più e prende le distanze dalle parole del fondatore. Parole con cui Grillo, sui social, difende il figlio Ciro e i suoi tre amici, accusati di stupro di gruppo, e scredita la ragazza che li accusa, definendo «strano» il fatto che abbia denunciato dopo otto giorni, «strano» che il giorno seguente abbia fatto kytesurf. Batte i pugni sul tavolo, urla «è innocente», prima che a deciderlo sia un giudice. Il video rimbalza nelle chat, tra le parlamentari, sgomente. La vicepresidente della Camera Maria Edera Spadoni è tra le prime a intervenire: «Credo fermamente che ogni donna debba poter denunciare in qualsiasi momento, quando se la sente, perché ci vuole tempo per elaborare». Spadoni si è sempre battuta per la legge "Codice rosso", contro la violenza di genere, ed è sua la proposta di legge che ha allungato i termini in cui una donna può presentare querela, da sei mesi ad un anno. «Le leggi che abbiamo per la protezione delle donne sono leggi giuste - insiste infatti Spadoni -. Le domande che Grillo fa, deve rivolgerle alle autorità competenti. Umanamente mi dispiace per Beppe, non commento la vicenda familiare». Quando senatrici e deputate vengono contattate telefonicamente da La Stampa è evidente l' imbarazzo, talvolta la rabbia, per l' intervento del comico. «Non lo nascondo, siamo in grande difficoltà come donne del Movimento», ammette la senatrice Alessandra Maiorino. «Non era assolutamente il caso di pubblicarlo quel video, per tutti, anche per il figlio - aggiunge -. Il tempo che passa dalla violenza subita al momento in cui si denuncia è irrilevante. Chiunque si occupi di violenza sessuale sa che è una cosa difficile da denunciare». Non tutte, però, si mostrano altrettanto pronte a mettere un argine alle parole di Grillo. C' è chi si rifiuta di rispondere, come la senatrice Laura Bottici, e chi preferisce che «a commentare siano le colleghe», come l' ex viceministra agli Esteri Emanuela Del Re. Gira al largo anche la vicepresidente del Senato Paola Taverna, che pure si era spesa per l' approvazione del Codice rosso: «Auspico che giornali e talk show lascino che questa vicenda si risolva in tribunale. Serve rispetto: no a speculazioni da sciacalli», scrive su Facebook, aggiungendo poi di sentirsi vicina a Grillo, «da mamma, per ciò che prova a livello umano». Si immedesima anche nei genitori della ragazza, invece, Lucia Azzolina: «In questa vicenda soffrono tutte le famiglie coinvolte - dice l' ex ministra - e la violenza sessuale è un tema drammaticamente serio. Come serie sono le leggi che tutelano i diritti delle donne». Tanto è serio che la deputata Federica Daga fa fatica a rispondere, «perché sono una di quelle donne che ha sporto denuncia: mi hanno messo le mani addosso e sono stata vittima di stalking». Il tono della voce è agitato, anche «a cinque anni di distanza da quello che ho subito, quando ne parlo riemerge tutto», si spiega. Non vuole criticare Grillo, «ma io - puntualizza - ho querelato dopo quasi sei mesi dall' ultima volta in cui questa persona mi aveva messo le mani addosso e a quei tempi, senza il Codice rosso, ho potuto denunciarla solo per stalking». Nella stortura delle parole di Grillo, per molte di loro, il lato umano ha comunque un peso rilevante. Quando ha guardato il video la senatrice Giulia Lupo ha visto «una persona disperata e quando si è disperati si ha poca lucidità. Per i valori che ci ha sempre insegnato, però, non credo volesse sminuire la questione delle violenze di genere». È stato «poco razionale» anche per la deputata Conny Giordano: «Probabilmente si poteva evitare, ma il dolore deve essere enorme». Di certo, un Grillo così non lo avevano mai visto le donne del Movimento. E non avrebbero nemmeno voluto vederlo. Peccato che i loro colleghi uomini, invece, non siano riusciti a far altro che esprimergli «solidarietà». Senza fare mezzo passo in più.
Nicola Porro sul video di Beppe Grillo: "Il dettaglio complottista che vi è sfuggito, a chi era rivolto". Libero Quotidiano il 20 aprile 2021. "C’è un dettaglio del video di Beppe Grillo che nessuno ha notato. Non era facile, in fondo, distinguere razionalità e follia, l’esplicito e il sottinteso, in una piazzata social politicamente ma anche giudiziariamente suicida. Mi riferisco, in particolare, al passaggio in cui l’Elevato sbraita: "Arrestate anche me!".". Così scrive sul suo blog Nicola Porro, a proposito del video di Beppe Grillo in difesa del figlio sotto accusa per stupro. "È come se il garante M5s evocasse un complotto: colpite mio figlio, ma il vero bersaglio sono io. Ma a quale mandate si riferisce? La sua figura, in fondo, è ingombrante per i tanti che aspirerebbero alla scalata interna. Giuseppe Conte, ad esempio. Ma anche Luigi Di Maio, che coltiva ambizioni alternative a quelle dell’avvocato del popolo. E poi c’è la faida tra i parlamentari e Davide Casaleggio, sulla quale Grillo ha stentato a prendere una posizione, provando a salvare capra e cavoli. Oppure Beppe pensa a spintarelle esterne?", spiega Porro intravedendo dietro il messaggio video dell'ex comico un messaggio anche a quelli che fomentano le lotte interne nel Movimento. "L’unica certezza, è il doppiopesismo: quando le inchieste piovono sui nemici, la sentenza è già scritta. “Vaffanculo”, no? Quando, invece, la scure giudiziaria si abbatte su di lui, il fondatore del Movimento cambia registro. Bisogna essere garantisti, anzi, è in atto una non meglio precisata trama per spodestarlo", precisa ancora Porro evidenziando così l'ipocrisia di Grillo. L'ex comico aveva difeso il figlio dicendo che, "non c'è stato alcuno stupro". Il figlio Ciro è accusato di violenza sessuale insieme ad altri suoi tre amici genovesi nei confronti di una ragazza italo-svedese conosciuta in Sardegna a Porto Cervo nell'estate del 2019. Il fondatore del Movimento 5 Stelle ha preso posizione pubblicando un video sui social e appellandosi al fatto che il figlio e gli amici non sono stati arrestati nell'immediato. "Perché non lo avete fatto?", si chiede per poi rispondersi: "Perché vi siete resi conto che non è vero niente, non c'è stato alcuno stupro. Una persona che viene stuprata la mattina, al pomeriggio va in kitesurf e dopo otto giorni fa la denuncia... Vi è sembrato strano. Bene, è strano".
Tutto quello che non torna nell'arringa di papà Grillo. Domenico Ferrara il 19 Aprile 2021 su Il Giornale. L'arringa di Grillo contiene motivazioni fragili. Alcune persino poco fondate. Lo sfogo è di quelli dirompenti. Un padre che difende il figlio. Dai media, dalle malelingue, dalla magistratura, forse anche da se stesso. Comprensibile. Ma quando l'arringa è pronunciata da un personaggio noto come Beppe Grillo la prospettiva cambia. Soprattutto se le motivazioni addotte sono quanto meno fragili. Alcune persino poco fondate. E soprattutto se ad assurgere a paladino del garantismo è uno dei principali esponenti del giustizialismo. Di seguito riportiamo alcune di queste motivazioni. "Mio figlio è su tutti i giornali come uno stupratore seriale...": i giornali hanno raccontato i vari passi dell'inchiesta, con titolazioni più o meno forti ma sicuramente non definitive, che riguarda il figlio di un personaggio politico nonché co-fondatore del Movimento 5 Stelle. Di cosa si stupisce Grillo? "Perché non è stato arrestato?": perché il codice di procedura penale prevede l'arresto per il reato di violenza sessuale solo in caso di flagranza di reato e l'applicazione di una misura cautelare (custodia in carcere o arresti domiciliari) quando sussistono gravi indizi di colpevolezza o il pericolo di fuga, di inquinamento delle prove o di reiterazione del reato. "La legge dice che gli stupratori vengono presi e interrogati in galera o ai domiciliari": non c'è traccia nel codice di procedura penale di una affermazione del genere. Per i presunti stupratori, invece, vale lo stesso principio secondo cui un indagato può restare a piedi libero se non sussistono gravi indizi di colpevolezza e se non c'è pericolo di fuga, di inquinamento delle prove o di reiterazione del reato. Repetita iuvant. "Liberi per 2 anni, perché?": anche qui, vedasi il punto precedente. Si rammenta inoltre che la querela è stata presentata a luglio 2019 e le indagini sono state chiuse a novembre 2020, nel rispetto dei 18 mesi previsti dalla legge. "Non è vero che c'è stato lo stupro": purtroppo la certezza di un padre vale meno della certezza giuridica. "Perché una persona che è stata stuprata la mattina non va a fare kitesurf e dopo 8 giorni fa la denuncia": perché si ipotizza che una donna violentata reagisca in modo poco prevedibile visto il trauma che subisce e si suppone dunque che i tempi di elaborazione dello stesso trauma possano sottostare a variabili indefinite. E comunque i giorni intercorsi tra il presunto stupro e la denuncia della vittima sono quattro e non otto. "C'è un video in cui si vede la consenzietà che il gruppo ride...": se il video - che tra l'altro è agli atti - dimostra quello che dice Grillo, sicuramente la giustizia farà il suo corso e aiuterà gli inquirenti a optare per la giusta decisione. "Se dovete arrestare mio figlio perché non ha fatto niente, allora arrestate anche me": è comprensibile che l'amore di un padre vada oltre ogni cosa ma ci auguriamo che non sia un innocente ad andare in galera, piuttosto che vengano accertati eventuali colpevoli o innocenti.
La 5Stelle Daga: “Parole gravi quelle di Grillo. Io ho denunciato 6 mesi dopo E avevo subito ogni tipo di violenza”. Maria Novella De Luca su La Repubblica il 19 aprile 2021. "Mi vergognavo, mi sentivo sconfitta per essere entrata in relazione con un uomo così. Avevo bisogno di tempo". "Grillo ha fatto un discorso grave che mi ha fatto rivivere tutto il mio dramma. Un discorso da uomo arrabbiato. Ma come si fa a dire che una violenza non è violenza se viene denunciata otto giorni dopo? Io sono stata massacrata di botte e perseguitata da un uomo che sono riuscita a denunciare soltanto a sei mesi dalla fine di quell’incubo". Parla con una forte emozione Federica Daga, 45 anni, deputata M5S, esperta di questioni ambientali...
Grillo e la difesa del figlio, chat 5S bollenti: così ci massacrano, Letta: “Quelle frasi inaccettabili”. Annalisa Cuzzocrea su La Repubblica il 19 aprile 2021. Pentastellati solidali, ma dietro le quinte cresce la preoccupazione. Da Conte silenzio imbarazzato. Bisogna andare al di là delle vaghe parole di solidarietà pronunciate "da padre" da Alessandro Di Battista. Bisogna guardare oltre la frase quasi di rito del reggente Vito Crimi: solidarietà umana a Beppe Grillo, ma fiducia nella magistratura. Bisogna ascoltare quel che i 5 stelle dicono nelle loro conversazioni private, leggere i messaggi preoccupati che girano sulle chat, per capire quanto il video in cui un padre visibilmente disperato urla l’in...
La grillina asfalta Grillo: "Io ci ho messo 6 mesi per denunciare la violenza". Federico Garau il 19 Aprile 2021 su Il Giornale. Le parole del comico genovese hanno scosso la parlamentare grillina: "Quasi non riesco a commentare ciò che ha detto". Continuano a far discutere le parole di Beppe Grillo, apparso in un video postato sui social per prendere le difese del figlio Ciro, accusato di stupro di gruppo insieme a 3 suoi amici in seguito a quanto accaduto in Costa Smeralda nell'estate del 2019. Tanti i commenti da parte di vari rappresentanti della politica, che hanno attaccato le dichiarazioni del padre putativo del Movimento 5Stelle. Nel gruppo anche la grillina Federica Daga, la quale ha voluto prendere le distanze dal comico genovese: "Non riesco a commentare ciò che ha detto".
La furia di Grillo. Grillo sbotta per il figlio: "Stupro? Quattro co... arrestate me". Nel commentare il caso che vede il figlio indagato per il reato di stupro commesso ai danni di una ragazza italo-svedese, Beppe Grillo è apparso sin da subito piuttosto alterato. "Mio figlio è su tutti i giornali come uno stupratore seriale, insieme ad altri tre ragazzi. Io voglio chiedere perché un gruppo di stupratori seriali, compreso mio figlio, non sono stati arrestati. Perché non li avete arrestati? La legge dice che gli stupratori vengono presi, vengono messi in galera e poi vengono interrogati in galera o ai domiciliari. Sono lasciati liberi per due anni, perché?", si è domandato Grillo, prima di accendersi ulteriormente."Perché non li avete arrestati subito? Ce li avrei portati io in galera, a calci nel culo. Perché? Perché vi siete resi conto che non era vero niente che c'era stato un stupro. Perché una persona che viene stuprata la mattina, al pomeriggio fa kitesurf e dopo 8 giorni fa la denuncia, vi è sembrato strano. Bene, vi sembrato strano? È strano. E poi c'è il video! C'è tutto il video, passaggio per passaggio. Si vede che è consenziente, si vede che c'è il gruppo che ride, ragazzi di 19 anni che si stanno divertendo, in mutande e saltellano col pisello così perché sono 4 coglioni, non stupratori e io sono stufo, perché sono due anni! E se dovete arrestare mio figlio perché non ha fatto niente, allora arrestate anche me perché ci vado io in galera!".
Il commento di Daga. Le forti dichiarazioni di Grillo hanno suscitato reazioni non soltanto da parte dei rappresentanti di altri partiti. Ad essere colpita dalle parole del comico genovese anche Federica Daga, deputato del Movimento 5Stelle. Raggiunta dai microfoni di AdnKronos, la parlamentare grillina ha dichiarato di sentirsi umanamente vicina a Beppe Grillo perché il suo è "il dolore di un padre". Le pesanti affermazioni del padre putativo del Movimento l'hanno tuttavia profondamente turbata: "Quasi non riesco a commentare ciò che ha detto". Daga, infatti, ha confessato di essere stata a suo tempo vittima di violenze. "Ho avuto una relazione con una persona violenta per un breve periodo e per elaborare quanto era successo ci ho messo sei mesi, poi ho denunciato", ha rivelato la pentastellata. "Io ringrazio che ci sia il codice rosso, che consente alle donne di denunciare anche dopo sei mesi dal fatto, mentre io ho avuto solo tre mesi e infatti non ho potuto denunciare tutto quello che mi era successo", ha aggiunto. "Mi dispiace per Beppe, la giustizia è lenta e io sono in causa da cinque anni. Non può essere così lunga una causa, non sai cosa ti può succedere nell'attesa", ha concluso.
Salvini e Meloni. Duro il giudizio dei leader di Lega e Fratelli d'Italia. "La donna è vittima e l'altro deve giustificare, anche se infilare la bottiglia di Vodka nella bocca di qualcuno, quattro contro uno non è il massimo della vita", ha commentato il segretario del Carroccio Matteo Salvini, il quale ha affermato di sperare nell'innocenza del figlio di Grillo. "Non mi permetto di commentare il padre da padre. Spero tuttavia che la linea difensiva di questo ragazzo non sia che la ragazza abbia denunciato troppo tardi". "Mi ha colpito anche il modo in cui Grillo ha minimizzato su un tema pesante, come quello di una presunta violenza sessuale", ha affermato invece Giorgia Meloni, ospite a Stasera Italia."La questione è molto complessa. A differenza di Grillo non faccio politica su questa roba qui".
Da repubblica.it il 20 aprile 2021. "C'è un video che testimonia l'innocenza dei ragazzi, dove si vede che lei è consenziente, la data della denuncia è solo un particolare". Lo ha scritto Parvin Tadjik, moglie di Beppe Grillo e madre di Ciro, in un commento - ripreso dal sito Open - al post su Fb di Maria Elena Boschi dove la deputata di Italia Viva critica il video in cui Beppe Grillo difende il figlio Ciro e i suoi tre amici dall'accusa di stupro. Di fatto Parvin Tadjik ripete le parole del marito, che nella sua difesa di ieri menziona l'esistenza di un video sui cellulari dei ragazzi dai quali si evincerebbe che la ragazza sarebbe stata consenziente. Il fondatore del M5S ha contestato, inoltre gli otto giorni trascorsi tra la presunta violenza e la denuncia da parte della ragazza (ma il "codice rosso", la legge contro la violenza sulle donne approvato nel 2019 su spinta del M5S allunga fino a 12 mesi il tempo massimo entro cui una vittima poteva presentare denuncia per una violenza sessuale subita). Contro le parole di Grillo proseguono anche oggi i commenti indignati. Dopo Boschi intrviene anche il leader di Italia viva Matteo Renzi: "Beppe Grillo ha fatto un video scandaloso: il dolore di un padre non giustifica l'aggressione verbale a una ragazza che denuncia violenza", scrive su Facebook e aggiunge: "Invece che aspettare il processo, il pregiudicato che ha fondato il partito dell'onestà prova a salvare la sua famiglia dopo aver distrutto le famiglie degli altri. Quanta ipocrisia nella doppia morale di chi crea un clima d'odio e poi se ne lamenta". E conclude: "Le parole di Grillo - e il contestuale silenzio di Conte e Di Maio - dicono molto su cosa è diventato il Movimento Cinque Stelle. O forse è sempre stato così ma adesso se ne accorgono in tanti. Sipario". "Chieda scusa a tutte le donne italiane - interviene anche il leader della Lega Matteo Salvini - capisco lo sfogo di un padre ma mi permetto di dire che è disgustoso, vergognoso e imbarazzante invocare l'innocenza del figlio in base ai giorni attesi da una ragazza per denunciare uno stupro. Questo ci riporta al Medioevo".
Lo scontro con Maria Elena Boschi. Chi è la moglie di Beppe Grillo: Parvin Tadjik, madre di Ciro Grillo. Vito Califano su Il Riformista il 20 Aprile 2021. Parvin Tadjik è la moglie di Beppe Grillo e madre di Ciro Grillo. È intervenuta sul caso che riguarda quest’ultimo, il figlio accusato di violenza sessuale di gruppo, e soprattutto per il video con il quale il marito ha criticato i giornalisti e la Procura. Ha commentato un post della capogruppo di Italia Viva di Maria Elena Boschi, durissima nel condannare il video attraverso il quale ha difeso il figlio e reso il caso una questione politica. “Arrestate me”, ha detto il comico. Sempre lontana dai riflettori, Tadjik è intervenuta come non è solita fare. Parvin Tadjik ha 63 anni. Ha origini iraniane. È figlia di Nasratollah Tadjik, importatore di tappeti nato a Teheran, e di Luisa D’Ettore, dalla provincia di Ravenna. È cresciuta a Milano. Ha una sorella: Nadereh, che si è trasferita in Africa, in Kenya. Sempre lontana dalla cronaca politica e dal gossip, viene descritta come una donna ricercata e chic. Non è mai entrata nell’impegno politico del marito. Quando i 5 Stelle entrarono in Parlamento, con le elezioni del 2013 – quando avrebbero dovuto aprire le Camere “come una scatoletta di tonno” – volò sulle spiagge di Malindi mentre il marito era alle prese con il voto. Libero ha scritto che la donna si dissocia preventivamente da tutte le dichiarazioni del marito prima dei comizi, per evitare querele. E che allo stesso sia silenziosa consigliera. Vanity Fair ha scritto che “chi la frequenta sostiene che Parvin non si fa vedere da nessuno, compreso Beppe, prima di essersi accuratamente truccata. Piuttosto sta chiusa in bagno a chiave, se non è ancora al meglio. Invece Grillo le dice che non ha bisogno di parrucchiere, che sta bene senza trucco, con i fili bianchi tra i capelli”. Riservata, personalità forte, spiritosa. Appassionata di alta moda, assidua nella spesa biologica negli hard discount. Beppe Grillo aveva sposato nel suo primo matrimonio Sonia Toni. Due i figli avuti dalla coppia, Luna e Davide. Due figli anche con Parvin Tadjik, Rocco e Ciro. Si sono sposati il 21 dicembre del 1996. Testimoni di nozze il cantautore, amico di Grillo e genovese come il comico, Fabrizio De Andrè e sua moglie Dori Ghezzi. Non un’unione tranquilla, tuttavia. Per sposarsi i due seguirono un corso prematrimoniale privato, tenuto dal parroco don Glauco Salesi. Tra i pochi higlights della relazione le parole di Grillo: “Mia moglie è iraniana. Ho scoperto che la donna, in Iran, è al centro della famiglia. Le nostre paure nascono da cose che non conosciamo”. Nessuna traccia di lapidazioni delle adultere, i pestaggi delle milizie paramilitari Basij, l’obbligo del velo e via dicendo.
LO SCONTRO CON BOSCHI – “Mio figlio è su tutti i giornali come stupratore seriale insieme ad altri 3 ragazzi – ha lamentato Grillo ieri in un video dai toni violenti – io voglio chiedere perché un gruppo di stupratori seriali non sono stati arrestati, la legge dice che vanno presi e messi in galera e interrogati. Sono liberi da due anni, perché non li avete arrestati? Perché vi siete resi conto che non è vero niente, una persona che viene stuprata la mattina, il pomeriggio fa kite-surf e denuncia dopo 8 giorni è strano. E poi c’è un video in cui si vede un gruppo che ride, ragazzi di 19 anni che si divertono e ridono in mutande” perché “sono quattro coglioni, non quattro stupratori”. Tra le prime a replicare, durissima, Maria Elena Boschi: “Caro Grillo ti devi semplicemente vergognare. Le sue parole sono piene di maschilismo. Quando dice che la ragazza ci ha messo 8 giorni a denunciare fa un torto a tutte le donne vittime di violenza e forse non sa il dolore che passa attraverso quelle donne, che spesso impiegano non giorni, ma settimane per superare magari la vergogna e l’angoscia”, aveva dichiarato in un video l’ex ministra. La capogruppo non ha mai fatto riferimento alle responsabilità – ancora presunte, e quindi innocente a condanna – di Ciro Grillo. Parole che comunque non devono essere piaciute a Parvin che ha commentato il messaggio di Boschi: “C’è un video che testimonia l’innocenza dei ragazzi, dove si vede che lei è consenziente, la data della denuncia è solo un particolare”. La donna è stata tra l’altro interrogata sulla notte dello stupro. “Non ho sentito niente”, aveva affermato ma sarebbe stata intercettata dopo aver testimoniato secondo AdnKronos. A seguire ancora una nuova replica durissima di Boschi: “Parvin Tadjik, la moglie di Beppe Grillo, risponde al mio video di ieri dicendo che suo figlio è innocente, che la ragazza era consenziente, che ci sono le prove. Io non faccio il processo sui social, gentile signora. Le sentenze le decidono i magistrati, non i tweet delle mamme. Questo modo di concepire la giustizia, giocandola sui social e non nelle aule di tribunale, è aberrante. Ed è ciò che suo marito Beppe ha sempre fatto con i suoi seguaci: si chiama giustizialismo. Io invece aspetto e rispetto le sentenze, come tutti i cittadini. Quando mio padre è stato indagato, Grillo e i grillini lo hanno massacrato. Noi abbiamo aspettato le decisioni dei giudici, rispettando il loro lavoro. E alla fine è stato archiviato. Aspetti il processo anche lei e spieghi a suo marito che è meglio credere nella giustizia anziché fomentare l’odio con il giustizialismo. Per me suo figlio Ciro è innocente fino a sentenza passata in giudicato. Suo marito Beppe invece è colpevole di aver creato un clima d’odio vergognoso. Odio contro di me, contro mio padre, ma soprattutto contro tanti italiani che non possono difendersi perché privi della stessa visibilità di suo marito. Giustizia, non giustizialismo”.
Vito Califano. Giornalista. Ha studiato Scienze della Comunicazione. Specializzazione in editoria. Scrive principalmente di cronaca, spettacoli e sport occasionalmente. Appassionato di televisione e teatro.
Da huffingtonpost.it il 20 aprile 2021. “Il video di Beppe Grillo è scandaloso. Caro Beppe Grillo, ti devi semplicemente vergognare”. La capogruppo di Italia Viva, Maria Elena Boschi critica senza mezze parole il video in cui il garante del Movimento 5 stelle dice che il figlio non è uno stupratore. “Non sta a me dire se ha torto o ha ragione: per quello ci sono i magistrati. Ma che lui utilizzi il suo potere politico e mediatico per assolvere il figlio è vergognoso”, dice Boschi. E aggiunge: “Le sue parole sono piene di maschilismo. Quando dice che la ragazza ci ha messo otto giorni a denunciare fa un torto a tutte le donne vittime di violenza e forse non sa il dolore che passa attraverso quelle donne, che spesso impiegano non giorni, ma settimane per superare magari la vergogna e l’angoscia”. Boschi prosegue: “Quando Grillo ci spiega che suo figlio è innocente perché non è né in carcere né agli arresti domiciliari, dice semplicemente una falsità da un punto di vista giuridico, e anche quando dice che si tratta di "quattro ragazzi che stanno scherzando", deresponsabilizza degli adulti maggiorenni e lo semplicemente perché lui è famoso e può fare l’avvocato del proprio figlio”. L’ex ministra continua: “A me piacerebbe che dentro il Movimento 5 stelle, qualcuno, magari qualche donna, prendesse le distanze da Beppe Grillo e non perché io debba condannare il figlio. Io sono garantista con tutti anche con lui”.
Boschi smonta Grillo: "Ti devi vergognare..." Francesca Galici il 19 Aprile 2021 su Il Giornale. Maria Elena Boschi è andata in video per attaccare Beppe Grillo, che ha condiviso a sua volta un video per difendere suo figlio dalle accuse di stupro. Tra le reazioni più forti al video di Beppe Grillo c'è quella di Maria Elena Boschi, deputata di Italia viva, che ha voluto rispondere al leader del Movimento 5 Stelle. L'ex cominco è voluto andare in video per difendere suo figlio dalle accuse di stupro, per la prima volta pubblicamente dopo quasi due anni di silenzio. Un video concitato, come nel registro di Beppe Grillo, che non è piaciuto a Maria Elena Boschi, che senza mezze misure ha attaccato il leader del Movimento 5 Stelle da Facebook.
L'attacco di Maria Elena Boschi. "l video di Beppe Grillo è scandaloso. Caro Beppe Grillo, ti devi semplicemente vergognare", esordisce con tono concitato la capogruppo di Italia viva a Montecitorio. Per Maria Elena Boschi, infatti, Beppe Grillo non avrebbe dovuto utilizzare il suo potere mediatico per affrontare una vicenda giudiziaria personale che riguarda suo figlio: "Non sta a me dire se ha torto o ha ragione: per quello ci sono i magistrati". Ma a far irrigidire ancor di più Maria Elena Boschi è il contenuto delle parole di Beppe Grillo, contro il quale l'esponente di Italia viva ha usato parole molto forti: "Le sue parole sono piene di maschilismo. Quando dice che la ragazza ci ha messo otto giorni a denunciare fa un torto a tutte le donne vittime di violenza e forse non sa il dolore che passa attraverso quelle donne, che spesso impiegano non giorni, ma settimane per superare magari la vergogna e l’angoscia".
"Dice falsità". La Boschi, poi, utilizza il suo titolo come avvocato per puntualizzare e smentire le parole di Beppe Grillo: "Quando Grillo ci spiega che suo figlio è innocente perché non è né in carcere né agli arresti domiciliari, dice semplicemente una falsità da un punto di vista giuridico". La capogruppo di Italia viva, poi, smonta un'altra parte del discorso del leader del Movimento 5 Stelle: "Anche quando dice che si tratta di "quattro ragazzi che stanno scherzando", deresponsabilizza degli adulti maggiorenni e lo semplicemente perché lui è famoso e può fare l’avvocato del proprio figlio".
L'appello alle donne del M5S. In chiusura del suo video, Maria Elena Boschi si rivolge direttamente alle donne, soprattutto a quelle del Movimento 5 Stelle: "A me piacerebbe che dentro il Movimento 5 stelle, qualcuno, magari qualche donna, prendesse le distanze da Beppe Grillo e non perché io debba condannare il figlio. Io sono garantista con tutti anche con lui".
Maria Elena Boschi contro Beppe Grillo: "Usa il suo potere per assolvere il figlio. Scandaloso, una vergogna". Libero Quotidiano il 19 aprile 2021. Beppe Grillo si è scagliato in difesa del figlio Ciro, accusato di violenza sessuale insieme ad altri amici nei confronti di una ragazza italo-svedese conosciuta in Sardegna. Il fondatore del Movimento 5 Stelle ha respinto le accuse degli inquirenti attraverso un video che lascia molti parecchio perplessi. Tra questi Maria Elena Boschi che non perde l'occasione per criticare la scelta del Cinque Stelle: "Il video di Beppe Grillo è scandaloso - ha tuonato senza mezzi termini anche lei in un filmato apparso sui social -. Non sta a me dire chi ha torto e chi ha ragione, per quello ci sono i magistrati. Ma che Beppe Grillo usi il suo potere mediatico e politico per assolvere il figlio è vergognoso". La deputata di Italia Viva mette in croce le parole pronunciate dal pentastellato, "piene di maschilismo". Le prove? "Quando dice che la ragazza che ha denunciato il figlio per stupro è sostanzialmente una bugiarda perché ha impiegato otto giorni a denunciare, fa un torto a tutte le donne vittime di violenza, perché forse Beppe Grillo non sa il dolore che passa attraverso quelle donne che spesso non impiegano giorni ma settimane per trovare il coraggio di denunciare e superare anche magari la vergogna e l'angoscia". Poi è la volta del figlio Ciro che per gli inquirenti, assieme ad alcuni amici, avrebbe "afferrato per i capelli la ragazza" per farle "bere mezzo litro di vodka e costringerla ad avere rapporti di gruppo". "Quando Beppe Grillo dice che suo figlio è chiaramente innocente perché non è né in carcere né agli arresti domiciliari - prosegue la Boschi - dice una falsità da un punto di vista giuridico che non sta né in cielo né in terra". Infine l'invito a qualche donna nel M5s che si dissoci. Invito caduto nel vuoto visto e considerato che la grillina Alessandra Maiorino ha rimandato al mittente le accuse definendo la Boschi un "avvoltoio".
Paola Zanca per "il Fatto quotidiano" il 20 aprile 2021. Non dite a Beppe Grillo - anzi sì, diciamoglielo - che denunciare una violenza dopo otto giorni non è "strano", come sostiene lui. È "strano" il contrario: avere immediatamente la consapevolezza, l'autodeterminazione e il coraggio necessari a presentarsi in caserma e raccontare cosa ti è successo. A volte - si tenga forte, Grillo - ci vogliono mesi solo per realizzare quel che ti è accaduto, per convincerti che non sei stata tu ad aver sbagliato. È per questo che un anno e mezzo fa, il Parlamento ha raddoppiato i tempi entro cui è possibile sporgere querela: erano troppo pochi i sei mesi previsti dalla legge. E il Codice rosso - lo hanno firmato i ministri del Conte-1, Alfonso Bonafede e Giulia Bongiorno - ha allargato a un anno la finestra a disposizione della vittima per denunciare. Semmai le dovesse venire in testa di girare un altro video sul tema, le agevoliamo un altro paio di novità introdotte dalla giurisprudenza e dal codice penale: puoi essere stuprata anche se hai i jeans, la minigonna non istiga alla violenza, un no è un no (anche se un minuto prima aveva detto sì), l'alcol può essere un'aggravante. E anche quella cosa del matrimonio riparatore, attenzione a non confondersi: sono solo quarant' anni, ma non funziona più.
Michela Murgia per "la Repubblica" il 20 aprile 2021. Per far capire agli scettici nostrani del #metoo quanto sia difficile per una donna denunciare una violenza sessuale basterebbe mostrare loro il video con cui Beppe Grillo, coi toni scomposti delle reazioni a caldo, insinua che in una denuncia presentata otto giorni dopo i fatti ci sarebbe qualcosa di "strano", cioè sospetto e dubitabile. La presunta vittima, colpevole di essere stata troppo lenta a reagire, sarebbe dunque la vera carnefice, decisa a incastrare a posteriori dei ragazzi ingenui senz' altra colpa che quella di esser stati troppo esuberanti. Grillo esprime una presunzione comune a molte persone: quella di sapere come dovrebbe comportarsi ogni vera vittima di violenza per essere credibile (e dunque creduta). Secondo questo vademecum dell' affidabilità, la donna deve correre subito al primo commissariato e contestualmente al pronto soccorso, altrimenti è legittimo pensare che si sia inventata tutto a mente fredda per incastrare qualcuno e magari specularci su. Come troppi, il fondatore del Movimento 5 Stelle fa finta di ignorare che vivere l'esperienza di uno stupro non è come subire un furto. Capire di esser stata violentata mentre eri ubriaca è tutt' altro che immediato. Devi ricordare, poi superare la vergogna di confessarlo, affrontare la paura di non essere creduta (ti chiederanno com'eri vestita? Perché avevi bevuto? Come mai eri lì?) e sopportare l'ipotesi - utile agli inquirenti, ma terrificante per te - che esistano prove digitali che possano nel frattempo girare pubblicamente e che, nel caso di un rinvio a giudizio, finirebbero sotto gli occhi di decine di estranei pronti a giudicare i tuoi atteggiamenti intimi decine di volte. Visti da questa prospettiva, otto giorni per trovare il coraggio di denunciare sembrano persino pochi, invece per Grillo - manettaro da politico e garantista da genitore - sarebbero già la prova che non è vero niente, rafforzata da un filmato dove la presenza di consensualità si evincerebbe dal solo fatto che un gruppo di maschi diciannovenni sembri divertirsi molto. In che modo si siano divertiti Grillo junior e i suoi amici lo stabilirà ovviamente un tribunale. A noi spetta invece interrogarci sulla strana idea di consensualità che emerge dal ragionamento di Grillo senior, perché sta alla base della diffusa difficoltà italiana a riconoscere come tale qualunque violenza sessuale. Il consenso tra adulti esiste se le persone fanno un patto su termini condivisi. La persona consenziente è quindi quella che ha espresso un accordo esplicito. Ovvio? Non se parliamo di sesso. Per un meccanismo sociale che si chiama cultura dello stupro quella secondo la quale la violenza è sexy e la sessualità è violenta - in Italia avviene infatti l'esatto opposto: il consenso femminile ai rapporti sessuali è considerato implicito anche in assenza di disaccordo. Se non dici no, allora è già sì. Non ha alcuna importanza se il tuo rifiuto è impedito dal fatto che sei ubriaca, spaventata o intimidita da circostanze, sostanze e persone. Questi fattori possono essere addirittura considerati rafforzativi del consenso, giacché se hai assunto alcool o droghe è perché volevi perdere il controllo. Per questo, agli occhi di molti, bere sottintende già il consenso a fare sesso in stato di alterazione, così come l'indossare abiti convenzionalmente definiti provocanti o l'accettare situazioni confidenziali che però non sono ancora sessuali. Il consenso come volontà espressa non gode di gran credito nel nostro Paese, dove fior di commentatori sui giornali intervengono a giorni alterni per lamentarsi di quanto il #metoo abbia ucciso il romanticismo e di come chiedere assenso esplicito burocratizzi la spontanea arte del corteggiamento. La vicenda Grillo è come tante e la dirimerà un giudice, ma ai ragazzi e alle ragazze chiederei di usarla per fare un piccolo esperimento sociale in famiglia. Mostrate ai vostri genitori il video dell'ex comico e chiedete loro: papà, se mi diverto col corpo di un' altra persona senza chiederle il permesso, anche tu mi difenderai così? Mamma, se bevo a una festa e poi mi fanno questo, anche tu mi scaricherai così? C' è un Grillo in ogni famiglia. Forse è il momento di stanarlo.
M5s, Elisabetta Trenta dopo il video di Grillo sul presunto stupro di gruppo: “Mi sento offesa da quel video, Beppe va contro le nostre battaglie”. Giovanna Casadio su La Repubblica il 21 aprile 2021. Intervista all'ex ministra della Difesa: "Abbiamo esteso da sei mesi a un anno il tempo per la denuncia proprio perché le violenze vengono segnalate molto dopo il fatto". "Posso accettare lo sfogo e il dolore di un padre, ma Beppe Grillo è la nostra bandiera e dire queste cose è andare contro le stesse battaglie e i valori del Movimento 5Stelle. Come donna io mi sono sentita offesa". Elisabetta Trenta, l'ex ministra della Difesa, ora semplice attivista grillina (come si definisce), ha pubblicato un post su Facebook in cui critica Grillo per quel video in difesa del figlio Ciro accusato di stupro in concorso con altri ragazzi...
Beppe Grillo, le donne e lo stupro: ultra decennale storia del sessismo a Cinque stelle. Susanna Turco su L'Espresso il 20 aprile 2021. Da Levi Montalcini «vecchia puttana» al «punto G» di Salsi, passando per «cosa fareste da soli in auto con la Boldrini», fino all’angosciante caso di Sarti. Ecco la visione del Garante che ha fatto proseliti nel M5S. Molti anni prima del video in difesa del figlio Ciro. Eppure, bisogna dirlo, c'è della coerenza. Un filo evidente di coerenza che porta dritto a una visione del mondo. Ha provocato molta indignazione la ricostruzione difensiva contenuta nel video in cui Beppe Grillo protesta l'innocenza di suo figlio Ciro, accusato di «stupro di gruppo». In particolare, in due passaggi, che svelano un maschilismo arcaico, perfettamente patriarcale, abbastanza in contrasto con l'immagine di un leader politico digitale, ambientalista e tanto attento alla contemporaneità. Anzitutto - andando peraltro nel verso contrario all'evoluzione giuridica del Codice rosso - Grillo asserisce che è «strano» la vittima abbia denunciato dopo otto giorni, come se la veridicità di uno stupro fosse legata alla sveltezza con cui viene rivelato alle autorità. E, secondo, afferma una idea di consensualità molto particolare: per lui si evince dal fatto che in un video della serata «c'è il gruppo che ride, che sono ragazzi di 19 anni, che si stanno divertendo», «perché sono quattro coglioni, non quattro stupratori». Ecco, al netto degli aspetti giudiziari, che probabilmente non terranno conto del video di Grillo (o almeno: questo è ciò che deve sperare, perché la legale della vittima, Giulia Bongiorno, ha già dichiarato che lo porterà «come prova a carico») è utile collocare in quale universo simbolico e valoriale si inseriscano le parole del fondatore dei Cinque stelle. Rispetto al quale le apparenti bizzarrie del leader trovano il loro posto. Quale sia l'idea delle donne nel vertice del Movimento, si evince da alcuni esempi della storia sua e del partito. I più ricorderanno anzitutto con quale argomento Grillo redarguì la consigliera di Bologna Federica Salsi, colpevole di essere andata in tv a Ballarò: era vittima del «punto G, quello che ti dà l'orgasmo nei salotti dei talk show». Apostrofata in quanto donna, per un (presunto) reato che peraltro si è poi esteso a tutti, trasversalmente al genere. È la tipologia del pubblico linciaggio, che ha avuto varie articolazioni. Famoso il post del 2014 del blog gestito dalla Casaleggio: «Cosa fareste da soli in auto con la Boldrini?», titolo a un video sull'allora presidente della Camera che scatenò i peggiori istinti e commenti della rete. Si scusò qualcuno, all'epoca? Boldrini si infuriò dicendo che era «istigazione alla violenza»; Claudio Messora, allora responsabile della comunicazione M5S, volle replicare: «Cara Laura, volevo tranquillizzarti. Anche se noi del blog fossimo tutti potenziali stupratori, tu non corri nessun rischio». Politiche attaccate perché donne, donne trattate come oggetti sessuali, a tutti i costi: persino Rita Levi Montalcini non fu risparmiata, Grillo le diede della «vecchia puttana». Sessismo con automatismi che aprono la porta alla violenza e l'accolgono con pacche sulle spalle. Nel gennaio 2016, anche l'hashtag #boschidovesei, nell'ambito degli attacchi a Maria Elena Boschi relativi alla vicenda di Banca Etruria, fu lanciato in rete da Grillo con un tweet sessista: «#Boschidovesei in tangenziale con la Pina». Anche se si trattava di banche, conflitti di interesse, l'aggressione cadeva là: l'allusione era in tangenziale. Resta nelle cronache, a novembre 2018, l'attacco modello Boldrini promosso sul blog del Movimento ai danni della deputata di Forza Italia Matilde Siracusano, rea di aver criticato in Aula il decreto anticorruzione e lodato Berlusconi: irriferibili i moltissimi commenti osceni di cui il blog consentì la pubblicazione, sotto il video rimontato del suo intervento alla Camera. Li ripostò lei stessa, per denunciare la violenza subìta. Non possiamo del resto dimenticare, anche dentro al Movimento, quale trattamento fu riservato a Giulia Sarti, la parlamentare che è stata vittima del sessimo grillino più violento: sue foto private sono state in giro per anni, dopo un hackeraggio che, secondo alcuni del M5S era stato «inside job». Una vicenda angosciante, tra il revenge porn e il regolamento di conti interno. Un lavoro sporco, comunque mai chiarito. Giusto a dire in quanta considerazione tenga il genere – lui che pure ha fondato un partito dove tante sono le donne, a partire dalle sindache Virginia Raggi e Chiara Appendino – fu Grillo stesso, in occasione della campagna elettorale per le Europee 2014, quando Renzi candidò cinque donne capilista, a parlare di «quattro veline» (circolava del resto anche un fotomontaggio ad hoc) la cui «scelta è una presa per il culo ma tinta di rosa». Per forza: sono donne. Le «loro» donne, diverse dalle «nostre», come ebbe poi a chiarire in uno dei suoi spettacoli : «Ora lo psiconano vuole incontrarci: vorrà capire se nel Movimento c'è fica. Ma le nostre donne sono diverse dalle sue, forse non la danno nemmeno ai mariti». Battute, certo. E anche: un uso illuminante degli aggettivi possessivi. Una volta, durante il suo spettacolo, per spiegare qualcosa che si presentava come una contraddizione in termini, disse: «È come violentare una puttana: è lì per quello». Frasi che sono indici di modi di pensare: «Siete qui perché siete brave solo a fare pompini» gridò Massimo Felice De Rosa dai banchi del gruppo M5S alla Camera contro le deputate dem. E, ancora, reazioni che sono indici di modi di pensare: quando il vicecapo legislativo del mise, Enrico Esposito, amico e collaboratore di Luigi Di Maio fu messo nel mirino (proprio dall'Espresso) per alcuni tweet sessisti e omofobi di qualche anno prima, replicò dicendo che quelle affermazioni erano solo «black humor» e «satira » del suo «alter ego radiofonico». Insomma scherzava anche lui. Il viraggio dalla risata e alla violenza può essere carta velina, si sa. E certo, Grillo dirà che molte delle sue uscite sono espressioni paradossali di un artista. Ma spesso l'ambiguità e il raccapriccio prevalgono. Come quando scrisse, all'alba del suo blog (agosto 2006), in un post dal titolo “Nuovo femminismo”: «Le donne non sono mai state così desiderate. Il desiderio maschile cede alla passione che poi cede allo stupro. È da animali, ma è così. La natura fa il suo corso».
Caro Grillo, non esiste la presunzione d’innocenza senza il rispetto delle vittime. Grillo difende l’innocenza della propria progenie, ma infanga la vittima, dandole sostanzialmente della bugiarda, colpevole a suo dire di tardiva denuncia. Antonella Rampino su Il Dubbio il 20 aprile 2021. Come un “Urlo” di Munch fattosi parola, l’arringa di Beppe Grillo in favore del figlio imputato per il più odioso dei reati, un presunto stupro di gruppo, ha fatto irruzione violenta nel dibattito pubblico. E come cercando un soffio di razionale in qualcosa dalla quale la ragione se l’era invece palesemente data a gambe, è stata qua e là aggettivata come “garantista”. Chissà, ci si è anche chiesto, forse è il primo segno di una conversione dei grillini al garantismo…Come a voler trovare qualcosa di buono in un video che è invece urticante e impudico tanto quanto può esserlo mettere in scena all’estremo tutto il proprio dolore e la propria rabbia, senza alcun filtro. É scelta e sensibilità individuale, e dunque materia di pura umana discrezionalità, giustificare Beppe Grillo ”in quanto padre”, oppure rilevare che pur non rivestendo alcun ruolo istituzionale si tratta di un leader politico -e del partito di maggioranza relativa in Parlamento e al governo- che non dovrebbe mai pubblicamente trascendere (ed è facile profezia ritenere che quel video danneggerà politicamente i 5 Stelle più di qualsiasi altro errore dei vari che il MoVimento possa aver commesso). Ma usare l’aggettivo garantista no, proprio no: davvero è fuori luogo. Intanto, il garantismo rispetta le vittime: non si limita, come ovvio, ad affermare la presunzione di innocenza per gli indagati e gli imputati, prescritta nell’ordinamento italiano a diversi livelli giuridici a partire dal più alto, la Carta costituzionale. E invece certo Grillo difende l’innocenza della propria progenie, ma infanga la vittima, dandole sostanzialmente della bugiarda, colpevole a suo dire di tardiva denuncia -8 giorni, quando non a caso la legge prevede un termine di 6 mesi, e la non revocabilità della querela- e di aver tentato di condurre una vita normale nei giorni e nelle ore successive ai fatti. Affermazioni che prevedono tra l’altro l’essere perfettamente a digiuno della lunga storia dei reati sessuali nell’ordinamento italiano, divenuti solo da pochi decenni contro la persona e non più contro la “morale pubblica”, e al prezzo di lunghe lotte sociali e politiche prima che di diritto. È un po’ come se Beppe Grillo non avesse mai sfogliato un quotidiano, con le cronache piene per decenni delle umiliazioni a cui venivano sottoposte le donne che denunciavano violenze sessuali nelle aule dei tribunali (cosa che comunque accade ancora oggi, rendendo difficile alle vittime sottoporsi ai processi che seguono le denunce per stupro: l’arretratezza culturale italiana fa si che troppo spesso la vittima si ritrovi ad esser trattata come un imputato). Il “codice rosso” che allunga a 6 mesi i tempi di denuncia di violenze e molesti e sessuali è dovuto proprio anche alla difficoltà cui va incontro nel chiedere giustizia chi di quegli atti è stato vittima. E dov’è il garantismo, nel protestare “mio figlio è innocente, sennó lo avrebbero messo in galera subito, invece è libero da due anni”? Sembra, piuttosto, un argomento in favore della carcerazione preventiva, delle manette che scattano e restano serrate mentre magistrati e forze dell’ordine indagano: il sintomo di una ”cultura” -di una sottocultura- giuridica di tutt’altro tipo, che in Italia si è faticato a rovesciare ma che ancora sopravvive. E che è appunto il sintomo di qualcosa di diametralmente opposto: la presunzione di colpevolezza. Anche volendo tralasciare altri passaggi in cui, forse perché in preda alla violenza delle sue emozioni, Grillo ha mostrato scarsa conoscenza della storia giuridica dei capi d’imputazione di cui dovrà rispondere suo figlio in tribunale, l’esito fattuale è stato aver fornito un inevitabile assist alla difesa della vittima. Non siamo nel sistema giuridico americano, nel quale spostare l’attenzione sulla vittima e sulle sue eventuali manchevolezze è da sempre tecnica efficace -anche perché oltre Atlantico chi emette sentenze è una giuria popolare, non giuristi in toga. Ma l’avvocata della difesa Giulia Bongiorno ha immediatamente chiesto l’inserimento del video negli atti processuali: testimonia in quale cultura è stato allevato il presunto stupratore. Il cui padre descrive la scena del delitto come una semplice notte brava, “c’è un video! Sono ragazzini che si divertono!”. É questo il punto più grave, il nervo scoperto dell’assoluta mancanza di garantismo nelle parole di Grillo: ferma restando la presunzione di innocenza degli imputati, proprio perché il processo sia equo occorre rispettare le vittime. Se dopo una “notte brava” qualcuno sporge denuncia, deve essere la magistratura nella disanima dei fatti ad emettere il giudizio. Non il padre dell’accusato. Che avrebbe potuto -meglio: dovuto- protestare l’innocenza del figlio anzitutto scusandosi con chi, denunciando, ha mostrato di esser stato offeso. E tanto più se l’offeso è una donna, e per la via di atti sessuali: non per niente, non perché “di sprezzo degno/ se stesso rende/ chi pur nell’ira/ la donna offende” (Francesco Maria Piave, La Traviata, anno 1853), ma perché siamo in Occidente, e nel XXI secolo. Non esiste la presunzione di innocenza dei colpevoli senza il rispetto delle vittime. Simul stabunt, simul cadent. Sono l’una lo specchio dell’altra. Ma appunto, il video di Grillo era solo un urlo. Un doloroso, irrazionale, irragionevole evitabilissimo grido.
Da romatoday.it il 21 aprile 2021. Dopo 2 anni di accuse al figlio, il fondatore del Movimento 5 Stelle Beppe Grillo ha sbottato e si è sfogato con un video che ha provocato una vera e propria bufera. Da un lato la difesa del figlio Ciro, dall'altra le velate colpe alla vittima. Un video sui social che si ribalta in una colpevolizzazione della vittima quando dice che "una ragazza che la mattina viene stuprata, il pomeriggio fa kitesurf e 8 giorni dopo fa la denuncia, è strano". E proprio l'attacco alla vittima ha scatenato la bufera. Bufera giunta fino a Roma dove è sindaca Virginia Raggi, donna del M5s, che ieri è finita oggetto di un vero e proprio pressing. Una richiesta di presa di distanze da più parti politiche che solo ieri sera ha visto la prima cittadina prendere posizione. "E' una storia piena di dolore con vittime giovanissime", ha spiegato Raggi a margine di un evento in Campidoglio. "Capisco la sofferenza di Beppe ma per una donna deve esserci sempre la possibilità di denunciare". Poche parole per accodarsi a quelle del leader in pectore del M5s, Giuseppe Conte: "Comprendo le preoccupazioni e l'angoscia di un padre, ma non possiamo trascurare che in questa vicenda ci sono anche altre persone, che vanno protette e i cui sentimenti vanno assolutamente rispettati, vale a dire la giovane ragazza direttamente coinvolta nella vicenda e i suoi familiari che sicuramente staranno vivendo anche loro momenti di dolore e sofferenza. In questa vicenda vi è poi un principio fondamentale che non possiamo mai perdere di vista: l'autonomia e il lavoro della magistratura devono essere sempre rispettati. Perciò anche in questo caso attendiamo che i magistrati facciano le loro verifiche". A chiedere con forza una presa di posizione di Raggi ci avevano pensato per tutto il giorno le consigliere del Pd capitolino Valeria Baglio, Ilaria Piccolo e Giulia Tempesta. "Le parole di Beppe Grillo sono di una gravità assoluta. Tutta la mia solidarietà va alla ragazza coinvolta e alla sua famiglia, che hanno visto banalizzare il loro dolore. Se c'è stata una violenza, saranno i giudici a deciderlo: a differenza di Grillo, noi siamo garantiste sempre, non solo quando sono coinvolti familiari o amici. Di certo, però, uno stupro non è "quattro coglioni che si divertono": se non c'è assenso, o non ci sono condizioni di dare l'assenso, si tratta di violenza. Non è un divertimento, di certo non per chi è vittima e porta dentro di sè una cicatrice così profonda. All'interno delle Istituzioni ci battiamo ogni giorno affinchè per le vittime sia meno difficile denunciare, affinchè si sentano protette, affinchè non vengano lasciate sole. Sfruttare la propria visibilità mediatica per usare parole che pesano come pietre è vergognoso. Spero che il video venga ritirato al più presto, e che il fondatore del gruppo di maggioranza relativa in Parlamento chieda scusa. Per senso di responsabilità, ma anche e soprattutto per dignità. Ci aspettiamo parole di condanna, ancora non pervenute, da parte della Sindaca di Roma: ci si deve esporre sempre, a difesa delle donne, quando viene lesa la loro dignità". Linea condivisa anche dal coordinatore romano dell'Udc Roberto Riccardi: "Il video del "giustizialista a giorni alterni" è scandaloso. Non sta a noi dire abbia torto e chi ragione, spetta ai magistrati, ma è vergognoso che Grillo usi il suo potere mediatico e politico per assolvere il figlio accusato di stupro di gruppo. Reputiamo indispensabile che Virginia Raggi, sempre pronta a rilasciare dichiarazioni, prenda una posizione decisa e pubblica a difesa di tutte le donne. Lo faccia almeno stavolta, dopo i silenzi di quando Beppe Grillo definì sul suo blog i romani gente di fogna".
Da ilgiorno.it il 21 aprile 2021. Il caso Grillo non smette di sollevare reazioni dentro e fuori dal Parlamento. E anche all’interno del M5S non mancano i distinguo. Dopo il caso della deputata Daga, che aveva criticato Grillo, affermando di avere subito lei stessa violenza ed avere trovato il coraggio di denunciare dopo sei mesi, anche il ministro grillino delle Politiche agricole Stefano Patuanelli dice la sua: “Io credo che chi si sente vittima di violenza possa denunciarlo in qualsiasi momento. Dopodiché è la magistratura che deve decidere e lo fa sulla base di dati e fatti“. La tesi è semplice: “Capisco la difficoltà e la grande preoccupazione, la grande sofferenza di Beppe padre, sono padre anch’io. Ma capisco anche la condizione di chi oggi si sente vittima e capisco che alcuni elementi del video portano a un dibattito che sarebbe stato meglio evitare, perché portare il piano politico ad intersecarsi con quello personale e privato lo ritengo fuori luogo”. Il rilievo, anche qui, è sui tempi della denuncia. “Io credo che le vittime debbano poter denunciare in qualsiasi momento se si sentono vittime - ha aggiunto - dopo di che la magistratura è quella che deve decidere e lo fa sulla base di dati e fatti da ricostruire ad accertare”. Hanno poi destato scalpore le parole di Marco Travaglio, da sempre sponsor dell’ex comico, fondatore dei M5S: “ Grillo non ha sbagliato a difendere suo figlio. E fanno ribrezzo quanti, col ditino alzato, deplorano la sua rabbia: vorrei vedere loro, al suo posto“. Poi ammette che nel video qualcosa non andava: “Gli errori sono altri - aggiunge Travaglio -, primo, far intendere che la consensualità del rapporto sessuale sia dimostrata dal ritardo di 8 giorni con cui la ragazza ha sporto denuncia: a volte possono passare anche mesi, e giustamente la nuova legge del Codice rosso (firmata dal suo ministro Bonafede e dalla Bongiorno) ha raddoppiato i tempi per le querele da 6 mesi a 1 anno”. “Il secondo è l’assenza di una parola di vicinanza alla ragazza, che comunque, se ha denunciato, si sente vittima. Potrebbe esserlo, come pure non esserlo: alcune denunce di stupro si rivelano fon date e altre infondate”. Subito dopo Travaglio aggiunge: “Sarà il gup a decidere se Ciro e i suoi tre amici vanno processati e altri giudici stabiliranno se fu stupro o no. Invece tutti parlano come se lo stupro fosse già certo, senza non dico una sentenza, ma neppure un rinvio a giudizio“. Un’uscita che non ha mancato di scatenare indignazione: “Per Travaglio lo stupro è qualcosa che può accadere in una serata alcolica. Cito testualmente le sue parole e non aggiungo altro sulla misoginia, gli stereotipi ed un certo modo di pensare che derubrica la violenza contro le donne. C’è una retorica di cui da uomo mi vergogno degli altri uomini dietro questa frase”. Lo dice il presidente dei senatori di Italia Viva Davide Faraone”. E anche dal territorio la musica è la stessa. “Non entro nella vicenda giudiziaria e rispetto la sofferenza di un padre, ma Beppe Grillo ricopre un ruolo politico quindi su certi temi ci vuole attenzione e cautela, perchè si rischia di fare grandi danni con certe affermazioni. Sbandieriamo quotidianamente la necessità di difendere le donne e poi ne usciamo con un video di quel tipo”. Così Massimiliano Fedriga, presidente del Friuli Venezia Giulia.
Caso Grillo, Appendino prende le distanze dal fondatore: "Non c'è un momento per denunciare". Giornata di polemiche, con i grillini torinesi che si dividono. Lo staffista della sindaca scrive su Facebook: "Forza Beppe, vicenda vergognosa". Ma c'è chi invece definisce "raccapriccianti" le parole del comico. La Repubblica il 21 aprile 2021. "Non c'è un momento giusto. Una donna o un uomo hanno diritto di denunciare eventuali violenze quando lo ritengono più opportuno e comunque entro i termini stabiliti dalla legge, che sono stati correttamente allungati". Così, interpellata dall'Ansa, la sindaca di Torino Chiara Appendino a proposito della vicenda del video diffuso da Beppe Grillo sull'inchiesta in cui il figlio è accusato di stupro. "La giustizia, poi, farà il suo corso, come lo farà in questa vicenda - aggiunge Appendino -. Purtroppo, con i suoi tempi e portandosi dietro la sofferenza di tutte le parti coinvolte, anche quella di Beppe a cui sono umanamente vicina". La polemica sul video-sfogo di Beppe Grillo relativo alla vicenda giudiziaria del figlio arriva anche sui banchi del Consiglio comunale di Torino. Ed è scontro all'interno dei Cinque Stelle, tra prese di distanza e condanne da un lato, e messaggi di vicinanza e sostegno al garante del Movimento dall'altro. Ad aprire la polemica in realtà era stato Xavier Bellanca, uno dei suoi stretti collaboratori, il suo social media manager, che, sotto il post in cui Beppe Grillo ha pubblicato il suo discusso video-sfogo, ha commentato così: "Una vicenda semplicemente vergognosa. Forza Beppe" corredato da un cuore. Analoghi messaggi di solidarietà dal grillino Davide Serritella ("Forza Beppe. Mi dispiace per tutto ciò che state passando. Hai fatto bene a dire come stanno le cose. Aspettiamo la verità. Forza Beppe!") e dalla consigliera M5s Monica Amore, appena finita nella bufera per il suo post contro il gruppo Gedi, corredato da vignette antisemite: "Forza Beppe non mollare, mi raccomando" con varie faccine aggiunte. Parole a cui fanno da contraltare, sempre nell'universo grillino torinese, le voci critiche nei confronti del fondatore del Movimento. "Prima di essere un consigliere comunale del M5s sono un marito, uno zio di una bambina e spero, in un futuro, di essere anche un padre - ha commenta su Facebook Marco Chessa - Trovo quindi normale e corretto non concordare e dissociarmi da quanto riferito da Beppe Grillo su un caso che deve essere valutato esclusivamente nelle sedi competenti. Nella speranza che la cultura dello stupro non venga mai più alimentata, ma, al contrario, debellata". Posizione condivisa non solo dalla collega di gruppo Daniela Albano, che definisce le parole di Grillo "nei confronti della donna che ha denunciato la violenza, raccapriccianti", ma anche dall'ex M5s, oggi consigliere M4o, Damiano Carretto. Quest'ultimo ha anche presentato una richiesta di comunicazioni alla sindaca in merito al sostegno manifestato sotto il post di Grillo "da uno staffista e da diversi consiglieri e consigliere della maggioranza al vergognoso video di Beppe Grillo che utilizza toni inaccettabili quando si parla di un tema così delicato".
Grillo e la difesa del figlio, Boschi: "Le donne del M5S prendano le distanze". La replica di Taverna: "Serve rispetto, no a speculazioni da sciacalli". Maria Edera Spadoni (5S): "Una donna ha diritto di denunciare". Salvini: "Garantista quando gli conviene". La Repubblica il 19 aprile 2021. "Le parole di Beppe Grillo sono piene di maschilismo. Fanno torto a tutte le vittime di violenza". La renziana Maria Elena Boschi punta il dito contro il Garante del Movimento 5 Stelle, che ha pubblicato su Facebook un video in cui difende il figlio Ciro, accusato di stupro insieme ad altri suoi tre amici genovesi, nei confronti di una ragazza italo-svedese conosciuta in Sardegna a Porto Cervo nell'estate del 2019. Parole che hanno provocato l'indignazione di tutto il mondo politico. Due esponenti dei 5Stelle si pronunciano: Maria Edera Spadoni (5S) esprime un cauto dissenso: "Parole Beppe? Una donna ha diritto di denunciare quando se la sente". Così Elisa Tripodi: "La magistratura valuterà, ma le donne hanno sempre il diritto di denunciare, come e quando lo ritengono più opportuno. Mi auguro che la vicenda verrà trattata con serietà e rispetto". "Mi piacerebbe - aveva detto Boschi - che dentro il Movimento 5 Stelle qualcuno, magari qualche donna, prendesse le distanze da Beppe Grillo". Ma la senatrice pentastellata Paola Taverna replica: "La magistratura è al lavoro, perciò auspico che giornali e talk show lascino che questa vicenda si risolva, come giusto che sia, in tribunale. Serve rispetto: no a speculazioni da sciacalli". "Mai si può trasformare una vittima in colpevole: qui c'è una ragazza che ha denunciato un reato grave contro la sua libertà sessuale. Ne va rispettata la dignità e tutelata la persona, in ogni modo. Quanto al resto decideranno i giudici. Grillo abbia rispetto di questa ragazza e del lavoro della magistratura", attacca Cecilia D'Elia, presidente della conferenza delle donne del Pd. Non risparmia le accuse neanche la capogruppo dem al Senato, Simona Malpezzi: "Leparole utilizzate da Grillo sono pietre. Dopo anni di legislazione contro la violenza sulle donne, esprimono quanto di più lontano da qualunque forma di cultura del rispetto di chi denuncia abusi sessuali. Il frasario tipico di chi colpevolizza la vittima non può trovare alcuna forma di spazio pubblico nell'Italia del 2021".E il leader della Lega, Matteo Salvini, aggiunge: "Da Grillo garantismo a giorni alterni. Il sabato Salvini è colpevole, il lunedì suo figlio è innocente". "Io rispetto il bisogno di protezione di un padre verso un figlio. Ma un padre dovrebbe rispettare anche il dolore di una donna che potrebbe essere sua figlia e che denuncia uno stupro" scrive su Facebook l'ex ministra di Iv, Teresa Bellanova. "Il rispetto - aggiunge - si esercita soprattutto aspettando le sentenze definitive. In silenzio. Lasciando che gli organi preposti svolgano il loro difficile lavoro verso la verita' delle cose. Con rispetto". E mentre gli esponenti del Movimento 5 Stelle, dall'ex Alessandro Di Battista ("Coraggio Beppe, spero che tutto si risolva presto) a Vito Crimi ("Vicini a Beppe, la magistratura accerterà la verità") difendono Grillo, in molti dagli altri partiti non risparmiano le polemiche. Il pd, Andrea Romano, concentra le accuse in particolare su una frase pronunciata dal fondatore del M5S nel suo video in difesa del figlio: " 'Ma se vieni stuprata, poi vai a fare kitesurf?'. Basterebbe questa frase di #Grillo - scrive Romano su Twitter - pura colpevolizzazione della vittima, a bandirlo per sempre da qualsiasi tavolo politico. Utile se avvenisse, anche per lavorare all'alleanza possibile con M5s senza il peso della sua barbarie". E l'europarlamentare dem, Pina Picierno, aggiunge: "Condannare o assolvere il figlio di Grillo spetta alla magistratura, ma non si può tacere sulle parole del padre: affermare che la veridicità di uno stupro dipenda dai tempi della denuncia è un'aberrazione e offende le vittime a cui è servito del tempo per denunciare l'aggressore".
Beppe Grillo e la popolarità politica (a fini privati) che umilia il M5S. Il video di Beppe Grillo a difesa del figlio Ciro accusato di stupro è un’ulteriore conferma che chi è abituato a giudicare tutti non tollera di essere giudicato. E anzi non riconosce autorità a chi per legge è chiamato a farlo. Roberto Saviano su Il Corriere della Sera il 21 aprile 2021. A Beppe Grillo va riconosciuta la capacità di far parlare di sé, e non solo perché è uno degli uomini più influenti d’Italia; sono i toni utilizzati, è la cifra comica divenuta cifra politica e messa a disposizione di una visione personale delle cose e del mondo da sempre nella sostanza sessista, razzista e intrinsecamente contraddittoria. E tutto questo, per quanto possa sembrare incredibile, fino a qualche tempo fa faceva persino ridere. Oggi Beppe Grillo si è ridotto a utilizzare la sua enorme popolarità politica per fini privati, incurante di umiliare le esponenti e gli esponenti del suo stesso movimento che tanto si sono spese e spesi perché alle donne fosse consentito il massimo tempo possibile per denunciare una violenza subita. Fanno ridere, per non dire altro, quelli che, nel tentativo disperato di difendere l’indifendibile — banalizzazione di una nobile virtù pannelliana —, hanno sottolineato «il dolore del padre» raggiungendo vette di involontaria comicità degne de «l’occhio della madre» di fantozziana memoria: o si è spietati sempre o non si è spietati mai, non ci sono vie di mezzo, ma solo convenienze personali. Fanno ridere, ma sono anche offensivi, perché sembrano suggerire che questa sia la normale reazione di qualsiasi padre in una situazione simile. Ovviamente non è così, con l’aggravante, per il comico-politico, di aver usato abusivamente un pulpito non suo; a meno di voler ammettere che il movimento pentastellato sia una proprietà privata, come la dependance di una villa in Sardegna. Ma dalle parole di Grillo traspare anche altro, e non si può non pensare a quanto gli avvocati del figlio siano disperati dopo una tale intemerata. Pare quasi che il comico-politico abbia atteso pazientemente la fine delle indagini— nonostante ci si trovi in una fase all’esito della quale la Procura potrebbe ancora chiedere l’archiviazione degli atti — per poi reagire pesantemente e in apparenza d’istinto; quasi che avesse diverse aspettative, e non solo in veste di padre. Come pure è assai interessante il passaggio sulla custodia cautelare alla quale Ciro Grillo e i suoi amici sarebbero «scampati». Grillo sembra voler far intendere che, siccome il figlio non è stato arrestato, allora è innocente. Molti hanno scritto che oggi Grillo è garantista con sé dopo essere stato giustizialista con tutti gli altri: ma cosa c’è di più giustizialista della equiparazione tra custodia cautelare e colpevolezza? Soprattutto in un Paese come l’Italia, che negli ultimi trent’anni ha pagato quasi un miliardo di euro per risarcire migliaia di ingiuste detenzioni cautelari. Grillo continua, anche quando parla di suo figlio, a considerare la custodia cautelare alla stregua di una sentenza di colpevolezza e questo è assolutamente coerente con la sua storia, che non è una bella storia. E così, un’ultima considerazione — ultima non per importanza — può essere fatta oggi grazie al suo latrato, e riguarda il potere cautelare esercitato in Italia dall’Autorità giudiziaria, i cui limiti, data l’entità dei risarcimenti per ingiusta detenzione, evidentemente meritano una profonda riflessione da parte del legislatore. Grillo si chiede perché suo figlio non sia stato arrestato, io mi chiederei piuttosto come sia potuto accadere che un numero così enorme di cittadini è stato ingiustamente privato della propria libertà personale in questi anni. Si può concludere pensando che, nonostante tutte le bestialità dette, lo sfogo di Grillo in fondo un’utilità l’abbia avuta perché, ragionando al contrario di come fa lui, si ha sempre la possibilità di trovare la via per capire bene cosa accade. Ed è questo, forse, il suo estremo contributo alla nostra vita pubblica: l’aver confermato, ancora una volta, che coloro i quali giudicano tutti, non tollerano di essere a loro volta giudicati e non riconoscono alcuna autorità a chi per legge è chiamato a farlo.
Le polemiche sul garante 5 Stelle. Grillo e l’indagine sullo stupro, Conte fa l’equilibrista: “Comprendo Beppe ma non trascuro la ragazza”. Carmine Di Niro su Il Riformista il 20 Aprile 2021. Dopo ore di "rumoroso silenzio", Giuseppe Conte interviene sul caso di Beppe Grillo e del video pubblicato lunedì dal garante del Movimento 5 Stelle per difendere il figlio Ciro, indagato e a rischio di rinvio a giudizio in una inchiesta in cui è accusato dello stupro di una ragazza 19enne avvenuto nel 2019 nella villa in Sardegna del comico. L’ex premier, che punta alla leadership del Movimento 5 Stelle, usa parole misurate e difende sia Grillo che la presunta vittima della violenza, dopo le tante sollecitazioni arrivate in particolare dagli "alleati" del Partito Democratico con l’ex ministro Peppe Provenzano e il senatore Andrea Marcucci. Conte spiega in una nota di “comprendere le preoccupazioni e l’angoscia di un padre”, riferendosi così a Beppe Grillo, ma “non possiamo trascurare che in questa vicenda ci sono anche altre persone, che vanno protette e i cui sentimenti vanno assolutamente rispettati”. Così l’ex premier si riferisce “alla presunta vittima, la giovane ragazza direttamente coinvolta nella vicenda e i suoi familiari che stanno vivendo anche loro momenti di dolore e sofferenza”. Da Conte quindi la difesa del garante grillino, con cui ha avuto modo di parlare “in più occasioni e conosco bene la sua sensibilità su temi particolarmente delicati. Sono ben consapevole di quanto questa vicenda familiare lo abbia provato e sconvolto. E’ una vicenda – ha aggiunto il futuro leader del Movimento 5 Stelle – che sta affliggendo lui, la moglie, il figlio e l’intera famiglia”. Quindi l’intervento sulla magistratura, tirata pesantemente in ballo nel video di Grillo in difesa del figlio Ciro. L’avvocato pugliese ribadisce che i questa vicenda “vi è un principio fondamentale che non possiamo mai perdere di vista: l’autonomia e il lavoro della magistratura devono essere sempre rispettati. Perciò anche in questo caso attendiamo che i magistrati facciano le loro verifiche”. IL CASO ALLA CAMERA – Il caso Grillo era sbarcato anche alla Camera oggi, all’apertura dei lavori. A prendere la parola per prima la deputata di Fratelli d’Italia Lucaselli che chiede la convocazione immediata della conferenza dei capigruppo sul tema, ma critiche arrivano anche da LeU, col capogruppo Federico Fornaro che deplora il video del fondatore del Movimento e critica “il garantismo a correnti alternate”. LA DIFESA DELLA MOGLIE DI GRILLO – A difesa del 19enne interviene invece la madre Parvin Tadjik, rispondendo su Facebook ad un video pubblicato lunedì dalla capogruppo di Italia Viva alla Camera Maria Elena Boschi, che aveva criticato duramente il video di Grillo, il suo garantismo a targhe alterne e l’aver minimizzato le pesantissime accuse rivolte al figlio. “C’è un video che testimonia l’innocenza dei ragazzi, dove si vede che lei è consenziente, la data della denuncia è solo un particolare”, scrive la madre di Ciro. Parole alle quali risponde la stessa Boschi: “Questo modo di concepire la giustizia, giocandola sui social e non nelle aule di tribunale, è aberrante. Ed è ciò che suo marito Beppe ha sempre fatto con i suoi seguaci: si chiama giustizialismo. Io invece aspetto e rispetto le sentenze, come tutti i cittadini”.
Carmine Di Niro. Romano di nascita ma trapiantato da sempre a Caserta, classe 1989. Appassionato di politica, sport e tecnologia
Caro Beppe, puntare il dito contro una presunta vittima di stupro è sempre una violenza. Gianluigi Nuzzi su Notizie.it il 20/04/2021. Non so dove stia la verità e spero che i giudici facciano chiarezza, ma Beppe Grillo con questo video ha fatto un pessimo servizio alle donne vittime di violenza. di Rimango senza parole davanti al video di Beppe Grillo dove per difendere il figlio Ciro da un’accusa di stupro di gruppo arriva a fare delle affermazioni che evidentemente vanno contro la dignità della presunta vittima, della ragazza che sarebbe stata stuprata da lui e da alcuni suoi amici. Caro Beppe, ci sono ragazze che non denunciano e che si uccidono dopo un mese, un anno. Ci sono ragazze che rimangono in silenzio tutta la vita. Non è la denuncia del furto di una borsa o del portafogli in metropolitana che uno fa d’istinto, subito dopo il reato. Lo stupro è qualcosa di pesante e ognuno reagisce in modo proprio. Denunciare dopo otto giorni non altera la veridicità delle accuse. Dice Beppe Grillo che a difesa del figlio c’è un video che dimostra che si è trattato di uno scherzo tra coetanei. Io non so dove stia la verità e spero che i giudici facciano chiarezza, ma puntare il dito contro la vittima o la presunta vittima perchè denuncia dopo otto giorni è una violenza che si fa ai danni non solo di questa ragazza ma di tutte le donne che hanno il coraggio di denunciare. Se è dopo otto giorni o dopo un anno non importa, l’importante è arrivare alla verità. Beppe Grillo con questo video ha fatto un pessimo servizio non tanto alla giustizia quanto alle donne, che vanno protette e difese e a cui va data la possibilità di trovare intorno a sé molta solidarietà e poche dita puntate.
Gianluigi Nuzzi. Giornalista, ha iniziato a scrivere a 12 anni per il settimanale per ragazzi Topolino. Ha, poi, collaborato per diversi quotidiani e riviste italiane tra cui Espansione, CorrierEconomia, L'Europeo, Gente Money, il Corriere della Sera. Ha lavorato per Il Giornale, Panorama e poi come inviato per Libero. Attualmente conduce Quarto Grado su Rete4 ed è vicedirettore della testata Videonews. È autore dei libri inchiesta "Vaticano S.p.A." (best seller nel 2009, tradotto in quattordici lingue), "Metastasi", "Sua Santità" (tradotto anche in inglese) e "Il libro nero del Vaticano".
Da corriere.it il 20 aprile 2021. «Umanamente mi dispiace per Beppe, il suo è il dolore di un padre. Quasi non riesco a commentare ciò che ha detto. Ho avuto una relazione con una persona violenta per un breve periodo e per elaborare quanto era successo ci ho messo sei mesi, poi ho denunciato». Lo racconta all’Adnkronos Federica Daga, deputata M5S, quando le viene chiesto di commentare le parole di Beppe Grillo in difesa del figlio Ciro, accusato di stupro di gruppo. In particolare hanno sollevato un polverone le dichiarazioni del garante 5 Stelle in relazione alla tempistica con cui è avvenuta la denuncia nei confronti del figlio («perché una persona che viene stuprata la mattina e dopo otto giorni fa la denuncia?», la frase pronunciata da Grillo). «Io ringrazio che ci sia il codice rosso, che consente alle donne di denunciare anche dopo sei mesi dal fatto. Mi dispiace per Beppe, la giustizia è lenta e io sono in causa da cinque anni», aggiunge la parlamentare. Con un tweet interviene anche la vicepresidente del Senato in quota M5S, Paola Taverna: «Ciò che prova Beppe a livello umano posso solo immaginarlo, e da mamma gli sono vicina. La magistratura è al lavoro, perciò auspico che giornali e talk show lascino che questa vicenda si risolva, come giusto che sia, in tribunale. Serve rispetto: no a speculazioni da sciacalli». Intanto i genitori della ragazza che avrebbe subito le violenze di gruppo da parte di Ciro Grillo e di alcuni suoi amici si sfogano: «Lo spettacolo sul dolore è una farsa ripugnante»
Giuseppe Alberto Falci per il "Corriere della Sera" il 21 aprile 2021. «Le colpe di un uomo non possono cadere sul fratello» dice Federica Daga, deputata M5S alla seconda legislatura a Montecitorio, che ieri ha attaccato Grillo ricordando la sua vicenda: cinque anni fa ha avuto una relazione con il fratello di un parlamentare pentastellato, una convivenza sfociata nella violenza. Daga preferisce non rivelare l' identità del collega, né tantomeno quella dell' ex compagno. «Non ha senso dirlo» ripete con un filo di voce. C' è traccia di questa storia culminata in un processo per stalking in un articolo comparso sul Tempo il 4 ottobre del 2018 dove si legge che l' ex «fidanzato» sarebbe il fratello di un deputato grillino, nonché sottosegretario ai tempi del governo Conte I. I rapporti con il collega? «Normali, cordiali». Raccontano che nel gruppo parlamentare M5S in queste ore c' è un certo imbarazzo per le parole pronunciate da Grillo in difesa del figlio Ciro. Oggi Daga parla con un filo di voce di quello che le è capitato ormai sei anni fa. È l' autunno del 2015, sono gli ultimi scampoli della scorsa legislatura, e in quei giorni Federica inizia a frequentare un ragazzo.
«Si occupava della sicurezza del Movimento, ci siamo conosciuti così. Ma mai avrei potuto pensare che una guardia del corpo mi mettesse le mani addosso. All' inizio sembrava una persona normale».
E poi?
«Poi i suoi comportamenti sono mutati in un crescendo di violenza fisica e psicologica. Mi picchiava, e allo stesso tempo cercava di distruggermi psicologicamente. Mi ripeteva: "Non vali niente, non sei nessuno"». La relazione va avanti per novanta giorni. A gennaio del 2016. Daga decide di allontanarlo: «Sono distrutta, non so cosa fare. Per rendersi conto di quello che è successo una persona ci mette un po'. Vuoi per la vergogna, vuoi perché non sai a chi rivolgerti». Eppure, l' ex ragazzo non demorde: «Mi comincia a stalkerare, me lo ritrovo sotto casa, mi contatta su tutti i canali possibili...».
Daga vuole uscire da questo incubo e si presenta dalla polizia: «Lo faccio per sporgere denuncia. E sa cosa mi dicono le forze dell' ordine?». Cosa? «"Signora, lei è cosciente di potere ricevere una querela?". E ancora: "È convinta di quello che le è successo?"». A questo punto si rivolge a un' attivista che lavora presso un centro antiviolenza. «Mi sfogo, mi consiglia di parlare con un avvocato. Dopodiché decidiamo di depositare la denuncia».
Tutto questo succede nell' estate del 2016, a più di sei mesi di distanza dalla fine delle relazione. Inizia la battaglia processuale.
«Aspetto un anno prima che il pm inizi a fare le indagini. E dopo un altro anno arriva la prima condanna a 8 mesi».
Ha più rivisto quell' uomo?
«No, so che si è presentato alla sentenza di primo grado».
Di certo, la ferita non va più via: «Fin quando non si chiuderà la causa avrò dentro di me un fastidio». E forse anche per tal ragione prima di chiudere la telefonata ripete: «Deve pagare, deve pagare...».
Beppe Grillo, la replica dei genitori della ragazza: "Farsa ripugnante, una miseria sulla pelle di nostra figlia". Libero Quotidiano il 19 aprile 2021. Dopo le parole di Beppe Grillo in difesa del figlio, ecco che arrivano quelle dei genitori della ragazza per cui - a detta degli inquirenti - Ciro Grillo è accusato. "Siamo distrutti. Il tentativo di fare spettacolo sulla pelle altrui è una farsa ripugnante", hanno detto all'Adnkronos attraverso il loro legale Giulia Bongiorno. La ragazza, di origine italo-svedese, ha denunciato di essere stata stuprata, nel luglio del 2019 in Sardegna, dal figlio del garante del Movimento 5 Stelle e da tre suoi amici, mandando su tutte le furie Grillo. Il Cinque Stelle ha voluto pubblicare un video sui social in cui metteva in dubbio il lavoro degli inquirenti e avanzando l'ipotesi che, non essendo ancora stato arrestato, il figlio non può aver stuprato la ragazza. "Perché non li avete arrestati? - diceva Grillo nel video -. Perché vi siete resi conto che non è vero niente, non c'è stato niente perché chi viene stuprato fa una denuncia dopo 8 giorni vi è sembrato strano". Insomma, per il pentastellato le accuse sono infondate. Un filmato che però non è piaciuto affatto ai genitori della ragazza. "Cercare di trascinare la vittima sul banco degli imputati, cercare di sminuire e ridicolizzare il dolore, la disperazione e l'angoscia della vittima e dei suoi cari sono strategie misere e già viste, che non hanno nemmeno il pregio dell''inedito", hanno ribadito i genitori della giovane, che aveva denunciato il presunto stupro al suo ritorno a Milano dopo una vacanza in Costa Smeralda. Per la Procura di Tempio Pausania le cose la giovane sarebbe stata "costretta ad avere rapporti sessuali in camera da letto e nel box del bagno", "afferrata per la testa a bere mezza bottiglia di vodka" e "costretta ad avere rapporti di gruppo", con i 4 giovani che avrebbero "approfittato delle sue condizioni di inferiorità psicologica e fisica" di quel momento. Ipotesi che invece Ciro Grillo respinge.
Grillo, i genitori della ragazza: “Siamo distrutti, sta ridicolizzando il nostro dolore”. Redazione lunedì 19 Aprile 2021 su Il Secolo d'Italia. “Siamo distrutti. Il tentativo di fare spettacolo sulla pelle altrui è una farsa ripugnante“. È questa la reazione, raccontata in esclusiva all’Adnkronos, attraverso il loro legale Giulia Bongiorno, dei genitori della ragazza italo-svedese che ha denunciato di essere stata stuprata, nel luglio del 2019, da Ciro Grillo, figlio del garante del M5S e tre suoi amici, tutti indagati dalla Procura di Tempio Pausania, in provincia di Sassari, per violenza sessuale di gruppo. I genitori hanno visto il video, mandato in rete da Beppe Grillo, in cui dice che il figlio è innocente. E in cui parla di “divertimento“. “Cercare di trascinare la vittima sul banco degli imputati, cercare di sminuire e ridicolizzare il dolore, la disperazione e l’angoscia della vittima e dei suoi cari sono strategie misere e già viste, che non hanno nemmeno il pregio dell’”inedito”, dicono ancora i genitori della giovane. Che aveva denunciato il presunto stupro al suo ritorno a Milano da una vacanza in Costa Smeralda. Ma cosa ha detto Grillo nel video che sta girando in rete? “Mio figlio è su tutti i giornali come stupratore seriale insieme ad altri 3 ragazzi… Io voglio chiedere veramente perché un gruppo di stupratori seriali non sono stati arrestati, la legge dice che vanno presi e messi in galera e interrogati. Sono liberi da due anni, ce li avrei portati io in galera a calci nel culo“. “Allora perché non li avete arrestati? Perché vi siete resi conto che non è vero niente, non c’è stato niente perché chi viene stuprato fa una denuncia dopo 8 giorni vi è sembrato strano”, ha detto ancora Grillo nel video. “E’ strano. E poi c’è tutto un video, passaggio per passaggio, in cui si vede che c’è un gruppo che ride, ragazzi di 19 anni che si divertono e ridono in mutande e saltellano con il pisello, così…perché sono quattro coglioni“. Le accuse della Procura di Tempio Pausania al figlio di Grillo e agli altri tre ragazzi sono, in realtà, molto gravi. “Costretta ad avere rapporti sessuali in camera da letto e nel box del bagno“, “afferrata per la testa a bere mezza bottiglia di vodka” e “costretta ad avere rapporti di gruppo” dai quattro giovani indagati che hanno “approfittato delle sue condizioni di inferiorità psicologica e fisica” di quel momento. Eccolo, nero su bianco, l’atto di accusa della Procura di Tempio Pausania a carico di quattro ragazzi della Genova bene, tra cui Ciro Grillo. Pagine su pagine di orrori, come apprende l’Adnkronos, raccontati dalla giovane studentessa italo-svedese S.J, di appena 19 anni, che avrebbe subito, nella notte tra il 15 e il 16 luglio del 2019, una violenza di gruppo nella villa in Costa Smeralda di proprietà di Beppe Grillo. Come si legge nelle carte della Procura “il residence è stato individuato grazie a un selfie scattato” dalla giovane ragazza ed “è riconducibile a Beppe Grillo“.
Da liberoquotidiano.it il 20 aprile 2021. "Lo porto in Procura". Giulia Bongiorno, a L'aria che tira su La7, annuncia una nuova guerra legale contro Beppe Grillo, questa volta per il video con cui il comico e fondatore del Movimento 5 Stelle ha cercato di difendere il figlio Ciro, accusato di stupro di gruppo sue due ragazze. La violenza sarebbe avvenuta l'estate di due anni fa, nella villa in Sardegna di Grillo, nella stanza accanto alla quale riposava la compagna del comico e madre di Ciro, Parvin Tadjk, che intercettata e sentita dai magistrati ha sempre ribadito di non essersi accorta di nulla. Tra le carte dell'inchiesta anche un video girato da chi era presente nella stanza della presunta violenza. Secondo le ragazze, sarebbe la prova della colpevolezza di Ciro e dei suoi amici. Secondo gli accusati e Beppe Grillo, l'esatto opposto: "Sono dei 19enni che saltano con il pis***o di fuori, sono dei cog***i non degli stupratori", ha accusato il fondatore del M5s sui social lunedì pomeriggio, in un video che ha fatto molto discutere e in cui si chiede "come mai dopo la violenza la ragazza ci ha messo 8 giorni per denunciare". "Reputo che questo video sia una prova a carico - spiega la Bongiorno, senatrice della Lega, in collegamento con Myrta Merlino, documenta la mentalità del "non succede niente, sono cose che si possono fare". Questo metodo si chiama eufemizzazione, prendere delle cose importanti e ridurle in briciole, ed è il metodo usato da molti uomini per giustificarsi quando sono imputati. Credo che denoti una certa mentalità, quindi prendo questo video e lo porto in Procura". "Le colpe di Grillo non possono ricadere sul figlio", contesta la Merlino. "Però denotano la mentalità e linea di difesa - ribatte la Bongiorno, che è anche avvocato difensore di Matteo Salvini nei processi siciliani su Gregoretti e Open Arms -, ed è anche un messaggio: state attente vittime che adesso vi facciamo diventare imputate. Secondo me è un eloquente prova di quello che si vuole fare in futuro alle vittime, se andate avanti poi ci pensiamo noi. Ma noi non ci facciamo intimidire".
Anna Macina e il video di Grillo. Bongiorno e Salvini la denunciano, la Lega: "Si dimetta da sottosegretaria". Libero Quotidiano il 22 aprile 2021. Un disastro politico. Anna Macina, sottosegretaria M5s alla Giustizia, in un'intervista al Corriere della Sera per difendere in qualche modo Beppe Grillo dopo il suo discusso video-sfogo sul figlio Ciro indagato per stupro pensa bene di attaccare Giulia Bongiorno e Matteo Salvini. E ora i diretti interessati minacciano di trascinarla in tribunale, mentre la Lega ne chiede le dimissioni dal governo. "Le insinuazioni della sottosegretaria Macina sono gravissime, insultanti e indegne di un membro del governo. La Lega chiede dimissioni immediate - recita una nota del Carroccio -. Ipotizzare che il senatore Salvini abbia visto il video di Ciro Grillo attraverso l'avvocato Giulia Bongiorno è inaccettabile: l'imbarazzo del Movimento 5 Stelle per una vicenda così grave e che coinvolge la famiglia del loro fondatore non è un buon motivo per infangare il senatore Salvini e l'avvocato Bongiorno. Il leader della Lega agirà contro il sottosegretario in tutte le sedi civili e penali". La Macina accusava la Bongiorno: "Mi ha gelato sentirla dire che porterà il video di Grillo in Tribunale, lasciando intendere che il comportamento del papà ricadrà sul figlio. Cosa vuole fare, il processo alla famiglia? Rabbrividisco". Replica secca della leghista definendo le parole della grillina "fantasiose e gravissime". "Mossa dalla cultura del sospetto (verso i nemici) che caratterizza il Movimento 5 Stelle, il sottosegretario Macina - continua Bongiorno - lede gravemente la mia immagine di essere umano, prima ancora che di avvocato, nel provare a insinuare che io abbia reso noti a chicchessia atti del processo. Mi occupo di violenza sulle donne da decenni come a tutti è noto. Ho assunto questo incarico un anno dopo la denunzia che ha dato vita alle indagini e non ho mai parlato con nessuno di questo procedimento nonostante le numerose e pressanti richieste dei giornalisti. Il sottosegretario Macina dovrà rispondere di queste affermazioni farneticanti in sede giudiziaria". La Bongiorno, in diretta a L'aria che tira su La7, aveva considerato il video di Grillo una "evidenza a carico del figlio Ciro" in quanto "indicatore di un clima culturale", quello che punta a far passare per carnefici le vittime, in questo caso la ragazza che avrebbe subito il presunto stupro 2 anni fa nella villa sarda del comico e fondatore del Movimento 5 Stelle.
Liana Milella per repubblica.it il 22 aprile 2021. "Accuse farneticanti". "Da immediate dimissioni". "Accuse che finiranno in tribunale". "Perché agirò nei suoi confronti in quanto si lancia in accuse gravissime e del tutto fantasiose contro di me". È furibonda Giulia Bongiorno contro la sottosegretaria alla Giustizia Anna Macina, avvocata pugliese e grillina. In un'intervista al Corriere della Sera Macina ipotizza che Bongiorno, da avvocato della ragazza che ha denunciato il figlio di Beppe Grillo per violenza, possa aver rivelato al leader della Lega Matteo Salvini il contenuto di un video di cui parla lo stesso Grillo. In pratica utilizzando atti di un processo per uno scopo politico. E proprio su questo passaggio esplode la collera di Bongiorno che ne parla con Repubblica, mentre la Lega ne chiede le dimissioni: "Le insinuazioni della sottosegretaria alla Giustizia Anna Macina sono gravissime, insultanti e indegne di un membro del governo" attacca il partito di Salvini in una nota.
Ha letto l'intervista?
"Sì, certo. Porterò questa sottosegretaria in tribunale e agirò nei suoi confronti per le accuse farneticanti che mi ha rivolto".
La Lega chiederà le sue dimissioni?
"Certo. Un sottosegretario di Stato alla Giustizia deve garantire l'imparzialità della giustizia. Non può schierarsi contro un legale. Io ho difeso la vittima da un attacco scomposto di Beppe Grillo".
Macina fa scrivere che lei avrebbe mostrato a Salvini gli atti e quindi userebbe questo processo per scopi politici.
"Ma di cosa parla? Chi dice una cosa del genere non conosce me e tutta la mia storia. Io ho sempre tenuto rigorosamente distinta la mia attività di avvocato da quella politica. E ovviamente l'ho fatto anche in questo caso".
Cioè non ne ha mai parlato a Salvini?
"Io non parlo né con Salvini né con altri della mia attività professionale. Mai. Su tutta la vicenda di questa ragazza io ho tenuto sempre il massimo riserbo. Dalla Macina, ma anche da altri esponenti di M5S, arrivano accuse deliranti".
Perché?
"Ho assunto questa difesa nel 2020, quindi un anno dopo i fatti. E per mesi di fronte alle insistenti richieste di interviste ho perfino negato di aver assunto questo incarico. Dirò di più...".
Mi dica.
"Quando mi è stato chiesto di assumere l'incarico ho preso tempo prima di accettare e ho fatto presente alla ragazza e ai genitori che la mia nomina avrebbe potuto essere oggetto di strumentalizzazione politica. La famiglia, conoscendo il mio impegno nella difesa delle donne, ha manifestato massima fiducia nei miei riguardi e alla fine ho accettato. Quando ho accettato non ho comunicato a nessuno il mio mandato. A nessuno".
Però in questi mesi ha ricevuto pressioni per raccontare dettagli sulla storia.
"Certo che ne ho ricevute. Soprattutto da voi giornalisti. E ho detto e ripetuto che gli atti del processo erano conservati nella mia cassaforte personale e che nessuno, neppure i miei collaboratori di studio, potevano vederli. Nonostante dozzine di telefonate ho sempre detto che non avrei diffuso una sola carta di questo processo per tutelare la riservatezza e la serenità della mia assistita".
E non ne ha parlato con Salvini?
"Della vicenda giudiziaria no. Ho parlato con tutti e anche pubblicamente del fatto che il video di Grillo era sorprendente anche perché con Bonafede avevamo allungato i termini per proporre la querela e Grillo nel video attacca la vittima dicendo che avrebbe impiegato ben 8 giorni per denunziare. In tv e con chiunque ho commentato questo. La sottosegretaria Macina delira e finirà in tribunale per questo".
Giulia Bongiorno, "tutto cominciò con Andreotti": la verità mai raccontata, così l'avvocato è diventata regina. Renato Farina su Libero Quotidiano il 13 maggio 2021. Mettiamoci nei panni di chi si trova ad avere per avvocato, anzi per avvocata, Giulia Bongiorno. Che cosa prova? Sicurezza. Non quella metallica dei lucchetti, ma qualcosa persino di spirituale. Il salmo dice: «Sono tranquillo come un bimbo svezzato in braccio a sua madre». L'accusato, se c'è lei, prova la stessa sensazione di Frodo Baggins che porta il peso infinito dell'anello e non ce la fa più, ma ecco viene afferrato dall'aquila e viene adagiato sulle morbide ali. Eppure lei è esile, una canna di fucile spettinata. Chi l'ha osservata in aula a Catania e l'ha scorta a Palermo mentre difendeva Matteo Salvini ha capito che c'era sì il capitano, con le sue pose vagamente marsupiali, ma aveva abdicato il comando alla generalessa, la cui unica imponenza sta nella tensione elettrica che la circonda e fa vibrare l'aria dei tribunali. Una protezione insieme elettrica e materna. Per questo osiamo dire «avvocata nostra». Lei che conosce il catechismo e la Salve Regina balza su: sacrilegio! Sicurezza che ha due ragioni. La prima è l'esperienza che si fa standole accanto prima e durante i processi. Questa donna ha la capacità di assorbire le preoccupazioni del suo cliente, non perché sia una maga della psicologia, ma per lo spettacolo in cui introduce quello che un momento prima si sentiva perduto e si trova al centro dell'officina di Vulcano. Non un secondo è perduto, si forgiano spade, lì dentro. Ha il suo metodo: Giulia lascia che il racconto del suo patrocinato, le carte dei pm, le memorie dei legali avversari entrino non nella sua pancia (non ne ha) ma nelle proprie ossa, si mescolino al midollo della sua scienza giuridica, diventando una pietra angolare del suo tempo, dei suoi sentimenti, del suo stesso destino. Quando vedi una che lavora così, resti incantato ma non rimbambito.
L'officina di vulcano. La seconda ragione per cui anche il più refrattario alla serenità si pacifica è la statistica. Non mi risulta abbia mai perso una causa. Lei mi risponde: «Dipende dall'obbiettivo. Se c'è la certezza della colpevolezza, vincere significa ottenere le attenuanti». Ho cercato di ricordare a chi si riferisse. Ma certo, a Francesco Totti. Nel 2004 era stato filmato mentre sputava a un danese. Lei riuscì a dimostrare che quella prova era stata raccolta tenendo fissa, ossessivamente, una telecamera su di lui, fino a moltiplicare l'impatto di un fatterello da quasi niente. Del resto i giocatori in campo non fanno altro che scatarrare... Pena ridotta. Per il resto ha portato tutti all’assoluzione. Ha imparato dai suoi maestri: lo scomparso Gioacchino Sbacchi, che la assunse a Palermo a 26 anni e la portò al processo Andreotti, di cui era difensore insieme a Franco Coppi, il secondo maestro. Diversissimi tra loro, e diversissimi da lei che ha attinto da Sbacchi la pazienza e lo scrupolo nello studiare a memoria le carte, fino a trovare un rigo in cui l’accusa incespica; mentre da Coppi ha raccolto la furia meticolosa e la prontezza di riflessi nel piazzare una batteria di cento domande al testimone. Legge cinque volte tutte le carte. Le sue note finiscono su fogli di diversi colori. Quelli più accesi laddove ci scappa il colpo fatale all’avversario, via via in toni pallidi per le questioni di gradazione meno decisiva. Ma una cosa – come le diceva Sbacchi – si trova sempre. Scusate la presunzione, ma io sono stato il giornalista che ha la primogenitura della sua conoscenza. Seguivo, mandato alle sue costole da Vittorio Feltri, Giulio Andreotti con tutti i suoi guai di mafia. Il 26 settembre si aprì il «processo del secolo» nell’aula bunker di Palermo. A sera, mi arrivò una chiamata in camera all’Hotel des Palmes. Era Andreotti: «Ha finito l’articolo? Vorrei che cenasse con me e i miei avvocati». Nella sua stanza, con il cardigan blu, stava seduto e versava del bianco il divo, pallido come sempre. C’erano al tavolo Sbacchi, Coppi e il suo avvocato storico, il modenese Odoardo Ascari, e poi c’era quella ragazzina smilza, 29 anni, ma ne dimostrava meno, e mi fu presentata. Giulia e io – i più giovani – non dicemmo una parola. Ho gli appunti di quei discorsi, qui cito solo il desiderio di Andreotti di avere una certa cassata-gelato dalla tal pasticceria, prima però il vitello tonnato. Capitò altre volte di ritrovarci a tavola con la medesima compagnia, e lei cresceva di udienza in udienza nella considerazione degli altri avvocati e di Giulio. Il mattino prestissimo accompagnava l’imputato a messa per fargli compagnia. Lei studiava e studiava. Andreotti non sopportava di vederla smunta perché dormiva poco e lavorava di domenica. Erano gli anni in cui la sinistra lottava per le 35 ore. «Pensa se ti vedesse Bertinotti», le diceva (lei lo imita).
Studio e ancora studio. Il suo capolavoro fu al processo per l’omicidio di Mino Pecorelli, e si risolse – come capita - in un disastro. Era successo che lei aveva smontato il movente dell’accusa. Secondo i pm Andreotti avrebbe commissionato alla Banda della Magliana l’assassinio del direttore di OP, perché in possesso di una copia integrale del memoriale Moro, consegnatagli da Carlo Alberto Dalla Chiesa. Quella pubblicata – dattiloscritta – sarebbe stata purgata da pagine scomode. Quella vergata a mano da Moro fu in effetti ritrovata dietro un’intercapedine (ma questo è un altro articolo) nel 1990. C’erano pagine inedite, tra cui quelle su Gladio. I pm dissero: allora è vero! Pecorelli ricattava Andreotti, era in possesso di rivelazioni che inchiodavano Belzebù. Bongiorno, come una egittologa con i geroglifici, meticolosamente, sotto la lente, con il raffronto sillaba a sillaba, paragonò le due versioni. Su Andreotti non c’era nulla di nuovo. Movente bruciato. Andreotti assolto! Fu così in primo grado. Ma in appello, di domenica sera, 17 novembre 2002, condanna! 24 anni per omicidio. L’avvocato svenne, era in motorino in piazza San Lorenzo in Lucina – mi disse la segretaria di Andreotti, Lina Vido, citando Dante, – e «cadde come corpo morto cade». Si appurò che tutto dipendeva forse dalla celiachia, ma la sberla era l’ingiustizia. L’aveva tramortita il pensiero che il suo assistito, fidandosi di lei, ora rischiava di morire - aveva 83 anni - lasciando sui propri cari l’onta di una condanna senza rimedio. Racconta adesso che quella volta Andreotti le diede una grande lezione. Le fece giungere una coppa d’argento, premio per una antica regata. Con queste parole incise: «Nelle regate chi gira per primo la boa spesso perde». Era lui che confortava l'avvocata nostra amen. Per lei, più importante che l’essere congratulata dopo la vittoria, era l’aver fatto contento il cliente mentre si aspetta la sentenza. Ho dato tutto, sono stata brava. In Cassazione Giulia, con Coppi, trionfò.
«E' giusto esserci». Una curiosità mi sono tolto con lei. Ma Andreotti è stato assolto anche a Palermo, o è stato riconosciuto colpevole per fatti passati in prescrizione? Lei è arci-convinta e arci-decisa. «E' stato assolto. Punto. La Cassazione è chiamata a dare solo giudizi di legittimità». Insomma: la Corte d’appello ha legittimamente optato per la prescrizione, così come legittimamente il Tribunale aveva ritenuto di escludere qualsiasi ipotesi criminosa. Scrive il giudice estensore che «non è consentito scegliere quale delle due sentenze di merito sia più rispettosa dei consueti canoni ermeneutici». La Cassazione lascia che ciascuno si tenga la sua convinzione. E Giulia ha la sua. Fuori dello studio di Giulia Bongiorno in piazza San Lorenzo in Lucina ieri le facevano la posta con le telecamerine alcuni giornalisti. Telecamerine a parte, stesse scene di 25 anni fa. Da questa porta usciva allora Andreotti. Lei ne ha ereditato la scrivania, gli uffici, forse anche l’ironia e l’idea che non ci si ritira. Il crocchio di cronisti si spiega perché l’avvocata difende Silvia J., la ragazza che ha denunciato il figlio di Grillo e i suoi compari per stupro. Le vogliono spremere qualche parola. Giulia Bongiorno è una magra Pentesilea, la regina delle Amazzoni, e come tale difende il suo reame femminile. Del tutelare le donne offese ha fatto ragione di vita. Ha accettato di entrare in politica per questo. Con Michelle Hunziker ha messo su una fondazione che prova a strappare dal gorgo maligno queste sorelle indifese. Ma Draghi? Si scopre che è stata lei a spingere Salvini ad entrare nel governo, e a rimanerci. Ma come? Tu lo difendi dai comunisti che lo vogliono in galera, e poi lo convinci a unirsi alla congrega? «Qui Salvini mostra la sua tempra. Comprendo la contraddizione, e la capisce lui. Ma c’è qualcosa di più importante. E' una fase storica che non ha precedenti, stare al governo oggi coincide con il momento costituente del dopoguerra, persone diversissime gettano le fondamenta del futuro. Siamo al governo per spingerlo ad andare oltre. Oltre nelle riaperture. Oltre sull’immigrazione. Oltre sulla giustizia. Siamo con la Cartabia, ma non ci si può fermare alle regole e alle procedure, occorre una riforma più vasta e incisiva nel campo della giustizia penale». Stare al governo costa in termini di consenso... «Sono una che in tutti i campi crede debba prevalere l’etica delle scelte sulla convenienza della bottega. E' giusto esserci».
Le (indegne) accuse 5s per coprire il fango di Grillo. Andrea Indini il 22 Aprile 2021 su Il Giornale. L'inchiesta sul figlio di Grillo accusato di stupro finisce in politica quando il comico entra a gamba tesa con un video vergognoso. Il M5s, già in crisi per la rottura con Casaleggio, sprofonda nel baratro. Per risollevarsi lancia accuse infamanti contro Salvini. All'inizio di tutto c'è un'inchiesta aperta. Da una parte Ciro Grillo, figlio dell'ex comico nonché garante del Movimento 5 Stelle, dall'altra una italo-svedese che lo accusa di averla stuprata nella notte tra il 15 e il 16 luglio del 2019 al termine di una serata alcolica iniziata nella discoteca Billionaire e finita all'alba nella casa del giovane. Le indagini vanno avanti da tempo. Presto, molto probabilmente, si andrà a processo. A far uscire il caso dalle mura della procura di Tempio Pausania, in provincia di Sassari, dove gli inquirenti ipotizzano la violenza sessuale di gruppo nei confronti della giovane conosciuta in vacanza, e a portarlo dritto nelle stanze del potere romano, è lo stesso Grillo senior pubblicando un video vergognoso in cui per difendere la figlio si mette a infangare pubblicamente la ragazza. Un minuto e mezzo di violenza verbale che scatena l'indignazione generale. Non nel Movimento 5 Stelle, però. Al di là della timida presa di distanza di Giuseppe Conte e di qualche voce fuori dal coro, i grillini non solo non riescono a condannare il capo ma, pur di risollevarsi dal baratro in cui sono sprofondati, si mettono a lanciare accuse infamanti contro Matteo Salvini e Giulia Bongiorno. È un burrone che non conosce fine, quello in cui stanno ruzzolando giù Beppe Grillo e i suoi adepti. I problemi sono innumerevoli. Problemi di leadership e problemi di immagine. I primi stanno dilaniando il movimento ormai da mesi e rischiano di finire in una irrimediabile fuga da Davide Casaleggio e dai server della piattaforma Rousseau. È una guerra intestina che va avanti da tempo e che non troverà pace se non quando le due anime si manderanno a-farsi-benedire e andranno ognuna per la propria strada. Oltre a questi scossoni i pentastellati devono far fronte a un altro grattacapo. Non senza imbarazzi. Perché ce l'ha in casa il boss. È il reato infamante che i pm hanno appiccicato addosso a Ciro Grillo. La chiusura delle indagini deve aver fatto letteralmente sbroccare l'ex comico. Ed ecco il video choc sbattuto sul blog e su YouTube. Un minuto e trentanove secondi di delirio dove gli indagati diventano "ragazzi di 19 anni che si stanno divertendo, che sono in mutande e saltellano con il pisello" di fuori, perché non sono quattro stupratori ma soltanto "quattro coglioni", e la ragazza viene dipinta come una bugiarda cha ha denunciato soltanto otto giorni dopo. Non è solo la ferocia con cui attacca la giovane a fare impressione. C'è anche la gogna ordita sui canali generalmente usati per la propaganda politica a moltiplicare la potenza e la violenza del messaggio. Lo capiscono anche all'interno del movimento. "Io ci ho messo 6 mesi per denunciare la violenza", si dissocia Federica Daga. Non è la sola. Ma il dissenso è circoscritto. I vertici del Movimento 5 Stelle tacciono dinnanzi alla zampata del capo. Solo Conte accenna un passo indietro. E gli altri? Muti. Persino il ministro per le Politiche giovanili, Fabiana Dadone, che lo scorso 8 marzo (festa della donna) aveva pubblicato uno scatto con i piedi sopra il tavolo e la felpa dei Nirvana per sbandiera tutta la sua emancipazione femminile, si guarda bene dall'inorridere. "Credo sia davvero meschino entrare nel merito di una questione che riguarda privati cittadini, che non conosciamo e su cui sta lavorando la magistratura", scrive (soltanto oggi) su Facebook. "È meschino rendere spettacolo una vicenda che evidentemente fa soffrire le molte famiglie coinvolte". Viene da aggrottare la fronte, senonché c'è chi riesce a fare persino di peggio. In una intervista al Corriere della Sera la collega Anna Macina, sottosegretario alla Giustizia, prende di mira la Bongiorno, avvocato difensore della ragazza che denuncia Ciro Grillo (oltre che senatrice della Lega), accusandola di aver passato sotto banco informazioni a Salvini. "In tv ha riferito di averne parlato con la Bongiorno - si legge - e ha detto di aver saputo altri dettagli. Non è che questo video che non doveva vedere nessuno, lui l’ha visto? Sarebbe grave". Le insinuazioni della Macina sono gravissime. Tanto più perché vengono da un membro del governo. E non uno qualunque. "Un sottosegretario di Stato alla Giustizia deve garantire l'imparzialità della giustizia - tuona la Bongiorno in una intervista a Repubblica - non può schierarsi contro un legale". Ora, mezzo parlamento vuole la testa della Macina. Non c'è solo il Carroccio a chiederne le dimissioni. Anche Forza Italia, Italia viva e Fratelli d'Italia pretendono l'intervento del Guardasigilli Marta Cartabia. "Quella va licenziata!", è il refrain che irrompe nell'Aula della Camera. I grillini, però, fanno quadrato. E quello che sembrava uno scivolone di un improvvisato sottosegretario diventa, di punto in bianco, l'arma con cui attaccare il nemico leghista. "È legittimo avere un dubbio - dicono i pentastellati - e su questo dubbio ci aspettiamo dei chiarimenti". Esattamente come Grillo ha infangato la giovane che chiede giustizia, la Macina, dal suo scranno al dicastero di via Arenula, getta infamie contro la Bongiorno. Una zampata per provare a coprire il fango dell'ex comico e i guai di un movimento che ogni giorno che passa si sta sgretolando sempre di più.
La Cartabia striglia Macina: "Serve riserbo". Francesca Galici il 22 Aprile 2021 su Il Giornale. Dopo l'intervista rilasciata al Corriere della sera con le accuse a Giulia Bongiorno, il ministro Cartabia ha convocato Anna Macina per un confronto. Anna Macina, sottosegretario di Stato al ministero della Giustizia, è nella bufera da questa mattina, da quando è iniziata a circolare l'intervista rilasciata dal sottosegretario della Giustizia al Corriere della sera. Anna Macina ha insinuato il dubbio che Giulia Bongiorno possa aver rivelato in qualche modo a Matteo Salvini il contenuto di uno dei video inerenti il caso di Ciro Grillo, figlio del leader del Movimento 5 Stelle. Accuse pesantissime nei confronti dell'avvocato della ragazza, presunta vittima del gruppo di amici che avrebbero abusato di lei in Costa Smeralda nell'estate del 2019. Questo pomeriggio il ministro Marta Cartabia ha convocato il sottosegretario per chiarire la posizione: "Una posizione istituzionale richiede il massimo riserbo sulle vicende giudiziarie aperte".
Il caso. Il clamore suscitato dall'intervista al Corriere di Anna Macina ha destato molto clamore e inevitabilmente la questione è finita sulla scrivania della Guardasigilli. Una situazione delicata che si inserisce in un contesto ancora più particolare, quello del caso Grillo. Per questo motivo Marta Cartabia ha convocato Anna Macina in via Arenula alle 18 per capire e avere spiegazioni su quanto dichiarato al quotidiano. Il ministro della Giustizia ha chiesto riserbo al suo sottosegretario, rimarcando la linea che la Cartabia ha chiesto ai suoi più stretti collaboratori fin dall'inizio del suo mandato. Un riserbo che, stavolta, è mancato da parte di Anna Macina. Oggi è stata una giornata molto complicata in tal senso, perché le sue parole sono arrivate proprio nelle ore in cui l'Associazione nazionale magistrati si è spesa in difesa dei magistrati di Tempio-Pausania impegnati nel caso di Ciro Grillo. La ragazza che ha denunciato i fatti è seguita proprio dall'avvocato Giulia Bongiorno e lei avrebbe mostrato a Salvini i video di cui lo stesso Beppe Grillo ha parlato nel suo ormai noto intervento video in cui ha tentato di difendere il figlio.
Le giustificazioni. Alla luce della bufera mediatica, Anna Macina nel pomeriggio aveva provato a giustificare le sue affermazioni: "Le mie parole erano, e sono, un invito a sgombrare il campo da equivoci e ambiguità su una vicenda rispetto alla quale non mi sono mai permessa di entrare nel merito ma che non deve essere politicizzata". Il sottosegretario conclude: "Sono stupita dal polverone che ne è nato, da parte mia nessuna accusa ma un semplice interrogativo, sorto dopo alcune dichiarazioni a mezzo stampa del senatore Matteo Salvini. Solo la richiesta di chiarezza e trasparenza".
Le polemiche. Durante la giornata si erano rincorse le critiche e le lamentele per il comportamento di Anna Macina. La Lega ha annunciato di aver presentato un'interrogazione parlamentare a Marta Cartabia sulla compatibilità di Anna Macina, della quale ha chiesto le dimissioni. Enrico Costa, avvocato e responsabile Giustizia di Azione! ne ha chiesto il licenziamento già dal mattino: "La sottosegretaria M5S alla Giustizia attacca sui giornali l'avvocata della ragazza che ha denunciato il figlio del suo leader e insinua che gli atti siano diffusi dalla difesa per fini politici. La ministra Cartabia, che ha fatto del riserbo il suo stile, la cacci seduta stante". Mentre il M5S ha difeso il sottosegretario, il Partito democratico ha preferito la linea del silenzio. Forza Italia, invece, ha protestato definendo l'intervento "del tutto improprio", così come Italia viva ha etichettato come comportamento "grave" quello di Anna Macina, soprattutto perché si tratta di "una donna che rappresenta le istituzioni".
“Il Fatto” abbandona le sue asprezze manettare. Travaglio passa dalla nostra parte, col solenne editoriale in difesa di Ciro Grillo apre la crociata garantista. Alfredo Romeo su Il Riformista il 22 Aprile 2021. Caro Direttore, stavolta la lettera la mando direttamente a te. Avrei voluto mandarla al mio amico Travaglio, così la faceva leggere anche a Marco Lillo (è importante che a Lillo certe cose siano dette) ma poi ho pensato che tanto lui le mie lettere e le mie interviste non le pubblica mai, e allora le mando direttamente a te. Comunque la lettera che volevo scrivere a Travaglio era una lettera di sperticate lodi. Se le merita, dammi retta, e se posso darti un consiglio è questo: smettila di polemizzare con lui, ormai lui è passato dalla parte nostra, lui sta diventando il vero leader dello schieramento garantista, e questa è una fortuna. Sei scettico, come sempre? Non ci credi? E allora lèggiti non solo quell’articolo splendido di Henry John Woodcock del quale ti parlavo ieri – un capolavoro di difesa dello stato di diritto contro gli attacchi dei giustizialisti – ma soprattutto lèggiti il solenne editoriale scritto ieri di sua mano e penna da Marco Travaglio in persona, in difesa del giovane Ciro Grillo figlio di Beppe. Caro Sansonetti: tutto da sottoscrivere, dalla prima all’ultima parola, cristallino, liberale, eroico: molto più – non ti offendere – dei tuoi editoriali. Travaglio con il suo stile solito è spietato contro quei giornalisti che usano il sospetto come strumento di lavoro. Che sbattono sul giornale nomi e volti di indiziati che ancora non sono stati condannati fino al terzo grado. Apre una vera e propria crociata garantista, che ha per obiettivi i magistrati dal sospetto allegro e i giornalisti che fanno i velinari e considerano l’accusa più importante della difesa. E infatti – penso che tu l’abbia notato – Il Fatto è stato l’unico giornale che si è comportato in modo esemplare sul caso Grillo. Mentre tutti i giornaloni (compreso, devo dire con rammarico, il nostro) sbattono in prima pagina le urla di Grillo contro i magistrati e contro quella ragazza che sostiene di essere stata stuprata dal figlio di Grillo, Il Fatto, giustamente, mette la sordina. Un richiamino in prima pagina, piccolo piccolo, e via. È la nuova linea. Vedrai che da oggi in poi il Fatto si comporterà così con tutti. Se dovesse arrivare un avviso di garanzia a Renzi, o a Berlusconi, non sarà certo Il Fatto a dare la notizia. Prudenza, prudenza, rispetto per gli inquisiti. E siccome tutti i giornali ci inzupperebbero il pane, puoi stare certo che il giorno dopo Travaglio si scatenerebbe con la sua polemica tagliente contro la stampa asservita ai Pm. Direttore, sono contento. Finalmente non siamo più soli. Alla fine il diritto vince sempre, e la ragione. Dammi la possibilità, attraverso il nostro giornale, di mandare un grazie sentito a Marco.
Alfredo Romeo. Nato a Cesa (Caserta) l’1 marzo 1953, si è laureato in Giurisprudenza nel 1977 presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II ed è iscritto all’Albo degli Avvocati di S. Maria Capua Vetere. Dopo una breve esperienza come Direttore Generale e poi come Amministratore Delegato di una Società immobiliare fonda nel 1979 la Romeo Immobiliare, nel 1985 la società finanziaria Romeo Investimenti, nel 1989 la Romeo Gestioni e nel 2001 la Romeo Alberghi e la Romeo Partecipazioni costruendo così negli anni il Gruppo Romeo il quale, interamente posseduto dalla famiglia Romeo, rappresenta oggi la prima realtà in Europa nell’offerta di servizi integrati alla proprietà immobiliare.
Beppe Grillo, il retroscena: "Perché ti ho telefonato". Voci drammatiche, come si è ridotto il capo del M5s. Lorenzo Mottola su Libero Quotidiano il 22 aprile 2021. Il Movimento5Stelle è in un momento critico. Oggi scade l’ultimatum che Rousseau aveva lanciato ai parlamentari morosi ("o vengono sanate le pendenze o le nostre strade si separano") e il caso creato dal video di Beppe Grillo in difesa del figlio Ciro, non cenna a placarsi. l'imbarazzo da parte dell'alleato Pd è evidente: al Parlamento europeo i dem hanno deciso per esempio di rinviare la risposta alla richiesta di incontro avanzata dai colleghi a 5 Stelle per parlare della possibile adesione al gruppo dei Socialisti e Democratici. C'è in atto se non una retromarcia, almeno un rallentamento dopo le parole esagitate dell'ex comico. Grillo anche è in grossa difficoltà. Ieri, mercoledì 21 aprile, ha telefonato ad alcuni big chiedendo parole di solidarietà. Così prima Danilo Toninelli ("Esprimo totale solidarietà a Beppe Grillo, come padre, per la sofferenza che sta subendo e totale disprezzo nei confronti di quelli che fino a ieri erano i garantisti, anche quando beccavano un politico con la mazzetta in mano. Sia politici che organi di informazione") e poi Laura Castelli ("comprensione per le parole di un padre, che è un uomo che conosciamo, che vengono strumentalizzate dal punto di vista politico"), si sono prestati alla richiesta di aiuto. Ma le critiche interne nei confronti di Grillo sono tante. Come quella di Raffaella Andreola, componente del collegio dei probiviri, spiega che, "mi sono sentita in imbarazzo per quanto ho visto in quel video e chiedo al Movimento di fare chiarezza. Come donna chiedo rispetto per ogni donna, per la sua libertà e per la sua dignità". Inoltre a creare altre polemiche l'idea di Ciro Grillo di postare su Instagram il video del padre. Con oltre duemila commenti, in maggior parte insulti o giudizi negativi per lui e per il padre. Insomma il momento politico per i grillini non è proprio dei migliori.
Lorenzo Mottola. Milanese sulla quarantina, storico bocconiano, nel senso che la Bocconi l'avevo cominciata, ma poi mi sono laureato in storia (altrimenti mica sarei qui a fare il giornalista). Caporedattore centrale di Libero da parecchi anni, mi occupo principalmente di politica. Ma anche di pandemie, quando qualche genio decide che è giunto il momento di scoprire di cosa sa un pipistrello alla piastra. Su questo blog cercheremo di trattare di tutto.
Dagospia il 22 aprile 2021.Estratto dell'articolo di Maddalena Oliva per il "Fatto quotidiano". Confesso, quel video l'ho dovuto interrompere. E ho anche una certa difficoltà a leggere i tanti articoli e commenti di questi giorni […] E, invece, se il video di Beppe Grillo ha un pregio (l'unico) è di aver acceso, suo malgrado, il dibattito su un tema - la violenza, lo stupro presunto o tale, la vittimizzazione secondaria, il linguaggio, il #MeToo - troppo spesso relegato a questione di genere. […] Non mi sconvolge tanto la brutalità del messaggio di un padre, che però è pure un politico e in quanto tale deve rispondere di quanto dice e assumersene la responsabilità. […] attraverso il linguaggio, si inculcano delle categorie di percezione, di apprezzamento, di valutazione. Ecco perché siamo qui a discutere del video di Beppe Grillo. Non perché io voglia entrare su una dolorosa vicenda privata […] Ma perché le parole hanno un potere. A maggior ragione se usate in una storia di violenza, per quanto presunta. Le parole offrono sempre un linguaggio condiviso. Ma da chi e per chi, in questo caso? Il sottotesto […] del linguaggio di Beppe Grillo è: la ragazza "è una furbetta". Perché, cito testuale, "non è vero niente". Perché "è andata a fare kitesurf il pomeriggio". Perché "dopo 8 giorni fa la denuncia". Perché era lì, "consenziente", che si divertiva anche lei in "un gruppo che ride", perché "si vede che sono ragazzi di 19 anni che si stanno divertendo, che sono in mutande e saltellano con il pisello perché sono 4 coglioni, non 4 stupratori". Io non so come siano andati i fatti quella notte […] ma così come esiste la presunzione di innocenza per gli accusati (anche se si chiamano Grillo) e il loro diritto a difendersi, esiste anche il diritto della vittima - tale è, fino a prova contraria - a non essere offesa. Umiliata. Colpevolizzata. Beppe Grillo, se è convinto dell'innocenza del figlio, non poteva come tutti i normali cittadini aspettare la fine delle indagini, l'esito di un eventuale processo e, poi, se la magistratura darà ragione a lui e a suo figlio, sporgere eventuale querela contro la ragazza? Nell'attesa però, si dirà, il figlio viene completamente sputtanato. Mai, mi permetto di replicare, come dopo il videomessaggio del padre. […]
Emilio Pucci per "il Messaggero" il 22 aprile 2021. «Mi dovete sostenere, qui colpiscono mio figlio per prendersela con me». C' è tutta la rabbia nelle parole di Beppe Grillo che martedì sera ha sentito al telefono i big M5s. Le distanze prese dai vertici e dai parlamentari le ha interpretate come delle coltellate alle sue spalle. «Non mi avete difeso», l'accusa. L'Elevato non ha intenzione di fare marcia indietro. Ieri avrebbe voluto fare un altro video ma è stato stoppato: «Meglio di no». In realtà la base parlamentare si sarebbe aspettata un suo intervento ma per scusarsi, non certo per rilanciare. Ed è calato il gelo. Anche tra il fondatore M5s e Conte. I due si sono parlati ma ognuno è rimasto sulle sue posizioni. In tanti, in realtà, avrebbero preferito che l'ex premier fosse stato più esplicito nel condannare quel j'accuse contro tutti. E il caso rischia seriamente di minare l'asse con il Pd. Grillo è irritato anche con Letta che a suo dire avrebbe strumentalizzato la vicenda, non comprendendone l'intento. «In ballo c'è la vita di mio figlio che è innocente, tutto il resto sono interpretazioni», il suo ragionamento. Nessuna giravolta, quindi. Da qui il malessere tra le fila pentastellate. «E' stato un attentato al nostro credo, così ha bruciato la casa che ha costruito», una delle invettive di deputati e senatori. Il dato è che Grillo non è più intoccabile. Quelli che da sempre gli sono vicini non vogliono certo farne a meno. «Resta il nostro punto di riferimento. Non possiamo farne a meno», il refrain. Ma non la pensa così chi non ha condiviso le affermazioni dell' ex comico. «Non possiamo mettere la testa sotto la sabbia», la protesta. Andreola, componente del Collegio dei probiviri M5s, ha espresso tutto il suo rammarico. «Devono intervenire i vertici», la sua richiesta. Domani è prevista un' assemblea dei deputati. All' ordine del giorno il bilancio, ma si parlerà ovviamente anche del caso Grillo. Difficile che questa volta si appalesi. E intanto il figlio Ciro è tornato su Instagram dopo un anno e mezzo di assenza, ricevendo pero' una marea di insulti. Ora il passaggio decisivo per M5s è la risoluzione del nodo Rousseau. Ci stanno lavorando lo stesso Conte insieme a Crimi. L'ex premier e i vertici pentastellati hanno paura di non poter fare a meno di Casaleggio. Hanno cercato altre piattaforme E-voting ma la caccia è stata vana. Solo Rousseau assicura garanzie di affidabilità e di riservatezza e non ha problemi di andare in crush. Il termine fissato per un accordo dal figlio di Gianroberto scade oggi. E' in corso l' ultima trattativa ma nei giorni scorsi è arrivata la mano tesa di Casaleggio che ha fornito tutti i dati degli iscritti M5s ma non l' uso del software. Tre le strade alle quali si sta lavorando: una è quella di accettare l' ingresso politico' di Casaleggio nel Movimento, ovvero la possibilità che lavori alla scrittura del manifesto e alle regole, anche quelle per le rendicontazioni. Ma deve far votare sulla leadership di Conte sulla piattaforma per sbloccare la partita: Davide vuole prima gli arretrati e non si fida. Da qui l' impasse. La seconda comporta un utilizzo di una piattaforma, diluendo il traffico degli iscritti in rete e accettando quindi meccanismi farraginosi. L' ultima ed è quella che potrebbe a questo punto essere la più percorribile è che Conte faccia qualcosa di nuovo, cambiando non solo il simbolo ma nei fatti costruendo un proprio partito e svuotando così M5s. Ora l' ex premier è ad un bivio ma il pressing affinché decida è sempre più forte.
"GRILLO SI SVEGLIA GARANTISTA ADESSO CHE ALLA SBARRA RISCHIA DI FINIRCI IL FIGLIO". Dagoselezione il 20 aprile 2021.
Selvaggia Lucarelli. Caro Grillo, tuo figlio è un presunto innocente, tu- oggi- un sicuro cretino.
Antonio Polito. Di che vi meravigliate? Grillo è sempre stato questo. Ha difeso anche il regime degli ayatollah. Disse che aveva scoperto che in Iran “la donna è al centro della famiglia”.
Nicola Porro. Grillo si sveglia garantista adesso che alla sbarra rischia di finirci il figlio. Ma dove sono finite le femministe? Non s'indignano per la frase sui giovani che "saltellano col pisello"?
Gianni Riotta. Quanti silenzi sulla requisitoria di Grillo su stupro politica e giustizia. Quante ipocrisie quante complicità quante mancate vergogne. Firme di donne e uomini sempre all'assalto di tutto oggi perdute spaventate omertose.
Matteo Renzi. Grillo prova a salvare la sua famiglia dopo aver distrutto quelle degli altri. Che scandalo: ha creato lui - per anni! - un clima d'odio. Le parole di Grillo, e il silenzio di Conte e Di Maio, dicono cosa sono oggi i 5Stelle. O forse cosa sono sempre stati. Sipario.
Andrea Salerno. Il video di Grillo è inaccettabile. L’avesse fatto Salvini sarebbe stato crocifisso giustamente. Non c’è altro da aggiungere. Più di un grave errore.
Giusi Fasano. Donne del M5S che dicano almeno mezza parola per la ragazza ne abbiamo?
Luca Fois.Eh sì, uno stupro si può denunciare anche dopo 8 giorni, anche dopo 8 mesi, che sempre stupro rimane. E c'è anche chi perfino non ha la forza di denunciare, ma sempre stupro rimane.
Paola Iperborea_Grillo è un involucro vuoto che sbraita, cerca di coprire con le urla il silenzio assordante degli ingranaggi della sua mente. È l'eco più becero della pancia del Paese, per questo mi terrorizza lui ma mi terrorizza soprattutto chi la pensa come lui. Anzi, chi NON PENSA, come lui.
Jacopo Iacoboni. Il video di Grillo è squallido, machista, sessista Una sinistra degna di questo nome stasera stessa direbbe: abbiamo provato a fare un percorso comune, ma non possiamo scendere a tanto. Mi aspetto poi che parli Enrico Letta. Proprio dopo le battaglie che ha fatto per le donne.
Lia Celi. Che poi questa teoria che se uno è coglione non può essere #stupratore mi è nuova. Io credevo fosse esattamente il contrario
Elivito. Grillo dava alla Montalcini della "vecchia puttana" e chiedeva ai suoi seguaci cosa avrebbero fatto se si fossero trovati da soli in macchina con Laura Boldrini. Di cosa vi meravigliate?
David Carretta. Ho visto il video di Grillo. Due cose. Un sospetto stupro è un sospetto stupro. In quanto tale va trattato. Compreso il rispetto della vittima e della presunzione di innocenza (entrambi calpestati da Grillo). Uno dei quattro coglioni con pisello in mano lo ha educato Grillo.
Dagospia il 19 aprile 2021. MAIL:
"NON E' VERO NIENTE – dice Grillo a proposito dei comportamenti del figlio -. PERCHE' UNA PERSONA CHE VIENE STUPRATA LA MATTINA, IL POMERIGGIO VA IN KITE SURF E DOPO OTTO GIORNI FA LA DENUNCIA…”. Dunque cosa ne pensa Beppe Grillo, l’elevato dei 5 stelle, delle due ragazze assistite dall’avvocato (di Corona) Chiesa che, mesi dopo una notte della quale non ricordano cosa sia successo, e dopo essersi riaccompagnate ad Alberto Genovese per altri giorni, lo hanno denunciato per stupro?
Come mai, proprio ora, Beppe Grillo si lancia in un'appassionata difesa del figlio Ciro dalle accuse di stupro? La sua è una sortita "preventiva", per tastare il terreno, vedere l'effetto che fa ma più da un punto di vista politico che giudiziario. Dopo la sua intemerata avete letto dichiarazioni di solidarietà in suo favore da parte dei maggiorenti grillini? Solo due: Alessandro Di Battista ("Sei un papà e ti capisco. Spero che tutto si possa chiarire e alla svelta") e Paola Taverna ("Ciò che prova Beppe a livello umano posso solo immaginarlo e da mamma gli sono vicina"). Gli altri, tacciono. Da Conte a Di Maio, tutti zitti. Il povero Grillo, oltre ai guai del figlio Ciro, si ritrova solo all'interno del Movimento che ha creato. Si è "elevato" così tanto da non essere più visto da nessuno. Conte, indeciso a tutto, non "obbedisce" agli ordine e risponde solo alla sua personale confusione.
Dagospia il 19 aprile 2021.Riceviamo e pubblichiamo: "Mio figlio è su tutti i giornali come stupratore seriale insieme ad altri 3 ragazzi...io voglio chiedere veramente perché un gruppo di stupratori seriali non sono stati arrestati, la legge dice che vanno presi e messi in galera e interrogati. Sono liberi da due anni”. Perché due anni fa, negli stessi giorni, c’era da votare il nuovo governo Conte con l’entrata del PD. Fortunatamente, però, c’è un ritorno al M5S delle origini, della casa di vetro e dello streaming permanente, infatti “c’è un video in cui si vede che c’è la consenz ...(parola mangiata)” e “si vede che c’è il gruppo che ride che sono ragazzi di 19 anni che si stanno divertendo che sono in mutande e saltellano” concetto chiarissimo e che nessuno mette in dubbio, ma è proprio qui il punto, sul chi, del gruppo, si stesse divertendo. Infatti la situazione del trovare entusiasmante un video in cui i protagonisti girano "con il pisello così perché sono quattro coglioni e non quattro stupratori” risulta incerta dal punto di vista anatomica: se i giovani che si “divertivano” erano infatti quattro, i coglioni dovrebbero essere otto (a meno di disabilità, comunque non giustificatorie sul piano accusatorio). Rimangono due quesiti apicali rispetto alla conservazione di un video di una partouze sul proprio smartphone. O si stava lavorando ad attività, nobilissime e commerciali, nella sempre più emancipata categoria del porno. O si stava memorizzando materiale per attività ricattatorie e bullizzatorie. Quella dell’archiviazione digitale a fini di testimonianza politico sociologica o, in genere, partecipativa risulta claudicante. E comunque “non è vero niente perché una persona che viene stuprata la mattina e il pomeriggio va in kite surf e dopo otto giorni fa la denuncia … è strano” dimostra quello che tutti sanno: che la minigonna chiamava la violenza sessuale degli anni ’70 mentre gli sport acquatici, con le loro relative succinte mise sportive, la giustifica negli anni duemila. Giovanni Bertuccio
LA FOLLIA DI BEPPE GRILLO, OMICIDA STRADALE CHE GIUSTIFICA UNO STUPRO DI MASSA, PER “SALVARE” IL FIGLIO. Il Corriere del Giorno il 20 Aprile 2021. Le accuse della Procura di Tempio Pausania al figlio di Grillo e agli tre ragazzi sono molto gravi. “Costretta ad avere rapporti sessuali in camera da letto e nel box del bagno”, “afferrata per la testa a bere mezza bottiglia di vodka” e “costretta ad avere rapporti di gruppo” dai quattro giovani indagati che hanno “approfittato delle sue condizioni di inferiorità psicologica e fisica” di quel momento. “Siamo distrutti. Il tentativo di fare spettacolo sulla pelle altrui è una farsa ripugnante”. dicono all’Adnkronos, attraverso il loro legale Giulia Bongiorno i genitori della ragazza italo-svedese, che ha denunciato di essere stata stuprata, nel luglio del 2019, da Ciro Grillo, figlio del garante del M5S e tre suoi amici Edoardo Capitta, Francesco Corsiglia e Vittorio Lauria., sono tutti indagati dalla Procura di Tempio Pausania per violenza sessuale di gruppo. I genitori hanno visto il video mandato in rete da Beppe Grillo in cui dice che il figlio è innocente e in cui parla di “divertimento“. “Vi siete resi conto che non è vero niente che c’è stato lo stupro. Perché una persona stuprata la mattina, al pomeriggio fa kitesurf e dopo 8 giorni fa la denuncia vi è sembrato strano. Bene, è strano – è questa la teoria farneticante ed arrogante di Beppe Grillo – E poi non è l’avvocato a parlare (che poi è suo cugino ! n.d.r. ) o io, che sono il padre, a difendere mio figlio: c’è il video. C’è tutto il video, passaggio per passaggio, si vede che è consenziente, si vede che c’è il gruppo che ride, che sono ragazzi di 19 anni che si stanno divertendo, che sono in mutande e saltellano col pisello così perché sono 4 coglioni, non 4 stupratori e io sono stufo perché sono due anni“, aggiunge Grillo, visibilmente fuori controllo. Le accuse della Procura di Tempio Pausania al figlio di Grillo e agli tre ragazzi sono molto gravi. “Costretta ad avere rapporti sessuali in camera da letto e nel box del bagno“, “afferrata per la testa a bere mezza bottiglia di vodka” e “costretta ad avere rapporti di gruppo” dai quattro giovani indagati che hanno “approfittato delle sue condizioni di inferiorità psicologica e fisica” di quel momento. E’ questo, nero su bianco, l’atto di accusa della Procura di Tempio Pausania (Sassari) a carico di quattro ragazzi della Genova bene, tra cui Ciro Grillo. Pagine su pagine di orrori, raccontati dalla giovane studentessa italo-svedese S.J, di appena 19 anni, che avrebbe subito, nella notte tra il 15 e il 16 luglio del 2019, una violenza di gruppo nella villa in Costa Smeralda di proprietà di Beppe Grillo. Come si legge nelle carte della Procura “il residence è stato individuato grazie a un selfie scattato” dalla giovane ragazza ed “è riconducibile a Beppe Grillo“. “Cercare di trascinare la vittima sul banco degli imputati – ancora i genitori della giovane, che aveva denunciato il presunto stupro al suo ritorno a Milano da una vacanza in Costa Smeralda – cercare di sminuire e ridicolizzare il dolore, la disperazione e l’angoscia della vittima e dei suoi cari sono strategie misere e già viste, che non hanno nemmeno il pregio dell’’inedito’”. Ma cosa ha detto Grillo nel video? “Mio figlio è su tutti i giornali come stupratore seriale insieme ad altri 3 ragazzi… Io voglio chiedere veramente perché un gruppo di stupratori seriali non sono stati arrestati, la legge dice che vanno presi e messi in galera e interrogati. Sono liberi da due anni, ce li avrei portati io in galera a calci nel culo”. “Allora perché non li avete arrestati? Perché vi siete resi conto che non è vero niente, non c’è stato niente perché chi viene stuprato fa una denuncia dopo 8 giorni vi è sembrato strano“, ha detto ancora nel video Beppe Grillo, che è bene ricordare ha alle spalle una condanna definitiva per omicidio colposo. “E’ strano. E poi c’è tutto un video, passaggio per passaggio, in cui si vede che c’è un gruppo che ride, ragazzi di 19 anni che si divertono e ridono in mutande e saltellano con il pisello, così…perché sono quattro coglioni”.
Le reazioni politiche. Il Partito democratico ha dovuto prendere con tutte le sue forze le distanze dal Garante M5S. Tutte le donne del Pd si sono schierate. I deputati come Andrea Romano e Matteo Orfini, oppositori interni dem della linea filo-M5S, si sono spinti a dire che questo “dovrebbe cambiare tutto” e “far stracciare ogni intesa“. Ma se anche le loro parole non vengono raccolte, se anche i vertici dem possono dire di trattare con Conte, non con Grillo, il problema c’è ed è gigantesco. “Nonostante sia evidente l’impatto emotivo per il coinvolgimento personale – dice il segretario nazionale PD Enrico Letta a La Repubblica – sono frasi inaccettabili”. Alessia Rotta lo accusa anche di “retorica maschilista contro le donne. È un insulto per chi ha subito violenze“.
Maria Elena Boschi, deputata di Italia Viva. “Non sta a me dire chi ha torto e chi ha ragione, per quello ci sono i magistrati. Ma che Beppe Grillo usi il suo potere mediatico e politico per assolvere il figlio è vergognoso”” attacca Maria Elena Boschi, deputata di Italia Viva : “Quando Beppe Grillo dice che suo figlio è chiaramente innocente perché non è né in carcere, né agli arresti domiciliari, dice una falsità da un punto di vista giuridico che non sta né in cielo né in terra». E ancora: «Anche quando ci spiega che sono solo dei “coglioni”, cito Grillo, quattro ragazzi che stanno scherzando, deresponsabilizza degli adulti maggiorenni. E lo fa semplicemente perché lui è famoso e può fare l’avvocato del proprio figlio“. E prosegue, nell’attacco rivolto a Grillo in veste di donna, di avvocato e di esponente politica, passando alla stoccata in punta di autocommiserazione e vittimismo. “Di che cosa si lamenta oggi Beppe Grillo? Di un clima schifoso, di un attacco verso la sua famiglia? Ma vi ricordate cosa ha fatto a me? A mio padre? Alla mia di famiglia?”. dice la Boschi “Mio padre è stato accusato di ben altri reati, certo non di stupro… Eppure quanto odio. Quanta volgarità. Quanta violenza verbale in quegli anni hanno accompagnato la mia famiglia. Spesso ispirati da Beppe Grillo e dal M5S. Eppure noi abbiamo aspettato che parlassero i giudici. Abbiamo aspettato che la giustizia facesse il proprio corso a differenza di Beppe Grillo. E allora oggi? Oggi Beppe Grillo ci spiega che ci sono due pesi e due misure. Che ci sono le regole e la morale che si applicano a lui e alla sua famiglia. E quelle che valgono per la mia di famiglia e quella di tutti gli altri attaccati ingiustamente negli anni dal M5S. Caro Grillo ti devi semplicemente vergognare“. L’ex-premier Giuseppe Conte con grande ipocrisia tace in un momento così delicato. Aveva deciso che questa sarebbe stata la settimana del lancio del nuovo statuto e della carta dei valori. Aveva spiegato alle persone a lui più vicine il perché di alcune scelte. Ma ora? Allucinanti le parole di solidarietà pronunciate “da padre” di Alessandro Di Battista. “Sei un papà e ti capisco. Spero che tutto si possa chiarire e alla svelta. Immagino siano stati due anni difficilissimi. Coraggio Beppe“, così come la dichiarazione cerchiobottista del reggente Vito Crimi: “solidarietà umana a Beppe Grillo“, ma “fiducia nella magistratura“. Sarebbe utile ascoltare quel che i 5 stelle dicono nelle loro conversazioni private, leggere i messaggi preoccupati che girano sulle chat, per capire come il video in cui un padre visibilmente disperato urla l’innocenza del figlio addossando la responsabilità di tutto a una ragazza che all’epoca aveva 19 anni e ai giornali, sempre ai giornali, sia devastante per il Movimento 5 stelle.
Federica Daga, deputata M5S. “Umanamente mi dispiace per Beppe, il suo è il dolore di un padre. Quasi non riesco a commentare ciò che ha detto. Ho avuto una relazione con una persona violenta per un breve periodo e per elaborare quanto era successo ci ho messo sei mesi, poi ho denunciato“. racconta all’Adnkronos Federica Daga, deputata M5S, quando le viene chiesto di commentare le parole di Beppe Grillo in difesa del figlio Ciro, accusato di stupro di gruppo. Ed aggiunge: ““Io ringrazio che ci sia il codice rosso, che consente alle donne di denunciare anche dopo sei mesi dal fatto, mentre io ho avuto solo tre mesi e infatti non ho potuto denunciare tutto quello che mi era successo. Mi dispiace per Beppe, la giustizia è lenta e io sono in causa da cinque anni. Non può essere così lunga una causa, non sai cosa ti può succedere nell’attesa”. “Da Grillo garantismo a giorni alterni. Il sabato Salvini è colpevole, il lunedì suo figlio è innocente”, commenta Matteo Salvini. A cui si associa Forza Italia: “Grillo, fustigatore giudiziario per professione, manettaro per credo politico, adesso diventa iper-garantista a difesa, guarda un po’, del figlio Ciro, coinvolto in un’inchiesta per violenza sessuale”, commenta il capogruppo azzurro Roberto Occhiuto. “Tutti, ma proprio tutti sono garantisti con parenti e amici e forcaioli con gli avversari. Per la Lega se di mezzo c’è il processo a Salvini, vale la presunzione di innocenza. Se tocca al capo di Gabinetto di Giani è condanna istantanea. Il Pd applica esattamente lo schema opposto, tifando per la condanna di Salvini e difendendo i compagni di partito. Di Grillo abbiamo ascoltato oggi l’appassionato intervento, dopo anni a difendere il giustizialismo più sfrenato. Siamo rimasti in pochi ad essere garantisti senza se e senza ma“. dichiara in una nota Enrico Costa, deputato e responsabile Giustizia di Azione.
Azzurra Barbuto per "Libero Quotidiano" il 19 aprile 2021. In questi anni i pentastellati di contraddizioni ne hanno manifestate tante, anzi troppe. Ma la loro più grande antinomia si esprime senza ombra di dubbio in quel giustizialismo feroce, di cui vanno fieri, che li induce a scagliarsi contro gli avversari politici, indotti alle dimissioni anche solo per un avviso di garanzia, ossia ancora prima del rinvio a giudizio che potrebbe non sopravvenire. Giustizialismo che clamorosamente si affievolisce fino a spegnersi allorché a finire sotto la lente di ingrandimento delle toghe sono propri eletti o individui a loro vicini. Persino davanti a condanne i cinquestelle sono pronti a giustificare membri del Movimento consentendogli di restare al loro posto. È questo il caso, ad esempio, della sindaca di Torino Chiara Appendino, condannata lo scorso gennaio ad un anno e sei mesi per disastro, lesioni e omicidio colposi. Insomma, gli indagati degli altri partiti sono criminali, i condannati del M5s invece sono sempre e comunque innocenti, in barba al parere dei giudici. A sinistra Ciro Grillo, il figlio di Beppe, accusato di violenza sessuale di gruppo. A destra Renzo Bossi, il figlio di Umberto È questa la prova provata della ignoranza dei grillini, della assenza di cultura e preparazione giuridica, della assoluta mancanza di consapevolezza riguardo i principi fondamentali del diritto, su cui poggiano democrazia e civiltà. Con i cinquestelle al potere abbiamo fatto un salto nel Medioevo, quindi siamo tornati indietro di secoli. A questo proposito, preme fare notare un elemento non irrilevante. Questi onesti cittadini, come si autodefiniscono, che vanno all'attacco e scattano e si scandalizzano e si indignano allorché un individuo è sospettato di avere compiuto un illecito, non hanno speso una parola, neppure una, in relazione alla vicenda che vede coinvolto il figlio ventenne del comico Beppe Grillo, Ciro, accusato di violenza sessuale di gruppo, ossia in concorso con altri tre giovani genovesi, ai danni di una studentessa italo-svedese, la quale, secondo la ricostruzione dei magistrati, la notte tra il 15 e il 16 luglio del 2019, sarebbe stata «costretta ad avere rapporti sessuali di gruppo in camera da letto e nel box del bagno», sarebbe stata «afferrata per la testa e obbligata a bere mezza bottiglia di vodka». Lo stupro sarebbe avvenuto proprio nella villa in Costa Smeralda di proprietà di Grillo e i presunti autori del crimine avrebbero «approfittato delle condizioni di inferiorità fisica e psicologica» della diciannovenne, stando agli atti dei pm. In base alla Costituzione, i quattro indagati, che a breve, a quanto pare, saranno rinviati a giudizio, sono innocenti fino a sentenza definitiva. In base alla morale grillina, invece, morale che noi stessi rigettiamo, sarebbero da considerarsi già rei. E qui l'etica pentastellata entra in cortocircuito: dato che è figlio di Grillo, Ciro è non responsabile di ciò di cui è incriminato. Se fosse stato figlio di Matteo Salvini, o di Silvio Berlusconi, o di Giorgia Meloni, o di altri esponenti di partiti avversi, allora - questo è certo - sarebbero state lanciate invettive cariche di sdegno e pure pietre. Anche gli organi di informazione hanno trascurato questa faccenda, quasi a voler proteggere il comico. Non fu usata la medesima premura nei confronti di Renzo, figlio di Umberto Bossi, fondatore della Lega, su cui la stampa e certi partiti, ancora prima che il giovane venisse eletto nel Consiglio regionale lombardo, si accanirono, ridicolizzandolo in ogni modo e tacciandolo di avere avuto difficoltà a superare gli esami di maturità nonché di avere comprato la laurea in Albania. Del resto, lo stupro è meno grave di questa roba qui. E come dimenticare il casino mediatico scatenatosi nel 2015 su Luca Lupi, figlio di quel Maurizio Lupi allora ministro delle Infrastrutture del governo Renzi, colpevole di avere ricevuto un Rolex in regalo per la sua laurea da parte di un soggetto indagato? Il ministro Lupi, reputato dagli organi di informazione alla stregua di un corrotto nonostante non fosse neppure sotto indagine, dovette dimettersi per quello che fu presentato come uno scandalo. Poco dopo i pm di Firenze archiviarono l'inchiesta nella quale - è opportuno ribadirlo - Lupi non era stato neppure coinvolto, semplicemente il suo nome compariva due volte nelle carte in relazione al figlio Luca e a quell'innocente quantunque prezioso dono di laurea.
Mar. Gra. Per “il Fatto Quotidiano” il 14 aprile 2021. Nei giorni scorsi si sono presentati in Procura i tre amici - Francesco Corsiglia, Vittorio Lauria ed Edoardo Capitta - accusati di violenza sessuale di gruppo. Adesso sarà la volta di Ciro Grillo, figlio di Beppe, indagato a Tempio Pausania per il presunto stupro di una coetanea dopo una notte alla discoteca Billionaire di Porto Cervo, fatti che risalgono all'estate del 2019. Sulla vicenda, da tempo, c'è un riserbo massimo, al punto che persino il giorno dell'interrogatorio è stato mantenuto segreto, per aggirare i giornalisti. A denunciare i ragazzi una coetanea, poco più che ventenne, che ha denunciato di essere stata violentata nella villa di Grillo, un addebito smentito dai ragazzi, secondo cui ci fu un rapporto di gruppo consenziente.
"Afferrata per i capelli". Verso il rinvio a giudizio per il figlio di Grillo. Ignazio Riccio il 17 Aprile 2021 su Il Giornale. Per Ciro, figlio 20enne del garante del Movimento 5 Stelle, e per i suoi tre amici, indagati per violenza sessuale nei confronti di una giovane studentessa italo-svedese di appena 19 anni, lo spettro del processo. La Procura di Tempio Pausania, in provincia di Sassari, sta decidendo in queste ore se chiedere il rinvio a giudizio per Ciro, figlio 20enne del garante del Movimento 5 Stelle Beppe Grillo, e per i suoi tre amici, accusati di volenza sessuale nei confronti di una giovane studentessa italo-svedese S. J., di appena 19 anni. L’episodio si sarebbe verificato nella notte tra il 15 e il 16 luglio del 2019, nella villa in Costa Smeralda di proprietà di Grillo. I magistrati attendono l'iter procedurale per poi prendere la decisione. Un procedimento blindato, blindatissimo, anche se sembrerebbe che la Procura sia orientata a chiedere il processo per i quattro ragazzi. L’accusa nei loro confronti è pesante. La 19enne sarebbe stata “costretta ad avere rapporti sessuali in camera da letto e nel box del bagno, dopo essere stata afferrata per i capelli e obbligata a bere mezza bottiglia di vodka”. Inoltre, i giovani avrebbero “approfittato delle sue condizioni di inferiorità psicologica e fisica”. Come si legge nelle carte della Procura, "il residence è stato individuato grazie a un selfie scattato dalla giovane ragazza ed è riconducibile a Beppe Grillo". Nei giorni scorsi sono stati interrogati i quattro indagati (Ciro Grillo, Edoardo Capitta, Francesco Corsiglia e Vittorio Lauria), i quali hanno respinto tutte le accuse e hanno parlato di "sesso consenziente di gruppo". Ma i Pm non gli credono. Un interrogatorio lungo, difficile, terminato solo in tarda serata. É stato il suo legale a chiedere alla Procura di sentire Grillo junior. Nel novembre scorso il magistrato ha chiuso le indagini e ha messo gli atti a disposizione della difesa, che ha chiesto un termine per fare le controdeduzioni ed eseguire le indagini difensive. A carico degli indagati ci sarebbero anche alcune fotografie che i consulenti della Procura hanno trovato sui cellulari e qualche intercettazione. La ragazza, che è difesa dall'avvocata Giulia Bongiorno, ex ministra leghista nel primo governo Conte, è stata più volte dagli inquirenti e ha raccontato, fin nei minimi particolari, quanto sarebbe accaduto in quella notte. I magistrati in quasi due anni di indagini hanno anche messo sotto controllo i telefoni non solo dei ragazzi, ma anche di Parvin Tadjik, madre di Ciro Grillo e moglie del comico genovese. La donna, sentita dai Pm, ha sempre raccontato che quella sera dormiva nell'appartamento accanto a quello in cui si sarebbe consumata la violenza, dicendo di non essersi accorta di niente. Lo scorso 20 novembre, dopo più di un anno dai fatti, la Procura, guidata da Gregorio Capasso, ha inviato la notifica alle difese mettendo a disposizione il materiale agli atti. Il procuratore Capasso e la sostituta Laura Bassani, hanno inserito nel fascicolo le immagini ritrovate nei telefoni che, secondo l'accusa, mostrerebbero gli abusi anche ai danni della seconda ragazza che dormiva. E adesso, a giorni, è atteso il deposito della richiesta di rinvio a giudizio negli uffici del Gup del piccolo Tribunale di Tempio Pausania, guidato dal magistrato napoletano Giuseppe Magliulo.
Tommaso Fregatti Matteo Indice per "la Stampa" il 20 aprile 2021. Quattro video, una foto più importante delle altre e, novità dell' ultima ora, testimoni con ogni probabilità entrati in contatto con le vittime nei giorni successivi alla presunta violenza, che secondo i difensori potrebbero corroborare la versione d' un rapporto consenziente. Sono questi gli elementi cardine dell'inchiesta, giunta ormai alle soglie della richiesta di rinvio a giudizio, su Ciro Grillo e i tre amici Edoardo Capitta, Francesco Corsiglia e Vittorio Lauria, tutti poco più che ventenni, genovesi e accusati di violenza sessuale di gruppo avvenuta nel 2019 nella casa in Sardegna del fondatore del Movimento Cinque Stelle. Contro queste accuse si è scatenato ieri Beppe Grillo con un video, suscitando le ire della famiglia. «Siamo distrutti. Il tentativo di fare spettacolo sulla pelle altrui è una farsa ripugnante», fanno sapere i genitori della ragazza attraverso una nota diffusa dal loro legale, Giulia Bongiorno. «Cercare di trascinare la vittima sul banco degli imputati, cercare di sminuire e ridicolizzare il dolore, la disperazione e l'angoscia della vittima e dei suoi cari sono strategie misere e già viste, che non hanno nemmeno il pregio dell' inedito», aggiungono. Per quanto riguarda l'inchiesta a Grillo, Capitta e Lauria sono addebitati i soprusi su due studentesse (S. J. ed R. M., entrambe diciannovenni), a Corsiglia su una, ancorché violentissimo. I fatti risalgono alla notte del 17 luglio 2019, in un appartamento del residence "Pevero" a Porto Cervo. Il dato nuovo riguarda i testimoni a favore di cui Grillo jr ha parlato nell' interrogatorio di giovedì. Le indiscrezioni sono risicate, ma è acclarato che si tratta di persone, non presenti nell' appartamento, che potrebbero aver raccolto confidenze nei giorni successivi al presunto stupro. E da queste, nell' opinione dei legali, emergerebbero prove a sostegno della «consensualità» dei rapporti. La versione collide in pieno con i verbali di S. J., che avrebbe subito i soprusi più violenti e ha sporto denuncia alla stazione carabinieri Moscova di Milano, otto giorni dopo i fatti. «Ero completamente ubriaca - la dichiarazione reiterata ai militari dalla ragazza, il cui legale è l' ex ministra Giulia Bongiorno - hanno continuato a farmi bere pure dopo essere usciti dalla discoteca Billionaire e hanno abusato di me», con ulteriori ragguagli. Le sue parole sono state messe a confronto con il materiale trovato nei telefonini di tutti i protagonisti. In primis con quattro filmati che riprendono varie fasi della serata e dell' incontro fra i genovesi e S. J. La quale, secondo i pm, è in condizioni così precarie per l'alcol che le avevano fatto ingerire, da compiere atti contro la propria volontà. E così sintetizzano quella notte il procuratore capo Gregorio Capasso e la sostituta Laura Bassanini: «Gli indagati mediante violenza, costringevano e comunque inducevano S. J., abusando delle sue condizioni d' inferiorità fisica e psichica dovuta all' assunzione di alcolici, a subire e compiere atti di natura sessuale». Nell'elenco del materiale audiovideo compaiono poi gli screenshot di alcuni post sui social network, che ancora S.J. aveva diffuso in seguito. In quei commenti, secondo gli avvocati, non traspare affatto l'orrore rivelato più avanti e la vacanza è descritta come se nulla fosse. Per la parte civile si è trattato di un atteggiamento comprensibile: sotto choc, la diciannovenne avrebbe rimosso temporaneamente il trauma. Un altro scontro si profila su una fotografia emersa da uno smartphone degli indagati. Nello scatto si vede uno dei ragazzi (nelle prime carte della Procura è indicato come tale Ciro Grillo, ma sul punto ci sono dubbi e non sono esclusi aggiornamenti) immortalato in una posa a sfondo sessuale, come fosse davanti a una preda, accanto a R. M. incosciente per l' alcol, dopo che S. J. a parere dei pm aveva in precedenza subito una serie di aggressioni. Quello scatto ha materializzato la seconda contestazione di abuso e ha rinforzato agli occhi degli investigatori la credibilità di S. J: uno dei dubbi riguardava proprio il fatto che R. M., addormentata sul divano, non avesse sentito nulla. Le condizioni mostrate nell' immagine confermerebbero invece la coerenza del racconto, ma i difensori contestano questa prospettiva.
Gregorio Capasso, il magistrato che indaga su Grillo junior: "Presto tutto sarà chiarito". Giuseppe Filetto su La Repubblica il 21 aprile 2021. L'incontro con il procuratore di Tempio Pausania: "Le parole di Beppe Grillo? Non rispondo, ho il dovere di tutelare tutti". "Di questa indagine non posso e non voglio parlare: questo ufficio ha il dovere di tutelare tutti i soggetti interessati da questa vicenda. Che però quanto prima sarà definita", si limita a dire il procuratore capo Gregorio Capasso. L'inchiesta è quella a carico di Ciro Grillo, figlio di Beppe, il garante dei 5 Stelle, e di altri tre giovani della Genova Bene (Edoardo Capitta, Francesco Corsiglia e Vittorio Lauria).
Francesca Bernasconi per ilgiornale.it il 22 aprile 2021. La vicenda sembra essere vicina alla conclusione del primo step: processo o archiviazione. A decidere sulla sorte di Ciro Grillo e degli altri tre ragazzi accusati di violenza sessuale sarà la procura di Tempio Pausania. "Presto questa vicenda sarà definita- ha dichiarato a Repubblica il procuratore capo Gregorio Capasso, che coordina l'inchiesta-Non passerà molto tempo". Sembra, quindi, che si avvicini una prima conclusione, che prevede la richiesta di rinvio a giudizio dei quattro indagati o l'archiviazione. Anche se, stando agli elementi emersi nel corso dell'inchiesta e trapelati nei giorni scorsi, a carico di Ciro Grillo e dei tre coetanei che erano con lui nella villa in Costa Smeralda ci sarebbero immagini, video e intercettazioni che mostrerebbero quando avvenuto nella notte del 16 luglio 2019. Secondo l'accusa, i giovani avrebbero violentato la 19enne S.J., conosciuta al Billionaire e invitata nella villa del fondatore del Movimento 5 Stelle insieme all'amica R.M: entrambe sarebbero state costrette prima a bere alcol e poi, mentre R.M. dormiva, S.J. sarebbe stata costretta a "cinque o sei rapporti sessuali". A subire gli abusi sarebbe stata anche la seconda ragazza, stando a una foto choc che la mostra addormentata, mentre viene umiliata da uno dei ragazzi. A difendere le studentesse c'è l'avvocato Giulia Bongiorno, ministro del primo governo Conte, duramente criticata dal senatore pentastellato Danilo Toninelli che ha dichiarato: "Ma trovate normale che a parlare per conto della famiglia della vittima, dell'eventuale vittima, di quella ragazza, sia un politico? Lo stesso politico che difende Salvini nei casi delle Ong, Gregoretti, Open Arms… Cioè, a parlare per la famiglia della presunta vittima è una senatrice della Lega, che prende probabilmente gratuitamente, per strumentalizzare politicamente una roba del genere". La vicenda, sia per la gravità delle accuse che per le implicazioni politiche, è delicata. "Di questa indagine non posso e non voglio parlare- ha detto il procuratore capo di Tempo Pausania-questo ufficio ha il dovere di tutelare i soggetti interessati a questa vicenda. Tutti". Infatti, precisa Capasso, "da quando è esploso questo caso, non ho mai parlato con alcun giornalista". A Repubblica dice poche parole, alla presenza di un ispetttore di polizia e di un carabiniere, annunciando che la procura è vicina alla decisione. Non aggiunge molto altro. "Ma non è sempre così- precisa- si parla quando ci sono notizie ostensibili, questa volta no". E non risponde nemmeno all'attacco di Beppe Grillo, che nel video in cui difendeva il figlio, diceva: "Voglio chiedervi, voglio una spiegazione sul perché un gruppo di stupratori seriali, compreso mio figlio, non sono stati arrestati. Perché non li avete arrestati?". Secondo il procuratore, "non è il momento" di commentare queste parole e chiede: "Non mettetemi in difficoltà". Intanto, stando a quanto riporta Repubblica, il fondatore del Movimento 5 Stelle avrebbe già chiesto la collaborazione di un medico legale, per cercare di dimostrare l'innocenza dei ragazzi. Secondo la difesa, infatti, la ragazza sarebbe stata consenziente. È questo, ora, il nocciolo della questione, sul quale la difesa insiste.
Da adnkronos.com il 24 aprile 2021. Il video di Grillo in cui difende il figlio Ciro accusato di stupro? "Una sciocchezza mostruosa, un danno grave all'immagine della ragazza e anche del figlio a prescindere della decisione che prenderà il giudice". Così all'Adnkronos Antonio Di Pietro, ex magistrato del pool di Mani Pulite ed ex ministro dei Lavori Pubblici. "Nutro grande affetto per Beppe Grillo ma non posso condividere la sua scelta di fare quell'intervento video - ha aggiunto Di Pietro -. Da sottolineare il mancato rispetto nei confronti della ragazza, che sarà o non sarà vittima, ma certamente va rispettata come donna, e il mancato rispetto nei confronti del figlio". "Il processo si doveva svolgere all'interno del tribunale, dove si fanno valere le proprie ragioni. Ora si sono creati tanti pregiudizi, tante, troppe polemiche che finiranno per sporcare l'esito finale che decideranno i giudici, qualunque esso sia. Sono amareggiato, sono amico di Beppe e gli voglio bene ma gli sfoghi, questo genere di sfoghi, - ha detto ancora Di Pietro - si fanno davanti allo specchio e non davanti alla telecamera di un cellulare". Di Pietro ha poi voluto evidenziare che "c'è un altro aspetto molto imbarazzante a mio avviso: il silenzio vigliacco della dirigenza del Movimento 5 Stelle, sfuggono ai microfoni e non vogliono parlare. Ed il colpo dato al cerchio e alla botte da parte del democristiano Antonio Conte".
(ANSA il 24 aprile 2021) "Dopo quella sera non erano più le stesse, si vedeva che era successo qualcosa. Mi sembra non siano più uscite di sera". A parlare ai microfoni di Quarto grado su Retequattro l'albergatore della Costa Smeralda che nell'estate del 2019 ospitò la ragazza, e la sua amica, che accusa Ciro Grillo e altri tre giovani di averla violentata. "Ho conosciuto meglio una delle due. L'amica è arrivata solo per qualche giorno alla fine della vacanza, mentre la ragazza che si è fermata di più mi è sembrata una brava ragazza -racconta l'albergatore- È venuta qui con i genitori e la sorella, poi i genitori andavano e venivano e lei è rimasta con la sorella più piccola, che le era stata affidata. Una ragazza in gamba, sportiva. Una delle due mi pare facesse la modella e anche l'altra avrebbe potuto benissimo farlo: erano due ragazze giovani, di un metro e ottanta, due belle ragazze. Non erano appariscenti, quella che abbiamo conosciuto meglio sembrava quasi una ragazza timorata di Dio, una che ogni papà vorrebbe avere come figlia». L'albergatore spiega che dopo quella sera, quella del presunto stupro di gruppo, "non erano più le stesse. Si vedeva che era successo qualcosa. Io e la mia ragazza, per darci una spiegazione, pensavamo avessero litigato tra di loro. Poi non mi ricordo se quel giorno o quello seguente, la ragazza che avevamo conosciuto meglio ci ha chiesto in prestito la bicicletta, perché doveva andare a Palau a fare delle commissioni". Le ragazze si sono fermate nell'hotel "un'altra settimana, dove in realtà hanno fatto la solita vita. Noi le vedevamo per colazione e poi o stavano in camera, a studiare, oppure andavano in spiaggia ma -aggiunge il proprietario dell'hotel- mi sembra non siano più uscite di sera. Quando abbiamo saputo del fatto siamo rimasti increduli".
Gianluigi Nuzzi per “La Stampa” il 24 aprile 2021. «Silvia, perché piangi?», prova a chiedere Roberta, accarezzando i capelli all'amica, completamente nuda ancora a letto. Silenzio. «Mi hanno violentata», risponde tra i singulti. «Ma chi?», «Tutti... Roberta... Tutti». Sono le 14,45 di mercoledì 17 luglio 2019, Roberta si è appena svegliata intontita nel soggiorno della villetta a Cala di Volpe. Cerca l'amica Silvia e la ritrova nella stanzetta priva di porta, con una tenda che separa il vano dal corridoio, di fronte al bagno. Ascolta quelle parole. Con le palpebre pesanti di una notte passata tra la discoteca Billionaire e la nottata con quei quattro ragazzi di Genova, impiega e secondi e minuti e ore per ricordare i dettagli, mettere insieme i pezzi e capire. Compie una fatica enorme a rendersi davvero conto che la divertente vacanza con la compagna di classe italonorvegese è appena precipitata in un incubo tale da farle oggi indicare da giornali e tv con nomi di fantasia. Ma dov' è la ragione, Silvia ha patito una violenza di gruppo o invece era consenziente, come Beppe Grillo e il figlio Ciro urlano da giorni, indicando come prova regina un video di 24 secondi? Per capire cos' è accaduto bisogna ripercorrere quella serata nella sua interezza, basandosi sul fascicolo delle indagini, sviluppate in una ricostruzione certosina: sono stati sentiti decine di testimoni (financo tassisti, baristi e il fotografo della discoteca, amici, istruttori sportivi), intercettati i telefoni, recuperati i messaggi, persino analizzati al millimetro i frame di video e foto per capire dagli indumenti intimi, da mutande e t-shirt, chi agiva e chi guardava. Silvia era sbarcata in Sardegna il 5 luglio, per esser poi raggiunta da Roberta e godersi il mare, il kite surfing e le serate a ballare, lasciando da parte greco e latino e gli impegni del liceo classico. A fine settimana i genitori la raggiungevano per stare insieme in un quadretto tra maturità e prima autonomia, che fa della costa Smeralda in luglio una colonia degli adolescenti dell'Italia opulenta alla conquista dell'attesa indipendenza. Silvia aveva scelto su internet un decoroso bed&breakfast in localita Barrabisa a Palau, a due passi dalle spiagge, e da lì con i taxi si muoveva, insieme all'amica, di giorno e di notte. E così martedì 16, alle 23,45, le ragazze avevano l'auto per il trasferimento alla discoteca Billionaire dove avevano fissato all'ingresso l'appuntamento con altri tre compagni di scuola, una coppia e un ragazzo. Ed è proprio quest' ultimo a conoscere quattro ragazzi genovesi (Francesco Corsiglia, Edoardo Capitta, Vittorio Lauria e Ciro Grillo), che sono ben lieti di ospitarli al tavolo, prenotato a nome di Ciro, che ha compiuto solo da qualche giorno 19 anni. La serata scivola via spensierata, nei verbali le due ragazze ricordano un consumo di vodka al tavolo mentre i genovesi sottolineano più le bevute di Red Bull, la bibita energizzante. Il gruppo ormai amalgamato sembra affiatato, dai verbali emerge anche che durante un ballo sarebbe scappato un bacio tra Ciro e Silvia, ma niente di più. Alle 3,30 inizia a farsi tardi e i tre amici delle «milanesi» salutano e se ne vanno. Balli, bevute, balli, chiacchiere, la normalità. Alle 5 la comitiva decide di uscire, viene pagato il conto e si torna all'aperto. Ma le due ragazze non trovano un taxi: «Dai venite a fare due spaghetti da noi, poi vi riaccompagniamo domattina al bed&breakfast, abbiamo l'auto a casa, nessun problema». Roberta tentenna, Silvia è più accondiscendente e alla fine vanno tutti a Cala di Volpe. Nel tragitto, secondo uno dei ragazzi proprio Silvia allunga un piede tra le gambe di uno dei nuovi amici che vive la cosa come un atteggiamento disponibile, ma la ragazza a verbale minimizza l'accaduto, non dandogli alcun peso. Insomma, se è successo non era neanche intenzionale. Sono le 5,30 ormai quando i giovani sorseggiano ancora qualche alcolico nel gazebo, mentre Roberta cucina gli spaghetti. Anche qui i racconti divergono: le ragazze sottolineano come i quattro continuassero a bere esageratamente, mentre il loro comportamento era più normale. La situazione inizia però a cambiare. Fa freddo, e così Corsiglia accompagna Silvia a prendere delle coperte nella camera matrimoniale dove per l'accusa l'afferra, sbattendola sul letto, mettendosi sopra, baciandola sulla bocca e provando un approccio sessuale. Lei si divincola e raggiunge il gazebo per cenare con gli altri. Il fatto passa senza conseguenze, lui nei racconti successivi minimizzerà, indicandola come una normale dinamica di corteggiamento. Sono passate da poco le 6 quando Roberta saluta e va a sdraiarsi sul divano del soggiorno, addormentandosi rapidamente. Silvia rimane a scherzare con Lauria nel gazebo, mentre gli altri sparecchiano. Da lì a qualche minuto tutto degenera. Silvia è stanca e Corsiglia l'accompagna nella camera singola, dove lei si sdraia sotto le lenzuola. Ma il ragazzo non se ne va, Silvia glielo chiede più volte, niente, anzi, la raggiunge e la costringe a un rapporto completo. Lei cerca di liberarsi, racconta che gli altri ragazzi stavano sull'uscio della stanza, tanto per l'accusa a bloccarne l'uscita. Chi rideva. Chi commentava. Silvia è fisicamente più debole, i giovani sono tutti ben palestrati. A un certo punto però riesce ad andare in bagno dove Corsiglia la raggiunge, spingendola di spalle nel box doccia per un altro rapporto contro volontà. Lei piange in bagno. Lauria e Capitta le chiedono perché ma lei non risponde. Proprio quest' ultimo le chiede di dormire insieme ma lei si rifiuta e cerca di svegliare l'amica per andarsene. Qui Roberta ha i ricordi confusi, in dormiveglia risponde di lasciarla tranquilla, ma di fatto non capisce quello che succede, non si alza e continua a dormire. Per la difesa, invece, potrebbe essere questo un elemento a sostegno della tesi che la vittima fosse consenziente. Silvia vuole prendere un taxi, cerca il telefonino ed è proprio Lauria che - stando al racconto della vittima - interviene per tranquillizzare la ragazza, dicendo che appena Corsiglia si sarebbe ripreso dall'alcol, l'avrebbero portata a casa. L'accompagna quindi fuori per mostrarle l'auto. Anche qui, Silvia racconta che sarebbe stata presa per i fianchi, riuscendo però a divincolarsi e a tornare al gazebo. Ricorda come ormai fossero le 9 quando piange nel gazebo, i ragazzi le chiedono perché e lei risponde: «Lo sapete benissimo, Francesco mi ha fatto male e voi non siete intervenuti». Ma la situazione si fa incandescente e degenera. Grillo, Lauria e Capitta l'avrebbero costretta a bere della vodka, tenendola per i capelli. La giovane afferma in procura che i ricordi le si offuscano. Ha in mente quando Lauria l'avrebbe invitata «a dormire in camera matrimoniale» e lei non capiva più niente in preda all'alcol. Gli altri la raggiugono, le vanno addosso sul letto ubriachi, la violentano a turno e insieme fino a quando perde conoscenza. Alle 14,45 Roberta si sveglia e trova l'amica paralizzata dalla paura. È una situazione surreale, nessuno parla: «C'era del mutismo da parte di tutti», ricorderà l'amica della vittima. Silvia cerca i vestiti e si ricopre. Corsiglia e Grillo le accompagnano ad Arzachena dove le due giovani prenderanno alle 15 un taxi per rientrare al bed&breakfast: «Quel pomeriggio le ragazze non erano più le stesse - racconterà Daniele, il titolare -. Poi sono rimaste, credo ancora una settimana ma non erano più le stesse. Erano educate, carine, una sembrava una "timorata di Dio" tanto era riservata ma da quel pomeriggio erano distaccate, silenti. Silvia ci ha chiesto una bici in prestito per andare a Palau». In effetti la ragazza vuole andare in farmacia a comprare la pillola del giorno dopo, visto che i ragazzi non avevano usato i preservativi. Poche ore dopo va alla lezione fissata di kite surfing a Porto Pollo ma anche qui l'istruttore mette a verbale di aver trovata la giovane chiusa, scostante, come percependo che fosse accaduto qualcosa di brutto: «Ricordo che era molto turbata». «Lei ha raccontato quanto accaduto a degli amici?», ha chiesto il pubblico ministero e Silvia ha indicato i nomi di un'amica concittadina e di un'altra che vive fuori Milano che avrebbero confermato le confidenze ricevute e il fatto che l'amica era anche spaventata dal mancato uso di contraccettivi. Venerdì arrivano i genitori, ospiti dello stesso bed&breakfast. All'inizio Silvia si vergogna, non racconta nulla ma poi scoppia a piangere. «Mamma, mi hanno violentato». Intanto, i tre ragazzi che Beppe Grillo vede nel video si mandavano su whatsapp messaggi finiti nell'inchiesta. Il 29 agosto escono le prime indiscrezioni: «Ho paura che quella ci ha denunciato», scrive Capitta in un messaggio. E poi: «3 vs 1», invia uno di loro agli amici. Tre contro una, come un compiacimento, come se fosse stato un gioco della playstation e non un incubo che offuscherà la vita di tutti.
Ciro Grillo, "come erano ridotte dopo quella sera": la testimonianza dell'albergatore, scacco matto al figlio del comico? Libero Quotidiano il 24 aprile 2021. Una testimonianza cruciale quella che ha fornito Daniele Ambrosiani, l’albergatore della Costa Smeralda che nell’estate del 2019 ospitò la presunta vittima di stupro di Ciro Grillo. "Dopo quella sera non erano più le stesse, si vedeva che era successo qualcosa. Mi sembra non siano più uscite di sera", ha detto Ambrosiani ai microfoni di Quarto Grado su Rete 4, riferendosi alla ragazza, che accusa Grillo jr e tre suoi amici di violenza sessuale, e alla sua amica. “Ho conosciuto meglio una delle due. L'amica è arrivata solo per qualche giorno alla fine della vacanza, mentre la ragazza che si è fermata di più mi è sembrata una brava ragazza – ha spiegato l'albergatore - È venuta qui con i genitori e la sorella, poi i genitori andavano e venivano e lei è rimasta con la sorella più piccola, che le era stata affidata”. Ambrosiani l'ha descritta come una ragazza in gamba e sportiva. “Erano due ragazze giovani, di un metro e ottanta, due belle ragazze. Non erano appariscenti, quella che abbiamo conosciuto meglio sembrava quasi una ragazza timorata di Dio, una che ogni papà vorrebbe avere come figlia”, ha continuato Ambrosiani. Che poi ha sottolineato di aver notato un cambiamento nelle due amiche dopo la notte della presunta violenza sessuale: “Si vedeva che era successo qualcosa. Io e la mia ragazza, per darci una spiegazione, pensavamo avessero litigato tra di loro”. E ancora: “Mi sembra che da quel momento non siano più uscite di sera. Quando abbiamo saputo del fatto siamo rimasti increduli".
Ciro Grillo, il racconto della ragazza che accusa il gruppo: "Scagliata nel box doccia e stuprata". Poi il messaggio: "Tre contro uno". Libero Quotidiano il 24 aprile 2021. "Silvia, perché piangi?", chiede l'amica. "Mi hanno violentata. Tutti... Tutti...". Questa la rivelazione con cui poi è partito il caso che vede sotto accusa per violenza sessuale Ciro Grillo, figlio di Beppe, assieme ad altri tre amici. Gianluigi Nuzzi sulla Stampa racconta i fatti partendo dalla confessione della ragazza che ha fatto poi scattare la denuncia. Silvia era sbarcata in Sardegna il 5 luglio 2019, per esser poi raggiunta dall'amica. Silvia aveva scelto su internet un bed&breakfast a Palau. Martedì 16 le ragazze tramite un compagno di scuola conoscono quattro ragazzi genovesi (Francesco Corsiglia, Edoardo Capitta, Vittorio Lauria e Ciro Grillo) e si siedono al tavolo con loro che hanno un tavolo prenotato al Billionaire di Flavio Briatore. Alle 5 la comitiva decide di uscire. Silvia e l'amica non trovano però un taxi per tornare a casa. "Dai venite a fare due spaghetti da noi, poi vi riaccompagniamo domattina al bed&breakfast, abbiamo l'auto a casa, nessun problema". L'amica tentenna, mentre Silvia sembra più propensa - scrive Nuzzi - ad ad accettare l'invito per andare a Cala di Volpe. "Secondo uno dei ragazzi proprio Silvia allunga un piede tra le gambe di uno dei nuovi amici che vive la cosa come un atteggiamento disponibile, ma la ragazza a verbale minimizza l'accaduto, non dandogli alcun peso. Insomma, se è successo non era neanche intenzionale", scrive sempre Nuzzi. All'arrivo i racconti divergono: le ragazze affermano che i quattro amici continuassero a bere. Uno di loro accompagna Silvia a prendere delle coperte nella camera matrimoniale "dove per l'accusa l'afferra, sbattendola sul letto, mettendosi sopra, baciandola sulla bocca e provando un approccio sessuale. Lei si divincola e raggiunge il gazebo per cenare con gli altri. Il fatto passa senza conseguenze, lui nei racconti successivi minimizzerà, indicandola come una normale dinamica di corteggiamento", rivela Nuzzi che ha spulciato tutte le carte dell'inchiesta. Verso le sei Silvia è stanca e sempre l'amico di prima l'accompagna nella camera singola, dove lei si sdraia sotto le lenzuola. La raggiunge nel letto e la costringe a un rapporto completo. Lei cerca di liberarsi e racconta che gli altri ragazzi erano sulla porta per fare in modo che lei non scappasse. Riesce però a scappare in bagno, ma sempre il primo ragazzo la violenta una seconda volta, spingendola di spalle nel box doccia. Dopo un paio di ore la "situazione si fa incandescente e degenera. Grillo, Lauria e Capitta l'avrebbero costretta a bere della vodka, tenendola per i capelli. Così poi la raggiugono, le vanno addosso sul letto ubriachi, la violentano a turno e insieme fino a quando perde conoscenza". Poco prima delle 15, l'amica si sveglia e trova l'amica "paralizzata dalla paura". Da lì la domanda che ha fatto scattare tutto. Il 29 agosto del 2019 escono le prime indiscrezioni: "Ho paura che quella ci ha denunciato", scrive uno degli amici di Grillo jr in un messaggio. E poi: "3 vs 1", invia uno altro agli amici.
Ciro Grillo, l'albergatore che ospitava la ragazza: "Distaccata e silente. Quando sono arrivati gli agenti in borghese, ho capito". Libero Quotidiano il 25 aprile 2021. Spunta una nuova testimonianza che complica la posizione di Ciro Grillo, figlio di Beppe Grillo, e dei due altri ragazzi accusati di violenza sessuale, il caso rimbalzato in modo fragoroso agli onori delle cronache dopo il video del comico M5s che ha suscitato tante polemiche. A parlare, in una intervista al Corriere della Sera, è Daniele, il titolare del bed & breakfast in cui soggiornava Silvia, una delle due ragazze che ha denunciato la presunta violenza. Daniele spiega di aver conosciuto Silvia come una giovane "educata e carina", ma dopo quella notte è diventata "distaccata e silente". Insomma, secondo lui qualcosa è accaduto, qualcosa la ha segnata. L'albergatore ricorda di averi visto le ragazze tornare verso le ore 15. Scendono dal taxi e la sua compagna nota che Silvia e Roberta hanno gli stessi vestiti che indossavano la sera prima, quando erano uscite: "Ci sembrava strano che avessero passato la notte fuori perché erano qui da parecchi giorni e non erano ragazze che uscivano tutte le sere, se non ricordo male non erano proprio mai uscite di sera e men che meno erano rimaste fuori a dormire". Quindi nota la camminata rapida, veloce, furtiva," gli occhiali scuri e la testa basse". Dritte in camera, l'umore cambiato: "Ci è sembrato più scuro, diverso". Inizialmente Daniele e la moglie pensavano a un litigio tra le due. Ma il giorno dopo Ferragosto arrivano due carabinieri in borghese e iniziano a fare delle domande: "E lì abbiamo capito". Il punto è che i militari hanno chiesto informazioni sulle loro due ospiti, cercando di capire se al loro ritorno erano scosse, spettinate e se piangevano. E Daniele spiega: "Noi volevamo capire perché quelle domande, ma non ci hanno detto niente, finché ho fatto io una domanda precisa sulla violenza sessuale e anche se non c’è stata risposta ho capito che si trattava di quello". E ancora, aggiunge: "Silvia mi è sembrata nervosa, aveva i modi e l’aria di chi aveva fretta di fare qualcosa". Tanto che quando si era offerto di darle un passaggio in auto, la ragazza si era rifiutata. "Ho saputo soltanto adesso che voleva andare in farmacia a prendere la pillola del giorno dopo. Lì per lì mi è parsa un po’ agitata, appunto. Nervosa", conclude Daniele.
Caso Grillo, il testimone: "Dopo quella notte le ragazze erano cambiate". Luca Sablone il 25 Aprile 2021 su Il Giornale. Il racconto del titolare del bed&breakfast dove alloggiava la ragazza coinvolta: "Era nervosa, silenziosa e pensierosa. Aveva fretta, ora so che andava in farmacia per la pillola". C'è anche una testimonianza. Ve ne avevamo già parlato ieri: Daniele, il titolare del bed&breakfast dove Silvia era ospite, aveva raccontato come la ragazza non era più la stessa. L'aveva conosciuta come una giovane "educata e carina", per poi assistere a un cambiamento che l'ha portata a essere "distaccata e silente". Quella notte in compagnia di Ciro Grillo e i suoi tre amici l'ha evidentemente segnata: Silvia più volte è scoppiata in lacrime prima di confessare tutto all'amica Roberta e ai suoi genitori. E pensare che uno del gruppetto sulla chat commentava così: "3 vs 1". Un messaggio quasi di compiacimento. Ma dietro quella vicenda c'è il forte dolore di una ragazza turbata da quanto avvenuto. Daniele vede le ragazze tornare verso le ore 15. Scendono dal taxi e la sua compagna nota che Silvia e Roberta hanno gli stessi vestiti che indossavano la sera prima, quando erano uscite: "Ci sembrava strano che avessero passato la notte fuori perché erano qui da parecchi giorni e non erano ragazze che uscivano tutte le sere, se non ricordo male non erano proprio mai uscite di sera e men che meno erano rimaste fuori a dormire". Una camminata veloce, "occhiali scuri e testa bassa". Poi si infilano in camera e da quel momento si capisce che il loro umore è completamente cambiato: "Ci è sembrato più scuro, diverso". La cosa che più salta all'occhio è che non sono più serene come il giorno prima: "Erano silenziose e pensierose". Daniele e la compagna ipotizzano un litigio tra le due, ma un giorno dopo Ferragosto arrivano due carabinieri in borghese a fare domande: "E abbiamo capito...".
La testimonianza di Daniele. I militari chiedono informazioni sulle loro due ospiti, cercando di capire se al loro ritorno erano scosse, spettinate e se piangevano: "Noi volevamo capire perché quelle domande, ma non ci hanno detto niente, finché ho fatto io una domanda precisa sulla violenza sessuale e anche se non c’è stata risposta ho capito che si trattava di quello". A quel punto si danno una spiegazione per quel cambio di umore improvviso. I titolari del bed&breakfast - situato a Barrabisa, una località del Comune di Palau, in Gallura - ovviamente non posso giudicare veritiero o meno il racconto delle ragazze, ma danno per certo "che quella notte qualcosa è successo". Daniele rivela al Corriere della Sera che la ragazza italo-svedese, dopo la notte con Ciro Grillo e i suoi tre amici, chiede una bicicletta per andare a Palau: "Mi è sembrata nervosa, aveva i modi e l’aria di chi aveva fretta di fare qualcosa". Prova a offrirle un passaggio in macchina, ma lei rifiuta perché preferisce andare da sola. "Ho saputo soltanto adesso che voleva andare in farmacia a prendere la pillola del giorno dopo. Lì per lì mi è parsa un po’ agitata, appunto. Nervosa", conclude il titolare del b&b.
Beppe Grillo "nel panico perché ha scoperto di essere intercettato?": la teoria sul video in difesa del figlio. Libero Quotidiano il 24 aprile 2021. Beppe Grillo è stato intercettato? Potrebbe essere un’ipotesi, visto che la moglie del comico genovese, Parvin Tadjik, è stata tenuta sotto osservazione nell’ambito dell’inchiesta della Procura di Tempio Pausania, in cui è coinvolto il figlio della coppia, Ciro di 19 anni. Quest’ultimo è accusato di violenza sessuale su una ragazza conosciuta in Sardegna insieme ad altri tre ragazzi. Dal momento del presunto stupro, luglio 2019, la madre del ragazzo sarebbe stata intercettata dalla Procura, stando a quanto rivela l’Adnkronos. La donna, tuttavia, ha sempre detto di non aver sentito nulla quella notte. “Sono nel panico, Beppe Grillo e sua moglie. Solo con un attacco di panico si può giustificare una uscita così suicida da parte di entrambi. Sanno qualcosa che non sappiamo, anche a proposito dell’indagine”, ha rivelato al Riformista l’ex socio di Casaleggio, Marco Canestrari, riferendosi al video choc di Grillo e al commento di sua moglie sotto a un post di Maria Elena Boschi. “Mi sembra che Grillo abbia un disperato bisogno di protezione, ecco perché si è affrettato a formare un governo con il Pd e poi a sostenere Draghi. Ha l’esigenza di tenersi al coperto, dentro l’area di governo”, ha continuato Canestrari. Anche secondo l’ex socio di Casaleggio, inoltre, è verosimile che il fondatore del M5s sia stato intercettato. Anche perché nei giorni della presunta violenza, Grillo non era in Sardegna con la moglie e quindi l’avrà chiamata frequentemente. “Grillo non gode di alcuna immunità, possono aver sentito le conversazioni tra i due. E la reazione inconsulta si può leggere con questa luce – ha spiegato Canestrari -. Perché Grillo quando parla al telefono non è la stessa persona di quando parla in pubblico”. Può essere, insomma, che il garante dei pentastellati sia andato nel panico dopo aver scoperto di essere stato intercettato: “Il Grillo pubblico e il Grillo privato, i segreti inconfessabili dei festini alcolici, il timore di essere finito all’orecchio di un grande Fratello giudiziario”, scrive il Riformista.
Da iltempo.it il 25 aprile 2021. Il telefono di Beppe Grillo potrebbe essere stato intercettato nell’ambito dell’inchiesta sul presunto stupro del figlio Ciro e di altre tre amici del ragazzo. A lanciare l’ipotesi è Il Riformista, che ricorda come il cellulare di Parvin Tadjik, moglie del leader e fondatore del Movimento 5 Stelle, risulti attenzionata dalle indagini della Procura di Tempio Pausania. La moglie di Grillo, dormiva nell’appartamento accanto a quello in cui si sarebbe consumata la violenza di gruppo e risulterebbe essere stata intercettata dopo aver testimoniato, probabilmente per delle spiegazioni che non hanno convinto i magistrati. “Sono nel panico, Beppe Grillo e sua moglie. Solo con un attacco di panico si può giustificare una uscita così suicida da parte di entrambi. Sanno qualcosa che non sappiamo, anche a proposito dell’indagine” dice Marco Canestrari, ex socio di Gianroberto Casaleggio. “Mi sembra - prosegue Canestrari - che Grillo abbia un disperato bisogno di protezione, ecco perché si è affrettato a formare un governo con il Pd e poi a sostenere Draghi. Ha l’esigenza di tenersi al coperto, dentro l’area di governo. Grillo intercettato? È probabile, Grillo non gode di alcuna immunità, possono aver sentito le conversazioni tra i due. E la reazione inconsulta si può leggere con questa luce. Perché - chiude il suo racconto Canestrari - Grillo quando parla al telefono non è la stessa persona di quando parla in pubblico”.
Ecco cosa c'è dietro il video di Grillo. Francesca Galici il 25 Aprile 2021 su Il Giornale. Nervoso e diverso dal solito: il video di Beppe Grillo in difesa di suo figlio ha lasciato molti dubbi per le modalità e qualcuno azzarda un'ipotesi. Sono tanti gli interrogativi dietro il video di Beppe Grillo. Perché il leader Movimento 5 Stelle si sarebbe esposto in questo modo? Perché questo nervosismo? Per qualcuno dietro potrebbe esserci un'intercettazione telefonica che farebbe tremare Grillo. Il quotidiano Il Riformista riporta che il cellulare del leader del Movimento 5 Stelle potrebbe essere stato attenzionato dagli inquirenti nell'ambito dell'inchiesta che coinvolge suo figlio Ciro in merito a un presunto stupro su una ragazza in Costa Smeralda. Questa l'ipotesi del quotidiano per spiegare il comportamento inusuale dell'ex comico, uscito dai panni del politico provocatore per vestire anche in pubblico quelli del padre preoccupato e in tensione per le sorti di un figlio. Il video di Beppe Grillo ha suscitato molte polemiche per il trattamento riservato da Beppe Grillo alla presunta vittima, anche per il silenzio assordante del Movimento 5 Stelle. L'ipotesi de Il Riformista si basa su alcune deduzioni. Il telefono della madre di Ciro Grillo, infatti, pare sia stato posto sotto attenzione da parte della procura di Tempio Pausania, soprattutto perché la donna quando si sarebbero svolti i fatti dormiva nell'appartamento accanto. Pare che lei sia stata intercettata dagli inquirenti a seguito della sua testimonianza rilasciata sui fatti oggetto di indagine. Il motivo potrebbe risiedere in spiegazioni non perfettamente esaustive fornite dalla donna, che hanno spinto i magistrati ad approfondire la questione. "Sono nel panico, Beppe Grillo e sua moglie. Solo con un attacco di panico si può giustificare una uscita così suicida da parte di entrambi. Sanno qualcosa che non sappiamo, anche a proposito dell’indagine", ha affermato Marco Canestrari, ex socio di Gianroberto Casaleggio. Canestrari si spinge anche oltre e analizza la situazione di Beppe Grillo anche dal punto di vista politico: "Mi sembra che Grillo abbia un disperato bisogno di protezione, ecco perché si è affrettato a formare un governo con il Pd e poi a sostenere Draghi. Ha l’esigenza di tenersi al coperto, dentro l’area di governo". Sulle intercettazioni, Marco Canestrari a Il Riformista conferma l'ipotesi sulle intercettazioni: "È probabile, Grillo non gode di alcuna immunità, possono aver sentito le conversazioni tra i due. E la reazione inconsulta si può leggere con questa luce. Perché Grillo quando parla al telefono non è la stessa persona di quando parla in pubblico".
La strategia choc degli avvocati di Grillo: pubblicare il video. Luca Sablone il 25 Aprile 2021 su Il Giornale. I legali pensano al contrattacco: rendere noto il filmato che riprende una scena di sesso tra la studentessa e il gruppetto di Ciro Grillo. Trasmissioni televisive, siti web e quotidiani cartacei: ormai tutti parlano del caso Ciro Grillo. Un martellamento di indiscrezioni giudiziarie così pressante che adesso rende percorribile un'ipotesi che fino a poche ore fa appariva del tutto inimmaginabile: la strategia del contrattacco, stando a quanto appreso e riportato da Il Fatto Quotidiano, potrebbe prevedere la pubblicazione del video per mettere le cose in chiaro. Si starebbe dunque pensando alla possibilità di rendere noto il filmato che riprende una scena di sesso tra S.J., ovvero la studentessa italo-norvegese, e il gruppetto del figlio del comico genovese. Si è probabilmente raggiunto il momento più difficile di questi due anni e quindi da alcuni familiari dei ragazzi sarebbe giunta la richiesta di modificare la strategia comunicativa adottata fino a questo momento. Proprio tale proposta dovrebbe essere oggetto di discussione nel corso di una riunione tra tutti gli avvocati difensori, che nella giornata di domani si potrebbero riunire per fare il punto anche sull'aspetto comunicativo della vicenda. L'eventuale pubblicazione del video, è il ragionamento che fanno, potrebbe servire a fare luce su quanto avvenuto e a silenziare una volta per tutte il caso. Per il momento le due versioni rimangono distanti: gli avvocati delle parti civili reputano che si tratti di un elemento in grado di provare la violenza sessuale e lo stato di debolezza della giovane; per i difensori dei quattro ragazzi invece è la dimostrazione che la studentessa fosse consenziente.
"Processo in aula, non in tv". Gli avvocati del gruppetto temono che, allo stato attuale delle cose, possa essere fornita una sola narrazione e dunque che venga fatta passare per certa la vicenda senza averla vista con una lente diversa. Ecco perché si starebbe ragionando su un cambio di passo nella gestione comunicativa del fatto. "Per noi il processo va condotto in aula, non sulla stampa o in tv. Certo, siamo consapevoli che in questo momento questa scelta possa significare esporsi a un massacro mediatico", è la posizione degli avvocati difensori dei quattro ragazzi. Negli ultimi giorni il tema si è infuocato: Beppe Grillo ha pubblicato su Facebook un video per sfogarsi prendendo le difese del figlio. Inoltre proprio ieri vi abbiamo parlato della confessione fatta dalla ragazza all'amica Roberta e ai genitori. Senza dimenticare la testimonianza fornita da Daniele, il titolare del bed&breakfast dove alloggiava Silvia in quei giorni: "Dopo quella notte era diventata distaccata, silente e pensierosa. Mi è sembrata nervosa e agitata. Non era più la stessa. Io non posso sapere se è vero o no quello che raccontano le ragazze e che ho sentito in questi giorni, ma so che quella notte di certo qualcosa è successo".
Beppe Grillo, la strategia-choc dei legali per difendere Ciro: "Pubblicare il video". Libero Quotidiano il 25 aprile 2021. Una strategia choc quella che gli avvocati di Grillo vorrebbero adottare nel corso del processo per stupro in cui è coinvolto Ciro, il figlio 19enne del fondatore del M5s. Il ragazzo, infatti, è accusato, insieme a tre suoi amici, di violenza sessuale nei confronti di un’altra ragazza, conosciuta in Sardegna nel luglio del 2019. Dopo la pubblicazione del video di Beppe Grillo, che ha reso la faccenda più mediatica di quanto non fosse fino a poche settimane fa, la difesa di Ciro sta pensando adesso alla strategia del contrattacco. Strategia che, stando a quanto riportato dal Fatto Quotidiano, potrebbe prevedere la pubblicazione del filmato della notte della presunta violenza. Il video che i legali potrebbero portare in aula riprende una scena di ses** tra la studentessa e il gruppetto di Ciro Grillo. Gli avvocati difensori potrebbero vedersi nella giornata di domani sia per discutere della pubblicazione del filmato sia per fare il punto sull'aspetto comunicativo della vicenda, finita ormai su tutti i giornali e le tv. Secondo i legali, in particolare, il video potrebbe aiutare a capire meglio quanto avvenuto e a mettere un punto una volta per tutte al caso. Le parti in causa la pensano, ovviamente, in maniera diversa: mentre gli avvocati delle parti civili pensano che il video possa provare la violenza sessuale e la condizione di debolezza in cui si trovava la ragazza, per i legali della difesa, invece, il filmato dimostrerebbe l’innocenza dei ragazzi e il consenso della ragazza. "Per noi il processo va condotto in aula, non sulla stampa o in tv. Certo, siamo consapevoli che in questo momento questa scelta possa significare esporsi a un massacro mediatico", questo il pensiero dei legali dei ragazzi, riportato dal Fatto Quotidiano. La storia negli ultimi giorni si è fatta sempre più complicata. Dopo il video choc di Beppe Grillo, infatti, è venuta fuori anche la testimonianza di Daniele, l’albergatore che ha ospitato la presunta vittima due estati fa: "Dopo quella notte era diventata distaccata, silente e pensierosa. Mi è sembrata nervosa e agitata. Non era più la stessa. Io non posso sapere se è vero o no quello che raccontano le ragazze e che ho sentito in questi giorni, ma so che quella notte di certo qualcosa è successo".
Beppe Grillo, indiscrezioni dalla procura: "Il caso del figlio, trovata una foto molto incriminante". Lo scatto dietro al video? Libero Quotidiano il 24 aprile 2021. Beppe Grillo nella difesa del figlio Ciro dalle accuse per le quali è indagato dalla procura di Tempio Pausania, violenza sessuale di gruppo in concorso con altri tre ragazzi di una giovane di 19 anni, aveva parlato che c'era un video che scagionava il figlio. Filmato che secondo la procura sarda rappresenterebbe una prova a sfavore di Ciro Grillo. Oggi, sabato 24 aprile, però Gregorio Capasso, il procuratore capo che coordina e segue l'inchiesta , ha detto a Repubblica che "siamo vicini al termine delle indagini e al momento in cui potrà chiedere il rinvio a giudizio e quindi il processo per gli indagati o l'archiviazione". Gli investigatori infatti hanno trovato una foto nel cellulare di Ciro Grillo, un selfie considerato "particolarmente incriminante" per il giovane, scrive Repubblica "Un elemento che potrebbe aver avuto un peso nella scelta da parte del fondatore del Movimento 5 Stelle di lanciarsi nella clamorosa difesa social del figlio". Nelle intercettazioni inoltre ci sono elementi di quanto accaduto nella notte del 17 luglio 2019 tra i ragazzi incriminati, all'interno della villa e la diciannovenne. "Esprimo totale solidarietà a Beppe Grillo, come padre, per la sofferenza che sta subendo e totale disprezzo nei confronti di quelli che fino a ieri erano i garantisti, anche quando beccavano un politico con la mazzetta in mano. Sia politici che organi di informazione", sono invece le parole del senatore del Movimento 5 Stelle Danilo Toninelli, intervistato da Zona Bianca su Retequattro. Una delle tante dichiarazioni che stanno arrivando in sostegno di Grillo da parte del Movimento. Una richiesta esplicita di Grillo che ha capito di trovarsi in difficoltà e ha chiesto aiuto ai big grillini di schierarsi attorno a lui dopo le tante critioche ricevute per l'imbarazzante video in difesa del figlio sotto accusa.
(ANSA il 22 aprile 2021) - "Le recenti dichiarazioni di Beppe Grillo sfiduciano il processo. È essenziale per la vita democratica del Paese che i processi, e quelli per violenza sessuale anzitutto, si svolgano al riparo da indebite pressioni mediatiche I magistrati di Tempio Pausania sapranno accertare i fatti con serenità ed equilibrio, garantiti dalla propria professionalità, nel rispetto dei diritti di tutti, degli imputati, che devono essere assistiti dalla presunzione di innocenza, e della denunciante, la cui dignità va tutelata". Lo sottolinea in una nota l'Associazione nazionale magistrati.
Filippo Facci per “Libero Quotidiano” il 23 aprile 2021. Gli attori recitano tutti bene, ma non è un dramma, né una tragedia, e neppure un teatrino della politica: è un'opera buffa all'italiana. Sono riusciti a costruire una perfetta opera buffa (breve, vuole la tradizione: speriamo) e questo attorno allo sfogo felice o infelice di un padre in difesa di suo figlio, che tutto sommato resta la cosa più seria di tutto l'intreccio: la meno seria, invece, resta la scomposta e autoassolutoria reazione del numerosissimo pubblico non pagante (perché a pagarla, per anni, saremo sempre noi, che grillini non siamo mai stati) che è un pubblico sicuramente composto in buona parte da grillini pentiti, gentaglia che ha trovato il pretesto inattaccabile per scaricare il disastroso equivoco da loro costruito in cabina elettorale. Recita bene Beppe Grillo, che del resto è un professionista, un comico, e c'è da stupirsi che abbia impiegato tanto (due anni) per sfogare la sua comprensibile versione faziosa in un Paese faziosissimo: probabilmente è vero, pensava che avrebbero archiviato tutto e ciao, gli sembrava logico, pensava che la giustizia funzionasse per logica. Gli unici appena fuori posto, forse all'apparenza seriosi nel contesto buffonesco, restano i magistrati di Tempio Pausania: che sono i più seri e discreti mai visti (non una dichiarazione, non una carta sfuggita, un ammiccamento al proscenio) e che se hanno impiegato così tanto tempo, per l'indagine preliminare su Ciro Grillo, è solo per la banalissima ragione che sono quattro gatti (forse tre) e avevano tanto altro lavoro da sbrigare. Non hanno dato precedenza al cognome famoso. Hanno tirato dritto, se ne sono fottuti e sono andati avanti nonostante la stessa Magistratura nazionale li abbia sempre confinati con un organico sparuto e ridicolo: anche se ora, la Magistratura nazionale, si è impalcata e ha preso parola. Ieri è arrivata l'Anm (la sputtanatissima associazione nazionale magistrati) e ha decretato che «le recenti dichiarazioni di Beppe Grillo sfiduciano il processo. È essenziale per la vita democratica del Paese che i processi, e quelli per violenza sessuale anzitutto, si svolgano al riparo da indebite pressioni mediatiche». L'hanno scritta in una nota, questa roba. Insieme a quest'altro: «I magistrati di Tempio Pausania sapranno accertare i fatti con serenità ed equilibrio, garantiti dalla propria professionalità, nel rispetto dei diritti di tutti, degli imputati, che devono essere assistiti dalla presunzione di innocenza, e della denunciante, la cui dignità va tutelata». Ma davvero? Sicuri? Oh: ma come faremmo senza i preziosi comunicati dell'Anm? Probabilmente avremmo pensato che i magistrati di Tempio Pausania non avrebbero accertato i fatti, che non sono sereni, che sono degli squilibrati, che non avrebbero rispettato nessuno, che la presunzione d'innocenza fosse stata abolita, e che la dignità di chi denuncia uno stupro fosse carta igienica. Insomma, i magistrati di Tempio Pausania avranno tirato un sospiro di sollievo: temevano davvero che lo sfogo di un padre in difesa del proprio figlio potesse «sfiduciare il processo». Come se tutti i processi, in Italia, per quel che ne pensa l'opinione pubblica, non fossero tutti sfiduciati in partenza, da soli. Per fortuna c'è la politica. Per fortuna che nelle prime file del teatrino, a fischiare l'opera buffa di cui sono parte, c'è una fila interminabile di politici che si conforma alla marmaglia dei grillini pentiti. No, l'elenco non lo facciamo: forse ne avete già letto. C'è solo da aggiornare e aggiungere Nicola Zingaretti, che ieri su Rai1 ha detto: «Attenzione, le donne possono essere vittime due volte: vittime di violenza, ed è una cosa drammatica, e poi può esserci una seconda violenza, la solitudine o sentirsi accusate». Ma tu pensa: non ci avevamo pensato. Serviva lo sfogo di Grillo per arrivarci. Con l'aiutino, magari, di averci governato insieme, a questo signor Grillo: ed è stata una discreta violenza - per noi - anche quella. Ma a ben pensarci, domanda: l'opinione di Mario Draghi non l'hanno ancora sondata? Ci pare fondamentale. Qualcuno gli chieda, per favore, che cosa pensa del video di Grillo, e ci raccomandiamo: subito dopo la domanda al Mario nazionale, vogliamo una foto della sua faccia.
Il giustizialismo di Grillo. Massimo Restelli e Gian Maria De Francesco il 24 aprile 2021 su Il Giornale. Pubblichiamo un intervento di Vito Plantamura, professore associato di diritto penale presso la facoltà di Scienze politiche dell’Università di Bari. Si tratta di un punto di vista eterodosso rispetto ad alcuni commenti pubblicati negli ultimi giorni. Il fondatore e garante del Movimento 5 Stelle non ha rinnegato il giustizialismo che ha da sempre connotato la sua azione politica ma, difendendo il proprio figlio, ha elevato all’ennesima potenza l’elemento costitutivo della propria identità. «Secondo un’opinione diffusa, Beppe Grillo col suo video in difesa del figlio Ciro, indagato, assieme ad altri suoi tre amici, per il reato di violenza sessuale di gruppo, avrebbe dato prova di una doppia morale, e cioè di un garantismo riservato solo alle persone a lui più care, che risulterebbe in contrasto col giustizialismo che lo ha sempre caratterizzato nei confronti di tutti gli altri. Ad una più attenta analisi, tuttavia, risulta che l’impostazione di Grillo nel video in questione rimane sempre la medesima, caratterizzandosi per giustizialismo, manicheismo e cultura del sospetto. Il primo e principale argomento difensivo espresso a favore del figlio, infatti, è costituito dall’assunto per cui, visto che c’è una legge in virtù della quale gli stupratori devono essere subito arrestati e messi in carcere, dato che gli inquirenti non hanno fin qui richiesto misure cautelari, significa che loro stessi non sono convinti degli indizi a carico degli indagati. Fortunatamente, però, una legge del genere non esiste, e non potrebbe mai esistere, nel nostro ordinamento. Grillo, cioè, deduce la necessità di una misura cautelare personale dalla gravità del reato contestato. Nella sua mente, quindi, la presunzione di innocenza di cui all’art. 27 Cost., per cui non si è considerati colpevoli sino alla condanna definitiva, semplicemente non esiste. Mentre è proprio in virtù di quella presunzione che le misure cautelari personali rimangono – o, per lo meno, dovrebbero rimanere – l’eccezione, e comunque non sono applicabili, anche riguardo al più grave dei reati e in presenza del quadro indiziario più completo, in assenza di specifiche e tassative esigenze cautelari. Mentre davvero non si comprende perché, in relazione ad un fatto assolutamente episodico –per quanto gravissimo, se integrato/commesso da quattro incensurati, tali esigenze dovrebbero ritenersi sussistenti. Ma veniamo al secondo argomento difensivo del video, espressivo di manicheismo, secondo la netta contrapposizione, ad es., tra onesti e corrotti, tipicamente grillina. Notoriamente, infatti, per Grillo la realtà è in bianco e nero. Per cui o c’è lo stupratore che, con violenza, costringe la donna al rapporto sessuale oppure c’è il rapporto sessuale consenziente, penalmente irrilevante. Ma per il nostro codice penale così non è. E così non era neppure prima della pessima legge di riforma della materia del 1996. In Italia, infatti – come in altri Paesi europei: ad es., Spagna, Germania e Portogallo -, si prevede, e si prevedeva già nel codice penale ottocentesco, pure la punizione di chi induca un soggetto a compiere atti sessuali abusando della sua condizione di inferiorità psico-fisica, che non lo rende capace di resistere alle iniziative sessuali altrui. Un caso paradigmatico è quello della persona ubriaca o drogata indotta ad avere rapporti sessuali che, in altre circostanze, avrebbe rifiutato. Il rapporto è sì consensuale, ma il consenso è viziato, per cui il reato sussiste. Significa, però, che la realtà non è in bianco e nero, ma sfumata. Certo, sarebbe meglio se, per le ipotesi di rapporti sessuali indotti in situazioni asimmetriche, ad una diversa sfumatura fattuale corrispondesse una pena meno severa*. Il terzo argomento difensivo del video è quello relativo alla pretesa tardività della denuncia. E qui emerge un altro tratto saliente dell’impostazione di Grillo, legato alla cultura del sospetto. Gli otto giorni passati prima di denunciare farebbero pensare, cioè – o meglio sospettare -, che qualcosa non torni. E non rileva che il termine ordinario per presentare querela sia di tre mesi, né che, per ragioni intuitive, in un reato come la violenza sessuale tale termine sia più lungo; ed anzi sia stato di recente innalzato addirittura ad un anno. Perché ormai il sospetto di strumentalità e insincerità della querelante è stato instillato. In definitiva, nel politicamente controverso, se pur umanamente comprensibile, video in difesa di suo figlio, Grillo rimane Grillo: non diventa garantista, non muta mentalità, ma si rifà al suo solito bagaglio argomentativo fatto di giustizialismo, manicheismo e cultura del sospetto, che tanto ha contribuito all’affermazione elettorale del movimento politico da lui creato».
Wall & Street. La legge 66/1996. ha unificato la congiunzione carnale violenta e gli atti di libidine, previsti dalla normativa previgente, nella nozione unitaria di atti sessuali, collocando detti reati tra i delitti contro la persona invece che tra quelli contro la moralità pubblica ed il buon costume. La sfera sessuale quindi diventa diritto della persona di gestire liberamente la propria sessualità, con la conseguenza che la condotta rilevante penalmente va valutata in relazione al rispetto dovuto alla persona ed all’attitudine ad offendere la libertà di determinazione della stessa. In base alla sentenza della III Sezione Penale della Corte di Cassazione 37395/2004, è atto sessuale «qualsiasi atto che, risolvendosi in un contatto corporeo, ancorché fugace ed estemporaneo, tra soggetto attivo e soggetto passivo, ovvero in un coinvolgimento della corporeità sessuale di quest’ultimo, sia idoneo e finalizzato a porre in pericolo la libera autodeterminazione della sfera sessuale». La giurisprudenza, pertanto, tende ad applicare pene severe anche a condotte che all’opinione pubblica potrebbero non apparire penalmente rilevanti, sebbene moralmente censurabili. Secondo Vito Plantamura, «quella del 1996 è davvero una pessima legge, che punisce sotto la stessa rubrica lo stupro e il bacio rubato sul collo – e, in questo, risulta più unica che rara nel panorama internazionale – dimostrandosi priva del buon senso giuridico necessario per punire meno gravemente la violenza sessuale per induzione rispetto a quella per costrizione».
Il salto del Grillo e i grillini neo-garantisti: il peggio della settimana. Michel Dessì il 25 Aprile 2021 su Il Giornale. Dal garantismo di Grillo alla morale di Salvini e Toninelli scrive il suo primo libro. Tutto il peggio della settimana. Chi di giustizia ferisce di giustizia perisce. È il caso dell’auto elevato Beppe Grillo. Il padre giustizialista del Movimento5 stelle finisce dritto nel peggio della settimana, forse di sempre. Il comico nel video (ormai noto a tutti) pubblicato sui suoi social a difesa dell’altro figlio, Ciro, accusato di stupro di gruppo, da fiato alla bocca con rabbia e veemenza e affonda il movimento. Il colpo di grazia lo da la sua lady, su facebook commenta a Maria Elena Boschi: “C’è un video che testimonia l’innocenza dei ragazzi, dove si vede che lei è consenziente, la data della denuncia è solo un particolare.” Beppe ha messo tutti in difficoltà, compreso Giuseppi, che prova a mantenere le distanze.
PAROLE COME PIETRE. Beppe e il video: “Mio figlio è su tutti i giornali come uno stupratore seriale, assieme ad altri tre ragazzi. Perché allora non sono stati arrestati? Perché vi siete resi conto che non è vero niente. Una persona che viene stuprata alla mattina, al pomeriggio va in kitesurf e dopo otto giorni fa la denuncia... Vi è sembrato strano. Bene, è strano...”
PAOLA TAVERNA. La senatrice di borgata si risveglia garantista! Su twitter scrive: “Ciò che prova Beppe a livello umano posso solo immaginarlo, e da mamma gli sono vicina. La Magistratura è al lavoro, perciò auspico che giornali e talk show lascino che questa vicenda si risolva, come giusto che sia, in tribunale. Serve rispetto: no a speculazioni da sciacalli.” Ah si? Lo vada a dire a tutti quelli che ha infangato negli anni.
FABIANA DADONE. Ve la ricordate? Sì, la ministra rock, ultra-femminista, quella con le scarpe rosse sulla scrivania pronta a tutto pur di difendere le donne. Bene, dopo giorni di silenzio ha deciso di “parlare”: “Giocare al chi si esprime prima è più pro diritti delle donne e chi lo fa dopo è meno donna dura e pura, meno femminista, meno garantista non fa per me.” Nessuna gara, è solo questione di buonsenso.
ALESSANDRO DI BATTISTA. Il puro e duro del Movimento scende in campo a difesa del sul “Beppe”: “Coraggio, sei un papà e ti capisco, spero che si possa chiarire tutto e alla svelta.” Ma alla (presunta) vittima chi ci pensa? Oltre al caso Grillo c’è di più, c’è la politica che ha ripreso a litigare. Noi lo avevamo anticipato, nella maggioranza salva-Italia non corre buon sangue. Salvini si scaglia contro Draghi sul coprifuoco e tira dritto per la sua strada accusato di fare campagna elettorale.
MATTEO SALVINI. Il capitano ha coraggio da vendere. In diretta su Rete4 da Nicola Porro, commentando la denuncia dell’attore Alessandro Gassman, che sui social ha scritto di una festa organizzata dai vicini, interrogandosi se chiamare la polizia o meno, ha detto: “Un Paese dove c’è l’attore che chiama la polizia per denunciare il vicino di casa non è un Paese civile, non è un bel modello. La delazione di Stato, in Unione Sovietica… cosa fai? Ma vai a citofonare al vicino “ma guarda che stai facendo casino”?” Ma lo dice proprio lui che, solo un anno fa in campagna elettorale, ha citofonato ad presunto spacciatore? “Scusi, ma lei spaccia?”
DANILO TONINELLI. L’annuncio shock dell’ex ministro: “Oggi è la Giornata mondiale del libro. E il libro che sto scrivendo da mesi è quasi finito.” Bisogna aggiungere altro?
VINCENZO DE LUCA. Il Presidente della Campania torna a far parlare di sè. Nel suo solito monologo del venerdì pomeriggio va all'attacco del generale Figliuolo e, sulla scia della Murgia, lo intima a spogliarsi della divisa: "La sensazione è che si decida alla giornata e a come capita. E allora chiedo al governo e al commissario di governo: per quale motivo continuate a dormire in piedi e non chiedete ad Aifa di valutare gli altri vaccini disponibili? Ma il governo dorme in piedi." E poi il consiglio spassionato al generale: "Mi permetto di consigliargli di andare in giro per l’Italia in abiti civili. Quando si hanno funzioni civili credo che sia inappropriato andare in giro con tuta mimetica, anfibi e cappello militare, non solo per un’appropriatezza di funzioni, ma anche per evitare problemi delicati. Questo comportamento rischia di scaricare sull’immagine delle forze armate la polemica politica. Ma, chissà perché, siamo affezionati alla teatralità, che può avere anche risvolti abbastanza seri." E se lo dice De Luca...
MATTEO RENZI. Mentre uno fa lo scrittore, l’altro diventa imprenditore. È il caso del ganzo di Firenze che ha aperto una società con sede a Roma, si chiama Ma.Re Consulting srl. Il futuro è segnato.
PAOLA BINETTI. La senatrice ammette i propri limiti a Repubblica: “Va bene, però mi chiedo: se ci troviamo di fronte un transessuale come lo definiamo, un uomo o una donna?” Come darle torto?
CARLO GIOVANARDI. “I numeri parlano chiaro: i gay sono più tutelati delle donne”.
CARLO CALENDA. Il candidato sindaco di Roma in un video social contro i suoi delatori: “Tale Damiano Er Faina mi ha voluto dedicare qualche minuto del suo prezioso tempo per spiegarmi l’importanza del linguaggio spiccio romanesco. Rispondere non era esattamente una mia priorità, ma sembra che molti ragazzi lo seguano”: “a Damià, a me la veracità me piace, la veracità romana, quella de Belli, quella de Trilussa, quella sboccacciata de Proietti, ma è la veracità, non la volgarità, soprattutto verso le donne. Per la volgarità ci stanno solo i ceffoni. Faì, questa mano po esse piuma o po esse fero: oggi è stata piuma, ma fai er bravo...”
Giusi Fasano per il "Corriere della Sera" il 21 aprile 2021. Questa storia non è il video di Grillo. Non sono le sue parole urlate alla telecamera. Non è il suo dramma di padre. È prima di tutto la storia di una ragazza di 19 anni che racconta di aver subito una violenza sessuale e davanti a quella parola - stupro - rovesciare la prospettiva è un dovere. Quindi. C' è una ragazza (in realtà due, anche se dell' altra non si parla mai) che racconta di essere stata violentata. E ci sono quattro ragazzi che invece sostengono che non c' è stata nessuna violenza, che lei «ci stava», per essere chiari. È tutto lì il discrimine, nel concetto di una donna che «ci sta», che «era consenziente», che «ha denunciato dopo otto giorni... Strano». E poi, dice Grillo, «c' è un video e si vede il gruppo che ride», che «sono ragazzi che si stanno divertendo», che «sono in mutande, saltellano col pisello così perché sono quattro coglioni, non quattro stupratori». E se invece la ragazza sta dicendo la verità? Come può sentirsi la vittima di uno stupro se per ore e ore - ormai da due giorni - vede la sua storia su ogni sito, su ogni talk show, su ogni giornale, raccontata da un uomo che, in sostanza le dà della bugiarda? Giulia Bongiorno, l' avvocata che la difende, parla di «dolore amplificato», di notte senza sonno, di «lacrime e disperazione», e dice che «la famiglia della ragazza è totalmente distrutta». Rivela una quantità infinita di richieste di interviste ma «hanno scelto il silenzio», giura, anche se il video di Grillo - già dirompente il primo giorno - ha creato ancora più tempesta ieri. «Quel video è un boomerang», si è spinta a dire. «Ha ridicolizzato i fatti, un' atipica strategia difensiva: si riduce in briciole un fatto in modo tale che sembri irrilevante. Ora mi aspetto un video in cui si dirà: beh, allora che sono venute a fare in Sardegna? È una strategia che tende a sostituire i ruoli processuali: le ragazze diventano imputate». Per entrare nel merito delle accuse dice che «il fascicolo penale è ricco di documenti, foto, video, chat. I fatti da valutare saranno tanti». Non sarà né un padre né la pubblica opinione a stabilire chi ha ragione. Certo, al di là del video di cui parla Grillo, l' indagine deve essere stata complessa se la procura di Tempio Pausania ha chiuso l' inchiesta dopo più di un anno. Un capo di imputazione che dice cose tipo: «costretta ad avere rapporti sessuali in camera da letto e nel box del bagno», «afferrata per la testa e costretta a bere mezza bottiglia di vodka», «costretta ad avere rapporti di gruppo» dagli indagati che hanno potuto contare sulle «sue condizioni di inferiorità fisica e psichica». Erano quattro ragazzi e due ragazze, la notte fra il 15 e il 16 luglio del 2019. Ciro, il figlio di Grillo, ospitava tutti nella sua casa in Sardegna. Con lui gli amici Edoardo Capitta, Francesco Corsiglia e Vittorio Lauria, tutti sott' accusa per violenza sessuale di gruppo. Il 20 novembre 2020 la procura guidata da Gregorio Capasso ha chiuso le indagini e adesso si deciderà sulla richiesta di rinvio a giudizio. Di tutte le tappe di quest' inchiesta il video di Grillo senior è stata senza dubbio la più rumorosa. «Lo porterò in procura come prova a carico», ha detto ieri mattina Giulia Bongiorno a L' aria che tira su La7. «È una prova che documenta una mentalità dell' eufemizzazione, spesso usata dagli uomini per giustificarsi quando sono imputati. Si dice alle vittime: state attente». «L' avvocato Bongiorno faccia quello che crede. Io avrei qualche perplessità, ma è inutile discuterne al di fuori dall' udienza...» è la replica affidata all' Adnkronos da Gennaro Velle, avvocato che con i colleghi Barbara e Romano Raimondo, assiste Francesco Corsiglia. «Io - insiste Velle - parlo di quello che accade nel processo, quello che accade fuori non mi interessa».
Da la7.it il 21 aprile 2021. Michela Murgia contro Beppe Grillo per il video in difesa del figlio accusato di stupro: "Di Battista e Taverna hanno minimizzato, "povero" padre. No, ha minimizzato la violenza scaricando responsabilità sulla vittima".
Da adnkronos.com il 21 aprile 2021. "Beppe Grillo ha fatto un video scandaloso: il dolore di un padre non giustifica l’aggressione verbale a una ragazza che denuncia violenza". Lo scrive Matteo Renzi, su Facebook, commentando il video con cui Beppe Grillo ieri ha difeso il figlio, accusato di stupro con 3 amici. "Invece che aspettare il processo, il pregiudicato che ha fondato il partito dell’onestà prova a salvare la sua famiglia dopo aver distrutto le famiglie degli altri. Quanta ipocrisia nella doppia morale di chi crea un clima d’odio e poi se ne lamenta", dice il leader di Italia Viva. "Le parole di Grillo – e il contestuale silenzio di Conte e Di Maio – dicono molto su cosa è diventato il Movimento Cinque Stelle. O forse è sempre stato così ma adesso se ne accorgono in tanti. Sipario".
Da iltempo.it il 21 aprile 2021. Salta all'ultimo l'intervento di Luigi Di Maio a L'aria che tira, programma di La7 condotto da Myrta Merlino! E scatta il giallo: imbarazzo per il video di Beppe Grillo? La comunicazione ufficiale dello staff del ministro degli Esteri è stata: "È insorto un problema improvviso, non possiamo...". Poi la giustificazione ufficiale: "Il ministro ha avuto un impegno imprevisto". Secondo ricostruzioni effettuate da Il Tempo poco prima dell'inizio della trasmissione è arrivata la comunicazione della visita in Italia domani della ministra degli Esteri libica, Najla Mangoush. E immediatamente sono state convocate riunioni per preparare l'incontro ed esaminare i dossier aperti. Nel corso della trasmissione la stessa Merlino aveva preso posizione sul video di Beppe Grillo, in cui il leader del M5S ha difeso il figlio Ciro e gettato fango sulla ragazza, presunta vittima di violenza sessuale: "La frase di Grillo sulla ragazza, che non ha denunciato subito e quindi era consenziente, è davvero inaccettabile, una frase carica di stereotipi, che spazza via in dieci secondi decenni di battaglie sul rispetto delle donne e fa confusione tra presunte vittime e presunti colpevoli. Quel video ha prodotto un danno a Grillo stesso, al figlio e al Movimento 5 Stelle intero. Oggi vaffa te lo dico io Beppe, da donna e da madre. Come si può dire che il processo non serve e che ci sono innocenti a prescindere? Ieri Grillo non è apparso lucido e in molti, anche tra i 5 Stelle, si chiedono come un uomo in questo stato possa gestire una fase politicamente così difficile per il M5S. Ieri la passione non è mancata, il cervello...".
Dagospia il 21 aprile 2021. Dall'account facebook di Salvatore Merlo. Fabiana Dadone è il ministro delle politiche giovanili. È del movimento cinque stelle e ha trentasette anni. L’8 marzo scorso, festa della donna, ha pubblicato una foto su instagram di cui si è molto discusso perché la ritraeva con i piedi sulla scrivania del ministero, una maglietta dei nirvana e le scarpe rosse simbolo della lotta alla violenza contro le donne. Scriveva Dadone: “In questa giornata tanto evocativa e tanto attenta al politically correct, vorrei dire con molta onestà che sul fronte della parità di genere c'è ancora molta strada da fare. Una strada in salita e piena di ostacoli culturali che dobbiamo avere la forza di affrontare con tutta la tenacia che abbiamo nel cuore". Da ieri le chiedo di commentare le parole oscene di Beppe Grillo. Niente da fare. “Con tutta la tenacia del cuore”. Non che debba parlare con me, ma parlare sì. In qualunque modo. Con chiunque, anche da sola su Facebook, lì dove manifestava una “enorme” sensibilità per l’argomento della violenza contro le donne. Facile mettersi le scarpe rosse e farsi una foto suggerita dal social media manager. Più coraggioso sarebbe tirarle, le scarpe, in testa al troglodita che le ha dato il seggio in Parlamento.
"Vi spiego perché la legge dà torto a Grillo". Sofia Dinolfo il 22 Aprile 2021 su Il Giornale. L'ex comico "assolve" il figlio colpevolizzando la vittima che non ha denunciato subito. Ma l'avvocato Elisabetta Aldrovandi spiega il Giornale.it perché Ciro Grillo può andare a processo (e rischiare la condanna). Non si fermano le polemiche legate al video pubblicato da Beppe Grillo sulla vicenda che vede il figlio Ciro coinvolto in un’indagine per violenza sessuale di gruppo verso una ragazza italo-norvergese. I fatti per i quali indaga la procura risalgono alla notte del 16 luglio del 2019 e potrebbero aprire le porte del processo per Ciro Grillo assieme agli amici Edoardo Capitta, Francesco Corsiglia e Vittorio Lauria. Le parole del fondatore del Movimento 5 Stelle continuano a fare il giro del web sollevando diverse reazioni. Fra queste vi sono quelle legate ad alcune affermazioni che riguardano aspetti meramente giuridici come i tempi legati alla denuncia dello stupro e all’avvio di un’inchiesta giudiziaria. Su il Giornale.it assieme ad Elisabetta Aldrovandi, avvocato e presidente dell’Osservatorio Nazionale Sostegno Vittime, abbiamo fatto chiarezza su alcuni elementi legati alle dinamiche giuridiche che scaturiscono nell’ambito di una denuncia per stupro.
Quali sono i termini concessi ad una vittima di violenza sessuale per sporgere denuncia?
“Dopo l’entrata in vigore della legge 69/2019, ossia dall’8 agosto 2019, i termini per presentare denuncia per il delitto di violenza sessuale è stato aumentato da sei mesi a un anno. E questo, perché è stata raccolta la proposta proveniente da più parti, tra cui anche l’Osservatorio Nazionale Sostegno Vittime che mi onoro di presiedere, di riconoscere maggiore tempo per denunciare a chi ritiene di avere subito un delitto così gravemente lesivo della propria intimità e devastante da un punto di vista psicologico, oltre che fisico”.
Nell’ambito della sua esperienza professionale che tempi impiegano le vittime di solito?
“Una vittima di stupro non sempre si rende conto di esserlo nell’immediatezza del fatto. Anzi, spesso si vergogna, prova un senso di colpa e addirittura si sente responsabile per il reato subito, magari perché aveva bevuto un bicchiere di troppo o indossava un abito succinto. La stessa denuncia, spesso, rappresenta una seconda violenza per la vittima, la quale si ritrova a dover ripercorrere, istante dopo istante, i momenti della violenza e dell’aggressione. Io chiamo lo stupro “omicidio dell’anima”, poiché le conseguenze che ne derivano sono gravi e difficilmente superabili, anche nel lungo periodo, coinvolgendo esse la sfera più intima e personale della vittima, quella sessuale”.
Nel momento in cui la vittima si presenta agli inquirenti per raccontare i fatti, cosa succede? Che iter si avvia a partire da quel momento?
“In quel momento viene verbalizzato il fatto nel modo più particolareggiato possibile. La denuncia viene sottoscritta dalla persona offesa e dai verbalizzanti e inviata in procura. Dopo di che, entro 72 ore da quando il Pubblico Ministero riceve la denuncia, viene attivato il cosiddetto “codice rosso”, ossia la vittima viene riascoltata per comprendere se sussiste la necessità di assumere provvedimenti limitativi della libertà della persona denunciata, anche in relazione alla pericolosità della stessa che, in parte, si può desumere dalle dichiarazioni della persona offesa.
Possiamo spiegare perché i presunti stupratori non sono stati portati subito in galera (è uno dei dubbi che avanza Grillo nel video)?
“La violenza sessuale è uno dei delitti per cui è previsto l’arresto in flagranza, il quale deve essere convalidato nelle ore successive, e in sede di convalida il giudice può determinare una misura cautelare come la detenzione in carcere. Tuttavia, nelle denunce effettuate dopo il fatto, misure di detenzione carceraria possono essere assunte solo se sussistono i presupposti di cui all’art. 274 codice di procedura penale, ossia il pericolo di fuga, di reiterazione del reato o di inquinamento delle prove. Evidentemente, nel caso in esame, il giudice non ha ritenuto sussistente nessuno dei suddetti elementi, ma questo non può incidere minimamente su un eventuale successivo processo diretto a stabilire l’innocenza o la colpevolezza degli imputati o di alcuni di essi”.
Dopo la denuncia c’è un termine perentorio per il possibile avvio di un processo? Perché dalla denuncia del 2019 si sta parlando solo adesso di un possibile rinvio a giudizio dei ragazzi?
“Le indagini preliminari hanno una durata massima di diciotto mesi, tranne che per reati come omicidio o quelli di stampo mafioso per cui si può arrivare a due anni. Tenuto conto l’anno eccezionale in tema di emergenza sanitaria che abbiamo passato e che ancora non è terminato, e che dalla fine delle indagini preliminari alla richiesta di archiviazione o rinvio a giudizio può passare altro tempo, i tempi relativi a queste indagini non mi paiono esageratamente lunghi”
L’avvocato Giulia Bongiorno a “L’aria che tira” su La7, ha detto che userà il video di Beppe Grillo come “strumento di prova a carico”. Prova dell’eufemizzazione, “cioè quella mentalità di prendere cose importanti e ridurle in briciole sminuendo la gravità del fatto”. In che modo quel video può mostrare davvero ciò?
“Sicuramente alcune frasi, legate al tentativo di destituire di peso la denuncia per il fatto di essere stata presentata otto giorni dopo il fatto, o che la ragazza, il giorno successivo, era a fare kitesurf, sembrano sintomatiche di un approccio superficiale e di scarsa conoscenza del mondo delle vittime di reati violenti. Poi, che si tratti di frasi pronunciate perché in preda al dolore e alla disperazione, può renderle comprensibili ma non giustificabili, considerato il seguito social e mediatico di colui che le ha pronunciate”.
L’avvocato Bongiorno dice che il video è stato un boomerang. È davvero così da un punto di vista processuale?
“Non sono in grado di rispondere in modo esaustivo non conoscendo le carte processuali. La collega Bongiorno è un ottimo avvocato, il suo ragionamento sarà sicuramente frutto di ragionamenti e deduzioni fondati”.
"Vuol essere arrestato? Uccise la mia famiglia ora vada pure in cella". Gian Paolo Serino il 21 Aprile 2021 su Il Giornale. Cristina Pozzi nel 1981 perse genitori e fratello nell'incidente per cui Grillo è stato condannato. «Arrestate me, invece che mio figlio Ciro». Così Beppe Grillo nel video-arringa dove difende il suo rampollo dalle accuse di «stupro di gruppo». Che il comico genovese si sia deciso a pagare davvero con la galera le sue colpe? Perché mentre Grillo si mostra alle telecamere come un padre disperato, c'è una bambina, oggi diventata donna, e una famiglia che per colpa sua piangono davvero da quarant'anni. È Cristina Pozzi che, per la prima volta in questa intervista esclusiva, ha deciso di rivelare il proprio nome e cognome: «La cattiveria del Grillo uomo, che ha distrutto la mia infanzia e la mia gioventù ora non mi fanno più paura. Beppe Grillo ha ucciso la mia famiglia: era il 21 Dicembre 1981, io ero rimasta a casa a giocare ma mio padre Renzo, mia madre Rossana e mio fratellino Francesco non li ho mai più rivisti. Erano a bordo della jeep Chevrolet di Grillo: lui si è salvato, la mia famiglia è morta per colpa sua». La storia è nota ma ancora poco conosciuta rispetto al delitto: in quel 1981, con il comico all'apice del successo, Grillo si fece ospitare dall'amico di infanzia Renzo Giberti, 45 anni, e dalla moglie Rossana Quartapelle, 35 anni, nella loro villa in montagna a Limone Piemonte. Grillo insistette molto, dopo pranzo, per raggiungere i 3000 metri di quota con la sua nuova jeep, che aveva fatto appena arrivare dall'America. Secondo i testimoni non la sapeva guidare: sì testimoni, perché Grillo è stato condannato nel 1985 in Corte d'appello per omicidio plurimo e nel 1988 ritenuto responsabile anche dalla Corte di Cassazione. Solo lui si salvò: aprendo la portiera e lanciandosi sulla strada mentre la jeep proseguiva la folle corsa precipitando in un burrone. La condanna fu di «un anno e due mesi di reclusione con sospensione della patente di guida per eguale periodo di tempo», pena poi condonata perché era incensurato. Grillo difendendo il figlio ripete più volte che se è davvero uno stupratore deve essere arrestato, ma questo suo precedente smentisce la sua arringa. Non ha mai fatto un giorno di prigione, mentre la prigione del dolore non è stata è «condonata» alla famiglia degli uccisi. La piccola Cristina fu adottata dalla zia Maura Quartapelle: anche lei decide di parlare per la prima volta ricordando che quella tragedia in cui perse la sorella, il cognato e il nipotino di 9 anni, ha sempre segnato la sua vita: «Non ci fecero vedere neanche i cadaveri. Ci misero due giorni e due notti per ritrovare il mio nipotino: era incastrato, a pezzi, sotto la jeep. E dire che era proprio a fianco di Grillo: giocava con una macchinina della Range Rover che Grillo stesso gli aveva regalato quel giorno. Sarebbe bastato allungare una mano e l'avrebbe salvato. Mio cognato Renzo Giberti - stimato imprenditore di Genova - lo trovarono con mezzo cervello fuori, come mia sorella, che mi dissero, era completamente irriconoscibile». «Grillo - continua Maura Quartapelle - malgrado le insistenze di mio cognato che conosceva le strade, volle per forza usare la sua jeep che guidava pochissimo. Non sapeva neanche scalare le ridotte. Quando arrivai a Limone Piemonte il giorno dopo, Grillo era già andato via: neanche una parola, una scusa: niente. Non venne neanche ai funerali a Genova e mentre sui giornali dell'epoca si diceva distrutto, dopo neanche un mese dalla morte di tre persone aveva già ripreso gli spettacoli nei teatri». Cristina Pozzi, la bambina rimasta orfana a 7 anni, ricorda bene Beppe Grillo perché «veniva sempre a casa mia e andava a vedere il Genoa con il mio papà. Io l'ho cercato, ma invano. Volevo almeno che mi raccontasse gli ultimi attimi di vita dei miei genitori, che mi desse pace, che mi chiedesse almeno scusa. Poi con il tempo - non ho mai preteso nulla da lui e non voglio farmi pubblicità, non intendo diventare un caso mediatico - ho solo deciso, adesso che ho raccontato la verità ai miei due figli, di non vergognarmi più». «Perché Beppe Grillo - ci confessa - è stato capace, con il suo silenzio, di farmi sentire in colpa: Perché non c'ero? Perché ero rimasta a casa? Avrei potuto salvarli?». Grillo, malgrado le dichiarazioni sui giornali del 1981 da prima pagina «Adotterò Cristina», non si è mai fatto vivo. Il dolore è sempre stato quotidiano, ma ora Cristina Pozzi non ha più paura di Beppe Grillo: «Ogni volta che lo vedo in televisione o lo sento parlare vedo un uomo - condannato dal tribunale per l'omicidio dei miei familiari - che non ha scontato neanche un giorno di galera. Adesso chiede di essere arrestato al posto del figlio? Bene: è ora che paghi la sua condanna. Sta vivendo la condanna della vita: perché prima o poi la vita ti presenta il conto e non c'è coscienza che possa sfuggire». Veronica Pozzi ricorda la cugina che d'improvviso si ritrovò sorella: «Cristina aveva gli incubi nei primi mesi, si è portata dentro questo dolore tanto, troppo tempo. La nostra non è una vendetta o un accanirci sulle disgrazie del figlio, ma vedendo il video abbiamo ritrovato lo stesso uomo, lo stesso tentativo di far sentire in colpa le vittime. La mia famiglia è rimasta dilaniata da quegli omicidi impuniti: mio fratello Matteo è rimasto segnato da questa vicenda tanto da tentare più volte il suicidio sino alla morte». «Un politico? - conclude Cristina Pozzi -. Non lo so, non mi interessa. Mi interessa solo dire: Caro Beppe, mi hai ridotto con il tuo colpevole silenzio a essere Cristina tutta la vita. Ora sono Cristina Pozzi e sono madre di due figli splendidi». Il resto è cronaca e tribunali, ma la storia della famiglia Pozzi Quartapelle, sentita interamente al telefono, provoca i brividi. Quei brividi che la carta di un giornale non sempre riesce a trasmettere, ma quello che è evidente è che almeno una donna in Italia si è liberata definitivamente dei Grillo: Cristina Pozzi.
Maurizio Belpietro per "La Verità" il 21 aprile 2021. Una donna che parla di un'altra donna. Una donna di 62 anni che parla di una ragazza appena maggiorenne e definisce consenziente il sesso di quest' ultima con quattro coetanei. Non siamo moralisti, ma una giovane che si dedica a un' orgia, al sesso di gruppo, per il comune senso del pudore è considerata una puttana. Ecco, ParvinTadjik, moglie di Beppe Grillo, ieri ha praticamente dato della puttana alla ragazza che accusa suo figlio e i suoi amici di averla violentata. Era consenziente, ha sentenziato. Un video lo dimostra. Peccato che questo modo di dire sia tra le prove di accusa che la stessa Giulia Bongiorno, legale della giovane, ha intenzione di produrre davanti al giudice. I giornalisti che si occupano di cronaca nera e spesso sono costretti a riferire casi di violenza sessuale, sanno che la difesa più abusata dagli stupratori è quella sentita l' altro ieri nel video del fondatore del Movimento 5 stelle e ribadita ieri dalla moglie. La ragazza era consenziente. Lo dissero anche i due carabinieri di Firenze che furono accusati di aver violentato due studentesse americane. Non hanno dato segno di non volere fare sesso quando ci siamo accostati a loro. Certo, erano ubriache e non erano in grado di respingere i loro violentatori in divisa. Quelle due ragazze non erano nelle condizioni di resistere all' abuso: questo hanno appurato gli inquirenti e questo hanno sentenziato i giudici che hanno condannato i due uomini dell' Arma a 5 anni e 6 mesi e a 4 anni e 8 mesi. Si fa presto a dire consenziente. Lo ha detto anche Alberto Genovese delle sue giovani vittime, quelle a cui faceva consumare ogni genere di sostanza, per poi poterle avere inermi a sua disposizione, pronte per essere usate in ogni modo, come animali in trappola in una camera da letto sorvegliata a vista affinché nessuno disturbasse il padrone di casa durante i suoi «giochi». Sì, tutte consenzienti. Le studentesse americane, le modelle della movida milanese, la minorenne che a La Spezia un anno fa venne abusata nel parco da due coetanei, la ragazza stuprata in spiaggia a Cagliari. Consenziente perfino l' educatrice di un centro per minori in provincia di Ravenna, rinchiusa in una stanza e violentata per una notte. L' ho scritto ieri: un padre ha il diritto di difendere il proprio figlio e così pure una madre. Entrambi possono sostenere ciò che vogliono, arrivando a minimizzare e anche a negare i fatti. Tuttavia, c' è un limite al diritto di difesa del proprio pargolo ed è l' offesa della vittima. Beppe Grillo e sua moglie, sostenendo la tesi del sesso consenziente, un sesso praticato con violenza e con rapporti multipli con più ragazzi, stanno offendendo una ragazza. Si divertivano, secondo il comico. Una serata da coglioni, non da violentatori. Sono parole sue, di Grillo, e vergognandomene le riporto. Ma come si fa a ritenere pacifico, normale, che in quattro si siano «fatti» una ragazza. Come si fa a pensare che una giovane, dopo aver bevuto mezza bottiglia di vodka - peraltro non di sua spontanea volontà, ma costretta - possa essere in grado di difendersi o anche solo di capire che cosa le sta accadendo. D' accordo, un genitore crede sempre che il proprio figlio sia un angioletto, ma nel branco l' angioletto si può trasformare. Noi non siamo qui a fare il processo a Ciro Grillo e ai suoi amici: a quello, se sarà il caso, ci penseranno i giudici. Tuttavia, non vogliamo nemmeno che il processo lo facciano alla vittima i due genitori dell' indagato. È intollerabile. Già sopportiamo a malapena le scemenze che Grillo dice su argomenti di interesse generale, sull' economia, sulle strategie industriali, su quelle sociali. Ma sentirlo parlare senza ritegno di una vicenda delicata e sofferta come quella che vede coinvolto suo figlio e una ragazza di vent' anni, è qualche cosa che mai avremmo immaginato. Ci domandiamo dove siano le donne, le intellettuali che negli anni passati scendevano in piazza a difesa della dignità femminile, quelle che manifestavano al grido di «Se non ora quando?». Non hanno niente da dire se il leader di un Movimento che tiene in pugno il Parlamento dà della bugiarda a una ragazza solo perché prende il surf il giorno dopo la presunta violenza? Nulla da obiettare se, in barba a una legge introdotta dal governo Conte, il suo governo, e dal ministro Bonafede, che estese a 12 mesi la possibilità di denunciare, Grillo dice che rivolgersi ai carabinieri otto giorni dopo i fatti prova che lo stupro non c' è stato? Sì, le frasi di Grillo e della moglie sono rivoltanti, oltre che un' indebita pressione, se non un' intimidazione come ha detto il legale della vittima. Tuttavia, è rivoltante anche il silenzio dei big grillini, quelli che in Parlamento sono arrivati al grido di «Onestà, onestà». Consenzienti anche loro?
Il figlio di Beppe Grillo si difende in procura: “Non ci fu violenza, ma sesso consenziente”. Da "lastampa.it" il 17 aprile 2021. «Non c'è stata violenza sessuale, ma sesso consenziente». Lo ha ripetuto più volte Ciro Grillo, il figlio del garante del M5S, davanti al procuratore capo di Tempio Pausania, Gregorio Capasso, durante l'interrogatorio che si è tenuto in gran segreto giovedì sera nei locali della piccola procura. Un interrogatorio lungo, difficile, terminato solo in tarda serata, come apprende l'Adnkronos. È stato il suo legale a chiedere alla procura di sentire Grillo junior, che è indagato, con tre amici, per violenza sessuale di gruppo su una giovane che sarebbe avvenuto nel luglio 2019 nella sua villa in Costa Smeralda. Nel novembre scorso il magistrato ha chiuso le indagini e ha messo gli atti a disposizione della difesa, che ha chiesto un termine per fare le controdeduzioni ed eseguire le indagini difensive. E nei giorni scorsi sono stati ascoltati gli altri tre indagati dell'indagine, tenuta top secret. Giovedì sera è toccato, invece, al giovane Ciro Grillo, all’epoca dei fatti 19enne. Dalla procura bocche cucite sul contenuto dell'interrogatorio. Intanto, il termine sta per scadere e la Procura sta decidendo in queste ore se chiedere il rinvio a giudizio per Grillo junior e i suoi tre amici. Come apprende l'Adnkronos, la procura è orientata a chiedere il processo per i quattro ragazzi. Perché secondo i magistrati non fu «sesso consenziente», come dice invece la difesa degli indagati. Per l'accusa è stata «violenza sessuale di gruppo». L'inchiesta è a carico di Ciro Grillo, Edoardo Capitta, Francesco Corsiglia e Vittorio Lauria. I quattro, nel luglio del 2019, erano in vacanza in Costa Smeralda, tra serate danzanti al Billionaire e cene con gli amici. Ma una notte, il 16 luglio, come poi ha raccontato una ragazza di 19 anni, si sarebbero resi responsabili di stupro di gruppo. A loro carico ci sarebbero anche alcune fotografie che i consulenti della procura hanno trovato sui cellulari e qualche intercettazione. Per l’accusa, la ragazza è stata «costretta ad avere rapporti sessuali in camera da letto e nel box del bagno», «afferrata per la testa a bere mezza bottiglia di vodka» e «costretta ad avere rapporti di gruppo» dai quattro giovani indagati che hanno «approfittato delle sue condizioni di inferiorità psicologica e fisica» di quel momento. È difesa dall'avvocata Giulia Bongiorno, ex ministra leghista nel primo governo Conte, è stata più volte dagli inquirenti e ha raccontato, fin nei minimi particolari, quanto sarebbe accaduto in quella notte. I magistrati in quasi due anni di indagini hanno anche messo sotto controllo i telefoni non solo dei ragazzi ma anche di Parvin Tadjik, madre di Ciro Grillo e moglie del comico genovese. La donna, sentita dai pm, ha sempre raccontato che quella sera dormiva nell'appartamento accanto a quello in cui si sarebbe consumata la violenza, dicendo di non essersi accorta di niente. Lo scorso 20 novembre, dopo più di un anno dai fatti, la Procura, guidata da Gregorio Capasso, ha inviato la notifica alle difese mettendo a disposizione il materiale agli atti. I legali hanno chiesto una proroga per le memorie difensive perché il materiale è «enorme», come dice chi ha potuto vederlo. Il procuratore Capasso e la sostituta Laura Bassani, hanno inserito nel fascicolo le immagini ritrovate nei telefoni che, secondo l'accusa, mostrerebbero gli abusi anche ai danni della seconda ragazza che dormiva. E adesso, a giorni, è atteso il deposito della richiesta di rinvio a giudizio negli uffici del gup del piccolo Tribunale di Tempio Pausania, guidato dal magistrato napoletano Giuseppe Magliulo. Secondo quanto ricostruito dagli investigatori, grazie al racconto della vittima ma anche di alcuni testimoni, quella notte di metà luglio 2019, Ciro Grillo e i suoi tre amici avevano trascorso la serata al Billionaire. Poi, quasi all'alba, avevano lasciato il locale con due giovani studentesse milanesi. Le ragazze avevano seguito i quattro giovani nella villa di Beppe Grillo in Costa Smeralda. Solo che su quello che è accaduto qui ci sono diverse versioni. Da un lato la ragazza, che ha raccontato di essere stata stuprata, dopo che l'amica si era addormentata. La giovanissima ha detto di essere stata costretta a un rapporto sessuale con uno dei ragazzi. E poi essere stata stuprata anche dagli altri tre. Ma la versione fornita dai giovani rampolli della Genova bene è del tutto diversa. Hanno raccontato che il rapporto di gruppo con la giovane c'era stato ma che era «consenziente». E per rafforzare la loro tesi hanno raccontato ai magistrati che li hanno interrogati più volte che dopo il primo rapporto, lei e il primo ragazzo, sarebbero andati insieme a comprare le sigarette, e al ritorno, nella villa del Pevero, a Porto Cervo, lei avrebbe avuto rapporti consenzienti con gli altri tre. E che nei giorni seguenti ci sarebbero stati scambi di messaggi con i ragazzi. La denuncia è avvenuta solo successivamente, quando la ragazza era tornata a casa a Milano. Una versione che contrasta con quanto raccontato dalla ragazza, una studentessa italo-svedese in vacanza con l'amica. Negli atti di accusa, visionati dall'Adnkronos, c’è il racconto crudo della ragazza che racconta di essere stata stuprata a turno. «Verso le sei del mattino - si legge in un verbale - mentre R. M. (l'amica della vittima ndr) dormiva», scrivono i magistrati, la giovane è «stata costretta» ad avere rapporti sessuali in camera da letto e nel box doccia del bagno, con uno dei ragazzi. «Gli altri tre indagati hanno assistito senza partecipare». Poi un'altra violenza, costringendo la giovane a bere mezza bottiglia di vodka contro il suo volere. La procura ha anche una serie di fotografie e immagini che ha inserito nel fascicolo. «La ragazza ha poi perso conoscenza fino alle 15 quando è tornata a Palau», scrivono i pm. La «lucidità» della vittima «risultava enormemente compromessa» quando è stata «condotta nella camera matrimoniale dove gli indagati» l'avrebbero costretta ad avere «cinque o sei rapporti». sessuali. Adesso spetta alla Procura decidere se chiedere il rinvio a giudizio o l'archiviazione dei quattro ragazzi.
Beppe Grillo, il figlio torna su Instagram e pubblica il video di papà: "Giornalisti o giudici?". Scatta il linciaggio, resta un sospetto. Libero Quotidiano il 21 aprile 2021. Diciassette mesi dopo la sparizione social, avvenuta in concomitanza con l’inizio dell’indagine sul presunto stupro in Costa Smeralda ai danni di una 19enne milanese, Ciro Grillo ha riattivato il suo profilo Instagram. E, stando a quanto riportato dal Corriere della Sera, lo ha fatto per pubblicare un solo contenuto: il video in cui il padre Beppe si sfoga e lo difende a spada tratta da tutte le accuse, prendendosela con la giovane donna che ha denunciato e mettendo pressione sulla magistratura. “Giornalisti o giudici?”, è la didascalia che il figlio del garante M5s ha scelto a corredo del video. Sotto al quale sono piovuti quasi duemila commenti, la stragrande maggioranza dei quali non è riportabile, contenendo insulti pesantissimi e indirizzati sia a lui che al padre. “Vergognati”, “imbarazzante”, “un’altra pagliacciata” sono solo alcuni dei commenti meno pesanti, insieme a quelli in difesa della 19enne: “Ma vi pare - scrive un utente - che una giovane stuprata vada subito a denunciare dopo un trauma del genere? Vergognatevi”. E non mancano neanche le minacce nei confronti di Ciro Grillo: “Se ti trovano per strada chissà che ti fanno”. C’è però un giallo sul profilo del figlio del garante M5s, evidenziato da Il Messaggero. Sebbene il Corsera abbia dato per certo che quello fosse l’account riattivato da Ciro Grillo, secondo alcuni la veridicità di tale account non può essere data per scontata: la foto del profilo è infatti la stessa utilizzata da tutti i giornali negli ultimi mesi ed è comune ad almeno un altro paio di profili Instagram a nome di Ciro Grillo. Quindi Il Messaggero non si sente di escludere che possa trattarsi di un fake.
Alessandro Fulloni per corriere.it il 21 aprile 2021. Un hashtag eloquente, #freeciruz. E il video del padre Beppe condiviso nuovamente sul suo profilo Instagram dal quale, attorno ai primi di settembre del 2019, a seguito del via dell’indagine sul presunto stupro in Costa Smeralda ai danni di una 19enne milanese, erano scomparse tutte le foto e i post. Ciro Grillo dopo circa diciassette mesi di silenzio riattiva dunque il suo account social — il nickname è «Ciruzzolohiil» — e posta il filmato con lo sfogo del genitore e Garante M5S intervenuto a sua difesa. Il titolo (come riporta «il Secolo XIX » che ha dato la notizia in un articolo a firma Tommaso Fregatti e Matteo Indice) è lo stesso — «Giornalisti o giudici?»— preparato dal comico per il suo blog. L’unica novità è che a corredo c’è l’hashtag. Appunto: #freeciruz.
Una raffica di insulti. Non si può dire che la Rete abbia molto apprezzato il ritorno del primogenito di Grillo su Instagram. Tra i circa 1.000 commenti totalizzati nella serata di martedì spiccavano soprattutto insulti, in gran parte irriferibili e indirizzati tanto a lui quanto al padre. Ecco il campionario dei commenti tra i meno pesanti: «Vergognati», «imbarazzante», «un’altra gran pagliacciata». Molti sono a difesa della 19enne: «povera ragazza», «ma vi pare che una giovane stuprata vada subito a denunciare dopo un trauma del genere? Vergognatevi». E ancora: «Un buon padre avrebbe solo taciuto». Altri si rivolgono direttamente al figlio del comico: «Perché non ci mostri la tua versione dei fatti?». Non mancano quelli che se la prendono «con il tuo stile di vita» e altri che, neanche troppo velatamente, lo minacciano: «Se ti trovano per strada chissà che ti fanno».
Il profilo Instagram chiuso due anni fa. Come detto, Ciro Grillo chiuse il suo profilo all’indomani della comparsa sui giornali della notizia dell’indagine che lo vedeva coinvolto. Sino a poche ore prima sul suo account Instagram erano visibili foto di feste sulla spiaggia con il drink in mano, sorrisi e abbracci con le ragazze, i selfie sorridenti in comitiva e gli addominali scolpiti. In una foto dell’agosto 2017 il figlio del comico scriveva, accanto a una foto in un cui compie un esercizio atletico, un commento decisamente pesante: «Ti stupro bella bambina, attenta». In un’immagine del 31 agosto 2017, ripresa durante un viaggio, una vacanza studio al Macleans College (scuola che si trova a Bucklands Beach, Auckland), ecco il ragazzo in primo piano con degli amici e un suo commento: «C...i durissimi in Nuova Zelanda».
Tante foto di combattimenti di savate. Un’altra foto lo ritraeva insieme a un amico con i rayban neri. Sotto comparivano queste parole: «la tua bitch (prostituta, ndr) mi chiama jonny sinn». Poi anche un hashtag, quello di #Bluwhale, famigerato gioco (rimasto un fenomeno sul web, mai verificato) che prevede la sottomissione di adolescenti a complessi rituali che indurrebbero al suicidio. E infine tante foto di combattimenti di savate, arte marziale praticata da Grillo jr che ha vinto tre titoli nazionali guadagnandosi anche una convocazione in azzurro. Sono numerose le interviste online in cui Ciro Grillo parla della sua passione nata poco più che quindicenne per la boxe francese «che mi serve per non pensare allo stress della scuola». Gli allenamenti «sono frequenti, almeno quattro a settimana e ciascuna seduta può durare un paio d’ore. Papà è orgogliosissimo dei miei titoli: dice che sono il frutto dell’allenamento».
Selvaggia Lucarelli, l'articolo contro Beppe Grillo pubblicato da Tpi, ma non dal Fatto. Libero Quotidiano il 21 aprile 2021. Il filmato di Beppe Grillo in difesa del figlio, sotto accusa per stupro, ha scosso anche la redazione del "Fatto quotidiano", giornale da sempre vicino alle posizioni dell'ex comico, ma che da tempo ribolle per la linea editoriale del direttore Marco Travaglio così schiacciata su Conte-PD. Un durissimo editoriale contro Grillo di Selvaggia Lucarelli, che è una degli editorialisti del quotidiano, non ha trovato spazio sul quotidiano, ma sul sito di Tpi dove collabora la Lucarelli. L'articolo di Paola Zanca, invece, che ha sottolineato come "denunciare una violenza dopo otto giorni non è strano", è stato relegato in un trafiletto a pagina 8 nella rubrica "Lo Sberleffo". Praticamente un siluro sapientemente depotenziato, fa notare Dagospia. Lo stesso Travaglio, nel suo editoriale di oggi dal titolo "Due errori e un diritto", sostiene Grillo: "Non ha sbagliato a difendere suo figlio. E fanno ribrezzo quanti, col ditino alzato, deplorano la sua rabbia: vorrei vedere loro, al suo posto", ha scritto. Travaglio ha inoltre precisato che "infilare la politica in un processo per stupro è quanto di più demenziale, anche perché Ciro Grillo non fa politica. La fa suo padre, il quale non risulta aver mai detto che si è colpevoli prima della sentenza". E Dagospia, inoltre, fa notare che quel video, arrivato dopo 20 mesi di silenzio e a ridosso di un probabile rinvio a giudizio del figlio Ciro, "diffuso con la potenza di fuoco a disposizione di Grillo e maldestramente argomentato (la consensualità del rapporto sessuale dimostrata dal ritardo di 8 giorni nella denuncia) come riconosce lo stesso Travaglio, è come un rutto in Chiesa: inopportuno. Che poi abbia avuto l'effetto opposto a quello desiderato, è un altro discorso". Insomma il fattore Grillo sta mettendo a soqquadro anche la redazione del Fatto quotidiano, da sempre vicino alle posizioni grilline.
Da liberoquotidiano.it il 21 aprile 2021. Certo, nel suo incredibile editoriale di oggi, mercoledì 21 aprile, sul Fatto Quotidiano, Marco Travaglio è riuscito a difendere Beppe Grillo. Già, Marco Manetta, il direttore simbolo dell'ultra-giustizialismo italiano, per il comico M5s è diventato garantista. La vicenda ovviamente è quella del violento e discusso video di Grillo in difesa del figlio Ciro, accusato di violenza sessuale, il video in cui il comico di fatto afferma che la ragazza che accusa il pargolo sta mentendo e addirittura si spinge a chiedere di "arrestate me". Farneticazioni, in grado però di fare male, male vero, alla presunta vittima e alla sua famiglia. Ma, si diceva: Travaglio, il Fatto. Bene, se il direttore comunque riesce nella mirabile impresa di vergare un fondo garantista, ovviamente per Grillo, se Travaglio afferma che gli fanno "ribrezzo" quelli che accusano Grillo per la sua rabbia, ecco che comunque in prima pagina, sul medesimo quotidiano, piove anche un duro attacco al comico ligure, al presunto Elevato contro il quale si è scatenato l'intero arco parlamentare, da destra a sinistra e arrivando fino al M5s (alcuni hanno espresso pubblicamente il dissenso per quel video, rumors di stampa danno conto di un partito in ebollizione. In toto). Eccoci dunque all'attacco, che piove nella vignetta firmata da Mannelli, eccezionalmente non contro Salvini, ma proprio contro Beppe. Nel disegno, ecco il faccione di Grillo, smostrato dalla rabbia, mentre urla in modo scomposto: "Arrestate me, arrestate me, arrestate me". Il tutto mentre sputazza saliva per gli urlacci. E in calce, il tagliente commento di Mannelli: "In effetti è quasi più di fuori del pisello del figlio". E il riferimento è dopo: ad essere fuori è Grillo, mentre quando Mannelli parla del pisello si riferisce a quanto detto su Ciro proprio dal comico nel corso del controverso filmato.
Da liberoquotidiano.it il 21 aprile 2021. Chi l'avrebbe mai detto. Per una volta Gad Lerner prende le difese di Matteo Salvini. O meglio, il giornalista lo tira in ballo senza motivazioni salvo poi lanciarsi in un parziale endorsement. Il tema della puntata del 20 aprile di Cartabianca è Beppe Grillo e il figlio Ciro accusato di stupro. In particolare quello che sta facendo più scalpore è il video rilanciato dal fondatore del Movimento 5 Stelle in cui prende a spada tratta le difese del figlio arrivando addirittura a negare lo stupro. "Un filmato orrendo e vergognoso - lo definisce lo stesso Lerner - e penso al male che ha fatto a quella giovane donna, a suo figlio e agli imputati in un processo di autodistruzione personale e della sua leadership. Il Papeete di Salvini è una bazzecola a confronto". Nel video Grillo tuonava: "La legge dice che gli stupratori vengono arrestati e messi in galera e interrogati in galera o ai domiciliari. Invece sono lasciati liberi per due anni, perché? - si chiede Grillo -. Perché non li avete arrestati subito? Ce li avrei portai io in galera, a calci nel c***". E ancora: "Vi siete resi conto che non è vero niente che c'è stato lo stupro. Perché una persona stuprata la mattina, al pomeriggio fa kitesurf e dopo 8 giorni fa la denuncia vi è sembrato strano. Bene, è strano". Parole fortissime che non sono andate giù neppure all'interno del Movimento. Chiusa la parentesi Grillo, è la volta del coronavirus. Anche Lerner tra le fila dei chiusuristi alla Speranza maniera: "I Paesi che hanno riaperto, come Israele o Regno Unito, hanno vaccinato gran parte della loro popolazione e ridotto i numeri del contagio. Noi stiamo andando in controtendenza rispetto a Francia e Germania. Spero non avremo di che pentircene".
Da ilmessaggero.it il 21 aprile 2021. «Capisco il dolore e il dramma di un padre. Soprattutto di un padre che ha avuto una figlia stuprata da un gruppo di maschi, per divertimento». Con un duro post su twitter, Nicola Piovani, il grande compositore e musicista, irrompe sulla vicenda del figlio di Grillo accusato di stupro e fa il verso alla lettera che Conte ha scritto ieri proprio al fondatore del M5s.
La lettera di Conte. Dopo le parole di difesa di Beppe Grillo nei confronti del figlio, molto critiicate sia a destra che a sinistra, l'ex premier ha voluto infatti dire la sua: «Sono ben consapevole di quanto questa vicenda familiare lo abbia provato e sconvolto. Comprendo le preoccupazioni e l’angoscia di un padre, ma non possiamo trascurare che in questa vicenda ci sono anche altre persone, che vanno protette e i cui sentimenti vanno assolutamente rispettati, vale a dire la giovane ragazza direttamente coinvolta nella vicenda e i suoi familiari che sicuramente staranno vivendo anche loro momenti di dolore e sofferenza». Una mossa più che altro politica. Una prova di fedeltà - per evitare che Grillo lo disconosca e si penta di avergli affidato il partito - unita però a una presa di distanza e a uno smarcamento per scongiurare che il movimento venga travolto.
Le critiche. Sono tanti i personaggi famosi che in queste ore hanno criticato le parole di Grillo nel video pubblicato sui social. Parole pesanti, «c’è un video girato da lui e dagli altri amici quella notte, in cui si vede che c’è la consensualità: un gruppo che ride, ragazzi di 19 anni che si stanno divertendo, che sono in mutande e saltellano col pisello di fuori perché sono quattro coglioni, non quattro stupratori». Dalla scrittrice Dacia Maraini a Damiano, leader dei Maneskin, gruppo che ha vinto Sanremo, che ha dichiarato «è stupro anche se viene denunciato dopo», al conduttore Francesco Facchinetti.
Beppe Grillo, Vittorio Feltri: "Quel video è agghiacciante, ma il comico va rispettato". La scomoda verità del direttore. Vittorio Feltri per "Libero quotidiano" il 21 aprile 2021. È iniziato il tiro al bersaglio. Tutti i lacchè i quali per alcuni anni hanno umettato le terga di Beppe Grillo adesso gli sparano addosso per demolirlo, solita operazione squallida all' italiana che provoca ondate di disgusto. I fatti sono noti. Il figlio Ciro (io avevo un cane con questo nome che era il più saggio della mia famiglia) del comico ligure verrà probabilmente rinviato a giudizio insieme a tre amici, con i quali avrebbe abusato di una ragazzina nel 2019, dopo averla costretta a tracannare alcol a iosa. Brutto affare su cui ci auguriamo faccia chiarezza il tribunale. Cosa sia successo in realtà lo ignoriamo non avendo visto le carte giudiziarie. Nel frattempo però, con l' avvicinarsi del probabile processo, il capo del Movimento 5 Stelle ha sentito l' esigenza di sfogarsi in un video postato sui social network e poi trasmesso dalla tv. Un filmato agghiacciante nel quale l' attore politico difende in modo invero sgangherato il suo erede, adducendo motivazioni da verificare, comunque legittime. In sintesi, egli ha sostenuto che la signorina non sia stata violentata bensì fosse consenziente. Oddio, è difficile credere che una fanciulla, per quanto ciucca fradicia, abbia fatto volentieri l' amore addirittura con quattro giovanotti. Tuttavia Grillo spiega di possedere una registrazione le cui immagini dimostrerebbero che lei ci stava. Quindi Ciro e compagnia sarebbero innocenti. Stabilirà la magistratura come si sono svolti gli accadimenti. Intanto stiamo zitti, consapevoli che gli imputati non sono colpevoli fino a prova contraria. Mi limito a dichiarare con veemenza un paio di cose. Non sono in grado di redarguire il vecchio Beppe che, essendo un padre, non se la sente di unirsi al coro di quelli che vorrebbero condannare a priori il suo ragazzino, e cerca pertanto di salvaguardarlo a ogni costo. Qualunque genitore disperato va capito se si scatena per proteggere il proprio discendente che rischia la galera dura per un episodio da accertare. Grillo forse ha esagerato nella foga, probabilmente avrebbe dovuto riservare alla fanciulla un minimo di riguardo, non essendo provato che sia una leggerona, per non dire di peggio. Sappiamo che lo stupro ha due componenti decisive: la prepotenza maschile e la debolezza femminile, spesso accresciuta dalla paura degli orchi. Il povero istrione avrebbe fatto meglio a tenere il piede sul freno mentre concionava, così si sarebbe evitato le reprimende conformistiche di una folla di critici crudeli e insensibili, gente che sorvola sui sentimenti nobili della paternità. Io che non ho mai sfiorato la pelle di una donna se non su sua esplicita richiesta, comprendo lo stato d'animo di Grillo che vive come un incubo l'idea che il suo Ciro subisca una sentenza pesante. Pertanto sono solidale con lui e deploro coloro che delle altrui disgrazie profittano per demolire vigliaccamente un uomo politico, peraltro a me non gradito ma da me rispettato. E non mi importa nulla che egli si sia trasformato in un battibaleno da manettaro a garantista. Meglio tardi che mai. Ripeto una frase che ho pronunciato ieri in tv, ospite di Milo Infante: quando comincia la caccia alle streghe io sto con le streghe.
“Chi critica il M5S deve vergognarsi”: Sul video di Grillo, Travaglio attacca la Bongiorno “salviniana”. Marta Lima venerdì 23 Aprile 2021 su Il Secolo d'Italia. “Mi è piaciuto molto l’articolo di Travaglio. L’essersi messo nei panni di Grillo, citando come esempio la preoccupazione per i suoi stessi figli, ha voluto significare che questi spiacevoli episodi possono accadere a chiunque. Attaccare Grillo investendolo sul piano politico, denota sciacallaggio”, E’ una delle lettere che un fan del “Fatto Quotidiano” ha inviato al direttore del giornale per complimentarsi della posizione in difesa del fondatore del M5S, assunta nei giorni scorsi, dopo la pubblicazione del video in difesa del figlio presunto stupratore. Ma non tutti condividono: “A mio parere, una persona, specialmente se pubblica, ha l’assoluto dovere di essere obiettiva sempre, anche quando ci sono in ballo componenti della sua famiglia. Diversamente, per la famiglia, ci si potrebbe sentire autorizzati a tutto: a scavalcare le file, a rivelare segreti di Stato, a facilitare assunzioni e così via. Insomma: l’Italia di oggi”, è il parere diametralmente opposto di un altro lettore. Anche oggi Travaglio, nel suo solito pezzo nostalgico su Conte, difende Grillo. “Tra tutte le critiche al suo video, la più grottesca è che Grillo abbia politicizzato il processo per stupro a suo figlio. Infatti dai 5Stelle non s’ è levata una sola voce in sua difesa: due o tre hanno solidarizzato sul piano umano, qualcuno ha taciuto, tutti gli altri (Conte in primis) l’hanno criticato. Come dovrebbe accadere in tutti i partiti se fossero comunità di uomini liberi e non cosche mafiose in cui, appena viene toccato il boss, tutti fanno fronte comune a prescindere. Quando qualcuno in FI , nella Lega e in Iv oserà contraddire anche timidamente il suo capo, potrà parlare di Grillo e dei 5Stelle. Nell’attesa, tacete e vergognatevi”, attacca Travaglio, che solleva il tema della separazione delle carriere, non dei magistrati, ma degli avvocati. Ma non sospetta di una manina leghista nel caso Grillo: “Il Cazzaro Verde esterna solo quando non sa di cosa parla, altrimenti tace. Il vero scandalo è il conflitto d’interessi dei parlamentari eletti per rappresentare la Nazione e poi ridotti a rappresentare tizio o caio. Lo facevano Previti, Pecorella, Ghedini, Taormina nel centrodestra, Pisapia e Calvi nel centrosinistra, spesso sedendo nelle commissioni Giustizia che riformavano o depenalizzavano i reati dei loro clienti (chissà le parcelle, dopo)…”.
Travaglio garantista con Grillo: “Sono padre anche io, non ha sbagliato a difendere il figlio”. Lucio Meo mercoledì 21 Aprile 2021 su Il Secolo d'Italia. Marco Travaglio non molla gli amici in difficoltà. anche a costo di difendere l’indifendibile. Era accaduto con Andrea Scanzi, il baby vaccinato che il direttore del “Fatto” aveva considerato colpevole solo di aver detto pubblicamente quello che aveva fatto, si è ripetuto anche con Beppe Grillo, in un lungo editoriale in cui oggi lo assolve. Una mezza assoluzione era arrivata ieri anche dall’amico dell’amico, Giuseppe Conte. “Da padre di un ragazzo e di una ragazza, ho vissuto per anni nell’incubo che potesse accadere loro qualcosa in una serata alcolica. Quindi sì, un po’ mi sono immedesimato. Ora però molti lettori mi chiedono che ne penso. Grillo non ha sbagliato a difendere suo figlio. E fanno ribrezzo quanti, col ditino alzato, deplorano la sua rabbia: vorrei vedere loro, al suo posto. Gli errori sono altri….”. Il giornalista, dunque, non ritiene sgradevole e offensivo quel video con il quale il comico, leader del M5S, di fatto si scagliava contro una presunta mitomane che si sarebbe inventata uno stupro, dopo un presunto rapporto consenziente a quattro. Gli errori, secondo Travaglio, sono stati quelli di non considerare la presunta innocenza della vittima. Un po’ contorto, come ragionamento. Dove avrebbe sbagliato Grillo, secondo Travaglio? “Primo, far intendere che la consensualità del rapporto sessuale sia dimostrata dal ritardo di 8 giorni con cui la ragazza ha sporto denuncia: a volte possono passare anche mesi, e giustamente la nuova legge del “Codice rosso” (firmata dal “suo” ministro Bonafede e dalla Bongiorno) ha raddoppiato i tempi per le querele da 6 mesi a 1 anno. Il secondo è l’assenza di una parola di vicinanza alla ragazza, che comunque, se ha denunciato, si sente vittima. Potrebbe esserlo, come pure non esserlo: alcune denunce di stupro si rivelano fondate e altre infondate. Sarà il gup a decidere se Ciro e i suoi tre amici vanno processati e altri giudici stabiliranno se fu stupro o no”. Travaglio, che in genere ama sparare sentenze sulla base delle prime fasi delle indagini, stavolta fa il garantista con Grillo. “Tutti parlano come se lo stupro fosse già certo, senza non dico una sentenza, ma neppure un rinvio a giudizio. E lo deducono, pensate un po’, dal fatto che Grillo ha fondato il M5S e il M5S è giustizialista. Sono gli stessi che ai loro compari applicano la presunzione di non colpevolezza anche dopo la condanna in Cassazione (tipo B. e Craxi) ed esultano per i vitalizi a Formigoni&C. Infilare la politica in un processo per stupro è quanto di più demenziale, anche perché Ciro Grillo non fa politica….”. Per Travaglio il fondatore del M5S, Beppe Grillo, ha posto una domanda legittima: “Perché quattro presunti stupratori di gruppo sono a piede libero da 2 anni col rischio che lo rifacciano? Noi, che il filmato e i messaggi non li abbiamo visti, non abbiamo nulla da dire sul punto. Se non che gli indagati hanno il diritto di difendersi e i loro genitori di difenderli”. Bravo Grillo, è la linea del “Fatto“.
Bongiorno Italia di Marco Travaglio su Il Fatto Quotidiano il 24 aprile 2021. Per dire come funziona quella che spiritosamente chiamiamo “informazione”. Il Tempo riporta una dichiarazione di Salvini dopo il video di Grillo sulle accuse al figlio: “Qualcosina su come siano andate le cose mi ha detto il mio avvocato, dato che è lo stesso della ragazza che ha denunciato lo stupro, ovvero Giulia Bongiorno”. Né Salvini né Bongiorno smentiscono. Anna Macina, sottosegretario M5S alla Giustizia, pone la domanda che tutti si pongono: la Bongiorno, nella sua doppia veste di legale della ragazza e di Salvini, nonché di avvocata e di senatrice, ha spifferato notizie sul caso di Grillo jr. al suo cliente e leader che l’ha portata in Parlamento? Se così fosse, un conflitto d’interessi già enorme (un’eletta per rappresentare l’intera nazione che rappresenta tizio o caio) si moltiplicherebbe vieppiù, senza contare la questione deontologica degli eventuali segreti di una cliente rivelati a un altro cliente. In un Paese normale, tutti chiederebbero a Salvini e Bongiorno di chiarire l’imbarazzante situazione. Invece siamo in Italia e tutti attaccano la Macina, che si dovrebbe dimettere dal governo per aver detto l’unica cosa sensata in tutta la vicenda. Salvini tace. La Bongiorno chiede le dimissioni della Macina e minaccia di trascinare anche lei in tribunale per non si sa bene cosa, visto che la sua domanda è tipica dell’attività parlamentare, scriminata dall’insindacabilità. A quel punto, toma toma cacchia cacchia, arriva l’ineffabile ministra Cartabia, che ammonisce la sottosegretaria al dovere “istituzionale del massimo riserbo sulle vicende giudiziarie aperte”. Peccato che la Macina non abbia detto nulla sul processo a Grillo jr.: è il senatore Salvini che ha detto di sapere ciò che non dovrebbe grazie alla Bongiorno che non l’ha smentito. Intanto l’altro sottosegretario alla Giustizia, il forzista Sisto, deputato e avvocato di B. nel processo Escort, dichiara che il rinvio a giudizio di Salvini per Open Arms non sta in piedi perché “è impossibile pensare che abbia commesso tutto da solo”. Tifo da stadio per il neoimputato anche dai ministri Gelmini e Garavaglia e dai sottosegretari Durigon e Gava. Ma per loro non risultano moniti della Cartabia. Riavvolgiamo il nastro. Se Salvini ha detto la verità, la Bongiorno ha tradito il mandato legale, dunque dovrebbe dimettersi, se non da parlamentare, almeno da avvocata della ragazza, e querelare per diffamazione non la Macina, ma se stessa. Se Salvini ha mentito, dovrebbe dimettersi lui e la Bongiorno dovrebbe querelare lui, non la Macina. In attesa di sapere chi se ne deve andare e fra Salvini e la Bongiorno, gli unici che devono dare spiegazioni sono Salvini e la Bongiorno. E l’unica che deve restare al suo posto senza spiegare nulla è la Macina.
Avvisate Travaglio che Conte è un avvocato. Il Fatto denuncia il clamoroso “conflitto di interessi”. Ma scorda una particolare: anche il suo premier ideale è un avvocato...di Davide Varì su Il Dubbio il 26 aprile 2021. Ci sono volute settimane, forse mesi, e probabilmente è servito anche l’aiuto di qualche coraggioso 007, ma alla fine la verità è venuta a galla: il Parlamento italiano è un covo di avvocati. Lo scoop è arrivato dal Fatto quotidiano, il giornale di Travaglio che ha una visione delle cose talmente manichea da considerare la giurisdizione divisa in buoni a cattivi: da un lato i magistrati – i buoni naturalmente – dall’altro i cattivi, gli avvocati. E sì, il mondo in bianco e nero di Travaglio e soci vive di contrasti senza mediazioni e i loro profeti intingono sempre la penna nel fiele e nell’odio. E capita assai spesso che l’obiettivo di tanto “amore” sia l’avvocato, ovvero colui che si si ostina a difendere i diritti di chi è indagato pretendendo, pensate, il rispetto delle garanzie e della Costituzione.
Il dolore di un padre non c’entra nulla. Il video di Grillo è un atto di tracotanza, proprio lui che ha costruito le fortune sulla gogna. Gian Domenico Caiazza su Il Riformista il 25 Aprile 2021. Quale figlio di due severi grecisti (e latinisti), ho avuto la fortuna (a lungo imposta, in verità, ma non smetterò di ringraziarli), di frequentare con assiduità (e spero con qualche minimo profitto) le meraviglie della Grecia Antica, dove tutto quello che di più essenziale e profondo vi è da dire e da capire dell’animo umano, fu già detto e scritto. Ora, temo che Beppe Grillo ignori che la Giustizia, nella mitologia greca, avesse (almeno) due volti: quello di Dike e quello di Nemesis. Dike è la Dea che rappresenta la Giustizia -se così possiamo dire- nella sua oggettività. È colei che ispira gli uomini a fissare le leggi, le regole della convivenza, il patto sociale. Chi viola la legge merita di essere punito perché ha oltraggiato Dike (la quale, ogni volta che la legge viene infranta, si precipita piangendo da suo padre Zeus, non so se mi spiego). Insomma, Dike è la Legge: dunque la regola e, ad un tempo, la sanzione per la sua violazione. Chi commette un reato sfida le ire di Zeus, che mal tollera di veder soffrire la sua adorata figlia. Compito degli uomini è individuare il responsabile di un reato, quindi dell’offesa a Dike, e di punirlo per conseguenza. Ecco perché il processo è un rito sacro: occorre individuare il colpevole, senza peraltro correre il rischio -ancora più grave della impunità- che è la condanna dell’innocente. Una responsabilità da far tremare le vene ai polsi. Comprendiamo bene, allora, come solo una masnada di protervi analfabeti può immaginare di celebrare i processi al bar, o sui giornali, o sui social, mettendo bocca su fatti appena conosciuti o orecchiati, in luogo dei giudici. Meno che mai può immaginarsi che i processi li celebrino i genitori degli imputati, o i genitori delle vittime, ciascuno illustrando a modo proprio le ragioni della innocenza o della colpevolezza. Può essere ben comprensibile dal punto di vista umano, ma è un errore fatale. Un peccato di Hybris, che nella tragedia e nella letteratura greca (aridaglie!), significa una empia manifestazione di superbia, di tracotanza, di smodata percezione di sé. Cioè il peccato del quale si è macchiato Beppe Grillo con quel suo ormai famoso video. Non c’entra nulla “il dolore di un padre”. Qualunque genitore di un figlio accusato di un crimine così orrendo ed infamante, è condannato a patire le pene dell’inferno, a fracassarsi ogni sera la testa contro il muro, ad essere sopraffatto dalla disperazione e dal rancore. Ma l’idea di accendere un video per far sì che tutto il mondo sappia di quella tua disperazione e di quel tuo rancore, inveendo contro una accusa che denunci come ingiusta, appartiene solo a chi coltivi una idea smodata, arrogante e tracotante di sé stesso. Una idea che è questa: sono un uomo pubblico, le mie parole hanno un peso, userò quel peso per aiutare mio figlio. Ecco dove Grillo paga la sua verosimilmente scarsa frequentazione dell’antica Grecia. Ha pensato di sostituirsi a Dike, o peggio ancora di tirarla per la veste divina; e con gli Dèi non si scherza. Perché se pecchi di Hybris, ecco lì che arriva Nemesis. Ora, la parentela è complessa, ma per semplificare sarebbe una sorella di Dike, addirittura preferita da papà Zeus, con il quale avrebbe intrattenuto perfino rapporti incestuosi (d’altronde, quod licet Iovi, non licet bovi). Nemesis è la Dea sì anch’essa della Giustizia, ma della “Giustizia riparatrice”, quando non addirittura vendicativa. Quella che interviene quando occorre non solo punire chi viola la legge (a quello ci pensa Dike), ma quando occorre punire, riequilibrare un atto empio di superbia e di tracotanza. Nel caso del video di Grillo, Nemesis ha preso le sue debite informazioni, e ha scoperto che il peccatore ha costruito le proprie fortune politiche sul “vaffanculo”, cioè sulla gogna spiccia. Qualunque avversario sociale e politico potesse essere lapidato e scotennato anche se appena sfiorato dal sospetto, e con lui i figli ed i figli dei figli, veniva scotennato e lapidato da lui e dalle folle plaudenti dei suoi adepti, che lo issavano, trionfante, su un canotto sorretto da un mare di vaffanculisti in piazze stracolme. Che sono così diventati il primo partito italiano, hanno eletto il Ministro della Giustizia (cioè il rappresentante di Dike in terra, capite?), e hanno costruito la propria forza sostituendo la presunzione di colpevolezza alla presunzione di innocenza come parametro di giudizio dei fatti penali, sul quale lucrare consenso politico. Ecco allora che Nemesis ha sbroccato: tu, proprio tu, metti su un video per spiegare, urlando sputando e sacramentando, ciò che Dike deve fare di tuo figlio? Proprio tu, il re del vaffanculo, pretendi, sbattendo i pugni, la presunzione di non colpevolezza per il tuo ragazzo? È troppo. Questa è Hybris, ma tanta Hybris, si è certamente detta, tra sé e sé, Nemesis. E con un solo gesto, senza colpo ferire, ha posto fine alla intensa, fortunata ma ora anche breve carriera di leader politico dell’ex comico. Game over. Dite a Grillo, insieme agli auguri sinceri (ma sinceri davvero) che suo figlio possa essere giudicato da giudici ossequienti a quel culto della presunzione di innocenza che lui ha sempre oltraggiato ed irriso, che non c’entrano nulla gli avversari politici, i servizi segreti o la massoneria. È Nemesis, egregio signore. Le sarebbe stato utile conoscerla prima, perché con lei non si scherza.
Gian Domenico Caiazza. Presidente Unione Camere Penali Italiane.
IL “GRILLETTO” di Vito Massimano su L’Opinione delle Libertà il 21 aprile 2021. Le esternazioni di Beppe Grillo in difesa del di lui figlio non ci hanno stupito più di tanto. Ci hanno piuttosto intristito, perché ci hanno mostrato un saltimbanco gonfio, paonazzo, imbolsito, invecchiato e per nulla in grado di dissimulare e dissacrare come sempre accade. Per noi, che non siamo grillini vomitanti bile, il sentimento istintivo e naturale è l’umana comprensione per una vicenda che avrebbe fiaccato qualsiasi genitore. Però, di fronte a un simile ragionamento senza freni, la comprensione non può bastare perché necessita di un supplemento di analisi, cui nemmeno un genitore in difficoltà può e deve sfuggire. Se Beppe Grillo fosse un cittadino qualunque, non dovrebbe né potrebbe permettersi di affermare pubblicamente che i quattro ragazzi accusati di stupro siano degli ingenui intenti a giocare “col pi…lo ciondolante” nel mentre la presunta vittima era palesemente consenziente, tanto da pensarci otto giorni prima di denunciare l’accaduto. Il cittadino comune che avesse argomentato in questo modo avrebbe nel contempo tirato fuori tutto il repertorio machista più becero, offendendo nel contempo la sensibilità di una giovane donna che (otto giorni prima o subito non cambia molto) è salita agli onori della cronaca per essere incappata nella compagnia sbagliata, decidendo di rendere pubblica una violenza capace di segnarla a vita. Se Beppe Grillo fosse stato un anonimo cittadino, avrebbe in poche parole profanato il dolore della presunta vittima insinuando che ella, da consenziente, si sia finta vittima per mero interesse (il solito “se l’è cercata”) assolvendo i quattro ragazzi, rei di essere incappati in una persona perfida mentre volevano solo divertirsi. Peccato però che Beppe Grillo non sia un cittadino comune ma un capo politico che sul giacobinismo forcaiolo, sugli scandali giudiziari e sui soprusi dei potenti che riescono sempre a insabbiare le loro malefatte, ci ha costruito una carriera e un partito. Il fatto di avere cotanto potere, politico e mediatico, rende tutto diverso trasformando lo sfogo di un padre in un manifesto politico o quasi in un atto intimidatorio verso la controparte piuttosto che verso chi deve fare le indagini. Ciò aggravato dal fatto che il capo Pentastar ingenuamente si domandi per quale motivo le indagini, durate due anni, non abbiano portato all’immediato arresto di suo figlio. Il quale, sempre secondo lui, se fosse stato palesemente colpevole, sarebbe sicuramente finito in galera da un pezzo. Questa frase, che per molti nasconde un verdetto bruscamente sbattuto in faccia al giudice a mo’ di pizzino, è invece una domanda che – a voler essere maliziosi – nasconde una sequela di ulteriori interrogativi: ma non è che la presenza di un grillino a via Arenula abbia in qualche modo dilatato i tempi del processo, condizionando psicologicamente le indagini? Ma non è che l’alleanza con il Partito Democratico – alla luce degli intrecci tra politica e giustizia descritti da Luca Palamara – sia stato un modo pubblico per risolvere questioni private? Vuoi vedere che il primo Governo Conte non è caduto a causa delle esternazioni al Papeete? E vuoi vedere che l’improvvisa accelerata sulla notizia derivi dal fatto che il Garante del Movimento sia in qualche modo di ostacolo al nuovo centrosinistra del duo Conte- Zingaretti? Sicuramente quello appena descritto è cospirazionismo da quattro soldi, sicuramente le domande che ci siamo posti sono inutili e sbagliate ma, in tutta sincerità, il dubbio ci è venuto per poi liquidarlo come una sciocchezza fantasiosa qualche secondo più tardi. L’unica certezza che abbiamo invece trova fondamento nella palese disonestà intellettuale di tutti coloro i quali, a vario titolo, vengono annoverati come alleati e sostenitori del Movimento Cinque Stelle. Tutti zitti dopo l’intemerata maschilista di Beppe Grillo, tutti a minimizzare (nella migliore delle ipotesi), a nicchiare se non proprio a tacere. Mute le femministe del Partito Democratico e cespugli dei vari Me too, mute le boldriniane (quelle che di fronte alla differenza tra presidente e presidenta sono pronte a fare le barricate), muti i giustizialisti del Movimento che nelle parole del loro leader non riescono proprio a scorgere un attacco alla magistratura o il fantomatico “conflitto di interessi” tra ruolo pubblico e questioni private, muto Marco Travaglio che su Silvio Berlusconi e Ruby Rubacuori ci ha sguazzato per anni. L’onestà andrà di moda, dicevano quelli del Movimento prima di perdere anche la faccia. Noi quella intellettuale non riusciamo proprio a scorgerla all’orizzonte.
Ciro Grillo, lo psicoanalista: "Denuncia in ritardo? Segno della gravità del trauma". Libero Quotidiano il 25 aprile 2021. Se la denuncia di uno stupro arriva in ritardo, vuol dire che il trauma è molto grave: la pensa così lo psicoanalista Luigi Zoja che, in un’intervista alla Stampa, ha commentato il caso del figlio di Beppe Grillo, il 19enne Ciro, accusato insieme a tre suoi amici di aver violentato una ragazza conosciuta in Sardegna nell’estate del 2019. “Lo spostamento temporale è segno della gravità del trauma che si vorrebbe rimuovere”, ha spiegato l’esperto, che così ha smentito il garante dei pentastellati. In un video choc di qualche giorno fa, infatti, Grillo aveva gettato un’ombra proprio sul fatto che la presunta vittima abbia denunciato diversi giorni dopo la notte incriminata. Parlando delle condizioni in cui si sarebbe trovata la ragazza, poi, Zoja ha spiegato: “Si sarebbe infierito su una persona resa mentalmente fragile, dopo una notte passata in quel modo. Una violenza di fatto”. Nel suo ultimo libro, inoltre, lo psicoanalista ha evidenziato anche il fatto che spesso lo stupro produce silenzio: “Disumanizza la vittima e anche l’aggressore perché distrugge in entrambi la capacità di narrarsi”. Secondo l’esperto, inoltre, in queste situazioni ha un ruolo fondamentale anche la scuola: “Dipende dai buoni o dai cattivi insegnanti. Con i social il loro compito è reso più difficile”. Parlando proprio di social e video, Zoja ha aggiunto: "L'episodio fa parte della degenerazione della cultura sociale. L'orrore e il sadismo di scambiarsi messaggi la dice lunga".
L'intervista a Loredana Rotondo. “Beppe Grillo ricalca le oscenità di "Processo per stupro"”, parla la regista del film cult. Antonio Lamorte su Il Riformista il 21 Aprile 2021. Processo per stupro andava in onda nel 1979 e non è mai passato di moda. Prima cattiva notizia. La seconda è che la Rai non lo rimanda in onda. Fiorella, 18 anni, nel Tribunale di Latina raccontava come fosse stata adescata, sequestrata e violentata per un pomeriggio intero da quattro uomini. Durante il dibattimento però era emersa quella che viene definita vittimizzazione secondaria; la colpevolizzazione della vittima. Se n’è parlato molto anche in questi giorni, a proposito del caso di Ciro Grillo. “Una persona che viene stuprata la mattina, il pomeriggio fa kite-surf e denuncia dopo 8 giorni è strano. E poi c’è un video in cui si vede un gruppo che ride, ragazzi di 19 anni che si divertono e ridono in mutande e saltellano con il pisello, così … sono quattro coglioni, non quattro stupratori”, ha detto il padre Beppe, comico, fondatore e Garante del Movimento 5 Stelle, in un video sui suoi social network. Se Ciro Grillo – con gli altri tre indagati (Edoardo Capitta, Francesco Corsiglia e Vittorio Lauria) per violenza sessuale di gruppo ai danni di una 19enne italo svedese in Costa Smeralda – è colpevole lo stabiliranno i giudici. È innocente fino a sentenza passata in giudicato. Le uscite del padre sul kite surf e sulla “denuncia dopo otto giorni, è strano” resteranno invece anche in caso di assoluzione da ogni accusa, un terremoto sulla politica e sul M5s. Dimostrano anche una certa noncuranza della legge Codice Rosso, approvata dal governo Conte 1, il primo con i grillini dentro, che ha prolungato da sei mesi a un anno lo spazio per le querele in caso di violenza sessuale, maltrattamenti in famiglia, stalking. Gli avvocati difensori di Processo per stupro chiesero dei rapporti orali alla ragazza, interrogarono la madre sulle conoscenze della figlia, paragonarono la violenza al rapporto tra marito e moglie, chiamarono a testimoniare persone che screditarono la vittima. Furono tre milioni i telespettatori che guardarono il film in prima serata il 26 aprile del 1979. Oltre nove milioni quando venne riproposto in seconda serata. Sei registe – Rony Daopulo, Paola De Martis, Annabella Miscuglio, Maria Grazia Belmonti, Anna Carini – tra cui Loredana Rotondo, che riconosce in certi passaggi di Grillo certi toni del suo film pluripremiato e conservato negli archivi del MOMA di New York. “Un atteggiamento maschilista rispetto alla violenza sessuale”, dice a Il Riformista.
Immagino abbia seguito il caso.
Il punto è sempre lo stesso: bisogna accertare il consenso, e questo va accertato in sede di giudizio. E quindi è inutile fare i processi fuori dalle sedi opportune. Se l’operazione dev’essere – come si faceva, e a volte ancora succede, con le donne, a dispetto dell’articolo 3 della Costituzione secondo il quale tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzioni – gettare discredito e non dare fiducia alla vittima, a chi denuncia, e rimandare all’idea delle portatrici della colpa; se questo è il pregiudizio c’è poco spazio per fare emergere la verità dei fatti. Non c’entra com’erano vestiti e se volevano divertirsi. Il giudice deve accertare se c’era consenso. Punto.
Che cosa insegna tutto ciò?
La questione non fa che reiterare un atteggiamento maschilista rispetto alla violenza sessuale. Problema centrale nella nostra cultura. Gli argomenti degli avvocati di Processo per stupro non erano lontani dal video di Beppe Grillo. Il metoo è riuscito in qualche modo a incidere negli Stati Uniti, ma dopo tanti anni siamo ancora molto arretrati. Vorrei risponderle con una citazione.
Dica pure.
Parto da un libro, La mia parola contro la sua – Quando il pregiudizio è più importante del giudizio (Harper&Collins), scritto dalla magistrata Paola Di Nicola, che pone la questione della credibilità delle parole di una donna che denuncia una violenza sessuale. I pregiudizi sono invisibili e molte donne non riescono tutt’ora, nonostante ci sia più attenzione e più ascolto da parte delle donne, e da parte di molti uomini – anche se vorrei fossero di più – a denunciare. Vorrei che finalmente cambiasse qualcosa, una svolta storica.
Da una proiezione di “Processo per stupro”
Cos’è cambiato invece da quando andò in onda il film nel 1979?
Certi processi procedono a macchia di leopardo, e poi ci sono dei momenti in cui si fanno dei passi in avanti molto significativi. Oggi c’è maggiore consapevolezza, autorità e indipendenza da parte delle donne. Sono cambiate, e anche tanto, le donne. Sono diverse da quelle di Processo per stupro, dalle madri del film per esempio. E io sono molto fiduciosa. Resta però una resistenza, superata dalla società, dalla nostra vita di tutti i giorni, una sacca che non è tanto diversa rispetto ad allora se ancora ne parliamo.
Processo per stupro è un documento storico, un punto di riferimento. E all’uscita fu un evento, un successo enorme.
Da un sondaggio emerse che gli spettatori lo avevano giudicato molto interessante. E dissero anche perché: perché era nuovo, originale certo, ma anche interessante sul piano etico. Aveva colpito maschi e femmine nello stesso modo. Era un programma diverso, differente.
Come nacque?
Eravamo sei autrici. Da un po’ nei convegni delle avvocatesse, delle magistrate, si denunciava come in questi casi, nei tribunali, da vittime si diventasse colpevoli. Il Convegno Internazionale sulla Violenza contro le donne alla Casa delle donne a Roma, nel 1978, organizzato dal movimento femminista, fu fondamentale. Ma come succede, ma perché, come mai? Questo chiedevamo e ci chiedevamo. E quindi il passo successivo: “Ok, voi lo dite, ma noi vogliamo rappresentarlo”. Chiedemmo allora al presidente del tribunale di Latina di poter riprendere un processo. La novità era che erano delle donne a parlare di questo. La realtà veniva guardata e rappresentata anche dalle donne; che poi è la grande realtà del secolo scorso: finalmente le donne studiavano, parlavano, descrivevano, dicevano la loro, facevano politica. La Rai però non vuole saperne di ripescarlo.
Come mai?
Non saprei. Si dovrebbe indagare. Gian Antonio Stella del Corriere della Sera se lo chiese qualche anno fa, a 40 anni dalla messa in onda. Processo allo stupro ha giocato un larghissimo ruolo sociale, e potrebbe essere davvero funzionale alla Giornata Internazionale della donna dell’8 marzo o alla Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne del 25 novembre. Ormai sono delle feste e invece servono a ribadire che certi aspetti delle nostre vite non sono ancora così chiari e nemmeno giusti, equi. Quel film ha viaggiato in parrocchie, oratori, circoli. Ne ha fatti di chilometri e ha contribuito dopo 17 anni, nel 1996, a far approvare la legge contro la violenza sessuale (legge n. 66, Norme contro la violenza sessuale, identificata come delitto contro la persona, ndr).
Stella ha scritto che gli avvocati in vita e i familiari di quelli morti abbiano preteso l’oblio del film per via delle loro arringhe machiste. Si possono recuperare spezzoni su Youtube. Solo uno stralcio su Raiplay con l’arringa della difenditrice di parte civile Tina Lagostena Bassi.
La regia di quest’ultimo non è neanche la nostra, ed è strano. È una cosa che non ha senso. A bloccare il film pare ci sia non si capisce bene quale e che forma di diritto all’oblio. Non c’è la possibilità, e basta. Mi hanno riferito che un consigliere di amministrazione della Rai, interrogato sul caso, abbia osservato: ‘Perché devo occuparmene io, perché non se ne occupano le donne?’
Questo suona ancora più grave.
Non so cosa dirle.
Antonio Lamorte. Giornalista professionista. Ha frequentato studiato e si è laureato in lingue. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Ha collaborato con l’agenzia di stampa AdnKronos. Ha scritto di sport, cultura, spettacoli.
Da uomo non ho niente da ridere sullo stupro. Lorenzo Di Palma su Notizie.it il 20/04/2021. Il metodo dello Zoo di 105 è sempre lo stesso: si solleva un polverone e, se qualcuno non apprezza o si offende, si gira tutto in caciara o ci si barrica dietro la libertà di parola o di satira. Ci risiamo, l’hanno fatto di nuovo. Parlarne è un po’ fare il loro gioco, ma a volte si deve. Lo Zoo di 105 ha fatto ancora parlare di sé, grazie a una storiella di cattivo gusto su qualcuno che non si accorge di aver stuprato una ragazza, fino a quando non glielo fanno notare. Capirai le risate. Il tutto condito da grasse sganasciate e da giustificazioni tipo: “Siamo uomini, ci sta avere degli scheletri nell’armadio”. D’altronde il metodo è rozzo, ma efficace, visto il seguito della trasmissione, ed è comune a tutti gli auto-nominatesi “provocatori”: si solleva un polverone e se qualcuno non apprezza o peggio si offende, si gira tutto in caciara o, al limite, ci si barrica dietro concetti di ben altra dignità, come la libertà di parola o di satira. Ma qui nessuno chiede di non fare satira su tutto, anche sugli stupri se è il caso. Ma bisogna esserne capaci, solo pochi lo sono davvero. Lo stupro è una violenza che lascia tracce profonde nel corpo e nell’anima di chi lo subisce e capisco che tante ragazze che hanno subito violenza si siano sentite di nuovo colpite nel profondo. Da uomo, anche a me la storiella dello Zoo non fa affatto ridere. Non mi stupisce che si parli dell’ennesima espressione della “cultura dello stupro”, la stessa che autorizza Grillo a inveire, senza contradditorio come sempre, contro i giudici e soprattutto contro due presunte (c’è un processo in corso) vittime, poco credibili, secondo lui, solo perché la denuncia è arrivata dopo nove giorni. La stessa “cultura” che colpevolizza chi denuncia uno stupro. Si chiama “vittimizzazione secondaria”. Secondaria nel senso che è, in teoria e in pratica, una seconda aggressione, che le rende di nuovo tutte vittime. Chi ascolta questi programmi, chi li scrive conduce e produce, le radio che li trasmettono e le aziende che ne comprano la pubblicità, vogliono davvero questo?
Lorenzo Di Palma. Lorenzo Di Palma, nato a Napoli nel ‘68, laureato in Scienze Politiche, è giornalista professionista da oltre 20 anni. È stato freelance, “abusivo” e dipendente. Pubblicista e professionista. Collaboratore e caporedattore. In mensili, settimanali, quotidiani e siti web. Per pubblicazioni specializzate e generaliste. Per l’editore più grande d’Italia e per service piccolissimi. Si è occupato di cronaca, tecnologia, Tv, lifestyle, spettacoli, cultura, economia, motori, sanità, design, arte, pubblica amministrazione e dirige una rivista dedicata alla “Cultura del Colore”. Tifa sempre per il Napoli, ma vive e lavora a Milano perché gli piace “il clima, la gente…”
Beppe Grillo, Pietro Senaldi sfida il Pd: "Ora blocchino la legge liberticida che abolisce la prescrizione". Libero Quotidiano il 21 aprile 2021. Il direttore di Libero Pietro Senaldi sul video di Beppe Grillo in difesa del figlio Ciro : “È partita la caccia grossa a Beppe Grillo: ma come è sgarbato, ma quanto strilla, non ha rispetto delle istituzioni, non ha rispetto delle donne… e in questo non ci sono discriminazioni perché in generale il fondatore del Movimento 5 Stelle non rispetta tutto il genere umano. Il video in cui ha difeso il figlio gli ha portato più danni che benefici: molto probabilmente la gente ha pensato, "Con un padre così invasato, povero ragazzo". Quello che fa specie è il Pd, che ha l'atteggiamento della verginella, sembra che abbia scoperto oggi che il comico è un maleducato, eppure ha fondato un partito fondato sul Vaffa. Anziché fare critiche sul galateo, bisognerebbe attaccarlo sui fatti: Grillo ha lamentato che il figlio è tenuto in ballo dalla magistratura da due anni. C'è una legge grillina in parlamento che abolisce la prescrizione: adesso che Grillo, a sue spese, ha scoperto che non è piacevole essere ostaggio dei magistrati a lungo, perché il Pd non lo sfida a ritirare questa legge liberticida? Molto semplice, il Pd chiacchiera ma nei fatti non è affatto diverso da Grillo ".
L’accordo Pd-M5S dopo il video dell’Elevato. Come può il Sarracino allearsi con un tipo come Grillo? Ciriaco M. Viggiano su Il Riformista il 21 Aprile 2021. Il video in cui Beppe Grillo difende il figlio Ciro, accusato di stupro insieme con tre amici, ha fatto il giro del web e catalizzato l’attenzione degli organi di informazione. Il contenuto delle parole dell’Elevato, così come il comico genovese si fa chiamare dagli iscritti al Movimento 5 Stelle, è di una gravità inaudita. È disgustoso l’esercizio di garantismo a favore del figlio da parte di chi ha fatto del giustizialismo la cifra del proprio impegno politico. È inaccettabile che uno stupro, al momento soltanto presunto, venga derubricato a bravata. Ed è intollerabile che la ragazza vittima di una violenza sessuale – allo stato attuale solo presunta, è il caso di ribadirlo – venga infangata sottolineando il fatto che abbia presentato la denuncia otto giorni dopo i fatti finiti al vaglio della Procura di Tempio Pausania. Le esternazioni di Grillo mettono in imbarazzo innanzitutto per il M5S, già devastato da liti sulla piattaforma Rousseau, scissioni, mancanza di una direzione e dalla leadership dell’ex premier Giuseppe Conte che stenta a decollare. Soprattutto, però, sono dinamite per chi col M5S vuole strutturare un’alleanza organica in vista delle prossime amministrative, cioè per il Partito democratico. In un’intervista a Repubblica, l’ex ministro e attuale membro della segreteria nazionale dem è stato chiaro: «Uniremo il centrosinistra ovunque e, dove possibile, faremo l’alleanza col M5S in tutti i 1.304 Comuni al voto». Il che vuol dire che il Pd, se non condivide, è almeno disposto a “chiudere un occhio” sul garantismo a corrente alternata e sul becero maschilismo espressi da Grillo. Le parole di quest’ultimo, però, sono addirittura una bomba atomica per chi non solo è pronto ad allearsi col M5S in vista delle comunali, ma è persino disposto a farlo senza passare per le primarie e accettando l’idea che il candidato sindaco possa essere un grillino (quindi, almeno sulla carta, un esponente politico che condivide la sottocultura rappresentata dall’Elevato). Il riferimento, ovviamente, è al Pd napoletano. Il segretario metropolitano Marco Sarracino, dopo aver ipotizzato la candidatura a sindaco del pentastellato Roberto Fico, ha definito «superata» l’ipotesi delle primarie di coalizione avanzata dal leader nazionale Enrico Letta e ha poi ribadito la necessità di un candidato unitario che sia sostenuto da dem, grillini e altre forze del centrosinistra. A Sarracino e a tutti i napoletani iscritti al Pd non sfuggirà il significato di una simile scelta: condividere il candidato sindaco col M5S vuol dire accettare il complesso dei (dis)valori che Grillo ha esternato in modo tanto volgare e violento. E farlo senza primarie equivale a negare al proprio elettorato la possibilità di esprimersi su tutto ciò che significa, al giorno d’oggi, essere grillini. Il Pd napoletano – lo stesso che ha abbandonato Antonio Bassolino ai tempi dei processi sui rifiuti e ora l’ha relegato tra i “vecchi arnesi” della politica – è garantista oppure, come si usava ai tempi della Prima Repubblica e come Grillo ha fatto in video, vuole che la legge sia applicata per i “nemici” e interpretata per gli “amici”? I dem partenopei avallano la cultura della violenza verbale e del linciaggio alla quale molti pentastellati si sono associati nel momento in cui hanno espresso solidarietà al loro leader? Sarebbe il caso che qualche autorevole esponente del Pd partenopeo sciogliesse questi nodi: in gioco non c’è solo la credibilità del partito, ma il futuro stesso di Napoli.
Ciriaco M. Viggiano. Classe 1987, giornalista professionista, ha cominciato a collaborare con diverse testate giornalistiche quando ancora era iscritto alla facoltà di Giurisprudenza dell'università Federico II di Napoli dove si è successivamente laureato. Per undici anni corrispondente del Mattino dalla penisola sorrentina, ha lavorato anche come addetto stampa e social media manager prima di cominciare, nel 2019, la sua esperienza al Riformista.
L'inchiesta sul figlio di Grillo. Ma come fa il Pd ad allearsi con chi giustifica uno stupro? Angela Azzaro su Il Riformista il 21 Aprile 2021. Dopo una giornata di silenzio finalmente in serata, tirato per la giacchetta, Giuseppe Conte è intervenuto sul video di Beppe Grillo. Ha provato a far finta di nulla. Poi davanti alle critiche che gli piombavano addosso ha dovuto prendere posizione, ma lo ha fatto salvando capre e cavoli. Un colpo a favore di Grillo («conosco bene la sua sensibilità su temi così delicati. Sono ben consapevole di quanto questa vicenda famigliare lo abbia provato e sconvolto») e un colpo a favore della giovane donna che ha denunciato il figlio di Grillo («ma in questa vicenda ci sono anche altre persone che vanno protette e i cui sentimenti vanno assolutamente rispettati»). Frasi che risultano come una critica molto debole nei confronti del garante dei Cinque Stelle che nel video dell’altro ieri aveva di fatto giustificato lo stupro e messo alla gogna la presunta vittima. Frasi che non dovrebbero bastare a rilanciare il rapporto con il Pd: come fa infatti Letta a pensare di allearsi con una forza politica violenta e ambigua nei confronti dei diritti delle donne? Ripetiamolo allo sfinimento. Non sappiamo se il figlio di Grillo, Ciro, e i tre ragazzi che erano con lui abbiano o meno usato violenza contro la ragazza che li ha denunciati. La procura di Tempio Pausania, a conclusione delle indagini, deciderà (pare sia questione di giorni) se chiedere l’archiviazione o il rinvio a giudizio. Poi eventualmente ci sarà un processo che stabilirà come sono andati i fatti. Ma le parole di Grillo sono inaccettabili e vanno deprecate con toni ben più duri di quelli usati da Conte. Dicono che la ragazza che ha denunciato non è credibile perché un video lo dimostra e perché subito dopo i fatti non ha denunciato. Il video proverebbe che tutti si stanno divertendo, hanno il pisello di fuori e sono ragazzi. Cioè hanno fatto una bravata. A Grillo non interessa che cosa abbia provato la ragazza coinvolta, né si interroga sul fatto che anche il video è di per sé una forma di violenza. Quanto al ritardo di otto giorni, bisogna ricordare al capo dei grillini che, proprio anche grazie ai Cinque stelle, il tempo per sporgere querela è di un anno. E che se le donne ci mettono tanto tempo è spesso perché hanno paura, perché temono di finire loro sotto processo. Timore confermato dalle parole del garante Cinque stelle che di fatto mette alla gogna la ragazza. Perché questo Conte non lo ha sottolineato? Perché non ha detto: no caro Grillo, così non si fa!? Così non si dice!? Ieri abbiamo scritto che questo episodio ci riporta indietro di tanti, troppi anni. Quando in Italia i processi per stupro finivano per mettere sotto accusa le donne che denunciavano. Pensavamo di non dover sentire più certe accuse, certi ragionamenti maschilisti. E invece ritornano per bocca di un leader politico che alle ultime elezioni ha raggiunto oltre il 30 per cento dei consensi. Le sue parole e la debole condanna di Conte non possono essere giustificati dal Pd, un partito che proprio sulla libertà e il rispetto dei diritti delle donne ha costruito il suo profilo politico. Non è una questione secondaria su cui si può passare sopra, è un cardine di civiltà che non può mai e poi mai essere travalicato. In questi anni, con Il Riformista abbiamo fortemente criticato i Cinque stelle perché hanno rappresentato un vulnus democratico e dello Stato di diritto, ma forse ingenuamente pensavamo che su alcuni temi non sarebbero mai tornati indietro. Invece l’altro ieri l’amara sorpresa. Non perché Grillo abbia difeso il figlio, ma per le parole che ha usato, per il tono con cui lo ha fatto. Se pensa che denunciare qualcuno per violenza sessuale sia una passeggiata, vuol dire che non ha capito neanche l’abc. E in quell’abc c’è il livello di civiltà di un Paese.
Angela Azzaro. Vicedirettrice del Riformista, femminista, critica cinematografica.
L'amore nostrano per il populismo. Beppe Grillo e il video a difesa del figlio Ciro, come ha fatto l’Italia a credere a questo personaggio. Paolo Guzzanti su Il Riformista il 21 Aprile 2021. Il video di Beppe Grillo fuori controllo e fuori decoro è tale da porre un problema che non riguarda lui, ma noi italiani. Che cosa è successo in questo Paese, per cui un tale evento – il video – possa essere considerato un evento politico di cui si parla nei telegiornali, possa essere considerato posizione politica? Sono, siamo, impazziti? Senza risalire ad Adamo ed Eva, a De Gasperi e Togliatti e Nenni e Berlinguer e anche Almirante, Andreotti e Moro e Craxi, la domanda resta incombente come un meteorite. La domanda non riguarda Grillo, suo figlio, i quattro adolescenti sotto accusa. E possiamo solo avere curiosità antropologica per un poveretto che perde il controllo, se mai ne ha avuto, dei propri nervi e urlando che il suo pargolo insieme agli amichetti smutandati stava facendo solo un po’ di trombate in famiglia, che volete che sia, e poi lei ci stava, si vedeva, non ha neanche avuto il fegato di denunciare subito come devono fare le brave ragazze che non aspettano giorni e magari settimane per correre al commissariato accompagnate dalla mamma, perché se non voleva giocare allo schiaffo del soldato o ai quattro cantoni con gli smutandati nella camera da letto della casa al mare dopo aver bevuto, si sarebbe dovuta comportare in un altro modo. Inutile cercare e sprecare aggettivi: il fatto e il video sono quello che sono. Ma perché una tale porcheria diventa un fatto politico? Che cosa ci è successo? È successo che quell’uomo, sia da avanspettacolo che da retroscena, ha ottenuto la certificazione che lo ha reso leader. Il leader – o duca, o duce, führer, capatàz, grande timoniere, piccolo timoniere, giocoliere, marziano con casco spaziale, conducator – è uno che precede e indica la via, la rotta, la direzione e il verso. Il contrario di un follower, che se ne sta indietro cercando di adeguarsi agli umori collettivi. Come è potuto accadere? Un giorno la scienza forse risponderà. Ma intanto questo coso che suggerisce banalità, mancanza del senso del pudore e del rispetto per l’altrui persona, lasciamo stare per le donne, è diventato un soggetto politico, un faro, o almeno un led, dietro al quale si spintonano politici, conduttori e conduttrici, politologi, commentatori indignati sì, ma con misura, mentre il paese intero, nella sua melmosa totalità, realmente discute di quelle parole, di quel volto, di quegli occhi iniettati di paura, odio, angoscia tribale da sacrificio umano di un poverello che propone uno scambio: prendete me, imprigionate me ma liberate il mio povero ragazzo con il pisello di fuori per allegria. Perché l’intero movimento politico che dice di essere un movimento politico non lo espelle? Non lo caccia? Non lo rinnega e mette al bando? Perché una tale scaturigine di imbarazzo e di offesa per le donne è tuttora considerato un capo politico che sale e scende i gradini del Parlamento, di Palazzo Chigi, del Quirinale, con o senza scafandro? Ma, più che altro, come diavolo fa il Pd a parlare seriamente, anche per bocca di Enrico Letta che è una persona istruita, a considerare una scaturigine di tali miserie come un compagno di strada, un alleato, un partner? Grillo abita una allegra magione in cui gli adolescenti circondano le ragazze col pisello di fuori, ma il partito della sinistra riformista erede sia del Pci che della Dc, dove abita? Su quale pianeta? E quale cura contro il rossore gli ha prescritto il dermatologo?
Paolo Guzzanti. Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.
L'inchiesta sul figlio Ciro. Grillo e la moglie nel panico, sono stati intercettati? “Hanno commesso un suicidio mediatico”. Aldo Torchiaro su Il Riformista il 21 Aprile 2021. Beppe Grillo è stato intercettato, è rientrato collateralmente nei brogliacci con cui la magistratura ha tenuto sotto osservazione il telefono di sua moglie, Parvin Tadjik? L’ipotesi è verosimile, posto che l’utenza privata della signora Tadjik-Grillo risulta attenzionata dalle indagini della Procura di Tempio Pausania che indaga sulla presunta violenza sessuale a carico di Ciro Grillo e dei suoi tre amici. Il reato si sarebbe consumato a casa di Beppe Grillo a Porto Cervo nel luglio del 2019 e da allora la Procura, che ha sempre mantenuto un atteggiamento dubitativo sulla posizione di Ciro e dei suoi sodali, avrebbe posto sotto intercettazione – come rivela AdnKronos – anche sua madre. La donna ha sempre dichiarato agli inquirenti di non aver sentito nulla quella notte: dormiva nell’appartamento contiguo, non ha notato niente di strano. Nel fascicolo dell’inchiesta, oltre alle testimonianze, risultano inserite anche alcune intercettazioni e le immagini ritrovate nei telefonini. Ieri la giornata di Grillo e di sua moglie è stata movimentata ancor più dall’improvvida sortita con cui Parvin Tadjik-Grillo ha preso di petto Maria Elena Boschi. Sulla signora si sono accesi i riflettori che forse il loro avvocato avrebbe consigliato di tenere spenti. «Sono nel panico, Beppe Grillo e sua moglie», dice al Riformista uno che li conosce bene, l’ex socio di Casaleggio, Marco Canestrari. «Solo con un attacco di panico si può giustificare una uscita così suicida da parte di entrambi. Sanno qualcosa che non sappiamo, anche a proposito dell’indagine», continua Canestrari. «Mi sembra che Grillo abbia un disperato bisogno di protezione, ecco perché si è affrettato a formare un governo con il Pd e poi a sostenere Draghi. Ha l’esigenza di tenersi al coperto, dentro l’area di governo». Se Parvin Tadjik è stata tenuta sotto osservazione, è verosimile e credibile che Beppe Grillo, anche solo per il fatto di averla chiamata frequentemente, in quei giorni in cui non era presente in Sardegna, sia finito a strascico nella rete delle telefonate intercettate. E sarebbe interessante, avendone conferma, capire per quanto tempo c’è rimasto. «È probabile, Grillo non gode di alcuna immunità, possono aver sentito le conversazioni tra i due. E la reazione inconsulta si può leggere con questa luce», aggiunge Canestrari. Come se Grillo, temendo di essere stato intercettato, rivelasse un suo tallone d’Achille particolare. «Perché Grillo quando parla al telefono non è la stessa persona di quando parla in pubblico», chiosa l’ex socio di Casaleggio, che con Grillo e la moglie è stato anche in vacanza – «Ma nella casa che hanno in Toscana, non in Sardegna», precisa. Il Grillo pubblico e il Grillo privato, i segreti inconfessabili dei festini alcolici, il timore di essere finito all’orecchio di un grande Fratello giudiziario: una nemesi incredibile per il profeta dello Stato etico, il Savonarola che ha costruito una fortuna sulle prediche contro i “politici immorali”. Il Procuratore Capo di Tempio Pausania, dottor Gregorio Capasso e la pm Laura Bassani hanno interrogato Ciro nei giorni scorsi e devono ora decidere per il rinvio a giudizio. Ed ecco Grillo entrare a gamba tesa, far pesare la sua leadership sul primo partito in Parlamento e riscuotere dalla Rai – ancora appesa ad un filo con Salini e Foa – un trattamento di favore. «Il Tg1 ha censurato Giulia Bongiorno, avvocato della ragazza che ha denunciato il presunto stupro nella villa di Grillo, mentre ha dato spazio alla moglie del comico che difende il figlio accusato. Al Tg1 delle 13.30 nessuno spazio alla dichiarazione della Bongiorno (“Porteremo il video di Grillo in Procura”), mentre ha avuto ampio spazio il commento di Parvin Tadjik su Facebook», fa notare sommessamente il deputato di Italia Viva e segretario della commissione di Vigilanza Rai, Michele Anzaldi. Sulla pagina Facebook della signora notiamo una intensa attività, non proprio impegnata sui temi del Movimento: resort in Kenya, grand hotel a Londra, vacanze in barca a Formentera, i post che si leggono non parlano d’altro. Ci sono frequenti gallerie fotografiche – anche con foto esplicite – con un diario delle vacanze dal 2015 a oggi, ma non ci sono post nel luglio del 2019. Quando qualcosa a Porto Cervo è successo. E la politica non sta a guardare. L’imbarazzo in casa 5 stelle è palpabile. Tentano di “mettere al riparo” il Movimento dalle polemiche verso quella che è solo una “vicenda personale” sulla quale si pronuncerà la magistratura, afferma il capogruppo Davide Crippa. Dice la sua anche l’avvocato Giuseppe Conte: «Con il Movimento 5 Stelle mi accomunano da sempre queste due convinzioni: di ritenere indiscutibile il principio dell’autonomia della magistratura e di considerare fondamentale la lotta contro la violenza sulle donne, una battaglia che abbiamo sempre combattuto in prima linea». Una enunciazione di principi che non accontenta Marcucci: «Troppo poco, prenda le distanze da Grillo», lo esorta il senatore Dem. Dopo che la signora Tadjik-Grillo si avventura a propugnare l’esistenza di un video da cui si evincerebbe la natura amichevole della serata, le risponde la capogruppo Iv, Boschi: «Io non faccio il processo sui social, gentile signora. Le sentenze le decidono i magistrati, non i tweet delle mamme. Questo modo di concepire la giustizia, giocandola sui social e non nelle aule di tribunale, è aberrante», scandisce Boschi. Ancor più duro Matteo Renzi: «Beppe Grillo ha fatto un video scandaloso: il dolore di un padre non giustifica l’aggressione verbale a una ragazza che denuncia violenza. Invece che aspettare il processo, il pregiudicato che ha fondato il partito dell’onestà prova a salvare la sua famiglia dopo aver distrutto le famiglie degli altri – aggiunge il leader di Italia viva – Quanta ipocrisia nella doppia morale di chi crea un clima d’odio e poi se ne lamenta». Giulia Bongiorno, parlamentare della Lega e avvocato, annuncia in tv che porterà il video di Beppe Grillo in tribunale quale documento a sostegno dell’accusa. E da Forza Italia, Andrea Ruggeri chiama in causa l’Anm: «Ieri Grillo oggi sua moglie, attaccano la magistratura di Tempio Pausania, alla vigilia di una decisione delicatissima, e ignorando il tatto che si dovrebbe a una donna presunta vittima di stupro di gruppo. Ma dov’è la Anm, finora in silenzio di fronte a queste aggressioni, e invece sempre solerte a stracciarsi le vesti gridando all’eversione e a difendere, a prescindere e per molto meno, magistrati verso cui si è in passato anche solo alzato il sopracciglio?»
Aldo Torchiaro. Romano e romanista, sociolinguista, ricercatore, è giornalista dal 2005 e collabora con il Riformista per la politica, la giustizia, le interviste e le inchieste.
Ciro Grillo indagato per stupro, le carte: "Ragazza costretta a bere e avere rapporti, "no, sesso di gruppo consenziente". Libero Quotidiano il 17 aprile 2021. "Violenza sessuale", "no, sesso consenziente". Ciro Grillo, figlio di Beppe, il comico e fondatore del M5s, è indagato assieme ad altri tre amici della "Genova bene" per aver "costretto ad avere rapporti sessuali in camera da letto e nel box del bagno", e costretto "a bere mezza bottiglia di vodka", una studentessa italo-svedese, S.J., di 19 anni, nella notte tra il 15 e il 16 luglio del 2019, nella villa in Costa Smeralda di proprietà di Grillo. L'Adnkronos ha pubblicato l'atto di accusa della Procura di Tempio Pausania (Sassari) a carico dei quattro ragazzi. Come si legge nelle carte della Procura "il residence è stato individuato grazie a un selfie scattato" dalla giovane ragazza ed "è riconducibile a Beppe Grillo". "Non c'è stata violenza sessuale, ma sesso consenziente" ha ripetuto più volte Ciro Grillo, davanti al Procuratore capo di Tempio Pausania, Gregorio Capasso, durante l'interrogatorio che si è tenuto in gran segreto giovedì sera 15 aprile. Nel novembre scorso il magistrato ha chiuso le indagini e ha messo gli atti a disposizione della difesa. Nei giorni scorsi sono stati ascoltati gli altri tre indagati dell'indagine, tenuta top secret. Giovedì sera è toccato, invece, al giovane Ciro Grillo. Intanto, il termine sta per scadere e la Procura sta decidendo in queste ore se chiedere il rinvio a giudizio per Grillo junior e i suoi tre amici. La Procura sarebbe orientata a chiedere il processo per i quattro ragazzi perché secondo i magistrati non si trattò di "sesso consenziente" ma di "violenza sessuale di gruppo". L'inchiesta è a carico di Ciro Grillo, Edoardo Capitta, Francesco Corsiglia e Vittorio Lauria. I quattro, nel luglio del 2019, erano in vacanza in Costa Smeralda. La notte del 16, come poi ha raccontato una ragazza di 19 anni, si sarebbero resi responsabili di stupro di gruppo. A loro carico ci sarebbero anche alcune fotografie che i consulenti della Procura hanno trovato sui cellulari e qualche intercettazione. La ragazza, che è difesa dall'avvocato Giulia Bongiorno, è stata più volte dagli inquirenti e ha raccontato, fin nei minimi particolari, quanto sarebbe accaduto in quella notte. I magistrati in quasi due anni di indagini hanno anche messo sotto controllo i telefoni non solo dei ragazzi ma anche di Parvin Tadjik, madre di Ciro Grillo e moglie del comico. La donna, sentita dai pm, ha sempre raccontato che quella sera dormiva nell'appartamento accanto a quello in cui si sarebbe consumata la violenza, dicendo di non essersi accorta di niente. Il procuratore Capasso e la sostituta Laura Bassani, hanno inserito nel fascicolo le immagini ritrovate nei telefoni che, secondo l'accusa, mostrerebbero gli abusi anche ai danni della seconda ragazza che dormiva. E adesso, a giorni, è atteso il deposito della richiesta di rinvio a giudizio negli uffici del gup del piccolo Tribunale di Tempio Pausania, guidato dal magistrato napoletano Giuseppe Magliulo. Secondo quanto ricostruito dagli investigatori, quella notte Ciro Grillo e i suoi tre amici avevano trascorso la serata al Billionaire. Poi, quasi all'alba, lasciarono il locale con due giovani studentesse milanesi. Le ragazze avevano seguito i quattro giovani nella villa di Beppe Grillo in Costa Smeralda. Solo che su quello che è accaduto dopo ci sono diverse versioni. La ragazza ha raccontato di essere stata stuprata, dopo che l'amica si era addormentata, di essere stata costretta a un rapporto sessuale con uno dei ragazzi e poi di essere stata stuprata anche dagli altri tre. Ma la versione fornita dai giovani rampolli è del tutto diversa. Hanno raccontato che il rapporto di gruppo con la giovane c'era stato ma che era stato "consenziente". Tanto che nei giorni seguenti ci sarebbero stati scambi di messaggi con i ragazzi. La denuncia è avvenuta solo successivamente, quando la ragazza era tornata a casa a Milano. Ora spetta alla Procura decidere se chiedere o meno il rinvio a giudizio.
La ricostruzione. Il caso di Ciro Grillo: l’accusa di stupro di gruppo, il video di Beppe, la bufera politica. Antonio Lamorte su Il Riformista il 20 Aprile 2021. Il video pubblicato da Beppe Grillo sui social network ha fatto letteralmente esplodere il caso del figlio Ciro Grillo. Se n’era scritto poco, in due anni, dell’accusa di violenza sessuale di gruppo ai danni del figlio 20enne del comico e fondatore e Garante del Movimento 5 Stelle. Un vero e proprio cortocircuito, politico e giudiziario. Un testa-coda sul garantismo, il colpevolismo, il maschilismo, la parità e la violenza di genere. Due le cose certe finora: Ciro Grillo, e con lui i suoi quattro amici, è innocente fino a sentenza passata in giudicato; gli inquirenti dovranno decidere a breve per l’archiviazione o per il rinvio a giudizio dei quattro indagati. Secondo media e indiscrezioni sembrerebbe propendere più per la seconda opzione. 17 luglio 2019, Costa Smeralda. Ciro Grillo passa la serata al Billionaire di Flavio Briatore con gli amici Edoardo Capitta, Francesco Corsiglia e Vittorio Lauria. I quattro conoscono due ragazze, S. J. ed R. M. e le invitano a casa a mangiare qualcosa, raccontano le ragazze. La casa è quella del garante del Movimento 5 Stelle a Porto Cervo. Gli atti depositati dalla Procura di Tempio Pausania riportano come i ragazzi avrebbero “afferrato per i capelli la ragazza, l’hanno ubriacata costringendola a bere mezzo litro di vodka e l’hanno violentata a turno”. La lucidità della ragazza, secondo i pm, sarebbe stata “enormemente compromessa” e quindi i presunti aggressori avrebbero “approfittato delle condizioni di inferiorità psicologica e fisica”. Nell’appartamento di fianco dormiva Parvin Tadjik. La vittima del presunto stupro ha 19 anni, studentessa, italo-svedese. Avrebbe perso conoscenza fino alle 15:00 del giorno dopo, quando è tornata a Palau. “Il pomeriggio fa kite-surf”, ha detto Beppe Grillo. Per qualche giorno è rimasta in Sardegna. Denuncia la violenza sessuale di gruppo dopo essere tornata a Milano, otto giorni dopo, e dopo essersi confidata con la madre. Prima di andare dai carabinieri si sottopone a una visita medica. La Procura di Tempio Pausania (Sassari) sarebbe orientata a chiedere il rinvio a giudizio per i quattro indagati. I quattro hanno ribadito che il rapporto è stato consenziente. La Procura comunque ha centellinato le notizie sul caso, dopo quasi due anni dall’episodio denunciato. Non abbastanza, evidentemente, per Beppe Grillo, che ieri pomeriggio in un video sui suoi canali social ha accusato i giornalisti di dipingere il figlio come uno stupratore e ne ha fatta una questione politica. “Mio figlio è su tutti i giornali come stupratore seriale insieme ad altri 3 ragazzi. Io voglio chiedere perché un gruppo di stupratori seriali non sono stati arrestati, la legge dice che vanno presi e messi in galera e interrogati. Sono liberi da due anni, perché non li avete arrestati? Perché vi siete resi conto che non è vero niente, una persona che viene stuprata la mattina, il pomeriggio fa kite-surf e denuncia dopo 8 giorni è strano. E poi c’è un video in cui si vede un gruppo che ride, ragazzi di 19 anni che si divertono e ridono in mutande e saltellano con il pisello, così …” perché “sono quattro coglioni, non quattro stupratori”. Secondo la difesa dei quattro, scrive AndKronos, dopo il primo rapporto, la ragazza e uno dei ragazzi sarebbero usciti a comprare le sigarette. E nei giorni successivi ci sarebbero stati altri messaggi definiti “amichevoli” con i quattro. Altra debolezza secondo i legali: le foto che la 19enne ha pubblicato sui social network nei giorni successivi alla presunta violenza sessuale. Il video, che sarebbe uno dei punti cruciali dell’inchiesta, è stato acquisito dalla Procura. Ci sarebbero anche delle foto. I legali dei ragazzi hanno dichiarato: “S. J. era consenziente”. Gli inquirenti sarebbero invece più convinti del racconto della studentessa. “Cercare di trascinare la vittima sul banco degli imputati, sminuire e ridicolizzare il dolore, la disperazione e l’angoscia della vittima e dei suoi cari sono strategie misere e già viste”, la dichiarazione dei genitori di S. J. tramite l’avvocata Giulia Bongiorno, senatrice della Lega. “Questo video io lo porterò in Procura perché reputo che sia una prova a carico – ha detto Bongiorno a L’Aria Che tira su La7 – è una prova perché documenta una mentalità, la mentalità del ‘non succede niente’, ‘sono cose che si possono fare’: si chiama eufemizzazione, prendere delle cose importanti e ridurle in briciole. Ed è il metodo spesso usato dagli uomini per giustificarsi quando sono imputati”. Stupore e indignazione dopo il video dai toni violenti di Beppe Grillo. A far discutere è soprattutto quel passaggio su “il pomeriggio fa kitesurf e denuncia dopo 8 giorno, è strano”. L’articolo 609 bis del codice penale sulla violenza sessuale stabilisce che è punibile a querela irrevocabile della persona offesa, che ha un anno di tempo. L’arresto, poi, è obbligatorio in flagranza di reato. La detenzione va dai 6 ai 12 anni, se la violenza sessuale è di gruppo dagli 8 ai 14 anni. Tra le aggravanti, l’uso di sostanze alcoliche. Contro l’uscita di Grillo si sono espressi Italia Viva, il Partito Democratico, Fratelli d’Italia, la Lega, Forza Italia. Solidarietà a Grillo dall’ex pasionario dei 5s Alessandro Di Battista e di Paola Taverna, vicepresidente del Senato. La questione ha però spaccato il Movimento nel pieno di una trasformazione totale tra la piattaforma Rousseau e la ricostruzione dell’ex premier Giuseppe Conte. Il capo politico Vito Crimi ha espresso vicinanza “umanamente” al comico e confermato la “fiducia nel lavoro della magistratura, che accerterà la verità”. Il caso è arrivato nell’Aula della Camera dei deputati all’apertura dei lavori con gli attacchi di Lucaselli di Fdi, di Ravetto della Lega e di Valentini di Fi. Critiche anche di Liberi e Uguali. Il commento più sdegnato al video del Garante è stato quello di Maria Elena Boschi. “Caro Grillo ti devi semplicemente vergognare. Le sue parole sono piene di maschilismo. Quando dice che la ragazza ci ha messo 8 giorni a denunciare fa un torto a tutte le donne vittime di violenza e forse non sa il dolore che passa attraverso quelle donne, che spesso impiegano non giorni, ma settimane per superare magari la vergogna e l’angoscia”, aveva dichiarato in un video l’ex ministra. La capogruppo non ha mai fatto riferimento alle responsabilità – ancora presunte, e quindi innocente fino a condanna – di Ciro Grillo. A Boschi ha replicato Parvin Tadjik, madre di Ciro Grillo, che ha commentato il messaggio di Boschi: “C’è un video che testimonia l’innocenza dei ragazzi, dove si vede che lei è consenziente, la data della denuncia è solo un particolare”. La donna era stata interrogata sulla notte dello stupro. “Non ho sentito niente”, aveva affermato ma sarebbe stata intercettata a lungo dopo aver testimoniato secondo AdnKronos. L’ex ministra ha replicato nuovamente: “Parvin Tadjik, i processi si fanno in aula non sui social. Si chiama giustizia, non giustizialismo. Suo marito Beppe Grillo ha massacrato mio padre ma quando è stato archiviato non una parola, nemmeno ‘scusa’. Io non giudico suo figlio, giudico suo marito: colpevole d’odio”.
Antonio Lamorte. Giornalista professionista. Ha frequentato studiato e si è laureato in lingue. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Ha collaborato con l’agenzia di stampa AdnKronos. Ha scritto di sport, cultura, spettacoli.
Filippo Facci per “Libero Quotidiano” il 18 aprile 2021. Questo articolo riporta essenzialmente le accuse della procura di Tempio Pausania (Sardegna) che saranno il probabile fulcro della richiesta di rinvio a giudizio contro il 20enne Ciro Grillo (figlio di Beppe) e dei suoi tre amici della cosiddetta «Genova bene»: parliamo di accuse di violenza sessuale di gruppo contro una 19enne, insomma stupro, mica noccioline: e, anche se le indagini sono state tenute sottotraccia per molto tempo, e i pm hanno le bocche cucitissime (complimenti alla discrezione della procura, che è riuscita a tenere segreti anche gli interrogatori dei ragazzi) tuttavia sappiamo che riportare crudamente le accuse suona sempre come una mezza condanna per gli accusati: soprattutto se hanno linee difensive così banali e inconsistenti, e spiace dirlo. La richiesta di rinvio a giudizio comunque dovrebbe essere depositata entro fine mese, e comunque ripartiamo dal contesto: metà luglio del 2019, vacanze in Costa Smeralda, serate al Billionaire, cene con gli amici, giovincelli decisamente esuberanti e patiti della propria fiera fisicità, e poi - eccoci - versioni alquanto contrastanti su quando accadde nella notte tra il 15 e il 16 luglio del 2019 nella villa in Costa Smeralda di proprietà di Beppe Grillo, due appartamenti contigui di 80 metri quadri in un golf club di Cala di Volpe, in Costa Smeralda, Sardegna, vicino a Portocervo: co-protagoniste (loro malgrado) una studentessa italo-svedese e una sua amica, entrambe abitanti a Milano, oltre naturalmente ai loro presunti violentatori. I magistrati, in quasi due anni di indagini, hanno messo sotto controllo anche i telefoni di Parvin Tadjik, madre di Ciro e moglie del comico genovese. La donna, sentita dai pm, ha sempre raccontato che la sera in questione dormiva nell' appartamento accanto a quello in cui si sarebbe consumata la violenza, dicendo di non essersi accorta di niente
LE FOTO Le espressioni usate in qualsiasi richiesta di rinvio a giudizio (che puntano a ottenere un processo, che nel caso si preannuncia probabile) non sono mai tenere, e i pm di Tempio Pausania non fanno eccezione. La giovane sarebbe stata costretta ad avere rapporti sessuali in camera da letto e nel box doccia del bagno, afferrata per la testa e costretta a bere mezza bottiglia di vodka prima di subire rapporti di gruppo con tutti e quattro. In pratica i maschi avrebbero «approfittato delle sue condizioni di inferiorità psicologica e fisica» e gli orrori che avrebbero perpetuato riempiono pagine e pagine delle accuse, benché imperniate fondamentalmente sui racconti di lei, che aveva fatto in tempo a scattare una foto del residence così da farlo successivamente individuare. Dalle foto depositate il 20 novembre scorso, a chiusura delle indagini, ci sarebbero anche immagini che mostrerebbero abusi anche ai danni dell' amica della 19enne, che ufficialmente dormiva. Un video mostrerebbe Ciro Grillo compie un atto sessuale su una ragazza sfinita dall' alcol, inerte, addormentata. Insomma, in termini probatori gli indagati sono discretamente nella merda.
I MESSAGGI Anche perché la posizione della difesa è un po' semplicistica (il che non significa che sia falsa) e ha poche pezze d' appoggio. Il quel luglio 2019 Ciro e i tre amici erano stati al Billionaire quasi sino all' alba e poi se n' erano andati con le due giovani studentesse milanesi, che li avevano seguiti nella villa di Beppe Grillo per una spaghettata: e sin qui tutti d' accordo. Poi le versioni cominciano parecchio a cambiare. Come detto, la ragazza ha raccontato d'esser stata stuprata dopo che l' amica si era addormentata, e nel modo che abbiamo descritto. I ragazzi invece riferiscono che i rapporti di gruppo con la 19enne ci sono stati, sì, ma che era lei «consenziente»: con rispetto parlando, nel caso sarebbe stata praticamente un' assatanata o un' aspirante pornostar. I ragazzi hanno anche precisato che, dopo il primo rapporto sessuale, lei e il primo ragazzo sarebbero andati a comprare le sigarette, dopodiché, al ritorno, lei avrebbe ricominciato ad avere rapporti multipli (ma consenzienti, come detto) con gli altri tre. Nei giorni successivi ci sarebbero anche stati ordinari scambi di messaggi con i ragazzi. In effetti la denuncia è avvenuta solo successivamente, quando la ragazza era tornata a Milano e dopo aver raccontato l' accaduto (se accaduto) durante una visita alla clinica Mangiagalli. Nell' insieme, comunque vada, resta una storiaccia. Comunque vada, qualcuno griderà all' ingiustizia. Comunque vada, stiamo parlando di quasi minorenni con la vita segnata, nel bene e nel male. Comunque vada, anche Beppe Grillo su questo argomento non dice comprensibilmente una parola e alla sua palpabile tristezza non sembrano estranei problemi anche con la moglie Parvin Tadjik. Ma qui, per mesto che sia, siamo al gossip.
La disco, il video, la violenza: cosa sappiamo sull'inchiesta su Grillo Jr. Francesca Bernasconi il 21 Aprile 2021 su Il Giornale. Dalla notte delle presunte violenze al possibile processo: a che punto è l'inchiesta che coinvolge Ciro Grillo? Un video choc del fondatore del Movimento 5 Stelle che ha scatenato polemiche da parte di tutte le forze politiche. Ma questa volta, Beppe Grillo non è sceso in campo per combattere una battaglia di partito, ma per difendere il figlio Ciro, indagato insieme ad altri tre coetanei (Edoardo Capitta, Francesco Corsiglia e Vittorio Lauria) per violenza sessuale di gruppo. Due le versioni a confronto, che raccontano i fatti risalenti alla notte del 16 luglio 2019.
La notte sotto accusa. A denunciare la vicenda era stata una studentessa italo-norvegiese, S.J., che nell'estate del 2019 si trovava in vacanza in Sardegna con un'amica. Le giovani avevano passato la serata del 16 luglio al Billionaire, dove avevano conosciuto Ciro Grillo e gli altri tre amici, che le avevano invitate nella villa in Costa Smeralda di proprietà del fondatore del Movimento 5 Stelle. Verso le sei del mattino però, mentre l'amica dormiva, S.J. sarebbe stata costretta "a subire e compiere atti di natura sessuale". Uno dei quattro ragazzi avrebbe chiesto alla studentessa di accompagnarlo nella camera e poi l'avrebbe a afferrata e "scaraventata sul letto". Il tutto sarebbe continuato "nel tentativo d'avere un rapporto sessuale, mettendosi nuovamente sopra di lei e allargandole le gambe, ma S. J. riusciva a divincolarsi e a uscire dalla stanza". Le violenze si sarebbero poi consumate sia nella camera da letto che nel box doccia e la ragazza sarebbe stata costretta a "cinque o sei rapporti". Secondo la procura di Tempio Pausania, la "lucidità" della vittima "risultava enormemente compromessa" al momento dei fatti. Anche l'amica della studentessa italo-svedese, R.M., potrebbe essere stata vittima di violenza. Una delle foto trovate nei cellulari dei ragazzi infatti la ritrarrebbe addormentata, mentre uno dei giovani la umilia. Secondo la procura, dopo le violenze, "la ragazza ha perso conoscenza fino alle 15 quando è tornata a Palau". Una volta tornata a Milano, la studentessa si era poi recata a sporgere denuncia: era il 26 luglio 2019. Così, due anni fa, era iniziata l'inchiesta sui presunti stupri.
Verso il processo. Lo scorso novembre la procura ha chiuso le indagini sulla vicenda che coinvolge il figlio di Beppe Grillo e ha messo gli atti a disposizione della difesa. La difesa aveva quindi chiesto un termine per fare le proprie controdeduzioni ed eseguire indagini difensive. Nei giorni scorsi, i quattro indagati sono stati ascoltati dalla procura, che non ha rivelato i contenuti degli interrogatori. Intanto sta per scadere il termine e la procura dovrebbe decidere in questi giorni su una possibile richiesta di rinvio a giudizio per Ciro Grillo e per i suoi tre conoscenti, che quella notte erano con lui nella villa in Costa Smeralda. Secondo quanto appreso da Adnkronos, il procuratore sarebbe orientato a chiedere il processo per i quattro ragazzi, perché secondo i magistrati non si trattò di "sesso consenziente".
La versione della difesa. Diversa invece la versione della difesa, secondo cui non ci fu violenza sessuale. Stando al racconto dei giovani infatti quella notte venne consumato un rapporto di gruppo, ma la ragazza era "consenziente". Per rafforzare la loro tesi i ragazzi avrebbero raccontato ai magistrati, stando alle indiscrezioni di Adnkronos, che dopo il primo rapporto la studentessa e uno degli amici di Grillo sarebbero andati insieme a comprare delle sigarette, e al loro ritorno lei avrebbe avuto rapporti sessuali anche con gli altri tre. Nei giorni seguenti inoltre, S.J. e i quattro amici si sarebbero scambiati alcuni messaggi. Nel fascicolo dell'inchiesta sono stati inseriti foto e video trovati nei cellulari dei ragazzi e alcune intercettazioni a carico di Grillo jr e degli altri tre ragazzi. Il prossimo passo ora spetta ai magistrati, che stanno decidendo se rinviare a giudizio i giovani.
Luca Fazzo per "il Giornale" il 20 aprile 2021. I fatti sono del luglio 2019, ma per la chiusura dell'indagine bisogna aspettare il novembre del 2020. I pm si sono convinti che quando nei video la vittima appare subire senza ribellarsi gli amplessi dei quattro ragazzi, tra cui Grillo Jr, fosse perché era stata «afferrata per la testa e costretta a bere mezza bottiglia di vodka». Hanno taciuto per quasi due anni, mentre l'inchiesta languiva, affrontando in silenzio le contromosse dei difensori dei ragazzi che hanno trasformato in inferno la vita della loro figlia. Si sono occupati di lei, si sono dedicati a portarla fuori dal trauma della notte in Costa Smeralda nella villa di Beppe Grillo divenuta un incubo. Ma ieri, di fronte alla invettiva via Internet del comico genovese, i genitori di S.J. hanno deciso che la misura era colma. E hanno affidato alla Adnkronos una dichiarazione di fuoco: «Siamo distrutti. Il tentativo di fare spettacolo sulla pelle altrui è una farsa ripugnante». E ancora: «Cercare di trascinare la vittima sul banco degli imputati, cercare di sminuire e ridicolizzare il suo dolore, la disperazione e l'angoscia della vittima e dei suoi cari sono strategie misere e già viste, che non hanno nemmeno il pregio dell' inedito». È uno sfogo drammatico, che arriva dopo una indagine in cui per mesi la famiglia della ragazza ha dovuto fare i conti non solo con le manovre delle difese ma anche con le cautele della Procura. Basti pensare che con un quadro di prove praticamente uguale, l'imprenditore milanese Alberto Genovese il 6 novembre scorso venne arrestato immediatamente. Anche lì c'era il racconto della vittima e i filmati di un sesso imbambolato, sotto l'effetto di alcol e paura. Invece Ciro Grillo e i suoi compagni di vacanze sono rimasti a piede libero, e - a quasi due anni dalla denuncia contro di loro - non c'è ancora la richiesta di rinvio a giudizio contro di loro. Una situazione paradossale che rende legittima la domanda-invettiva lanciata ieri da Grillo: «Perché non sono in galera se sono degli stupratori?». La verità è che il fascicolo scaturito dalla denuncia che S.J., studentessa milanese (e non «modella», come la definì da subito la stampa vicina al comico, come se questo fosse un'attenuante) ha viaggiato con i tempi placidi di una Procura di paese, un capo e quattro sostituti, un territorio affollato un mese all'anno e semideserto d'inverno. Quando la denuncia della ragazza viene trasmessa da Milano a Tempio, viene gestita come un fascicolo ordinario. Il nome di Beppe Grillo, padre di uno degli indagati, proprietario della villa dove lo stupro sarebbe avvenuto, fa il resto per indurre alla cautela. Per interrogare l'unica testimone possibile, la madre di Ciro Grillo, i pm aspettano tre mesi. Per nominare un tecnico che analizzi i telefoni del quartetto, due mesi. Per la chiusura dell' indagine bisogna aspettare il novembre del 2020. E lì si scopre che comunque un po' di riscontri alle dichiarazioni della vittima sono stati trovati. I pm si sono convinti che quando nei video la vittima appare subire senza ribellarsi gli amplessi a raffica dei quattro fosse perché era stata «afferrata per la testa e costretta a bere mezza bottiglia di vodka». Da quel momento in poi, S.J. non è più in grado di dire né di sì né di no, è un giocattolo in mano a Ciro e agli amici. «Dei ragazzi in mutande con il pisello di fuori», come li definisce Grillo (che evidentemente ha visto il video dello stupro). Ma la frase cruciale nella difesa d'ufficio degli indagati è quando il padrone di casa dice che la ragazza è inattendibile perché dopo lo stupro «è andata a fare kitesurf». È la stessa linea difensiva che fin dall'inizio i legali degli indagati hanno offerto alla Procura di Tempio Pausania, depositando video e foto estrapolati dai profili social di S.J. che dimostrerebbero la serenità della ragazza: lei che fa sport, lei che sorride, lei che va in vacanza con i genitori. La stessa linea che Grillo ieri lancia nel web, e scatena la reazione dei genitori di S.J.
DAGONEWS il 21 aprile 2021. Beppe Grillo era cautamente ottimista. Dopo quasi due anni da quella sera di luglio 2019 in cui Ciro Grillo e tre amici si sono ritrovati nella villa dell'Elevato in Costa Smeralda con due studentesse 19enni, era convinto che il rinvio a giudizio con l'accusa di stupro sarebbe stato evitato. Pochi giorni fa, invece, i suoi avvocati lo hanno informato che la procura di Tempio Pausania era più che convinta a spedire il figlio a processo. BeppeMao è andato in tilt, ha perso il controllo e ha consegnato al web il suo furibondo intervento fin troppo sopra le righe. "L'Elevato" ha ruggito da padre ferito ma ha messo alla prova anche la sua leadership politica. S'aspettava che il suo intervento catalizzasse la solidarietà dei maggiorenti grillini. Risultato: silenzio assordante. A parte le caute dichiarazioni di Paola Taverna e Alessandro Di Battista, il nulla. Per spingere l'indeciso-a-tutto Giuseppe Conte a spiccicare qualche parola s'è dovuto adoperare a lungo il povero Vito Crimi. Un pressing forsennato che ha prodotto una felpatissima dichiarazione di solidarietà ("Comprendo le preoccupazioni e l'angoscia di un padre, ma non possiamo trascurare i sentimenti della giovane ragazza coinvolta"). Il solito cerchiobottismo che non ha convinto nessuno e ha scontentato tutti. Luigino Di Maio? Tace, s'imbosca, ha dribblato anche l'intervista a "L'aria che tira" e ha intimato ai suoi di restare sottocoperta. In questo scenario di desolante solitudine, Grillo ha chiesto alla moglie, Parvin Tadjk, di esporsi con il commento ("Un video testimonia l'innocenza dei ragazzi") al video con cui Maria Elena Boschi l'aveva ferocemente criticato. Il filmato del "Fondatore" ormai mezzo affondato ha scosso anche la redazione del "Fatto quotidiano" che da tempo ribolle per la linea editoriale di Travaglio così schiacciata su Conte-PD. Il durissimo editoriale contro "l'Elevato" di Selvaggia Lucarelli, che pure collabora al quotidiano, ha trovato spazio sul sito di Tpi. L'articolo di Paola Zanca, che ha sottolineato come "denunciare una violenza dopo otto giorni non è strano", è stato relegato in un trafiletto a pagina 8 nella rubrica "Lo Sberleffo". Praticamente un siluro sapientemente depotenziato. Lo stesso Travaglio, nel suo editoriale di oggi dal titolo "Due errori e un diritto", attinge a una inusuale empatia per sostenere Grillo: "Non ha sbagliato a difendere suo figlio. E fanno ribrezzo quanti, col ditino alzato, deplorano la sua rabbia: vorrei vedere loro, al suo posto". Solo che Beppone non è un padre qualsiasi: è il fondatore di un movimento politico che ha fatto dell'onestà-tà-tà la sua missione, che ha sì incalzato i condannati in via definitiva ma ha anche crocifisso gli avversari colpiti da un avviso di garanzia (con tanti saluti alla presunzione d'innocenza). Il M5s ha lanciato le sue crociate contro la Casta che si autotutela, contro l'arroganza e l'impunità del potere. Travaglio ha ragione a precisare che "infilare la politica in un processo per stupro è quanto di più demenziale, anche perché Ciro Grillo non fa politica. La fa suo padre, il quale non risulta aver mai detto che si è colpevoli prima della sentenza". Ma la forma è sostanza. Quel video, arrivato dopo 20 mesi di silenzio e a ridosso di un probabile rinvio a giudizio del figlio Ciro, diffuso con la potenza di fuoco a disposizione di Grillo e maldestramente argomentato (la consensualità del rapporto sessuale "dimostrata" dal ritardo di 8 giorni nella denuncia) come riconosce lo stesso Travaglio, è come un rutto in Chiesa: inopportuno. Che poi abbia avuto l'effetto opposto a quello desiderato, è un altro discorso…
Estratto dell'articolo di Paolo Berizzi e Giuseppe Filetto per “la Repubblica” il 27 aprile 2021. Beppe Grillo a Milano avrebbe chiesto "indagini conoscitive" su Silvia, la 19enne studentessa italo-svedese appassionata di kite surf che ha denunciato di essere stata violentata, la notte del 17 luglio 2019, a Porto Cervo, da Ciro Grillo, figlio del leader M5S e dai suoi tre amici e compagni di vacanza. Inoltre, il Guru ha incaricato un medico legale di fare una perizia sulla ragazza. La notizia […] rischia di avere l'effetto di un secchio di benzina su un fuoco già acceso. […] con il mandato a un professionista, l'outsider Marco Salvi, noto per essersi occupato del serial killer Donato Bilancia e dell'omicidio di Carlo Giuliani durante il G8. A Salvi, attraverso i filmati e le foto, il compito di definire quanto Silvia quella notte fosse ubriaca o capace di intendere e di volere. Inoltre, c'è l'intento di ricostruire la personalità ed i comportamenti di quella che appare sin qui la vittima di una brutta storia […]
Caso Grillo, è scandalo per “l’indagine conoscitiva” Ma lo prevede la legge…Valentina Stella su Il Dubbio il 27 aprile 2021. Ennesima tegola mediatica dopo la notizia che il fondatore del M5S avrebbe chiesto un'indagine conoscitiva sulla ragazza che ha denunciato suo figlio per stupro. Una possibilità prevista dal codice, secondo cui il difensore ha il diritto di investigare per conto del proprio assistito. Una nuova polemica è scoppiata ieri in merito al caso Grillo: secondo quanto riportato da Repubblica, il fondatore del Movimento Cinque Stelle avrebbe chiesto di approfondire il comportamento di Silvia, la 19enne studentessa italo-svedese che ha denunciato di essere stata violentata nella villa del comico a Porto Cervo, in Sardegna, la notte del 17 luglio 2019, dal figlio e da altri tre suoi amici. Ennesima tegola mediatica dunque dopo il video sfogo di Grillo padre e dopo che era trapelata la notizia che i legali avrebbero voluto mostrare il famoso filmato in cui avviene l’atto sessuale. Un circo mediatico che sembra non volersi arrestare soprattutto alla luce di quanto appunto emerso ieri: infatti, scrivono i colleghi, Grillo avrebbe ingaggiato un noto ed ascoltato medico-legale di Genova, Marco Salvi, che in passato si è occupato anche del serial killer Donato Bilancia e dell’omicidio di Carlo Giuliani durante il G8. A Salvi, attraverso i filmati e le foto, il compito di definire quanto S.J. fosse ubriaca o invece capace di intendere e di volere. Su questo punto si giocherà l’eventuale processo. Ma, sempre stando ad ulteriori indiscrezioni, il Guru dei pentastellati avrebbe chiesto indagini conoscitive sulla ragazza: personalità, frequentazioni, studi. Insomma una indagine sulla vita privata. Abbiamo provato a contattare via email il dottor Salvi per chiedere qualche delucidazione ma al momento nessuna risposta. «La notizia – scrive Repubblica – per come si sta sviluppando, anche mediaticamente, la vicenda del presunto stupro subito dalla ragazza rischia di avere l’effetto di un secchio di benzina su un fuoco già acceso». Mentre Libero titola: «Beppe Grillo, mossa estrema per salvare il figlio Ciro». Dunque l’ultima tappa in ordine di tempo della presunta strategia di Grillo sarebbe vista con sospetto da certa stampa. Invece non c’è alcuno scandalo: la legge n. 397 del 2000 ha inserito un nuovo titolo nel libro V del codice di procedura penale dedicato interamente alla disciplina delle indagini che il difensore ha il diritto di svolgere in favore del proprio assistito, reperendo documentazione e prove atte a contraddire e sconfessare la tesi accusatoria. In particolare l’articolo 391 bis del Codice di procedura penale prevede, tra l’altro, che «il difensore, il sostituto, gli investigatori privati autorizzati o i consulenti tecnici possono conferire con le persone in grado di riferire circostanze utili ai fini dell’attività investigativa». Come ci spiega meglio l’avvocato Giuseppe Belcastro, co-responsabile dell’Osservatorio Informazione Giudiziaria dell’Unione delle Camere Penali, «il difensore ha la possibilità di effettuare investigazioni direttamente o attraverso consulenti tecnici, come previsto dal Codice. Tutti noi ne facciamo quando ad esempio abbiamo bisogno di fare attività sui luoghi o semplicemente acquisire dichiarazioni informali da possibili testimoni. L’oggetto delle investigazioni deve avere attinenza con i fatti relativi all’indagine o al processo». L’avvocato tende a precisare che «finché ci si muove in questo ambito, in questo hortus conclusus dei limiti codicistici e deontologi, va tutto bene. Tuttavia la spettacolarizzazione del caso di cui stiamo discutendo, soprattutto perché relativa ad un presunto stupro di gruppo, rischia di tingere con colori che non sono propri del processo penale una prassi che sarebbe normale nel corso di una attività difensiva».
L’avvocato Belcastro, precisando ovviamente di non conoscere i dettagli del caso, aggiunge: «Porre sotto i riflettori mediatici una vicenda così delicata rischia di compromettere l’accertamento processuale dei fatti». Facciamo presente all’avvocato che qui forse è in gioco da parte della difesa di Grillo un lavoro difensivo per stabilire l’attendibilità della presunta vittima: «se la questione è inerente alla credibilità di una fonte dichiarativa, certamente questa verifica rientra nei compiti del difensore, cosa che non c’entra nulla con il rispolverare un armamentario vecchio ed obsoleto per demonizzare la presunta vittima».
Da liberoquotidiano.it il 26 aprile 2021. Si parla del caso di Ciro Grillo, il figlio di Beppe Grillo, accusato insieme ad altri tre amici di stupro di gruppo, in studio da Massimo Giletti a Non è l'arena, su La7, nella puntata di domenica 25 aprile. La ragazza che li ha denunciati, è difesa dalla senatrice leghista Giulia Bongiorno, che da sempre si batte contro la violenza sulle donne. In collegamento c'è Peter Gomez de Il Fatto Quotidiano, che critica l'avvocato: "Fossi stato in lei avrei passato la difesa di questa ragazza ad un altro legale, perché avrei tolto l'idea che dietro tutto questo ci fosse una speculazione politica. Anche se nessuna legge lo vietava". Giletti quindi gli fa notare che l'ex ministro difende da sempre le donne contro ogni forma di violenza, che la Lega non c'entra nulla. Ma Gomez insiste che sarebbe stata una questione di opportunità, "Per rafforzare la ragazza, per dire che non potete nemmeno avere quel retropensiero". In apertura di puntata, Giletti aveva mostrato nello schermo alle sue spalle le dichiarazioni fatte dall'accusa: "Corsiglia (uno dei ragazzi) si infilava nel letto di un’altra stanza priva di porta, in cui la J. si era coricata, la afferrava per i capelli spingendola sotto la coperta e tirandola su di sé, la costringeva a subire un rapporto orale; poi la girava mettendola in posizione supina e sdraiata, e, dopo averle abbassato anche l’intimo, la costringeva a un rapporto vaginale". E ancora: "La forzavano a bere vodka, afferrandola per i capelli la costringevano e comunque la inducevano a compiere e subire ripetuti atti sessuali con ciascuno di loro". E non contenti, non ancora soddisfatti, se la sono presa anche con l’amica, precipitata in un sonno conciliato dall’ alcol". Di più. Il conduttore aveva poi fatto vedere un'altra grafica: "La notte brava non sembra finita lì", aveva spiegato ai telespettatori prima di svelare quanto detto dall'amica della giovane vittima: "In particolare Grillo, alla presenza di Capitta che scattava fotografie per immortalarlo e di Lauria, appoggiava i propri genitali sul capo di R. M., la quale, in stato di incoscienza perché addormentata, era costretta a subire tale atto sessuale".
Da liberoquotidiano.it il 26 aprile 2021. "Lui non farebbe mai nulla, lui non aveva idea di cosa succedeva". Nel servizio mandato in onda da Massimo Giletti a Non è l'arena, su La7, nella puntata di domenica 25 aprile, parla una amica di Ciro Grillo, il figlio di Beppe, accusato di stupro di gruppo insieme ad altri tre ragazzi. "Lui pensava solo di divertirsi e di far serata", spiega la giovane. "Lei era complice. Io ho visto il video, c'era complicità massima". E ancora, spiega: "Sono in quattro tutti insieme, era una situazione tranquilla. Nel video lei è complice della situazione, ride. Se tu ti senti abusata e violata non stai lì così". Poi l'affondo: "Se lei era sbronza e non si rendeva conto della situazione, allora anche gli altri non si rendevano conto. Se tutti sono ubriachi e tu stai al gioco non è che poi il giorno dopo dici che hai abusato di me". In apertura di puntata, Giletti aveva mostrato nello schermo alle sue spalle le dichiarazioni fatte dall'accusa: "Corsiglia (uno dei ragazzi) si infilava nel letto di un’altra stanza priva di porta, in cui la J. si era coricata, la afferrava per i capelli spingendola sotto la coperta e tirandola su di sé, la costringeva a subire un rapporto orale; poi la girava mettendola in posizione supina e sdraiata, e, dopo averle abbassato anche l’intimo, la costringeva a un rapporto vaginale". E ancora: "La forzavano a bere vodka, afferrandola per i capelli la costringevano e comunque la inducevano a compiere e subire ripetuti atti sessuali con ciascuno di loro". E non contenti, non ancora soddisfatti, se la sono presa anche con l’amica, precipitata in un sonno conciliato dall’ alcol". Di più. Il conduttore aveva poi fatto vedere un'altra grafica: "La notte brava non sembra finita lì", aveva spiegato ai telespettatori prima di svelare quanto detto dall'amica della giovane vittima: "In particolare Grillo, alla presenza di Capitta che scattava fotografie per immortalarlo e di Lauria, appoggiava i propri genitali sul capo di R. M., la quale, in stato di incoscienza perché addormentata, era costretta a subire tale atto sessuale".
Massimo Malpica per "il Giornale" il 26 aprile 2021. Il video-boomerang di Beppe Grillo in difesa del figlio Ciro accusato di stupro di gruppo continua a far discutere. Criticata trasversalmente, anche dal M5s, ora quell'uscita dell'ex comico avrebbe spaccato anche la linea comunicativa dei difensori degli altri tre ragazzi indagati dopo le dichiarazioni della 19enne S.J., che accusa i quattro di averla violentata nella notte tra il 16 e il 17 luglio del 2019 nella villetta di Grillo, a Porto Cervo. Ma soprattutto quel contrattacco unilaterale, deciso autonomamente dal fondatore dei Cinque Stelle per «difendere» il pargolo nasconderebbe altro. Forse pure il timore di essere stato intercettato. Plausibile, peraltro, visto che la moglie Parvin Tadjik lo è stata prima e dopo essere stata interrogata dai magistrati sardi, visto che dormiva nella stessa villa ma ha raccontato di non aver sentito nulla. A ipotizzare che quel gesto sia stato spinto dall'ansia, parlando con il Riformista, è stato l'ex socio di Casaleggio Marco Canestrari, commentando il video e il successivo intervento della moglie, anche lei in difesa di Ciro, in replica al video con cui Maria Elena Boschi attaccava il messaggio di Beppe. «Solo con un attacco di panico si può giustificare una uscita così suicida da parte di entrambi. Sanno qualcosa che non sappiamo, anche a proposito dell'indagine», spiega l'esperto mediatico, che i coniugi Grillo li conosce bene. E non esclude che nel fascicolo d'indagine su cui sono al lavoro i magistrati di Tempio Pausania ci sia, tra video e messaggi, anche qualcosa che turba il fondatore del M5s, tanto da fargli perdere il controllo. Il problema, ora, sono anche i coindagati di «Ciruzzo», Francesco Corsiglia, Edoardo Capitta e Vittorio Lauria, gli altri tre ragazzi che avrebbero preso parte al presunto stupro. I loro legali, sorpassati e sorpresi dal «messaggio alla nazione» di Beppe, avrebbero cominciato a valutare un cambio di direzione nella strategia comunicativa, e secondo quanto racconta Il Fatto Quotidiano starebbero addirittura studiando l'ipotesi di rendere pubblico il video di quella notte. Un elemento che secondo la difesa degli indagati scagionerebbe Grillo junior e i suoi amici dimostrando che la ragazza era consenziente, ma che per la procura è invece una prova a carico, una sorta di pistola fumante che proverebbe la brutalità della scena, oltre a confermare le condizioni di fragilità e debolezza della ragazza. Diffondere quel video sembra insomma una mossa azzardata, oltre che di dubbia opportunità e legalità, visto che la difesa dei quattro ragazzi ha sempre detto che il processo andrà fatto in aula, ma come racconta Il Fatto, i legali si sarebbero detti, in seguito all'alzata di scudi provocata dall'uscita di Grillo, «consapevoli che in questo momento questa scelta (ossia mantenere un basso profilo, ndr) possa significare esporsi a un massacro mediatico». Anche perché la difesa paterna di Ciro ha innescato una serie di reazioni nocive ai quattro indagati. Non solo per la generale indignazione della politica e della società civile, con i social in rivolta contro padre e figlio Grillo, ma anche per la pubblicazione di stralci del verbale della ragazza e di interviste al titolare del B&B che la ospitava (e che racconta che dopo quella serata la vide «non serena»), che hanno tra l'altro amplificato la mediaticità del caso invece di ridurla, ad onta dello stesso titolo scelto da Grillo per quel controverso video («giornalisti o giudici?»). Insomma, è tutto un pasticcio. Che continua a gonfiarsi: ieri sera Massimo Giletti a «Non è l'Arena» su La7 ha fatto ascoltare un audio in cui, con voce artefatta, uno dei quattro ragazzi accusati di stupro sostiene che nel video acquisito come prova «si vede che la ragazza sta benissimo e che la vodka la beve da sola, e per sfida». Inoltre un'inviata della trasmissione ha intercettato per strada Ciro Grillo chiedendogli conto del video difensivo del padre.
L’INDAGINE. Ciro Grillo e l’accusa di stupro, la difesa di uno dei ragazzi: «Dormivo e non sono nel video». Gli altri tre confermano la versione. La ragazza ribadisce: violenze da tutti. Voci su una richiesta di rito abbreviato da parte dei ragazzi accusati di stupro di gruppo. Giusi Fasano su Il Corriere della Sera il 27 aprile 2021. Lui l’ha detto fin dal primo interrogatorio nell’estate del 2019: io non ho partecipato a nessuno stupro di gruppo. Non ne so niente perché dopo aver fatto sesso con la ragazza mi sono addormentato. E gli altri tre? Cosa raccontano loro della sua versione? «La confermano», dice uno degli inquirenti. Lo hanno fatto anche qualche settimana fa negli ultimi interrogatori. «Raccontano anche loro che nella seconda parte di questa storia Francesco non c’era».
Le accuse di stupro di gruppo. Francesco è Francesco Corsiglia, 22 anni, uno dei ragazzi che la Procura di Tempio Pausania ha indagato per stupro di gruppo nel caso Grillo. In quella storiaccia che risale alla notte fra il 16 e il 17 luglio 2019 ci sono due amiche di Milano, Silvia e Roberta, e quattro amici di Genova. Francesco, appunto, poi Ciro — che è il figlio del fondatore del M5S — Vittorio Lauria ed Edoardo Capitta. Erano tutti a casa di Ciro, nel residence Pevero Golf Club di Porto Cervo. E sono tutti nell’inchiesta per violenza sessuale di gruppo: a danno di Silvia, che ha raccontato ai carabinieri di essere stata stuprata a più riprese e a turno, e a danno di Roberta che mentre dormiva ha subito atti sessuali di cui c’è traccia in un selfie trovato nei cellulari dei ragazzi.
La versione di Silvia. Ma — ammesso che tutta questa vicenda arrivi al rinvio a giudizio e quindi al processo — la partita, per i ragazzi, si giocherà sull’ipotesi del consenso di lei e sulle distinzioni delle responsabilità contestate. Esattamente quello a cui punta Corsiglia, che oggi si trova in Spagna, dove sta studiando. «Io dormivo, non ho partecipato a nessuno stupro di gruppo» giura con i suoi avvocati Romano Raimondo e Gennaro Velle. Racconta che Silvia «ci stava» quando ha avuto rapporti sessuali con lui e che dopo, sfinito, si è addormentato. Fine della nottata. Domanda: perché se lui non c’era la Procura gli contesta la violenza sessuale di gruppo? La risposta è nella denuncia della ragazza: perché lei ha detto che mentre la violentavano sentiva le voci di tutti.
Il video e le foto. Silvia ha fatto mettere a verbale che lei non era per nulla consenziente, né con Francesco (che l’ha costretta ai rapporti sessuali contro i quali lei ha provato inutilmente a resistere) e tantomeno con gli altri tre che — dice la sua denuncia — hanno approfittato di lei costringendola a bere vodka dopo una serata già parecchio alcolica. Nella parte in cui entra in scena la vodka e nel selfie a sfondo sessuale che i ragazzi scattano accanto a Roberta, Francesco non si vede. Non c’è nemmeno nel video di 24 secondi di cui parla Beppe Grillo quando dice che «si vede che si stanno divertendo», che «non c’è violenza».
Silvia: «Mi hanno stuprato tutti». E rispondendo alle domande degli inquirenti lo dicono anche i suoi amici: non c’era né quando hanno scattato il selfie né quando ciascuno di loro ha «fatto sesso» con Silvia (lei usa ben altra espressione: «Mi hanno stuprata tutti», dice). Quindi, Ciro, Vittorio ed Edoardo sono accusati sia dello stupro di gruppo sia degli abusi su Roberta che dormiva. Francesco è accusato soltanto dello stupro di gruppo ma non si vede nel famoso filmato e viene tirato in causa (come parte del gruppo) perché Silvia ha sentito anche la sua voce.
La serata al Billionaire. Naturalmente questo non esclude lo stupro, e infatti lei lo ha ripetuto più volte agli inquirenti: non ero consenziente con nessuno di loro. Tra l’altro, ragazzi conosciuti poche ore prima al Billionaire di Flavio Briatore. Nella discoteca Silvia e Roberta erano arrivate verso mezzanotte assieme a tre amici. Uno di quei tre amici ha incrociato una persona che conosceva il gruppo dei genovesi, e siccome un tavolo al Billionaire costava 600 euro (compresa una bottiglia di champagne e una seconda bottiglia di un alcolico) la proposta è stata mettersi tutti assieme allo stesso tavolo e dividere le spese. Così hanno fatto e alla fine a quel tavolo erano in quindici. Fine dei balli alle cinque del mattino. Taxi introvabile e allora Ciro Grillo e i suoi amici propongono: spaghettata da noi e poi vi riportiamo a casa al vostro bed & breakfast. Il resto è nella cronaca di questi giorni, è nelle carte di un’inchiesta di cui non è ancora depositata la richiesta di rinvio a giudizio ma che — scrive l’Ansa — ad alcuni fa già ipotizzare la possibilità di un rito abbreviato con un terzo di sconto dell’ipotetica pena.
La vodka, i rapporti, le lacrime. Giusi Fasano su Il Corriere della Sera il 27 aprile 2021. Ciro Grillo, Silvia e il racconto della notte: la vodka, i rapporti con i quattro e le lacrime il mattino dopo. L'inchiesta sul figlio di Beppe Grillo, Ciro, e i suoi amici. Le versioni contrastanti e le testimonianze. L'amico di Ciro: «Il video? Beppe non doveva farlo». «Ma alla fine con lei avete avuto un rapporto sessuale tutti e quattro?». «Sì esatto». Tutti e quattro. Tutti sconosciuti fino a poche ore prima. Eppure lei non soltanto «ci sta», per farla semplice. Ma beve un bel po’ di vodka sfidando i maschi che non riescono a farlo e poi — in pieno consenso — decide di avere un rapporto sessuale con tutti e quattro quei ragazzi. A più riprese e a turno. Dopodiché se ne pente, scrive messaggi alle sue amiche: «Ho sbagliato un’altra volta, ho fatto un’altra caz...». Ecco.
La ragazza: «Il giorno dopo non sembrava più la stessa». Cominciamo da questa ricostruzione dei fatti. L’ha raccontata esattamente così — prima in Procura e poi in tv — Vittorio Lauria, uno dei quattro ragazzi del caso Grillo. Nella sostanza ha descritto una ragazza dagli insaziabili desideri sessuali che fa a pugni con quella raccontata invece dai genitori, dagli amici e da chi la conosce: «Una persona serissima, studiosa, educata, senza eccessi», «una che in settimane di vacanze è uscita la prima volta proprio quella sera lì e che sembrava timorata di Dio», per dirla con le parole del gestore del bed & breakfast dove alloggiava. Una che il giorno dopo «non sembrava più la stessa, era triste, cambiata».
Il video di Beppe Grillo. Da qualunque parte la si guardi, questa storia è diventata una storia di sopravvivenza. Non sono previsti prigionieri, chi si salva butta a mare la controparte. Veleno. E l’avvelenatore dei pozzi, senza volerlo, è stato lui, Beppe Grillo, con quel video livoroso e drammatico che doveva essere la difesa di suo figlio Ciro e dei suoi tre amici. Sappiamo com’è andata a finire. Il ragazzo e gli altri — cioè Lauria, Francesco Corsiglia ed Edoardo Capitta — sono da giorni sulla graticola come mai lo erano stati da quando hanno saputo di essere indagati, cioè ad agosto del 2019.
Lauria: «Il video di Beppe Grillo? Non andava fatto». Le implicazioni politiche hanno fatto il resto e il risultato è che perfino lo stesso Lauria (intervistato da «Non è l’Arena» di Massimo Giletti) a domanda risponde che no, quel video «non andava fatto», fa capire che difendendo suo figlio in quel modo Beppe ha inguaiato gli altri tre, perché «noi non siamo conosciuti e non sarebbe successo niente» senza la sua sfuriata. Parole per prendere in qualche modo le distanze da Ciro, l’amico diventato «ingombrante» in tutta questa storia. E Lauria non sarebbe il solo a prendere delle distanze: lo fa con gli altri tre amici, come riporta oggi La Stampa, anche Francesco Corsiglia, che ha spiegato agli inquirenti che lui ha avuto, sì, rapporti sessuali con Silvia, ma «erano consenzienti». Lui non avrebbe nulla a che fare — dice — con la violenza di gruppo, perché di quella lui non sa nulla. Se è successa, sono stati gli altri tre, mentre lui dormiva. Una versione che sarebbe confermata dal fatto che lui non compare nel famoso filmato di cui parla Grillo o nelle fotografie agli atti. Escluso il suo nome anche dal secondo dei capi di imputazione: quello che riguarda gli abusi sessuali su Roberta, una delle due ragazze presenti quella sera.
Il rinvio a giudizio. In mezzo a tutto questo c’è una Procura che sembra sottovuoto tanto è chiusa ermeticamente, ci sono gli avvocati degli indagati e delle parti civili ciascuno con qualche buon motivo per essere risentito di questo o di quel dettaglio pubblicato. E ci sono quasi due anni di indagini che dovrebbero diventare a breve una richiesta di rinvio a giudizio per i quattro ragazzi. Non sono pochi, due anni, specie se la chiusura dell’inchiesta è ormai di cinque mesi fa. Perché tanto tempo per decidere se chiedere o meno il rinvio a giudizio? La risposta arriva dagli avvocati degli inquisiti: sono state richieste proroghe; c’è voluto l’incarico a un consulente per trasferire sui dischetti le carte che chiedevano; sono slittati gli interrogatori dei ragazzi per impedimenti degli stessi legali, più i tempi delle notifiche e problemi personali del pm.
La ricostruzione dei fatti. Così siamo arrivati a oggi, a quello che è finora emerso della notte fra il 16 e il 17 luglio 2019 a Cala di Volpe, in costa Smeralda, nella casa di Grillo senior. Quella sera Silvia, italo-svedese, e la sua amica Roberta escono per andare al Billionaire, la discoteca di Briatore, dove arrivano poco prima di mezzanotte. Sono alloggiate in un b&b di Porto Pollo, Silvia ospita Roberta per l’ultima settimana di vacanza. Al Billionaire conoscono i quattro amici genovesi e alle cinque del mattino, siccome non trovano un taxi che le riporti al b&b, accettano l’invito dei ragazzi a una spaghettata a casa di Grillo junior con la promessa che poi le avrebbero riaccompagnate loro stessi.
Le presunte violenze. Spaghetti, chiacchiere, molto alcol — stando al racconto di Lauria più lei di loro — finché alle sei del mattino Roberta cade sfinita sul divano e si addormenta mentre Silvia va in una camera. Corsiglia l’accompagna, si infila sotto le lenzuola con lei e — dice il capo di imputazione — la violenta una prima volta approfittando della sua «minorata difesa» dovuta all’alcol.
L’alcol. Gianluigi Nuzzi, che ha ricostruito i fatti per «Quarto Grado», racconta degli altri tre che commentavano e ridevano. Nel suo verbale lei dice che riesce a fuggire in bagno, che Corsiglia la raggiunge e la violenta di nuovo. Inutile cercare di svegliare l’amica che non si accorge di nulla, Silvia spiega agli inquirenti che Grillo, Capitta e Lauria la costringono a bere vodka. Nessuna sfida, come invece rivela Lauria («è lei che l’ha presa, da sola e per sfida, l’ha bevuta tutta «gocciandola» perché noi non ci riuscivamo»).
Il consenso. Dopo la vodka la violenza degli altri tre, a turno. Così dice l’accusa. Quando Roberta si sveglia la trova in lacrime: «Mi hanno violentata tutti». «No, era consenziente» replicano loro. E qui torniamo al punto di partenza. Una ragazza che racconta di uno stupro e quattro ventenni che parlano di consenso.
UNO DEGLI AMICI SCARICA GRILLO JUNIOR "DURANTE IL SESSO DI GRUPPO DORMIVO". Tommaso Fregatti Matteo Indice per "la Stampa" il 27 aprile 2021. Si rompe il fronte degli amici di Ciro Grillo. E ora quella notte di follia del 17 luglio 2019 avvenuta nel residence di Porto Cervo in Sardegna di proprietà del fondatore del Movimento Cinque Stelle si fa un po' meno nebulosa. Da una parte Vittorio Lauria, uno degli indagati, che dopo oltre venti mesi di silenzi e no comment, interviene in tv su «La 7» e si dissocia dal videomessaggio di Beppe: «Ha sbagliato a parlare dei giorni trascorsi tra i fatti e la denuncia». Ma soprattutto, dettaglio mai emerso finora, dalle carte dell'inchiesta emerge una presa di posizione autonoma da parte d' uno dei quattro amici coinvolti. Si tratta di Francesco Corsiglia, 22 anni, oggi allievo in Svizzera in una scuola di perfezionamento alberghiero. Due settimane fa davanti al procuratore di Tempio Pausania Gregorio Capasso ha raccontato la sua verità, diversa da quella riferita da Ciro e dagli altri. Ha ammesso, sì, d'essere stato pure lui presente quella notte, ma ha rimarcato di non aver nulla a che fare con la violenza di gruppo. «Dormivo», fatto mettere a verbale. Ha precisato d' aver avuto un rapporto sessuale con Silvia, la studentessa che li ha poi denunciati a Milano, ma «consenziente». Non solo. Corsiglia, viene confermato da ambienti investigativi, a corroborare le proprie dichiarazioni e lo smarcamento dal resto della compagnia, ha evidenziato d' essere l'unico che non compare nelle foto e nei video fondamentali secondo i pm nel provare lo stupro. In particolare, è assente da un selfie (trovato in uno dei telefoni cellulari sequestrati) in cui Ciro Grillo ha immortalato se stesso, Vittorio Lauria ed Edoardo Capitta (il quarto indagato) durante il rapporto con Silvia. Parimenti, Corsiglia nel corso dell'audizione ha ribadito di non essere presente nelle immagini pornografiche - pure queste rinvenute dagli investigatori - degli altri tre indagati con Roberta, amica di Silvia che era in un'altra stanza intontita dall' alcol: una di quelle foto ha fatto scattare una seconda contestazione di violenza sessuale nei confronti di Grillo, Lauria e Capitta, ma effettivamente non di Corsiglia. Le dichiarazioni rilasciate ai pubblici ministeri dopo la conclusione dell'indagine preliminare non aiutano evidentemente Ciro, che si ritrova per certi aspetti più isolato dopo le parole offerte agli inquirenti appunto da Corsiglia, e alla televisione da Lauria (il più vicino a Ciro Grillo resta al momento Edoardo Capitta, l'unico che nel giorno dell'exploit di Beppe ha postato l'immagine di un applauso sotto l'hashtag dell'amico «free ciruz»). Lauria invece, intervenuto a «Non è l'Arena» condotta da Massimo Giletti, era stato netto su più aspetti: «Il video di Beppe non andava fatto, non se ne parlava più se fossimo stati io e gli altri due miei amici, sconosciuti, non sarebbe successo niente». Lauria ha comunque sostenuto che Silvia «era consenziente e ha bevuto da sola la vodka, per sfida non era tanta», collocando questo momento in una fase successiva al rapporto tra Corsiglia e Silvia. Queste ricostruzioni contrastano duramente con quanto riferito sempre da Silvia ai pm: la ragazza, all' amica e poi agli investigatori, ha raccontato d' essere stata «violentata da tutti» e di essere stata costretta a bere dopo che l'avevano presa per i capelli.
Giacomo Amadori e Giuseppe China per "la Verità" il 26 aprile 2021. Hanno studiato insieme al Collegio Emiliani diretto dai padri somaschi. Uno splendido istituto a picco sul mare, forse la scuola con la vista più bella di Genova. È in questo posto da fiaba che si sono conosciuti i presunti quattro stupratori di Arzachena: Ciro Grillo, Edoardo Capitta, Francesco Corsiglia e Vittorio Lauria. Dopo la folle notte tra il 16 e 17 luglio 2019 in cui avrebbero violentato la coetanea S.J. e abusato anche dell'amica R.M., si erano convinti che il processo sarebbe andato avanti a luci spente, come stava accadendo da due anni. Ma ad attirare l'attenzione di tutti i media ci ha pensato Beppe Grillo con il video choc in cui assolve il figlio e gli amici e attacca la presunta vittima, a suo giudizio consenziente, accusandola di non aver denunciato subito la violenza, ma di avere atteso otto giorni. E se Ciro ha pubblicato sul proprio profilo Instagram il filmato del padre, gli altri ragazzi e i rispettivi avvocati non devono aver accolto l'iniziativa con lo stesso entusiasmo. Come conferma l'audio di uno di loro, trasmesso ieri sera in esclusiva nella trasmissione Non è l'Arena di Massimo Giletti. È stata la prima volta che uno dei quattro indagati per violenza sessuale di gruppo è stato sentito in uno studio televisivo. Ieri abbiamo bussato alle loro porte e, con noi, Lauria ha confermato di aver pronunciato le frasi trasmesse in tv. Nel video esordisce così: «Sto bene, è un po' dura. Speriamo che si risolva». L' intervistatore, facendo riferimento al video di Grillo, gli parla di «danno clamoroso» e il giovane rimarca l'aggettivo «clamoroso», aggiungendo che «ogni cosa che viene detta a nostro nome, comunque cade su quello». Insomma peggiora la situazione, anche perché a suo dire viene raccontato «tutt' altro di quel che è successo». Il suo giudizio è netto: «Secondo me non andava fatto. Non se ne parlava più e ora è riuscito tutto perché ha fatto (Grillo, ndr) sta roba qua. Perché se fossimo stati io e gli altri miei due amici non conosciuti non sarebbe successo niente». Ma perché l'ex comico ha deciso di farsi un autogol del genere? «Secondo me, nel video, lui voleva specificare come siamo fatti noi, che siamo più dei coglioni, perché comunque le cose bisognava dirle [] ha detto quello che è successo». Ma nel suo sfogo, Grillo avrebbe fatto una clamorosa topica: «La cosa che ha detto Beppe del video, la cosa degli otto giorni secondo me non ci stava dirlo []. Dire una roba del genere comunque, davanti poi chissà quanta gente ha visto ormai quel video lì contro una donna, non è giusto perché non c' entra tanto quanto ha aspettato, ma la cosa è che l'ha fatto proprio senza senso». Quindi persino un ragazzo di 20 anni capisce che aspettare otto giorni per denunciare una violenza non significa che quell' abuso non ci sia stato. E infatti il legislatore ha concesso alle vittime 12 mesi per presentarsi all' autorità giudiziaria, essendo note le difficoltà per una donna violata di denunciare il proprio aguzzino e affrontare un processo su questioni tanto intime. Ma in tv Lauria ha anche raccontato la sua personalissima versione della serata e ha provato a descrivere il contenuto del video del presunto stupro finito agli atti: «Si vede proprio la ragazza che comunque sta, uno, benissimo e, due, che comunque noi non costringiamo niente». Secondo l'accusa la ragazza sarebbe stata «costretta» a bere vodka. Lauria non ci sta: «Invece è proprio lei che l'ha presa da sola e per sfida [] l'ha bevuta tutta, "gocciandola", ma non era tanta, era un quarto di vodka [] lei per sfida ha detto "dai che ce la faccio" e se l'è bevuta. E poi è andata a dire che io l'ho presa per la gola, ho fatto». L' indagato conferma che lui e i suoi amici hanno avuto un rapporto sessuale con S.J., ma per lui si era trattato di sesso consensuale. Allora perché la studentessa milanese ha dato una versione opposta alla loro, accettando di affrontare l'incubo di un processo per stupro? La risposta di Lauria lascia esterrefatti: «Si è pentita. Perché ci sono anche i messaggi suoi dove dice: "Ho sbagliato un'altra volta"; "ho fatto un'altra cazzata"». Frasi che, però, non avrebbe detto a loro, ma a delle amiche. La versione dei quattro genovesi e delle due milanesi conosciute in Sardegna collima su un punto: dopo quell' alba di sesso i due gruppi non si sarebbero più incontrati. «Noi non l'abbiamo più rivista, ma non perché [] il giorno dopo cioè lei ha fatto le sue cose. Ma perché il giorno dopo? Dopo una cosa che lei ha descritto in tal modo, non penso sia così semplice andare in spiaggia, andare a fare kyte (surf, ndr), andare a fare un'altra serata in discoteca». Qui Lauria, pur avendo criticato il video, sembra aver assorbito gli stessi concetti retrogradi di Grillo senior. Quindi puntualizza una ipotetica contraddizione della ragazza, la quale dopo il primo presunto stupro sarebbe andata a comprare le sigarette con loro dal tabacchino: «Lei aveva detto che non c'era, invece, poi abbiamo trovato una foto e lei era in macchina con noi che siamo andati a prendere le sigarette in un posto vicino a un locale []. Mi ricordo che lei aveva detto di non essere venuta e invece c'era una foto che è là con noi». Ieri, come detto, abbiamo suonato al campanello di casa Lauria. La famiglia vive nell' elegante quartiere di Albaro, in una palazzina di quattro piani, affacciata su un viale alberato. L' appartamento dei Lauria è al piano ammezzato. Ci apre proprio Vittorio: indossa slippini bianchi e una felpa scura. Sulla gamba destra notiamo dei tatuaggi. Ha il tono pacato e gentile. Quando gli scappa il gatto, lo insegue per le scale. Poi ritorna da noi. Ci spiega: «Non posso assolutamente parlare». Ma resta sulla soglia, quasi desideroso di dire la sua. «I rapporti con Ciro? Con lui siamo amici da sempre». Sul video si mostra cauto: «Se era meglio non farlo? Non lo so, si vedrà []. Non dovete mica chiederlo a me, non l'ho fatto io». Vittorio, ex studente del liceo scientifico all'istituto Emiliani, sta recuperando un paio d' anni a Napoli; è fidanzato e si ritiene un bravo ragazzo. A questo punto gli spariamo secca la domanda: ti senti uno stupratore? «No, non lo sono», ribatte, prima di chiudere la porta dietro di sé.
Giacomo Amadori per La Verità il 28 aprile 2021. A Genova, da Levante a Ponente, non si fa che parlare del famoso video di una ventina di secondi citato da Beppe Grillo nella sua sbroccata di una settimana fa. In realtà l'ex comico, quando parla di «quattro coglioni che saltellano con il pisello di fuori», fa riferimento a foto e immagini che ritraggono solo tre dei quattro ragazzi accusati di violenza sessuale di gruppo: Edoardo Capitta, Ciro Grillo e Vittorio Lauria. Il loro compagno di bisboccia, Francesco Corsiglia, in realtà, a quel punto era già addormentato, come avevamo scritto nel settembre del 2019. Questo non significa che ci siano crepe nel pool difensivo come ribadiscono i legali all'unisono. Anche perché nell'avviso di chiusura delle indagini Corsiglia è sì accusato di aver violentato la giovane italo-norvegese S.J. da solo e non di avere abusato, a differenza degli amici, di R.M., l'amica di S.J. in quel momento dormiente, ma risponde anche lui di stupro di gruppo, perché, secondo i magistrati (sulla scorta delle dichiarazioni di S.J.) al suo rapporto sessuale avrebbero assistito anche gli amici che «ostruivano il passaggio» alla ragazza, impedendole la fuga, e «commentavano fra loro» un secondo rapporto dentro al box doccia tra Corsiglia e S.J..Per gli inquirenti di Tempio Pausania tutto questo sarebbe avvenuto in modo violento: Corsiglia l'avrebbe afferrata per i capelli, costretta a un rapporto orale, prima di strapparle con forza la biancheria intima. Di questa fase, però, non ci sarebbero né foto, né video. C'è, invece, il filmato di poco più di venti secondi, in cui il presunto branco si avventa sulla preda e la possiede standole a cavalcioni. Anche contemporaneamente. «1 vs 3» scrive Capitta a un amico per vantarsi di quell'amplesso di gruppo. Una pratica, quella della gang bang, assai gettonata sui siti porno. Gli avvocati degli indagati puntano sul fatto che la ragazza in quel video non appaia passiva, ma che, come scritto nell'avviso di chiusura indagini, pratichi anche un rapporto orale e con una mano masturbi il giovane che in quel momento sta girando il video. La scena è scabrosa, ma sarà sezionata nell'aula dove le difese, le parti civili e i pm dovranno convincere un giudice delle loro tesi contrapposte. Certo l'immagine di due maschi addosso a un'esile e longilinea ventenne e un altro che si fa dare piacere rimanendo di lato non può lasciare indifferenti, ed è difficile arrendersi all'idea che questo assalto famelico a un corpo femminile, oppresso e invaso da quelli virili, possa essere diventata la normalità tra i ragazzi. Eppure sembra volerci far credere questo un'amica di Ciro Grillo, coetanea della presunta vittima, che nella trasmissione Non è l'Arena ha detto di aver visto il video e che la ragazza «stava al gioco», era «complice lì in mezzo a ragazzi seminudi». Concetto accentuato in un altro passaggio: «Complicità massima nel video sono in quattro tutti insieme e basta anche delle mie amiche hanno fatto queste cose [] non è una cosa così assurda []». La Procura, dopo mesi di valutazione di quel video, passato al vaglio frame per frame, ha deciso, però, di contestare la violenza di gruppo. Evidentemente, anche se le immagini non sono così chiare (altrimenti, immaginiamo, sarebbe scattato l'arresto), per i magistrati quella ragazza che amoreggiava con tre coetanei non era in sé. Lo avrebbero certificato anche le psicologhe del Soccorso violenza sessuale e domestica, il centro antiviolenza della clinica Mangiagalli di Milano, dove è stata dirottata la ventenne dopo aver presentato denuncia davanti ai carabinieri. Lì è stata visitata, ma, a otto giorni dagli amplessi, era difficile trovare segni di violenza: per questo non ci sarebbero stati referti medici, né prognosi, ma solo una valutazione di tipo psicologico. Tanto che nell'avviso di chiusura delle indagini non si parla di lesioni, né si fa riferimento a documentazione clinica. A inizio marzo le difese hanno incaricato Marco Salvi, sessantenne medico legale coinvolto nei principali casi liguri di cronaca nera, di provare a far luce in questa scivolosa vicenda: «Qui mi sembra di capire che nessuno neghi un incontro sessuale: c'è da stabilire quanto fosse valido il consenso di questa donna». Per il consulente, la giovane, nel video, «non sembra confusa», ma poi ammette: «Per paura si può sottostare a qualunque situazione. Qui, però, c'è più di un elemento che mi lascia perplesso. Ha accettato il rapporto per timore del branco? Qui, però, a mio giudizio, di violenza non ce n'è. A questo punto ci deve essere un vizio di consenso, per esserci vizio di consenso ci deve essere uno stato di alterazione che andrà valutato». Il suo sarà un lavoro sulle carte. Con a disposizione gli atti dell'indagine, la documentazione e le testimonianze, dovrà cercare di capire, dal punto di vista medico legale, le condizioni psicofisiche della presunta vittima al momento del fatto: «Bisognerà stabilire quanto abbia bevuto e in che modo abbia influito sulle sue capacità, occorrerà analizzare se fosse incapace e si possa parlare di minorata difesa» ha detto Salvi. Che ha aggiunto: «Però, ove si riuscisse a stabilire il tasso alcolemico della ragazza e a confrontarlo con la sua corporatura, potrebbe essere comunque un dato non decisivo. Vediamo arrivare da noi gente che guidava con un tasso di alcolemia di 2,5; e gente che con 2,5 dorme tutta la notte. Sarebbe stato meglio se fosse stato tutto tenuto su un basso profilo. È ovvio che ci troviamo di fronte a un processo politico/mediatico, non certo forense». Per Salvi è «troppo presto» per parlare di tempi per il deposito della sua consulenza. Nel fascicolo ci sono, a carico degli indagati, anche numerose foto in cui si vedono Capitta, Grillo e Lauria «con il pisello di fuori», per dirla con il fondatore del Movimento 5 stelle. Sono state tutte scattate nella stessa stanza, quella in cui R.M. stava dormendo. «Una brutta goliardata», la definisce un difensore. Un altro legale fa presente che «se uno vuol fare violenza mette le mani da qualche parte, tira giù i pantaloni o solleva su la maglietta». E di questo non c'è nessuna evidenza. In un'immagine un giovanotto, individuato dai magistrati in Ciro Grillo (anche se alcuni difensori non concordano), con la maglietta scura, avrebbe avvicinato il proprio organo genitale alla testa della ragazza. Forse, addirittura, ve lo avrebbe appoggiato. È questa l'immagine più compromettente di quell'album imbarazzante.
Giacomo Amadori Fabio Amendolara per "la Verità" il 29 aprile 2021. Schiaffi su natiche e schiena, frammenti di video hot che passerebbero di mano in mano, un'ulteriore violenza subita in Norvegia. S. J., la ragazza che ha denunciato Ciro Grillo e altri tre amici, accusandoli di averla stuprata, avrebbe subito questi ulteriori abusi, denunciati dal suo legale Giulia Bongiorno e contenuti nelle carte. Partiamo dalla nuova clamorosa notizia di una violenza, così come emerge in tre diversi verbali di testimonianza. La ragazza e sua mamma, C.S., nell'estate del 2019 si recano dai carabinieri per denunciare lo stupro che S. avrebbe subito all'alba del 17 luglio a casa di Ciro Grillo ad Arzachena. Ai militari le due donne non dicono di quanto accaduto nel Paese d'origine del padre della giovane italo-norvegese. S. riferisce, però, di aver raccontato la violenza subita in Sardegna a un'amica milanese. Per questo i pm, nell' autunno del 2019, convocano la testimone per chiedere conferma di quanto sostento da S. e in particolare notizie sul presunto stupro avvenuto ad Arzachena. Il verbale inizia con la giovane che spiega di essere amica di S. al punto da aver ricevuto la confidenza di una violenza. Ma, un po' a sorpresa, cita quella avvenuta in Norvegia e di cui i magistrati in quel momento non sapevano nulla. «S. me l'ha riferita senza entrare nei particolari» confida la giovane. A febbraio, dopo il deposito della perizia del consulente dei pm sugli apparati elettronici degli indagati, viene convocata S., la quale conferma la scabrosa vicenda e descrive più dettagliatamente quanto successo. Racconta che, mentre dormiva in tenda, si sarebbe svegliata all'improvviso perché l'amico con cui era in vacanza la stava penetrando. Passano cinque mesi, e a fine lockdown viene convocata l'altra presunta vittima del festino sardo a casa di Grillo, R.M.. R. a precisa domanda riferisce quanto aveva appreso da S. al suo ritorno dalla vacanza scandinava: «L'episodio riguardava quando si trovava in Norvegia in campeggio e la violenza sarebbe stata commessa da un suo amico mentre dormiva. S. non denunciò l'episodio alle autorità». Intanto a Tempio Pausania si starebbe aggravando la posizione di alcuni indagati. Nonostante l'inchiesta sia stata chiusa a novembre 2020, proprio i nuovi dettagli impressi nei verbali degli indagati sembra che abbiano portato la Procura di Tempio Pausania a ridefinire i capi d'imputazione. In particolare i pm starebbero modificando il secondo, quello contestato a Ciro Grillo, Edoardo Capitta e Vittorio Lauria, che fa riferimento a una serie di foto o frame di video realizzati tutti nella stessa stanza, in cui si vedono a tratti due, a tratti tre ragazzi (in alcune foto, sfocate, non si distingue il volto dei giovani coinvolti), con i genitali scoperti, in un caso appoggiati sul capo dormiente della seconda presunta vittima, R. M.. A giudizio di alcune fonti verrà presto depositato in cancelleria un nuovo avviso di conclusione delle indagini preliminari. Per altri, invece, questa ipotesi sarebbe di difficile applicazione. Negli atti, come ha riferito l'Adnkronos, gli inquirenti parlerebbero anche di «schiaffi sulla schiena e sulle natiche» di S..Un altro duro colpo per i familiari della ragazza che ha denunciato: «Abbiamo appreso che frammenti (frammenti!) di video intimi vengono condivisi tra amici, come se il corpo di nostra figlia fosse un trofeo. Qualcosa che ci riporta a un passato barbaro che speravamo sepolto insieme alle clave». I frame potrebbero far parte del video ricostruito ieri dalla Verità in cui si vedono Grillo junior, Capitta e Lauria mentre hanno un rapporto sessuale di gruppo con S..I suoi genitori, attraverso l'avvocato Bongiorno, hanno fatto sapere anche che «non è facile rimanere in silenzio davanti alle falsità che si continuano a scrivere e a dire sul conto di nostra figlia, aggiungendo dolore al dolore: il nostro e il suo. D'altro canto, sarebbe fin troppo facile smentirle sulla base di numerosi atti processuali che sconfessano certe arbitrarie ricostruzioni e che, per ovvie ragioni, non possono essere resi pubblici. Confidiamo nel fatto che tutto questo fango sarà spazzato via facendo emergere la verità». E infine hanno aggiunto di aver conferito mandato al loro legale «di agire in sede giudiziaria contro tutti coloro che a qualsiasi titolo partecipano e parteciperanno a questo deplorevole tiro al bersaglio». Il clima giudiziario e politico su questa vicenda si sta davvero surriscaldando. Da parte loro le difese hanno deciso di ingaggiare un medico legale, Marco Salvi, per provare a valutare il tasso alcolemico della ragazza al momento dei presunti abusi. Una decisione presa quasi alla chiusura delle indagini. Ma perché gli avvocati e le famiglie dei ragazzi hanno deciso di muoversi con tanto ritardo? Per provare a capirlo bisogna riavvolgere il nastro dei ricordi di quasi due anni. Il 26 luglio 2019 S. sporge denuncia contro i suoi presunti stupratori. Il 29 agosto il procuratore di Tempio Pausania Gregorio Capasso fa sequestrare i cellulari degli indagati. Il 5 settembre 2019 gli avvocati portano Ciro & C. in Sardegna a rendere interrogatorio al buio. Infatti le parti in quel momento non conoscono nessun atto del procedimento. Perché i giovani hanno accettato di farsi sentire anziché avvalersi della facoltà di non rispondere? Si sentivano allora come oggi innocenti? O forse qualcuno gli aveva promesso un'indagine senza troppi scossoni? Del resto, i magistrati, non solamente non ne avevano chiesto l'arresto, ma, a loro volta, avevano convocato gli indagati senza aver visionato il contenuto dei cellulari. Infatti la Procura aveva fissato per il 24 settembre l'inizio delle operazioni tecniche, decisione che aveva lasciato perplessi gli investigatori. Dunque il 5 settembre, nel giorno del giuramento del secondo governo Conte, accusa e difesa si erano affrontate mostrando grande fiducia l'una nell' altra. La perizia del consulente è stata consegnata a fine gennaio 2020 con un po' di ritardo sulla tabella di marcia. Poi è scoppiato il Covid e il processo si è quasi inabissato per dieci mesi. Solo a novembre è arrivato, infatti, l'avviso di chiusura delle indagini, quando al governo c'era ancora Conte e Guardasigilli era ancora Alfonso Bonafede. Anche in questo caso gli avvocati non hanno ritenuto di cambiare atteggiamento. Nelle more del deposito degli atti, complicato da problemi tecnici, c'è stato il cambio di governo (premier Mario Draghi) e di ministro della Giustizia (Marta Cartabia). Solo a questo punto i legali, dopo aver preso visione di tutto il materiale probatorio, hanno deciso, come detto, di affidarsi a un consulente per verificare il reale stato fisico della presunta vittima al momento dei rapporti sessuali con i ragazzi. Quindi hanno tentato la carta disperata di un secondo interrogatorio. Infine Beppe Grillo è sbottato nell' ormai celebre video. Che cosa è cambiato dal settembre 2019 a oggi, oltre al Guardasigilli e al presidente del Consiglio, da consigliare un così radicale cambio di linea? Gli avvocati non sapevano quale fosse il contenuto dei cellulari? L'ex pm Luca Palamara, esperto di questioni politiche legate alla giustizia, attento osservatore di questo procedimento e in rapporti con Capasso («Ho sostenuto la sua nomina, come ho fatto per tanti altri magistrati presenti nelle mie chat»), attraverso La Verità, manda un messaggio a Grillo: «È chiaro che una politica giudiziaria incentrata sul giustizialismo e meno attenta ai diritti della difesa possa mostrare improvvisamente i suoi limiti».
Ciro Grillo, "schiaffi sulla schiena e sulle natiche della ragazza" vittima dello stupro. Giuseppe Filetto su La Repubblica il 28 aprile 2021. Si aggravano le accuse per alcuni indagati, tempi più lunghi per l'inchiesta. Emergono nuovi particolari dall'inchiesta per stupro a carico di Ciro Grillo, il figlio del Garante dei 5Stelle, e di altri tre suoi amici. Negli atti in mano alla Procura di Tempio Pausania gli investigatori avrebbero verbalizzato anche gli "schiaffi sulla schiena e sulle natiche" di Silvia (nome di fantasia), la ragazza che poi ha denunciato tutto ai carabinieri della Compagnia Duomo di Milano, al suo ritorno dalla Sardegna, una settimana dopo il presunto stupro di gruppo nella villa Beppe Grillo, a Porto Cervo, il 17 luglio del 2019. La giovane, con la mamma, otto giorni dopo si era presentata alla clinica Mangiagalli di Milano per farsi visitare, poi ha denunciato i quattro giovani della Genova bene: oltre Ciro Edoardo Capitta, Francesco Corsiglia e Vittorio Lauria. ll fascicolo, alla luce dei racconti che gli indagati hanno fornito il 15 aprile scorso al procuratore capo Gregorio Capasso e al sostituto Laura Bassani, si è arricchito di nuove informazioni, tra cui il video di cui parla Beppe Grillo nel su intervento diventato virale in cui dice che il figlio Ciro e gli altri ragazzi "non sono stupratori ma sono quattro co...i", e che "è strano che la ragazza abbia presentato la denuncia solo dopo otto giorni". Secondo quanto trapela da fonti giudiziarie della cittadina gallurese, il quadro indiziario sarebbe cambiato. Per alcuni in peggio, per qualcuno in meglio. Certo è che la Procura si è presa ancora un mese di tempo. Entro tale termine sarà depositato in cancelleria un nuovo avviso conclusione indagini preliminari (il 415 bis), un secondo avviso di garanzia. Poi gli avvocati avranno 20 giorni per (ri)chiedere ulteriori interrogatori o depositare nuove memorie difensive. Non ci si aspetta in tempi brevi alcuna richiesta di processo da parte della procura, né di archiviazione. E per il pronunciamento del giudice per l’udienza preliminare se ne parlerà in estate. La frenata giudiziaria si sarebbe resa necessaria appunto il 15 aprile scorso, dopo le dichiarazioni rese ai magistrati dai quattro. In particolare, Corsiglia (figlio di un noto cardiologo) assistito dal suo avvocato, avrebbe ribadito che intorno alle 6 del mattino del 17 luglio 2019 avrebbe avuto «un rapporto sessuale consenziente» con Silvia, la italo-svedese. Prima che questa bevesse una bottiglia di vodka: «Senza costrizione, ma per sfida, per dimostrare che era in grado di reggere l’alcol», ha dichiarato Lauria. Il sesso di gruppo sarebbe avvenuto dopo le 9 del mattino, con la ragazza ubriaca. E per stabilire quanto fosse in stato di ebrezza o invece capace di intendere e di volere, Beppe Grillo ha ingaggiato un medico legale, Marco Salvi. Inoltre, avrebbe chiesto «un’indagine conoscitiva sulla vita della ragazza». E Corsiglia non avrebbe partecipato allo stupro di gruppo: «Dopo aver fatto sesso, sono andato a dormire», ha precisato ai pm. L’altro capo di imputazione è la violenza sessuale ai danni di Roberta: Ciro, Capitta e Lauria si sono immortalati mentre la oltraggiavano quando dormiva. Quella foto è stata mostrata ad altri amici.
Estratto dell'articolo di Paolo Berizzi per la Repubblica il 28 aprile 2021. Nella stanza di Silvia ci sono: un letto matrimoniale alla francese - dove dormivano lei e Roberta (i nomi sono di fantasia) - un altro letto singolo, un armadio bianco a due ante e un mobiletto con sopra la tv e alcuni libri. […] Una delle due bici. Silvia, alle quattro del pomeriggio del 17 luglio 2019, la prende per andare nella farmacia del paese a comprare la pillola del giorno dopo. «In due anni ho visto passare centinaia di clienti, ma quell' immagine ce l'ho stampata negli occhi: quando sono rientrate Silvia e Roberta avevano in mano le scarpe col tacco, la faccia stravolta […]», dice Daniele Ambrosiani. Quarantacinque anni, […] titolare di B&b più intervistato d'Italia. […] Sedici e 17 luglio 2019 ingranditi a ritroso. Adesso. Ripercorriamo la mappa, i posti, le persone di quei due giorni di inferno […] Il paradiso dei surfisti a due passi dal B&b. E a due passi è anche la farmacia Nicolai […]Stando al racconto che Silvia ha fatto ai magistrati, la pillola del giorno dopo è il passaggio che la ragazza fa quando si riprende dopo la notte delle presunte violenze sessuali di gruppo a casa Grillo. […] Casa Grillo. Al Pevero Golf Club di Cala di Volpe, in questi giorni, è calata un'omertà tipo Piana di Gioia Tauro. Tentativi di depistaggio («no, non è qua la casa!)», pareti di gomma («che cosa è successo?»). Eccola, la casa. Nel complesso esclusivo del golf di Porto Cervo bisogna scendere giù, dopo le ville, dopo la clubhouse. Il teatro del festino organizzato da Ciro Grillo e dai suoi tre compagni […] è quella terrazza con affaccio sul campo da golf. […] Erano arrivati qui tutti belli su di giri dal Billionaire alle 5 del mattino: Ciro, Francesco, Vittorio, Edoardo, e Silvia e Roberta. Il resto è storia da aula giudiziaria. […]
Ciro Grillo, "la ragazza presa a schiaffi". Ma quel video di 20 secondi potrebbe aiutare gli accusati: ecco cosa si vede. Francesco Specchia su Libero Quotidiano il 29 aprile 2021. Ora spuntano nuovi particolari sul video, perno - pare - dell'impianto accusatorio. Poco più di venti secondi in stile porno casareccio tra immagini sghembe, risate sguaiate e sesso torrido a quattro. In cui affiorano dubbi sulla correità dello strupro di gruppo e si mescolano a quelli sulla reale natura del rapporto, se non consenziente, «non del tutto passivo», parte di una "normale" gang-bang (in italiano, orgia) tra gente adulta e vaccinata. Mah. Nella storiaccia di sesso e ferocia (etica, mediatica, politica, finanche giudiziaria) raccontata sul caso di Ciro Grillo e dei suoi tre amici accusati di essersi accaniti sul corpo della ragazza italo norvegese, adesso emergono nuovi fotogrammi e particolari del filmino girato la notte della presunta violenza. Il cui contenuto comprenderebbe l'orgia suddetta in cui Ciro Grillo, figlio di Beppe, Edoardo Capitta e Vittorio Lauria, tre dei «quattro coglioni col pisello di fuori» si spalmano su Silvia. E le si avvinghiano addosso mentre lei pratica un rapporto orale a uno dei ragazzi e uno manuale contemporaneamente proprio al giovane che gira il video. Laddove l'impressione sarebbe di «complicità massima», specie a detta di un'amica di Ciro Grillo; la quale amica, dopo aver visionato le immagini, ospite in tv da Massimo Giletti, si è sentita in dovere di commentare. Altri, come il medico legale Marco Salvi, incaricato dalle parti della perizia, affermano invece che se costretti «si può sottostare a qualsiasi condizione»; e si chiedono se «Silvia ha accettato il rapporto per paura del branco?»; e indagano l'elemento processuale del "vizio di consenso" dovuto probabilmente all'idea che la ragazza fosse strafatta di Vodka.
TRISTE E BRUTALE. Comunque sia, il video, oltre che brutale, è di una tristezza infinita. E, ovviamente ha prodotto l'altra notizia della giornata, nell'attesa della richiesta di un rinvio a giudizio degli indagati data per certa ma che ancora tarda ad arrivare, con la difesa che punterebbe, nel caso, al rito abbreviato. Ma l'altra notizia - si diceva - è la reazione che proprio la divulgazione del suddetto video ha suscitato nei genitori di Silvia. I quali, esasperati, sfogano la loro rabbia in un comunicato affidato al loro legale, Giulia Bongiorno, dopo giorni e giorni di silenzio e dopo aver letto e sentito ogni genere di narrazione sul conto della ragazza. «Non è facile rimanere in silenzio davanti alle falsità che si continuano a scrivere e a dire sul conto di nostra figlia, aggiungendo dolore al dolore». Ora, per rimanere freddi, la situazione s'ingarbuglia ancora di più. È una matassa oscena di fatti, atti e testimonianze la cui interpretazione ognuna delle parti in causa - difesa, accusa, parti civili - dovrà presentare dinnanzi al giudice. Ci sono i segni della violenza sulla schiena della ragazza ma anche l'accenno a "preservativi da comprare" (o pillola del giorno dopo che sia); ci sono la violenta presa per i capelli e lo strappo della biancheria intima e l'orgia a beneficio della telecamera; c'è la denuncia dopo otto giorni ma pure il diritto di avere il tempo psicologico e giuridico per elaborare l'abuso del corpo e l'orrore della violenza. Ed emergono, via via che il caso si dipana, le descrizioni ora della vittima di una gang di violentatori animaleschi; ora il ritratto di una ragazza dagli insaziabili desideri sessuali che contrasta con quello dipinto invece dai genitori, dagli amici e da chi Silvia la conosce bene.
ELEMENTI DEL DRAMMA. «Una persona serissima, studiosa, educata, senza eccessi», «una che in settimane di vacanze è uscita la prima volta proprio quella sera lì e che sembrava timorata di Dio», per dirla con le frasi del gestore del bed & breakfast dove Silvia alloggiava. Una che il giorno dopo «non sembrava più la stessa persona, era triste, cambiata». Tutti gli elementi del dramma qui si mescolano. E sfociano, alla fine, nell'invettiva rabbiosa di Grillo che - come ha scritto Filippo Facci su queste colonne - rendendo al caso dimensione nazionale «ha eliminato ogni possibile sfumatura rispetto a comportamenti che di sfumature possono averne. Non è che esista solo lo stupro brutale o il più assoluto consenso». Insomma, questa faccenda è talmente incasinata, è talmente una pericolante camminata sulle uova del giudizio e del pregiudizio che perfino i magistrati hanno deciso di prendere tempo.
Estratto dell'articolo di Giu.Sca per "il Messaggero" il 29 aprile 2021. Sull' inchiesta che coinvolge il figlio di Beppe Grillo, Ciro Grillo e suoi 3 amici accusati di aver violentato una 19enne, il 17 luglio del 2019 a Porto Cervo in Sardegna, nella villa del fondatore dei 5Stelle, interviene anche il Garante della Privacy. L'intervento dell'Authority non riguarda l'indagine della procura di Tempio Pausania, ma il video, agli atti dell'inchiesta, che documenterebbe lo stupro. Un filmato che rischierebbe di divenire virale e arrecare altri danni alla 19enne, giovane vittima. Frammenti di riprese che «girano tra amici come un trofeo» e che hanno portato la famiglia della studentessa di Milano a rompere il silenzio. […] «Abbiamo appreso - hanno scritto i genitori della ragazza - che frammenti di video intimi vengono condivisi tra amici, come se il corpo di nostra figlia fosse un trofeo: qualcosa che ci riporta a un passato barbaro che speravamo sepolto. Confidiamo nel fatto che tutto questo fango sarà spazzato via facendo emergere la verità. Abbiamo dato mandato al nostro legale di agire in sede giudiziaria contro tutti coloro che a qualsiasi titolo partecipano a questo deplorevole tiro al bersaglio». Il Garante ha così ricordato «che chiunque diffonda tali immagini compie un illecito, suscettibile di integrare gli estremi di un reato […] […] Gli investigatori, subito dopo la denuncia della ragazza, sentono decine di testimoni. Tra questi anche l'istruttrice con cui la presunta vittima fece lezione il pomeriggio del 17 luglio, il giorno stesso del presunto stupro. L'istruttrice sostituiva il collega con il quale si era allenata nei giorni precedenti. «Mi è sembrata vivace ed estroversa», ha detto agli inquirenti. «Quando ci siamo presentate - si legge nei verbali - mi è apparsa come una ragazza solare, vivace, estroversa. Quando è terminata la lezione era molto felice e soddisfatta della sua performance sportiva». L'istruttrice è stata sentita dagli investigatori subito dopo la denuncia della giovane, così come sono stati ascoltati tanti altri che però hanno raccontato di un cambiamento di umore nella diciannovenne. L'insegnante ha anche escluso che la ragazza fosse sotto effetto di alcol. «Se avessi avuto la sensazione» di una persona poco lucida «non le avrei fatto fare la lezione, non sarebbe stato sicuro». […]
Estratto dell'articolo di Niccolò Zancan per "la Stampa" il 29 aprile 2021. […] I genitori della ragazza che ha denunciato di essere stata stuprata all' alba del 17 luglio 2019 in Costa Smeralda dal figlio del fondatore del Movimento 5Stelle Ciro Grillo e dai suoi amici Francesco Corsiglia, Edoardo Capitta e Vittorio Lauria per la prima volta hanno deciso di parlare. […] «Non è facile rimanere in silenzio davanti alle falsità che si continuano a scrivere e a dire sul conto di nostra figlia, aggiungendo dolore al dolore: il nostro e il suo. D' altro canto, sarebbe fin troppo facile smentirle sulla base di numerosi atti processuali che sconfessano certe arbitrarie ricostruzioni e che, per ovvie ragioni, non possono essere resi pubblici. Abbiamo appreso, inoltre, che frammenti - frammenti! - di video intimi vengono condivisi tra amici, come se il corpo di nostra figlia fosse un trofeo: qualcosa che ci riporta a un passato barbaro che speravamo sepolto insieme alle clave». […] Ora si aggiungono altri particolari contenuti nelle carte dell'inchiesta: «Schiaffi sulla schiena e sulle natiche». Così come sono agli atti certe frasi pubblicate da Ciro Grillo molto prima di quella notte, quando sul suo profilo Instagram aveva scritto in tutt' altro contesto: «Ti stupro bella bambina attenta». […] Ieri nella villa di Sant' Ilario, a Genova, sono venuti a pranzo quattro amici. I giardinieri pulivano il parco. Nessuno aveva più voglia di commentare. «Non rilascio dichiarazioni» ripetevano tutti. […]
Estratto dell'articolo di Giusi Fasano per il "Corriere della Sera" il 29 aprile 2021. Hanno provato a tenere un profilo basso, a scomparire dai radar. Ma «non è facile rimanere in silenzio davanti alle falsità che si continuano a scrivere e a dire sul conto di nostra figlia», hanno fatto sapere ieri la madre e il padre di Silvia. […] «Abbiamo appreso che frammenti (frammenti!) di video intimi vengono condivisi tra amici, come se il corpo di nostra figlia fosse un trofeo: qualcosa che ci riporta a un passato barbaro che speravamo sepolto insieme alle clave». […] Condivisi fra chi? Probabile che il riferimento sia a una ragazza che conosce gli indagati e che (intervistata da «Non è l'Arena») ha detto, in sostanza, che «sì, nel video si vede che lei è consenziente». Domanda: e tu come lo sai? Risposta: «L'ho visto». Il che sarebbe un reato oltre che una violazione amministrativa sulla privacy, poiché «chiunque diffonda tali immagini compie un illecito», come ricorda proprio il Garante della privacy. […]
Caso Ciro Grillo, i genitori della presunta vittima: "Condiviso video col corpo di nostra figlia come un trofeo”. Le Iene News il 28 aprile 2021. I genitori della ragazza che ha denunciato il figlio di Beppe Grillo e tre amici per violenza sessuale scrivono una lettera: “Si continuano a scrivere e a dire falsità sul conto di nostra figlia aggiungendo dolore al dolore”. Noi de Le Iene vi abbiamo appena raccontato in onda le polemiche politiche seguite a un video in cui il fondatore del Movimento 5 stelle difende il figlio. Roberta Rei e Marco Occhipinti hanno chiesto un parere a Rocco Casalino, che si è smarcato dalle sue parole.
“Falsità su nostra figlia”: rompono il silenzio i genitori della ragazza 19enne che denuncia di esser stata violentata da Ciro Grillo e tre suoi amici. Dopo giorni di polemiche, riaccese anche dal video pubblicato da Beppe Grillo in difesa del figlio, il padre e la madre della ragazza sono intervenuti con una lettera affidata al loro legale, l’ex ministra leghista Giulia Buongiorno. “Non è facile rimanere in silenzio davanti alle falsità che si continuano a scrivere e a dire sul conto di nostra figlia, aggiungendo dolore al dolore: il nostro e il suo”, scrivono i genitori della ragazza, come riportano varie fonti giornalistiche. “D’altro canto, sarebbe fin troppo facile smentirle sulla base di numerosi atti processuali che sconfessano certe arbitrarie ricostruzioni e che, per ovvie ragioni, non possono essere resi pubblici”. E poi ancora: “Abbiamo appreso, inoltre, che frammenti (frammenti!) di video intimi vengono condivisi tra amici, come se il corpo di nostra figlia fosse un trofeo: qualcosa che ci riporta a un passato barbaro che speravamo sepolto insieme alle clave”. Infine “confidiamo nel fatto che tutto questo fango sarà spazzato via facendo emergere la verità. Abbiamo dato mandato al nostro legale di agire in sede giudiziaria contro tutti coloro che a qualsiasi titolo partecipano a questo deplorevole tiro al bersaglio”. Noi de Le Iene ci siamo occupati del caso politico scoppiato dopo la pubblicazione del video di Beppe Grillo in difesa del figlio, nel servizio di Roberta Rei e Marco Occhipinti che potete vedere qui sopra. Il video del Movimento 5 Stelle ha provocato forti polemiche.
Tra le varie cose dette dal fondatore del Movimento 5 Stelle, alcuni passaggi commentano il comportamento della presunta vittima: “Si vede che c’è la consenzientità si vede che c’è il gruppo che ride che sono ragazzi di 19 anni che si stanno divertendo, che sono in mutande, con il pisello così perché sono quattro coglioni non quattro stupratori”. E poi ancora: ”Non è vero niente che c’è stato lo stupro, non c’è stato niente. Perché una persona che viene stuprata la mattina al pomeriggio va in kitesurf e dopo 8 giorni fa la denuncia, vi è sembrato strano”. Come detto le parole di Grillo hanno causato forti polemiche politiche, con noti esponenti 5 Stelle che hanno preso le distanze dal fondatore. Tra questi anche Giuseppe Conte, leader in pectore del Movimento. Tra i pochi a difenderlo l’ex ministro delle Infrastrutture e Trasporti Danilo Toninelli, che ha attacco l’avvocatessa della famiglia della presunta vittima: “Vada a parlare con la Bongiorno che è senatrice della Lega che difende che difende i genitori, secondo lei non c’è quantomeno un senso di schifosa inopportunità in tutto questo?”. C’è chi si è chiesto perché Beppe Grillo abbia pubblicato quel video, e una fonte autorevole all’interno del M5S ci ha confidato il sospetto che il fondatore abbia potuto subire delle pressioni e dei condizionamenti legati alla situazione del figlio. C’è chi pone l’attenzione sui tempi così lunghi delle indagini - circa un anno e nove mesi - e su cosa sarebbe successo nel frattempo nel mondo della politica italiana. È il caso del famoso giornalista Paolo Mieli, che ospite a Cartabianca su Rai3 dice: “La cosa strana ripeto, è che la cosa arriva un anno e mezzo dopo, durante i quali lui prima è stato decisivo per fare il governo Conte Bis, quell’estate stessa, e poi il Governo Draghi”. E Mieli aggiunge: “Dico che qualcuno l’ha indotto a credere che comportandosi bene la cosa non sarebbe mai arrivata davanti a un giudice”. Di tutto questo noi siamo andati a parlare con Rocco Casalino, storico portavoce del Movimento 5 stelle, che si è smarcato dalle dichiarazioni di Grillo: “Io non avrei detto quelle cose”, ci ha confidato Casalino. E sul fatto che e donne che denunciano poi durante il processo diventano imputate, cioè questa colpevolizzazione delle vittime, l’ex portavoce ci ha detto: “Allora, credo effettivamente che ci sia una visione maschilista in casi come questo per cui spesso si cerca di dare la colpa alle donne, e questa è una cosa che va superata”.
LE TAPPE DELLA NOTTATA DEL PRESUNTO STUPRO DI GRUPPO. Giuseppe Filetto per repubblica.it il 29 aprile 2021. Emergono nuovi particolari dall'inchiesta per stupro a carico di Ciro Grillo, il figlio del Garante dei 5Stelle, e di altri tre suoi amici. Negli atti in mano alla Procura di Tempio Pausania gli investigatori avrebbero verbalizzato anche gli "schiaffi sulla schiena e sulle natiche" di Silvia (nome di fantasia), la ragazza che poi ha denunciato tutto ai carabinieri della Compagnia Duomo di Milano, al suo ritorno dalla Sardegna, una settimana dopo il presunto stupro di gruppo nella villa Beppe Grillo, a Porto Cervo, il 17 luglio del 2019. La giovane, con la mamma, otto giorni dopo si era presentata alla clinica Mangiagalli di Milano per farsi visitare, poi ha denunciato i quattro giovani della Genova bene: oltre Ciro Edoardo Capitta, Francesco Corsiglia e Vittorio Lauria. Il fascicolo, alla luce dei racconti che gli indagati hanno fornito il 15 aprile scorso al procuratore capo Gregorio Capasso e al sostituto Laura Bassani, si è arricchito di nuove informazioni, tra cui il video di cui parla Beppe Grillo nel su intervento diventato virale in cui dice che il figlio Ciro e gli altri ragazzi "non sono stupratori ma sono quattro co...i", e che "è strano che la ragazza abbia presentato la denuncia solo dopo otto giorni". Secondo quanto trapela da fonti giudiziarie della cittadina gallurese, il quadro indiziario sarebbe cambiato. Per alcuni in peggio, per qualcuno in meglio. Certo è che la Procura si è presa ancora un mese di tempo. Entro tale termine sarà depositato in cancelleria un nuovo avviso conclusione indagini preliminari (il 415 bis), un secondo avviso di garanzia. Poi gli avvocati avranno 20 giorni per (ri)chiedere ulteriori interrogatori o depositare nuove memorie difensive. Non ci si aspetta in tempi brevi alcuna richiesta di processo da parte della procura, né di archiviazione. E per il pronunciamento del giudice per l’udienza preliminare se ne parlerà in estate. La frenata giudiziaria si sarebbe resa necessaria appunto il 15 aprile scorso, dopo le dichiarazioni rese ai magistrati dai quattro. In particolare, Corsiglia (figlio di un noto cardiologo) assistito dal suo avvocato, avrebbe ribadito che intorno alle 6 del mattino del 17 luglio 2019 avrebbe avuto «un rapporto sessuale consenziente» con Silvia, la italo-svedese. Prima che questa bevesse una bottiglia di vodka: «Senza costrizione, ma per sfida, per dimostrare che era in grado di reggere l’alcol», ha dichiarato Lauria. Il sesso di gruppo sarebbe avvenuto dopo le 9 del mattino, con la ragazza ubriaca. E per stabilire quanto fosse in stato di ebrezza o invece capace di intendere e di volere, Beppe Grillo ha ingaggiato un medico legale, Marco Salvi. Inoltre, avrebbe chiesto «un’indagine conoscitiva sulla vita della ragazza». E Corsiglia non avrebbe partecipato allo stupro di gruppo: «Dopo aver fatto sesso, sono andato a dormire», ha precisato ai pm. L’altro capo di imputazione è la violenza sessuale ai danni di Roberta: Ciro, Capitta e Lauria si sono immortalati mentre la oltraggiavano quando dormiva. Quella foto è stata mostrata ad altri amici.
Giusi Fasano per il "Corriere della Sera" il 29 aprile 2021. Nelle carte dell'inchiesta di Tempio Pausania sul caso Grillo ci sono anche «schiaffi sulla schiena e sulle natiche» di cui racconta Silvia, la ragazza che ha denunciato la violenza sessuale di gruppo. I quattro ragazzi contro i quali lei punta il dito hanno sempre parlato di consenso: nessuna violenza, lei era consapevole di quello che faceva - dicono - la notte fra il 16 e il 17 luglio 2019, quando Silvia e la sua amica Roberta finirono nell'appartamento che i ragazzi avevano affittato per l'estate accanto alla villetta di Grillo senjor. Ci andarono che erano le cinque del mattino, dopo la prima parte della notte passata al Billionaire di Briatore, dove si erano conosciuti. «Una spaghettata e poi vi riportiamo a casa» avevano promesso i ragazzi. Ma dopo gli spaghetti Silvia racconta di essere stata violentata da uno dei quattro, Francesco Corsiglia, mentre Roberta dice di essersi buttata sul divano a dormire. Nel racconto dei ragazzi c'è anche un tentativo di approccio sessuale con Roberta «che però rifiuta e li caccia», è la tesi dei difensori di Ciro junior, Edoardo Capitta e Vittorio Lauria. Tutto questo mentre - è la versione dei ragazzi - Silvia è «appartata» con Francesco («mi stava violentando», dice lei). Lui nega tutto, racconta di un rapporto consenziente dopo il quale si è addormentato profondamente. A quel Punto Silvia sarebbe uscita con gli altri tre a prendere delle sigarette. E (dice la sua versione) al ritorno è successo il peggio: stuprata da tutti e tre dopo essere stata presa per i capelli, costretta a bere vodka e ridotta all' incapacità di difendersi. Della violenza esiste un breve filmato ed esistono anche delle fotografie a sfondo sessuale che i tre scattano accanto a Roberta che dorme. Le foto vicino a Roberta sono diventate un'altra accusa per violenza di gruppo ma nei loro recenti interrogatori in Procura i ragazzi provano a rovesciare la prospettiva. Perché si sarebbero semplicemente arresi a Roberta che li ha respinti se è vero che sono stati così violenti con Silvia?, hanno ragionato con i loro legali. La violenza contro Roberta è nelle azioni sessuali che si vedono nelle foto mentre lei dorme e, interrogati, loro hanno chiarito dettagli finora non spiegati di quelle immagini. Motivo per cui la Procura ridefinirà i capi di imputazione e la condotta di ciascuno. Allungando inevitabilmente i tempi per la richiesta di rinvio a giudizio.
La foto choc della notte con Grillo&Co: "Genitali sulla testa della ragazza". Luca Sablone il 29 Aprile 2021 su Il Giornale. Si aggravano le accuse per alcuni, in particolare per le foto dei giovani nudi con la ragazza: "Genitali scoperti appoggiati sul capo dormiente dell'amica". Si allungano i tempi dell'inchiesta relativa al caso Ciro Grillo. Come riferito dall'Adnkronos, il Procuratore di Tempio Pausania, Gregorio Capasso, è al lavoro per ridefinire il capo di imputazione su alcuni degli indagati. Sarebbe infatti cambiata la posizione di alcuni dei quattro componenti del gruppetto, per i quali in queste ore si starebbero ridefinendo i capi di imputazione. Nello specifico sarebbe stato modificato il secondo, ovvero quello che riguarda una serie di foto "in cui si vedono a tratti due, a tratti tre ragazzi, con i genitali scoperti appoggiati sul capo della seconda ragazza, R.M, amica di S.J., che dorme". In alcune immagini, sfocate, non si riuscirebbe a individuare con precisione il volto dei giovani coinvolti. Gli inquirenti smentiscono "una nuova indagine" ma i nuovi capi di accusa fanno parte sempre dello stesso fascicolo. Ve ne avevamo già parlato a novembre 2020, quando sui giornali venivano svelati i contenuti del fascicolo giudiziario relativo alla vicenda che ha coinvolto il figlio del fondatore del Movimento 5 Stelle e suoi tre amici. A smarcarsi di recente è stato Francesco Corsiglia, uno degli amici di Ciro Grillo: "Ho avuto un rapporto consenziente con S.J., eravamo solo io e lei, poi mi sono addormentato. Di ciò che è successo dopo io non so niente". Il dettaglio sull'ora in cui avrebbe preso sonno lo potrebbe collocare fuori dal rapporto sessuale di gruppo. Va inoltre considerato un ulteriore aspetto: pare che Corsiglia non compaia nelle foto e nei video di quella notte. Nel frattempo il procuratore Capasso e la pm Laura Bassani sono tornati al lavoro per ridefinire gli ultimi eventi, tra interrogatori e indagini difensive presentate dai legali. Tra queste però, al momento, non vi sarebbe la consulenza del medico legale Marco Salvi, incaricato per far luce sulle dichiarazioni della studentessa italo-norvegese che accusa Ciro Grillo e gli altri ragazzi di stupro di gruppo nei suoi confronti. L'esperto, che in passato si è occupato del serial killer Donato Bilancia e dell'omicidio di Carlo Giuliani durante il G8, ha chiarito che il suo lavoro sarà fatto sulle carte e che dunque non dovrà periziare la ragazza: "Con a disposizione gli atti dell’indagine, la documentazione, le testimonianze ed eventuali certificazioni sanitarie, il mio compito sarà cercare di capire, dal punto di vista medico legale, le sue condizioni psicofisiche al momento del fatto". Relazione che tuttavia, sempre secondo l'Adnkronos, non sarebbe ancora arrivata sul tavolo della procura di Tempio Pausania.
Le carte su Grillo Jr: "Schiaffi sulle natiche". Federico Garau il 28 Aprile 2021 su Il Giornale. La procura della Repubblica di Tempio Pausania si è presa un ulteriore mese di tempo per valutare al meglio il quadro indiziario dopo gli interrogatori e le nuove prove emerse. Si aggiungono nuovi dettagli sulla vicenda del presunto stupro di gruppo per il quale risultano indagati il figlio di Beppe Grillo Ciro ed altri tre suoi amici.
Nel fascicolo in possesso della procura della Repubblica di Tempio Pausania si fa riferimento ad altri particolari riferiti dagli investigatori, compresi gli "schiaffi sulla schiena e sulle natiche" inferti dai quattro protagonisti della vicenda alla vittima. Quest'ultima, una ragazza italo-svedese, ha deciso di denunciare quanto subito solo una volta rientrata a casa dalla Sardegna, più o meno una settimana dopo i fatti avvenuti all'interno della villa di Porto Cervo di proprietà del padre putativo del Movimento CinqueStelle (17 luglio 2019). Prima la visita medica, svolta presso la clinica Mangiagalli, quindi la denuncia ai carabinieri della Compagnia Duomo di Milano. Da quel momento erano scattate le indagini ai danni dei quattro ragazzi genovesi: oltre a Ciro Grillo, sono stati iscritti nel registro degli indagati anche Francesco Corsiglia, Edoardo Capitta e Vittorio Lauria. Oltre alle dichiarazioni dei diretti interessati, gli inquirenti hanno potuto raccogliere ulteriori prove sulla vicenda, compreso il famoso video di cui ha parlato lo stesso Beppe Grillo durante l'intervento effettuato sui social in difesa del figlio. Dichiarazioni che avevano suscitato roventi polemiche anche in ambito politico, e che continuano tuttora a creare forte imbarazzo tra gli stessi grillini. Con le nuove prove di cui è entrata in possesso, la Procura della Repubblica ha deciso di prendere un ulteriore mese di tempo per rivalutare il quadro indiziario: entro il termine prestabilito dovrà essere depositato in cancelleria un nuovo avviso di conclusione delle indagini preliminari, con un secondo avviso di garanzia, A questo punto i legali dei quattro indagati avranno a disposizione ulteriori 20 giorni per depositare le proprie memorie difensive ed eventualmente richiedere altri interrogatori. Le stesse dichiarazioni rilasciate dagli indagati il 15 aprile scorso sono al vaglio degli inquirenti. Francesco Corsiglia avrebbe rivelato di aver avuto un "rapporto sessuale consenziente" con la vittima alle ore 6:00 del mattino del 17 luglio 2019, pertanto prima che la giovane italo-svedese bevesse una bottiglia di vodka. Anche il bere sarebbe avvenuto senza che vi fosse alcuna forzatura: "Senza costrizione, ma per sfida, per dimostrare che era in grado di reggere l’alcol", avrebbe dichiarato Vittorio Lauria, come riferito da Repubblica. Verso le 9 del mattino, e con la vittima completamente ubriaca, sarebbe invece avvenuto il sesso di gruppo, al quale non avrebbe partecipato invece Corsiglia: "Dopo aver fatto sesso, sono andato a dormire".
Lo stesso Beppe Grillo ha ingaggiato un medico legale per appurare quale fosse il grado di ebbrezza della vittima e chiarire se fosse o meno capace di intendere e volere, e richiesto inoltre una "indagine conoscitiva sulla vita della ragazza".
Ciro Grillo, Filippo Facci e l'sms inviato dalla ragazza dopo la presunta violenza: "Ho fatto un'altra caz***".
Filippo Facci su Libero Quotidiano il 28 aprile 2021. Bel casino davvero: pare che siamo qui a commentare una sentenza (e già le sentenze non si dovrebbero commentare) e invece la sentenza non solo non c'è, ma non c'è neanche il processo, e neanche il rinvio a giudizio, e neanche la richiesta di rinvio a giudizio, e neanche una posizione univoca tra indagati (i quattro ragazzi) e la denunciante (la ragazza) i quali dovete ficcarvelo nel cranio: sono tutti dei «presunti» qualcosa, non c'è niente di assodato, niente, non è il processo a Genovese dove c'erano 37 telecamere e una confessione, potrebbero anche essere tutti innocenti o tutti colpevoli di qualcosa che non abbiamo voglia di capire o concepire. I giudici servono, e andrebbero selezionati, per conoscere la legge e interpretarla con umanità e intelligenza: altrimenti basterebbero dei software in cui inserire degli schedari. Bisogna avere il coraggio di dirlo, anche se non è l'epoca adatta: uno stupro può essere un'opinione. Anche con noi stessi. E gli altri, e noi? Tutti a buttare in politica lo sfogo di Grillo (perché siamo dei malati) che a sua volta non ha retto la terribile tensione di un'indagine in cui tutto procedeva in maniera incredibilmente normale: tutti a cercare significati reconditi, addirittura a giustificare l'esistenza di un governo solo per via della spada di Damocle che il processo rappresentava (persino Vittorio Sgarbi ogni tanto può dire una cazzata) e tutti a complicarsi la vita scegliendo proprio l'avvocato leghista Giulia Bongiorno come legale della famiglia della ragazza ma anche di Matteo Salvini in altro processo: la stessa Bongiorno della quale tutti hanno lodato la discrezione prima che cominciasse a straparlare anche lei. Perché non è vero che è stata zitta: intanto ha chiamato «imputati» dei semplici indagati, dopodiché è andata in tv, a «Zona Bianca» e a «L'aria che tira» a buttarla in politica e in caciara pure lei.
Silenzio mica tanto - Insomma, silenzio mica tanto: la sfilata in tv è cominciata, e diranno che è colpa di Grillo (Beppe) anche quella. Sui giornali qualcosa è uscito, una sorta di calvario subito dalle ragazze: ed è totalmente da escludere - fidatevi - che possa aver avuto un ruolo il primo avvocato della ragazza prima che le subentrasse la Bongiorno, Laura Panciroli dello studio Ichino: una che, se glielo chiedi, non ti dice neanche che ore sono. Cordialmente, ha fatto notare informalmente allo scrivente solo questo: «Tenga conto che tutta l'attività di indagine viene a conoscenza delle parti solo dopo l'avviso di chiusura delle stesse. Il dato temporale, dunque, deve tener conto di questo aspetto». Non ha detto niente. Ha detto tutto. La versione della ragazza («mi hanno stuprata tutti») è uscita sulla stampa di sabato scorso, dopo la chiusura delle indagini: e dopo la reazione di Grillo: e l'autore finge palesemente di aver aver letto il fascicolo delle indagini per depistare dalla sua fonte. In sostanza si descrive univocamente la versione dello stupro progressivo e catalizzato dall'alcol, il tutto in un clima difficile da comprendere (per noi) dove tra uno stupro e l'altro si parla, si va a comprare le sigarette, ci si dondola sul gazebo, e il giorno dopo si va a comprare - lei - la pillola del giorno dopo e si fa lezione di kite surfing. Lei comunque è turbata, non è soddisfatta e andrà a denunciare otto giorni più tardi, come gli altri a un certo punto vengono a sapere.
Sfumature - Poi, ancora dopo la versione di Grillo, c'è l'uscita televisiva di uno degli accusati Vittorio Lauria che maledice il video di Beppe che a suo dire ha ingigantito tutto, ha eliminato ogni possibile sfumatura rispetto a comportamenti che di sfumature possono averne. Non è che esista solo lo stupro brutale o il più assoluto consenso. Non è che a determinare tutto sia sempre la forza bruta rispetto alla costrizione assoluta. Non è che l'alcol renda dei gorilla tutti gli uomini e delle ninfe tutte le donne. E non è che non ci si possa semplicemente pentire di aver ceduto a dei comportamenti (forzati, insistiti, certamente) quando il sole risorge e la sbornia svanisce. Non è che non possa accadere che tu vada a casa di ragazzi perché te ne piace uno solo (il primo) e però poi finisca in un modo che nessuno ha voluto o saputo frenare. Non è che dopo una nottata passata da cinque giovanissimi marziani che non conosciamo (e dove i due sessi forse non appaiono così diversi tra loro, generazionalmente, da come invece appaiono a noi) una persona non possa riuscire a fare kite surfing o la sera tornare in discoteca. Sarà capitato a molti di risvegliarsi in letti in cui non ricordano come sono capitati. Sarà capitato a molti, magari, di provare una situazione sgradevole e di pentirsi con ancora il saporaccio dell'alcol in bocca. Secondo un accusato lei avrebbe messaggiato a delle amiche: «Ho sbagliato un'altra volta ho fatto un'altra cazzata». È andata così? Ecco: non-lo-sappiamo. Non sappiamo niente. E i processi si fanno anche per questo: ma non dal divano di casa. Tutto è possibile: che uno sia stato uno stupro e un altro no, due no e due sì, tutti e quattro sì, tutti e quattro no, tutti e quattro sì a senza neppure accorgersene, dai rispettivi fronti, se non il giorno dopo. O due. O tre.
La legge lo consente - Così, come al mercato, anche in tribunale si spara un prezzo alto o basso per cercare di mediare. Beppe Grillo ha incaricato un esperto in medicina legale piuttosto noto per cercare di capire le condizioni psicofisiche della ragazza al momento del fatto. La legge lo consente. Sono le odiosissime sfumature che gli interessano: capire quanto ha bevuto, quanto influito, se fosse davvero incapace di difendersi. Si parla tanto di un breve video che proverebbe complicità tra tutti gli attori: lo decideranno i giudici. Così come decideranno se abbia voluto bere vodka o l'abbiano costretta, o se abbiano fatto una gara. Si parla anche di uno dei quattro ragazzi che avrebbe scaricato gli altri perché a un certo punto - dice - lui si è addormentato dopo aver avuto un rapporto condiviso con la ragazza. Normale. Quello che sarà più difficile da comprendere o da ammettere, per noi tutti, è che un rapporto sessuale tra quattro ragazzi e una ragazza possa esser stato uno stupro o anche qualcosa di condiviso, consenziente. Quest' ultima cosa non fa parte della nostra cultura: ma della loro sì. I maschi possono ammetterlo già ora (se non mentono) ma lei avrebbe difficoltà, e il maschilismo anno 2021 è tutto qui. Ieri sera comunque è circolata notizia che gli indagati potrebbero chiedere un rito abbreviato, che consente uno sconto di pena fino a un terzo e sostanzialmente dà ragione alle tesi dell'accusa. Ma non sono tutti d'accordo: per esempio quello che dormiva.
Grillo, nella prima denuncia di Silvia ignorati le foto e il video dello stupro. Giuseppe Filetto il 30 aprile 2021. Ancora una stranezza, quantomeno una cosa da spiegare e sulla quale a quanto pare stanno facendo approfondimenti gli investigatori, emerge dall'inchiesta sullo stupro e la violenza sessuale ai danni di due ragazze milanesi da parte di Ciro Grillo, figlio del Garante dei 5Stelle, e di tre suoi amici della Genova bene. Lui, Francesco Corsiglia, Edoardo Capitta e Vittorio Lauria, indagati dalla Procura di Tempio Pausania, hanno scattato foto e prodotto un video sia durante il presunto rapporto "non consenziente" tra Corsiglia e Silvia (nome di fantasia), sia quando gli altri tre avrebbero abusato della diciannovenne dopo che questa aveva bevuto vodka. Di queste immagini la ragazza e la sua amica Roberta (anche questo nome di fantasia) ne hanno parlato con il procuratore capo Gregorio Capasso e con il sostituto Laura Bassani durante gli interrogatori. E però, stando a quanto affermano alcuni avvocati difensori dei quattro giovani genovesi, di quel video e delle foto Silvia non avrebbe fatto cenno ai carabinieri della Compagnia Duomo di Milano: il 26 luglio 2019, quando prima si è fatta visitare in ospedale, poi con la madre ha denunciato la violenza subita la notte del 17 luglio a Porto Cervo, nella villa dell'ex comico. Tra le ipotesi che si fanno, non è escluso che Silvia avesse voluto nascondere questo particolare ai genitori, forse per timore. Oppure, perchè non ne era ancora a conoscenza. Non è escluso che la ragazza abbia saputo dopo dell'esistenza delle immagini, soltanto quando sono circolate sui telefonini dei quattro indagati e dei loro amici: comunque prima del 29 agosto, quando i carabinieri sequestrano i cellulari dei quattro, sia a Genova presso le loro abitazioni, sia a Marina di Bibbona, un'altra delle ville di Beppe Grillo. Tanto che per la diffusione delle foto e del video la Procura sta rimodulando i capi di imputazione, contestando anche il reato di revenge porn. Intanto, La Verità ha scritto che ad intervistare Vittorio Lauria è stato Fabrizio Corona, l'ex paparazzo appena tornato dagli arresti domiciliari. Il dialogo è finito sul programma tv "Non è l'Arena" di Massimo Giletti. Non è la prima volta: in passato altri scoop, come la vicenda milanese della violenza e del sequestro di una diciottenne da parte di Alberto Genovese, sono passati dalla trasmissione di Giletti.
"Gira tutto...". Il video della notte a casa di Grillo. Luca Sablone il 3 Maggio 2021 su Il Giornale. Alcuni ragazzi raccontano di aver visionato il filmato: "Un sacco di amici l'hanno visto". Il Garante della privacy avverte: "Farlo circolare è un illecito". I tempi del caso Ciro Grillo si allungheranno ulteriormente, tra nuovi interrogatori e memorie difensive. Ma nel frattempo continua a tenere banco l'aspetto legato alla circolazione di un video registrato quella notte nella villetta a Cala di Volpe. I genitori di Silvia, la studentessa che accusa il gruppetto di stupro, hanno recentemente denunciato un fatto che - se confermato - sarebbe grave: "Abbiamo appreso che frammenti (frammenti!) di video intimi vengono condivisi tra amici, come se il corpo di nostra figlia fosse un trofeo: qualcosa che ci riporta a un passato barbaro che speravamo sepolto insieme alle clave". Una conferma è arrivata da un ragazzo che, ai microfoni di Non è l'arena su La7, ha dichiarato: "Un sacco di amici l'hanno visto. Con i telefoni gira tutto...". Lo stesso Beppe Grillo nel suo sfogo choc aveva fatto riferimento a un video in grado di dimostrare che la ragazza fosse consenziente: "C'è tutto un video, passaggio per passaggio, in cui si vede che c'è un gruppo che ride, ragazzi di 19 anni che si divertono e ridono in mutande e saltellano con il pisello, così...". La medesima versione è stata confermata da alcuni ragazzi che dicono di aver visto il filmato: "Si vede che lei... Non è che non ci stesse. Diceva 'Fai questo, fai quell'altro'". Ma secondo un amico di Grillo jr, Ciro non avrebbe fatto girare il video tra gli amici: "È una cazz***. Neanche per spacconeria, lui non è così. È proprio... Se fa delle cose lui se le tiene per sé". E ha aggiunto che a scuola aveva un buon profitto: "Tranquillo, un ragazzo normale, aveva la media alta. Andava bene a scuola. C'era suo padre che gli diceva di andare bene". Nei giorni scorsi però il Garante della privacy si è espresso chiaramente: "Chiunque diffonda tali immagini compie un illecito, suscettibile di integrare gli estremi di un reato oltre che di una violazione amministrativa in materia di privacy". Effettivamente le domande a cui dare risposta sono diverse: la ragazza ha autorizzato le riprese? Era consapevole di essere su quei telefoni? Ne era felice? Sulla questione è intervenuta anche la psicoterapeuta Stefania Andreoli: "Il fatto di subire il calvario di vedere la propria vita sul vetrino, osservata da vicino da chiunque poi ci faccia sopra dei commenti, è sempre un'esperienza estremamente dolorosa e violenta".
Da Ciro Grillo alla ragazza di Trapani: donne stuprate vittime due volte. Sofia Dinolfo il 3 Maggio 2021 su Il Giornale. Secondo il presidente nazionale dell'Osservatorio Violenza e Suicidio, Stefano Callipo, "I veri danni non sono visibili immediatamente ma possono manifestarsi anche dopo anni". Il problema legato alle donne vittime di abusi sessuali nelle ultime settimane sta echeggiando sempre di più dopo le vicende giudiziarie legate a Ciro Grillo. Quest’ultimo, figlio dell’ex comico e fondatore del Movimento 5 Stelle Beppe Grillo, è indagato assieme ad altri tre ragazzi per il reato di violenza sessuale di gruppo nei confronti della 19enne e studentessa S.J. Non solo: a far sollevare polemiche è anche il caso dello stupro di gruppo consumatosi a Campobello di Mazara in provincia di Trapani nei confronti di una 18enne. Il fatto è accaduto a febbraio e nei giorni scorsi, dopo l’accusa da parte della procura di Marsala per il reato di violenza sessuale di gruppo aggravata, per due degli aguzzini si sono aperte le porte del carcere, mentre per altri due sono stati disposti gli arresti domiciliari. A sollevare clamore l’inaspettato gesto del padre della vittima: si è presentato ai carabinieri della locale stazione accusando la figlia di essersi inventata tutto e, al contrario, ha difeso gli stupratori. Quali sono i meccanismi che si possono innescare nel momento in cui la vittima di stupro sporge denuncia? Come affrontarli? Ne parliamo a IlGiornale.it con il presidente dell’Osservatorio Violenza e Suicidio, Stefano Callipo, che è anche psicologo clinico, giuridico e psicoterapeuta.
Dottore iniziamo col caso che vede coinvolto Ciro Grillo. Perché secondo lei la studentessa ha denunciato di essere stuprata dopo otto giorni?
"Il fatto che una vittima di stupro in genere non presenti la denuncia immediatamente dopo la violenza subìta è un fatto non raro. Ciò può essere dovuto a diversi fattori. Consideriamo che lo stupro è un tipo di violenza molto cruento e feroce e le reazioni da parte della vittima nella prima fase possono essere derealizzative, come stati di shock, incredulità, paura, rabbia, perdita di controllo, reazioni in cui non ha ancora piena coscienza di ciò che ha da poco subìto. Si tratta di un meccanismo di difesa volto a proteggerci. Una seconda fase, che può durare anche anni, può essere caratterizzata da sentimenti come la vergogna, sensi di colpa, disperazione e vulnerabilità. Altri fattori per i quali non si denuncia possono essere il timore di non essere creduti e molte altre variabili. Nella fattispecie del caso del figlio di Grillo non possiamo esprimerci poiché la magistratura sta svolgendo il suo lavoro e noi possiamo pronunciarci soltanto per ipotesi".
Come si concretizzano i sensi di colpa che spingono le vittime a denunciare con ritardo rispetto all’abuso subito?
"Subire un abuso significa vivere un’esperienza dal dolore talmente indicibile che può modificare persino l’assetto di vita della vittima. I sensi di colpa possono essere fortemente emotigeni e, se si è giovani, i danni possono essere ancora più pervasivi. I sensi di colpa possono modificare e talvolta stravolgere completamente il proprio assetto comportamentale e in altri casi persino esistenziale, nel senso che si può arrivare persino ad assumere condotte suicidiarie. I danni di uno stupro spesso non sono visibili nella loro interezza nell’hic et nunc, ma possono manifestarsi persino a distanza di anni. La loro valutazione nell’immediato è quasi sempre una valutazione parziale, proprio per questo motivo".
Come aiutare le vittime a superare questo blocco e quindi denunciare?
"La vittima di abuso ha bisogno di un supporto immediato per iniziare una psicoterapia che agisca su due livelli, nel ‘qui’ e ‘ora’ e alla ‘distanza’. Soprattutto se si tratta di un soggetto in età evolutiva. Il ‘blocco’ può essere affrontato e gestito soltanto con l’aiuto di un professionista. Far sentire la persona accolta, non giudicata, accogliere i suoi vissuti emotivi incondizionatamente da parte dei familiari può essergli d’aiuto. Arrivare a denunciare significa aver già elaborato una parte del dolore e aver raggiunto una consapevolezza dell’accaduto. Da soli è difficile. La denuncia è importante, perché permette non soltanto di salvare se stessi ma anche di essere messi in sicurezza, e ancora di evitare che gli stupratori possano mietere altre vittime. Nell’abito di un’azione preventiva bisognerebbe diffondere la cultura della denuncia, poiché con essa non si salva soltanto la propria vita ma anche quella di molte altre donne".
"Chi non denuncia subito non è meno vittima"
La difesa di Ciro Grillo ha nominato un medico legale per indagare sulle reali condizioni psicofisiche della ragazza quella notte e nei giorni a seguire. Potrebbe esserci il rischio che la 19enne da vittima venga trasformata in colpevole dentro al tribunale come accaduto in altri casi?
"Nel caso di Grillo non ritengo sia giusto pronunciarsi, poiché è compito della magistratura far luce sull’accaduto, i processi si fanno nelle aule dei tribunali, e le procure svolgono egregiamente il loro compito".
Il video che immortala le immagini di quella notte dentro la villa di Ciro Grillo sta facendo il giro di diversi cellulari oltre a quello dei legali. Ci sono gli estremi per un illecito legato a revenge porn?
"È opportuno non pronunciarsi su questo. Lasciamo la procura svolgere le indagini".
La diffusione a più persone di quelle immagini unitamente alla nomina di un medico legale che indaghi sulla ragazza quanto può compromettere la serenità della 19enne? Potrebbe fare dei passi indietro?
"Nell’ipotesi che la ragazza sia una vittima i danni possono essere indicibili. Significherebbe rivivere traumi non ancora elaborati e vivere una seconda vittimizzazione. Un tormento emotivo pericoloso. Occupandomi di rischio suicidario, sia come professionista sia come presidente nazionale dell’Osservatorio Violenza e Suicidio, ho sempre sostenuto che il dolore mentale può essere più forte e insopportabile di quello fisico. Nell’ipotesi avanzata in questo caso il dolore mentale verrebbe esacerbato ancora di più".
Non solo il caso di S.J. che viene indagata dal consulente di Grillo ma anche quello della giovane di Trapani che viene accusata dal padre di essersi inventata tutto. Quali sono i danni che la vittima può subire quando viene sminuita la gravità dello stupro subito?
"Ragionando sempre per ipotesi, nel non sentirsi creduti, come nel caso di Trapani oppure nel caso di S.J., ma anche per le tante donne che hanno subìto la stessa condizione, mi preoccupano gli effetti che si possono generare. Mi riferisco al victim blaming: si tratta di un meccanismo che davanti a una violenza feroce di genere porta le persone ad attribuire una certa colpa dell’accaduto alla vittima. A volte sminuendo l’accaduto stesso con frasi del tipo 'aveva la minigonna, quindi se l’è cercata'”.
Perché il padre della ragazza siciliana, di fronte all’evidenza dei fatti accertati dalla procura, dà torto alla figlia e difende gli stupratori? Come si può interpretare questo atteggiamento?
"Non conoscendo la realtà dei fatti dello specifico caso non posso rispondere alla domanda. Posso però dire che a volte un genitore può negare a se stesso l’atrocità dell’accaduto sulla propria figlia, come se la sua mente non lo accettasse. Si tratterebbe di un meccanismo di difesa che avrebbe effetti devastanti sulla figlia".
Vicende di questo tipo possono scoraggiare altre vittime alla denuncia? O al contrario possono rafforzare lo spirito di far giustizia contro gli aggressori?
"Dobbiamo sempre considerare gli effetti che ogni notizia mediatica, soprattutto relativa a una violenza o ancor di più di uno stupro può generare sulle vittime. Vicende di questo tipo incluse".
In che modo cercate di riabilitare le vittime di violenza, ma anche di un processo mediatico, verso il ritorno alla normalità?
"Non è un percorso facile per la vittima. Essa deve essere messa immediatamente in sicurezza e avviata a un percorso di psicoterapia, di psicotraumatologia e isolata da eventi traumatici che possano portarla a rivivere ciò che ha subìto, come per esempio notizie mediatiche che potrebbero produrre il victim blaming o una seconda vittimizzazione".
Una donna vittima di violenza sessuale può anche pensare al suicidio?
"Purtroppo sì, esiste una forte correlazione tra una violenza sessuale subìta e il suicidio. Donne vittime di un’aggressione di tipo sessuale hanno una probabilità pari a 3/4 volte maggiore di tentare un suicidio rispetto ad altre donne. Inoltre le vittime di stupro hanno circa il 13% di probabilità in più di tentare il suicidio. Gli effetti della violenza sessuale su una donna possono inoltre portare la vittima ad avere depressione, disturbi della condotta alimentale, disturbi fobici, attacchi di panico, disturbi psicosomatici e disturbo post traumatico da stress. Importante è saper cogliere in tempo i primi segnali e agire tempestivamente".
Non è l'Arena, Vittorio Sgarbi tira in ballo la Gruber: "Grillo e Ciro? Cosa mi diceva quando andavo a Otto e mezzo". Libero Quotidiano il 03 maggio 2021. La gestione di Beppe Grillo sul caso dell'inchiesta per stupro ai danni del figlio Ciro, spiega Vittorio Sgarbi, è "politica". Lo era quando la notizia si diffuse, nel settembre 2019, proprio mentre il comico e fondatore del Movimento 5 Stelle era in trattativa con il Pd per formare il Conte Bis. E lo è ora, con il famigerato video-sfogo, arrivato nel momento più travagliato dei 5 Stelle, una lotta di potere interna tra lo stesso Giuseppe Conte, Grillo, Davide Casaleggio e chi, dentro il Movimento, è tentato dalla scissione. "Quando lo dicevo i 5 Stelle reagirono in maniera offesa e l'informazione non accolse - spiega ora il parlamentare, ospite di Massimo Giletti a Non è l'Arena -. Quando andavo in tv, dalla Gruber a Otto e mezzo, dalla Berlinguer a Cartabianca, da Porro e dalla Palombelli, appena iniziavo a dire questa cosa mi dicevano che il problema non riguarda la politica. Invece la riguarda, tant'è che oggi il video di Grillo è un suicidio politico". Una buccia di banana mediatica, sottolinea caustico Sgarbi, che non mi muove a compassione ma a felicità". Non per una questione umana, ovviamente, ma puramente politica. "Il fatto che lui sia talmente lontano dalla politica, così come durante il periodo del Covid, e non dando nessuna indicazione ai suoi eletti che devono tutto a lui. Senza di lui non ci sarebbero la Raggi, la Appendino, Morra, Di Maio. Oggi devono mettersi d'accordo tra il loro profeta e la loro attuale posizione politica, e Grillo li ha completamente spaesati".
Ciro Grillo, le ragazze: «Arrivati alla villa nessuno era già ubriaco». Il racconto delle ragazze che denunciano le violenze. La comparsa della vodka e le fotografie. Giusi Fasano su Il Corriere della Sera l'1 maggio 2021. All’inizio tutti erano presenti a se stessi; la vodka — e quindi la ragazza stuprata da ubriaca di cui parla il capo di imputazione del caso Grillo — è entrata in scena nella seconda parte della violenza di gruppo. «Ero sobria, mi rendevo conto di ciò che accadeva, così come ho già detto per gli altri ragazzi e per Silvia. Certamente ero molto stanca perché avevamo fatto molto tardi...». Così Roberta riassume a verbale il suo stato psicofisico a casa di Ciro Grillo, il figlio del garante del movimento Cinquestelle. Sia lei sia la sua amica Silvia hanno detto al procuratore capo di Tempio Pausania Gregorio Capasso e alla sua sostituta Laura Bassani che quella notte di luglio del 2019 non erano ubriache quando sono arrivate nella villetta dove Silvia ha poi raccontato di aver subito lo stupro di gruppo.
Il primo stupro. Dagli atti risulta che anche Ciro e i suoi amici Edoardo Capitta, Vittorio Lauria e Francesco Corsiglia non erano in uno stato di alterazione dovuto all’alcol. È vero che al Billionaire avevano preso una bottiglia di champagne e una di un altro superalcolico, ma il contenuto lo avevano diviso in quindici. Quindi almeno fino alla spaghettata — per la quale le due ragazze avevano seguito i quattro amici dopo la discoteca — a casa di Grillo junior nessuno pare fosse ubriaco. Con gli spaghetti i ragazzi hanno mandato giù qualche bicchiere di birra, le ragazze non l’hanno bevuta. Finita la pasta e sparecchiato tutto Roberta si addormenta sul divano mentre Silvia, ancora sobria, subisce la prima delle violenze che racconta ai magistrati. Francesco — dice la sua denuncia — si infila nel suo letto (con gli altri che guardano, commentano e ridono davanti alla porta) e la costringe a un rapporto sessuale che comincia in camera da letto e finisce in bagno, dove lui la trascina. Lei prova a resistere ma è inutile ogni tentativo di liberarsi, racconta. Silvia spiega che Francesco ci aveva provato anche mentre preparava gli spaghetti in cucina ma lei gli aveva dato un calcio facendolo cadere e lì per lì lui aveva desistito. «Non è vero» ha raccontato lui nel suo ultimo interrogatorio. Nessun approccio, nessun calcio, nessuna violenza. Semplicemente lei ci stava. «E dopo il rapporto sessuale mi sono addormentato».
Il tentativo di svegliare l'amica e il secondo stupro. La versione di Silvia è drammatica: dice di aver provato a svegliare Roberta per andar via da quella casa ma che lei, nel dormiveglia, non ha capito la situazione d’allarme. Di fatto — così Silvia racconta ai carabinieri nella sua denuncia — fra le 8.30 e le 9 ricominciano le violenze e stavolta, però, compare una bottiglia di vodka. Lei dice che l’hanno afferrata per i capelli, costretta a berne mezza bottiglia e ad avere rapporti di gruppo. E la Procura contesta ai ragazzi l’aggravante della «minorata difesa» dovuta allo stato di alterazione psicofisica indotto dalla vodka. Ma i ragazzi negano tutto. La sola cosa che confermano è la versione di Francesco («a quel punto non era con noi, dormiva»). Francesco non compare in nessuna delle immagini trovate sui cellulari dei ragazzi: né nel video dove si vedono i suoi amici (assieme) durante lo stupro che loro chiamano «rapporto consenziente», né sulle fotografie a sfondo sessuale scattate a Roberta che dormiva sul divano. Gli altri tre negano di aver costretto Silvia a bere la vodka; Vittorio Lauria ha raccontato a Non è l’Arena che «l’ha bevuta lei per sfida, “gocciolandola”» e che «non era tanta, era un quarto». Qualcuno dei tre ha aggiunto davanti ai pm che «era pure allungata». Dettagli che faranno la differenza nello scontro fra le parti davanti al giudice.
Da Quarto Grado l'1 maggio 2021. “Quarto Grado” - nella puntata in onda ieri, venerdì 30 aprile, su Retequattro - ha realizzato un servizio sul caso di Ciro Grillo. Il giovane è accusato, insieme a tre amici, di violenza sessuale ai danni di una ragazza italo-norvegese, consumata, secondo gli inquirenti, nell’estate del 2019, in Costa Smeralda. La difesa dei ragazzi si basa principalmente sul consumo di alcol, di cui tutto il gruppo quella sera avrebbe abusato. Uno di loro, Vittorio, respinge le accuse: non riuscendo a finire una bottiglia di vodka, sarebbe stata la ragazza a lanciare la sfida al gruppo per berla tutta. Poco dopo avviene quello che i tre descrivono come sesso di gruppo consenziente e che la ragazza, invece, denuncia come stupro: il filmato di 24 secondi, citato anche da Beppe Grillo, secondo la difesa dei giovani ne suggerirebbe il consenso. Gli avvocati di Ciro Grillo e dei suoi amici vogliono dimostrare che la ragazza era lucida e che i loro assistiti non hanno agito «approfittando delle condizioni di inferiorità fisica e psichica della ragazza, che aveva comunque ingerito una consistente quantità di vodka», come scrivono i giudici. Per questo i difensori dei tre si sono affidati a Marco Salvi, medico legale dell'Asl 3 di Genova. Le conclusioni di Salvi si basano su un parametro generale: quando l'alcol entra in circolo, la sua curva raggiunge il picco dopo 40 minuti, poi il suo effetto scende gradualmente, in una percentuale di 0.2 millilitri al grammo per ora. Se la ragazza, in discoteca, ha bevuto champagne e poi rum, l'ultima volta alle 3.30, alle 9.00 del mattino successivo - dopo aver anche mangiato della pasta - poteva non essere in stato di incoscienza. Per capirlo, però, visto che gli esami del sangue all'epoca non furono fatti, Salvi dovrà risalire alla marca della vodka e alla sua esatta gradazione alcolica e, soprattutto, effettuare un altro esame: basandosi proprio sul quel filmato, il medico stabilirà altezza, peso, massa grassa e magra e - su queste caratteristiche - la possibile reazione della ragazza all'alcol.
Massimo Malpica per “il Giornale” il 30 aprile 2021. Come era prevedibile, ora Ciro Grillo e i suoi tre amici indagati con lui per stupro di gruppo potrebbero trovarsi ad affrontare una nuova grana. In un certo senso, innescata anche questa dalla «svolta mediatica» dell'inchiesta imposta dal videomessaggio di Beppe Grillo, che ha calcato la mano sul video girato quella notte dai quattro ragazzi e che, secondo il fondatore pentastellato, dimostrerebbe che la ragazza che ha denunciato lo stupro, la 19enne italonorvegese S.J., era consenziente. Il problema non è solo che i pm la pensino in maniera opposta quanto a ciò che quel video proverebbe, ma anche che quelle immagini non sono rimaste riservate. Hanno girato, sono state inviate e mostrate a persone che non avrebbero dovuto vederle. Un esempio su tutti è l'amica d' infanzia di Ciro Grillo che, a Non è l'Arena, su La7, ha confessato candidamente che lei quel video l'ha visto. E proprio in seguito a quell'ammissione, la famiglia della ragazza che ha denunciato lo stupro ha lamentato l'uso di quei fotogrammi «come se nostra figlia fosse un trofeo» e ha annunciato iniziative legali per chi lo ha fatto. Ovviamente, la divulgazione di quelle immagini potrebbe aggiungere ai reati contestati ai quattro anche quello di revenge porn, che punisce la diffusione illecita di immagini sessualmente esplicite senza il consenso di chi vi è ritratto. Il caso sembra calzante, anche se c' è da capire fino a quando quel video avrebbe circolato, visto che quella legge è in vigore dal 9 agosto del 2019, poco meno di un mese dopo la data della presunta violenza nella casa di Grillo in Sardegna. Insomma, con una nuova magagna all'orizzonte, sembra non esserci pace per Ciro Jr, per suo padre e per i suoi amici. Anche perché, sempre ieri, ha rimesso il suo mandato l'avvocato Paolo Costa, finora difensore di Vittorio Lauria, uno dei tre amici di Ciro che, sempre intervistato dal programma di Giletti, ha detto la sua sull' indagine, confermando il rapporto di gruppo - pur sostenendo che fosse consensuale -, contestando il video di Grillo, rivelando il contenuto di messaggi che la ragazza avrebbe mandato ad alcune amiche e raccontando una versione alternativa a quella della presunta vittima anche sul perché era sotto l' effetto dell' alcol. Una iniziativa che evidentemente il suo legale non ha gradito, spiegando all' Agi che «vi sono delle divergenze sulla condotta extra-processuale da tenere sempre, specie in processi come questi» tra lui e il suo ormai ex giovane cliente. Intanto, dalla procura di Tempio Pausania dove dovrebbe essere imminente la decisione sull' eventuale rinvio a giudizio dei quattro ragazzi, rimbalza anche la notizia di una precedente violenza che la ragazza avrebbe subito in passato, quando avrebbe abusato di lei un amico con il quale stava trascorrendo un periodo di vacanza in campeggio in Norvegia. Un precedente comunque che la ragazza non avrebbe mai denunciato, che sarebbe emerso perché riferito a verbale dalla sua amica R. e del quale non si comprende l'attinenza con l'indagine sulla presunta violenza della notte del 19 luglio 2019. Ancora incerta, invece, l'intenzione della procura di procedere per violenza anche per le foto che ritraggono alcuni dei ragazzi in atteggiamenti osceni proprio intorno a R. che dormiva su un divano. Intanto, sul videomessaggio di Grillo arriva anche il commento, caustico, dell'ex M5s Piernicola Pedicini, secondo il quale le tiepide reazioni pentastellate hanno un motivo chiaro: «Chi si permette di dire qualcosa contro Beppe Grillo? Nessuno lo fa, sapendo che il rischio è di non essere più candidati».
Ciro Grillo, nuovo capo d'accusa: "Chi ha fatto cosa", decisive le foto e gli interrogatori. Libero Quotidiano il 03 maggio 2021. La Procura di Tempio Pausania ha depositato il nuovo avviso di conclusione delle indagini sul caso di Ciro Grillo e dei suoi tre amici. Lo riporta il Corriere della Sera, secondo cui dopo aver raccolto le versioni dei quattro indagati la Procura ha deciso di riformulare uno dei due vecchi capi di accusa. Riguarda il secondo degli episodi contestati, quello del presunto stupro di gruppo del quale sono accusati il figlio del garante del Movimento 5 Stelle e i suoi amici Vittorio Lauria ed Edoardo Capitta. Escluso, invece, Francesco Corsiglia, che già in precedenza non era indagato assieme agli altri ragazzi. Inoltre il Corsera fa sapere che stavolta il capo di imputazione specifica chi ha fatto cosa: dalle fotografie allegate agli atti non emergevano con chiarezza tutte le responsabilità, ma gli interrogatori dei ragazzi lo scorso aprile sono serviti a chiarire molte cose. Nel dettaglio, l’episodio modificato riguarda Roberta, l’amica della ragazza che ha denunciato il presunto stupro: sarebbe stata vittima di fotografie a sfondo sessuale mentre dormiva sul divano. Quello che non è cambiato è l’accusa di violenza sessuale di gruppo nei confronti di Grillo, Lauria e Capitta. Così come di strupro è accusato Corsiglia, che sarebbe stato il primo a “servirsi” di Silvia mentre gli altri guardavano davanti alla porta. Poi sarebbe avvenuta la violenza di gruppo, con i ragazzi che hanno girato un breve video di quei momenti, che a loro dire sarebbero avvenuti con il consenso della ragazza.
Chiarite le responsabilità individuali. Ciro Grillo, nuova chiusura delle indagini: modificato un capo di imputazione. Elena Del Mastro su Il Riformista il 3 Maggio 2021. Nuovo avviso di conclusione delle indagini sul caso del presunto stupro che vede imputato Ciro Grillo e altri tre suoi amici. Dopo aver ascoltato i quattro indagati il procuratore capo Gregorio Capasso e la sua sostituta Laura Bassani hanno deciso di riformulare uno dei due vecchi capi di imputazione e hanno notificato di nuovo alle parti, appunto, le loro conclusioni. I quattro sono accusati di violenza sessuale. Con il nuovo atto i pm hanno specificato meglio il secondo capo di imputazione, ovvero quello relativo alle foto oscene con la seconda ragazza scattate mentre dormiva. In particolare, secondo la procura, sarebbero almeno tre le immagini contestate a Grillo junior, Edoardo Capitta e Vittorio Lauria, mentre è escluso da questa accusa (sempre di violenza sessuale) Francesco Corsiglia. Corsiglia aveva detto ai magistrati di avere avuto un rapporto consenziente con la giovane e poi di essersi addormentato. Adesso i legali dei quattro giovani genovesi (Sandro Vaccaro, Romano Raimondo, Gennaro Velle, Ernesto Monteverde e Mariano Mameli) potranno chiedere un nuovo interrogatorio. I magistrati avranno poi venti giorni di tempo per chiedere il rinvio a giudizio o l’archiviazione. Intanto i 4 continuano a ripetere che il rapporto sessuale sia stato consensuale e a negare le accuse di stupro.
I VERBALI DELLA RAGAZZA – È un racconto dell’orrore quello che appare nel verbale dell’interrogatorio compilati dai carabinieri di Milano Porta Garibaldi di S.J., la 19enne presunta vittima di uno stupro di gruppo avvenuto nella notte tra 16 e 17 luglio 2019 in Sardegna, nella villa del garante del Movimento 5 Stelle Beppe Grillo. I dettagli di quel verbale, col racconto avvenuto nove giorni dopo il presunto stupro e raccolto da due marescialle dei carabinieri, Cristina Solomita e Camilla Ciccaglione, fa emergere un quadro di brutali violenze, negate con forza dai quattro indagati.
LA PRIMA VIOLENZA – Nel verbale pubblicato oggi dal quotidiano La Verità, S.J spiega di trovarsi in Sardegna assieme alla sorella minore e ad una amica e compagna di classe, R. È all’entrata del Billionaire, noto locale di Porto Cervo, conoscono Ciro Grillo e i suoi tre amici. “Ci siamo seduti a un tavolo riservato dove abbiamo iniziato a consumare bevande alcoliche, c’erano diverse bottiglie sul tavolo di alcolici dalle quali potersi servire liberamente. Ricordo di aver consumato un bicchiere di champagne e una vodka con Redbull. Nel corso della serata siamo stati sempre tutti insieme, abbiamo ballato un po’intorno al tavolo e un po’ nella pista centrale e abbiamo parlato tra di noi”. Alle cinque del mattino quindi S.J e l’amica seguono il gruppo dei genovesi nella villa per continuare la serata, fare una spaghettata, dormire e ripartire la mattina successiva. Quando S.J. si trova con una scusa nella stanza con Francesco Corsiglia vi sarebbe stato un primo tentativo di approccio, col giovane che la spinge sul letto ma la 19enne si divincola e se ne va, rifiutando di avere un rapporto orale. Al termine della spaghettata, durante la quale la 19enne spiega di non aver bevuto né fumato, vi sarebbe stata la prima violenza: mentre R. “diceva di essere stanca e tornava in casa”, è ancora Corsiglia a infilarsi sotto le lenzuola di S.J. “Mi ha preso per i capelli indirizzandomi la testa verso il suo pene, dicendomi cagna apri la bocca e mi chiedeva di fargli sesso orale. Inizialmente ho resistito ma lui continuava a farmi violenza. Io mi dimenavo perché non volevo, ma non riuscivo a contrastarlo completamente perché non mi sentivo bene”, racconta la ragazza. Una violenza che sarebbe continuata, nonostante la ragazza non volesse, ma “non riuscivo a contrastarlo completamente perché non mi sentivo bene”. Corsiglia avrebbe abusato di lei quindi una seconda volta, poco dopo. “Mi ha spinto sotto la doccia, ha aperto l’acqua, e mi ha spinto con la mano il viso contro la parete. Mi teneva con la mano il collo, tenendomi bloccata di spalle a lui e mi penetrava”. Anche in quell’occasione avrebbe provato a liberarsi dalla presa del ragazzo, senza successo. Finito tutto, S.J. sarebbe rimasta “in bagno da sola, avvolta nell’accappatoio”.
IL RUOLO DELL’AMICA – Dopo essersi ripresa S.J. esce dal bagno e va dall’amica R., che sta dormendo sul divano in salotto, non trovando però supporto. “Mi sono seduta per terra accanto a lei, l’ho svegliata, inizialmente non riuscivo bene a parlare, mi chiedeva che cosa avevo e le dicevo “mi hanno violentata”. R. inizialmente non capiva e glielo ripetevo, poi le chiedevo se potevamo andare a casa. R. si è seduta sul divano e mi ha fatto spallucce; io ho ripetuto di andare via perché stavo male e mi avevano violentata, ma lei non mi diceva nulla. Io l’ho presa e l’ho fatta alzare dal divano e le ho detto di vestirsi per andare via”, racconterà la 19enne ai carabinieri di Milano.
LA VIOLENZA DI GRUPPO – Si fanno le nove del mattino e S.J. vuole andare via dalla villa di Grillo, ma il gruppo le chiede di aspettare che Corsiglia si riprenda dalla sbronza e possa rimettersi alla guida dell’auto. Su uno dei tavoli della casa c’è quindi una bottiglia di vodka che secondo la 19enne “ha un odore strano”. Secondo la sua versione dei fatti Vittorio Lauria l’avrebbe costretta a bere: “Mi afferrava con forza la testa, con una mano mi teneva il collo da dietro e con l’altra mi forzava a berla tutta. Sentivo che mi girava la testa dopo aver bevuto, non ricordo bene”. Una versione negata dallo stesso giovane, che al contrario ha raccontato che sarebbe stata la stessa S.J. ad aver bevuto il quarto di bottiglia rimasto tutto d’un per sfidare il gruppo. Sopraffatta dall’alcol, la 19enne sarebbe stata quindi spogliata, messo sopra un letto matrimoniale e dato il via ad uno stupro di gruppo. Stupro che sarebbe stato documentato in parte dai video girati con i telefonini. “Sentivo che si chiamavano per nome tra di loro e si dicevano ‘ora tocca a me, dai spostati’ e sentivo che si davano il cambio. Uno mi tirava i capelli e mi tiravano schiaffi sulle natiche e sulla schiena. Mi girava la testa e continuavo a cadere in avanti. Ho visto nero, da quel momento non ricordo più nulla, ho perso conoscenza”, è la sequenza raccontata da S.J.
LA FINE DELL’INCUBO – La presunta vittima dello stupro si riprende solamente intorno alle 14:45, quando l’amica R. entra nella stanza e la sveglia. “Ricordo l’ora perché alle 15 avevo lezione di kite […]. R. mi chiedeva come stavo, ma non riuscivo neanche a rispondere e continuavo a cercare le mie cose per la casa. […] Poi R. voleva andare a salutare i ragazzi prima di andare via, quindi siamo entrate nell’altra camera matrimoniale e ho visto che erano tutti lì. Non ho detto nulla quando li ho visti, non riuscivo neanche a parlare e loro vedendomi hanno distolto lo sguardo. Io e R. siamo riuscite ad andare via mentre loro sono rimasti a casa”, è il racconto messo a verbale dai carabinieri. Le due ragazze decidono di prendere un taxi per tornare all’alloggio. Nel tragitto rimangono mute, non parleranno della violenza. Alcuni giorni dopo la ragazza racconta ad una amica di Milano del presunto stupro, quindi alla madre: “Ho un rapporto di confidenza con lei, le racconto tutto. Quella sera mi ha visto giù di morale e mi ha chiesto come stavo. Per cui le ho confidato che avevo tante cose per la testa e le ho detto che c’erano tanti pettegolezzi in giro sul mio conto che mi mettevano in cattiva luce e da qui le ho raccontato anche quanto accaduto il 16 luglio”.
Elena Del Mastro. Laureata in Filosofia, classe 1990, è appassionata di politica e tecnologia. È innamorata di Napoli di cui cerca di raccontare le mille sfaccettature, raccontando le storie delle persone, cercando di rimanere distante dagli stereotipi.
Ciro Grillo, il racconto della vittima: “Sono stata stuprata nel letto e nella doccia”. Debora Faravelli il 03/05/2021 su Notizie.it. La vittima del presunto stupro ad opera di Ciro Grillo e dei i suoi tre amici ha fornito un racconto dettagliato della violenza subita. La ragazza di 19 anni che ha presentato una denuncia nei confronti di Ciro Grillo e dei suoi tre amici ha raccontato di essere stata stuprata nel letto e nella doccia. Secondo gli stralci riportati dal quotidiano La Verità relativi alla sua testimonianza, “mi toglieva i pantaloncini e le mutande, io mi dimenavo perché non volevo, ma non riuscivo a contrastarlo completamente perché non mi sentivo bene“.
Ciro Grillo, il racconto della vittima. Nella sua denuncia su quanto avvenne la notte tra il 16 e il 17 luglio in Sardegna, la giovane ha spiegato di aver ricevuto le prime pesanti avances da Francesco Corsiglia, recatosi in camera per prendere delle coperte: “Dapprima mi ha baciato in bocca, io l’ho fermato dicendo che non volevo“. Da qui altre avances e la pretesa di sesso orale, ma la ragazza sarebbe riuscita a divincolarsi e sarebbe tornata dagli altri. Per lei i problemi sono iniziati una volta a letto. Nella ricostruzione fornita agli inquirenti il primo ad avvicinarsi a lei sarebbe stato sempre Corsiglia che l’ha portata in doccia: “Mi ha spinto contro la parete e ha aperto l’acqua. Gli ho detto per due volte di smetterla, che era un animale e uno str*nzo, ma lui ha continuato più forte tirandomi i capelli“. Dopo il presunto stupro, la ragazza avrebbe poi svegliato la sua amica che stava dormendo sul divano per raccontarle di essere stata violentata. Lei inizialmente non capiva e glielo ripeteva, poi le ha chiesto se potevano andare a casa. “Si è seduta sul divano e mi ha fatto spallucce: io ho ripetuto di andare via perché stavo male e mi avevano violentata, ma lei non diceva nulla”. Vittorio Lauria, uno degli amici di Ciro, le avrebbe però convinte a rimanere perché, avendo Francesco (unico patentato) bevuto alcolici, non avrebbe potuto guidare e si doveva riposare. Ma a quel punto, intorno alle 9 del mattino, per la giovane l’incubo continua. Sul tavolo c’era una bottiglia di vodka che il ragazzo l’avrebbe obbligata a bere: “Mi afferrava con forza la testa, con una mano mi teneva il collo da dietro e con l’altra mi forava a berla tutta. Mi girava la testa dopo avere bevuto, non ricordo bene“. Poi altre violenze, stavolta di gruppo, fino al pomeriggio. Soltanto intorno alle 3 le due amiche sono riuscite a prendere un taxi e a tornare nel loro B&B. Dopo quella notte la vittima non avrebbe poi più parlato della vicenda con la sua amica: “Non ho più voluto affrontare l’argomento e lei non mi ha più fatto nessuna domanda“. Soltanto dopo una settimana è riuscita a raccontare i dettagli di quella notte ai genitori una volta tornata a Milano.
Ciro Grillo, i verbali-choc della 19enne: "Penetrata da 3 per 6 o 7 volte. La mia amica fece spallucce". Libero Quotidiano il 03 maggio 2021. Emergono nuovi dettagli della tragica notte per cui ora Ciro Grillo e altri tre amici sono indagati con l'accusa di stupro di gruppo. Nel dettaglio sono i verbali dell'interrogatorio dell'accusatrice, la ragazza italo-norvegese, a far parecchio discutere. "I problemi sono iniziati - si legge sulla Verità - quando siamo andati a letto. Uno dei tre, Corsiglia, mi ha preso per i capelli indirizzandomi la testa verso il suo pene, dicendomi cagna apri la bocca e mi chiedeva di fargli sesso orale. Inizialmente ho resistito poi continuava a farmi violenza e a tenermi per i capelli e ho ceduto. Mi ha anche penetrata. Dopo 10 minuti mi ha spinta nel box doccia tenendomi per il collo e mi ha ancora penetrata. Mi dimenavo e cercavo di liberarmi dicendogli che era un animale, uno st***o, ma lui continuava". Ma le pesantissime accuse non sono solo rivolte ai quattro ragazzi che l'avrebbero violentata dopo una serata al Billionaire in Costa Smeralda: "A quel punto - prosegue la ragazza nel verbale - ho cercato di svegliare la mia amica dicendole che mi avevano violentata e che volevo andare via. Ma lei non ha fatto niente. Ho dovuto ripeterle più volte che volevo andare via. Solo a quel punto lei si è alzata e mi ha chiesto che cosa volessi fare". E ancora in quello che è un racconto pieno di sconcertanti dettagli: "Inizialmente non capiva e glielo ripetevo, poi le chiedevo se potevamo andare a casa. R. si è seduta sul divano e mi ha fatto spallucce; io ho ripetuto di andare via perché stavo male e mi avevano violentata, ma lei non mi diceva nulla. Io l'ho presa e l'ho fatta alzare dal divano e le ho detto di vestirsi per andare via". Ma la serata che per la giovane è stata un vero e proprio incubo non è terminata lì: "A quel punto intervenne un altro dei ragazzi, Vittorio Lauria, che nonostante io gli dicessi che un loro amico mi aveva violentata e che loro non erano intervenuti, ha cominciato a provarci. Poi verso le 9 del mattino mi hanno fatto bere la vodka, afferrandomi per il collo. Poi mi hanno portata nel letto matrimoniale e mi hanno stuprata. Ero in posizione quadrupede, Vittorio mi spingeva il pene in bocca e due da dietro mi penetravano a turno, dicendosi dai ora tocca a me, per 6 0 7 volte. Mi sbattevano il pene in erezione sulla schiena e mi tiravano schiaffi sulle natiche e sulla schiena. Da quel momento non ricordo più nulla, ho perso conoscenza". Intanto gli inquirenti cercano di capire se il video della presunta violenza ai danni della 19enne sia stato fatto girare di telefonino in telefonino. In questo caso non si può escludere una nuova accusa che andrebbe ad aggravare la posizione dei quattro indagati, il figlio di Beppe Grillo compreso.
Giacomo Amadori per "la Verità" il 3 magio 2021. Ecco l'atto che ha dato il via al procedimento per violenza sessuale di gruppo contro Ciro Grillo, Edoardo Capitta, Francesco Corsiglia e Vittorio Lauria. Sono le 18,20 del 26 luglio 2019 quando la ventenne italo-norvegese S.J., nella stazione dei carabinieri di Milano Porta Garibaldi, inizia a raccontare la sua versione a due marescialle, Cristina Solomita e Camilla Ciccaglione. Le parole di S. sono videoregistrate dalle militari e trascritte in un «verbale di ricezione di denuncia». La donna è lì per ricostruire quanto accaduto 9 giorni prima, la mattina del 17 luglio, quando in un appartamento nella località di Cala di Volpe sarebbe stata violentata a turno e anche contemporaneamente dai quattro genovesi. Il suo è un racconto molto crudo che non sarà facile riscontrare, visto che non sarebbero rimaste tracce di violenza sul corpo, ma solo un breve video di un rapporto di gruppo, dove la giovane avrebbe un ruolo apparentemente anche attivo. Era consenziente o, a causa dell'alcol ingurgitato, era incapace di dare il suo assenso? La studentessa, bionda e bellissima, era partita per una vacanza in Sardegna con la sorella minore, G., appena quindicenne. I genitori, entrambi lavoratori, facevano la spola tra Milano e l'isola, per raggiungere le figlie nel week end. Le giornate delle due teenager trascorrevano tutte uguali: «La mattina mi svegliavo presto per andare a correre, poi tornavo a casa per stare con mia sorella, fare i compiti o guardare la tv, nel pomeriggio dalle 16 alle 18/19 ci recavamo a lezione di kite surf. Terminate le lezioni restavamo un po' in spiaggia oppure andavamo in qualche chiosco a prendere da bere. A cena tornavamo a casa e ci preparavamo da mangiare». Per lo più passavano le serate così, senza uscire. Ma quel 16 luglio alle sorelle si era unita una compagna di classe di S., R.M., la quale aveva appena trascorso una settimana di ferie a Ibiza. «Soltanto la sera del 16, quando è arrivata R., siamo andate a Porto Cervo e lì è successo il casino». Ovvero la notte brava con i genovesi. Tutto inizia quando «un comune amico» lombardo delle giovani, A.C., le invita a ballare. Verso le 21,45 S. e R. (la sorella più piccola viene lasciata nel bed & breakfast) raggiungono A. a casa sua a Porto Cervo. Il programma è di bere qualcosa prima e poi andare alla «discoteca Billionaire». «In un locale sul porto», prosegue il racconto, «abbiamo consumato 2/3 drink alcolici ciascuno, poi, verso le 23,45 abbiamo preso un taxi per recarci al Billionaire dove siamo giunti verso mezzanotte, mezzanotte e 15». All'entrata attendono degli amici di A.: «Dapprima arriva una coppia, un ragazzo e una ragazza, e dopo circa 10 minuti giungevano altri quattro ragazzi, con un pulmino taxi». Questi ultimi sono i presunti stupratori di S.. La quale in caserma li descrive per come li ricorda: tutti alti tra il metro e 70 e il metro e 80. Francesco, pantaloni da vestito e camicia bianca, Edoardo t-shirt bianca, Vittorio camicia bianca e pantaloni e infine Ciro, il più abbronzato, «corporatura magra, capelli corti pettinati con il ciuffo, di color biondo scuro, [] indossava camicia nera e pantaloni neri». S. ha, invece, una tuta lunga con pantaloni bianca e nera, con le scarpe da ginnastica. «Ci siamo seduti a un tavolo riservato dove abbiamo iniziato a consumare bevande alcoliche, c'erano diverse bottiglie sul tavolo di alcolici dalle quali potersi servire liberamente. Ricordo di aver consumato un bicchiere di champagne e una vodka con Redbull. Nel corso della serata siamo stati sempre tutti insieme, abbiamo ballato un po' intorno al tavolo e un po' nella pista centrale e abbiamo parlato tra di noi». Durante la serata uno dei liguri, utilizzando il telefono di S., la aggiunge «come follower del gruppo di cui fanno parte denominato "official_mostri"». Dopo oltre tre ore di balli e bevute A., alle 3 e 30, lascia il locale insieme con la coppia. «R. e io siamo rimaste in compagnia dei quattro amici di A. sino alla chiusura, verso le ore 5». Al momento di tornare al B&B, S. e R. non avrebbero trovato «un taxi disponibile»: «Per questo i quattro ragazzi ci proponevano di fermarci a dormire a casa loro, dove ci recavamo in taxi tutti insieme», continua S..Il gruppo entra nell'appartamento circondato da un giardinetto, con cucina che affaccia su un gazebo. I sei si siedono intorno al tavolo: «Abbiamo chiacchierato un po', gli altri hanno bevuto e fumato sigarette, io non ho bevuto né fumato». La presunta vittima non ricorda «la presenza di sostanze stupefacenti». A quel punto R. si mette a cucinare la pasta e Francesco chiede a S. di accompagnarlo in una camera da letto per prendere delle coperte. Qui la ragazza, a suo dire, avrebbe subito le prime pesanti avances: «Dapprima mi ha baciato in bocca, ma io l'ho fermato dicendo che non volevo. Lui mi ha detto che "voleva solo scopare". Gli ho risposto di no e lui ha insistito dicendomi: "Cosa ti costa farmi solo un bocchino?". Io gli ho detto ancora di no e gli ho chiesto di tornare di là insieme agli altri». Francesco non si sarebbe dato per vinto, sdraiandosi sopra di lei, ma la ventenne sarebbe «riuscita a respingerlo con le mani e a divincolarsi dalla presa». Quindi S. torna dagli altri e mangia con loro. Finita la spaghettata, «R. diceva di essere stanca e tornava in casa». S. rimane fuori a parlare con Vittorio ed Edoardo: «Non ricordo gli argomenti, ricordo che ridevamo e scherzavamo». Quando arriva il momento di andare a dormire Vittorio presta a S. una t-shirt e pantaloncini della tuta. Ma, una volta a letto, per la ragazza sarebbero iniziati i problemi. Nella ricostruzione della italo-norvegese il primo a infilarsi sotto le sue lenzuola sarebbe stato di nuovo Corsiglia. Il racconto è molto forte, anche se, in questa parte, non è suffragata da video o foto: «Gli dicevo che non volevo fare nulla, ma lui mi afferrava per i capelli e mi spingeva sotto le coperte indirizzandomi la testa sul suo pene, nel frattempo mi diceva "cagna apri la bocca" e mi chiedeva di fargli sesso orale. Inizialmente cercavo di respingerlo, ma poi, visto che lui continuava a spingermi e a tenermi per i capelli [] cedevo». La violenza sarebbe continuata: «Mi toglieva i pantaloncini e le mutande, io mi dimenavo perché non volevo, ma non riuscivo a contrastarlo completamente perché non mi sentivo bene». Dopo 5-10 minuti il giovanotto avrebbe interrotto la penetrazione, salvo ritornare alla carica in bagno: «Mi ha spinto sotto la doccia, ha aperto l'acqua, e mi ha spinto con la mano il viso contro la parete. Mi teneva con la mano il collo, tenendomi bloccata di spalle a lui e mi penetrava. Per due volte gli ho detto di smetterla, che era un animale, uno stronzo, ma lui ha continuato più forte, tirandomi i capelli e baciandomi sul collo». Dopo qualche minuto si sarebbe placato: «Vabbé basta», avrebbe detto prima di andare a dormire. La ragazza sarebbe rimasta in bagno da sola, avvolta nell'accappatoio passatole da Francesco: «A quel punto sono scoppiata a piangere», fa mettere a verbale. Alla domanda di Edoardo e Vittorio sul perché piangesse, non avrebbe risposto: «Mi sono girata di spalle perché non volevo guardarli in faccia, mi sono stretta l'accappatoio addosso, sono uscita dal bagno e sono andata da R. che stava dormendo sul divano in salotto. Mi sono seduta per terra accanto a lei, l'ho svegliata, inizialmente non riuscivo bene a parlare, mi chiedeva che cosa avevo e le dicevo "mi hanno violentata". R. inizialmente non capiva e glielo ripetevo, poi le chiedevo se potevamo andare a casa. R. si è seduta sul divano e mi ha fatto spallucce; io ho ripetuto di andare via perché stavo male e mi avevano violentata, ma lei non mi diceva nulla. Io l'ho presa e l' ho fatta alzare dal divano e le ho detto di vestirsi per andare via». Dopo essersi rimessa la tuta e le scarpe, S. incrocia R. sull' uscio di una stanza: «Ho visto che ancora non si era cambiata i vestiti [] io mi sono diretta verso l' uscita e lei mi ha seguito chiedendomi cosa fare, io ho proposto di chiamare un taxi per tornare a casa». Ma Vittorio le avrebbe convinte a rimanere: «Ci chiedeva di aspettare un po' di tempo perché avendo bevuto alcolici Francesco (unico patentato e presunto violentatore, ndr) non poteva guidare e si doveva riposare». A quel punto R. rientra in casa per rimettersi a riposare sul divano e con S. inizia a provarci Lauria. Nel gazebo la italo-norvegese spiega perché abbia pianto: «Dicevo che Francesco mi aveva fatto male e che loro non erano intervenuti». Sono le 9 del mattino. Sul tavolo c'è una bottiglia di vodka dall'«odore strano» e che secondo i ragazzi è «impossibile da finire». Vittorio a questo punto si sarebbe alzato e diretto con il liquore verso S.: «Mi afferrava con forza la testa, con una mano mi teneva il collo da dietro e con l' altra mi forzava a berla tutta. Sentivo che mi girava la testa dopo aver bevuto, non ricordo bene». Il presunto violentatore ribalta il senso dell'episodio: S., per sfidare i maschi, avrebbe bevuto il quarto di bottiglia rimasto tutto d'un fiato. In ogni caso, quando la giovane comincia a sentire gli effetti dell'alcol, sarebbe iniziata una vera e propria gang bang, immortalata in un filmato trovato sui cellulari degli attuali indagati. La denunciante sarebbe stata di nuovo spogliata contro la sua volontà sopra un letto matrimoniale: «Vittorio mi spingeva il pene in bocca spingendomi la testa», mentre gli altri la avrebbero messa in «posizione di quadrupede». «Uno di loro alle spalle iniziava a penetrarmi [] sentivo che si chiamavano per nome tra di loro e si dicevano "ora tocca a me, dai spostati" e sentivo che si davano il cambio». Sarebbe andata avanti così per 6/7 rapporti. «Mentre uno mi penetrava, gli altri due mi stavano intorno, mi toccavano il seno, ricordo che uno di loro mi sbatteva il pene in erezione sulla schiena []. Durante l'atto mi colpivano con schiaffi forti alla schiena e alle natiche. Nel frattempo Vittorio continuava a tenermi per i capelli e mantenermi il suo pene in bocca. Poi a un certo punto mi ha tolto la mano dalla testa e io ricordo che non ci vedevo più, mi girava la testa e continuavo a cadere in avanti. Ho visto nero, da quel momento non ricordo più nulla, ho perso conoscenza». Verso le 14,45 S. viene svegliata da R. e si accorge di essere in uno dei letti singoli, nuda, avvolta in una coperta: «Ricordo l'ora perché alle 15 avevo lezione di kite []. R. mi chiedeva come stavo, ma non riuscivo neanche a rispondere e continuavo a cercare le mie cose per la casa. [] Poi R. voleva andare a salutare i ragazzi prima di andare via, quindi siamo entrate nell' altra camera matrimoniale e ho visto che erano tutti lì. Non ho detto nulla quando li ho visti, non riuscivo neanche a parlare e loro vedendomi hanno distolto lo sguardo. Io e R. siamo riuscite ad andare via mentre loro sono rimasti a casa». Le due milanesi prendono un taxi e tornano al loro alloggio. Ma non fanno riferimento alla violenza: «Non abbiamo parlato durante tutto il viaggio», ha detto la studentessa alle carabiniere. «Quando siamo arrivate a casa, mia sorella era preoccupata perché l'avevamo lasciata da sola tutto quel tempo. Mi ha chiesto se era tutto a posto. Forse ha notato che ero nervosa, ma io ho risposto in maniera evasiva. Mi sono cambiata, ho messo il costume e sono uscita per andare a lezione di kite che avevo spostato alle 16». Proprio al maestro titolare (quel giorno indisponibile a causa di un infortunio), S. manda un messaggio vocale, dove sembra fare riferimento alla nottata: «No, Marco tranquillo, non ti preoccupare ehm ho fatto una cazzata, poi te la racconterò, eh, niente, cioè parliamo un attimo ehm mi serve un po' una dritta diciamo proprio cinque dita in faccia mi servono, comunque ehm sto andando a lezione, mi spiace un casino che non ci sei, spero che ti rimetta presto comunque, perché ci tengo anche io (ride), prima la tua salute ovviamente, poi ci tengo anche a fare lezione con te ehm e niente spero di vederti appunto presto così, cioè, parliamo e ci divertiamo (ride)». Invece con R. non riparla della serata: «Non ho più voluto affrontare l'argomento e lei non mi ha più fatto nessuna domanda». S. avrebbe confidato la violenza subita a un'altra coetanea di Milano, A.M., e a due amiche norvegesi. Due giorni dopo la raggiungono i genitori, ma S. trova la forza di raccontare la storia nei dettagli solo dopo una settimana, il 24 luglio, una volta ritornata a Milano. E lo fa con la mamma: «Ho un rapporto di confidenza con lei, le racconto tutto. Quella sera mi ha visto giù di morale e mi ha chiesto come stavo. Per cui le ho confidato che avevo tante cose per la testa e le ho detto che c'erano tanti pettegolezzi in giro sul mio conto che mi mettevano in cattiva luce e da qui le ho raccontato anche quanto accaduto il 16 luglio (in realtà il 17 mattina, ndr)». In caserma S. spiega di non avere il numero di cellulare dei suoi presunti aguzzini (che identifica con il nome di battesimo) o altri riferimenti, se non la pagina Instagram del gruppo «official_mostri». Le militari domandano se i genovesi durante gli atti sessuali abbiano girato video o fatto foto e S. replica: «No, non li ho visti e non l'ho notato». In realtà nei cellulari degli indagati gli inquirenti hanno trovato sia un filmato sia istantanee oscene e sulla loro corretta interpretazione si deciderà molto probabilmente l'esito del processo.
Giacomo Amadori per "la Verità" il 4 maggio 2021. L'inchiesta nei confronti di Ciro Grillo e dei suoi tre compagni di scorribande (Francesco Corsiglia, Edoardo Capitta e Vittorio Lauria), tutti accusati di stupro di gruppo, non conosce sosta. I pm hanno riformulato il secondo dei capi di imputazione, quello a carico di Capitta, Grillo e Lauria, dove, in particolare, veniva contestata una foto in cui Ciro «appoggiava i suoi genitali sul capo di R.M.», una delle due presunte vittime (l'altra è S.J.). Ma, come aveva già rivelato La Verità, nell'immagine incriminata non era così chiaro chi avesse avvicinato il pene alla faccia di R. e solo grazie ai recenti interrogatori degli indagati sono state meglio individuate le singole responsabilità. Il numero degli scatti osceni contestati è salito a tre e in essi gli indagati si sarebbero scambiati i ruoli. Si attende ora la richiesta di rinvio a giudizio o di archiviazione da parte della Procura nei confronti dei genovesi. Lauria, nel frattempo, ha sostituito il proprio difensore, Paolo Costa (che si era dimesso dopo l'intervista rilasciata dal suo assistito a Fabrizio Corona) con l'avvocato Alessandro Vaccaro. Insieme al nuovo avviso di chiusura delle indagini, i magistrati hanno depositato gli interrogatori dei quattro indagati, resi ad aprile su richiesta delle difese. Ma c'è un altro verbale di sommarie informazioni testimoniali di cui vogliamo parlare oggi. È quello della madre della ventenne italo-norvegese S.J.. C.S. è una donna forte, una manager conosciuta anche all'estero. Nell' estate del 2019 è stata travolta dalla vicenda della presunta violenza subita dalla figlia. Il 26 luglio si reca insieme con S. a denunciare, presso la stazione dei carabinieri di Milano Porta Garibaldi, quanto accaduto nella notte tra il 16 e il 17 luglio, o quanto meno ciò le aveva raccontato la figlia. Con lei c' è anche il marito T.J., il quale, però, resta un passo indietro: «Ho saputo delle violenze subite da mia figlia da mia moglie; mia figlia non mi ha raccontato direttamente i fatti, aprendosi con la madre alla luce della delicatezza degli accadimenti». In quel momento, in una stanza a fianco due marescialle stanno ascoltando la versione di S.. Quasi contemporaneamente inizia il racconto di C.S.. A verbalizzare le sue parole sono due carabinieri, il capitano Matteo Martellucci e il luogotenente Egidio Colomba. La donna ricorda che il 16 luglio, alle sue due figlie, che erano in vacanza in un bed & breakfast, si era unita R.M. «un'amica di scuola di S. con cui ha frequentato il collegio []». A invitarle ad andare in discoteca al Billionaire, dove avrebbero incontrato i quattro presunti aggressori, era stato un altro compagno di scuola, A.C. «che ha una casa al Pevero e il cui padre ricordo essere titolare dell'agenzia funebre []». Secondo C.S. le due giovani e il loro amico avrebbero condiviso il tavolo con i genovesi per «abbattere i costi dello stesso». L'idea di andare tutti insieme a mangiare qualcosa a casa di uno degli indagati sarebbe nata in modo estemporaneo, dopo che questi «avevano suggerito alle ragazze di usare lo stesso taxi, un minivan, anche stavolta per dividere le spese». La donna fa anche il nome del presunto proprietario dell'appartamento: «Da quello che mi dice mia figlia, dovrebbe trattarsi del figlio di Beppe Grillo». È la prima volta, che in questa vicenda, viene pronunciato quel nome. La madre fa mettere a verbale anche il racconto delle prime avance subite dalla figlia, che, però, non avevano avuto conseguenze: «A quel punto i presenti nella casa hanno mangiato la pasta che aveva cucinato R., tranne mia figlia che è rimasta a digiuno perché non si sentiva molto bene. Nella circostanza i ragazzi avevano offerto nuovamente da bere alle ragazze». Per C.S. è in quel momento che i genovesi propongono alle nuove amiche di fermarsi a dormire da loro, promettendo di riaccompagnarle a casa più tardi. Ai carabinieri la mamma riferisce la versione della figlia sulle violenze subite. Compresi alcuni particolari specifici, come «la testa schiacciata contro la parete» dentro il box doccia o l'accappatoio lanciato da uno dei genovesi, «con una brutta faccia». C.S. riporta anche la reazione un po' sorprendente di R.: «S. era andata piangendo dall'amica, che nel frattempo ancora dormiva e le aveva chiesto di andare via perché nel frattempo era stata violentata. L'amica confusa aveva alzato le spalle senza dire nulla e si era rimessa a dormire». La mamma non sembra avere una grande opinione dell'amica di sua figlia: «R. è stata spesso a casa nostra e anche S. è stata sovente sua ospite, per quello che so non aveva un rapporto trasparente con la madre, ha un carattere molto forte, dominante anche su mia figlia che è una persona più genuina». Il pomeriggio del 17 R. e S. lasciano la casa dei presunti abusi e tornano al b&b. S. sarebbe stata particolarmente provata: «Mi ha detto che ha comprato la pillola del giorno dopo in farmacia, non so dire se con R., e mi ha detto che stava male e che avvertiva dolori fisici alle parti intime, alla testa, alla bocca e alle gambe. Stava molto male». Nei giorni seguenti la mamma si rende conto «che c'era qualcosa che non andava, perché S. era sempre stanca e nervosa, un po' irascibile». Venerdì 19 luglio i genitori raggiungono le figlie in Sardegna, come di consueto nei week end: «Siamo in confidenza con i titolari del b&b e chiediamo sempre loro di informarci su tutto, per esempio se le nostre figlie erano in compagnia di qualcuno e conoscevamo anche il gruppo di kite che frequentava mia figlia. Era un contesto che ritenevamo sicuro e che era sempre stato tranquillo e controllato fino alla sera in cui è arrivata R.». Ecco che cosa succede il 19 sera: «Al nostro arrivo eravamo consapevoli di trovare S. con un po' di febbre, a causa di un'insolazione, perlomeno questo è quello che ci aveva raccontato. Appena l'abbiamo vista ci siamo però resi conto che le sue condizioni erano pietose, tremava come in preda alle convulsioni». I genitori curano S. con antipiretici e stracci bagnati e il giorno dopo lasciano la ragazza a riposarsi con il padre. Quel sabato, però, in un altro passaggio del verbale, la mamma dice che la figlia e l'amica R. sarebbero andate a trovare A.C., il compagno di scuola che le aveva invitate al Billionaire. Domenica 21 luglio, la famiglia rientra a Milano: «Anche R. sarebbe dovuta partire con noi, ma non è riuscita prendere il volo perché era in overbooking ed è rimasta a Olbia, per tornare a Milano il giorno successivo» dice C.S.. Davanti alle due marescialle la figlia ha dichiarato di aver parlato in modo esplicito dello stupro con tre amiche il 18 luglio e di aver affrontato il discorso con la madre la sera del 24. In realtà, C.S. ha rivelato che il discorso era già stato intavolato: «Durante il viaggio in aereo (di domenica 21, ndr), ho provato più volte a chiedere a mia figlia che cosa avesse, per capire il suo malessere; perché era giù di morale, a prescindere dalla febbre, e la cosa mi era sembrata assai strana, visto che stavamo rientrando da un periodo di vacanza. S., lì per lì, mi ha raccontato, così a grandi linee, l'episodio della serata in discoteca, dicendo che l'avevano fatta bere e violentata senza entrare troppo nei particolari perché c'erano altre persone, promettendomi che mi avrebbe raccontato poi a casa. Le ho subito chiesto se R. sapesse dell'accaduto e mia figlia mi ha confermato che sapeva della prima violenza, perché era stata proprio lei a raccontargliela, ma non l'aveva aiutata perché dormiva». Non è tutto. «R. le aveva poi fatto promettere di concordare la versione del racconto della serata, temendo la reazione di sua madre, accordandosi per dire che erano state in discoteca, ma che erano rientrate a dormire nel b&b nelle prime ore del mattino, senza fare alcun cenno alla violenza sessuale». In sostanza, secondo C.S., la preoccupazione principale di R. sarebbe stata quella di non far saper alla propria madre che aveva dormito fuori e che l'amica era stata stuprata. Poi, però, avrebbe cercato di riallacciare i rapporti: «S. mi ha detto che R. in questi giorni le ha mandato diversi messaggi per chiederle come mai fosse distante senza che tuttavia lei rispondesse». Il 26 luglio carabinieri chiedono a C.S. se abbia messo da parte la tuta e la biancheria che S. portava la notte della presunta violenza e la donna risponde: «I vestiti che mia figlia indossava quella sera li ho, senza sapere, lavati quando siamo tornati a Milano e le ho disfatto la valigia». Nei giorni seguenti i genitori avrebbero «più volte provato a tornare in argomento» con la figlia, «per capire di più e convincerla a denunciare i fatti». Il 25 luglio la madre approfitta di un appuntamento programmato con la propria ginecologa per portare con sé S. per una visita di controllo. La dottoressa appena apprende la vicenda consiglia di recarsi subito presso il pronto soccorso della clinica Mangiagalli, specializzata in violenze carnali, per degli esami specifici. «Siamo stati lì fino a mezzanotte e mezza per poi tornare nella mattinata seguente per effettuare dei colloqui con la psicologa e con gli assistenti sociali e dopo siamo venuti qui in caserma da voi» prosegue la donna. Con gli investigatori, il 26 luglio, parte la caccia ai presunti stupratori. C.S. spiega: «Ho chiesto a mia figlia se era in grado di dirmi l'identità dei quattro ragazzi che hanno abusato di lei. Non ricordava i cognomi, ma li ha cercati su Instagram, poiché durante la serata si erano scambiati i profili». Grazie a una foto pubblicata da uno dei quattro, S., «tramite la geolocalizzazione [], è riuscita a ricordarsi la località in cui era ubicata la casa ove si sono consumati gli abusi». La studentessa non aveva riferito alla madre «molti particolari fisici o caratteristiche dei violentatori», salvo che «sono tutti di Genova, vivono lì e che sono figli di persone potenti». Infatti «uno dei quattro è figlio del noto Beppe Grillo» specifica la testimone. Il verbale prosegue: «Ho chiesto a mia figlia se fosse a conoscenza di video e foto realizzati dai suoi aggressori durante la serata, ma mi ha detto che, per quello che sapeva, non ne erano stati fatti []. Le ho chiesto se aveva notato per caso qualcuno metterle delle sostanze, pillole o altro nei drink o nei bicchieri, ma lei mi ha detto di non essersene accorta, mi ha solo detto che la vodka [] consumata» nella casa degli aggressori «aveva uno strano sapore e i ragazzi "puzzavano di fumo" []. Per quanto ne so, mia figlia non fuma, non beve, se non in compagnia, e non fa uso di sostanze stupefacenti». Ma tutto ciò non è bastato a evitarle questa brutta avventura.
Giacomo Amadori per “la Verità” l'8 maggio 2021. Capelli biondi mossi, fisico asciutto e abbronzato, collanina d' ordinanza: in poche parole il maestro di kitesurf come te lo aspetti. È lui uno dei primi testimoni chiamati a confermare la versione di S.J., la ventenne italo-norvegese che sostiene di essere stata violentata, la mattina del 17 luglio 2019, da Ciro Grillo, Francesco Corsiglia, Edoardo Capitta e Vittorio Lauria. Il 25 agosto 2019, Marco G., quarantacinquenne originario di Gorizia e trapiantato in Sardegna per amore del mare, davanti ai carabinieri del Reparto territoriale di Olbia, ha mostrato innanzitutto le chat che aveva scambiato con S. quel 17 luglio. Alle 12.10, mentre S. sta ancora dormendo a casa di Ciro e compagni, le scrive per avvertirla che si è infortunato e che quindi non potrà essere presente alla lezione delle 15. L' uomo allega anche la foto della caviglia gonfia. Un paio d' ore dopo S. viene svegliata dall' amica R.M. che la trova «confusa e sconvolta [] con tutto il trucco colato [] per il pianto». Alle 14.36 S. sembra voler far finta di nulla con il maestro: «Uddio come stai? Come cazzo hai fatto?». Passano venti minuti e S. realizza: «Nooo quindi oggi non sono con te giusto? Mi spiaceeeeee. Spero che tu ti rimetta presto». Altri venticinque minuti e S. digita: «Marco ieri sera ho fatto casino poi quando ci vediamo ti racconterò». Alle 15.47, mentre la «grande kiter» (così la chiama il maestro) sta andando a lezione, Marco G. replica: «Spero non si tratti di nulla di grave». E lei gli manda questo vocale: «No, Marco tranquillo, non ti preoccupare ehm ho fatto una cazzata, poi te la racconterò, eh, niente, cioè parliamo un attimo ehm mi serve un po' una dritta diciamo proprio cinque dita in faccia mi servono, comunque ehm sto andando a lezione, mi spiace un casino che non ci sei []. Niente spero di vederti presto così, cioè, parliamo e ci divertiamo (ride, annotano gli investigatori, ndr)». Marco G. ipotizza che quel riferimento alle «5 dita in faccia» potesse significare «che per quello che aveva fatto si meritava una sberla». Le chat proseguono la sera: «Alle ore 20.25 mi ha risposto di non preoccuparmi che quando ci saremmo visti mi avrebbe parlato. Subito dopo mi ha mandato un messaggio chiedendomi che cosa avessi fatto al piede e alle 20.27 mi ha inviato un ulteriore audio raccontandomi, peraltro con voce soddisfatta e felice, della lezione che aveva sostenuto con la mia collega Francesca e che aveva fatto un figurone. Dopo un minuto mi ha mandato un nuovo audio in cui ha specificato che nonostante la lezione fosse andata benissimo, si era recata in spiaggia senza avere dormito e ubriaca. Si giustificava dicendo che era andata perché aveva bisogno di uno "stacco", ma non l'avrebbe fatto mai più. Le ho risposto che avevo provato a telefonarle e che mi sentivo più tranquillo nell' apprendere che la cazzata che aveva fatto era riferita all' ubriacatura e al fatto che non avesse dormito. Quindi la consolavo dicendole che alla sua età erano cose che capitavano». L'ultimo messaggio risale alle 23.19, quando S. scrive: «Marco sono collassata dal sonno e mi sa che tra un po' mi riaddormenterò». Nei giorni successivi i due si sono rivisti, forse in occasione dell'ultima lezione, avvenuta il 21 luglio, quando la giovane è tornata a Milano con i genitori. Marco G. ricorda: «Mentre ci stavamo dirigendo [] in acqua, S. ha iniziato il discorso, informandomi che la sera in cui era successo il casino si era ubriacata. Poi era entrata in acqua per fare la lezione e io ho percepito dal suo atteggiamento che aveva bisogno di esternare un qualcosa. Infatti durante i tempi morti della lezione ha iniziato a raccontarmi, in maniera peraltro confusionaria, che le era successa una cosa brutta e non sapeva come comportarsi. Io mi sono preoccupato e le ho chiesto cosa fosse accaduto. Lei ha replicato "Eh, è che è successo di nuovo". A seguito di questa frase ho subito immaginato che si stesse riferendo alla confidenza che mi aveva fatto l' anno prima, ossia che era stata abusata dal suo migliore amico». A questo punto un investigatore chiede spiegazioni. Risposta: «In sostanza, sempre durante una lezione, S. mi aveva confidato che il suo migliore amico d'infanzia, senza rivelarmi il nome, l' aveva costretta a un rapporto sessuale anche se lei non era d'accordo e mi chiedeva come si doveva comportare. Ricordo che la esortai a fare due cose: denunciare l'accaduto e renderlo pubblico oppure parlare con il suo amico per costringerlo, in un certo senso dandogli due alternative, a farsi aiutare da qualcuno competente oppure che lo avrebbe denunciato. Lei lo descriveva come il suo migliore amico e (diceva, ndr) che gli voleva molto bene e che in passato si erano baciati senza andare oltre». Marco G. riferisce di aver riaffrontato l'argomento in tempi più recenti: «Quest' anno mi ha confermato di averne parlato con lui, il quale sentendo le accuse era caduto dalle nuvole, ritenendo il rapporto sessuale consenziente. S. aveva, quindi, deciso di non denunciarlo perché, a suo dire, gli aveva creduto. Se devo esplicitare la sensazione che ho avuto durante il racconto, ho pensato che S. si stesse arrampicando sugli specchi, perché, essendo una vittima, avrebbe dovuto approfondire la cosa e, invece, non aveva fatto nulla, né lo aveva denunciato, né lo aveva comunque aiutato, credendo alla sua dichiarazione. Quindi ho pensato che la ragazza stesse cercando di attirare la mia attenzione. Faccio presente che nel mio ambiente lavorativo, poiché si entra in sintonia con gli allievi, mi è capitato di ricevere da loro confidenze, a mio avviso talvolta poco veritiere». Ricordiamo che S. ha vissuto dal 2017 al giugno del 2019 in Norvegia insieme con il padre originario di Oslo, mentre madre e sorella sono rimaste a Milano. Lassù la presunta vittima ha frequentato il quarto e quinto anno di liceo «in quanto non si trovava bene nella scuola italiana». E nel 2018, in Norvegia, S. avrebbe subito la prima violenza. Che la giovane ha menzionato ai magistrati nel febbraio 2020: «In passato, quando ero in Norvegia, c'era stato un flirt con un mio amico, con il quale condividevo la tenda in un camping scolastico. Ricordo che mi ero addormentata e lui mi aveva penetrata. È accaduto nel 2018. In quell' occasione mi ero svegliata accorgendomi che lui stava venendo, quindi uscivo dalla tenda e scappavo nel bosco a piangere. Non ho mai denunciato il fatto perché non avevo capito che cosa fosse successo, ma anche per paura e perché lui era il mio migliore amico. Non volevo parlare con nessuno di questa cosa». Ma poi l' ha confidata alla madre, a due amiche e al maestro di kite. Marco G., con i carabinieri, prosegue il resoconto delle confidenze ricevute da S.: «Quando mi ha detto che le era successo di nuovo le ho subito chiesto di cosa si trattasse. Lei mi ha riferito, in maniera a mio avviso piuttosto confusa e contraddittoria, di essere uscita in un locale, non ricordo se mi abbia detto quale, e di aver conosciuto dei ragazzi, tipo 5 o forse 7, non lo ricordava perché aveva bevuto. Alla fine questi ragazzi, forse 4, avevano abusato sessualmente di lei. Il racconto, come detto, era alquanto confusionario e S. sosteneva sempre di non ricordare bene l'accaduto perché era molto ubriaca e non sapeva neanche se fosse accaduto di sera o di mattina. Sinceramente, per i molti non ricordo che S. stava esprimendo, non ho creduto più di tanto a quello che mi stava dicendo e le ho detto che non sapevo cosa consigliarle. Le ho comunque fatto presente che la cosa da lei raccontata era molto grave e il fatto che fosse stata ubriaca e non ricordasse i particolari non andava certo a suo favore in caso di denuncia e poteva andare incontro a conseguenze». Il maestro, infine, dice di non aver notato eventuali lividi sul corpo di S., anche perché gli allievi usano la muta lunga.
Giacomo Amadori François De Tonquédec per “la Verità” il 9 maggio 2021. Nel nuovo avviso di conclusione delle indagini preliminari di cui La Verità è venuta in possesso viene citato un nuovo video, che permette di comprendere meglio che cosa sia accaduto nella notte tra il 16 e il 17 luglio in cui Ciro Grillo, Edoardo Capitta, Francesco Corsiglia e Vittorio Lauria avrebbero abusato delle coetanee S.J. e R.M. L'accusa riformata (il capo B) riguarda tutti gli indagati per stupro di gruppo, tranne Corsiglia: «Tutti riuniti tra loro» si legge nell'atto, «presenziavano, filmavano, scattavano e si immortalavano vicendevolmente, utilizzando il telefono di Capitta, nei video e nelle fotografie sottoelencate in cui esponevano i propri genitali avvicinandoli alla testa della M. e in un caso, arrivando fino a toccarne la fronte, mentre la medesima si trovava in stato di incoscienza perché addormentata, cosi da costringerla a subire tali atti sessuali». Poi i magistrati descrivono i contenuti, tra cui quello del video, che sembra corrispondere a quello a cui ha fatto riferimento Beppe Grillo nel suo discusso intervento pubblico in difesa del figlio e in cui sosteneva che i ragazzi «sono quattro coglioni col pisello così»: «Alle ore 6 e 25, Grillo e Lauria si facevano riprendere da Capitta in un video mentre si scoprivano i genitali e Grillo, tenendosi i genitali in mano, si posizionava in piedi a lato del divano su cui R. M. poggiava la testa, rivolto in direzione di quest' ultima; alle 6 e 39, Lauria si faceva immortalare in una fotografia mentre si trovava in piedi con i genitali esposti frontalmente e in prossimità del viso della M.; alle ore 7 e 15, uno di loro si faceva immortalare in due fotografie mentre si trovava in piedi in posizione frontale rispetto al viso della M. ed appoggiava i propri genitali sulla fronte della medesima». Ma dalle carte dell'inchiesta spuntano anche altri episodi, in gran parte inediti, che permettono di ricostruire meglio quella notte di eccessi. S. a verbale ha raccontato di avere bevuto 2 o 3 drink alcolici tra le 22 e le 23 e 30 in un bar del porto di Arzachena. R. ha dichiarato che tutti e tre (con loro c'era anche un ex compagno di classe delle ragazze, A.C.) hanno bevuto due drink, mettendo a verbale di aver bevuto uno spritz e una piña colada. A.C. invece ha dichiarato di aver «bevuto tre drink, tra cui un "americano"» e che le ragazze hanno preso «due consumazioni alcoliche a testa», senza però ricordare quali. In discoteca S. ha invece mandato giù una vodka con Redbull e un bicchiere di champagne. Ha poi bevuto vodka anche a casa dei ragazzi, al mattino. Dice di non aver fumato, mentre la madre di S. ha riferito che i ragazzi odoravano di «fumo», aggiungendo di non aver chiesto alla figlia se parlava «di sostanze stupefacenti», R., invece, ha raccontato che i ragazzi «tra loro parlavano di erba ed in particolare chiedevano l' un l'altro dove l' avessero messa, dove fosse e la cercavano in casa e nelle rispettive stanza []. Parlavano anche del fatto di averne già fumata, infatti cercavano quella che era avanzata». S. dice che la vodka bevuta a casa Grillo aveva un «odore strano». È un riferimento alla droga dello stupro? Era in queste condizioni S. di dare un consenso non viziato? La vodka che la ragazza sostiene di essere stata costretta a ingoiare dai suoi presunti stupratori, l'avrebbe bevuta intorno alle 9. Dopo il rapporto con Corsiglia che è avvenuto, invece, almeno un'ora e mezzo dopo aver lasciato la discoteca e dopo aver mangiato un po' di pasta. Secondo R.M. l'amica S. e Ciro Grillo in discoteca «si baciavano, il bacio era partito da lui e dopo pochissimo S. si staccava. Non mi è sembrato che lo respingesse in modo brusco, ma conoscendola mi è sembrato che non corrispondesse l'interesse di lui». S. avrebbe ballato anche con gli altri, in particolare con Corsiglia. S. racconta che alle 5 del mattino i ragazzi le hanno invitate a dormire da loro e che lei e l'amica hanno accettato non essendoci «taxi disponibili». Ma per A.C., che sostiene di aver lasciato il Bilionaire intorno alle 3, quell' opzione era già stata decisa prima che lui e le ragazze si separassero: «R. mi aveva detto comunque di non preoccuparmi, perché loro avrebbero preso un taxi o sarebbero andate a dormire dai ragazzi, o meglio da Ciro, e l'indomani le avrebbero riaccompagnate a Porto Pollo. Sentito ciò uscivo dal locale». Per R.M. e per la mamma il taxi condiviso serviva a risparmiare. I ragazzi si sono fatti un'idea sbagliata di quelle due studentesse che hanno accettato di andare a dormire a casa di giovani conosciuti la stessa sera? Forse sì, visto che anche R. M. racconta di aver respinto le avances di almeno tre dei quattro ragazzi. Durante il tragitto in taxi, secondo R., l'amica S. «aveva disteso le gambe sui sedili di fronte a lei, non ricordo se accanto a Corsi (Corsiglia, ndr) o sulle sue gambe, e che lui le appoggiava le mani sulle gambe». Arrivati a casa, mentre gli altri preparano la cena, Corsiglia tenta un primo approccio con S., che la ragazza racconta così: «Dapprima mi ha baciato in bocca, ma io l'ho fermato dicendo che non volevo. Lui mi ha detto che "voleva solo scopare". Gli ho risposto di no e lui ha insistito dicendomi: "Cosa ti costa farmi solo un bocchino?"». Dopo averlo respinto S., avrebbe, però, mantenuto un atteggiamento molto confidenziale con il ragazzo: «S. e Corsi mangiavano nello stesso piatto, ho notato che parlavano molto tra di loro ed erano seduti molto vicini, ognuno sulla sua sedia, mentre dopo ho visto che S. si sedeva in braccio a Corsi» ha raccontato R.. A verbale, però, S. ha dichiarato di non aver cenato. Dopo essere andata a dormire, accompagnata da Corsiglia, secondo S., c' è stato un doppio rapporto non consenziente che avrebbe avuto luogo prima in camera e poi in bagno. R.M., che dormiva su un divano, dichiara di essere stata svegliata una prima volta dalla voce di Ciro Grillo che si lamentava dicendo: «Io me la sono portata a casa perché me la volevo scopare e invece se la sta scopando lui». Ma per S. quel rapporto, come detto, non era consenziente. Un'amica di S., A.M. ha raccontato ai pm come sarebbe degenerato il rapporto tra Corsiglia e la italo-norvegese: «Lei era andata in una stanza con Francesco, avevano iniziato a baciarsi ma quando lui ha voluto di più lei ha rifiutato ed a quel punto lui la costringeva a stargli sotto, l'ha spogliata completamente e poi avrebbe abusato di lei». Agli atti dell' inchiesta sono state depositate altre foto che dimostrerebbero come S., intorno alle 7 del mattino, sarebbe andata a comprare le sigarette a un distributore automatico, insieme al suo presunto primo stupratore, Corsiglia, Capitta e Lauria, mentre Ciro sarebbe rimasto a casa a riposare. Secondo quanto risulta alla Verità, le difese collocano quella foto, grazie a un' importante testimonianza, dopo il rapporto sessuale tra S. e Corsiglia, un elemento che, unito ad altri, proverebbe la consensualità del rapporto. Una delle immagini immortalerebbe anche un gesto di confidenza tra Corsiglia e la ragazza. Dopo il presunto stupro di gruppo e un breve sonno, nel primo pomeriggio, i ragazzi non hanno riaccompagnato le ragazze al b&b, come invece avevano promesso di fare, ma solo fino ad Arzachena, perché, secondo il racconto di R., «Porto Pollo era troppo lontano e loro avevano altri impegni nel pomeriggio». Nei giorni successivi l'amico A.C. incontra di nuovo, casualmente, Ciro Grillo al quale chiede come fosse andata con la sua amica, sentendosi rispondere: «Le abbiamo trattate come dei veri gentleman». Nella testimonianza di A. M. emergono alcuni importanti elementi, tra cui un'apparente contraddizione sull'assunzione da parte di S. della pillola: «Mi chiese un consiglio per evitare un'eventuale gravidanza ed io le consigliai di rivolgersi subito ad una farmacia e di prendere la pillola dei 5 giorni dopo, cosa che poi mi ha scritto di aver fatto». La telefonata sarebbe avvenuta la notte del 21 luglio, ma S. ha dichiarato a verbale che aveva assunto, quasi subito, la pillola del giorno. A.M. racconta anche di aver ricevuto da S. sull'app Snapchat alcune foto con dei lividi collegati forse alla violenza: «Ricordo di alcune foto di lei davanti a uno specchio in cui si vedevano chiaramente alcuni lividi sul costato a sinistra, sulla scapola destra e sulla coscia o all' altezza del bacino. Disse di avvertire dolori nelle parti intime. Purtroppo l'applicazione cancella foto e messaggi subito dopo la lettura. E io non li ho salvati perché avevo timore di metterla in imbarazzo, poiché stava perdendo molto peso in maniera molto preoccupante e non era seguita da alcun specialista». A.M. conclude la sua deposizione dicendo che S. «ultimamente ha ripreso peso e, purtroppo, sta mostrando ad alcuni ragazzi alcune sue foto attraverso l'applicazione "Instagram" o forse anche altre. Quando era in Norvegia mi disse che faceva lo stesso ma con Tinder (app di incontri, ndr) e ha scambiato più foto con più ragazzi», anche immagini «in abbigliamento intimo e non». A. ha anche riferito che S. è una ragazza «un po' troppo influenzabile» e che, mentre le conoscenze femminili la rispettano, i ragazzi pensano che sia «una ragazza più facile di altre». Tanto che in un bar aveva sentito dire da un cameriere che «alcuni ragazzi della Cattolica, riferendosi a S., dicevano che anche loro in tempi diversi, in discoteca, se l'erano già fatta». Gossip crudeli che S. mal sopportava, tanto da sfogarsi con la madre, come ha riferito ai magistrati: «Le ho confidato che avevo tante cose per la testa e le ho detto che c' erano tanti pettegolezzi in giro sul mio conto che mi mettevano in cattiva luce».
Grillo jr, "Silvia? Eccitata ed euforica" Doppia versione dell'istruttrice di surf. Affari Italiani l'11/5/2021. Caso Grillo, "Silvia? Era eccitata ed euforica alla mia lezione di kite surf". Il caso di Ciro Grillo e i suoi amici, accusati di stupro di gruppo ai danni di due ragazze in una notte di agosto del 2019 in Costa Smeralda, si arricchisce di nuovi sviluppi. Ad aggiungersi alle tante testimonianze raccolte su quella controversa nottata, arriva la ricostruzione dell'istruttrice di kite surf di una delle presunte vittime delle violenze da parte del figlio del garante del M5s e dei suoi compagni. La versione della donna, ribalta il quadro. Silvia aveva fatto mettere a verbale di aver abusato con la vodka, di avere dolori su tutto il corpo essendo stata abusata da tutti i ragazzi presenti in casa. Ma l'istruttrice di kite surf racconta questa versione, sul giorno successivo alle violenze, quando viene interrogata dai carabinieri. "Silvia, mi è sembrata eccitata ed euforica. Escludo - si legge sulla Verità - che abbia manifestato comportamenti tipici di una persona sotto l'effetto di alcolici, perchè altrimenti non le avrei permesso di iniziare la lezione". Ma la stessa donna, Francesca Brero, intervistata da Corriere della Sera e Repubblica lo scorso 9 maggio, racconta una storia totalmente diversa. "Era arrivata in semi hangover. Non al massimo della lucidità, diciamo così. Mi è sembrata una di quelle ragazze che arrivano stonate a fare lezione. Mi ha detto che aveva bevuto molto". Insomma, una versione dei fatti totalmente ribaltata rispetto a quanto fatto mettere a verbale davanti ai carabinieri. Anche Marco Grusovin, l'altro istruttore ha dato due versioni in totale contrasto. Quando Silvia le ha raccontato dell'altro stupro subito in una vacanza in Norvegia, lui ha risposto così agli inquirenti: "Non ho creduto molto peso a quello che mi stava dicendo". Ma in televisione, intervistato da quarto grado cambi il suo ricordo di quel giorno. "Ho visto Silvia dolorante e molto confusa".
"Mentre davo i caffè...": cosa non torna sul caso Grillo. Francesca Galici il 10 Maggio 2021 su Il Giornale. Il caso di Ciro Grillo continua a tenere banco a Non è l'arena, dove l'albergatore ha rivelato le modalità di raccolta della sua testimonianza. Il caso di Ciro Grillo e del presunto stupro di gruppo compiuto insieme ad altri tre amici ai danni di una coetanea continua ad arricchirsi di nuovo dettagli. Durante la puntata di Non è l'arena, Massimo Giletti è tornato sulla questione, cercando anche testimonianze inedite da parte dei protagonisti, che raggiunti dai giornalisti si sono chiusi nel silenzio e hanno preferito tacere. È un tema che il programma tratta da settimane, soprattutto dopo il video di Beppe Grillo che ha portato la questione anche sul piano politico. Massimo Giletti ha messo al centro della puntata il racconto delle ragazze, fatto attraverso i verbali che riportano la versione delle presunte vittime. Silvia e Roberta, nomi fittizi delle due ragazze, frequentano un istituto prestigioso di Milano e hanno scelto la Sardegna per la loro vacanza estiva. Scelgono di trascorrere una serata in Costa Smeralda ed è qui che conoscono la comitiva di Ciro Grillo. Loro alloggiano in un b&b ai confini di quella parte dell'isola, lontano dalla movida sfrenata delle località più note. Anche per questo motivo accettano di trascorrere la notte a casa di Grillo vista l'assenza di taxi disponibili a tarda notte per tornare nel loro alloggio. A Non è l'arena è tornato a parlare proprio il gestore della struttura ricettiva scelta da Roberta e Silvia, che pare abbia ricordi nitidi di quella notte di due anni fa. Daniele Ambrosiani, titolare del b&b nel quale le due ragazze soggiornavano, è tornato sull'argomento anche sulla base di discordanze nelle sue dichiarazioni. In particolare, sono alcune dichiarazioni dell'uomo che sembrano non essere in linea nei suoi diversi racconti. "Non abbiamo mai detto che erano felici, mi sembravano due ragazze tornate da una nottataccia in giro. Noi con gli inquirenti abbiamo parlato un'ora con i carabinieri, quello che risulta sono solo i primi 5 minuti", ha ribadito Daniele Ambrosiani. Nei verbali delle forze dell'ordine sono presenti le dichiarazioni della sua fidanzata, con la quale gestisce il b&b, e che lui avrebbe confermato. L'albergatore ha raccontato la verbalizzazione della loro testimonianza da parte delle forze dell'ordine: "Noi sul momento siamo stati un po' vaghi, pensavamo addirittura che ci venissero a chiedere qualcosa che avevano fatto le ragazze. Sono venuti la prima volta mentre io servivo le colazioni. Ogni tanto io mi allontanavo per preparare dei caffè, poi mi hanno chiesto se ero d'accordo con la mia ragazza e io sono solitamente d'accordo con lei". L'albergatore, quindi, ha ripetuto quanto detto la prima volta a Non è l'arena: "Le ragazze erano scosse nei giorni successivi, lo confermo, com'era uscito con gli inquirenti e forse non l'hanno messo a verbale. Non credo mi abbiano dato una copia del verbale. La ragazza mi ha dato la sensazione di non essere più quella di prima". Dal racconto di Daniele Ambrosiani fatto a Non è l'arena pare emergano alcune discrepanze rispetto a quanto messo a verbale, dove l'albergatore sostiene che manchino alcune sue dichiarazioni.
Fabio Amendolara per "la Verità" l'11 maggio 2021. I verbali dell'inchiesta sul presunto stupro di gruppo che vede Ciro Grillo & company accusati di una violenza sessuale di gruppo che si sarebbe consumata il 17 luglio 2019 ad Arzachena, in Costa Smeralda, fotografano una realtà che ora i testimoni sembrano ribaltare. È come se ci fossero due storie parallele e diametralmente opposte: una raccontata davanti agli investigatori (dove i testimoni hanno l'obbligo di dire la verità) e l'altra davanti al tribunale mediatico. L' atteggiamento di S. J., la diciannovenne che ha denunciato di essere stata stuprata, durante lezione di kite surf a Porto Pollo, per esempio, si è trasformato drasticamente. Francesca Brero, l'istruttrice con la quale S. J. quello stesso 17 luglio aveva fatto lezione, davanti ai carabinieri di Palau, il 27 agosto 2019, ha reso questa versione dei fatti: «Quando ci siamo presentate mi è sembrata una ragazza vivace, solare ed estroversa. Posso dire che era eccitata ed euforica [...]». La lezione deve essere andata bene, perché la testimone verbalizza: «Ricordo che la ragazza era molto entusiasta e felice della sua performance». Inoltre non si sarebbe lasciata andare a confidenze di sorta su come aveva trascorso la serata in Costa Smeralda. «Eravamo a fine lezione», verbalizza Francesca, «ed è stato un commento estemporaneo». Poi le viene chiesto se le sembrava che avesse potuto abusare di alcolici. E la testimone risponde: «Escludo che abbia manifestato comportamenti tipici di una persona sotto gli effetti di alcolici, perché non le avrei consentito di iniziare la lezione». E ha anche aggiunto, a proposito dello stato d' animo di S. J., «il suo stato d' animo potrebbe essere motivato dalla spensieratezza della sua età, dall' essere in vacanza e dal praticare uno sport, il kite surf, con successo e dalla performance, come detto, che ha avuto quel pomeriggio con me». Fin qui la versione che è finita nell' inchiesta e che hanno letto i magistrati inquirenti. Al Corriere della Sera, domenica 9 maggio 2021 (e in un'intervista fotocopia su Repubblica), però, Francesca fornisce una ricostruzione che deve aver fatto letteralmente saltare sulla sedia i carabinieri che avevano raccolto la sua testimonianza. «S.J.», secondo l'istruttrice, «quel giorno era arrivata in semi hangover, non proprio al massimo della lucidità, diciamo così. Mi è sembrata stonata, di quelle ragazze che arrivano stanche a fare la lezione, di sicuro non lucida». Altro che performance di successo. Poi, a proposito dei commenti sulla serata in Costa Smeralda, aggiunge: «Mi ha detto che avevano bevuto parecchio, come le ragazze di quell' età che fanno le sei del mattino. Arrivano stanche e lei lo era sicuramente molto». Ai carabinieri aveva detto che se si fosse accorta che aveva bevuto le avrebbe impedito di partecipare alla lezione. Ma non è l' ultima stranezza. L'istruttrice trasforma anche l'esito della lezione che, se davanti ai carabinieri era stata descritta come un'ottima performance, con il Corriere diventa una débâcle: «Se non ricordo male non ce l'ha fatta a finirla». Ma anche nella versione dell'altro istruttore, Marco Grusovin, c'è qualcosa che non torna. Sentito negli uffici del Nucleo operativo radiomobile del reparto territoriale di Olbia, ha raccontato di conoscere S. J. dall' anno precedente. Con lui c' era una certa confidenza, tanto che la ragazza gli aveva anche raccontato del precedente stupro in Norvegia. E lui le aveva anche dato dei consigli. L' istruttore, sentita la storia, però, pensò che la ragazza stesse cercando di attirare la sua attenzione. Ma a suo giudizio il racconto era «confuso e contradditorio». E a verbale aveva precisato: «Non ho creduto più di tanto a quello che mi stava dicendo». Durante la puntata di Quarto grado di venerdì 7 maggio, però, l' istruttore ha parzialmente ribaltato la deposizione. Ha detto che S. J. «era dolorante e molto confusa», ma non ha mai messo in dubbio la versione della ragazza, anzi si è preoccupato di evidenziare i consigli che le aveva dato. Ma è nel lancio dell' intervista che emerge un particolare che apre un nuovo scenario. La giornalista Martina Maltagliati afferma di aver parlato molto al telefono con il testimone. E a un certo punto dice: «Proprio in questi giorni ha cercato tramite il legale di S. J. di contattarla perché è in apprensione, vuole sapere come riesce a reggere tutta questa pressione». Una notizia che potrebbe aver fatto rizzare i capelli in testa agli avvocati degli indagati, considerando che tra quella sentita in tv e il verbale dell' agosto del 2019 la versione del maestro sembra essere un po' cambiata. Come era già accaduto con quella dei due gestori del Bed and breakfast in cui avevano alloggiato le ragazze. Maika Pasqui, con l' intervento di Daniele Ambrosiani che a fine verbale ha confermato le dichiarazioni della compagna, ai carabinieri di Olbia che il 22 agosto 2019 hanno fatto visita al B&B per raccogliere la loro versione ha dichiarato: «Durante il loro soggiorno le abbiamo viste poco e posso dire che erano tranquille [...]. Non ho notato situazioni particolari e le due ragazze erano molto serene [...]». Nel verbale, gli investigatori annotano anche che il compagno Ambrosiani, quando le due ragazze erano rientrate al B&B, «ha avuto la sensazione che erano entrambe felici». Poi, però, lo stesso albergatore a Non è l' Arena del 25 aprile 2021, ha fornito una versione differente: «Da quel ritorno in taxi, da questa serata, non ci sono più sembrate le stesse ragazze allegre e spensierate che ci eravamo abituati a vedere []. Soprattutto la ragazza che poi abbiamo scoperto aver fatto la denuncia era diventata schiva. Era diventata molto riservata e più che altro triste. [...] Avendo un Bed and breakfast gli ospiti vivono a casa nostra, fanno colazione con noi, quindi il rapporto anche se sono quasi sconosciuti è quotidiano». Ma c' è una terza versione. Sempre a Non è l' Arena, il 9 maggio, lo stesso albergatore risponde alle domande di Francesco Borgonovo, e sostiene che il verbale «è impreciso». E che quelle «sono le parole della fidanzata e non le "nostre"»: «Io c' ero e non c' ero in quella situazione, avevamo ospiti e poi mi hanno chiesto se ero d' accordo con quello che aveva detto la mia fidanzata», aggiunge. «Noi con gli inquirenti abbiamo parlato per più di un' ora e quello che c' è nel verbale sono i primi cinque minuti. Forse hanno voluto trascrivere solo quelle parole. Sul momento probabilmente anche noi forse siamo stati un po' vaghi. Pensavamo che ci venissero a chiedere addirittura qualcosa che avevano fatto le ragazze». E la parola «felici»? «Non l' ho mai usata», dice l' albergatore. «Con gli inquirenti ho usato altri termini. Ho detto che sembravano due ragazze tornate da una nottataccia in giro», ma «forse non l'hanno messo a verbale». Adesso gli inquirenti potrebbero voler sentire nuovamente i testimoni. Per capire se abbiano mentito o se, invece, abbiano sbagliato gli investigatori.
"Svegliata dalle urla di Ciro Grillo". E spunta pure la droga. Luca Sablone il 5 Maggio 2021 su Il Giornale. Il racconto di Roberta: "Ci hanno proposto di fumare marijuana". La furia di Grillo jr contro l'amico: "Mi sono portato a casa la ragazza perché me la volevo scop*** e invece lo sta facendo lui". Adesso spunta anche la droga. Al momento non ci sono conferme, ma riportiamo quanto emerge dalla deposizione di Roberta, l'amica di Silvia. Sul caso Ciro Grillo continuano a emergere ulteriori dettagli rispetto a quelli ormai noti da diversi mesi: la giovane ha raccontato di essere stata svegliata "tre volte", in un caso dalle urla del figlio del fondatore del Movimento 5 Stelle. Che, dice, era insofferente perché un suo amico era con l'altra. Proprio ai danni di Roberta sarebbero state scattate delle foto choc ritraenti i genitali a pochi centimetri dal volto della ragazza mentre dormiva. Per questo gesto i pm di Tempio Pausania hanno puntato il dito contro Grillo jr, Edoardo Capitta e Vittorio Lauria. Le due giovani conoscono i quattro genovesi al Billionaire verso l'1:30. L'organizzatore della serata sarebbe stato proprio Ciro. "Si vantava di avere contatti con il personale del locale. Nel privé ci hanno portato due bottiglie di champagne e due di vodka, abbiamo bevuto tutti", è la versione di Roberta. Mentre è in pista avrebbe visto Ciro e Silvia che si baciavano su un divanetto: "Silvia si staccava e mi è sembrato che non corrispondesse l'interesse". A fine serata arriva l'invito a recarsi nella villetta a Cala di Volpe, accettato nonostante i dubbi della ragazza: "Non ero molto convinta, ma quando Silvia mi ha proposto di andare ho acconsentito, mi diceva di non preoccuparmi".
La droga e la rabbia di Grillo jr. Una volta arrivati a casa Grillo, pare che Corsiglia abbia provato ad "avvicinarsi a Silvia". Alle due amiche avrebbero offerto alcuni alcolici, ma loro avrebbero rifiutato. Verso le ore 6, dopo aver mangiato pasta, Roberta decide di andare a dormire sul divano. Il resoconto riferito ai carabinieri rappresenta un importante elemento per la ricostruzione della vicenda. E proprio in tal senso, come riporta La Stampa, spunta un dettaglio inedito: "Io e Silvia non abbiamo usato droghe, ma quando eravamo a casa ci proponevano di fumare marijuana. Si chiedevano l'un l'altro dove l'avessero messa". Roberta, come già detto, non sempre dorme: "Una volta mi sono svegliata e sentivo Ciro che urlava, era arrabbiato perché Silvia era con un altro". E ha riferito ciò che Grillo jr avrebbe esclamato: "Me la sono portata a casa perché me la volevo scop*** e invece lo sta facendo lui". Poi il figlio di Beppe si sarebbe avvicinato e le avrebbe chiesto se volesse andare in camera con lui: "Ho detto di no".
"Silvia era nuda e confusa". A un certo punto vede Silvia che piange in accappatoio, "accovacciata". Roberta le chiede cosa fosse successo: "Non rispondeva". Solo dopo arriva uno del gruppetto: "Chiedeva se era tutto a posto e lei gli volgeva le spalle, si è allontanata". Tra le 12:30 e le 13 Roberta si sveglia e va alla ricerca dell'amica: "Era in un letto singolo, nuda, confusa, aveva tutto il trucco colato". Si guarda attorno come se non riuscisse a capire dove fosse. Poi arriva la confessione: "Mi hanno violentata tutti". Silvia viene descritta "evasiva e turbata" nei giorni successivi. Il primo agosto le due amiche si incontrano in un bar di Milano. Silvia le racconta di aver parlato con sua madre di quanto accaduto quella notte a casa Grillo: "Mi ha detto che stava prendendo provvedimenti". Infine racconta che la giovante studentessa italo-norvegese aveva già parlato di episodi simili, per alcuni aspetti, avvenuti in passato: "L'anno prima era in campeggio con la scuola, in Norvegia, aveva dormito in tenda con un compagno. Si era svegliata all'improvviso perché lui le era saltato addosso e aveva avuto un rapporto con lei e contro la sua volontà".
Tommaso Fregatti e Matteo Indice per "la Stampa" il 5 maggio 2021. Quella notte fu svegliata «tre volte», in un caso dalle urla di Ciro Grillo, insofferente perché un altro era con la sua amica. Provò a consolare Silvia che le disse piangendo d'essere stata violentata, «era sconvolta, non sapeva più dove si trovava e si chiuse», ma a due settimane dai fatti si videro per parlare. E svela che il gruppo dei ragazzi genovesi propose di usare droga. Roberta, 21 anni il prossimo agosto, era nell'appartamento di Porto Cervo il 17 luglio 2019 dove in quattro - il figlio di Beppe Grillo, Ciro, e poi Edoardo Capitta, Vittorio Lauria e Francesco Corsiglia - secondo i pm di Tempio Pausania hanno stuprato la sua coetanea Silvia, e i primi tre abusato della stessa Roberta scattandosi una foto hard davanti al suo volto, mentre lei dormiva. Il resoconto ai carabinieri è uno degli elementi cardine per ricostruire la sequenza. I genovesi, spiega, le raggiungono al Billionaire «verso l'1.30 l'organizzatore della serata era Ciro Grillo, il figlio di Beppe: si vantava di avere contatti con il personale del locale Nel privé ci hanno portato due bottiglie di champagne e due di Vodka, abbiamo bevuto tutti Mentre ero in pista ho visto Ciro e Silvia che si baciavano su un divanetto Silvia si staccava e mi è sembrato che non corrispondesse l'interesse a fine serata Ciro ci proponeva di fermarci a dormire a casa sua, con gli altri. Io non ero molto convinta ma quando Silvia mi ha proposto di andare ho acconsentito, mi diceva di non preoccuparmi». Arrivano a casa Grillo «e Corsiglia cercava molto di avvicinarsi a Silvia ci hanno offerto alcolici ma non abbiamo accettato». Dopo aver mangiato pasta Silvia e gli altri ragazzi spariscono dalla veranda: «Alle 6-6.30 decidevo di andare a dormire sul divano». In un altro passaggio illumina una circostanza finora inedita: «Io e Silvia non abbiamo usato droghe ma quando eravamo a casa ci proponevano di fumare marijuana si chiedevano l'un l'altro dove l'avessero messa». Poco prima che Roberta dormisse, e mentre dormiva, si consumano secondo la denuncia di Silvia le violenze. Inizialmente compiute da Corsiglia, che tenta di abusarne in camera e poi la stupra sotto la doccia (lui ribadisce che la studentessa era consenziente). Quindi sono gli altri tre, insiste Silvia, a violentarla in gruppo. E però Roberta non ha sempre dormito. «Una volta mi sono svegliata e sentivo Ciro che urlava era arrabbiato perché Silvia era con un altro. Diceva: «Me la sono portata a casa perché me la volevo sc e invece lo sta facendo lui» poi, mentre dormivo, si è avvicinato e mi ha chiesto se volessi andare in camera con lui, ho detto di no. A un certo punto Silvia era accovacciata accanto a me, in accappatoio e piangeva. Le chiedevo cos' era successo, non rispondeva. È arrivato uno dei ragazzi, chiedeva se era tutto a posto e lei gli volgeva le spalle si è allontanata, saranno state le 8.30 tra le 12.30 e le 13 mi sono svegliata e sono andata a cercarla. Era in un letto singolo, nuda, confusa, aveva tutto il trucco colato si guardava intorno come se non riuscisse a capire dove fosse ha detto: «Mi hanno violentata tutti». La descrive «evasiva e turbata» nei giorni successivi, finché non s'incontrano in un bar di Milano l'1 agosto. «Mi ha detto che aveva parlato di quella sera con sua madre e stava prendendo provvedimenti». Infine le chiedono di spiegare se Silvia le avesse mai parlato di episodi per certi aspetti simili. «L'anno prima era in campeggio con la scuola, in Norvegia, aveva dormito in tenda con un compagno. Si era svegliata all'improvviso perché lui le era saltato addosso e aveva avuto un rapporto con lei e contro la sua volontà».
Tiziana Lapelosa per "Libero quotidiano" il 5 maggio 2021. Se per Ciro Grillo e compagni ci sarà una richiesta di rinvio a giudizio, o se la loro vicenda si concluderà con una archiviazione, la procura di Tempio Pausania lo deciderà entro la fine del mese. Quel che potrebbe cambiare, invece, entro i prossimi venti giorni, è la possibilità di un nuovo interrogatorio a carico del figlio del comico-politico e dei suoi amici, Edoardo Capitta, Vittorio Lauria e Francesco Corsiglia, accusati di aver violentato una studentessa italo-norvegese la notte tra il 16 e il 17 luglio del 2019, nella casa del fondatore del Movimento 5 Stelle a Porto Cervo, dopo una serata trascorsa al Billionaire. Dopo essere stati ascoltati nelle scorse settimane e aver chiarito i dubbi dei pm, se interrogare ancora i quattro amici su quella serata della quale la ragazza che dice di essere stata stuprata ha raccontato moltissimi particolari, lo decideranno i legali difensori dei giovani, che sono Sandro Vaccaro, Romano Raimondo, Gennaro Velle, Ernesto Monteverde e Mariano Mameli. Lunedì scorso, la procura di Tempio Pausania, guidata dal procuratore Gregorio Capasso che con il pm Laura Bassani coordina le indagini, ha depositato un secondo avviso di conclusione delle indagini. Rimasta invariata l'accusa di violenza sessuale di gruppo, è stato modificato il capo di imputazione che riguarda la fotografia scattata da tre ragazzi con i genitali appoggiati sul viso dell' amica della vittima, mentre dormiva. In pratica sono state chiarite le responsabilità individuali di alcuni degli indagati che nella prima chiusura dell'inchiesta non erano limpide. In alcune foto, infatti, non si vedeva bene il volto dei ragazzi coinvolti, ma dopo gli interrogatori è risultato che si tratta di Lauria, Grillo e Capetta e, quindi, di una seconda violenza sessuale. Il tutto mentre i quattro amici continuano a dirsi innocenti e a parlare di rapporti «consenzienti». Ed è contro la ragazza che dormiva che si scaglia la madre della vittima. Nei verbali del racconto fatto ai carabinieri e pubblicati dal quotidiano La Verità, S., la ragazza italo-norvegese, dice di averle chiesto aiuto. «S. era andata piangendo dall' amica, che ancora dormiva e le aveva chiesto di andare via perché nel frattempo era stata violentata. L'amica», dice la madre, «confusa aveva alzato le spalle senza dire nulla e si era rimessa a dormire. R. è stata spesso a casa nostra e anche S. è stata sovente sua ospite, per quello che so non aveva un rapporto trasparente con la madre, ha un carattere molto forte, dominante anche su mia figlia che è una persona più genuina». Il giorno dopo le due amiche lasciano la casa del presunto stupro e tornano al B&b chele ospitava. «S. mi ha detto che ha comprato la pillola del giorno dopo in farmacia, non so dire se con R., e mi ha detto che stava male e che avvertiva dolori fisici alle parti intime, alla testa, alla bocca e alle gambe. Stava molto male», si legge nei verbali. Quandoil 19luglioigenitori di S. arrivano in Sardegna, trovano la figlia con la febbre, strana. La madre capisce che qualcosa non va ma fa fatica a far parlare la figlia. «Appena l’abbiamo vista ci siamo però resi conto che le sue condizioni erano pietose, tremava come in preda alle convulsioni». Viene curata con antipiretici e stracci bagnati. Rientrati a Milano, la verità di S. verrà fuori. «R. le aveva poi fatto promettere di concordare la versione del racconto della serata, temendo la reazione di sua madre, accordandosi per dire che erano state in discoteca, ma che erano rientrare a dormire nel b&b nelle prime ore del mattino, senza fare alcun cenno alla violenza sessuale». S., invece, si è fatta coraggio e ha parlato. Il resto è noto.
Ciro Grillo, la testimonianza della seconda ragazza che lo inguaia: "Diceva che se la voleva sco***e, era arrabbiato". Libero Quotidiano il 05 maggio 2021. C'è il verbale della testimonianza di R.M., la seconda ragazza del caso Ciro Grillo, che dà la sua versione dei fatti accaduti in quella notte di luglio del 2019 nella villa di Beppe Grillo in Sardegna. La giovane racconta di essersi addormentata sul divano dopo aver respinto le avance di almeno tre dei quattro ragazzi che hanno ospitato lei e l'amica italo-svedese dopo la serata in discoteca: "Uno mi ha anche invitato in camera, senza specificare se da sola o con lui, ma volevo evitare situazioni ambigue". Sono le sei di mattina e R.M. ha perso di vista da la sua amica S.J. che accusa Ciro e gli altri tre ragazzi di stupro di gruppo. I carabinieri della compagnia Milano-Duomo, il 27 agosto 2019, le chiedono se ricorda o ha sentito qualcosa, rivela Il Fatto quotidiano. La ragazza dice di essersi svegliata tre volte: "In un'occasione Ciro Grillo urlava a uno degli altri in corridoio, era arrabbiato perché S.J. era in camera con qualcuno, io ho subito pensato a Corsiglia: 'Io me la sono portata a casa perché me la volevo sco***e, invece se la sta scop***o lui'. L'amico provava a calmarlo: 'Tanto era brutta, ne troviamo un'altra domani'". R.M. viene svegliata altre due volte. "In un caso mi si è avvicinato Ciro, che mi ha chiesto se ero sicura di voler dormire sul divano o se volessi andare con lui. Gli rispondevo che stavo benissimo lì e lui si è allontanato senza insistere". L'ultima volta è S.J. a svegliarla: "Era accovacciata accanto a me in accappatoio e piangeva. Le ho chiesto cosa stesse succedendo, ma lei singhiozzava. Nel frattempo è arrivato uno dei ragazzi, che le ha chiesto se andasse tutto bene. Lei gli ha dato le spalle, per non farsi vedere piangere. Io ho risposto di sì per farmi dire cosa era successo. Ma lei dopo aver pianto ancora si è calmata e mi ha detto di non preoccuparmi, che stava bene". Alle 13, molte ore più tardi, R.M. ritrova S.J. su un letto, completamente nuda, da sola. "Era confusa e sconvolta. Aveva tutto il trucco colato, credo per il pianto, si guardava intorno come se non sapesse dove si trovasse", racconta. "Mi era capitato di vederla ubriaca, ma mai in questo stato, non mi è sembrato che fosse per gli effetti dell'alcol". Per i pm Gregorio Capasso e Laura Bassani durante la notte è avvenuto uno stupro di gruppo. S.J., incalzata dall'amica, dice: "Mi hanno violentata tutti". E i ragazzi? "C'era un silenzio surreale, facevano finta di niente. Si comportavano come se non fosse successo niente". R.M. è la principale testimone della presunta violenza sessuale di gruppo che vede indagati Ciro Grillo, figlio di Beppe, e i tre amici Francesco Corsiglia, Vittorio Lauria ed Edoardo Capitta. Tutti si proclamano innocenti. L'interrogatorio di Roberta, 20 anni, è avvenuto il 27 agosto del 2019. A raccogliere il suo racconto è il maresciallo Cristina Solomita, che ha già messo a verbale la denuncia di Silvia, assistita dall'avvocato Giulia Bongiorno. Dalla sua testimonianza emerge un altro dettaglio. Mentre erano in discoteca, al Bilionaire, a un certo punto R.M. vede che S.J. è su un divanetto con Ciro: "Si baciavano, il bacio era partito da lui e dopo pochissimo Silvia si staccava. Non mi è sembrato che lo respingesse in modo brusco, ma conoscendola mi è sembrato che non corrispondesse l'interesse di lui".
Ciro Grillo, il racconto dell’amica della ragazza: “Mi ha detto che l’avevano violentata tutti”. Ilaria Minucci su Notizie.it il 05/05/2021. L’amica della ragazza che ha accusato di stupro di gruppo Ciro Grillo e 3 suoi amici ha fornito il proprio racconto sulla vicenda ai carabinieri. In merito al presunto stupro avvenuto il 17 luglio 2019, l’amica 21enne della vittima ha rilasciato agli inquirenti la propria versione dei fatti. Entrambe le ragazze, infatti, si trovavano nell’appartamento di Porto Cervo insieme a Ciro Grillo, Edoardo Capitta, Vittorio Laura e Francesco Corsiglia. A proposito di quella drammatica notte, la 21enne ha raccontato: “I genovesi ci raggiunsero al Billionaire verso l’una e trenta. L’organizzatore della serata era Ciro Grillo, il figlio di Beppe, che si vantava di avere contatti con il personale del locale”. La serata, quindi, è stata trascorsa dal gruppo di giovani tra privé e pista da ballo. Rispetto al tempo trascorso al Billionaire, la ragazza ha spiegato: “C’erano due bottiglie di champagne e due di vodka che abbiamo bevuto tutti. Mentre ero in pista, ho visto Ciro e la mia amica che si baciavano su un divanetto ma lei si staccava e mi è sembrato che non corrispondesse l’interesse”. Dopo aver deciso di lasciare il locale, poi, Ciro Grillo avrebbe proposto alla comitiva di trasferirsi al completo alla sua villa, presso la quale i pm di Tempio Pausania ritengono che sia avvenuto sia lo stupro di gruppo che lo scatto di fotohard con la 21enne, amica della vittima di abuso sessuale, mentre dormiva. Il racconto della 21enne prosegue spiegando di essere stata convinta dall’amica ad andare con i ragazzi nell’abitazione di Porto Cervo e di aver poi visto la ragazza sparire con i quattro presunti stupratori in veranda, dopo aver mangiato tutti insieme della pasta. A quel punto, la 21enne ha ammesso: “Alle 6-6:30 decidevo di andare a dormire sul divano, io e lei non abbiamo usato droghe ma quando eravamo a casa di proponevano di fumare marijuana e si chiedevano l’un l’altro dove l’avessero messa”. Nel corso della sua testimonianza ai carabinieri, poi, la ragazza ha ricordato: “Fui svegliata tre volte. In un caso dalle urla di Ciro Grillo, insofferente perché un altro dei suoi compagni era con la mia amica. Diceva: ‘Me la sono portata a casa perché me la volevo sc… e invece lo sta facendo lui’”. Una seconda volta, poi, è stata svegliata nuovamente dal figlio di Grillo che le chiedeva in modo diretto di andare in camera con lui, proposta che lei avrebbe rifiutato. Infine, una terza volta la ragazza è stata svegliata dall’amica: “Era accovacciata accanto a me, in accappatoio e piangeva. Le chiedevo cosa fosse successo ma non rispondeva”. In relazione alle ricostruzioni effettuate, in quel momento lo stupro di gruppo si sarebbe già consumato. La 21enne, poi, ha ricominciato a dormire svegliandosi soltanto alcune ore dopo: “Alle 12:30-13, quando mi sono alzata e ho deciso di andare a cercarla, lei era in un letto singolo, nuda, confusa, con il trucco colato che si guardava intorno come se non riuscisse a capire dove fosse. Poi mi ha detto: ‘Mi hanno violentata tutti’”. In seguito alla tragica nottata, le due amiche si sono nuovamente incontrate soltanto il 1° agosto 2019 in un bar di Milano, poiché “nei giorni immediatamente successivi alla serata lei era molto evasiva e turbata”. In quella circostanza, la ragazza ha spiegato di aver appreso che la giovane vittima aveva raccontato quanto accaduto alla madre. Inoltre, la 21enne ha anche rivelato che lo stupro di gruppo avvenuto nella villa di Porto Cervo non sarebbe stato il primo episodio di violenza subito dalla studentessa: “L’anno prima era in campeggio con la scuola, in Norvegia, aveva dormito in tenda con un compagno. Si era svegliata all’improvviso perché lui le era saltato addosso e aveva avuto un rapporto con lei, contro la sua volontà”.
ECCO LA DENUNCIA AI CARABINIERI DELLA VITTIMA DELLO STUPRO DI CIRO GRILLO ED I SUOI AMICI IN SARDEGNA NELLA VILLA DEL COMICO FONDATORE DEL M5S. Il Corriere del Giorno il 3 Maggio 2021. La denuncia della ragazza italo-norvegese che accusa di stupro sessuale Ciro Grillo ed i suoi tre amici: “Mi tenevano ferma su un letto matrimoniale e mi hanno costretta a 6 o 7 rapporti sessuali”. E’ una deposizione agghiacciante, quella fornita il 26 luglio 2019 ai Carabinieri della Compagnia Duomo di Milano nella querela firmata da S.J., la diciannovenne italo-norvegese violentata da Ciro Grillo, figlio del Garante dei 5Stelle, e ai suoi tre amici della Genova bene, Edoardo Capitta, Francesco Corsiglia e Vittorio Lauri. Un racconto dettagliato che coinvolge il ventenne Corsiglia, figlio di un noto cardiologo genovese: “…Mi ha abbassato i pantaloni e gli slip con forza… Io mi dimenavo perché non volevo, ma non riuscivo a contrastarlo completamente perché non mi sentivo bene”. Il verbale in cui la ragazza descrive quanto accaduto nella notte tra il 16 e il 17 luglio 2019 nella villa di Grillo, a Porto Cervo, è stato pubblicato dal quotidiano “La Verità” diretto da Maurizio Belpietro. La ragazza italo-norvegese che in un primo momento aveva scelto un legale milanese, al quale poi è subentrata l’ex sottosegretaria leghista Giulia Bongiorno, si trovava in quel periodo in vacanza assieme alla sorella minore in un B&B di Palau in Sardegna. Con loro anche una amica R.M., coetanea milanese e compagna di scuola, difesa dall’avvocato Vinicio Nardo di Milano. La sera del 16 luglio le due ragazze decidono di passare la serata in discoteca. La sorella minore invece rimane a Palau. Al Billionarie avviene l’incontro con Ciro Grillo ed i tre amici genovesi con i quali bevono solo qualche cocktail. Quasi all’alba, alla fine della nottata in discoteca, le due ragazze non riuscivano a trovare un taxi per tornare al B&B, ed allora i quattro ragazzi genovesi si offrono per ospitarle nella villa di Grillo. “Abbiamo chiacchierato, loro hanno fumato sigarette (non ricordo presenza di sostanze stupefacenti) e bevuto, io no – ha aggiunto ragazza italo-norvegese – poi Francesco (Corsiglia n.d.r.) mi ha chiesto di accompagnarlo a prendere delle coperte nella camera da letto… prima mi ha baciato sulla bocca, io mi sono tirata indietro… ha preteso sesso orale… mi sono divincolata… sono tornata con gli altri”. La ragazza italo-norvegese va a dormire, ma Corsiglia secondo quanto denunciato, si sarebbe infilato sotto le sue lenzuola, dove sarebbe avvenuto il primo stupro, seguito da un altro sotto la doccia: “Ha aperto l’acqua e mi ha spinto contro la parete… gli detto per due volte di smetterla, che era un animale e uno stronzo, ma lui ha continuato più forte tirandomi i capelli”. Ma l’incubo non è finito lì. Quando Corsiglia si è addormentato verso le 9 del mattino, gli altri tre ragazzi della “Genova bene”… l’avrebbero costretta a bere vodka ed abusare sessualmente di lei: tutti contemporaneamente, filmando la scena e scattando delle foto con i loro cellulari. La ragazza prima ne avrebbe parlato con la sua amica e, poi qualche giorno dopo con la mamma che nel frattempo l’aveva raggiunta a Palau. Ma a quanto pare solo al rientro a Milano la ragazza avrebbe confidato tutto ai genitori. Il 26 luglio viene presentata la denuncia ai carabinieri. Nel corso delle indagini il procuratore di Tempio di Pausania, Gregorio Capasso durante l’interrogatorio al giovane Edoardo Capitta, gli ha chiesto se ha mai inoltrato, diffuso, pubblicato da qualche parte il video raffigurante lo stupro di gruppo, trovato nel suo telefonino. Il giovane rampollo genovese, risponde che non l’ha mai fatto girare ma, aggiunge, l’hanno visto degli amici. Nelle carte depositate dalla Procura c’è anche un riferimento preciso a quel filmato fra le chat dei ragazzi. Uno degli altri indagati scrive via WhatsApp a Capitta: “Mi giri il video?”. La risposta no e la conversazione si chiude lì. Il procuratore che, assieme alla sua sostituta Laura Bassani e agli investigatori informatici della polizia giudiziaria, ha provato a cercare il video fuori dal telefonino di Capitta sui social, nelle chat, nelle mail ma inutilmente. Non l’ha trovato e quindi, nel chiudere le indagini, non ha potuto contestare anche il reato di “diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti“, che è una norma contenuta nel Codice rosso entrato in vigore il 9 agosto del 2019, cioè 23 giorni dopo i fatti. Perciò, semmai fosse provata la diffusione, il reato varrebbe soltanto se fosse accaduto dopo il 9 agosto. Altra cosa è invece la paventata e possibile violazione penale in materia di privacy, evocata dal Garante per la protezione dei dati personali.
Ciro Grillo, brutto colpo per la difesa dei quattro ragazzi: non solo le foto, anche il tabaccaio sbagliato. su Libero Quotidiano il 04 maggio 2021. La difesa di Ciro Grillo e degli altri tre ragazzi accusati di stupro di gruppo si basa sulla tesi che la giovane fosse consenziente. Per dimostrare che la serata si era svolta in serenità c'era anche il fatto che la mattina erano andati insieme a S.J. a comprare le sigarette. La polizia giudiziaria, riporta il Fatto quotidiano, aveva quindi provato a verificare questo particolare ma con la chiusura indagini si è scoperto che era stato sentito il tabaccaio sbagliato. È stata così acquisita la nuova testimonianza, sebbene a due anni di distanza difficilmente potrà essere rilevante. C'è poi il famoso video di cui ha parlato anche Beppe Grillo. Secondo i difensori degli indagati, il filmato girato con il telefonino dai ragazzi dimostrerebbe proprio che il rapporto era consenziente. Per i pm, invece, il consumo di alcol è un elemento importante per dimostrare la "minorata difesa" della vittima e l'impossibilità a esprimere un consenso a quel rapporto. Agli atti delle indagini sono stati aggiunti altri accertamenti. Infine c'è la sequenza di foto ricostruita in un modo più definito, in cui Ciro Grillo e gli amici Edoardo Capitta e Vittorio Lauria scattano immagini oscene con i telefonini, accanto a una delle due ragazze, R.B. che è addormentata sul divano e non si accorge di nulla, forse a causa dell'alcol. Adesso i magistrati hanno ricostruito come in quegli scatti compaiano a turno tutti e tre i ragazzi. Quelle foto, di per sé, hanno portato a un'ulteriore accusa di violenza sessuale. In quel momento, intorno alle sei del mattino, secondo quanto denunciato dalla ragazza italo-svedese, S.J., nella stanza accanto si consumava il primo stupro, da parte di Francesco Corsiglia. Una seconda violenza sessuale, questa volta di gruppo, alle 9 del mattino, ancora una volta ai danni di S.J. Agli inquirenti la studentessa ha raccontato che Grillo, Capitta e Lauria l'avrebbero obbligata a bere mezza bottiglia di vodka che aveva un "odore strano". Dopo aver bevuto, per gli inquirenti, la giovane è stata portata in camera da letto e costretta a un rapporto sessuale di gruppo.
Antonio Di Francesco per “La Verità” il 4 maggio 2021. «Giuse sente che sta crollando tutto, sta cercando disperatamente di prendere dei mattoni e metterli di nuovo uno sopra all’altro, ma non ha più il cemento per farlo. Non dovete credere a niente di quello che dice». La vecchia compagnia di Piazza San Martinez, nel quartiere genovese di San Fruttuoso, non si fida del «Grillo Furioso», l’invettiva pubblicata dal fondatore del Movimento 5 Stelle in difesa del figlio Ciro, indagato per violenza sessuale di gruppo insieme ad altre tre persone. La violenza delle parole pronunciate nel video non impressiona particolarmente chi di Grillo conosce le diverse sfaccettature, come Orlando Portento, che ne è stato ispiratore e che ha condiviso con lui la prima parte della carriera.
Orlando Portento, l’intemerata contro la magistratura ha creato non poco imbarazzo tra le fila dei cinque stelle, soprattutto nei parlamentari più vicini a Beppe Grillo. Perché non c’è da fidarsi, secondo lei?
«Sono l’unico a non essersi lasciato impressionare dalla violenza di quelle immagini: Giuse, come lo chiamavamo nella nostra compagnia, è così. Dopo anni in cui si è sentito un padreterno, è uscito fuori l’altro lato di sé».
Di quale lato parla?
«Io la chiamo la parte degli ortotteri».
Cioè? Che cosa intende?
«Ha reagito così perché dentro di sé ha tanti grilli. Tutti sono rimasti scioccati, per me nulla di nuovo. Grillo è così: quando si mette i caschi in testa, per esempio, vi prende tutti per il culo. Noi ci poniamo sempre questa domanda: come è possibile che sia arrivato a parlare con Mario Draghi? Proprio lui che per noi era la belina, di fatto il presuntuoso, l’arrogante della compagnia. Fin quando lo prenderete sul serio, si divertirà a prendervi in giro».
Sta dicendo che ritiene quel video una sorta di messa in scena?
«Noi lo conosciamo cento volte meglio di tutti gli opinionisti, i parlamentari che hanno detto la loro in queste ultime due settimane. Che cosa ne sanno di Grillo tutti quei deputati e senatori che in questi anni sono stati soggiogati da lui? Che cosa ne sa Alessandro Di Battista, che dice di conoscerlo bene e di capire il dolore che prova? Ho scritto e ribadisco quello che penso, cioè che Grillo sia un impostore, nato e cresciuto da impostore. I grillini sono degli impostori in buona fede. Anni fa li ho ribattezzati “sonnambuli”».
La sua è una accusa forte, perché la sta facendo?
«Grillo ha la forza di condizionare le menti di tutte queste persone, che gli devono molto. Del resto, stiamo parlando di miracolati catapultati in Parlamento: avvocati che facevano cause per poche lire sono finiti a occupare le poltrone dei ministeri. Ora che è uscito con questo video, tutti hanno gli incubi. Ogni notte penseranno: “Cosa devo dire?”. A mio giudizio, sono disperati».
Crede nell’ipotesi che Grillo abbia deciso di realizzare quel video spinto dal dolore che prova come padre?
«Mi dispiace, ma non ci credo. Non è vero nulla».
Perché?
«La storia del dolore per il figlio, per lui, è un alibi di ferro. La realtà è che il dolore non c’entra nulla questa volta».
Che cos’è allora, secondo lei?
«Lui non è addolorato, è incazzato. Voi confondete il dolore con la rabbia. Di fronte a quelle sue parole, c’è chi si è lasciato impietosire dall’immagine paterna. Lui è arrabbiato perché è crollata la sua potenza. Si trova perduto, non può più alzare il telefono e chiamare il Presidente del Consiglio o il ministro della Giustizia, perché il vento è cambiato».
Il potere gli ha giocato un brutto scherzo?
«Credo si sia montato la testa, ergendosi a padreterno. Lui si sentiva l’uomo intoccabile, ricercato da tutti. Riceveva telefonate tutti i giorni e “ingrassava”. Solo con le telefonate, chiaramente, dal momento che non mangia perché preferisce non spendere, come è noto a tutti. Si nutriva e si nutre di questa adulazione, ma non si abbuffa più come prima. Sospetto anche io, come altri, che il cambio di passo politico abbia dato una nuova rotta anche all’inchiesta e lui si è sentito smarrito. A quel punto, ha tentato l’inconcepibile».
L’inconcepibile? Si tratta uno degli aneddoti che lei racconta nel suo primo libro, “Due Quori e una Cavagna” (Ed. Pathos)?
«Da giovani usavamo questo termine per parlare delle imprese impossibili. Del ragazzo che, pur non essendo un adone, faceva la corte alle signorine bellissime. “Belin, tenta l’inconcepibile”, commentavamo nel nostro dialetto genovese. Ecco, Grillo ha tentato l’inconcepibile e non ce l’ha fatta».
Lo ritiene un suicidio politico il suo?
«Sì, anche se preferisco usare altri termini. Grillo ha provato, ma gli è andata male. Chissà come sono le sue notti, la rabbia starà aumentando sempre di più. Lo ripeto: non il dolore, ma la rabbia. Se un domani arriverà il rinvio a giudizio per i quattro ragazzi, non so cosa potrà inventarsi. L’arrabbiatura arriverà a un livello massimo. Attendetevi qualcosa di eclatante, magari arriverà a incatenarsi, chissà. Un nuovo coup de théâtre, insomma, che stupirà solo voi, non chi lo conosce bene».
Tra i due figli, quello naturale e quello politico, Grillo non ha avuto dubbi sulla posizione da prendere. Lei lo ha accusato di voler approfittare della situazione per ragioni economiche. Perché?
«Beppe Grillo non è mai stato un padre. La domanda è: ha mai cambiato un pannolino ai figli? Lui non se ne rende ancora conto, ma ha sempre pensato solo ai soldi. È la sua cancrena. A Genova si dice “braccino corto”. Lui il braccio non ce l’ha proprio, è mutilato. Bisogna parlare con i figli, se sei un padre ti sacrifichi. Non pensi solo ai soldi. Io e lui abbiamo vissuto delle avventure, abbiamo combinato delle marachelle, ma non siamo mai andati oltre. Avrebbe dovuto parlare di più con i figli, per insegnare loro a divertirsi come facevamo noi. Tra di noi, non c’erano bottiglie di vodka né fotografie. Anche se quella notte in Sardegna c’è stato consenso, come sostengono i 4 giovani, a me la situazioni fa ugualmente schifo».
In poco più di un minuto, Grillo ha fatto a pezzi alcuni totem che hanno guidato il Movimento 5 Stelle in tutti questi anni, come il rigore morale e la fiducia a ogni costo nella giustizia. Che cosa ne pensa della svolta del re del «vaffa», che sulla gogna ha costruito buona parte del successo politico?
«A Genova ci sono i portentiani e i grilliani. Noi portentiani sappiamo che Beppe Grillo della politica se n'è sempre fregato. Era una specie di ibrido, non gli è mai interessato nulla».
Come si spiegano queste sue contraddizioni?
«Non mi meravigliano. Quando Grillo ha fondato la sua creatura, si contraddiceva già. Una volta erano favorevoli a certi tipi di battaglie, poi mollate per pura convenienza politica e personale. Non ci ho mai creduto fino in fondo. Non è possibile farlo quando di mezzo c’è Grillo, che reputa tutti delle beline, dei superficiali».
Come spiega il successo del Movimento 5 Stelle, allora? Dopo tutto, restano il primo partito in Parlamento.
«Non è la prima volta che in Italia si vota con la pancia, per protesta. È già successo altre volte, con i radicali per esempio. Ci sono periodi in cui gli italiani sfogano le loro incazzature attraverso le urne. Ora quel mondo si sta sgretolando. Quattro anni fa pensavo che i grillini si sarebbero presto dimezzati. In Italia le proteste non sono mai andate oltre i 3 anni, questa volta è durata di più, ma non credo abbia futuro».
Tuttavia, l’«inconcepibile» è riuscito. Almeno in quel caso.
«Grazie a quel genio di Gianroberto Casaleggio. Beppe ha avuto delle combinazioni mostruose nella vita, tutte favorevoli. Come si dice, meglio fortunati che ricchi».
Solo fortuna? O c’è di più?
«Grillo era in una fase discendente della carriera, era crollato come cabarettista e la sua esperienza nel mondo del cinema non aveva portato i risultati sperati. Poi ha trovato Casaleggio e si è buttato in politica. Andava nei teatri a rompere i computer e tutti sono caduti nella sua trappola».
Per quale motivo parla di trappola?
«Ha capito che in quel modo avrebbe guadagnato le “palanche”. Insieme a Casaleggio, sono riusciti a intercettare il momento e a incanalare la protesta. Ha trovato la sua fonte di guadagno quadrupla. Non è vero che voleva cambiare il mondo con il “vaffa”. Quando usava i salvagenti in mezzo alle piazze, sapeva già tutto: vi sto imbarcando. Dentro di sé deve aver pensato: “Io ci guadagno dieci, venti volte di più”. Nessuno lo ha mai più controllato perché era lanciato verso le stelle. Lui si sentiva lanciato verso le stelle. Ora delle stelle è rimasta solo la polvere. O meglio, polvere di stracci».
Tommaso Fregatti e Matteo Indice per "la Stampa" il 6 maggio 2021. «Silvia dopo la notte in cui venne violentata nella casa di Ciro Grillo mi mandò alcuni selfie scattati davanti a uno specchio. Foto in cui si vedevano chiaramente alcuni lividi sul costato a sinistra, sulla scapola destra e sulla coscia all' altezza del bacino...lei è all' apparenza molto socievole con i ragazzi, ma in realtà fragile e suggestionabile e spesso si fanno un'opinione di lei sbarazzina, ma sbagliata». Amanda, studentessa universitaria di 21 anni, è una delle migliori amiche di Silvia, la giovane che, secondo i pm di Tempio Pausania, la notte del 17 luglio 2019 è stata violentata da quattro genovesi - Ciro Grillo, Edoardo Capitta, Vittorio Lauria e Francesco Corsiglia - nell' appartamento di Porto Cervo di proprietà del comico e leader del M5S Beppe Grillo. Il 5 settembre del 2019 - due mesi dopo i fatti - viene interrogata dai carabinieri della compagnia di Milano Duomo. E quel verbale è per gli inquirenti un altro degli elementi cardine dell'inchiesta. Per la prima volta emerge che Silvia era così sconvolta per quanto accaduto nel residence in Costa Smeralda, da condividere scatti in cui si vedevano i possibili segni dei soprusi subiti. Ma nel resoconto di Amanda vengono anche delineati con profondità aspetti del carattere della stessa Silvia. E dopo averla definita, appunto, «fragile ma suggestionabile», racconta altri episodi difficili della sua vita precedenti alla notte in Sardegna. «È una ragazza solare e di buona famiglia - evidenzia Amanda -molto gentile ed educata con tutti, non l'ho mai vista litigare con nessuno. Ma è cresciuta in un ambiente estremamente protettivo che l'ha resa un po' troppo influenzabile». E aggiunge: «In quel periodo era in un momento particolarmente difficile, stava perdendo molto peso». È tuttavia sulle immagini che si concentra l'attenzione degli investigatori. Perché rappresentano una nuova, potenziale prova fotografica dello stupro, una sequenza molto diversa da quella che secondo Beppe Grillo restituiscono i video registrati dagli indagati, nei quali a parere del comico si vede «una giovane consenziente». Nei frame descritti da Amanda, Silvia risulterebbe invece ferita, dolorante. «Non erano foto della casa - prosegue l'amica - ma di lei. Ho visto i lividi in più parti del corpo e nei commenti mi ha anche aggiunto che aveva molto dolore». Silvia e Amanda, cinque giorni dopo la violenza, si sentono al telefono e parlano a lungo. Anche se l'amica la cerca già il giorno dopo la notte choc. «Mi aveva mandato un messaggio su Snapchat dicendo che mi doveva parlare di una cosa importante che le era successa». Silvia racconta all' amica quanto avvenuto quella sera. Ed evidenzia che Roberta (altra amica, presente nella casa, che si era messa a dormire su un divano svegliandosi tuttavia di notte per le urla di Ciro Grillo) le era stata poco d' aiuto: «Mi diceva che le aveva raccontato le violenze subite e che voleva andare via. Ma Roberta le ha risposto che la cosa non le importava e si è rimessa a dormire (la medesima Roberta, sentita dall' Arma, ha invece detto di aver aiutato Silvia, ndr)». Un comportamento diverso, secondo Amanda, da quello tenuto da Andrea, un amico comune che aveva presentato a Silvia i quattro genovesi e aveva trascorso la prima parte della serata al Billionaire insieme a loro, ma non era presente a casa Grillo. Precisa ancora Amanda agli inquirenti. «Il 4 settembre io e Silvia ci siamo viste a pranzo. Ero appena tornata dall' estero e mi ha raccontato di aver sporto denuncia per le violenze. Abbiamo commentato l'atteggiamento di Roberta quella notte. Silvia è molto arrabbiata con lei perché non è intervenuta in suo aiuto, non ha fatto nulla per evitare che avesse conseguenze maggiori. Mentre era molto felice per il comportamento che aveva avuto Andrea: si era arrabbiato e voleva andare a picchiare i genovesi per quello che avevano fatto».
Ciro Grillo, l'amico della ragazza: "Ho capito che era successo qualcosa. Avrei voluto menare lui e i suoi amici". Libero Quotidiano il 07 maggio 2021. “Posso fare qualcosa? Vuoi che vada a menarli?”: a parlare è Andrea, amico di Silvia, la presunta vittima di Ciro Grillo e dei suoi tre amici, che sono ora sotto inchiesta per violenza sessuale di gruppo. Alla fine di agosto 2019, il giovane - sentito dai carabinieri di Milano – racconta cosa ha visto e cosa ha saputo in merito a quanto accaduto nella villa di Ciro in Sardegna a luglio. “Quelli non mi piacevano. Per tutta la sera avevano dimostrato di tirarsela, in discoteca. Il loro atteggiamento non mi piaceva”, ha spiegato Andrea, come riportato dal Corriere della Sera. C’era stata una notte – fra il 16 e il 17 luglio — che lui aveva passato fino a un certo punto assieme a Silvia, al Billionaire di Flavio Briatore in Costa Smeralda. Ed è di quello che parla nel suo verbale. Racconta di aver accompagnato Silvia e la sua amica Roberta in discoteca e di aver subito guardato con sospetto quei ragazzi genovesi con cui hanno condiviso il tavolo all’interno del locale. Di Ciro, per esempio, dice: “Si è tenuto gli occhiali da sole”. Parlando con i carabinieri, Andrea ricorda anche di aver visto Silvia baciarsi con Ciro. Poi spiega di essere tornato a casa a metà notte dopo aver salutato Roberta e Silvia, che invece avevano deciso di rimanere con i genovesi. “Non le ho più viste per un paio di giorni e così le ho chiamate e invitate ad andare in piscina”, si legge nei verbali di Andrea riportati dal Corriere. Quando incontra le due ragazze, Andrea capisce che qualcosa non va e chiede a Silvia se abbia fatto se**o con Ciro Grillo. “A quel punto ho visto che Roberta mi ha guardato e ha fatto una faccia strana mentre Silvia era evasiva, non voleva parlare, io chiedevo risposte chiare ma lei continuava a non rispondere. E allora ho intuito che era successo qualcosa di brutto”, racconta ancora il giovane. A un certo punto Silvia ammette di essere stata con Ciro, precisando che “mi hanno fatto bere mezza bottiglia di vodka”. Nei verbali del ragazzo infine si legge: “Le ho chiesto: ma solo con Ciro? Lei non mi rispondeva... mi ha fatto capire che c’era stato se**o anche con qualcuno degli altri ragazzi e allora le ho chiesto: posso fare qualcosa? Vuoi che vada a menarli? Lei mi ha risposto di no”.
"Vuoi che vada a menarli?". L'ira dell'amico di S. su Ciro Grillo. Luca Sablone il 7 Maggio 2021 su Il Giornale. La versione dell'amico della ragazza: "Mi sembrava sconvolta, mi disse che le avevano fatto bere mezza bottiglia di vodka. Quel gruppo non mi piaceva". Verso la fine di agosto del 2019 tocca anche ad Andrea raccontare ai carabinieri la sua versione dei fatti, cosa sapeva, cosa le aveva raccontato Silvia e cosa era successo durante le vacanze in Sardegna. La sua posizione parte proprio dalla notte tra il 16 e il 17 luglio, quando passa una parte di serata al Billionaire con l'amica. Dice di aver portato in discoteca sia Silvia sia Roberta, ed esplicita un suo punto di vista sulla comitiva composta da Ciro Grillo e i suoi amici con cui poi le due ragazze hanno trascorso il resto delle ore: "Quelli non mi piacevano. Per tutta la sera avevano dimostrato di tirarsela, in discoteca. Il loro atteggiamento non mi piaceva". In particolare sarebbe stato proprio il figlio del fondatore del Movimento 5 Stelle a infastidirlo. Per far capire quanto poco gli piacesse, vuole sottolineare che quella sera "si è tenuto gli occhiali da sole". Ma in realtà anche Edoardo Capitta, Francesco Corsiglia e Vittorio Lauria non gli vanno proprio a genio. Andrea racconta che al Billionaire vede Silvia baciarsi con Grillo jr, commentando successivamente la scena con Roberta. A metà notte, riferisce, saluta le due amiche (che rimangono con la comitiva dei genovesi) e torna a casa.
"Silvia era sconvolta". A verbale fa mettere che non le vede più per un paio di giorni, per poi chiamarle e invitarle ad andare in piscina. Proprio quella è l'occasione che consente ad Andrea di capire che più di qualcosa non va. E la sua mente torna subito alla serata in discoteca. "Hai fatto sesso con Ciro?", chiede a Silvia. A quel punto Roberta lo guarda e gli fa una faccia strana, "mentre Silvia era evasiva, non voleva parlare". Lui chiede risposte chiare ma lei continua a non rispondere. E allora intuisce "che era successo qualcosa di brutto". Andrea inizialmente non riesce a cogliere le occhiatacce di Roberta. Allora prosegue nel discorso, ponendo l'ennesima domanda a Silvia. Che alla fine ammette di essere stata con Grillo, ma tiene a specificare: "Mi hanno fatto bere mezza bottiglia di vodka". La sua versione si ferma solo alla vodka, senza andare oltre. Ma Andrea, come riporta il Corriere della Sera, capisce che c'è dell'altro: "Era strana, mi sembrava sconvolta. Le ho chiesto: 'Ma solo con Ciro?'. Lei non mi rispondeva... Mi ha fatto capire che c’era stato sesso anche con qualcuno degli altri ragazzi". Ecco perché alla fine Andrea avanza un gesto di amicizia e generosità: "Posso fare qualcosa? Vuoi che vada a menarli?". Silvia risponde di no, ma è proprio quell'atto di protezione che le fa prendere atto che da quel momento ha Andrea dalla sua parte.
Giusi Fasano per il “Corriere della Sera” il 7 maggio 2021. «Quelli non mi piacevano. Per tutta la sera avevano dimostrato di tirarsela, in discoteca. Il loro atteggiamento non mi piaceva». È la fine di agosto del 2019. Andrea sta raccontando ai carabinieri, a Milano, che cosa ha visto e che cosa sa della sua amica Silvia e di quello che le è successo mentre era in vacanza in Sardegna, nelle settimane precedenti. C' era stata una notte - fra il 16 e il 17 luglio - che lui aveva passato fino a un certo punto assieme a lei, al Billionaire di Flavio Briatore, in Costa Smeralda. Ed è di quello che comincia a parlare nel suo verbale. Dice che ha portato Silvia e la sua amica Roberta in discoteca, parla di quei ragazzi genovesi con i quali si era condiviso il tavolo e dice - appunto - che «quelli» non erano sulla sua stessa lunghezza d' onda. Quel tipo, poi, Ciro: per dire quanto poco gli fosse andato a genio racconta dettagli che lo infastidivano, tipo che «si è tenuto gli occhiali da sole». Ciro è Ciro Grillo, il figlio del garante del Movimento 5 Stelle, e quella notte, al Billionaire, era lì con altri tre ragazzi genovesi come lui: Edoardo Capitta, Francesco Corsiglia e Vittorio Lauria. Oggi sono tutti sotto accusa per violenza sessuale di gruppo e Silvia è la ragazza che li ha denunciati facendo partire l' inchiesta della Procura di Tempio Pausania. Dopo di lei li ha denunciati anche Roberta, ritratta in fotografie a sfondo sessuale mentre dormiva sul divano. Sfondo dei fatti: la villetta affittata dai quattro per le vacanze estive, accanto a quella di Grillo senior. Quando parla con i carabinieri Andrea racconta che nelle ore del Billionaire aveva visto Silvia baciarsi con Ciro e che aveva commentato quella scena con Roberta. Poi ricorda che a metà notte è tornato a casa e ha salutato Silvia e Roberta che sono rimaste con il gruppo dei genovesi. «Non le ho più viste per un paio di giorni - fa mettere a verbale - e così le ho chiamate e invitate ad andare in piscina». Si incontrano. Appena vede le due ragazze lui nota un clima teso. C' è qualcosa che non va. Torna subito alla serata del Billionaire. «Hai fatto sesso con Ciro?» chiede all' amica. «A quel punto - racconta - ho visto che Roberta mi ha guardato e ha fatto una faccia strana mentre Silvia era evasiva, non voleva parlare, io chiedevo risposte chiare ma lei continuava a non rispondere. E allora ho intuito che era successo qualcosa di brutto». Andrea insiste, non coglie le occhiatacce di Roberta che gli suggeriscono di chiudere il discorso. E davanti all' ennesima domanda Silvia gli risponde che sì, è stata con Ciro, ma precisa che «mi hanno fatto bere mezza bottiglia di vodka». «Mi disse della vodka e non aggiunse altro ma dal suo atteggiamento ho capito che c' era dell' altro. Era strana, mi sembrava sconvolta. Le ho chiesto: ma solo con Ciro? Lei non mi rispondeva... mi ha fatto capire che c'era stato sesso anche con qualcuno degli altri ragazzi e allora le ho chiesto: posso fare qualcosa? Vuoi che vada a menarli? Lei mi ha risposto di no». La reazione di Andrea - il suo amico e compagno di scuola che anche senza sapere dettagli aveva capito e si era schierato dalla sua parte - aveva illuminato la giornata di Silvia, lei era felice di saperlo al suo fianco. Quei giorni non erano che l'inizio di questa storiaccia raccontata al mondo come poche altre dopo l'ormai celebre video con il quale Beppe Grillo ha difeso figlio e amici con quel «non c'è stata violenza, sono solo quattro coglioni, non quattro stupratori». Fra allora e oggi ci sono montagne di atti giudiziari, gli ultimi dei quali depositati pochi giorni fa. Nelle carte è in evidenza anche una fotografia che non ha nulla a che fare con le foto oscene trovate nei cellulari dei ragazzi. È un' immagine scattata dopo le 6.30 del mattino, cioè dopo la spaghettata dell' alba e dopo la prima violenza che Silvia racconta di aver subito da Francesco Corsiglia. Nelle loro versioni i quattro ragazzi dicono da sempre che invece lei - dopo gli spaghetti - si è appartata con Francesco spontaneamente e che poi è andata proprio con Francesco, con Edoardo e con Vittorio a comprare delle sigarette. La fotografia scattata quella mattina presto mostrerebbe lei, Francesco e altri due (non visibili in volto) durante il percorso verso il tabaccaio. Silvia dell' episodio delle sigarette non parla mai nelle sue deposizioni. Racconta tutto il resto, che alla sua amica Roberta disse con quattro parole quando lei si svegliò: «Mi hanno violentata tutti».
Ciro Grillo, i verbali dell'amica della ragazza: "Com'era ridotto il suo corpo il giorno dopo". Le immagini sono sparite. Libero Quotidiano il 06 maggio 2021. S.J., la ragazza italo-svedese che accusa Ciro Grillo e gli altri tre ragazzi della Genova bene di averla stuprata, il giorno dopo si confida con un'amica A.M., via chat. "Quel pomeriggio ho ricevuto un suo messaggio su Snapchat, mi diceva: 'Ti devo raccontare cosa è successo'. Sapevo mi avrebbe scritto un messaggio lunghissimo, era il suo modo di farmi sapere qualcosa che avrebbe richiesto un po' di tempo". Su Snapchat i contenuti scambiati e condivisi si cancellano automaticamente. E A.M. .è l'unica testimone ad aver visto quelli che sembrano segni di violenza sul suo corpo, riporta il Fatto quotidiano: "Ricordo di alcune foto di lei davanti a uno specchio - si legge nei verbali - in cui si vedevano chiaramente alcuni lividi sul costato a sinistra, sulla scapola destra e sulla coscia o all'altezza del bacino. Disse di avvertire dolori nelle parti intime. Purtroppo l'applicazione cancella foto e messaggi subito dopo la lettura. E io non li ho salvati perché avevo timore di metterla in imbarazzo, poiché stava perdendo molto peso in maniera molto preoccupante e non era seguita da alcun specialista". Il 5 settembre 2019, ai carabinieri della Compagnia Duomo di Milano A.M. racconta che l'amica è "una ragazza solare, molto educata e di buona famiglia", ma "con una mentalità un po' infantile" e "un po' troppo influenzabile". I militari hanno già perquisito i quattro ragazzi genovesi indagati: Ciro Grillo, figlio di Beppe Grillo, e gli amici Francesco Corsiglia, Edoardo Capitta e Vittorio Lauria. "Io e S. ci raccontiamo tutto", esordisce A.M. "Mi aveva anche confidato di un'altra violenza subita in Norvegia, tra gennaio o febbraio". Su Snapchat, la giovane parla ad A.M. della serata passata al Billionaire con l'amica R.: "Mi scrisse che dopo erano andate da questi ragazzi e che R. si era addormentata sul divano. Lei aveva iniziato a baciarsi con uno di loro, Francesco, ma quando lui aveva voluto di più e lei aveva rifiutato, lui l'aveva costretta a stargli sotto, l'aveva spogliata e poi avrebbe abusato di lei. In seguito l'aveva portata in bagno e mi disse che mentre era sotto la doccia sentiva gli altri che bussavano alla porta. Terminato il rapporto, Francesco era uscito e lei era andata da R., ma lei avrebbe fatto un gesto come se non le importasse, continuando a dormire". Quindi la vodka che i ragazzi l'avrebbero costretta a bere. "Sentiva i postumi dell'alcol, poi mi ha scritto di aver avuto un black-out. Ricorda di aver trovato i quattro ragazzi nudi nella stanza". Da qui inizierebbe la violenza di gruppo. "Era molto arrabbiata con R. perché non l'aveva difesa. Mentre A., l'altro amico con loro al Billionaire, voleva picchiare i ragazzi. Il 21 luglio mi chiese un consiglio per evitare un'eventuale gravidanza. Io le ho suggerito di prendere la pillola dei 5 giorni dopo, cosa che poi mi ha scritto di aver fatto".
Giusi Fasano per il "Corriere della Sera" il 12 maggio 2021. Nella loro visione della vita quell' esperienza era da raccontare. Sesso in tre con una sola ragazza e poi, quando lei torna a casa, le vanterie con gli amici via chat. Cose più o meno come queste: «Che è successo?». «È stato forte», oppure «Poi ti dico fra', so' stanchissimo». Qualcuno li incalzava: «Ma com' era?», nel senso: era bella o brutta? Risposta: «Mah...niente di che...». Messaggi brevi, parole spesso oscene per descrivere una situazione che loro raccontano come un divertimento, lei come un incubo. Che loro chiamano «sesso consenziente», lei «violenza». «All' inizio sembrava che non volesse...» spiega uno dei ragazzi a un amico che vuole sapere. E così quella ragazza bionda conosciuta al Billionaire diventa una specie di trofeo da esibire nei messaggini per amici lontani. La voce di lei che «ci stava» e della performance sessuale dei tre si moltiplica nell' arco di poche ore. Diventa un racconto aperto a esterni e da mescolare alle bevute, al mare, ai festeggiamenti per la maturità appena sostenuta. Sui social o su WhatsApp, nel gruppo «Official Mostri» o nei messaggi diretti: è la narrazione di ore spensierate. È il vanto in quel messaggio - «3 vs 1» - che uno di loro invia agli amici. Ed è un'altra storia rispetto a quella drammatica che racconta lei. Lei è Silvia, la ragazza italonorvegese che oggi ha 21 anni e che nel 2019 denunciò per violenza sessuale di gruppo Ciro Grillo (il figlio del garante del Movimento 5 Stelle) e i suoi amici Edoardo Capitta, Vittorio Lauria e Francesco Corsiglia. I fatti sono ormai noti. Una serata al Billionaire di Briatore, a Porto Cervo; Silvia e la sua amica Roberta che conoscono i quattro ragazzi genovesi; i balli fino alle cinque del mattino e poi l'invito per una spaghettata nella villetta che i quattro hanno preso in affitto per le vacanze, proprio accanto a quella di Grillo senior, a Cala di Volpe. Le ragazze, che non trovano un taxi per tornare al loro bed&breakfast, accettano l'invito con la promessa che poi saranno accompagnate a casa. Da qui in poi ciò che succede quel mattino (è il 17 luglio 2019) è il racconto di versioni diverse in un fascicolo giudiziario aperto dalla Procura di Tempio Pausania. Roberta si addormenta sul divano e Silvia, invece, racconta ore di sopraffazione e violenza. Il primo ad abusare di lei - spiega agli inquirenti quando fa denuncia - è Francesco (che nega e parla di un normale rapporto sessuale). Dice che l'ha violentata prima nella camera da letto e dopo in bagno, dove l'ha trascinata. Ricostruendo i fatti racconta che poi - sempre mentre Roberta dormiva - gli altri tre l'hanno costretta a mandar giù mezza bottiglia di vodka e hanno abusato di lei che per via dell'alcol non era in grado di opporre nessuna resistenza. Nella sua versione in quella stanza c'è anche la voce di Francesco ma sia lui sia gli altri dicono che invece lui a quel punto dormiva. «Non è vero», negano in ogni caso gli altri tre a proposito della violenza. «Lei ci stava e ha bevuto da sola un quarto di bottiglia di vodka che era allungata con lemon». Nelle chat non ci sarebbero riferimenti né alla vodka né a situazioni di violenza. Fra le frasi evidenziate dai magistrati quel «3 vs 1» e poi «ho paura che quella ci ha denunciato», parole che Edoardo scrive a Vittorio il giorno in cui gli sequestrano il telefonino. È il 29 agosto 2019 e Francesco compiva 19 anni. Il compleanno peggiore della sua giovane vita.
Giusi Fasano per il "Corriere della Sera" il 13 maggio 2021. A verbale è descritto questo: non soltanto lei «ci stava», come dicono loro. Ma, in sostanza, avrebbe proposto proprio lei il sesso di gruppo. I ragazzi accusati della violenza a casa di Ciro Grillo, il figlio del garante del Movimento Cinquestelle, si difendono, negano, attaccano. «Ma quale violenza...» è la sintesi della loro versione davanti ai magistrati. Proprio Ciro, nel suo interrogatorio racconta che «la mattina del 17 luglio 2019 eravamo nel patio io, Vittorio Lauria ed Edoardo Capitta assieme a Silvia (che, ricordiamo, non è il suo vero nome, ndr ). Silvia ha bevuto qualche sorso di vodka, da sola e senza che nessuno di noi la costringesse. Dopo la vodka ricordo che abbiamo parlato in modo scherzoso del rapporto sessuale che lei aveva appena avuto con Francesco Corsiglia (il quarto ragazzo coinvolto nell' inchiesta, ndr) e parlando lei ci ha lasciato intendere che era meglio una cosa con tre piuttosto che con uno solo». Poi il racconto del «siamo andati tutti di là» e i dettagli di quel che descrivono come «rapporto consensuale». Ciro dice a un certo punto che quel che è successo in camera «doveva essere un gioco» ma che «poi siamo andati un po' più in là...». La difesa quindi parla di «qualche sorso di vodka» bevuto spontaneamente, non mezza bottiglia fatta bere a forza (come racconta invece lei) né di «un quarto» di bottiglia bevuto «per sfida», come ha detto Lauria in una intervista rilasciata al programma Non è l'arena. Il capo di imputazione accusa tutti e quattro di violenza sessuale di gruppo aggravata dall' uso delle sostanze alcoliche e racconta tutta un'altra storia. Cioè che «il rapporto sessuale con Francesco Corsiglia» era uno stupro e che il resto è andato così: «Quando ormai si era fatto giorno ed erano circa le 9 del mattino, in concorso e riuniti fra loro, dopo che Lauria, Capitta e Grillo l'avevano forzata a bere della vodka afferrandola per i capelli e tirandole indietro la testa, approfittando delle condizioni di inferiorità fisica e psichica di lei la quale era reduce da una intera notte insonne trascorsa in discoteca, dalle violenze sopra descritte (di Corsiglia, ndr ) e aveva comunque ingerito una consistente quantità di vodka, la costringevano e comunque la inducevano a compiere e subire ripetuti atti sessuali con ciascuno di loro».
Giusi Fasano per il "Corriere della Sera" il 13 maggio 2021. È la mattina del 17 luglio 2019. In una villetta a Cala di Volpe, in Sardegna, ci sono quattro ragazzi genovesi amici d' infanzia e due ragazze di Milano conosciute la sera prima al Billionaire di Briatore, a Porto Cervo. Il 26 luglio, nove giorni dopo, una delle due ragazze racconta ai carabinieri - a Milano - che in quella villetta, quel giorno, aveva subito violenza. Ripetutamente e da tutti e quattro, mentre la sua amica dormiva. Un anno e dieci mesi dopo, quel racconto è il punto di partenza di un' inchiesta della Procura di Tempio Pausania. Ma è anche un caso politico scatenato dal garante del Movimento Cinquestelle, Beppe Grillo, che è il padre di uno degli accusati, Ciro, e che ha acceso la miccia delle polemiche con l' ormai celebre video in cui prende le difese del figlio e degli altri ragazzi: «non è vero niente che c' è stato lo stupro (...) una persona che viene stuprata la mattina e il pomeriggio va in kitesurf e dopo otto giorni fa la denuncia è strano (...) c' è il video, Si vede che c' è il gruppo che ride». Negli atti c' è un video, sì. Ci sono fotografie, chat, testimonianze, accertamenti, intercettazioni, interrogatori... Ma che cosa sappiamo finora di questa storia? I ragazzi finiti sotto accusa per violenza sessuale di gruppo aggravata dall' alcol sono Ciro e tre suoi amici d' infanzia, tutti classe 2000: Edoardo Capitta, Vittorio Lauria e Francesco Corsiglia. La ragazza che li ha denunciati per prima è italonorvegese e tutti la chiamano Silvia anche se non è il suo vero nome. Roberta invece è il nome di fantasia scelto per la sua amica che, appunto, dormiva durante le violenze raccontate da Silvia e che a sua volta ha subito abusi sessuali (foto e video osceni) mentre era addormentata. Le due erano arrivate al Billionaire insieme ad altri tre amici, uno dei quali conosceva Ciro. Presentazioni e tavolo in condivisione con altri (in tutto una quindicina di persone). Una notte di balli, con bottiglie di alcol sul tavolo da cui servirsi liberamente. Alle 3.30 gli amici con cui le ragazze sono arrivate tornano a casa. Loro due restano fino alla chiusura, alle cinque. Ma a quell' ora non trovano taxi per tornare a casa e così il gruppetto dei genovesi le invita a una spaghettata a Cala di Volpe. «Poi vi riportiamo noi al bed & breakfast», promettono. Quando arrivano a casa di Grillo junior le ragazze non sono ubriache. Roberta dichiara ai carabinieri che nessuno lo era. Silvia fa mettere a verbale che dal tavolo del Billionaire si è servita soltanto con un bicchiere di champagne e una vodka con redbull. Alle sei del mattino, con la spaghettata, l' effetto dell' alcol preso in discoteca è svanito. Sono tutti sobri e stanchi. Silvia racconta che mentre Roberta cucina con gli altri lei va con Francesco in camera da letto a prendere una coperta e dice che lui prova un approccio sessuale. «Sono riuscita a respingerlo e a divincolarmi». Sparecchiato tutto Roberta si mette a dormire sul divano. Sono ormai passate le sei del mattino, è ora di andare a dormire. È da qui in poi che Silvia racconta le violenze, prima di Francesco e, dopo più di due ore, anche degli altri tre. La Verità - che di questa storia ha pubblicato in esclusiva molti degli atti d' inchiesta - ricostruisce il racconto dettagliato e drammatico che Silvia mette a verbale. Lei si infila nel letto - dice - e lì arriva Francesco che la afferra per i capelli e la costringe con la forza a un rapporto sessuale prima in camera da letto e poi in bagno, dove la trascina a forza. Lui nega tutto. Niente violenza, né prima degli spaghetti né dopo. Lei ci stava. E poi, ha spiegato, siamo andati in bagno per avere più intimità perché la camera da letto non ha la porta, ma soltanto una tenda. Silvia ricorda che a quel punto voleva tornare a casa: «Sono andata da Roberta che dormiva. Mi sono seduta per terra accanto a lei, l' ho svegliata, non riuscivo a parlare, le ho detto che mi avevano violentata. Inizialmente non capiva, gliel' ho ripetuto e le ho chiesto se potevamo andare a casa. Lei si è seduta sul divano e mi ha fatto spallucce». Dopo essersi vestita Silvia torna da Roberta «che ancora non si era cambiata i vestiti». Silvia è sull'uscio, vuole chiamare un taxi ma Vittorio la convince: «Ci ha chiesto di aspettare un po' perché Francesco non poteva guidare avendo bevuto». Quindi Roberta torna sul divano a dormire e Silvia si siede nel gazebo con gli altri. Lei non dice nemmeno una parola su una gita - chiamiamola così - fatta fra la prima delle violenze che racconta (Francesco) e la seconda parte degli abusi, quella con tutti e tre gli altri. Loro invece parlano di un salto in paese a prendere le sigarette. Ci sarebbe andato Francesco (il solo patentato), Vittorio ed Edoardo assieme a Silvia. Uno dei ragazzi ha rintracciato anche una fotografia che mostrerebbe proprio la ragazza con Francesco e gli altri due in macchina durante il percorso da Cala di Volpe al tabaccaio. Silvia dice che dopo la violenza di Francesco, mentre era nel gazebo con i ragazzi, Vittorio ha preso la bottiglia della vodka e «mi ha afferrato con forza la testa. Con una mano mi teneva il collo da dietro e con l' altra mi forzava a berla tutta. Dopo aver bevuto sentivo che mi girava la testa». Da lì in avanti il racconto è quello di uno stupro di gruppo (in parte ripreso dal famoso video di cui parla Grillo senjor) fino a quando «ho perso conoscenza». Francesco giura di essersi addormentato dopo la gita delle sigarette. I tre ragazzi, come lui, negano tutto. Niente violenza, lei era consenziente e ha bevuto solo «qualche sorso» di vodka. Sono molti i testi sentiti a verbale, alcuni dei quali ricordano oggi dettagli non raccontati ai carabinieri nel 2019 o narrati in modo diverso. Fra gli altri anche la mamma di Ciro, Parvin Tadik, che quella mattina era nella villetta accanto assieme alla sua colf. Alcuni quotidiani ieri hanno pubblicato la sua versione: «Non abbiamo visto e sentito nulla di anomalo».
"Lei non era niente di che...". Spuntano gli sms choc di Grillo e amici. Luca Sablone il 12 Maggio 2021 su Il Giornale. I messaggi tra gli amici dopo la notte a base di sesso: "All'inizio sembrava che lei non volesse...". Poi il timore: "Ho paura che quella ci ha denunciato". Si aggiungono altri dettagli al caso Ciro Grillo. I fari sono sempre puntanti su quella notte tra il 16 e il 17 luglio 2019 nella villetta a Cala di Volpe. Cosa è accaduto veramente? C'è stato uno stupro di gruppo o i rapporti con la ragazza erano consenzienti? Secondo Silvia i componenti della comitiva avrebbero abusato di lei, mentre i quattro amici genovesi respingono le accuse e sostengono che la giovane fosse consapevole al momento dell'atto sessuale. Un intreccio di testimonianze, versioni e racconti che però deve fare i conti con una serie di incongruenze e un'indagine che solamente pochi giorni fa si è conclusa.
Spuntano gli sms. Nel frattempo continuano a emergere diversi particolari sulla vicenda che coinvolge il figlio del fondatore del Movimento 5 Stelle, Edoardo Capitta, Vittorio Lauria e Francesco Corsiglia dopo una serata passata alla discoteca Billionaire. A svelare il contenuto di alcuni messaggi scambiati è il Corriere della Sera, che riporta solamente alcuni degli sms inviati dopo aver trascorso la notte in compagnia di Silvia e Roberta. "Che è successo?"; "È stato forte"; "Poi ti dico fra', so' stanchissimo"; "Ma com'era?". Probabilmente il riferimento era proprio alla ragazza con cui avevano consumato il rapporto: "Mah... niente di che...". "All'inizio sembrava che non volesse...", avrebbe spiegato poi uno del gruppo a un amico che voleva maggiori informazioni su quella notte. Da una parte Silvia parla di "violenza"; dall'altra la comitiva genovese ritiene sia stato "sesso consenziente" sottolineando che lei "ci stava". Vi avevamo già parlato di quel famoso sms, "3 vs 1". Qual è il vero significato? Un messaggio di vanto e di compiacimento come in un videogioco? Oppure si intendeva che ci fossero tre versioni contro una? Senza dimenticare i timori di uno dei ragazzi nelle ore successive: "Ho paura che quella ci ha denunciato".
Costretta a bere vodka? Bisognerà comunque far luce sul "nodo vodka". L'assunzione di alcol ha un'importanza fondamentale nel caso Grillo. Silvia ha raccontato di essere stata costretta a bere vodka (forse un quarto di bottiglia, allungata con lemon) mentre era tenuta per i capelli. Invece uno della comitiva ha riferito che sarebbe stata proprio la giovane studentessa a berla - di sua spontanee a volontà - per sfidare il gruppo: "Nel video si vede che la ragazza comunque sta benissimo e che noi non costringiamo niente. Per sfida lei ha bevuto la vodka, perché noi non riuscivamo a berla".
"Non ho sentito nulla...". La madre di Ciro Grillo nega lo stupro. Luca Sablone il 12 Maggio 2021 su Il Giornale. La testimonianza della mamma di Ciro: "I ragazzi erano tutti tranquilli, non mi è stata fatta alcuna confidenza specifica sulla serata". Nei verbali si legge anche la testimonianza di Parvin Tadjik, che potrebbe rappresentare uno dei testimoni chiave per scagionare il figlio Ciro Grillo e gli amici Edoardo Capitta, Francesco Corsiglia e Vittorio Lauria. La giovane Silvia li accusa di stupro, mentre i ragazzi ritengono che quella notte sia andato in scena solo del sesso consenziente. Su questo sarà chiamata a esprimersi la procura di Tempio Pausania. Intanto, tra le varie versioni fornite, vi è anche quella della moglie di Beppe. Proprio in quel periodo si trovava in vacanza nella sua casa in Sardegna, situata a pochi metri dalla dependance dove i ragazzi avevano trascorso una notte in compagnia delle due amiche. La madre di Ciro, sentita a verbale dal procuratore Gregorio Capasso e dal pm Laura Andrea Bassani, ha ricostruito le ore tra il 16 e il 17 luglio 2019 e i momenti successivi. Ha rivelato, ad esempio, che l'ipotetico stupro (ma per il gruppo si trattava di sesso consenziente) sarebbe avvenuto non nell'appartamento di proprietà di Beppe Grillo ma in una dependance messa a disposizione da un'amica: "Non avendo spazi a sufficienza per ospitare anche gli amici di mio figlio, e comunque volendo mantenere la mia privacy, ho chiesto a una mia amica con cui ci scambiavano favori di poter dare in uso la sua abitazione ai ragazzi per il periodo di vacanza". L'immobile di loro proprietà si trova al civico 36, mentre quello della sua amica al 37: "Le due abitazioni sono vicinissime e adiacenti. E in realtà sono divise solo da un patio".
"Non abbiamo visto nulla". Per "motivi di tranquillità", racconta la Tadjik, aveva chiesto di tenere le finestre aperte durante la vacanza "in modo da essere sempre comunque in contatto con loro". Dunque la mattina del 17 luglio - quando Silvia (secondo la sua versione) sarebbe stata violentata - a pochi metri di distanza nessuno si sarebbe accorto di nulla: "Mi sono svegliata presto perché ho sentito la mia amica partire passando dalla porta finestra ma non mi sono alzata. L’ho fatto alle 9 quando ho fatto colazione nel patio adiacente la casa e devo dire che non ho sentito o visto nulla di anomalo". Cita poi la colf che "faceva le pulizia tutti i giorni anche nelle casa in uso ai ragazzi" e il giardiniere che "quella mattina lavorava nei giardini antistanti le abitazioni".
Cosa è accaduto dopo. La moglie di Grillo, si legge su La Stampa, ha riferito poi ai magistrati una situazione di serenità all'interno della casa dopo quella notte: "I ragazzi erano tutti tranquilli e non mi è stata fatta alcuna confidenza specifica sulla serata. Se non che avevano conosciuto due ragazze che si erano fermate da loro perché non se la sentivano di rientrare a Porto Pollo e che avevano fatto una spaghettata insieme". Anzi, ha raccontato che quel giorno con i ragazzi ha registrato un video sul cellulare che poi è stato inviato a tutte le altre tre mamme: "Ci conosciamo tra noi da tanto tempo e con i loro genitori abbiamo anche una chat su WhatsApp dove ci teniamo in contatto e in cui ho postato il video dei ragazzi". La Tadjik ha raccontato di essersi arrabbiata con suo figlio e gli amici genovesi per essere arrivati in ritardo a pranzo: "Mangiavamo insieme tutti i giorni alle 14 ma quel giorno sono arrivati alle 15. Per questo ho chiesto spiegazioni". Ricorda che il figlio Ciro e l'amico Francesco le dissero "di aver fatto tardi per aver accompagnato le due ragazze ad Arzachena".
Tommaso Fregatti per "la Stampa" il 12 maggio 2021. «Non abbiamo visto e sentito nulla di anomalo. Io, la mia colf che tutte le mattine faceva le pulizie e rassettava anche la dependance dei ragazzi ma neppure il giardiniere e la mia amica Cristina che, dopo un periodo di vacanza trascorso insieme a me, si era alzata presto per partire dalla Sardegna». Parvin Tadjik, 63 anni, moglie di Beppe Grillo, comico e leader del M5S, è per la difesa uno dei testimoni chiave per scagionare il figlio Ciro e gli amici Edoardo Capitta, Francesco Corsiglia e Vittorio Lauria, accusati dalla Procura di Tempio Pausania di violenza sessuale nei confronti di due studentesse, la mattina del 17 luglio 2019. La moglie del comico genovese, infatti, proprio in quel periodo si trovava in vacanza nella sua casa in Sardegna e si trovava a pochi metri dalla dependance dove è avvenuta la violenza. Il 19 ottobre del 2019, due mesi dopo i fatti, sentita a verbale dal procuratore di Tempio Pausania Gregorio Capasso e dal pm Laura Andrea Bassani, ricostruisce le ore del presunto stupro e quelle successive. Svelando, per la prima volta, come la presunta violenza non sia avvenuta nell'appartamento di proprietà di Beppe Grillo quanto piuttosto in una dependance messa a disposizione da un'amica. Dependance che si trova a fianco dell'abitazione dove dormiva Parvin. «Non avendo spazi a sufficienza per ospitare anche gli amici di mio figlio - dice la Tadjik a verbale - e comunque volendo mantenere la mia privacy ho chiesto a una mia amica con cui ci scambiavano favori di poter dare in uso la sua abitazione ai ragazzi per il periodo di vacanza. L'immobile di nostra proprietà si trova al civico 36 mentre quello della mia amica al 37. Le due abitazioni sono vicinissime e adiacenti. E in realtà sono divise solo da un patio». Tadjik evidenzia ai carabinieri come l'immobile sia di proprietà della Gestimar «facente capo a suo marito Giuseppe (Beppe ndr) Grillo» (si tratta di una società immobiliare titolare di diversi immobili tra Valle d'Aosta, Sardegna e Liguria di cui il comico ha il 99 per cento delle quote ma viene di fatto amministrata dal fratello) e spiega che in quei giorni era stata sempre stata molto attenta alla sicurezza dei ragazzi. «Per motivi di tranquillità mia - precisa in Procura - avevo chiesto durante la vacanza ai ragazzi di tenere le finestre aperte della sala anche di notte, così come facevo io, in modo da essere sempre comunque in contatto con loro, fermo restando che le zanzariere restano chiuse». Dunque la mattina del 17 luglio quando Silvia venne violentata (secondo la ricostruzione dei magistrati) prima da Corsiglia e poi da Ciro, Capitta e Lauria, a pochi metri di distanza dormivano tre persone che non si sarebbero accorte di nulla. «Mi sono svegliata presto - aggiunge la moglie di Grillo - perché ho sentito la mia amica partire passando dalla porta finestra ma non mi sono alzata. L'ho fatto alle 9 quando ho fatto colazione nel patio adiacente la casa e devo dire che non ho sentito o visto nulla di anomalo». Cita come testimoni delle sue dichiarazioni oltre all'amica anche la colf Rosa Marilù che «faceva le pulizia tutti i giorni anche nelle casa in uso ai ragazzi» e il giardiniere Massimo che «quella mattina lavorava nei giardini antistanti le abitazioni». Ai magistrati poi Tadjik ricostruisce le ore successive allo stupro. Raccontando di una situazione di serenità all'interno della casa. «I ragazzi erano tutti tranquilli - dice - e non mi è stata fatta alcuna confidenza specifica sulla serata. Se non che avevano conosciuto due ragazze che si erano fermate da loro perché non se la sentivano di rientrare a Porto Pollo e che avevano fatto una spaghettata insieme. Anzi, proprio quel giorno con i ragazzi abbiamo registrato un video sul mio telefono che abbiamo inviato a tutte le altre tre mamme. Ci conosciamo tra noi da tanto tempo e con i loro genitori abbiamo anche una chat su Whatsapp dove ci teniamo in contatto e in cui ho postato il video dei ragazzi». Parvin racconta di essersi alterata poco prima del video con suo figlio e gli amici perché arrivati in ritardo a pranzo. «Mangiavamo insieme tutti i giorni alle 14 ma quel giorno sono arrivati alle 15 - prosegue - per questo ho chiesto spiegazioni. Ricordo perfettamente che sia mio figlio Ciro che Francesco mi dissero di aver fatto tardi per aver accompagnato le due ragazze ad Arzachena». La moglie di Grillo parla anche dei giorni e le ore precedenti la notte di follia. E cioè l'arrivo del figlio Ciro in Sardegna l'11 luglio «cinque giorni dopo di me». E il fatto che il 12 luglio «festeggiasse il suo compleanno». Ma anche come si fidasse dei ragazzi che erano con lui. E cioè Vittorio, Edoardo e Francesco che Ciro «conosceva sin dall'asilo». «Pranzavamo e cenavamo insieme - conclude - poi loro uscivano per conto loro e avevano i loro spazi autonomi. Quella sera ho accompagnato io con la mia macchina i quattro ragazzi in discoteca al Billionaire perché volevo evitare che tornassero in auto. Preferivo prendessero il veicolo di giorno».
"Doveva essere un gioco...". Adesso Ciro Grillo prova a difendersi. Luca Sablone il 13 Maggio 2021 su Il Giornale. Il figlio del garante del M5S prova a giustificarsi: "Poi siamo andati un po' più in là, ma la ragazza ha bevuto vodka da sola". La posizione di Ciro Grillo, Edoardo Capitta, Vittorio Lauria e Francesco Corsiglia è chiara: respingono l'accusa di stupro e sostengono che sia andato in scena solamente del sesso consenziente. Su cosa però sia realmente accaduto quella notte tra il 16 e il 17 luglio 2019 nella villetta a Cala di Volpe sarà chiamata a esprimersi la procura di Tempio Pausania. La giovane studentessa ha dichiarato di essere stata abusata contro la sua volontà, mentre i quattro amici genovesi ritengono che fosse consenziente in occasione degli atti sessuali. Lo ha ribadito anche il figlio del garante del Movimento 5 Stelle, che di fronte ai carabinieri ha provato a chiarire la sua posizione.
La versione di Ciro Grillo. Come si legge su La Repubblica, la sua versione presuppone la consensualità della giovane conosciuta in discoteca al Billionaire: "Doveva essere un gioco, poi siamo andati un po' più in là". La parte centrale del racconto di Grillo jr riguarda la notte trascorsa nell'appartamento antistante al villino in cui dormiva sua madre Parvin Tadjik: "La mattina del 17 luglio 2019 eravamo nel patio io, Lauria e Capitta assieme a Silvia". La ragazza ha denunciato che a quell'ora sarebbe stata già costretta ad avere un rapporto sessuale con Francesco Corsiglia. Il figlio di Beppe ha inoltre chiarito l'aspetto relativo all'alcol: da una parte Silvia dice di essere stata costretta a bere vodka mentre era tenuta per i capelli; dall'altra i componenti del gruppo riferiscono che sarebbe stata proprio lei a berla, di sua spontanea volontà, per sfidare la comitiva. "Silvia ha bevuto qualche sorso di vodka. Ha bevuto soltanto lei e senza che nessuno di noi la costringesse. Dopo la vodka ricordo che abbiamo parlato in modo scherzoso di Corsiglia e del fatto che erano stati insieme", è la sua dichiarazione. Solo dopo, appurata la consensualità, sarebbe arrivata la richiesta: "A quel punto le abbiamo detto: 'Allora andiamo in camera'".
La mamma di Grillo jr. Una testimonianza chiave per gli sviluppi della vicenda potrebbe essere quella di Parvin Tadjik, la moglie di Beppe Grillo che ha fornito il suo racconto relativo a quella notte e alle ore successive. La donna ha fatto sapere di essersi svegliata verso le 9 e di aver fatto colazione nel patio adiacente la casa: "Devo dire che non ho sentito o visto nulla di anomalo". Anche perché, dettaglio di non poco conto, le finestre sarebbero rimaste aperte durante quelle ore: "Avevo chiesto durante la vacanza ai ragazzi di tenere le finestre aperte della sala anche di notte, così come facevo io, in modo da essere sempre comunque in contatto con loro".
Giacomo Amadori per "la Verità" il 13 maggio 2021. È con Ciro Grillo il nome più noto di questa brutta storia. Stiamo parlando di Vittorio Lauria, accusato insieme con tre coetanei di aver stuprato la coetanea S.J. e di aver molestato l'amica R.M. Infatti una sua chiacchierata con Fabrizio Corona trasmessa in tv ha suscitato polemiche e ha convinto il suo avvocato, Paolo Costa, a rimettere il mandato difensivo. A sostituirlo è stato un principe del foro genovese come Alessandro Vaccaro. Lauria è accusato di avere violentato S. insieme con Edoardo Capitta e Grillo junior durante un'orgia e di aver fatto video e foto oscene intorno a R.M. dormiente. Con i magistrati di Tempio Pausania, il giovanotto, il 5 settembre 2019, ha offerto una versione antitetica rispetto a quella di S., anche questa pubblicata in esclusiva dal nostro giornale. Due letture opposte e inconciliabili di una stessa serata di follia. L'interrogatorio parte dalla serata al Billionaire: «Dopo aver preso un tavolo ed esserci incontrati con altre persone, di cui alcuni amici di Ciro, abbiamo consumato tutti insieme due bottiglie, una di vodka e una di spumante. Eravamo circa 11 o 12 persone comprese S. e R. che conoscevo in quell'occasione. Con le medesime non ho avuto particolare modo di interloquire durante la serata. Vidi S. e Ciro baciarsi in discoteca». Un ricordo confermato anche da R., una delle due presunte vittime. La ragazza ha anche riferito un altro episodio descritto pure da Lauria: dopo l'uscita dalla discoteca «già sul taxi avevo notato che S. aveva poggiato il suo piede sulle gambe di Francesco (Corsiglia, il quarto indagato, ndr) e in seguito, mentre mangiavamo la pasta (a casa di Grillo, ndr) S. si era seduta sulle ginocchia di Corsiglia». Il resoconto dell'alba del 17 luglio prosegue: «A un certo punto S. e Francesco si sono trasferiti nella camera di Edoardo []. Io, Ciro ed Edoardo per gioco bisbigliavamo e ridevamo allo scopo di disturbare Francesco e S. in maniera goliardica. Francesco ci diceva di andare via perché avevamo esagerato nel disturbarli. Ciro si era arrabbiato perché all' inizio S. gli aveva dato un bacio e aveva avuto l'impressione che avesse un interesse particolare per lui». Un'arrabbiatura confermata anche da R. nel suo verbale. Insomma sembra che tra i ragazzi in quel momento ci fosse un po' di gelosia. Lauria dice di aver visto «Francesco sdraiato sul letto e S. a cavalcioni sopra di lui» che «si copriva con un lenzuolo». Non esclude poi di aver udito l'amico gridare alla ragazza «andiamo in bagno!», per consumare un secondo rapporto. A questo punto Vittorio ricostruisce a suo modo il momento in cui sono state scattate foto e video osceni: «In seguito con Edoardo e Ciro ci siamo spostati nella sala in cui dormiva R. e cercavamo di infastidirla, le tiravamo per gioco delle caramelle». In realtà le immagini estratte dai cellulari (che forse Lauria nel settembre del 2019 non ricordava) hanno portato i magistrati a contestare veri e propri abusi: Grillo e Lauria, per esempio, sono accusati di essersi fatti filmare da Capitta mentre si scoprivano i genitali vicino alla R. e Vittorio anche di essersi fatto fotografare in piedi con il pene «in prossimità del viso» della giovane. Nel verbale c'è, poi, la descrizione di S. che, dopo essere uscita dal bagno «con un accappatoio e un turbante», si intrattiene per un po' a parlare con l'amica R.. Nel racconto delle ragazze S. era sconvolta per la violenza subita da Corsiglia e stava piangendo. Lauria le smentisce: «Notai i capelli bagnati. Non aveva un'espressione particolare, né piangeva. Non ricordo segni di trucco sul suo viso». Vittorio avrebbe prestato alle due milanesi del vestiario: una casacca del Genoa a R., maglietta e pantaloncini a S.: «Quest' ultima dopo avere indossato la mia roba è uscita raggiungendoci nel gazebo». Poi S., Edoardo, Francesco e Vittorio (Ciro era andato a riposarsi), tra le 7 e le 7 e 30 sarebbero andati a comprare le sigarette in auto: «S. era tranquilla, scherzava normalmente con noi e non ho notato niente di strano». Al ritorno Francesco sarebbe andato a riposarsi, mentre Ciro si sarebbe unito agli altri. «Parlammo con S. del rapporto che aveva avuto con Francesco, ridendo e chiedendole come era andata» continua Vittorio, che descrive una S. molto diversa da quella che hanno incontrato i magistrati, una specie di mangiauomini: «Ricambiava con toni divertiti e scherzosi, dicendo poi la frase "meglio tre che uno"». Il gruppetto, mentre la temperatura ormonale saliva, avrebbe bevuto vodka mescolata a limonata, un avanzo della sera precedente: «Prima l' ha sorseggiata Edoardo, poi l' ho assaggiata io e l' ho ritenuta imbevibile, S. ne ha bevuto più di noi, meno di un quarto di litro []. Lei era seduta alla mia sinistra con una gamba accavallata sulle mie e mi disse: "Dammi che vi faccio vedere che ne bevo di più". Dopo questo lei disse: "Andiamo a dormire" []. E noi l' abbiamo seguita dopo circa un minuto, ritenendo che il suo fosse un invito a seguirla». Nella stanza c' erano due letti singoli uniti e da questo momento il verbale di Vittorio si trasforma nella sceneggiatura di un film pornografico. Inizialmente i tre indagati si sarebbero seduti intorno alla ragazza italo-norvegese e poi avrebbero iniziato ad amoreggiare. La descrizione dell' amplesso è in parte confermata dal frammento di video oggi agli atti. S. avrebbe praticato sesso orale a Ciro e masturbato Edoardo, mentre Vittorio la penetrava da dietro. Il verbale non risparmia particolari crudi e scabrosi, ma descrive anche l' imbarazzo del momento. Dice Lauria: «Stavamo tutti ridendo e non riuscivo ad eccitarmi perché la ritenevo una situazione molto strana []. Io avevo già avuto rapporti sessuali in precedenza, ma solo con una ragazza e una volta sola». Finito il rapporto Vittorio è andato in bagno: «Quando sono tornato, c' era Ciro da solo che mi disse che Edoardo e S. si erano spostati nell' altra stanza per proseguire il rapporto e che lui stesso avrebbe raggiunto S.». Lauria ha anche parlato del filmato: «Durante i rapporti sessuali abbiamo girato un video, in particolare lo ha fatto Edoardo, al quale, nei giorni successivi, chiesi di non farlo vedere a nessuno, né inviarlo ad alcuno, perché sono fidanzato. Non penso che Edoardo abbia mostrato in giro il video. S. non si è accorta di essere ripresa perché in quel momento era girata di spalle». Lauria ha anche risposto a una domanda sull' alcol ingerito dalla combriccola: «Presumo che S. abbia bevuto almeno un drink in discoteca, ma non saprei dirlo con certezza. A casa sicuramente ha bevuto la vodka lemon di cui ho parlato prima. Non l' ho vista bere nient' altro di alcolico. Non era ubriaca, era allegra, ma non dava segni di ebbrezza. Nessuno di noi era ubriaco, eravamo tutti lucidi. S. non mi ha mai chiesto di andare via da casa e non l' ho mai vista avere malesseri di alcun genere. Dopo questi episodi abbiamo visto dei video su "Instagram", sul profilo di S. , in particolare, in uno pubblicato il 17 luglio alle 16 e 30, c' era scritto "sono in perfette condizioni drunk + alcol" in inglese e una faccina in segno di silenzio. In seguito nessuno di noi l' ha più vista, né sentita».
Alcol, video hot e violenza sessuale: ecco su cosa si gioca il caso Grillo. Luca Sablone il 13 Maggio 2021 su Il Giornale. Dalla serata in discoteca ai rapporti sessuali: accusa e difesa divisi tra stupro e consensualità. Su quella notte ci sono ancora due versioni. Il punto di partenza dell'inchiesta della procura di Tempio Pausania è proprio la denuncia di Silvia: la ragazza ha raccontato di essere stata stuprata nelle ore passate in compagnia di Ciro Grillo, Edoardo Capitta, Vittorio Lauria e Francesco Corsiglia dopo una serata in discoteca al Billionaire. I quattro amici genovesi respingono l'accusa di stupro e parlano invece di sesso consenziente. Le ricostruzioni giornalistiche si basano di certo non su convinzioni e certezze, ma su quanto messo a verbale dalle varie testimonianze raccolte dopo la notte tra il 16 e il 17 luglio 2019. L'accusa e la difesa sono divise tra stupro e consensualità: la partita si giocherà su alcolici e consenso, i due punti chiave di una vicenda che deve essere ancora chiarita e su cui rimane un'ombra di dubbi.
È stato stupro? La giovane studentessa ha riferito di essere stata costretta prima a un rapporto con Corsiglia e poi con gli altri tre ragazzi. Il suo racconto ripercorre quanto, a suo giudizio, sarebbe avvenuto nella villetta a Cala di Volpe: "Sbattuta sul letto, mettendosi sopra, baciandola sulla bocca e provando un approccio sessuale". Poi "spinta di spalle nel box doccia per un altro rapporto contro volontà". E ancora nella stanza da letto: "Gli altri la raggiugono, le vanno addosso sul letto ubriachi, la violentano a turno e insieme fino a quando perde conoscenza". Ha aggiunto anche di essere stata costretta a bere vodka mentre era tenuta per i capelli.
Il rapporto era consenziente? Ma è davvero andata così? Non secondo Ciro Grillo e i suoi tre amici, che invece hanno raccontato che la ragazza "ci stava" e che dunque non sarebbe stata affatto stuprata. Il figlio del garante del Movimento 5 Stelle sostiene che "doveva essere un gioco, poi siamo andati un po' più in là", sottolineando sempre la consapevolezza da parte della giovane: "Ha bevuto qualche sorso di vodka. Ha bevuto soltanto lei e senza che nessuno di noi la costringesse". Anche un altro componente della comitiva ha detto che sarebbe stata proprio lei a bere vodka, di sua spontante volontà, per sfidare il gruppo: "Nel video si vede che la ragazza comunque sta benissimo e che noi non costringiamo niente. Per sfida lei ha bevuto la vodka, perché noi non riuscivamo a berla".
Quel video hot. Alcuni conoscenti del gruppetto di Ciro Grillo hanno dichiarato a Non è l'arena di aver preso visione di un filmato ritraente la ragazza nel corso di un rapporto sessuale: "Un sacco di amici l'hanno visto. Con i telefoni gira tutto...". Un'amica è sicura che proverebbe la consensualità: "C'era complicità massima. Non mi è sembrata una scena di violenza. Una situazione ti dico proprio... Quattro cretini". Probabilmente si tratta dello stesso video a cui ha fatto riferimento Beppe Grillo nello sfogo choc pubblicato su Facebook: "C'è tutto un video, passaggio per passaggio, in cui si vede che c'è un gruppo che ride, ragazzi di 19 anni che si divertono e ridono in mutande e saltellano con il pisello, così...". Dall'altra parte però c'è l'ira dei genitori di Silvia, che hanno esternato la loro rabbia alla luce di quanto emerso: "Abbiamo appreso che frammenti (frammenti!) di video intimi vengono condivisi tra amici, come se il corpo di nostra figlia fosse un trofeo: qualcosa che ci riporta a un passato barbaro che speravamo sepolto insieme alle clave". Sul tema si è espresso anche il Garante della privacy: "Chiunque diffonda tali immagini compie un illecito, suscettibile di integrare gli estremi di un reato oltre che di una violazione amministrativa in materia di privacy".
La colf, il giardiniere e la perizia fonometrica: chi ha sentito Ciro Grillo? Luca Sablone il 12 Maggio 2021 su Il Giornale. La moglie di Beppe racconta: "Ho chiesto di tenere le finestre aperte, non ho sentito nulla di anomalo". Una perizia per capire cosa si possa sentire e a quale distanza. Rimangono ancora diversi dubbi sul caso Ciro Grillo. Cosa è accaduto realmente quella notte tra il 16 e il 17 luglio 2019 nella villetta a Cala di Volpe? Si è trattato di uno stupro o i rapporti sessuali sono stati consenzienti? La versione fornita dalla giovane è in contrasto con quanto raccontato dai quattro amici genovesi, che invece respingono l'accusa e parlano di consapevolezza da parte di Silvia al momento dell'atto. Pochi mesi dopo la denuncia della studentessa italo-norvegese è stata sentita Parvin Tadjik, la moglie di Beppe. La donna innanzitutto ha chiarito una cosa: qualunque cosa sia successo non è avvenuto in casa Grillo. La madre di Ciro ha infatti sottolineato che, "non avendo spazi a sufficienza per ospitare anche gli amici di mio figlio e comunque volendo mantenere la mia privacy", aveva chiesto a una sua amica "di poter dare in uso la sua abitazione ai ragazzi per il periodo di vacanza". L'immobile di Grillo si trova al civico 36, mentre quello della sua amica al 37: "Le due abitazioni sono vicinissime e adiacenti. E in realtà sono divise solo da un patio". Nel verbale si legge un altro dettaglio fornito: "Loro erano ospitati nell'abitazione a fianco, nella nostra dormivo io con la mia colf, e a rotazione sono venute alcune amiche a trovarmi".
La colf e il giardiniere. La Tadjik racconta di essersi svegliata alle ore 9 del mattino e di aver fatto colazione nel patio della sua abitazione: "Mi sono svegliata presto perché ho sentito la mia amica partire passando dalla porta finestra ma non mi sono alzata". C'è inoltre un particolare che potrebbe risultare cruciale per rivedere la posizione del figlio e gli amici Edoardo Capitta, Francesco Corsiglia e Vittorio Lauria: "Non ho visto né sentito alcunché di anomalo. Quella mattina non sono andata in spiaggia, e quindi ne ho approfittato per sistemare un po' di cose". Poi la moglie di Beppe ha citato la colf che "faceva le pulizia tutti i giorni anche nelle casa in uso ai ragazzi" e il giardiniere che "quella mattina lavorava nei giardini antistanti le abitazioni".
La perizia fonometrica. I pm Gregorio Capasso e Laura Bassani, riporta Il Fatto Quotidiano, avrebbero già disposto una perizia fonometrica per capire cosa si possa sentire e a quale distanza. Nella testimonianza della madre di Ciro Grillo emerge un ulteriore dettaglio: la donna ha raccontato di aver chiesto ai ragazzi di tenere le finestre aperte durante la vacanza "in modo da essere sempre comunque in contatto con loro, fermo restando che le zanzariere restavano chiuse". Una richiesta avanzata ai quattro amici genovesi "per motivi di sicurezza e anche per la mia tranquillità".
Grillo Jr, spunta la pillola: perché può cambiare tutto. Valentina Dardari il 14 Maggio 2021 su Il Giornale. La giovane dice di aver assunto il farmaco dopo la violenza ma non ci sarebbero conferme a riguardo. Secondo la difesa lo fece molti giorni dopo. Quando la ragazza che ha denunciato di essere stata vittima di violenza sessuale da parte di Ciro Grillo e suoi amici, Edoardo Capitta, Vittorio Lauria e Francesco Corsiglia, assunse la pillola anti-gravidanza? Su questo punto, che sembra essere fondamentale per accusa e difesa, ci sono però molte lacune e incertezze. Un po’ perché i filmati registrati dalle telecamere di sicurezza presenti dentro e fuori le farmacie sono ormai andati persi, un po’ perché i dipendenti non se lo ricordano. Eppure, sembra che servirebbe proprio fare chiarezza su quel punto per poter ricostruire quanto avvenuto la notte del 17 luglio 2019 nella casa a Porto Cervo di Beppe Grillo. Ma se questo non sarà possibile, il rischio è che quel particolare non farà parte del processo. Quasi due anni di indagini portate avanti da Procura e carabinieri non sono serviti per fare luce su quando la ragazza, studentessa milanese italo-norvegese di nome Silvia, comprò la pillola del giorno dopo per evitare il rischio di una gravidanza indesiderata. Secondo gli inquirenti circa ventiquattro ore dopo la presunta violenza. Due sono le farmacie della Costa Smeralda visitate dai militari, dove la ragazza potrebbe aver acquistato il farmaco. Nella prima, indicata inizialmente dalla stessa Silvia, nessuno l’avrebbe riconosciuta. Una delle farmaciste ha spiegato a verbale: “Il 18 luglio 2019 ho venduto quattro pillole del giorno dopo. Ma tra le persone non ricordo la giovane in questione”. Eliminata in parte la prima farmacia, le indagini si sono rivolte sulla seconda indicata dalla giovane. Qui una dipendente sembra ricordarsi più o meno della studentessa, senza però esserne certa e soprattutto senza sapere quando e che cosa possa avere comprato. Intanto i carabinieri hanno sequestrato le ricevute di entrambi i punti vendita. Anche nella seconda, quel 18 luglio sarebbero state vendute almeno cinque confezioni dello stesso farmaco. Nessun aiuto neanche dalle telecamere di sicurezza, dato che erano passati alcuni giorni tra la notte della violenza e la denuncia, formalizzata il 25 luglio, e i filmati risalenti al 18 luglio erano già stati cancellati. Le registrazioni infatti hanno durata di pochi giorni, al massimo sette, e quando sono arrivati i militari erano già state cancellate. Come riportato da La Stampa, per la difesa, i legali quindi di Ciro Grillo e degli altri giovani, il luogo e in particolare la data esatta di acquisto da parte della ragazza della pillola del giorno dopo sarebbero importanti. Nella prima denuncia Silvia aveva detto di aver assunto il farmaco il giorno successivo. Secondo le informazioni acquisite dai difensori, questo sarebbe invece avvenuto qualche giorno dopo. Per la difesa, se questo venisse confermato, starebbe a significare che la ragazza non era sconvolta per la notte passata in compagnia dei giovani. O che comunque ricordava poco cosa fosse successo. Amanda, la sua amica del cuore, quando era stata ascoltata dai carabinieri aveva dichiarato che Silvia non aveva preso niente fino al 21 luglio, quando hanno parlato al telefono. “Sono stata io a consigliarle, dopo quello che mi aveva raccontato, di prendere la pillola. Lei mi disse che sarebbe andata nella farmacia più vicina e poche ore più tardi mi ha inviato un messaggio dicendo di averla presa” aveva raccontato Amanda. Alquanto difficile comunque adesso, dopo quasi due anni, chiarire questo particolare.
Tommaso Fregatti e Matteo Indice per “la Stampa” il 14 maggio 2021. Farmacia sbagliata, registrazioni delle telecamere ormai cancellate, ricostruzione lacunosa e memoria delle inservienti poco fotografica. E così un elemento importante per ricostruire la notte di follia nel residence di Porto Cervo di Beppe Grillo rischia di uscire dall' eventuale e futuro processo. In quasi due anni di indagini Procura e carabinieri non sono riusciti a dimostrare con certezza il giorno in cui Silvia, la studentessa milanese che secondo l'accusa è stata violentata il 17 luglio 2019 da Ciro Grillo e dai suoi amici Edoardo Capitta, Vittorio Lauria e Francesco Corsiglia, ha acquistato la pillola del giorno dopo. Farmaco che, secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, sarebbe stato assunto dalla studentessa milanese ventiquattr' ore dopo la violenza, per evitare una possibile gravidanza. Nelle carte dell'inchiesta recentemente depositate sono evidenziati due sopralluoghi dei carabinieri in due diverse rivendite della Costa Smeralda. Tuttavia nel primo negozio, quello indicato in un primo tempo dalla ragazza italo-norvegese, nessuno l'ha riconosciuta. «Il 18 luglio 2019 - ha spiegato una delle farmaciste a verbale - ho venduto quattro pillole del giorno dopo. Ma tra le persone non ricordo la giovane in questione». I militari a quel punto hanno chiesto nuove delucidazioni alla vittima, che ha indicato un'altra farmacia. Nel secondo esercizio l' rma ha trovato un' impiegata che ha definito «compatibile» la foto della studentessa, ma non l'ha riconosciuta con certezza e non ha saputo dire quale farmaco abbia acquistato né quando. I carabinieri hanno sequestrato tutte le ricevute, ma anche nella seconda farmacia il 18 luglio risultano vendute almeno cinque scatole di quella tipologia. Inoltre, poiché erano passati diversi giorni dai fatti (la denuncia è stata formalizzata il 25 luglio) non sono riusciti a trovare il passaggio di Silvia nelle telecamere dei due negozi. Gli impianti di videosorveglianza conservano infatti le registrazioni per pochi giorni (una settimana al massimo) e all' arrivo dei carabinieri il server era già stato sovrascritto. Perché la data dell'acquisto rappresenta un elemento di rilievo? Per il collegio difensivo che assiste Ciro Grillo e gli altri studenti genovesi, quella sul luogo e soprattutto sul giorno di acquisto sarebbe una delle contraddizioni più importanti di Silvia. Che avrebbe assunto il medicinale, secondo le loro informazioni, non il giorno successivo lo stupro come specificato nella prima denuncia, ma più avanti. E questo, sempre a parere dei difensori degli indagati, dimostrerebbe come la ragazza non fosse sconvolta al mattino o comunque - sempre nell' opinione dei difensori - poco sicura di quanto accaduto. A svelare la circostanza che rende meno chiaro il racconto Silvia agli inquirenti era stata la sua stessa amica del cuore, Amanda. Ascoltata in caserma, aveva dichiarato che la medesima Silvia non aveva preso nulla fino al 21 luglio, giorno in cui si è sentita telefonicamente con lei: «Sono stata io - racconta l'amica - a consigliarle, dopo quello che mi aveva raccontato, di prendere la pillola. Lei mi disse che sarebbe andata nella farmacia più vicina e poche ore più tardi mi ha inviato un messaggio dicendo di averla presa». Eppure ora, nonostante quasi due anni di accertamenti, sarà pressoché impossibile ricostruire nel dettaglio questo aspetto.
Girllo Jr, l'intercettazione: "Mandameli, non li ho visti..." Luca Sablone il 14 Maggio 2021 su Il Giornale. Quella chiamata intercettata che ha svelato la presenza dei filmati sul cellulare: "Non posso girarteli, poi ti racconto quando vengo..." Adesso è spuntata quella conversazione che ha consentito di accelerare i tempi nell'ambito del caso Ciro Grillo e che ha svelato la presenza dei video nel cellulare, considerato un indizio molto importante per l'accusa. La telefonata risale al 9 agosto 2019 quando Edoardo Capitta, non sapendo di essere intercettato da giorni, è in chiamata con un suo amico non meglio identificato. I due continuano a parlare di alcuni filmati e con il passare dei minuti i carabinieri riescono a delineare molteplici dettagli: quei video riguarderebbero infatti proprio la mattina del 17 luglio 2019 nella villetta a Cala di Volpe, quando i quattro amici genovesi hanno passato diverse ore in compagnia di due ragazze conosciute in discoteca al Billionaire. Una delle due giovani ha denunciato il gruppo di stupro, mentre la comitiva si difende e sostiene che i rapporti sessuali fossero del tutto consenzienti. Gli inquirenti non sanno dell'esistenza di spezzoni brevi di video e di alcune fotografie che potrebbero documentare quanto avvenuto quella notte con Ciro Grillo e i suoi tre amici. Poi arriva la telefonata che cambia il passo sulla vicenda e aggiunge ulteriori dettagli di particolare rilievo. Un amico tartassa Capitta di domande, su cosa fosse accaduto con le due ragazze, su chi avesse fatto cosa e in che modo. E poi si parla espressamente di filmini. Questo, come riportato da La Repubblica, lo scambio di battute rispettivamente tra l'amico e Capitta: "Dai mandameli..."; "No, non li mando a nessuno"; "Dai, sono l'unico che non li ha visti!"; "No, non posso. Poi ti racconto quando vengo...". In pratica la conversazione dice agli investigatori due cose: la prima è relativa appunto alla presenza di filmati che potrebbero provare o meno ciò che Silvia ha raccontato; la seconda riguarda il fatto che quei filmati sono stati già visti da altre persone, magari da amici del gruppetto. Però va fatta una precisazione doverosa: sul Corriere della Sera si legge che quei video non sarebbero mai usciti dal cellulare di Capitta, mai condivisi con altri, probabilmente consapevole dei relativi rischi. Così gli inquirenti 20 giorni dopo, ovvero il 29 agosto, decidono di sequestrare i telefonini ai ragazzi. Il 23 maggio scadranno i 20 giorni a disposizione delle difese, entro i quali potranno chiedere altri accertamenti o nuovi interrogatori. Non è da escludere la possibilità che venga proposto un ulteriore accertamento sulle celle telefoniche a cui - tra il 16 e il 17 luglio 2019 - si sono agganciati telefonini dei quattro, di Silvia e dell'amica Roberta. Il che servirebbe per definire meglio spostamenti e orari. Ma se venissero accolte, l'eventuale udienza preliminare potrebbe slittare a dopo l'estate.
Giusi Fasano per il “Corriere della Sera” il 14 maggio 2021. C'è un giorno in cui l' inchiesta cambia passo. C' è una conversazione che accelera i tempi e che svela, per la prima volta, l'esistenza di indizi importanti per l' accusa: dei video. È il 9 agosto del 2019. Edoardo Capitta, uno degli amici di Ciro Grillo indagati per la presunta violenza sessuale, è al telefono con un ragazzo non identificato. Non sa, ovviamente, di essere intercettato da giorni. I due parlano di alcuni video e più ne parlano più i carabinieri in ascolto definiscono di che si tratta. Sono filmati proprio del luogo e dei fatti su cui si sta indagando, cioè della mattina del 17 luglio precedente a Cala di Volpe, in Sardegna. Lì, in una villetta accanto a quella di Beppe Grillo - il garante del M5s - Edoardo Capitta, Vittorio Lauria, Francesco Corsiglia e Ciro, il figlio di Grillo, avrebbero violentato Silvia, la ragazza che li ha poi denunciati facendo partire le indagini della Procura di Tempio Pausania. Fino al 9 agosto gli inquirenti non sanno dell' esistenza di alcun filmato. Poi quella conversazione. L' amico di Capitta che insiste: «Dai, mandameli». «Ti ho detto di no», ripete lui. L' altro non si vuole arrendere ma Capitta non cede: «No, no, non li mando a nessuno. Poi ti racconto quando vengo». Ancora un tentativo: «Ma dai. Sono l' unico che non li ha visti...». Quello scambio di battute dice agli investigatori due cose. La prima è che esistono filmati che potrebbero provare ciò che racconta la ragazza. La seconda è che, qualunque cosa mostrino, quei filmati hanno già fatto il giro degli amici, nel senso che li hanno guardati e commentati in molti a giudicare da quel «sono l' unico che non li ha visti». Sappiamo oggi che è stato accertato se alla fine Capitta li abbia mai girati a qualcuno e la risposta è no, non sono mai usciti dal suo telefonino. E sappiamo di quali video si trattava perché, proprio valutando il contenuto della telefonata e per evitare eventuali cancellazioni, gli inquirenti hanno poi deciso di non aspettare troppo a lungo per sequestrare i telefonini dei ragazzi, cosa che avverrà venti giorni dopo, il 29 agosto. Proprio quel 29 agosto i carabinieri registrano l' ultima conversazione che negli atti sarà annotata in neretto come degna di interesse: «Ho paura che quella ci ha denunciato», si scrivono fra loro due degli indagati nelle ore fra la scoperta di essere inquisiti e la consegna dei cellulari. I filmati che tanto avrebbe voluto avere l' amico di Edoardo Capitta, si scoprirà dalle indagini, sono almeno due, entrambi raccontati più volte dalle cronache di questa storiaccia. Uno è lungo una ventina di secondi e mostra i ragazzi tutti assieme (escluso Corsiglia che pare dormisse e che Silvia accusa di averla violentata per primo) in un rapporto sessuale che loro definiscono «consenziente» e che invece Silvia descrive come violenza sessuale «dopo avermi costretto a bere vodka». L' altro - anche questo di pochi secondi - mostra sempre loro tre che si filmano in pose oscene accanto a Roberta, l' amica di Silvia che era addormentata sul divano. Il 23 maggio scadono i venti giorni entro i quali le difese possono chiedere nuovi accertamenti (da valutare) o nuovi interrogatori (obbligatori, se richiesti, e non è escluso che succeda). Dopodiché ci sarà la richiesta di rinvio a giudizio e la parola passerà a quel punto al giudice dell' udienza preliminare.
Giacomo Amadori per “la Verità” il 14 maggio 2021. «Abbiamo fumato una canna a casa. Le ragazze no» e «durante il rapporto con S. ho fatto un video con il telefono. Proprio dal video si può vedere che S. partecipava attivamente al rapporto». Sono forse queste le dichiarazioni più sorprendenti rese da Ciro Grillo davanti ai magistrati di Tempio Pausania il 5 settembre 2019. Mentre il padre battezzava sul Continente il neonato governo giallorosso, l' erede rivelava ai magistrati la sua notte di sesso, droga e alcol per cui è stato iscritto sul registro degli indagati per stupro di gruppo. Il verbale è la cronaca di un exploit erotico che quattro ventenni avrebbero condiviso con una ragazza, a loro dire, molto più sveglia. Peccato che S.J., la presunta Circe, quel sesso di gruppo l' abbia vissuto come una violenza traumatica, che ha elaborato per nove giorni prima di riuscire a denunciarla ai carabinieri. Il racconto di Ciro parte dalla discoteca in cui le due presunte vittime, la italo-norvegese S.J. e l' amica R.M., hanno incontrato verso l' 1 di mattina del 17 luglio 2019 i quattro indagati, i genovesi Grillo junior, Edoardo Capitta, Francesco Corsiglia e Vittorio Lauria. Ciro ricorda: «Quella sera avevo organizzato un tavolo al Billionaire. Ho invitato degli amici di famiglia che ci hanno presentato le due ragazze S. e R.. Siamo stati assieme nel locale fino alle 4 e 30 circa. Eravamo 12 persone e abbiamo bevuto della vodka che avevamo ordinato al tavolo []. Non abbiamo bevuto molto perché, essendo in 12, con le bottiglie ordinate abbiamo bevuto un cocktail a testa []. Durante la serata ci ho provato con S. la quale mi ha anche baciato. Vedevo che le ragazze erano a loro agio e pertanto le ho invitate a casa mia piuttosto che tornare a casa loro a Porto Pollo». La ricostruzione continua: «Già sul taxi S. ci ha provato con il mio amico Corsiglia, infatti era molto disinvolta e metteva la sua gamba nei genitali del mio amico. Questo fatto mi faceva rimanere male perché in discoteca S. si era dimostrata disponibile con me. Dopo cinque minuti di taxi siamo arrivati a casa dove abbiamo deciso di cucinare un piatto di pasta. Ricordo che mentre mangiavamo S. si sedeva sulle gambe di Francesco. Di lì a poco Francesco e S. e si sono appartati in una stanza, mentre R. è andata a dormire nel salotto». Grillo junior riferisce ai pm che cosa avrebbero fatto lui, Capitta e Lauria: «Ci siamo accorti che Francesco e S. facevano del sesso ed a quel punto scherzosamente spostavamo la tenda per sbirciare e infastidirli. Infatti la stanza non ha la porta, ma solo una tenda. Vedevo che inizialmente si baciavano e dopo che la ragazza era a cavalcioni mentre facevano sesso []. A un certo punto abbiamo visto che Francesco e S., infastiditi da noi, si sono spostati nel bagno. Ho visto che i due hanno continuato il rapporto dentro il box doccia. S. era appoggiata con le mani alle piastrelle e Francesco stava dietro». La ricostruzione degli spostamenti combacia con quella di altri testimoni, ma per S. tutto sarebbe avvenuto contro la sua volontà. Il verbale prosegue: «Dopo il rapporto ho visto che S. si era rivestita con una maglietta ed è andata a chiacchierare con l' amica che nel frattempo si era svegliata. A quel punto sono andato a dormire, mentre S., Lauria, Capitta e Corsiglia sono usciti in macchina per comprare delle sigarette. Quando sono rientrati Corsiglia mi ha raggiunto in camera, quindi mi sono rialzato e sono andato nel patio a parlare con gli altri ragazzi». È il momento della presunta ubriacatura di S.: «Abbiamo preso una bottiglia con della vodka che avevamo allungato con della limonata. Erano ormai le nove del mattino e S. ha fatto qualche sorso di vodka». In un altro passaggio Ciro precisa: «Personalmente non ho bevuto dalla bottiglia di vodka, ricordo che avevano fatto qualche sorso S., Vittorio e Capitta». L' alcol veniva dopo la droga, in un mix pericoloso: «Abbiamo fatto uso di stupefacenti, per la precisione abbiamo fumato una canna a casa. Le ragazze non hanno fumato». Anche Capitta ha ammesso l' assunzione di droga. Mentre Lauria ha dichiarato: «Io non ho fatto uso di stupefacenti, non so se altri ne abbiano fatto uso. Sicuramente non davanti a me». Dopo spinelli e superalcolici, il clima si surriscalda: «Abbiamo iniziato a parlare in maniera scherzosa del rapporto che aveva avuto con Corsiglia. Nel discorso lasciava intendere che era meglio un rapporto con tre ragazzi piuttosto che con uno. Uno di noi, credo Capitta, a quel punto le ha chiesto di andare a letto e S. ha accettato lasciandoci stupiti perché non ci aspettavamo una situazione simile. A letto si è baciata con Capitta e ha iniziato a toccarmi i genitali e a quel punto mi sono sentito autorizzato a toccarla e a spogliarmi». Quindi, per Ciro, sarebbe stata S. a provocare i tre ragazzi. Con queste conseguenze: «Siamo andati nella stanza con due letti attaccati []. Ci siamo seduti tutti e quattro sul letto. Come già detto, S. ha iniziato a baciare Capitta, Lauria le ha tolto la maglia e a quel punto mi sono sentito autorizzato a toglierle il reggiseno. S. mi ha toccato i genitali e a quel punto mi sono tolto i pantaloni e lei mi ha masturbato». L'indagato giura che per lui quella era una circostanza del tutto inaspettata: «Non avevo mai pensato che si potesse arrivare ad una situazione del genere». Il ragazzo descrive una vera e propria orgia: «Lauria si è posizionato dietro la ragazza mentre Capitta ha ricevuto del sesso orale. Personalmente non ho penetrato la ragazza anche perché non avevo una erezione completa». Forse a causa dell' alcol e della droga. Una scena di sesso goffo e fatto, per dirla con Francesco Guccini, «alla boia d'un giuda», di cui vi risparmiamo ulteriori e più scabrosi particolari. Comunque Grillo junior, nei 20 minuti di consesso amoroso, non avrebbe stabilito un feeling particolare con l' occasionale partner: «Durante il rapporto con me S. non ha detto nulla, né mi ha chiesto di accompagnarla a casa se non il mattino dopo. Non l' ho mai vista piangere». In realtà, pochi giorni prima, la giovane aveva dichiarato ai carabinieri che dopo il primo presunto stupro subito da Corsiglia era andata a piangere vicino al divano dove dormiva l'amica R. e che aveva provato a convincerla a lasciare la casa. Questa è la versione di Ciro dello stesso episodio: «S. è andata a parlare con R. dopo il rapporto sessuale con Francesco, le ho viste insieme nel salotto dove dormiva R.». Nient' altro. I magistrati a questo punto chiedono se qualcuno abbia filmato gli amplessi. Ecco che cosa ha risposto Grillo junior: «Durante il rapporto ho fatto un video con il telefono di Capitta. Proprio dal video si può vedere che S. partecipava attivamente al rapporto. Credo che i video fossero due che sono rimasti nel telefono». In effetti Lauria ha descritto un filmato in cui la ragazza è ripresa di spalle, mentre in un altro breve video la presunta vittima è supina. Ma quelle clip non sarebbero uscite dai cellulari dei ragazzi, i quali, in compenso, si sarebbero vantati con gli amici della loro performance: «Non abbiamo diffuso il video anche perché Vittorio era fidanzato []. Il fatto è stato raccontato da alcuni amici quando sono tornato a Genova []». Durante l' interrogatorio, Grillo junior anticipa ai pm l'esistenza degli scatti osceni che da lì a poco sarebbero stati estrapolati dagli smartphone sequestrati degli indagati: «Ci siamo anche recati nel salotto per infastidire R. alla quale lanciavamo delle caramelle, ma senza svegliarla []. Sono state scattate anche delle foto con i genitali di fuori vicino a R. mentre lei dormiva». Ciro confessa anche che dopo il sesso di gruppo con S. è andato a dormire nella sua stanza: «Mi sono svegliato intorno alle 13 e 30. Ricordo di aver chiesto a Francesco Corsiglia di riaccompagnarle (S. e R., ndr) a casa, ma visto che era lontano gli abbiamo proposto un passaggio ad Arzachena dove avrebbero potuto prendere un taxi. Questo fatto le lasciava contrariate []. Ho notato che le due ragazze hanno cambiato atteggiamento in macchina quando gli abbiamo detto che non le avremmo accompagnate fino a Porto Pollo». In Procura Ciro è sembrato molto sorpreso per la denuncia: «Ricordo che S. era tranquilla con me, non saprei perché mi abbia rivolto queste accuse. Non avrei mai immaginato una cosa del genere anche perché durante i fatti nulla faceva pensare a tutto questo. Mi viene da pensare che tornata a casa si sia accorta di aver fatto qualcosa di più di quello che avrebbe dovuto fare o comunque di essersi pentita. Ricordo di aver saputo da Alex (un compagno di scuola di S. presente al Billionaire, ndr) che era molto disinvolta». Alla fine dell' interrogatorio Enrico Grillo, cugino di Ciro e suo difensore, ha chiesto «di dare atto che sono state effettuate delle verifiche sui profili social di S. rinvenendo delle cosiddette "storie" (sul profilo Instagram della ragazza, ndr) nelle quali vi sono delle fotografie della serata in discoteca, ma soprattutto delle foto del giorno seguente dove nella didascalia dà atto di "essere in buone condizioni" pur avendo bevuto e dormito poco».
Giacomo Amadori per “La Verità” il 15 maggio 2021. C'è un terzo video del presunto stupro di Arzachena. Dai verbali di interrogatorio di Francesco Corsiglia e Edoardo Capitta (indagati con Ciro Grillo e Vittorio Lauria per violenza carnale di gruppo) emerge chiaramente che agli atti non è stato acquisito solo il filmato di circa 20 secondi che ritrae tre dei giovani sotto inchiesta mentre fanno sesso con la italo-norvegese S.J.. Domenica scorsa La Verità aveva già rivelato che al conto occorreva aggiungere la clip citata nell'avviso di chiusura delle indagini in cui «Grillo e Lauria si facevano riprendere da Capitta mentre si scoprivano i genitali e Grillo, tenendoli in mano, si posizionava» vicino a R. M. dormiente. Ma adesso spunta un terzo filmato. Ne ha parlato Corsiglia il 5 settembre 2019 davanti ai magistrati di Tempio Pausania che investigano sul caso: «I miei amici [] mi hanno mostrato un video che Edoardo aveva nel suo telefono. Nel video si vedeva la ragazza carponi sul letto, Vittorio che la prendeva da dietro e davanti faceva del sesso orale a Ciro e con una mano masturbava Edoardo che riprendeva con il suo telefono. Più avanti mi hanno mostrato un altro video dove la ragazza era sdraiata sul letto, masturbava Edoardo e faceva sesso orale a Ciro». Dunque dell'orgia ci sarebbero due diverse inquadrature. Brevi sequenze che i ragazzi hanno maneggiato come un trofeo: «Abbiamo deciso di fare una copia del video restringendo il campo in modo che non si vedesse Vittorio perché lui era fidanzato, in tal modo avremmo potuto farlo vedere agli amici». Poi l'indagato conferma che in effetti «è stato mostrato». Capitta aggiunge altri particolari: «Quando giravamo i video e in particolare quando S. e Ciro consumavano un rapporto sessuale lei non si è accorta che la stavano filmando e comunque abbiamo fatto a sua insaputa sia i video che le foto. Preciso tuttavia che lei non è mai inquadrata in volto. Sia le foto sia i video non sono mai stati inoltrati a nessuno -forse solo una foto in cui comunque lei non appare in volto- [], ma li ho mostrati al mio gruppo di amici direttamente dal mio telefono. In particolare un unico video, perché nell'altro si vede Vittorio, il quale è fidanzato con una ragazza del gruppo e per ragioni di convenienza non l'ho fatto vedere». Anche sull'utilizzo di droga le testimonianze sembrano concordare. Corsiglia: «A casa io, Edoardo e Ciro abbiamo fumato una canna, mentre le ragazze mi sembra che non abbiano fumato». Capitta coinvolge nel droga-party anche Lauria (che, però, nega di essersi sballato): «Dopo, tornati dalla discoteca, abbiamo fumato due spinelli io, Vittorio, Francesco e Ciro». Sulle ragazze non sa dire se abbiano approfittato dell'«erba». Quanto all'alcol fa, invece, un rapporto dettagliato: «Durante tutta la serata ho bevuto 3-4 bicchieri di vodka lemon prima di andare al Billionaire. In discoteca abbiamo ordinato una bottiglia di champagne e una di vodka che sono costate 600 euro, da consumare in 12 persone. Preciso che non ho bevuto lo champagne, ma solo 1 o 2 bicchieri di vodka. A casa ho bevuto un paio di bicchieri di birra e un paio di sorsi dalla bottiglia di vodka lemon». E S.? «Aveva bevuto quanto avevamo bevuto noi ed era alticcia, ma non barcollava e non biascicava. Ritengo che non fosse ubriaca». Corsiglia, puntando a conquistare S., si sarebbe trattenuto maggiormente: «Tornati a casa dopo la serata al Billionaire non abbiamo bevuto alcolici. Avevo già altre intenzioni con la ragazza e non pensavo al bere». Il flirt con S. era iniziato sul taxi: «Già nel tragitto ho fatto delle avance visive (sguardi e sorrisi) a S. perché era una bella ragazza e lei mi appoggiava un piede tra le gambe». Rientrati a casa (un appartamento adiacente a quello della famiglia Grillo) il corteggiamento è proseguito: «Ci siamo seduti nel patio e abbiamo iniziato a mangiare, quindi ho invitato S. a sedersi in braccio a me per mangiare». Questa scena è citata da diversi testimoni, anche da R.M.. Eppure S. ha raccontato che in quel momento aveva già dovuto respingere con decisione un tentativo di Corsiglia di avere un rapporto sessuale con lei. Ma al tavolo, davanti agli amici, Francesco avrebbe ripreso il corteggiamento senza problemi: «In quel momento ho iniziato a toccarle la gamba e di lì ha poco le ho chiesto di andare in camera per avere un po' di intimità». I due avrebbero iniziato a baciarsi e spogliarsi a vicenda. Corsiglia racconta, però, di un rapporto «interrotto continuamente» dagli amici «che sbirciavano dalla tenda della camera». Per questo avrebbe indossato le mutande e sarebbe andato a chiedere agli altri tre indagati di «smetterla». Poi avrebbe proposto a S. di spostarsi per «continuare il rapporto in bagno per una maggiore privacy». Ma anche sotto la doccia le cose non sarebbero andate meglio «a causa delle continue interruzioni». L'indagato, figlio di un cardiologo, ha ammesso che durante il rapporto con S. non si erano detti «nulla di particolare», se non «qualcosa in ambito sessuale» che il ragazzo aveva esclamato «senza l'intento di offenderla». Al termine Francesco, Vittorio, Edoardo e S. sarebbero andati a comprare delle sigarette. E Corsiglia, per qualche minuto, sarebbe rimasto in auto con la presunta vittima: «Avevo avuto l'impressione che la ragazza non fosse rimasta soddisfatta dalla mia prestazione sessuale [] perché il rapporto sotto la doccia era durato solo tre minuti e io non avevo avuto un'erezione completa», per questo «appena sono rimasto solo con lei, essendo un po' in imbarazzo, le ho chiesto se volesse ascoltare una sua canzone preferita». Tornati dal bar tabacchi Corsiglia sarebbe andato a dormire. Dopo sei ore di sonno, avrebbe ricevuto l'annuncio inaspettato: «Quando mi sono svegliato Ciro mi riferiva testualmente: "Ce la siamo trombata tutti e tre"». Subito dopo gli amici gli avrebbero raccontato l'accaduto: «Mi dicevano che mi avevano un po' preso in giro scherzosamente (insieme con S., ndr) a causa della mia prestazione sessuale. La ragazza a quel punto li invitava ad andare in camera con lei, cosa che li lasciava increduli, anche perché due di loro, Edoardo e Vittorio, erano ancora vergini». In realtà Lauria agli inquirenti ha confessato che per lui quella era la seconda volta. Il resoconto di Capitta è quello di un diciannovenne piuttosto impacciato: «Quando R. chiese di andare a dormire, le chiesi se volesse dormire con me, ma lei rifiutò». Dopo questo primo due di picche, Edoardo si sarebbe attardato a parlare con S.: «In un momento in cui Ciro non era presente ci disse che non era attratta da lui, che non le piaceva», nonostante avesse scambiato un bacio in discoteca con il figlio del fondatore del Movimento 5 stelle. Capitta non sa dire da chi sia partita l'iniziativa e come lui, Ciro e Vittorio si siano trovati in stanza con S.. In ogni caso ha ricordi nitidi dell'amplesso: «Una volta recatici in camera mi sono baciato con S. e lei disse: "Non ho mai avuto un rapporto a quattro"». A quel punto è iniziato il sesso di gruppo. «Io, per pudore, mi preoccupavo del fatto che ci fossero la finestra e le tende aperte e che qualcuno del vicinato ci potesse vedere e in particolare la mamma di Ciro (Parvin Tadjik, ndr), che alloggiava nell'appartamento adiacente». Con i magistrati Edoardo ricostruisce le peripezie erotiche del quartetto, indugiando su posizioni e ruoli. Quindi puntualizza: «S., nel mentre ci faceva delle richieste del tipo [] e aveva un comportamento attivo e prendeva iniziativa». Un atteggiamento propositivo che avrebbe trovato impreparato il giovanotto: «Preciso che prima di allora non ho mai avuto rapporti sessuali di alcun tipo ed era la prima volta che una ragazza mi praticava del sesso orale []. Finito il rapporto siamo andati in camera io e lei da soli». Ma il coito sarebbe durato ben poco: «Dopo pochi minuti io decidevo di non proseguire perché non mi piaceva la situazione e quindi le dicevo che volevo smettere e che volevo andare a dormire. Lei rimaneva sul mio letto e non mi diceva nulla []. Ho saputo in seguito che Ciro e S. hanno avuto un ulteriore rapporto sessuale». Capitta rivela anche che la ragazza era in contatto con loro su Instagram: «Ci segue come follower e il giorno dopo i fatti per cui sono qui lei ha messo un "like" a un video da me postato e che ritrae me e Corsiglia che scherziamo con delle stampelle. Preciso che ieri ho constatato che il "like" è stato rimosso». Sempre il 18 luglio 2019 gli indagati avrebbero incrociato S. per strada: «Noi eravamo in macchina con la madre di Ciro e non ci siamo fermati per ragioni di opportunità». Edoardo fa mettere a verbale la propria l'incredulità per il fatto di trovarsi in Procura: «Non so perché sono stato denunciato []. Non so darmene alcuna spiegazione []. Quando l'ho saputo ero in gommone con dei miei amici []. Ho pensato, all'inizio, che fossi stato convocato perché la sera prima avevamo festeggiato il compleanno di un mio amico e avevamo fatto un po' di confusione». È sorpreso anche Corsiglia: «Mi rendo conto della gravità delle accuse che mi vengono mosse, ma non riesco a spiegarmi il motivo che possa averla spinta a tanto. L'unica cosa che mi viene da pensare è che non abbia gradito il fatto che non era stata riaccompagnata a Porto Pollo». Infatti il ragazzo rammenta che ad Arzachena, dove S. e R. erano state portate a prendere un taxi, l'addio non era stato dei migliori: «Mi salutava con un ciao che lasciava intendere la sua irritazione». L'indagato ribadisce la sua innocenza: «Durante la serata la ragazza non era ubriaca [] avevamo bevuto giusto un paio di bicchieri a testa. Eravamo tutti coscienti di quello che facevamo. Visto l'atteggiamento ho pensato che la ragazza fosse disinvolta, ma non riesco a capire il motivo delle accuse». Infine Francesco riferisce di aver rincontrato in un bar di Porto Cervo il giovane che gli aveva presentato S.: «Gli ho detto che con la sua amica avevo fatto centro». Ma forse si sbagliava.
Matteo Indice per “La Stampa” il 15 maggio 2021. Silvia confidò che Ciro Grillo «non le piaceva» e i video furono girati «all'insaputa della ragazza». Ma «propose» il rapporto di gruppo e uno dei partecipanti riferisce d'essersi allontanato «perché quella situazione non mi piaceva e temevo che la mamma di Ciro ci sentisse». Ancora: «Lei il giorno dopo i rapporti mise un "like" a un nostro post su Instagram, che cancellò successivamente» e comunque «stava bene». E certo, a poche ore dai fatti «Ciro si vantava dicendo "ce la siamo tromb... in tre"». Edoardo Capitta e Francesco Corsiglia, ventenni genovesi, sono indagati insieme a Ciro Grillo (figlio del fondatore del M5S Beppe) e a Vittorio Lauria per la violenza sulla studentessa italo-norvegese Silvia, avvenuta secondo la Procura di Tempio Pausania tra l'alba e la mattina del 17 luglio 2019 nell'appartamento di Beppe Grillo a Cala di Volpe, in Sardegna. Il resoconto di Capitta: «Durante la serata (prima dell'arrivo a casa Grillo, ndr) ho bevuto 3 o 4 bicchieri di superalcolici, poi ho raggiunto il Billionaire. Lì abbiamo ordinato una bottiglia di champagne e una di Vodka, costate 600 euro». Dopo essere arrivati nel residence "Il Pevero" «Francesco (Corsiglia) e Silvia si sono appartati e hanno iniziato un rapporto... noi li osservavamo da una finestra e allora per avere un po' di privacy sono andati in bagno... io e Vittorio (Lauria, ndr) ridevamo... anche e soprattutto per l'arrabbiatura di Ciro... era infatti molto arrabbiato con Francesco e lo accusava di avergli portato via la ragazza». Nella sua denuncia, Silvia descrive quello di Corsiglia come uno stupro. Capitta aggiunge: «Dopo i rapporti (con Francesco, ndr), io, Vittorio (Lauria), Silvia e lo stesso Francesco siamo andati in macchina a comprare le sigarette. Ero seduto dietro, Silvia si è sdraiata sui sedili appoggiando la testa sulle mie ginocchia». Incalzato dalle domande dei pm, Capitta fornisce invece altre delucidazioni: «Per gioco tiravamo le mentine a Roberta mentre dormiva, si è svegliata e ha chiesto di smettere... chiesi sempre a Roberta se voleva venire a dormire con me, ma rifiutò. Silvia con noi si comportava come se fosse un'amica di lunga data. So però, lo disse in un momento in cui Ciro non era presente, che non era attratta da Ciro e non le piaceva... Non ha mai chiesto aiuto per andare via da casa, né quella sera né la mattina l'ho vista piangere o stare male. Aveva bevuto come noi, era alticcia ma non barcollava e non biascicava. Ritengo che non fosse ubriaca... Il giorno dopo siamo andati in un pub e l'abbiamo vista mentre camminava sola». Il resoconto di Corsiglia è meno compiuto perché durante il rapporto di gruppo dormiva. Dopo il rapporto sessuale descritto dalla studentessa come stupro «avevo l'impressione che lei non fosse stata soddisfatta di me... la mattina dopo invece Ciro si vantava: "Ce la siamo tr... in tre", mentre io nei giorni successivi incontrai un amico di Silvia e gli dissi "con lei abbiamo fatto centro"». Sempre Corsiglia: «Mi rendo conto della gravità delle accuse, ma non riesco a spiegarmi il motivo... forse non ha gradito il fatto che non era stata riaccompagnata a Porto Pollo... ». Ciro Grillo, sul punto, aveva così risposto agli inquirenti: «Mi viene da pensare che tornata a casa si sia accorta di aver fatto qualcosa di più di quello che avrebbe dovuto fare o comunque di essersi pentita».
Spunta quella frase di Ciro Grillo: "Ce la siamo t... in tre". Luca Sablone il 15 Maggio 2021 il 15 Maggio 2021 su Il Giornale. A raccontare l'esclamazione è un suo amico, che poi si aggrappa alla questione social: "La ragazza il giorno dopo ha meso like a un nostro video, ma poi lo ha rimosso". "Mi ha chiamato un maresciallo, pensavo fosse per il baccano fatto la sera prima. Sono rimasto estremamente sorpreso delle contestazioni. Non so darmene una spiegazione". È questa la premessa che fa Edoardo Capitta, il primo a essere sentito il 5 settembre 2019 dalla procura di Tempio Pausania. Per lui, così come per gli altri tre amici genovesi, è un fulmine a ciel sereno. Un fatto inaspettato, che coglie i ragazzi di sorpresa. Sulla notte passata in compagnia di Ciro Grillo in una villetta a Cala di Volpe occorre ancora fare chiarezza: da una parte Silvia (nome di fantasia) denuncia lo stupro di gruppo; dall'altra i componenti della comitiva ritengono si sia trattato di sesso assolutamente consenziente. Capitta avrebbe consegnato ai pm un dossier di post e stories sui social network in cui la giovane studentessa, dopo le ore in cui racconta di essere stata costretta a rapporti sessuali contro la sua volontà, non sembra dare segnali di rabbia per quanto avvenuto nei giorni precedenti: "La mattina dopo, il 17 luglio, le avevamo detto di seguirci sul nostro gruppo Instagram, che tuttora segue come follower. Lei ha messo anche un like a un video da me postato mentre scherzo con Francesco Corsiglia. Ieri ho constatato che il like è stato rimosso".
Quella frase di Ciro Grillo. Lo stesso giorno viene sentito Francesco Corsiglia. Sarebbe stato proprio lui ad avere il primo rapporto sessuale con Silvia (secondo lui consapevole), interrotto "dagli altri che ci disturbavano" perché Ciro Grillo "era indispettito" visto che l'amico si era appartato con la ragazza. Proprio per questa motivazione il figlio del garante del Movimento 5 Stelle si sarebbe infuriato, tanto da svegliare Roberta (nome di fantasia) mentre dormiva: "Io me la sono portata a casa perché me la volevo scop***, invece se la sta scopa*** lui". Corsiglia aggiunge poi, riporta Il Fatto Quotidiano, di essere stato svegliato da Ciro alle 7.15: "Mi hanno fatto cambiare stanza. Quando mi sono svegliato lui mi ha detto testualmente: 'Ce la siamo trombata tutti e tre'". Ma in tutto questo Parvin Tadjik, moglie di Beppe Grillo, ha rivelato di non aver "sentito o visto nulla di anomalo". Quella mattina, racconta, si è svegliata presto ma si è alzata solamente all ore 9 per fare colazione nel patio adiacente la casa. La donna ha riferito un certo clima di tranquillità tra i quattro amici genovesi dopo la notte trascorsa insieme: "Erano tutti tranquilli e non mi è stata fatta alcuna confidenza specifica sulla serata. Se non che avevano conosciuto due ragazze che si erano fermate da loro perché non se la sentivano di rientrare a Porto Pollo e che avevano fatto una spaghettata insieme".
Video hot, sesso e vodka: cosa non torna nel caso Grillo. Luca Sablone il 15 Maggio 2021 su Il Giornale. Le versioni fornite non sempre combaciano perfettamente: ecco quali sono le incongruenze sul racconto di quella notte. Cosa è avvenuto quella notte tra il 16 e il 17 luglio 2019 nella villetta a Cala di Volpe? I rapporti tra Silvia (nome di fantasia) e i quattro amici genovesi erano consenzienti o si è trattato di stupro? La ragazza ha denunciato di essere stata costretta, mentre Ciro Grillo e i componenti del gruppo sostengono che il sesso fosse consapevole anche da parte della giovane studentessa. Ma le versioni fornite non sempre combaciano perfettamente: Il Fatto Quotidiano ha incrociato le dichiarazioni rese con quelle di Edoardo Capitta e Francesco Corsiglia. Ecco cosa non torna su quelle ore trascorse tra sesso e alcol.
Video hot. Al momento non ci sono prove in grado di dimostrare la diffusione dei video registrati, forse all'insaputa di Silvia. Anzi, proprio ieri vi abbiamo parlato della chiamata intercettata in cui si sente Capitta rifiutare di girare il filmato a un suo amico: "Dai mandameli..."; "No, non li mando a nessuno"; "Dai, sono l'unico che non li ha visti!"; "No, non posso. Poi ti racconto quando vengo...". Ma sarebbe stato lo stesso Capitta ad ammettere di "aver forse diffuso una foto, dove la ragazza non si vede in volto". Eppure a Non è l'arena diversi giovani hanno fatto sapere di aver preso visione del video relativo a quella notte: "Un sacco di amici l'hanno visto. Con i telefoni gira tutto...". Una conferma che arriverebbe pure dall'amico di Capitta che, insistendo per avere il filmato, tiene a sottolineare: "Dai, sono l'unico che non li ha visti!".
Sesso consenziente o stupro? Capitta rivela che, dopo essere arrivati nell'abitazione, Corsiglia e Silvia si appartano e iniziano un rapporto: "Noi li osservavamo da una finestra e allora per avere un po' di privacy sono andati in bagno". Nel frattempo Capitta e Lauria ridono "anche e soprattutto per l'arrabbiatura di Ciro". Infatti Grillo jr era molto arrabbiato con Corsiglia "e lo accusava di avergli portato via la ragazza". Ma Silvia nella sua denuncia parla di stupro, spinta "di spalle nel box doccia per un rapporto contro volontà". Poco dopo è proprio lei a prendersela con i ragazzi che le chiedono come mai stesse piangendo: "Lo sapete benissimo, Francesco mi ha fatto male e voi non siete intervenuti".
C'è tuttavia un dettaglio non di poco conto. Sono spuntati alcuni sms inviati da uno del gruppo a un amico che voleva maggiori informazioni su quanto accaduto: "All'inizio sembrava che non volesse...". Poi sarebbe stato Ciro Grillo a cercare di chiarire un po' la situazione: "Doveva essere un gioco, poi siamo andati un po' più in là". Senza dimenticare i timori di uno dei ragazzi nelle ore successive: "Ho paura che quella ci ha denunciato".
Vodka. La ragazza era ubriaca? Qui si apre un ulteriore aspetto controverso. Corsiglia ritiene che Silvia non fosse ubriaca: "Eravamo tutti consapevoli di quello che facevamo". Capitta parla comunque di una notevole quantità di alcol: "Durante la serata (prima dell'arrivo a casa Grillo, ndr) ho bevuto 3 o 4 bicchieri di superalcolici, poi ho raggiunto il Billionaire. Lì abbiamo ordinato una bottiglia di champagne e una di vodka, costate 600 euro". E aggiunge: "Era alticcia ma non barcollava e non biascicava". La giovane studentessa ha raccontato di essere stata costretta a bere vodka mente era tenuta per i capelli. Invece un componente del gruppo sostiene che sia stata proprio lei a berla di sua spontanea volontà per sfidare il gruppo: "Per sfida lei ha bevuto la vodka, perché noi non riuscivamo a berla".
Ciro Grillo, Filippo Facci commenta i verbali: "La loro concezione del sesso. E se fossero stupratori a loro insaputa?" Filippo Facci su Libero Quotidiano il 14 maggio 2021. Ne abbiamo letto abbastanza da sapere che non ne sappiamo nulla, ma proprio nulla: il caso «Ciro Grillo» resta rigorosamente mediatico (sinora) e ci ha sbattuto in faccia ogni accusa possibile, difesa possibile, verbale e versione possibile, e ovviamente ha rianimato dibattiti preformati tra femministe e maschilisti a prescindere. Il tutto in quella terra di nessuno tra la chiusura delle indagini (durante le quali i magistrati si sono comportati benissimo, con l'ormai rara segretezza prevista dal Codice) e il vero dibattimento (processo) che non è neanche iniziato e formalmente non è stato neppure richiesto, e deciso, teoricamente potrebbe anche non esserci. Poi ci sarà, lo sappiamo, e personalmente abbiamo anche un'idea di come finirà - le linee guida della Cassazione non concedono troppa discrezionalità ai giudici - ma non prendiamo le parti di nessuno, qui, e al processo mediatico non partecipiamo. Lo ripetiamo: non partecipiamo. Ci permettiamo però di ipotizzare una cosa: che sì, potremmo anche aver letto tutto, giudicato tutto, e tuttavia non sapere assolutamente nulla della generazione di ragazzi che interpretano questa scabrosa vicenda, diversi da noi e dalla nostra mentalità - fatta di principi, esperienze, non ultime leggi - che loro potrebbero neppure aver concepito, così come noi potremmo non concepire nulla di loro come generazione che appartiene a un altro mondo, è un'altra cosa; sono diversi, e lo sono anche da quei trentenni o quasi quarantenni sui quali pure abbiamo già scritto e letto ogni trattato. Ci permettiamo di ipotizzare, dunque, che espressioni dure come «stupratori» o «stuprata» sfuggano e sfuggissero completamente dalle menti di quei giovanissimi attori (praticamente bambini, a guardar le foto) e che quella sera potessero essere tutti colpevoli e tutti consenzienti (già pronta la controaccusa: «Quindi tutti innocenti?») in un mondo a noi sostanzialmente sconosciuto, in cui l'unica dimensione non consenziente si rivela per forza di cose la Legge, cioè il mondo adulto, cioè noi, costretti come siamo a incasellare quei ragazzi in un mondo adulto che ora li costringe a ruoli, ad accuse e difese, a ruoli da vittime e carnefici, a qualcosa che ora li costringe a regolamentare e accettare il «gioco» anche tragico a cui loro pensavano di partecipare.
I VERBALI. C'è una cosa che accomuna tutte le versioni e i verbali d'interrogatorio che possiamo aver letto sulla nostra stampa adulta: sembrano tutte credibili, potrebbero sembrare anche tutte versioni vere (anche quando divergenti) benché restino inamidate e costrette nel linguaggio giuridico di chi accusa o difende i protagonisti. Non c'è da atteggiarsi a sociologi, ma quanto questa generazione soprannominata «youporn» possa essere distante dalle nostre classificazioni morali (e giurisprudenziali) forse non possiamo neanche immaginarlo: è, la loro, la dimensione più amorale (o amoralista) che sia mai esistita, la più lontana dai nostri impulsi categorici e classificatori, lontana dalle ombre e dai riflessi riguardanti evoluzioni del comportamento sessuale che per noi sono già lontane ma ancora si riverberano nella nostra memoria e mentalità, ma che per loro sono fantascienza pura. Loro sono nati e cresciuti in una realtà comunque più facile e benestante (non tutti, ma tanti) il cui sesso non solo non rappresenta un tabù, ma ci sono cresciuti insieme con la spicciata naturalezza di chi fa click sullo smartphone o sul tablet; la sessualità è per loro un tema ancora più sdoganato e accessibile ed esibito di quanto mediamente si ritenga, anche se fingiamo di saperlo, di esserne consapevoli. Ma all'atto pratico non è mai vero, e torniamo sulle nostre: i dibattiti pubblici retrocedono agli anni Settanta o al ruolo della famiglia o alla ridicola educazione sessuale nelle scuole, ma loro sono cresciuti per conto proprio, certi problemi proprio non se li pongono, li lasciano a noi. A quell'età, peraltro, la differenza tra uomini e donne non è un problema sociale: è un problema piacevole. Una ricerca Ipsos vecchia di quattro anni spiegava che il 65 per cento dei ragazzi e il 36 per cento delle ragazze (tra i 15 e 17 anni: oggi avranno l'età dei nostri protagonisti) ha utilizzato materiale erotico, quindi filmati, esperienze per gestire serenamente la bomba ormonale, facilità d'approccio via social. Noi, se apprendiamo che a notte fonda una o due ragazze sono andate a casa di quattro ragazzi, beh, ci scatta subito qualcosa, un'attribuzione di ruoli possibili per uomini e donne, spesso giudizi.
FEMMINISMI. Per loro, uomini o donne che siano, questo problema non esiste: partecipano tutti allo stesso gioco, ed è un gioco dove le differenze di ruolo sessuale tra uomini e donne (non parlateci di parità anche in questo, per favore) sono accettate nei limiti in cui piacciono e basta. Sessualmente, nella loro generazione, non esistono femminismi: e buon per loro, loro donne. Interrogati, i ragazzi e le ragazze - non stiamo neanche a dire chi, apposta - hanno detto che alla fine hanno avuto un rapporto sessuale tutti e quattro, che tra loro erano sconosciuti sino a poche ore prima, che erano decisamente brilli e forse lei ha sfidato i maschi a chi beveva di più, che lei potrebbe (potrebbe) anche aver deciso di fare sesso con tutti e quattro, a più riprese e a turno, perché l'esperienza l'attirava. E noi dobbiamo accettare che la cosa possa essere assolutamente normale, e che l'unico problema, per loro e soprattutto per lei - siamo sempre il Paese del Papa - sia rapportare tutto questo a noi, noi adulti e genitori e insomma, con un'altra testa. Ma questo non è incompatibile col fatto che nell'occasione - di altre non sappiamo e non sapremo mai, giustamente - lei possa essersi pentita e accorta che quell'esperienza aveva passato un segno e si era trasformato nel disagio incancellabile di chi ha subito una violenza. «Ho sbagliato un'altra volta, ho fatto un'altra cazzata». Ha scritto alle amiche. E pone fine al gioco che, si è accorta, quel segno l'ha passato. Non sta bene con se stessa: ed è perché quel gioco, come dicono nel mondo dei grandi, è sfuggito si è trasformato in una violenza sessuale. E, nel pieno diritto di farlo, allora denuncia. Pone un limite al gioco, decide che è finito. Ed entra in un mondo che è costretto a darsi delle regole e a punire chi manifesti «dissenso implicito», o mentre gioca sia sbronza o sotto l'effetto di droghe e quindi in condizioni di inferiorità psichica, annebbiata nelle sue scelte. Chissà quanti milioni di amplessi si sono consumati tra soggetti che avevano alzato il gomito, e l'avevano fatto proprio per quello: ma, oggi, chi il giorno dopo si risveglia e realizza l'accaduto, giudicandolo sgradevole, può andare dai carabinieri e sporgere denuncia. Questo dice la giurisprudenza, punto. Che punisce anche chi magari non partecipa ma assiste: non c'è attenuante. E qui non si giudica la legge, non la stiamo giudicando: ma sappiamo che esiste per motivi precisi, ed è fatta in un certo modo per ragioni precise. «Doveva essere un gioco» ha detto Ciro Grillo agli inquirenti. Magari lo è stato, magari, però, a un certo punto, è diventato un'altra cosa. Probabilmente si chiamerà stupro: e a un giudice, di che generazione sei, non gliene frega niente. Hanno giocato. È andata male a lei. È andata male a loro.
Felice Manti per "il Giornale" il 13 maggio 2021. Non c' è solo il caso del presunto stupro di Ciro Grillo e dei suoi amici Edoardo Capitta, Francesco Corsiglia e Vittorio Lauria ad agitare il palazzo di giustizia di Tempio Pausania. Se da un lato la vicenda relativa al figlio del fondatore del Movimento Cinque stelle si arricchisce di nuovi particolari e sebbene il processo a carico del ragazzo e dei suoi amici non sia neppure iniziato, nei corridoi del tribunale sardo da settimane si respira una bruttissima aria. Il perché è presto detto. All'inizio erano solo delle voci, poi il sospetto si è trasformato in certezze ed è esploso in tutta la sua gravità. Tra un'importante giudice del tribunale e il presidente Giuseppe Magliulo da tempo sarebbe in corso una battaglia giudiziaria di cui si starebbe occupando sia la Procura di Roma - competente territorialmente sul distretto giudiziario di Tempio Pausania - sia il Consiglio superiore della magistratura, dove sarebbe già aperto un procedimento disciplinare di cui si sarebbe discusso con lo stesso Magliulo alla fine dello scorso mese di aprile. Secondo alcune fonti contattate, il procedimento era stato assegnato prima al sostituto Pg che segue le procedure disciplinari in funzione di accusa Mario Fresa, poi sarebbe stato assegnato a una donna. Ma non si tratterebbe di una semplice schermaglia tra il presidente e una sua giudice, come può succedere in un ufficio giudiziario per incomprensioni o divergenze. L' accusa che riserva a Magliulo un giudice donna, arrivata a Tempio solo qualche anno fa per potenziare l' organico, ingolosita dai vantaggi professionali nello scegliere il tribunale gallurese, considerata sede disagiata, visti gli incentivi previsti (economici, di carriera e pensionistici), ma la cui identità è ancora segreta, sarebbe pesantissima: molestie sessuali. Tanto che la giudice peraltro non sarebbe più residente in Sardegna ma sarebbe tornata nella sua regione di origine già a dicembre, in attesa che la questione si chiarisca. L' indagine penale su Magliulo sarebbe già incardinata, e non è escluso che nei prossimi giorni ci possano essere degli sviluppi, come l' arrivo di un 415bis, vale a dire un avviso all' indagato della conclusione delle indagini preliminari. Ma al netto delle eventuali responsabilità del presidente del tribunale, che dovranno emergere solo da un eventuale procedimento a meno che il pm non decida per l'archiviazione, c'è una questione di opportunità su cui tutti si interrogano: è normale che un tribunale alle prese con un delicatissimo processo, i cui esiti sono imprevedibili sebbene molte delle prove siano di dominio pubblico o quasi (dal video delle presunte molestie ad alcune incongruenze nelle testimonianze rilasciate ai carabinieri e poi ai giornali), sia guidato da un magistrato su cui pende un' accusa gravissima, quella di aver molestato un giudice donna? Questa è la domanda che circola negli ambienti giudiziari galluresi. A complicare il processo è arrivata la deposizione alla Procura di Tempio della madre di Ciro Grillo, Parvin Tadjik, che scagionerebbe il figlio Ciro Grillo e i suoi amici dalle accuse di stupro mosse dalla ragazza. Secondo il racconto fatto dalla donna al procuratore Gregorio Capasso e dal pm Laura Andrea Bassani, nella notte tra il 16 e il 17 luglio 2019 la notte di sesso sarebbe avvenuta non nell' appartamento di proprietà di Beppe Grillo ma in una dependance messa a disposizione da un'amica, il cui nome è protetto per la privacy, poco lontano da casa Grillo. Due dependance divise da un patio, è la versione della Tadjik. Per la signora Grillo «i ragazzi erano tutti tranquilli, avevano conosciuto due ragazze che si erano fermate da loro perché non se la sentivano di rientrare a Porto Pollo e che avevano fatto una spaghettata insieme». Nessuno della servitù né la notte né al mattino seguente si sarebbe accorto di nulla, tranne per un particolare: «Mangiavamo insieme tutti i giorni alle 14 ma quel giorno sono arrivati alle 15. Per questo ho chiesto spiegazioni e mi dissero di aver fatto tardi per aver accompagnato le due ragazze ad Arzachena».
Arriva la solidarietà del deputato M5s alla toga accusata di molestie sessuali. Felice Manti il 18 Maggio 2021 su Il Giornale. La moglie del presidente della commissione Giustizia scrive su Facebook a Magliulo: "Solo bassezze, io e Mario siamo con te". L'affare Tempio Pausania investe in pieno la deputazione M5s. Tra gli attestati di stima - legittimi - comparsi sulla pagina Facebook del presidente del Tribunale sardo Giuseppe Magliulo, accusato di molestie sessuali da una giudice - c'è anche quella della moglie del parlamentare grillino Mario Perantoni, avvocato sassarese. «Io e Mario siamo al tuo fianco con fiducia e sicurezza che tutto verrà archiviato. Sei un magistrato, un presidente onesto e sensibile e forte della tua estraneità a tanta bassezza». Firmato Paola Mosseddu, moglie di Perantoni. Che è anche presidente della commissione Giustizia della Camera. Ora, è opportuno che un esponente del partito di Beppe Grillo, soprattutto vista la carica che rappresenta, non prenda neanche le distanze da una solidarietà pubblica che lo chiama in causa? Con il presidente accusato di molestie del tribunale che potrebbe giudicare se il figlio del suo leader politico è o meno uno stupratore? Basterebbe invertire la polarità politica dei protagonisti per far insorgere il solito milieu di indignati in servizio permanente. Perantoni è stato contattato tramite la segreteria del suo studio legale a Sassari, ma inutilmente. L'altra questione di merito riguarda il clima che si respira in Tribunale e l'opportunità che Magliulo resti a Tempio. Qualche giorno fa la Giunta Anm, dopo la fuga di notizie sull'inchiesta che vede alla sbarra Ciro Grillo e tre suoi amici, ha evidenziato come i magistrati della Procura di Tempio Pausania «sapranno accertare i fatti con serenità ed equilibrio». È ancora così, dopo la notizia dell'inchiesta su Magliulo? Abbiamo provato a chiederlo all'avvocato della presunta vittima Giulia Bongiorno e ai legali delle persone coinvolte, ma neanche loro vogliono parlare. E chissà cosa ne pensano i genitori della ragazza...Lascia sgomenti anche la cortina di silenzio sull'altra vittima della vicenda Magliulo: la giudice che accusa il presidente di molestie sessuali è in malattia. Sola. Alle prese con l'elaborazione di un doloroso trauma personale che si intreccia con le sue vicende professionali, con provvedimenti disciplinari che la inseguono financo di fronte a un certificato medico. Lei non parla, per riserbo e per evitare altri guai, come spesso succede a chi è vittima di una violenza sul luogo di lavoro, anche solo percepita, specie se a infliggerla è il suo capo. Per lei è l'ennesima umiliazione, passa per bugiarda, le sue accuse sarebbero solo «bassezze», dicono i tribuni a Cinque stelle. Sia lei sia Magliulo sono stati già sentiti dal pubblico ministero Pantaleo Polifemo, titolare dell'inchiesta che va avanti da almeno due anni. Ha chiesto di essere trasferita, invano. «Io credo che le vittime devono poter denunciare se si sentono vittime», aveva detto il ministro grillino Stefano Patuanelli sul caso Grillo jr. Ma questo evidentemente non vale per la giudice. Certo, il legale di Magliulo si dice certo della prossima archiviazione del suo assistito, che però nonostante i suoi proclami non è ancora arrivata. L'avvocato peraltro si lamenta anche dell'accostamento improprio al caso di Luca Palamara e ai suoi giochi di potere delle correnti dietro alle nomine del Csm. Eppure una fonte rivela che arrivarono precise indicazioni della componente napoletana di Unicost, che non trovava convergenze nella componente napoletana di Area. Ma questa è un'altra storia.
Ciro Grillo, il capo del tribunale di Tempio Pausania nelle chat di Luca Palamara: quelle strane richieste d'incontro. Libero Quotidiano il 14 maggio 2021. Nelle chat di Luca Palamara ci è finito anche Giuseppe Magliulo, presidente del Tribunale di Tempio Pausania dove rischia il processo Ciro Grillo. Gli avvenimenti sono ormai datati, perché legati alla sua nomina a presidente del tribunale, ma oggi più che mai - con Magliulo accusato di molestie sessuali - sollevano qualche sospetto. Nei messaggi dell'ex magistrato indagato per corruzione è il consigliere del Csm, Giuseppe Cascini, a chiedergli degli esiti della Quinta commissione. "Magliulo 5, Fracassi astenuto", è la risposta di Palamara che nel frattempo avverte anche altri colleghi tra cui Francesco Cananzi, factotum di Unicost, al quale chiede di organizzare un incontro con lo stesso Magliulo. Un anno dopo - spiega Il Giornale - è stato lo stesso Palamara a invitare Magliuolo a Olbia nell'ultima settimana di agosto del 2018. Invito declinato "perché andrò finalmente in ferie e rientro dai miei figli". Proprio Magliuolo però deve fare i conti con una recentissima indagine che lo vede indagato per molestie sessuali in seguito alla denuncia di una collega che da tempo lavorava al suo fianco. A rendere noto quanto sarebbe accaduto sono i suoi legali, che chiedono comunque di mantenere l'anonimato per la toga. "La mia assistita - scrive l'avvocato Ivano Iai - ha chiesto di poter essere trasferita in altra sede al fine di poter lavorare serenamente e in un ambiente lontano dalle ostilità". Richiesta a quanto pare rigettata visto che la donna risulterebbe ancora in organico al tribunale. Non solo, è l'ipotesi di Iai, "dopo l'audizione davanti a diverse autorità magistratuali e disciplinari, tra cui il Consiglio giudiziario del distretto, la mia assistita ha cominciato ad avvertire appunto delle ostilità, fino a essere addirittura ella stessa denunciata, ma con addebiti certamente infondati, in sede penale e disciplinare". Eppure è il legale di Magliuolo, Valerio Spigarelli, già presidente delle Camere penali, a mettere le mani avanti su un eventuale accostamento tra le accuse di molestie e il caso Grillo. A detta dell'avvocato infatti non è ammissibile "gettare un'ombra sulla figura di un magistrato che, fin a dal suo insediamento, ha operato senza risparmio per risanare un Tribunale che da anni opera in condizioni di estremo disagio, richiamando questioni di opportunità e accuse".
Toghe nella bufera: il giudice di Tempio tra accuse e veleni. Anche lui nelle chat di Palamara. Felice Manti il 14 Maggio 2021 su Il Giornale. Confermata l'indagine per molestie a carico di Magliulo, presidente del Tribunale sardo dove rischia il processo il figlio di Grillo Il suo nome spunta nel "Sistema" delle nomine. La notizia dell'indagine sul presidente del Tribunale di Tempio Pausania Giuseppe Magliulo per molestie sessuali piomba tra i corridoi del palazzo di giustizia gallurese come una bomba a tempo. Qualcuno ammette che sì, ne sapeva qualcosa. Altri annuiscono, altri cadono dalle nuvole. Il coinvolgimento di una giudice che da qualche anno lavora con Magliulo viene confermato dai suoi legali, che inviano una garbata precisazione, con la quale chiedono di mantenere l'anonimato per la toga: «Dopo aver brillantemente superato il concorso in magistratura, la mia assistita ha scelto di svolgere le funzioni in Sardegna - scrivono i legali - nessun appetito di natura economica (ipotizzata nell'articolo pubblicato ieri, ndr), può aver determinato la sua decisione, anche in ragione del fatto che si trattava di magistrato di prima nomina». Non solo i legali non smentiscono la denuncia ma aggiungono alla vicenda alcuni particolari che lasciano basiti. Scrive infatti l'avvocato Ivano Iai che dopo i fatti, risalenti alla prima metà del 2019, «la mia assistita ha chiesto di poter essere trasferita in altra sede al fine di poter lavorare serenamente e in un ambiente lontano dalle ostilità». E invece non solo la donna risulterebbe ancora in organico al tribunale ma, ipotizza Iai, «dopo l'audizione davanti a diverse autorità magistratuali e disciplinari, tra cui il Consiglio giudiziario del distretto, la mia assistita ha cominciato ad avvertire appunto delle ostilità, fino a essere addirittura ella stessa denunciata, ma con addebiti certamente infondati, in sede penale e disciplinare». È possibile che questo clima di cui parla il legale e l'addebito disciplinare di cui la donna sarebbe accusata nasca come forma di ritorsione? Che clima si respira in tribunale? Ci sono stati altri episodi? Nessuno vuole parlarne apertamente, qualcuno malignamente imputa a Magliulo soltanto un uso un po' spregiudicato dei social, come un selfie che lo ritrae in canottiera in quello che sembrerebbe il suo ufficio in tribunale. Avremmo voluto parlarne con il presidente, che ha declinato l'invito a chiarire invitandoci a parlarne con il legale, Valerio Spigarelli, già presidente delle Camere penali, al quale non è piaciuto l'accostamento tra le vicende del suo assistito e il caso di Ciro Grillo e le accuse di stupro di cui dovrà rispondere insieme a tre suoi amici «proprio quando si era in attesa della scontata richiesta di archiviazione - che si ha motivo di ritenere sarà formalizzata in questi giorni - in ordine a fatti totalmente inconsistenti e seccamente smentiti dagli accertamenti svolti nelle sedi competenti». Secondo il legale «gettare un'ombra sulla figura di un magistrato che, fin a dal suo insediamento, ha operato senza risparmio per risanare un Tribunale che da anni opera in condizioni di estremo disagio, richiamando questioni di opportunità e accuse... pendenti che sono totalmente insussistenti alla luce delle regole e dei principi vigenti nel nostro ordinamento, appare frutto di una cultura del sospetto che ci si aspetterebbe estranea ad una testata che fa del garantismo la sua linea editoriale sui temi giudiziari». Insomma, per Magliulo tutto sarà archiviato in fretta. Vedremo se avrà ragione. Della nomina di Magliulo a presidente del tribunale si parla nelle chat di Luca Palamara finite nel mirino della procura di Perugia. È il consigliere del Csm Giuseppe Cascini a chiedere conto a Palamara degli esiti della Quinta commissione, e Palamara risponde, tra gli altri, con «Magliulo 5, Fracassi astenuto». Del verdetto avverte anche altri colleghi tra cui Francesco Cananzi, factotum di Unicost, al quale chiede di organizzare un incontro con lo stesso Magliulo. I due evidentemente diventeranno amici, tanto che secondo Dagospia diventerà uno dei più assidui frequentatori di quell'ufficio, tanto che un anno dopo è lo stesso Palamara a invitarlo a Olbia nell'ultima settimana di agosto del 2018. Invito declinato «perché andrò finalmente in ferie e rientro dai miei figli».
Caso Grillo, depositati nuovi atti: cosa può succedere ora. Luca Sablone il 16 Maggio 2021 su Il Giornale. La mossa della difesa della ragazza: in procura arrivano le interviste rilasciate nelle ultime settimane. E i legali degli indagati chiedono altro tempo. Nuova importante mossa nell'ambito del caso Ciro Grillo. Si arricchisce il fascicolo dell'inchiesta relativa al presunto stupro denunciato da Silvia (nome di fantasia), la giovane studentessa italo-norvegese che tra il 16 e il 17 luglio 2019 ha passato diverse ore in compagnia del figlio di Beppe Grillo e dei suoi tre suoi amici Edoardo Capitta, Vittorio Lauria e Francesco Corsiglia. Stando a quanto appreso e riferito dall'Adnkronos, l'avvocato Giulia Bongiorno - che assiste la giovane - nei giorni scorsi avrebbe depositato nuovi atti alla procura di Tempio Pausania che coordina l'indagine. Si tratterebbe di alcune interviste rilasciate nelle scorse settimane sul caso in questione, tra cui quella fatta da alcuni quotidiani all'istruttrice di kitesurf. A questo punto, nei prossimi giorni i legali dei quattro indagati potrebbero chiedere un ulteriore termine per approfondire le nuove carte depositate. L'insegnante di kitesurf a Porto Pollo, intervista dal Corriere della Sera, ricorda bene lo stato in cui si era presentata Silvia a lezione: "Quel giorno era arrivata in semi-hangover, non proprio al massimo della lucidità, diciamo così. Mi è sembrata stonata, di quelle ragazze che arrivano stanche a fare la lezione, di sicuro non lucida, appunto. Del resto succede spesso: è estate, sono posti turistici, la gente si ubriaca e fa le cinque del mattino. Ne vediamo tante di persone così". Eppure a verbale non avrebbe fatto riferimento ai turbamenti della ragazza. Inoltre sarebbe stata depositata anche l'intervista rilasciata da Daniele: il proprietario del bed&breakfast a verbale avrebbe fatto mettere che la giovane dopo essere tornata dalla nottata con Grillo e amici stava bene, mentre ad alcuni giornalisti aveva riferito un notevole cambiamento da parte di Silvia. "Io non posso sapere se è vero o no quello che raccontano le ragazze e che ho sentito in questi giorni, ma so che quella notte di certo qualcosa è successo. Il loro umore ci è sembrato più scuro, diverso. Non erano più serene come il giorno prima, erano silenziose e pensierose, soprattutto la ragazza italo-svedese", è stata la sua dichiarazione nei giorni scorsi. La difesa di Silvia, scrive sempre l'Adnkronos, avrebbe depositato agli atti della procura anche l'intervista rilasciata da un componente del gruppetto a Non è l'arena. Il ragazzo aveva così parlato del video girato quella notte: "Si vede comunque che la ragazza sta benissimo e che comunque noi non costringiamo niente". E sul "nodo vodka" ha rivelato che non sarebbe stata costretta a berla mentre era tenuta per i capelli, ma che l'avrebbe fatto proprio lei di sua spontanea volontà per sfidare il gruppo: "Per sfida lei l'ha bevuta tutta, 'gocciolandola', ma non era tanta, era un quarto di vodka. Non lo so adesso... Però comunque lei, da sola, perché noi non riuscivamo a berla e lei per sfida ha detto 'Dai che ce la faccio' e se l'è bevuta". Agli atti potrebbe esserci anche il video postato da Beppe Grillo sul suo profilo Facebook. Uno sfogo choc in cui ha avanzato dubbi sulla versione della ragazza: "Allora perché non li avete arrestati? Perché vi sete resi conto che non è vero niente che c'è stato lo stupro. Perché una persona che viene stuprata la mattina, al pomeriggio va in kitesurf e dopo otto giorni fa una denuncia vi è sembrato strano. È strano". Il garante del Movimento 5 Stelle ha poi difeso il figlio e i tre amici genovesi dall'accusa di stupro: "Sono ragazzi di 19 anni che si stanno divertendo, che sono in mutande e saltellano con il pisello così perché sono quattro cogli***, non quattro stupratori".
Non è l'arena, Ciro Grillo "bulletto". La testimonianza pesantissima del suo prof: "Si sentiva protetto, c'era il peso del padre". Libero Quotidiano il 17 maggio 2021. "Un bulletto". A Non è l'Arena su La7 Massimo Giletti parla ancora di Ciro Grillo e oltre alle intercettazioni degli amici coinvolti nel presunto stupro di una 19enne, avvenuto nell'estate 2019, su cui sta indagando la procura di Tempio Pausania spicca la pesantissima testimonianza di un insegnante del figlio di Beppe Grillo, utile soprattutto a delineare un (sommario) profilo psicologico del ragazzo. "L'impressione è che sentisse il peso non del comico ma della persona che si affaccia sulla politica", spiega il professore concentrandosi sul rapporto tra padre e figlio. "Tutti lo chiamavano Grillo, Grillo, cioè è un cognome pesante". "Tra le medie e superiori è cambiato tantissimo, lui si era un po' fissato sul fisico, aveva trovato questa MMA (un'arte marziale, ndr), poi lì diventa lavaggio del cervello. O hai questa violenza da tirar fuori, sennò... Magari ti fa sentire troppo superuomo". Quando ha sentito la vicenda, "ho pensato che potesse essere uno di quelli coinvolti in situazioni del genere. Soprattutto alle superiori magari vedi che trasgrediscono le regole. Secondo me non avevano intenzione di abusare - prosegue l'insegnante -, probabilmente hanno approfittato della situazione senza considerare le conseguenze vere". "Questi ragazzi qua hanno tutti dentro qualcosa, sono generazioni deboli. Nel caso poi l'atteggiamento di bullismo, da bulletto mascherava qualcosa. Compagnie sbagliate, atteggiamenti sbagliati e anche l'idea di essere non immune ma protetto tra virgolette uno magari può anche esagerare. Lo stupro? Da un gruppetto come quello non dico che te lo aspettavi, ma pensi potrebbe succedere. Il suo gruppetto di amici era quello che non vengono beccati, erano un pochino più furbi, più sgamati. Però non si pensa mai che possano arrivare a questo, però li vedi, un atteggiamento da ragazzini. O lo interrompi e maturi o se rimani infantile poi può degenerare".
Grillo Jr, l'sms choc: "3 contro 1? Rifacciamo..." Valentina Dardari il 19 Maggio 2021 su Il Giornale. Quella notte sono stati girati “4 video facili facili”. Solo due settimane dopo un’altra festa con altre ragazze. Dopo quella terribile notte estiva in Sardegna, uno dei componenti del gruppetto di amici del presunto stupro, in chat si sarebbe vantato con un altro dei rapporti di gruppo avuti e di come la ragazza ne fosse uscita zoppicando. C’era anche un cameraman che girava i filmati delle loro prodezze e che aveva fatto “4 video facili facili” all’oscuro della vittima. Dopo solo due settimane un’altra festa con altre ragazze. “Dici che ci scappa il 3 vs 1?” e ancora “Poi ti farò vedere”. Chat roventi che sono diventate una delle prove principali a carico del figlio di Beppe Grillo, Ciro, e dei suoi amici: Edoardo Capitta, Vittorio Lauria e Francesco Corsiglia. Tutti accusati dalla Procura di Tempio Pausania della violenza sessuale che si è verificata la notte del 17 luglio 2019 nella casa del comico genovese in Sardegna, a Cala di Volpe, nei confronti di Silvia, studentessa italo-norvegese.
Le chat roventi. I quattro amici 22enni si sono scambiati messaggini, tra loro e anche con altri conoscenti, ora depositati con la chiusura dell'istruttoria e a disposizione della difesa. Come riportato da La Stampa, uno dei più significativi sarebbe stato inviato proprio il 17 luglio alle 14,15, subito dopo la presunta violenza sessuale. Capitta scrive a un suo amico: “Non puoi capire”. E alla richiesta di spiegazioni, continua con “No non puoi capire 3 vs 1 stanotte lascia stare”. L’amico vuole sapere sempre di più e alla fine Capitta lo liquida con un “No poi ti farò vedere" e qui si capisce che ci sono dei video da mostrare, ma Capitta ha negato di aver inoltrato i file.
"Gira tutto...". Il video della notte a casa di Grillo. Il 22enne confessa di essere stato ubriaco marcio e il suo interlocutore mostra di non fare fatica a crederlo. Abbozza qualche nome e ci becca in pieno con Francesco Corsiglia e Ciro Grillo. Le indagini hanno però portato a svelare che Consiglia ha avuto quella notte un rapporto da solo con la ragazza e che i tre erano invece Grillo, Capitta e Lauria. “Non si può fare 'sta vita poi vi racconterò, ora non si può ancora”, nei messaggi anche insulti nei confronti della presunta vittima. Capitta scrive poi dettagli che per gli inquirenti sarebbero significativi al fine delle indagini. “Comunque c'era il cameraman sai che non me le faccio scappare queste occasioni. 4 video facili ora sono stanco... poi vi farò vedere tutto”. Sarebbero quindi quattro i video, e non 3 come si pensava all’inizio. Spiega all’amico che la ragazza era una tr… e che lui ci avrà parlato sì e no mezz’ora, insomma, una sconosciuta.
Un'altra festa simile 15 giorni dopo. L’amico ha quindi chiesto “Prima chi aveva bocciato di voi?”. Capitta: “Non lo so, ero ubriaco marcio”. Poco prima aveva parlato delle condizioni di Silvia dopo la nottata, definendola fortemente provata, e il suo interlocutore aveva aggiunto: “Poveraccia...”. Poco dopo un’altra chat, sempre Capiitta ma cambia il destinatario dei messaggi: “Abbiamo fatto un casino stanotte”. E ancora a vantarsi: “3 vs 1”. Poi altri messaggi ad amici diversi, sempre uguale “3 vs 1 a Porto Cervo e non ti dico altro frate”. Stesse parole ripetute anche nei giorni seguenti in altre chat. Il 2 agosto, due settimane dopo la folle notte, un dialogo in chat tra Ciro Grillo e Capitta, definito dai pubblici ministeri eloquente. Ciro Grillo: “Ho invitato delle tipe a casa”. Capitta: “Ci parte il 3 vs 1? Impazzisco”. Ciro chiede: “Venite da me stasera? 4 o 5? Ahahaha”.
Valentina Dardari. Sono nata a Milano il 6 marzo del 1979. Sono cresciuta nel capoluogo lombardo dove vivo tuttora. A maggio del 2018 ho realizzato il mio sogno e ho iniziato a scrivere per Il Giornale.it occupandomi di Cronaca. Amo tutti gli animali, tanto che sono vegetariana, e ho una gatta, Minou, di 19 anni.
Spuntano altri tre video. “È uscita zoppicando”, le chat di Ciro Grillo e degli amici il giorno dopo il presunto stupro. Carmine Di Niro su Il Riformista il 19 Maggio 2021. Il presunto stupro di gruppo ai danni della 19enne Silvia (nome di fantasia) è avvenuto soltanto poche ore prima ma Edoardo Capitta non sta più nella pelle, deve raccontare agli amici cosa è accaduto nella villa di Ciro Grillo a Cala di Volpe. Così il giovane, uno dei quattro indagati assieme al figlio del garante del Movimento 5 Stelle, Vittorio Lauria e Francesco Corsiglia, alle 14:15 del 17 luglio 2019, appena accompagnate le due ragazze ad ad Arzachena, dove hanno potuto prendere un taxi, inizia a chattare su WhatsApp. Messaggi finiti nell’inchiesta che li vede indagati per stupro di gruppo dalla procura di Tempio Pausania: per i quattro ragazzi e i loro legali, come noto, si sarebbe trattato di sesso consenziente, per la 19enne italo-norvegese di una brutale violenza ai suoi danni. Ma cosa c’è all’interno di quelle chat? Innanzitutto che, a differenza di quanto riferito nell’ormai noto video-sfogo di Beppe Grillo in difesa del figlio Ciro, sarebbero stati girati ben quattro video del rapporto sessuale con la ragazza. Vittima che sarebbe uscita “zoppicando”, dice Capitta a un amico secondo quanto riferisce La Stampa. Più volte Capitta ripete nei messaggi che il rapporto è stato “3 vs 1”, tre contro uno. “No, non puoi capire”, scrive Capitta a un amico. “3 vs 1, stanotte, lascia stare. Che roba…poi ti farò vedere”. L’amico chiede quindi ulteriori dettagli: “Ma con una tipa?”, gli domanda. “E no, eh…ma che ridere ah ah ah. Ero ubriaco marcio. Frate’ te lo giuro”. Capitta aggiunge quini che “alle dieci del mattino ero ubriaco marcio… bevuto beverone alle nove”. “Chi era questa?”, chiede ancora l’amico, ma Edoardo Capitta fa lo gnorri: “Ma che ne so… Poi vi racconterò, ora non si può ancora”. Nei messaggi quindi Capitta ‘copre’ “Vitto”, ovvero Vittorio Lauria, l’unico del gruppo fidanzato. Alla domanda di un amico su chi erano stati i protagonisti del ‘tre contro uno’, se lo stesso Capitta, Corsi (Corsiglia, ndr) e Ciro Grillo, Capitta risponde in maniera generica. In realtà il ragazzo avrebbe dovuto escludere Corsiglia, che dormiva durante il presunto stupro di gruppo dopo aver avuto “un normale rapporto sessuale con Silvia”, come da lui raccontato e smentito invece dalla ragazza, che ha denunciato una violenza nei suoi confronti. Altro passaggio importante secondo gli inquirenti è quando Capitta parla di Silvia con un amico: “Ci ho parlato mezz’ora (con la ragazza, ndr) dal vivo molto più bella di così, poi vi racconterò tutto, non dire niente per ora” Quindi aggiunge: “Ma stavamo morendo, te lo giuro. Perché all’inizio non sembrava che volesse”. Ma anche col passare dei giorni il gruppo torna su quanto accaduto tra il 16 e il 17 luglio nella villa di Cala di Volpe. Il 31 luglio, cinque giorni dopo la presentazione della denuncia ai carabinieri della Compagnia Duomo di Milano da parte di Silvia, Ciro Grillo contatta Capitta. Il figlio del garante del Movimento 5 Stelle chiede all’amico: “Mi mandi quei video? Quelli…”. “Ahhaha, perché li vuoi? Non li mando a nessuno, Cì”. “Li voglio far vedere a due amici e agli altri. Vabbè, come vuoi”.
Carmine Di Niro. Romano di nascita ma trapiantato da sempre a Caserta, classe 1989. Appassionato di politica, sport e tecnologia
Giusi Fasano per il "Corriere della Sera" il 19 maggio 2021. È il 17 luglio del 2019, ore 14.15. I ragazzi che oggi sono accusati della violenza di gruppo avvenuta a casa di Ciro Grillo hanno appena accompagnato ad Arzachena le due ragazze vittime degli abusi, Silvia e Roberta. Le lasciano lì ad aspettare un taxi e tornano a Cala di Volpe, nella casa dove Roberta dormiva mentre in tre scattavano fotografie oscene accanto a lei e dove Silvia racconta di essere stata stuprata da tutti e quattro (il figlio di Beppe Grillo, appunto, e i suoi amici Edoardo Capitta, Francesco Corsiglia e Vittorio Lauria). Il tempo di rimanere soli in macchina e i ragazzi cominciano a raccontare agli amici lontani della loro «notte brava». Capitta è il più attivo di tutti con il telefonino. Chat, fotografie, video. Il suo cellulare è stato finora una miniera di informazioni per la Procura di Tempio Pausania che indaga sulla violenza. Alle 14.15 di quel 17 luglio è lui (in una chat di WhatsApp registrato come Capi) che chatta con un amico. «No, non puoi capire», scrive. «Cosa?» chiede l'altro. «No... 3 vs 1 stanotte, lascia stare». «Spiega meglio» insiste l' amico. «No, no, sì, poi ti farò vedere». « Ma con una tipa?». «Ma no, guarda... ero ubriaco marcio. Frate te lo giuro». «Ma chi eravate? Te, Corsi e Ciro?». Risposta: «3 vs 1, ovvio. Ma io veramente alle dieci del mattino ero ubriaco marcio... bevuto beverone alle nove». «Chi era questa?». «Ma che ne so... Poi vi racconterò, ora non si può ancora». «Mi fai morire» commenta l'amico. «Comunque - risponde Capi - c' era il cameramen. Sai che non me le faccio scappare 'ste occasioni. 4 video facili... Poi vi farò vedere tutto. Se vuoi ti chiamo e ti racconto un po'». «Ti chiamo io dopo» propone l'amico. E Capitta: «Se sono ancora vivo.
Ora sono morto. Siamo andati al Billionaire, tutti 50 hanno messo». «Sei un idolo» risponde l'altro. Seguono particolari che inducono l'amico a scrivere: «Poveraccia». E Capitta: «All'inizio non sembrava che volesse». Leggendo questa conversazione gli inquirenti hanno saputo che erano quattro - non uno - i video girati durante quello che i ragazzi chiamano «sesso consenziente» e che la ragazza chiama invece «violenza sessuale». Alla domanda «Ma chi eravate? Te, Corsi e Ciro?» Capitta risponde volutamente in modo generico. Dovrebbe escludere Corsi, cioè Corsiglia, perché Corsiglia dormiva dopo aver avuto un «normale rapporto sessuale con Silvia», come racconta lui (lei dice invece che lui l'ha violentata per primo). Ma chattando e vantando le prodezze del gruppo Capitta invece lo coinvolge (nel suo «3 vs 1») perché vuole proteggere «Vitto», Vittorio Lauria, che è l' unico del gruppo fidanzato e la sua ragazza - hanno deciso tutti - non deve sospettare di niente.
Altra conversazione via WhatsApp. Sempre «Capi» che parla con un altro amico. «Broc, abbiamo fatto un casino stanotte». «Cioè?». «3 vs 1». «Puede chiamarti? Non credo a quello che leggo. Aspetto maggiori dettagli prima di commentare. Era bella almeno?». «Media». Il 31 luglio risulta una chat fra Ciro jr e Capitta. «Oh, mi mandi quei video? Quelli» chiede Ciro. «Ahaha. Perché li vuoi? Non li mando a nessuno Cì, dai». «Li voglio far vedere a (cita due nomi, ndr ) e agli altri. Vabbé come vuoi». Il 2 agosto altra conversazione Ciro-Capi. «Ho invitato delle tipe a casa» annuncia Ciro. E l' altro: «Ci parte il 3 vs 1? Impazzisco». E poi l'organizzazione di quella serata e delle successive, nella speranza - si intuisce - che si possa ripetere la notte brava a Cala di Volpe. L'espressione «3 vs 1» Capitta la utilizza con tutti. Ne va fiero. Il 19 luglio, cioè due giorni dopo la presunta violenza, scrive al solito amico lontano per dirgli «3 vs 1, ciao ciao». «Tu, corsi e...» chiede l' altro. E lui, che ancora una volta mente per tutelare «Vitto» che è fidanzato, scrive: «Perché sicuro corsi? ahahah. Comunque, sì: io, corsi e Ciro. Vitto si è chiamato fuori, vabbé giusto». Un altro termine che compare praticamente in ogni chat è «scittare» (fumare o prendere in giro). Era una delle regole del gruppo Instagram (ora chiuso) di cui facevano parte i quattro amici genovesi. Il profilo si chiamava Official Mostri. «Mi mancate fratelli scittatori» si scrivono l' un l' altro i ragazzi. È forse la sola frase sentimentale di mille conversazioni. Il resto è tutto un pavoneggiarsi, un descrivere dettagli irripetibili, un intercalare di parolacce e bestemmie. Per le ragazze nemmeno una parola gentile.
Matteo Indice per "la Stampa" il 19 maggio 2021. A poche ore dalla notte folle uno dei componenti del presunto branco si vantava con un amico dei rapporti di gruppo, spiegando che la ragazza era uscita «zoppicando» da quegli incontri. Soprattutto: spiegava che quella notte c' era «il cameraman» e che avevano fatto «4 video facili facili», all' insaputa della vittima come poi rivelato da loro stessi davanti ai magistrati e ai carabinieri che li hanno interrogati. E a distanza di 15 giorni pensavano di preparare un' altra serata simile: «Dici che ci scappa il 3 vs 1?». Le chat sono una delle prove principali a carico di Ciro Grillo (figlio del comico e fondatore del M5S Beppe), Edoardo Capitta, Vittorio Lauria e Francesco Corsiglia. Sono i quattro studenti genovesi ventiduenni accusati dalla Procura di Tempio Pausania della violenza sessuale di gruppo avvenuta il 17 luglio 2019 nell' abitazione di Grillo a Cala di Volpe, in Sardegna, a danno della studentessa italo-norvegese Silvia. Gli scambi tra gli indagati, e tra alcuni inquisiti e i loro amici, sono stati depositati con la chiusura dell' istruttoria e messi a disposizione dei difensori. Uno dei più rilevanti, agli occhi degli investigatori, va in scena alle 14,15 proprio del 17 luglio, quindi subito dopo i fatti contestati. È Capitta a parlare con un amico, Luca (nome di fantasia). Dice Capitta: «Non puoi capire». Luca: «Cosa?». Il primo rilancia d' acchito con l' espressione che ormai è diventata emblematica di quest' inchiesta, e si scopre oggi che lo fa (quasi) in diretta: «No non puoi capire 3 vs 1 stanotte lascia stare». Luca: «Spiega meglio». Capitta: «No poi ti farò vedere (in questo passaggio secondo gli inquirenti preannuncia di mostrare dei video, circostanza ammessa negli interrogatori, mentre il medesimo Capitta ha negato di aver inoltrato i file ndr)». Luca: «Ma con una tipa?». Capitta: «Ero ubriaco marcio». L amico: «Ma non me lo dire (e scrive una bestemmia, ndr)». Capitta: «Ero ubriaco marcio frate te lo giuro». Luca prova a immaginare chi fossero i partecipanti: «Ma chi eravate, tu, Corsi (Francesco Corsiglia, ndr) e Ciro (Grillo, ndr)?» Capitta: «3 vs 1, ovvio» (in realtà le indagini hanno svelato che Corsiglia ha avuto un rapporto da solo e i tre erano Ciro Grillo, Capitta e Vittorio Lauria, ndr). Di nuovo Capitta: «Non si può fare 'sta vita (seguono insulti nei confronti della ragazza, ndr) poi vi racconterò, ora non si può ancora». Luca: «Mi fai morire». Capitta prosegue con dettagli che risultano «significativi» secondo chi indaga: «Comunque c' era il cameraman sai che non me le faccio scappare queste occasioni. 4 video facili (finora era noto che vi fossero tre spezzoni, ndr) ora sono stanco... poi vi farò vedere tutto». Luca chiede delucidazioni sulla ragazza, Capitta la apostrofa nuovamente «era lei un tr». Poi dice «ci avrò parlato mezz' ora», descrivendola come una sostanziale sconosciuta, e ribadisce: «Poi vi farò vedere tutto». A parte i dettagli irripetibili dell' incontro, Luca chiede: «Prima chi aveva bocciato di voi?». Capitta: «Non lo so, ero ubriaco marcio». In precedenza aveva fatto riferimento alle condizioni di Silvia dopo la nottata, definendola fortemente provata, e l'interlocutore aveva aggiunto: «Poveraccia...». Poco più tardi di nuovo Capitta è in chat con un altro amico, Marco (nome di fantasia). «Abbiamo fatto un casino stanotte». Marco: «Ahahacioè?». Capitta: «3 vs 1». Subito dopo scrive al coetaneo Luigi (nome di fantasia): «3 vs 1 a Porto Cervo e non ti dico altro frate». E sempre la formula «3 vs 1» è ripetuta da Capitta due giorni dopo in ulteriori conversazioni. La preparazione del bis «Eloquente» sempre a parere dei pubblici ministeri è infine il dialogo in chat fra Ciro Grillo e nuovamente Edoardo Capitta il 2 agosto, due settimane dopo la presunta violenza a danno di Silvia. Ciro: «Ho invitato delle tipe a casa». Capitta: «Ci parte il 3 vs 1? Impazzisco». Ciro chiede: «Venite da me stasera? 4 o 5? Ahahaha».
"Chiamo il plug, facciamo festa". Tra Grillo e amici spunta la droga. Luca Sablone il 21 Maggio 2021 su Il Giornale. Spuntano altre chat tra i componenti del gruppetto: "Fumato come un maiale con gli altri, botta gigante ieri. Chiamo il plug e l'erba arriva in due minuti". Adesso nel caso Ciro Grillo prende grande rilievo il fattore stupefacenti. A cosa si riferiva "1 grammo"? Quell'sms a quale sostanza faceva riferimento? Nelle chat tra il figlio del fondatore del Movimento 5 Stelle e gli altri amici emerge più volte con chiarezza una serie di allusioni all'uso di sostanze. Particolari che sono stati trovati in seguito agli "esami" effettuati sui telefonini di Grillo jr, Edoardo Capitta, Francesco Corsiglia e Vittorio Lauria. I quattro amici genovesi sono finiti sotto la lente di ingrandimento della procura di Tempio Pausania, che dovrà fare luce su quanto avvenuto nelle ore tra il 16 e il 17 luglio 2019 trascorse in compagnia di Silvia e Roberta (nomi di fantasia).
Gli sms tra Grillo e gli amici. Gli inquirenti, dopo aver provveduto al sequestro degli smartphone degli inquisiti, hanno potuto setacciare i cellulari e andare alla ricerca di possibili messaggi in grado di fornire qualche dettaglio per la ricostruzione della vicenda. Ma gli investigatori hanno voluto prendere in considerazione anche altri sms per capire quanto vada approfondito il filone droga. Nello specifico c'è una chat tra Capitta e l'amico Luca (nome di fantasia) risalente al pomeriggio del 14 luglio. Un'occasione per programmare i prossimi giorni d'estate: "Non ci vediamo fino al 29 (luglio 2019, ndr). Torniamo: canna, 1 grammi per festeggiare". Ci sarebbe poi, secondo La Stampa, uno scambio di messaggi tra Ciro Grillo e Capitta avvenuto il primo agosto: "Sono a Genova bro (abbreviazione dell'inglese 'brother', fratello, ndr). Oggi se vedemo, yes, stecca canne del perlausen chiamo il plug (termine usato per indicare in gergo lo spacciatore, ndr) di Porto Cervo e in due minuti arriva ahahaha preso weed (erba, ndr), ma poi di nuovo scitto (si fa sempre riferimento a tipologie di droga, ndr)". Qualche giorno dopo sarebbe stato lo stesso Grillo jr a rivelare di aver "fumato come un maiale con gli altri", per poi lasciarsi andare in un altro frangente a un "botta gigante ieri".
Le indagini degli inquirenti. Si cercherà di fare chiarezza pure su ulteriori sms relativi all'organizzazione di nuove serate: in almeno un caso ci sarebbe stato un chiaro riferimento a un alloggio di Forte dei Marmi in Toscana come possibile location. E anche in questo caso sarebbe spuntato quell'ormai famoso "3 vs 1". L'intenzione era quella di imbastire nuovamente un rapporto sessuale a tre con una ragazza? Intanto il procuratore capo Gregorio Capasso e la sostituta Laura Bassani hanno inviato un nuovo avviso di conclusione delle indagini preliminari: tra pochi giorni si potrebbe decidere se chiedere il rinvio a giudizio o l'archiviazione del caso.
Matteo Indice per “La Stampa” il 21 maggio 2021. Si cerca di far luce su cosa significhi «1 grammo», a quale sostanza si riferisca quell' espressione. E non v' è dubbio che il consumo di stupefacenti sia uno degli elementi che emerge con più forza dalle chat intercettate al sospetto branco: «Oggi se vedemo, stecca canne del perlausen preso weed ma poi di nuovo scitto fumato come un maiale con gli altri chiamo lo spacciatore di Porto Cervo». Queste (e altre frasi) che fanno con chiarezza riferimento all' uso di droghe, sono state trovate esaminando i telefoni di Ciro Grillo (figlio del fondatore M5S Beppe), Edoardo Capitta, Francesco Corsiglia e Vittorio Lauria. Sono i quattro studenti genovesi indagati dalla Procura di Tempio Pausania per violenza sessuale di gruppo: secondo l' accusa hanno stuprato la studentessa italo-norvegese Silvia il 17 luglio 2019 nell' appartamento Grillo a Porto Cervo, mentre a Ciro, Capitta e a Lauria è contestato un secondo abuso, ai danni di Roberta, l' amica di Silvia che dormiva su un divano, per una foto oscena che li ritrae come fossero davanti a una preda. Gli inquirenti, dopo aver sequestrato gli smartphone degli inquisiti, li hanno setacciati alla ricerca di messaggi che descrivessero la notte a casa Grillo. E però insieme a una serie di scambi ritenuti «significativi» su questo fronte ve ne sono altri che gli investigatori hanno raggruppato per capire quanto vada approfondito pure il filone droga. In una lunga conversazione fra Edoardo Capitta e l' amico Luca risalente al pomeriggio del 14 luglio, quindi a poche ore dalla sospetta violenza, nella quale si descrive con dovizia di particolari e disprezzo di Silvia ciò che è avvenuto quella notte, vi sono riferimenti alla programmazione delle ferie: «Non ci vediamo fino al 29 (intende luglio 2019, ndr) - ribadisce quindi Capitta all' amico - torniamo: canna, 1 grammi per festeggiare». Sul medesimo fronte, un altro scambio WhatsApp rilevante è quello che si materializza l' 1 agosto fra Ciro Grillo e il solito Capitta, dove rimbalzano queste espressioni: «Sono a Genova bro (abbreviazione dell' inglese «brother», fratello, ndr). Oggi se vedemo, yes, stecca canne del perlausen chiamo il plug (termine usato per indicare in gergo lo spacciatore) di Porto Cervo e in due minuti arriva ahahaha preso weed (erba, ndr), ma poi di nuovo scitto (si fa sempre riferimento a tipologie di droga, ndr)». Poi ancora Grillo a Capitta nei giorni successivi: «Fumato come un maiale con gli altri». Capitta: «Era buona la weed?». Ciro: «Nulla di che», mentre in un altro frangente si lascia andare a un «botta gigante ieri!». Ulteriori messaggi finiti agli atti certificano l' organizzazione di nuove serate fino alla fine dell' estate (in un caso almeno c' è un chiaro riferimento a un alloggio di Forte dei Marmi in Toscana come potenziale location), nelle quali il primario obiettivo era quello d' imbastire un «3 vs 1» come quello del 17 luglio. Eppure, di nuovo in materia di sostanze assortite, non va dimenticato che anche le due ragazze presenti nel residence di Grillo avevano fatto riferimento alla volontà, da parte del gruppetto di consumarne e al fatto che stessero cercando quelle «avanzate». Difficile prevedere quali sviluppi avranno gli accertamenti nel filone stupefacenti e soprattutto i tempi dell' inchiesta sullo stupro di gruppo. Nelle scorse settimane il procuratore capo Gregorio Capasso e la sostituta Laura Bassani hanno inviato un nuovo avviso di conclusione delle indagini preliminari, in cui circoscrivono meglio i vari addebiti e soprattutto la scansione temporale dei presunti soprusi. Successivamente Giulia Bongiorno, l' ex ministra che assiste Silvia, ha chiesto che fossero depositate alcune interviste da parte di persone che i pm avevano fatto ascoltare in qualità di testimoni. È possibile che, in tempi relativamente brevi, la Procura chieda comunque il rinvio a giudizio dei ragazzi, nel convincimento che solo un processo possa dirimere la vicenda.
Da corrieredellumbria.corr.it il 22 maggio 2021. A Quarto Grado nuove rivelazioni sul caso di Ciro Grillo e del presunto stupro compiuto da lui e da altri sue tre amici nella notte tra il 16 e il 17 luglio 2019 in Costa Smeralda. Sono emerse infatti alcune contraddizioni nelle testimonianze dei ragazzi, rilasciata alle forze dell'ordine in tre diversi momenti ciascuno, dopo la denuncia della ragazza. A non combaciare nella versione dei tre ragazzi è la descrizione della situazione in cui si trovavano i giovani nel momento in cui la 19enne italo-norvegese ha chiesto loro di passargli la bottiglia di vodka (sul patio della villa dei Grillo in Sardegna), nè su chi l'ha passata. Altro tema quello relativo al consumo di marijuana, perché inizialmente avevano detto che nessuno l'aveva consumata, e invece poi due dei ragazzi l'avevano fumata, tra cui Grillo. C'è poi l'altro particolare, tutt'altro che secondario, sui video: Edoardo sembra essere l'unico che non compare, ma di certo gli altri tre sono filmati mentre facevano sesso con la ragazza tutti insieme. Resta quindi da capire se tutti hanno effettivamente consumato un rapporto con lei nel momento in cui sembra che quest'ultimo non fosse consenziente, stando a quello che dice la ragazza. Sui giovani, è bene ricordarlo, pende ancora la possibilità di un rinvio a giudizio, su cui i magistrati dovranno esprimersi a breve. Nella prima parte dei due servizi dedicati a questo caso da parte della produzione di Quarto Grado, è stata presa la testimonianza di Edoardo, che ha spiegato come quella notte - a suo dire - non ci sia stato alcun tipo di coercizione e come sia stata invece la stessa giovane a chiedere di fare un rapporto a quattro, "che non aveva mia provato", dopo aver bevuto "un quarto di bottiglia di vodka". Forse sulla ragazza sarà fatta anche una perizia psicologica, in sede processuale, per asseverare o meno la veridicità della sua testimonianza.
Giusi Fasano per il "Corriere della Sera" il 25 maggio 2021. «Cioè, mi è venuto in mente di urlare, non è che non mi è venuto in mente, ma non riuscivo». La ragazza che parla sta rispondendo alle domande del procuratore capo di tempio Pausania Gregorio Capasso e della sua sostituta Laura Bassani. È il racconto di una violenza sessuale. Non riusciva a urlare, dice. «E perché non riuscivi?» chiedono loro. «Perché, cioè, ero... più concentrata a tirarlo via o comunque... sì, poi c' erano anche gli altri.. ero in una situazione un po' che mi vergognavo... Non lo so... mi sentivo...». «Diciamo che non ce l'hai fatta», deduce il procuratore. Il racconto continua. Il presunto stupratore - annotano gli inquirenti - ha abusato di lei prima in una camera e poi nel bagno. Lei dice che ha provato a scappare ma che davanti alla camera (senza porta) c'erano gli altri tre ragazzi della compagnia che «mi hanno fatto tipo da barriera». Quindi - è il resoconto del verbale - il ragazzo che aveva abusato di lei la trascina in bagno e continua a porta chiusa. Il procuratore torna sul punto: «E anche lì... cioè, non...non sei riuscita a reagire?...Anche richiamando l' attenzione...». «No... c' era una confusione allucinante». Quello che racconta la ragazza è una violenza sessuale di gruppo in Sardegna, a casa di Ciro Grillo, il figlio di Beppe, garante dei Cinque Stelle. La storia che finisce nel verbale dice questo: che lei è stata violentata prima da Francesco Corsiglia e poi - in un secondo momento, dopo un paio d' ore - da Ciro, Vittorio Lauria ed Edoardo Capitta, tutti genovesi e amici da sempre. I fatti sono del 17 luglio 2019. In casa c' era anche l' amica di lei, Roberta, che dormiva mentre tutto accadeva. Nella sua prima deposizione la ragazza - Silvia - aveva come disegnato lo sfondo di un quadro. Con il passare dei mesi e delle indagini - ora che è il 17 febbraio 2020 - il procuratore e la pm la risentono e insistono sui punti allora non chiariti. Che poi sono i punti più facilmente attaccabili dalle difese dei quattro ragazzi. Per esempio alcuni comportamenti di lei all' apparenza illogici. Perché non ha reagito, gridato, telefonato? Insomma: perché non ha chiesto aiuto o non è fuggita durante le violenze e, soprattutto, fra il primo e il secondo episodio? E lei a rispondere che «io in quel momento mi sentivo quasi come arresa...quando camminavo non sentivo i piedi per terra». Oppure: non è scappata perché «prendi e te ne vai... sì, ok. Però io avevo sotto la mia responsabilità Roberta, perché era mia ospite in Sardegna, no?». Quando parla del fatto che la costrinsero a bere vodka, per dire («Uno mi ha preso per i capelli e mi hanno messo la bottiglia in bocca») la pm obietta: «E tu le mani dove ce le avevi?». «Le mani ce l' ho giù. No eee... non ho reagito». «Come mai?». «Mi sono lasciata andare... un po' per paura... un po'... perché non ci capivo più niente... non capivo veramente cosa mi stesse succedendo... una serata così confusa non l' ho mai vista. Cioè, non lo so sinceramente. In quel momento mi volevo lasciar andare e... non so, mi sentivo morire... dentro...vuota completamente. In più, cioè ero come... lascia fare quello che vogliono... non ce la faccio più a reagire». In un altro punto del verbale spiega che «poi ero anche terrorizzata, non sapevo cosa stesse succedendo, obiettivamente non te l' aspetti una cosa del genere». I magistrati le fanno notare dettagli che lei ha omesso e che hanno raccontato i suoi amici. Per esempio il bacio con Ciro in discoteca, al Billionaire. «No, non è vero» reagisce Silvia. Poi ammette, «Sì, un flirt». Le chiedono anche di Francesco, il ragazzo che lei dice l'ha violentata per primo. «A tavola dov' eri seduta, te lo ricordi?». «Mi ero messa tipo in braccio a Francesco, un attimo, però». «Ma sai» replica il procuratore, «noi... a volte i maschietti sono un po'...». E lei: «Sì, vabbè, ma ho sempre messo bene in chiaro cosa volessi e cosa no». Alla fine Silvia passa questa specie di «esame», si va verso la richiesta di rinvio a giudizio per i ragazzi, anche se i tempi si allungano perché i difensori di tre di loro hanno chiesto un nuovo interrogatorio.
"Hai rotto le p...", "Maleducato misogino". Rissa in studio sul caso Grillo. Luca Sablone il 24 Maggio 2021 su Il Giornale. Duro scontro in diretta a Non è l'arena. Filippo Facci attacca Luca Telese: "Non voglio essere interrotto". La replica: "Non puoi fare un comizio di un'ora". Il caso relativo a Ciro Grillo e ai suoi tre amici genovesi continua a tenere banco nel dibattito pubblico. Anche Non è l'arena sta proseguendo nell'analisi e nella ricostruzione di quanto avvenuto tra il 16 e il 17 luglio 2019 nella villetta a Cala di Volpe. La giovane studentessa Silvia (nome di fantasia) sostiene di essere stata stuprata e costretta a rapporti sessuali contro la sua volontà, mentre i quattro ragazzi ritengono che gli atti sessuali fossero del tutto consenzienti. Il programma condotto da Massimo Giletti, in onda su La7, ospita in studio avvocati ed esperti per tentare di fornire diverse chiavi di lettura e spunti di riflessioni alla luce di quanto emerso dai verbali e dalle testimonianze fornite. Nella serata di ieri è andato in scena uno scontro animato tra Filippo Facci e Luca Telese, protagonisti di una rissa in diretta proprio sulla vicenda che coinvolge anche il figlio di Beppe Grillo. Il primo si è chiesto se i quattro giovani fossero consapevoli e a conoscenza di ciò a cui stessero andando incontro: "A un certo punto capisci che a certi giochi vuoi giocare e poi decidi di non volerlo fare più. La non conoscenza da parte nostra e da parte loro, ovvero dei 20enni, non ha quella divisione secca tra uomo e donna, vittima e carnefice, macho e donnicciuola". A quel punto il secondo si è lasciato andare a un commento: "Ogni parola che dice peggiora...". Un'interruzione che ha mandato su tutte le furie Facci: "Non voglio essere interrotto. C'è un conduttore per stabilire. Hai rotto le palle, non sei più un conduttore, fattene una ragione. Perché io devo chiudere? Perché lo decide lui? Non è dialogo questo". E Telese non ha perso tempo per replicare: "Ma se fai il comizio... Mica ci devi fare un comizio da un'ora". Facci ha così provato a terminare il suo discorso, ribadendo che a suo giudizio forse i ragazzi ignoravano e che vige un codice penale per dividere la violenza da quello che non c'è: "Il codice lo facciamo noi, non i ragazzi, non lo stabilisce una legge universale". Non è tardata ad arrivare la risposta di Telese: "Trovo molto grave sia questo modo di parlare di questa storia sia questo modo di aggredire un interlocutore. Devi chiedere scusa e noi facciamo finta di non aver sentito, sei un maleducato misogino". Facci aveva tirato in ballo l'avvocato Andrea Catizone, dichiarando che fosse in studio grazie al marito Pietro Folena.
Da liberoquotidiano.it il 25 maggio 2021. A Non è l'Arena su La7 si parte dal caso di Ciro Grillo, si parla di giovani e abusi sessuali e si arriva allo scontro personale. Durissimo confronto tra Filippo Facci, in collegamento, e l'avvocato Andrea Catizone, in studio. "Le regole, la giurisprudenza, quello che è violenza o no lo stabilisce la codificazione che facciamo noi e che i giovani devono imparare. Dopodiché si chiamerà violenza da un certo momento in poi", spiega Facci. Ma la Catizone lo interrompe ripetutamente: "Secondo lei ognuno si deve costruire un'idea di fine a che punto è la violenza? Il rispetto altrui non ha nessun valore?". "Io non so neanche chi sta parlando", replica Facci. "L'avvocato esperto di diritto di famiglia", puntualizza Massimo Giletti. "L'avvocato, sì...". E la Catizone si infervora: "Faccia poco lo spiritoso, eh, perché veramente ha stufato con questo spirito da... La deve smettere eh, rispetti le persone". "Bagaglino, Filippo Bagaglino", provoca Luca Telese, anche lui in studio. Giletti si innervosisce: "La prego, avvocato...". E Facci cala il carico: "Lei è seduta qua in quanto moglie di Pietro Folena", ex deputato e storico esponente del Partito comunista italiano, poi Pds, Ds e Rifondazione comunista. "Ma che stai dicendo? Ma sei 'mbriago stasera?", salta sulla sedia Telese. "Guarda Filippo, io Folena non l'ho neanche mai avuto ospite, credo", mette le mani avanti Giletti. "Lei ha dimostrato la sua idea di autonomia della donna, sono una donna autonoma, ho superato un esame di Stato", replica la Catizone. Ma Facci protesta: "Se lei educatamente mi lasciasse finire di parlare...". "Allora Filippo finisci sennò è uno scontro", prova a chiudere il caso. "Ci sto provando!", alza la voce Facci. "Allora provaci, ma con intenzione", incalza Giletti.
"Mi ha detto di dargliela", "Gliel'ho passata io". Cosa non torna sul caso Grillo. Luca Sablone il 23 Maggio 2021 su Il Giornale. Le incongruenze dei ragazzi sulle testimonianze. Chi ha passato la vodka alla giovane? Le versioni di Edoardo e Vittorio non combaciano. Resta ancora da stabilire la totale verità sul caso Ciro Grillo. Quelle ore tra il 16 e il 17 luglio 2019 cosa è accaduto realmente nella villetta a Cala di Volpe? Si è consumato un vero e proprio stupro o è andato in scena solo del sesso consenziente? Ovviamente i racconti forniti dalla studentessa Silvia (nome di fantasia) e dai componenti del gruppetto non combaciano. Da una parte la ragazza ritiene di essere stata costretta a più rapporti sessuali contro la sua volontà; dall'altra la comitiva ritiene che la giovane fosse assolutamente consapevole e addirittura partecipe nel corso degli atti. In realtà c'è qualche dettaglio che non torna neanche tra le versioni dei quattro amici genovesi.
Il giallo sulla vodka. Alcuni particolari di contorno risultano essere dunque non del tutto precisi e simmetrici. Come sottolineato da Quarto grado, programma condotto da Gianluigi Nuzzi in onda su Rete 4, a non combaciare ad esempio sono le testimonianze sulla questione relativa all'alcol bevuto sul patio. Chi l'ha passato a Silvia? Il "nodo vodka" resta ancora da sciogliere. Vittorio dichiara di essere stato lui a passare a Silvia la bottiglia allungando il braccio nella sua direzione: "Lei era seduta alla mia sinistra con una gamba accavallata sulle mie e mi ha detto: 'Dammi che ti faccio vedere che ne bevo di più'". Il racconto di Edoardo è invece diverso: "Vi era una bottiglia di vodka lemon che io stavo bevendo e la ragazza mi ha chiesto di passaglierla e io l'ho fatto e lei ne ha bevuto un quarto di bottiglia". Si tratta di una semplice confusione o di una bugia da parte di uno dei due? Silvia ha sempre riferito che sarebbe stata costretta a bere vodka mentre era tenuta per i capelli. Una narrazione smentita dal gruppetto tanto che uno degli amici genovesi, ai microfoni di Non è l'arena, aveva fatto sapere che lei stessa l'avrebbe bevuta di sua spontanea volontà per sfidare la comitiva: "Nel video si vede che la ragazza comunque sta benissimo e che noi non costringiamo niente. Per sfida lei ha bevuto la vodka, perché noi non riuscivamo a berla". Sul caso Grillo bisognerà far luce pure sulla questione dei video. Nelle chat dopo quella notte si parla di diversi filmini: "Comunque c'era il cameramen. Sai che non me le faccio scappare 'ste occasioni. 4 video facili... Poi vi farò vedere tutto. Se vuoi ti chiamo e ti racconto un po". Per Grillo jr e gli amici si tratta di una prova che potrebbe testimoniare la consensualità di Silvia: "Effettivamente durante il rapporto ho fatto un video con il telefono di Edoardo. Proprio dal video si può vedere che S. partecipa attivamente al rapporto".
Luca Sablone. Classe 2000, nato a Chieti. Fieramente abruzzese nel sangue e nei fatti. Estrema passione per il calcio, prima giocato e poi raccontato: sono passato dai guantoni da portiere alla tastiera del computer. Diplomato in informatica "per caso", aspirante giornalista per natura. Provo a raccontare tutto nei minimi dettagli, possibilmente prima degli altri.
Il racconto da incubo: "Violentata a turno, ridevano..." Luca Sablone il 25 Maggio 2021 su Il Giornale. Il verbale della ragazza che ha denunciato: "Sentivo dolore, il mio corpo era tipo anestetizzato. Ho iniziato a vedere nero, non riuscivo a urlare e sono svenuta". Cosa è realmente accaduto nelle ore tra il 16 e il 17 luglio 2019 nella villetta a Cala di Volpe? La giovane Silvia (nome di fantasia) è stata stuprata dai quattro amici genovesi o ha preso parte a una serie di rapporti sessuali consenzienti? La versione della studentessa italo-genovese e quella dei componenti del gruppetto di Ciro Grillo ovviamente non combaciano e hanno un'ottica completamente diversa. Riavvolgiamo il nastro e torniamo al 17 febbraio 2020, quando il procuratore capo di Tempio Pausania vede Silvia per tentare di colmare alcuni vuoti nei racconti e di fare chiarezza su determinati particolari: come mai non è andata via dopo la prima presunta violenza? Come l'avrebbero costretta a bere alcol? Intanto i tempi per un'ipotetica richiesta di rinvio a giudizio slittano ancora: i legali di Grillo jr, Capitta e Lauria hanno chiesto alla procura di sottoporre i tre a un nuovo interrogatorio.
"Non riuscivo a urlare". La giovane racconta di essersi seduta "un attimo" in braccio a Corsiglia dopo la serata al Billionaire, sottolineando però di aver messo fin da subito "bene in chiaro cosa volessi e cosa no". A un certo punto si appartano: Silvia viene invitata a trasferirsi in un'altra stanza per prendere delle coperte: "E lì lui ha provato a baciarmi. L'ho allontanato, mi ha buttato sul letto e provava ad andare avanti... gli dicevo: 'no ascolta, lasciamo andare'". Dopo il primo approccio, i due tornano al gazebo con gli altri. L'amica Roberta (nome di fantasia) decide di andare a dormire e così Silvia chiede una stanza per riposare anche lei da sola. Ma sarebbe stata seguita ancora da Corsiglia: "Mi sono messa sotto le coperte e lui si è infilato nel letto. Mi son girata e ho detto: 'Cosa stai facendo?'". Come mai la ragazza non ha chiesto aiuto a Roberta? Lei si giustifica dicendo di sentirsi "terrorizzata", di non riuscire a tirarsi su con le braccia o a fare altro. Un fatto che Silvia non si aspetta e perciò la fa rimanere di stucco: "Non avevo voce, mi è venuto in mente di urlare, non è che non mi è venuto in mente, ma non riuscivo". Lei è concentrata nel tirarlo via. Si crea dunque una situazione di imbarazzo, di vergogna. A quel punto, si legge nel verbale riportato da La Repubblica, tutti sarebbero entrati in stanza. Silvia riesce a uscire dal letto e tenta di oltrepassare la porta, ma riferisce di essere stata bloccata: "Loro mi hanno fatto tipo barriera e uno mi fa anche: 'beh, cos'è che stai facendo?'". Nel frattempo Corsiglia "mi ha spinto in bagno".
"Mi hanno costretta a bere". Silvia racconta di essere scioccata, di avere divere emozioni dentro e di essere un po' delusa dal comportamento della sua amica, come se l'avesse liquidata. La giovane non si rende conto che Grillo e gli amici stessero andando verso di lei. Così la situazione degenera di nuovo: "Me li son trovati intorno, uno mi ha preso la testa dai capelli, l'altro mi ha messo la bottiglia in bocca". Forse di vodka: "Faceva schifo, sembrava un mix di non so cosa". Secondo la sua versione, sarebbe stata costretta a bere mentre era tenuta per i capelli: "È come se me l'avessero imposto, prendendomi la testa. Non so chi è stato, ho chiuso gli occhi".
"Ridevano e tiravano schiaffi". Poi Ciro Grillo, Edoardo Capitta e Vittorio Lauria l'avrebbero portata in camera. Qui, secondo il punto di vista di Silvia, sarebbe avvenuto un rapporto sessuale a quattro contro la sua volontà: "Non sentivo più le braccia e più le gambe, il mio corpo quasi non lo sentivo più: nel primo episodio sentivo dolore, qui era come se il mio corpo fosse anestetizzato". Ribadisce di non aver gridato prima "per paura", poi perché si sentiva "morire... distrutta e congelata". Come riporta da La Stampa, Silvia ha aggiunto un particolare su quegli atti sessuali nella stanza: "Ridevano e mi colpivano con degli schiaffi alla schiena, io ho sofferto, mi sentivo cedere in avanti, la testa all'inizio sentivo dolore, dopo mi girava la testa, ero tipo congelata".
Luca Sablone. Classe 2000, nato a Chieti. Fieramente abruzzese nel sangue e nei fatti. Estrema passione per il calcio, prima giocato e poi raccontato: sono passato dai guantoni da portiere alla tastiera del computer. Diplomato in informatica "per caso", aspirante giornalista per natura. Provo a raccontare tutto nei minimi dettagli, possibilmente prima degli altri.
Ciro Grillo, i verbali di Silvia: "Violentata a turno tra le loro risate. E Roberta...", accuse anche all'amica. Libero Quotidiano il 25 maggio 2021. "Violentata a turno": la presunta vittima di Ciro Grillo e di tre suoi amici fornisce la ricostruzione dell'ipotetico stupro nella villa del figlio di Beppe Grillo in Sardegna due anni fa. Ai magistrati di Tempio Pausania, la Procura che sta indagando sul caso, la ragazza avrebbe raccontato - come riporta il Tpi - di essere stata "picchiata e insultata" e di non essere riuscita a gridare o a telefonare a qualcuno per paura: "Mi sentivo di morire, distrutta e congelata. A un certo punto vedevo nero". Inoltre ha spiegato di non essere riuscita a chiedere aiuto anche perché sentiva che gli altri ragazzi "ridevano, ma non intervenivano". Stando al racconto della giovane, il primo ad abusare di lei sarebbe stato Francesco Corsiglia. Solo dopo un paio di ore ci sarebbe stata la violenza a quattro. "Sentivo che si davano il 'passaggio' e dicevano 'ehi, dai, fai veloce, tocca a me' e cose del genere. Io non riuscivo più a gridare, non sentivo più forza nel corpo. Ero distrutta", avrebbe detto la presunta vittima agli inquirenti. I magistrati, inoltre, parlando con la ragazza, hanno sottolineato alcune omissioni nel suo racconto, dopo aver raccolto le testimonianze di Grillo e degli altri tre accusati. La giovane, ad esempio, non aveva raccontato che, quella notte del 17 luglio 2019, al Billionaire avrebbe baciato proprio Ciro. "No, non è vero – avrebbe detto lei in un primo momento, salvo poi ritrattare - Sì, un flirt". Nei ricordi della presunta vittima c'è anche la totale indifferenza da parte dell'amica, che era presente al momento dell'ipotetica violenza sessuale ma stava dormendo. Stando a una prima ricostruzione, la ragazza avrebbe chiesto: "Possiamo andare a casa?", ma la compagna avrebbe fatto spallucce, tornando a dormire. La giovane ha raccontato nel dettaglio anche l’ormai nota vicenda della vodka: "Per distrarmi mi hanno offerto da bere, mi hanno tenuto la testa e fatto bere metà bottiglia di vodka".
La mossa di Grillo Jr & Co: così fanno slittare (ancora) il processo. Luca Sablone il 24 Maggio 2021 su Il Giornale. Da oggi sarebbero potute arrivare le richieste di rinvio a giudizio, ma ora i tempi si allungano: in tre hanno chiesto di essere interrogati di nuovo per chiarire. Sembrava che si fosse arrivati a un punto di svolta, ma il caso Ciro Grillo sembra essere destinato a non essere risolto a stretto giro. Le indagini erano state chiuse 20 giorni fa: da oggi sarebbero potute arrivare le richieste di rinvio a giudizio, che però ora slitteranno nuovamente in seguito alla mossa di tre ragazzi. Il figlio del fondatore del Movimento 5 Stelle e due suoi amici - Edoardo Capitta e Vittorio Lauria - hanno chiesto alla procura di Tempio Pausania di essere interrogati di nuovo per chiarire. La richiesta è stata avanzata nei giorni scorsi attraverso i legali (gli avvocati Vaccaro, Enrico Grillo, Monteverde e Mameli), ma al momento gli incontri non sono stati ancora fissati. Invece Francesco Corsiglia, difeso dagli avvocati da Raimondo e Velle, non sarà interrogato.
Arriva la svolta sul caso Grillo? Si tratta di un'importante novità sulla vicenda che vede coinvolto anche Grillo jr: proprio nei giorni scorsi sono usciti nuovi elementi di indagine, come ad esempio alcuni sms scambiati con gli amici per raccontare quanto accaduto tra il 16 e il 17 luglio 2019 nella villetta a Cala di Volpe. Nelle chat sono emersi diversi messaggi, in particolare tra Capitta e un amico, che rivelerebbero più di qualche dettaglio relativo a quelle ore: "No, non puoi capire"; "3 vs 1 stanotte, lascia stare"; "Ma no, guarda... ero ubriaco marcio. Frate te lo giuro"; "Broc, abbiamo fatto un casino stanotte"; "Comunque c'era il cameramen. Sai che non me le faccio scappare 'ste occasioni. 4 video facili... Poi vi farò vedere tutto. Se vuoi ti chiamo e ti racconto un po'". Dalle chat è emerso anche il fattore droga. Così nel caso Ciro Grillo prende grande rilievo il fattore stupefacenti. A cosa si riferiva "1 grammo"? Quell'sms a quale sostanza faceva riferimento? Ci sarebbe infatti uno scambio di messaggi tra Capitta e l'amico Luca (nome di fantasia) risalente al pomeriggio del 14 luglio. Probabilmente un'occasione per tentare di programmare i prossimi giorni d'estate: "Non ci vediamo fino al 29 (luglio 2019, ndr). Torniamo: canna, 1 grammi per festeggiare". Ma anche sugli sms tra Grillo jr e Capitta, avvenuti il primo agosto, si vorrebbe far luce: "Sono a Genova bro (abbreviazione dell'inglese 'brother', fratello, ndr). Oggi se vedemo, yes, stecca canne del perlausen chiamo il plug (termine usato per indicare in gergo lo spacciatore, ndr) di Porto Cervo e in due minuti arriva ahahaha preso weed (erba, ndr), ma poi di nuovo scitto (si fa sempre riferimento a tipologie di droga, ndr)".
Luca Sablone. Classe 2000, nato a Chieti. Fieramente abruzzese nel sangue e nei fatti. Estrema passione per il calcio, prima giocato e poi raccontato: sono passato dai guantoni da portiere alla tastiera del computer. Diplomato in informatica "per caso", aspirante giornalista per natura. Provo a…
Giacomo Amadori per “la Verità” il 4 giugno 2021. Il processo al figlio di Beppe Grillo, Ciro, e ai suoi tre amici, accusati di stupro di gruppo ai danni di S.J., coetanea italo-norvegese, potrebbe diventare un caso diplomatico. Le difese dei quattro ragazzi hanno chiesto alla Procura di Tempio Pausania che investiga sulla vicenda, dopo l'invio del secondo avviso di chiusura delle indagini, di sentire David Enrique Bye Obando, un ventunenne originario del Nicaragua, ma residente in Norvegia. Infatti anche quest' ultimo, nel maggio del 2018, sarebbe stato accusato da S.J. di abusi, ma non sarebbe stato denunciato. Adesso gli avvocati di Ciro e compagni vorrebbero ascoltare la versione del «violentatore» graziato. Il quale, con La Verità, anticipa la sua possibile testimonianza: «Macché stupro, S. mi ha già chiesto scusa per le sue false accuse». A rendere ancora più d' impatto l'istanza dei legali è l'identità del padre di David: si tratta del settantenne Vegard Bye, giornalista, politologo ed ex parlamentare norvegese (dal 1993 al 1997) con il partito della Sinistra socialista. Grande esperto di America Latina, è senior partner di una società che si offre di fornire conoscenze e servizi «per un futuro sostenibile». Dalla sua pagina Wikipedia apprendiamo anche che Bye senior «ha rappresentato l'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani in Angola e Bolivia, ha scritto molto sull' America Latina ed è un consulente specializzato in diritti umani, democrazia, società conflittuali e postbelliche, nonché energia solare». È praticamente un grillino ante litteram. Adesso lui e Beppe sono accomunati dalle accuse di S.J. alla loro prole. Cercando notizie sulla Rete scopriamo che Bye Obando è cresciuto in un barrio di Managua e si è trasferito a Oslo nel 2017 per studiare e vivere insieme con il padre. David e Vegard hanno scritto a quattro mani, su una rivista che si occupa di cooperazione, un articolo sulla grave situazione politica del Nicaragua, un servizio così presentato: «Un padre e un figlio hanno entrambi, ciascuno a modo suo, vissuto vicino al Nicaragua. Qui raccontano di un movimento (quello sandinista, ndr) iniziato con entusiasmo giovanile e rivoluzionario e finito come un apparato di potere corrotto, violento e oppressivo». David, politologo in erba, nelle foto sui social, appare come un bel giovanotto mulatto dall' atteggiamento sfrontato. I suoi scatti ricordano quelli di Ciro e dei suoi amici. In un'immagine sfoggia una camicia floreale spalancata sul petto, collanona, occhiali da sole e stringe un sigaro tra le dita. Di fianco un uomo più grande, Silvio, esibisce un look simile. Vegard Bye su Facebook, il 15 dicembre 2019, ha commentato scherzosamente l'istantanea: «Entrambi questi boss mafiosi si definiscono miei figli - mi azzardo ad augurare a tutti voi un Buon Natale???».
Ma veniamo alle accuse di S.J.. Nel 2017 ha lasciato Milano e insieme con il padre T. si è trasferita in Norvegia per due anni, dove ha completato gli studi superiori. E qui avrebbe subito il primo stupro della sua vita. Nell' immediatezza dei fatti la ragazza si sarebbe confidata con alcune amiche. E una di loro, A.M., nel 2019, ha riferito la cosa ai carabinieri impegnati nelle indagini sulla notte di follia a casa Grillo.
Il 17 febbraio 2020, davanti ai pm Gregorio Capasso e Laura Bassani, S.J. conferma la confessione: «Le ho raccontato la vicenda, ma non nei minimi dettagli perché io e A. siamo amiche, ma diciamo che il nostro rapporto di amicizia è nato a distanza, io ero in Norvegia quando nei primi rapporti, lei essendo più esperte e tutto, beh le chiedevo dei consigli». Lo fece anche dopo la presunta aggressione sarda, «per evitare un'eventuale gravidanza».
Capasso e Bassani chiedono a S.J. di riferire quanto avvenuto nel campeggio. È un momento particolarmente drammatico della testimonianza, in cui S.J. sostiene di non ricordare nei dettagli lo stupro di gruppo, avendo avuto come un blackout («Ho visto nero»). I magistrati provano a farle ricordare se durante i rapporti lei avesse avuto un atteggiamento attivo, come risulterebbe dagli spezzoni di video recuperati nei cellulari degli indagati.
«Tu ti reggevi con le mani oppure le mani le utilizzavi per fare altro?» le domanda la Bassani. Ma di fronte ai pm tutti quei particolari, a distanza di sei mesi, sembrano sfuggire a S.J.: «Non è che non mi ricordo, proprio ero spenta! Io sono sicura di avere visto nero, io non ci vedevo più» esclama. Mostra di essere molto segnata e chiede di non rivedere i filmati di quei rapporti: «No, io non vorrei vedere il video». Verso la fine del verbale il procuratore piazza un quesito forse inaspettato: «Hai mai subito altre violenze, cioè rapporti non consenzienti in cui sei stata costretta?».
La studentessa non esita: «Quando ero in Norvegia. Il mio migliore amico, però era avvenuto in modo diverso. Lì lui non sapeva che stessi dormendo e allora cioè c' era stato un flirt e tutto, eravamo nella stessa tenda soltanto che anche lì avevo messo in chiaro che non volevo nulla e né niente ehm soltanto che io ero crollata dal sonno e lui ha iniziato a fare non so aprendo la mia tuta e io mi sono svegliata e lui stava venendo. Però io in quel momento stavo dormendo».
Capasso: «Quando è successa questa storia?». S.J.: «A maggio, due anni fa, 2018».
Capasso: «Questo ragazzo è ancora tuo amico?». S.J. : «No». Capasso: «Era italiano». S.J.: «No, del Nicaragua». Il procuratore sembra spiazzato: «E stavate in Norvegia in tenda?». S.J. spiega: «Era tipo un camping che aveva organizzato la scuola». Capasso: «Ah è un compagno di scuola?». S.J.: «Sì, sì, sì». Capasso: «Ah compagno». S.J.: «No, era il mio migliore amico, comunque. Io all' epoca ero fidanzata con un ragazzo che aveva come migliore amica la sua fidanzata, quindi eravamo comunque entrambi fidanzati».
Capasso chiede alla ragazza come abbia reagito alla presunta violenza. E lei di rimando: «Vabbè, quando l' ho visto che stava facendo, che stava venendo così, sono uscita dalla tenda, sono scappata nel bosco e sono andata in bagno cioè fuori a piangere poi sono tornata al camping che c' era la mia amica che si era svegliata, ho preso le mie cose e me ne sono andata. Sono andata a casa e quando sono arrivata a casa mi sono messa sotto la doccia e ho chiamato il mio migliore amico. Però non sono andata a denunciarlo».
Capasso: «E come mai?». S.J.: «Perché non avevo capito che cosa fosse successo e poi un po' per paura e poi anche per il fatto che era il mio migliore amico [] mi sembrava strano, non lo so». Capasso: «Ne hai parlato con lui di questa cosa cioè ne avete riparlato? Ci sei tornata su con lui?».
S.J.: «No, non l' ho più rivisto perché abbiamo cambiato scuola».
Capasso: «Quindi non avete mai riparlato?».
S.J.: «No. Di questo no, no».
Capasso: «E l' hai confidata questa cosa a qualcuno?».
S.J.: «Sì alla mia migliore amica Sharia. E anche a May. E poi lo sapeva anche Isabel. E niente loro mi sono state vicine e volevano portarmi dai dottori e tutto, ma io non volevo e avevo paura non volevo parlare con nessuno. Infatti a mia mamma l' ho raccontato tipo un anno dopo, al mio compleanno (che cade a novembre, ndr)».
Il procuratore le chiede se lo abbia rivelato a qualcun altro al ritorno in Italia e S.J. replica: «Eh R. (l'altra presunta vittima del procedimento sardo, ndr) lo sapeva».
Capasso: «E poi?».
S.J.: «E vabbé eeeeeh l'altra R. e A.».
Capasso: «Anche A.?».
S.J.: «Sì, eh».
Il procuratore sa che anche il maestro di kitesurf della ventunenne italo-norvegese ha dichiarato ai carabinieri di aver ricevuto questa confidenza e allora cerca conferma: «Ricordi se avevi fatto una confidenza anche all' istruttore? Ne hai parlato con lui? Questo Marco».
S.J. conferma: «Di questa cosa? Sì []. Perché lui mi ha raccontato delle cose di quando era piccolo».
Il procuratore insiste: «Con questo ragazzo amico non hai più chiarito?».
S.J.: «No, non l'ho più visto».
La toga continua: «Ti ha detto qualcosa lui?».
S.J.: «Di prendere la pillola del giorno dopo».
Capasso: «Puree pure questa».
S.J.: «Sì (ride)».
Capasso: «Sì, ma lui si è giustificato?».
«No lui mi ha detto che non sapeva che stessi dormendo, ma me l'ha fatto arrivare attraverso May, la mia migliore amica. Perché è andata lei a parlare con lui. Io non ce la facevo a vedere».
Ieri abbiamo provato a contattare David e Vegard Bye, a cui abbiamo inviato alcuni quesiti. Il primo a rispondere è stato il padre: «Ho appena parlato con David. Dice di aver sentito S. e che lei si è scusata per la diffusione di una falsa accusa. Ho insistito affinché parlasse di nuovo con lei per ottenere una dichiarazione formale. Lui nega categoricamente l'accusa. Questo è quello che posso dire».
Poco dopo David ci ha inviato un messaggio in cui esprimeva giudizi severi su S. J.. Ma ha cancellato il suo sms quasi in tempo reale, dando, successivamente, questa spiegazione: «Ne ho discusso con mio padre e so che lui le ha risposto. Non ho nulla da aggiungere al suo messaggio. Chiederò a S. di fare una dichiarazione formale per confermare le scuse che mi ha fatto».
E quando avrebbe fatto retromarcia? «Lo stesso anno dei fatti». Ma allora perché ha ripetuto le sue accuse ai magistrati italiani nel 2020? «Non lo so. Io non ho idea di chi siano questi ragazzi italiani, né sapevo nulla della loro vicenda giudiziaria fino a quando non me ne ha parlato lei. Ma se la magistratura italiana chiederà la mia deposizione, ovviamente la farò».
Da ansa.it il 4 giugno 2021. La procura di Tempio Pausania ha chiesto il rinvio a giudizio per Ciro Grillo e i suoi tre amici nell’ambito dell’inchiesta sulla presunta violenza sessuale di gruppo nei confronti di una ragazza italo norvegese. I fatti risalgono al luglio del 2019 e sarebbero avvenuti nell’abitazione di Grillo a Porto Cervo. La Ragazza allora aveva 19 anni. L’udienza è stata fissata per il 25 giugno. I quattro sono accusati di violenza sessuale di gruppo, e per Ciro Grillo, Lauria e Capitta c'è anche l'accusa di violenza sessuale nei confronti dell'amica della studentessa per una serie di foto oscene scattate mentre lei dormiva. E' stato sentito lunedì scorso Ciro Grillo, il figlio del fondatore del M5s, nell'ambito dell'inchiesta sul presunto stupro di gruppo compiuto su una studentessa italo-norvegese in Sardegna. Il ragazzo si è presentato nella caserma dei carabinieri di Genova dove ha reso spontanee dichiarazioni. Era stato lui stesso, tramite il suo avvocato Enrico Grillo, a chiedere di essere sentito.
L'udienza fissata al 25 giugno. Caso Ciro Grillo, i 4 amici rinviati a giudizio per il presunto stupro di Porto Cervo. Antonio Lamorte su Il Riformista il 4 Giugno 2021. Chiesto il rinvio a giudizio per Ciro Grillo, figlio del fondatore e garante del Movimento Cinque Stelle Beppe Grillo, e per i tre suoi amici accusati di presunta violenza sessuale di gruppo nei confronti di una ragazza italo-norvegese per fatti risalenti al luglio 2019. Un episodio accaduto a Porto Cervo, nella villa della famiglia Grillo nell’estate del 2019, luglio. L’udienza è stata fissata dalla Procura di Tempio Pausania per il 25 giugno. Il caso ha tenuto banco negli ultimi mesi dopo un video, controverso, di Beppe Grillo che difendeva il figlio con argomentazioni che sono state molto criticate – tra cui il particolare che la ragazza, all’epoca 19enne, avesse denunciato dopo otto giorni. I quattro accusati sono Ciro Grillo, Francesco Corsiglia, Edoardo Capitta e Vittorio Lauria. Grillo, Capitta e Lauria sono stati accusati anche di violenza sessuale nei confronti dell’amica della 19enne – i ragazzi si erano conosciuti al Billionaire di Flavio Briatore per poi continuare la nottata alla villa per una spaghettata. Come fanno sapere agenzie e media lo scorso 31 maggio Ciro Grillo è stato sentito dai carabinieri di Genova. Il figlio del comico si è presentato per fornire dichiarazioni spontanee ai militari nell’ambito dell’inchiesta sul presunto stupro. Un colloquio di circa due ore. Le informazioni raccolte verranno trasferite alla procura di Tempio Pausania che si occupa delle indagini. Due dei quattro indagati hanno invece rinunciato all’interrogatorio, chiesto dopo la seconda chiusura delle indagini sul presunto stupro, secondo quanto emerso in giornata. Lauria e Capitta volevano essere ascoltati ma il procuratore di Tempio Pausania, Gregorio Capasso, aveva scelto di delegare il passaggio ai carabinieri di Genova. Quindi la rinuncia dei due. La difesa dei ragazzi starebbe inoltre puntando a far testimoniare David Enrique Bye Obando, 21enne di origini nicaraguensi, residente in Norvegia, e figlio di Vergard Bye, giornalista ed ex parlamentare del Paese scandinavo dal 1993 al 1997 col partito della Sinistra socialista. Non è mai stato denunciato, ma la ragazza ha fatto il suo nome ai magistrati a proposito di una precedente violenza sessuale. Il ragazzo ha detto a La Verità che la ragazza gli ha chiesto scusa per quelle accuse e che con il padre stanno cercando di ottenere delle dichiarazioni formali.
Antonio Lamorte. Giornalista professionista. Ha frequentato studiato e si è laureato in lingue. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Ha collaborato con l’agenzia di stampa AdnKronos. Ha scritto di sport, cultura, spettacoli.
Da liberoquotidiano.it il 4 giugno 2021. Due dei ragazzi accusati insieme a Ciro Grillo di stupro di gruppo, hanno rinunciato a farsi interrogare di nuovo, nonostante lo avessero chiesto proprio loro. E' un vero e proprio colpo di scena nel caso della presunta violenza sessuale ai danni di una ragazza italo-norvegese di 19 anni che vede indagati il figlio di Beppe Grillo e tre suoi amici, Edoardo Capitta, Vittorio Lauria e Francesco Corsiglia, tutti 22enni della Genova bene. Secondo quanto riporta il Secolo XIX, Capitta e Lauria hanno infatti deciso di rinunciare al nuovo interrogatorio. I ragazzi avevano chiesto di parlare davanti ai pm di Tempio Pausania, ma quando il procuratore Gregorio Capasso ha scelto di delegare l'audizione ai carabinieri di Genova, allora due dei quattro indagati - Capitta e Lauria appunto - hanno rifiutato di farsi ascoltare perché avrebbero preferito che a farlo fossero i magistrati, in possesso di informazioni più complete. Quella davanti ai carabinieri sarebbe stata invece una semplice audizione. Non è ancora chiaro cosa deciderà di fare Ciro Grillo, se rinuncerà come i suoi due amici o se invece deciderà di incontrarli e parlare. Mentre Corsiglia, spiega il Corriere della Sera, è fuori dalla questione visto che è stato l'unico del gruppo a non chiedere nemmeno di essere risentito. Intanto l'indagine sarebbe alle battute finali. La Procura di Tempio accusa i quattro d'aver violentato una studentessa italo-norvegese di 19 anni; mentre a Grillo jr, Capitta e Lauria è contestato pure un secondo abuso, che sarebbe stato commesso ai danni di una amica, con una foto oscena scattata alla ragazza come se fosse una preda. I fatti contestati sono avvenuti alle prime ore del 17 luglio 2019 nella villa di Beppe Grillo. Secondo la denuncia presentata otto giorni dopo dalla ragazza ai carabinieri di Milano, prima ha abusato di lei Corsiglia da solo e in seguito gli altri tre, contemporaneamente. Gli indagati sostengono che tutti gli incontri siano stati consenzienti. Nei prossimi giorni la procura deciderà sul rinvio a giudizio. Le difese intanto stanno completando il loro approfondimento sulle "celle" agganciate dai telefonini dei ragazzi. I legali vogliono definire con precisione quanto tempo trascorse tra il primo e il secondo rapporto, poiché in quell'intervallo Grillo, Lauria, Capitta e Silvia lasciarono l'alloggio per andare a comprare le sigarette.
I like, le foto, i social: le prove contro Grillo Jr. Rosa Scognamiglio il 5 Giugno 2021 su Il Giornale. La Procura di Tempio Pausania ha chiesto il rinvio a giudizio per Ciro Grillo e gli amici. Agli atti anche foto, video e intercettazioni ambientali. Le intercettazioni telefoniche ma anche quelle ambientali, i tabulati telefonici, l'acquisizione e l'elaborazione dei dati contenuti nei telefoni cellulari sequestrati, tra cui "sms foto, video e altro". E ancora, "l'acquisizione dei dati informatici di Facebook, Instagram e social network" con "foto, post e like". Sono alcune delle prove acquisite dalla Procura di Tempio Pausania che indagano sul presunto stupro di gruppo nei confronti di una ragazza italo-norvegese di 19 anni avvenuto a Cala di Volpe, in Sardegna, nel luglio del 2019.
La richiesta di rinvio a giudizio. Da indagati a imputati. Ieri pomeriggio, la procura di Tempio Pausania ha chiesto il rinvio a giudizio per Ciro Grillo e i suoi amici, Francesco Corsiglia, Edoardo Capitta e Vittorio Lauria. La richiesta dell'emissione "del decreto che dispone il giudizio nei confronti" dei quattro giovani genovesi è stata depositata dal Procuratore capo e dal sostituto Laura Andrea Bassani il primo giugno, dopo le dichiarazioni spontanee rese da Ciro Grillo davanti ai Carabinieri di Genova, su delega della Procura sarda. Grillo Jr aveva chiesto, attraverso il suo legale, l'avvocato Enrico Grillo (suo cugino), di essere ascoltato per la terza volta ma il Procuratore ha delegato direttamente i Carabinieri. Altri due imputati, Lauria e Capitta, hanno rinunciato all'interrogatorio.
I capi d'imputazione. I capi di imputazione che i magistrati di Tempio Pausania contestano ai quattro giovani fanno riferimerimento ai fatti del 19 luglio 2019 e riguardano sia la 19enne italo-norvegese che l'amica ospite, quella stessa notte, nella residenza di Grillo jr. "Silvia" - nome di fantasia - ha raccontato durante gli interrogatori di essere stata "stuprata a turno" dal gruppo di ragazzi. Il primo sarebbe stato Francesco Corsiglia poi, poco più tardi, dagli altri tre amici che, in quella specifica circostanza, hanno anche girato un video. Secondo i pm, la ragazza sarebbe stata "Costretta ad avere rapporti sessuali in camera da letto e nel box del bagno, afferrata per la testa a bere mezza bottiglia di vodka" e "costretta ad avere rapporti di gruppo" dai quattro giovani che "hanno approfittato delle sue condizioni di inferiorità psicologica e fisica" di quel momento.
Il verbale choc. I dettagli del presunto stupro, sono contenuti in un verbale allegato agli atti in cui la giovane spiega cosa è accaduto."Verso le sei del mattino - scrivono i magistrati - mentre R. M. (l'amica della vittima ndr) dormiva la giovane è stata costretta ad avere rapporti sessuali in camera da letto e nel box doccia del bagno, con uno dei ragazzi". E ancora: "Gli altri tre indagati hanno assistito senza partecipare". Poi un'altra violenza, con la giovane costretta a bere vodka contro la sua volontà. "La ragazza ha poi perso conoscenza fino alle 15 quando è tornata a Palau - precisano i pm - La lucidità della vittima risultava enormemente compromessa quando è stata condotta nella camera matrimoniale dove gli indagati l'avrebbero costretta ad avere cinque o sei rapporti sessuali".
Le foto. La Procura avrebbe a disposizione una serie di fotografie riguardanti l'amica della studentessa che, quella stessa, notte, ha dormito sul divano. Ciro Grillo ha chiesto di essere risentito per "chiarire la sua posizione" spiegando che lui "non c'era su quelle foto con le pose oscene vicino al viso della ragazza che dormiva". Tuttavia, ci sono anche gli orari di foto e video, allegati alla richiesta di processo. Il video è delle 6.25. Le fotografie sono state scattate, invece, alle 6.39 e alle 7.15. Nella foto delle 6.39 il nome di Ciro Grillo non compare nel capo di imputazione.
Agli atti della richiesta di rinvio a giudizio i pm hanno anche allegato, inoltre, "gli interrogatori degli indagati, le consulenze informatiche, la "consulenza psicologica, le dichiarazioni di persone informate sui fatti e parti offese e le informative" dei Carabinieri di Olbia, Porto Cervo e Milano Duomo, oltre all'ispezione dell'appartamento D/37 della località Pevero, residence "Case del Golf" di Arzachena. L'udienza preliminare si terrà il prossimo 25 giugno davanti al gup di Tempio Pausania.
La vodka, il gruppo, la violenza: le colpe del caso Ciro Grillo. Rosa Scognamiglio il 5 Giugno 2021 su Il Giornale. Che relazione c'è tra alcol e violenza sessuale? "L'alcol è responsabile del 60% delle aggressioni sessuali", spiega alla nostra redazione il professor Gianni Testino, presidente della Società Italiana Alcologia. Tutto ruota intorno all'abuso smodato di alcol nel caso del presunto stupro di gruppo che coinvolge Ciro Grillo e i suoi amici ai danni di Silvia, la ragazza di 19 anni che ha denunciato per violenza sessuale il figlio del noto cabarettista genovese. Nella "notte incriminata" a Cala di Volpe, quella del luglio 2019, la comitiva di ragazzi avrebbe consumato una notevole quantità di bevande alcoliche: dapprima una bottiglia di champagne del valore di 600 euro in un locale di Porto Cervo, poi del rum allungato con un drink energizzante. Dopodiché la compagnia si sarebbe spostata nella residenza estiva dei Grillo dove, con anche le due ragazze conosciute in quei giorni, avrebbero mangiato un piatto di pasta sul patio. Ma attorno alle 9 del mattino accade l'irreparabile.
Alcol, video hot e sesso: su cosa si gioca il caso Grillo. Silvia racconta di "essere stata costretta" da Ciro e i suoi amici amici a bere l'ultimo quarto di una bottiglia di vodka con l'intenzione di renderla inerme e poterla sopraffare. I ragazzi sostengono invece che sia stata un'iniziativa della diciannovenne. "Noi non riuscivamo riuscivamo a berla - spiega Vittorio, uno dei 4 genovesi coinvolti nella vicenda - E lei, per sfida, se l'è scolata tutta". Poco dopo avviene quello che la comitiva definisce "sesso di gruppo con lei consenziente", ma che la ragazza denuncia successivamente come uno "stupro". Che importanza ha l'alcol in questa storia? "L'alcol è il protagonista di questa vicenda", spiega a ilGiornale.it il professor Gianni Testino, primario del reparto di patologia delle dipendenze ed epatologia dell'Asl 3 Liguria nonché presidente della Società Italiana Alcologia. Poi aggiunge: "E se il signor Beppe Grillo decidesse di mettere a disposizione la sua notorietà nella battaglia contro questa piaga sociale che in 'troppo pochi' stiamo combattendo?".
Professor Testino, cosa ne pensa del caso di presunto abuso sessuale che coinvolge Ciro Grillo?
"Non entro nel merito del procedimento giudiziario né dell'episodio in sé. Dico solo che il protagonista di questa vicenda è l'alcol".
Cosa intende dire?
"Intendo dire che da un lato l'euforia e dall’altro la riduzione della capacità di reagire possono dar luogo a un combinato disposto, che può creare le condizioni per atti di violenza o comportamenti antisociali. Ovviamente l'alcol non può e non deve diventare una scusante di fronte a un eventuale reato sessuale".
Che relazione c'è tra alcol e violenza sessuale?
"C'è una correlazione tanto elevata e significativa quanto poco percepita dalla popolazione generale. Si tratta di un tema già noto e suffragato da dati scientifici acclarati. Il 40% di casi di violenza trova l'alcol come prima causa. Peraltro l'alcol è responsabile dell'86% degli omicidi, del 37% delle aggressioni e del 60% delle aggressioni sessuali. Sono dati riportati anche dall'Istituto Superiore di Sanità, non c'è invenzione".
Perché quando si assume alcol è possibile che si verifichino episodi di violenza sessuale?
"Per due motivi e il primo riguarda gli uomini. Il maschio, consumando alcol, diventa maggiormente euforico e aggressivo. Tanto, da mettere completamente a tacere la regione orbito-frontale del cervello (quella che ha il controllo delle emozioni, per intenderci). Rimane in piena attività invece la parte centrale - la cosiddetta 'regione mesolimbica' – quella degli istinti, della gratificazione. Dall'altra parte una donna che beve alcol riduce la percezione del rischio diventando sessualmente aggredibile".
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Quali sono gli effetti collaterali del binomio violenza/alcol?
"La correlazione violenza/alcol si fonda su aspetti biologici ben definiti e che possono condizionare sia chi violenta, sia chi la subisce quando è in stato di ebbrezza. E sono: maggiore instabilità emotiva e della concentrazione sul presente; diminuita consapevolezza di sé; diminuita capacità di valutare le conseguenze; ridotta capacità di risolvere i problemi; minore autoregolazione".
C'è differenza nella capacità di risposta all'alcol tra uomini e donne? Se sì, qual è?
"A parità di dosaggio la femmina è più danneggiata rispetto al maschio. Il fegato di una donna lavora al 50% rispetto a quello di un uomo per quanto riguarda l'eliminazione dell'etanolo, ovvero di quella molecola che è alla base di tutte le sostanze alcoliche. Il fegato di un adulto maschio (sano) impiega circa 60 minuti per eliminare un'unità alcolica (un birra ad esempio). Per quanto riguarda la femmina, invece, i tempi si allungano del 30-40 %. Nel caso di ragazzi al di sotto dei 20 anni inoltre l'alcol rimane in circolo per molto più tempo. Al di sotto di quell'età, è possibile che bere due o tre bevande possa modificare in modo radicale la percezione di ciò che si ha intorno".
I casi di stupro sono spesso associati al binge drinking. Cos'è?
"Per binge drinking s'intende 'bere molto in poco tempo'. Nello specifico vuol dire bere elevate quantità di alcol in meno di due ore per mandare il cervello in tilt. Fra i 18 e i 24 anni circa il 23% dei maschi e l’11% delle femmine Italiane utilizza l'alcol con questa modalità".
"Cameramen, 4 video facili". Le chat di Grillo Jr
Dopo aver consumato un drink, quanto tempo occorre prima che si verifichi il picco alcolemico?
"Subito. L'effetto dell'alcol è dose-dipendente. Ciò significa, per dirla in maniera spiccia, che più si beve e peggio è. L'etanolo supera la barriera encefalica subito, cioè ha un effetto psicoattivo immediato. Inoltre i picchi di alcolemia tendono a essere molto più alti e a durare molto più tempo quando si beve a stomaco vuoto".
E invece quando diminuiscono gli effetti?
"Mediamente in una persona sana cala dello 0,2 grammi per litro all'ora. Ma nel caso dei giovani è diverso. Da valutazioni scientifiche indirette dei meccanismi di metabolizzazione del fegato, c'è la ragionevole certezza questa riduzione è molto più lenta".
Nei casi di violenza sessuale, quando anche la vittima abbia bevuto o è stata indotta a bere, è giusto parlare di rapporto consensuale?
"Assolutamente no. Poi dipende da quanto si beve ovviamente. Tuttavia a parità di dosaggio la donna è maggiormente danneggiata rispetto a un uomo per le ragioni che abbiamo spiegato prima".
Una donna sotto effetto dell'alcol che abbia subito un'aggressione sessuale, dopo quanto tempo acquisisce consapevolezza di quanto le è accaduto?
"Talvolta chi subisce danno, lo percepisce dopo molto tempo. Ciò accade perché una delle caratteristiche della bevanda alcolica è che nelle ore e nei giorni successivi si trasforma in una sorta di autodifesa. Il soggetto tende proprio a ridurre la percezione degli effetti negativi che ha avuto l'alcol nelle ore precedenti. Nelle ore successive non ha le idee chiare, elabora con più lentezza quello che è successo".
Cosa si può fare per evitare che l'alcol diventi una sorta di catalizzatore di comportamenti aggressivi e antisociali?
"Bisogna educare i giovani. È evidente che le colpe maggiori sono degli adulti e delle famiglie che nei confronti del consumo di bevande alcoliche non danno il buon esempio e quindi si rendono poco credibili agli occhi dei figli. Fare il genitore è il mestiere più difficile del mondo ma dobbiamo evitare che questa piaga sociale dilaghi. Troppi ragazzi si stanno rovinando la vita per cose che, probabilmente, in condizioni normali non farebbero".
Rosa Scognamiglio. Nata a Napoli nel 1985 e cresciuta a Portici, città di mare e papaveri rossi alle pendici del Vesuvio. Ho conseguito la laurea in Lingue e Letterature Straniere nel 2009 e dal 2010 sono giornalista pubblicista. Otto anni fa, mi sono trasferita in Lombardia dove vivo tutt'oggi. Ho pubblicato due romanzi e un racconto illustrato per bambini. Nell'estate del 2019, sono approdata alla redazione de IlGiornale.it, quasi per caso. Ho due grandi amori: i Nirvana e il caffè. E un chiodo fisso...La pizza! Di "rosa" ho solo il nome, il resto è storia di cronaca nera.
"Era tutto un gioco". Ma ora Ciro Grillo e gli amici rischiano il processo. Luca Sablone il 5 Giugno 2021 su Il Giornale. Grillo jr ha provato a difendersi fino all'ultimo: "Lei era consenziente, io stavo dormendo". Ma ora spuntano anche dati informatici sui social e le intercettazioni. La svolta era nell'aria ed è arrivata proprio ieri pomeriggio: la procura di Tempio Pausania ha chiesto il rinvio a giudizio per Ciro Grillo e i suoi tre amici, Francesco Corsiglia, Edoardo Capitta e Vittorio Lauria. Ai quattro sono contestati i fatti avvenuti nelle ore tra il 16 e il 17 luglio 2019 nella villetta a Cala di Volpe: Silvia (nome di fantasia) ha denunciato di essere stata stuprata contro la propria volontà, mentre gli amici genovesi ritengono che la giovane fosse consenziente e partecipe durante i rapporti sessuali. L'udienza preliminare, notificata ieri agli avvocati difensori, si terrà il 25 giugno alle ore 14 davanti alla gup Caterina Interlandi, che sarà chiamata a decidere se mandarli a processo.
Il tentativo di Ciro Grillo. Capitta e Lauria avevano chiesto di essere sentiti di nuovo davanti ai pm di Tempio Pausania, ma alla fine hanno preferito rinunciare una volta venuti a conoscenza che sarebbero stati i carabinieri di Genova a interrogarli. Invece il figlio del garante del Movimento 5 Stelle nei giorni scorsi ha reso delle dichiarazioni spontanee per chiarire alcune circostanze. Stando a quanto appreso e riportato da La Repubblica, Grillo jr - nel tentativo di distinguere la sua posizione - avrebbe tenuto a precisare di non essere lui quello a comparire nelle foto oscene: "Non sono io ad aver fatto quelle cose alla ragazza assopita sul divano, in quel momento io ero andato a dormire". Un'occasione, aggiunge La Stampa, per ribadire che Silvia "era consenziente", che "era tutto un gioco" e che "nessuno l'aveva fatta bere". L'intenzione delle difese è quella di completare il loro approfondimento sulle "celle" agganciate dai telefonini dei ragazzi. In tal modo si vogliono definire con quanta più precisione possibile i tempi visto che - durante quelle ore - Lauria, Capitta e la ragazza avrebbero lasciato l'abitazione per andare a comprare delle sigarette da un tabaccaio.
Dati social e intercettazioni. Le accuse sono pesantissime: stupro di gruppo "per aver costretto Silvia abusando delle sue condizioni di inferiorità fisica e psicofisica dovuta all'assunzione di alcolici a compiere atti di natura sessuale" e violenza sessuale (contestata solo a Grillo, Capitta e Lauria) per aver "filmato e scattato video e foto a sfondo erotico all'amica Roberta che si trovava in stato di incoscienza perché dormiva". Un ruolo fondamentale è ricoperto anche da quanto avvenuto nelle chat nei giorni successivi: sono spuntati sms choc in cui si parla di "3 vs 1", in cui si ammette di essere "ubriaco marcio" e di aver "fatto un casino". Tra le fonti di prova con cui è stato chiesto il processo per Ciro Grillo e i quattro amici, ci sono anche "l'acquisizione ed elaborazione dei dati informatici di Facebook, Instagram e social network riguardanti i soggetti coinvolti attraverso foto, post e like". Figurano poi "intercettazioni telefoniche e ambientali", "consulenze informatiche e psicologiche" e "indagini sui telefonini cellulari dei quattro indagati, ma anche di Silvia, parte offesa nel procedimento".
Luca Sablone. Classe 2000, nato a Chieti. Fieramente abruzzese nel sangue e nei fatti. Estrema passione per il calcio, prima giocato e poi raccontato: sono passato dai guantoni da portiere alla tastiera del computer. Diplomato in informatica "per caso", aspirante giornalista per natura. Provo a raccontare tutto nei minimi dettagli, possibilmente prima degli altri. Cerco di essere un attento osservatore in diversi ambiti con quanta più obiettività possibile, dalla politica allo sport. Ma sempre con il Milan che scorre nelle vene. Incessante predilezione per la cronaca in tutte le sue sfaccettature: armato sempre di pazienza, fonti, cellulare, caricabatterie e… PC.
Le ultime indiscrezioni dopo il rinvio a giudizio. Caso Ciro Grillo, i 4 amici pensano al rito abbreviato. Le foto hard? “Una goliardata”. Elena Del Mastro su Il Riformista il 6 Giugno 2021. “I rapporti di gruppo con Silvia? Eravamo noi in imbarazzo…e per quanto riguarda le foto hard scattate a Roberta, è stato uno scherzo di pessimo gusto, non un abuso sessuale”. Sono queste le parole trapelate dagli interrogatori sostenuti dai quattro indagati il 9 aprile davanti ai magistrati di Tempio di Pausania. I 4 indagati a fine agosto 2019, un mese dopo la denuncia, erano stati convocati nella caserma di Genova Quarto e in quella occasione gli erano stati sequestrati i cellulari. I quattro erano stati fatti accomodare in una saletta dove erano piazzate le microspie che hanno intercettato una conversazione tra i 4 amici preoccupati per i video girati, le foto realizzate quella notte e i messaggi scritti in chat. Sono queste le ultime indiscrezioni riportate da La Stampa emerse dopo che i pm di Tempio hanno chiesto il rinvio a giudizio per gli studenti genovesi Ciro Grillo, figlio di Beppe, Edoardo Capitta, Vittorio Lauria e Francesco Corsiglia, per la presunta violenza sessuale avvenuta nell’ alloggio del comico a Porto Cervo il 17 luglio 2019. I magistrati accusano i quattro di aver stuprato la diciannovenne dopo averla fatta ubriacare, Capitta singolarmente, e addebitano a Grillo, Capitta e Lauria un secondo abuso: “per aver filmato e scattato video e foto a sfondo erotico all’amica Roberta, incosciente poiché dormiva”. L’ipotesi dei difensori sarebbe quella di chiedere il rito abbreviato che prevede lo sconto di un terzo della pena e che quindi potrebbe scongiurare l’ipotesi del carcere in caso di condanna. I 4 hanno ribadito la loro innocenza e che la vittima fosse in realtà consenziente. Ciro Grillo nella sua autodifesa ha spiegato che “Silvia si trovava perfettamente a suo agio, era consapevole di tutto ciò che si faceva, non è stata forzata né a bere né quando ci sono stati gli incontri sessuali…Quanto al rapporto con noi (ovvero Grillo jr, Capitta e Lauria, ndr) non era stato certo da noi programmato in quel modo, anche perché eravamo tutti diciottenni e addirittura uno non aveva mai avuto rapporti sessuali ci siamo trovati nella situazione anche con un po’ di imbarazzo e non ci sono state forzature”, come riportato da La Stampa citando gli ultimi verbali. Lauria avrebbe mostrato una foto estratta dal telefono di Edoardo Capitta dove si vedono di spalle Silvia e Corsiglia come testimonianza del clima scherzoso del momento. Corsiglia, a cui è contestato di aver stuprato la ragazza in camera da letto e poi sotto la doccia si è difeso dicendo che “ci siamo appartati un’ unica volta, lei era consenziente, non mi ha mai dato calci per allontanarmi (lo aveva dichiarato la ragazza ai pm, ndr)”. Capitta ha rimarcato infine come Silvia avesse bevuto Vodka “volontariamente nel patio (era rimasto poco meno di un quarto di bottiglia, non siamo riusciti a berne di nuovo perché era calda e sgradevole. Al che Silvia, a mo’ di sfida, l’ha ingerita tutta”. Infine tutti hanno ammesso che le foto hard scattate a Roberta che dormiva nella stanza accanto sono state un grave errore: “Era una goliardata e insieme una stupidata, ma in questi ultimi due anni siamo maturati e non lo rifaremmo”.
Elena Del Mastro. Laureata in Filosofia, classe 1990, è appassionata di politica e tecnologia. È innamorata di Napoli di cui cerca di raccontare le mille sfaccettature, raccontando le storie delle persone, cercando di rimanere distante dagli stereotipi.
Massimo Malpica per “il Giornale” il 6 giugno 2021.
Li vogliono a processo. Per i pm sardi ci sono elementi sufficienti a sostenere l' accusa contro Ciro Grillo e i suoi tre amici, Edoardo Capitta, Francesco Corsiglia e Vittorio Lauria, accusati di violenza sessuale di gruppo contro la 19enne italo-norvegese ospite nella casa in Sardegna di Beppe Grillo, padre di Ciro, a Cala di Volpe la notte tra 16 e 17 luglio 2019, e tranne Corsiglia anche di violenza sessuale nei confronti dell' amica della 19enne per alcune foto oscene scattate dagli altri tre amici mentre la ragazza dormiva. Per le toghe la giovane non era consenziente, e nella richiesta di rinvio a giudizio sulla quale deciderà il gup il 25 giugno hanno messo tutti gli elementi che per gli inquirenti dimostrano il teorema accusatorio. Tra il materiale probatorio il procuratore capo Gregorio Capasso e la sostituta Laura Andrea Bassani hanno messo anche il video che, secondo Beppe, avrebbe invece dimostrato che il clima era complice, che la ragazza era consenziente. Ma in procura a Tempio Pausania la pensano diversamente. E oltre a quel video, girato dagli stessi imputati, hanno allegato alla richiesta anche il resto del materiale prodotto da Ciro e dai suoi amici, altri video e foto che immortalano quella notte, i messaggi scambiati nei giorni seguenti via smartphone e un accurato tracking delle attività dei quattro sui social network dopo quella notte, che registra post, immagini e «like» messi ai contenuti pubblicati sugli account dei quattro o a loro riconducibili su Instagram e Facebook. Il passo indietro di Capitta e Lauria, che hanno rinunciato all' ultimo interrogatorio quando hanno saputo che la procura sarda aveva delegato al compito i carabinieri di Genova, ha fatto sciogliere agli inquirenti le riserve, e il primo giugno, all' indomani dell' unico interrogatorio richiesto dopo l' avviso di conclusioni indagini e poi effettivamente svolto, quello di Ciro Grillo, Capasso e la Bassani hanno depositato la richiesta. L'unico effetto delle dichiarazioni di Grillo jr, che ha sostenuto di non aver partecipato alle foto «oscene» che coinvolgono la seconda ragazza, è che in effetti non gli viene contestata nella richiesta la presenza in una delle due foto collegate a quell' accusa. Allegati alla richiesta ci sono anche i verbali dei vari interrogatori dei quattro ragazzi e delle due ragazze, oltre che dei testimoni, come la madre di Ciro Parvin Tadjik che dormiva sotto lo stesso tetto quella notte o come Daniele Ambrosiani, il titolare del B&B di Palau dove le ragazze alloggiavano e dove, quel 17 luglio, rientrarono solo alle 15. Nel fascicolo pure le trascrizioni dell' intercettazione ambientale fatta in caserma, a Genova, ad agosto 2019, quando i quattro vennero convocati per il sequestro dei cellulari e vennero ascoltati mentre parlavano, preoccupati, proprio per foto, video e messaggistica negli smartphone. Ci sono anche altre intercettazioni, tra cui quelle della Tadjik, e il verbale dell' ispezione svolta nella villa di Cala di Volpe. Poi c' è, ovviamente, la ricostruzione di quanto per i pm accadde quella notte, basata sul racconto della ragazza. La prima violenza, subita da Corsiglia «in camera da letto e nel box del bagno», mentre gli amici guardavano ridendo. Poi il gruppo che la afferra per i capelli e la costringe a finire la bottiglia di vodka, e quindi la seconda violenza, «cinque o sei rapporti sessuali» subiti dagli altri tre ragazzi approfittando «delle sue condizioni di inferiorità psicologica e fisica». Una storia contestata dai quattro amici, per i quali la 19enne era consenziente. Ora la parola passa al gup.
"3 contro una tr...". L'analisi delle chat di Grillo. Rosa Scognamiglio il 6 Giugno 2021 su Il Giornale. Caso Ciro Grillo: "Nelle chat dei ragazzi viene utilizzato un linguaggio fortemente sessista", spiega a IlGiornale.it la pedagogista Antonella Gorrino. Chat, fotografie e video. Qualche ora dopo il presunto abuso sessuale ai danni della 18enne italo-svedese, tra Ciro Grillo e gli amici si consuma un fitto scambi di messaggi su WhatsApp a commento di quanto appena accaduto. Il più attivo del gruppo è Edoardo Capitta, uno dei 4 genovesi indagati dalla Procura di Tempio Pausania. "No, non puoi capire..3 vs 1", scrive a un amico alle ore 14.15 di quel 17 luglio. Poi continua: "Poveraccia", dice riferendosi alla vittima. Ma non è tutto. Nelle conversazioni del giorno successivo i ragazzi rivelano di aver filmato "la notte brava" a Cala di Volpe, nella residenza di Grillo Jr. "Ho 4 video facili, c'era anche il cameraman. Lei era una tr...", si pavoneggiano della "prodezza" messa a segno la mattina precedente. "C'è un linguaggio fortemente sessista ancora molto radicato. Quando si vuole insultare una donna, si usano sempre termini che fanno riferimento alla sfera sessuale", spiega alla nostra redazione la pedagogista Antonella Gorrino.
Dottoressa Gorrino, che spunti di riflessione offre questo caso da un punto di vista pedagogico?
"Il caso è emblematico di tantissimi altri che si possono riscontrare nella quotidianità. Le dinamiche di questa vicenda - il ruolo dei genitori nell'educazione dei propri figli e la mancanza di empatia nei giovani - sono più diffuse di quanto non si creda. E questo lo posso affermare per la mia esperienza professionale di pedagogista e formatrice".
Partiamo dalla prima osservazione: il ruolo dei genitori. Come interpreta l'intervento di Grillo nella vicenda?
"L'intervento di Grillo è l'espressione tipica della cultura familistica italiana, connotata da caratteri fusionali, se non simbiotici: 'Imprigionate me, al posto suo', dice nel 'famoso video'. In generale un genitore che difende il figlio è già un fallimento educativo, al di là della colpevolezza o innocenza, perché non riconosce al figlio lo status di persona autonoma e indipendente, responsabile delle proprie azioni. Se un padre non riconosce questa responsabilità, è molto difficile che lo faccia il ragazzo".
Quando il delirio dei padri inguaia i figli. #stupro
Lei ha parlato di "assenza di empatia nei giovani". Ci spiega cosa vuol dire?
"Un ragazzo che non ha sviluppato empatia, ovvero la capacità di mettersi nei panni dell'altro, farà fatica a 'stare dentro' una relazione. L'empatia è la condizione necessaria per costruire la moralità e, di conseguenza, per imparare ad avere un 'atteggiamento morale' nei confronti di un'altra persona".
Vale anche per i protagonisti di questa storia?
"Non entro nel merito specifico della vicenda, ma appare piuttosto evidente l'assenza totale di empatia verso la ragazza coinvolta nei fatti. Questi giovani hanno vissuto la circostanza quasi come 'un gioco' senza provare, neanche per un attimo, a mettersi nei panni dell'altro".
"C'era il cameraman". E poi, ancora: "Eravamo 3 vs 1", racconta uno dei ragazzi nelle ore successive...
"Queste chat confermano ciò che ho spiegato poc'anzi. Hanno vissuto l'esperienza come fossero sul set di un film o in una sorta di videogioco. Anzi l'espressione '3 Vs 1' è tipica di quei 'videogiochi sparatutto' e, in questo contesto, sembrerebbe sottolineare una situazione di contesa. Non hanno avuto percezione di ciò che stava accadendo, come se avessero mischiato reale e virtuale".
Spunta quella frase di Ciro Grillo: "Ce la siamo t... in tre"
Quindi non erano consapevoli di ciò che stavano facendo?
"Probabilmente no. Ma ciò non depone al loro favore. Una persona, specie se maggiorenne, deve essere responsabile delle proprie azioni".
Nella versione fornita dai 4 ragazzi, si sarebbe trattato di un "rapporto consenziente". Cosa ne pensa?
"Ovviamente non spetta a me dire come sono andate le cose. Una sessualità consapevole necessita di un percorso che coinvolga anche la sfera dell’affettività. Un’esperienza cosi intensa come quella di un rapporto con più persone, non può essere ancora, vista l’età della ragazza, una scelta “consenziente”. Credo che ci sia necessità di educazione sessuale per i giovani e che, la mancanza di questa, venga sostituita da un uso massiccio di pornografia, che coinvolge anche indirettamente le donne".
Il video del presunto abuso è stato immediatamente condiviso nelle chat con gli amici. Perché?
"È una caratteristica della società contemporanea. Si vive tutto nell'immanente, nell'immediatezzae nella condivisione di esperienze condividere sulle chat o i social. Siamo diventati dei consumatori voraci, dimenticando di essere dapprima delle persone. Il punto è che, in questo caso specifico, è stata condivisa con naturalezza la nudità di un corpo, quasi come fosse un oggetto. Ciò si ricollega sempre all'assenza di empatia che, specie nelle ultime generazioni, è condizionata dall'uso massiccio – ma soprattutto inadeguato - dei social media. I giovani non si rendono conto che il virtuale è reale, al punto da non avere comprensione della sofferenza altrui".
"Cameramen, 4 video facili". Le chat di Grillo Jr
Nelle chat Grillo e i suoi amici usano parole sprezzanti nei confronti della ragazza. Cosa dimostra questo "abuso linguistico"?
"Ciò dimostra che certe conquiste sul terreno della parità non sono state ancora raggiunte appieno. C'è un linguaggio fortemente sessista ancora molto radicato. Quando si vuole insultare una donna, si usano sempre termini che fanno riferimento alla sfera sessuale. Molti giovani sono ancora legati alla cultura maschilista, più di quanto potrebbe sembrare".
Vale anche quando si parla di stupro?
"Lo stupro non è l'espressione della carica ormonale maschile dei ragazzi, che impedisce loro di trattenersi, come nei secoli ci hanno fatto credere, ma è essenzialmente un fatto culturale che ha le sue radici nell'educazione famigliare".
Dunque, in definitiva, il problema è l'educazione?
"Sì. Sembra banale ma il problema è proprio l'educazione, sia quella ricevuta in famiglia che a scuola. Occorre educare in particolar modo a sviluppare quelle competenze relazionali necessarie per affrontare i conflitti senza diventare
violenti. Questa capacità si acquisisce da piccoli, a scuola e in famiglia".
Rosa Scognamiglio. Nata a Napoli nel 1985 e cresciuta a Portici, città di mare e papaveri rossi alle pendici del Vesuvio. Ho conseguito la laurea in Lingue e Letterature Straniere nel 2009 e dal 2010 sono giornalista pubblicista. Otto anni fa, mi sono trasferita in Lombardia dove vivo tutt'oggi. Ho pubblicato due romanzi e un racconto illustrato per bambini. Nell'estate del 2019, sono approdata alla redazione de IlGiornale.it, quasi per caso. Ho due grandi amori: i Nirvana e il caffè. E un chiodo fisso...La pizza! Di "rosa" ho solo il nome, il resto è storia di cronaca nera.
“A processo Ciro Grillo e i tre amici”, la richiesta della procura di Tempio Pausania. Aldo Torchiaro su Il Riformista il 7 Giugno 2021. La procura di Tempio Pausania ha chiesto il rinvio a giudizio per Ciro Grillo – figlio del garante M5S Beppe – e i suoi tre amici Francesco Corsiglia, Edoardo Capitta e Vittorio Lauria, tutti genovesi di 22 anni, nell’ambito dell’inchiesta sulla presunta violenza sessuale di gruppo nei confronti di una ragazza italo norvegese. I fatti risalgono al 17 luglio 2019 e sarebbero avvenuti nell’abitazione di Grillo a Porto Cervo. L’udienza preliminare è stata fissata per il 25 giugno. Poco prima, presagendo evidentemente l’epilogo delle indagini, era stato lo stesso figlio di Grillo a richiedere una ennesima occasione per rendere spontanee dichiarazioni ed era stato interrogato dai Carabinieri di Genova. Come confermato all’Adnkronos da ambienti giudiziari, il procuratore capo di Tempio Pausania, Gregorio Capasso, che coordina l’indagine, ha delegato il locale Comando dell’Arma a raccogliere le dichiarazioni di Ciro Grillo, coimputato di violenza di gruppo con i suoi tre amici. Era stato proprio Ciro, attraverso il suo legale, Enrico Grillo, a chiedere di essere risentito una terza volta. Altri due indagati nel caso della presunta violenza sessuale hanno, invece, rinunciato a essere interrogati ancora una volta, come avevano chiesto alla Procura dopo la chiusura delle indagini. Il tentativo in extremis non ha sortito l’effetto desiderato, ed è arrivata la richiesta di rinvio a giudizio. Per Grillo, Lauria e Capitta c’è anche l’accusa di violenza sessuale nei confronti dell’amica della studentessa per una serie di foto hard scattate mentre lei dormiva. L’epilogo della vicenda, atteso da settimane, segna ventuno mesi di lungaggini sulle quali già molte sono state le voci polemiche. Le prime indagini vennero svolte dai Carabinieri nel mese di settembre 2019, quando furono anche sequestrati i cellulari degli indagati; il caso è rimasto però fuori dai riflettori fino all’inusitato video con cui Beppe Grillo lo ha rilanciato: «Arrestate me, piuttosto: mio figlio e i suoi amici sono solo quattro coglioni con il pisello di fuori», aveva gridato molto sopra le righe, avventurandosi ad argomentare che la ragazza non avrebbe detto la verità per aver denunciato otto giorni dopo la presunta violenza. Numerose trasmissioni di inchiesta ed approfondimento hanno messo in luce la sommarietà dei primi passaggi investigativi e la lentezza nell’incardinare il procedimento penale. Si attende la reazione del garante dei Cinque Stelle; le fibrillazioni familiari gli hanno sconsigliato, nell’ultimo mese, apparizioni e dichiarazioni pubbliche.
Aldo Torchiaro. Romano e romanista, sociolinguista, ricercatore, è giornalista dal 2005 e collabora con il Riformista per la politica, la giustizia, le interviste e le inchieste.
"Era una tr...". E nel caso Grillo la vittima si ritrova "imputata". Francesca Bernasconi il 9 Giugno 2021 su Il Giornale. Incolpare la vittima di violenza sessuale per scaricare su di lei la responsabilità dello stupro: così si mette in atto la vittimizzazione secondaria. Il victim blaming anche dietro il caso Grillo. "Era una tr...", si leggerebbe in una delle chat finite al centro delle indagini sul presunto caso di violenza sessuale che ha coinvolto Ciro Grillo, figlio del fondatore del Movimento 5 Stelle, e altri tre ragazzi. Una frase che suona quasi come un "se l'è cercata", che sta alla base del processo di colpevolizzazione delle vittime di un crimine, noto come victim blaming. "Si tende a incolpare la vittima di aver provocato o stimolato la violenza. Così lei si ritrova sul banco degli imputati", ha spiegato a IlGiornale.it la psicologa forense Francesca De Rinaldis.
Che cos'è il victim blaming?"Davanti a fenomeni come quello della violenza sessuale si assiste spesso al processo di colpevolizzazione della vittima, che in termini tecnici prende il nome di vittimizzazione secondaria. Si tratta di un processo a cui viene sottoposta la vittima, per cui si tende a ricercare all'interno delle caratteristiche di personalità, comportamento e stili di vita, tracce di una sua presunta responsabilità o corresponsabilità. Si tende cioè a incolpare la vittima di aver partecipato, provocato o stimolato la violenza sessuale subita. Così facendo la vittima si trova posizionata sul banco degli imputati e il processo viene spostato sulla ricerca di indizi di colpevolezza di chi ha subito violenza, piuttosto che sulle caratteristiche comportamentali o offensive dell'autore del crimine".
La paura di una colpevolizzazione può indurre la vittima a non denunciare?
"Assolutamente sì. Spesso il processo di vittimizzazione secondaria funge da deterrente nella denuncia. La vittima infatti per evitare di trovarsi bersagliata e sottoposta a giudizio, per un senso di protezione, vergogna e paura di un'etichettamento, rinuncia a denunciare, così da non esporre se stessa alle conseguenze di questi atteggiamenti da parte della società".
Quali effetti può avere il victim blaming su una vittima di violenza sessuale?
"Dal punto di vista psicologico spesso assistiamo a una perdita dell'autostima, del valore di sé, e a profondi vissuti di autoaccusa, quindi all'attivazione di un giudizio molto severo nei confronti di se stessi, del proprio comportamento e stile relazione. In contesti più delicati possono attivarsi anche dei vissuti depressivi, di chiusura sociale e relazionale e conseguenze a lungo termine, che spesso determinano anche risvolti psicopatologici abbastanza severi, con ricadute sul piano relazione, affettivo e sulla vita sessuale. La violenza in sé produce effetti negativi e destabilizzanti sul piano della personalità. Ma non è per tutti uguale: la reazione è soggettiva e persone dotate di meno risorse personali e sociali possono attraversare vissuti più traumatizzanti. Non c'è un termine esatto per stabilire quando, come e dove le conseguenze della violenza emergeranno. Spesso lo stereotipo porta a credere solo alla vittima che manifesta le conseguenze della violenza nell'immediato, mentre la persona che denuncia tardivamente e che ha continuato a condurre apparentemente una vita normale rischia di essere giudicata come mendace".
Anche nel caso Grillo il fatto che la ragazza avesse fatto kite surf la mattina dopo ha fatto discutere.
"Questo perché, secondo lo stereotipo sociale, la vittima avrebbe dovuto essere annientata fin da subito. L'idea alla base è la seguente: se tutti notano le conseguenze allora c'è stata violenza, ma se la società ha visto la vittima condurre una vita adattata, allora lei sta mentendo".
Questa idea, inserita anche nel video Beppe Grillo, può essere considerata una forma di victim blaming?
"Senza entrare nel merito della vicenda sotto il profilo investigativo e giuridico, appare proprio come se ci fosse una deresponsabilizzazione del comportamento, uno scarico di responsabilità sulla vittima e quindi una sorta di auto-assoluzione da parte di colui o coloro che la Giustizia stabilirà essere o meno autori del crimine. In questi casi, siccome può apparire che la vittima dopo il fatto si sia comportata in modo apparentemente normale, allora l'offender ritiene di non aver fatto nulla di grave e che lei abbia accettato e normalizzato ciò che è successo".
Quindi la colpevolizzazione può essere una strategia difensiva?
"Dal punto di vista psicologico l’attribuzione di responsabilità alla vittima può rappresentare un meccanismo di difesa che mette in atto l'offender per normalizzare un proprio comportamento. È un meccanismo proiettivo, una difesa psicologica che porta a spostare la responsabilità da sé alla vittima. Quindi si tratta, da una parte, di una deresponsabilizzazione e, dall'altra, di un'attribuzione di responsabilità alla vittima".
Anche la condivisione tra i ragazzi di racconti e video può essere un meccanismo volto alla colpevolizzazione della vittima?
"No, in questo caso subentrano altri due meccanismi. Il primo è la deumanizzazione della vittima, che viene considerata un oggetto, veicolo di soddisfacimento del proprio piacere e, per alcuni aspetti, una prova oggettiva della propria virilità. Il secondo è il bisogno narcisistico di farsi conoscere in modo positivo dal gruppo dei pari attraverso un comportamento di successo e affermazione sessuale. E l'intento non è denigrare la vittima, ma esporre se stessi a un'accettazione sociale e riconoscimento. La divulgazione di foto filmati apre a un'altra riflessione. Nel caso Grillo, come in altre storie, è presente la divulgazione di foto e video ad un numero alto di persone, spesso nemmeno quantificabile, e questo porta la vittima a essere esposta alla violenza in maniera ancora più invasiva che si ripete in modo ciciclo: pensare che un elevato numero di persone abbia visto i video può provocare conseguenze gravi sullo stato di benessere psico-esistenziale della vittima. Basti pensare al fatto che, anche in ragione di ciò, c’è chi è arrivato a compiere gesti suicidiari, soccombendo a questo senso vergogna provocato dalla diffusione di filmati e immagini"
È possibile fare prevenzione in questo senso?
"Temo che ancora oggi siamo ancorati a una visione atavica sui ruoli della sessualità maschile e femminile. Per questo c'è bisogno di un'educazione sul rispetto della sessualità, del proprio corpo e di conseguenza anche di quello dell'altro. Sarebbe opportuno focalizzarsi sull'educazione al rispetto del proprio corpo e sull'educazione emotiva fin dalle scuole elementari, lavorando sul riconoscimento emotivo e sul rispecchiamento empatico".
Francesca Bernasconi. Nata nel 1991 a Varese, vivo tra il Varesotto e Rozzano. Mi sono laureata in lettere moderne e in scienze della comunicazione. Arrivata al Giornale.it nel 2018, mi occupo soprattutto di cronaca, ma mi interesso di un po' di tutto: da politica e esteri, a tecnologia e scienza. Scrivo ascoltando Vasco Rossi.
Ciro Grillo e quelle risate in caserma La madre gli diceva: "Taci, stupido". Affari Italiani.it il 12/6/2021. Risate e scherzi. Questo facevano Ciro Grillo e i suoi amici alla stazione dei carabinieri di Quarto mentre erano lì per l'accusa di stupro. Le intercettazioni ambientali dei carabinieri, acquisite dalla procura di Tempio Pausania, rivelano dettagli inediti sui momenti in cui i quattro ragazzi si trovavano in caserma per la denuncia per violenza sessuale. "Sanno già qual è l’accusa tremenda che pende sulle loro teste. Eppure ridono. Trovano la voglia di scherzare. Si fanno il segno delle manette l’un con l’altro, sotto gli occhi delle loro madri che invece di scherzare non hanno affatto voglia", scrive Repubblica. La madre di Ciro Grillo, e moglie di Beppe Grillo, Parvin Tadjik era infuriata: "Siete tre bambini, non ho parole". Le faceva eco un'altra delle madri: "Non fare lo stupido, non ridere". Il tutto registrato dai carabinieri con le intercettazioni ambientali. Dialoghi che, scrive sempre Repubblica, "sono interessanti non tanto perché contengano indizi di colpevolezza (in quella sala d’attesa sono tutti consapevoli che i loro dialoghi possano essere registrati), piuttosto perché documentano la superficialità con cui i quattro indagati si sono approcciati a questa storia". “La madre – si legge nei brogliacci agli atti dell’inchiesta – suggerisce di parlare di università e lo zio di Corsiglia discute della partita del Genoa, mentre Ciro dice che andrà a nuotare, poi parlano di libri”. Ma Grillo Jr e gli altri continuano a bisbigliare tra loro e la madre lo rimprovera di nuovo: "Sei veramente uno stupido, stai zitto". Poi vengono captati anche degli altri dialoghi tra le madri. La moglie di Beppe Grillo dice a un'altra madre: "Ho visto il profilo Instagram della ragazza che ha denunciato, mi sono tranquillizzata perché sembra serena" riferendosi ai post di Silvia il pomeriggio dopo il presunto stupro, quando ha partecipato a una lezione di kitesurf. "Ragazzi, dobbiamo stare tranquilli perché noi quelle cose lì non le abbiamo fatte" dice invece uno dei ragazzi quando i carabinieri fanno uscire gli accompagnatori. Pochi secondi dopo inizierà l'interrogatorio.
Giusi Fasano per "il Corriere della Sera" il 12 giugno 2021. Sala d'attesa della caserma dei carabinieri di Genova Quarto, 1 settembre 2019. C'è un ragazzo che parla con sua madre e la donna a un certo punto gli suggerisce di non agitarsi. «Io sono agitato perché non so come andrà a finire», risponde lui. La scena è videoregistrata, il ragazzo è Edoardo Capitta. Nei loro brogliacci i carabinieri scriveranno poi: «Edo dice (alla madre, ndr ) che lui non è normale e non sa come il suo fisico potrebbe reagire a una cosa del genere». La telecamera lo riprende mentre argomenta meglio: «È chiaro che se mi faccio un mese di galera poi esco incazzato come una bestia». I carabinieri annotano il seguente passaggio: «Quando dalla finestra della sala d'attesa la madre ed Edo vedono che sono giunti in caserma anche Ciro Grillo e Francesco Corsiglia, Edo li saluta facendo il gesto delle manette e la madre gli dice di non fare lo stupido e di non ridere». Lui risponde «sappiamo com' è andata». E la donna: «Comunque non fare lo stupido». Eccole, le intercettazioni ambientali del caso Grillo. Ciro Grillo (il figlio del garante del Movimento 5 Stelle) e i suoi amici Edoardo Capitta, Francesco Corsiglia e Vittorio Lauria sono sotto accusa per la presunta violenza sessuale di gruppo nella casa di vacanza in Sardegna. E quel primo settembre è per tutti la data della prima convocazione in caserma dopo il sequestro dei telefonini, il 29 di agosto. Dai carabinieri arrivano alla spicciolata, accompagnati chi dalla madre chi da uno zio. Quando Ciro entra nella sala d'attesa dice agli altri che «in questi giorni non dobbiamo né vederci né frequentarci anche se non abbiamo nulla da nascondere». A quel punto «la madre suggerisce di parlare di altro», dice il documento che riassume l'intercettazione, «per esempio dell'università». L'uomo che ha accompagnato Corsiglia, suo zio, comincia invece «a parlare della partita del Genoa mentre Ciro dice che andrà a nuotare e poi parlano di libri», sintetizzano i carabinieri. Le conversazioni in caserma adesso sono fra le fonti di prova allegate al fascicolo che la procura di Tempio Pausania ha mandato in tribunale chiedendo il rinvio a giudizio. Quindi il 25 giugno, giorno dell'udienza preliminare, il giudice Caterina Interlandi valuterà fra le altre cose anche il peso di quei dialoghi, compreso il fatto del «parlare d'altro» suggerito dagli adulti. Perché la videoregistrazione di quei minuti lascia intendere che la prudenza nel parlare sia legata al timore di essere registrati e magari dire cose che - vere o no, seriamente o per scherzo - potrebbero risultare accusatorie. Dopo quel «parliamo d'altro» Ciro ritorna alla carica chiacchierando con gli amici e la madre - Parvin Tadjik - gli dice: «Sei veramente uno stupido, stai zitto». Interviene lo zio di Corsiglia che «dice a Ciro di dar retta a sua madre», scrivono i carabinieri, «e a quel punto Ciro sembra cambiare tenore della conversazione con gli amici». Ma poco dopo evidentemente torna sui fatti della Sardegna perché si guadagna un altro rimprovero della madre «che gli dice di uscire dalla sala d'attesa». Il riassunto dell'intercettazione ambientale rivela che «a quel punto lo zio di Corsiglia sussurra qualcosa all'orecchio di Ciro mentre suo nipote dice che hanno tutta la vita per parlarne». Gli sforzi degli adulti, però, non bastano a chiudere il chiacchiericcio fra i ragazzi. Così quando di nuovo «Ciro ride e scherza la madre gli dice: "Sei un deficiente, non ho parole... siete tre bambini e non capite..."». I brogliacci svelano che Parvin Tadjik, «commenta con la madre di Edoardo di aver visto il profilo Instagram della ragazza che ha denunciato». Dice che «mi sono tranquillizzata perché dai post che ha pubblicato dopo l'episodio mi pare serena». Alle 10.42, quando arriva il quarto del gruppo, Vittorio Lauria, i carabinieri con una scusa fanno uscire gli accompagnatori e i ragazzi restano soli. La descrizione della scena è questa: «Ciro con gesti fa cenno agli altri di smettere di parlare e sempre a gesti fa cenno agli altri di rimanere in silenzio portandosi le mani vicino alle orecchie come a lasciar intendere che potrebbero essere ascoltati». E allora è Vittorio che parla: «Siamo indagati ma sappiamo di essere innocenti» e Francesco gli risponde che «non è né il momento né il posto per parlarne». Ciro: «Abbiamo tutta la vita per parlarne». Ma Vittorio insiste: «Stiamo tranquilli perché noi lo sappiamo di non aver fatto quelle cose lì».
"In galera...", "Taci, stupido". Ciro, la madre e gli amici intercettati. Luca Sablone il 12 Giugno 2021 su Il Giornale. I ragazzi intercettati in caserma: gesto delle manette agli amici. La mamma di Ciro sbotta col figlio: "Sei uno stupido e un deficiente, parlate di altro". Alla lunga serie di prove e testimonianze nell'ambito del caso Ciro Grillo si aggiungono anche le intercettazioni ambientali che risalgono al primo settembre 2019, ovvero la data della prima convocazione in caserma dopo il sequestro dei telefonini. I quattro ragazzi arrivano nella caserma di Genova Quarto, chi accompagnato dalla madre chi da uno zio. Le conversazioni nella sala d'attesa dai carabinieri rappresentano fonti di prova allegate al fascicolo che la procura di Tempio Pausania ha mandato in tribunale chiedendo il rinvio a giudizio per i quattro componenti del gruppetto. Il 25 giugno la gup Caterina Interlandi sarà chiamata a decidere se mandare o meno i giovani a processo, valutando pure il peso di quei dialoghi in caserma.
"Se vado in galera mi inca..." Edoardo Capitta parla con la madre, che gli consiglia di non agitarsi e di mantenere la calma in quegli attimi. Ma il ragazzo teme per i possibili sviluppi della vicenda: "Io sono agitato perché non so come andrà a finire". I carabinieri scrivono nei loro brogliacci che Capitta fa notare inoltre "che lui non è normale e non sa come il suo fisico potrebbe reagire a una cosa del genere". Cosa intende dire? Lo spiega meglio nei passi successivi, immortalati sempre dalla telecamera: "È chiaro che se mi faccio un mese di galera poi esco incazzato come una bestia". I carabinieri annotano anche l'arrivo di Ciro Grillo e Francesco Corsiglia che, una volta giunti in caserma, vengono accolti da Capitta che "li saluta facendo il gesto delle manette". E a quel punto la madre "gli dice di non fare lo stupido e di non ridere". Ma Edoardo è convinto dell'innocenza per i fatti avvenuti tra il 16 e il 17 luglio 2019: "Sappiamo com'è andata". La madre tuttavia vuole giustamente tenere il controllo e chiede nuovamente al figlio di moderare il proprio atteggiamento: "Comunque non fare lo stupido".
"Parliamo d'altro". Grillo jr, stando a quanto riportato dal Corriere della Sera, una volta entrato nella sala d'attesa avrebbe detto agli altri che "in questi giorni non dobbiamo né vederci né frequentarci anche se non abbiamo nulla da nascondere". Nel documento che riassume l'intercettazione si legge che la madre "suggerisce di parlare di altro", per esempio dell'università. Invece lo zio di Corsiglia inizia a "parlare della partita del Genoa mentre Ciro dice che andrà a nuotare e poi parlano di libri". Il giudice Caterina Interlandi prenderà in esame quel "parlare d'altro" suggerito dagli adulti, dietro cui si potrebbe nascondere il timore di essere registrati o di dire cose che potrebbero risultare accusatorie.
"Sei uno stupido, un deficiente". Ciro Grillo però avrebbe poi ripreso a chiacchierare con i suoi amici, con conseguente rimprovero da parte della madre: "Sei veramente uno stupido, stai zitto". Anche lo zio di Corsiglio "dice a Ciro di dar retta a sua madre" e così il tenore della conversazione con i componenti della comitiva sembra cambiare. Poco dopo però arriva un altro richiamo della madre, "che gli dice di uscire dalla sala d'attesa". Nel riassunto dell'intercettazione ambientale viene rivelato che "a quel punto lo zio di Corsiglia sussurra qualcosa all'orecchio di Ciro mentre suo nipote dice che hanno tutta la vita per parlarne". Nonostante tutto, "Ciro ride e scherza" e dunque la madre lo rimprovera per l'ennesima volta: "Sei un deficiente, non ho parole... siete tre bambini e non capite...".
Luca Sablone. Classe 2000, nato a Chieti. Fieramente abruzzese nel sangue e nei fatti. Estrema passione per il calcio, prima giocato e poi raccontato: sono passato dai guantoni da portiere alla tastiera del computer. Diplomato in informatica "per caso", aspirante giornalista per natura. Provo a raccontare tutto nei minimi dettagli, possibilmente prima degli altri. Cerco di essere un attento osservatore in diversi ambiti con quanta più obiettività possibile, dalla politica allo sport. Ma sempre con il Milan che scorre nelle vene. Incessante predilezione per la cronaca in tutte le sue sfaccettature: armato sempre di pazienza, fonti, cellulare, caricabatterie e… PC.
"Vi spiego perché Grillo & Co hanno filmato tutto". Rosa Scognamiglio l'8 Giugno 2021 su Il Giornale. "Lo stupro di gruppo è un esercizio della violenza attraverso l'atto sessuale ai danni di una vittima. Il video? Per dimostrare qualcosa a se stessi o agli amici", spiega a ilGiornale.it il professor Fabrizio Quattrini. "Mi è venuto in mente di urlare. Non è che non ci avessi pensato, ma non ci riuscivo…". Chi parla è Silvia (nome di fantasia), la studentessa 19enne che accusa Ciro Grillo, il figlio del fondatore del Movimento 5 Stelle, e i suoi amici Francesco Corsiglia, Edoardo Capitta e Vittorio Lauria di aver abusato di lei dopo una serata in discoteca in Sardegna, nel luglio 2019. Uno presunto stupro di gruppo che, a detta della ragazza, si sarebbe consumato con modalità particolarmente oltraggiose e incalzanti: schiaffi sulla sulle natiche, sulla schiena e molto altro ancora. "Ero terrorizzata, non sentivo più i piedi per terra", ha raccontato al procuratore di Tempio Pausania Gregorio Capasso e al sostituto Laura Bassani. Ma non è tutto. Ci sarebbero ben quattro video a testimonianza dell'orrore che si sarebbe consumato quella notte d'inizio estate. Lo conferma uno degli indagati, Edoardo Capitta, in una chat con gli amici nel giorno successivo al presunto stupro: "Ho quattro video facili facili", scrive in un messaggio indirizzato al resto della comitiva. Ma perché gli autori di un reato sessuale sovente filmano la vittima? "Credo che sia legato molto a un aspetto di personalità narcisistica. Poi, nella dinamica del gruppo, il filmare diventa un modo per dimostrare agli altri qualcosa", spiega a ilGiornale.it il dottor Fabrizio Quattrini, psicologo, psicoterapeuta e sessuologo clinico nonché docente di Clinica delle Parafilie e della Devianza presso l'Università de L'Aquila.
Il racconto da incubo: "Violentata a turno, ridevano..."
Professor Quattrini, esiste una definizione per lo stupro di gruppo?
"Lo stupro di gruppo è una modalità di 'sexual offending', ovvero di esercizio della violenza attraverso l'atto sessuale ai danni di una vittima, generalmente un adulto ritenuto vulnerabile o un minore".
Quale è il motivo per cui due o più ragazzi giovani danno seguito a una violenza di gruppo?
"I motivi possono essere tanti, purtroppo non c'è una risposta standard. Di base però credo che questi comportamenti siano riconducibili a una matrice comune, ovvero alla totale assenza di rispetto e percezione dell'altro come 'persona diversa da sé'. Ciò si verifica quando, durante le fasi evolutive precedenti alla prima età adulta, non è maturato il concetto di diversità o è mancato un modello educativo in grado di rispondere in maniera adeguata alle curiosità verso situazioni nuove – 'diverse', per l'appunto – nel corso della fanciullezza o dell'adolescenza. Da questi presupposti possono derivare una serie azioni e comportamenti fortemente devianti: su tutti la violenza sessuale".
Il fine ultime di un abuso ordito da un gruppo di coetanei è quello di procurarsi piacere o c'è dell'altro?
"Il piacere è presente in un atto di sadismo sessuale, ma non nel caso di uno stupro o della aggressione sessuale in gruppo. In generale, i sexual offender - gli autori di reato sessuale - intendono umiliare la vittima, ridurla a un oggetto: vogliono farle del male. Non c'è consensualità tra tutte le parti coinvolte, altrimenti non parleremo di stupro ma di parafilie".
Qual è la differenza tra un comportamento sessuale deviante e una parafilia allora?
"La parafilia è modo atipico, non convenzionale, di vivere la sessualità. Un comportamento sessuale deviante discosta dalla normalità al punto da arrecare danno all'altra persona coinvolta nel rapporto".
L'abuso di alcol può indurre a comportamenti sessuali devianti?
"L'alcol è una situazione di concausa che amplifica la dimensione della devianza, un'aggravante. Ma di certo non giustifica né spiega uno stupro. Tutti i sexual offender partono da una condizione di disfunzionalità e disagio al livello personale, familiare o sociale che talvolta manifestano attraverso l'espressione di una sessualità violenta".
Possiamo definire questi soggetti "casi patologici"?
"L'esplicitazione di un comportamento sessuale violento non implica necessariamente una condizione patologica. Per dirla in maniera spiccia, negli autori di reati sessuali c'è qualcosa durante il processo di maturazione che è “andato storto” e che, nelle fasi successive della crescita, può riversarsi in maniera devastante su un'altra persona".
Ritornando allo stupro di gruppo, perché spesso gli offender filmano la vittima durante l'atto violento?
"Credo che sia legato molto a un aspetto di personalità narcisistica. Poi, nella dinamica del gruppo, il filmare diventa un modo per dimostrare agli altri qualcosa".
Dimostrare che cosa e a chi?
"Le risposte possono essere molteplici. Può essere un'azione di rivalsa nei confronti dei genitori o della società, oppure verso se stessi. Poi credo che molto abbia fatto anche la dimensione dei social in questa tendenza a filmare e condividere continuamente ciò che accade durante la giornata. Con questo non intendo demonizzare il web e le varie piattaforme di comunicazione. Anzi ritengo che internet sia una grande risorsa per i giovani. Il problema è che, a furia di 'postare', i contenuti si svuotano completamente del significato. Per cui filmare la propria routine mattutina o un'azione socialmente grave, come nel caso di uno stupro, diventa normale".
Talvolta gli autori di reato sessuale negano la violenza. Perché?
"La negazione è un meccanismo difensivo che avviene a livello intrapsichico. C'è una parte iniziale, cosciente, di difesa e di protezione: 'Nego a me stesso qualunque cosa possa essere successa. La nego talmente bene, e ci credo con tale fermezza, che alla fine mi convinco non sia mai esistita'. La fase successiva invece è totalmente inconsapevole. Ragion per cui, col tempo, l'autore del reato sessuale tende a rimuovere completamente la gravità di ciò che ha commesso".
In questi casi c'è il rischio di reiterazione?
"Dipende dagli individui coinvolti e dalle caratteristiche personali di ciascuno. Tuttavia la casistica ci segnala che il rischio di recidive per i reati sessuali è molto alto".
Le mani "a taglio" e la prossemica: la verità nel video di Grillo. Rosa Scognamiglio il 12 Giugno 2021 su Il Giornale. L'esperto di comunicazione non verbale e analisi della menzogna spiega cosa c'è dietro il video di Beppe Grillo: "La rabbia è autentica ma ha fatto un autogol". "C'è un video, c'è un video!". Non fa altro che ripeterlo Beppe Grillo nel breve filmato pubblicato sui social lo scorso 19 aprile in difesa del figlio Ciro, indagato con l'ipotesi di reato per presunta violenza sessuale di gruppo ai danni di Silvia (nome di fantasia) nell'estate del 2019 a Cala di Volpe, in Sardegna. Il leader del Movimento 5 Stelle si scaglia con veemenza contro la giovane difendendo, a torto o ragione della verità, il suo ultimogenito dalla pesantissima accusa di stupro. "Mandate in galera me al posto di mio figlio", grida. E ancora: "Sono quattro co******", dice riferendosi a Ciro e agli amici coinvolti nella vicenda.
"Quel video è un messaggio di sfida ma la rabbia di Grillo è autentica", spiega a ilGiornale.it Francesco Di Fant, esperto di comunicazione non verbale e analisi della menzogna.
Qual è la principale emozione che trapela dal video?
"Da analista del linguaggio del corpo, posso dire che trapela una rabbia vera, esplosiva. Mi riferisco sia alla rabbia facilmente leggibile a chiunque veda il breve filmato, sia da alcuni gesti che sono un po' più tecnici e fanno capire l'inclinazione psicologica di quest'emozione".
Come evolve nel corso del filmato questo sentimento?
"Nei primi minuti del video, Grillo cerca di stare calmo, di controllare la sua verve battagliera. All'inizio del filmato, possiamo dire che è un po' più il personaggio, il “rabbioso Grillo” davanti alla telecamera. Dopo un po' invece gli si accende il fuoco della vera rabbia: cambia la gestualità, cambia l'energia e si colora persino in volto (diventa rosso). Dal momento in cui comincia a urlare e a battere con forza la mano sul tavolo, la rabbia diventa vera. Intendo dire che non è di facciata, non è 'da comizio' ma autentica".
Da cosa scaturisce la rabbia di Grillo?
"La rabbia, a livello di studio emozioni, si innesca da un trigger ('scatto', ndr) quando troviamo un ostacolo sul nostro cammino o un impedimento al raggiungimento del nostro obiettivo. E sicuramente un figlio indagato rappresenta un ostacolo alla serenità familiare."
Ecco cosa c'è dietro il video di Beppe Grillo
Perché ha una gestualità così accentuata?
"Grillo è ipercinetico, ha una gestualità esasperata con scatti violenti. Compie dei gesti energici, quasi violenti. E la maggior parte di questi movimenti, a livello tecnico, ha un significato ben preciso. In primis fa quelle che in gergo tecnico si chiamano “mani ad artiglio”, come se volesse strappare qualcosa. Poi dà questi schiaffi sul tavolo molto forti. Il contatto con gli oggetti, siano schiaffi oppure pugni battenti su un tavolo, rappresentano una forma di 'rabbia deviata', come se stesse direzionando questo sfogo verso un oggetto anziché colpire qualcuno".
In che modo i gesti supportano le sue affermazioni?
"Grillo compie gesti lineari, traccia delle linee nette con le mani che sono “a taglio”, come un'accetta. Questi movimenti sono tipici di uno stato di aggressività. Senza contare che non riesce a stare fermo sulla sedia, avanza con il corpo verso la telecamera. In questo modo diminuisce la distanza prossemica, invade lo spazio altrui".
Qual è il messaggio implicito del video?
"Un messaggio di sfida contro qualcuno. Lui si scaglia con diverse persone: contro la ragazza, contro gli inquirenti e molto probabilmente anche contro i giornalisti che stanno 'pompando' la notizia. È un Grillo contro tutti ma la rabbia è vera".
Quando il delirio dei padri inguaia i figli. #stupro
Perché ricorre ai social?
"Grillo conta a massimizzare la condivisione del breve filmato. L'obiettivo di un abile stratega comunicativo non è solo quello di mandare il messaggio ma metterlo su delle piattaforme che ne consentano la diffusione immediata".
È stata una mossa vincente?
"Per quanto mi riguarda, credo sia stato un autogol. Escludendo il personaggio politico, una persona che difende il figlio potrebbe farlo senza sfidare tutto e tutti. Tant'è che questo video ha avuto una sorta di 'effetto boomerang'. Molti lo hanno aspramente criticato".
Crede non abbia previsto i risvolti eventuali del filmato?
"Non penso, è stato guidato dal cuore: è il padre che parla. Probabilmente crede alla versione del figlio e quindi non ha calcolato questo controeffetto facendo un uso sbagliato - o forzato - del media. Ha perso di vista la strategia comunicativa diventando un padre che fa una difesa accorata del figlio".
Come interpreta la scelta di ricorrere a espressioni colorite per difendere il figlio?
"Grillo prova a minimizzare l'accaduto e soprattutto la presunta colpevolezza del figlio. C'è una sorta di captatio benevolentiae, un tentativo di far passare il figlio come qualcuno che ha fatto una bravata".
Cosa ha sbagliato dal punto di vista della comunicazione?
"Quella di aver tirato in ballo la vittima o presunta tale. È stato uno scivolone comunicativo e umano, un errore clamoroso. Ha forzato l'opinione popolare finendo con l'invalidare il senso del messaggio. Avrebbe potuto difendere il figlio in mille altri modi ma non tirando in ballo la presunta vittima. Ha sbagliato i modi e i tempi".
Rosa Scognamiglio. Nata a Napoli nel 1985 e cresciuta a Portici, città di mare e papaveri rossi alle pendici del Vesuvio. Ho conseguito la laurea in Lingue e Letterature Straniere nel 2009 e dal 2010 sono giornalista pubblicista. Otto anni fa, mi sono trasferita in Lombardia dove vivo tutt'oggi. Ho pubblicato due romanzi e un racconto illustrato per bambini. Nell'estate del 2019, sono approdata alla redazione de IlGiornale.it, quasi per caso. Ho due grandi amori: i Nirvana e il caffè. E un chiodo fisso...La pizza! Di "rosa" ho solo il nome, il resto è storia di cronaca nera.
Giacomo Amadori per “La Verità” il 24 giugno 2021. C' è una svolta clamorosa nell' inchiesta su Ciro Grillo e i suoi tre amici accusati di stupro di gruppo. Il 24 maggio scorso il procuratore di Tempio Pausania Gregorio Capasso e la pm Laura Bassani hanno aperto un nuovo fascicolo per violenza carnale, questa volta nei confronti di ignoti, in attesa di identificare con precisione il giovane che avrebbe abusato di S. J. un anno prima dei quattro amici genovesi. Quel ragazzo in realtà è già stato individuato dagli avvocati degli indagati che proprio il 23 maggio avevano chiesto che fosse sentito come testimone per valutare l'attendibilità dell'accusatrice italo-norvegese. Si tratta, come anticipato dalla Verità il 4 giugno scorso, di David Enrique Bye Obando, nato a Managua nel 2000 e residente a Oslo dal 2017 dove si è trasferito per studiare e vivere con il padre Vegard Bye, politologo, giornalista ed ex parlamentare del Partito della sinistra socialista, una formazione ecologista e progressista con qualche affinità con il Movimento 5 stelle. Nell'atto firmato il 24 maggio dagli inquirenti si legge che «il pubblico ministero ha disposto l' iscrizione di un nuovo procedimento a carico di ignoti (cosiddetto modello 44, ndr)» per violenza sessuale aggravata perché «nei confronti di persona che non ha compiuto i diciotto anni (in effetti la ragazza all' epoca aveva 17 anni e mezzo, ndr)» e perché «il fatto è connesso con un altro delitto per il quale si deve procedere d' ufficio», vale a dire lo stupro che avrebbero commesso il 17 luglio 2019 Ciro Grillo, Francesco Corsiglia, Edoardo Capitta e Vittorio Lauria ad Arzachena. Il nuovo fascicolo, puntualizzano i pm, è stato aperto «viste le dichiarazioni» rese da S.J. nel verbale del 17 febbraio 2020, in cui la stessa «riferiva che nel maggio 2018, mentre si trovava in campeggio in Norvegia, subiva violenza sessuale da parte di un suo amico di nazionalità nicaraguense». Dunque il procedimento è stato avviato 15 mesi dopo le dichiarazioni della ragazza e il giorno successivo alla richiesta da parte degli avvocati di sentire il giovane nicaraguense come testimone. L' inchiesta, quando i magistrati identificheranno ufficialmente David, probabilmente dovrà essere trasferita al Tribunale per i minorenni; infatti il padre di David, Vegard, ieri ci ha comunicato l'età del figlio all' epoca dei fatti: «Nel maggio del 2018 David non aveva ancora compiuto 18 anni, essendo nato il 15 settembre del 2000». Nella loro istanza di un mese fa gli avvocati evidenziano come il caso descritto dal S.J., ma anche da altri tre testimoni, le due amiche R.M. e A.M. e l'istruttore di kitesurf, «consentono di ritenere l'episodio caratterizzato da una suggestiva prossimità temporale con quello prefigurato» nel procedimento contro Ciro Grillo e gli altri tre indagati e «soprattutto da interessanti analogie con esso». I legali, che per la legge italiana non possono effettuare indagini difensive all' estero, ritengono «che acquisire la versione dell'altro protagonista del singolare accadimento [] appare alquanto rilevante [] per una seria valutazione dell'attendibilità» della ragazza, in particolar modo perché i due casi differirebbero in modo significativo «per il diverso elemento, il sonno, che avrebbe viziato il consenso al rapporto sessuale». Di qui l'alcol, di là lo stato di assopimento. La giovane il 17 febbraio 2020 ha raccontato ai magistrati la violenza che avrebbe subito dal suo «migliore amico» (a sua volta fidanzato con «la migliore amica» del suo boyfriend) in «un camping che aveva organizzato la scuola»: «Lì lui non sapeva che stessi dormendo e allora cioè c'era stato un flirt e tutto, eravamo nella stessa tenda soltanto che anche lì avevo messo in chiaro che non volevo nulla e né niente ehm soltanto che io ero crollata dal sonno e lui ha iniziato a fare non so aprendo la mia tuta e io mi sono svegliata e lui stava venendo. Però io in quel momento stavo dormendo». E come avrebbe reagito S.J. alla presunta violenza? Risposta della studentessa: «Quando l'ho visto che stava facendo, che stava venendo così, sono uscita dalla tenda, sono scappata nel bosco e sono andata in bagno cioè fuori a piangere poi sono tornata al camping che c' era la mia amica che si era svegliata, ho preso le mie cose e me ne sono andata. Sono andata a casa e quando sono arrivata a casa mi sono messa sotto la doccia e ho chiamato il mio migliore amico. Però non sono andata a denunciarlo». E come mai? S.J.: «Perché non avevo capito che cosa fosse successo e poi un po' per paura e poi anche per il fatto che era il mio migliore amico [] mi sembrava strano, non lo so». La giovane italo-norvegese ha anche ricordato che quando telefonò a David per chiedergli spiegazioni su quanto accaduto, lui le avrebbe semplicemente consigliato di prendere la pillola del giorno dopo. Il padre del ventenne di Managua, Vegard, a inizio giugno, ci aveva detto: «David sostiene di aver sentito S. e che lei si è scusata per la diffusione di una falsa accusa. Ho insistito affinché parlasse di nuovo con lei per ottenere una dichiarazione formale. Lui nega categoricamente la contestazione». E David aveva ribadito: «Chiederò a S. di fare una dichiarazione formale per confermare le scuse che mi ha fatto lo stesso anno dei fatti». Il 23 maggio scorso gli avvocati hanno sollecitato la Procura a emettere un ordine europeo di indagine penale volto all' audizione di David, «al fine di indentificare correttamente tale soggetto e accertare la veridicità o meno, nei rilevanti dettagli, di quanto raccontato dalla denunciante». I magistrati hanno aperto direttamente un'inchiesta. Che adesso si incrocerà con quella principale e trasformerà la vicenda in un caso internazionale.
Grillo jr, Silvia: "Usata e gettata via Sono spazzatura, non valgo niente". Affari Italiani il 6/7/2021. Il caso Ciro Grillo e amici accusati di stupro di gruppo da una ragazza conosciuta in vacanza nell'agosto del 2019, continua a regalare retroscena sui fatti di quella notta nella villa del garante del M5s, in cui erano presenti, oltre al figlio del comico anche tre amici. Emergono delle nuove chat, finite agli atti di Silvia, l'accusatrice, messaggi scambiati con un'amica norvegese poche ore dopo aver lasciato la casa di Ciro. "La verità è che la sola cosa che sento dopo questa esperienza è che io non valgo niente... le persone mi usano soltanto quando e come vogliono e poi mi buttano via come spazzatura. E non parlo solo di sconosciuti ma anche di quelli che considero amici". L'amica - si legge sul Corriere della Sera - insiste su un punto: «Io vorrei davvero che tu ti rivolgessi a un professionista, uno psicologo che ti aiuti a vedere che bella persona sei...». E ancora: «Incolpare te stessa non è una cosa sana ed è sbagliato. Hai bisogno di capire che sei una brava persona». «Va bene - le risponde Silvia - andrò da un terapista, anche se non sono tanto sicura che farà la differenza (...) proprio non ce la faccio più — confida in un passaggio più avanti — sta diventando sempre più difficile capire perché succedono cose come queste e come evitarle... mi sento così frustrata che sto diventando matta». La gup venerdì prossimo dovrà decidere se mandare a processo oppure no i quattro accusati, avrà di fronte per la prima volta tutte le parti in causa ma quasi certamente non gli imputati che non dovrebbero presentarsi.
Giusi Fasano per il "Corriere della Sera" il 6 luglio 2021. «La verità è che la sola cosa che sento dopo questa esperienza è che io non valgo niente... le persone mi usano soltanto quando e come vogliono e poi mi buttano via come spazzatura. E non parlo solo di sconosciuti ma anche di quelli che considero amici». Così scrive Silvia all' amica che vive in Norvegia poche ore dopo i fatti. I fatti sono la violenza sessuale che lei giura di aver subito in Sardegna, la mattina del 17 luglio 2019. Sott' accusa quattro ragazzi conosciuti la sera prima in discoteca che invece giurano che «lei ci stava»: Ciro Grillo (il figlio del fondatore del Movimento Cinque Stelle) e i suoi tre amici, Vittorio Lauria, Edoardo Capitta e Francesco Corsiglia. Venerdì, a Tempio Pausania, la gup Caterina Interlandi - che dovrà decidere se mandare a processo oppure no i quattro accusati - avrà di fronte per la prima volta tutte le parti in causa ma quasi certamente non gli imputati che non dovrebbero presentarsi. Non ci sarà la stessa Silvia né Roberta, l'amica che era con lei e che è parte di questa storia come vittima perché è finita sullo sfondo di fotografie oscene mentre dormiva sul divano. «Mi usano e mi buttano via», scriveva dunque Silvia nei suoi messaggi WhatsApp all' amica. Lunghe conversazioni in inglese depositate fra gli atti che ora il giudice dovrà valutare. Parole che definiscono la fragilità di lei, i suoi sensi di colpa, il suo chiedere aiuto. «Quello che hanno fatto quei ragazzi è pura manipolazione, e hanno approfittato di te», valuta l'amica dopo aver saputo. Ma scrive la sera tardi, un messaggio dopo l'altro. E Silvia non risponde. Li leggerà la mattina dopo. «Non importa se non hai urlato di smettere o roba del genere. Ti hanno manipolato umiliandoti. So che sei un po' insicura e loro hanno fatto leva su questo per usarti. Questo è una colpa e un errore loro, al 100%» è una delle considerazioni dell'amica. Che poi insiste su un punto: «Io vorrei davvero che tu ti rivolgessi a un professionista, uno psicologo che ti aiuti a vedere che bella persona sei...». E ancora: «Incolpare te stessa non è una cosa sana ed è sbagliato. Hai bisogno di capire che sei una brava persona». «Va bene ci andrò» le risponde Silva il mattino dopo, commossa e grata per le parole dell'amica («un sollievo, non hai idea di quanto mi faccia sentire bene saperti dalla mia parte»). «Andrò da un terapista, anche se non sono tanto sicura che farà la differenza (...) proprio non ce la faccio più - confida in un passaggio più avanti - sta diventando sempre più difficile capire perché succedono cose come queste e come evitarle... mi sento così frustrata che sto diventando matta». L' amica la mette in guardia dagli uomini e dalla gente «di m... da cui stare alla larga» e fra le persone da cui guardarsi cita anche Roberta: «non dovresti più circondarti di persone come lei» scrive. Evidentemente si riferisce a ciò che Silvia racconta anche nei suoi interrogatori, e cioè che la sua amica Roberta ha dormito senza accorgersi di nulla e che non ha reagito come avrebbe dovuto dopo che lei, in lacrime, le ha detto «mi hanno violentata tutti». Silvia confida all' amica lontana che «sto accumulando troppe cose, le sto mettendo da parte pensando di poter affrontare tutto, e invece sta tornando tutto indietro ed è un po' opprimente».
Il figlio di Beppe e i 3 amici a rischio processo. Ciro Grillo, è il giorno dell’udienza preliminare per stupro: si indaga anche per revenge porn. Carmine Di Niro su Il Riformista il 9 Luglio 2021. A Tempio Pausania si deciderà oggi l’eventuale rinvio a giudizio nei confronti di Ciro Grillo e dei tre amici Edoardo Capitta, Vittorio Lauria e Francesco Corsiglia, accusati di violenza sessuale nei confronti di Silvia (nome di fantasia, ndr), la 19enne italo-norvegese che sarebbe stata stuprata nella villa del comico genovese in Sardegna, a Cala di Volpe, nella notte tra 16 e 17 luglio 2019. Per tre dei quattro indagati l’accusa è di violenza sessuale di gruppo mentre uno di loro è imputato singolarmente per violenza sessuale. A prendere una decisione, nel pomeriggio, sarà il gup Caterina Interlandi, ma per i legali degli indagati non sarà questa la giornata in cui scoprire le proprie carte. “Si costituiranno le parti e si farà una calendarizzazione delle altre udienze. Non decideremo domani un eventuale rito abbreviato o l’eventuale risarcimento alla seconda ragazza”, annunciano. I quattro amici si sono sempre dichiarati innocenti, sostenendo che la ragazza italo-norvegese era consenziente; tesi opposta a quella della 19enne e del procuratore di Tempio Pausania Gregorio Capasso e della sostituta Laura Bassani. Ma nell’inchiesta che oggi potrebbe portare i quattro giovani al rinvio a giudizio spunta anche una nuova ipotesi di reato: il revenge porn. Secondo Repubblica riguarderebbe la diffusione via chat internet dei video dal contenuto sessuale che riprendevano Silvia e la sua amica Roberta. Una circostanza, quella della diffusione di materiale online, denunciata a maggio dai genitori di Silvia in una lettera alla loro legale Giulia Bongiorno: “Hanno condiviso pezzi di video con il corpo di nostra figlia come trofeo”, avevano scritto. Fascicolo che attualmente è contro ignoti e si fa ad aggiungere agli altri stralci del filone principale dell’inchiesta: quelli per rivelazione di segreto istruttorio, per diffamazione (contro ignoti) e per l’identificazione del ragazzo di origini sudamericane che avrebbe violentato Silvia nel 2018 un camping norvegese, fatto mai denunciato dalla ragazza.
Carmine Di Niro. Romano di nascita ma trapiantato da sempre a Caserta, classe 1989. Appassionato di politica, sport e tecnologia
Ciro Grillo, udienza rinviata e nuove prove ammesse: "Testimoni e un file audio", altro colpo di Giulia Bongiorno. Libero Quotidiano il La gup Caterina Interlandi ha rinviato le udienze in cui deciderà sul rinvio a giudizio per Ciro Grillo e i suoi tre amici, tutti accusati di violenza sessuale di gruppo su una ragazza di vent’anni. La giudice di Tempio Pausania ha ammesso nuove prove, come spiegato con soddisfazione da Giulia Bongiorno, che difende la presunta vittima di stupro. “Siamo stati ammessi come parti civili e sono stati ammessi nuovi elementi per noi rilevanti”, ha dichiarato l’avvocato. Si tratta di “dichiarazioni rese alla stampa da alcuni testimoni - ha precisato la Bongiorno - e un file audio di una chat tra la mia assistita e una sua amica norvegese. Una denuncia è un grido di dolore, la sede naturale per raccoglierlo è questa udienza, finalmente è arrivato il momento ed è importante che ci sia una verifica giudiziaria”. La gup Interlandi ha fissato le prossime udienze per il 5 e il 12 novembre: in tali date verranno sciolti tutti i dubbi. Entro il 20 ottobre sarà consentito depositare ulteriori elementi probatori individuati tra le carte che da oggi entrano nel fascicolo processuale. L’udienza è durata oltre tre ore e non ha visto la presenza dei quattro imputati: oltre al figlio di Beppe Grillo, sono Francesco Corsiglia, Edoardo Capitta e Vittorio Lauria.
Giacomo Amadori per "la Verità" il 9 luglio 2021. Inizia questa mattina l'udienza preliminare del processo a Ciro Grillo, Edoardo Capitta, Francesco Corsiglia e Vittorio Lauria, i ventenni genovesi accusati dalla Procura di Tempio Pausania di stupro di gruppo nei confronti della coetanea italo-norvegese S.J. e di abusi anche nei confronti dell'amica di lei, R.M.. Nei prossimi giorni il gup Caterina Interlandi dovrà decidere se accogliere le richieste dei pm Gregorio Capasso e Laura Bassani e rinviare gli imputati a giudizio. Ma intanto il tribunale dei media li ha già condannati. L' unica vulgata possibile per raccontare la storia della presunta violenza sessuale nei confronti di S. è quella della vittima ghermita da quattro predatori famelici. Un racconto che i giornali fanno con il ciclostile. Perfino i titoli sono tutti uguali. Come l'ultimo: Usata e gettata via. Ma a leggere bene le carte si scopre che questa vicenda ha molte più sfumature di quanto non appaia dai resoconti orientati e politicamente corretti, e che la sua protagonista è una diciannovenne tormentata in lotta con i suoi fantasmi, che sì ha paura di essere «usata» dagli uomini, ma che sostiene anche di ricascarci ogni volta e che viene assalita dai rimorsi quando si sente «buttata via». A maggior ragione dopo una notte di sesso di gruppo, alla fine della quale non era stata neppure riaccompagnata dai suoi partner occasionali al bed & breakfast dove soggiornava. E così il giorno dopo, la sera del 18 luglio, si sfoga con un'amica norvegese, Mya, e con lei inizia una dura seduta di autoanalisi culminata con un vocale di 14 minuti e 45 secondi, in cui S. rimugina sulle parole con cui l'interlocutrice ha provato a tirarla su e a convincerla a reagire. Utilizzando messaggi come questi: «Sappi che ciò che quei ragazzi ti hanno fatto è stata pura manipolazione e approfittarsi di te. Non importa che non gli abbia gridato di fermarsi o altro. Ti hanno manipolato, umiliandoti []. Tu sei abbastanza insicura e loro ti hanno usato []. Voglio che tu riconsideri la tua relazione con Nick (il ragazzo con cui S. ha iniziato una relazione nei due anni in cui ha vissuto in Norvegia, tra il 2017 e il 2019, ndr), perché non penso che sia giusto che lui decida quando vuole solo usarti o quando essere dolce [] la ragione per cui non ti tratta bene è al 100 per cento perché lui è uno stronzo [] continui a darti la colpa ed è per questo che voglio che tu veda uno psicologo perché ti prometto che ti aiuterà a vedere che non è colpa tua e non lo è mai stata []. Dovresti iniziare a contornarti di brave persone e bravi uomini». Cosa che evidentemente a giudizio di Mya, S. non fa. E la giovane italo-norvegese risponde a queste considerazioni con il sofferto vocale in inglese, in cui tira fuori la sua anima ferita, senza mascheramenti. Vale la pena di leggere questo sfogo di S. in modo quasi integrale, perché consente di capire come nella notte del 17 luglio 2019 non ci fossero lupi ed agnelli, ma solo cinque ragazzi che hanno avuto la sfortuna di incrociare le proprie strade in quelle ore maledette. Ecco le parole di S.: «Sì, mi sono sentita super usata, non so, è stato bruttissimo, cioè, proprio usata e gettata via, quasi solo per divertimento e, non lo so, sto così male che voglio ricominciare da capo, ma per davvero, e non so cosa fare, come si fa...». Quindi la presunta vittima riprende il discorso sul ragazzo norvegese: «Le cose che dici su Nick sono tutte così vere [] non è giusto andare avanti e mi sento sempre soltanto spazzatura, usata e non sono felice, non lo so, sto davvero male, soprattutto con me stessa». Il problema è che quando Mya le consiglia di trovarsi «un bravo ragazzo» a S. viene in mente la notte precedente, quando l'amica R. non le diede corda e la lasciò sola a subire la presunta violenza carnale: «Era come se non le importasse di me, mi sono incazzata così tanto, e nella mia testa era come se mi dicessi, sì, ha ragione, non merito niente. Sai, pensavo e me lo ripetevo quasi ad alta voce, che non merito niente e che non valgo un cazzo, e qualunque cosa quei ragazzi mi hanno fatto probabilmente me lo merito. Ecco perché ero come fuori di me e probabilmente li ho lasciati fare, ma poi non ho più potuto controllare nulla, perché non ho mai voluto che succedesse nulla e anche il modo in cui lo hanno fatto, non lo so, è terribile. Non ho parole, sono così vuota. Sto male, tu lo sai, non ho rispetto per me stessa». A questo punto S. fa riferimento all' ex compagno di scuola che gli aveva presentato i suoi presunti stupratori la notte tra il 16 e il 17 luglio: «Lo sai, anche Alex che è un mio amico [] quando ero in discoteca era come se stesse sempre cercando di vendermi a ragazzi e a cose che non voglio più, non voglio niente da questi tipi come da chiunque altro. Sento che nella mia vita ci sono proprio poche persone che contano davvero e sono felice che ci siate, probabilmente siete tre o quattro []. R., che pensavo fosse una delle mie più care amiche, si è dimostrata così egoista e stupida su tutto, che le parlo a malapena; tipo adesso sta giocando a pallavolo in spiaggia e io me ne sono tornata a casa a piedi da sola, così, perché non ce la faccio più a stare fuori, mi sento che e mi dispiace ripeterlo ma giuro che ogni volta che ci penso mi viene sempre da piangere, mi odio per quel cazzo che faccio, e sai, probabilmente ho anche mancato di rispetto, tipo a Nick, ma ho così tanta rabbia e dolore dentro». La giovane rivela all' amica le confidenze fatte al suo istruttore di kitesurf anche l'anno prima, quando gli aveva confessato di essere stata stuprata in Norvegia dal suo migliore amico David Enrique Bye Obando: «Non so come risolverla a essere sincera. Non lo so, proprio non so. Tipo oggi ho parlato con il mio insegnante [] è davvero una brava persona e anche lui ha avuto questo tipo di esperienze, diciamo, così, dopo quella volta con David mi aveva detto delle cose che in realtà mi avevano tranquillizzata e che mi avevano fatto stare meglio, ma questa volta invece è come se fosse super dispiaciuto, anzi provava pena per me [] mi ha detto che sono grande, che posso mettere questa vicenda in un cassetto, dimenticarmene e andare avanti con la mia vita, ricominciare, essere meno dura con me stessa, cose così, solo che ora è così difficile...». Durante lo sfogo prova a voltare pagina: «Domenica torno a Milano, ci sto provando, lo farò, quasi non volevo partire, ho quasi cambiato il biglietto, ma ci andrò e mi divertirò lo stesso []. Chissà, magari a settembre verrò comunque in Norvegia magari per salutare qualcuno, non tanto Nick, ma in generale alcune persone a cui lo avevo anche promesso». L' autoanalisi si fa spietata: «Ma perché sono così idiota, perché mi comporto così, perché non dico basta, come se non fosse possibile? Ma anche com' è che in certi momenti non posso neanche fidarmi di chi mi sta intorno, perché alla fine ero quasi con la mia migliore amica, così pare, non lo è di certo, ma comunque con una cara amica e non posso nemmeno fidarmi di lei, e poi anche con questi ragazzi era tutto normale e poi finisce che se ne approfittano di te così. È terribile. Giuro, non lo so». La confessione prosegue: «Quest' ultimo periodo è stato una merda, e non è per loro, ma voglio rimettermi a posto ora, e tipo capire cosa voglio perché mi sento persa, giuro, mi sento così sola qui che non ne hai idea... ora cerco di non pensare a niente [] e sullo psicologo, non lo so, non mi fido di nessuno, ma ci penso, forse dovrei andarci [], ho sempre detto che magari in discoteca a volte esco di testa e finisco proprio per andare a letto con qualcuno. Ok, va bene, cioè non va bene, ovvio, ma alla fine può sembrare che non sia così grave, almeno per me è ok, è successo amen, chi se ne frega. Tipo due sere fa sono andata con uno e, te l'ho sempre detto, andare con uno è una cosa, ma fare sesso non voglio che sia una cosa superficiale o così via, è una cosa che voglio fare con qualcuno che amo, non solo un vendermi, come fanno molte delle mie amiche anche qui in Italia []. Sembra che non sappia portarmi rispetto, sembra che parli in terza persona, perché da una parte dico tutte queste cose, dall' altra non riesco neanche a provarci a rispettarmi, perché non lo so, mi odio, mmm, per tutte queste cose mi sento insicura». Dall' audio emerge pure un rapporto difficile di S. con il corpo, apparentemente così bello (un' amica in un interrogatorio aveva evidenziato la sua eccessiva magrezza): «Per esempio quando non mangio vomito, vomito che mi lascerei morire di fame, quasi mi distruggo come tutti questi lividi che ho, non è che mi prendo cura di me perché ho quello che ho sulle braccia, non li avrei ad esempio se mi prendessi cura di me [] proprio non capisco perché la gente mi veda attraente o bella [] quasi non voglio che mi vedano bella perché poi succedono cose del genere e tutto ricomincia da capo. Non credo di essere depressa, oppure sì lo sono, ma sono soprattutto delusa e a dire il vero è anche peggio della depressione in questo momento. Scusa se parlo così tanto, ma ho davvero bisogno di tirare fuori tutto. È una merda, una merda e io sono così nella merda []». Quindi ritorna sui suoi complicati rapporti con i ragazzi norvegesi: «Lo so che Nick è l'ultimo dei problemi perché, per esempio, la cosa di David gliel' ho detta praticamente subito, ma non ne sono più sicura. Forse merita qualcun' altra, sono così incasinata [] nessuno si merita di finire con una come me, tutte le volte faccio delle cazzate, non lo so, è un casino, uno schifo, io faccio così schifo. Non lo so se è stata colpa mia o meno quella sera, ma giuro che è stato difficile evitarlo [] non riuscivo a fermare nessuno, se no lo avrei fatto, davvero lo avrei fatto. Mi odio perché mi fido della gente così, perché di solito sono aperta e mi fido, sorrido, sai, in modo amichevole, no? [] ma questo è il mio peggior difetto, tipo la peggior parte di me perché tutti ne approfittano e io mi odio perché forse sono troppo buona, non so. Diciamo, non è stata una bella esperienza. Ora devo solo sistemarmi un attimo. Già. Per prima cosa, per esempio, puoi credermi o no, non berrò più perché sono stanca di non essere in uno stato super e di non capire, perché non riesco a prendermi cura di me stessa quando sono sobria, peggio ancora quando [] sono un po' ubriaca. Penso che questo dovrebbe essere il mio primo passo, credo, e tutto quello che viene dopo vedremo». Nei giorni immediatamente successivi a quel vocale S. ha denunciato i suoi quattro presunti aggressori.
Giusi Fasano per il "Corriere della Sera" il 10 luglio 2021. La storia per la prima volta davanti al giudice e la convinzione (di tutti) di avere per le mani «file audio decisivi». È la sintesi dell'udienza di ieri, a Tempio Pausania, sul caso di Grillo junior. Ciro Grillo, il figlio del fondatore del Movimento 5 Stelle, e i suoi tre amici - Vittorio Lauria, Francesco Corsiglia ed Edoardo Capitta - sono sott' accusa per violenza sessuale di gruppo. Due le ragazze che li hanno denunciati, Silvia e Roberta, che all'epoca dei fatti (17 luglio 2019) avevano, come loro, 19 anni. Silvia ha raccontato di aver subito violenza da tutti, Roberta ha scoperto di essere sullo sfondo di fotografie e di un filmato osceno mentre dormiva sul divano. La giudice dell'udienza preliminare, Caterina Interlandi, ha chiuso la seduta di ieri con la data del prossimo appuntamento, il 5 novembre. Ma prima di quella data, il 20 ottobre, le difese dei ragazzi e le parti civili, le indicheranno quali sono - fra la marea di documenti finiti nel fascicolo - quelli che ciascuno di loro ritiene essenziale. Una sorta di bussola per semplificare il lavoro in Aula e per guidare lei in una quantità mostruosa di atti che riguardano soprattutto il contenuto dei telefonini dei ragazzi e delle presunte vittime (sono un terabyte, cioè più di mille megabyte di materiale). Chat via WhasApp, messaggi da varie piattaforme social, filmati, audio, link, fotografie... Non a caso è proprio sul contenuto di un messaggio audio che si è giocato ieri il primo tempo di questa partita. L'avvocata Giulia Bongiorno, che difende Silvia, annuncia che fra gli «elementi per noi rilevanti» è stato ammesso anche «un file audio di una chat tra la mia assistita e una sua amica norvegese». Ne è stato ammesso anche un secondo ma fra i due il più importante è un messaggio vocale di 14 minuti e 45 secondi spedito al giorno dopo i fatti e che anche le difese dei ragazzi ritengono a loro favore per alcune delle frasi che Silvia invia all'amica. Per esempio: «Perché sono così idiota? Perché mi comporto così? Perché non dico basta, come se non fosse possibile?» oppure: «Qualunque cosa fatta da quei ragazzi me la merito, ero come fuori di me e probabilmente li ho lasciati fare...». Sembrano parole di consenso rispetto a quel che è successo. Ma in quell'audio c'è anche il rovescio della medaglia. Frasi che descrivono quanto quella ragazza si sentisse debole e incapace di reagire o altre considerazioni tipo: «Per me il sesso è una cosa sacra, se possiamo dire così (...) fare sesso per me è qualcosa di, forse... non so, spero che quello che sto dicendo non ti sembri superficiale, ma per me il sesso è qualcosa che voglio fare con qualcuno che amo». In un terabyte di materiale i file che le parti possono ritenere interessanti potrebbero essere moltissimi, e infatti le difese dei ragazzi non escludono di poterne sottoporre al giudice alcuni finora non emersi come rilevanti e (anche se loro non lo confermano) già individuati. L'avvocato di uno dei quattro accusati, Gennaro Velle, dice che «nel telefono delle ragazze ci possono essere elementi molto importanti per le decisioni da assumere» e non si spinge oltre. Lui è il legale di Francesco Corsiglia che nel racconto di Silvia sarebbe stato il primo (e da solo) a violentarla e che invece non compare nel video in cui si vedono gli altri tre con lei: «Facevamo sesso con il suo consenso», hanno sempre sostenuto loro; «Mi stavano violentando», ha sempre giurato lei. Parlando di Silvia, Giulia Bongiorno ha detto che «si può immaginare quanto questa storia l'abbia segnata. Una denuncia è un grido di dolore, la sede naturale per raccoglierlo è questa udienza, finalmente è arrivato il momento». L'avvocato di Roberta, Vinicio Nardo invita tutti «alla cautela e alla riservatezza perché sono coinvolti ragazzi molto giovani sia da una parte sia dall'altra». «Dimostreremo in Aula le ragioni dei nostri assistiti» è la promessa dei legali dei ragazzi, Enrico Grillo (per il cugino Ciro), Sandro Vaccaro (per Lauria), Gennaro Velle e Romano Raimondo (per Corsiglia) ed Ernesto Monteverde e Mariano Mameli (per Edoardo Capitta).
Francesco Specchia per “Libero Quotidiano” il 10 luglio 2021. Lo aveva predetto Annamaria Bernardini De Pace, avvocato di larga esperienza: il Tribunale di Tempio Pausania è d'ascendenza ellenica, è avvezzo alle calende greche e come tale, lì, tra i giudici attanagliati dalla canicola, le sentenze tendono a galleggiare nell'oblio. E così è stato. Ci sarà pure un motivo se il processo a Ciro Grillo e dei suoi più cari amici -Francesco Corsiglia, Edoardo Capitta e Vittorio Lauria-- accusati di stupro, nel 2019, nei confronti di Silvia ragazza italonorvegese allora 19enne vede l'udienza sul rinvio a giudizio rimandata al prossimo 5 novembre. E ci sarà pure un motivo se le udienze conseguenti potranno tenersi solo il 12 e 26 novembre successivi, secondo calendario della gup Caterina Interlandi. Si attendono, dunque, altri quattro, estenuanti mesi di graticola, per la ragazza, non per i presunti stupratori.
RITMO LENTO Tra l'altro, quella di ieri doveva essere un'udienza di «smistamento», per calendarizzare cioè i prossimi passaggi e in cui difficilmente si deciderà sul rinvio a giudizio degli imputati, sulla possibilità di chiedere il rito abbreviato o risarcire le vittime. Mentre nel resto d'Italia la giustizia accelera, da queste parti continua a vivere su ritmi lenti. Tra le novità emerse oggi nel processo, due spiccano per spessore: esistono nuove immagini che i difensori degli imputati hanno raccolto nelle ultime settimane per sostenere che la vittima dello stupro «non ha trascorso le ore immediatamente successive in uno stato di prostrazione». E pare che la Procura di Tempio abbia anche aperto da poco un nuovo fascicolo, un filone bis sui fatti di due anni fa, ipotizzando il reato direvenge porn -diffusione illecita di immagini sessuali esplicite-. Infatti pare che un ragazzo amico degli imputati abbia rilasciato in tv dichiarazioni inedite in cui ammetteva di «aver visionato frame» della notte della violenza. L'intervista è stata depositata dagli avvocati della vittima -tra cui Giulia Bongiorno- sicchè i pm hanno deciso di procedere per capire quel fosse il vero giro del fumo dei video. Il revenge porn è reato recente, uno di quelli eticamente più disgustosi. La legge italiana - entrata in vigore dopo il 17 luglio 2019 punisce «con la reclusione da uno a sei anni anche chi, avendo ricevuto o comunque acquisito le immagini e i video stessi, li invia, cede, pubblica, o diffonde senza il consenso delle persone rappresentate al fine di recare loro nocumento». Ciro Grillo e compagnia hanno sempre negato di essersi resi protagonisti di revenge porn. Ma le suddette esternazioni tv fanno pensare a qualcosa di diverso e i con i nuovi accertamenti si dovrebbero sciogliere dubbi e scuotere coscienze.
REVENGE PORN L'indagine per revenge porn diventa così il terzo fascicolo parallelo a quello sulla violenza avvenuta dopo l'approccio con Silvia e l'amica al Billionarie, insieme ai rilievi sulla violazione del segreto istruttorio per la ripetuta pubblicazione dei verbali; e assieme all'altra branca inerente la rivelazione della stessa Silvia d'aver subito abusi mesi prima, in tenda, da un coetaneo norvegese. La faccenda, insomma resta assai complessa e s' innerva nella storia giudiziaria e del costume d'Italia. Dietro ad essa c'è più di una sentenza di condanna di quattro ragazzi ricchi. Il caso Ciro Grillo s' incrocia con la vita politica stessa del Paese, e con l'ardua e controproducente difesa di Beppe Grillo. E, probabilmente con la sua accettazione, quasi spiazzante, di una riforma della Giustizia - avviata del ministro Cartabia e avversa alla parte contiana del Movimento 5 Stelle - che mai prima d'oggi lo stesso Garante pentastellato avrebbe accolto. La verità? Indirettamente la vita privata e la pesante accusa di stupro del figlio di Grillo hanno inciso sul destino stesso del Movimento; ne hanno reso più debole il Fondatore, hanno creato una breccia nell'inespugnabilità del sogno rivoluzionario...
Michela Allegri per "il Messaggero" l'8 luglio 2021. Una giovane romana che decide di trascorrere l'estate in Sardegna, lavorando come animatrice in un villaggio turistico. E, una sera, l'incubo: uno stupro di gruppo avvenuto in Sardegna, dopo una serata trascorsa in una discoteca in Costa Smeralda. Un passaggio in macchina, l'arrivo in spiaggia, poi la violenza. Una storia che ricorda quella che ha per protagonisti Ciro Grillo, figlio del garante del M5s, e tre suoi amici. Con una differenza fondamentale: in questo caso la procura di Tempio Pausania, la stessa che ha chiesto il rinvio a giudizio per il figlio del leader grillino, ha avanzato richiesta di archiviazione. Ora la vittima, che ha raccontato di essere stata abusata insieme a un'amica da quattro giovani, ha presentato, assistita dall' avvocato Giovanna Porcu, un'opposizione alla richiesta di archiviazione. La decisione del gip è prevista in settembre. Secondo il legale, «non è opportuno che fatti così gravi non vengano nemmeno valutati in dibattimento». Il difensore di tre dei quattro imputati, l'avvocato Cesare Gesmundo, sostiene invece che «le ragazze sono state smentite da testimoni oculari, che hanno confermato che i rapporti erano consenzienti». Le violenze sarebbero avvenute nella notte tra l'8 e il 9 luglio di due anni fa su una spiaggia di Baja Sardinia, dopo una serata trascorsa in un locale di Porto Cervo. Le animatrici restano in discoteca fino alle 4 del mattino. Incontrano i ragazzi, accettano un passaggio e vanno insieme a loro in spiaggia. A quel punto, secondo i racconti delle giovani, oggi ventiduenni, sarebbe iniziato un incubo durato più di un'ora. Un rapporto di gruppo «consensuale», a dire degli indagati. Un vero e proprio stupro, secondo il racconto delle presunte vittime, che hanno anche dichiarato di essere state spinte più volte sott' acqua.
LE REAZIONI «Hanno fatto casino sul caso di Grillo, giustamente. Invece per gli stessi fatti, i giovani che hanno distrutto l'esistenza di mia figlia, vanno archiviati», dice ora la madre di una delle ventiduenni. Anche la giovane è arrabbiata: «Prendo ansiolitici, soffro di depressione, non dormo». I fatti sono stati denunciati la mattina successiva, ai carabinieri di Budoni. Per la Procura di Tempio Pausania, però, non ci sono gli estremi per chiedere il processo. Nella richiesta di archiviazione si legge che «non sono emersi elementi obiettivi idonei all' incolpazione dei responsabili e nemmeno sufficienti a dimostrare la consumazione del reato in trattazione». Il legale degli indagati menziona anche un video di diversi minuti che smentirebbe la versione delle giovani, mentre l'avvocato Porcu sottolinea che si tratta invece di un breve filmato «che non può assolutamente ricostruire la vicenda». La ventiduenne romana ha ricordato anche la notte in cui è stata sentita in Procura: «La pm continuava a dirmi: Ma sei sicura? Guarda che se non sei sicura devi dirlo. Io ero allibita». Mentre l'altra presunta vittima ha ripercorso i momenti dello stupro: «Hanno iniziato ad abbassare la zip, sentivo mani ovunque. A quel punto mi sono lanciata in acqua». Qui sarebbero iniziati abusi e violenze. «Continuavano a ridere a pronunciare apprezzamenti volgari nei confronti della ragazza», si legge nelle carte. Nella richiesta di archiviazione sono riportate anche le dichiarazioni di uno dei testimoni, quello che ha realizzato il video. Il teste racconta di avere assistito a due rapporti e ha descritto la situazione come «strana», con una delle giovani che sembrava subire quello che le stava accadendo. Poco dopo le due ragazze avevano raggiunto la spiaggia, nude, solo con gli slip, «piangevano e si abbracciavano», ha aggiunto il testimone.
Ilaria Sacchettoni per il "Corriere della Sera" il 9 luglio 2021. Aggredita, abusata e ora anche privata di un giusto processo, Giulia (nome di fantasia), 22 anni, ha scelto di parlare della propria storia. Era con un'amica quando nel luglio del 2019 quattro ragazzi originari della Campania la violentarono su una spiaggia della Sardegna. Il 14 settembre il giudice deciderà sul suo procedimento, la sua avvocatessa, Giovanna Porcu, ha annunciato che si opporrà all' archiviazione proposta dal pubblico ministero.
Giulia, in seguito alla sua denuncia si è aperta un'indagine della Procura di Tempio Pausania. Ha mai avuto il timore di qualche ritorsione?
«Sì, uno dei primi stati d' animo è stato un senso di persecuzione. Temevo che avrebbero potuto reagire, magari mandando qualcuno per farmi del male o venire nella mia abitazione e vendicarsi in qualche modo. Fra l' altro continuavano a chiamare il mio numero di cellulare con l' anonimo, spaventandomi».
Eppure lei non ha paura di affrontare un processo per il suo stupro?
«Sì, ho paura e ansia: paura di quello che potrebbero dire gli avvocati dei ragazzi, di come cercherebbero di farmi passare, di farci passare agli occhi di un giudice. Ma, allo stesso tempo, si tratta di avere giustizia per una cosa che ha interferito con la mia condizione psicologica e quella della mia amica Maria (altro nome di fantasia, ndr )».
Ha rielaborato quello che le è accaduto?
«All'inizio è stato quasi impossibile, ho avuto bisogno dell'aiuto di una psichiatra e di una psicoterapeuta e di una terapia farmacologica, medicine che tuttora continuo a prendere per evitare di compiere gesti estremi come è capitato in passato. La violenza è una cosa che un po' elabori e un po' non elaborerai mai, non puoi dimenticarla, non puoi smettere di sentirla o di riviverla tutti i giorni, è una cosa con la quale devi imparare a convivere e devi cercare di non darle il potere di condizionarti la vita...Ma è difficile farlo quando la parentesi giustizia è ancora aperta, e bisogna lottare per cercare di non far cadere tutto nel dimenticatoio... una volta che si sarà concluso il percorso giudiziario proverò a richiudere in qualche modo questa cicatrice».
Può dirci se, in seguito a quella notte, è cambiato qualcosa nel suo rapporto con gli altri o con se stessa?
«Ho iniziato a chiudermi in me stessa, ero una persona molto socievole e fiduciosa, motivo per il quale avevo deciso di andare a fare l'animatrice turistica, la mia relazione di quel tempo è andata peggiorando perché ero sempre triste, depressa, impaurita».
Si è colpevolizzata?
«Sì, mi è capitato spesso di pensare a quanto sia stata ingenua ad andare in spiaggia con 4 ragazzi, forse anziché correre in acqua (dove ha cercato una fuga, ndr ) sarei potuta correre per la spiaggia e tentare la salita, abbiamo pensato molto al fatto che avremmo potuto urlare o dire qualcosa, visto che a quanto pare uno stupro è tale solo se urli e chiedi aiuto... Nessuno ha tenuto conto che eravamo paralizzate dalla paura».
Quali sono i sentimenti che ha provato quando ha saputo che il magistrato aveva intenzione di archiviare?
«Rabbia e delusione. Rabbia perchè siamo state considerate delle ragazze "semplici" che sono andate in discoteca per "rimorchiare". E rabbia perchè tuttora vengono messe in dubbio la credibilità mia e della mia amica. Delusione perché ho avuto l'impressione che non si vedesse l'ora di chiudere il nostro caso chiedendo l'archiviazione in soli 11 mesi, mentre il caso del figlio di Grillo è stato analizzato per quasi 2 anni ed è stato chiesto il processo. Spero solamente che possano dare anche a noi la possibilità di batterci in aula e lasciar decidere a un giudice quello che è successo quella notte».
Caro Beppe Grillo: essere garantisti significa esserlo sempre e non a convenienza. Andrea Pasini il 3 maggio 2021 su Il Giornale. E fu così che Beppe Grillo scoprì il garantismo. Proprio lui che si era presentato come il braccio armano del giustizialismo e che ha portato i suoi fino in Parlamento al grido di «onestà, onestà». Forse si trattava solo di un lungo siparietto comico che si è, finalmente, concluso – senza risate – con il video pubblicato su Facebook. Il Grillo “manettaro” si è sperticato nel difendere il figlio, accusato insieme a tre amici dello stupro di una ragazza. La vicenda si può riassumere così: nel luglio 2019, Ciro Grillo e i suoi amici si trovano al Billionaire di Briatore. Nel locale incontrano due ragazze con cui trascorrono alcune ore bevendo e divertendosi, prima di tornare tutti e sei a casa Grillo. Lì, una delle due giovani si addormenta mentre l’altra dice di essere stata costretta a un rapporto con uno dei giovani e essere stata poi violentata fino al mattino dagli altri tre. I ragazzi non negano il rapporto di gruppo, ma sostengono che la giovane fosse consenziente e consapevole. La prova? Dopo la prima dichiarata violenza, sarebbero andati tutti insieme a prendere delle sigarette, e solo in un secondo momento avrebbero deciso di fare sesso in gruppo. Per i ragazzi la serata si è conclusa serenamente. Secondo la loro versione le due amiche avrebbero preso un taxi il mattino seguente in un clima di serenità. Inutile dire che il racconto della ragazza è molto diverso. Nel video pubblicato sulla pagina Facebook di Grillo afferma: «Una ragazza che la mattina viene stuprata, il pomeriggio fa kitesurf e 8 giorni dopo fa la denuncia, è strano». Come se ci fosse una data di scadenza per denunciare. Tempi e modi perché una vittima possa essere creduta. E sul fatto che a due anni dall’accaduto, il figlio non sia ancora stato arrestato, il comico sostiene: «Vi sete resi conto che non è vero niente, non c’è stato niente perché chi viene stuprato fa una denuncia dopo 8 giorni vi è sembrato strano. È strano. E poi c’è tutto un video, passaggio per passaggio, in cui si vede che c’è un gruppo che ride, ragazzi di 19 anni che si divertono e ridono in mutande e saltellano con il pisello, così perché sono quattro coglioni». Tutta la faccenda, secondo Grillo, potrebbe riassumersi con una frase «So’ ragazzi». I giovani ragazzi come suo figlio non commettono reati, non stuprano le donne, si divertono e basta. «Sono quattro coglioni, non quattro stupratori» e se lo dice il padre di uno di loro c’è da crederci. Se lo dice il braccio armato del giustizialismo, chi siamo noi per pensare diversamente? C’è una frase, attribuita a Giovanni Giolitti, che ben riassume il pensiero grillino: «Per i nemici le leggi si applicano, per gli amici si interpretano». Figuriamoci se di mezzo ci sono i figli. L’avvocato Bongiorno, incaricato di difendere la giovane, ha già annunciato che porterà il video di Beppe Grillo in Procura. «È una prova a carico che documenta una mentalità, un metodo di sminuire le cose, spesso usato dagli uomini quando imputati». Sempre l’avvocato, durante una partecipazione al programma di La7, L’Aria che Tira, ha affermato di essere rimasta «stupita dal video di Beppe Grillo, che contiene argomenti di circa 20- 30 anni fa, quando gli avvocati dicevano sistematicamente che “la vittima se l’era cercata”. A me questo ridimensionamento della realtà fa paura». La famiglia della giovane si è giustamente detta «distrutta da questo show ripugnante». Spiegando come il comico abbia adottato «una strategia misera» per ridicolizzare il dolore che stanno provando. In silenzio, senza video imbarazzanti su Facebook. Almeno loro credono ancora nella giustizia. La questione è stata portata persino alla Camera dei Deputati dove la Lega e Forza Italia hanno accusato Grillo di essere «garantista a giorni alterni». Per il leader dei Cinque Stelle, «il sabato Salvini è colpevole, il lunedì suo figlio è innocente». Forte anche la reazione della deputata di Fratelli d’Italia Lucaselli che ha chiesto la convocazione immediata della conferenza dei capigruppo sul tema. Dopo una lunga attesa anche l’azzeccagarbugli Giuseppe Conte si è pronunciato sulla vicenda dando, come suo solito, un colpo al cerchio e uno alla botte. «Ho avuto modo di parlare con Beppe Grillo in più occasioni e conosco bene la sua sensibilità su temi particolarmente delicati Comprendo le preoccupazioni e l’angoscia di un padre, ma non possiamo trascurare che in questa vicenda ci sono anche altre persone, che vanno protette e i cui sentimenti vanno assolutamente rispettati». Ed in conclusione ci tengo a sottolineare che essere garantisti significa esserlo sempre e non a convenienza. Questa è una notizia di cronaca con dei risvolti politici di fronte alla quale non ci si può girare dall’altra parte. Voglio ricordare che per due anni questo caso è stato chiuso probabilmente in qualche cassetto della procura della Repubblica. E guarda caso è uscito dal cassetto nel momento in cui il partito di Grillo non controlla ne più Palazzo Chigi né il ministero della Giustizia. Sarà una coincidenza?
(ANSA il 29 aprile 2021) "Ho rinunciato al mandato per divergenze col mio assistito sulla condotta extraprocessuale da tenere, specie in processi come questo". Così l'avvocato Paolo Costa che difendeva fino a ieri Vittorio Lauria, uno degli amici di Ciro Grillo accusato dalla procura di Tempio Pausania di violenza di gruppo nei confronti di una studentessa milanese. Il legale ha dismesso il mandato dopo l'intervista rilasciata dal giovane a Non è l'Arena in cui oltre a criticare il video di Beppe Grillo spiegava che la ragazza aveva bevuto la vodka "per sfida" e non perché costretta e che il rapporto era stato consenziente.
Caso Grillo, uno dei legali rimette il mandato. Ignazio Riccio il 29 Aprile 2021 su Il Giornale. La decisione è stata assunta dopo due giorni di riflessione da parte del legale, in seguito alle affermazioni del suo assistito nel corso della trasmissione di La7 Non è l'Arena. L'avvocato Paolo Costa, che difende Vittorio Lauria, uno dei quattro ragazzi indagati per la violenza sessuale di gruppo nella villa di Beppe Grillo in Costa Smeralda, ha rimesso il mandato. La decisione è stata assunta dopo due giorni di riflessione da parte del legale, in seguito alle affermazioni del suo assistito nel corso della trasmissione di La7 Non è l'Arena, condotta da Massimo Giletti. “Vi sono alcune divergenze con il mio assistito – ha detto all'Agi l'avvocato Costa – sulla condotta extra-processuale da tenere sempre, specie in processi come questi”. Il legale ha fatto un passo indietro dopo l'intervista rilasciata domenica 25 aprile dal giovane, nel corso della quale, oltre a criticare il video di Beppe Grillo, spiegava che la ragazza aveva bevuto la vodka "per provocazione" e non perché costretta e che il rapporto era stato consenziente. “Si vede comunque che la ragazza sta, uno, benissimo e, due, che comunque noi non costringiamo niente”, aveva dichiarato. Sempre in riferimento all’assunzione di alcol aveva aggiunto: “É proprio lei che l’ha presa, da sola e per sfida, come noi comunque abbiamo detto ai Pm, perché è stato proprio così. Per sfida lei l’ha bevuta tutta, "gocciandola", ma non era tanta, era un quarto di vodka, non lo so adesso. Però comunque proprio lei da sola perché noi non riuscivamo a berla e lei per sfida ha detto 'dai che ce la faccio' e se l’è bevuta. E poi è andata a dire che io l’ho presa per la gola”. Intanto, si sono aggiunti nuovi dettagli sulla vicenda del presunto stupro di gruppo. Nel fascicolo in possesso della Procura della Repubblica di Tempio Pausania si fa riferimento ad altri particolari riferiti dagli investigatori, compresi gli “schiaffi sulla schiena e sulle natiche” inferti dai quattro protagonisti della vicenda alla vittima. Quest'ultima, una ragazza italo-svedese, ha deciso di denunciare quanto subito solo una volta rientrata a casa dalla Sardegna, più o meno una settimana dopo i fatti avvenuti all'interno della villa di Porto Cervo di proprietà del garante del Movimento 5 Stelle il 17 luglio del 2019. Con le nuove prove di cui è entrata in possesso, la Procura della Repubblica ha deciso di prendere un ulteriore mese di tempo per rivalutare il quadro indiziario: entro il termine prestabilito dovrà essere depositato in cancelleria un nuovo avviso di conclusione delle indagini preliminari, con un secondo avviso di garanzia.
Non è l'Arena e caso Ciro Grillo, l'avvocato di Vittorio Lauria lascia la difesa dopo l'intervista da Giletti. Libero Quotidiano il 29 aprile 2021. L'avvocato di Vittorio Lauria, uno dei tre ragazzi indagati insieme con Ciro Grillo di stupro di gruppo, ha lasciato l'incarico: "Ho rinunciato al mandato per divergenze con il mio assistito sulla condotta extraprocessuale da tenere, specie in processi come questo", ha spiegato Paolo Costa che difendeva fino a ieri Lauria, accusato dalla procura di Tempio Pausania di violenza di gruppo nei confronti di una studentessa milanese. Il legale ha dismesso il mandato dopo l'intervista rilasciata domenica 25 aprile dal giovane a Non è l'Arena, il programma condotto da Massimo Giletti su La7 in cui oltre a criticare il video di Beppe Grillo spiegava che la ragazza aveva bevuto la vodka "per sfida" e non perché costretta e che il rapporto era stato consenziente. "Si vede comunque che la ragazza sta, uno, benissimo e, due, che comunque noi non costringiamo niente", aveva dichiarato. E ancora, sull'assunzione di alcol: "E' proprio lei che l’ha presa, da sola e per sfida, come noi comunque abbiamo detto ai pm, perché è stato proprio così. Per sfida lei l’ha bevuta tutta, 'gocciandola', ma non era tanta, era un quarto di vodka, non lo so adesso. Però comunque proprio lei da sola perché noi non riuscivamo a berla e lei per sfida ha detto 'dai che ce la faccio' e se l’è bevuta. E poi è andata a dire che io l’ho presa per la gola, ho fatto…". Intanto ci sarebbero nuove prove a carico di Ciro Grillo e dei suoi tre amici, Lauria, appunto, Edoardo Capitta e Francesco Corsiglia. Dei nuovi elementi che sarebbero emersi durante gli interrogatori, tanto che la procura di Tempio Pausania avrebbe riformulato nuove contestazioni a Ciro e agli altri ventenni della Genova bene. In particolare, Corsiglia (figlio di un noto cardiologo) avrebbe confermato che intorno alle 6 del mattino del 17 luglio 2019 avrebbe avuto "un rapporto sessuale consenziente" con la ragazza italo-svedese, "dopo aver fatto sesso, sono andato a dormire". Poi c'è la violenza sessuale ai danni dell'altra ragazza. Ciro, Capitta e Lauria si sono immortalati mentre la oltraggiavano quando dormiva.
Giuseppe China per “la Verità” il 30 aprile 2021. Si rompe il fronte difensivo degli avvocati coinvolti nel caso di Ciro Grillo: il legale Paolo Costa, che fino a ieri difendeva il giovane Vittorio Lauria, ha rimesso l'incarico. A incrinare il rapporto tra i due le dichiarazioni rilasciate dal ragazzo al programma tv Non è l'Arena. È la scorsa domenica quando la trasmissione di Massimo Giletti divulga gli audio di Lauria sulla vicenda del presunto stupro e sul video di Beppe Grillo. È la prima volta che uno dei quattro ragazzi indagati (oltre a Lauria e Ciro Grillo, sono coinvolti Edoardo Capitta e Francesco Corsiglia) parla pubblicamente: «Secondo me (il video, ndr) non andava fatto. Non se ne parlava più e ora è riuscito tutto perché ha fatto (Grillo, ndr) sta roba qua. Perché se fossimo stati io e gli altri miei due amici non conosciuti non sarebbe successo niente», dice Lauria nel dialogo mandato in onda. La voce dell'interlocutore del ragazzo, però, non è riconoscibile. L' indagato ha, però, riferito nei giorni scorsi a legale e famigliari che a telefonargli era stato Fabrizio Corona. O meglio, il ragazzo lo avrebbe ricontattato dopo aver trovato sul cellulare un suo messaggio. Vittorio è infatti un grande fan di Corona e avrebbe addirittura la sua mascherina griffata. Il manager quarantasettenne è appena ritornato agli arresti domiciliari, dopo un turbolento rientro in cella, ma non ha perso la sua voglia di lavorare, attività che gli è consentita. La chiacchierata, riferisce ha ascoltato l'audio, è stata molto rilassata e Corona, dopo aver interrotto l'allenamento quotidiano, ha esibito notevoli doti di intervistatore. Nel dialogo fra i due il primo tema affrontato è il video pubblicato dal fondatore del M5s, Beppe Grillo: per Corona si tratta di un «danno clamoroso» a scapito degli indagati. «Clamoroso. [] È da due anni che siamo indagati» e «dicono tutt' altro di quel che è successo. [] Ogni cosa che viene detta a nostro nome, comunque cade su quello. [] Quindi veniamo visti anche da un altro punto di vista, sbagliato. [] Secondo me (il video, ndr) non andava fatto. Più che altro dopo così tanto tempo (dallo scoppio dell'inchiesta, ndr) [] non se ne parlava più. E ora è riuscito tutto», prosegue Lauria, «perché ha fatto questa roba qua. Perché se fossimo stati io e gli altri miei due amici non conosciuti non sarebbe successo niente». A questo punto Lauria prova a dare la sua spiegazione sul perché «Beppe» abbia fatto il video: «Secondo me, nel video, lui voleva specificare come siamo fatti noi, che siamo più dei coglioni, perché comunque le cose bisognava dirle [] ha detto quello che è successo». Eppure: «La cosa che ha detto Beppe del video, la cosa degli otto giorni secondo me non ci stava dirlo []. Dire una roba del genere comunque, davanti poi chissà quanta gente ha visto ormai quel video lì contro una donna, non è giusto perché non c' entra tanto quanto ha aspettato, ma la cosa è che l'ha fatto proprio senza senso». Secondo l'accusa la ragazza è stata «costretta». Per Lauria, invece, sarebbe stata «proprio lei che l'ha presa da sola e per sfida [] l'ha bevuta tutta, "gocciandola", ma non era tanta, era un quarto di vodka [] lei per sfida ha detto "dai che ce la faccio" e se l'è bevuta. E poi è andata a dire che io l'ho presa per la gola, ho fatto», ribatte Lauria. È chiaro che Corona sa fare le interviste come pochi altri giornalisti, che in questi giorni sono rimasti al palo senza riuscire a far spiccicare nemmeno una parola ai ragazzi indagati. Ci sarebbe sempre lui anche dietro ad alcuni scoop collegati a un'altra vicenda scabrosa, quella di Alberto Genovese, l'imprenditore accusato di aver violentato e sequestrato una diciottenne nel corso di una festa a base di droga nel suo superattico «Terrazza sentimento». Ma torniamo all' audio che avrebbe indotto l’avvocato Costa a rimettere l'incarico «per divergenze col mio assistito sulla condotta extraprocessuale da tenere, specie in processi come questo». Corona chiede a Lauria delucidazioni sull' iter dell'inchiesta della Procura della Repubblica di Tempio Pausania. Il ragazzo confida che gli indagati sono stati interrogati «due volte». «La prima volta un mese dopo (il presunto stupro, ndr), la seconda tre settimane fa perché noi volevamo dare delle precisazioni». Per esempio quella inerente un tabacchino: «Lei aveva detto che non c'era, invece, poi abbiamo trovato una foto e lei era in macchina con noi che siamo andati a prendere le sigarette in un posto vicino a un locale []. Mi ricordo che lei aveva detto di non essere venuta e invece c'era una foto che è là con noi». Capitolo relazioni attuali con Ciro Grillo. «Siamo amici da sempre, ci vediamo non tutti i giorni, ma ci vediamo». Corona avrebbe fornito a Lauria anche una serie di consigli, come ad esempio quello di rilasciare un'intervista a un giornale importante o partecipare a una trasmissione tv. Il ragazzo avrebbe scartato con decisone queste ipotesi. Ma la sua chiacchierata con Corona avrebbe comunque incrinato definitivamente i suoi rapporti con l'avvocato Costa.
Giampiero Mughini per Dagospia il 27 aprile 2021. Caro Dago, ti confesso che non c’è nulla che riguardi Grillo padre che mi interessi. Sono forse l’unico italiano che non ha visto la sua sfuriata televisiva da quattro soldi in difesa di suo figlio. Non ho figli, e dunque non ho voce in capitolo per rispondere alla domanda di Marco Travaglio - feroce e dai denti aguzzi contro il mondo tutto, gentile e comprensivo con il pubblico dei lettori del suo bel giornale che io compro ogni mattina -, e cioè “che cosa avreste fatto se vi foste trovati nelle condizioni di Grillo “padre”?”. Non ho alcuna credenziale per rispondere. Così come nessuno di noi ha diritto di giudicare quella serata in cui si fronteggiarono quattro ragazzi e una ragazza molto giovane e inesperta delle durezze della vita, lo giudicheranno i magistrati e anche se la loro è una delle categorie professionali più svilita del nostro tempo. Una cosa è certa che quei quattro ragazzi erano quattro poveri coglioni, come ha ammesso uno di loro. Quattro poveracci da quattro soldi che avevano bisogno di far bere una ragazza pur di avere un contatto reale con lei. Poveri coglioni. Uno di loro fosse stato mio figlio? Premesso che so bene perché non ho ne ho voluti di figli, penso che lo avrei preso a calci in culo fino a farlo spasimare. Un tale coglione, e per giunta figlio mio. Dio santo, non ci posso pensare.
Da la7.it il 28 aprile 2021. Piercamillo Davigo sul video di Beppe Grillo: "Assolutamente inopportuno e un errore dal punto di vista politico".
Da Libero Quotidiano il 28 aprile 2021. Un Piercamillo Davigo scatenato a DiMartedì, su La7. Incalzato da Giovanni Floris, l'ex magistrato di Mani Pulite prima definisce "inopportuno" e "un errore politico" il video di Beppe Grillo con cui il comico ha difeso pubblicamente il figlio Ciro, indagato a Tempio Pausania per (presunta) violenza sessuale di gruppo ai danni di una ragazza 19enne, nel luglio 2019. "C'è stata pure una deputata, Maria Elena Boschi, che ha detto: 'Lo vorrei vedere adesso Davigo, il teorizzatore del 'colpevole a prescindere', è stato lui a ispirare la linea sulla giustizia del M5s. Ora che Grillo si comporta come il più feroce dei garantisti, Davigo cosa direbbe?'. Bene Davigo, cosa risponde?". E l'ex pm parte in quarta: "La Boschi farebbe bene ad informarsi prima di parlare a vanvera. Non ho mai detto quello che mi attribuisce". "Ho detto due cose diverse. Una in un contesto preciso, quello degli appalti della metropolitana 3 di Milano dove non potevano esserci innocenti e infatti sono stati condannati tutti". "Non mi parli del dito, parliamo della luna - lo interrompe ironico Floris -. Parliamo della filosofia che c'è dietro". "Rispondendo all'onorevole Costa che parlava di indennizzi per ingiusta carcerazione, parlavo di innocenti e di colpevoli che l'hanno fatta franca per varie ragioni. Tanto per cominciare, la Boschi non sa di cosa parla e dovrebbe stare attenta, soprattutto perché ricopre incarichi istituzionali". "Abbiamo invitato la Boschi - mette le mani avanti il conduttore - che ha preferito non confrontarsi con Davigo. Immagino che la minaccia sia un 'stia attento simbolico'". "No io non minaccio nessuno - precisa Davigo -, però ha anche detto che io sarei 'più vicino' (a Grillo, ndr). Le rispondo: più vicino sarà lei. Ma ai politici non viene mai in mente che un magistrato possa essere neutrale? Perché devono misurare tutti con il loro metro?".
"Dovrebbe stare attenta...". Quell'avvertimento di Davigo alla Boschi. Francesca Galici il 29 Aprile 2021 su Il Giornale. L'ex magistrato Davigo ospite di Giovanni Floris ha risposto a Maria Elena Boschi, che l'ha citato in un'intervista sul caso di Beppe Grillo. Piercamillo Davigo è stato ospite di Giovanni Floris a Dimartedì, il programma di approfondimento politico di La7. L'ex magistrato di Mani pulite ha affrontato il caso di Ciro Grillo o, meglio, quello del video realizzato da Beppe Grillo in difesa di suo figlio. Davigo non ha utilizzato mezzi termini definire "inopportuno" quell'intervento, da lui considerato anche come "un errore politico" del leader del Movimento 5 Stelle. Ma l'attenzione dell'ex magistrato si è poi spostata su Maria Elena Boschi, che in questa vicenda non c'entra nulla, ma che in un'intervista rilasciata a Il Riformista ha menzionato Davigo in un commento sulla nuova linea garantista di Beppe Grillo.
La provocazione della Boschi a Davigo: "Sarebbe interessante oggi però chiedere a Davigo, da sempre vicino alle posizioni del M5S, cosa pensi della vicenda visto che più volte ha teorizzato che 'non ci sono innocenti, ma solo colpevoli che non sono ancora stati scoperti'", diceva qualche giorno fa Maria Elena Boschi parlando del video di Beppe Grillo e delle posizioni garantiste espresse in difesa del figlio in una lunga intervista. E a Piercamillo Davigo, Giovanni Floris ha dato la possibilità di replicare all'esponente di Italia viva. "La Boschi farebbe bene ad informarsi prima di parlare a vanvera. Non ho mai detto quello che mi attribuisce", ha tuonato l'ex magistrato, sentendosi colpito nel vivo della sua professionalità.
La risposta dell'ex magistrato. A quel punto Davigo ha spiegato di aver detto "due cose diverse", facendo cenno alla questione degli appalti della metropolitana 3 di Milano ma Giovanni Floris, capendo che il discorso stava divagando, lo ha invitato a non concentrarsi su fatti precisi ma a esporre il concetto dietro le affermazioni. "Rispondendo all'onorevole Costa che parlava di indennizzi per ingiusta carcerazione, parlavo di innocenti e di colpevoli che l'hanno fatta franca per varie ragioni", ha affermato a quel punto l'ex magistrato.
"Dovrebbe stare attenta". Davigo, poi, ha continuato: "Tanto per cominciare, la Boschi non sa di cosa parla e dovrebbe stare attenta, perché è pericoloso non sapere di cosa si parla, soprattutto se si ricoprono posti di responsabilità". Parole che a Giovanni Florus sono suonate quasi come una "minaccia", subito chiarite Piercamillo Davigo: "Io non minaccio nessuno, però ha anche detto che io sarei “più vicino” . Le rispondo: più vicino sarà lei. Ma ai politici non viene mai in mente che un magistrato possa essere neutrale? Perché devono misurare tutti con il loro metro?".
Da liberoquotidiano.it il 26 aprile 2021. Si infittisce di dettagli e supposizioni la vicenda di Ciro Grillo, figlio di Beppe accusato di stupro di gruppo. Ospite a Non è l'Arena nella puntata di domenica 25 aprile Vittorio Sgarbi ha dato una sua interpretazioni dei fatti, anche politici: "Sono in rapporti molto stretti con i grillini della prima ora a cui Beppe Grillo ha confessato che il suo unico problema era tutelare il figlio". Davanti alle telecamere di La7, di Massimo Giletti, il deputato in corsa per il Campidoglio ha spiegato la necessità del garante M5s di "non agevolare il figlio ma tutelarlo in tutti i modi". Da qui la conclusione: "Quindi il governo Conte 2 nasce per questo". E ancora: "Chi è il nemico del Movimento? Il Pd. E il nemico principale di Grillo? Renzi". Queste le motivazioni per cui Grillo - a detta di Sgarbi - avrebbe "costretto forze politiche diverse" a fare un governo in accordo con Matteo Renzi. Dissociandosi da Peter Gomez, Sgarbi ha continuato: "Con il video in difesa del figlio, Grillo non è più un personaggio pubblico. L'essere potente non serve a nulla. Il magistrato si accanisce di più con i potenti. Il Paese è tutto contro di lui, perfino i suoi. Questa è la fine di una carriera politica e di una dignità umana riconosciuta". A peggiore la situazione il clamoroso dietro front del fondatore pentastellato che "ha chiesto processi per tutti e oggi è garantista per ragioni umane. Vive da due anni con il tormento di un padre che ha sbagliato qualcosa. Si è ritirato dalla politica e si è dedicato a tutelare il figlio". Prima di lui a prendere parola era stato Peter Gomez. Il direttore del Fattoquotidiano.it aveva ammesso: "Fossi stato in Giulia Bongiorno avrei passato la difesa della ragazza ad un altro avvocato, perché avrei tolto l'idea che dietro questo ci fosse una speculazione politica". Riferimento all'accusa mossa dalla grillina Anna Macina contro Matteo Salvini e il legale nonché senatrice della Lega. L'accusa però ha controbattere con una ricostruzione di quella notte ora agli atti. Nei documenti si legge che "i quattro costringevano e comunque inducevano X, abusando delle sue condizioni di inferiorità fisica e psichica dovuta all'alcol, a subire e compiere atti sessuali…". E ancora, "entravano e uscivano dalla stanza ridendo tra loro e ostruendo il passaggio a Y, quando, divincolatasi, la ragazza tentava di allontanarsi, consentendo in tal modo a Corsiglia di raggiungerla nuovamente, di afferrarla e spingerla nel box doccia del bagno, dove la costringeva a subire un ulteriore rapporto". Ma c'è anche dell'altro, si legge che "la forzavano a bere della vodka, afferrandola per i capelli e tirandole indietro la testa e la costringevano e comunque la inducevano a compiere e subire ripetuti atti sessuali". Accuse che Grillo padre ha rimandato al mittente descrivendo gli indagati come "cog***" e che se fosse stato davvero stupro, il figlio sarebbe già stato arrestato.
Giusi Fasano per corriere.it il 28 aprile 2021. «Falsità sul conto di nostra figlia», con «frammenti (frammenti!) di video intimi vengono condivisi tra amici, come se il corpo di nostra figlia fosse un trofeo: qualcosa che ci riporta a un passato barbaro che speravamo sepolto insieme alle clave». Escono allo scoperto i genitori di Silvia, la ragazza che accusa di stupro il figlio di Beppe Grillo e i suoi tre amici. Lo fanno con un comunicato affidato al loro legale, Giulia Bongiorno, dopo giorni e giorni di silenzio e dopo aver letto e sentito di tutto e di più sul conto della ragazza.
«Non è facile rimanere in silenzio». Dichiarazioni degli indagati, ricostruzioni della notte sott’accusa, dettagli sessuali, ipotesi di tipo giudiziario. «Non è facile rimanere in silenzio», dicono, davanti alle falsità «che si continuano a scrivere e a dire sul conto di nostra figlia aggiungendo dolore al dolore: il nostro e il suo». Il padre norvegese e la madre italiana di Silvia aggiungono che «d’altro canto, sarebbe fin troppo facile smentirle sulla base di numerosi atti processuali che sconfessano certe arbitrarie ricostruzioni e che, per ovvie ragioni, non possono essere resi pubblici». Poi il riferimento a quei «frammenti di video», la fiducia nella giustizia e la promessa di conseguenze per chi «tira al bersaglio». «Confidiamo – scrivono - nel fatto che tutto questo fango sarà spazzato via facendo emergere la verità. In ogni caso, la fiducia nella giustizia e il rispetto per le istituzioni — che ci hanno guidato finora e che continueranno a guidarci in futuro— non significano che siamo spettatori passivi: abbiamo conferito mandato al nostro legale di agire in sede giudiziaria contro tutti coloro che a qualsiasi titolo partecipano e parteciperanno a questo deplorevole tiro al bersaglio».
"Vediamo gli effetti dell'alcol...". I legali di Grillo contro la ragazza. 28 Aprile 2021 su Il Giornale. Verrà effettuata un'indagine antropometrica forense e verranno visionate le foto per "stabilire altezza, peso, massa grassa e massa magra della ragazza". Quel video pubblicato su Facebook da Beppe Grillo per sfogarsi ha inevitabilmente portato a valutare un cambio di passo nella gestione mediatica della vicenda. Gli avvocati difensori dei quattro ragazzi hanno smentito l'ipotesi di rendere noto il video di quella notte tra il 16 e il 17 luglio 2019, ma comunque qualcosa starebbe cambiando. Adesso ognuno sembra andare per la propria strada: prima uno degli amici di Ciro ha scaricato il comico genovese e ha criticato lo sfogo choc sui social, poi uno degli amici del figlio si è sfilato dall'accusa di stupro dicendo di non sapere cosa sia successo mentre lui dormiva. Nel frattempo è arrivata un'importante novità da Marco Salvi, medico legale genovese.
Ora Grillo fa indagare sulla ragazza che accusa il figlio. L'uomo sarebbe stato incaricato dalle difese dei componenti del gruppetto per redigere una consulenza che faccia luce su quali fossero le reali condizioni psicofisiche della studentessa italo-svedese quella notte. Come riportato da La Stampa, Salvi dovrebbe effettuare un'indagine antropometrica forense: verrà analizzato il filmato della sera in cui la vittima sostiene di essere stata stuprata e verranno inoltre visionate altre fotografie che la ritraggono. L'obiettivo è quello di "stabilire la possibile reazione all'alcol" da parte della ragazza, dopo aver preso in esame "altezza, peso, massa grassa e massa magra".
I dubbi sulla vodka. La ragazza è stata costretta a bere vodka mentre era tenuta per i capelli? Un amico di Ciro Grillo, contattato da Non è l'arena su La7, ha riferito invece che sarebbe stata proprio lei - di sua spontanea volontà - a cercare di sfidare la comitiva: "Nel video si vede che la ragazza comunque sta benissimo e che noi non costringiamo niente. Per sfida lei ha bevuto la vodka, perché noi non riuscivamo a berla". Quello di Salvi sarà un compito piuttosto complicato, che dovrà basarsi sulle carte, sugli atti dell'indagine e sulle eventuali certificazioni sanitarie che avrà a disposizione. Salvi, che in passato si è occupato del serial killer Donato Bilancia e dell'omicidio di Carlo Giuliani durante il G8, avrebbe già visionato insieme ai legali il video di quella notte: "Nel filmato si vede anche la bottiglia di vodka che la ragazza beve, stabiliremo la marca per indicare la precisa gradazione alcolica e gli effetti che può provocare su una giovane con le caratteristiche della vittima". Sulla base dei racconti dei protagonisti si cercherà di scoprire cosa era stato bevuto prima.
"Grillo pronto al rito abbreviato": la strategia per lo sconto di pena. il 27 Aprile 2021 su Il Giornale. Secondo l'agenzia di stampa Ansa, Ciro Grillo e gli altri sarebbero pronti a chiedere il rito abbreviato in caso di rinvio a giudizio per l'accusa di stupro. Si aprono nuovi scenari nel caso Grillo. L'Ansa riferisce che il figlio di Beppe Grillo e i suoi tre amici potrebbero chiedere il rito abbreviato nel caso in cui venissero rinviati a giudizio per l'accusa di stupro mossa dalla procura di Tempio-Pausania. L'agenzia di stampa ha ricevuto quest'informazione da fonti qualificate, sottolineando che in questo modo è possibile ottenere uno sconto di pena fino a un terzo ma non solo. Percorrere questa strada significa celebrare il processo basandosi esclusivamente su quanto raccolto dal pubblico ministero. È una strada che si percorre soprattutto per sfruttare eventuali lacune negli atti di indagine ed evitare in questo modo il dibattimento, che potrebbe portare molte insidie per i soggetti sotto accusa.
L'ipotesi rito abbreviato. Questa fattispecie risulta essere fondamentale per la difesa di Ciro Grillo e dei suoi amici, perché vorrebbe dire andare a processo cristallizzando le prove sull'ormai noto video di 20 secondi presente sul telefono di uno dei ragazzi, che lo stesso Beppe Grillo ha citato nel suo video in difesa del figlio. Per la difesa quella sarebbe la vera prova che in quella villetta della Costa Smeralda non ci fu nessuno stupro ma fu tutto consensuale. Diversa è la tesi portata avanti dalla procura di Tempio Pausania, secondo la quale la presunta vittima sarebbe stata costretta a bere e, quindi, abusata dai ragazzi. Non si conoscono ancora i tempi della decisione della procura sarda ma pare che a breve potrebbe arrivare la decisione del rinvio a giudizio, anche se non è ancora chiaro se sarà un provvedimento che riguarderà tutti i quattro ragazzi sotto accusa o solo alcuni di loro. Uno di loro nelle scorse ore si è già smarcato dai suoi amici, sostenendo di non aver partecipato all'eventuale stupro. "Ho avuto un rapporto consenziente, eravamo solo io e lei, poi mi sono addormentato. Di ciò che è successo dopo io non so niente", ha detto prendendo le distanze da Ciro Grillo e dagli altri.
Il ruolo del consulente della difesa. Intanto gli avvocati difensori si stanno muovendo in vista di un eventuale processo. Il consulente Marco Salvi è stato incaricato di studiare le dichiarazioni della ragazza italo-svedese che per prima ha denunciato lo stupro: "Il mio sarà un lavoro sulle carte, non devo certo periziare la ragazza. Con a disposizione gli atti dell'indagine, la documentazione, le testimonianze ed eventuali certificazioni sanitarie, il mio compito sarà cercare di capire, dal punto di vista medico legale, le sue condizioni psicofisiche al momento del fatto". Queste le parole di Marco Salvi all'Adnkronos, che ci ha tenuto a sottolineare che "bisognerà stabilire quanto ha bevuto e in che modo ha influito sulle sue capacità, occorrerà analizzare se fosse incapace e si possa parlare di minorata difesa".
Le parole di Rocco Casalino. Intanto, raggiunto da Le Iene, Rocco Casalino ha commentato per la prima volta il video di Beppe Grillo, ormai al centro delle cronache da diversi giorni. "Quello che ho visto io è la reazione soprattutto di un padre, perché sono convinto che lui oggi non userebbe le stesse parole, nel senso che è stato istintivo, era molto di pancia secondo me quel video", ha detto l'ex portavoce di Giuseppe Conte, ricalcando di fatto quanto detto dallo stesso ex premier. Tuttavia, Casalino ha precisato che "ovviamente non condivido le cose dette, io non avrei detto quelle cose". Nonostante propenda per la stigmatizzazione dei contenuti, Rocco Casalino cerca di giustificare in qualche modo quel video: "Credo effettivamente che ci sia una visione maschilista in casi come questo, per cui spesso si cerca di dare la colpa alle donne, e questa è una cosa che va superata. Quello era un video in un momento particolare, lo prenderei come un momento di difficoltà". E proprio in merito a quanto detto da Beppe Grillo, l'ex portavoce ha voluto mettere i paletti anche il M5S: "Il Movimento ha preso una posizione chiara. Differenziandosi dalle esternazioni di Grillo, specialmente sul tema delle donne, anche sul tema della giustizia, sull'indipendenza della magistratura".
Beppe Grillo, il video sull'accusa al figlio di stupro e il commento di Casalino. Le Iene News il 27 aprile 2021. Pochi giorni fa Beppe Grillo, il fondatore del Movimento 5 Stelle, ha pubblicato un video per difendere il figlio accusato di stupro. Le sue parole hanno suscitato grandi polemiche, e fonti M5S avanzano il sospetto che il fondatore abbia potuto subire delle pressioni e dei condizionamenti legati alla situazione. Roberta Rei e Marco Occhipinti sono andati a parlarne con Rocco Casalino, ex portavoce del Movimento: ecco che cosa ci ha detto. Qualche giorno fa Beppe Grillo, il fondatore del Movimento 5 Stelle, ha pubblicato un video per difendere il figlio. Per chi non lo sapesse Ciro Grillo è attualmente indagato insieme a 3 amici per stupro nei confronti di una ragazza di 19 anni: sarebbe avvenuto quasi due anni fa nella casa del comico genovese in Costa Smeralda. Di questo caso ci parlano Roberta Rei e Marco Occhipinti. “Mi hanno stuprata tutti”, ha denunciato una ragazza italo-svedese di 19 anni che era in vacanza in Sardegna con un amico. Il figlio di Grillo e i suoi amici però si dichiarano innocenti e pochi giorni fa è intervenuto il fondatore del Movimento 5 Stelle: “Perché vi siete resi conto che non è vero niente che c’è stato lo stupro, non c’è stato niente. Perché una persona che viene stuprata la mattina al pomeriggio va in kitesurf e dopo 8 giorni fa la denuncia, vi è sembrato strano. Beh, vi è sembrato strano, è strano”, ha detto Grillo nel suo video. “C’è tutto il video passaggio per passaggio e si vede che c’è la consenzietità si vede che c’è il gruppo che ride, che sono ragazzi di 19 anni che si stanno divertendo, che sono in mutande, che sono in mutande e saltellano con il pisello così perché sono quattro co**ioni non quattro stupratori. E io sono stufo che sono due anni, e se dovete arrestare mio figlio perché non ha fatto niente allora arrestate anche me perché ci vado io in galera”, ha aggiunto Grillo. Le parole forti e inaspettato di Beppe Grillo hanno suscitato fortissime polemiche nel mondo politico e nella società civile. In pochi hanno difeso l’entrata a gamba tesa del fondatore del M5S. Tra questi la sottosegretaria alla Giustizia pentastellata e l’ex ministro Danilo Toninelli. “Vada a parlare con la Bongiorno che è senatrice della Lega che difende che difende i genitori, secondo lei non c’è quantomeno un senso di schifosa inopportunità in tutto questo?”, ha detto l’ex titolare del dicastero alle Infrastrutture e trasporti. Insomma, si attacca l’appartenenza politica dell’avvocato della ragazza che denuncia di esser stata stuprata. Proprio la senatrice leghista ha commentato così le parole di Beppe Grillo: “Venti, trenta anni fa quando difendevo le vittime, gli avvocati cercavano sempre sistematicamente di dire ‘qualsiasi cosa succede la vittima in realtà è imputata perché un po’ se l’è cercata un po’ se l’è voluta’, e a me questo fa paura, non si ribaltano i ruoli, noi non ci stiamo”. La strategia degli avvocati degli imputati nei processi per violenza sessuale ricordata dall’avvocato Bongiorno viene ben raccontata da Gian Antonio Stella, che sul Corriere della Sera ricorda il film “Un processo per stupro”. Lo storico documentario di 40 anni fa mostra come sono sempre messe sotto accusa le donne che hanno subito violenza. Il film è stato trasmesso solo due volte per motivi legali, prima di sparire per sempre da ogni palinsesto tv. Nel 1978 una ragazza di 18 anni trova il coraggio di denunciare i suoi aggressori ed ecco le parole della madre di uno dei quattro imputati per quella violenza: “Quello è mio figlio, se no sa quanto me ne fregava a me. E non ha fatto niente di male, non l’ha ammazzata sta ragazza. C’è andato a divertirsi, certo che piaceva pure a lei andare a divertirsi, se no non c’andava con mio figlio. Mio figlio, che aveva moglie e un figlio e lei lo sapeva…”. Questo era il clima nel 1978. Nel suo video Beppe Grillo dice: “Si vede che c’è la consenzientità si vede che c’è il gruppo che ride che sono ragazzi di 19 anni che si stanno divertendo, che sono in mutande, con il pisello così perché sono quattro coglioni non quattro stupratori”.
Nel 1978, ecco come si difendevano gli imputati di stupro: “Non c’è niente, c’ha solo rovinato e basta, ci sta rovinando non capisco manco il motivo insomma”, dice uno. “È una ragazza seria lei che esce alle 4 di notte con due uomini, entra in macchina, è lei la ragazza seria?”, aggiunge un altro. Si cerca insomma di spostare l’attenzione sui comportamenti della vittima. Beppe Grillo nel suo video dice: “Non è vero niente che c’è stato lo stupro, non c’è stato niente. Perché una persona che viene stuprata la mattina al pomeriggio va in kitesurf e dopo 8 giorni fa la denuncia, vi è sembrato strano”. Fa un certo effetto ascoltare le parole dell’avvocato di uno degli imputati in quel processo del 1978: “Tutte le donne sono puttane, tranne mia moglie mia sorella e mia mamma. Signori una violenza carnale con fellatio può essere interrotta con un morsetto, passa immediatamente la voglia a chiunque di continuare, e l’atto è incompatibile con l’ipotesi della violenza” sostiene questo legale. “Tutti e quattro avrebbero incautamente abbandonato nella bocca della loro vittima il membro, il possesso è stato esercitato dalla femmina sui maschi, è lei la parte attiva sono loro passivi, inermi, abbandonati nelle fauci avide di costei. Ma la signorina si fa praticare il cunnilingus! Quindi che cosa è il cunnilingus? Tende al piacere della femmina. E chi la pratica? Il violentatore?”. E purtroppo il peggio deve ancora arrivare: “Avete voluto la parità di diritti? Avete cominciato a scimmiottare l’uomo, voi portavate la veste perché avete voluto mettere i pantaloni? Avete cominciato con il dire perché io alle 9 di sera debbo stare a casa e allora purtroppo ognuna raccoglie i frutti che ha seminato. Se questa ragazza si fosse stata a casa, non si sarebbe verificato niente”. Restano indimenticabili, per fortuna in positivo, le parole di risposta di Tina Lagostena Bassi, la celebre avvocatessa della ragazza: “Io mi chiedo perché, se l’oggetto del reato è una donna in carne ed ossa, perché ci si permette di fare un processo alla ragazza. La vera imputata è la donna, se si fa così è solidarietà maschilista perché solo se la donna viene trasformata in un’imputata, solo così si ottiene che non si facciano denunce per violenza carnale. Secondo me è umiliare una donna venire qui a dire non è né una puttana né niente: una donna ha diritto di essere quello che vuole e senza bisogno di difensori”.
Parole che avrebbero dovuto insegnare molto, ma torniamo al caso a noi contemporaneo. Ovviamente solo la giustizia potrà stabilire se si tratta davvero di uno stupro oppure no. Resta una domanda: perché all’improvviso Grillo se n’è uscito con un video che ha suscitato così tante critiche? Una fonte autorevole all’interno del M5S ci ha confidato il sospetto che il fondatore abbia potuto subire delle pressioni e dei condizionamenti legati alla situazione del figlio. C’è chi pone l’attenzione sui tempi così lunghi delle indagini - circa un anno e nove mesi - e su cosa sarebbe successo nel frattempo nel mondo della politica italiana. È il caso del famoso giornalista Paolo Mieli, che ospite a Cartabianca su Rai3 dice: “La cosa strana ripeto, è che la cosa arriva un anno e mezzo dopo, durante i quali lui prima è stato decisivo per fare il governo Conte Bis, quell’estate stessa, e poi il Governo Draghi”. E Mieli aggiunge: “Dico che qualcuno l’ha indotto a credere che comportandosi bene la cosa non sarebbe mai arrivata davanti a un giudice”. Beppe Grillo nell’ultimo anno e nove mesi si è davvero sentito condizionato da questa tragedia familiare come ipotizzato da qualcuno? Roberta Rei è andato a chiedere queste cose direttamente a Rocco Casalino, l’ex portavoce storico del Movimento 5 Stelle. La Iena ribatte che fonti del Movimento ci hanno detto che in realtà ci sarebbero state delle pressioni/rassicurazioni, a te risulta? Perché questo video è uscito adesso? “No, no. Credo davvero che le ragioni siano da comprendere nell’istinto naturale di un padre nel voler proteggere il proprio figlio. Non credo in nessun’altra dietrologia”. Un anno e nove mesi sono tanti, quindi avrebbero lasciato intendere probabilmente una rassicurazione per cui poi c’è stato questo exploit di rabbia: “Io onestamente non ho elementi per poter sostenere questa tesi”. Perché non l’ha fatto prima allora? “Forse vedere quel video gli ha provocato una reazione d’istinto, e il risultato è stato quello. Sottolineo il fatto che, ovviamente, non condivido le cose dette. Io non avrei detto quelle cose”. Cos’è che ha sbagliato, secondo te? “Voi volete farmi entrare dentro, eh?”. Però è giusto che si commenti questa cosa, perché dire ‘il ruggito ferito di un padre’… però non è giustificabile questo ruggito: “Ragazzi, io non vorrei fare l’intervista. Mi fate mangiare un panino?”. In cosa ha sbagliato Grillo? Anche nei confronti di questa presunta vittima si crea un dibattito spiacevole… “Beh, il Movimento ha preso una posizione chiara, differenziandosi dalle esternazioni di Grillo, specialmente sul tema delle donne, anche sul tema della giustizia, sull’indipendenza della magistratura”, ribatte Casalino. Ma non c’è stato un accenno alla ragazza, umanamente: “Io non avrei fatto così. Ragazzi dovete anche capire che succede a qualsiasi essere umano di essere coinvolto sentimentalmente da una vicenda e in quel momento si può perdere diciamo in razionalità. Se lo vedi quel video si vede che non è razionale”. Visto che non ci hai parlato con Beppe, cosa gli vuoi dire? “Eh forza, perché immagino sia un momento difficile quindi gli faccio un grandissimo in bocca al lupo e… e basta!” lo facciamo anche alla ragazza? “Assolutamente!”. In questa storia orribile, al di là di quello che ne sarà... “Assolutamente, il vero dramma è questo no? Tutte le parti, stanno soffrendo tutti in questa situazione…”. Le donne che denunciano poi durante il processo diventano imputate, cioè questa colpevolizzazione delle vittime, cosa ne pensi? “Allora, credo effettivamente che ci sia una visione maschilista in casi come questo per cui spesso si cerca di dare la colpa alle donne, e questa è una cosa che va superata. Quello era un video in un momento particolare, lo prenderei come un momento di difficoltà”. Il danno è fatto però… “Eh lo so, succede, però succede quando ti fai travolgere dalle emozioni”. Un discorso del genere porta al classico meccanismo di colpevolizzazione della vittima soprattutto donna … “Ma questo è un errore, lui avrà modo di chiarirsi secondo me”.
Anticipazione da “Le Iene” " il 27 aprile 2021. “La Bongiorno? Io il dubbio me lo porrei, se sei avvocato di un partito mi sembra un intreccio che forse andrebbe evitato”. Rocco Casalino, che non si era ancora espresso in nessun modo sullo sfogo pubblico del comico genovese, commenta il caso Grillo nel servizio de “Le Iene” di Roberta Rei e Marco Occhipinti in onda stasera, 27 aprile, in prima serata, su Italia1. Roberta Rei ha cercato l’ex storico capo della comunicazione dei pentastellati, per chiedergli cosa ne pensasse del video shock pubblicato da Beppe Grillo qualche giorno fa sul caso di cronaca che vede coinvolto suo figlio Ciro e tre suoi amici, denunciati da una ragazza italo svedese di 19 anni, per violenza sessuale. Grillo, dopo aver commentato il comportamento della presunta vittima della violenza, ha parlato anche di suo figlio, dei suoi amici (che si dichiarano innocenti, ndr.) e di un filmato girato la sera in cui si sarebbe consumato l’abuso. Quelle del politico sono state parole forti, inaspettate che nella politica hanno generato moltissime polemiche e anche la senatrice Giulia Bongiorno, avvocato della ragazza che ha denunciato, è stata attaccata. Casalino: Non mi fate esprimere nulla, intanto massima comprensione per il dolore di un padre che sta vivendo sicuramente una situazione difficile, poi nel merito ovviamente non avrei usato quelle parole ma non mi far esporre…
Rei: Fonti del Movimento ci hanno detto che in realtà ci sarebbero state delle pressioni/rassicurazioni. A te risulta? Cioè, perché questo video è uscito ora?
Casalino: Credo davvero che le ragioni siano da comprendere nell’istinto naturale di un padre nel voler proteggere il proprio figlio, non credo in nessun’altra dietrologia insomma…
Rei: Perché un anno e nove mesi sono tanti, è stato detto un po’ ovunque, quindi avrebbero lasciato intendere probabilmente una rassicurazione per cui poi c’è stato questo exploit di rabbia…
Casalino: Io onestamente non ho elementi da poter sostenere questa tesi.
Rei: Cioè un anno e nove mesi non sono tanti secondo te?
Casalino: Quello che ho visto io è la reazione soprattutto di un padre, perché sono convinto che lui oggi non userebbe le stesse parole, nel senso che è stato, istintivo, era molto di pancia secondo me quel video no?
Rei: Eh però perché non l’ha fatto prima allora scusa?
Casalino: No appunto, forse vedere il video, quel video, gli ha provocato una reazione di istinto e il risultato è stato quello. Sottolineo il fatto che ovviamente non condivido le cose dette, io non avrei detto quelle cose.
Rei: Cos’è che ha sbagliato secondo te?
Casalino: No secondo me… tu mi vuoi far entrare dentro, no?
Rei: È giusto che si commenti questa cosa, cioè, perché dire “il ruggito ferito di un papà”, non è giustificabile questo ruggito.
Casalino: Ragazzi, io non vorrei fare le interviste, mi fate mangiare un panino?
Rei: In cosa ha sbagliato? Anche nei confronti di questa presunta vittima che è un dibattito spiacevole.
Casalino: Beh il Movimento ha preso una posizione chiara. Differenziandosi dalle esternazioni di Grillo, specialmente sul tema delle donne, anche sul tema della giustizia, sull’indipendenza della Magistratura.
Rei: Ma non c’è stato un accenno alla ragazza… questo umanamente, visto che tu hai un ruolo politico…
Casalino: Io non avrei fatto così… io… ragazzi dovete anche capire che succede a qualsiasi essere umano di essere coinvolto sentimentalmente da una vicenda e in quel momento si può perdere, diciamo, in razionalità… se lo vedi quel video si vede che non è razionale no?
Rei: No, no, io capisco il dolore del padre ma perché lo devi esternare in questo modo?
Casalino: Pensava di difendere così suo figlio, no?
Rei: Grave questo però no? Perché la difesa si fa in tribunale…
Casalino: …ma un padre che difende il proprio figlio, credo che sia normale, lo fanno tutti i genitori che hanno i propri figli con problemi giudiziari.
Rei: Ha leso al Movimento però questa esternazione
Casalino: Eh, questa è una valutazione che… non la voglio fare io, ma perché mi... io voglio mangiare il panino!
Rei: Vabbè il panino si sta cuocendo quindi possiamo aspettare!
Casalino: No, non l’ho ancora ordinato!
Rei: Ci ricordiamo le frasi che sono state usate dal Movimento nei confronti delle donne? Cito un nome, Boldrini. Persino la Montalcini che è stata chiamata p*****a.
Casalino: Nahhhh! No no no!
Rei: Ti prego, da chi sono venute queste parole?
Casalino: Non fate questo giochino, non fate questo giochino!
Rei: No ma da chi sono venute?
Casalino: Non sono mai venute da nessun esponente del Movimento 5 stelle.
Rei: non sono mai venute? Boldrini, tutte quelle cose…
Casalino: Mai, mai.
Rei: Mai?
Casalino: Tu non troverai mai...
Rei: Visto che non ci hai parlato con Beppe gli vuoi dire qualcosa? Cosa gli diresti se potessi parlarci?
Casalino: Eh, forza! Perché immagino sia un momento difficile quindi gli faccio un grandissimo in bocca al lupo e… e basta! Però lasciatemi stare!
Rei: Lo facciamo anche alla ragazza perché vuoi o non vuoi?
Casalino: Assolutamente!!!
Rei: Sono coinvolte anche delle ragazze in questa storia orribile, al di là di quello che ne sarà.
Casalino: Assolutamente, il vero dramma è questo, no? Tutte le parti, stanno soffrendo tutti in questa situazione.
Rei: Questa questione che la Bongiorno sia anche della Lega.
Casalino: Beh, io il dubbio me lo porrei, cioè se sei avvocato di un partito, è stato ministro di quel partito, mi sembra un intreccio che forse andrebbe evitato, però…
Rei: Secondo te doveva evitare di accettare?
Casalino: Mah, è un tema questo, è un tema sicuramente in cui… io vorrei non entrare, cioè voglio starne fuori.
Rei: Speriamo che almeno in quanto a comunicazione, qualche suggerimento potresti darlo visto che i toni sono stati eccessivi…
Casalino: Tu comunque sei terribile, ti conoscevo, sei terribile… dai ragazzi dai vi voglio bene, vi voglio bene!
Rei: Le donne che denunciano e durante il processo diventano poi imputate, di questa colpevolizzazione delle vittime, cosa ne pensi?
Casalino: Allora, credo effettivamente che ci sia una visione maschilista in casi come questo per cui spesso si cerca di dare la colpa alle donne, e questa è una cosa che va superata. Quello era un video in un momento particolare, lo prenderei come un momento di difficoltà.
Rei: Il danno è fatto però.
Casalino: Eh lo so, succede, però succede quando ti fai travolgere dalle emozioni, succede a tutti gli esseri umani di sbagliare in un momento emotivo particolare, no?
Rei: No, avrebbe potuto anche chiedere scusa ora, perché comunque, un discorso del genere porta al classico meccanismo di colpevolizzazione della vittima, soprattutto una donna.
Casalino: Ma questo è un errore.
Rei: Io ti dico che non si fa.
Casalino: Lui avrà modo di chiarirsi secondo me… va bene? Chiaramente solo un eventuale processo potrà stabilire se quello che è avvenuto in casa del comico fu stupro oppure una serata tra ragazzi in cerca di divertimento con il consenso della ragazza, ma la domanda che pone l’inviata è: com’è che Grillo all’improvviso se n’è uscito con un video che ha suscitato così tante critiche? Fonti autorevoli dentro al Movimento 5 Stelle avanzerebbero il sospetto che il fondatore abbia potuto subire delle pressioni e dei condizionamenti legate alla situazione del figlio. C’è chi pone l’attenzione sui tempi così lunghi delle indagini, circa un anno e 9 mesi, e su cosa sia successo, nel frattempo, nel mondo della politica italiana. Beppe Grillo nell’ultimo anno e nove mesi si è davvero sentito sotto ricatto o condizionato da questa tragedia familiare come ipotizzato da qualcuno? Cosa lo ha portato a esplodere così in un video? È solo il dolore di un padre che vuole difendere il figlio o c’è dell’altro?
Dritto e Rovescio, Matteo Salvini contro Toninelli in difesa del video di Beppe Grillo: "Fuori dal mondo, una vergogna". Libero Quotidiano il 30 aprile 2021. Si parla ancora, e non potrebbe essere altrimenti, del video di Beppe Grillo in difesa del figlio. Se ne parla ancora a Dritto e Rovescio, il programma di Paolo Del Debbio in onda su Rete 4, la puntata è quella di giovedì 29 aprile. Ospite in collegamento c'è Matteo Salvini, al quale vengono proposte le deliranti affermazioni di Danilo Toninelli in difesa del comico M5s, insomma in difesa del suo capo. Quando Toninelli chiedevano se Grillo l'avesse sparata grossa, rispondeva: "No, no, vi sbagliate". "Ma come... ha detto che è strano denunciare dopo otto giorni", gli faceva notare l'intervistatore. E dunque l'ex ministro e reginetto di gaffe: "Lei commette un errore enorme. Lei mi estrapola quella frase da un discorso generale che non viene ricordato, neppure da lei. Sa perché Grillo ha fatto questo video? Da giorni, ormai su tutti i giornali, di fianco alla foto del figlio di Grillo c'era scritto stupratore. La sentenza mediatica era già stata data", sparacchia Toninelli. Senza vergogna. Senza rispetto per la ragazza di fatto accusata dal comico. "Non c'è solo la rabbia e la sofferenza del presunto accusatore - riprende Toninelli -, ma anche quella della persona che magari viene ingiustamente accusata. Quasi tutti i garantisti, contro Beppe Grillo si sono trasformati in giustizialisti", conclude. Parole che mettono i brividi. Dunque, si torna in studio e viene chiesto un commento a Salvini su quanto visto. E il leghista non fa sconti: "Toninelli? Simpatico ma un po' confuso. I grillini per anni hanno invocato galera per chiunque passeggiasse per strada e fosse sospettato di qualcosa... ma se ad essere indagato è il figlio del loro capo, allora no. Bisogna aspettare, non si può giudicare...", rimarca. "Da padre non commento lo sfogo di un padre. Ma commento il politico, il signor Grillo è il capo politico di quel partito, che sostanzialmente mette sul banco degli imputati la ragazza che ha denunciato lo stupro perché lo ha fatto in ritardo. Questa è una roba che da genitore mi fa schifo, mi fa ribrezzo. Difendi tuo figlio come vuoi ma non tirare in ballo una povera ragazza che ha denunciato una violenza. E che Toninelli difenda una roba del genere è fuori dal mondo", conclude Salvini.
Quel silenzio assordante dei 5S su Grillo. Daniele Dell'Orco il 29 Aprile 2021 su Il Giornale. Il leader leghista torna a commentare la video-difesa del fondatore del M5S per scagionare il figlio Ciro, accusato di stupro. E le esponenti grilline sono sempre più costrette alle piroette. "Grillo? Vergognoso il silenzio di donne e uomini 5stelle". Ci va giù pesante Matteo Salvini, che sui social torna a commentare le accuse di stupro a carico di Ciro Grillo, ma soprattutto l'arringa social in difesa del figlio da parte del comico genovese. Grillo, di fatto, per smontare le tesi accusatorie, ricorre ai tipici cliché che vengono utilizzati in casi del genere per minimizzare la posizione dell'accusato e, addirittura, addossare le colpe sull'accusatrice. Ma mentre dalla Procura di Tempio Pausania sarebbero emersi nuovi elementi contro il gruppo di ragazzi accusati di violenza sessuale tali da far slittare ancora l'eventuale rinvio a giudizio, il leader leghista si concentra sulla polemica politica scatenata dal video di Grillo: "Il padre Beppe Grillo non lo commento, il politico Beppe Grillo invece sì: vergogna!", tuona. Il riferimento è al silenzio, davvero assordante, degli ambienti grillini e paragrillini, da sempre giustizialisti, da sempre manettari, da sempre pronti ad alimentare la cultura del sospetto contro chiunque. Stavolta, invece, tacciono quando va bene, si inerpicano in ricostruzioni fantasiose quando va male. È accaduto alla sottosegretaria alla Giustizia Anna Macina, che in un'intervista al Corriere della Sera aveva addirittura rigirato la frittata insinuando che proprio Salvini avesse visto il video incriminato tramite Giulia Bongiorno, senatrice della Lega ma soprattutto avvocato difensore della ragazza che ha denunciato la violenza. Drammatica anche la posizione di Federica Daga, deputata pentastellata a sua volta vittima in passato di una relazione violenta. Dopo aver risposto alle interviste dei giornalisti raccontando la sua brutta storia personale, la Daga si è dovuta "giustificare" sui suoi social dalle accuse dei commentatori di parte, troppo impegnati a difendere l'Elevato Beppe: "Io non ho commentato le parole di Grillo - rettifica la Daga -. Quando sono stata contattata dai giornalisti per commentare le sue parole (lo fanno continuamente) io ho preferito raccontare la mia storia personale, di quanto sia stato difficile arrivare a denunciare, perché ci ho messo quasi 6 mesi a trovare la forza di farlo. È tutto qui. Il resto non mi interessa!" Poco dopo, chiarisce ancor di più la linea: "Ci hanno chiamato per creare polemica". Insomma, il problema non sono le posizioni di Grillo, bensì l'interesse, legittimo, di osservatori, giornalisti, commentatori e semplici cittadini che si chiedono come mai di fronte a frasi così gravi esponenti politici sia uomini che donne del M5S facciano così tanta fatica a dissociarsi. Silenzio totale sulla vicenda, ad esempio, dal sindaco di Torino Chiara Appendino, che pure lo scorso 25 novembre, giornata contro la violenza sulle donne, diceva: "La violenza sulle donne è un dramma che abbiamo il dovere di ricordare e combattere con tutte le nostre forze". E silenzio pure dal sindaco di Roma, Virginia Raggi, che nella stessa occasione inaugurò un nuovo Centro Antiviolenza nel Municipio XV. della Capitale al grido di: "Nessuna donna è sola". Ma la lista è lunghissima. Più salomonica Maria Elena Spadoni, vicepresidente della Camera: "Io aspetto le sentenze. Personalmente ritengo che ogni donna debba poter denunciare in qualsiasi momento". Addirittura in versione garantista, invece, la vicepresidente del Senato Paola Taverna, la stessa che due anni fa plaudiva al codice rosso di Bonafede augurandosi "Tolleranza zero verso chi commette violenza sulle donne". Stavolta invece dice: "La magistratura è al lavoro, perciò auspico che giornali e talk show lascino che questa vicenda si risolva, come giusto che sia, in tribunale. Serve rispetto: no a speculazioni da sciacalli". Una lettura interessante e ben più basilare per motivare il silenzio pentastellato la offre Piernicola Pedicini, eurodeputato eletto nel Movimento Cinque Stelle e ora nei Verdi: "E chi si permette di dire qualcosa contro Beppe Grillo? Nessuno lo fa, sapendo che il rischio è di non essere più candidati", dice all'AdnKronos. La parola d'ordine, insomma, sarebbe sempre quella: salvare la poltrona.
Quel sospetto sul caso Grillo: ecco perché la sinistra ha taciuto. 27 Aprile 2021 su Il Giornale. Il silenzio tombale delle femministe sulle accuse a Grillo e il dubbio che le tormenta sull'alleanza M5S-Pd contro il centrodestra. All'inizio era solo un dubbio, un'idea, un caso di scuola giuridico. Ora la questione sta emergendo anche come una sorta di senso di colpa del mondo femminista. I piani sono diversi, ma il principio di fondo appare identico, come le facce di una stessa medaglia fatta di due pesi e due misure. Il primo a lanciare il sasso nello stagno era stato il direttore di questo Giornale il giorno successivo alla sparata di Beppe Grillo in difesa del figlio Ciro. Alessandro Sallusti si accorse di una “anomalia” in particolare, ovvero il fatto che “un’inchiesta per stupro che coinvolge il figlio di un leader di governo sia stata tenuta nel cassetto a differenza di qualsiasi altra” e che l’accelerazione sia arrivata “poche settimane dopo che i grillini hanno perso il controllo del ministero della Giustizia”. Possibile? Sarebbe giuridicamente gravissimo, e per ora resta solo un'ipotesi. Ma questo usare i guanti bianchi nei confronti dei Grillo si è sicuramente registrato nel mondo dei media, dei commentatori e delle indignate di professione. Il vicedirettore Nicola Porro fece infatti notare che la “gogna mediatica” contro il figlio - denunciata dal comico in quel filmato - in realtà non ci sia mai stata. Anzi: “Della vicenda ne hanno parlato in pochissimi, tutti gli altri si sono mossi in punta di piedi, per non disturbare l’inciucione tra pentastellati, Pd, Matteo Renzi e Leu”. Altrimenti che dovrebbe dire “Fausto Brizzi, vittima di accuse montate, ma linciato e sputtanato in men che non si dica”? Il terzo indizio, e chissà se fa una prova, lo confeziona oggi la scrittrice Camilla Baresani su Domani. Già, perché dopo il video dell’Elevato si sono sollevate tante voci di protesta, anche dal mondo femminista di sinistra, ma prima dello sfogo in poche avevano provato lo stesso “stimolo ad intervenire”. Perché? “La lunghezza dell’iter investigativo mi sembrava anomala - scrive Baresani -, l’oblio che avvolgeva il caso mi stupiva e la vicenda toccava profondamente il mio senso di ingiustizia”. Come mai allora starsene zitte, "quando invece sulla vicenda di Alberto Genovese e su tanti altri presunti stupri non ancora arrivati al rinvio a giudizio siamo state ben più loquaci”? Smanettando un po’ online il divario appare in tutta la sua sproporzione. Dopo le notizie su Genovese, per dire, il movimento “Non una di meno” protestò sotto gli uffici dello “stupratore” a Milano. Non appaiono invece iniziative simili a Genova quando emerse per la prima volta l'indagine ai danni di Grillo. Perché cotanto silenzio? Ora, da garantisti viene da dire che la retta via sarebbe proprio questa: attendere la fine del processo prima di condannare chicchessia alla gogna mediatica. Sarebbe sintomo di civiltà giuridica raggiunta, anche perché la colpa dei padri non può mai ricadere sui figli. Figuriamoci il contrario. Ma il problema in questo caso sono i due pesi e le due misure utilizzate. Nel caso di Genovese (che poi tanto diverso da quello di Ciro Grillo non è) l'indignazione fu unanime e la solerzia della procura immediata. E non è che il fondatore di Facile.it fosse più “famoso” del figlio dell’Elevato grillino. No. Anche sul presunto stupro in Sardegna “c’era ogni possibile elemento per avviare una riflessione e quantomeno fare notizia”. C’erano l’isola festaiola, la compagnia di ragazzi benestanti, le ragazze milanesi, il padre politico col vizio di fare il moralista con le vicende giudiziarie degli altri. Insomma: tutte le carte in regola per sentire la voce sdegnata di femminismi e “#senonoraquando” di turno. E invece? Invece abbiamo registrato solo una “cappa di silenzio”, una “soffusa indifferenza”. Perché? Ipotizza Baresani: “Abbiamo forse temuto che, parlandone, potessero incrinarsi le basi dell'alleanza di governo tra Cinque stelle e Pd, dando così un contributo al ritorno del centrodestra al governo?” La domanda è legittima. E la riflessione tragica. Perché se fosse davvero questo il motivo, minerebbe alla base la credibilità di un movimento che si strilla sempre tranne quando c'è il rischio di coinvolgere interessi di parte, solitamente dalla parte sinistra. Che poi in fondo è il solito, stranoto, giochino che da tempo si manifesta sulle violenze contro le donne: se la vittima è un ministro di centrodestra o una leader di Fratelli d'Italia, anche l'odio è lecito. Doppiopesismo à la gauche.
Ora Grillo fa indagare sulla ragazza che accusa il figlio. 27 Aprile 2021 su Il Giornale. Beppe Grillo avrebbe avviato un'indagine privata su Silva, la ragazza diciannovenne che accusa il figlio Ciro e gli amici di violenza sessuale. Non è bastato a Beppe Grillo il videomessaggio social a difesa del figlio, accusato di stupro, per sedare le polemiche di questi giorni ed evitare la gogna mediatica. E allora, meglio rivolgersi a un pool di esperti per scagionare Ciro dalla pesantissima taccia di violenza sessuale. Stando a quanto si apprende dal quotidiano La Repubblica, infatti, il leader del Movimento Cinque Stelle, avrebbe deciso di avviare una "indagine privata" sulla ragazza italo-svedese che ha denunciato il presunto abuso consumatosi la notte del 17 luglio 2019, a Porto Cervo.
L'indagine privata sulla ragazza. Non intende darsi per vinto Beppe Grillo, costi quel costi. E dunque chiama in causa il medico legale Marco Salvi, che in passato si è occupato del serial killer Donato Bilancia e dell'omicidio di Carlo Giuliani durante il G8. Non il primo capitato a tiro, insomma. Al professionista spetterà l'arduo compito di scandagliare filmati e foto della ragazza 19enne che accusa il figlio del Guru pentastellato di stupro al fine di ricostruire, in maniera dettagliata, la condotta della vittima nei giorni successivi alla presunta violenza sessuale. L'intento sembrerebbe quello di "inchiodare" Silvia: era consenziente quella notte, aveva bevuto? L'ex comico punta tutto su qualche frame video col rischio di finire nuovamente alla gogna mediatica dopo la sortita choc dei giorni scorsi. Insomma, a diritto o a torto, l'effetto boomerang sembra inevitabile.
Intanto, mentre la Procura di Tempio Pausania sta decidendo se chiedere il rinvio a giudizio per Ciro, Francesco Corsiglia, Edoardo Capitta e Vittorio Lauria - o solo per qualcuno di loro - la seconda notizia arriva dal fronte dei legali che difendono i quattro ragazzi genovesi. "Quando saranno chiarite alcune cose, qualcuno si toglierà il sassolino dalla scarpa", aveva detto uno dei sei avvocati che difendono i quattro giovani quando ha visto il video (non concordato) sul blog di Beppe. E ieri lo ha ripetuto per l'ennesima volta. Tempo al tempo, verrebbe da dire.
La confessione dell'amico di grillo: "lei era consenziente". Dopo settimane di silenzio, Vittorio Lauria - uno dei 4 ragazzi sospettati di stupro - ha deciso di fornire la sua (personalissima) versione dei fatti. Lo ha fatto ieri sera, nel salotto di Massimo Giletti, con dichiarazioni a dir poco sconcertanti. "Sì, abbiamo fatto sesso tutti e quattro con la ragazza", ha ammesso pubblicamente. Poi si è difeso: "Nel video si vede che la ragazza comunque sta benissimo e che noi non costringiamo niente", ha raccontato il giovane. La sua tesi è che Silvia abbia "bevuto la vodka per sfida, perché noi non riuscivamo a berla. E poi è andata a dire che l'ho presa per la gola". Insomma, un tentativo di far passare la vittima come una che ben sapeva cosa stesse accadendo. Quasi al lasciar intendere una sorta di mènage à quatre in cui tutti i partecipanti sarebbero stati consenzienti. In buona sostanza, una narrazione in scia con il video di Beppe Grillo. Anche se Lauria condanna il filmato del leader pentastellato: "Secondo me non andava fatto". Dal racconto del ragazzo sembrerebbe che il rapporto sessuale in gruppo sia avvenuto dopo la bevuta. Vi avrebbero partecipato Ciro, Capitta e Lauria. Il quarto indagato, Corsiglia (figlio di un noto cardiologo), invece, con Silvia avrebbe avuto un rapporto consenziente e di coppia, durante la notte. "Poi - ha concluso Lauria - sono andato a dormire, di quello che è successo dopo non so nulla".
Travaglio smemorato nasconde il condannato Grillo. 27 Aprile 2021 su Il Giornale. Il direttore del Fatto all'attacco di Forza Italia, Lega e Italia Viva. Ma si scorda il suo neonato "garantismo" e la sentenza su Grillo. No ma deve essere sicuramente una dimenticanza. Di più: per farlo entrare nelle poche battute richieste da un editoriale, un redattore guascone deve aver tagliato il pezzo senza dirlo a Sua Maestà. Non può essere altrimenti. Perché il professionista del rigore, il contabile dei guai giudiziari altrui, non può mica essersi perso un dettaglio così. Ormai da giorni il direttore del Fatto Quotidiano vive un Travaglio di quelli che lasciano il segno. Il problema non è tanto l’indagine su Ciro Grillo: quelli sono fattacci del pargolo. A corrodere l’animo del giornalista è la sguaiata reazione di babbo Beppe. Il quale dopo aver cavalcato l’onda forcaiola a suon di “vaffa” e avvisi di garanzia scambiati per sentenze della Cassazione, adesso ha scoperto le magagne del processo mediatico che non ti lascia respirare un attimo quando finisci nelle mani della magistratura. Travaglio una settimana fa ha preso le sue difese, trasformandosi nel più convinto dei garantisti: Grillo “non ha sbagliato a difendere il figlio” perché sarà il Gup a decidere se Ciro va processato o meno, anche se tutti “parlano come se lo stupro fosse già certo, senza non dico una sentenza, ma neppure un rinvio a giudizio”. Lui, capite? Il Re de manettari. E già questa doppia capriola carpiata era apparsa imbarazzante se non sospetta. Ma l’acme del favoritismo a senso unico l’ha raggiunto solo oggi. Nel giudicare l’intervista di ieri al ministro Cartabia sulla Stampa, Travaglio si lascia andare ad un commento sulla composizione dell’esecutivo Draghi. Scrive: “Un governo con un partito guidato da un pregiudicato (Fi), uno da un imputato (Lega) e uno da un indagato (Iv) meno si avvicina alla giustizia e meglio è per tutti”. Ma come: ma non aveva detto che prima di emettere un responso sarebbe meglio attendere “non dico una sentenza, ma almeno un rinvio a giudizio”? Se lo è dimenticato? Renzi è “indagato” tanto quanto Ciro Grillo. E Salvini “imputato” al pari di tanti altri che poi risultano innocenti. E infine, scusi direttore, ma forse le è sfuggito un piccolo, piccolissimo dettaglio. Perché deve sapere che all’attuale governo partecipa anche un altro partito, il M5S, fondato nientepopodimenoche da un condannato in Appello e in Cassazione. Lo stesso (ex) leader per cui oggi Travaglio si spertica in pericolose altalene di coscienza. Direttore: come mai Grillo in quell'elenco non c’è? Sarà stata sicuramente una svista. O un taglio non voluto del pezzo. Vero?
L'ex ministro non è mai
intervenuto. Ciro Grillo, inchiesta al ralent0: Procura in affanno ma Bonafede
voltò le spalle.
Aldo Torchiaro su Il Riformista il 27 Aprile 2021. Il caso Ciro
Grillo, indagato per violenza sessuale a Porto Cervo del luglio di due
anni fa, arriva tra pochi giorni al rinvio a giudizio. Nella migliore delle
ipotesi, saranno trascorsi ventidue mesi dal fatto: un arco temporale lungo,
soprattutto dopo l’introduzione del codice rosso che indica priorità massima per
i reati a sfondo sessuale.
«Indagini complesse possono portare via molto tempo anche nella fase
preliminare», chiariscono gli organi della magistratura che abbiamo sentito.
Beninteso che la complessità è a sua volta affrontata diversamente dalla
dotazione organica, dagli uomini e dai mezzi disponibili. E qui si apre un
dossier assai spinoso: la Procura di Tempio Pausania, malgrado
avesse avvertito della gravità del caso – il figlio del leader del primo partito
politico italiano accusato di stupro, un fatto unico nella storia – è stata
tenuta sotto al minimo dell’organico necessario per il regolare funzionamento
degli uffici. L’11 maggio 2018 arriva a Tempio Pausania il nuovo
Procuratore capo, Gregorio Capasso, da Latina. Era già stato a Crotone, altra
frontiera. Ma rispetto ad altre situazioni, quella gallurese sembra essere stata
a lungo considerata, e certo a torto, una frontiera di serie B. Eppure ha un
territorio vasto e particolarissimo: poco popolata durante l’anno, diventa tra
le principali mete turistiche nella stagione estiva. E se il dato della
popolazione residente la incolla a una irrisoria dotazione di personale
giudiziario, la Procura gallurese deve far fronte durante quattro mesi l’anno ad
un numero impressionante di reati, civili e penali. Risse, accoltellamenti,
ubriachezza molesta sono all’ordine del giorno. Usura, armi. E tanta droga. La
quantità di stupefacenti sequestrata in Costa Smeralda è la seconda in
Italia, dopo la Campania. Al Procuratore capo Gregorio Capasso si tributa
il merito della buona volontà: «Fa il massimo del possibile, che è molto poco
data la situazione», ci dicono dalla redazione de La
Nuova Sardegna i colleghi della giudiziaria. Insediatosi solo l’anno
prima, avviando le indagini su Ciro Grillo le premesse erano più che
energiche: «L’inchiesta è secretata – aveva detto all’Ansa il
procuratore capo a fine agosto – Posso solo dire che daremo una forte accelerata
alle indagini per arrivare alle conclusioni il prima possibile, nel rispetto
della tutela della vittima e degli indagati». Il prima possibile è diventato 22
mesi. E non per caso. La situazione di carenza nell’organico e nelle dotazioni è
diventata dal luglio 2019 insostenibile, la Procura è stata letteralmente
azzoppata. Ad inizio indagini, il dottor Capasso aveva firmato l’ordine di
sequestro dei cellulari degli indagati. I Carabinieri avevano raggiunto Ciro
Grillo il 29 Agosto, in Versilia, mentre in contemporanea scattavano le
perquisizioni a carico degli altri indagati. Sottoposti all’esame del perito
incaricato dalla Procura, i cellulari avevano restituito il loro carico
di messaggi, foto e altri elementi utili alle indagini, fra cui –
presumibilmente – l’ormai famigerato video girato durante lo stupro. Poi, la Costa
Smeralda si è trasformata nel porto delle nebbie. I tempi lunghi, come a voler
concedere una speranza ad una diversa conclusione della vicenda. A un
ripensamento, forse, o a una diversa presa di posizione delle parti.
Cristallizzato lo stato dei fatti al luglio 2019, siamo arrivati ormai al maggio
2021. «Abbiamo denunciato l’incredibile paralisi degli uffici giudiziari di
Tempio, dove si rasenta l’interruzione di pubblico servizio», ci dice Carlo
Selis, presidente dell’ordine degli avvocati di Tempio Pausania.
«È un momento di gravissima crisi per il tribunale di Tempio. Abbiamo parlato
più volte di denegata giustizia, il tribunale non riesce a lavorare. Segue un
territorio vasto e importante, sotto dotato rispetto alle esigenze. Siamo
sottodimensionati, mancano magistrati, procuratori, dipendenti amministrativi.
Il dottor Capasso non ha un sostituto». Ed è stato chiesto, in questi due anni,
a gran voce. Da parte dell’Anm e da parte degli avvocati. «Al ministro Bonafede
in questi ultimi due anni abbiamo mandato ogni tipo di sollecitazione. Noi
avvocati nel 2020 abbiamo fatto sei mesi di astensione dal lavoro; abbiamo
protestato perché c’è chi tiene bloccata questa Procura. E sa cosa ha
fatto il Ministero? Anziché parlare con noi, ci ha comminato 20.000 euro di
sanzione». Le regole sull’astensione dal lavoro degli avvocati sono rigide, ma
lasciarli del tutto inascoltati è stato ingeneroso. «Più volte negli ultimi due
anni abbiamo fatto presente l’inadeguatezza della struttura, anche in virtù del
delicatissimo svolgimento delle indagini su Ciro Grillo. Da Bonafede nessuna
replica. Anzi. La situazione è andata peggiorando, con l’avvitamento del carico
pendente, il 72% di magistrati chiede subito di andare via, il turn over più
alto d’Italia. Perché chi viene qui si rende conto che non ci sono le
condizioni», si sfoga Selis. «Abbiamo chiesto l’intervento della politica,
ma Bonafede non è mai venuto qui», aggiunge. Guarda caso. «Capasso è un
magistrato che si è dato da fare, nei limiti dell’organizzazione possibile. Ma
senza un sostituto, cosa può fare da solo? Questo tribunale gestisce interessi
economici molto grandi. Moltissimi processi per stupefacenti, perché Olbia è un
centro di traffico». E il caso Grillo. «Manca chi smaltisce il lavoro –
prosegue l’avvocato Selis – e basta un dato del penale per capirci: abbiamo un
tasso di prescrizione del 80%, otto processi su dieci non si concludono con una
sentenza di merito, ma con la prescrizione. La media italiana è la metà, 40%».
Aldo Torchiaro. Romano e romanista, sociolinguista, ricercatore, è giornalista dal 2005 e collabora con il Riformista per la politica, la giustizia, le interviste e le inchieste.
Non è l'arena, Alessandro Sallusti e "l'anomalia Ciro Grillo": "Se al suo posto ci fosse stato il figlio di Berlusconi o della Meloni..." Libero Quotidiano il 31 maggio 2021. Sul caso di Ciro Grillo "c'è un'anomalia grande come una casa". Alessandro Sallusti, in collegamento con Massimo Giletti a Non è l'arena su La7 punta il dito sulle implicazioni politiche dell'inchiesta per stupro che vede accusati il figlio di Beppe Grillo e tre suoi amici a Tempio Pausania, in Sardegna. "Il dottore Palamara mi ha raccontato che quando ci sono di mezzo dei politici, le inchieste possono essere accelerate, ritardate, imboscate, depistate in base alla convenienza che il sistema ha rispetto a quel politico. In questa vicenda c'è di mezzo il capo del partito che all'epoca dei fatti era l'azionista di maggioranza di governo e che esprimeva il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede". "Non credo sia stata una coincidenza - suggerisce il direttore di Libero - che finché il M5s era l'azionista di maggioranza e Bonafede ministro questa inchiesta sia rimasta nel cassetto della Procura sostanzialmente insabbiata. I verbali che oggi leggiamo sui giornali non sono di oggi, ma di anni fa. Io stesso - aggiunge Sallusti - ho mandato per due volte un mio bravissimo cronista, Luca Fazzo (del Giornale, ndr) alla Procura di Tempio Pausania e per due volte è tornato con le pive nel sacco dicendo da lì non esce nulla. Figuratevi se al posto del figlio di Beppe Grillo con Bonafede ministro ci fosse stato il figlio di Silvio Berlusconi o il figlio di Giorgia Meloni: dopo 2 minuti quei verbali sarebbero stati su tutti i giornali. Il sistema non è solo quello della giustizia, ma anche del giornalismo". Di fronte alle rimostranze di Luca Telese, Sallusti risponde con un esempio noto a tutti: "I verbali del caso Ruby uscivano in tempo reale. Finito l'interrogatorio un''ora dopo erano su tutti i giornali. I verbali del caso Grillo sono usciti dolo quando il Movimento 5 Stelle non era più azionista di maggioranza del governo".
DiMartedì, Pietro Senaldi e il sospetto su Grillo e l'inchiesta sul figlio: "Perché è rimasta sotto 2 anni". Libero Quotidiano il 21 aprile 2021. Il video di Beppe Grillo in difesa del figlio Ciro, accusato di stupro, sta dividendo M5s e Pd e Pietro Senaldi, ospite di Giovanni Floris a DiMartedì su La7, dà una lettura politica alla vicenda, ma soprattutto allo scandalo mediatico. "Se c'è stata violenza o no, forse lo sa solo chi ha visto il video girato in quella stanza - premette il direttore di Libero -. A me ha colpito molto quando lui parla del figlio che ha atteso 2 anni. Ma questa è la giustizia che piace a Grillo. Perché non ritira il disegno di legge che abolisce la prescrizione, che lascia tutti a friggere fino al giorno della morte? E non dimentico che per 2 anni questo processo è rimasto sotto perché il premier era un grillino e il ministro della Giustizia era un grillino. Forse ora che c'è un tecnico a Palazzo Chigi i magistrati di Tempio Pausania hanno detto 'non possiamo fare una figuraccia'?". "Un episodio infelice sotto tutti i punti di vista - è il commento di Elsa Fornero, ex ministra del Welfare -. Faccio uno sforzo a parlare di questo episodio in maniera pacata. Se accusano tuo figlio di stupro, non ti metti sulla pubblica piazza ad urlare. E poi la ragazza... Questa esibizione di tutto il peggio del maschilismo bieco, per cui alla fine è sempre la ragazza che se l'è cercata. Questo non possiamo accettarlo. Mi aspetto che il Pd non lasci sole le donne a censurare questo episodio, indipendentemente dalle alleanze politiche". Senaldi replica anche alla Fornero e quando Floris chiede conto di un possibile "effetto boomerang della gogna mediatica lanciata dai 5 Stelle", puntualizza: "Forse qui c'è tanta gente che ripone troppa fiducia nel Pd. Questo video abbiamo scoperto che Grillo è una persona aggressiva, assolutista, che fa quello che vuole? Noi sapevamo che era così. Lui dice 'mio figlio è un cog***e'. Io so da chi ha preso... Quando Grillo nel video dice 'mio figlio è un cog***e', io so da chi ha preso. Lui è così e il Pd non può fare la verginella e dire che non rispetta le istituzioni. Il suo partito è quello del vaffa".
Beppe Grillo e il figlio, "cosa non torna sull'inchiesta". Pietro Senaldi: una vergogna di Pd e magistrati? Pietro Senaldi su Libero Quotidiano il 23 aprile 2021. Signora mia, com’è sgraziato Beppe Grillo. Urla come un invasato, gli vengono gli occhi piccoli, afferma mostruosità giuridiche e non ha nessun rispetto per le donne; ma qui non c’è discriminazione sessuale: lui non rispetta gli esseri umani in generale. Scandalizza le anime belle il video nel quale il tragicomico difende il figlio Ciro dall’accusa di stupro, ottenendo l'effetto opposto, perché chi guarda pensa: con un papà così, crescere delinquente non sarebbe una colpa bensì una conseguenza... E così, caso strano nel momento in cui il partito è in grande difficoltà, tutti a dare addosso al leader di M5S, secondo l'intramontabile pratica italiana del calcio dell'asino. Da sinistra Beppe Grillo, che in un video diffuso sui social, ha difeso con toni esagitati il figlio Ciro, al centro nella foto. Il ragazzo è accusato di violenza sessuale di gruppo perché, con tre amici, nell'estate del 2019, avrebbe abusato di una ragazza in Sardegna. A destra il leader della Lega Salvini, rinviato a giudizio per il caso Open Arms A parte un imbarazzato e altrettanto tragicomico Conte - ma c'è da capirlo, l'avvocato vorrebbe tenere partito -, per Beppe padre disperato pietà l'è morta. Matteo Salvini ha definito «disgustosa e da Medioevo» l'arringa del manettaro ligure convertitosi lunedì al garantismo dalle disavventure della prole sulla via della procura di Tempo Pausania. C'è da capirlo, il guru di M5S vorrebbe incarcerare per 15 anni il leghista per sequestro di persona ed è sempre stato più sgradevole che caustico verso l'ex ragazzo del Lorenteggio, nato solo perché purtroppo quella sera la signora Salvini non prese la pillola (copyright dell'istrione quando ancora non si era rattristato). Un filo più ipocrite le reprimende verso l'alleato venute dai compagni di merende del Pd, che studiano da tempo un'alleanza strutturale con i discepoli di Grillo. Pur di consolidare il progetto, i dem hanno ingurgitato le idee più balzane dei Cinquestelle in tema di giustizia, lavoro, welfare, fanno le verginelle. Biasimano i toni e i concetti del guru pentastellato fingendo di aver appreso solo dal video sul figlio con chi si accompagnano. Eppure, che il comico genovese fosse un leader aggressivo, antidemocratico, auto-riferito e violento è cosa di dominio pubblico almeno da quando Beppe ha fondato un movimento che come programma politico ha unicamente il "vaffa", indirizzato soprattutto ai dem. Che squallore i sinistri, attaccano il compagno di viaggio dove è più fragile e innocuo, sul piano personale, e ne avallano le mostruosità politiche. Troppo facile, cari signori. Affermare che Grillo è maschilista e sprezzante delle istituzioni è considerazione da bar. Chi fa comunistella con il comico nel Palazzo, non può limitarsi alla critica da social, che per quanto violenta si consuma in un giorno, ma ha il dovere di trasformare in azione critiche e opinioni. Il Pd è in Parlamento. Se il capo di M5S lo scandalizza, agisca di conseguenza. Non si parla di far cadere il governo cacciando i grillini perché hanno un capo rozzo. La pandemia è ottima scusa per richiamare tutti a calma e responsabilità nell'attesa di tempi più consoni. Però qualcosa si potrebbe fare, a livello politico e non di chiacchiere. Papà Beppe si è accorto, a spese di suo figlio, che la giustizia è ingiusta e la legge non regge, visto che Ciro è indagato da due anni, tenuto a friggere alla mercé di un pm. C'è chi sostiene che in questo tempo l'inchiesta non sia andata avanti perché il ministro della Giustizia era grillino. e così pure il premier. e che ora abbia un'accelerata perché, con un Guardasigilli e un presidente del Consiglio tecnici, sia saltato il tappo politico che inibiva i pm. Non si può sapere, anche se fa strano che venga lamentata la lentezza della procedura dal padre dell'imputato, dopo che la difesa ha chiesto sei mesi di indagine aggiuntiva. Comunque sia, il Pd approfitti della resipiscenza del guru, non sarà eterna, e lo sfidi sui fatti e nell'aula, non sui giornali e a parole. Giace un'orripilante legge di matrice pentastellata che abolisce la prescrizione, sancendo che chiunque può restare a vita sotto scacco della magistratura. Ebbene, i dem raccolgano il grido di dolore di Beppe per i due anni di Ciro nel limbo e ne approfittino per imporre a M5S il ritiro della norma. Se non ora, quando? La cosa non risolverebbe la vicenda dello stupro e neppure trasformerebbe in un gentleman il leader di Cinquestelle, ma risparmierebbe sofferenze ingiuste a decine di migliaia di persone e sarebbe la prova che anche dal male può nascere il bene. Infine, ben si capisce che un'accusa di stupro al figlio dell'Elevato è argomento pruriginoso . Ma è avvilente come esso sia in grado di paralizzare la politica per giorni. Si tratta di vicenda grave, ma privata, non suscettibile di minare le fondamenta delle istituzioni. La reazione migliore per disinnescarla è il silenzio. Assolutamente da non archiviare invece, perché devastante per la nostra democrazia, è la richiesta di processo per Salvini, sulla quale è stato messo il silenziatore. Se la medesima azione è un atto politico quando governi e un reato se passi all'opposizione, se un diritto a Catania diventa un crimine a Palermo, se in due hanno la responsabilità di una decisione ma alla sbarra ci va solo uno, siamo in presenza di una giustizia indegna di un Paese che voglia ancora dirsi civile. Non è un particolare poi che il giustizialista gridi al complotto e provi a condizionare la magistratura quando gli tocca la sbarra, comportandosi come se la Procura dovesse rispondergli, mentre il garantista, per non peggiorare la propria situazione, è costretto dall'avvocato a fare dichiarazioni di fiducia a chi lo incrimina.
Inchiesta su Grillo Jr top secret? Quel riserbo sul presunto stupro. Francesca Bernasconi il 14 Aprile 2021 su Il Giornale. Nei giorni scorsi sarebbero stati sentiti in procura gli amici di Ciro Grillo, accusati di presunta violenza sessuale di gruppo. Riserbo, invece, intorno all'interrogatorio del figlio del fondatore del Movimento 5 Stelle. Interrogatori blindati. In procura a Tempio, nei giorni scorsi, sarebbero stati sentiti i coetanei di Criro Grillo, figlio del fondatore del Movimento 5 Stelle, tutti accusati di violenza sessuale in concorso. E ora dovrebbe essere il turno del figlio di Beppe Grillo. Ma attorno alla vicenda sembra essersi alzata una nube densa, che lascia filtrare poco. La vicenda risale al 2019, quando una 20enne italo-norvegese denunciò un presunto stupro avvenuto nella casa della famiglia Grillo in Costa Smeralda. La ragazza, stando al racconto, sarebbe stata portata nell'abitazione a notte fonda, dopo una serata al Billionarie, e lì sarebbe stata violentata. Successivamente era spuntata un'altra presunta ragazza abusata. Nelle pagine delle contestazioni vennero descritti gli atti svolti ai danni della 20enne italo-norvegese che, stando a quanto riportato, sarebbe stata costretta "a subire e compiere atti di natura sessuale". Uno degli amici di Ciro Grillo avrebbe chiesto alla studentessa milanese di accompagnarlo nella camera e poi l'avrebbe a afferrata per le braccia e "scaraventata sul letto". Il tutto sarebbe continuato "nel tentativo d'avere un rapporto sessuale, mettendosi nuovamente sopra di lei e allargandole le gambe, ma S. J. riusciva a divincolarsi e a uscire dalla stanza". Altre violenze sarebbero state riservate a un'altra ragazza presente nella villa, che sarebbe stata costretta "a subire un rapporto orale" e successivamente "un rapporto vaginale". Ciro Grillo è stato accusato, insieme ai tre amici presenti nella villa quella sera (Edoardo Capitta, Francesco Corsiglia e Vittorio Lauria), di violenza sessuale di gruppo. E ora, dopo gli interrogatori dei tre amici che, stando a quanto riportato dall'Unione sarda avrebbero negato ancora una volta le accuse, dovrebbe essere il turno di Ciro Grillo. Sulla vicenda, già da tempo vige il massimo riserbo, tanto che anche il giorno dell'interrogatorio sembra essere segreto. Già nel settembre 2019, a pochi mesi di distanza dalla vicenda, si vociferava circa a una presunta inchiesta oscurata. Il presunto stupro, infatti, sarebbe avvenuto il 16 luglio e denunciato 10 giorni dopo, il 26 luglio 2019. La notizia dell'inchiesta, però, arrivò solo molto più tardi, il 6 settembre 2019. Un ritardo che al tempo era apparso strano, dato il presunto coinvolgimento di un personaggio noto, e che aveva scatenato la curiosità degli utenti social e la tesi di un voluto riserbo. E ora che anche la fase successiva alla conclusione delle indagini sembra avvolta nella più totale riservatezza, torna la sensazione di un'inchiesta top secret tenuta lontana dai riflettori.
Giacomo Amadori per “La Verità” il 12 febbraio 2021. Giambattista Vico, filosofo napoletano, era certo che la Storia si ripetesse ciclicamente, con regressioni nella barbarie e ripartenze. Dopo 300 anni, possiamo affermare che anche la cronaca ha i suoi corsi e ricorsi. Quando un governo a maggioranza pentastellata cade, contemporaneamente l'inchiesta per violenza sessuale di gruppo contro Ciro Grillo, figlio del fondatore del Movimento 5 stelle, vive frangenti particolarmente caldi. Allora eravamo in fase di perquisizioni e indagini, adesso nel bel mezzo dei fatidici venti giorni in cui, dopo aver ricevuto tutti gli atti dell'inchiesta, le difese degli indagati potranno presentare memorie o far interrogare i propri assistiti e il procuratore Gregorio Capasso dovrà decidere se chiedere il rinvio a giudizio per Ciro e i suoi tre amici. E così questo Beppe, che dal suo blog invita i poveri umarell del fu Movimento 5 stelle a votare a favore del banchiere che più banchiere non si può in cambio del ministero della Transizione che non gli era venuto in mente nei precedenti due governi a guida grillina, ci fa tornare in mente i giorni caldissimi della formazione del gabinetto giallorosso. Eravamo tra l'agosto e il settembre del 2019 e i carabinieri si erano presentati a casa Grillo per sequestrare i dispositivi elettronici di Ciro, uno dei quattro figli dell'Elevato. Lì dentro e nei cellulari di altri tre coetanei avrebbero trovato foto e video di un presunto stupro consumato nell'appartamento costasmeraldino dell'ideologo di Sant' Ilario. Mentre sudava freddo sotto la canicola estiva, Beppe concionava in video per far concludere l'accordo tra 5 stelle e dem per un governo sino a un mese prima impensabile. Si rivolse «alla base dei ragazzi del Pd»: «È il vostro momento. Abbiamo un'occasione unica, Dio mio unica, non si riproporrà più un'altra occasione così. Allora cerchiamo di compattare i pensieri, di sognare a 10 anni». Chiuse il collegamento sfiancato: «Basta, sono esausto». I maliziosi videro in quell'indaffararsi del guru i segni della preoccupazione paterna, arrivando a ipotizzare che l'inventore del Vaffaday, mentre estraeva dal blog insospettate e insospettabili doti da mediatore, stesse pensando anche a quel terribile procedimento giudiziario che avrebbe messo a dura prova la serenità della sua famiglia. È possibile che nella mente dell'Elevato abbia iniziato a frullare il dubbio amletico: meglio assaggiare la sbarra del Tribunale controllando il ministero della Giustizia o farlo da privato cittadino, fondatore di un movimento ritornato a fare dirette streaming dal tinello? Alla fine vinse lui, il governo nacque e la notizia dell'inchiesta e degli interrogatori dei quattro giovanotti sospettati di aver abusato di due ragazze stordite dall'alcol è uscita sui giornali meno di 24 ore dopo il giuramento del governo Conte 2. Mentre Giuseppi sfilava al Quirinale abbacinato dai flash, i presunti violentatori si presentavano dai pm senza neanche un fotografo ad attenderli. C'è voluto più di un anno perché la Procura di Tempio Pausania (Olbia-Tempio), dopo ripetute proroghe, dichiarasse concluse le indagini e, lo scorso 6 novembre, avvisasse della fine delle investigazioni i quattro rampolli sotto inchiesta. I quali sognavano una richiesta di archiviazione che non è arrivata. Sono passati tre mesi e a quanto ci consta non è ancora partita l'istanza di rinvio a giudizio, nonostante il codice di procedura penale conceda, come detto, 20 giorni alle parti per presentare memorie e farsi interrogare. In realtà i difensori hanno ottenuto diverse proroghe per poter esaminare tutti gli atti messi a disposizione dagli inquirenti. Infatti i legali sino a metà della scorsa settimana non erano riusciti a decrittare il contenuto del cd depositato dalla Procura e contenente chat e immagini estratte dai telefonini. Oggi gli avvocati degli indagati dovrebbero incontrarsi per confrontarsi su quanto è piovuto sulle loro scrivanie. Materiale che non promette nulla di buono. Nel fascicolo ci sono foto e filmati di quella nottata di bisboccia che, a parere di chi li ha visti, sarebbero inequivocabili. Grazie a questa produzione da B-movie gli inquirenti hanno ricostruito le scene di sesso avvenute il 17 luglio 2019. «Mediante violenza, costringevano e comunque inducevano S. J., abusando delle sue condizioni di inferiorità fisica e psichica dovuta all'assunzione di alcol, a subire e compiere atti di natura sessuale» si legge nell'avviso di chiusura delle indagini. Per i pm Ciro Grillo avrebbe commentato con gli amici Edoardo Capitta e Vittorio Lauria l'amplesso di Francesco Corsiglia nel box doccia con una delle malcapitate. I quattro avrebbero poi costretto la ragazza a trangugiare vodka tirandola per i capelli per poi costringerla a ripetuti rapporti orali e vaginali. Atti di violenza sarebbero stati perpetrati anche a danno di R. M., amica della studentessa milanese più volte abusata: «In particolare Grillo, alla presenza di Capitta che scattava fotografie per immortalarlo e di Lauria, appoggiava i propri genitali sul capo di R. M., la quale, in stato di incoscienza perché addormentata, era costretta a subire tale atto sessuale» hanno scritto i pm. Destino vuole che il papà di R. M. sia un importante banchiere, che probabilmente conosce personalmente Mario Draghi. Con questo quadro davanti, ecco che salta di nuovo un governo e bisogna farne un altro ed ecco che di nuovo compare Grillo. Questa volta non deve più convincere i pentastellati che il partito di Bibbiano è il partito perfetto per fare un'alleanza, no, questa volta deve raccontargli che Draghi è uno di loro: «Mi aspettavo il banchiere di Dio invece mi sono trovato davanti un grillino». Già pronto per uno show comico: «Mi chiama elevato io lo chiamo supremo, ha anche il senso dell'umorismo, non me lo aspettavo». Resta solo da trovare un Guardasigilli un po' più capace di Alfonso Bonafede di far sentire la propria voce al di là del Tirreno, dove il procuratore Capasso, look da rocker e chat di ordinanza con Palamara, ha mostrato di avere la schiena dritta. Certo per sistemare il puzzle Beppe e il nipote avvocato Enrico dovranno faticare, anche perché una delle ragazze che accusa Ciro di violenza è difesa da Giulia Bongiorno, in odore di ministero in quota Lega nel nascente governo. Anche per questo, Grillo forse accetterà la pace con il partito di Matteo Salvini. O forse no, temendo di dover trovare una sintesi anche processuale. Che purtroppo non si può trovare: una violenza c'è o non c'è. Tertium non datur. Ma Grillo alla logica aristotelico-scolastica preferisce l'ammucchiata. Rigorosamente partitica.
LA STRANO TRASFERIMENTO DEL MAGISTRATO DEL CASO “GRILLO” DALLA PROCURA DI TEMPIO DI PAUSANIA. Il Corriere del Giorno il 12 Agosto 2021. Alcuni giorni fa la pm Laura Bassani che ha coordinato, con il procuratore capo Gregorio Capasso, l’inchiesta sulle presunte violenze sessuali in Costa Smeralda, è stata trasferita dalla Procura di Tempio Pausania alla Procura dei Minori di Sassari. L’indagine su Ciro Grillo e i suoi tre amici si è conclusa e adesso il procedimento pende dinnanzi al giudice per le udienze preliminari Caterina Interlandi, che entro l’anno dovrà decidere se rinviare a giudizio Ciro Grillo, Vittorio Lauria, Francesco Corsiglia ed Edoardo Capitta, come richiesto dalla Procura. Sta accadendo qualcosa di strano sull’inchiesta su Ciro Grillo, figlio del comico Beppe garante del M5S, e i suoi tre amici, accusati di stupro di gruppo nei confronti di due ragazze. Un’inchiesta finita sotto i riflettori soprattutto per il nome di uno dei protagonisti, figlio del fondatore del M5S. Alcuni giorni fa la pm Laura Bassani che ha coordinato, con il procuratore capo Gregorio Capasso, l’inchiesta sulle presunte violenze sessuali in Costa Smeralda, è stata trasferita dalla Procura di Tempio Pausania alla Procura dei Minori di Sassari. L’indagine su Ciro Grillo e i suoi tre amici si è conclusa e adesso il procedimento pende dinnanzi al giudice per le udienze preliminari Caterina Interlandi, che entro l’anno dovrà decidere se rinviare a giudizio Ciro Grillo, Vittorio Lauria, Francesco Corsiglia ed Edoardo Capitta, come richiesto dalla Procura. I fatti sono relativi a quanto accaduto due anni fa, secondo il racconto di una delle due ragazze denuncianti, quando dopo una serata in un locale di Porto Cervo in Costa Smeralda, a casa del figlio di Beppe Grillo, dove era stata invitata, avrebbe subito delle violenze sessuali. Lo stupro avrebbe riguardato solo lei, mentre all’amica, come emergerebbe da alcune fotografie e da un video, i quattro avrebbero soltanto appoggiato i propri organi genitali sul suo viso, mentre la ragazza dormiva. I magistrati inquirenti dopo avere chiuso l’indagine una prima volta, nel novembre 2020, un anno e mezzo dopo la denuncia, hanno poi riaperto l’inchiesta e chiusa dopo poche settimane con la richiesta di rinvio a giudizio per violenza sessuale di gruppo. Accuse sempre respinte dagli imputati che parlano di “sesso consenziente”. Adesso, nell’udienza preliminare, il procuratore Capasso in persona sarà costretto a presentarsi da solo in aula, davanti alla gup Caterina Interlandi. I magistrati nella richiesta di rinvio a giudizio per i quattro giovani genovesi hanno ripercorso tutte le tappe della vicenda. Come si legge nei documenti della Procura “il residence è stato individuato grazie a un selfie scattato” dalla giovane ragazza ed “è riconducibile a Beppe Grillo”. Le indagini sono state chiuse per due volte, una prima volta a novembre e una seconda volta a inizio maggio, dopo i nuovi interrogatori dei giovani. E Ciro Grillo è stato riascoltato ma non dal Procuratore, come era accaduto le prime due volte, bensì dai Carabinieri di Genova, su delega del magistrato. Dichiarazioni spontanee per dare “ulteriori elementi” a favore degli indagati. A partire dal racconto della giovane. “Costretta ad avere rapporti sessuali in camera da letto e nel box del bagno”, “afferrata per la testa a bere mezza bottiglia di vodka” e “costretta ad avere rapporti di gruppo” dai quattro giovani indagati che hanno “approfittato delle sue condizioni di inferiorità psicologica e fisica” di quel momento. Sono soltanto alcune delle accuse della Procura di Tempio Pausania (Sassari) a carico dei quattro ragazzi della Genova bene. Pagine su pagine di orrori raccontati dalla giovane studentessa italo-norvegese S.J, di appena 19 anni, che avrebbe subito, quel 17 luglio. Il decreto ministeriale di trasferimento della pm Laura Bassani è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 31 luglio scorso e comunicato alla Procura di Tempio Pausania il 3 agosto scorso. La magistrata, all’indomani, il 4 agosto, ha dovuto prendere già possesso del suo nuovo ufficio giudiziario a Sassari. “Per noi è una perdita importante sotto il profilo umano e professionale anche se auguro alla collega tutto il bene possibile”, ha commentato all’Adnkronos il Procuratore capo di Tempio Gregorio Capasso che ha firmato con la pm Bassani la richiesta di rinvio a giudizio dei quattro giovani. Laura Bassani ha affiancato il procuratore Capasso anche in un’altra inchiesta importante, quella alla movida 2020 in Costa Smeralda e i contagi Covid. Come e da chi sarà sostituita la pm Bassani in questi due procedimenti? “Non è questo il punto – dice il procuratore capo Capasso – la Procura di Tempio ha un carico di lavoro enorme e molti processi impegnativi. Il vero problema è che l’intero “ruolo”, così come i turni di reperibilità e le udienze della collega Bassani, andranno ora redistribuiti tra i pochi magistrati rimasti in servizio. Non mi piace guardarmi indietro e rievocare vicende che hanno messo a dura prova il nostro Ufficio e che sono note a tutti”. Sono oltre mille i fascicoli rimasti aperti. E Capasso aggiunge: “Subito dopo il mio insediamento, circa tre anni fa, avevo immediatamente trasmesso ai competenti organi del Ministero, al Csm e alla Procura Generale di riferimento una serie interminabile di relazioni riguardanti la situazione, a dir poco precaria, del mio ufficio giudiziario con specifico riferimento ai magistrati in servizio, al personale amministrativo – attualmente 13 unità in servizio rispetto ai 21 previsti dalla già modestissima dotazione organica – e all’immobile sede dell’ufficio. E oggi devo rilevare, purtroppo, che, in riferimento ai magistrati in servizio, così come per il personale amministrativo, la situazione non è in alcun modo cambiata. Anzi”. Ma su quanti magistrati in servizio può contare oggi la Procura di Tempio Pausania? “Oltre al sottoscritto che, tuttavia, al di là nell’organizzazione dell’ufficio e dell’attività giudiziaria in senso stretto, è costretto ad occuparsi in prima persona anche della gestione di tutti i servizi penali e amministrativi per le gravi carenze sopra evidenziate e soprattutto per la totale assenza di figure amministrative dirigenziali, come il dirigente, il direttore amministrativo e funzionari giudiziari, sono in servizio, sui 6 sostituti previsti in pianta organica, solo 2 giovani colleghi di prima nomina, di cui uno ha preso possesso dell’ufficio poco più di 9 mesi fa, nel novembre scorso… Mentre un terzo magistrato, proveniente dalla Procura di Verona ed applicato dal Csm al nostro ufficio, terminerà la sua esperienza a Tempio nel novembre prossimo”. “Attualmente dunque i magistrati in servizio sono 3 con una scopertura pari al 50 % anche se di fatto i magistrati in organico effettivo sono solo in 2 – aggiunge ancora il procuratore Capasso – un terzo si trova in congedo per maternità dal febbraio scorso. In tale, insostenibile situazione dal settembre prossimo sarà difficile persino garantire la partecipazione del pm alle udienze, tenuto conto che anche i magistrati onorari che partecipano alle udienze sono solo in 3, sui 7 previsti nella proposta ministeriale di rideterminazione degli organici della magistratura onoraria”. Alla luce di “queste emergenze” il Procuratore Capasso aveva richiesto formalmente il “posticipato possesso” della collega Bassani presso il suo nuovo ufficio di Sassari “in modo da consentire alla collega di definire almeno una parte del carico di procedimenti a lei assegnato e di provare a chiudere i processi più importanti da lei trattati”. Ma il Csm al cui interno siedono nel plenum due consiglieri laici nominati dal M5S non ha concesso il posticipato possesso. E il 31 luglio scorso è arrivato il provvedimento. “Per quanto riguarda il carico effettivo della Procura di Tempio Pausania, malgrado la situazione emergenziale Covid, il nostro ufficio” dice Capasso “nel corso dell’ultimo anno giudiziario ha incamerato la bellezza di 4.133 procedimenti a carico di noti. Il dato è sostanzialmente in linea con le valutazioni espresse dal Ministero della Giustizia che, nella proposta di rideterminazione degli organici dei magistrati, aveva evidenziato che nel Distretto di Cagliari ‘si registra ovunque un calo delle iscrizioni ad eccezione della Procura di Tempio che ha registrato un aumento del 16 %; in tale ufficio le iscrizioni pro capite ammontano a circa 922 e sono quindi superiori (addirittura) alla media nazionale (pari a 623)’. Ma occorrere “entrare” nel dato statistico per comprenderne la reale ed effettiva incidenza…”. Il procuratore spiega ed argomenta all’ ADN Kronos: “Prescindendo dalla qualità delle inchieste e dall’incidenza di alcune fenomenologie criminali di grosso impatto, quali lo spaccio di stupefacenti che come saprete, soprattutto nel periodo estivo, ha comportato lo scorso anno sequestri di ingenti quantitativi, in particolare di cocaina, presso i due scali portuali di Olbia e Golfo Aranci, e i reati del cosiddetto gruppo “Economia” (fallimentari, finanziari, riciclaggio etc.), evidentemente connessi agli spaventosi interessi economici del territorio di competenza, è sufficiente analizzare i dati dei due settori statisticamente più significativi e cioè quelli riferiti al cosiddetto Codice Rosso e al settore “Urbanistica e Ambiente”. “Quanto al Codice Rosso, nel corso dell’anno 2020, sono stati iscritti solo a carico di noti ben 208 procedimenti per reati riguardanti la violenza di genere ed in danno di minori (maltrattamenti in famiglia, violenze sessuali, stalking, lesioni aggravate …); in particolare, per il “Codice Rosso”, l’ufficio è stato direttamente e pesantemente impegnato, attesa la specificità tecnica delle relative fattispecie e l’urgenza richiesta che, com’è noto, impone, in alcuni casi, indagini serrate e provvedimenti urgenti” continua il procuratore Capasso “Quanto al settore Urbanistica-Ambiente, è stato effettuato, da me personalmente, un capillare monitoraggio del territorio, con particolare riferimento alla fascia costiera di competenza (da Porto Taverna Sud e sino a Badesi) al fine di individuare le situazioni di maggiore criticità, attività che ha poi comportato l’adozione di alcune significative e complesse misure cautelari reali (in 55 diversi procedimenti nel solo 2020 e in ben 95 diversi procedimenti nell’ultimo biennio)”. “Ma ciò che mi preme di più sottolineare è che il “carico” complessivo dei procedimenti, a cui vanno aggiunte le udienze e i turni di reperibilità, anche notturni, è gravato quasi esclusivamente su giovanissime colleghe di prima nomina, alcuni delle quali mamme di bambini di età inferiore ai tre anni” aggiunge “”In questo senso mi piace richiamare le valutazioni espresse lo scorso anno dal Procuratore generale all’inaugurazione dell’anno giudiziario, peraltro esattamente coincidenti con quelle dell’anno precedente, laddove rilevava che ‘a Tempio Pausania si registra una forte pressione lavorativa sul singolo, pressione che in alcuni casi è inconciliabile con una sana e corretta gestione dei ruoli'”. “E aggiungerei le udienze e i turni di reperibilità h 24…“, dice Capasso che quest’anno non andrà in ferie. Oggi è in ufficio, come è stato tutti i giorni di agosto, e lo sarà fino a fine mese. “Sapete che non è possibile entrare nel dettaglio di inchieste in corso. E per i processi parlano le sentenze – dice il Procuratore- In realtà, dal mio punto di vista, gli esempi da voi citati non fanno altro che confermare che il nostro “giovane” Ufficio è sottoposto a pressioni elevatissime che, evidentemente, non possono essere “lette” solo attraverso l’analisi dei dati statistici”. “In ogni caso l’unica possibile soluzione, allo stato, è rappresentata dalle applicazioni distrettuali ed extradistrettuali”, dice e conclude il procuratore Capasso. “In tal senso provvederò immediatamente a richiedere applicazioni distrettuali ed extra distrettuali funzionali quantomeno a garantire una sana e corretta gestione dei ruoli, oltre ai turni di reperibilità e alle udienze e sono convinto che sia il Procuratore Generale e soprattutto il Consiglio Superiore della Magistratura, che hanno sempre mostrato attenzione alla situazione della Procura di Tempio, daranno corso alle nostre richieste”. Il territorio gallurese è stato ed è al centro di inchieste delicate ed importanti, anche a livello nazionale, a partire dall’indagine per stupro di gruppo su Ciro Grillo alla vicenda degli yacht di lusso a quella sul noto complesso del Geovillage, da quella sul canile di Olbia a quella sui cavalli morti dopo essere stati trasportati su un traghetto con tratta Civitavecchia-Olbia. E, ancora, dalla vicenda del bimbo maltrattato e segregato in casa, al processo conclusosi a maggio 2020 in Corte d’Assise per il femminicidio di Arzachena per non parlare dei sequestri di ingenti quantitativi di stupefacente, in particolare cocaina presso gli scali portuali ed aeroportuali di Olbia. E delle indagini di cui si è detto e di rilevanza nazionale quale l’indagine Covid sulla movida estiva in Costa Smeralda e la vicenda “Grillo”…Legittimo chiedersi, viste le difficoltà d’organico della procura di Tempio Pausania, e il trasferimento della pm Bassani che ha condotto le indagini, cosa succederà adesso al procedimento giudiziario nel quale è indagato il figlio di Beppe Grillo?
La denuncia del procuratore: "Abbiamo oltre mille fascicoli aperti". Ciro Grillo, trasferita la pm dell’inchiesta: “A rischio il processo, c’è carenza di organico”. Elena Del Mastro su Il Riformista il 12 Agosto 2021. Un nuovo colpo di scena nell’inchiesta che coinvolge Ciro Grillo e i suoi tre amici accusati di stupro di gruppo su due ragazze in Costa Smeralda. Laura Bassani, la pm che ha coordinato l’inchiesta con il procuratore capo Gregorio Capasso, è stata trasferita dalla procura di tempio di Pausania alla Procura dei Minori di Sassari. A darne notizia è l’AdnKronos che precisa che l’indagine si è conclusa e ora il fascicolo è davanti al giudice per le udienze preliminari, che entro l’anno dovrà decidere se rinviare a giudizio il figlio di Beppe Grillo Ciro, Vittorio Lauria, Francesco Corsiglia ed Edoardo Capitta, come chiesto dalla Procura. Adesso il procuratore sarà costretto a presentarsi da solo all’udienza preliminare davanti alla Gup Caterina Interlandi. Il procuratore Capasso, che ha firmato con la pm la richiesta di rinvio a giudizio dei quattro giovani, lamenta la carenza di organici che potrebbe mettere a rischio anche il processo a Ciro Grillo e ai suoi amici. “Come sarà sostituita Bassani nei procedimenti in corso? Non è questo il punto – dice Capasso – la Procura di Tempio ha un carico di lavoro enorme e molti processi impegnativi. Il vero problema è che l’intero ruolo, cosi come i turni di reperibilità e le udienze della collega Bassani, andranno ora redistribuiti tra i pochi magistrati rimasti in servizio. Non mi piace guardarmi indietro e rievocare vicende che hanno messo a dura prova il nostro Ufficio e che sono note a tutti, ma i fascicoli rimasti aperti sono oltre mille”. Le accuse mosse contro Ciro Grillo e i suoi amici risalgono a fatti avvenuti 2 anni fa in Costa Smeralda. A denunciare è stata una ragazza che, secondo il suo racconto, avrebbe passato la serata con un’amica a casa Grillo in Costa Smeralda. Il gruppo si sarebbe ritrovato in un locale a Porto Cervo per poi andare insieme nella villa dei Grillo. Ed è lì che il gruppo di amici avrebbe violentato la ragazza che poi li ha denunciati. Con lei c’era un’amica ritratta in foto e video a sfondo sessuale dai 4 amici mentre dormiva. I pm, dopo avere chiuso l’indagine una prima volta, nel novembre 2020, un anno e mezzo dopo la denuncia, hanno poi riaperto l’inchiesta e chiusa dopo poche settimane con la richiesta di rinvio a giudizio per violenza sessuale di gruppo e revenge porn. Accuse sempre respinte dagli imputati che parlano di “sesso consenziente”.
Elena Del Mastro. Laureata in Filosofia, classe 1990, è appassionata di politica e tecnologia. È innamorata di Napoli di cui cerca di raccontare le mille sfaccettature, raccontando le storie delle persone, cercando di rimanere distante dagli stereotipi.
Elvira Terranova per adnkronos.com il 12 agosto 2021. L'inchiesta su Ciro Grillo e i suoi tre amici, accusati di stupro di gruppo nei confronti di due ragazze, perde pezzi. Pochi giorni fa, come apprende l'Adnkronos, è stata trasferita dalla Procura di Tempio Pausania alla Procura dei Minori di Sassari Laura Bassani, la pm che ha coordinato, con il procuratore Gregorio Capasso, l'inchiesta sulle presunte violenze sessuali in Costa Smeralda. L'indagine si è conclusa e adesso il fascicolo è davanti al giudice per le udienze preliminari, che entro l'anno dovrà decidere se rinviare a giudizio Ciro Grillo, Vittorio Lauria, Francesco Corsiglia ed Edoardo Capitta, come chiesto dalla Procura. Un'inchiesta finita sotto i riflettori soprattutto per il nome di uno dei protagonisti, Ciro Grillo, figlio del fondatore del M5S. I fatti risalgono a due anni fa, in Costa Smeralda quando, secondo il racconto di una delle due ragazze, dopo una serata in un locale di Porto Cervo, a casa del figlio di Beppe Grillo, dove fu invitata, sarebbe stata violentata. Lo stupro avrebbe riguardato solo lei, mentre all’amica, come emergerebbe da alcune fotografie e da un video, i quattro avrebbero appoggiato i genitali sul viso, mentre la ragazza dormiva. I pm, dopo avere chiuso l’indagine una prima volta, nel novembre 2020, un anno e mezzo dopo la denuncia, hanno poi riaperto l’inchiesta e chiusa dopo poche settimane con la richiesta di rinvio a giudizio per violenza sessuale di gruppo. Accuse sempre respinte dagli imputati che parlano di "sesso consenziente". Adesso, nell'udienza preliminare, il procuratore in persona sarà costretto a presentarsi da solo in aula, davanti alla gup Caterina Interlandi. Il decreto ministeriale di trasferimento della pm Laura Bassani è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 31 luglio scorso e comunicato alla Procura di Tempio Pausania il 3 agosto scorso. La magistrata, all'indomani, il 4 agosto, ha preso già possesso del suo nuovo ufficio di Sassari. "Per noi è una perdita importante sotto il profilo umano e professionale anche se auguro alla collega tutto il bene possibile", dice all'Adnkronos il Procuratore capo di Tempio Gregorio Capasso che ha firmato con la pm la richiesta di rinvio a giudizio dei quattro giovani. Laura Bassani ha affiancato Capasso anche in un'altra inchiesta importante, quella alla movida 2020 in Costa Smeralda e i contagi Covid. Come sarà sostituita in questi due procedimenti? "Non è questo il punto - dice Capasso - la Procura di Tempio ha un carico di lavoro enorme e molti processi impegnativi. Il vero problema è che l’intero “ruolo”, cosi come i turni di reperibilità e le udienze della collega Bassani, andranno ora redistribuiti tra i pochi magistrati rimasti in servizio. Non mi piace guardarmi indietro e rievocare vicende che hanno messo a dura prova il nostro Ufficio e che sono note a tutti". Sono oltre mille i fascicoli rimasti aperti. E Capasso aggiunge: "Subito dopo il mio insediamento, circa tre anni fa, avevo immediatamente trasmesso ai competenti organi del Ministero, al Csm e alla Procura Generale di riferimento una serie interminabile di relazioni riguardanti la situazione, a dir poco precaria, del mio ufficio giudiziario con specifico riferimento ai magistrati in servizio, al personale amministrativo - attualmente 13 unità in servizio rispetto ai 21 previsti dalla già modestissima dotazione organica - e all’immobile sede dell’ufficio. E oggi devo rilevare, purtroppo, che, in riferimento ai magistrati in servizio, così come per il personale amministrativo, la situazione non è in alcun modo cambiata. Anzi". Ma su quanti magistrati in servizio può contare oggi la Procura di Tempio Pausania? "Oltre al sottoscritto che, tuttavia, al di là nell’organizzazione dell’ufficio e dell’attività giudiziaria in senso stretto, è costretto ad occuparsi in prima persona anche della gestione di tutti i servizi penali e amministrativi per le gravi carenze sopra evidenziate e soprattutto per la totale assenza di figure amministrative dirigenziali, come il dirigente, il direttore amministrativo e funzionari giudiziari, sono in servizio, sui sei sostituti previsti in pianta organica, solo due giovani colleghi di prima nomina, di cui uno ha preso possesso dell’ufficio poco più di 9 mesi fa, nel novembre scorso… Mentre un terzo magistrato, proveniente dalla Procura di Verona ed applicato dal Csm al nostro ufficio, terminerà la sua esperienza a Tempio nel novembre prossimo". "Attualmente dunque i magistrati in servizio sono tre con una scopertura pari al 50 % anche se di fatto i magistrati in organico effettivo sono solo in due - dice ancora Capasso - un terzo si trova in congedo per maternità dal febbraio scorso. In tale, insostenibile situazione dal settembre prossimo sarà difficile persino garantire la partecipazione del pm alle udienze, tenuto conto che anche i magistrati onorari che partecipano alle udienze sono solo in tre, sui sette previsti nella proposta ministeriale di rideterminazione degli organici della magistratura onoraria". Alla luce di "queste emergenze" il Procuratore Capassi aveva richiesto formalmente il “posticipato possesso” della collega Bassani presso il suo nuovo ufficio di Sassari "in modo da consentire alla collega di definire almeno una parte del carico di procedimenti a lei assegnato e di provare a chiudere i processi più importanti da lei trattati". Ma il Csm non ha concesso il posticipato possesso. E il 31 luglio è arrivato il provvedimento. Per quanto riguarda il carico effettivo della Procura di Tempio Pausania, "malgrado la situazione emergenziale Covid, il nostro ufficio, nel corso dell’ultimo anno giudiziario ha incamerato la bellezza di 4.133 procedimenti a carico di noti", dice Capasso. "Il dato è sostanzialmente in linea con le valutazioni espresse dal Ministero della Giustizia che, nella proposta di rideterminazione degli organici dei magistrati, aveva evidenziato che nel Distretto di Cagliari "si registra ovunque un calo delle iscrizioni ad eccezione della Procura di Tempio che ha registrato un aumento del 16 %; in tale ufficio le iscrizioni pro capite ammontano a circa 922 e sono quindi superiori (addirittura) alla media nazionale (pari a 623)". Ma occorrere “entrare” nel dato statistico per comprenderne la reale ed effettiva incidenza…". E spiega: "Prescindendo dalla qualità delle inchieste e dall’incidenza di alcune fenomenologie criminali di grosso impatto, quali lo spaccio di stupefacenti che come saprete, soprattutto nel periodo estivo, ha comportato lo scorso anno sequestri di ingenti quantitativi, in particolare di cocaina, presso i due scali portuali di Olbia e Golfo Aranci, e i reati del cosiddetto gruppo “Economia” (fallimentari, finanziari, riciclaggio etc.), evidentemente connessi agli spaventosi interessi economici del territorio di competenza, è sufficiente analizzare i dati dei due settori statisticamente più significativi e cioè quelli riferiti al cosiddetto Codice Rosso e al settore “Urbanistica e Ambiente”. Quanto al Codice Rosso, nel corso dell’anno 2020, sono stati iscritti solo a carico di noti ben 208 procedimenti per reati riguardanti la violenza di genere ed in danno di minori (maltrattamenti in famiglia, violenze sessuali, stalking, lesioni aggravate …); in particolare, per il “Codice Rosso”, l’ufficio è stato direttamente e pesantemente impegnato, attesa la specificità tecnica delle relative fattispecie e l’urgenza richiesta che, com’è noto, impone, in alcuni casi, indagini serrate e provvedimenti urgenti. Quanto al settore Urbanistica-Ambiente, è stato effettuato, da me personalmente, un capillare monitoraggio del territorio, con particolare riferimento alla fascia costiera di competenza (da Porto Taverna Sud e sino a Badesi) al fine di individuare le situazioni di maggiore criticità, attività che ha poi comportato l’adozione di alcune significative e complesse misure cautelari reali (in 55 diversi procedimenti nel solo 2020 e in ben 95 diversi procedimenti nell’ultimo biennio)". Ma per il Procuratore "ciò che mi preme di più sottolineare è che il “carico” complessivo dei procedimenti, a cui vanno aggiunte le udienze e i turni di reperibilità, anche notturni, è gravato quasi esclusivamente su giovanissime colleghe di prima nomina, alcuni delle quali mamme di bambini di età inferiore ai tre anni". "In questo senso mi piace richiamare le valutazioni espresse lo scorso anno dal Procuratore generale all’inaugurazione dell’anno giudiziario, peraltro esattamente coincidenti con quelle dell’anno precedente, laddove rilevava che 'a Tempio Pausania si registra una forte pressione lavorativa sul singolo, pressione che in alcuni casi è inconciliabile con una sana e corretta gestione dei ruoli'". Il territorio gallurese è stato ed è al centro di inchieste delicate ed importanti, anche a livello nazionale, a partire dall'indagine per stupro di gruppo su Ciro Grillo alla vicenda degli yacht di lusso a quella sul noto complesso del Geovillage, da quella sul canile di Olbia a quella sui cavalli morti dopo essere stati trasportati su un traghetto con tratta Civitavecchia-Olbia. E, ancora, dalla vicenda del bimbo maltrattato e segregato in casa, al processo conclusosi a maggio 2020 in Corte d’Assise per il femminicidio di Arzachena per non parlare dei sequestri di ingenti quantitativi di stupefacente, in particolare cocaina presso gli scali portuali ed aeroportuali di Olbia. E delle indagini di cui si è detto e di rilevanza nazionale quale l’indagine Covid sulla movida estiva in Costa Smeralda e la vicenda “Grillo”… "E aggiungerei le udienze e i turni di reperibilità h 24…", dice Capasso. Che quest'anno non andrà in ferie. Oggi è in ufficio, come è stato tutti i giorni di agosto, e lo sarà fino a fine mese. "Sapete che non è possibile entrare nel dettaglio di inchieste in corso. E per i processi parlano le sentenze - dice il Procuratore-In realtà, dal mio punto di vista, gli esempi da voi citati non fanno altro che confermare che il nostro “giovane” Ufficio è sottoposto a pressioni elevatissime che, evidentemente, non possono essere “lette” solo attraverso l’analisi dei dati statistici". "In ogni caso l’unica possibile soluzione, allo stato, è rappresentata dalle applicazioni distrettuali ed extradistrettuali", dice ancora Capasso. "In tal senso provvederò immediatamente a richiedere applicazioni distrettuali ed extra distrettuali funzionali quantomeno a garantire “una sana e corretta gestione dei ruoli”, oltre ai turni di reperibilità e alle udienze - fa sapere -e sono convinto che sia il Procuratore Generale e soprattutto il Consiglio Superiore della Magistratura, che hanno sempre mostrato attenzione alla situazione della Procura di Tempio, daranno corso alle nostre richieste".
Grillo Jr, processo a rischio: «Sono rimasti solo due pm…». La denuncia del procuratore di Tempio Pausania: «Trasferita la collega che si occupava del caso». Il M5S, intanto, chiede di traslocare il tribunale a Olbia. Simona Musco su Il Dubbio il 13 agosto 2021. L’inchiesta su Ciro Grillo e i suoi tre amici, accusati di stupro di gruppo nei confronti di due ragazze, rischia di rallentare clamorosamente. E ciò a causa del trasferimento dalla procura di Tempio Pausania alla procura dei minori di Sassari di Laura Bassani, la pm che ha coordinato, insieme al procuratore Gregorio Capasso, l’inchiesta sulle presunte violenze sessuali in Costa Smeralda. A riportarlo è l’AdnKronos, che ha raccolto lo sfogo del procuratore Capasso, che ha evidenziato anche le forti «pressioni» sul suo ufficio, non solo in termini statistici, ma anche mediatici. L’organico, a Tempio Pausania, è il primo problema: su un fabbisogno di sei sostituti procuratori, sono soltanto due i pm “attivi” attualmente e ciò nonostante la procura abbia registrato numeri altissimi, con 4.133 i procedimenti a carico di noti incamerati nell’ultimo anno. Ma alla situazione già disastrosa relativa alla pianta organica si aggiunge un altro fatto: il 19 luglio la senatrice grillina Elvira Lucia Evangelista – vice presidente della commissione Giustizia al Senato, nonché avvocato del Foro di Nuoro – ha proposto il trasferimento del tribunale di Tempio a Olbia, con la trasformazione del primo in un ufficio di prossimità. Il testo del disegno di legge non è ancora disponibile sul sito del Senato, ma l’iniziativa ha destato non poca preoccupazione nel mondo dell’avvocatura.
Grillo jr e gli altri a rischio processo. Il sospetto, infatti, è che il trasferimento del tribunale possa rallentare molti dei procedimenti giudiziari in corso, in alcuni casi fino alla prescrizione, compreso, appunto, quello relativo al caso Grillo. Il giudice per le udienze preliminari dovrà decidere entro l’anno se rinviare a giudizio Ciro Grillo, Vittorio Lauria, Francesco Corsiglia ed Edoardo Capitta, come chiesto dalla procura. Era stato soprattutto il video di Beppe Grillo in difesa del figlio a far aumentare a dismisura l’attenzione sulla vicenda, scatenando un’ondata di indignazione per i toni usati dall’ex comico, convinto che il giovane non abbia «fatto niente», riconoscendo al massimo la colpevolezza per il reato di “coglionaggine”. Ma a colpire fu soprattutto il trattamento riservato alla presunta vittima – e assieme ad essa a tutte le presunte vittime -, secondo Grillo certamente consenziente «perché una persona che viene stuprata la mattina, al pomeriggio va in kitesurf, e dopo 8 giorni fa una denuncia. È strano».
Adesso a rappresentare l’accusa davanti al gup Caterina Interlandi sarà il solo procuratore . Il decreto ministeriale di trasferimento della pm Bassani è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 31 luglio scorso e comunicato alla procura il 3 agosto. La magistrata ha dunque preso servizio a Sassari già il 4 agosto. «Per noi è una perdita importante sotto il profilo umano e professionale anche se auguro alla collega tutto il bene possibile – ha affermato all’Adnkronos il procuratore Capasso -. La Procura di Tempio ha un carico di lavoro enorme e molti processi impegnativi. Il vero problema è che l’intero “ruolo”, così come i turni di reperibilità e le udienze della collega Bassani, andranno ora redistribuiti tra i pochi magistrati rimasti in servizio». Un problema non nuovo a Tempio: subito dopo il suo insediamento tre anni fa, Capasso aveva trasmesso a ministero, Csm e procura generale delle relazioni riguardanti la situazione precaria dell’ufficio, «con specifico riferimento ai magistrati in servizio, al personale amministrativo – attualmente 13 unità in servizio rispetto ai 21 previsti dalla già modestissima dotazione organica – e all’immobile sede dell’ufficio». Ma la situazione non è affatto cambiata: oggi sono solo due i pm disponibili, entrambi di prima nomina, uno dei quali ha preso possesso dell’ufficio a novembre scorso, mentre un terzo, proveniente dalla Procura di Verona ed applicato dal Csm a Tempio, andrà via a novembre. «Attualmente dunque i magistrati in servizio sono tre con una scopertura pari al 50% anche se di fatto i magistrati in organico effettivo sono solo in due – dice ancora Capasso – un terzo si trova in congedo per maternità dal febbraio scorso. In tale, insostenibile situazione dal settembre prossimo sarà difficile persino garantire la partecipazione del pm alle udienze, tenuto conto che anche i magistrati onorari che partecipano alle udienze sono solo in tre, sui sette previsti nella proposta ministeriale di rideterminazione degli organici della magistratura onoraria». Proprio per tale motivo Capasso aveva richiesto formalmente il «posticipato possesso» di Bassani presso il suo nuovo ufficio di Sassari, per consentire di definire almeno una parte dei procedimenti a lei assegnati. Ma nulla da fare, nonostante la procura di Tempio abbia registrato un aumento del 16% delle iscrizioni, ovvero 922 pro capite, «superiori (addirittura) alla media nazionale (pari a 623)». L’unica possibile soluzione, allo stato, è dunque rappresentata dalle applicazioni distrettuali ed extradistrettuali. «Per noi non cambia nulla – ha commentato l’avvocato Gennaro Velle, difensore di uno dei quattro indagati -. Sapevamo che la dottoressa Bassani doveva prendere servizio al minorile, quindi non c’è nulla di nuovo. Il fascicolo, tra l’altro, è sempre stato seguito dal procuratore Gregorio Capasso».
Beppe Grillo, trasferita la pm che indagava sul figlio? Avete notato che subito dopo... una "stranissima coincidenza". Armando Moro su Libero Quotidiano il 13 agosto 2021. Il processo al figlio Ciro da ieri fa un po' meno paura a Beppe Grillo. L'umore del comico è molto lontano da quello dello scorso aprile, quando si sfogò registrando un video in cui, urlando, chiedeva ai magistrati, riferendosi a suo figlio e ai suoi amici accusati di violenza sessuale, «perché non li avete arrestati?». E polemicamente si rispondeva: «Perché vi sete resi conto che non è vero niente, non c'è stato niente, perché vi è sembrato strano che chi viene stuprato fa una denuncia dopo otto giorni...». Lontano quello stato d'animo, lontane le polemiche che quelle sue parole all'epoca avevano suscitato. Ora il fondatore del Movimento Cinque Stelle può dedicare le sue attenzioni ad altro e impiega il suo tempo rispolverando temi storicamente cari ai pentastellati. L'ecologia. Il reddito di cittadinanza. Altro che le beghe giudiziarie. Ieri, per esempio, mentre le agenzie battevano la notizia del trasferimento della pm che aveva coordinato l'indagine sul presunto stupro, Grillo rilanciava su Twitter un articolo (pubblicato sul suo blog) di Jayati Ghosh, che si occupa di riscaldamento climatico e che inizia con le poco rassicuranti parole: «L'Apocalisse è adesso». Nel commentare l'articolo, il fondatore dei Cinquestelle sceglieva comunque la via dell'ottimismo della volontà: «L'umanità ha ancora la possibilità di fare un passo indietro dal baratro cui siamo diretti. Che lo faccia, o le specie future si chiederanno perché abbiamo scelto di partecipare attivamente alla nostra stessa distruzione». È un ritorno in grande stile alle battaglie tradizionali del Movimento, quelle che ne hanno accompagnato la crescita dei primi anni, quando l'ipotesi di alleanza con Lega o Pd apparteneva al dominio della fantapolitica. Del resto, il giorno prima Grillo aveva ripreso un altro cavallo di battaglia: il reddito di cittadinanza. Ma non il compromesso al quale il M5S ha dovuto piegarsi in Parlamento. Grillo pensa in grande e propugna addirittura la tesi di un «reddito di base universale» che «può creare una società migliore e una vita migliore per tutti». «L'unica sfida», riconosce il comico, «è il finanziamento». E anche qui il rimando è a un articolo del suo blog, firmato da Shigheito Sasaki e ricco di alate citazioni di Martin Luther King. Come appaiono lontane, viste da quassù, le aule giudiziarie.
Alessandro Sallusti per “Libero quotidiano” il 13 agosto 2021. A ormai tre anni dai fatti il processo a Ciro Grillo, figlio del leader Cinque Stelle, rischia di insabbiarsi nei meandri della giustizia. Una dei pm che conduceva le indagini è stata infatti trasferita ad altro incarico e il suo capo, il procuratore di Tempio Pausania, Gregorio Capasso, mette le mani avanti: non abbiamo le forze - sostiene - per garantire il regolare sviluppo dell'attività giudiziaria. Può essere, ma può essere anche che questo processo non s' abbia da fare, almeno non fino a che i Cinque Stelle saranno la lunga mano della magistratura dentro il governo. Intendo dire: la magistratura ha trovato la forza e le risorse per braccare a tempo di record Silvio Berlusconi per le sue cosiddette "cene eleganti" dove nessuna violenza o scorrettezza è mai stata provata, tanto che il Cavaliere è stato assolto per non aver commesso il fatto e sostiene di non trovare il tempo in tre anni per processare il figlio di Beppe Grillo per una violenza cristalizzata in video e nel racconto dettagliato della vittima? Ma chi vogliono prendere in giro questi magistrati che poi sono gli stessi che negano il problema dei tempi della giustizia? Io non so se Ciro Grillo è colpevole o innocente. So che lui e noi abbiamo diritto di sapere una verità in tempi certi che evidentemente non coincidono con quelli dell'opportunità politica. Siamo in un periodo in cui si spendono fiumi di parole - a volte anche a vanvera - sulla sacralità e le libertà delle donne e poi si fa finta di niente se una ragazza violentata deve attendere anni per avere giustizia solo perché il presunto violentatore è figlio di un importante leader politico? Dove è in queste ore la politica, dove sono in queste ore i giornali e i giornalisti che si autoproclamano "cani da guardia" contro gli abusi di potere? Cosa c'è di più scandaloso- molto più del ridicolo caso Durigon - di una ragazza a cui il sistema giustizia-politica nega un giusto processo? La verità è che i "cani da guardia" sono dei chihuahua di Conte, Grillo e della magistratura. Bravi solo a riportare l'osso ai padroni in cambio di un biscottino. E questo è un Fatto quotidiano e incontestabile.
Estratto dell’articolo di Marco Travaglio per “il Fatto Quotidiano” il 15 agosto 2021. (…) A proposito di credibilità. Sallusti, noto giurista di scuola Palamara, ci insulta ("chihuahua di Conte e Grillo") perché il Csm ha trasferito una dei pm che indagava sul presunto stupro (che lui, garantista alle vongole, dà già per certo) di Grillo jr &C., per insabbiare il caso a fini politici. Non sa, il poveretto, che i magistrati sono inamovibili e trasferibili solo se lo chiedono (è il caso della pm Bassani) o se vengono puniti (non è il caso della pm Bassani); l'inchiesta è chiusa da tempo e l'udienza preliminare si terrà nella data fissata del 5 novembre col procuratore capo nei panni dell'accusa;
se la legge Cartabia fosse passata nella prima versione cara a Sallusti, il processo sarebbe morto in appello dopo 2 anni, mentre le modifiche seguite alla campagna del Fatto e la blocca-prescrizione Bonafede lo rendono inestinguibile; un solo governo tentò di trasferire un giudice per insabbiare un processo: il governo B. nel 2002 col giudice Brambilla nel processo Sme-Ariosto. Queste cose le sanno persino i chihuahua. I somari no.
Ciro Grillo, chi c'è dietro trasferimento della pm del caso: "Una procedura informale". Giovanni M. Jacobazzi su Libero Quotidiano il 15 agosto 2021. Una procedura di trasferimento "informale". Il cambio di sede della pm Laura Bassani, dalla Procura di Tempio Pausania a quella dei Minori di Sassari, sarebbe avvenuto sulla base di interlocuzioni colloquiali. La ex titolare del fascicolo per violenza sessuale di gruppo ai danni di una diciannovenne, aperto nei confronti di Ciro Grillo, figlio del fondatore del Movimento 5stelle, e di suoi tre amici, lo scorso 30 marzo aveva fatto domanda per essere trasferita a Sassari. Il Consiglio superiore della magistratura, nel Plenum del 19 giugno, aveva dato il via libera, essendo peraltro la magistrata l'unica aspirante per quel posto. La "presa possesso" era poi avvenuta il 4 agosto, rispettando i tempi ordinari che sono di circa 40 giorni dopo la delibera di Palazzo dei Marescialli. Il trasferimento della magistrata nella nuova sede aveva subito scatenato la dura reazione del suo ex capo, il procuratore Gregorio Capasso. La pm Bassani, infatti, aveva lasciato Tempio Pausania nel pieno della complessa fase dell'udienza preliminare, iniziata il 25 giugno e che si concluderà il prossimo 5 novembre, in cui si dovrà decidere se processare o meno Ciro Grillo ed i suoi amici. Gli accertamenti erano stati lunghi e difficili: la Procura di Tempio Pausania aveva inizialmente chiuso l'indagine nel novembre 2020, un anno e mezzo dopo la denuncia da parte della ragazza, per poi modificare la scorsa primavera il capo d'imputazione. Se le accuse erano sempre state respinte dagli imputati che avevano parlato di «sesso consenziente», i tempi dell'inchiesta avevano suscitato più di una perplessità. Da quanto è stato possibile ricostruire, al ministero della Giustizia, competente per le tempistiche dei trasferimenti dei magistrati con la pubblicazione sul "bollettino ufficiale", non sarebbe però stata presentata alcuna formale richiesta di posticipato possesso della pm Bassani. Nei giorni scorsi, invece, il procuratore Capasso aveva dichiarato alle agenzie di aver richiesto formalmente il «posticipato possesso» della magistrata presso il nuovo ufficio di Sassari, «in modo da consentire alla collega di definire almeno una parte del carico di procedimenti a lei assegnato e di provare a chiudere i processi più importanti da lei trattati». Ad iniziare, appunto, da quello nei confronti di Grillo junior. Le circolari prevedono che un procuratore se ha esigenze oggettive di non privarsi di un suo pm debba fare richiesta a via Arenula di posticiparne il trasferimento nella nuova sede. Il ministero della Giustizia, invece, avrebbe appreso solo «in via indiretta», attraverso informazioni della Procura generale di Cagliari, dell'esistenza di due richieste contrapposte: quella di posticipato possesso di Tempio Pausania e quella di anticipato possesso che era stata presentata dalla capa della Procura dei Minori di Sassari, Luisella Fenu, che premeva per l'immediato arrivo della pm. La Procura generale di Cagliari, da circa otto mesi senza una guida e a cui - evidentemente - avevano rivolto le istanze sia Capasso che Fenu, non avrebbe preso alcuna posizione a favore di Tempio Pausania o di Sassari. E a fronte di richieste "contrapposte" il ministero della Giustizia non aveva potuto far altro che disporre il trasferimento della magistrata con i tempi normali. A questo punto, per coadiuvare il procuratore Capasso, che come dichiarato ha un carico di mille fascicoli lasciati in eredità, la Procura generale di Cagliari potrebbe sempre decidere di "applicare", quindi prestare a tempo, la pm Bassani per il processo contro Grillo junior ed i suoi amici, essendo ella a conoscenza di tutti gli atti e avendo diretto personalmente le indagini. In caso contrario Capasso, oltre ad andare personalmente in udienza il prossimo 5 novembre, dovrà organizzarsi in qualche modo. La Procura di Tempio Pausania è ora rimasta con solo tre pm sui sei in pianta organica: il più "anziano" ha cinque anni di servizio, il più giovane dieci mesi.
Antonio Rapisarda per “Libero quotidiano” il 13 agosto 2021. Come decifrare il trasferimento della pm Laura Bassani a pochi "metri" dal pronunciamento del Gup sul rinvio a giudizio? Lo abbiamo chiesto ad Emmanuela Bertucci, esperto avvocato penalista di Firenze.
La sua impressione a caldo qual è?
«Da ciò che emerge, ha l'aria di un trasferimento ordinario. Chiesto dalla stessa pm alla Procura minorile di Sassari. Non sembra trattarsi, come si potrebbe immaginare, di un trasferimento d'imperio, magari con qualche connotazione politica».
Il Procuratore Capasso ha parlato di una «perdita importante» in vista dell'eventuale processo...
«Il colpo, seguendo il ragionamento di Capasso, non è al processo Grillo ma "ai processi" della Procura, perché al momento ci sono in organico soltanto due sostituti su sei: una situazione emergenziale. Questo è sicuramente un tema importante per Tempio Pausania come per tutte le altre Procure: la carenza di organico».
Quali i rischi?
«In una situazione del genere se si arriva a una archiviazione o una prescrizione in fase di indagini possiamo dare la colpa ai magistrati? Nel momento in cui si ritrovano la propria scrivania piena di fascicoli dovranno dare una priorità che, certo, verrà data dall'ufficio in base alla gravità della vicenda. Necessariamente, però, la coperta è corta».
Nel caso specifico di Grillo?
«In teoria non ci sono rischi. Se non quello del carico del lavoro: perché questo caso particolare era stato seguito dal Procuratore affiancato dalla dottoressa Bassani. Quindi il processo continua. Non ci saranno rallentamenti: l'udienza si terrà, ci sarà il procuratore o un altro sostituto ma non si rischia di far saltare le udienze. Però di fare salti mortali per gestire tutte le udienze, compresa quella Grillo, decisamente sì».
Si parla tanto di "codice rosso" a tutela di donne e soggetti deboli. In questo caso, però, la corsia preferenziale non sembra procedere spedita.
«Questo è un tema che ho sentito trattare da diversi Procure della Repubblica: ben venga il codice rosso ma abbiamo il capitale umano per gestire bene tutti questi processi e gestirli con la velocità che il caso e la legge richiedono?
È propagandistico mettere giù il codice rosso e i casi di violenza sulle donne se già a monte il governo ha la consapevolezza di non aver dispiegato uomini, mezzi e denaro sufficienti».
Il trasferimento può diventare una carta a favore della difesa?
«Dipende. Se il trasferimento fosse stato imposto e ci fossero state motivazioni esplicitate, potevamo argomentare se si trattava di un punto a favore della difesa o no. Un trasferimento del genere invece, più che dare un punto alla difesa, apre a questa la speranza che il pm che verrà, se l'indagine non sarà più seguita da Capasso, possa dare un'altra interpretazione dei fatti. Capasso e Bassani hanno costruito un impianto accusatorio, basandosi su determinanti elementi, un altro pm potrebbe ravvedere altri elementi che potrebbero portare a valutazioni diverse».
Ciro Grillo, ecco perché adesso il processo rischia di essere insabbiato: la strana mossa in procura. Paolo Ferrari su Libero Quotidiano il 14 agosto 2021. Perché il ministro della Giustizia Marta Cartabia non ha disposto il "posticipato" possesso nei confronti della pm Laura Andrea Bassani? Che cosa ha impedito di differirne il cambio di sede, almeno fino alla fine dell'udienza preliminare? Si tinge di giallo il trasferimento, dalla scorsa settimana, della pm di Tempio Pausania alla Procura presso il Tribunale dei minori di Sassari. La dottoressa Bassani, come si ricorderà, era la titolare delle indagini sulla violenza sessuale di gruppo che sarebbe stata commessa da Ciro Grillo, figlio del fondatore del Movimento Cinque stelle, e da tre suoi amici genovesi, Vittorio Lauria, Francesco Corsiglia ed Edoardo Capitta, nei confronti di una diciannovenne italo-norvegese. La violenza, secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, sarebbe avvenuta la sera del 17 luglio del 2019 nella villa di Porto Cervo di Beppe Grillo. A riscontro di quanto denunciato dalla ragazza, una chat denominata "Official Mostri", estrapolata dai cellulari dei quattro, al cui interno, fra bestemmie e parolacce, erano descritti con dovizia di particolari i dettagli irripetibili di quanto accaduto quella sera d'estate.
LA DOMANDA - Lo scorso maggio era stato notificato agli indagati l'avviso di conclusione delle indagini. La prima udienza si era celebrata il 25 giugno davanti al gup Caterina Interlandi che aveva poi rinviato per la decisione al 5 novembre. La pm Bassani, lo scorso aprile, quindi ben prima della richiesta di rinvio a giudizio, aveva deciso di presentare domanda di trasferimento per la Procura dei minori di Sassari. Il Consiglio superiore della magistratura aveva pubblicato il posto a marzo e l'unica aspirante, come si può leggere nella proposta, era proprio lei. Il trasferimento, per la cronaca, era stato votato all'unanimità nel Plenum del 19 giugno. Relatore della pratica il togato, ex Unicost, Carmelo Celentano.
La pubblicazione sul "bollettone" ministeriale che ufficializza il cambio di sede, come previsto dalle circolari, era quindi avvenuta la scorsa settimana. Con il trasferimento della dottoressa Bassani la Procura di Tempio Pausania è rimasta a metà organico. «La Procura di Tempio ha un carico di lavoro enorme e molti processi impegnativi», e ora «l'intero ruolo, cosi come i turni di reperibilità e le udienze, andrà redistribuito tra i pochi magistrati rimasti in servizio», ha commentato ieri il procuratore Gregorio Capasso. Il nostro «giovane ufficio», ricorda il capo della Procura sarda, «è sottoposto a pressioni elevatissime che, evidentemente, non possono essere lette solo attraverso l'analisi dei dati statistici». Una Procura, quella di Tempio Pausania, molto sfortunata. Capasso, a settembre del 2018, era addirittura rimasto con un solo sostituto e implorava «una applicazione extradistrettuale e una pubblicazione straordinaria dei posti vacanti», all'allora potente consigliere del Csm Luca Palamara. Al momento, a Tempio Pausania - ricorda ancora Capasso - «oltre al sottoscritto sono in servizio, sui sei sostituti previsti in pianta organica, solo due giovani colleghi di prima nomina, di cui uno ha preso possesso dell'ufficio poco più di nove mesi fa, mentre un terzo magistrato terminerà la sua esperienza a Tempio nel novembre prossimo. Attualmente, dunque, i magistrati in servizio sono tre, con una scopertura pari al 50 per cento anche se di fatto i magistrati in organico effettivo sono solo in due. In tale, insostenibile situazione dal settembre prossimo sarà difficile persino garantire la partecipazione del pm alle udienze», avverte minaccioso Capasso.
SOLO DUE MAGISTRATI - C'e da domandarsi, allora, perché il ministero della Giustizia davanti ad un quadro di questo genere non abbia disposto il differimento del trasferimento della pm Bassani che conosce tutta l'indagine. La Procura dei Minori di Sassari, va ricordato, è un "micro ufficio": oltre al procuratore ci sono solo due sostituti, uno dei quali, appunto, è dall'altro giorno la ex pm dell'indagine sul figlio di Grillo. Il procuratore Capasso dovrà ora necessariamente coassegnare il fascicolo ad un altro sostituto. Sperando che nel frattempo non succeda qualcos'altro.
Il trasferimento di Tempio Pausania? A pensar male si fa peccato ma…Il processo al giovane Grillo rischia di saltare? Francesco Damato su Il Dubbio il 14 agosto 2021. Lucifero è arrivato a Tempio Pausania, l’antica Capitale della Gallura, prima che in tutto il resto della Sardegna. Vi è arrivato non con le correnti d’aria calda che ne hanno portato il nome in questa torrida estate, ma con una coincidenza diabolica fra i tempi di un trasferimento e quelli del procedimento giudiziario riguardante il figlio di Beppe Grillo e gli amici sospettati di stupro per una notte da “coglioncelli” – parola del fondatore e garante del Movimento 5 Stelle- trascorsa con due ragazze il 19 luglio di due anni fa in un appartamento della Costa Smeralda confinante con quello in cui dormiva la moglie del comico genovese. Il trasferimento è quello della sostituta procuratrice Laura Bassani, che ha condotto col capo della Procura Gregorio Capasso le indagini su quella notte e dal 4 agosto lavora invece nel tribunale non lontano di Sassari, dove si occupa di minorenni. Il suo ormai ex superiore, come ha raccontato lui stesso ad un’agenzia di stampa, ha inutilmente cercato di ritardarne il trasloco con una richiesta tecnicamente chiamata di “posticipato possesso”, trovandosi il suo ufficio già da molto tempo sotto organico e dovendo affrontare, a questo punto con un solo sostituto a disposizione nella gestione di oltre quattromila procedimenti, il passaggio dell’udienza preliminare del 5 novembre proprio sul caso Grillo. Il povero Capasso è stato letteralmente travolto dalla fretta con la quale in alto – molto più in alto di lui, temo- è stata voluta l’esecuzione del trasferimento ordinato il 19 luglio, in casuale – per carità- ma sfortunatissima coincidenza col secondo anniversario del fattaccio, chiamiamolo così, che ha moltiplicato, quanto meno, l’esposizione mediatica del tribunale di Pausania. Non parliamo poi del carico da novanta di quel furioso video nel quale Grillo in persona il 19 aprile – anche lui di 19- si scagliò contro gli inquirenti, in qualche modo sfidandoli a prendersela direttamente con lui in manette. Ma al massimo, ammettiamolo, la colpa di Grillo, come quella di tanti padri al suo posto, poteva e potrebbe essere quella di non avere avuto pazienza o fortuna abbastanza per proteggere il figlio dai rischi della “coglioneria” adolescenziale. Per la fiducia che merita la ministra della Giustizia Marta Cartabia con la sua autorevolezza e competenza professionale, tanto più apprezzabili quanto più sono state contestata recentemente da magistrati abituati ad una forte esposizione politica e agli incoraggiamenti del solito Fatto Quotidiano, spero che lei sia stata la prima a sorprendersi quando ha saputo di quel trasferimento così rapidamente non dico disposto ma eseguito. Uno degli avvocati dei giovani a rischio di processo per stupro ha detto che della possibile partenza da Tempo Pausania della sostituta procuratrice Bassani si parlava già da tempo negli ambienti giudiziari della località gallurese. Oso pensare che, peraltro impegnata proprio attorno al 19 luglio nelle faticose trattative con i grillini sulla riforma del processo penale, comprensiva della prescrizione tagliata con l’accetta dal suo predecessore pentastellato all’esaurimento del primo grado di giudizio, la ministra Cartabia avrebbe saputo mettere al riparo il trasferimento della sostituta procuratrice di Tempio da cattive interpretazioni. Che sono puntualmente arrivate con quel titolone di prima pagina di Libero sulla “Giustizia amica dei grillini” in rosso e quel “Provano a insabbiare il processo a Grillo jr” in nero. Ad alimentare i sospetti ha contribuito anche un’altra diabolica coincidenza: l’iniziativa presa proprio in questi tempi dalla vice presidente pentastellata della Commissione Giustizia del Senato, Elvira Lucia Evangelista, di rilanciare un vecchio progetto di trasferire ad Olbia l’intero tribunale di Tempio Pausania, che diventerebbe così un semplice “ufficio di prossimità”. Si sa che in queste operazioni, specie in assenza di detenuti, con imputati in libertà, i tempi processuali sono i primi a subirne gli effetti negativi. Si, lo so, a pensare male, come hanno fatto i colleghi di Libero, si fa peccato ma si azzecca, diceva un po’ in romanesco la buonanima di Giulio Andreotti. Il cui figlio Stefano ha appena assicurato in una intervista di non avere trovato, fra le carte del padre, traccia di questa famosa licenza attribuita per decenni allo storico leader democristiano e da questi mai smentita in vita: peraltro neppure originale per essere altri risaliti addirittura a Sant’Agostino come primo e indubitabile autore. Non tutti d’altronde possiamo aspirare al più antico ordine cavalleresco dell’Inghilterra: quello medievale della Giarrettiera. Che ripete nel motto francese le parole opposte dal re a chi ne guardò con sospetto la premura di raccogliere la giarrettiera, appunto, perduta da una contessa e di fargliela reindossare: Honi soit qui mal y pense. Sia vituperato chi ne pensa male. Ho un certo disagio a parlare di ordini cavallereschi, di dame e di re a proposito di vicende da cronache giudiziarie miste a cronache politiche dei nostri dannatissimi tempi. Ma sono gli inconvenienti del mestiere.
Domenico Pecile per corriere.it il 13 agosto 2021. «Adesso la cosa più grande, la più importante è il silenzio perché il dolore è troppo. È vero, non ci ho pensato su due volte e sono partito come un missile verso quell’appartamento. Non ricordo quel tratto di strada tanta era la rabbia che provavo. Ho bussato, ho suonato. Niente. E allora ho sfondato la porta a spallate. Volevo vederli in faccia. Uno a uno. Si sono chiusi a chiave in una stanza. Li sentivo piagnucolare... Conigli. Poi hanno gridato aiuto, sì, pazzesco, loro chiedevano di essere aiutati dopo quello che avevano fatto a mia figlia. Le loro grida hanno richiamato alcuni condomini. Ho desistito, distrutto, vinto, incredulo». A parlare è Mario (nome di fantasia, ndr) il padre della ragazza 18enne che martedì pomeriggio sarebbe stata violentata in un appartamento di Lignano Sabbiadoro da cinque ragazzi italiani, di cui uno minorenne, tutti senza precedenti, ma che adesso sono indagati per violenza sessuale. La collera, il rancore, il livore, il desiderio di vendetta hanno lasciato il posto alla tristezza, alla mestizia, all’incredulità. Mario scuote la testa, poi aggiunge: «Mia figlia? Non lo so, ma credo stia metabolizzando quello che ha subito. Ci ha parlato, ci ha riferito. Non è stato facile per lei. Ci vorrà tempo, lo so. Per lei soprattutto, ma anche per noi. E so già che qualcuno azzarderà commenti improvvidi. Vede, la verità è che il lupo è sempre in agguato. Ed è davvero folle pensare che le ragazzine se la vanno a cercare. Si fidano, sono giovani. Erano le tre del pomeriggio o giù di lì. Cose impensabili ai nostri tempi. Io confido nella giustizia». Già, Mario confida nella giustizia, eccome. «Anche se — aggiunge — sono consapevole che potrei essere denunciato perché ho violato la proprietà privata. Ma non mi preoccupo di questo. Non è nemmeno vero che avrei voluto farmi giustizia da solo. Mia figlia mi aveva raggiunto in spiaggia. Era stravolta. Mi ha raccontato, avrei voluto chiamare la polizia, ma ero senza il cellulare. Quando sono arrivate le forze dell’ordine un poliziotto mi si è avvicinato. Ero stravolto, fuori di me, disperato. Lui si è avvicinato e ha detto «mi metto nei suoi panni, capisco». Mi sono sentito meno solo, meno triste. Voglio soltanto che mia figlia... lei parla, ci parla, ma cerchiamo di non crearle ansia. Sì, confido nella giustizia». Intanto ieri, il vice questore di Udine Massimiliano Ortolan, che coordina le indagini, ha chiesto al pm un nuovo interrogatorio della ragazza alla presenza di una psicologa. «La nostra richiesta — precisa — è motivata dal fatto che a nostro avviso la giovane è parsa molto provata, vulnerabile, sofferente». Lo stesso Ortolan ha fatto sapere che i cellulari dei cinque ragazzi, ma anche le lenzuola, sono stati posti sotto sequestro. Gli effetti personali serviranno per un confronto di tracce di Dna con quello degli indagati. Loro hanno sostenuto che la ragazza fosse consenziente e sono andati via da Lignano. Non sono state emesse misure cautelari e non hanno vincoli di permanenza in Friuli-Venezia Giulia: sono tornati in Veneto, Lombardia e Piemonte.
Francesco Merlo per “la Repubblica” l'8 febbraio 2021. Forse potremmo chiamare "paternalismo buffo" il potere totale che Beppe Grillo ha sul suo "popolo" , un potere che nessun capo partito in Italia ha mai avuto, neppure Silvio Berlusconi che, ricco e padrone, si è sempre imposto anche grazie a un prurito di interessi, a un conflitto di pruriti, a un conflitto di interessi pruriginosi. E invece a Beppe Grillo, pur essendo il leader che fisicamente non c' è, basta parlare, vale a dire urlare, ghignare e tossire che è appunto il suo modo burlesco di vivere, di recitare e di comandare. Grillo, che non partecipa più alla vita politica perché - spiegò lui stesso - lo rendeva "stanchino", gli scaricava cioè le pile, lo mandava in luna calante che per un comico è crisi creativa, è però l' uomo del momento fatale. Stefan Zweig ne aveva contati 14: quattordici vite che riassumono il mondo. Ebbene Grillo è il quindicesimo Momento Fatale. E infatti sabato, nel quarto giorno dell' era Draghi, il Garante, carica a vita non sfiduciabile e non revocabile, ha lasciato la sua tenda nera nella spiaggia di Bibbona e in soli 45 minuti di scorreria romana ha imposto "un contrordine grillini" che neppure a Togliatti sarebbe riuscito senza almeno un congresso e un lunghissimo dibattito su Rinascita e sull' Unità. Grillo è invece arrivato, ha riunito tutti i frati del convento, da Di Maio sino a Conte, e li ha subito scaldati. Con quella tonalità in escalation che tutti gli conosciamo e con la recitazione epica e giullaresca della "Banda dei sospiri" descritta nel racconto di Gianni Celati, li ha maltrattati e conquistati. Quale leader politico picchia per sedurre (condurre a sé) i suoi devoti? Non ha risparmiato a Conte l' ironia da Bagaglino, «per rilanciarti ci vorrebbe un Recovery fund apposta per te», e a tutti ha imputato la sconfitta come un delitto, «se si vota adesso, il Movimento è finito, e la colpa è solo vostra, tutta vostra; senza Draghi siete fi-ni-ti"». Ma sicuramente non ce l' avrebbe fatta senza quella grande sintonia che a volte si crea tra chi le dà e chi le prende: più Grillo li malmenava e più i loro applausi soffocavano le sue parole. E infatti il suono di quest' accordo arrivava ai cronisti in strada sotto forma di urla e di risate, che non erano scoppiettii di liti e di scontri ma al contrario la prova dell' armonia tra chi convinceva e chi voleva essere convinto, tra l' aggressività paternalistica del capo e la remissività gregaria dei figli bastonati, proprio come a teatro dove il capocomico e il suo pubblico si ingravidano a vicenda. Escludendo ovviamente i modelli dittatoriali, da Stalin a Mussolini, davvero nessuno è mai riuscito a dissuadere e a persuadere e dunque a rovesciare in 45 minuti un piccolo grande mondo come ha appunto fatto Grillo sabato scorso a Roma: «Nunzia Catalfo e Federico D' Inca, davvero credete che un giorno vi faranno di nuovo ministri?». E non pensiate che sia un caso irripetibile. Grillo ci riesce sempre. Era già accaduto, per esempio, nel 2019 (sembra una vita fa) quando impose l' accordo con il Pd a tutti i 5stelle, anche a Di Maio che si piegò nonostante Salvini gli avesse promesso la presidenza del Consiglio: «Lo so, non sei d' accordo e mai lo sarai, ma si fa così». E davvero non è disciplina militare, comando cieco e sordo, ma è leadership, forza e politica, sia pure sciamannata. Ovviamente Grillo non somiglia all' idea che Grillo ha di se stesso , vale a dire di scienziato della politica, una somma di Totò e del professor Sartori, ma c' è qualcosa che, per strade ancora inesplorate dalla dottrina, ha pur sempre a che fare con il carisma in questo suo tenere il comando, nella velocità con cui impone la linea e dà ogni volta una forma al movimento informe. Davvero, neppure Enrico Berlinguer poteva disporre del proprio mondo come ne dispone Beppe Grillo. E pensate a quanta fatica impiegò e di quanti anni ebbe bisogno Berlinguer prima per convincersi e poi per portare il partito alla discontinuità, allo strappo dell' amicizia con la Dc. Pensate alle parole per dirlo, pensate a quel giorno in cui, in casa e in pigiama, come raccontò Tonino Tatò ( pagina 312 , Qualcuno era comunista di Luca Telese,), Berlinguer fumando mille Turmac, trovò finalmente l' aggettivo epocale da aggiungere alla parola compromesso: storico. E invece , come sono le fragole?, si è chiesto sabato Grillo per spiegare l' accordo con Draghi, l' odiato banchiere, «il nostro Mary Poppins suonato». Ed ecco la frase che ha consegnato alla storia: «Le fragole sono mature». Aldo Moro impiegò otto ore per scrivere il discorso sulle convergenze parallele che avrebbe cambiato l' Italia. Più svelto, Grillo ha beccato un Platone nel dizionario delle citazioni: «Non conosco una via infallibile per il successo, ma una per l' insuccesso sicuro: volere accontentare tutti». Diciamo la verità, Platone ha scritto di meglio. In questa estenuante fine dell' epoca a 5stelle, Grillo si è dunque rivelato il leader politico più solido d' Italia ma alla testa del partito più fragile d' Italia. A Draghi ha regalato i voti come un dono personale, e al Paese ha dimostrato che quel piccolo universo di sbandati solo grazie a lui è ancora maggioranza relativa. Ha pure ricordato agli aspiranti scissionisti che non c' è fallimento senza tentativo di rifondazioni, di restyling, di lifting, sempre spacciati come ritorno agli ideali e ai valori delle origini (vaffa, gogna, turpiloquio.). Grillo ha infine fermato il "referendum su Draghi" che era previsto su quella piattaforma Rousseau che, inventata per sostituire la democrazia parlamentare, sarebbe invece diventata non l' Arca di Noè dei sopravvissuti, ma la Zattera della Medusa, il dipinto che racconta tutti i naufragi.
Fughe, urla e monologhi. Il triste teatrino di Grillo. Beppe Grillo è voluto tornare sulla scena politica con il suo solito stile. Il comico sta provando in tutti i modi a tenere unito il MoVimento. Serena Pizzi, Sabato 06/02/2021 su Il Giornale. Beppe Grillo è un comico. Quindi, è abituato a mettere in scena teatrini e show. Anche questa mattina lo ha fatto. Anzi, ha iniziato ieri sera quando ha fatto trapelare che era arrivato a Roma, ma non si è fatto beccare. Questa mattina, però, ha messo in atto quello che ha imparato nella sua carriera. Prima ha pubblicato sul suo blog un post dal titolo "In alto i profili", una sorta di piccolo documento programmatico (che proprio nel momento in cui scriviamo è stato allungato ulteriormente), chiuso con una classica frase ad effetto ("Le fragole sono mature. Le fragole sono mature"), poi ha incontrato alla Camera i vertici del M5S (con il nuovo ingresso di Giuseppe Conte) e infine sono partite le consultazioni con Mario Draghi. E se ciò che ha scritto sul suo blog si commenta da sé, è interessante capire cosa ha fatto dopo. Il vertice con il MoVimento è durato circa 45 minuti. L'Adnkronos riferisce che abbia "motivato i big con un monologo-show di 45 minuti" e che le sue urla si siano sentite anche a diversi metri di distanza. Tanto che giornalisti e videomaker hanno tentato in tutti i modi di allungare le orecchie per carpire le frasi, ma senza successo. Si sa: Grillo non ama passare inosservato. Il suo ritorno sulla scena politica deve fare effetto ed essere ad effetto. Altrimenti chi si accorgerebbe di lui? Chi starebbe ad ascoltare tutto e il contrario di tutto? Ma torniamo al vertice 5 Stelle. Come dicevamo, il comico pare abbia svolto principalmente il ruolo del motivatore e di colui che tiene compatta la squadra (?). "Vi voglio uniti e compatti! Dobbiamo difendere i nostri temi e mettere l'ambiente al centro", avrebbe detto. Secondo una fonte pentastellata riportata dall'Adnkronos, Grillo avrebbe anche citato "Radio Londra" come simbolo della "resistenza". Dopo il suo show, pochi altri avrebbero parlato. Giuseppe Conte avrebbe detto un timido "sarà importante il perimetro della maggioranza, al momento non è importante sapere se io farò parte del governo", mentre Roberto Fico - collegato telefonicamente - si sarebbe limitato a un "non possiamo stare a guardare, dobbiamo esserci e gestire il Recovery Plan". Fine. Terminato qui lo spettacolo? Macché. Dopo le consultazioni con Draghi (sembra che ci siano stati anche diversi momenti di ilarità durante l'incontro) e prima di riferire alla stampa, Grillo è scappato. O meglio, ha fatto finta di scappare in modo da attirare ancora di più l'attenzione su di sé. Un suo classico giochetto, insomma. Ma una volta lasciato Montecitorio non poteva far spegnere così - come se nulla fosse - i riflettori che lo puntavano con quelle luci abbaglianti. Per questo, è volato su Facebook e si è improvvisato filosofo. "Non conosco una via infallibile per il successo, ma una per l'insuccesso sicuro: voler accontentare tutti" (Platone). Wow, verrebbe da dire. Ma il senso di queste parole? Forse Grillo con questo messaggio vuole riferirsi alla fase travagliata che sta vivendo il MoVimento. Non tutti, infatti, sono entusiasti dell'apertura a un esecutivo guidato dall'ex presidente della Bce. Chi in chiaro e chi per bocca di altri fa sapere che non voterà la fiducia al nuovo governo. Ma il comico non può permetterlo. La sopravvivenza del 5 Stelle è legata al premier incaricato. Così si "giustifica" il suo ritorno a Roma tra i grandi palazzi. Così Beppe è ritornato a fare il suo triste show.
Da repubblica.it il 6 febbraio 2021. Show di Beppe Grillo durante il vertice con lo stato maggiore M5S alla Camera. Un lungo monologo (ben 45 minuti) in cui il garante pentastellato ha invitato il Movimento ad essere compatto: "Vi voglio uniti e compatti! Dobbiamo difendere i nostri temi e mettere l'ambiente al centro". Ad un certo punto la voce del fondatore si è sentita anche in strada, nella via sottostante alle finestre della sala Tatarella. Si sono sentite le urla dell'ex comico ma anche i suoi applausi. E, secondo una fonte pentastellata, Grillo anche citato "Radio Londra" come simbolo della "resistenza". "Sarà importante il perimetro della maggioranza, al momento non è importante sapere se io farò parte del governo", avrebbe aggiunto Giuseppe Conte. "Non possiamo stare a guardare, dobbiamo esserci e gestire il Recovery Plan", avrebbe detto Roberto Fico, collegato telefonicamente.
(Adnkronos il 6 febbraio 2021) "Non conosco una via infallibile per il successo, ma una per l'insuccesso sicuro: voler accontentare tutti". Beppe Grillo, cita Platone su Facebook al termine delle consultazioni con il premier incaricato Mario Draghi. L'apertura dei vertici M5S a un esecutivo guidato dall'ex numero uno della Bce sta creando infatti fibrillazioni e divisioni all'interno del Movimento e il messaggio di Grillo sembrerebbe proprio riferirsi a questa fase travagliata. Silenzio totale invece per Davide Casaleggio che oggi, a sorpresa, ha preso parte al vertice con i big del Movimento. Il presidente dell’associazione Rousseau dopo aver lanciato la proposta di far votare gli iscritti su un appoggio o meno a un eventuale governo Draghi, oggi ha mantenuto la bocca cucita. Fonti presenti all'incontro sostengono infatti che anche nel corso della riunione Casaleggio non abbia proferito parola, limitandosi ad ascoltare gli interventi che si sono susseguiti, a partire dal 'monologo' di Beppe Grillo durato ben 45 minuti e che abbia poi lasciato la Camera quando tutto il resto della 'truppa' era ancora dentro ad attendere il termine dell'incontro tra Draghi e la delegazione M5S.
Ritratto di Beppe Grillo: comico che non c’è più, politico che non c’è mai stato. Paolo Guzzanti su Il Riformista il 2 Febbraio 2020. In genere quando si fa il ritratto di un grande o anche di un ingombrante personaggio, si usa la ricetta agrodolce: ha fatto questo, questo e questo di bello. peccato che abbia avuto anche questo, questo e quest’altro difetto. Un’arguzia al cerchio e una alla botte. Così facendo si rischia il vizio ambientale dell’ipocrisia. Forse a Beppe Grillo stesso, parlandone da vivo, non piacerebbe. Perché, di certo, il comico è morto. Da molto. E il capo politico che era – un po’ Bertoldo e un po’ Fra’ Dolcino – è andato a fuoco lento insieme a tutta la biblioteca delle sue ardenti sciocchezze, alcune geniali, altre sciocche-sciocchezze, utili per la ribalta, pessime per questo inimitabile Paese che è il nostro. Ha preteso e recitato troppe parti in commedia: ha voluto essere la bocca della verità e un Lenin che non trova la porta del palazzo d’Inverno, il profetico rivelatore e l’organizzatore rivoluzionario saltando dal palcoscenico al carro del vincitore, senza neanche consultare su Google le condizioni del tempo storico. E adesso, con Luigi di Maio che lo batte in illusionismo con il numero della cravatta scomparsa, guardatelo: è finito fuori strada come finirono fuori strada per sua colpa coloro che morirono nell’incidente di cui porta la colpa penale che gli preclude i pubblici uffici e il diritto di rappresentanza. Il fatto che sia sparito può, potrebbe, essere un improvviso segnale di saggezza. O almeno, di prudenza. Persino, hai visto mai, di pudore. Ma non è una prova di coraggio. Grillo non ci mette mai la faccia, né il barbone o il naso da muppet. Ferocissimo con i perdenti, applica a se stesso la terapia dell’indulgenza. Una Spa di autoindulgenza. Dove prima ardeva il suo inferno dove lui se fosse stato foco e se fosse stato acqua, e persino morte… ma invece era Grillo Giuseppe e adesso tende a mimetizzarsi col paesaggio, che è sempre un a trovata ecosostenibile. Sarà nella casona al mare? Sarà col figlio che gli ha dato tante preoccupazioni? Risponderà al telefono criptato? Indovinala grillo. Per rispetto del lettore, devo confessare un pregiudizio che è un mio limite: da comico, non mi ha mai fatto veramente ridere. Da politico, ha fatto paura a molte persone sane di mente. La sua trovata-pretesa di aver arrestato appena in tempo una sanguinosa rivoluzione che avrebbe portato a un bagno di sangue ma che grazie al suo dirottamento si è trasformato in allegro hotel a cinque stelle movimento, è la dichiarazione di un codardo: in Italia non scoppia mai alcuna rivoluzione, mica siamo la Francia da Robespierre ai gilet jaunes. Al massimo, abbiamo avuto dei tristi brigatisti che sparavano alla nuca degli innocenti e poi chiedevano aiuto psicologico. Ma Grillo è stato amato dalle sue parti ed ha fatto ridere milioni di persone più intelligenti di me e dunque è colpa mia se non l’ho mai trovato irresistibile, azzardato, futurista, satanico, ma piuttosto un ragioniere diplomato che ha visto la vita da una bottega certamente pregiata, ma pur sempre bottega. La sua complicata macchina di scena è consistita in una costruzione alternata di banalità e verità curiose, poche genialità improvvise e poi tonnellate di plastica, una aritmetica planetaria da “Lo sapevate che?” alla capacità mimica di trasmettere stupore per la modernità che non capisce, ma che gli piacerebbe capire. Prova ansia e trasmette ansia, convinto di aver rivelato al mondo ciò che il mondo e l’umanità contengono. Così è nato il pollaio dei social, dei fan, dei like, della valutazione on line, dell’affratellamento con la piattaforma degli imprenditori che hanno costruito – loro sì – una start up che somiglia al Paese dei Balocchi in cui Pinocchio e Lucignolo vengono deportati dall’omino di burro per diventare somari e pelle per tamburo. Quando già aveva fatto il disastro e messo in ginocchio un Paese dalle caviglie di fango e la testa di legno, venne a Roma al Brancaccio per un ultimo spettacolone pieno di finta sincerità. Voleva incarnare il disarmato, il disincantato, il “davvero io ho fatto tutto questo e non me ne sono nemmeno accorto?”. I fedeli paganti battevano le manine, felici. Fece finta di prendere per il culo il pubblico chiedendo: ci avete preso sul serio? noi scherzavamo… Era una bugia di scena, naturalmente, ma conteneva una realistica confessione come capita a chi sviluppa un ego prostatico da Barone di Münchhausen e vuole spiegare l’ingombro che occupa. Ma dietro tutte le facezie abbiamo visto – intravisto – un uomo crudele, un individuo che adora insultare i cronisti, umiliare chi gli sta intorno, essere insomma veramente cattivo. È a nostro parere un tipo di cattiveria molto popolare in Italia perché ha radici cattoliche e comunarde: l’idea della “decrescita felice” non è soltanto una grandissima stronzata, ma un furto con scasso dell’altrui ingenuità. Ha cercato di incarnare il razionalizzatore che, seguendo un vago principio modernista, prometteva una posizione non ideologica, ma in realtà sempre ideologica ma anche auto-contraddittoria, con risultato differenza di potenziale zero, troppo fracasso per nulla. Ma si è preso, gli va riconosciuto, delle enormi soddisfazioni. Ha condotto una vita da predicatore e da dominatore e anche nel momento del tracollo ha sempre trovato una sala trucco dove andare a rifugiarsi. Sono finiti (chissà perché) i tempi in cui decine di sventurati giornalisti venivano comandati dalle loro testate di stazionare nel freddo e nel caldo e nella sabbia davanti alla sua casa per vederlo uscire e porgere implorando i microfoni e sentirsi trattati come pezzi di merda. Creò l’ideologia dell’antigiornalismo: non parlate ai giornalisti. Guai a chi va in televisione. Guai a chi parla, pensa, discute. Il movimento è come Scientology, ha le sue regole, sue di Grillo e di quelli della piattaforma in disparte. In suo nome è stato creato il terrorismo parlamentare: siete dei beneficati, non sarete mai più rieletti, dovete mollare quel che guadagnate. Ha cercato di sottoporre la natura umana a una prova da stress che si è conclusa in uno spettacolo ridicolo e, quello sì, risibile, se ci fosse da ridere. Certo, la legislatura va avanti e finché la barca va, la capra campa. Ma il comico non c’è più. E il politico non c’è mai stato. La sua visionarietà è scomparsa persino in teatro. Manca soltanto una mesta fanfara felliniana che giri intorno alla sua casa marina suonando le note più clownesche di Nino Rota, dei pagliacci che piangono e della donna cannone con le caviglie gonfie.
· Marco Morosini.
Da open.online.it il 21 marzo 2021. Il nuovo consulente scientifico del Movimento 5 Stelle si chiama Marco Morosini. Il suo compito? Insegnare la transizione ecologica ai 250 parlamentari dell’ormai partito. A investire dell’incarico lo scienziato di 69 anni – professore di Politica ambientale al Politecnico di Zurigo – è stato lo stesso Beppe Grillo. Morosini, infatti, è una vecchia conoscenza del co-fondatore del M5s: è stato il suo mentore ecologista, il suo autore e ghost-writer nel periodo degli spettacoli teatrali negli anni Novanta. «Nel 1993, lo spettacolo su RaiUno con 13 milioni di spettatori fu la nostra dichiarazione di guerra alla inciviltà dei consumi», ha ricordato recentemente Morosini in un’intervista a Il Manifesto. «Oggi tutti parlano di transizione ma poi sono davvero in pochi quelli che la conoscono davvero», ha dichiarato oggi su la Repubblica. «Viviamo una fase – prosegue – in cui serve cambiare radicalmente modello economico...Vicino a Nicolas Hulot, ex ministro della Transizione ecologica in Francia, Morosini si dice «ottimista» sul lavoro politico che è chiamato a fare. «Questa è una grande occasione per aiutare a creare coscienza, significa poter influenzare coloro che rappresentano milioni di cittadini ed elettori». Ma non senza cambi di rotta nello stesso M5s: «Il Movimento era l’unico partito ad avere in mano il jolly verde. Ma lo ha scartato. Per salvarsi deve cambiare discorso, programmi e personale». A partire dal rapporto con la Casaleggio associati: «Il M5S è in mano a un’azienda di web-marketing. Ma il rischio d’intossicazione digitale è come il rischio di silicosi per i minatori». tecnologie e stili di vita».
Giuliano Santoro per ilmanifesto.it il 21 marzo 2021. Marco Morosini, docente di politica ambientale al Politecnico di Zurigo, è stato autore e ghost writer del Beppe Grillo ambientalista dei primi anni Novanta. Con lui parliamo della svolta ambientalista del M5S e delle prospettive nel governo Draghi.
«Già nel 1993, nello spettacolo di Beppe che andò in onda su RaiUno – dice oggi – parlavamo di una rifondazione ecologica»
Dunque professore, per Grillo è un ritorno alle origini?
Ognuno definisce «le origini del M5S» come gli pare, in base a quando vi è entrato. Di origine però ce n’é è una sola. È al 100% social-ecologista ed è espressa in tre pietre miliari. Nel 1993, lo spettacolo su RaiUno, con 13 milioni di spettatori, fu la nostra dichiarazione di guerra alla «inciviltà dei consumi». La seconda pietra miliare è il nostro film del 1998 Un futuro sostenibile, tratto dal libro libro Futuro sostenibile del Wuppertal Institut il principale think tank social-ecologista europeo per due decenni riferimento di Grillo e dei primi grillini. La terza è la più politica, un vero programma di governo in una sola pagina. Mi riferisco all’articolo di Grillo intitolato «Perché non voto» uscito sul settimanale Internazionale l’11 aprile 2008. Indicava con una sola parola la chiave della transizione social-ecologica: «Meno». Indicammo tempi (il 2050) e quantità da ridurre: dimezzamento di energia, lavoro salariato, materie prime. Grillo concludeva: «Al momento non mi sembra ci siano partiti capaci di portarlo avanti. Se ne conoscete uno, buona fortuna». Un anno dopo nasceva il M5S. Esatto. Ma gli obiettivi del dimezzamento divennero altri: le «poltrone», i «vitalizi», le «auto blu».
Che ne pensa delle proposte di Grillo a Draghi?
La più importante è la fusione dei ministeri dell’ambiente e dello sviluppo economico in un unico ministero per la transizione ecologica e solidale, come in Francia e Spagna. Questo super-ministero dovrebbe essere la cabina di regia pluridecennale per una profonda trasformazione della società, non solo dell’economia. Solo questa trasformazione ci può permettere di far fronte a crisi che diventano sempre più drammatiche. Quelle della natura, delle disuguaglianze, delle migrazioni, del lavoro. Si tratta di un cambiamento di civiltà, non di governo, di economia, di tecnologie.
Nel Recovery plan ci sono spazi ci sono per una vera transizione ecologica?
La transizione social-ecologica è un processo di decenni, non di semestri. Se verrà speso per la transizione social-ecologica il Recovery plan può aiutare a fare nella direzione giusta il primo centimetro di un lunghissimo cammino.
È una contraddizione parlare di ambientalismo a un governo che probabilmente farà ripartire le trivelle e sicuramente farà procedere la Tav?
Ogni guerra è fatta di battaglie vinte e battaglie perse. Ma non tutte hanno la stessa importanza. In un sistema politico pluralista, se non si riesce a conquistare una larga maggioranza non si può cambiare un sistema, né tanto meno una civiltà. Se il Movimento 5 Stelle avesse messo per dieci anni più competenze, più umiltà e meno odio e volgarità nel suo agire politico, avrebbe avuto i presupposti per ambire a un’egemonia di idee, programmi e simpatie. Invece si è incarognito in una guerra furibonda a «loro». Ma «loro» chi? Ognuno è il «loro» di qualcun altro. Vede, un capitolo del mio libro, Snaturati, si intitola «Gramsci e Casaleggio» e mette a raffronto l’Ordine Nuovo del primo con il «Nuovo ordine mondiale» del secondo. Sembra uno scherzo, ma è un capitolo molto serio e aiuta a capire come mai il M5S si è ridotto nelle attuali condizioni.
Pensa che ci sia il rischio che l’ambientalismo diventi un alibi, una forma di greenwashing dell’immagine di Mario Draghi?
Se non si ha la stoffa per un’egemonia trasformativa, bisogna accontentarsi del poco che in pochi si riesce a conseguire. Ma se si riesce a piantare una pietra miliare come il ministero per la transizione ecologica, allora sarà valsa la pena. Il mulino della storia macina lento.
· Luigi Di Maio.
Il fascino discreto di Zelig Di Maio. Susanna Turco su L'Espresso il 29 novembre 2021. In consiglio dei ministri si atteggia a tecnico, sui giornali è diventato un iper-garantista, nei Cinque stelle è il vero manovratore di nomine e voti. Nel Palazzo Giuseppe Conte, il capo dei grillini, non tocca palla. Per ogni patto di potere c’è solo un referente: Luigi. In piena contraddizione con le sue origini (il Vaffa), in controtendenza rispetto a un tempo in cui tutto si sperpera e disfa, pure le reputazioni, Luigi Di Maio è impegnato da mesi in una clamorosa operazione da formichina - condotta in buona parte sulla pelle di Giuseppe Conte - consistente anzitutto in una dissimulazione nella quale il ministro degli Esteri si rende identico al colore di pareti, arazzi o poltrone sui quali transita o siede. Figurarsi che in Consiglio dei ministri, cui partecipa per la terza volta in tre governi, riesce persino nell'impresa di atteggiarsi a tecnico. Si comporta cioè come uno che sia stato chiamato lì come esperto della materia: l'unica cosa, tra tante, che di certo non è. Funziona, comunque, lo fa allegro: per quanto gli resti incrostato qualcosa d'un Angelino Alfano, non c'è nessuno che se la passi così bene. Nei Cinque Stelle sicuro. Forse anche fuori. In questa specie di anno zero che è la coda del 2021, sembra aver moltiplicato le forze. Azzimato e felice come un jack da Burraco in viaggio di Stato a Madrid, a cena a Palazzo reale e insignito - come già Andreotti e Casini - con la fascia gialla da Cavaliere di Gran Croce dell'Ordine di Isabella la Cattolica. Mondano e a suo agio come un Bruno Vespa, al lancio della sua autobiografia di trentacinquenne, quando spiega (per la gelosia di Salvini) che con Giorgetti mangia la pizza una volta al mese. Dolente come una prefica quando a maggio si scusò col sindaco di Lodi, Uggetti, proclamando «grottesche e disdicevoli» le gogne mediatico-giustizialiste a suo tempo inscenate. Proprio lui, già campione del «parliamo di Bibbiano». La metamorfosi era cominciata prima del governo Draghi: verso la fine del Conte I. Ha contato non poco il torcersi dello sguardo internazionale. L'uomo che da ministro dello Sviluppo Economico aveva fatto largo al memorandum d'intesa sulla Nuova via della seta ha con accortezza accantonato gli entusiasmi filo cinesi (ma certo non l'ex ambasciatore a Pechino Ettore Sequi, figura chiave della sua Farnesina) per volgersi a un fervente atlantismo. Una svolta attribuita anche agli uffici del suo ex portavoce Augusto Rubei, ora passato alle relazioni internazionali di Leonardo, ex Finmeccanica. Ma non è solo questo: basti considerare quanto la sua immagine sia rimasta immutata lungo lo sputtanarsi integrale del Movimento, tra la scatoletta di tonno e l'oggi. L'aiuta non poco la modestia dell'azione di Conte, che dovrebbe rubargli la scena e che invece, come previsto, gliela regala. L'avvocato del popolo - oggi «specialista dei penultimatum» - continua in effetti ad incarnare il ruolo in cui lo condannò a febbraio Beppe Grillo: nuovo capo di M5S, in teoria. Scelta plaudita da Di Maio il quale, ben ritirato, aveva provveduto per tempo a stringere i rapporti con Mario Draghi (già a giugno 2020), mentre Conte ancora tesseva la vana tela del suo “ter” a Palazzo, con Goffredo Bettini e Gianni Letta. L'apoteosi è di questi giorni, con la vicenda Rai: l'ex premier s’è lamentato di non aver toccato palla, ma tutti sanno che gli accordi sulle nomine (Monica Maggioni) sono passati per il ministro degli Esteri. Il quale insomma sembrerebbe quasi un genio delle manovre: aiutato però assai dal fatto di muoversi in un «Parlamento di impediti», come direbbe Rino Formica.
Istruzioni per non fidarsi mai di Di Maio né dei molestatori della democrazia. Christian Rocca su L'Inkiesta il 29 novembre 2021. Lo spettacolo del ministro degli Esteri che applaude Draghi, Mattarella e Macron dopo aver professato l’uscita dall’euro, chiesto l’impeachment e applaudito gli assalitori di Parigi non è una cosa normale, come non è normale far finta di niente di fronte a una palpatina al sedere in diretta tv. Quella faccia di bronzo di Luigi Di Maio ha applaudito al Quirinale Draghi, Mattarella e Macron con un trasporto che per intensità e passione ha ricordato quello tributato da certi attuali dirigenti antirenziani del Pd quando Renzi era segretario. Ieri, alla Festa del Foglio, Di Maio ha anche salutato gli sconcertati lettori del giornale che fu di Giuliano Ferrara come se fosse un vecchio fogliante, un garantista doc, un veterano di mille battaglie per la giustizia giusta, per lo Stato di diritto e contro la gogna mediatica.
Malimorté!
Di Maio è stato fino all’altro ieri il capetto di un movimento antipolitico e antidemocratico scelto da Casaleggio senior per svillaneggiare le istituzioni repubblicane, mutilare il Parlamento e sostituire il discorso pubblico con gli algoritmi addestrati dalla scemenza artificiale.
Per questo, nel metaverso di Di Maio è normale chiedere l’uscita dall’euro gestito de Mario Draghi, invocare l’impeachment di Sergio Mattarella e sostenere i fiers garçons in gilet gialli che prendevano d’assalto i palazzi della Repubblica francese di Emmanuel Macron, e poi applaudire senza un briciolo di decenza Draghi, Mattarella e Macron e sostenere Draghi ancora a Palazzo Chigi, Mattarella di nuovo al Quirinale e dare indicazione di voto per Macron all’Eliseo.
Il mondo di Di Maio è lo stesso metaverso in cui fino a un paio di anni fa cercava alleanze strategiche con i partiti più estremisti d’Europa, diciamo anche fascisti, e di entrare nella famiglia dei nazional-sovranisti al Parlamento di Bruxelles, con Nigel Farage e gli indipendentisti della Brexit, e ora pensa di andare a braccetto con i socialisti.
La disinvoltura di Di Maio e la sua impermeabilità all’indecenza sono tali da non lasciare dubbi a chi giudica la giravolta ideologicamente rispettabile comunque come un fatto positivo, come la prova di una grande capacità di crescita, come un esempio di maturità politica.
Per fortuna c’è anche chi non è convinto che Di Maio sia il caso di scuola del barbaro civilizzato dagli usi e costumi della politica romana. Tra questi c’è Linkiesta.
Di Maio è lo stesso che accusava il Pd di fare l’elettroshock ai bambini per sottrarli alle famiglie naturali e poi lucrare sugli affidamenti familiari, mentre ora vuole allearsi col Pd a Bibbiano, in Italia e in Europa. Per questo è inspiegabile come possa essere considerato un politico serio e coscienzioso anziché un furbacchione opportunista che al prossimo giro potrebbe essere prontissimo a tornare a mozzare orecchi, devastare il mercato del lavoro e umiliare la democrazia rappresentativa.
L’unica cosa che mi è sempre piaciuta di Di Maio non depone però a suo favore: da ministro del secondo governo Conte lasciava che il suo staff diffondesse veline contro il presidente del Consiglio, in una sfida belluina tra uffici della comunicazione dei Cinquestelle. Le attività per indebolire Giuseppe Conte meritano da sole una medaglia al valore civile, ma non sono esattamente una prova di affidabilità e rettitudine se combattute dall’allora capo politico del partito che esprimeva Conte.
Sarebbe sciocco, insomma, fidarsi della narrazione di un Di Maio ex masaniello digitale convertitosi ai privilegi della casta. Più prudente, invece, diffidare di chi, come il conduttore che alla giornalista Greta Beccaglia ha consigliato di non prendersela per la palpatina al sedere ricevuta in diretta tv, vuole convincere il sistema politico che non bisogna prendersela con Di Maio perché in fondo è normale che sia cambiato.
No, grazie. Meglio continuare a prendersela con chi come Di Maio ha speculato sull’antipolitica alimentando rabbia e risentimento, e non smettere di denunciare i palpeggiamenti ai diritti civili, le molestie alle istituzioni e lo stupro del dibattito pubblico compiuti in questi anni di populismo.
Statisti per caso. Di Maio l’immortale, fenomenologia di una storia italiana. Davide Piacenza su L'Inkiesta il 27 Ottobre 2021. Nel suo nuovo libro, “Un amore chiamato politica”, il ministro passa in rassegna la sua irripetibile cavalcata attraverso governi e crisi mondiali: «Sono sempre stato un tipo molto cauto, attento alle sfumature». Tra l’agiografia di Giuseppe Conte, senza una parola sulla guerra che si sono fatti, e l’inevitabile trionfo della poltrona sul popolo. Tout est pardonné. Da qualche tempo, quando vedo Luigi Di Maio concionare dietro microfoni e su podi, palchi e tribune non provo più nient’altro che stima, quel genere di ammirazione latentemente invidiosa che si riserva a un parente non brillante che ha fatto una carriera prodigiosa. Ma di invidia, per il ministro Di Maio, mi sembra di non averne, anzi ormai ci vedo insieme a sorseggiare una birra ghiacciata in spiaggia al tramonto, due amici di vecchia data nell’indolenza dell’estate italiana. Meraviglioso ragazzo tra i «ragazzi meravigliosi» di Beppe Grillo, è entrato in Parlamento nel 2013, una vita fa, da ventiseienne, ne ha vice-presieduto un ramo fin da subito e anno dopo anno, tra le accuse e gli sberleffi dei suoi copiosi detrattori, è diventato una presenza fissa, quasi scontata della nostra politica, un habitué incasellato per sbaglio nella colonna dei garanti delle istituzioni. Se non proprio un Andreotti (scusaci, Giulio), almeno un Forlani. La lista delle cose che ha passato indenne nella sua scalata al Palazzo è posta giustamente a introduzione del suo nuovo libro, “Un amore chiamato politica” (Piemme): «Due elezioni vinte, la formazione di tre governi e la crisi di due; l’elezione e le dimissioni da capo politico del Movimento 5 stelle; gli incontri con Trump e Merkel; la prima zona rossa Covid dell’Occidente; i giorni del ritiro delle truppe dall’Afghanistan». Alla domanda che sorge spontanea anche a lui stesso rileggendola – “perché Di Maio?” – si può finalmente dare una risposta: tutt’altro che incapace, inadatto e inopportuno, il ministro degli Esteri italiano si è dimostrato un Highlander in grado di mettersi in tasca le nostre risate e tirare dritto fino al prossimo esecutivo. «Giggino il bibitaro», se mai è esistito, era una macchietta, ma «Giggino l’Immortale» è realtà. Il libro, colmo dei refusi, subordinate creative e tempi verbali da Pop Art specialità della casa, è quel che è, come quasi tutte le opere di politici di primo piano: a tratti sembra di leggere un Liala con Giuseppe Conte al posto dell’amata. Però ci sono anche cose meritevoli, o almeno di interesse. Dice ad esempio Di Maio l’Immortale: «In questi anni in Parlamento ho scoperto che perfino non scegliere in un dato momento è esso stesso una scelta». In quest’ottica, a ben pensarci, potrebbe essere considerato il ministro degli Esteri più decisionista di sempre, dato che ha scelto ripetutamente di non scegliere sui principali dossier degli ultimi anni, dall’uccisione di Giulio Regeni alla Libia, da Hong Kong e la Cina fino al suo recente capolavoro estivo, cioè la presa di Kabul dei talebani gestita – diciamo – giocando a biglie sulla spiaggia di Porto Cesareo. C’è, ovviamente, spazio per la formazione nel suo bildungsroman: deve molto, dice, a un suo professore, Antonio Cassese del liceo classico di Pomigliano d’Arco, il quale l’ha «educato ad avere rispetto per le istituzioni e per lo stato», e si immagina il povero tapino Cassese non riuscire a trattenere la collera e scagliare il tomo fuori dalla sua finestra pomiglianese, al pensiero che a scriverlo è pur sempre l’estensore di quella modesta proposta di mettere sotto impeachment il presidente della Repubblica Sergio Mattarella per futili motivi, nonché il leader del partito che voleva, si sa, aprire il Parlamento qual confezione di pesce sott’olio. I pedagoghi di Di Maio che l’hanno portato ad avvicinarsi alla res publica «continuavano a ripetermi che non si tratta di una banale lotta fra un colore e l’altro», e lui deve aver travisato, pensando che la questione cromatica non fosse meritevole di alcuna importanza: si può governare con tutti, volendo. Basta scegliere di non scegliere troppo. Due parole di autovalutazione caratteriale: «Sono sempre stato un tipo molto cauto, attento alle sfumature e pieno di dubbi». Il che obiettivamente coglie di sorpresa, a meno di voler definire «cauto» l’ergersi da un balcone e, nel pieno possesso delle proprie facoltà mentali, annunciare tripudiante: «Abbiamo abolito la povertà!» (però ora dice di essersene pentito). La seconda volta che incontra Beppe Grillo (la prima è a una comparsata del comico a Pomigliano per le comunali del 2009, comunque meritevole: «Immaginate me, giovane di provincia, jeans e camicia, capelli normali, occhi normali, mai fumato una sigaretta nella vita, ligio e composto». E viene da chiedersi come il ministro si immaginasse gli occhi delle persone di mondo prima di allora) è a Milano «dopo i primi tre mesi di legislatura» del 2013: sostanzialmente par di capire che Beppe il meraviglioso ragazzo l’ha frequentato ben poco. Siamo nella fase concitata e disperata in cui i grillini sono dissezionati dai media come fossero alieni, che comunque a Roma un po’ sono. Sede dell’incontro: Casaleggio Associati Srl. Beppe e Gianroberto «visti uno accanto all’altro erano come lo yin e lo yang», scrive il cauto autore, «il giorno e la notte, il silenzio e il frastuono. Questo eterno dualismo si incrociava e si scambiava dentro i loro spiriti». Sembra “Siddharta”. Grillo, per fare un accostamento cinematografico, «è una sorta di Jep Gambardella della “Grande bellezza“ di Sorrentino: non ha solo il potere di organizzare e partecipare al Movimento, Beppe ha il potere di farlo fallire». E qui, non so voi, leggo una richiesta d’aiuto appena celata. Facciamo come coi prigionieri in Corea del Nord: Luigi, se serve sbaglia il tempo verbale di tre subordinate nelle prossime due pagine, noi capiremo. L’opera è disseminata di sintomi di un «eterno dualismo» che è tutto interno al suo autore, in ogni caso: da una parte quello che entra per la prima volta nella Sala della Regina a Montecitorio trattenendo il fiato e dicendosi «in quella sala […] adesso era finalmente arrivato il popolo», tra una bordata e l’altra ai «partiti tradizionali»; dall’altra quello che una dozzina di righe dopo definisce Dario Franceschini «uno dei politici più lucidi e intelligenti che abbia mai conosciuto»; prima Di Maio ricorda commosso la schiera di «insegnanti laureati ascensoristi, operai ingegneri avvocati commercialisti» presentatasi «come una colonna di commilitoni, una forza di pace» davanti al Parlamento, dall’altra ha «compreso che non basta dire che “uno vale uno” e che è pericoloso lasciar credere che chiunque possa occuparsi della cosa pubblica. Non tutti sono in grado di rappresentare dignitosamente le istituzioni»; nel racconto della concitata genesi del primo governo Conte, l’ipotesi di un esecutivo con la Lega passa nel giro di poche ore da un capillare e stentoreo «mai con loro» a Salvini al «Lega sia» certificato da Grillo dopo il niet di Renzi («non nego che sentii una piccola punta di rivalsa», ammette Di Maio). Ah, sì, Giuseppe Conte. È già mitica la descrizione agiografico-verdoniana del suo manifestarsi alle consultazioni Lega-Cinque stelle: «Al suo arrivo in hotel indossava una camicia, il primo bottone sbottonato, la sua abbronzatura era forte, decisa, molto estiva e gli conferiva un’aria spensierata. Veniva dal Circeo, o da Gaeta, non lo ricordo con esattezza». Chissà se si era imbarcato su un cargo battente bandiera liberiana. Citando ancora: «Uno strettissimo collaboratore di Salvini, anche lui presente, si intromise e avanzò un timore, che poi si sarebbe rivelato profetico: “Matteo, sei sicuro? Non è che poi questo ci diventa il Macron italiano?”». Quando uno è profetico, è profetico (nessuna riga, invece, su quante se ne sono dette e fatte lui e Conte durante il Conte due). Di Maio, che è un grande italiano, ha provato la lotta e il governo e ha scelto la dimensione più adatta a lui. Non c’è niente di male, anzi forse è questo a rendermelo simpatico: oltre gli equilibrismi di una certa complessità – anche sintattica – in cui deve cimentarsi per non scontentare la sua origine, è come se lo vedessi tamburellare le dita sulla poltrona in pelle umana del suo ufficio in piazzale della Farnesina, sguardo sognante ma anche «cauto», con la mente fissa sulla prossima trattativa, il prossimo compromesso, il prossimo governo, la prossima stagione balneare. Quando chiede scusa all’ex sindaco di Lodi Uggetti per le gogne del fu Movimento dei vaffa o dice ai giornali «siamo una forza moderata e liberale», anzi pure «europeista», è impossibile avercela con lui: è semplicemente uno che ha capito come va e ora nuota con la corrente. Ecco l’approdo italianissimo del bildungsroman dimaiano. Scriveva Antonio Polito sul Corsera alla fine del 2018, ai tempi del primo governo Conte, sul rapporto del nostro col bestiale e allora inarrestabile Matteo Salvini: «Li chiamavano i Dioscuri. Con i suoi studi classici Di Maio avrebbe dovuto capire subito che dietro c’era il trucco. Esisteva infatti una sola grande differenza tra i due gemelli del mito: uno era immortale e l’altro no. E tra lui e Salvini dovrebbe essere chiaro chi è che ha a disposizione una seconda vita politica, in caso questa finisca prematuramente». E invece, immortale è chi immortale fa.
I suoi primi 40 anacoluti. Tutte le volte che Di Maio si è guardato le scarpe e altre favolose battaglie. L’avvelenata Guia Soncini su L'Inkiesta il 26 Ottobre 2021. Nella sua autobiografia il ministro degli Esteri regala refusi fin dalle prime pagine. In esergo «mira alla luna» ma nello svolgimento riesce a sbagliare il tiro più facile sul suo trascorso da bibitaro. Nelle prime diciannove pagine di “Un amore chiamato politica” (edito da Piemme, esce oggi), Di Maio si guarda la punta delle scarpe quattro volte, e quando non guarda le sue guarda quelle del padre, la cui polverosità egli ci dettaglia non ho capito se considerandola possente metafora della classe lavoratrice o critica politica a D’Alema. Lo leggevo mentre con un occhio guardavo un televisore dentro al quale si diceva che sui colori degli abiti di Hillary Clinton venivano fatte osservazioni e su quelli di Barack Obama no; e che i commenti alle caratteristiche fisiche di Berlusconi erano un ripiego utilizzato da Striscia la notizia, che non poteva permettersi di fare critiche più pregnanti al padrone della baracca. Faticavo a concentrarmi sulla lettura mentre mi chiedevo come fosse possibile che in tv ci fossero donne così impreparate da non sapere che l’unica cosa su cui si è polemizzato, in otto anni di presidenza Obama, è stato il colore d’un abito del presidente; o che «psiconano» non è una definizione ideata da Antonio Ricci. Volevo sapere dell’amore di Di Maio, e invece ero costretta a chiedermi se notare com’erano pettinate e truccate e abbigliate le parlanti fosse un modo sufficientemente elegante di dirottare l’attenzione dalle stronzate che pensavano e dicevano. Di Maio, d’altra parte, che sa che giocare al femminismo ormai è copertura per qualunque incompetenza e impresentabilità, comincia il suo tomo dicendo che l’ha scritto sollecitato da Virginia, la sua compagna, e ringraziandola «per l’amore che mi rivolge ogni giorno». Non sono sicura che l’amore si rivolga, ma che cos’è un verbo quando hai tutte quelle punte di scarpe da guardare. È molto grato, Di Maio. Anche a un prof di liceo. «Si chiamava Antonio Cassese. In realtà si chiama ancora così». Ringraziamo Luigi Di Maio per averci informato che il prof non ha cambiato sesso, e ringraziamo anche l’editor di Piemme per non aver eliminato nessuno dei dettagli che ti fanno pensare che un libro autopubblicato conterrebbe meno pecionate (non avevo mai visto un refuso al primo paragrafo, e dire che ho letto persino un sacco di Harmony, mica solo Tolstoj). Ma torniamo al professore che non ha cambiato nome, e al modo sobrio in cui l’ex allievo lo rievoca: «Quando alle superiori hai il privilegio di trovarti davanti a una mente pura e limpida che si pone sempre in modo costruttivo di fronte alle tue incertezze, ai tuoi sbalzi d’umore, ai tuoi sogni e aspirazioni, quando davanti a te hai la fortuna di avere una persona che la politica l’ha odorata, toccata, schiaffeggiata, allontanata e riacciuffata» – chiudo prima della reggente, e lo faccio per due ragioni. La prima è un omaggio a Di Maio come prosatore: l’anacoluto è la sua vocazione, e il fatto che stavolta non avesse dimenticato la principale è un’eccezione che non voglio citare per non falsare la statistica. La seconda è che quei cinque participi mi hanno fatto tornare in mente una meraviglia. «Con i suoi occhi cisposi, i denti cariati, l’alito fetido, l’espressione idiota, la voce odiosa, il salumiere aspettava che gli pagassi la dozzina di uova. Aveva la classica faccia da porco, ma da porco vecchio, malato, guasto dentro. Il suo negozio era disgustoso. Fuori cadeva, lentissima, una pioggia lercia. Vomitai: una, due, tre, quattro volte». Trent’anni fa, Michele Serra pubblicò un librino intitolato “44 falsi”. Era una raccolta di apocrifi, ognuno scritto divertendosi a ricalcare lo stile di qualcuno. Il più favolosissimo era quello di Oriana Fallaci. «Il salumiere mi fissò con la sua espressione ebete, laida, immonda, turpe, sconcia, triviale, ottusa, empia, cretina, ignorante, cafona, arrogante, offensiva. Io gli fissai le scarpe, veramente bruttissime, e gli allungai il suo schifoso, fottuto, atroce, insolente, blasfemo mezzo dollaro. Vomitai: una, due, tre, quattro volte». Oriana Fallaci che vomita aggettivando le uova a mezze dozzine (di aggettivi) è l’evidente modello della prosa di Di Maio, e non importa che non fosse la Fallaci ma Serra: viviamo nell’epoca in cui i politici sono parodia sui social, è giusto lo siano anche nei libri. È giusto che le scarpe, siano le proprie o quelle del salumiere che vende le uova alla Fallaci, siano la fissazione delle memorie di Di Maio. Impegnato com’è a guardarsi la punta delle scarpe, Di Maio riesce a sbagliare mira anche sul tiro più facile del mondo, cioè il capitolo in cui potrebbe facilmente averla vinta («asfaltare», si direbbe nella lingua dell’elettorato contemporaneo) su quelli così fessi da ridurre il dibattito a «sì ma tu vendevi bibite allo stadio». Invece di rispondere «e allora?», o «critica molto di sinistra, complimenti», Di Maio dice: che certo, non ci sarebbe niente di male, ma lui non ha mai venduto bibite e allo stadio ha sempre pagato il biglietto; che gli hanno dato anche dell’omosessuale, e sempre non ci sarebbe niente di male, ma lui non lo è (manca solo «ho molti amici gay, sono persone sensibilissime»); che «la cultura del bibitaro» (è il titolo del capitolo: io ci avrei titolato il libro, ma nell’editoria si dice che la parola «amore» faccia aumentare di non so quanto le vendite d’un titolo, mentre non ci sono analoghi studi su «cultura») l’ha inventata Silvio Berlusconi (per il quale penso sempre più spesso al verso «assenza, più acuta presenza», che potrebbe essere esergo delle memorie di uno qualunque di questi che scelgono le frasi a orecchio: in esergo a Di Maio c’è «Mira alla luna: anche se sbagli, atterrerai tra le stelle», che Google attribuisce a un oratore motivazionale che l’editore deve aver considerato troppo poco popolare per citarlo; potevano mettere come fonte «calendario di Frate Indovino», sarebbe stato credibile e il pubblico di Di Maio avrebbe annuito forte). Ma, se il bibitaro è il modo in cui Silvio Berlusconi rappresenta «il tipico disprezzo di una generazione inchiodata alla poltrona, che non ha mai fatto niente per insegnare e far crescere le nuove generazioni, anzi ha cercato in ogni modo di affossarle», come mai io questa fissazione per i trascorsi bibitari di Di Maio l’ho sentita sempre e solo da gente sua coetanea o poco più? E, soprattutto: te lo vedi Berlusconi che frigna perché lo affossano rievocando i suoi trascorsi da crooner sulle navi da crociera? Siamo sempre lì: alla distanza tra Andreotti che chiede l’originale della vignetta che gli dà del malvivente, e la sardina che frigna di quanto una vignetta l’abbia ferito come persona. A Di Maio che non ha il guizzo di proporsi come ospite vestito da bibitaro a un varietà (anche se, porello, non è che i palinsesti televisivi sian pieni di trasmissioni di satira in cui si possa inscenare la gag. Amici di Propaganda, fatelo passare sullo sfondo d’un collegamento a offrire bevande non abbastanza fredde. O anche tra le poltrone del pubblico in studio). Una cosa sola mi ha molto sorpresa, una volta schivate le punte delle scarpe e i refusi che arredano le memorie del ministro degli Esteri. Non c’è un rigo su quella settimana – l’ultima dell’agosto 2020 – trascorsa dall’opinione pubblica a prenderlo per il culo perché troppo abbronzato. Una donna, al posto suo, ci avrebbe fatto almeno un paio di capitoli di vittimismo (Di Maio preferisce ricordarci che quando Salvini fece cadere il governo lui lavorò anche a Ferragosto: questa gente ci rinfaccerà finché vive quell’agosto di ferie non fatte, sono proprio arcitaliani). Confido che quel vittimismo mancato diventi materiale per Luca e Paolo, che in Quelli che il calcio hanno due nuovi personaggi, Michel e Murgio, che pubblicano tomi quali “Abbassa la tavoletta e altre frasi che non vogliamo mai più sentire”. È ora di finirla di tacere le vessazioni inflitte a Di Maio quando lo accusavamo di blackface perché aveva preso troppo sole, quando era in tutti i meme che circolavano, quando era tutt’un paragonarlo a Carlo Conti. È ora di drammatizzare come merita quel momento storico, così magari se ne accorgono anche le opinioniste dei talk show, quelle convinte che la società dell’immagine sia abitata da sole donne.
Estratto da “Un amore chiamato politica”, il libro di Luigi Di Maio pubblicato da Piemme. Qualcuno in quei giorni mi suggerì di non prendete troppi ministeri perché non saremmo riusciti a gestirli. Forse aveva ragione, ma volevo usare tutta la potenza di fuoco di quel 33% delle politiche per fare più cose possibile. Tornammo nel mio ufficio con Vincenzo Spadafora, Riccardo Fraccaro, Alfonso Bonafede e Stefano Buffagni: riordinammo gli appunti e iniziai le telefonate. I primi furono Sergio Costa e Danilo Toninelli: «Sei ministro, domani vieni a giurare». In questi anni queste telefonate le ho sempre fatte io, una alla volta, a tutti. C'è chi piange, chi ti ringrazia, chi urla dalla gioia, chi resta in silenzio, chi ti dice: «Ma io domani non ci sono per venire al giuramento, si può spostare?». È uno spaccato di umanità, viene fuori la vera natura delle persone.
Leonardo Ventura per “il Tempo” il 26 ottobre 2021. Luigi Di Maio, ex capo politico del M5s, vuota il sacco sulla sua carriera politica nella quale figurano annedoti e curiosità mai resi noti al grande pubblico. Il ministro degli esteri lo fa in un'autobiografia intitolata «Un amore chiamato politica» in cui racconta la stagione dei Cinque Stelle vista dalla sua prospettiva inedita e privilegiata. Nel libro in questi giorni in libreria non mancano i retroscena. Come quello in cui Di Maio svela le parole di Beppe Grillo quando vide gli alloggi dell'allora premier Conte a Palazzo Chigi: «Bello qui, sembra la casa dei Casamonica». La satira dissacrante del comico fondatore aveva colpito duro contro il compassato avvocato del popolo. Ma cosa c'era a Palazzo Chigi di cosi kitsch. «Il Tempo» lo aveva svelato due anni fa in alcuni articoli che raccontavano nei dettagli i lavori di ristrutturazione della casa del premier. «Giuseppe Conte ha ristrutturato il "suo" appartamento al terzo piano di Palazzo Chigi - scrivevamo su Il Tempo il 24 novembre 2019 -. Porta blindata, antifurto con telecamere a colori, impianto idrico, nuovi attacchi per lavatrice e lavastoviglie, persiane in legno e una cabina doccia con otto idrogetti ad effetto massaggiante...I lavori hanno previsto una spesa di quasi 23 mila euro (iva compresa)». E il pezzo forte era proprio la cabina doccia «in metacrilato con base in acciaio galvanizzato, fondo antiscivolo, cristalli temperati di sicurezza scorrevoli e tettuccio trasparente apribile - rivelavano gli articoli pubblicati da Il Tempo - 8 idrogetti regolabili ad effetto massaggiante ad azione alternata, posti in verticale sulla parete attrezzata, a 4 idrogetti dorsali, rubinetteria con miscelatore monocomando, asta, doccetta con getto regolabile, deviatore di selezione, sedile, specchio e vano portaoggetti, compresa elettropomp a e serbatoi per getto costante». Una doccia tipo Jacuzzi che, già all'epoca, imbarazzava e non poco i grillini...
Dagospia il 7 novembre 2021. DI MAIO IN PEGGIO - SE NON CI FOSSE LUIGINO, BISOGNEREBBE INVENTARLO. NEL SUO LIBRO SCRIVE DI AVER INCONTRATO MICHAEL BOLTON (E NON JOHN BOLTON, ALLORA CONSIGLIERE PER LA SICUREZZA DI TRUMP) ALLA CASA BIANCA: MAGARI GLI HA CANTATO “WHEN A MAN LOVES A WOMAN”- DI MAIO COLLEZIONISTA DI GAFFE: HA COLLOCATO PINOCHET IN VENEZUELA, HA CHIAMATO 'PING' IL PRESIDENTE CINESE XI JINPING ED E’ CONVINTO CHE LA RUSSIA SIA "BAGNATA DAL MEDITERRANEO"... Luigi Di Maio – Estratto dal libro Un amore chiamato politica. (…) Quasi per un gioco del destino, a 24 ore dalla firma della Via della Seta partii alla volta di Washington, la mia prima visita ufficiale negli States. Arrivai alla Casa Bianca in veste di ministro dello Sviluppo economico e un po’ mi sorprese: era assai più piccola di come me la immaginavo, Mi accolse Michael Bolton, consigliere per la sicurezza di Trump…
Il libro di Di Maio: «Salvini? Una delle persone più false che abbia mai conosciuto. Quando Trump mi chiese: sei con o contro Giuseppi?». Emanuele Buzzi su Il Corriere della Sera il 25 ottobre 2021. Il libro del ministro degli Esteri: «Quando Trump mi chiese: sei con o contro Giuseppi?» La scena è alla Casa Bianca, Washington, ottobre 2019. «“Voi state dalla parte di Giuseppi (Conte) o siete contro di lui?”, chiese inarcando le sopracciglia. Trattenni un sorriso. Realizzai che non aveva la minima idea di chi avesse davanti. Quando lo invitai a considerare la qualità del nostro impegno nelle missioni Nato mi rispose con sarcasmo: “Questi erano discorsi per Obama. Per me contano solo i dollari”». Chi parla è Donald Trump, all’epoca presidente degli Usa. Davanti a lui Luigi Di Maio. Con loro c’è il capo dello Stato, Sergio Mattarella, in visita ufficiale accompagnato dal ministro degli Esteri. Scorci di dietro le quinte che si intervallano a riflessioni personali sulla vita e la politica. Uno spaccato che racconta la stagione dei Cinque Stelle vista da una prospettiva inedita e privilegiata: è questo anzitutto il libro autobiografico di Luigi Di Maio — Un amore chiamato politica (edizioni Piemme, in libreria da domani) —, ma non solo. Di Maio traccia una parabola del suo percorso politico partendo dall’ingresso in Parlamento, svelando aneddoti finora rimasti sconosciuti e spiegando l’evoluzione del M5S dal suo punto di vista. E nel percorso si fa largo anche il lato personale, umano, dell’uomo politico. Dal rapporto conflittuale con il padre (con cui c’è «una lunga, forse eterna ed estenuante competizione»), agli anni del liceo con i due professori suoi primi mentori, al rapporto con la fidanzata Virginia Saba che lo sostiene e lo incoraggia nelle scelte (anche sul libro: «È stata lei a esortarmi»), alla stima per chi fa parte o ha fatto parte del suo staff (da Pietro Dettori, ad Augusto Rubei — che cita nei ringraziamenti— a Peppe Marici, solo per dirne alcuni). Da cittadino a deputato, da vicepresidente della Camera a capo politico del Movimento, da vicepremier a ministro degli Esteri: molte tappe, molte «vite» trascorse in soli otto anni. Nella prima fase emerge con prepotenza l’importanza, alla centralità che avevano Gianroberto Casaleggio e Beppe Grillo tra i Cinque Stelle. Di Maio si sofferma sulla figura dello stratega scomparso nel 2016, confuta l’immagine del «guru eremita». «Era solo un uomo che aveva un progetto ben definito». Lo ricorda con affetto nei passaggi cruciali della crescita del M5S, ne svela il pragmatismo come quando voleva candidare Alessandro Di Battista a sindaco di Roma o come quando convoca i parlamentari a Milano per istruirli su come muoversi in tv. Di Grillo invece riconosce la leadership («rimane in assoluto la figura di maggiore rilievo del Movimento») e la «verve dissacratoria», come quando — verso Natale 2018 — visita gli alloggi del premier a Palazzo Chigi: «Bello qui, sembra la casa dei Casamonica». Ma è soprattutto sugli ultimi anni, quelli dei governi targati M5S, su cui si sofferma. La rinuncia (due volte) al ruolo di premier, il pentimento per l’«abolizione della povertà» e la foto sul balcone di Palazzo Chigi («sbagliai a salire su quel balcone. E sbagliai a pronunciare quelle parole»), le parole di Mattarella dopo la richiesta di impeachment («per me negli ultimi due giorni non è successo niente») sono parte del suo processo di «formazione». Così come il confronto con gli altri leader. Ecco allora i complimenti di Silvio Berlusconi nei corridoi di uno studio televisivo, qualche frecciata a Di Battista e i rapporti burrascosi con i due Matteo, colpevoli a suo dire di aver orchestrato le crisi dei governi Conte. A Renzi Di Maio rinfaccia anche il fallimento di una prima trattativa per costruire un governo nel 2018. Con Salvini («una delle persone più false che abbia mai conosciuto») il rapporto è più altalenante e si conclude con una lunga telefonata nell’agosto della crisi gialloverde raccontata da Di Maio perfino nelle pause e nei silenzi. Erano poco di due anni fa, sembra passato un decennio.
Simone Canettieri per ilfoglio.it il 25 ottobre 2021. E' la vera chicca del libro di Luigi Di Maio che uscirà domani ("Un amore chiamato politica", edito da Piemme). E svela l'incontro, a tu per tu, tra l'attuale ministro degli Esteri e Silvio Berlusconi. Due mondi in apparenza opposti che si toccarono, ormai più di due anni fa. Il fatto, racconta il big del M5s nella sua autobiografia, risale alla campagna elettorale per le elezioni Europee del 2019 (l'inizio del declino dei pentastellati, usciti dalle politiche come prima forza del Parlamento). Di Maio all'epoca era vicepremier del governo gialloverde con la Lega di Matteo Salvini e capo politico dei grillini. Siamo a Milano, negli studi Mediaset di Cologno Monzese. Di Maio è appena uscito dalla registrazione di un programma tv quando, a sorpresa, incontra in un corridoio il Cav. Un faccia a faccia non programmato dal grillino. L'inizio di un percorso personale e politico all'insegna della realpolitik. Dal giorno di quel fatale faccia a faccia ne sono passati di tempi e di governi. Visto che ora proprio Di Maio siede in consiglio dei ministri con gli esponenti di Forza Italia. Con i quali pare che il feeling sia ottimo.
Samuele Finetti per ilgiornale.it il 25 ottobre 2021. "Io credo fortemente nel fatto che con la Lega di Matteo Salvini si possa fare un buon lavoro per questo Paese". "Non ho nessuna intenzione di far parte di un movimento che si allea con la Lega". "Io e Salvini quando ci sentiamo ci capiamo". "Salvini è una delle persone più false che abbia mai conosciuto". È difficile crederlo, ma queste frasi sono state pronunciate dalla stessa persona. L'ultima è una citazione tratta da un libro in uscita: "Un amore chiamato politica", autore Luigi Di Maio. Già, perché alla veneranda età di 35 anni, il ministro degli Esteri ha deciso che l'Italia non potesse fare a meno della sua autobiografia. Scorrendo le 185 pagine del volumetto, il lettore ripercorre l'epopea di Di Maio, dai primi meet-up grillini fino alla Farnesina, passando per Montecitorio, il primo governo Conte - quando, dall'alto del suo diploma classico, venne nominato ministro dello Sviluppo Economico e del Lavoro - e i due anni e mezzo come capo politico del Movimento 5 Stelle. Il tratto comune salta all'occhio presto: la giravolta, cardine attorno a cui ruota sin dall'inizio l'avventura grillina. Perché il Di Maio che attacca Matteo Salvini è lo stesso che sorrideva insieme a lui mentre veniva annunciata l'approvazione di Quota 100 e del reddito di cittadinanza. È lo stesso che trattò i nomi per il Conte I insieme al leader del Carroccio, e che fece muro sui decreti sicurezza quando ancora 5Stelle e Lega andavano a braccetto, per poi definirli "deludenti". Poi arrivò l'estate del 2019, l'estate della rottura. Di Maio e Salvini si sentirono per l'ultima volta nei giorni roventi della crisi di governo, si legge nel libro. Seduti uno vicino all'altro, divisi solo dal dimissionario Giuseppe Conte. Salvini scuro in volto. Di Maio, invece, gongolava mentre il "suo" presidente del Consiglio diceva quello che forse avrebbe voluto dire lui. Resta da capire come sia possibile passare da un estremo all'altro, dalle lodi a Salvini per il pragmatismo e la capacità di lavorare "sui fatti" alle parole di disprezzo. Forse Di Maio lo spiegherà nella sua prossima fatica letteraria.
Dagospia il 25 ottobre 2021. “È veramente goffo il tentativo dell’ex giovane di Pomigliano di rendere offesa alla verità dei fatti. Mi sono mosso, in quel periodo, a favore del Governo Conte perché ritenevo, in coscienza, che il Paese, in un momento drammatico, non dovesse strambare. Nessuno ha chiesto alcunché. Peraltro, abbiamo tentato di dare una mano al Governo, nonostante avesse a Ministro degli Esteri un presuntuoso. Anziché ringraziare per l’aiuto dato a Conte ed a lui, fa geroglifici politici strani e banali. Consiglio a Conte di diffidare della coppia Di Maio - Grillo, che, prima o poi, vogliono fotterlo”. Così, in una nota, il sindaco di Benevento, Clemente Mastella, in risposta a Luigi Di Maio.
Emanuele Buzzi per il "Corriere della Sera" il 25 ottobre 2021. La scena è alla Casa Bianca, Washington, ottobre 2019. «"Voi state dalla parte di Giuseppi (Conte) o siete contro di lui?", chiese inarcando le sopracciglia. Trattenni un sorriso. Realizzai che non aveva la minima idea di chi avesse davanti. Quando lo invitai a considerare la qualità del nostro impegno nelle missioni Nato mi rispose con sarcasmo: "Questi erano discorsi per Obama. Per me contano solo i dollari"». Chi parla è Donald Trump, all'epoca presidente degli Usa. Davanti a lui Luigi Di Maio. Con loro c'è il capo dello Stato, Sergio Mattarella, in visita ufficiale accompagnato dal ministro degli Esteri. Scorci di dietro le quinte che si intervallano a riflessioni personali sulla vita e la politica. Uno spaccato che racconta la stagione dei Cinque Stelle vista da una prospettiva inedita e privilegiata: è questo anzitutto il libro autobiografico di Luigi Di Maio - Un amore chiamato politica (edizioni Piemme, in libreria da domani) -, ma non solo. Di Maio traccia una parabola del suo percorso politico partendo dall'ingresso in Parlamento, svelando aneddoti finora rimasti sconosciuti e spiegando l'evoluzione del M5S dal suo punto di vista. E nel percorso si fa largo anche il lato personale, umano, dell'uomo politico. Dal rapporto conflittuale con il padre (con cui c'è «una lunga, forse eterna ed estenuante competizione»), agli anni del liceo con i due professori suoi primi mentori, al rapporto con la fidanzata Virginia Saba che lo sostiene e lo incoraggia nelle scelte (anche sul libro: «È stata lei a esortarmi»), alla stima per chi fa parte o ha fatto parte del suo staff (da Pietro Dettori, ad Augusto Rubei - che cita nei ringraziamenti- a Peppe Marici, solo per dirne alcuni). Da cittadino a deputato, da vicepresidente della Camera a capo politico del Movimento, da vicepremier a ministro degli Esteri: molte tappe, molte «vite» trascorse in soli otto anni. Nella prima fase emerge con prepotenza l'importanza, al centralità che avevano Gianroberto Casaleggio e Beppe Grillo tra i Cinque Stelle. Di Maio si sofferma sulla figura dello stratega scomparso nel 2016, confuta l'immagine del «guru eremita». «Era solo un uomo che aveva un progetto ben definito». Lo ricorda con affetto nei passaggi cruciali della crescita del M5S, ne svela il pragmatismo come quando voleva candidare Alessandro Di Battista a sindaco di Roma o come quando convoca i parlamentari a Milano per istruirli su come muoversi in tv. Di Grillo invece riconosce la leadership («rimane in assoluto la figura di maggiore rilievo del Movimento») e la «verve dissacratoria», come quando - verso Natale 2018 - visita gli alloggi del premier a Palazzo Chigi: «Bello qui, sembra la casa dei Casamonica». Ma è soprattutto sugli ultimi anni, quelli dei governi targati M5S, su cui si sofferma. La rinuncia (due volte) al ruolo di premier, il pentimento per l'«abolizione della povertà» e la foto sul balcone di Palazzo Chigi («sbagliai a salire su quel balcone. E sbagliai a pronunciare quelle parole»), le parole di Mattarella dopo la richiesta di impeachment («per me negli ultimi due giorni non è successo niente») sono parte del suo processo di «formazione». Così come il confronto con gli altri leader. Ecco allora i complimenti di Silvio Berlusconi nei corridoi di uno studio televisivo, qualche frecciata a Di Battista e i rapporti burrascosi con i due Matteo, colpevoli a suo dire di aver orchestrato le crisi dei governi Conte. A Renzi Di Maio rinfaccia anche il fallimento di una prima trattativa per costruire un governo nel 2018. Con Salvini («una delle persone più false che abbia mai conosciuto») il rapporto è più altalenante e si conclude con una lunga telefonata nell'agosto della crisi gialloverde raccontata da Di Maio perfino nelle pause e nei silenzi. Erano poco di due anni fa, sembra passato un decennio.
Dal "ci capiamo" a "è un falso": le giravolte di Di Maio su Salvini. Samuele Finetti il 25 Ottobre 2021 su Il Giornale. Nella sua autobiografia, il ministro degli Esteri attacca il segretario della Lega. Scordandosi di quando lo lodava e diceva: "Possiamo fare un buon lavoro assieme". "Io credo fortemente nel fatto che con la Lega di Matteo Salvini si possa fare un buon lavoro per questo Paese". "Non ho nessuna intenzione di far parte di un movimento che si allea con la Lega". "Io e Salvini quando ci sentiamo ci capiamo". "Salvini è una delle persone più false che abbia mai conosciuto". È difficile crederlo, ma queste frasi sono state pronunciate dalla stessa persona. L'ultima è una citazione tratta da un libro in uscita: "Un amore chiamato politica", autore Luigi Di Maio. Già, perché alla veneranda età di 35 anni, il ministro degli Esteri ha deciso che l'Italia non potesse fare a meno della sua autobiografia. Scorrendo le 185 pagine del volumetto, il lettore ripercorre l'epopea di Di Maio, dai primi meet-up grillini fino alla Farnesina, passando per Montecitorio, il primo governo Conte - quando, dall'alto del suo diploma classico, venne nominato ministro dello Sviluppo Economico e del Lavoro - e i due anni e mezzo come capo politico del Movimento 5 Stelle. Il tratto comune salta all'occhio presto: la giravolta, cardine attorno a cui ruota sin dall'inizio l'avventura grillina. Perché il Di Maio che attacca Matteo Salvini è lo stesso che sorrideva insieme a lui mentre veniva annunciata l'approvazione di Quota 100 e del reddito di cittadinanza. È lo stesso che trattò i nomi per il Conte I insieme al leader del Carroccio, e che fece muro sui decreti sicurezza quando ancora 5Stelle e Lega andavano a braccetto, per poi definirli "deludenti". Poi arrivò l'estate del 2019, l'estate della rottura. Di Maio e Salvini si sentirono per l'ultima volta nei giorni roventi della crisi di governo, si legge nel libro. Seduti uno vicino all'altro, divisi solo dal dimissionario Giuseppe Conte. Salvini scuro in volto. Di Maio, invece, gongolava mentre il "suo" presidente del Consiglio diceva quello che forse avrebbe voluto dire lui. Resta da capire come sia possibile passare da un estremo all'altro, dalle lodi a Salvini per il pragmatismo e la capacità di lavorare "sui fatti" alle parole di disprezzo. Forse Di Maio lo spiegherà nella sua prossima fatica letteraria.
Samuele Finetti. Nato in Brianza nel 1995. Due grandi passioni: la Storia, specie quella dell’Italia contemporanea,che ho coltivato all’Università Statale di Milano, dove mi sono laureato con una tesi sulla strage dipiazza Fontana. E poi il giornalismo, con una frase sempre in mente: «Voglio poter fare, soltanto,una cronaca di fatti e di parole veri».
Nel libro Di Maio dimentica il passato "sovranista". Di Maio, l’autobiografia al veleno sulla "cultura del bibitaro": “Salvini un falso, ascesa di Conte come Macron”. Fabio Calcagni su Il Riformista il 25 Ottobre 2021. In 185 pagine il ‘Di Maio pensiero’, i retroscena della politica in cui il ministro degli Esteri si confessa. È questo e molto altro “Un amore chiamato politica”, prima ‘fatica letteraria’ dell’ex leader politico del Movimento 5 Stelle che uscirà in libreria domani, 26 ottobre. Un libro che, ed è curioso per chi ha sempre demonizzato Berlusconi, è edito dalla Piemme, casa editrice che fa parte del Gruppo Mondadori del leader di Forza Italia. Il dato chiave nella simil-biografia di Di Maio è nelle 185 pagine vengono trattati principalmente due argomenti: i retroscena della nascita del governo Lega-M5s e il cosiddetto “marchio del bibitaro”. All’appello manca clamorosamente il Di Maio sovranista: non vi sono infatti accenni alle uscite del titolare della Farnesina sulla scia dell’ex alleato Salvini, segno ormai di un voler cancellare un certo passato. Insomma, nessuno spazio alle invettive contro le Ong, gli immigrati e i “taxi del mare”, né il viaggio in Francia assieme ad Alessandro Di Battista per incontrare i ‘gilet gialli’ che stavano paralizzando il paese transalpino.
L’INDICAZIONIE DI CONTE E I TIMORI LEGHISTI DI UN ‘MACRON ITALIANO’ – Di Maio racconta nel libro come maturò, il 14 maggio 2018, la decisione di indicare Giuseppe Conte come presidente del Consiglio del primo governo giallo-verde. “Io, Spadafora, Salvini e Giorgetti eravamo a colloquio con il professor Giulio Sapelli. Devo ammettere che mi sorprese, ebbe parole lusinghiere per le istituzioni dello Stato, ci raccontò la sua esperienza all’Eni, approfondì alcuni passaggi sui nostri interessi geostrategici. Condivideva anche alcuni punti del nostro programma economico, in particolare era d’accordo su una ripresa delle partecipazioni statali. Era una persona preparata e si capiva che sapeva farsi valere. L’ago della bilancia si stava fortemente spostando verso di lui, anche se dovevamo ancora parlare con Conte. Il problema si pose poco dopo. I leghisti sono infatti famosi per non sapersi tenere nulla, hanno la smania di lasciare filtrare qualsiasi indiscrezione, ne fanno in pratica una linea strategica. Così qualcuno spifferò di quell’incontro e Sapelli, finito il colloquio, la mattina dopo fu intercettato da Radio Cusano Campus, che lo intervistò. Alle domande rispose con un certo piglio, svelò alcuni retroscena in un momento in cui si chiedeva riservatezza. Confermò di essere stato chiamato per fare il presidente del Consiglio. Mai passo fu più falso. Si bruciò con le sue stesse mani”, racconta Di Maio nel sul libro. A quel punto “quello di Giuseppe Conte sarebbe stato un gol a porta vuota. Tuttavia, lui non sottovalutò la situazione. Al suo arrivo in hotel indossava una camicia, il primo bottone sbottonato, la sua abbronzatura era forte, decisa, molto estiva e gli conferiva un’aria spensierata. Veniva dal Circeo, o da Gaeta, non lo ricordo con esattezza. Impeccabile nei modi, si pose nei confronti di ciascuno di noi con umiltà, mostrando un grande spirito collaborativo. Fece breccia anche in Salvini che, al termine del colloquio, si disse convinto. Un suo strettissimo collaboratore, anche lui presente, si intromise e avanzò un timore, che poi si sarebbe rivelato profetico: ‘Matteo, sei sicuro? Non è che poi questo ci diventa il Macron italiano?’.’Ma figurati!’ ribatté Salvini. In effetti di tutto avremmo potuto immaginare in quel frangente, fuorché l’ascesa che avrebbe poi compiuto Conte”, si legge ancora nel libro di Di Maio. Salvini definito dall’ex amico-alleato “una delle persone più false che abbia mai conosciuto”.
LA CULTURA DEL ‘BIBITARO’ – Un intero capitolo è dedicato alla cosiddetta “Cultura del bibitaro”. Di Maio sulle ironie dedicata dalla politica sul suo passato non fa sconti, a destra come a sinistra. Il ministro degli Esteri parla innanzitutto di Berlusconi, nelle cui parole “si percepiva prima di tutto il tipico disprezzo di una generazione inchiodata alla poltrona, che non ha mai fatto niente per insegnare e far crescere le nuove generazioni, anzi ha cercato in ogni modo di affossarle, di dimostrare che fossero inadatte a prendere il loro posto. In quelle parole traspare la superbia del predicatore, di chi crede di poter insegnare ai giovani ogni cosa, dicendo loro che devono studiare un tempo indefinito, prendere tre lauree e imparare a parlare cinque lingue, altrimenti non possono capire la realtà in cui vivono, figurarsi governarla. Infine lo spregio che provano tanti quando sanno che nella vita ti sei trovato a svolgere lavori umili, in particolare se sei un meridionale”. Per Di Maio infatti “Berlusconi per una vita si è sfregato le unghie al petto con la storia del self-made-man, ci ha raccontato di quando suonava il pianoforte sulle navi da crociera, prima di venire su dal nulla e costruire un impero. Se invece sei Di Maio, se vieni da Pomigliano d’Arco e se nella vita per mantenerti gli studi, con gran fatica, hai fatto il cameriere o lo steward, per poi a un certo punto riuscire a emergere, allora sei un raccomandato, hai dei santi in paradiso e meriti la vergogna. E proprio sul suo passato, su presunte raccomandazioni, arriva l’affondo dell’ex leader 5 Stelle: “Sono figlio di un geometra che per tre volte si è candidato alle comunali senza essere eletto. Che raccomandazioni avrei mai potuto avere? Altrettanto deprecabili sono coloro che hanno gioito, riso ed esultato strumentalizzando la vicenda. Anche a sinistra, anche in quella che sarebbe, o dovrebbe essere, la casa, il rifugio degli ultimi e degli umili, hanno sfruttato e usato la ‘cultura del bibitaro’”.
LA CADUTA DI CONTE E IL RUOLO DI RENZI – Nel capitolo “L’anno zero” largo spazio viene dedicato alla caduta del Conte II, il governo formato da pentastellati, Partito Democratico, Italia Viva e sinistra. Un esecutivo finito “per una escalation ben orchestrata da Matteo Renzi”, scrive Di Maio. Una storia “che è ormai di dominio pubblico – aggiunge il ministro – ma non ho mai compreso perché per qualcuno fosse più sano governare con i cosiddetti ‘responsabili’ (da Clemente Mastella a Luigi Vitali di Forza Italia, colui che in prima persona lavorò alla depenalizzazione del reato di falso in bilancio e a una lunga serie di condoni, fino a diventare poi il sottosegretario alla Giustizia nel governo Berlusconi II) piuttosto che lavorare a un consolidamento della stessa maggioranza, che avrebbe invece permesso al Movimento di continuare a esercitare una leadership all’interno dell’esecutivo. E a Giuseppe Conte, di restare a Palazzo Chigi”. Quanto al governo Draghi, per Di Maio è stata “la conseguenza di un’implosione politica che il Paese, in uno dei momenti più drammatici della sua storia, non avrebbe mai potuto sopportare. Decidere di starne fuori avrebbe lasciato mano libera ai nostri detrattori per cancellare tutto il lavoro svolto nei due anni precedenti. Dopo aver celebrato per mesi e mesi l’importanza di esserci, di governare, di incidere per il bene dei cittadini, a costo di compromettere anche il nostro consenso, perché d’improvviso avremmo dovuto cambiare strada?”. Nel libro c’è spazio anche all’autocritica: “Malgrado alcuni errori, il Movimento 5 Stelle ha avuto molti meriti in questi anni, primo fra tutti quello di restituire umanità e dignità a un sistema che aveva perduto il senso della realtà. Oggi, conservando il nostro sostegno a questo governo, lo stiamo dimostrando. Non mi ha mai appassionato questa polemica interna tra lealisti e antigovernisti, qui non si tratta di essere leali a una maggioranza o a un presidente, ma alla Nazione”.
Fabio Calcagni. Napoletano, classe 1987, laureato in Lettere: vive di politica e basket.
Da liberoquotidiano.it il 27 ottobre 2021. È appena uscito e già è destinato a far discutere. Stiamo parlando del libro di Luigi Di Maio, "Un amore chiamato politica". Oltre agli attacchi all'alleato Matteo Salvini, il ministro degli Esteri si sofferma su Vittorio Sgarbi. Peccato però che a detta del critico d'arte, le accuse mosse nei suoi confronti sono false. Lo si apprende da un lungo post su Facebook del deputato, che tuona: "Di Maio mente. Io non ho mai maltrattato le donne, come dichiara Di Maio nel suo libro 'Un amore chiamato politica'. Il ministro dice una bugia che meriterebbe una querela". Sgarbi spiega il suo punto di vista, smontando le critiche del grillino: "La mia violenza verbale non è diretta alle donne in particolare. Io insulto tutti, senza distinguere uomini o donne. Io attacco i maschi come le femmine, e quello che ha scritto Di Maio è la negazione della mia identità. Non confonda e non mi offenda. E poi non esiste neppure una frase in cui io abbia detto a Di Maio che è omosessuale o gay. Per di più io non ho mai usato la parola omosessuale in senso negativo e tanto meno verso Luigi Di Maio". A detta di Sgarbi le sue frasi riguardavano solo il governo Conte. "Sono amico di tanti omosessuali ma sono convinto che non debbano prevalere i valori del mondo omosessuale su quelli del mondo cristiano - prosegue -, ci sono tanti omosessuali anche fra i preti". Da qui la conclusione: "Davvero difficile accusare uno come me che ha conosciuto Pasolini, che ha scritto di Pasolini, ed è stato amico di Testori. Cosa che non c'entra, però, con quel che penso sulla famiglia: nel corso degli anni ho difeso la famiglia cristiana rispetto a quella alternativa omosessuale. E ho anche sostenuto con molti omosessuali come Vattimo e Zeffirelli che l'omosessuale deve essere trasgressivo e non riprodurre un modello borghese". Insomma, quanto scritto dall'ex leader del Movimento 5 Stelle sarebbe una ricostruzione fantasiosa.
Da Un Giorno da Pecora il 27 ottobre 2021. Virginia Saba, giornalista, scrittrice e fidanzata di Luigi Di Maio, oggi a Rai Radio1, ospite di Un Giorno da Pecora, ha parlato del suo libro “Il suono della bellezza. Note di vita e filosofia”, appena uscito, e anche della sua relazione col ministro degli Esteri. Sia lei che al suo compagno – le hanno chiesto i conduttori - avete pubblicato un libro in questo periodo. Di Maio ha letto il suo saggio? “Luigi ha letto il mio libro, in due giorni, e ogni tanto mi ripete qualche frase del libro, come una frase di Kant che dice 'non possiamo conoscere nemmeno un filo d'erba', ovvero che per i limiti che abbiamo non possiamo conoscere, in realtà, niente e nessuno”. Al termine del saggio c'è una dedica al suo fidanzato, in cui scrive “ho capito l'amore”. Questo vuol dire che vi sposerete presto? “Non lo so, prossimamente può essere ma non ne abbiamo parlato”. Nel suo libro parla, dal punto di vista filosofico, della bellezza che ci circonda. Riguarda anche l'aspetto estetico del suo fidanzato? “Luigi è bellissimo”. Il ministro degli Esteri è sempre molto impegnato. Riuscite almeno a fare qualche cena insieme? “Pochissime volte, è molto raro”. C'è qualcosa che vorrebbe Luigi facesse più spesso? “Regalarmi dei fiori. Mi piacciono i fiori e mi piace quando me li regala”. E lui lo fa spesso? “Lo fa – ha spiegato la giornalista a Un Giorno da Pecora - ma mi piacerebbe se lo facesse di più...”
Da liberoquotidiano.it il 27 ottobre 2021. Il momento più caldo del confronto tra Lilli Gruber e Luigi Di Maio a Otto e mezzo arriva nel finale. La giornalista di La7, citando l'autobiografia del ministro degli Esteri Un amore chiamato politica, sottolinea polemicamente: "Lei scrive che per screditarla l'hanno definita anche omosessuale, e che lei non è omosessuale. Ma nel 2021 lei crede che sia un discredito essere gay? Excusatio non petita?". Di Maio sgrana gli occhi, resta attonito per qualche secondo, senza parole. Poi scuote il capo e risponde trattenendo a stento la delusione: "Ovviamente prendo la domanda come provocatoria per risponderle. Io nel libro ho detto che non mi sono offeso ma semplicemente che era una notizia non vera e che io sono eterosessuale". "Ma dice che hanno usato questa cosa per attaccarla", lo rintuzza la Gruber. "Certo, nella campagna elettorale 2018, diversi personaggi della politica e del giornalismo. Ce lo ricordiamo tutti quel passaggio, fu usato con discredito anche se secondo me non era una offesa. L'ho scritto per raccontare fin dove si spinge la politica nell'utilizzare temi che hanno una sua dignità per offendere un proprio oppositore". "Ma lei viene a dircelo a noi?", si inalbera la Gruber. Ma perché non è stato usato con discredito quel termine?", ribatte il grillino. La Gruber si trova quasi impreparata e balbetta: "Credo che nel 2021 non si possa screditare una persona dicendo che è gay, siamo fuori dal mondo". "Sono d'accordo con lei". Tarallucci e vino (avvelenato).
Dal “Fatto quotidiano” il 28 ottobre 2021. Si può dire che Luigi Di Maio è gay. E se lui afferma di non esserlo, è bene cazziarlo: "Ah, perché, cosa ci sarebbe di male? Non sarà mica omofobo?". Questo più o meno è il senso delle polemiche delle ultime ore intorno a un passaggio dell'ultimo libro del ministro dei 5 Stelle, il quale scrive che in passato alcuni lo avevano "screditato" asserendo fosse omosessuale. "Mica è un discredito", gli ha contestato due sere fa Lilli Gruber. E infatti. Il problema, ci pare, è che per mesi in parecchi hanno dato a Di Maio del bugiardo, ironizzando sulla "fidanzata di copertura" o "di cartone" e su storie d'amore ben più realistiche con altri uomini. Maria Giovanna Maglie, per esempio, diceva: "La fidanzata di Di Maio serve per zittire le voci sull'omosessualità". Vittorio Sgarbi era sicuro: "Di Maio è fidanzato, ma con Vincenzo Spadafora". E sulla cosa si era talmente ironizzato che persino la comica Martina Dall'Ombra scherzò su "una fidanzata pagata a ore per uno shooting fotografico". Ma che sarà mai: in fondo mica è un "discredito"?
Da blitzquotidiano.it il 28 ottobre 2021. Myrta Merlino lntervista Luigi Di Maio a L’aria che tira su La7. Il ministro degli Esteri è ospite nella puntata di oggi, giovedì 28 ottobre, per parlare del suo libro. La conduttrice chiede varie cose ed anche a proposito del tema legato all’omossesualità riprendendo in un certo senso la stessa domanda fatta due giorni prima da Lillli Gruber a Otto e mezzo sempre su La7.
Luigi Di Maio: “Non mi sento offeso se mi danno del gay. Semplicemente è una notizia non vera”
La conduttrice gli chiede se è un’offesa sentirsi dare del gay. Il ministro degli Esteri finalmente può chiarire il suo pensiero: “Io non mi sento offeso se mi danno dell’omosessuale. E’ semplicemente una notizia non vera perché sono eterosessuale e felicemente fidanzato”. Di Maio precisa: “In questi anni di politica alcuni miei oppositori hanno utilizzato il termine omosessuale nei miei confronti con un tono e un significato dispregiativo e denigratorio, stravolgendo il modello culturale nel nostro Paese perché la politica deve dare l’esempio. Per questo volevamo il ddl Zan”.
Lilli Gruber a Di Maio: “Nel 2021 lei crede sia un discredito essere gay?”
Dalla Merlino ha potuto finalmente argomentare meglio il suo pensiero. Martedì 26 ottobre, la Gruber lo aveva attaccato dandogli poco spazio per replicare. Queste le parole della Gruber: “Lei scrive che per screditarla l’hanno definita anche omosessuale, e che lei non è omosessuale. Ma nel 2021 lei crede che sia un discredito essere gay? Excusatio non petita?”.
Di Maio aveva scosso il capo. Poi aveva replicato: “Ovviamente prendo la domanda come provocatoria per risponderle. Io nel libro ho detto che non mi sono offeso ma semplicemente che era una notizia non vera e che io sono eterosessuale”.
(La domanda della Gruber al minuto 26,35)
Doppia Gruber: tratta da omofobo Di Maio, ma lei quando intervistò Rocco Casalino…Marzio Dalla Casta giovedì 28 Ottobre 2021 su Il Secolo d'Italia. Lungi da noi l’idea di difendere Luigi Di Maio, ma viva il Foglio che lo ha difeso. Soprattutto perché ad incalzarlo con tigna degna di miglior causa era Lilly Gruber, arcigna vestale del conformismo politically correct nonché feroce assertrice del pensiero unico. Non le era piaciuto che, nel suo libro, Di Maio avesse respinto come un’offesa i chiacchiericci sulla sua pretesa omosessualità. Né le era bastato che precisasse che ad infastidirlo, più che i “si dice“, fosse stata la volontà di «screditare così un avversario politico». Anzi, ai suoi occhi era peggio il rattoppo che il buco: «Mi faccia capire, lei pensa che nel 2021 sia un discredito indicare una persona come omosessuale?».
Le contraddizioni della Gruber
E qui Luigino, stretto tra la sua natura di maschio meridionale e la sua cultura (per dire) di politico 5Stelle, ha preso ad annaspare per la gioia della sua interlocutrice. Peccato non gli sia venuto in mente (e grazie al Foglio per averlo ripescato) che sempre nell’Anno di grazia 2021 (il 15 febbraio), fu proprio la Gruber a chiedere a Rocco Casalino se «la sua omosessualità è stata mai un problema sul lavoro». Strano, no, come la differenza di pochi mesi sia capace di mischiare le carte in tavola. Fino a fare di Di Maio un cripto-omofobo sol perché a ottobre ha tenuto a precisare di essere etero, mentre Lilly la Rossa, che a febbraio aveva chiesto al portavoce di Conte della sua omosessualità, è la vindice dei discriminati.
Si metta d’accordo con se stessa
Intendiamoci: non che abbisognassimo della vecchia intervista scovata su YouTube dal giornale fondato da Giuliano Ferrara per avere conferma del micidiale doppiopesismo della Gruber. Ma la cosa ci conforta molto perché ci dice che non tutti sono prostrati davanti al consumismo da talk-show e al suo “usa e getta” di domande e risposte. Ora abbiamo la prova che la Gruber dell’ottobre del ’21 dice cose diverse dalla Gruber del febbraio di quello stesso anno. Capita, ma che almeno si metta d’accordo con se stessa prima di puntare l’indice contro i suoi ospiti. Quelli che le stanno antipatici, ovviamente.
Giulia Cerasoli per Chi il 27 ottobre 2021. Alla soglia dei 64 anni l’intensità di ogni emozione viene quintuplicata, i momenti di gioia finiscono per trasformarsi quasi sempre in lacrime, piango più spesso di quanto non facessi un tempo... Sono passati quasi trent’anni. Non ho rimpianti. Mi guardo intorno e vedo un’Italia diversa, migliore di com’era un tempo, ma ancora giovane e molto insicura, proprio come mia figlia. Chi sono, mi domando, e che cosa sono diventato? Non lo so. Sono un uomo. Soltanto un uomo. Un uomo onesto». Così termina il primo libro del ministro degli Esteri ed ex capo politico dei Cinquestelle, Luigi Di Maio. Con una previsione sulla sua vita tra 30 anni (con moglie e figlia ventitreenne in riva al mare), visto che ne ha appena 35 e già traccia un bilancio in Un amore chiamato politica, Piemme editore. Il sottotitolo, La mia storia e tutto quello che ancora non sapete, è una promessa. Mantenuta: il ministro si confessa a “Chi”. E rivela pettegolezzi, errori e retroscena inaspettati.
Domanda. C’è stato un momento, quando era al liceo, in cui ha pensato: «Io qui a Pomigliano D’Arco non resto. Sono destinato a fare altro...».
Risposta. «Non ho mai sentito il desiderio di evadere: il mio obiettivo era aiutare il mio territorio. Mi sono impegnato per migliorare le cose. Tanti i problemi, dalla “terra dei fuochi” ai giovani senza lavoro... Poi però sono andato oltre. Ma tornerò, anche per dare il mio contributo dal punto di vista imprenditoriale».
D. Quante volte ha avuto paura in questi anni?
R. «La paura fa parte di noi. Ho compiuto scelte importanti assumendomi delle responsabilità. La mia paura è non riuscire a dare il massimo. E mi stimola a fare meglio».
D. Nel libro affronta il tema della sua presunta omosessualità. Perché lo ha fatto?
R. «Mi ha colpito il fatto che credessero di diffamarmi definendomi omosessuale... Io sono totalmente etero e confesso di non avere mai provato pulsioni differenti. Quindi, essendo un personaggio pubblico, la considero solamente una notizia falsa: infatti sono felicemente fidanzato con Virginia... L’idea che tentassero di denigrarmi in questo modo è figlia di un modello culturale inaccettabile nel 2021: in un altro Paese moderno, come il nostro, sarebbe impensabile».
D. Non è il solo, comunque...
R. «Lo so. La voce ha cominciato a circolare perché si parlava dell’omosessualità dichiarata di Rocco Casalino. Ma è gravissimo che se ne parli con un’accezione negativa: è sintomo di discriminazione».
D. I suoi genitori: due figure che pesano in maniera differente sulla sua formazione.
R. «Mia madre è la dolcezza e l’amore. La saggezza. Una presenza irrinunciabile anche quando ho fatto degli errori. Per mio padre non è mai abbastanza: da circa 10 anni lo vedo meno, è contento, ma colgo sempre da parte sua.... Insomma, per lui devo comunque sempre fare di più».
D. Con Virginia vi sposerete?
R. «Dopo 10 anni di sfide, conquiste, delusioni e risalite, posso dire che il più grande atto di coraggio sarà diventare marito e padre. Non c’è incarico di governo che tenga di fronte a questi impegni familiari. Crescere un figlio è la vera sfida».
D. Va ancora a messa la domenica?
R. «Sì. E quando posso torno nella mia parrocchia di San Felice a Pomigliano, dove c’è ancora don Peppino. Il mio rapporto con la fede non è cambiato, ma non voglio strumentalizzarlo. Seguo sempre papa Francesco, che stimo anche sui temi di politica estera».
D. Ministro, come è riuscito a lavorare alla Farnesina senza conoscere bene le lingue?
R. «Sono diventato ministro degli Esteri il 3 settembre del 2019. Il 20 dovevo andare a New York alle Nazioni Unite... Per 20 giorni ho studiato forsennatamente l’inglese, poi sono partito. Ora sono due anni che lo parlo».
D. Nel libro affronta il tema del “bibitaro”. Si offende quando, nonostante i vari ruoli istituzionali, qualcuno continua a chiamarla così?
R. «Non ho mai fatto il bibitaro: semmai facevo lo steward allo stadio San Paolo (oggi Maradona, ndr), accompagnavo i vip nella tribuna autorità. Guadagnavo qualcosa e non vedevo nemmeno la partita.
Sono stato “accusato” per anni di avere fatto il bibitaro, ma combatto ogni preconcetto nei riguardi di chi compie lavori considerati umili: il lavoro è sempre nobile. Denigrare il lavoro di tanti ragazzi onesti è sbagliato. Per questo mi sono battuto per il decreto dignità. Ci sono persone che ricoprono ruoli importanti ma che non hanno dignità».
D. Lei è quasi sempre in giacca e cravatta. Da chi si veste?
R. «L’abito denota il modo in cui ti poni rispetto agli altri. Indossavo giacca e cravatta alla maturità e i professori sorridevano... Per me è una forma di rispetto. Compro nei negozi, ma se vengo invitato a un matrimonio o alla Casa Bianca vado a farmi un abito nuovo dal mio sarto campano di Nola».
D. I due errori più gravi della sua carriera?
R. «L’idea della messa in stato di accusa del Presidente Mattarella e quella di uscire sul balcone di Palazzo Chigi gridando “Abbiamo abolito la povertà!”. Al Presidente ho chiesto scusa dopo due giorni ed è stato il mio faro in questi anni. Sul gesto del balcone ho riflettuto a lungo... Riconosco i miei errori».
D. Dovevate abbattere la casta: ora il potere le piace?
R. «Il potere è il peso politico di una persona. Io l’ho usato per convincere Salvini a votare il reddito di cittadinanza. Dipende da come lo si usa, il potere».
D. Ha solo 35 anni: a volte non le verrebbe la tentazione di mollare tutto e fuggire in pizzeria con gli amici?
R. «La pizza, ogni tanto, la mangio lo stesso. Ma spesso – e domenica mi è successo premiando la carriera di Valentino Rossi – desidererei stare dall’altra parte, ad applaudire in mezzo alla folla di cittadini comuni. Anche se riconosco che sono un privilegiato e che la cosa più difficile è proprio stare da quell’altra parte...».
D. I Cinquestelle sono in declino, lei però è giovanissimo. Che cosa c’è nel suo futuro, a parte le nozze e la paternità?
R. «Credo che il Movimento sarà protagonista per tanti anni ancora. Io darò ancora il mio contributo.
Luigi Di Maio, l'incombente. Dopo un anno e mezzo di riposizionamento, e settimane da equilibrista, il ministro degli Esteri si è ritagliato un ruolo unico. È l'uomo che non c'era dell'intera crisi, il nocchiero di un M5S che non somiglia in nulla a ciò che fu, la pietra nera che risucchia le chiacchiere sul futuro di Palazzo Chigi (congiuntivo escluso). Susanna Turco su L'Espresso il 28 gennaio 2021. Otto anni dopo, l’unico elemento di coerenza è nell’uso del congiuntivo: mai imparato. Quanto al resto, il senso ultimo di una evoluzione lunga - e per certi versi ancora in fieri, vedasi i miglioramenti nella pronuncia di parole come «university» - sta nel riconoscimento che l’eterno centrista Pier Ferdinando Casini, già pupillo di Arnaldo Forlani e ininterrottamente in Parlamento dal 1983, ha sentito di rivolgergli l’altro giorno, ospite in tv di Mezz’ora in più: «Luigi Di Maio è stato bravissimo. Ha fatto un corso accelerato, è diventato più politico di me». E anche questo, nella rocambolesca crisi senza un bandolo che ci avvolge e ha reso persino Casini medesimo una specie di vate, è finito per suonare finalmente per quel che voleva essere: un complimento. Laddove solo fino a poco fa sarebbe parso il bacio dei morti viventi, l’onta da lavare a suon di vaffa in piazza e di scomuniche sul blog.
Alessia Principe per lacnews24.it il 17 gennaio 2021. Don Pietro De Luca, vulcanico parroco di Paola, ha messo da parte, per una volta, la classica omelia (ma non la benedizione) e ai suoi fedeli ha regalato un vero e proprio comizio politico con venature da stand-up comedy. «Il vostro parroco sembra cretino ma non lo è. Come ha detto monsignor Agostino: “Non mi permetterei di dire giammai che Don Pietro è un santo, non è un uomo banale!”». E poi via a una bella bacchettata a Di Maio «(un povero figliolo»). A don Pietro proprio non è andato giù il commento del ministero degli Esteri che dopo l’incontro con Draghi avrebbe detto: «Mi ha fatto una buona impressione». «Come se io incontrassi il papa a Roma e poi tornando dicessi: mi ha fatto una buona impressione!». Il risultato dell’omelia è un video esilarante che ha fatto il giro del web.
Da “Libero quotidiano” il 17 gennaio 2021. «I voltagabbana del Parlamento: un vero e proprio mercato delle vacche che va fermato». «Molti governi si sono tenuti in piedi grazie ai voltagabbana, da Monti a Letta a Renzi fino a Gentiloni». A parlare così era, il 31 gennaio 2017, Luigi Di Maio. Dichiarazioni imbarazzanti, riviste a 4 anni di distanza, col capo del governo sostenuto da Di Maio a caccia proprio del voto dei voltagabbana tanto vituperati. Il video, riproposto in queste ore sui social dalla leader di Fdi Giorgia Meloni, si concludeva con la proposta di un vincolo di mandato per i parlamentari. Ora Di Maio deve pensare: fortuna che quella proposta non è andata a buon fine...
Estratto dell'articolo di Andrea Malaguti per "la Stampa" il 14 giugno 2021. Ci fu un tempo in cui decrittare i 5 Stelle era piuttosto agevole. «Che pensate, ragazzi?». «Vaffanculo». «Volentieri, grazie». […] Il Palazzo non ci piace. Lo radiamo al suolo e lo facciamo occupare dalla gente comune (qualunque cosa voglia dire) che certamente è meglio dell' orrida casta (qualunque cosa voglia dire). Adesso il Palazzo piace parecchio, ma per capire dove vada quel che resta del Movimento serve la stele di Rosetta del democristianismo-forlaniano 4.0. I due leader di fatto sono maestri naturali del centrismo ultraflessibile […]. E mentre […] Giuseppe Conte dà la caccia alla complicata consacrazione girando di un grado la testa a sinistra, il ministro degli esteri Luigi Di Maio, più incline a muoverla di un grado a destra, in questa intervista, racconta l'ultima sorprendente trasformazione del Nuovo in Cerca d' Autore.
[…] Conte I con Salvini, Conte II con Zingaretti, Draghi I con l' avanti-tutti. Siete un abito buono per qualunque stagione.
«Siamo cambiati senza mai rinunciare a noi stessi, soprattutto ai nostri valori. Rappresentiamo quella parte del Paese che ha più bisogno del cambiamento, il ceto medio che paga le tasse, che non si tira mai indietro e che porta ogni giorno sulle spalle il peso della collettività. Noi parliamo a loro e lo faremo ancora a lungo».
Dieci anni fa volevate radere il Palazzo al suolo.
«[…] avere acquisito una cultura di governo significa farsi carico delle responsabilità, non prenderne le distanze. Per ottenere risultati utili ai cittadini servono nobili mediazioni».
[…] Comunque mediazioni.
«Sì. Dieci anni fa era una parolaccia. Oggi non più. […] Noi vogliamo tutelare le imprese, le professioni dimenticate, le partite Iva. E crediamo nella riforma fiscale e in quella della giustizia. Tutti temi che non possono essere affrontati in modo ideologico».
[…] Le piace il nome "5 Stelle ConTe"?
«Parlo con Conte continuamente e non mi risulta che ci sia in cantiere il cambio di nome. Mi risulta invece che ci sia in atto un tentativo per fare finalmente del Movimento una forza responsabile, organizzata e ragionevole […]».
Responsabile, organizzata e ragionevole. Il contrario del beppegrillismo.
«Beppe rappresenta la creatività. Le sue idee sono sempre avanti 20 anni. Lui è la mente e lascia volentieri l' organizzazione agli altri".
Grillo La Mente dice: vietato togliere il limite dei due mandati.
«E' una questione di cui si sta occupando Conte e io sono l'ultima persona che ne può parlare. […]».
[…] Chi ha deciso che Conte è il leader del MoVimento?
«Le leadership non nascono solo dall'atto del voto. Sono anche un processo di avvicinamento. E Conte gode di un largo consenso sia interno che esterno. […]».
Non è lei il vero leader?
«Questa è una vecchia storia. Io sono stato messo in contrapposizione con tutti. Da Di Battista a Casaleggio padre, da Grillo a Casaleggio figlio. Adesso è la volta di Conte. La verità è che il Movimento è la mia casa e io al Movimento sarò sempre leale. Il consenso di cui godo non sarà mai contro, ma soltanto per».
Non esistono già due Movimenti, uno che prova a parlare alle imprese del Nord e l'altro, guidato da lei, che parla al Sud?
«Il Movimento ha sempre parlato a tutti. Durante la campagna elettorale del 2018 sono stato più al Nord che al Sud. […] Se trascuriamo il Sud d' Italia - o meglio: i Sud d' Italia - non ripartiremo mai».
La sua lettera al Foglio sul rifiuto del giustizialismo e le scuse all' ex sindaco di Lodi, Uggetti, segna la linea di confine tra il movimento aggressivo-distruttivo a quello riflessivo-governativo?
«Quella è stata prima di tutto una riflessione personale. […] Già 5 anni fa, nella piazza di Lodi, capivo che c'era qualcosa di ingiusto e ho avvertito la necessità di dirlo. Così come dico che, se fossero confermate le cose che sto leggendo sui giornali, anche il caso Eni, su cui il Movimento è stato particolarmente presente, deve spingerci a una riflessione».
Cioè?
«Cioè che il punto non è chiedere le dimissioni di qualcuno per motivi di opportunità, il punto è spesso il modo in cui lo si fa».
Il centrodestra a Roma presenta il ticket Michetti-Matone.
«Evidentemente lavorano anche loro per Virginia Raggi. […]».
[…] Quale futuro immagina per il sindaco di Torino Chiara Appendino?
«Chiara ha dato molto. Spero che abbia uno splendido futuro nel Movimento. […]».
[…] Ministro, Alessandro Di Battista ha posto una condizione per rientrare nel Movimento: far cadere il governo Draghi.
«Anche se è uscito dal Movimento il mio rapporto con lui è rimasto ottimo. […]».
Il G7 ha chiesto alla Cina la verità sul virus a Wuhan.
«Per evitare qualunque sospetto è giusto affidarsi a un'indagine chiara. […]».
Abbiamo sbagliato a firmare il memorandum d' intesa sulla via della Sete?
«Quel memorandum è stato firmato a metà del 2019 e vedo che ora è al centro di un grande dibattito. Io mi limito a osservare che i dati dell' export italiano verso quella parte del mondo sono in crescita spaventosa. E vi invito a chiedere alle nostre aziende che cosa ne pensano».
[…] Stiamo con Washington e Bruxelles senza se e senza ma?
«La nostra alleanza sui valori non è discutibile. […] Con i cinesi abbiamo un rapporto franco sulle attività commerciali».[…]
· Alfonso Bonafede.
Jacopo Iacoboni per “La Stampa” il 3 settembre 2021. Che bello quando Bonafede attaccava in tv un democristiano d'altri tempi come Rotondi, «lei è l'emblema della casta alienata dalla realtà!», gli gridava Quanti ricordi. Ieri, per non essere alienato dalla realtà e stare vicino al popolo, l'ex dj Fofò ha festeggiato il matrimonio a Villa Corsini, lussuosa tenuta fiorentina dove si sono sposati principesse di Svezia, magnati indiani e Marco Carrai, simbolo per Bonafede di trame e caste, e pure amico di Renzi. Villa Corsini, tra parentesi, affittata da un principe socio di Tommaso Verdini, figlio di Denis. E c'era tutto, il jeeppone Cherokee coi vetri oscurati, i carabinieri in borghese, la villa blindata, i potenti o ex (Conte) e gli assenti illustri (Grillo). Niente di male, per noi che da sempre amiamo il lusso; a parte il finger food, più grave di questi comici voltafaccia. jacopo iacoboni.
Da iltempo.it il 3 settembre 2021. Fedi al dito per Alfonso Bonafede e la compagna di sempre, nonché madre dei suoi figli, Valeria Pegazzano Ferrando. I due si sono sposati in una chiesa di campagna alle 16 di oggi, ben due ore di cerimonia con circa 150 ospiti presenti. Foto bandite dai social, su richiesta degli stessi sposi che avrebbero chiesto la cortesia agli ospiti di non condividere scatti con giornalisti o postandoli in Rete. I festeggiamenti si sono poi spostati nella tenuta Corsini a Mezzomonte, in provincia di Firenze. Ed è qui che qualcuno ha rotto il patto, mostrando l’enorme presenza di uomini delle scorte dei vari politici presenti: addirittura una settantina gli uomini della sicurezza. Tra i presenti, come noto, l’ex premier e attuale capo politico del M5S Giuseppe Conte, la ministra Luciana Lamorgese, la vicepresidente del Senato Paola Taverna, l’ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio Riccardo Fraccaro, il presidente della Camera Roberto Fico. Assente giustificato Luigi Di Maio, in Slovenia per la riunione informale dei ministri degli esteri dell’Ue, nonché Alessandro Di Battista, rimasto vicino a Bonafede nonostante l’addio al M5S ma costretto a ‘disertare’ l’invito per impegni di famiglia. aAlcuni presenti raccontano di un Bonafede commosso, visibilmente emozionato, durante il rito che ha celebrato l’unione con la compagna Valeria. Tra i momenti più emozionanti della cerimonia nella piccola chiesa di campagna, viene inoltre raccontato, il momento dello scambio delle fedi, perché a consegnarle ai due sposi hanno provveduto i figli della coppia, rispettivamente di 5 e 8 anni. Un matrimonio di lusso e di grande sfarzo: una volta il no ai privilegi e la casta era il
Matteo Renzi contro Alfonso Bonafede: "Mediocre, avvocato di seconda fila diventato ministro". Francesco Specchia su Libero Quotidiano l'11 luglio 2021. «Avrei potuto accontentarmi ma è così che si diventa infelici». Renzi che incornicia con un Charles Bukowski d'annata il capitolo intitolato Soli contro tutti (evidentemente plurale maiestatis) che inizia con un amico sacerdote che lo prende a pesciate in faccia mentre Matteo innesca la crisi di governo più esplosiva del secolo; be', è tanta roba. Ma al di là del valore letterario dell'opera -su cui si può discutere- il nuovo libro di Matteo Renzi, Controcorrente, in uscita per Piemme descrive una sorta di viaggio nel ventre del draghismo che ha seppellito il contismo attraverso retroscena, fotografie e scazzi dell'ultima battaglia dell'uomo di Rignano. Dopo i libelli Fuori! del 2011 e il resipiscente Oltre la rottamazione del 2013 che molti di noi cronisti hanno trangugiato come Renzi dichiara d'aver «trangugiato ettolitri di Maalox» a causa di Conte, il libro è illuminante comunque sugli equilibri di Palazzo. Scopriamo così che Renzi ancora sorride sugli inciampi di Letta: «Da Parigi scende in campo Enrico Letta. E alla fine la grande profezia di Enrico: "Renzi ci fa fare la figura del solito Paese inaffidabile: pizza, spaghetti, mandolino. Conte ha fatto bene a sfidarlo". Infatti Conte va a casa, arriva Draghi e l'Italia recupera credibilità, reputazione e fiducia: non so a quale mandolino si riferisce il futuro segretario del Pd, ma la crisi in realtà aiuta l'Italia a recuperare prestigio, altro che inaffidabilità. Alla luce della crisi, l'attacco di Letta è una medaglia al merito».
STRANA COPPIA. Sicché Renzi dopo aver fracassato il mandolino sulla "strana coppia" Conte-Casalino svela che aver fatto saltare il governo in piena pandemia non fu narcisismo; bensì il tentativo di evitare il «baratro che si sarebbe aperto di fronte a noi e -peggio ancora- "alla generazione dei nostri figli"... Il governo Conte è caduto perché non è stato all'altezza della sfida. Il Conte 1 ha governato lucrando consenso sulla paura dell'immigrazione, il Conte 2 lucrando consenso sulla paura della pandemia». E da qui Renzi appare come un inquieto mix tra Cavour e Pietro Micca: lo statista si muove sulle uova di un governo che gestisce male la pandemia, che hail record dei morti e che affonda in una gestione commissariale disastrosa. Lo chiama nella notte Franceschini, così diverso dal Bruto accoltellatore descritto nei governi precedenti: «Nelle ore finali della crisi mi confido spesso con Dario. Mi esprime i suoi dubbi politici: "Non sai cosa ti stanno preparando contro, ti massacreranno anche sul personale. Ti distruggeranno sotto il profilo psicologico, faranno saltare i tuoi parlamentari. Te lo voglio dire non per farti cambiare idea. Te lo dico perché mi dispiace umanamente». La risposta di Renzi sono le fiches puntate su Draghi: «Mario Draghi era semplicemente l'italiano più stimato al mondo. Nei suoi interventi aveva tracciato la linea su ciò che serviva non solo all'Italia, ma all'Europa. Nei suoi colloqui privati, almeno con me, Draghi aveva sempre rispettato le prerogative del governo in carica, del Presidente della Repubblica, del Parlamento. Io naturalmente forzavo su un suo eventuale impegno». Naturalmente. Sicché il Renzi narratore si abbandona a giudizi trancianti. Bonafede è un peggio di un legale parafangaro: «Da parlamentare prima e da ministro poi ha rappresentato la summa di tutti ciò che noi contestavamo nella giustizia italiana (...) E quando diventa Guardasigilli sceglie come capo del Dap il massimo dirigente delle carceri, un oscuro pm che ha avuto il merito -per i grillini- di indagare sui presunti reati compiuti dai membri del governo Renzi nel cosiddetto scandalo Tampa Rossa. È l'uomo per il quale non c'è differenza tra giustizialismo e garantismo: mediocre avvocato di seconda fila divenuto improvvisamente ministro».
QUIRINALE. Prodi, invece, si rivela d'inaudita ferocia: «Il suo problema è che vede fantasmi di Bertinotti ovunque: le sedute spiritiche evidentemente lasciano il segno. In realtà con Prodi la questione è semplice: lui non ha fatto il Presidente della Repubblica nel 2015 perché io gli ho preferito Sergio Mattarella. E se l'è legata al dito, tutto qui. Mai visto un uomo più rancoroso di Romano Prodi: dietro la bonomia della faccia c'è un carattere irascibile e vendicativo». Zingaretti ha le stigmate del voltagabbana, non esistono più i comunisti di una volta. Infatti prima il segretario Pd lo pugnala: «Zinga esplicita il proprio consenso alla strategia del Capitano leghista. Pur di mandare a casa i renziani, il nuovo Pd preferisce fare l'accordo istituzionale con Salvini, e fare ciò che a una certa sinistra piace.
Alfonso Bonafede, "da quanti mesi è moroso": M5s in emergenza, quasi nessuno restituisce più i soldi. Libero Quotidiano il 09 aprile 2021. Le restituzioni dei parlamentari grillini erano motivo d’orgoglio, nonché un cavallo di battaglia per il Movimento 5 Stelle. Da qualche tempo invece sono divenute un serio problema, ma soprattutto la testimonianza che la frattura interna è sempre più netta. Il Corriere della Sera ha infatti notato che vi è di nuovo l’emergenza-morosi all’interno dei grillini: soltanto 53 dei 239 deputati e senatori risultano in regola con il versamento mensile da 2300 euro. Pur ricordando che dal 2013 ad oggi gli eletti del M5s hanno restituito circa 96 milioni, destinati per un terzo al fondo per il microcredito, negli ultimi tempi la lotta contro i privilegi della “casta” si è trasformata in un boomerang. Sì, perché non fa altro che accentuare le tensioni all’interno del Movimento: dal sito tirendiconto.it emerge infatti che diversi grillini di peso non sono in regola con i pagamenti. A partire dal ministro Luigi Di Maio e dal presidente Roberto Fico, che ancora devono versare la quota relativa al mese di gennaio. Ma ci sono posizioni ben più gravi, come quelle dell’ex ministro Alfonso Bonafede e dell’ex sottosegretario Riccardo Fraccaro: i due, che erano esponenti di peso all’interno del governo presieduto da Giuseppe Conte, non restituiscono dallo scorso settembre, così come l’ex tesoriere Sergio Battelli e la collega Carla Ruocco. Ma i nomi altisonanti non finiscono qui: tra i morosi figurano anche Federico d’Inca (non restituisce da novembre) e Federica Dieni (segretaria del Copasir), che addirittura ha smesso di versare a maggio 2020. Sullo sfondo c’è sempre la battaglia con l’associazione Rousseau, dato che nei 2300 euro da restituire sono inclusi anche i 300 previsti come “contributo piattaforme tecnologiche”.
Cartabia fa dimenticare la vergogna di aver avuto un ministro medievale come Bonafede. Piero Sansonetti su Il Riformista l'11 Marzo 2021. Non so se Marta Cartabia riuscirà nei prossimi giorni o mesi a riformare alcuni dei pasticci orrendi combinati dal povero Bonafede nei tre anni passati a far guai a via Arenula. Non so se riuscirà a reintrodurre in fretta il principio sacrosanto e garantista e costituzionale della prescrizione. Non so se riuscirà a cancellare la “spazzacorrotti” (meglio dire la “spazzadiritti”), cioè la legge che stabilisce che prendere (o essere sospettati di aver preso) o dare una bustarella è reato assai più grave dello stupro. Non so se riuscirà a eliminare le leggi sulle intercettazioni e sui trojan che fanno assomigliare oggi l’Italia molto più alla vecchia Germania comunista che non alla Gran Bretagna liberale. Però… Però, ecco, quando parla Marta Cartabia ci fa dimenticare la vergogna di avere avuto ministri della giustizia ( e partiti di governo) medievali. Ieri la ministra ha tenuto un discorso al quattordicesimo congresso delle Nazioni Unite sulla prevenzione del crimine, e ha pronunciato parole che hanno fatto immaginare a tutti che l’Italia sia ancora la patria del diritto, e non la patria delle gogne a 5 stelle. Immagino che il partito dei Pm inorridirà, se leggerà quel che ha detto la ministra, e il fatto che il partito dei Pm inorridisca non è una cosa che ci rattrista. Vediamo solo due frasi pronunciate dalla Cartabia. La prima è relativa alla necessità di non concepire la pena come una vendetta e di considerare anche il carcere un luogo di speranza e non di disperazione e di terrore, e di privilegiare l’azione che favorisce il reinserimento piuttosto che l’azione punitiva. Ha citato a questo proposito anche le statistiche – facendo probabilmente infuriare Travaglio, che ha dedicato nel tempo decine di pagine del suo giornale a sostenere il contrario – secondo le quali “a fronte di un trattamento dei detenuti più costruttivo corrisponde un più basso tasso di recidiva”. La seconda frase che ha pronunciato la ministra, e che ha un valore immenso e rivoluzionario, è stata il richiamo alle “Mandela Rules”, e cioè alle regole sul trattamento in carcere che l’Onu approvò un po’ più di cinque anni fa e che furono dedicate al vecchio combattente sudafricano, che passò quasi la metà della sua vita in cella. In Italia le Mandela rules non le ha mai invocate nessuno, se non i radicali. Non sono neanche conosciute. E pure il nome di Nelson Mandela, di solito, è trattato con seppur gentile sospetto. Non è mai piaciuto il tipo di giustizia che Mandela impose al suo paese, dopo essere uscito di prigione e dopo aver preso il potere: il rifiuto o la riduzione ai minimi termini della pena e del suo valore. Bene, cosa dicono le “Mandela Rules”? Tante cose molto importanti ma soprattutto, dal nostro punto di vista, parlano del 41 bis e mostrano orrore nei confronti di una regola così inumana e feroce. I paragrafi 43, 44 e 45 prevedono espressamente la possibilità di usare l’isolamento del prigioniero ( e quindi una situazione simile a quella del nostro 41 bis) per non più di 15 giorni. Leggete qui.
Regola 43: “In nessun caso possono aversi restrizioni o sanzioni…inumane o degradanti, in particolare sono vietate le seguenti pratiche:
a) indefinito isolamento,
b) isolamento prolungato”
Regola 44: “Ai fini di queste regole, l’isolamento si riferisce al confinamento dei detenuti per 22 ore o più al giorno senza significativo contatto umano. L’isolamento prolungato si riferisce all’isolamento per un periodo superiore ai 15 giorni consecutivi”.
Regola 45. “L’isolamento deve essere utilizzato solo in casi eccezionali, per il tempo più breve possibile, e sottoposto a una revisione indipendente. Non può essere utilizzato nei confronti di persone malate”.
Avete capito bene: isolamento al massimo per 15 giorni. In Italia, chi sta al 41 bis può restare in isolamento totale anche per 25 anni. Anni. E i giudici di sorveglianza lo lasciano lì anche se è in agonia. Anche se ha l’Alzheimer. E la politica, e la stampa, di solito battono le mani. Ecco, dal momento che la ministra Cartabia fa parte di quel piccolo nucleo di persone, e di intellettuali, che le Mandela Rules le conosce bene, è da escludere che, citandole, non pensasse al 41 bis. E stavolta siamo noi a batterle le mani.
E subito dopo osserviamo che mentre il Ministro si pronuncia contro l’infamia del carcere duro, il capo del Dap (dipartimento carceri) Bernardo Petralia, annuncia , con una certa soddisfazione, “abbiamo costituito una nuova sezione di 41 bis a Cagliari”. Lo ha fatto parlando in commissione antimafia, in parlamento. Non risulta che nessuno gli abbia letto le Mandela Rules e gli abbia spiegato che il carcere duro è una roba dell’ottocento. Adesso non ci resta che aspettare: il governo Draghi andrà avanti con lo spirito di Cartabia o con quello di Pm?
Noi non sentiremo la sua mancanza. Addio dj Fofò: avvocato spione che non verrà rimpianto neanche da Davigo, Di Matteo e Gratteri. Tiziana Maiolo su Il Riformista il 13 Febbraio 2021. Bye bye Fofò, indimenticabile vocalist dell’Extasy di Mazara del Vallo. Bye bye Alfonso, piccolo avvocato spione con la telecamerina al Comune di Firenze. Bye bye Bonafede, ministro di giustizia accovacciato sotto le toghe. Non ti rimpiangeremo. Ma piangeranno gli uomini che indossavano le toghe che lui baciava e che gli passavano il compito sotto il banco? Vediamo. Non lo rimpiangerà Nino De Matteo, il pubblico ministero più scortato d’Italia, che gli rimprovera di avergli promesso il ruolo di capo di tutte le carceri, un posticino molto ben remunerato e di grande potere, e di averlo poi bidonato mettendo al suo posto una “nullità” come Franco Basentini. Ma non emetterà neanche un sospiro di rimpianto lo stesso Piercamillo Davigo, la fonte cui Bonafede si abbeverava quando diceva: beh, il processo è fatto così, accusa e difesa dicono la loro e poi il giudice emette la sentenza di condanna. L’assoluzione non è prevista, se non per quei furbastri che riescono a farla franca, benché colpevoli. Del resto, ha detto in un‘altra occasione, “gli innocenti non vanno in carcere”, facendo spallucce alla notizia che nel frattempo 27.000 cittadini messi ingiustamente in ceppi, erano stati risarciti dallo Stato. Davigo è anche lui deluso, perché il ministro si è lasciato infilzare, nelle trasmissioni di Giletti della domenica sera, proprio da quel Di Matteo che ha osato votare a favore del suo allontanamento definitivo dal Csm, diventando così suo nemico. Fofò ha incassato le accuse di chi senza mezzi termini lo accusava di essersi asservito ai mafiosi detenuti, i quali non volevano Di Matteo a occuparsi delle carceri. Ha incassato e non ha neanche querelato. Ma l’uomo non è fatto così, non è certo un lottatore. Matteo Renzi ricorda ancora, eravamo nel 2012 e lui era sindaco di Firenze, questo ragazzo smilzo e il sorriso furbino che gli tendeva piccoli agguati nella toilette di palazzo Vecchio, e che registrava le sedute del consiglio comunale, ignorando il fatto che erano trasmesse in streaming sul sito del Comune. Era avvocato, ma già militante e con l’amore del piccolo colpo alle spalle, il piccolo agguato. Forse oggi Renzi ride e Bonafede piange. In quale toga potrà asciugare le lacrime? Certamente non in quelle dei giudici di sorveglianza. Che saranno quelli, tra tutti, che più di altri tireranno un sospiro di sollievo. Tirati per la toga da tutte le parti, sospettati di aver scarcerato i boss mafiosi, con una campagna di stampa violenta e mai vista prima nei confronti di magistrati, prima sollecitati al senso di umanità nei confronti dei detenuti, poi umiliati con l’invito a sottomettersi, per le loro decisioni, ai pm “antimafia”. Non singhiozzeranno, chini sulle carte provenienti dal Ministero, i giudici della corte costituzionale, costretti già almeno una volta a stracciare almeno un brandello di una sua legge. Si trattava di quella del 2019, un vero fiore all’occhiello, quella che bastonava i politici, dopo aver fustigato per bene gli ex con il taglio dei vitalizi, considerati tutti corrotti. E stabilendo che la corruzione è una specie di attentato allo Stato, essendo equiparata al terrorismo e alla mafia. La legge, partorita sicuramente da un appoggio esterno (più che un concorso), è stata chiamata “spazzacorrotti” per dare la sensazione che spetti alla magistratura far pulizia. Un po’ come rivoltare l’Italia come un calzino o smontarla per poi ricostruirla come un Lego. È la filosofia delle toghe preferite da Bonafede. Come il procuratore Gratteri, che lui è andato a onorare all’inaugurazione dell’anno giudiziario, irritualmente celebrato nell’aula bunker di Lametia invece che al tribunale di Catanzaro. Lo stesso Gratteri che non ha speso una parola di rimpianto per un ministro così fedele, quando si è reso conto che i giorni di Fofò volgevano al termine, tanto da costringerlo a scappare dal Parlamento senza aver potuto recitare la propria relazione annuale sulla giustizia perché sulle sue spoglie sarebbe caduto l’intero governo. Non piange Di Matteo, non piange Davigo e non piange Gratteri. I giudici della Corte Costituzionale hanno addirittura dovuto impartire una lezione al ministro, anche se la legge portava addosso le impronte digitali di qualche toga. Bocciato proprio sul suo (e altrui) spirito vendicativo. Lo stesso che lo ha spinto a un’altra violazione della norma costituzionale, quella che ha reso eterno il processo a condannati e assolti in primo grado, imponendo a loro, e non a pubblici ministeri e giudici, il rispetto del giusto processo. Non ti rimpiangeremo, ministro accovacciato sotto le toghe. Ma il bello è che non sentiranno la tua mancanza neppure loro.
Chi è Alfonso Bonafede: curriculum, biografia, istruzione e partito. Francesca Di Stasio su Controcampus 1 Giugno 2020. Laureato in Giurisprudenza, avvocato, esponente del Movimento 5 Stelle: chi è Alfonso Bonafede: biografia, curriculum, istruzione, vita privata, età, moglie e contatti del ministro della giustizia nel governo Conte.
Foto per capire chi è Alfonso Bonafede. È un affermato avvocato presso il tribunale di Firenze, ma anche un politico, un parlamentare della Repubblica Italiana. Da anni è un esponente di primo piano del M5S con cui è stato eletto alla Camera nel 2013.
Ministro della giustizia dal 2018, è il rappresentante del movimento cinque stelle al governo essendo stato nominato capo delegazione, dopo la scelta di Luigi Di Maio di lasciare l’incarico da capo politico. Al centro di diversi dibatti politici anche molto accesi. Ricordiamo quello nato nello studio televisivo di Non è l’arena di Giletti sulle carceri che vede Bonafede, Di Matteo protagonisti di una vicenda che mette a rischio la tenuta del Governo Conte 2.
Ma qual è la sua storia, percorso professionale, istruzione e la sua vita privata?
Cercheremo di conoscere meglio il ministro Guardasigilli, Alfonso Bonafede, chi è secondo curriculum e profilo Facebook, contatti e partito politico, quanti anni ha, dove è nato, dove vive, se e con chi è sposato e quanti figli ha.
Chi è Alfonso Bonafede: curriculum biografia, età, moglie e partito del ministro della giustizia. Per scoprire chi è Alfonso Bonafede, Facebook, Twitter come anche curriculum e biografia ci saranno d’aiuto, tanto per la sua istruzione che per la sua vita privata.
E’ nato a Mazara del Vallo, un piccolo comune in provincia di Trapani il 2 luglio del 1976. E’ del segno zodiacale del Cancro.
In Sicilia trascorre la sua infanzia, poi terminate le scuole superiori si trasferisce a Firenze per gli studi universitari.
Nel capoluogo Toscano consegue la laurea in Giurisprudenza nel 2002 con una tesi dal titolo: “Il danno esistenziale. Il nodo al pettine della responsabilità civile,” con un voto finale di 105/110.
Dopo la laurea prosegue gli studi e nel 2006 consegue il dottorato di ricerca in Diritto Privato presso la facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Pisa.
Per quanto riguarda la vita privata, sappiamo che Bonafede è sposato, vive con la moglie e due figli di 4 e 7 anni. Sua moglie si chiama Valeria Pegazzano Ferrando. Laureata in Giurisprudenza, è avvocato, nonché uno dei soci dello studio legale di suo marito. E ancora, si occupa di diritto fallimentare e diritto di famiglia nello studio legale Pegazzano Ferrando.
Restano i contatti di Bonafede, e sappiamo bene che quelli principali sono quelli legati al M5S e Beppe Grillo. Fin da quando nel 2006 è entrato a far parte del gruppo degli “Amici di Beppe Grillo” nel Meet-up di Firenze, tanto da essere soprannominato il “Mister Wolf” a 5 Stelle.
Da assistente di Conte a Giurisprudenza, Bonafede politico e ministro
Per sapere chi è Alfonso Bonafede prima di diventare ministro della giustizia del Movimento 5 stelle, partiamo dalla sua istruzione e formazione universitaria. Non tutti sanno per esempio che il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte è stato suo docente di diritto all’università. Dopo la laurea, Bonafede è diventato suo assistente. Pare sia stato proprio lui a presentarlo al M5S come possibile candidato Premier.
Nel 2006 è diventato avvocato civilista svolgendo questa professione principalmente a Firenze dove ha uno studio legale. Nello stesso anno inizia la sua carriera in politica entrando in contatto per la prima volta con alcuni esponenti del Movimento 5 Stelle, che nascerà poco dopo, e di cui entrerà subito a far parte.
Nel 2009 è stato candidato sindaco di Firenze per il M5S alle elezioni amministrative. È stato candidato come capolista alla Camera.
Nel 2013 invece viene eletto deputato della XVII legislatura della Repubblica Italiana, e ricopre il ruolo di Vicepresidente della Commissione Giustizia della Camera dei Deputati.
Dal 2016 poi, è anche coordinatore dei comuni governati dal M5S.
Il 31 maggio del 2018 è stato nominato ministro della Giustizia. Nel governo Conte bis è stato riconfermato nello stesso ruolo.
Riforme e fatti di cronaca: chi è Alfonso Bonafede ministro del M5S
Chi vuole sapere chi è Alfonso Bonafede oggi, certamente intende conoscere le sue esperienze professionali, da avvocato e poi da ministro della giustizia, nelle leggi e riforme che portano il suo nome.
Ha approvato una serie di riforme e di provvedimenti anche importanti. È stato il primo firmatario della legge sul divorzio breve. Il suo primo provvedimento è stato quello sul contrasto alla corruzione. La cosiddetta legge di riforma denominata: “Spazzacorrotti.”
Nei primi mesi dell’insediamento del governo Conte ha collaborato con Giulia Bongiorno, ministro della Pubblica Amministrazione nella stesura della legge Codice Rosso per contrastare la violenza sulle donne.
Ha inoltre lavorato ad un disegno di legge per riformare il processo sia civile che penale. Da ministro, non è stato risparmiato dalle polemiche e dalle critiche, tanto che sono state presentate due mozioni di sfiducia nei suoi confronti, entrambe bocciate.
Fece molto discutere, il video realizzato dallo stesso Guardasigilli, durante l’arresto dell’ex terrorista Cesare Battisti. Per questa vicenda è stato anche indagato per abuso d’ufficio dalla Procura di Roma, che in seguito ha chiesto l’archiviazione del provvedimento.
Le ultime polemiche in cui è stato coinvolto, riguardano invece le presunte scarcerazioni avvenute a causa dell’emergenza legata al Covid-19. Scarcerazioni di molti detenuti condannati per reati legati alla mafia, tra cui Cutolo, e la mancata nomina del pm antimafia Di Matteo.
Anagrafica Principale. È un affermato avvocato presso il tribunale di Firenze, ma anche un politico, un parlamentare della Repubblica Italiana. Da anni è un esponente di primo piano del M5S con cui è stato eletto alla Camera nel 2013. Ministro della giustizia dal 2018, è il rappresentante del movimento cinque stelle al governo.
Nome e Cognome Alfonso Bonafede
Data di nascita 02/07/1976
Luogo di nascita Mazara del Vallo
Professione Ministro della Giustizia
Fabrizio Roncone per "Sette - Corriere della Sera" il 3 dicembre 2021. Era un pomeriggio un po' così, con l'umore un po' così. Fuori pioveva, pozzanghere giallastre come piccoli laghi, il rumore lontano dei clacson nel traffico bloccato (due gocce e Roma diventa Bombay): un cappuccino caldo con i biscotti, un giro su Ebay per cercare un vecchio libro, una pepita di quel gigante che era Elmore Leonard, un amico che telefona: «Vuoi tirarti su? Dammi retta, vai sulla pagina Facebook di Danilo Toninelli». Ecco allora che il pomeriggio si rovescia. Uno spettacolo imprevisto. Strepitoso. E sì perché il senatore grillino Toninelli, da qualche tempo, era sparito. Molti sospettavano che le sue leggendarie imprese politiche lo avessero stremato. Altri speravano in un periodo di riflessione. E invece no: s'è inventato una diretta video con cadenza quasi quotidiana e l'ha battezzata - reggetevi - Controinformazione. Roba Anni 70. Perché la vera verità ora ve la racconta lui, l'uomo che Grillo impose come ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, per farci bere il teorema che «uno vale uno», veleno puro per la democrazia rappresentativa. Infatti è lì, a Palazzo Chigi, che Toninelli diventa un mito. Soprannominato dal sito Dagospia Tontinelli e protagonista di imitazioni memorabili: Maurizio Crozza («Ho due cervelli, li collego con un tunnel»), Gene Gnocchi («Nella nuova Alitalia saranno i passeggeri a decidere chi piloterà l'aereo»), Luca Bizzarri («Con il cuore rifarò il ponte di Aosta»). Un grosso personaggio, Toninelli. Con addosso una serie di tragiche gaffe: la convinzione che al Brennero ci sia un tunnel percorso - ogni giorno - da centinaia di tir, le risate da Bruno Vespa davanti al plastico del ponte di Genova appena crollato, e poi selfie macabri, e rimorchiatori scambiati per incrociatori. Tony Nulla, Tony Nelly. Sul web, feroci, gli hanno sempre scritto di tutto ma lui è proprio lì, nella Rete, tra i follower più fedeli, che va a prendersi la sua rivincita. Sentitelo. «Ciao Anna, ciao Teo, ciao Antonella... stasera abbiamo pochi argomenti ma molto molto importanti...». Nomine Rai, Renzi che si allea con le destre. Toninelli spiega, analizza, ironizza, polemizza. Ne ha per tutti, e su tutto. Sicuro e definitivo (un po' come Alessandro Di Battista: anche se Dibba, nel genere, sta lassù. Tra gli angeli).
Il libro comico di Toninelli simbolo del fallimento 5s. Felice Manti il 5 Giugno 2021 su Il Giornale. L'ex ministro è un illuso: ci ha creduto davvero. I Cinque stelle, o quel che ne resta, dovrebbero fare una statua a Danilo Toninelli. Perché la sua lealtà e il suo candore sono la prova che non sempre il potere logora, consuma, cambia le persone. Basta leggere Non mollare mai per rendersene conto: duecento pagine di pensierini da scuola elementare, un concentrato di ingenuità da far impallidire un libro di fiabe. Vabbè, ma che cosa possiamo pretendere da uno che dice «non so perché mi abbiano fatto fuori dal Conte bis», ma intanto l'ha votato, che si rammarica per l'addio a Casaleggio jr e a Rousseau ma intanto paga le quote, che se la prende con la «reputazione mediatica» che l'ha affossato, rifiutando (si dice) le avances di chi vuole ricandidarlo. La satira contro di lui, a volte ingiusta, è una barzelletta rispetto alla comicità involontaria di certi tweet, post o alcuni meme for dummies tipo «Abbiamo abolito la povertà» - che hanno definitivamente ammazzato l'ideologia M5s in un mare di risate. Se ti giochi tutto sulla reputazione mediatica, non devi arrabbiarti se ti accusano di andare in giro su un'auto diesel (peraltro di seconda mano, e presa senza ecobonus...) perché diventi tuo malgrado la rappresentazione plastica del cortocircuito tra ambientalismo e ideologia. Ma Toninelli è un sognatore puro, innamorato della realtà dei social da vantarsi di un suo post da «trentaduemila like e un milione e trecentomila visualizzazioni», aggiungendo che «un milione di comuni cittadini sono parecchie volte il numero delle copie de Il Giornale», testata mai tenera con lui, fingendo di farci credere che il gesto del clic valga il disturbo di andare in edicola - ogni giorno, e grazie a chi lo fa - a spendere 1,50 euro. Toninelli forse è un illuso, ma quanto meno non è cambiato. Un po' come Frodo nel Signore degli Anelli. Che cosa sono diventati, invece i suoi amici grillini? Tanti piccoli Sméagol, gente corrotta dal potere disposta a trattare con chiunque - da Matteo Salvini a Matteo Renzi, da Forza Italia al Pd - pur di tenere le terga al caldo della poltrona ministeriale, come un peone qualsiasi della Prima Repubblica. Quando questa tragicomica legislatura finirà, quando l'ultimo grillino avrà detto addio ai suoi privilegi, non ci sarà spazio per gli alibi di circostanza. Il grillismo ha fallito, come un gratta e vinci che ti lusinga con la promessa di diventare milionario poi ti lascia disilluso e più povero. Dovevano aprire il Parlamento come una scatola di tonno, invece sono diventati loro i tonni, prigionieri della camera della morte in attesa della mattanza delle urne. E se la fiammella del grillismo resterà accesa, se la follia dell'«uno vale uno» non sarà per sempre cancellata dal cinismo alla Luigi Di Maio dell'«uno vale l'altro», se ci sarà ancora qualcuno disposto a dare credito all'uomo della strada pronto a cambiare il mondo, in buona fede, beh bisognerà ringraziare Toninelli. Non perché sia vero, ma perché qualcuno ci ha provato davvero.
Da liberoquotidiano.it il 31 maggio 2021. Fermi tutti, perché oggi è il grande giorno: esce il libro di Danilo Toninelli, l'ex ministro grillino e reginetto di pettorali ma soprattutto di gaffe. La sua fatica letteraria si propone col titolo Non mollare mai. Ma davvero gustoso è il sottotitolo, ben evidente in copertina: "La storia del ministro più attaccato di sempre". Sottotitolo che merita qualche breve riflessione. La prima: "attaccato" forse è il termine sbagliato, ci perdoni ma è fin troppo nobile ("attaccato" attiene al contenuto politico); insomma forse era meglio "dileggiato". Poi certo, non poteva mica scrivere in prima pagina "il ministro più dileggiato di sempre". Ma tant'è, nel presentare il suo libro sui social, il mitico Toninelli si spende in un appello: "Aiutatemi a diffondere questo importante video perché ho solo voi come passaparola. La semplice notizia della sua pubblicazione ha già scatenato il Sistema contro di me. Leggere questo libro non significa solo dare loro una bella spallata ma anche conoscere cosa ha fatto realmente un cittadino normale, con le mani libere, in un solo anno nei palazzi del potere!", la spara. Già, il "Sistema" (ma che è?) si è già "scatenato" contro di lui per il libro: roba da grillini della primissima ora, roba che flirta con scie chimiche e dintorni. Davvero spassoso, ammettiamolo. Dunque, qualche informazione pratica. Il libro del re di gaffe e sfondoni è autoprodotto e disponibile unicamente su Amazon, dunque sull'e-commerce di Jeff Bezos. Il grillino ha infatti utilizzato Kindle Direct Publishing, in cui di fatto ci si auto-produce e auto-edita. E di che parla, Toninelli? Del "Sistema" che lo attacca, va da sé: i poteri forti o presunti tali, banche e cupole, le "élite", i potenti, i manager e i Benetton, giusto per pescare qualche tema dal nutrito mazzo. E ci si interroga: riuscirà il "Sistema" a non collassare dopo il libro di Toninelli? Noi, un'idea, ce l'abbiamo.
Maria Teresa Meli per il Corriere della Sera il 30 maggio 2021. Lo chiamano il gaffeur seriale. E lo prendono in giro per quelle che più italianamente si definiscono topiche. Ma Danilo Toninelli, classe 74, nato a Soresina, in provincia di Cremona, ha elevato la gaffe a forma d' arte. Grillino ortodosso, si è infastidito per quel mea culpa di Luigi Di Maio sul Foglio per il caso Uggetti: «Non c' è da chiedere scusa, prima voglio vedere le carte perché è un problema di moralità, bisogna prima guardare le motivazioni della sentenza», ha puntualizzato. E non ha aggiunto altro o quasi. L' ultima volta che aveva fatto una dichiarazione pubblica così netta era stato altrettanto ultimativo: «Non ci vengano a chiedere i voti per Mario Draghi». Glieli hanno chiesti, al Movimento 5 Stelle, e i grillini glieli hanno dati senza fare troppi problemi. È lungo l'elenco delle gaffe del fu ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture. Un dicastero mica da ridere, da lui presieduto ai tempi del Conte uno. Quello che chiudeva i porti, per intendersi, con allegata spiega di Toninelli: «Fino a oggi non Salvini da solo, ma Salvini, con il sottoscritto e il presidente del Consiglio Conte abbiamo diminuito di una cifra davvero enorme il numero degli sbarchi». Ma non è per questa affermazione che l'ex ministro dei Trasporti è diventato famoso: questa frase è stata prontamente dimenticata ai tempi del Conte due. Piuttosto sono altre le affermazioni che lo hanno reso famoso. Nell' esercizio delle sue funzioni, cioè da ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture, una volta, nell' ottobre del 2018, ebbe a spiegare: «Sapete quante delle merci italiane e quanti dei nostri imprenditori utilizzano con il trasporto principalmente ancora su gomma il tunnel sul Brennero?» Era una domanda retorica, almeno nelle sue intenzioni, che l'allora ministro rivolgeva ai giornalisti. Peccato che Toninelli trascurasse il fatto che il tunnel non esisteva. Ma l'allora ministro dei Trasporti non era un tipo da arrendersi alle prime difficoltà. Quando sono arrivate le seconde, con il ponte Morandi, ha ipotizzato un viadotto a 45 metri di altezza dove «si giochi e si mangi». E per far capire meglio il concetto del «dopo tragedia torna la vita» si è fatto un selfie un po' di giorni dopo dil crollo del ponte in spiaggia sorridente con un baseball cap. I grillini si sono arrabbiati ma lui ha retto botta. Del resto lo ha fatto anche quando intervistato in tv doveva sponsorizzare gli incentivi alle auto elettriche e ha confessato di avere un simil suv Diesel. Uomo di partito fino al midollo, Toninelli ha sempre fatto campagna per il Movimento. In Emilia-Romagna, alle ultime regionali, l'intrepido ex ministro dei Trasporti, pur sapendo che era una partita persa, si spese per il Movimento. E un giorno trionfalmente presentò il candidato grillino: «Ecco a voi Daniele Tanichelli». Su «La7» L' aria che tira gli fece tana: il candidato si chiamava Simone Benini. Toninelli aveva sbagliato il nome. E anche il cognome.
· Lucia Azzolina.
Lucia Azzolina «Quando ero ministra mi hanno trattata come una strega». Monica Guerzoni su Il Corriere della Sera il 20 Novembre 2021. Ex titolare dell’Istruzione, la deputata Cinque stelle ha raccontato in un libro vita e carriera politica. Tra accuse e rivendicazioni: «Quasi ogni giorno ho ricevuto insulti e minacce. Il Movimento? Chi ci ha votato nel 2018 oggi è confuso...» L a ragazza umile del Sud, partita «dal piano terra o forse qualche gradino sotto», è salita in fretta fino ai piani alti grazie a quell’«ascensore sociale» che è la scuola. Da una cattedra di insegnante, con due lauree e tanti sogni nella testa, fino alla scrivania di ministra dell’Istruzione. Un «viaggio della speranza» dal profondo Sud al profondo Nord di Biella, la cittadina piemontese dove Lucia Azzolina ha accettato di farsi fotografare per 7 nella sua casa, in occasione dell’uscita del libro autobiografico «La vita insegna. Dalla Sicilia al ministero, il viaggio di una donna che alla scuola deve tutto». Duecento pagine edite da Baldini+Castoldi, con prefazione di Liliana Segre, per autoassolversi dalle accuse politiche e promuovere il suo mandato a pieni voti, far conoscere i suoi primi 39 anni e riscrivere la narrazione di quei dodici «duri» mesi al ministero, scanditi da polemiche e attacchi su chiusure e aperture, classi pollaio e mascherine, Dad e banchi a rotelle. La versione di Lucia, convinta di avere «la coscienza a posto», è passione, rabbia, retroscena e (tante) lacrime sul 2020, «anno zero della scuola». Di quella «stagione infernale» bisogna fare tesoro per dimenticare i dolorosi tagli del passato e costruire il futuro. Il primo mattone, per la deputata dei 5 Stelle, è la verità. La sua. Smascherare autori e mandanti delle fake news, togliersi pietruzze appuntite dalle scarpe e scagliarle contro gli avversari. Salvini «il bulletto», Renzi il leader di una «destra ripulita», Calenda il «semplificatore da salotto».
Da sinistra Lucia Azzolina, ex ministra dell’Istruzione nel governo Conte II, insieme con la sorella Rossana nella sua casa di Biella (foto di Roberto Caccuri)
Picconatrici e popolusti
Ce n’è anche per la presidente Casellati che «d’estate si trasforma in picconatrice», per il governatore De Luca «altra faccia del populismo», per i sindacati «inadeguati». E per il Pd di Zingaretti. Il primo grazie è alla sorella Rossana «per esserci sempre stata». Il secondo, filo rosso che cuce l’abito, va alla scuola come maestra di vita: «Chi è disposto a sacrificare il consenso facile per il bene degli studenti? Io ci ho provato. E per raccontarlo ho scelto parole di cuore. Parole di una donna giovane, con l’etichetta 5 Stelle e il rossetto rosso». Con uno stile che mixa astutamente vittimismo ed eroismo, la ex picciridda siracusana figlia di un agente di polizia penitenziaria e di una casalinga prova a smontare l’immagine disegnata dagli avversari e dai media quando era ministra. E comincia dalle parole. Pagina 28, l’elenco choc degli insulti ricevuti va da «Certe donne mettono un rossetto da troia» a «BRU.CIA.TE.LA. Ma va a feer di buchein, troia». In mezzo, una lunga serie di frasi irripetibili: «Così. Quasi tutti i giorni. Messaggi scritti da uomini, spesso mariti o padri». Azzolina denuncia l’odio, la violenza, il sessismo, la «caccia alle streghe dei tempi moderni».
Lucia Azzolina, 39 anni, è nata a Siracusa. A settembre 2019 è diventata sottosegretaria, il 10 gennaio 2020 ha giurato come ministra (foto di Roberto Caccuri)
Il primo amore
Condanna il linguaggio machista dei social e della politica. E regola i conti con tutti coloro che, mentre il virus uccideva, incendiavano il dibattito con accuse di fuoco. «I governatori sceriffi». «I parlamentari che urlano vai in cucina per zittire la collega». E Salvini, che «pubblica un post in cui gioca con la parola “orale” del mio esame al concorso di dirigente scolastico».
E mentre invita a riflettere sulla violenza di genere, sul cyberbullismo e sulla legge Zan, «affossata con scene di gaudio e tifo da stadio degni di una destra molto arida», Azzolina parla di sé. Di Fabio, «primo vero amore» e della folgorazione per i 5 Stelle, del debutto al governo come sottosegretaria all’Istruzione e del giuramento da ministra. Solo un mese più tardi, il Covid aggredisce l’Italia: «Il sistema politico viene sottoposto al più incredibile degli stress test. Per me, il divano in cui rimango a dormire al ministero, i pianti nascosti dopo le riunioni più difficili».
Il lockdown, i portoni delle scuole sbarrati per la prima volta dal Dopoguerra e l’apertura di una fase che Azzolina ricorda anche per la «violenta disinformazione» di cui si è sentita bersaglio. I pannelli in plexiglas? «Un falso». I banchi monoposto? «Dibattito surreale». A gennaio, quando capisce che è ora di fare gli scatoloni, scoppia in un «pianto dirotto», perché a raccogliere quel che pensa di aver seminato non sarà lei, ma Patrizio Bianchi. Promosso o bocciato? «Voleva dieci alunni per classe, ma da ministro ha cambiato idea con una velocità spiazzante».
Che farà adesso, onorevole?
«Continuerò a girare le scuole e a fare il mio lavoro a testa bassa, con molta umiltà».
Perché Conte non l’ha scelta come vicepresidente del M5S?
«Io non ho chiesto niente. Si è abusato del mio nome, che ho letto sui giornali per mesi. Non sono un personaggio in cerca d’autore. Mi occuperò di giovani e di donne, due categorie molto bistrattate».
Punta alla riconferma in Parlamento?
«Perché no? Sono alla prima legislatura e ho sempre lavorato in maniera seria e responsabile. Decideranno i cittadini».
Delusa da Conte leader?
«Serve tempo, dobbiamo dire con franchezza che Giuseppe ha bisogno di tutti noi. Immaginavo che non sarebbe stato facile per lui. Nelle piazze c’ero e ho visto il grandissimo affetto degli italiani, ma evidentemente Conte non è stato percepito come un uomo del M5S».
Perché?
«I cittadini non hanno ancora fatto l’abbinamento tra il Movimento e lui. Conte è intelligente, lo stimo. E sa che non può fare tutto da solo, perché rischia di patire lo stesso isolamento vissuto da Di Maio. È ora di parlare di temi e non più di nomi e di ruoli, perché l’agenda politica del 2018 è esaurita».
Priorità?
«Lavoro e istruzione. Ambiente. Reddito di cittadinanza, con dei correttivi. Chi nel 2018 ci ha votato, adesso è confuso. Chi siamo? Cosa vogliamo? Dobbiamo distinguerci in modo chiaro e netto dal Pd, altrimenti tra l’originale e la copia votano l’originale».
È vero che i 5 Stelle pur di non andare a elezioni voterebbero al Quirinale anche Belzebù?
«Non è così».
Berlusconi?
«Non scherziamo, io sono cresciuta nell’antiberlusconismo, mi fa paura un Paese con la memoria storica così breve».
Cartabia?
«Prima aveva più chance, ma la riforma della giustizia penale è stata molto divisiva. Non mi piace il totonomi. Mi piacerebbe moltissimo una donna al Quirinale».
Liliana Segre può essere la donna giusta?
«Una donna molto speciale, sarei felicissima. Sarebbe persino troppo per l’Italia. Ma lei, con la sua eleganza e nobiltà d’animo, ha già declinato e la comprendo».
Conte ha cambiato idea, vuole Draghi a Palazzo Chigi.
«Condivido, non capisco perché dovrebbe lasciare il governo per il Quirinale. La sua autorevolezza gli ha permesso di fare molte cose, alcune molto bene e altre un po’ meno».
Perché è così critica con il «governo dei migliori»?
«Io critico il favore spesso eccessivo della stampa. Credere nel salvatore della Patria non è nella mia cultura politica. Ma Draghi gode della stima di gran parte del Paese e, se non abbiamo tutti un po’ scherzato, deve finire di dare risposta ai due problemi serissimi per i quali è stato chiamato, pandemia e Pnrr».
Voterebbe per il bis di Mattarella?
«Se venisse riconfermato sarei felice, sempre sensibilissimo ai temi scolastici, ho massima stima e un ottimo rapporto con lui. È di altissimo spessore e rappresenta il senso delle istituzioni».
Salvini si è mai scusato con lei?
«No. Se ci incrociamo mi fa il gesto di togliersi il cappello, che non ha. Ma non dice neanche ciao».
Grillo vuole Di Maio al posto di Conte?
«Non credo ai retroscena sui giornali, pensare che la spinta di Conte sia già esaurita mi sembra troppo. È un percorso a ostacoli, ma la strada è tracciata e se siamo una squadra possiamo fare la differenza».
Le è piaciuto il libro di Di Maio?
«Lo stimo, è il libro di un enfant prodige della politica, ha fatto bene a spiegare la sua storia politica e a chiedere scusa per alcuni errori».
La tenta il nuovo movimento di Di Battista?
«Alessandro è stato sempre coerente, può ambire a costruire un nuovo soggetto, gli auguro buona fortuna. Io continuerò a dare l’anima per il M5S, perché trovi il coraggio di dire cosa pensiamo. Altrimenti, Conte o non Conte, sarà un problema».
Da liberoquotidiano.it il 9 giugno 2021. Che figuraccia, Lucia Azzolina. L'ex ministro dell'Istruzione M5s era ospite in studio di Bianca Berlinguer a CartaBianca, il programma di approfondimento politico in onda il martedì sera su Rai 3. Occasione in cui ha ribadito la bontà, ovviamente a suo giudizio, della terrificante frase sul vitalizio restituito a Roberto Formigoni, "come scatarrare sui cittadini onesti". Parole che la Azzolina ha di fatto giustificato, anzi quasi esaltato. "La decisone sul vitalizio a Formigoni mi ha provocato un senso di disgusto", ha spiegato la grillina. Ma la figuraccia è un'altra, anche se il tema è sempre lo stesso: il vitalizio a Formigoni. Sulla vicenda, infatti, interviene Paolo Mieli, altrettanto presente in studio, che ha rimarcato come il vitalizio sia la forma di pensione che spetta ai parlamentari e che non si tratta di un "premio finale" da stabilire in base ai meriti, così come sembra intendere la Azzolina. E a quel punto, ecco un lieve arretramento della pentastellata con annessa figuraccia: "Lo so che era un verbo edulcorato". Prego? Mieli e Berlinguer, all'unisono, la correggono ricordandole che edulcorato significa l'esatto opposto di quel che voleva intendere, ossia attenuato, mitigato. Che figuraccia, per una che è stata ministro dell'Istruzione. Bene ripeterlo, dell'Istruzione. Dunque, la Azzolina corregge "edulcorato" in "esasperato", affermando di essersi confusa e puntando il dito contro fantomatici lapsus freudiani. Insomma, il rumore di arrampicata acrobatica sugli specchi si sentiva in studio così come in tutte le televisioni sintonizzate. Anche in questo caso, cara Azzolina, avrebbe fatto bene a tacere…
Da liberoquotidiano.it il 9 giugno 2021. A Cartabianca, nella puntata di martedì 8 giugno, si vede di tutto. Anche Paolo Mieli che si inchina a Lucia Azzolina. È accaduto nel salotto di Rai 3, dove l'ex ministro dell'Istruzione ha fatto il suo ingresso e il fu direttore del Corriere della Sera ha stupito anche Bianca Berlinguer. "Ma che fai, ti alzi?! Stasera mi sorprendi, in piedi per Mattarella, in piedi per la Azzolina, in piedi per il professor Galli", ha esordito la conduttrice mentre Mieli si è alzato imitando un inchino per l’ingresso dell'esponente del Movimento 5 Stelle. "Guarda, non posso stringerle la mano e allora…", ha spiegato il giornalista a una divertita Berlinguer. Sempre la Azzolina è stata protagonista di un acceso dibattito con un altro ospite: Massimo Galli. L'infettivologo quando si parla di coronavirus non si trattiene, tanto da arrivare al botta e risposta. "Non è assolutamente vero che l’infezione non corra tra i bambini. Abbia pazienza, ho i numeri sotto il naso: da 0 a 9 anni al 29 dicembre 2020 erano 78.000 e oltre infezioni e al 10 marzo 144.000 infezioni con aumento dell’80,3% perché c’è la variante inglese", ha spiegato visibilmente innervosito il professore mentre la Azzolina chiedeva di scusarsi con i ragazzi che ad oggi si dimostrano i più volenterosi tra gli intenzionati a vaccinarsi contro il Covid-19. Non si è però lasciata intimorire la Azzolina che ha specificato di non aver mai detto che a scuola c’è rischio zero, tanto da aver adottato dei protocolli: "I bambini - ha poi ricordato - si contagiano di meno". "Questo è un dato di fatto, non è vero invece che non si infettano", ha a sua volta risposto Galli mentre la Azzolina si infuriava: "Ma chi l’ha mai detto?". Insomma, uno scontro senza precedenti. L'ennesimo nello studio della Berlinguer.
"Azzolina mi ha copiato nella sua tesi. E ora mi querela". Massimo Arcangeli il 13 Aprile 2021 su Il Giornale. Lucia Azzolina, intervistata venerdì scorso da Peter Gomez in una puntata del suo programma sul Nove (La Confessione), ha sostenuto per ben tre volte di avermi querelato. Lucia Azzolina, intervistata venerdì scorso da Peter Gomez in una puntata del suo programma sul Nove (La Confessione), ha sostenuto per ben tre volte di avermi querelato. «Aveva copiato?», le chiede lui. «Io facevo copiare i miei compagni di classe», risponde lei, «non ho mai copiato, mi sono sempre impegnata al massimo nella mia vita». Il giornalista la incalza: «Però è vero che alcune parti di quell'elaborato erano uguali ad alcune righe di manuali o di opere». E lei: «Guardi, credo che ci fu proprio Il Fatto Quotidiano che fece una ricerca con i software che si utilizzano all'università dimostrando che non era assolutamente vero». In ogni caso, anche lì sono partite le querele, e anche lì poi sarà la giustizia a fare il suo corso. Perché è pesante accusare una persona che si è sempre impegnata ed è partita dal nulla di aver copiato quando poi i fatti, i dati, i software ti dicono che non è andata assolutamente così». Ribadisce l'ex ministro: «Questo professore non ha mai nutrito né grande stima né grande simpatia nei miei confronti perché ha scritto non so quanti articoli, ed è un altro di quelli che è stato appunto querelato». E due. «Ma quante querele ha fatto da quando è in politica?», le domanda ancora Gomez. Risponde Azzolina: «Diverse. Io penso che ci si debba difendere. Le ho fatte rispetto alla questione della tesina copiata, e poi rispetto a tutti gli insulti sessisti e alle minacce di morte». E tre. Appurerò l'esistenza di una querela ai miei danni sporta da Lucia Azzolina, che continua spudoratamente a negare di aver copiato più di 40 brani. L'ex ministra mente perfino nel riferimento al merito dell'articolo uscito sul Fatto (4 gennaio 2020), in replica alle mie accuse nei suoi confronti di plagio e violazione del diritto d'autore. La giornalista, esaminate le 41 pagine della tesi di specializzazione, calcolò almeno in circa 300 parole, su 8.648 totali (con l'ausilio di due software antiplagio), l'ammontare del vocabolario complessivo saccheggiato dall'onorevole. Sono in realtà 1.542 le parole di cui Azzolina si è impadronita in quel lavoro (per una percentuale di copia del 17,831%). I 32 passi copiati di sana pianta non sono stati messi fra virgolette e non sono accompagnati da note di rinvio alle fonti. Ma Lucia Azzolina è solo la punta dell'iceberg. Così fan molti, come presto dimostrerò, e l'università dovrà reagire.
Da tgcom24.mediaset.it il 9 marzo 2021. L'ex ministro dell'Istruzione Lucia Azzolina commenta le nuove chiusure delle scuole. "Circa 6 milioni di studenti sono a casa ed è facile prevedere che nel giro di poche ore il numero crescerà ancora. Dispiace vedere tutta questa rassegnazione come se la chiusura delle scuole fosse un evento ineluttabile", ha detto. Poi una chiusura polemica: "Dove sono finiti i test a tappeto? Io li ho pretesi per mesi". "Cosa dicono quelli che 'in Francia scuole sempre aperte anche col lockdown'? Non parlano più adesso che non c'è Azzolina?", ha scritto ancora su Facebook l'ex ministro. "Servono subito i congedi parentali, fondamentali per le famiglie. Ma è un po' più difficile immaginare di poter ripagare il ritardo di apprendimento e di socialità di bambini e ragazzi. Inoltre, non può una mamma fare smart working e contemporaneamente far fare didattica a distanza ai propri figli", ha aggiunto. Nel corso di un convegno al Senato, il ministro Bianchi ha replicato: "Quando abbiamo dovuto prendere le decisioni inserita nel Dpcm per le scuole non è stato facile, è stata una scelta difficile ma responsabile: la variante inglese colpisce i più giovani. Se saremo in grado di assumerci l'onere di fare squadra contro la pandemia, questa si ferma, altrimenti questa continua. Insieme è la risposta forte a dare".
Da deejay.it il 9 marzo 2021. Oggi che sei milioni di alunni sono tornati alla didattica a distanza, Lucia Azzolina, portavoce del M5S alla Camera dei Deputati ed ex Ministra dell’Istruzione, è intervenuta a Say Waaad?! su Radio Deejay per confrontarsi sulla situazione degli studenti e l’importanza che la politica attribuisce alla cultura intesa sì come scuola, ma anche come musica, teatri e concerti. “La scuola da alcuni non è considerata un’attività economica e come tale è facilmente sacrificabile”, afferma Azzolina. “Ho sempre detto che nel nostro Paese c’è un problema culturale, è vero che tutto ciò che è cultura e scuola è stato bistrattato. Si crede, sbagliando, che la scuola non sia un’attività economica, ma non mandare gli studenti a scuola genera una perdita economica nel tempo che è stata quantificata”. Alle osservazioni del conduttore Michele “Wad” Caporosso che anche il suo Ministero è stato responsabile della chiusura nel 2020, Azzolina precisa: “Noi l’abbiamo chiusa a marzo, aprile, maggio 2020, quando del virus non si sapeva ancora nulla del virus e il CTS ci disse che se avessimo riaperto le scuole avremmo provocato 50.000 terapie intensive in più. Poi in estate abbiamo lavorato come matti, le scuole sono diventate cantieri a cielo aperto, abbiamo creato 40 mila aule in più, messo a disposizione 3 miliardi di euro per riaprire e ci siamo preparati e da lì per il primo ciclo, tranne poche eccezioni, è rimasto tutto aperto. Nel secondo ciclo le superiori hanno sofferto di più quando a novembre e dicembre per l’aumento dei contagi si è ripresentata la situazione di marzo, ma io ho sempre lavorato per poterle tenere aperte, come poi l’UNESCO ci ha riconosciuto”. Parlando poi del nuovo libro di Barak Obama e della percezione da parte della politica della musica nella cultura, come canale di comunicazione più immediato per parlare ai giovani, Azzolina fa la considerazione che “devi trovare delle chiavi per parlare con i ragazzi e ci sono degli insegnanti bravissimi a farlo, più invecchiamo e più ci allontaniamo dai giovani. Ma per quanto riguarda la politica, l’errore è farsi travolgere dalle urgenze della quotidianità, perché la politica italiana non dovrebbe risolvere solo risolvere i problemi dell’hic et nunc, ma pensare in un’ottica da ora a vent’anni, tenendo a mente quello che pensano i giovani, ma forse questo è un Paese troppo per vecchi”.
La dura vita del ministro svelata da Lucia Azzolina: "Avevo perso quattro chili". Durante il periodo al ministero dell'Istruzione, Lucia Azzolina saltava i pasti. L'ha rivelato in radio: ora sappiamo che ha perso ben 4 chili. Francesca Galici - Gio, 25/02/2021 - su Il Giornale. Tra i ministri che non sono stati riconfermati da Mario Draghi c'è Lucia Azzolina, che ha dovuto lasciare la poltrona del ministero dell'Istruzione a Patrizio Bianchi. La giovane ministra è arrivata nel palazzo di Viale Trastevere a gennaio 2020, poche settimane prima dello scoppio della pandemia. La sua gestione non è stata per molti versi all'altezza della situazione e probabilmente verrà ricordata solamente per il fallimentare acquisto dei banchi con le rotelle. Ora che ha lasciato il ministero, la Azzolina è tornata al suo ruolo di componente della Camera dei deputati e ieri è stato ospite del programma radiofonico Un giorno da pecora in onda su Rai Radio1. Con molte meno responsabilità, ora Lucia Azzolina dice di stare meglio e di essere più rilassata: "Sto dormendo di più, mi alzo alle 7.15 ed è già tanta roba. Prima mi alzavo alle 6 di mattina e tornavo alle 23 tutti i giorni". Dice che in queste settimane si sta riappropriando della sua vita e che sta anche mangiando di più: "Avevo perso tanti chili". Il dimagrimento dell'ex ministro non è stato frutto di una dieta ma dello stress accumulato nel corso degli ultimi mesi. A Un giorno da pecora rivela anche quanti chili ha perso e perché: "Quattro chili, a causa dei tanti pasti che saltavo". Un retroscena inedito della vita da ministro, che Lucia Azzolina racconta ora che la sua esperienza al dicastero dell'Istruzione è volta al termine. La sua figura è stata spesso al centro di feroci critiche per il modo in cui è stata gestita la questione scuola in questa epidemia, ma Lucia Azzolina non ha nascosto che oltre agli insulti e alle minacce ci sono stati anche gesti di apprezzamento nei suoi confronti: "C'è stato anche chi mi ha regalato un mazzo di 24 rose". Un misterioso corteggiatore? La risposta dell'ex ministro è quasi evasiva: "Da diversi, anche da ex insegnanti". A quanto pare gli ammiratori non mancano a Lucia Azzolina, che pare abbia ricevuto anche delle proposte di matrimonio: "Tante, ma ovviamente era solo una battuta scherzosa". Il cuore di Lucia Azzolina per il momento non batte per nessuno, tanto che l'ex ministro considera la sua situazione sentimentale sospesa: "Non avevo tempo per nulla. Chissà che ora le cose non cambino". È stata spesso oggetto di esilaranti imitazioni da parte di Maurizio Crozza: "Io adoro i comici. Mi ha regalato dei momenti più spensierati e qualche sorriso in un anno come questo. Maurizio è stato bravo a cogliere la mia storia, la storia di una persona semplice".
Da "Un giorno da pecora" il 24 febbraio 2021. L'ex ministra dell'Istruzione Lucia Azzolina, oggi a Un Giorno da Pecora, su Rai Radio1, ha risposto ad alcune domande su come abbia vissuto l'impegnativo periodo al governo e come sia diversa, oggi, la sua vita. Cosa è cambiato rispetto a quando era ministra? “Ad esser sincera sto dormendo di più, mi alzo alle 7.15 ed è già tanta roba. Prima mi alzavo alle 6 di mattina e tornavo alle 23 tutti i giorni. Mi sto riappropriando della mia vita, mangio anche di più, perché avevo perso tanti chili”. Quanti? “Quattro chili, a causa dei tanti pasti che saltavo”. Lei ha raccontato di aver ricevuto tantissimi attacchi via social. C'è stato qualcuno che invece si è complimentato con lei per il suo lavoro.? “Certo, moltissimi. E c'è stato anche chi mi ha regalato un mazzo di 24 rose”. Da un corteggiatore? “Da diversi, anche da ex insegnanti”. Ha ricevuto anche proposte di matrimonio? “Si – ha detto Azzolina a Un Giorno da Pecora - tante, ma ovviamente era solo una battuta scherzosa”. L'ultima volta che era stata nostra ospite, prima di diventare ministra, aveva detto che la sua situazione sentimentale era un po' 'sospesa'. E ora? “E' ancora più sospesa: non avevo tempo per nulla. Chissà che ora le cose non cambino”. Le era piaciuta l'imitazione che le faceva Maurizio Crozza? “Da morire, io adoro i comici. Mi ha regalato dei momenti più spensierati e qualche sorriso in un anno come questo. Maurizio è stato bravo a cogliere la mia storia – ha spiegato Azzolina a Radio1 -, la storia di una persona semplice che ha fatto di sacrifici e di sogni da raggiungere”.
· Vito Crimi.
Crimi Ponzio Pelato: dei 5 Stelle se ne lava le mani. Da "Vito lo smentito" a "Reggente" che regge poco. Come il mediocre di talento dei 5 resta sempre a galla nonostante il caos. Francesco Specchia su Libero Quotidiano il 19 febbraio 2021.
Francesco Specchia. Francesco Specchia, fiorentino di nascita, veronese d'adozione, ha una laurea in legge, una specializzazione in comunicazioni di massa e una antropologia criminale (ma non gli sono servite a nulla); a Libero si occupa prevalentemente di politica, tv e mass media. Si vanta di aver lavorato, tra gli altri, per Indro Montanelli alla Voce e per Albino Longhi all'Arena di Verona. Collabora con il TgCom e Radio Monte Carlo, ha scritto e condotto programmi televisivi, tra cui i talk show politici "Iceberg", "Alias" con Franco Debenedetti e "Versus", primo esperimento di talk show interattivo con i social network. Vive una perenne e macerante schizofrenia: ha lavorato per la satira e scritto vari saggi tra cui "Diario inedito del Grande Fratello" (Gremese) e "Gli Inaffondabili" (Marsilio), "Giulio Andreotti-Parola di Giulio" (Aliberti), ed è direttore della collana Mediamursia. Tifa Fiorentina, e non è mai riuscito ad entrare in una lobby, che fosse una...
Da “Vito lo smentito” a “Ponzio Pelato”, ovvero l’arte di lavarsene le mani. Ne stiamo seguendo, mai come ora le mirabolanti imprese nei primi titoli xdeu tiggì. Come un turista della politica che gira con la mappa delle alleanze e dei percorsi deragliati del Movimento 5 Stelle chiedendo informazioni ai passanti, Vito Crimi, in queste ore, sta vivendo l’ennesimo momento topico della sua vita. Lo fronte spaziosa, lo sguardo liquido sopra una mascherina che sembra un respiratore d’ossigeno, i pensieri a mozziconi, il partito che sfugge: Crimi è sopraffatto dal suo ruolo di “Reggente” che ha atteso la fiducia a Draghi in un Parlamento schierato quasi totalmente col premier. E molti sono i dubbi che lo attanagliano. E' rimasto Reggente o non è più Reggente (come dice Casaleggio, dato che ora c'è il nuovo direttorio)? I 5 Stelle sono sempre più balcanizzati a causa del sostegno a Draghi? Urge arrabattarsi per ridurre il numero progressivo dei dissidenti parlamentari? Di Battista fa come Che Guevara e si perde con i suoi nella giungla boliviana? Si vota per la “governance a cinque”, il nuovo ennesimo direttorio del Movimento e la decisione del voto è, drammaticamente, in mano a Vito (anche se forse lui non lo sa)? Dubbi feroci, questioni possenti. Ed ecco, dunque che Crimi, il Reggente, ha una tecnica tutta sua per evitare la spaccatura tra deputati e senatori e la transumanza degli scontenti verso il gruppo Misto (l’ultimo il fisioterapista Giuseppe D’Ambrosio); per sostenere il “lodo Brescia” che prevede un’opposizione dall’interno e non fuori dal governo. Ha una tecnica, Vito, per evitare che Barbara Lezzi o Nicola Morra – i soliti rompiballe- si candidino a far parte del comitato direttivo del M5S nonostante l’espulsione dal gruppo parlamentare, o che chiedano la reiterazione del voto sulla piattaforma Rousseau. Ha una tecnica per far sì che la stessa ex ministra del lavoro Nunzia Catalfo, la madrina del reddito di cittadinanza, non si lasci blandire dalle forze del male. Ha una tecnica, Vito, per risolvere tutto ciò. Ed è la tecnica del tirare a campare. Che comunque, come sosteneva Andreotti, è sempre meglio che tirare le cuoia. Tocca ammetterlo, dai. Da quando “regge” il condominio, Crimi più che l’amministratore è sempre stato un po’ l’usciere addetto alle porte girevoli del M5S. Sì, certo, punto sull’orgoglio, il Reggente afferma, deciso su Facebook: "I 15 senatori che hanno votato no alla fiducia saranno espulsi; si collocano, nei fatti, all'opposizione. Per tale motivo non potranno più far parte del gruppo parlamentare del Movimento al Senato. Ho dunque invitato il capogruppo a comunicare il loro allontanamento, ai sensi dello Statuto e del regolamento del gruppo". E poi aggiunge: “Per i senatori assenti in occasione del voto di fiducia al governo ho chiesto al capogruppo di verificare le ragioni dell'assenza”. Ed ecco il colpo di lombi. La verifica dell’assenza e la sprezzo del dissenso. Anche se “dissenso”, in questo caso, significa che i dissidenti sono espulsi dal gruppo, forse dal Movimento (non si capisce), non certo dalle Camere; il che comporta un sereno passaggio al Misto senza aver più la rottura di balle del pagamento dell’obolo di parte dello stipendio a Casaleggio, o di sorbirsi i pipponi di Vito nostro dall’alto dei cieli. Crimi, ogni volta che viene richiesto di un parere sulla situazione parlamentare alla dinamite, vibra in un tono duro e contrito. Ma, in realtà, il suo pensiero è diretto ad altro. Anche, se onestamente ci ha spiazzato nel rifiutare (pare) per quel posticino di Sottosegretario agli Interni -assieme al Pd Matteo Mauri- che gli era stato promesso in virtù della sua incontestabile lealtà. Forse non era il caso d'incasinarsi di più la vita, o forse gli hanno promesso incarichi migliori rispetto a quando, sottosegretario a Chigi con la delega all'editoria, minacciava di fare un mazzo così ai giornalisti. Ma tant'è. Vito Crimi possiede, in questo sfarfallio di ribellioni ad alleanze variabili, il solido talento della mediocrità. Tutto sembra scivolargli addosso. Intanto, però, accade di tutto. Nasce il gruppo interparlamentare M5S-Pd-Leu, sempre più verso un’alleanza stabile per le prossime amministrative. E i dissidenti alzano sempre più la voce, fottendosene altamente delle minacce di Vito. La Lezzi, anzi, è ringalluzzita, e rilancia: “Mi candido a far parte del comitato direttivo del M5S (da cui non sono espulsa). Credo che il 41% degli iscritti contrari ad allearsi con tutti, compresi Berlusconi, Salvini e Renzi, debbano essere rappresentati. Sono convinta, inoltre, che se il quesito fosse stato riproposto, come lo statuto prevede, quel 41% sarebbe stato più alto. Auspico, quindi, la massima serietà nel percorso che porta alle candidature e l'urgenza necessaria a sbloccare l'azione del M5S". E Mattia Crucioli afferma di voler fare “un’opposizione seria nel Misto”. E Morra non si trova a suo agio con Draghi perché il premier non ha fatto cenno alla lotta alla mafia, sicché gli dice “no”, e si autocommuove per la propria fermezza: “Ci sono situazioni in cui bisogna anche rimanere soli. Se sono pronto all'espulsione? Adesso vedremo. Non ci sono problemi, bisogna andare avanti e avere il massimo rispetto delle posizioni di tutti". Insomma, un casino. E fuori, inoltre, c’è Davide Casaleggio che agita la base dei duri e puri. Ma Crimi-Ponzio Pelato sa che il popolo ha già scelto Barabba. Draghi libero e quel che rimane degli ideali originari dei 5 Stelle sulla croce…
DiMartedì, Concita De Gregorio ridicolizza Vito Crimi: "Quando Mario Draghi si trova davanti uno come lei..." Libero Quotidiano il 10 febbraio 2021. Una sorta di pungiball, il povero Vito Crimi ospite di Giovanni Floris a DiMartedì, il programma in onda su La7 ieri, martedì 9 febbraio. Il leader grillino prova a difendere le indifendibili posizioni del M5s nel corso delle consultazioni con Mario Draghi. Prova anche a giustificare e legittimare il voto sulla piattaforma Rousseau per decidere sul governo, tentativo davvero avventuroso. Dunque incassa i fendenti di Alessandro Sallusti, che nel corso di un intervento lo ha impallinato a ripetizione. Insomma, un incubo per il leader reggente. E a peggiorare l'incubo di Vito Crimi ecco anche il "fuoco amico" di Concita De Gregorio, la firma di Repubblica che si è recentemente fatta notare per la querelle con Nicola Zingaretti. Concita prende la parola e sottopone una serie di domande al grillino."È molto chiaro che Draghi a Grillo è molto piaciuto. A lei è piaciuto? E avete chiesto tre ministeri? Che impressione le ha fatto Draghi?". Crimi, dunque, risponde smentendo il fatto che il M5s abbia chiesto tre ministeri, derubricando le affermazioni di Grillo a una sorta di boutade. Successivamente, entrando nel merito delle domande di Concita, ecco che sull'ex governatore della Bce, Crimi afferma: "Devo dire che mi è sembrato una persona che ha ben chiaro cos'ha davanti. Secondo me le difficoltà le troverà in Parlamento". A quel punto, però, la De Gregorio lo interrompe: "Ma ha ben chiaro cos'ha davanti anche quando ha davanti lei?", chiede a bruciapelo. E Crimi: "Certamente, lo abbiamo rappresentato con chiarezza. Non siamo persone facili. Anche Giuseppe Conte ha dovuto confrontarsi con noi, con la nostra forza", chiosa il grillino. Insomma, se la cava. Ma quel "ha ben chiaro cos'ha davanti quando davanti ha lei" è un colpo da ko tecnico. Già, il M5s oggi è tutto e il contrario di tutto. Ovvero, il nulla politico.
Alessandro Sallusti a DiMartedì, stoccata a Vito Crimi: "Allora Toninelli vale Draghi?", gelo del grillino. Libero Quotidiano il 10 febbraio 2021. Una sorta di pugile suonato, Vito Crimi, il leader del M5s che non sa più cosa dire per difendere e giustificare l'operato del suo partito alle prese con le consultazioni con Mario Draghi. Alla fine, pare, a decidere sarà il voto-pagliacciata su Rousseau, la fantomatica piattaforma dell'uno-vale-uno. Roba da mani nei capelli. E proprio di questo imminente voto si parla a DiMartedì, il programma condotto da Giovanni Floris su La7, dove troviamo il pugile suonato Crimi a confronto con Alessandro Sallusti. E il direttore de Il Giornale, contro il pentastellato, picchia durissimo, al solito senza scomporsi. "Glielo dico sinceramente, senza doppio senso: apprezzo il suo coraggio, perché mettere la sua faccia fuori stasera, per come è messo il M5s, ci vuole coraggio", premette un corrosivo Sallusti. Che a strettissimo giro di posta aggiunge: "La prendo alla lontana: lei è ancora convinto che uno vale uno in politica o che forse il merito vale più di uno vale uno?". "Sono sempre convinto che uno vale uno - replica Crimi -. L'uno non vale l'altro, ma uno vale uno quando c'è da prendere delle decisioni. In questi casi l'importanza dell'intelligenza collettiva non mi ha mai deluso". Ed ecco che Sallusti sgancia il montante decisivo: "Dunque Danilo Toninelli vale Draghi?". E Crimi, visibilmente imbarazzato: "Guardi, andare a fare questi paragoni... Io dico che Toninelli ha fatto bene il suo lavoro da ministro, lo sottoscrivo". "E perché non lo avete confermato?", lo incalza Sallusti. "Forse ha dimenticato che il ministero dei Trasporti era poi stato preso dal Pd", replica il grillino. A porre la pietra tombale ci pensa Floris: "Come se Toninelli fosse un esperto di trasporti...". Cala il sipario.
Da liberoquotidiano.it il 10 febbraio 2021. Una sorta di pugile suonato, Vito Crimi, il leader del M5s che non sa più cosa dire per difendere e giustificare l'operato del suo partito alle prese con le consultazioni con Mario Draghi. Alla fine, pare, a decidere sarà il voto-pagliacciata su Rousseau, la fantomatica piattaforma dell'uno-vale-uno. Roba da mani nei capelli. E proprio di questo imminente voto si parla a DiMartedì, il programma condotto da Giovanni Floris su La7, dove troviamo il pugile suonato Crimi a confronto con Alessandro Sallusti. E il direttore de Il Giornale, contro il pentastellato, picchia durissimo, al solito senza scomporsi. "Glielo dico sinceramente, senza doppio senso: apprezzo il suo coraggio, perché mettere la sua faccia fuori stasera, per come è messo il M5s, ci vuole coraggio", premette un corrosivo Sallusti. Che a strettissimo giro di posta aggiunge: "La prendo alla lontana: lei è ancora convinto che uno vale uno in politica o che forse il merito vale più di uno vale uno?". "Sono sempre convinto che uno vale uno - replica Crimi -. L'uno non vale l'altro, ma uno vale uno quando c'è da prendere delle decisioni. In questi casi l'importanza dell'intelligenza collettiva non mi ha mai deluso". Ed ecco che Sallusti sgancia il montante decisivo: "Dunque Danilo Toninelli vale Draghi?". E Crimi, visibilmente imbarazzato: "Guardi, andare a fare questi paragoni... Io dico che Toninelli ha fatto bene il suo lavoro da ministro, lo sottoscrivo". "E perché non lo avete confermato?", lo incalza Sallusti. "Forse ha dimenticato che il ministero dei Trasporti era poi stato preso dal Pd", replica il grillino. A porre la pietra tombale ci pensa Floris: "Come se Toninelli fosse un esperto di trasporti...". Cala il sipario.
Vito Crimi, il reggente che nessuno regge. In una parola, l’autoreggente dei Cinquestelle. Niccolò Silvestri venerdì 5 Febbraio 2021 su Il Secolo d'Italia. Sparare su Vito Crimi? Ma no, sarebbe come farlo contro il pianista o, peggio, la Croce Rossa. Il reggente che nessuno regge (in realtà, un autoreggente) è l’esatto contrario della facciadaschiaffi che non si esiterebbe a stendere con un manrovescio. La sua aria sonnacchiosa da bradipo lento e soddisfatto scoraggerebbe all’istante qualsiasi brutta intenzione. In chiunque, tranne che in Fabrizio Roncone, acuminata penna del Corriere della Sera, che al povero Crimi ha riservato uno lisciabbusso destinato a restare più memorabile del gavettone patito al servizio militare. Va anche detto che un po’ l’Autoreggente se l’è cercata. Ancora lì ad esprimere granitiche certezze quando il MoVimento intorno a lui è un campo disseminato di dubbi e di paure. «I 5Stelle non voteranno mai la fiducia a Draghi», aveva tuonato non più tardi di ieri. E mentre lo diceva le agenzie arrancavano dietro alle dichiarazioni dei grillini già in groppa a SuperMario. Proprio come quel ministro della propaganda di Saddam Hussein che in tv annunciava la vittoria dell’Iraq mentre alle sua spalle sfilavano i thanks americani entrati a Baghdad. I media mondiali lo ribattezzarono immediatamente in Alì il Comico per distinguerlo dall’assai meno faceto Alì il Chimico che lavorava all’atomica da sganciare su Israele. In realtà, al simpatico bradipo non dà retta nessuno. Ma proprio nessuno. Apposta Di Maio lo piazzò a fare il reggente che non regge. Ne diede l’annuncio slacciandosi la cravatta. Un po’ in ossequio al rito del rinnovato spirito di militanza, non scalfito neanche dalla poltrona della Farnesina. E un po’ per sottolineare che della carica di capo politico lasciava solo il pennacchio, non certo il ruolo. Era come dire: Vito è un segnaposto. Una sorta di cappello sulla sedia con licenza di parlare. Ma solo per essere smentito un minuto dopo. Una vita difficile, quella di Crimi. Più dura di quella di un mediano. Con la differenza che di lui s’accorgono solo quando c’è.
Storia di Vito Crimi, l’«orsacchiotto» che voleva fare il ministro. IL RETROSCENA di Fabrizio Roncone su Il Corriere della Sera il 5/2/2021. Mario Draghi, domani alle 12,15, chiuderà il giro delle consultazioni incontrando a Montecitorio la delegazione del Movimento 5 Stelle guidata da Vito «orsacchiotto» Crimi (il copyright del soprannome è di Roberta Lombardi, raro esemplare di grillina ironica, nata ad Orbetello e però cresciuta a Boville Ernica, in Ciociaria). Draghi e Crimi. Uno di fronte all’altro. Qualcuno scatti una foto. Crimi, pazzesco, sempre lui. Immagini in dissolvenza: le consultazioni del marzo 2013, Bersani, i grillini che imposero un confronto in diretta streaming, la Lombardi e il nostro «orsacchiotto» dall’altra parte del tavolo a fare i duri e puri (dopo: al governo prima con Salvini e poi con il Pd, le auto blu, la bava da potere, le poltrone da prendere). Crimi ha preso anche qualche chilo. E, nel frattempo, è diventato il capo provvisorio, il reggente del Movimento: ma conta meno di un curatore fallimentare. La sua carriera, in questi irripetibili anni di governo a 5 Stelle, dopo un avvio promettente, si è fermata. Lo ignorano, lo mortificano. Mai invitato da Beppe Grillo nella suite dell’hotel Forum con vista sul Colosseo. Mai una citazione da Dibba nelle sue dirette Facebook. E poi Paola Taverna, ormai tutta in ghingheri, con la Louis Vuitton e il tailleur giusto, ma i modi di fare che sono sempre gli stessi: «A Vitooo! Ma che stai a dì? Nun te se capisce quanno parli…». Lui allora viene avanti con questa aria da falso pacioccone, lo sguardo torvo, la vendetta covata. Un giorno lo beccano a Radio Luiss che confessa: «I giornalisti mi stanno sul cazzo». Se la prende con noi. Non sarebbe l’unico: c’è però il problemino che intanto l’hanno fatto Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega all’Editoria. Populista, cattivello, minacciosetto. Ha un’idea efferata: chiudere una leggenda, Radio Radicale. «Sei un gerarca minore», lo gela Massimo Bordin, il fuoriclasse che la dirigeva. Polemiche, stupore. Crimi intuisce l’antifona, china il capo: «Chiedo scusa a tutti i giornalisti bravi e seri, che sono davvero tanti». Si specializza in gaffe: deve chiedere perdono anche all’allora Capo della Stato, Giorgio Napolitano. «Non volevo offenderlo quando ho detto di averlo trovato piuttosto sveglio». Due giorni dopo un fotografo appostato sulla tribunetta di Palazzo Madama punta il teleobiettivo su uno che dorme e russa a bocca spalancata. La testa ciondoloni. Le braccia corte, e conserte. Un orsacchiotto in letargo. E’ lui: Crimi. Cominciano a imitarlo: Crozza, Fiorello. Su twitter parte l’hashtag: #romanzocrimi. Lui reagisce innamorandosi: si fidanza con una collega del Movimento, la deputata Paola Carinelli, e insieme hanno un figlio. Ma un’anima pia a 5 Stelle spiffera: non avete idea del suo primo matrimonio. Una pacchianata. Spunta un raccontone: Vito il frugale che arriva davanti alla chiesa di Santa Maria della Stella, ad Albano Laziale, a bordo di una RollsRoyce Excalibur grigio perla. Ricevimento nella più lussuosa villa sull’Appia Antica, prato all’inglese, e lui - quello che ai meet-up arrivava scamiciato - in tight. Ha 48 anni, è nato a Palermo, quartiere Brancaccio: secondogenito di due genitori impiegati all’Upim, boy-scout nella parrocchia carmelitana San Sergio I, il liceo scientifico, la facoltà di Matematica lasciata per trasferirsi a Brescia («Avevo vinto il concorso nella locale Corte d’Appello»). Poi il rettilineo che porta diritto in Parlamento.
Sei contento, adesso, Vito? No. Pensa che poteva andargli meglio. La fonte fa un po’ di capricci, ma poi scodella un colloquio riservato. Primi di settembre di due anni fa (mentre accroccavano il nuovo governo giallo-rosso e Luigi Di Maio spiegava la scena). «Vito caro, allora: tu farai il vice ministro dell’Interno e…». «Vice? No, scusa: e perché non il ministro?». «Per una ragione di equilibri. Però guarda che essere il vice al Viminale è tanta roba». «Ma io voglio essere ministro!». «No, Vito. Mi spiace, non è possibile» (Di Maio, se necessario, sa essere molto duro). «Persino Toninelli farà il ministro…». «Vito, dai… non fare così… non piangere, Vito». La Lombardi ci aveva preso: immaginarselo che singhiozza deluso, proprio un «orsacchiotto». Però dai suoi occhi ecco che subito si sprigiona un guizzo di inatteso furore. Gli hanno appena riferito che Grillo e Di Maio, sia pure piantando qualche paletto, avrebbero aperto all’ex presidente della Bce. Vito scuote la testa. Ancora una volta: smentito (poche ore fa, la sua dichiarazione era infatti stata definitiva: «I 5 Stelle non voteranno la fiducia a Draghi»). Ma ormai è andata. Adesso scegli la cravatta giusta, Vito. E ricordati di chiedere una foto. Con Draghi, non ti ricapita.
· Roberto Fico.
Roberto Fico, il grillino anti-sprechi ha le mani bucate: Camera, spese aumentate di 5,4 milioni. Libero Quotidiano il 07 luglio 2021. Nel 2021 la Camera costerà 963,7 milioni di euro, 5,4 milioni in più rispetto all'anno precedente, pur restituendo all'erario 35 milioni di euro. È quanto emerge dalla lettura del progetto di bilancio previsionale che verrà discusso a Montecitorio il 12 luglio e approvato il 22. ll Covid fa lievitare le spese. La Camera si è dovuta dotare di presidi medici e test. È stata rivoluzionata tutta la macchina legislativa per permettere ai deputati di lavorare in sicurezza, rispettando la distanza interpersonale. Il Transatlantico, da camminamento e luogo di incontri, si è trasformato in un'aula bis, con l'allestimento di postazioni di voto. Ma neanche tutto questo ambaradam giustifica il lievitare dei costi. Le misure anti-pandemia, infatti, pesano sulle casse dell'istituzione per circa due milioni di euro, che sono stati attinti dal fondo di riserva. Si legge sul documento contabile: «Sono state notevolmente potenziate sia l'infrastrutturazione sia le dotazioni informatiche; è stato rivisto, in modo assai incisivo, l'utilizzo e l'allestimento degli spazi; è stata ripensata, talvolta anche radicalmente, l'organizzazione dei servizi». E tutto questo ha avuto un costo, ovviamente. Tra le spese, a registrare l'aumento maggiore è quella per le opere d'arte, cresciuta del 200 per cento. Si tratta di 180mila euro in totale (rispetto ai 60mila precedenti), per la maggior parte spesi per il restauro del monumentale dipinto delle "Nozze di Cana", nella Sala Aldo Moro, anch' essa interamente ripresa. La tela è arrivata a Montecitorio nel 1923 in prestito dalla Galleria di Brera ed è tornata al suo antico splendore. Tra i capitoli più onerosi c'è la spesa previdenziale per i deputati cessati dal mandato, che «registra un andamento crescente in ciascuno degli anni del triennio» di previsione. «Nel 2021 l'incremento rispetto al 2020 risulta pari a 0,9 milioni di euro (+0,73 per cento)». Lievitano anche le spese per lo stipendio e le pensioni dei dipendenti. Per effetto dei risultati della gestione del 2020, si legge ancora nella relazione dei deputati questori, «l'avanzo di amministrazione iniziale viene ad attestarsi a 275,5 milioni di euro. Si tratta di un ammontare che rende possibile effettuare anche nell'anno 2021, come costantemente accaduto negli anni precedenti a partire dal 2013, una restituzione di risorse finanziarie al bilancio dello Stato». Nel progetto di bilancio 2021 «la restituzione è determinata in una misura corrispondente al miglioramento dell'avanzo che si è registrato alla chiusura dell'esercizio 2020, vale a dire in 35 milioni di euro». Fino al 2020, ci tiene a sottolinearlo il collegio dei questori, «la Camera ha restituito al bilancio dello Stato 465 milioni, di cui 200 milioni nella precedente legislatura e 265 milioni nella legislatura in corso». Trattandosi di una previsione pluriennale gli uffici sono in grado di anticipare anche l'effetto del taglio dei deputati (da 630 a 400) che avverrà a partire dal 2023. In realtà non è un granché. Ancora dalla relazione dei questori: «Nel 2023 il totale della spesa risulta pari a 967,6 milioni di euro, evidenziando, in confronto con l'anno precedente, una diminuzione di 7,3 milioni di euro». In pratica, viene spiegato, il taglio dei deputati determinerà un risparmio di 40,2 milioni (nel 2023) che sarà però in buona parte cannibalizzato dal crescere di altre spese. Soprattutto quelle che si sostengono a ogni cambio di legislatura. A regime, invece, il risparmio si prevede essere di 53,9 milioni all'anno. Allegato al conto consuntivo della Camera ci sono i bilanci dei gruppi parlamentari. È interessante leggere quello del Movimento 5 Stelle. Intanto per sfatare un mito. Non è vero che i grillini non percepiscono finanziamento pubblico. Lo prendono, eccome. I Cinquestelle, nel 2020, hanno ricevuto dalla Camera 8,5 milioni di euro. Circa 600mila in meno rispetto al 2019, per effetto dei vari addii (25) che hanno fatto ridurre un contributo che è proporzionale alla entità numerica della componente. Circa 1,6 milioni sono andati in consulenze, di cui 300mila spesi per esperti della comunicazione. Altri 4,8 milioni sono andati al personale dipendente. Le immobilizzazioni materiali hanno un valore di 84mila euro e si tratta di materiale acquistato per trasmettere le riunioni in streaming. Non l'hanno più fatto. Però intanto l'attrezzatura se la ritrovano. Il tesoretto dei grillini in banca, al 31 dicembre 2020, è di 8,8 milioni di euro, in crescita di circa due milioni rispetto all'anno precedente. A chi andranno questi soldi in caso di scissione?
Alessandro Trocino per il “Corriere della Sera” l'1 febbraio 2021. Sorriso rassicurante e passo felpato, Roberto Fico non è più da tempo lo scugnizzo movimentista passato dai call center al Vaffa Day. Ora si muove con destrezza tra i marmi policromi della Sala della Regina, indossando, sia pure in maniera non del tutto impeccabile, la sua marsina da gran tessitore. Temuto da Luigi Di Maio, per le sue inclinazioni a sinistra e per la sua presa sul Movimento, è stato relegato in un ruolo istituzionale alla presidenza della Camera, dove si è accomodato volentieri. Un po' come accadde (mutatis mutandis) quando Enrico Berlinguer ci spedì il grande ma incontrollabile Pietro Ingrao e, prima ancora, come fece Alcide De Gasperi con Giovanni Gronchi, che lo usò come trampolino per il Quirinale. Fico non ambisce a tanto, ma in questi giorni si gode il ruolo di trait-d' union e di «fluidificatore», come lo chiamano. Con un pensiero a Napoli, dove un successo dell'esplorazione romana potrebbe accelerare la sua ascesa a Palazzo San Giacomo. Più istituzionale che mai, Fico rispetta rigorosamente tutti i protocolli. Ogni tanto inciampa in qualche sgrammaticatura politica, ma rimedia con quello che un esponente di una delegazione definisce «ascolto attivo». È il primo presidente della Camera a svolgere per due volte consecutive nella stessa legislatura il mandato da esploratore. A distanza di anni, l' unico precedente è quello di Amintore Fanfani, prima nel '69, poi nell' 86, quando fu chiamato a fare da paciere tra Ciriaco De Mita e Bettino Craxi. Con successo, visto che nacque il Craxi II. Il leader di Italia viva in questi giorni gli ha gentilmente offerto Palazzo Chigi, pur di scalzare Giuseppe Conte. Un modo anche per incrinare la compattezza del Movimento e per schiacciare a sinistra i 5 Stelle. Fico ha declinato l'offerta, ben consapevole delle difficoltà dell' impresa, dell'opacità dell'avance e del fatto che, anche nel caso improbabile di un successo, sarebbe apparso come l'accoltellatore di Conte. Il presidente della Camera è concentrato su una soluzione positiva della crisi anche perché ha un'altra aspirazione, che fatica a nascondere: diventare sindaco di Napoli. Un successo gli aprirebbe una strada che ha già provato a percorrere nel 2011, non riuscendo neanche a raggiungere il 2 per cento. I tempi sono cambiati e il centrosinistra ha tre nomi per l' epoca del dopo De Magistris: il suo e quello dei due ex ministri Enzo Amendola e Gaetano Manfredi. A domanda diretta, un mese fa Fico rispose «no comment». A Lucia Annunziata spiegò: «Mi piacerebbe fare il sindaco di Napoli, amo tutto di Napoli». La ama tanto che, per farsi perdonare la laurea a Trieste, ha fatto una tesi sui neomelodici napoletani. Certo, se la cosa andasse in porto, dovrebbe abbandonare la presidenza in pieno mandato, visto che a Napoli si vota ad aprile. Ma non sarebbe così traumatico se ci fosse un accordo preventivo: per esempio se il suo posto venisse preso da Dario Franceschini, che cederebbe il ruolo di capo delegazione ad Andrea Orlando. Tra le ipotesi che lo potrebbero favorire c' è anche quella di uno slittamento, causa campagna di vaccinazione, delle elezioni amministrative. Italia viva in Campania ha raggiunto una delle percentuali più alte in Italia, superando il 7 per cento. Un' intesa a Roma sarebbe un buon viatico per ottenere il via libera di tutti. E sarebbe la conclusione di un percorso che si attaglia alla storia politica di Fico. Napoli, dove il tavolo con il centrosinistra già esiste, potrebbe essere l' avamposto dell' alleanza strutturale con il Pd. Quell' alleanza che fino a poco tempo fa era considerata solo occasionale e che ora perfino Vito Crimi chiede che sia allargata oltre l' orizzonte del governo.
Chi è Roberto Fico, il presidente della Camera scelto per il mandato esplorativo. Notizie.it il 29/01/2021. All'interno del Movimento dal lontano 2005, ha poi scalato i ranghi fino a diventare deputato e presidente della Camera: ma chi è Roberto Fico? È stato convocato dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella da cui ha ricevuto un incarico esplorativo al fine di trovare una nuova maggioranza di governo, ma si tratta solo dell’ultimo tassello della carriera politica di Roberto Fico, presente nel Movimento 5 stelle fin dai suoi esordi e ora figura cruciale nel mediare tra gli equilibri politici del Paese.
Ma chi è Roberto Fico e qual è stata la sua carriera prima di arrivare a ricoprire il ruolo di presidente della Camera? Nato a Napoli nel 1974, Roberto Fico si laurea nel 2001 in scienze della comunicazione presso l’Università degli Studi di Trieste (dopo aver svolto nel frattempo un anno di Erasmus a Helsinki) con una tesi sull’Identità sociale e linguistica della musica neomelodica napoletana. Prima di entrare nel mondo della politica ha svolto diverse professioni tutte inerenti al mondo della comunicazione, tra cui quella di addetto stampa. I primi contatti con il mondo della politica avvengono nel 2005 quando è uno dei fondatori dei primi 40 meetup Amici di Beppe Grillo, il nucleo originario di quello che poi diventerà successivamente in M5s. Dopo cinque anni di gavetta nell’ancora embrionale Movimento arriverà per lui la prima prova elettorale, quando verrà candidato a presidente della Regione Campania nelle elezioni del 2010. In quell’occasione finirà ultimo con soltanto l’1,35% dei voti.
Da deputato a presidente della Camera. Nel 2012 è il più votato nelle cosiddette Parlamentarie del M5s e finisce così capolista nella sua circoscrizione per le elezioni politiche dell’anno successivo, dove viene eletto per la prima volta deputato. Sempre nel 2013 viene eletto presidente della Commissione di Vigilanza Rai rinunciando contestualmente e come da prassi grillina all’indennità e all’auto blu che gli sarebbero spettate ricoprendo quel ruolo. Alle elezioni politiche del 2018 viene eletto deputato per la seconda volta, esaurendo così il limite massimo di due mandati previsto per chi ricopre cariche pubbliche nel Movimento. Essendo risultato primo partito in Italia, il M5s decide di utilizzare il proprio peso politico e spendere nuovamente (come già accadde nel 2013) il suo nome come candidato alla presidenza della Camera dei Deputati. Alla fine Fico venne eletto presidente alla quarta votazione grazie ai voti dei pentastellati e della coalizione di centrodestra. A causa dello stallo politico succedutosi alle elezioni del 2018, il 23 aprile di quell’anno viene convocato da Mattarella ricevendo il compito di effettuare un mandato esplorativo. Sarà l’unico della sua carriera politica fino al 29 gennaio 2021, quando a seguito della crisi di governo successiva all’uscita di Italia Viva dalla maggioranza verrà richiamato a fare da mediatore tra le varie forze.
Crisi di governo, laureato, appassionato del Napoli e con una lunga militanza a sinistra: chi è Fico l'esploratore. Valeria Forgnone su La Repubblica il 30 gennaio 2021. Il presidente della Camera ha ricevuto da Mattarella l'incarico di verificare le possibilità di un Conte ter, anche dopo che Di Battista ha contestato la linea del Movimento sull'apertura al leader di Iv. Di Posillipo, attivista dei beni comuni, laureato con Erasmus a Helsinki e master: da sempre l'anima più di sinistra dei 5 stelle, oggi il 46 anni ha una missione non facile da svolgere. Sciogliere la distanza politica tra Giuseppe Conte e Matteo Renzi, verificare le possibilità di un Conte ter. E ricucire la faglia tra i parlamentari del Movimento 5 stelle. Eccole le missioni di Roberto Fico esploratore. Un incarico ricevuto dal capo dello Stato, Sergio Mattarella, non semplice per il presidente della Camera. Dovrà constatare se i partiti che sostengono l'attuale maggioranza sono ancora disposti, nonostante le frizioni delle scorse settimane, a restare insieme, sondando quindi solo M5s, Pd, Leu, Iv, Autonomie ed Europeisti. Tutto entro martedì. Insomma, Fico esploratore dovrà fare anche da paciere tra Conte e Renzi ma anche all'interno del suo Movimento, che lui conosce bene. Lui, il 46enne grillino rosso ha nelle mani il destino del Conte ter. Lui che ha lavorato nell'ombra, per anni, per arrivare fino a qui. Una lunga militanza a sinistra, ragazzo coi volantini per il "rinascimento" di Antonio Bassolino, e nei movimenti nati in nome dei beni comuni (dall'ossessione per l'acqua pubblica alle lotte contro le discariche e gli inceneritori), tra i fondatori dei primi meetup di Beppe Grillo nel 2005 (lui ne aprì uno a Napoli con la prima riunione "in un locale scavato nel tufo a Mergellina") e l'incontro con il comico durante un suo spettacolo in piazza Dante, sempre in quell'anno. Di Casaleggio padre, il presidente della Camera parla come di una persona che "sapeva vedere lontano". Poco amato dai dissidenti: ne fa espellere oltre trenta. Praticamente l'esatto opposto di Luigi Di Maio, con cui spesso si è trovato in disaccordo, soprattutto quando si è consumata la crisi della giunta Raggi a Roma. Napoletano di Posillipo, tifoso azzurro sfegatato, diplomato al liceo Umberto, laureato in Scienze delle Comunicazioni a Trieste (con Erasmus a Helsinki) e, per finire, "master in Knowledge Management" organizzato dal politecnico di Milano. Dopo la laurea, progetta reti intranet per un tour operator, lavora in una società di formazione professionale, poi in un call center e in una società di ristorazione a Fuorigrotta. Diventa amico di Lucio Dalla, dopo aver visto tutti i suoi concerti. Meglio, però, abbandonare la passione per la musica, ci prova a suonare tastiera e fisarmonica, ma con scarsi risultati ("Meglio per lui che abbiamo smesso", racconta un suo amico ora avvocato). Molto meglio, quindi, fare politica. Il “chiattillo” con collanine indigene e braccialetti che gira in autobus, nel 2009 entra nel Movimento appena nato: si candida a presidente della Regione e poi prende il via la sua carriera in Parlamento. Fico è il primo motore interno dell'alleanza con il centrosinistra, l'anima più di sinistra dei 5 stelle (ha votato anche Rifondazione): sarà proprio lui, una volta comprese le reali intenzioni di Italia Viva, ad avere gli strumenti per capire cosa il Movimento 5 stelle e il Pd possono sopportare e cosa proprio no. Ora in veste di esploratore deve svolgere uno degli incarichi più delicati che gli siano capitati: dovrà partire dai contenuti per costruire quel patto di legislatura che Conte aveva offerto a Italia Viva. Dovrà capire quali sono veramente le intenzioni di Matteo Renzi. Dovrà riparare lo strappo di Di Battista che genera un nuovo terremoto nel Movimento. E dovrà capire se un Conte-ter è possibile. Mattarella martedì vuole una risposta.
Roberto Fico, il presidente esploratore specializzato nei compiti ingrati. Mattarella l'ha chiamato (di nuovo) a far accordare Renzi, il Pd e i Cinque stelle. Ci provò già nell'aprile 2018, e andò malissimo. Anche se lui era ottimista: «Dialogo avviato», disse (e un mese dopo giurava il governo giallo-verde). Susanna Turco su L'Espresso il 29 gennaio 2021. E così siamo al Fico bis, nel senso del presidente-esploratore. È infatti a Roberto Fico, presidente della Camera, punto di riferimento per un certo M5S di sinistra e detto “compagno” più che altro per il fatale destino a restare minoranza, che il capo dello Stato Sergio Mattarella ha affidato l'ingrato compito: esplorare. Vale a dire: cominciare a riappattumare la maggioranza, sfilare gli alibi di Matteo Renzi, imbrigliare la voglia di scarto (e voto) di Giuseppe Conte, evitare lo sbriciolarsi dei Cinque stelle e lo scindersi del Pd, allineare gli orientamenti, insomma superare la crisi innescata da Italia viva dieci giorni fa e culminata martedì con le dimissioni del presidente del Consiglio. A Fico dunque, conclusa la tre giorni di consultazioni, Mattarella con il piglio di chi abbia fretta ha affidato fino a martedì il mandato esplorativo: dovrà stabilire in sostanza se la maggioranza fatta da Pd, M5S, Iv, Leu è in grado di ricostituire un governo e, quindi, se anche stavolta a guidarlo possa essere Conte, posto che tre partiti su quattro, a colloquio al Quirinale, l'hanno già indicato come premier. Compito ingrato, ma meno difficile del suo battesimo come esploratore. Il medesimo compito e la medesima maggioranza erano infatti, per ironia, al centro dell'unico altro mandato presidenziale ricevuto da Fico nella sua vita. Era il 23 aprile del 2018 , si era votato da due mesi e mezzo, il suo compito era stabilire le reali intenzioni del Pd circa l'alleabilità coi Cinque stelle: l'incarico cominciò malissimo, con Renzi che gli sbatteva la porta in faccia attraverso Matteo Orfini e Andrea Marcucci (già capogruppo al Senato), e finì nel nulla, cioè come si sa col governo gialloverde. Ma erano altri tempi, per tutti gli attori in campo: ci sarebbe infatti voluto un anno e mezzo, per far maturare ad alleanza di governo il dialogo tra i dem e i grillini. Paradossali, a rileggerle poi, le parole con le quali Fico il 26 aprile 2018, tre giorni dopo, aveva riconsegnato la questione a Mattarella: «Il mandato ha avuto un esito positivo», aveva detto. Aggiungendo: «Il dialogo è avviato». Un mese dopo, il 1 giugno, avrebbe giurato il governo di Salvini e Di Maio. Ecco, anche se questa volta un esito del genere possiamo già escluderlo, in questo Fico è sempre stato perfettamente di sinistra: a perdere, riesce benissimo. Voleva lo ius soli e voleva le unioni civili (M5S si astenne e si sfilò), era per la linea Gino Strada sui migranti, contrario all'accordo con la Lega e in ultimo è tra coloro che più spesso si spendono per la verità su Giulio Regeni. Dice parole giustissime, non sa renderle carne. Più o meno solitario, sempre sul punto di fare la guerra o almeno una scissione, rassegnato a non farla mai. Coerente ma inerte. E forse alla fine paradossalmente «il più pragmatico di tutti noi», come ebbero a dire Di Maio e Di Battista, sul treno di ritorno da Milano, nell’aprile 2016, dopo i funerali di Gianroberto Casaleggio. Così, da un pezzo la sinistra che pure aveva visto in lui la scintilla di una speranza, l'ha lasciato da tempo a vivere quieto tra i broccati di Montecitorio, in una specie di serena indifferenza, come per una potenzialità ormai del tutto espressa. Risultando peraltro ormai poco calzante anche la figura di leader dei ribelli, custode delle sacre origini. Il ruolo ormai è passato del tutto ad Alessandro Di Battista, che anche stavolta, fuori dai Palazzi freme e scalpita. Mentre dentro ai Palazzi è a Fico che tocca tenere in piedi l'ipotesi Conte, cucire la tela squarciata del governo. Per neanche goderne, poi, se pure gli riuscisse di portare a casa il risultato.
Dai centri sociali a risorsa del Paese: l'ascesa sotto l'ala del capo dello Stato. Quando è arrivato in Parlamento era un giovane barricadero ribelle. Poi la metamorfosi istituzionale, mollando Grillo. È la sua occasione. Pasquale Napolitano, Sabato 30/01/2021 su Il Giornale. Da piazza Bellini (quartier generale dei centri sociali napoletani) a riserva della Repubblica: la parabola del presidente del Camera dei deputati Roberto Fico è il segno dei tempi. Ma anche la prova vivente che nella vita si può cambiare. Soprattutto se il merito di una trasformazione tanto radicale, quanto rapida, come nel caso di Fico, porta al Quirinale. Conduce al presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Il capo dello Stato ha trasformato in 33 mesi di legislatura uno scalmanato parlamentare grillino in uno statista. L'ha strappato alla deriva anti-sistema dei Cinque stelle. Oggi è annoverato tra le riserve della Repubblica. Al punto che nelle ore concitate della crisi di governo il presidente Mattarella affidi a Fico il mandato esplorativo per ricostruire una maggioranza falcidiata dalla guerra Conte-Renzi. Lui, Fico, che era stato eletto per distruggere tutto. Ora è chiamato a ricostruire. È la sua grande occasione. Un ruolo decisivo nella svolta istituzionale di Fico va attribuito non solo a Mattarella. Ma anche al suo custode, la donna ombra del numero uno di Montecitorio: Lucia Pagano, segretario generale della Camera dei Deputati e allieva di Ugo Zampetti, che poi da segretario generale della Presidenza della Repubblica è il ponte tra Quirinale e Montecitorio. Due figure centrali nel percorso di istituzionalizzazione di Fico. Due figure che hanno assicurato l'ombrello costante del Colle sulla terza carica dello Stato italiano. È il 24 marzo 2018 quando quel ragazzotto con barba incolta, jeans e zainetto che va in bus viene chiamato sullo scranno più alto della Camera. Il segreto dell'era Fico? Mollare subito Beppe Grillo. Affidarsi completamente ai consigli del presidente Mattarella. Così da guadagnarsi il rispetto di tutte le forze politiche. Una guida equilibrata, senza partigianeria. Senza colpi di testa. Al punto che nessun partito avanza mai richieste di dimissioni. Cosa che invece è accaduta per due illustri predecessori: Laura Boldrini e Gianfranco Fini. Che all'esordio sulla poltrona di presidente della Camera potevano esibire un pedigree istituzionale superiore al parlamentare napoletano. Il passato del presidente Fico fa rabbrividire. Prima della militanza grillina, Fico calca le stanze dei centri sociali partenopei. Vicino all'ambientalismo di sinistra, il numero uno di Montecitorio si muove tra piazza Bellini e piazza del Gesù: un covo di estremisti e sinistra rivoluzionaria. Nelle pause dell'attività politica ritorna in quei luoghi insieme alla compagna Ivonne. Il perfetto incendiario, trasformato in 33 mesi in un pompiere. Poi l'incontro con Grillo: è colpo di fulmine. Alle spalle ci sono due esperienze elettorali deludenti (regionali 2010 e comunali 2011) prima dell'approdo in Parlamento. Da presidente della commissione Vigilanza Rai (2013-2018) inizia a toccare con mano il Palazzo. Con il successo dei 5s alle politiche nel 2018, si apre la strada verso la guida dell'Aula di Montecitorio. Pochi incidenti di percorso. Si contano sulle dita di una mano. C'è chi gli rimprovera la scarsa attenzione per i protocolli istituzionali e il bon ton: ha sfilato davanti al picchetto dei corazzieri in alta uniforme del Quirinale senza abbottonarsi la giacca. Altri due scivoloni: il pugno sinistro alzato in occasione della parata del 2 giugno per la Festa della Repubblica e le mani in tasca durante una commemorazione a Palermo della strage di Capaci. Proprio mentre viene intonato l'inno di Mameli. Scivoloni che fanno infuriare i patrioti. Ma Fico sa farsi perdonare. Accade ad Atreju, il tradizionale raduno di Fratelli d'Italia, quando accetta l'invito di Giorgia Meloni. Incalzato dalle domande di Nicola Porro si giustifica: «Non c'è alcun richiamo comunista in quel pugno alzato». La metamorfosi è completa. Ora può indossare l'abito di riserva della Repubblica.
Dagospia l'11 agosto 2020. Comunicato stampa. Vittorio Sgarbi commenta il caso dei parlamentari che avrebbero usufruito del cosiddetto «Bonus Covid» dell’Inps per le partite IVA. «Chi ha percepito il bonus – spiega Sgarbi è giusto che lo restituisca. E’ una questione di dignità e opportunità, perché in quanto rappresentanti del popolo i parlamentari hanno non solo obblighi giuridici, ma anche morali». Ma qui Sgarbi chiama in causa il presidente della Camera Roberto Fico: «Tutti hanno diritto a indignarsi, men che meno il Presidente della Camera che pagava la sua colf in nero. Una condizione che, almeno moralmente, lo rende identico ai parlamentari che hanno usufruito di bonus introdotti, peraltro, da leggi che sono passate anche al vaglio degli uffici legislativi della Camera da lui presieduta». Aggiunge Sgarbi: «I miserabili che hanno chiesto 600 euro di bonus hanno commesso un’autolesionistica leggerezza in nome di una legge che hanno votato e sulla quale Fico non ha nulla obiettato, legittimando un delitto che oggi lo indigna: dilettantismo suo e dei suoi uffici. Per questo lo sfido a dimettersi, per aver favorito con il suo “concorso esterno” l’abuso etico che oggi denuncia, e invito i tre parlamentari ad avere il coraggio, senza essere inseguiti, di dichiarare la loro identità e la loro correttezza nell’avere rispettato la legge, sfidando i sepolcri imbiancati come Fico e Di Maio che senza laurea e senza competenza percepiscono una sproporzionata indennità»
Fabio Martini per “la Stampa” l'11 agosto 2020. Per la prima volta da quando è presidente della Camera, Roberto Fico - l'ex ragazzo dei Centri sociali napoletani, che votava Rifondazione comunista - in queste ore si trova a dover fronteggiare da uomo delle istituzioni un rinnovato, indistinto sentimento di ostilità verso il Parlamento per la vicenda dei "furbetti" del bonus, un sentimento che il leader di Montecitorio, in questa intervista a "La Stampa", affronta con parole significative nei confronti dell'anti-politica: «Senza dubbio un brutto episodio che fa male alle istituzioni e alla politica», ma «non servono campagne d'odio: le istituzioni si pongono sempre al di sopra delle persone che temporaneamente le rappresentano». Quaranticinque anni, una biografia di "sinistra" - diversissima da quella di Luigi Di Maio, che è campano come lui - nei due e anni e mezzo di presidenza della Camera, Roberto Fico, pur evitando di marcare le distanze dal Movimento cinque stelle, ha provato a mantenere la promessa pronunciata il 24 marzo 2018 nel suo discorso di insediamento, quando annunciò che avrebbe «onorato» il suo impegno «con la massima imparzialità». Una presidenza non interventista, diversa da quelle di Fausto Bertinotti e Laura Boldrini, per restare nel campo degli esponenti della sinistra "radicale" che hanno guidato la Camera. In questi giorni diversi commenti hanno preceduto una conoscenza dettagliata dei fatti.
A tre giorni dallo scoppio del caso "furbetti", se ne può dare un giudizio meditato e complessivo: il suo qual è?
«Un episodio che fa male alle istituzioni, ma è anche un segnale di allarme: chi viene eletto ha un'enorme responsabilità, comportarsi in questo modo significa sicuramente non aver compreso la portata di questo compito. E' la cosa che mi preoccupa di più devo dire. C'è un problema etico e di consapevolezza del proprio ruolo, dobbiamo sentire forte l'appartenenza alla comunità e agire pensando all'interesse collettivo».
Lei ha suggerito ai suoi colleghi di uscire allo scoperto, di rinunciare a quanto chiesto e di restituire quel che hanno già percepito: sia pure nel rispetto della privacy, visto che non hanno commesso reati, si può sapere se qualcuno si è fatto vivo?
«No, nessuno si è fatto vivo».
Se qualcuno dovesse "pentirsi", pensa che dovrebbe farlo pubblicamente o sarebbe sufficiente per l'opinione pubblica sapere che i cinque parlamentari che hanno legalmente "approfittato" della norma, hanno rinunciato ad avvalersene?
«Credo sia opportuno che questi parlamentari chiedano scusa. È quello che ho chiesto. Non c'è stata una violazione della legge, sia chiaro, e la responsabilità è individuale, ma qui si tratta di una questione di dignità e di opportunità, di come si intende il proprio incarico di rappresentante dei cittadini. A chi sta fuori dal Palazzo questo episodio appare surreale considerati i sacrifici di questi mesi».
Lo spirito della legge (promossa dal governo) che ha consentito questa "furbata" era quello di far presto e questo ha fatto saltare gli opportuni tetti e i necessari filtri: come e quando si potrebbe cambiare questa specifica norma? Simbolicamente potrebbe essere utile un intervento rapido o basterebbe attendere settembre?
«C'era l'esigenza di far presto, ma anche di non appesantire le procedure in un momento già estremamente complicato. Da anni si parla di necessità di alleggerimento della burocrazia, specie per le imprese. Chiaro però che a questa richiesta deve corrispondere un alto senso di responsabilità e di etica da parte dei destinatari delle norme. E' inaccettabile da un punto di vista morale che una norma prevista per aiutare chi era in difficoltà sia stata utilizzata in questo modo, sorvolando sullo spirito di comunità che dovrebbe essere prevalente».
Gli onorevoli coinvolti in questa vicenda sembrerebbero cinque: facendo i conti siamo allo 0,5% del plenum parlamentare: se non l'avessero fatta grossa, si potrebbe dire che il Paese legale stavolta si è comportato meglio di tanto "Paese reale". Ma la percezione di una parte dell'opinione pubblica è più severa: non pensa ci sia il rischio di un'eccessiva delegittimazione delle istituzioni rappresentative?
«Non servono campagne d'odio. Le istituzioni si pongono sempre al di sopra delle persone che le rappresentano. Un errore commesso da alcuni deputati però non deve intaccare la credibilità della Camera, ed è proprio per questo che auspico delle scuse e la restituzione dei bonus. Quando si sbaglia poi bisogna ammetterlo e chiedere scusa. Voglio però dire allo stesso tempo che ci sono tanti deputati che svolgono il proprio mandato di rappresentanti delle istituzioni in modo esemplare, ovviamente di tutti gli schieramenti».
A proposito di percentuali: il taglio dei parlamentari è stato approvato in ultima lettura col 97% dei Sì: pensa che il fronte dei contrari sarà danneggiato da questa vicenda?
«Sono due cose che nulla hanno a che vedere l'una con l'altra. Chi andrà a votare per il referendum dovrà farlo a prescindere da quanto accaduto in questi giorni. Come ricordava, questo episodio coinvolge lo 0,5% dei parlamentari, mentre il referendum riguarda l'architettura istituzionale e democratica del nostro Paese, è una questione totalmente diversa. Per questo sono convinto serva un lavoro capillare di informazione sulle ragioni del sì come su quelle del no».
Qualcuno ipotizza che la "soffiata" sia partita dall'Inps proprio per gelare una rimonta del No che era in atto da qualche giorno. Le pare un'ipotesi così fantasiosa?
«Francamente non posso crederlo».
Negli ultimi giorni in Italia, che resta comunque un'isola in Europa, sono tornati a salire i casi di Covid 19: lei pensa che il governo farebbe bene a non farsi prendere in contropiede e richiedere i fondi Mes?
«Abbiamo gli oltre 200 miliardi del Recovery, credo si debba concentrare il lavoro su questo».
Davanti alla potente erogazione di fondi europei culminati nel Recovery Fund, la maggioranza di governo ha aperto ad un contributo di tutte le forze politiche: perché non resti un nobile flatus voci, come si potrebbe concretizzare questo coinvolgimento del Parlamento?
«Ci sarà un lavoro che la commissione Bilancio porterà avanti nelle prossime settimane. Un lavoro che precede quello sulla nota di aggiornamento al Def e quindi sulla legge di bilancio. Entro settembre la Camera voterà poi un atto di indirizzo che darà indicazioni chiare al governo su come utilizzare i fondi europei. In questo percorso è fondamentale che maggioranza e opposizione lavorino insieme, il compito nostro deve essere quello di portare forte la voce del Parlamento e non solo delle singole forze politiche».
A bocce ferme le pare che sulla vicenda Covid il governo avrebbe potuto essere più rispettoso delle proverbiali prerogative parlamentari?
«Il governo ha usato strumenti per l'emergenza in situazioni d'emergenza. E se lo ha potuto fare è perché il Parlamento glielo ha permesso in sede di approvazione dei decreti. Mi sento di dire che è stata rispettata la grammatica istituzionale».
I presidenti delle Camere sono formalmente coinvolti ogniqualvolta si determina una crisi di governo: al di là dei suoi personali auspici, dal suo osservatorio le pare che il governo possa arrivare senza scosse al semestre bianco? Un politico che ha fatto la storia della Prima Repubblica diceva "sempre meglio tirare a compare, che tirare le cuoia": le pare che questo governo debba fare di più per evitare questa deriva?
«Non sta a me dare valutazioni di merito. Dico però che questo governo gode della fiducia delle Camere: ha gestito una situazione decisamente complessa come quella dell'emergenza sanitaria, e ha rappresentato gli interessi italiani nel modo migliore a Bruxelles durante la trattativa sul Recovery».
· Nicola Morra.
Da open.online il 7 novembre 2021. Nicola Morra è uno dei senatori del MoVimento 5 Stelle che sono stati espulsi dal partito per non aver votato la fiducia al governo Draghi. Come da prammatica grillina, Morra da presidente della Commissione Antimafia aveva rinunciato all’indennità all’epoca della nomina. Ora, fa sapere Il Fatto Quotidiano, il senatore ha scritto alla presidente del Senato Maria Elisabetta Casellati per chiedere il ripristino dell’indennità. E anche gli arretrati, se possibile. Ma Morra su Facebook ha contestato la ricostruzione del quotidiano, sostenendo che i soldi servono ad assumere un addetto stampa.
Il senatore ex M5s e l’indennità
Il quotidiano racconta che il 22 ottobre Morra ha preso carta e penna per scrivere alla Casellati che rivuole fino alla fine della legislatura l’indennità di carica, che ammonta a circa 1.300 euro netti in più al mese. E alla presidente del Senato ha chiesto pure se sia possibile riavere indietro gli arretrati, con la corresponsione di tutte le indennità di carica non percepite da quando siede alla presidenza dell’Antimafia. Visto che la sua elezione è datata novembre 2018, l’ammontare totale delle indennità a cui ha rinunciato è all’incirca di 50mila euro. E, fa sapere il quotidiano, al Senato la richiesta ha lasciato tutti di stucco. Anche perché era proprio Morra che nell’aprile dello stesso anno si vantava della moda lanciata dai grillini riguardo la denuncia alle indennità di carica. Su Facebook Morra ha risposto all’articolo del Fatto in un lungo post nel quale ha spiegato la motivazione della richiesta a Casellati: Io ho sempre rinunciato volontariamente a questa indennità di €1.300 nette al mese. Nel frattempo ho sempre restituito regolarmente anche la parte del mio stipendio che secondo le regole M5S avrei dovuto restituire. Ed anche ora accantono la stessa somma, invece di prendermi l’intero stipendio. Con le risorse che mi restavano, ci pagavo i miei collaboratori (un numero esiguo, ora ridotto a due). Il Movimento 5 Stelle, di cui facevo parte prima di essere espulso per non aver votato la fiducia a Draghi, mi aiutava prestandomi una figura professionale, part-time, da dividere con altri colleghi che avevano impegni di governo. Un addetto stampa. Dunque, come Presidenza della Commissione Antimafia, avevamo un solo giornalista addetto stampa part-time e impegnato, giustamente, nelle attività del Movimento che lo metteva a disposizione, nei limiti del possibile (anche umanamente parlando, visto che questa persona si ritrovava prevedibilmente sommersa di lavoro). Avevo, infatti, chiesto – e lo possono confermare – ai capigruppo del M5S in Senato, Stefano Patuanelli prima e Gianluca Perilli dopo, di poter avere una figura professionale dedicata, come addetto stampa del presidente della Commissione Antimafia e della Commissione stessa, mettendo a disposizione del M5S l’indennità, da presidente appunto, di €1300. Non è stato possibile. Siamo andati avanti in quel modo. Dunque, ora che non ho più un gruppo politico a “prestarmi” figure professionali e dovendo necessariamente assumere un addetto stampa che possa comunicare all’esterno il lavoro della Commissione Antimafia e le attività del presidente, ho chiesto di poter avere l’indennità che mi spetta, in modo da poterci pagare un lavoratore, un giornalista addetto stampa che comunicasse il lavoro fatto.
Nicola Morra, l'ultima vergogna del grillino: ora si dispera perché non sa chi accusare. Iuri Maria Prado su Libero Quotidiano il 05 settembre 2021. Nicola Morra, esponente del clan neofascista fondato a suon di vaffanculo da Beppe Grillo, presiede quella specie di centrale della delazione che è la commissione Antimafia. Tra una seduta e l'altra si occupa di varia umanità: per esempio rimproverando ai calabresi di aver votato per la sua avversaria politica malata di cancro; oppure facendo irruzione in un centro per la somministrazione dei vaccini lamentando non si sa bene quale disservizio e sollecitando l'intervento di qualche suo amico al ministero mentre gli uomini della scorta schedano il personale presente; o ancora raccogliendo le veline cospirazioniste che gli passa il magistrato in vista di pensione, ma sulle scale del Csm, mica in ufficio, perché la politica dell'onestà si sbriga meglio a pissi pissi bao bao. Bene, il Morra l'altro giorno si doleva del fatto che gli fossero arrivate poche liste di candidati alle imminenti elezioni locali, di modo che ha potuto fare controlli solo parziali sulla presenza di eventuali “impresentabili”. Avrebbero dovuto mandargliene anche meno, anzi nessuna. Perché ripugna anche la sola idea che un’elezione possa essere filtrata dallo scrutinio inquirente della valutazione antimafiosa, specie in un sistema come il nostro in cui un’imputazione di mafia (che va in prima pagina) è molto spesso la premessa di un’assoluzione (che però va in trafiletto, tutt’al più). Tra i rinviati a giudizio per mafia, e persino tra i condannati in primo grado, ci sono persone oneste e innocenti almeno quanto chi pretende di giudicarne la presentabilità, e includerle nelle liste non dovrebbe rappresentare un’onta ma un motivo di vanto da opporre con fierezza ai maggiordomi dei pubblici ministeri. Teniamolo bene a mente: Enzo Tortora, per questa feccia, sarebbe stato un impresentabile.
UN MEDICO PRESENTA ESPOSTO AI CARABINIERI CONTRO IL SENATORE MORRA (M5S) DOPO LA SUA IRRUZIONE A COSENZA. ECCO IL CONTENUTO. Il Corriere del Giorno il 30 Marzo 2021. In una diretta Facebook, mezzo prediletto di comunicazione degli esponenti del M5S, Morra ha segnato un clamoroso autogol, sostenendo le prerogative parlamentari per giustificare la sua arrogante incursione presso la Asp cosentina, ed anche sull’uso abbastanza spericolato di una scorta che è a sua disposizione per difenderlo dalla mafia e non dai medici, ammettendo lui stesso che i due militari che erano a sua protezione sono stati di fatto costretti a richiedere le generalità delle persone incontrate presso il presidio sanitario. Il dottor Mario Marino, direttore Igiene pubblica Direttore dipartimento di prevenzione dell’Asp di Cosenza ha presentato un esposto nei confronti del senatore Nicola Morra presidente della Commissione Antimafia, dopo la sua irruzione con la quale chiedeva spiegazione per la mancata vaccinazione di alcuni suoi familiari. Il medico ha messo tutto, nero su bianco: dall’ irruzione alla sfuriata, compresa la telefonata di Morra al sottosegretario alla salute Pierpaolo Sileri, anch’egli esponente del M5S. Morra lo scorso 18 febbraio è stato espulso insieme agli altri 14 dissidenti, dal reggente del movimento Vito Crimi , ha deciso di espellere lui per aver votato in Senato, dopo che avevano votato No alla fiducia contro le decisioni politiche del Movimento, e ciò nonostante non ha lasciato come avrebbe dopvuto il suo incarico alla Commissione Antimafia. Secondo l’esposto presentato del dottor Marino ai Carabinieri, Morra si sarebbe presentato negli uffici dell’Asp di Cosenza con “un tono minaccioso e arrogante“, “incurante delle buone maniere“. Il presidente della Commissione Antimafia, secondo la versione del dirigente, si è scagliato contro Marino e i medici dello staff incolpando lo stesso dirigente dell’Asp perché due suoi parenti ottuagenari non erano ancora stati chiamati per la somministrazione del vaccino. Nell’esposto si legge testualmente: “in data 20/03/2021 tra le 09.30 e le 10:00 circa si presentava nei locali Asp di Serra Spiga un signore che ho riconosciuto essere Nicola Morra, Senatore della Repubblica, accompagnato da due persone che ho compreso essere personale di scorta. Irrompeva quindi nel mio ufficio di Direttore del Dipartimento, interrompendo le attività lavorative proferendo frasi concitate ed accusatorie nei confronti degli operatori sanitari (ad esempio, ‘siete inefficienti e disorganizzati’). All’interno dell’ufficio erano presenti insieme allo scrivente anche il Dott. Vincenzo Gaudio ed il Dott. Pierluigi Coscarelli, i quali erano intenti con me a discutere sulla pianificazione della settimana a venire del piano vaccinale”. Prosegue l’esposto del dottor Marino: “Il Senatore affermava di essersi personalmente presentato per chiedere le ragioni per le quali due suoi parenti non erano stati ancora chiamati per essere sottoposti alla somministrazione del vaccino. In particolare il Senatore Morra riferiva con tono minaccioso ed arrogante di essersi recato in precedenza presso gli Uffici di Via degli Alimena, n. 53, ex Sede della Uoc Igiene Pubblica, lamentando di non aver trovato nessun operatore della struttura operativa che dirigo. Intimidito dall’atteggiamento del Senatore, sommessamente riferivo che in via degli Alimena non vi è più la sede di Igiene Pubblica. Incurante di ciò che io avevo riferito e considerati i toni agitati del Senatore, lo invitavo a moderare i termini, chiedendogli di collaborare per porre rimedio alle problematiche collegate al piano vaccinale. Rimasi meravigliato in quanto nessuna domanda e nessuna richiesta veniva formulata dal Senatore Morra sull’andamento del piano vaccinale della provincia di Cosenza limitando il suo interesse unicamente ai suoi parenti“. Nello stesso esposto poi si evidenzia: “Incurante della mia proposta, il Senatore rimarcava il ruolo istituzionale da lui ricoperto e con tono agitato, utilizzando il cellulare, chiamava a suo dire il viceministro Sileri. Cosa realmente avvenuta in quanto attraverso il servizio viva voce del telefono portatile ha preteso che rispondessi alle domande del viceministro. Quest’ultimo era evidentemente imbarazzato anche perché la conversazione veniva continuamente interrotta dalle urla del senatore Morra. Spiegai al viceministro che da quattro giorni era attiva una piattaforma regionale per le prenotazioni on line, pertanto le stesse prenotazioni non avvenivano per il tramite dell’ufficio che dirigo ma attraverso la piattaforma regionale. Insoddisfatto evidentemente dal comportamento del viceministro, il Senatore contattava il commissario regionale alla sanità calabrese, Dr. Longo“. Secondo l’esposto del dirigente sanitario calabrese , “anche in questo caso si è ripetuta la stessa scena vissuta in precedenza con l’Onorevole Sileri. Telefono con modalità viva voce e tentativo di spiegare al Dr. Longo ciò che era accaduto con il viceministro. La conversazione veniva continuamente interrotta dal Senatore, il quale, ancora una volta incurante delle buone maniere e del ruolo da lui ricoperto, esprimeva delle riserve sulla circostanza che i suoi parenti ancora non erano stati chiamati per essere poi sottoposti a vaccinazioni. Spiegai al Senatore che erano stati compilati gli elenchi per l’area urbana di Cosenza e Rende. Il Senatore pretendeva di consultare il predetto elenco al fine di verificare se fossero presenti i nominativi dei suoi parenti. Entrammo nella stanza per la verifica dei nominativi e unitamente a due miei collaboratori il Senatore iniziava a consultare l’elenco“. L’esposto così prosegue: “Accertatosi che non vi fosse alcuna prenotazione delle persone che gli interessavano, decideva di abbandonare gli uffici Asp. Mentre lui sbraitava, una delle persone della scorta chiedeva al sottoscritto le generalità intimando al sottoscritto di fornire i documenti d’identità. Stesse richieste venivano avanzate nei confronti del Dott. Coscarelli e del Dott. Gaudio. A quale titolo l’uomo di scorta del Senatore procedeva alla identificazione del personale dell’ufficio di prevenzione, procedendo peraltro alla copia dei documenti d’identità attraverso le fotografie effettuate con il cellulare?“. Infine l’esposto, dopo aver dato “della presenza, al momento del verificarsi dei fatti”, oltre del Dott. Gaudio e del Dott. Coscarelli, di altri dieci dottori, conclude: “Pertanto si chiede a Codesto Spettabile Ufficio di Procura presso il Tribunale di Cosenza di voler indagare e conseguentemente accertare tutti i fatti che, sulla scorta di quanto narrato, si ritengono di pregio giudiziario, allo scopo di censurare la condotta, sotto un profilo squisitamente penale, del Senatore Morra e della sua scorta”. In una diretta Facebook, mezzo prediletto di comunicazione degli esponenti del M5S, Morra ha segnato un clamoroso autogol, sostenendo le prerogative parlamentari per giustificare la sua arrogante incursione presso la Asp cosentina, ed anche sull’uso abbastanza spericolato di una scorta che è a sua disposizione per difenderlo dalla mafia e non dai medici, ammettendo lui stesso che i due militari che erano a sua protezione sono stati di fatto costretti a richiedere le generalità delle persone incontrate presso il presidio sanitario. Una giornata ad alta tensione che oggi è diventata un dettagliato resoconto richiesto dai piani alti del Comando generale dell’ Arma dei Carabinieri a Roma. Il presidente della Commissione antimafia Nicola Morra, ha sostenuto che il suo blitz è legato alla sua attività di ispezione in quanto parlamentare eletto in Calabria, scrivendo: ” Questa ispezione è avvenuta a seguito di segnalazioni di cittadini che mi chiedevano d’intervenire vista la scarsità di vaccini ricevuti dai calabresi e, quindi, anche in provincia di Cosenza. Non vedo nulla di strano se il Presidente della Commissione parlamentare antimafia, parlamentare eletto in Calabria, si interessa ed interviene per cercare di aiutare il sistema delle vaccinazioni che in Calabria fa acqua da tutte le parti – lo dicono i numeri. L’ispezione eseguita sabato è una prerogativa di un parlamentare e penso sia dovere di qualunque rappresentante delle Istituzioni provvedere affinché il diritto alla salute venga rispettato anche in Calabria, anche in provincia di Cosenza“. Delle dichiarazioni che vengono smentiti dai medici e dal personale sanitario presente ai fatti. La parola adesso alla magistratura chiamata ad accertare fatti e responsabilità.
Carlo Macrì per il “Corriere della Sera” il 22 marzo 2021. Il presidente della commissione Antimafia Nicola Morra sabato scorso, scortato, è stato protagonista di un' incursione negli uffici della centrale operativa territoriale dell' azienda sanitaria di Cosenza, in contrada Serra Spiga. Sino a qualche settimana fa il centro si occupava delle prenotazioni dei vaccini, oggi competenza della Regione Calabria che ha istituito una piattaforma informatica, in collaborazione con Poste Italiane. Con tono definito «furente», Morra si è scagliato contro il direttore Mario Marino e contro i cinque medici dello staff, tra cui due donne, indicandoli come «incapaci» perché «non in grado di gestire la somministrazione dei vaccini». Nel corso della discussione ha chiesto agli agenti di scorta di identificare tutti i medici presenti. «Il senatore Morra si è presentato in ufficio e ha chiesto chi fosse il responsabile. Subito dopo, ha iniziato ad inveire contro di me incolpandomi del fatto che due suoi parenti, ottuagenari, non erano stati ancora chiamati per la somministrazione del vaccino», dice il direttore Marino con voce flebile per via del malore avuto dopo il «blitz» di Morra. «Ho cercato di tranquillizzarlo, facendolo entrare nella mia stanza, ma non c' è stato verso. Il senatore ha continuato ad aggredirmi verbalmente dicendomi che non siamo all' altezza del nostro compito. Non contento, ha chiamato al telefonino il viceministro alla Salute Pierpaolo Sileri e Guido Longo, commissario ad acta della Regione Calabria, lamentandosi con loro che a Cosenza la campagna di vaccinazione andava a rilento e che non ci sono persone all' altezza per gestire questa emergenza». Il presidente dell' Antimafia contestava a Marino il fatto che da giorni al numero verde per le prenotazioni vaccinali nessuno rispondeva. A nulla sono valse le spiegazioni di Marino, il quale ha cercato di chiarire a Morra che quel numero non era più attivo e che bisognava prenotarsi utilizzando la piattaforma. Non pago della risposta, il presidente dell' Antimafia ha chiesto poi di consultare l' elenco delle persone che si erano prenotate. «Siccome noi non dovevamo nascondere nulla glielo abbiamo fatto vedere, anche perché continuava a sbraitare contro di me e contro gli altri dottori presenti». Neanche quest' apertura, non dovuta da parte dell' ufficio, ha tranquillizzato Morra. «Continuava ad essere rabbioso» dice ancora Marino. «Ad un certo punto se l' è presa pure con i medici di base che non avevano comunicato i nomi degli anziani da vaccinare». La discussione è durato circa un' ora. Poi il senatore, che ieri non è stato reperibile per fornire la propria versione, ha sbattuto la porta ed è andato via. Lasciando steso su un divano con dolori al petto il direttore. Per lui è stato necessario l' intervento di un cardiologo. «Noi lavoriamo da un anno senza sosta dalle 8 alle 20 e ci dobbiamo sentire offesi anche da chi dovrebbe tutelarci» ha concluso Marino, pronto a querelare il presidente dell' Antimafia.
Alessia Candito per repubblica.it il 22 marzo 2021. Il dirigente Asp che lamenta un blitz alla centrale operativa vaccinale di Cosenza e annuncia querele per abuso di potere e interruzione di pubblico servizio contro il senatore Nicola Morra e il parlamentare che rivendica il diritto a fare “ispezioni, che è prerogativa parlamentare, per verificare l’efficacia della campagna vaccinale”. In mezzo, la Calabria che con il 71% delle dosi somministrate è ancora agli ultimi posti per numero di vaccinazioni, in cui la piattaforma informatica di prenotazione è entrata in funzione con più di un mese di fuso orario rispetto al resto d'Italia e dove più volte è capitato che l'appuntamento per la somministrazione si trasformasse in un assembramento autorizzato di anziani e soggetti fragili. Sono versioni diametralmente opposte quelle del dottor Mario Marino, medico legale oggi direttore Igiene pubblica Direttore dipartimento di prevenzione dell'Asp di Cosenza, e del senatore e presidente della commissione parlamentare Antimafia, Nicola Morra, sulla visita del parlamentare alla centrale operativa territoriale per i vaccini. Stando al racconto del medico, Morra si sarebbe presentato urlando alla sede di Serra Spiga, chiedendo conto e ragione del mancato funzionamento del numero verde attivato per permettere agli anziani di prenotare il vaccino. "Spento" contestualmente all'entrata in funzione della piattaforma informatica secondo il dirigente Asp. “Indicato dall’unico dipendente Asp che abbia trovato in servizio”, ancora in funzione e con voce registrata che invita a lunghe quanto inutili attese, per il senatore. Lo avrebbe sperimentato lui stesso - dice - tentando di prenotare il vaccino per gli anziani zii della moglie, ultraottuagenari ma non ancora contattati dall'Asp. “Davvero non so perché l'ha fatto, cui prodest? Forse per via dei suoi due parenti, sicuramente indiretti perché parenti della moglie, che non erano stati vaccinati? – lamenta il medico - L'ha probabilmente interpretata come lesa maestà ma quei due parenti non erano neanche prenotati, perché chiamavano al numero sbagliato”. Nessun favoritismo o questione personale, ribatte Morra, che rivendica di aver agito "perchè il diritto alla salute venga rispettato anche in Calabria, anche in provincia di Cosenza” e già che c’è puntualizza “mi farebbe piacere che mi si spiegasse come avrei perorato la causa dei miei suoceri e secondo altri, dei miei genitori. Purtroppo i miei genitori e mio suocero sono venuti a mancare tempo fa, mentre mia suocera si è già vaccinata quindici giorni”. È vero, dice il senatore, una lunga chiacchierata con Marino c’è stata, ma senza urla o scontri. “Ci siamo anche salutati cordialmente sulla porta del reparto” sostiene Morra. E la formale identificazione patita dal dirigente sanitario da parte dei due uomini di scorta che seguono il parlamentare? “Lui e un altro medico non avevano la mascherina” sostiene il presidente della commissione antimafia “era atto dovuto”. Non l’ha letta così il dottore Marino, che ai media denuncia una vera e propria aggressione da parte del senatore. Verbale, certo, ma così violenta da provocargli un malore. "Questo è sicuramente abuso di potere, ma credo che querelerò Morra anche per interruzione di pubblico servizio, perché la sua 'visita' ha interrotto il nostro lavoro" annuncia invece Marino, che si è affrettato a riferire l’episodio il commissario dell'Azienda sanitaria provinciale di Cosenza Vincenzo La Regina. Morra invece, riferisce il dottore, "ha chiamato il viceministro alla Salute Pierpaolo Sileri e il commissario ad acta della sanità calabrese, Guido Longo, con i quali non credo abbia fatto una gran bella figura". Vero, conferma il parlamentare, le telefonate ci sono state ma solo per “migliorare il servizio prenotazione e tutto quanto riguardi la somministrazione vaccinale in Calabria”. Né il commissario regionale, né il numero due del ministero hanno - quanto meno per adesso - ritenuto di commentare alcunché, mentre il presidente facente funzioni di Regione Calabria, Nino Spirlì, si è limitato a un "Morra chi?". Il caso ha sollevato un polverone, ma Morra non sembra turbato. “Non vedo nulla di strano se il Presidente della Commissione parlamentare antimafia, parlamentare eletto in Calabria, si interessa ed interviene per cercare di aiutare il sistema delle vaccinazioni che in Calabria fa acqua da tutte le parti”. E poi fa notare “nonostante ad oggi la macchina di somministrazione del vaccino funzioni poco e male questi scarsi risultati non hanno in alcun modo scalfito le retribuzioni dei dirigenti, che dovrebbero garantirci ben altri numeri per le vaccinazioni e ben altri livelli d'assistenza sanitaria in un'azienda sanitaria provinciale con circa 1 miliardo di debiti". Un riferimento velato agli oltre 700mila euro di straordinari pagati al personale dell’Asp di Cosenza preposto alla prevenzione e al monitoraggio del Covid, finiti al centro di diverse interpellanze di un altro pentastellato, Francesco Sapia? Forse.
Le reazioni. Nel frattempo, l'episodio è diventato un caso politico. "Morra si dimetta, da tutto. Solidarietà ai medici colpiti" dice il leader della Lega, Matteo Salvini. Interviene subito anche Giorgia Meloni per Fdi, che annuncia: "Andremo fino in fondo a questa vicenda e se tutto ciò corrispondesse al vero Morra farebbe bene a dimettersi immediatamente: un comportamento del genere è inaccettabile e indegno per qualsiasi rappresentante delle Istituzioni, figuriamoci per il Presidente della commissione Antimafia". E il capogruppo del Pd in Antimafia, Franco Mirabelli, sottolinea: "Usare il proprio ruolo, e addirittura la scorta, per sollecitare interventi che nulla hanno a che fare col proprio mandato è un abuso inaccettabile soprattutto per chi, come chi presiede la commissione Antimafia, dovrebbe fare della correttezza dei comportamenti e del rispetto delle regole la propria bussola".
Morra: «Non vedo nulla di strano nella mia ispezione all'Asp. E i miei genitori e mio suocero sono morti». Il Quotidiano del Sud il 22 marzo 2021. “Ho dovuto prendere atto che le modalità di prenotazione non sono efficaci soprattutto per chi, magari anziano, non ha dimestichezza con internet ed i siti-web”. Così Nicola Morra, in un comunicato, in cui chiarisce la sua posizione a seguito dell’ispezione nell’Asp di Cosenza in viale degli Alimena per fare un controllo (dal quale sono venute fuori molte polemiche, LEGGI), “esattamente come ho fatto ad ottobre scorso – ricorda Morra – sempre nei locali di Serra Spiga e nei sette giorni addietro quando ho incontrato il Commissario dell’Asp di Cosenza per offrire la mia disponibilità nel sostenere l’azione vaccinale”. “Mi farebbe piacere – scrive il senatore M5S e presidente della Commissione parlamentare Antimafia – che mi si spiegasse come avrei perorato la causa dei miei suoceri e secondo altri, dei miei genitori. Purtroppo i miei genitori e mio suocero sono venuti a mancare tempo fa, mentre mia suocera si è già vaccinata quindici giorni addietro poiché rientrante per ragioni anagrafiche nelle categorie a rischio”. Morra dice di essere andato nei locali dell’Asp di Serra Spiga e di aver incontrato il responsabile della centrale operativa territoriale Mario Marino “che ho messo telefonicamente in contatto con il sottosegretario Pierpaolo Sileri, con Giuseppe Longo, commissario regionale alla sanità, e con Vincenzo La Regina commissario dell’Asp cosentina al fine di migliorare il servizio prenotazione e tutto quanto riguardi la somministrazione vaccinale in Calabria”. Un’ispezione nata dopo “segnalazioni di cittadini che mi chiedevano d’intervenire vista la scarsità di vaccini ricevuti dai calabresi e, quindi, anche in provincia di Cosenza. Non vedo nulla di strano – specifica ancora Morra – se il presidente della Commissione parlamentare antimafia, parlamentare eletto in Calabria, si interessa ed interviene per cercare di aiutare il sistema delle vaccinazioni che in Calabria fa acqua da tutte le parti e lo dicono i numeri. Nonostante ad oggi la macchina di somministrazione del vaccino funzioni poco e male, questi scarsi risultati non hanno in alcun modo scalfito le retribuzioni dei dirigenti che dovrebbero garantirci ben altri numeri per le vaccinazioni e ben altri livelli d’assistenza sanitaria in un’azienda sanitaria provinciale con circa un miliardo di debiti”. “L’ispezione eseguita sabato – conclude Morra – è una prerogativa di un parlamentare e penso sia dovere di qualunque rappresentante delle Istituzioni provvedere affinché il diritto alla salute venga rispettato anche in Calabria, anche in provincia di Cosenza”.
Lei non sa chi è Morra…Se il capo dell’Antimafia si improvvisa ispettore. Nicola Morra colpisce ancora. E scopriamo che oltre a contrastare le cosche, il capo dell’Antimafia si sente in dovere anche di scendere in trincea contro il virus. Rocco Vazzana su Il Dubbio il 22 marzo 2021. Nicola Morra colpisce ancora. Però stavolta non si accanisce sugli elettori della defunta Jole Santelli, colpevoli di aver votato una malata oncologica, se la prende “solo” col dirigente dell’Asp di Cosenza per il malfunzionamento del piano vaccinale. O almeno di questo è convinto il senatore ex Movimento 5 Stelle dopo aver chiamato invano un numero verde per la prenotazione delle fiale. Morra non sa che quell’utenza non è più operativa – da quando per vaccinarsi bisogna iscriversi a una piattaforma online – e aspetta pazientemente oltre 17 minuti al telefono, ascoltando un messaggio preregistrato, poi perde le staffe e si reca fisicamente negli uffici dell’azienda sanitaria. Anche perché ad aspettare l’immunizzazione ci sarebbero anche degli zii ultraottuagenari di sua moglie. E con tanto di scorta al seguito incaricata di prendere le generalità di tutti i presenti, il senatore Morra irrompe nella sede di Serra Spiga (Cs) e chiede conto delle “inspiegabili” disfunzioni del sistema. Perché oltre a contrastare le cosche, scopriamo che il capo dell’Antimafia si sente in dovere anche di scendere in trincea contro il virus. È lui stesso a dirlo, in un video pubblicato su Facebook per smentire la versione del dirigente dell’Asp che ha già annunciato querela contro l’ex grillino per per abuso di potere e interruzione di pubblico servizio. L’ispezione, spiega Morra, nasce «al fine di governaere la pandemia nel miglior modo possibile». E per questo motivo, evidentemente, il politico si sarebbe fatto consegnare l’elenco delle prenotazioni, dopo aver contattato telefonicamente il viceministro alla Salute, Pierpaolo Sileri, e il commissario ad acta della sanità calabrese, Guido Longo. Nel frattempo per il dirigente dell’Asp spaventato dal blitz si è reso necessario l’intervento di un cardiologo.
Morra e i vaccini ai parenti, la rabbia del medico aggredito: «Dovrebbe combattere la mafia…» Lucio Meo martedì 23 Marzo 2021 su Il Secolo d'Italia. I vaccini “preferenziali” tengono banco in Italia, non solo quelli di Andrea Scanzi ma anche quello – che sarebbe stato chiesto per i suoceri – dal presidente dell’Antimafia, il grillino dissidente Nicola Morra. Il presidente dell’Ordine dei medici di Cosenza, Eugenio Corcioni, ha intenzione di andare fino in fondo sull’irruzione di Nicola Morra nella Asl per chiedere la vaccinazioni dei parenti della moglie: ha avviato un’indagine conoscitiva su quanto accaduto, chiedendo al dottor Marino una relazione su quello che è successo, firmata da tutti i medici che erano presenti, dunque attori della vicenda. “Quando mi arriverà la relazione, faremo le nostre valutazioni”, dice all’AdnKronos commentando il blitz di Nicola Morra, senatore del M5S nel centro vaccinale dell’Asp di Cosenza. Un’indagine alla quale seguirà, con tutta probabilità, quella della magistratura, visto che il medico vittima dell’aggressione non ha, a sua volta, intenzione di accettare la versione data da Morra. “Il blitz rientrava tra le mie prerogative”. “Stasera vado dall’avvocato per mia tutela e valuteremo se ci sono gli estremi per querelare il senatore Morra. Ho già redatto la mia memoria”, dichiara all’AdnKronos il dottor Mario Marino, direttore Igiene pubblica Direttore dipartimento di prevenzione dell’Asp di Cosenza, che torna sulla vicenda e ribadisce la sua versione dei fatti sul blitz del senatore del M5S, Nicola Morra, presidente della Commissione Antimafia, che sabato scorso si è presentato negli uffici della centrale operativa territoriale dell’Asp aggredendo verbalmente, secondo quanto riferito dal dirigente, sia Marino sia i medici dello staff, definendoli “incapaci” di gestire le vaccinazioni e incolpando Marino perché due suoi parenti non erano ancora stati chiamati per la somministrazione del vaccino. Parla anche alla luce del video postato dallo steso Morra su Facebook. “La vicenda che si è verificata è grave – spiega Marino all’Adnkronos -, non ho inventato nulla, tutto ciò che ho raccontato è la pura verità. Morra si è presentato urlando e chiedendo informazioni per due suoi parenti di cui conosciamo i nomi ma non li comunichiamo per privacy. Mai fino ad ora abbiamo detto che tali nomi corrispondevano a suoceri e/o similari, perché non è compito nostro indagare”. Morra, aggiunge il dirigente dell’Asp, “non è venuto a chiedere come si sta sviluppando la vaccinazione degli ottuagenari a Cosenza, ma si è presentato per chiedere come mai questi parenti non erano stati vaccinati. E lo ha fatto aggredendo verbalmente i medici preposti alla gestione delle vaccinazioni in un momento di emergenza. Ma poi lui non è uno sceriffo che può entrare in un ufficio pubblico facendo chiedere alla sua scorta i documenti a tutti. Questa non è intimidazione?”. Subito dopo il dottor Marino sottolinea: “Io avevo la mascherina, non l’ho mai tolta. Quello che dice Morra per giustificare la richiesta di documenti da parte della scorta non è vero. Solo per un attimo il mio collega l’ha abbassata”. Infine, il dirigente dell’Asp conclude con l’AdnKronos: “Io sono in malattia dopo il malore avuto a seguito della vicenda. Mi hanno pregato di ritornare, ora domani vado nuovamente dal cardiologo, sicuramente questa settimana resterò a casa. Ma voglio pormi e porre una domanda: perché Morra invece di battersi contro la mafia si batte contro i medici dell’Asp?”.
Massimiliano Panarari per "La Stampa" il 23 marzo 2021. Il triangolo no, non l' avevo considerato. E, invece, la polemica quella sì che (Nicola Morra) l' aveva considerata. Perché il senatore già pentastellato è un autentico magnete di polemiche, «piatto ricco mi ci ficco» - specie se si tratta di questioni che riguardano la Calabria, la sua regione d' elezione (e di elezioni), dove ha fatto il professore liceale di filosofia, conservando l' inclinazione per la citazione dotta. Morra, infatti, nelle controversie ci sguazza golosamente. Qualche volta, invece, vien da pensare che ne avrebbe fatto volentieri a meno, come nel caso dell' episodio salito ieri agli "onori" della cronaca. L' antefatto si è svolto sabato scorso, quando il presidente della commissione Antimafia si è presentato con la scorta al centro vaccinale dell' Asp di Cosenza per un sopralluogo improvvisato. Motivazione ufficiale: effettuare un'«ispezione, che è prerogativa parlamentare, per verificare l' efficacia della campagna vaccinale». Ma il blitz è finito tra le urla, e il dirigente Asp Mario Marino lo ha accusato di aggressione, minacce e «abuso di potere», dal momento che il vero intento della "spedizione punitiva" del senatore sarebbe stato quello di fare pressioni per ottenere la vaccinazione di alcuni parenti della moglie. Di qui il coro di proteste, con la richiesta immediata di dimissioni dal centrodestra, e toni poco teneri anche da parte degli ex compagni di partito. Sulla replica del senatore si tornerà tra poco, perché davvero esemplare della forma mentis e della narrativa - sofismi compresi - del grillismo. Antiberlusconiano integrale e anti-Pd intransigente, big di prima fila della fase iniziale del Movimento, Morra è un autentico custode della «cultura del sospetto» e del fondamentalismo originario dell' autoproclamata «rivoluzione grillina». Con un cursus honorum (assai accelerato, come per parecchi esponenti della generazione degli «antemarcia») che lo ha traghettato in poco tempo dal meetup all' ingresso, nel 2013, in Senato. Dove è stato vicepresidente della commissione Affari costituzionali, quindi capogruppo e, dopo le elezioni del 2018, ha assunto la presidenza di quella Antimafia. Commissione parlamentare delicata e importante per il Paese, come pure centrale a livello simbolico per quel M5S che sulle battaglie per la legalità (e, al medesimo tempo, sul populismo giudiziario usato come una clava contro gli avversari politici) ha edificato le proprie fortune. Una postazione dalla quale il pugnace uomo politico non si è appunto fatto mai mancare dispute e controversie. Tanto da incappare anche in alcune gaffe alquanto spiacevoli, di cui ha rivendicato spesso orgogliosamente la paternità sostenendo di non avere paura di apparire «politicamente scorretto». Come le sue dichiarazioni del novembre scorso a Radio Capital sulla malattia oncologica di Jole Santelli, e quelle sul voto in Calabria «irrecuperabile», «dimostrazione che ogni popolo ha la classe politica che si merita», seguite da una tale ondata di sconcerto da costringerlo a scusarsi. D' altronde, Morra il recidivo aveva già dato fuoco alle polveri sul tema poco tempo prima, quando aveva detto di non avere votato nelle regionali della Calabria il candidato presidente del M5S. Un gusto per la provocazione che, in qualche modo, però, si tiene con l' ortodossia pentastellata delle origini, a cui si considera nei secoli fedele. E nel nome della cui eredità ha contestato la recente espulsione da una formazione politica che, invece, è perennemente in Movimento e metamorfosi. Ma la maledizione (autoinflitta) della nemesi continua a collegare, peggio di una catena di Sant' Antonio, molti dei grillini e affini. Nati per dare un roboante sfratto alla casta, una volta entrati nel Palazzo si sono accorti che ci si sta niente affatto male, e hanno finito per adottarne costumi e malcostumi. Come quello di un certo nepotismo e clientelismo (termine che usiamo nell' accezione politologica, e non in quella giustizialista che tanto piaceva nei dintorni delle 5 Stelle), di cui la Parentopoli al Comune di Roma di queste ore è solo l' ultima manifestazione. E, difatti, la replica del senatore Morra alle accuse - contenuta in un video su Facebook perché, come da tradizione (e disintermediazione) pentastellata, «non mi fido più di tanti giornalisti» - suona un po' come un' arma di distrazione di massa. Altra peculiare specialità grillina.
Grazia Longo per "la Stampa" il 23 marzo 2021.
Dottor Marino, il senatore Morra dice che il suocero è morto e la suocera è già vaccinata.
«E che c' entra? Io non ho mai riferito di aver ricevuto proteste per i suoceri. Morra mi ha aggredito verbalmente perché nelle prenotazioni dei vaccini non risultavano due parenti della moglie. Forse degli zii. La verità è che si sta arrampicando sugli specchi».
Eppure Morra insiste di essere venuto a lamentarsi in difesa dei comuni cittadini.
«Ma quali comuni cittadini? Ci ha fornito i nomi e le date di nascita di questi parenti over 80, un uomo del 1933 e una donna del 1937. E quando non li ha trovati sulla lista ha fatto il pazzo».
Che cosa le ha detto?
«Che sono incompetente e inefficiente perché lui aveva provato a telefonare al numero verde per le prenotazioni ma non rispondeva nessuno. Ho provato a spiegargli che il numero non era più valido e che ora funziona la piattaforma in collaborazione con le Poste ma lui non voleva sentire».
Perché?
«Secondo lui gli ultra ottantenni non sanno usare Internet e a nulla sono valse le mie rassicurazioni sul fatto che si può anche prenotare telefonando al Cup o attraverso il postino. Ha pure chiamato al telefono il viceministro alla Sanità Sileri e il commissario alla Sanità calabrese Guido Longo».
Come hanno reagito?
«Li ha chiamati con il viva voce: Sileri è rimasto di stucco e ha provato a dire che le cose erano cambiate. Lo stesso ha fatto Longo».
E così Morra si è calmato?
«Macché, era ancora più infuriato, ha chiesto ai due suoi poliziotti di identificare me e i miei colleghi e ha continuato a inveire, tanto che ho cominciato ad avere fitte al cuore».
È stato costretto a rimanere a casa per il malessere?
«Proprio così, ho la pressione a 180. Domani (oggi per chi legge) vado dai carabinieri a denunciarlo per abuso di potere, interruzione di servizio e pure per falso».
Nicola Morra e la scorta in ospedale, quello che non si sapeva. Francesco Storace lo inchioda: "Perché l'hanno fatto?" Libero Quotidiano il 23 marzo 2021. Nicola Morra, presidente della commissione antimafia, continua a fare gaffe dopo l'enorme clamore politico che ha registrato il suo blitz in un centro vaccini calabrese. Stavolta, a sottolineare e a criticare l'errore del grillino, è Francesco Storace dalle colonne del Tempo. "Nella piazzata che si sarebbe svolta l'altroieri nella As1 di Cosenza, avrebbe ragione solo su un punto, quando si è parlato dei suoi suoceri, come riferivano le fonti giornalistiche locali. Ma le successive dichiarazioni del dottor Mario Marino, responsabile del centro visitato da Morra, continuano ad attribuirgli parenti da vaccinare. Se la vedranno loro in tribunale, se ci saranno le querele annunciate reciprocamente e una volta tanto non contro l'informazione", chiarisce Storace. Che evidenzia l'errore di Morra: "I due video, ciascuno a distanza di due ore e mezzo dall'altro, con cui il presidente della commissione antimafia ha tentato di chiarire la propria posizione. In entrambe le dirette facebook Morra non ha ovviamente risposto alle domande del caso. Non solo se è vero quel che dice il dottor Marino sui parenti da vaccinare, ma anche sull'uso abbastanza spericolato di una scorta che è a sua disposizione per difenderlo dalla mafia e non dai medici. Lo ha ammesso lui stesso: i due agenti che stanno a sua protezione si sono messi a chiedere le generalità delle persone incontrate presso il presidio sanitario". scrive l'ex senatore. Storace, infine, evidenzia l'inopportunità istituzionale di alcuni atteggiamenti di Morra che non sono piaciuti neanche alle forze dell'ordine. "La cosa grave è proprio l'identificazione dei presenti da parte dei due poliziotti, che ha suscitato le ire di qualche rappresentante sindacale. E la Federazione Sindacale della Polizia di Stato ad esprimere 'massima vicinanza ai colleghi coinvolti in questa triste vicenda, che auspichiamo non sia reale, immaginando lo stato di imbarazzo al quale sono stati costretti ad "operare", dopo le notizie trapelate in queste ore rispetto al blitz del presidente della Commissione parlamentare antimafia, Nicola Morra, negli uffici dell'Azienda sanitaria provinciale di Cosenza''", conclude Storace.
La polemica. Morra archivia “l’honestà”: con l’irruzione all’Asl di Cosenza si macchia di un reato odiato dai grillini. Tiziana Maiolo su Il Riformista il 23 Marzo 2021. Quando il Presidente della Commissione bicamerale Antimafia ha saputo quel che era successo alla Asp di Cosenza, dove un energumeno di nome Nicola Morra aveva preso a male parole il dirigente fino a fargli perdere i sensi per un malore, al grido di “onestà onestà” ha immediatamente chiamato la Procura della repubblica e denunciato il fatto e l’autore. Per diversi motivi. Prima di tutto perché in terra di Calabria (regione che lui conosce bene perché sua moglie è di quelle parti) se c’è qualcuno che minaccia e intimidisce, è bene che se ne occupi subito il dottor Gratteri, che quanto meno un concorso esterno in associazione mafiosa non nega a nessuno. E poi, se è vero che l’energumeno si è presentato addirittura accompagnato da una scorta (si presume) armata, che avrebbe proceduto all’identificazione di tutti i presenti, il fatto sarebbe addirittura oltraggioso nei confronti di chi fa con abnegazione il proprio dovere quotidiano in difesa dei cittadini onesti. È chiaro infatti che l’energumeno avesse poco a che fare con il partito degli onesti, dal momento che, insieme ai reati di ingiuria e minaccia, si macchiava anche di uno dei delitti più odiati, perché anche immorali, dal Presidente dell’Antimafia, cioè il traffico di influenze. Infatti con la sua protesta il cittadino Nicola Morra esigeva un privilegio per la propria famiglia, con l’immediata vaccinazione di suoi due parenti, che, diceva, al contrario di tutti gli ottantenni di Cosenza e forse d’Italia non erano ancora stati punti all’avambraccio sinistro. Mentre i dipendenti dell’Asp, tra malori e svenimenti cercavano di spiegare all’energumeno che se voleva aiutare i suoi familiari doveva collegarsi con l’apposita piattaforma informatica, proprio come si faceva con quella intestata a Rousseau, il cittadino Nicola Morra afferrava il telefono e mostrava ai poveri incapaci come si fa per ottenere il bene agognato, il vaccino anti-covid. Prima si chiama il sottosegretario alla salute Sileri: Pierpaolo, ma lo sai che i mie parenti sono gli unici ottantenni di tutto il mondo a non esser stati ancora vaccinati? Poi si passa al Commissario straordinario della Calabria Guido Longo: ma lei lo sa che come l’ho messa lì la posso togliere? Ci metto Giuseppe Conte che adesso è disoccupato e lei va a casa. L’ultima legnata è per il commissario dell’Asp di Cosenza Vincenzo La Regina, anche se ormai è terminata la riserva di minacce. L’ultimo pensiero del cittadino Nicola Morra, prima di allontanarsi con la sua scorta, è di disprezzo per tutti questi calabresi che sicuramente (ne sono certo, pensa tra sé) avevano votato per la presidente della Regione Jole Santelli pur sapendola gravemente malata. «Se però -aveva detto – ai calabresi questo è piaciuto, è la democrazia, ognuno dev’essere responsabile delle proprie scelte». Così rimugina, mentre scattano ai suoi polsi le manette del procuratore Gratteri, mandato dal presidente della Commissione parlamentare antimafia. Concorso esterno in associazione mafiosa.
· Vincenzo Spadafora.
Anticipazione da Verissimo il 10 dicembre 2021. “Voglio vivere in tranquillità, senza più nascondermi e fare una doppia vita”. Così l’onorevole Vincenzo Spadafora - ospite sabato 11 dicembre a Verissimo - racconta le sue emozioni dopo il coming out fatto in tv: “Non avevo avvertito nessuno, neanche la mia famiglia. Immagino siano rimasti stupiti ma ho ricevuto da subito grande calore, come dovrebbe sempre essere”. E prosegue: “Dopo averlo dichiarato, ho trascorso le prime notti a leggere migliaia di messaggi sofferti di ragazzi e madri che hanno trovato in questo gesto tanta forza e la possibilità di non sentirsi soli”. Ai microfoni del talk show, il deputato del M5S confessa i motivi che lo hanno portato a questa decisione: “Ho detto di essere gay perché penso che chi ricopre un incarico pubblico debba essere testimone delle proprie battaglie che fa in Parlamento anche attraverso la propria storia personale. Inoltre, credo che in questo momento sul tema dei diritti ci sia un arretramento culturale”. Nell’autobiografia appena pubblicata, dal titolo “Senza Riserve”, l’ex ministro dello sport parla anche della consapevolezza del proprio orientamento sessuale arrivata dopo l’adolescenza: “All’inizio ho vissuto parte della mia vita innamorandomi di ragazze. Poi, ho capito che avevo un interesse per le persone del mio stesso sesso e ho faticato parecchio. Non c’è un momento in cui uno può dire di essere riuscito a risolvere il rapporto con sé stesso, se non quando ti senti pronto ad amare e a non vivere il giudizio degli altri”. Infine, a Silvia Toffanin che gli chiede se oggi abbia un compagno, Spadafora risponde: “Sono ancora single, vediamo cosa ci riserva la vita”. E alla domanda se abbia mai avuto un grande amore, Vincenzo non ha dubbi: “La storia più importante che ho avuto è durata quattro anni. È stata la prima volta con un uomo. Grazie a lui ho avuto la forza di accettarmi e cambiare la mia vita”.
Ivan Zazzaroni per corrieredellosport.it il 5 febbraio 2021. «Non conoscevo il mondo dello sport. Percorso meraviglioso». Indovinate chi ha pronunciato queste parole piene di dolcezza: l’ex (Dio sia lodato) ministro dello sport Vincenzo Spadafora. Che ci ha salutati così, con tanto affetto e quel filo di ingenuità che non guasta. Ha detto addio a un settore che ha tentato in tutti i modi di demolire. Come se non lo fosse già, distrutto. Dopo aver provato a non far concludere l’ultimo campionato di serie A, s’è inventato una riforma che, se fosse passata, avrebbe tolto al Paese qualsiasi speranza di competitività.
Spadafora e il rapporto complicato con federcalcio e Lega. Ha contrastato federcalcio e Lega, facendo vedere i sorci verdi a Gravina e Dal Pino e investendo su un populismo privo di senso, ha stretto inoltre alleanze con presidenti che badavano soltanto ai propri interessi. Anch’io non conoscevo il mondo del ballo e della danza sportiva, che lui adora, prima di fare il giudice di un importantissimo programma televisivo di Raiuno. Ma mi sono applicato, mi sono fidato di chi ne sapeva di più, ho preso lezioni, ho anche ballato con le stelle, cercando di capire in che pianeta ero atterrato e rispettandone sempre i valori, i misteri, la densità e le finalità. Spadafora no, lui navigava in altre acque, mi dicono come un delfino, ma accettò l’incarico con leggiadra supponenza. Eppure, commesso il reato, ha confessato di non sapere nulla di sport. Càpita. E infatti aspettiamo altri rei. Come Speranza, che dubito sapesse qualcosa di sanità pubblica. E Arcuri, che sapeva troppo di tutto ma non sapeva di non sapere. E Di Maio, che agli Esteri non sapeva l’inglese e tuttavia adesso conta molto - per salvarsi - su quella famosa battuta: «Ho conosciuto Draghi, mi ha fatto una buona impressione». Mamma mia che impressione!
Fabrizio Rinelli per fanpage.it il 4 febbraio 2021. Vincenzo Spadafora si è congedato da Ministro delle Politiche giovanili e dello Sport dopo il mancato accordo per un Conte ter e il conseguente incarico di formare il governo affidato da Mattarella a Mario Draghi. L'ex ministro, nel suo saluto da titolare del dicastero, ha pubblicato un post su Facebook esprimendo tutto il suo rammarico per la fine del suo mandato. Una frase in particolare però, ha riscosso grande curiosità: "Non conoscevo invece il mondo dello sport, al quale mi sono avvicinato con curiosità, rispetto e attenzione". Ovviamente la reazione social è stata immediata. Nel suo lungo post Spadafora ha anche lanciato un appello augurandosi che il lavoro fatto finora non vada perduto ricordando però le gioie dei primi mesi: "Settimane entusiasmanti, su entrambi i fronti. Ricordo la gioia di presenziare alla storica vittoria della Ferrari a Monza dopo nove anni, ad esempio". Nelle ultime settimane del suo mandato, Spadafora era stato più volte chiamato in causa per cercare di capire se ci fosse o meno una parziale apertura per rivedere il pubblico negli stadi. Nel suo lungo post su Facebook, l'ormai ex Ministro delle Politiche giovanili e dello Sport, Vincenzo Spadafora, ha salutato tutti con una frase in cui rivela come non conoscesse il mondo dello sport al quale si era avvicinato con curiosità, rispetto e attenzione. Di certo le sue parole hanno lasciato grande stupore, specie in virtù del caos che si è generato durante la pandemia nel mondo dello sport. A tal proposito Spadafora ha detto: "Siamo entrati in una fase drammatica, abbiamo dovuto prendere decisioni dolorose e dalle conseguenze gravi ma inevitabili, a partire dalle chiusure". Ovviamente il riferimento va dritto alla decisione di chiudere gli stadi che ha creato non poche polemiche, soprattutto nel mondo del calcio. Negli ultimi giorni, questo argomento, poteva essere oggetto di discussione per cercare di trovare quantomeno una soluzione, fortemente voluta dai club di Serie A, sulla percentuale di pubblico da far entrare all'interno degli impianti sportivi. Questo il post su Facebook dell'ex Ministro delle Politiche giovanili e dello Sport: Quando diciassette mesi fa ho giurato come ministro per le Politiche giovanili e lo Sport eravamo in un’altra era, in un momento completamente diverso da questo. Per molti anni avevo seguito le questioni relative ai diritti dell’infanzia e dei giovani, è sempre stato il centro del mio impegno. Non conoscevo invece il mondo dello sport, al quale mi sono avvicinato con curiosità, rispetto e attenzione. I primi mesi sono stati entusiasmanti, su entrambi i fronti. Ricordo la gioia di presenziare alla storica vittoria della Ferrari a Monza dopo nove anni, ad esempio. Poi, un anno fa, l’esplosione della pandemia, il lockdown, i sacrifici chiesti a tutti i cittadini. Siamo entrati in una fase drammatica, abbiamo dovuto prendere decisioni dolorose e dalle conseguenze gravi ma inevitabili, a partire dalle chiusure. In questi mesi abbiamo lavorato moltissimo per dare sostegno a tutto il mondo dello sport, con i limiti del caso, sicuramente, ma facendo il massimo possibile. Stesso impegno sul fronte delle politiche giovanili: il lancio della piattaforma Giovani2030 e della Carta Giovani, tra le altre cose, e il numero più alto di posti per volontari del Servizio Civile degli ultimi anni. Il lavoro forse più delicato e più importante è stato quello di dare attuazione alla riforma dello Sport, cinque decreti sui quali per un anno abbiamo discusso con tutte le componenti, a tutti i livelli, per arrivare a un risultato condiviso e che rappresentasse davvero un avanzamento sociale e culturale. Sono norme innovative che riguardano molti temi, a partire dal professionismo femminile, dalla possibilità per i paralimpici di entrare nei corpi civili e militari, e soprattutto diritti e tutele che diano finalmente la giusta dignità ai lavoratori dello sport. I decreti sono stati votati in Consiglio dei Ministri, hanno avuto l’intesa nella Conferenza Stato Regioni, e sono ora in Parlamento per il parere delle Commissioni Cultura di Camera e Senato: erano previste in questi giorni, ma a causa della crisi le riunioni sono state sconvocate. Dopo il parere delle Commissioni andranno portati nuovamente in Consiglio dei Ministri per il via libera definitivo che deve arrivare entro e non oltre il 28 febbraio, altrimenti la delega scadrà ed il mondo dello sport perderà una occasione unica. Mi auguro che la prossima settimana le Commissioni possano esprimere il proprio parere, mi appello ai deputati e ai senatori che ora hanno la responsabilità di portare a termine nei tempi previsti un percorso importante. Consegnerò al mio successore un lavoro di fatto completato e basterà solo ripresentarlo al Consiglio dei Ministri e apporvi la firma! Il prossimo Governo avrà anche il compito di approvare il Decreto Ristori cinque, che è già scritto e darà respiro a milioni di cittadini alle prese con difficoltà economiche a causa delle restrizioni dovuto al Coronavirus. In questi mesi ho provato a rispondere alle tante istanze che quotidianamente ho raccolto da ciascuno di voi. Lascio ad altri il testimone sperando che non si perda il lavoro fatto finora e ringrazio tutti coloro che mi hanno accompagnato in questo meraviglioso percorso che non dimenticherò mai. Grazie a tutti, davvero.
· Rocco Casalino.
(Adnkronos il 31 luglio 2021) - "Già in passato Dagospia ha pubblicato notizie false e diffamatorie che hanno leso pesantemente la mia professionalità e hanno arrecato seri danni alla mia immagine e ho pertanto proceduto a querelare" Lo dichiara Rocco CASALINO, ex portavoce di Giuseppe Conte a Palazzo Chigi. "L'ultima notizia pubblicata in ordine di tempo è ovviamente un'altra fake news. Ovviamente non c'è stata alcuna strigliata nei miei confronti né da parte di Conte né dei parlamentari M5s, semplicemente perché è totalmente falso che l'agenzia contro Di Maio e contro il suo portavoce Marici - con il quale peraltro ho un ottimo rapporto - sia opera mia. Sarà molto semplice dimostrarlo in tribunale con la testimonianza dei giornalisti che hanno battuto questa agenzia, i quali anche senza rivelare la fonte non potranno che confermare che io non c'entro nulla nè direttamente nè indirettamente." CASALINO continua: "Inoltre chiunque capisca di un minimo di comunicazione politica, intuisce che quelle veline sono state fatte circolare da chi non ha un minimo di intelligenza politica perchè il risultato è stato quello di danneggiare l'intero Movimento. E chi mi conosce sa che non ho mai fatto nulla per danneggiare il movimento, piuttosto il mio lavoro ha sempre avuto l'obiettivo di proteggerlo. Chiedo che finiscano questi attacchi alla mia persona solo per colpire Giuseppe Conte e il Movimento. Ma aggiungo che se qualcuno pensa di intimidirmi provando ad attaccarmi, si sbaglia: io vado avanti fino a quando non otterrò giustizia."
Rocco Casalino in spiaggia in Puglia. Le foto inequivocabili: con chi lo hanno beccato. Libero Quotidiano il 24 luglio 2021. Rocco Casalino è stato immortalato in Puglia da Novella 2000. L'ex portavoce dell'ex presidente del Consiglio Giuseppe è stato fotografato in spiaggia a fare bagni e a prendere il sole. "Mentre Beppe Grillo e Giuseppe Conte si attovagliavano in Toscana per trovare l’intesa sulla guida del Movimento Cinque stelle, Rocco Casalino, che di Conte è (è stato?) portavoce, si sdraiava in Puglia a prendere il sole in compagnia di sua mamma e non solo”, si legge sul settimanale diretto da Roberto Alessi. Ecco quindi le foto da Cala di Rosa Marina, "un gioiellino di spiaggia incastonata nella macchia mediterranea all’interno dell’omonimo villaggio, vicino a Ostuni (Brindisi). Con Rocco c’è la mamma, cui è legatissimo, come ha raccontato in diverse occasioni e anche scritto nell’autobiografia ‘Il Portavoce’. E con loro c’è anche un ragazzone barbuto", si legge su Novella 2000. "I racconti che ci arrivano dalla spiaggia riferiscono che Casalino lo avrebbe conosciuto la mattina stessa e che poi i due (più la mamma) avrebbero passato la giornata al mare vicini, facendo anche il bagno insieme”. Ma attenzione perché come osserva Novella 2000 non c’era traccia di Josè Carlos Alvarez, "l’uomo che tra tira e molla è al fianco di Casalino da oltre sei anni. Vien da pensare che siano in un periodo 'molla'? Comunque, chiunque sia il ragazzone barbuto, e qualunque sia la natura della loro conoscenza, se Rocco ha qualcosa da spiegare in merito, non è certo a noi che deve una giustificazione”.
Fabio Amendolara per "la Verità" il 23 luglio 2021. Le indagini del Nucleo di Polizia valutaria della Guardia di finanza sono concentrate sui conti dell'ex portavoce di Palazzo Chigi e attuale comunicatore del Movimento 5 stelle Rocco Casalino e del suo fidanzato cubano, cameriere, che all'epoca delle prime movimentazioni sospette era un aspirante trader, José Carlos Alvarez Aguila. A La Verità risulta che di recente gli investigatori del Valutario abbiano richiesto della documentazione all'istituto di credito. Le novità non si fermano qui. Ma tutto parte da una Sos, letteralmente Segnalazione di operazione sospetta, inviata dai risk manager della banca all'Uif, l'Unità di informazione finanziaria di Bankitalia, i cui contenuti sono stati svelati un anno fa in esclusiva dalla Verità, quando si scoprì che tempo prima Josè Aguila aveva cominciato a speculare sui più importanti siti di trading online, movimentando sul suo conto corrente qualcosa come 150.000 euro. «È vittima del trading online», spiegò Casalino, aggiungendo che il compagno aveva ceduto alla ludopatia durante il lockdown, ritenendo di aver spiegato il passaggio di tutti quei soldi sulla carta prepagata di Aguila. Che, a sentire Casalino, era arrivato a bruciare 18.000 euro dei suoi risparmi. Un'operazione che aveva anche infranto il sogno che i due coltivavano: aprire un piccolo sushi bar a Roma. Alla Segnalazione di operazione sospetta dello scorso anno, però, se n'è aggiunta una successiva, del maggio scorso. La premessa è che Casalino è un Pep, ovvero una persona politicamente esposta. «In sede di adeguata verifica», si legge nella segnalazione, «ha dichiarato (Casalino, ndr) di essere soggetto apicale nella pubblica amministrazione», inoltre, annotano i segnalanti, «è un noto personaggio pubblico che ha ricoperto diversi incarichi, tra cui quello di portavoce e di capo ufficio stampo del presidente del Consiglio dei ministri (Giuseppe Conte, ndr)». La legge antiriciclaggio prevede che la condizione di Pep si estenda anche ai soggetti con i quali le persone politicamente esposte intrattengano notoriamente stretti legami o le persone fisiche che detengono solo formalmente il controllo di un'entità costituita, di fatto, nell'interesse di una persona politicamente esposta. E in questo caso Alvarez ci rientra in pieno. Perché in quel momento oltre a essere il fidanzato di Casalino è anche il socio. Nella nuova segnalazione partita per un bonifico in uscita da 15.000 euro, infatti, viene ricordato che «da visura Cerved i soggetti citati risultano entrambi titolari effettivi della Riomaki Srls (la società che avrebbe dovuto tirare su il sushi bar, ndr), iscritta alla Camera di commercio dal 2019, inattiva (Casalino e il compagno hanno poi ritirato il capitale sociale depositato al momento della costituzione, ndr), con oggetto sociale la ristorazione con somministrazione». I risk manager della banca hanno quindi esaminato di nuovo i movimenti sui conti dei due. E si è scoperto che «l'analisi della movimentazione del rapporto di conto corrente del signor Casalino evidenzia bonifici in avere per 158.000 euro, dei quali 83.797 come emolumenti disposti dal Mef/Presidenza del Consiglio e 68.380 dalla Mondadori libri Spa». Dovrebbe quindi trattarsi dell'acconto sul libro Il Portavoce, la cui uscita slittò a causa della crisi di governo per poi finire in libreria quando le quotazioni di Casalino, a quanto pare, non erano più le stesse. Le vendite, infatti, non hanno raggiunto le aspettative, nonostante la massiccia autopromozione in tv. Un'esposizione che non ha gradito perfino il segretario della Commissione di vigilanza Rai, Michele Anzaldi di Italia viva, quando dai dati Agcom è saltato fuori che Casalino, per presenze sui canali Rai era secondo solo a Mario Draghi. Ma oltre al bonifico di Mondadori, i risk manager hanno segnalato pure «molti bonifici in dare». Ovvero in uscita dal conto di Casalino. Per l'esattezza 126, per complessivi 52.977 euro. Tutti di piccoli importi, «a cifra tonda», spiegano i segnalanti, «e con causali generiche o assenti, apparentemente non evocative della motivazione sottostante, a favore anche di persone fisiche presumibilmente rientranti nella sfera personale». Tra questi, è scritto nella segnalazione, 84, per 20.500 euro (operazioni segnalate a campione), sono finiti «sui rapporti intestati al signor Aguila». E oltre a questi movimenti, i risk manager annotano, inoltre, che «da una più approfondita analisi si è ritenuto opportuno segnalare anche due bonifici di importo rilevante». Il primo è «in avere», quindi è finito sul conto preso in esame, per 349.973 euro, con causale «rimborso saldo attivo per estinzione» di un libretto. «E successivamente uno in dare», quindi in uscita dal conto, «di euro 300.000 con causale giroconto, entrambi disposti su altro intermediario (cioè di un altro istituto di credito, ndr) di cui si ignora l'origine e la finalità dei fondi». La movimentazione viene ritenuta «anomala» e «non coerente con lo status dei segnalati». Insomma, sarebbe «meritevole di attenzione», si legge nel documento, «in quanto potrebbe sottendere intenti dissimulatori, distrattivi e di dubbia legittimità». La motivazione? A muovere quei soldi è stato un «soggetto apicale nella pubblica amministrazione, noto personaggio pubblico, intestatario di rapporto di conto corrente con movimentazione apparentemente anomala per bonifici a favore di persone fisiche con causali generiche o assenti e girofondi sia in dare che in avere su altro intermediario di cui si ignorano origine e finalità dei flussi finanziari». E infine, i risk manager ricordano che il «nominativo» era già stato «oggetto di precedente segnalazione con altro soggetto, entrambi destinatari di provvedimento disposto dall'autorità giudiziaria». Un anno fa il cubano liquidò la questione con un «da quando ho aperto il mio conto, sei anni fa, non ho mai avuto più di 30.000 euro. Abbiamo contato i movimenti e non superano, per tutto l'arco di tempo, i 90.000 euro». Dalla banca, all'epoca, già parlavano di movimenti per 150.000 euro. Tra i quali venivano ritenuti sospetti «scambi di bonifici tra rapporti collegati con causali generiche, unitamente a operazioni di trading probabilmente eseguite da soggetto terzo». Oltre a un'indennità Naspi di disoccupazione, da «modesti bonifici senza causale provenienti dal compagno», infatti, sul suo conto all'epoca arrivarono «un bonifico proveniente da un conto tedesco della Plus500, società finanziaria israeliana che fornisce servizi di trading online» e partirono per la Fortissio.com, società greca specializzata in «trading protetto», anche più di 2.000 euro in un giorno. In un'intervista a La Repubblica Aguila affermò che aveva «investito inizialmente 2.000 euro», per accaparrarsi «i titoli di 5.000 barili a 19 dollari a barile». In sostanza avrebbe speso 2.000 euro per ottenere 95.000 dollari (81.000 euro) di quote di oro nero. Un affare che neanche Wanna Marchi avrebbe osato proporre. Ma l'aver puntato il petrolio costrinse Casalino a intervenire per sgombrare il campo da ipotetici e potenziali conflitti d'interesse. E l'ex portavoce di Giuseppe spiegò che «Alvarez non aveva mai acquistato titoli italiani o collegati all'attività di governo». E che lui «non era al corrente di quanto stesse accadendo» né aveva «mai condiviso informazioni riservate». Già un anno fa, però, al cubano qualcuno aveva messo in testa che di questa faccenda si stesse occupando la magistratura. Con i cronisti della Verità si era lasciato scappare: «Adesso la Procura dovrà indagare, aspettiamo». Aggiungendo che a lui le cifre segnalate dalla banca non risultavano. E mentre cercava di raccapezzarsi nei conti, disse in modo fermo: «Io ai giornali non ci credo». Casalino e compagno devono essersi convinti davvero che quella segnalazione sarebbe stata cestinata, visto che i movimenti sospetti non si sono fermati e che ora viene sottolineata pure «l'assenza di adeguate giustificazioni e la reticenza dei soggetti a fornire informazioni». Alla Verità però il portavoce spiega così: «Ho venduto la mia prima casa di Milano, per comprare casa a Roma, e ho depositato i soldi ricavati da questa vendita sul mio conto corrente Unicredit. In un secondo momento - non essendo riuscito a trovare subito un immobile da acquistare a Roma - ho spostato i soldi (circa 300.000 euro) dal mio conto a un mio libretto di risparmio postale che risultava essere più conveniente. Infine, individuato l'immobile da acquistare, ho spostato nuovamente i soldi sul mio conto corrente UniCredit contestualmente alla richiesta di un mutuo proprio per l'acquisto della casa».
Dagonews il 23 luglio 2021. Per giustificare la movimentazione di denaro sui suoi conti correnti, finiti nel mirino dell'antiriciclaggio, Rocco Casalino ha detto a "la Verità" di aver venduto la sua prima casa di Milano per comprare casa a Roma, depositando i soldi ricavati da questa cessione sul conto corrente. Ma da una verifica catastale, risulta che l'aitante Ta-Rocco abbia intestata solo una casa a Ceglie Messapica, in Puglia. Quando è stata comprata l’abitazione di Roma? A chi è stata intestata? E se era intestata a Casalino, visto che non ve n'è traccia, quando è stata rivenduta? Ho venduto casa a Milano nel 2017. Infatti i soldi di cui si parla sono sul mio conto dal 2017. Immagino che la segnalazione derivi dal fatto che ho spostato i miei soldi dal mio conto corrente bancario al mio libretto di risparmio postale. Al momento non risulta nessun immobile a me intestato a Roma, per il semplice fatto che il rogito per la casa acquistata avverrà a ottobre.
Fabio Amendolara François De Tonquédec per “La Verità” il 24 luglio 2021. L'ultimo investimento puntato da Rocco Casalino, l'ex portavoce di Palazzo Chigi e attuale comunicatore del Movimento 5 stelle, è un appartamento da 164 metri quadri al quinto piano di uno stabile di pregio a due passi da piazza del Popolo a Roma e gli è costato l'ennesima segnalazione di operazione sospetta che i risk manager della banca nella quale ha movimentato i fondi hanno mandato all'Uif, l'ufficio di informazione finanziaria di Bankitalia. Nella casa, messa in vendita da un venditore d'arte residente a Montecarlo, c'è una società in affitto, che da contratto dovrebbe rimanere lì fino al 2024, che si occupa di produrre software e firmware «mirati a garantire la sicurezza informatica per strutture strategiche e centrali di produzione energetica», il cui presidente del Cda è tale Gianni Cuozzo, nato in Germania nel 1990 e residente in provincia di Salerno, che nelle interviste si presenta come hacker, che si occupa «della stesura di dottrine militari per l'impiego di armi informatiche» e che scrive paper pubblicati dalla Nato. Uno che ha dichiarato che per hackerare una petroliera gli bastano dieci minuti. L'ex portavoce di Giuseppe Conte ha avviato le trattative a maggio, diversi anni dopo aver venduto l'abitazione Milano. Un giro di soldi che è finito, come svelato dalla Verità giovedì, nel mirino dell'Antiriciclaggio. I risk manager a maggio scorso hanno annotato, tra le altre cose, che «si è ritenuto opportuno segnalare anche due bonifici di importo rilevante». Il primo è «in avere», quindi è finito sul conto preso in esame, per 349.973 euro, con causale «rimborso saldo attivo per estinzione» di un libretto. «E successivamente uno in dare», quindi in uscita dal conto, «di euro 300.000 con causale giroconto, entrambi disposti su altro intermediario (cioè di un altro istituto di credito, ndr) di cui si ignora l'origine e la finalità dei fondi». La movimentazione viene ritenuta «anomala». Insomma, sarebbe «meritevole di attenzione», si legge nel documento, «in quanto potrebbe sottendere intenti dissimulatori, distrattivi e di dubbia legittimità». La motivazione? A muovere quei soldi è stato un «soggetto apicale nella pubblica amministrazione [...] intestatario di rapporto di conto corrente con movimentazione apparentemente anomala per bonifici a favore di persone fisiche con causali generiche o assenti e giroconti [...] su altro intermediario di cui si ignorano origine e finalità dei flussi finanziari». A settembre 2020, però, era partita un'altra segnalazione: «Nel periodo analizzato, tra l'1 marzo 2020 e il 30 luglio 2020, risulta che il cliente in data 9 marzo ha chiesto l'apertura di un libretto per trasferire la somma di 300.000 euro dal proprio conto bancario radicato presso Unicredit; la somma a oggi (settembre 2020, ndr) è ancora giacente sul rapporto. Medesima operatività eseguita a ottobre 2018 su altro libretto aperto per trasferire 350.000 dallo stesso conto bancario: somma giacente per circa un anno fino all'estinzione. Risultando anomala l'apertura di rapporti per esclusivo trasferimento di somme rilevanti delle quali non si conosce la reale provenienza». «Ho venduto la mia prima casa di Milano, per comprare casa a Roma», aveva spiegato alla Verità Casalino, «e ho depositato i soldi ricavati da questa vendita sul mio conto corrente Unicredit. In un secondo momento, dal momento che non sono riuscito a trovare subito un immobile da acquistare a Roma, ho spostato i soldi (circa 300.000 euro) dal mio conto corrente a un mio libretto di risparmio postale che risultava essere più conveniente. Infine, individuato l'immobile da acquistare, ho spostato nuovamente i soldi sul mio conto corrente Unicredit contestualmente alla richiesta di un mutuo proprio per l'acquisto della casa». E con Dagospia, ieri, invece, ha precisato: «Al momento non risulta nessun immobile a me intestato a Roma, per il semplice fatto che il rogito per la casa acquistata avverrà a ottobre». E infatti per Roma c'è ancora un preliminare di vendita, di cui La Verità è entrata in possesso. Ma per meglio comprendere il vorticoso giro in euro bisogna partire dalla vendita a Milano. Lì Casalino, in una traversa di via Torino, possedeva un trilocale di 98 metri quadri al quarto piano acquistato nel 2015. A comprare la ex casa del portavoce di Giuseppi è una coppia di anziani. Il prezzo: 665.000 euro, un po' più alto di quello al quale oggi Casalino sta acquistando la casa di Roma (ma sulla casa milanese rimaneva da estinguere il residuo di un mutuo da 250.000 euro della durata di 25 anni). Il pagamento è stato effettuato così: 10.000 euro versati il 20 giugno 2017 con un assegno bancario non trasferibile; 10.000 versati il 27 luglio 2017 con un bonifico; 150.000 versati il 15 settembre con un assegno non trasferibile; 264.125 versati davanti al notaio con due assegni circolari non trasferibili; 230.874 versati con un bonifico. L'acquisto a Roma. Il contratto preliminare di vendita è del 7 giugno scorso. Ecco perché a nome di Casalino non risultano proprietà romane. L'appartamento, situato al quinto piano di un bel palazzo alle porte del cosiddetto Tridente è un quinto piano con cinque stanze e doppi servizi. Il venditore si è obbligato davanti al notaio e ha promesso di vendere a Casalino il fabbricato da adibire a prima casa. Il corrispettivo della vendita è stabilito in 620.000 euro, così distribuito: 5.000 a titolo di caparra confirmatoria bonificati il 20 maggio; 115.000 come seconda caparra pagati davanti al notaio tramite un assegno circolare non trasferibile; 500.000 da pagare al momento dell'erogazione di un mutuo e mediante disponibilità personale. Dalla cifra indicata come erogata attraverso mutuo emerge, però, un'incongruenza rispetto alla dichiarazione di Casalino, il quale sostiene che i circa 300.000 euro (in realtà 349.0000) trasferiti erano tutti destinati all'acquisto, mentre dalla segnalazione emerge che 300.000 sono stati rispostati altrove. Verificando i dati dell'osservatorio dell'Agenzia delle entrate sulle compravendite del secondo semestre 2020 in quella zona, inoltre, il prezzo spuntato da Casalino appare come un ottimo affare. La media a metro quadro era di 5.100 euro, che moltiplicato per la superficie del quartierino scelto dal comunicatore a 5 stelle porterebbe a un prezzo di mercato di 852.000 euro, 230.000 in più del prezzo spuntato. Un bel colpo.
Dal "Corriere della Sera" il 17 giugno 2021. Mascherina in viso e zaino in spalla, Rocco Casalino attraversa Ponte Umberto I a Roma in monopattino. L'ex portavoce del premier Conte si occupa di coaching tv e analisi delle tecniche di comunicazione per gli eletti M5S e contribuisce alla comunicazione del neo leader del Movimento.
Da corrierediviterbo.corr.it il 17 giugno 2021. Vittorio Sgarbi attacca Rocco Casalino che è tornato ad occuparsi della comunicazione dei gruppi parlamentari del Movimento 5 Stelle dopo l'esperienza a Palazzo Chigi come portavoce dell'ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Il parlamentare e sindaco di Sutri fa notare, con un post su Facebook, che, da quando Casalino è tornato a guidare la comunicazione grillina sono riprese quelle che Sgarbi definisce tempeste di me**a contro chi osa criticare i 5 Stelle. "Da quando Casalino è tornato ad occuparsi di Comunicazione (si fa per dire…) sono ricominciate le cosiddette tempeste di me**a contro chi critica i 5 Stelle. Funziona così (lo hanno già raccontato in due diversi libri due giornalisti, Jacopo Iacoboni e Nicola Biondo, quest’ultimo, tra l’altro, portando la sue esperienza diretta lavorando proprio con i 5 stelle): tu fai una critica alla Raggi, a Toninelli, o a un altro scappato di casa grillino e subito parte il passaparola a decine di gruppi, sottogruppi, pagine di propaganda, tutti riconducibili alla struttura dei 5 stelle, tutti animati, in gran parte, da decerebrati che non debbono pensare ma solo ubbidire copiando e rilanciando quello che viene loro ordinato: "Tutti sulla pagina di Sgarbi (o di un altro avversario) a insultarlo".", scrive Sgarbi. Sgarbi definisce quella che viene descritta come la strategia comunicativa grillina sui social un "pestaggio informatico". "Inutile dire che molti account non corrispondono a persone reali, ma sono completamente falsi, cioè funzionali ad attuare queste campagne di “smerd***nto” E così, in effetti, accade, da un po’ di settimane, in coincidenza con il ritorno di Casalino alla Camera. Quello di oggi, dunque, è un ritorno alle origini. Ancora un dettaglio: i cittadini italiani pagano 150 mila euro di stipendio a Casalino per le sue tempeste dii me**a".
Comunicazione pagata dai gruppi di Camera e Senato. Casalino torna nei 5 Stelle come "allenatore" per chi va in tv: ma il doppio stipendio scatena il malcontento grillino. Carmine Di Niro su Il Riformista l'11 Giugno 2021. È durato l’arco di pochi mesi il periodo da ‘disoccupato’ di Rocco Casalino. L’ex concorrente del Grande Fratello e soprattutto ex portavoce di Giuseppe Conte quando l’avvocato pugliese era a Palazzo Chigi, tornerà ufficialmente a occuparsi di comunicazione politica. Casalino ha infatti firmato il contratto con i gruppi di Senato e Camera del Movimento 5 Stelle: si occuperà di coaching tv e di analisi strategica delle tecniche di comunicazione radiotelevisiva e analisi delle performance, oltre a dare supporto alla comunicazione di Conte, che a breve verrà investito del ruolo di leader politico dei pentastellati. Ma nei palazzi del potere, in particolare tra i grillini, a far discutere è lo stipendio che Casalino otterrà per curare la comunicazione 5 Stelle: per avvicinarsi infatti al lauto stipendio che aveva come portavoce di Conte, circa 150mila euro, l’onorario di Casalino è stato ‘spalmato’ sui due gruppi parlamentari di Camera e Senato, che stando a indiscrezioni dovrebbero garantire al ‘coach tv’ circa 120mila euro. Un caso denunciato pubblicamente da Michele Anzaldi, deputato di Italia Viva e segretario della Vigilanza Rai: “Altro che taglio agli stipendi, Conte-M5s inventano lo stipendio doppio per Casalino: pagato sia da Camera che da Senato. Senza precedenti. Davvero i fondi parlamentari sono usati per il portavoce di un non parlamentare (Conte)? Fuori da ogni regola, Fico e Casellati chiariscano – chiede Anzaldi -. Dopo il mega stipendio di Palazzo Chigi, dopo la casa pagata con i soldi del Senato, il portavoce di Conte vuole battere un nuovo record a spese degli italiani”. Il ritorno di Casalino a spese dei gruppi parlamentari del Movimento, mossa di cui si era iniziato a parlare nei corridoi già alcune settimane fa, aveva mandato in subbuglio parte degli esponenti pentastellati. A partire dal capogruppo alla Camera Davide Crippa, che quando venne evocato il ritorno di Casalino, secondo un retroscena de La Stampa, non voleva “assolutamente l’ex concorrente del Grande Fratello: spaccherebbe gli equilibri”.
Carmine Di Niro. Romano di nascita ma trapiantato da sempre a Caserta, classe 1989. Appassionato di politica, sport e tecnologia
L'assunzione di Casalino in Parlamento scatena il putiferio. Stefano Iannaccone l'11 Giugno 2021 su Il Giornale. L'assunzione del portavoce di Conte, nei gruppi di Camera e Senato dei 5 Stelle, scatena i malumori dei grillini: "Un tempo saremmo saliti sui tetti". Italia viva attacca: "Pratica sconveniente". Rocco Casalino torna nei Palazzi. E il plurale è quantomai calzante: è stato assunto dal Movimento 5 Stelle in maniera spacchettata, metà alla Camera e metà al Senato. Ma il rientro non è stato indolore. Anzi. Tra i parlamentari è montato il dissenso per la gestione del caso: “Il ragionamento è semplice. Rocco viene pagato con i soldi dei gruppi per fare il portavoce di Conte. In sostanza è stato contrattualizzato per una mansione, quella di fare il coach per la preparazione agli interventi in tv. Ma poi, lo sappiamo tutti, che si dedicherà principalmente ad altre funzioni”, dice a IlGiornale.it una fonte parlamentare. Per qualcuno, dunque, si tratta di un escamotage pur di garantirgli uno stipendio e proseguire il lavoro di portavoce dell’avvocato di Volturara Appula. E c’è chi esprime un giudizio ancora più severo: “Se fossimo i grillini di un tempo, saremmo saliti sui tetti, gridando allo scandalo, di fronte a questa cosa”, ammette un deputato.
Il possibile esposto alla Corte dei Conti. Ma la questione non è solo interna al Movimento. Il nome di Casalino fa rumore e gli echi si sono diffusi nei Palazzi. Italia Viva sta addirittura valutando se presentare un esposto alla Corte dei Conti o comunque chiedere delucidazioni agli uffici di Camera e Senato. “È sicuramente una pratica sconveniente, se non illegittima. Su questo secondo punto è opportuno che si pronuncino le autorità preposte”, dice a IlGiornale.it Michele Anzaldi, deputato di Iv. “I soldi dei cittadini attraverso la Camera e il Senato - aggiunge Anzaldi - vengono usati per l’attività di un leader di un partito, senza che sia stato eletto in Parlamento. Questo, già per chiunque, sarebbe un problema. Diventa una montagna invalicabile se accade in una forza politica che ha basato il suo successo sui tagli degli stipendi e sull’impiego dei soldi pubblici”. Tuttavia, Casalino sa che difficilmente gli potrà essere contestato il doppio contratto. Dalla sua ha una difesa: è ufficialmente il coach tv di deputati e senatori. E anche su questo aspetto scatta la polemica, relativa all’imparzialità del servizio pubblico. Osserva Anzaldi: “È stato assunto un professionista che deve avere rapporti con le tv, quindi con la Rai. Parliamo di una persona che, fino a qualche mese fa a Palazzo Chigi, gestiva le nomine. Adesso è ancora più necessario provvedere al rinnovo dei vertici, dal consiglio di amministrazione ai nuovi direttori, di viale Mazzini. È una questione democratica”.
Le sconfitte di Casalino. Eppure Casalino torna nel Movimento, dovendo accettare qualche battuta d’arresto. La formula contrattuale, suddivisa tra Montecitorio e Palazzo Madama, rappresenta una vittoria per lo staff di comunicazione della Camera. Nelle scorse settimane è stata netta l’opposizione all’ipotesi di cambio ai vertici. L’attuale capo ed ex portavoce di Alfonso Bonafede, Andrea Cottone, è stato difeso dai colleghi, soddisfatti della gestione del team, mettendo le cose in chiaro: nessun veto sul ritorno del portavoce di Conte. Ma solo a patto che non avesse preteso di dettare legge come accadeva nella scorsa legislatura. E così è stato, Casalino rientra come uno tra i tanti, almeno nell’organigramma. Come se non bastasse, stando alle notizie apprese da IlGiornale.it, Casalino ha dovuto accettare un ridimensionamento dello stipendio, rispetto ai circa 170mila percepiti negli ultimi tempi a Palazzo Chigi. La cifra non è nota (i gruppi non sono tenuti a rendere pubbliche le remunerazioni delle persone assunte), ma c’è chi parla quasi di un dimezzamento. Una decurtazione c’è stata, dunque. Ma su un livello comunque importante, tanto che sono state registrate tensioni con il capogruppo alla Camera, Davide Crippa. E questo rende necessario tenere uniti i gruppi del Movimento: le risorse economiche delle Camere sono distribuite in base al numero di parlamentari iscritti. “Conte deve stare attento. Con un’altra fuoriuscita di massa, come si paventa, i conti potrebbero andare in sofferenza, nonostante la gestione oculata”, osserva un parlamentare.
Stefano Iannaccone. Irpino di nascita, classe '81, vivo e lavoro a Roma dal 2005. Sono giornalista politoc-parlamentare e scrittore. Dagli studi in Scienze della Comunicazione ai primi passi nel mondo del giornalismo, sono trascorsi sati qualcosa come due decenni. Oltre che per IlGiornale.it scrivo per Panorama, IlFattoquotidiano.it, Impakter Italia e Fanpage. In passato ho lavorato per il quotidiano La Notizia e Lettera 43. Mi aggiro per i Palazzi della politica, in particolare Montecitorio. Quindi, le inchieste sugli sprechi, la politica in ogni sua sfaccettatura sono alla base del mio lavoro. Ma mi occupo anche di esteri e attualità. E sogno di seguire, da inviato, un Giro d'Italia. Finora (spero che ce ne siano altri) ho scritto cinque libri. L'ultimo è un romanzo, intitolato, Piovono bombe (edito da Les Flâneurs).
Da vigilanzatv.it il 22 maggio 2021. Sedicimila copie in tre mesi. Ecco il totale delle vendite de Il portavoce, autobiografia di Rocco Casalino, ex braccio destro dell'ex Presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Colui che si vantava di vendere più di Barack Obama, come rilanciato anche da Dagospia, ribadendolo coram populo anche a Striscia La Notizia nell'intervista con Pinuccio di Rai Scoglio 24, e che per settimane è stato invitato pedissequamente nei talk show, specie quelli Rai, a presentare nelle vetrine televisive più prestigiose la sua fatica letteraria, ha quindi fatto flop in libreria. "A che titolo viene invitato?", si domandava poco tempo fa il Segretario della Commissione di Vigilanza Rai Michele Anzaldi (Iv), quando uscirono dati dell'Agcom secondo i quali la frequenza dell'ex gieffino nella programmazione Rai era seconda solo a quella del Presidente del Consiglio Mario Draghi. L'On. Anzaldi sollevava l'interrogativo a ragione, visto che la presentazione del libro sembrava perlopiù un espediente per fare propaganda pro Conte e pro M5s, e quindi le presenze televisive del suo ex portavoce come tale avrebbero dovuto essere conteggiate come quelle di un esponente politico. In ogni modo le comparsate di Casalino hanno giovato a tutto meno che alle sue memorie, le quali per l'appunto ristagnano da mesi nelle vendite in libreria. La perplessità del Segretario della Commissione di Vigilanza Rai sulla "politicizzazione" di Casalino ha tanto più fondamento quando si scopre che, al momento, Conte vorrebbe farlo tornare a occuparsi della comunicazione dei gruppi parlamentari grillini, con deputati e senatori pentastellati che - secondo Lisa Di Giuseppe in un articolo pubblicato su Domani - non vedrebbero assolutamente di buon occhio questo repechage. Nel caso l'operazione non dovesse andare in porto, gira anche voce che vi siano dei contatti da Mediaset per averlo come inquilino del prossimo Grande Fratello (dove Rocco mosse i primi passi) ma questa volta in versione Vip. Si attendono sviluppi.
Lisa Di Giovanni “Domani” il 22 maggio 2021. Il grande ritorno di Rocco Casalino potrebbe riportarlo dove è partito: alla comunicazione dei gruppi parlamentari del Movimento 5 stelle. Alcuni parlamentari danno il rientro «a brevissimo, tra pochi giorni», e nelle squadre che assistono deputati e senatori sta già salendo una certa tensione. I motivi sono evidenti: a un peso massimo come Casalino – e ai suoi due collaboratori più stretti, Maria Chiara Ricciuti, già data a capo della comunicazione del Senato, e Dario Adamo, ex social media manager di palazzo Chigi – bisognerà innanzitutto trovare uno spazio, organizzativo ed economico, che si fatica a trovare. La scalata di Casalino nella comunicazione del partito fondato da Beppe Grillo era iniziata proprio al Senato, dove era arrivato nella scorsa legislatura dopo una breve esperienza nel Movimento lombardo: in quella attuale avrebbe dovuto ricoprire il ruolo apicale nell’organizzazione della Camera, ma la nomina di Giuseppe Conte alla presidenza del Consiglio gli offrì l’occasione per una promozione istantanea. Adesso il ritorno crea non pochi problemi al Movimento.
I problemi. Il trattamento economico dell’ex portavoce del presidente del Consiglio, innanzitutto, svuoterebbe le casse di partito che ultimamente, dopo la riorganizzazione dei contributi dei parlamentari, già piangono miseria. I soldi che il capo politico Vito Crimi ha chiesto agli eletti per le spese di partito dopo il divorzio con Rousseau sono arrivati in misura molto minore di quanto ci si aspettasse, e non si tratta di un’entrata stabile e cospicua su cui fare affidamento per concludere un contratto. In più, potrebbero presto essere necessari fondi per affrontare la sfida legale con Rousseau, per immaginare di prendere una sede e trasformare in realtà il piano di rilancio immaginato da Conte. Per riportare ufficialmente nel Movimento Casalino bisognerebbe quindi attingere al budget del gruppo della Camera. Si tratta di fondi che sono sì abbondanti, ma hanno subito un netto calo a causa degli addii di molti parlamentari: per ciascun membro, la Camera assegna 55-60mila euro l’anno. C’è però una formalità che complica la situazione: almeno sulla carta, infatti, questo denaro dovrebbe essere speso a beneficio dei deputati. È però improbabile che il più stretto collaboratore di Conte possa dedicare una grossa quantità di tempo ai deputati, soprattutto in una fase delicata di rilancio come quella attuale. Per far quadrare i conti, poi, oltre a questa manovra, alcune fonti mettono in conto anche la riconsiderazione dell’affitto di una sede nei pressi del parlamento, una delle novità presentata da Conte nel suo piano di rilancio: oltre all’appartamento a via di Campo Marzio potrebbero essere sacrificati anche alcuni membri dell’attuale squadra della comunicazione. C’è su questo fronte anche una questione organizzativa: a Casalino andrà trovato un ruolo, che difficilmente non sarà quello di capo, una modifica che comporterebbe un declassamento di chi già lavora per i grillini di Montecitorio. L’alternativa è la creazione di un ruolo ad hoc, ma andrà verificato che sia compatibile con i controlli della Camera. Attualmente la casella più di rilievo nella comunicazione dei Cinque stelle di Montecitorio è occupata da Andrea Cottone, ex portavoce di Alfonso Bonafede quando era ministro, e vicino a Ilaria Loquenzi, altra figura chiave nella comunicazione del primo Movimento. Cottone aveva sostituito Fabio Urgese, una scelta che non era piaciuta al portavoce di Conte. Urgese era stato nominato da Casalino stesso quando questo, all’inizio della legislatura, aveva lasciato il posto per traslocare nell’ufficio di palazzo Chigi (quello grande che aveva sostituito lo «sgabuzzino» che i portavoce utilizzano tradizionalmente).
La carriera da scrittore. All’interno dei gruppi pentastellati si tiene molto alla gestione ordinata dei contratti dei collaboratori e anche Casalino ne beneficerà: che il suo nome valeva parecchio si poteva dedurre anche dal generoso anticipo che Piemme gli aveva corrisposto per l’opera autobiografica Il portavoce. Chi conosce i dettagli parla di un centinaio di migliaia di euro. Nei giorni successivi all’uscita del libro, a metà febbraio, Casalino si vantava di stare «vendendo più di Barack Obama»: non è andata proprio così. Ad oggi, in tre mesi abbondanti sul mercato, Il portavoce ha venduto poco più di 16mila copie: per fare un paragone, Giorgia Meloni, in libreria con Io sono Giorgia dall’11 maggio, soltanto nella prima settimana ha venduto 17mila copie. È vero che si tratta di un altro profilo, più noto al pubblico, e che il prodotto di Casalino non può sfruttare i contenuti di programma che occupano un ampio capitolo del libro della leader di Fratelli d’Italia, ma di certo la distanza con lei (e con Una terra promessa di Obama) rimane incolmabile. Meglio forse tornare a gestire lo spin del Movimento e di Conte, possibilmente da un ampio ufficio di Montecitorio.
Dagospia l'8 gennaio 2021. Lite tra Rocco Casalino e Solange a "Buona Domenica" 2004-2005.
Solange: come meno male?
Casalino: No, dico, meno male
Solange: Cioè tu non sei, veramente, né pesce né uccello. Anzi un po’ uccello sei, con le scarpe che c’hai. (…) Sei finto, falso e ipocrita. Lo sei, perché quando eravamo in camerino prima tu hai detto “mi vesto da maschietto, oggi voglio fare lo chic …”
Casalino: ma che ne sai tu del camerino che passi la maggior parte del tempo nei bagni per farti accarezzare dai camionisti. (…) vorrei che si notasse la differenza tra me e lui: lui è donna al 98 per cento. Io sono donna al 20%. Poi io posso ancora procreare. Tu non potrai mai procreare…
Da “il Messaggero” il 5 febbraio 2021. «C'entra l' omofobia ovviamente, è chiaro». Così Rocco Casalino in un colloquio con il Foglio, commentando i pessimi rapporti con Renzi (in foto), al punto che il leader di Iv sarebbe arrivato a chiederne il licenziamento. Quell' accusa di omofobia a Renzi non è andata giù. E ieri ha deciso di querelare.
Elisa Porcelluzzi per ilsussidiario.net il 10 marzo 2021. Ospite di Serena Bortone a Oggi è un altro giorno, Rocco Casalino torna a parlare del rapporto con i suoi genitori ma anche di quello con la sua sessualità. La conduttrice ricorda di storie avute con donne prima di dichiararsi gay – oggi sarebbe legato a Josè Carlos Alvarez Aguila – così gli chiede se possa definirsi bisessuale. Casalino però nega: “Bisessuale? L’ho fatto per un tempo ma credo di essere gay. Secondo me si può essere etero e avere esperienze con gli uomini e viceversa. Uno dentro di se secondo me la prova la sua identità, non c’è davvero tutta questa confusione.” Ad oggi, Casalino ammette di non essere ancora riuscito ad accettarsi: “Accettarmi? Secondo me non l’ho fatto ancora, nel mio caso è molto complicato.” (Aggiornamento di Anna Montesano)
Rocco Casalino, ex portavoce di Giuseppe Conte, è ancora legato a Josè Carlos Alvarez Aguila. “Io e Josè andiamo verso i 7 anni insieme. Abbiamo alti e bassi, come penso sia normale. Quando ho scritto il libro “Il portavoce” stavamo vivendo un momento bassissimo e quindi su di lui non sono stato proprio carino. In realtà, è una persona importante nella mia vita e ora stiamo molto bene insieme. Mi sta molto vicino ed è nei momenti difficili che vedi veramente le persone che ti vogliono bene”, ha detto Casalino qualche settimana fa ospite a Verissimo. Lo scorso luglio, infatti, il quotidiano La Verità aveva svelato che Aguila era stato segnalato dall’Antiriciclaggio per alcune operazioni di trading online da alcune migliaia di euro, con flussi di denaro ritenuti sospetti, gettando ombre sulla sua relazione con Casalino. Il conto corrente intestato al fidanzato del portavoce del premier, scriveva il quotidiano diretto da Maurizio Belpietro, aveva registrato movimenti per circa 150mila euro, nonostante fosse “alimentato” solo dal sussidio di disoccupazione e da “modesti bonifici senza causale provenienti dal compagno”. Al Corriere della Sera, Rocco Casalino aveva spiegato che durante il lockdown il fidanzato Josè Carlos Alvarez Aguila si era iscritto a un corso per trading: “Josè è stato adescato, è vittima di ludopatia. Basta vedere i versamenti compulsivi che ha fatto. Si è giocato 18 mila euro in due mesi. Questi siti online sono pericolosi, molti ci cascano”, rivelando che la loro relazione era in crisi da tempo e che si stavano lasciando. Qualche mese dopo, a settembre 2020 Rocco Casalino e il fidanzato, più giovani di 18 anni, sono stati paparazzati dal settimanale Chi in Salento. Il portale Dagospia, inoltre, aveva riportato ulteriori dettagli: “Ieri sera i due sono stati avvistati sul turbolento volo Brindisi-Roma, funestato dal maltempo e atterrato alle 20.30 a Fiumicino. All’arrivo si sono scambiati baci ed effusioni come due scolaretti in preda agli ormoni”.
Il portavoce di Conte. Rocco Casalino sbaracca da Palazzo Chigi: “Renzi? È stato bravo”. Antonio Lamorte su Il Riformista il 4 Febbraio 2021. Rocco Casalino si sente libero. “Respiro”, dice in una chiacchierata a Il Foglio. Smonta da Palazzo Chigi, il portavoce del Presidente del Consiglio dimissionario, e ancora in carica per gli affari correnti, Giuseppe Conte. L’hanno raccontato come un premier ombra, l’eminenza nemmeno troppo grigia dell’esecutivo, il protagonista di una parabola emblematica dagli studi del Grande Fratello alla Presidenza del Consiglio. “Qua a Palazzo Chigi nessuno è triste, ve lo giuro. È stata davvero pesante. Non pensavo. Sono stati due anni difficilissimi: il ponte Morandi, la pandemia …”. E infatti il 16 febbraio esce il suo libro, Il Portavoce, per edizioni Piemme. Che storia. Per sbaraccare il suo ufficio a Palazzo Chigi servirà una ditta di traslochi, come scrive Il Corriere della Sera: è grande quanto un campetto di calcetto. Nessuno è scontento comunque, la voce allegra, ma Augusto Minzolini ha pubblicato un vocale di 3 giorni fa: “Amore, ci sarà un Conte ter, stai tranquillo”, la voce di Rocco Casalino. E invece: Mario Draghi incaricato dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. “Meglio lui di un altro”, osserva, anche se i giornali avevano malignato che saputo dell’incarico all’ex Presidente della Banca Centrale Europea, il portavoce aveva invitato il Movimento 5 Stelle a non votare la fiducia. Maledette malelingue. Riconosce che “Renzi è stato bravo. D’altra parte col 2 per cento dove andava? Ora ha una possibilità di salvezza”. Due anni bellissimi, per citare il premier, e difficilissimi. Di “Codice Rocco”, com’è stato definito. Quello che decideva su ospitate e interviste e convenevoli con i capi di Stato; di gaffe straordinarie, dal vocale spazientito dopo la tragedia del Ponte Morandi a Genova allo screenshot della posizione in Libia per la liberazione dei pescatori; di conferenze stampa a reti unificate e con lui di poco fuori fuoco rispetto al Premier. Due anni anche di bufera: sempre al centro del bersaglio, per esempio dello stesso Renzi, che aveva spinto per le dimissioni. “C’entra l’omofobia ovviamente”, osserva Casalino nella chiacchierata. E smentisce qualsiasi tipo di astio tra lui e il leader del M5s Luigi Di Maio. Figlio di un operaio e di una commessa, emigrati in Germania, dov’è cresciuto lui, Rocco, laurea in ingegneria a Bologna, il reality che ha cambiato la televisione, alla prima edizione, 48 anni, e oggi finalmente libero. Un romanzo italiano.
"Cosa penso di Renzi e Salvini". Adesso Casalino vuota il sacco. A Live-Non è la d'Urso, Rocco Casalino ha raccontato il "suo" premier Conte svelandone il futuro e incalzato ha detto cosa pensa davvero di Renzi e Salvini. Francesca Galici - Lun, 22/02/2021 - su Il Giornale. Rocco Casalino è stato domenica ospite di Barbara d'Urso a Live-Non è la d'Urso, il programma di intrattenimento e approfondimento della domenica sera di Canale5. L'ex portavoce del presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ha rivelato le proprie simpatie e antipatie per gli altri leader politici. Ma, soprattutto, Casalino non ha mancato di elogiare l'ex premier, seguendo quel fil rouge di narrazione quasi agiografica su Conte che lo stesso portavoce ha portato avanti nei due anni passati. L'ex gieffino si dice onorato di aver lavorato "con l'uomo e col politico" Giuseppe Conte, sottolineandone le qualità umane dimostrate in tempo di pandemia. Giuseppe Conte aveva pieni poteri? Assolutamente no, assicura Casalino durante l'intervista cercando di smarcare il "suo" premier da una delle accuse più frequenti che gli sono state mosse durante l'ultimo anno: "C'erano una serie di incontri con i capi delegazione. Incontri continui e discussioni". Nonostante il suo fosse un ruolo da portavoce, e non da politico, Rocco Casalino ci ha tenuto a sottolineare che "noi cercavamo sempre la sintesi politica". Un plurale maiestatis che probabilmente nasconde ben altro dietro l'etichetta di portavoce, che all'ex gieffino è sempre stata un po' stretta. Dopo la sviolinata a Giuseppe Conte, con il quale rivendica un'amicizia che si è rafforzata durante la pandemia, Rocco Casalino incalzato da Barbara d'Urso ha rivelato i piani per il futuro dell'ex premier: "Credo che gli italiani lo vogliano di nuovo a Chigi. Siccome non manca moltissimo alle elezioni, 2 anni o forse anche meno, io mi preparerei per la campagna elettorale, per farlo tornare a Chigi con il voto degli italiani". Rocco Casalino parla con una malcelata sicumera quando dice che gli italiani rivorrebbero Conte presidente del Consiglio ed è in difficoltà quando la conduttrice gli chiede se questo significa scendere in campo con un proprio partito: "Non è necessario, adesso vedremo. Lo valuterà lui, non voglio parlare per lui ma ci sono diverse opzioni". A Live, quindi, Rocco Casalino ha lasciato intendere che Giuseppe Conte potrebbe prendere la guida del M5S, magari mettendosi a capo della corposa fronda dissidente che non ha dato la fiducia a Mario Draghi e della quale si discute l'espulsione. Barbara d'Urso non ha mollato il colpo e dopo aver fatto parlare Casalino sulle sue esperienze con i leader e i capi di Stato esteri punta l'intervista sulla crisi di governo che ha portato alla caduta di Giuseppe Conte, chiedendo se la mossa di Renzi possa definirsi come tranello o complotto. "Quando sei leader di un partito e questo ha solo il 2%, quindi non ha il consenso dell'opinione pubblica, ma hai 50 parlamentari, sei disposto a tutto pur di salvare il tuo partito. Quindi devi creare uno spazio politico con un terremoto. Lo trovo legittimo dal punto di vista politico, però farlo durante una pandemia trovo che sia immorale". La conduttrice ha, quindi, colto il momento per una domanda a bruciapelo: "Ti sta simpatico Matteo Renzi?". Domanda alla quale Casalino ha risposto senza pensarci troppo: "No, proprio no. Paradossalmente Salvini umanamente e a pelle mi è un po' più simpatico. Renzi a pelle no". Sempre con la sicumera malcelata che ne ha contraddistinto la carriera degli ultimi due anni a Palazzo Chigi, Rocco Casalino ha criticato l'atteggiamento politico sia di Salvini che di Renzi ed è tornato al plurale maiestatis quando ha affermato che "quando sei a Palazzo Chigi ti rendi conto della grande responsabilità che abbiamo noi, chi governa, perché l'interesse generale dev'essere al primo posto altrimenti fai male. Conte è stato un faro". Nel suo libro, Rocco Casalino ha dedicato un paragrafo anche a Barbara d'Urso e al suo ruolo televisivo che si incastra nello scenario politico. C'è stato un tempo in cui i grillini non potevano metter piede nei suoi salotti, pena l'espulsione, e lo stesso Casalino, a distanza di molti anni, ne ha spiegato il motivo: "Quando tu facevi le puntate contro il MoVimento andavamo in panico e dicevamo: 'Adesso andiamo in panico e perdiamo 1-2 punti'. Ed era vero, perdevamo punti nei sondaggi sempre quando tu ci attaccavi. Quando ci attaccavano gli altri o non perdevamo nulla o ci guadagnavamo. Credo di averlo capito in un tempo in cui non tanti politici, sai... Poi l'hanno capito capito tutti e ora sono tutti a fare la fila per venire da te".
Come si cambia: Casalino su Radio Radicale intervistato dalla compagna di Luigi Di Maio. La Repubblica il 19 febbraio 2021. Lontani i tempi della lotta contro la chiusura che volevano i Cinque stelle capeggiati da Vito Crimi, il «gerarca minore» di Massimo Bordin. Adesso Virginia Saba e Irene Testa intervistano l’ex portavoce di Palazzo Chigi: “Ciao Rocco, c’è stato un giornalista particolarmente duro con te?"
«Ciao Rocco, quali giornalisti ti hanno dato particolarmente fastidio in questi anni?». Siccome tutto cambia e niente resta, adesso tocca sentire Rocco Casalino, anima mundi della comunicazione Cinque stelle e negli ultimi tre anni portavoce del premier Conte, parlare non soltanto in tutto l'orbe mediatico, ma anche dalle frequenze di Radio Radicale. La radio cioè che proprio i Cinque stelle tentarono di far chiudere, dopo oltre quarant'anni di trasmissione, per dimostrare che loro, pur ormai assisi comodamente al governo, erano lì ancora per far fuori la “kasta”. La casta era, in modo inspiegabile, precisamente la radio fondata fra gli altri da Marco Pannella e Massimo Bordin: i grillini l'avevano presa a simbolo di tutto il male possibile dei famosi «contributi pubblici all'editoria». All'epoca, fu per certi versi d'aiuto, quel clamoroso abbaglio: semplificò il quadro. Se l'obiettivo era Radio radicale, infatti, si trattava chiaramente dell'obiettivo sbagliato. E fu facile fare le squadre. Di qua c'era il sottosegretario Vito Crimi, il «gerarca minore» che voleva chiudere la radio, di là tutti gli altri. Ecco adesso, sarà la confusione dei tempi, sarà il governissimo di Mario Draghi che tutto mescola. Mentre persino la stella minore di Crimi è in declino, mentre c'è chi pensa che Conte possa federare la sinistra, a Radio Radicale abbiamo Rocco Casalino. Che, in uno spirito pannellian-libertario portato al parossismo, ha pure grazie a Radio Radicale la squisita possibilità di stilare la sua personale lista postuma dei giornalisti cattivi - una pratica quotidiana sul blog di Grillo, la proscrizione, per la quale senz'altro la comunicazione Cinque stelle ha un debole, ma difficilmente ascrivibile nel novero delle pratiche liberali e libertarie. E chi dà questa occasione, chi domanda: «C'è stato un giornalista particolarmente duro, rispetto al quale vuoi toglierti un sassolino dalla scarpa e dire che ha esagerato»? Non chiunque. È Virginia Saba, giornalista (al pari del resto di Casalino), e nella vita compagna di Luigi Di Maio, ex capo dei Cinque stelle e attuale ministro degli Esteri. Su Radio radicale Saba conduce infatti una rubrica fissa, Lo stato del diritto, insieme con la tesoriera del partito radicale, Irene Testa. Con l'uscita del libro “il Portavoce”, è parso questo senz'altro lo spazio più opportuno, per ospitare un'intervista all'autore Rocco. E dargli ad esempio l'occasione di ricordare, ma per puro caso, quanto sia stata «magnifica» proprio la campagna elettorale «fatta da Luigi Di Maio»: «Uno che lavora giorno e notte», ha spiegato flautato Casalino, «e mi fa sorridere, quando viene criticato ora: non ci si ricorda quanto dobbiamo a lui». Queste ed altre, tutte frasi e circostanze da annotare, per raccontare questi tempi. Nell'attesa magari che, nel rinnovato spirito radicale, arrivi direttamente una Francesca Verdini, compagna di Salvini a intervistare Luca Morisi, alias Bestia del leader leghista. Ma già non sarebbe la stessa cosa, in effetti.
L'ex portavoce di Palazzo Chigi resta fedele a Conte. Casalino non lascia ma raddoppia: “Il mio futuro? Forse in Parlamento. Il discorso di Draghi manca di empatia”. Rossella Grasso su Il Riformista il 18 Febbraio 2021. “Nel mio futuro vedo ancora la politica, forse un ruolo parlamentare”. Così Rocco Casalino, l’ex portavoce di Palazzo Chigi in un’intervista a Sky Tg24 annuncia di non avere intenzione di ritirarsi dalla politica. “Già in passato avevo pensato a candidatura ma poi ho sempre rinunciato, forse ho paura del giudizio degli elettori, un po’ di paura di mettermi in corsa”, ha detto. E non manca di consegnare a Draghi e alla sua nuova portavoce critiche sull’operato che un tempo era nelle sue mani: “Draghi è rimasto nel suo stile, non c’è stato nessun lavoro di un esperto di comunicazione. Molto naturale, non studiato, un discorso lungo. Ma un po’ di elite. Manca un po’ di empatia secondo me”. A pochi giorni dall’uscita del suo libro “il Portavoce”, Casalino continua il suo tour televisivo parlando della sua vicenda personale e professionale. Quest’ultima continuerebbe a essere legata a Giuseppe Conte. “Dipende anche da cosa farà lui – dice il grillino credo di aver servito lo Stato e imparato tante cose, il flusso naturale potrebbe essere il Parlamento”. A proposito di un possibile ruolo di leader della coalizione M5S-Pd-Leu per Giuseppe Conte ha detto: “Sento spesso il presidente, ora è in una fase in cui sta facendo diverse valutazioni, siamo usciti da pochi giorni da Chigi e deve fare un suo percorso. La mia impressione è che se dovesse assumere un ruolo alla Prodi, so per esperienza che se un leader non dà un riferimento diretto a un partito e non si sporca le mani in campagna elettorale, dicendo semplicemente ‘votate la coalizione’, chi vota M5S continua a votare M5S, chi vota Pd continua a votare Pd, chi vota Leu, Leu. Adesso abbiamo ancora un gap con il centrodestra di 7-8 punti e quelli non si recuperano con un leader di coalizione: serve un leader di partito”. E rimane invariata la sua fiducia e stima per l’ex premier: “L’unico presidente del Consiglio nella storia della Repubblica che ha mantenuto un consenso alto nei tre anni in cui ha governato è Giuseppe Conte. E c’era questo trend anche prima della pandemia, quindi non c’entra la pandemia. Ora vediamo Draghi: è partito con un consenso altissimo, ora già potrebbe calare perché non a tutti piacciono i ministri che ha scelto”.
Da liberoquotidiano.it il 7 febbraio 2021. Lele Mora un fiume in piena. Quando si parla di Rocco Casalino l'ex agente dei vip non si risparmia: "Il consiglio che gli darei è quello di fare un bagno di umiltà. È andato oltre al suo ruolo di portavoce e forse, visto che era abituato alle telecamere, ha pensato che fosse un Grande Fratello politico. Ma se fai politica devi rispettare i ruoli che ti hanno assegnato, soprattutto se sono molto importanti''. Mora racconta all'Adnkronos il più grande errore commesso dal capo ufficio stampa del premier uscente. Quale? Presto detto: "Allora il Gf dava grande popolarità a tutti, le luci della ribalta e le telecamere attirano molto, forse per questo ha commesso degli errori". L'accusa dunque è quella di aver "peccato di esuberanza, di protagonismo e non ha capito che se sei l'ufficio stampa e il portavoce del presidente del Consiglio devi dare solo delle notizie meritocratiche sul ruolo che tu hai". Poi la frecciata a Giuseppe Conte: "Non è una 'primadonna' ma un Primo ministro!". Il sospetto di Mora è che Casalino volesse essere visto da tutti. Motivo questo che l'avrebbe spinto ad apparire a fianco dell'ex presidente del Consiglio sempre e comunque. "Sia chiaro, Rocco è una persona molto intelligente e preparata - spiega ancora questa volta usando parole più morbide - è un ingegnere, quello che lui si è costruito in politica l'ha fatto da solo, senza che nessuno lo appoggiasse. Viene dalla Puglia, è un bravo ragazzo, ha solo peccato di leggerezza". Ora come ora per l'ex agente Casalino avrà grandi difficoltà: "Sarà molto difficile ricostruirsi un'immagine perché sarà sempre schedato come uno pieno di sé, un marchio difficile da togliersi". Diverso invece il parere di Marina La Rosa. Da sempre amica dell'ex capo comunicazione di Palazzo Chigi, l'attrice punta il dito contro chi lo accusa: "È tutta invidia", ha commentato correndo in aiuto di Casalino.
Da liberoquotidiano.it il 5 febbraio 2021. Marina La Rosa corre in difesa di Rocco Casalino. I due hanno condiviso un'esperienza televisiva: il Grande Fratello. E nei giorni in cui il premier Giuseppe Conte si appresta a lasciare Palazzo Chigi, il suo portavoce viene preso di mira. "Sto leggendo tante cose assurde, ho letto i giornali stamattina, e ne esce il profilo di una persona quasi imbecille. La verità è una: alla gente gli rode il culo, purtroppo non mi viene un francesismo per tradurre il concetto". L'attrice, da sempre vicina a Casalino, non le manda di certo a dire e all'Adnkronos rincara la dose: "Purtroppo le persone, appena si presenta l'occasione di parlare, non fanno minimamente appello all'intelligenza, anzi: non vedono l'ora di buttarti la merda addosso". Per Marina La Rosa le critiche arrivate all'ex capo ufficio stampa sono frutto dell'invidia. "Dal giornalista all'ultimo stronzo della terra, si alzano per sparare a zero, soprattutto su persone come lui". Una persona "intelligente", la definisce invece l'amica, "altrimenti non sarebbe arrivato a ricoprire quella carica così importante, che non era solo di semplice portavoce, ma era una carica di grande fiducia di cui godeva da parte del presidente Conte". Non manca poi la domanda sul presidente del Consiglio che deve dire addio alla carica dopo lo strappo di Matteo Renzi: "È andata come è andata, ma faccio presente che c'è una crisi in corso, una pandemia, l'ultima è stata la peste. Qualunque persona ci fosse stata al governo sarebbe stata in crisi, e Conte ha gestito la situazione nel migliore dei modi. Rocco ha fatto il suo lavoro, l'ha fatto benissimo fino all'ultimo". Un commento che in molti non condividerebbero. Infatti sull'operato del premier e del suo fedelissimo l'opinione pubblica non si divide. Per tutti la gestione dell'emergenza sanitaria ed economica è stata un vero disastro.
Giada Oricchio per iltempo.it il 26 febbraio 2021. A “Piazzapulita”, il programma di Corrado Formigli su LA7, giovedì 25 febbraio, Rocco Casalino “dimentica” il collegamento di Giuseppe Conte con il programma Mediaset “Live – Non è la D’Urso”: “Non è mai andato” esclama. Ma non è vero. Rocco Casalino, ex portavoce del M5S e del premier Giuseppe Conte, è stato ospite di Corrado Formigli che gli ha ricordato tutti i no ad avere nella sua trasmissione esponenti del Movimento per una serie di scoop che danneggiavano l’immagine edulcorata del partito fondato da Beppe Grillo. Quasi al termine di un’intervista in cui è stato messo più volte in difficoltà da Formigli, Casalino ha commentato il tweet del segretario del Pd, Nicola Zingaretti, a favore di Barbara D’Urso poiché la trasmissione “Live – Non è la D’Urso” sarà chiusa in anticipo. “C’è stata una polemica terribile, hanno sbranato Zingaretti fuori e dentro il partito, voglio il parere del comunicatore Casalino, fossi stato tu il portavoce lo avresti consigliato così? Tu li hai mandati tutti dalla D’Urso, Di Maio, Di Battista, da noi no, mai, da lei sì, tutti…” è stata la freccia tirata con tutto l’arco da Formiglie e Casalino ha risposto clamorosamente: “Conte non è mai andato… credo che ci sia un atteggiamento snob verso alcuni programmi, alcuni sono considerati di serie A e altri di serie B. Non lo so se lo avrei fatto, onestamente non lo so, ma l’attacco a Zingaretti per un tweet mi sembra ingiusto”. Giuseppe Conte è stato ospite di “Live Non è la D’Urso” esattamente un anno fa, il 23 febbraio 2020, quando iniziò la pandemia. L’allora presidente del Consiglio si collegò dalla sala operativa della Protezione Civile e alla D’Urso che annunciò che gli avrebbe dato del tu, rispose: “Faccia pure, faccia pure”.
Da vigilanzatv.it il 15 febbraio 2021. Casalino ospite da Lilli Gruber con Scanzi e Severgnini. Rimpatriata fra M5s, Cairo e Fatto Quotidiano. Questa sera, lunedì 15 febbraio 2021, alle 20.30 su La7, Lilli Gruber accoglierà a 8 e 1/2 come ospite speciale Rocco Casalino, ex portavoce dell'ex Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, e ora - dopo l'insediamento del governo di Mario Draghi - tornato semplice "attivista del M5s", per usare le sue parole. Da Lilli, Casalino presenterà il suo libro Il portavoce - La mia storia, e avrà modo di raccontare i due anni trascorsi a Palazzo Chigi in qualità di influentissima eminenza grigia di Conte. Gli altri ospiti della puntata di questa sera sono Andrea Scanzi, prezzemolino televisivo firma del Fatto Quotidiano, e il giornalista del Corriere della Sera Beppe Severgnini. Una rimpatriata, quella nel salotto di Lilli, che - come Dagospia aveva già segnalato in varie occasioni - riunisce ancora una volta sotto lo stesso tetto M5s, Fatto Quotidiano, La7 e Corriere della Sera (gli ultimi due di proprietà di Urbano Cairo, artefice qualche settimana fa di un endorsement all'ex Presidente del Consiglio pentastellato, auspicando un Conte Ter).
Da liberoquotidiano.it il 15 febbraio 2021. Giuseppe Conte e Rocco Casalino sono ufficialmente fuori da Palazzo Chigi, dove ieri si è insediato Mario Draghi, eppure per il momento nulla è cambiato a livello di informazione sulla Rai. La denuncia arriva da Michele Anzaldi, deputato di Italia Viva e membro della commissione di vigilanza Rai, che ha fatto notare l’asservimento ancora esistente nei confronti dell’ormai ex presidente del Consiglio. “Se avessi il numero del portavoce del neopresidente Draghi - ha scritto su Facebook - gli manderei questo messaggio: ‘Caro collega, il tuo prestigioso incarico dovrà fare i conti con molte situazioni critiche. In particolare dovrai rapportarti con una Rai che in questi mesi ha toccato il fondo, raggiungendo livelli di faziosità e partigianeria mai visti”. Poi Anzaldi è entrato nello specifico, limitandosi a portare gli esempi delle ultime ore: “Il Tg1 che interrompe la diretta sull’insediamento del nuovo governo Draghi dimenticando e ignorando completamente il passaggio della campanella; una conduttrice Rai come Luisella Costamagna, chiamata addirittura dall’esterno, che ad Agorà su Rai3 esprime giudizi contro il nuovo governo credendo di essere ancora uno dei tanti opinionisti del Fatto Quotidiano che occupano tutte le trasmissioni Rai (“alla faccia della discontinuità”, ha detto commentando la lista dei nuovi ministri)”. Ma non è finita qui perché l’elenco del deputato renziano è ancora lungo: “I tg Rai, in particolare il Tg1 delle 13.30 di ieri, che hanno dato più spazio all’applauso dei dipendenti di Palazzo Chigi a Conte (una consuetudine che ha accomunato tutti gli ultimi presidenti del Consiglio Letta, Renzi, Gentiloni, ma il tg non lo ha ricordato) che al picchetto d’onore per il nuovo presidente Draghi. Una situazione grave - ha chiosato Anzaldi - che merita al più presto l’attenzione del nuovo governo”.
Rocco Casalino, ministro dell’inopportunità. Luca Bottura su L'Espresso l'1 marzo 2021. L’ex portavoce di Giuseppe Conte, in tour sui media per promuovere il suo libro, non risparmia neanche attacchi violenti a un giornalista che non c’è più come Vittorio Zucconi. In una chiacchiera radiofonica con Massimiliano Panarari mi è recentemente capitato di ragionare sulla generazione Mediaset dei politici. Una nidiata estesa che va dai casi conclamati - Renzi, Salvini - ad altri solo culturali, figli naturali di Berlusconi senza neanche averlo sfiorato, fino a Rocco Casalino, che proviene com’è noto dai lombi del Grande Fratello I, la stele di Rosetta dei reality, il momento preciso in cui la comunicazione italiana ha stabilito una sorta di estensione del celebre principio di Warhol: nel nostro Paese, ognuno può essere eletto per quindici minuti. Tra questi figuri per cui un’ospitata a “La Sai L’Ultima” equivale alla guida di un partito, si staglia l’ex portavoce di Giuseppe Conte Uno e Bis, il quale esonda da qualche giorno su tutti gli schermi per presentare il suo libro, “Il Portavoce”, che per circa 800 pagine ne narra l’infanzia, e si conclude con alcuni dettagli residuali sulla sua carriera politica. La lettura de “Il Portavoce” è consigliata a chi voglia meglio ritenere il pastiche emotivo/antropologico/autoritario che ha generato una figura comunque decisiva della nostra storia recente. Specie ora che i Cinque Stelle ripuliti ambiscono alle nozze con la sinistra moderata e l’avvocato del popolo è diventato, forse persino suo malgrado, un incrocio tra Di Vittorio, Gramsci e una bacheca de l’Unità. Davanti alle telecamere, Casalino risulta titubante, preda com’è di un italiano spesso rudimentale dovuto alla sua lunga permanenza in Germania. Ma suscita una sorta di empatia, come direbbe lui, quasi intangibile. Quasi, perché qualche giorno fa è stato ospite di Radio Capital, nel programma degnissimamente condotto da Edoardo Buffoni e Mary Cacciola. E ha colto l’occasione per distillare non tanto il proprio rancore ottuso e inestinguibile, quanto soprattutto il proprio analfabetismo culturale che lo rende, ad oggi, ancora pericoloso. Casalino ha infatti attaccato con parole faticose e pedestri («Diceva cose sbagliate di noi», «Il peggior giornalista…») l’uomo che di Capital era stato fino alla sua scomparsa la bandiera: Vittorio Zucconi. I suoi interlocutori hanno reagito come meglio non potevano. Ma la sola idea di perpetrare un affronto del genere proprio lì, in quel contesto, su quelle onde che anche il vostro scriba ha condiviso e amato, attiene al mondo del bullismo, per giunta postadatato, più o meno inconsapevole. Casalino ha una sola attenuante: non sapeva, tecnicamente, quello che diceva. Non aveva contezza di come debba essere la stampa, e cioè libera e originale proprio come Zucconi. Che peraltro del suo MoVimento aveva capito tutto da subito, identificando nel populismo arrembante i prodromi per una triste parabola dorotea, seppure con punte di violenza verbale come quella testé raccontata. Proprio perché non è colpa sua, proprio perché questo dà una botte adulterata dal fanatismo e dall’ebbrezza di potere, qualcuno dovrebbe dire al portavoce quel che neppure gli altri figli della generazione Mediaset hanno mai capito: il giornalismo non è propaganda. E, anche, che non si irridono le persone perbene dopo la loro dipartita. Da “Il Portavoce” si evince che Casalino ha studiato poco. Cominci. Poi, appena può, chieda scusa.
Aldo Grasso per il "Corriere della Sera" il 3 marzo 2021. Com'è possibile che Rocco Casalino, con un libro piagnucoloso e scritto alla bell'e meglio, abbia superato Bruno Vespa nel giro delle sette chiese tv per promuoverlo? Ovviamente Casalino non viene invitato in quanto scrittore ma come ex portavoce del premier, come Homo novus. L'uscita del libro è stata di una tempistica quasi sospetta e Rocco ha saputo approfittarne alla grande, compiendo quell'ultimo salto che gli restava dai tempi del GF: diventare personaggio. Un po' come è successo, in piccolo, a Nunzia De Girolamo, che infatti lo ha ospitato come fosse un vecchio sodale. Perché tutti i programmi tv - dico tutti, salvo il Meteo e Protestantesimo - hanno sentito il bisogno di invitarlo? Da un recente sondaggio (anche Rocco cita sempre i sondaggi), ho scoperto che i programmi che hanno ospitato l'ex portavoce e futuro braccio destro di Giuseppe Conte si dividono in tre categorie. Alcuni talk devono a Casalino riconoscenza: era lui che selezionava le trasmissioni «amiche» e inviava loro i grillini di turno. Adesso si scopre che Rocco aveva un fittissimo scambio di messaggi con tutti i media e non si muoveva foglia. Altri programmi, per stessa ammissione dell'invitato, si «sono tolti alcuni sassolini dalle scarpe». Rocco è andato a «Piazzapulita» e ha dovuto sorbirsi le lamentele di Corrado Formigli per i tanti no ricevuti. Come fumo negli occhi, Rocco vedeva dappertutto «forzature giornalistiche». La terza categoria, infine, è la più preoccupante perché ci troviamo di fronte a una vera e propria sindrome di Stoccolma, quello stato di dipendenza psicologico-affettiva che si verifica dopo aver patito episodi di violenza, verbale o psicologica. Ebbene, molti conduttori, dopo aver subito i maltrattamenti di Rocco, le sue intemperanze, adesso lo invitano per cercare di instaurare un sentimento «positivo» nei confronti dell'ex vessatore. E così la casalinata scala le classifiche.
Che ne pensa l’AgCom? Casalino show, il fedelissimo di Conte a reti unificate e senza contraddittorio per lodare l’ex premier. Carmine Di Niro su Il Riformista il 25 Febbraio 2021. Onnipresente Rocco Casalino. L’ex portavoce dell’ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte è ormai ospite fisso nei più importanti talk show televisivi, da quelli più leggeri a quelli più ‘impegnati’, dallo show “Ciao Maschio” di Nunzia De Girolamo a “Otto e Mezzo” di Lilli Gruber. Il motivo, sulla carta, è quello di promuovere il suo libro-autobiografia, “Il portavoce”, ma di fatto la presenza ossessiva di Casalino nel piccolo schermo pare essere quella di promuovere più il vecchio governo guidato dall’avvocato del popolo, non mancando mai infatti di ricordare i “grandi successi” dell’ex premier e del governo giallo-rosso. La presenza in tv di Casalino in tv pone quindi un interrogativo di natura politica ben rappresentato da Michele Anzaldi, deputato di Italia Viva e segretario della Commissione di Vigilanza Rai. Come vengono conteggiate dall’Osservatorio di Pavia e dall’Agcom le ospitate di Casalino nelle trasmissioni Rai di informazione? “A che titolo – si chiede Anzaldi – Casalino va in tv, senza contraddittorio? Come esponente del Movimento 5 stelle? Come esponente del nuovo partito di Giuseppe Conte? O semplicemente come autore di un libro? In questo caso, a tutti gli autori di libri viene riservato lo spazio abnorme che in questi giorni il servizio pubblico sta dando a Casalino?”. Un problema non di poco conto: se infatti Casalino è ospita in tv come esponente politico, in questo caso come rappresentate del Movimento 5 Stelle, “perché gli viene garantito il monologo senza confronti con altri esponenti politici?”, è l’affondo di Anzaldi. Il deputato renziano ricorda anche come Casalino approfitti di ogni occasione per attaccare Renzi e Italia Viva, “anche inventando sonore e conclamate balle, come quando ad Agorà ha detto che il Recovery Plan sarebbe un’invenzione di Conte”.
Da vigilanzatv.it il 25 febbraio 2021. Rocco Casalino, ex portavoce dell'ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte, è egemone in Tv. Non passa giorno nel quale egli non sia ospite in qualche talk show televisivo, spesso anche in due-tre diverse trasmissioni. Sabato prossimo sarà perfino a Ciao Maschio di Nunzia De Girolamo. Praticamente ovunque, insomma, dai programmi più leggeri a quelli più impegnati, con un'esposizione mediatica mai vista prima. La giustificazione è la presentazione del suo libro Il portavoce, ma neanche Bruno Vespa nei suoi proverbiali e capillari tour editoriali televisivi è mai stato così assiduo come Casalino. Per giunta, a differenza del conduttore di Porta a Porta, con l'ex concorrente del Grande Fratello, sorge un interrogativo di natura politica. Ed è il Segretario della Commissione di Vigilanza Rai Michele Anzaldi (Iv) a porselo. "Le ospitate a ripetizione di Rocco Casalino a reti unificate" scrive l'On. Anzaldi su Facebook, "in particolare in tutte le trasmissioni Rai di informazione, come vengono conteggiate dall’Osservatorio di Pavia e dall’Agcom? A che titolo Casalino va in tv, senza contraddittorio? Come esponente del Movimento 5 stelle? Come esponente del nuovo partito di Giuseppe Conte? O semplicemente come autore di un libro? In questo caso, a tutti gli autori di libri viene riservato lo spazio abnorme che in questi giorni il servizio pubblico sta dando a Casalino?". E ancora: "Se invece va come esponente politico, ad esempio in rappresentanza del Movimento 5 stelle, perché gli viene garantito il monologo senza confronti con altri esponenti politici? Peraltro in tutte le sue ospitate Casalino attacca Matteo Renzi e Italia Viva, anche inventando sonore e conclamate balle, come quando ad Agorà ha detto che il Recovery Plan sarebbe un’invenzione di Conte. Ma come si fa a consentire un simile sproloquio di fake news? Mi auguro che l’Agcom risponda con urgenza pubblicamente a queste domande, anche con un comunicato alle agenzie di stampa, perché questo ennesimo abuso del Governo Conte, ora che Conte non è più a Palazzo Chigi, è davvero vergognoso. E’ la conferma che siamo di fronte alla Rai peggiore di sempre".
Piazzapulita, Rocco Casalino e i sondaggi segreti su Giuseppe Conte leader del M5s: "Molto sopra il 20%". Libero Quotidiano il 26 febbraio 2021. Giuseppe Conte come l'unico possibile salvatore del Movimento 5 Stelle: ne è convinto l'ex portavoce del premier Rocco Casalino. Ospite di PiazzaPulita su La7, Casalino ha spiegato che solo con una figura come quella di Conte i grillini possono sperare di raggiungere il centrodestra nei sondaggi. "È evidente che ci mancano 8 punti col centrodestra e dobbiamo recuperarli. La mia idea è che, siccome c’è un’ampia percentuale di astensionismo, che attualmente guarda magari al M5s ma non al punto tale da votarlo, probabilmente una figura come Conte può attrarre voti", ha detto l'ex portavoce. "Io ho sondaggi che danno Conte col M5S molto al di sopra del 20%, anche il 25 o 28%, dipende da come fai la domanda", ha continuato Casalino. Che poi ha rilanciato: "Con Conte che cambia il Movimento, che lo rende diverso da com’è attualmente, una sorta di upgrade o aggiornamento del Movimento, i sondaggi sono anche al 28-30%". Cifre da capogiro, insomma. Rocco Casalino, però, ha avuto modo - nello studio di Corrado Formigli - di ammettere anche i numerosi errori comunicativi compiuti nel corso della carriera da portavoce. A partire dalle parole dell'ex capo politico dei grillini, Luigi Di Maio, che esultò per il reddito di cittadinanza, misura cara ai pentastellati, parlando addirittura di "abolizione della povertà". "Fu un errore di comunicazione, la frase andava detta meglio. Ci credevamo molto", ha spiegato Casalino.
Stefania Campitelli per secoloditalia.it il 27 febbraio 2021. Giuseppe Conte è magico, indimenticabile. E gli avversari tutti crudeli e omofobi. Questo in sintesi il messaggio di Rocco Casalino, ospite questa sera a Ciao Maschio condotto da Nunzia De Girolamo. L’ex portavoce di Conte torna a mettersi a nudo. Dal giorno della caduta del governo dell’avvocato del popolo l’ex del Grande Fratello è tra gli ospiti televisivi più gettonati. Non poteva mancare l’intervista dal salotto dell’ultimo talk sfornato da Rai1 in seconda serata. “Conte è una persona unica, ha una dote per cui ti arriva al cuore. A volte mi fa uno sguardo e mi arriva al cuore. È uscito da palazzo Chigi con dignità ed applausi”. Sono le prime parole, un po’ scontate, dell’ennesima confessione di Rocco. Alla domanda sulle ormai famose lacrime in occasione del congedo dell’ex premier da Palazzo Chigi, Casalino non si sottrae. “Sì, certamente, piangevo per Conte e per l’ingiustizia che ha subito. Lavorare con lui è crescere ed imparare sempre qualcosa”. Poi è tornato a fare la vittima, difendendosi da presunti attacchi omofobi da parte del centrodestra. E dei giornali. L’uomo della comunicazione di Conte, maestro di gaffe e indimenticabili "ritardi", si sfoga. Complice il fascino suadente della De Girolamo. “Anche a Palazzo Chigi le opposizioni, Meloni e Salvini, ma anche Renzi, hanno sempre cercato di denigrarmi ed insultarmi“. Nel calderone dei denigratori Casalino mette un po’ tutti. Alla rinfusa. Oltre ai pericolosi sovranisti anche il leader traditore di Italia Viva. “Così come, alcuni giornali mi hanno preso in giro solo per alcuni miei atteggiamenti o comportamenti. Che in verità sono tali solo perché sono gay. Venivano mascherate come prese in giro – dice con aria sconcertata – ma in verità sono atteggiamenti omofobici”. Poi denuncia tante falsità. Cattiverie vero o presunte sulla sua omosessualità. Un outing "prezioso", per attirare l’attenzione dell’opinione pubblica. Per far parlare di sé a tutti i costi. Soprattutto per vendere il suo libro, dal titolo inequivocabile, Il portavoce. “Su Luigi Di Maio e Giuseppe Conte alcuni giornali hanno fatto uscire retroscena e pettegolezzi strani. Nonché totalmente falsi, solo perché io ero gay ed ero il loro portavoce. Anche quella è omofobia”.
Casalino e la balla omofobia "Insultato da Salvini e Meloni". L'ex portavoce di Conte va in tv e spara a zero sui suoi "nemici". Il delirio choc: "Denigrato perché gay..." Francesca Galici - Sab, 27/02/2021 - su Il Giornale. Continua il tour promozionale di Rocco Casalino, "disoccupato" (come lui stesso si è definito) eccellente della politica. Finito il governo Conte bis e senza il Conte ter, al portavoce dell'ex presidente del Consiglio non resta che riciclarsi come presenzialista televisivo. È stato in Rai, Mediaset e La7, non c'è programma in cui non sia stato ospite o nel quale non è previsto un suo intervento nei prossimi giorni per promuovere il suo libro. Seguendo l'ordine cronologico delle sue apparizioni, oggi in seconda serata sarà su Rai 1 nel programma Ciao Maschio di Nunzia De Girolamo e domani sarà a Domenica In da Mara Venier. Il late show della prima rete della tv pubblica non è in diretta, pertando Rocco Casalino ha già registrato il suo intervento di cui si conoscono alcuni passaggi. Con Nunzia De Girolamo ha parlato a lungo e ha affrontato numerosi temi, tra i quali ovviamente anche quelli legati al suo rapporto con Giuseppe Conte. Il portavoce ne parla con grande affetto, facendo emergere quella che ha tutte le sembianze di una forma di amore nei confronti dell'ex premier: "Conte è una persona unica, ha una dote per cui ti arriva al cuore. A volte mi fa uno sguardo e mi arriva al cuore. È uscito da Palazzo Chigi con dignità e applausi". Per amore di cronaca, è necessario specificare che da oltre 10 anni a questa parte tutti i presidenti del Consiglio uscenti ricevono l'applauso dei lavoratori di Palazzo Chigi. Ma a Rocco Casalino quel momento dev'essere particolarmente piaciuto, tanto da commuoversi: "Certamente piangevo per Conte e per l'ingiustizia che ha subito. Lavorare con lui è crescere ed imparare sempre qualcosa". Durante la lunga intervista non manca un passaggio sulla sua omosessualità, che Rocco Casalino in quest'occasione considera la causa di alcuni attacchi diretti a Giuseppe Conte e Luigi Di Maio. Il portavoce non nasconde una punta di vittimismo: "Su Luigi Di Maio e Giuseppe Conte alcuni giornali hanno fatto uscire retroscena e pettegolezzi strani, nonché totalmente falsi, solo perché io ero gay ed ero il loro portavoce. Anche quella è omofobia". Su questo tema si è soffermato a lungo e ha imputato al suo orientamento sessuale anche alcune critiche ricevute dall'ex opposizione e dai media: "Anche a Palazzo Chigi le opposizioni, Meloni e Salvini, ma anche Renzi, hanno sempre cercato di denigrarmi ed insultarmi. Così come, alcuni giornali mi hanno preso in giro solo per alcuni miei atteggiamenti o comportamenti che in verità sono tali solo perché sono gay. Venivano mascherate come prese in giro, ma sono in verità atteggiamenti omofobici".
Da vigilanzatv.it il 27 febbraio 2021. Questa sera, sabato 27 febbraio 2021, Rocco Casalino sarà presente in Tv per la miliardesima in pochi giorni, questa volta a Ciao Maschio, trasmissione di Nunzia De Girolamo, moglie dell’ex ministro delle Autonomie Regionali Francesco Boccia (Pd) in onda in seconda serata su Rai1. E alcune anticipazioni relative alle dichiarazioni di Casalino nel programma di questa sera hanno già infiammato un altrimenti sonnacchioso sabato di fine febbraio. “A Palazzo Chigi le opposizioni” avrebbe dichiarato Casalino a Ciao Maschio, “Meloni e Salvini, ma anche Renzi, hanno sempre cercato di denigrarmi ed insultarmi. Così come, alcuni giornali mi hanno preso in giro solo per alcuni miei atteggiamenti o comportamenti che in verità sono tali solo perché sono gay. Venivano mascherate come prese in giro, ma sono in verità atteggiamenti omofobici“. Tali parole hanno suscitato la reazione del Segretario della Vigilanza Rai Michele Anzaldi che, su Facebook, ha commentato: “Se le anticipazioni della trasmissione di Nunzia De Girolamo su Rai1 rispondono al vero, se davvero il portavoce di Conte Rocco Casalino stasera potrà senza contraddittorio e senza alcun ruolo ufficiale attaccare e addirittura diffamare Renzi, Salvini e Meloni da una trasmissione del servizio pubblico, dopo due settimane di monologhi a reti unificate contro leader cui non è stata data nessuna possibilità di difendersi in diretta, l’amministratore delegato Salini dovrebbe dimettersi subito“. E ancora: “Che c’entra questa propaganda con una trasmissione che, per le evidenti implicazioni di potenziali conflitti di interessi, di tutto si dovrebbe occupare ad eccezione della politica e in particolare della sorte del Governo Conte? A che titolo a Casalino, che non riveste alcun ruolo ufficiale, viene consentito di calunniare segretari di partito da una rete del servizio pubblico?”.
Elena Del Mastro per ilriformista.it il 28 febbraio 2021. Ieri il deputato di Italia Viva e segretario della commissione di Vigilanza Rai, Michele Anzaldi, aveva protestato in maniera vibrante perché, stando alle anticipazioni, Rocco Casalino avrebbe attaccato Renzi, Salvini e Meloni durante la trasmissione “Ciao Maschio”, in onda su Rai1 a mezzanotte, dicendo che era stato denigrato da loro anche per ragioni sessiste. Anzaldi aveva chiesto le dimissioni di Salini, se le anticipazioni si fossero rivelate vere. Nella messa in onda, però, i riferimenti diretti ai tre leader non c’erano. Nella puntata della trasmissione di Nunzia De Girolamo il portavoce di Conte ha attaccato genericamente “l’opposizione” ma senza chiamare direttamente in causa nessuno. Onorevole Anzaldi, cosa è successo con gli attacchi di Casalino ai leader dei partiti a “Ciao Maschio”? Ciò che è andato in onda è risultato ben diverso dalle anticipazioni. “Non so se fossero errate le anticipazioni, se abbiano commesso eventuali errori le agenzie di stampa o se, più semplicemente, la trasmissione di Nunzia De Girolamo abbia poi deciso di tagliare le dichiarazioni di carattere diffamatorio di Casalino contro Renzi, Salvini e Meloni. Di certo non aver mandato in onda quelle accuse gravi e non provate è stato un bene. Fortunatamente, come avevo chiesto, le anticipazioni non si sono rivelate vere. Sarebbe stato inaccettabile se il servizio pubblico si fosse fatto megafono di un tale abuso”.
Perché parla di abuso?
“Le critiche che Renzi e Italia Viva hanno mosso in questi mesi a Conte per come ha inteso la comunicazione istituzionale, e quindi di conseguenza all’uso che ne ha fatto il suo portavoce Casalino, sono state tutte circostanziate e ampiamente motivate con questioni di merito. Lanciare spericolate accuse di sessismo, senza alcun fondamento, significa diffamare”.
Lei ha criticato anche l’onnipresenza del portavoce di Conte in questi giorni nelle trasmissioni tv per presentare il suo libro. Perché?
“Ho posto una semplice domanda all’Agcom, alla Rai, agli organi di controllo: a che titolo Casalino sta occupando tutte le tv? Se è un semplice autore di libro, viene da chiedersi perché abbia questo incredibile trattamento di favore, che non viene riservato a nessun altro autore. Se invece va in tv come esponente politico, ovvero come rappresentante del Movimento 5 stelle o del partito di Conte, ho chiesto perché vada sempre senza contraddittorio e come venga conteggiato il suo spazio. Casalino non va semplicemente a presentare il suo libro, ma in ogni occasione attacca Renzi e Italia Viva, attacca altri partiti, anche raccontando palesi fake news come quella secondo cui il Recovery Fund se lo sia inventato Conte o che i 209 miliardi siano una sua invenzione e non una decisione innanzitutto di carattere europeo. Perché gli vengono consentiti simili monologhi, nel silenzio per giunta dei conduttori?”.
Oggi Casalino sarà anche a “Domenica In” su Rai1…
“L’ennesima ospitata del tour televisivo di Casalino in un programma Rai è il segnale del totale sbandamento di questo servizio pubblico: dopo Cartabianca, Agorà, Ciao Maschio, anche Domenica In. C’è un ordine aziendale per garantire massima visibilità al portavoce di Conte?”.
(DIRE il 28 febbraio 2021) "I grillini, cacciati dal governo per la loro palese incapacità, stanno occupando lo spazio della televisione pubblica. Casalino ovunque, monopolizza spazi sulla principale rete della Rai, Spadafora altrove. Dimostratisi degli inadeguati lottizzatori dei posti di governo e condizionatori della televisione pubblica, continuano ad avere un audience spropositato. Non c'è più il governo Conte-Casalino, ma la Rai lenta nei riflessi continua a essere in troppi settori megafono di questi soggetti. Quando finirà il Casalino show? E quando capiranno che Spadafora non è più il decisore di ruoli e nomine all'interno della Rai? Lo ha capito perfino Pinuccio di Strisicia". Lo dichiara il senatore di Forza Italia Maurizio Gasparri membro della vigilanza Rai.
Da liberoquotidiano.it il 28 febbraio 2021. Tra i vari argomenti su cui Rocco Casalino si è speso a Ciao Maschio, il programma condotto da Nunzia De Girolamo su Rai 1, anche Vittorio Sgarbi. E contro il critico d'arte, l'ex portavoce di Giuseppe Conte impegnato in un serratissimo tour televisivo per promuovere il suo libro, si è lasciato andare a pareri che flirtano con l'insulto: "Vittorio Sgarbi lo trovo fastidioso e brutto", spara ad alzo zero. E ancora, Casalino aggiunge: "Dicono che abbia un grande successo con le donne, io lo trovo brutto, non capisco perché piaccia". Nell'intervista alla De Girolamo, Casalino si è speso anche in una battuta sulla sua partecipazione alla primissima edizione al Grande Fratello, per lui croce e delizia: "Non la supererò mai finché verrà usata nei modi in cui l’hanno usata nei miei confronti - ha premesso -. Se si usa in maniera denigratoria è chiaro che diventi un problema. Io credo di aver dimostrato di essere nella comunicazione uno bravo. Non si capisce perché creino sempre una connessione tra le mie capacità comunicative e il Grande Fratello. Lì diventa un problema, dal punto di vista professionale è brutto. Do anche un messaggio sbagliato. Sembra che si possa arrivare nel posto dove sono arrivato, a Chigi, non per meriti o perché ho studiato, ma perché ho fatto il Grande Fratello. È sbagliato tutto ‘sto corto circuito", si è lamentato Casalino.
Da leggo.it il 28 febbraio 2021.
Nelle prime due puntate il salotto di “Ciao Maschio” condotto da Nunzia De Girolamo ci ha abituati a simpatiche provocazioni. Nella puntata andata in onda ieri sera su Rai1, ai tre uomini in studio è toccato mettersi nei panni di una donna e scegliere un ipotetico marito tra Vittorio Sgarbi, Fabrizio Corona e Silvio Berlusconi. A questo domanda Rocco Casalino ha risposto con convinzione: «Sicuramente non vorrei mai come marito Vittorio Sgarbi. Mai. Lo trovo fastidioso e riprovevole, e sgradevole anche esteticamente. Sicuramente Berlusconi tutta la vita, anche Corona niente malè». «Quindi Berlusconi marito e Fabrizio Corona amante?» ha sintetizzato la De Girolamo. Casalino ha risposto: «Esatto».
Da iltempo.it il 28 febbraio 2021. "Conte è una persona unica, ha una dote per cui ti arriva al cuore. A volte mi fa uno sguardo e mi arriva al cuore. È uscito da palazzo Chigi con dignità ed applausi". Così Rocco Casalino ospite del salotto televisivo di Ciao Maschio, in onda stasera in seconda serata su Rai1. Alla domanda diretta della conduttrice Nunzia De Girolamo, rispetto alle lacrime dell’ex portavoce alla cerimonia di congedo da Palazzo Chigi, Casalino ha confessato "certamente piangevo per Conte e per l’ingiustizia che ha subito. Lavorare con lui è crescere ed imparare sempre qualcosa". E poi aggiunge: "Su Luigi Di Maio e Giuseppe Conte alcuni giornali hanno fatto uscire retroscena e pettegolezzi strani, nonché totalmente falsi, solo perché io ero gay ed ero il loro portavoce. Anche quella è omofobia". Poi arriva anche lo sfogo sui leader delle opposizioni. "Anche a Palazzo Chigi le opposizioni, Meloni e Salvini, ma anche Renzi, hanno sempre cercato di denigrarmi ed insultarmi" denuncia Casalino. "Così come, alcuni giornali mi hanno preso in giro solo per alcuni miei atteggiamenti o comportamenti che in verità sono tali solo perché sono gay. Venivano mascherate come prese in giro, ma sono in verità atteggiamenti omofobici".
Le parole di Casalino in Rai ora scatenano la bufera. Caos in Rai dopo le anticipazioni delle dichiarazioni di Rocco Casalino a "Ciao, Maschio", assenti poi nella messa in onda. Iv aveva chiesto la testa dell'ad Rai. Francesca Galici - Dom, 28/02/2021 - su Il Giornale. Rocco Casalino, come si suol dire, sta facendo "il giro delle sette chiese" per promuovere il suo libro Il portavoce. Prima di approdare quest'oggi a Domenica In da Mara Venier è stato ospite di Nunzia De Girolamo nel suo late show del primo canale. Ciao, Maschio è il programma che l'ex deputata conduce da qualche settimana nel sabato notte di Rai 1 e che ieri, tra gli altri, ha dato voce anche al portavoce dell'ex presidente del Consiglio. In mattinata erano iniziate a circolare alcune delle dichiarazioni rilasciate da Rocco Casalino nel suo intervento registrato, parole che hanno causato uno scossone poderoso ai piani alti di viale Mazzini. Nelle anticipazioni di agenzia divulgate ieri mattina, infatti, si leggeva: "Anche a Palazzo Chigi le opposizioni, Meloni e Salvini, ma anche Renzi, hanno sempre cercato di denigrarmi ed insultarmi". Marco Antonellis, nel suo articolo per Tpi.it, rivela che queste affermazioni hanno infastidito molte persone, tra le quali Michele Anzaldi, deputato in forza Iv ma anche segretario della commissione di Vigilanza Rai. L'esponente di Italia viva aveva chiesto la testa dell'amministratore delegato Fabrizio Salini nel caso in cui quanto riportato dalle agenzie prima della messa in onda si fosse rivelato vero: "Se davvero il portavoce di Conte, Rocco Casalino. staserà potrà, senza contraddittorio e senza alcun ruolo ufficiale, attaccare e addirittura diffamare Renzi, Salvini e Meloni da una trasmissione del servizio pubblico, dopo due settimane di monologhi a reti unificate contro leader cui non è stata data nessuna possibilità di difendersi in diretta, l'amministratore delegato Salini dovrebbe dimettersi subito". La rimostranza di Anzaldi aveva trovato già ieri la pronta risposta di Nunzia De Girolamo: "A "Ciao, Maschio", come ho detto anche in altre occasioni, non si parla di politica. Piuttosto il filo rosso, relativo alla presenza dei politici nel programma, è scoprire il lato più umano e privato di quest'ultimi. È evidente che, se ad un ospite viene posta una domanda personale come nel caso di specie legata alla sua omosessualità, io non posso censurare la risposta". Nunzia De Girolamo, quindi, ha difeso il suo prodotto appellandosi ai principi democratici: "Sono le regole della democrazia, anche quando si dicono cose che potremmo non condividere. Sono queste le regole del gioco democratico che, per fortuna, determinano il nostro Paese". Come spiega Antonellis nel suo articolo "nella messa in onda, però, i riferimenti diretti ai tre leader non c’erano. Nella puntata della trasmissione di Nunzia De Girolamo il portavoce di Conte ha parlato genericamente di 'opposizione' ma senza chiamare direttamente in causa nessuno". La domanda che si fa Antonellis e che si fanno in molti ora è una: le agenzie di stampa hanno riportato dei virgolettati poco precisi o è successo altro prima della messa in onda? Oppure, il caos generato potrebbe aver spinto l'azienda a smussare alcune parti in fase di montaggio?
Dagospia il 28 febbraio 2021. Comunicato Stampa. Lunedì 1° marzo, “Rai Scoglio 24” (il canale di Striscia la notizia “dedicato” alla Rai) inaugura il nuovo format di approfondimenti "Che scoglio che fa" con l’intervista “esclusivissima” a Rocco Casalino, ex portavoce dell’ex premier Giuseppe Conte. Nel faccia a faccia, l’inviato Pinuccio chiede a Casalino se andrebbe mai a fare il portavoce di Silvio Berlusconi. “No”. Per un milione di euro? “No”. Per 2? “Per 2 ci vado, perché l’immagine pubblica di Berlusconi si può recuperare. Ma non lo farei mai per Matteo Renzi, per nessuna cifra. Non mi sentirei moralmente di prendere i soldi, perché la sua immagine pubblica è irrecuperabile. Renzi dopo quello che ha fatto dovrebbe sparire dalla vita politica per l’eternità”. L’ex concorrente del Grande Fratello coglie pure l'occasione per presentare il suo libro autobiografico, il Portavoce (Piemme), “che ha venduto più di Obama. Sono più in alto in classifica” e si lascia andare a commenti sull'esperienza a "Chigi" oltre che a qualche giudizio politico. Definisce Maria Elena Boschi “co-responsabile di una delle più grosse immoralità del nostro Paese, di aver aperto una crisi di governo al buio in un momento di pandemia. Mi dici una parola in barese peggio di immorale?”, chiede. Mentre su Giorgia Meloni: “Un po’ la stimo. È meglio di come la dipingono, ma non mi piacciono le sue idee”. Pinuccio fa i complimenti al grillino per il suo coming out, e gli domanda come mai nella compagine del passato governo molti, invece, pur essendo gay, non lo hanno fatto. “Quello della politica è un ambiente maschilista, conformista e su alcune tematiche è ancora chiuso. Ognuno deve fare outing quando è opportuno. Chi lo fa tardissimo, chi presto”. Ma non sono poco sinceri? "In effetti per un politico nascondere la propria sessualità e difendere magari tematiche della famiglia tradizionale, potrebbe essere un problema", aggiunge Casalino, che sottolinea però di non avere intenzione di sposarsi con il fidanzato di lungo corso. L'ex spin doctor vorrebbe proseguire la carriera politica: «Credo sempre nell’attivismo, troverò il modo». Ma non è l’unico desiderio: «Quanto vorrei che Di Battista tornasse con noi. Secondo me torna, prova lo stesso amore che ho io per il Movimento 5 Stelle». Prima di lanciare in tedesco il nuovo spot dello sponsor della trasmissione Sugo Besugo, Casalino svela che Conte è un talento del pianoforte, e invita in diretta, con un vocale WhatsApp, proprio l'ex presidente a “Rai Scoglio 24”. Potrebbe essere lui il prossimo ospite di “Che Scoglio che fa”? L’intervista andrà in onda su Striscia la notizia (ore 20.35, Canale 5) e sarà disponibile in versione più lunga sul sito web del tg satirico al termine della messa in onda del programma.
Rocco Casalino, venti ospitate in due settimane. La metamorfosi dell’ex portavoce "fantasma". Massimo Falcioni per tvblog.it il 28 febbraio 2021. “Sono ubriaco di libertà”, confidò Rocco Casalino a Propaganda Live. Gli effetti della sbornia però la stanno patendo i telespettatori che da due settimane incrociano l’ex portavoce del presidente del Consiglio in qualsiasi programma, a qualsiasi ora. Le dichiarazioni rilasciate a Diego Bianchi risalgono al 12 febbraio. Eppure sembra sia passato un secolo, perché in mezzo c’è stato di tutto. Un di tutto che equivale ad altre diciannove ospitate, finalizzate alla promozione della sua autobiografia. Quando Zoro intercettò Rocco nel pieno della crisi di governo ci parve un vero colpaccio. In effetti lo era. Casalino non parlava da anni, la sua voce veniva a malapena intercettata in qualche audio riservato, la sua figura – discussa e contestata – generava ovvia curiosità. Ma dallo scoop si è rapidamente passati ad uno scoraggiante effetto déjà vu che, col passare del tempo, ha ridotto l’appeal delle sue apparizioni. Propaganda a parte, il tour di Casalino comincia lunedì 15 febbraio a Otto e mezzo. Un evento confermato dai risultati eccellenti: 2,7 milioni e 10% di share. Poco dopo Rocco è pure a Quarta Repubblica, dove tiene botta alle domande a raffica di Nicola Porro. Martedì 16 altra doppietta: Di Martedì su La7 e Porta a porta in seconda sera su Rai 1, a cui seguono il giorno seguente L’intervista a Maria Latella per Sky Tg24 e la partecipazione – forse la più soft – ad Accordi e Disaccordi sul Nove. L’ex gieffino tira il fiato per settantadue ore e si riappalesa sabato 20 a Verissimo. Domenica 21 è la volta di Live-Non è la D’Urso dove, inevitabilmente, è costretto a rispolverare i ricordi dei 93 giorni vissuti nella casa di Cinecittà. Lunedì 22 Casalino è da Myrta Merlino a L’Aria che tira, mentre alle 19 sbarca al Tg4 per rispondere alle domande di Giuseppe Brindisi. Il 23 Rocco si supera e occupa la prima serata timbrando il cartellino a Le Iene, a Fuori dal coro e a Cartabianca. Dalla Berlinguer si trova di fronte ad un Bruno Vespa particolarmente agguerrito. Mercoledì a Stasera Italia Speciale viene accolto da Barbara Palombelli, poi nanna e sveglia presto perché giovedì mattina è il turno di Agorà. La giornata si conclude a Piazzapulita, con un faccia a faccia senza esclusione di colpi con Corrado Formigli. Decisamente la performance più azzeccata, almeno sotto il profilo televisivo. Finita qua? Manco per sogno, dal momento che Rocco venerdì 26 è a Mattino Cinque, per riapprodare in Rai nel weekend tra un Ciao Maschio (il 27) e Domenica In (il 28). Il calcolo ha un punto di partenza ma non un epilogo, visto che le tappe di Casalino ad oggi non conoscono conclusione. Il traguardo è stato pertanto fissato alla fine di febbraio, escludendo così dalla lista Striscia la Notizia. Sì, Rocco approderà alla corte di Antonio Ricci lunedì 1° marzo. Se volete divertirvi a proseguire col conteggio siete i benvenuti. Noi una mano ve l’abbiamo data.
È L'ANSA O LA PRAVDA DI CASALINO? (ANSA il 28 gennaio 2021) Quasi duecentomila "like" e decine di migliaia di commenti, in gran parte positivi, "invadono" la pagina facebook del premier dimissionario Giuseppe Conte a meno di un'ora dal post con cui spiega le motivazioni del suo passo di lato. "Grazie presidente, un esempio per noi e i nostri figli", scrive Annalisa. "Presidente non molli, non faccia l'errore di riprendere in mano Renzi", aggiunge Giovanni. "Sei un signore, forse anche troppo per questo Paese scontato", incalza Francesco. "Il miglior presidente degli ultimi quarant'anni", chiosa Rosanna, tanto per fare alcuni esempi. Diversi anche i parlamentari, soprattutto di area M5S, che commentano sulla bacheca di Conte. "Caro Giuseppe, sono orgoglioso di averti dato la fiducia ad ogni provvedimento utile in Parlamento. Ti vogliono fare fuori, ma l'Italia onesta e' con te", scrive il deputato Michele Sodano. "Forza Presidente", aggiunge il senatore Andrea Cioffi. E da Antonio Lombardo a Davide Serrittella, sono numerosi i parlamentari 5 Stelle che danno il proprio sostegno a Conte.
Aldo Grasso per il “Corriere della Sera” il 14 gennaio 2021. Ci sono cose che proprio non capisco. Colpa mia. Non capisco perché le immagini del presidente Giuseppe Conte che provengono da Palazzo Chigi non sono girate dal Servizio pubblico, ma da una struttura alle dipendenze di Rocco Casalino. Quando Silvio Berlusconi mandava ai tg le cassette registrate dei suoi interventi, tutti abbiamo gridato allo scandalo. Adesso è normale? È giusto che un premier usi il Covid come scusa per una simile forma di controllo? La Rai giustifica questa anomalia sostenendo di voler evitare che operatori dell’azienda possano «infettarsi» nelle stanze Palazzo Chigi. Non capisco perché la Rai dia così tanto spazio alla concorrenza, nella fattispecie a Maria De Filippi. Inviti al Festival di Sanremo, inviti in trasmissioni, inviti di lunga durata da Fabio Fazio. È normale? Maurizio Costanzo e Maria De Filippi godono di così tanti privilegi da poter praticare il crossover a loro piacimento? O vedremo presto Fazio ospite di Amici? O vedremo presto Maria De Filippi produrre per la Rai e condurre per Mediaset? Non capisco perché il ministro dei Beni culturali Dario Franceschini abbia voluto creare una piattaforma streaming, ITsArt, «per valorizzare nel mondo l’offerta culturale italiana e in particolare gli spettacoli dal vivo». L’idea è stata subito battezzata, con sprezzo del ridicolo, la «Netflix della cultura» o la «Netflix di Stato». Al di là di ogni discorso sugli investimenti (soldi del Recovery Fund, della Cassa Depositi Prestiti o del Fondo unico dello spettacolo?), il ministro non ha fatto altro che svilire il già precario ruolo del Servizio pubblico. Non bastano Rai5 o Rai Storia? Salvo Nastasi pensaci tu. Non capisco perché la docu-serie SanPa, di cui tutti abbiamo scritto bene, abbia voluto infierire su Vincenzo Muccioli affidando la difesa del Fondatore e dei suoi metodi di recupero al «soldato di San Patrignano» Red Ronnie. Una vera perfidia.
Da adnkronos.com l'1 febbraio 2021. "Oggi Travaglio su RaiTre ha paragonato Matteo Renzi a Bin Laden. Giorni fa aveva invitato i lettori del suo "giornale" a sputare su una foto del leader di ItaliaViva. Io mi auguro che Renzi lo quereli. Perché questo signore, al servizio di Casalino, ha oltrepassato il segno". E' il tweet dell'esponente di Italia viva Anna Rita Leonardi che lo stesso Matteo Renzi ha rilanciato. Travaglio, analizzando la crisi di governo, è intervenuto a Mezz'ora in più. Negli ultimi giorni, Renzi è salito alla ribalta anche per il viaggio in Arabia Saudita e l'intervista al principe Mohammed bin Salman. "Su Rai3 Travaglio, invitato in qualità di sostenitore di Conte, paragona Renzi al terrorista Bin Laden, con un rancore che non dovrebbe avere nulla a che fare col servizio pubblico. Se non arrivano prese di distanza da Conte, per me andrebbe interrotta ogni trattativa di governo", scrive su Twitter il deputato di Italia Viva Michele Anzaldi.
Dagospia il 23 febbraio 2021. Comunicato stampa. "Devo valutare se posso procedere per diffamazione nei confronti del giornalista del Corriere della Sera perché è stata la cosa peggiore e più schifosa che mi sia capitata, caduta nel giorno in cui non ero più portavoce, uno squallore unico", risponde così Rocco Casalino al Tg Zero di Radio Capital in merito alla vicenda dell'articolo (di Fabrizio Roncone) che definiva il suo ufficio a Palazzo Chigi un "campo da calcetto". "Io avevo esattamente lo stesso ufficio che avevano i portavoce prima di me, non era nè più grande nè più piccolo, forse era un metro più grande, sicuramente non è piccolino ma è il classico ufficio da dirigente di Palazzo Chigi. Se avessi buttato giù un muro sarei andato in galera! Vi chiedo: è un atto di sciacallaggio quello? Fatto poi quando uno perde il lavoro...". Con l'occasione Rocco Casalino torna sul "premio" che nel 2014 Beppe Grillo affidò all'ex direttore di Radio Capital, Vittorio Zucconi, definito allora "sciacallo dell'anno": "Io ricordo Zucconi come il peggior giornalista, ha attaccato il M5S in modo vergognoso, inventava bugie e raccontava le cose in modo sbagliato". "Il mio libro? Vendutissimo - conclude Casalino - sulle piattaforme ha superato nelle vendite libri importanti come quello di Obama".
Mattia Feltri per “La Stampa” il 24 febbraio 2021. Nulla c'è come trascorrere un po' di tempo sui social - dove la sentenza tipo è quel fascista mi ha insultato, dovrebbero spezzargli le gambe - per comprendere la storia contemporanea italiana, e in particolare per quale ragione Rocco Casalino sia diventato portavoce del presidente del Consiglio. La fortuna di Casalino, infatti, risiede nel rappresentare l' utente medio di Facebook, nonostante nell' autobiografia appena pubblicata con Piemme elenchi i titoli di studio, di merito e morali con cui ha scalato le vette delle istituzioni. Ospite di una trasmissione radiofonica, se l' è presa con due giornalisti, uno vivo e l' altro morto. Del giornalista vivo ignoro l' identità, poiché non è stata rivelata, ma sono stati rivelati l' appartenenza al Corriere della Sera e il crimine, d' aver scritto che l' ufficio di Casalino a Palazzo Chigi, grazie all' abbattimento di alcune pareti, era grande quanto un campo da calcetto. Casalino smentisce, l' ufficio era come gli altri, forse un metro in più, ma soprattutto si duole di un' offensiva maramaldesca nel giorno in cui lasciava la prestigiosa carica. Non è forse sciacallaggio?, si chiede. Il giornalista morto è Vittorio Zucconi, il peggiore di tutti, dice Casalino, per l' animosità riversata sui cinque stelle e per la quale nel 2014 fu insignito da Beppe Grillo del premio di Sciacallo dell' anno. Niente male: sciacallo il giornalista vivo siccome attacca Casalino disarmato, e sciacallo il giornalista morto attaccato da Casalino in armi. Dimostrazione pratica che l' uomo buono può essere sciocco, ma quello cattivo non può fare a meno di essere intelligente.
Le Iene, la confessione di Rocco Casalino: come si è "bruciato" 150mila euro da quando è in politica. Libero Quotidiano il 24 febbraio 2021. Poteva mai mancare l’intervista nel formato unico de Le Iene? E certo che no, d’altronde Rocco Casalino il suo tour televisivo lo sta affrontando con grande impegno, senza dimenticare davvero nessuno. L’ormai ex portavoce di Giuseppe Conte sta girando in lungo e in largo, con una capacità che gli va assolutamente riconosciuta: quella di saper tirare fuori elementi nuovi e di adattarsi a seconda del salotto che lo ospita. Per ultimo quello di Italia 1 delle Iene, che lo ha tempestato di domande, anche cosiddette “scomode”. A partire dal suo libro e da quello che ha pensato Conte quando lo ha letto: “Ero terrorizzato per paura che non gli piacesse, invece mi ha detto che secondo lui sarà primo in classifica. Quanto ci guadagnerò? Più di centomila euro”. Rimanendo sui soldi, Le Iene lo hanno pungolato sullo stipendio da portavoce e sul suo patrimonio: “Prendevo 6.200 euro netti, adesso sono disoccupato. Da quando sono in politica il mio patrimonio è diminuito di circa 150mila euro. Perché? Per colpa delle case che a Roma sono costosissime”. “Poi io soffro il freddo e spendo una barca di soldi in riscaldamento. Per non parlare dei ristoranti, pago un sacco e vado sotto”, ha aggiunto Casalino. Il quale poi non ha nascosto l’innamoramento politico per Conte: “Provo per lui un’ammirazione infinita, è stato un presidente del Consiglio unico. Tagliami tutto quello che vuoi, ma lasciami dire che adesso è facile spendere i 209 miliardi che Conte ha ottenuto contro tutto e tutti”.
L'aria che tira, Myrta Merlino imbarazza Rocco Casalino: "Ti trovo innamorato", e l'ex portavoce di Conte va in tilt. Libero Quotidiano il 22 febbraio 2021. Rocco Casalino è ormai onnipresente nelle trasmissioni televisive politiche, e non solo. Oggi, lunedì 22 febbraio, è stata la volta de L'aria che tira su La7, dove Myrta Merlino ha ovviamente pubblicizzato il libro "Il portavoce-la mia storia" e partendo da quello ha fatto diverse riflessioni su Giuseppe Conte e sul rapporto con con quello che è stato il suo braccio destro a Palazzo Chigi. "In questa fase sei molto modesto, continui a dire che è tutto merito di Conte, che tu hai solo tirato fuori le sue qualità", ha notato la conduttrice di La7. "Alla fine Conte lo hai creato tu, lo pensiamo un po' tutti. Lascia perdere la sostanza - ha spiegato la Merlino - l'immagine e il personaggio li hai creati a tavolino, infatti ti facevamo sempre tutti i complimenti per questo. Posso dirti cosa penso? Ti trovo un po' innamorato". Casalino è apparso un po' in imbarazzo e ha risposto "m'innamoro dei più giovani", allora la Merlino ne ha approfittato per fare una battuta: "Ecco, caro Conte sei un po' andato per lui, non ci pensare!". Poi è tornata seria e ha aggiunto una precisazione: "Sembra davvero che tu abbia un innamoramento politico per Conte, non lo hai mai avuto così per Di Maio". "Non credo di essere il solo", è stata la replica di Casalino, che ha ovviamente glissato sull'ex capo politico grillino. "Credo che tantissimi italiani lo amano - ha continuato - eravamo tutti delusi da una certa politica e credo che lui abbia ridato credibilità all'Italia, anche agli occhi dell'Europa. Inoltre adesso sono tutti europeisti, incluso Salvini, il merito è tutto di Conte che ha regalato all'Italia 209 miliardi sui quali non scommetteva nessuno". "Poi però è caduto sul più bello, non è riuscito a gestire questi soldi", ha chiosato la Merlino.
Live-Non è la D'Urso, Rocco Casalino e la pazzesca confessione su Barbara D'Urso: "Quando lo facevi, andavamo nel panico". Libero Quotidiano il 22 febbraio 2021. Rocco Casalino torna a Mediaset (dov’è nato in tv con il primo Grande Fratello). Poi la virata e l’ascesa con l’esperienza politica al fianco di Giuseppe Conte, come portavoce a Palazzo Chigi. Ora ha scritto un libro, Il portavoce. La sua infanzia, come racconta, è difficilissima (trascorsa tra Italia e Germania). A Mediaset, ci torna come ospite di Barbara D'Urso in prima serata, al Live-Non è la D'Urso di ieri sera, domenica 21 febbraio. Nel ‘94 muore suo padre e sei anni dopo si laurea in Ingegneria a Bologna. Poi diventa giornalista. E con la nascita del M5s la sua seconda vita: segue premier Conte ovunque. Lacrime di commozione quando Conte lascia Palazzo Cighi. “Ha qualità umane pazzesche”, dice parlando di Conte. “Gli italiani lo vorranno a Palazzo Chigi”, tuona Casalino. Che non sa ancora se lo seguirà o meno. Casalino fonderà un nuovo partito con Conte? Mistero. Ora la vita di Casalino cambia radicalmente. Ma grazie al Governo Conte ha girato il mondo. "Angela Merkel è tra le più preparate: sapeva tutto sul lockdown o su altri temi”, svela al Live. Un’intervista fiume. Anche quando parla dell’incontro con la regina Elisabetta. “Avevo un po’ di ansia perché non si può dare la mano per primi alla regina”, racconta. E sul piano politico attacca Matteo Renzi. “Mi sta antipatico. A pelle preferisco Matteo Salvini. Per una serata al Pepete sì, farebbe notizia”, tuona Casalino. Che poi spiazza tutti: “Barbara, quando attaccavi il Movimento 5 Stelle perdevamo uno o due punti nei sondaggi”. E ancora: "Quando facevi le puntate contro il Movimento, andavamo nel panico. Perdevamo punti nei sondaggi quando ci attaccavi. Gli altri politici hanno capito e adesso sono a fare fila per venire qui". E la D’Urso resta senza fiato. Poi un pensiero all’esperienza del Grande Fratello. “Una parentesi della mia vita, durata tre mesi. Ma sono tanto altro: leggo libri, ho una laurea, ho fatto l’esame di Stato da giornalista professionista. Perché banalizzare tutto questo”: Casalino va giù duro. E prima di andare via un avvertimento a Mario Draghi: “C’è una linea sottile tra sobrietà e freddezza. Attenzione”, conclude Casalino.
Roma, 24 feb. (Adnkronos il 24 febbraio 2021) - Nel salotto televisivo di Nunzia De Girolamo arriva Rocco Casalino. L'ormai ex portavoce del Presidente Giuseppe Conte, sarà infatti uno dei tre uomini ospiti della prossima puntata di “Ciao Maschio”, sabato 27 febbraio. Ad annunciarlo sui canali social la stessa conduttrice che, come ogni settimana, gradualmente svela i tre ospiti che poi, il sabato sera su Rai1, prenderanno parte alla trasmissione. Curiosità ora su chi potrebbero essere gli altri due ospiti che affiancheranno Casalino. Il format, almeno per quanto visto nelle prime due puntate, non prevederebbe la presenza di altri politici. Ma nulla è da escludere.
Massimo Falcioni per tvblog.it il 24 febbraio 2021. Prima l’intervista a Le Iene, poi gli ingressi negli studi di Fuori dal Coro e Cartabianca. Uno dopo l’altro, scacciando accuratamente il rischio di una sovrapposizione evitata per appena tre minuti. E così, se alle 22.41 Rocco Casalino salutava Mario Giordano, alle 22.44 eccolo riapparire su Rai 3, dove Bianca Berlinguer aveva strategicamente preso tempo. Su Rete 4 va in scena un faccia a faccia con Mario Giordano che, alla fine del duello, chiede di lasciare all’ex portavoce un autografo su un suo cartonato. Poco prima, invece c’era stato il gran rifiuto. “Se le facessi vedere una clip del Grande Fratello lei si arrabbierebbe?”, aveva domandato Giordano. “No, basta. Solo se fai vedere anche una clip di Matteo Renzi alla Ruota della fortuna e di Matteo Salvini al Pranzo è servito”. Il padrone di casa alza le mani e rinuncia: “Non la faccio vedere, l’avevamo preparata ma non la faccio vedere”. Un veto che, al contrario, non si era manifestato domenica sera a Live-Non è la D’Urso, con Rocco disponibile a ripercorrere l’esperienza televisiva dell’autunno del 2000. Poco dopo, come detto, Casalino approda a Cartabianca. Ad accoglierlo ci sono Andrea Scanzi, in collegamento, e Bruno Vespa, in presenza. Il tema del Grande Fratello riemerge e, pure qui, Rocco mette in funzione il pilota automatico: “Quella di gieffino è l’etichetta peggiore, dura da vent’anni. Se avessi ucciso qualcuno avrei già scontato la pena. Viene utilizzata sempre in maniera offensiva. Di Salvini non ha detto che ha fatto il Pranzo e Servito e che Renzi ha fatto la Ruota”. A punzecchiare Casalino è soprattutto Vespa, particolarmente in palla: “Al Grande Fratello eri cattivissimo e sei rimasto cattivissimo. Hai tentato seriamente di influenzare i giornalisti mandando le veline. Facevi filtrare certe notizie ed altre no. Per te il Gf è stato l’università, sei rimasto in casa 93 giorni su 100”. Casalino reagisce, rispedendo le frecciate al mittente: “Io non ho imparato niente dal Gf. Sono stato in una casa, ho preso il sole, ho giocato, ho fatto dei massaggi. Dopodiché ho fatto vent’anni di studi, ho lavorato come giornalista, ho letto tutto. Io sono questa roba qui“. Il braccio di ferro va avanti per diversi minuti, con Rocco che alla fine del match accusa il colpo, evidenziando la metamorfosi di Vespa in trasferta: “Sto rimanendo sconvolto, sei terribile”.
Quelle grandi "doti" di Casalino. Ecco cosa rivela questo post. Casalino si crede un grande comunicatore. Ma spesso sbaglia a parlare (e pure a scrivere). Daniele Dell'Orco - Mar, 23/02/2021 - su Il Giornale. Così parlò Rocco Casalino. Il "bimbo" di Conte per antonomasia, calatosi in un rigoroso silenzio durante tutta la sua avventura istituzionale, è rimasto disoccupato dopo la dipartita dell'ex premier, di cui è stato portavoce dal 2018 al 2021. Siccome ora c'è comunque da sbarcare il lunario, il guru della comunicazione del Movimento 5 Stelle, che ha scelto proprio Il portavoce come titolo della sua biografia finita in testa a tutte le classifiche di vendita dei libri, con tanto di posa alla "House of Cards" in copertina, ha deciso di capitalizzare la sua aura mistica di notorietà affidandosi ovviamente ai social. Gli stessi social trasformati da lui sia nella voce ufficiale del presidente del Consiglio (con buona pace della tv di Stato) durante la pandemia, sia in uno strumento di costruzione del consenso intorno a Conte in chiave elettorale (le "dirette" ritardate per ore per annunciare i nuovi DPCM hanno fruttato centinaia di migliaia di seguaci alla pagina ufficiale del Premier). Ebbene, al netto di queste trovate pragmatiche, diaboliche, istrioniche, il gieffino della prima ora è stato lautamente pagato dagli italiani per via della sua presunta capacità di utilizzo delle parole. Uno strumento di discreta importanza per un "portavoce". Ma a giudicare dal suo ultimo post pubblicato proprio su Facebook, Casalino sembra semplicemente un Di Maio 2.0. Non azzecca un congiuntivo che sia uno. Utilizza espressioni a dir poco colloquiali, talvolta incomprensibili persino usando la "scusa" del linguaggio "del popolo". Dimentica gli aggettivi. Basta dare un occhio all'attacco: "Quando mi si chiede qual è la cosa più bella fatta durante il lavoro di portavoce, la risposta viene fuori in maniera semplice". Oltre alla consecutio totalmente sballata ("è" anziché "sia stata"), che vuol dire "cosa"? Magari l'esperienza, l'avventura, la mansione. Ma "cosa" sembra piuttosto vago, certamente per nulla emozionante. Specie visto quanto viene dopo, ossia un ritratto retorico di Conte come un mussoliniano "uomo che non dorme mai", un infallibile mago di numeri e normative, un ammaliatore capace di imbambolare persino i falchi del Nord e consentire all'Italia di ottenere la fetta più larga di Recovery Fund. Ma andiamo avanti. Tra altri verbi coniugati a caso, virgole in fuorigioco e scenari fantastici, Casalino scrive: "Confesso di aver patito molto lo stress in quei giorni e mentre lo vedevo lavorare, approfondire, studiare, consultare, confrontarsi mi chiedevo: ma come fa? Era una cosa che in realtà ci chiedevamo un po’ tutti tra quelli che gli stavamo accanto".
"Che gli stavamo accanto"? È una frase proprio priva di senso compiuto. Il tocco da maestro, infine, sono le virgolette a "giornaloni" e "stampa nazionale". Per giornaloni intenderà forse le stesse testate che dall'inizio della pandemia non hanno fatto altro che tirare la volata al suo Premier? Per stampa nazionale vorrà forse fare riferimento ai colleghi inseriti nelle sue chat Whatsapp e bullizzati, esclusi o emarginati se non avessero vergato pezzi in linea con le sue veline? Ora, nella sua geniale chiosa, in cui utilizza "anche" al posto di "infine", si lamenta del fatto che i giornalisti non rispondano più a lui e abbiano sposato la narrazione pro-Draghi "dimenticandosi di chi ha raggiunto un risultato così titanico, storico, unico e mai successo nella storia della Repubblica".
Si noti il "mai successo" in coda alla la raffica di aggettivi. L'ex discepolo di Claudio Messora, fondatore di Byoblu e primo capo della comunicazione dei 5 Stelle al Senato, avrebbe potuto usare il fedele smartphone per cercare una parola che gli avrebbe fatto molto comodo: si dice inedito, portavoce.
Casalino a Le Iene: “Un portavoce guadagna 6.200 euro netti… Ora sono disoccupato”. Le Iene News il 23 febbraio 2021. Rocco Casalino non si è perso nemmeno una delle nostre domande, dalla politica ai soldi fino al culto del corpo! Rocco Casalino ha risposto alla nostra raffica di domande senza giri di parole. Ha appena pubblicato la sua autobiografia “Il Portavoce”, che, ci racconta ha fatto leggere prima a Conte. “Prima di autorizzare la pubblicazione l'ho dovuta far leggere perché ero terrorizzato che non gli piacesse”. L’impressione dell’ex premier? “Ha detto ‘sarai primo in classifica’”, risponde Casalino. Quanto ci farà con il libro? “Sicuramente più di centomila euro”. E un portavoce quanto guadagna? “Netti 6mila e 200 euro, senza alcun benefit”. Ed è riuscito a metter via qualcosa? “Da quando sono in politica il mio patrimonio personale è diminuito di centocinquantamila euro”. E ora è disoccupato? “Adesso sì". Cosa pensa di Giuseppe Conte? “È stato un presidente del Consiglio unico”. Una critica? “Mi correggeva qualsiasi cosa. Anche se facevo un comunicato stampa di due righe, lui me lo correggeva”. Chi è il vero vincitore di questa crisi? “Qualcuno è riuscito a far vincere il centrodestra grazie alla sua irresponsabilità”. Cioè? “L’innominato!”. Gli chiediamo un aggettivo per: Salvini? “Buon comunicatore”. Zingaretti? “Una brava persona e un buon politico”. Renzi? “Immoralità politica?”.
Rocco Casalino: “Un portavoce guadagna 6.200 euro netti”. E ora? “Sono disoccupato”. Le Iene News il 23 febbraio 2021. Rocco Casalino ha risposto a tutte le nostre domande, dalla politica ai soldi fino al culto del fisico! Ha appena pubblicato la sua autobiografia “Il Portavoce”, che ha fatto prima leggere a Conte perché, ci confessa, “ero terrorizzato che non gli piacesse”. “Prima di autorizzare la pubblicazione del mio libro l'ho dovuto far leggere a Conte perché ero terrorizzato che non gli piacesse”. Rocco Casalino, che ha appena pubblicato la sua autobiografia “Il Portavoce”, risponde al fuoco di fila delle nostre domande! E allora, cosa ha detto l’ex premier del suo libro? “Che sarà primo in classifica”, risponde Casalino. Quanto pensa di farci dal libro? “Sicuramente più di 100mila euro”. E un portavoce quanto guadagna? “Netti 6.200 euro, senza alcun benefit”. E adesso è tutto finito? “Sì, ho preso per tre anni quello stipendio e basta”. E ora è un disoccupato? “Esatto”. Quanto è riuscito a mettere via? “Da quando sono in politica il mio patrimonio personale è diminuito di centocinquantamila euro”, risponde Casalino. La classifica dei tre ministri migliori dei governi Conte non ce la vuole fare: “Ti dico intanto chi secondo me era molto bravo. Gualtieri, Di Maio e Bonafede. Però pure Patuanelli è stato bravissimo, anche la Dadone”. E il peggiore? Non vuole proprio dircelo! Ma torniamo all’ex premier: è un po’ innamorato di Conte? “Ho un'ammirazione infinita”. “È stato un Presidente del Consiglio unico”, continua Casalino. “Quando lo vedevi insieme agli altri ti rendevi conto che c'era un rispetto da parte della Merkel, di Macron, della von der Leyen. Quando entrava Conte si sentiva che entrava Conte ed era un italiano che si faceva rispettare”. E alle domande se l’ex premier sia affettuoso, simpatico e intelligente risponde sempre di sì. E dotato? “Non lo so!”. Una critica a Conte? “Mi correggeva qualsiasi cosa. Anche se facevo un comunicato stampa di due righe, lui me lo correggeva”. Parliamo di fisico: Casalino ha il culto del corpo? “Sì”. Depilazione? “Mi sono depilato una volta per un giornale, non l’avessi mai fatto!”. Il lato b è importante? “Sì, faccio squat, ma non tantissimo”. Torniamo alla politica: il vero vincitore di questa crisi? “Qualcuno è riuscito a far vincere il centrodestra grazie alla sua irresponsabilità”. Cioè? “L’innominato”, risponde Casalino. Passiamo agli aggettivi: uno per Salvini? “Buon comunicatore”. Zingaretti? “Una brava persona e un buon politico”. Renzi? “Immoralità politica?”. Ce lo possiamo permettere? “Non lo so, però ormai non ho niente da perdere!”.
Aldo Grasso per il "Corriere della Sera" il 18 febbraio 2021. Altro che santificazione di Mario Draghi! C'è in atto un processo di canonizzazione a reti unificate e riguarda Rocco Casalino, portavoce dell'ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte: le sue presenze in tv ormai superano quelle dei virologi! La glorificazione coinvolge moltissimi salotti televisivi e mentre scrivo queste note chissà quante altre porte gli saranno già state aperte. Con una tempestività davvero straordinaria, e con una prosa parecchio zoppicante, Rocco ha scritto un libro, «Il portavoce», per esaltare la sua grande intelligenza (non sempre riconosciuta dagli altri). C'è molto neorealismo (nelle autobiografie non stona mai), c'è il peccato originale da cancellare, ovvero la partecipazione al Grande Fratello (ha sostenuto che gli attacchi feroci gli derivano dal suo passato tv e nessuno gli ricorda che così non era stato per Taricone), ci sono gli attacchi omofobici da sopportare, c'è un futuro da pianificare: alla vittima non dispiacerebbe diventare giustiziere, per aspera ad astra. Rocco è anche un grande paraguru («ma come è bravo lei a porre le domande!», dice al conduttore che lo stuzzica) e così tutti dimenticano il «Codice Rocco»: il trattamento riservato ai giornalisti quando Casalino era portavoce di Palazzo Chigi, la scelta di chi doveva porre domande al premier, le ritorsioni o gli spin per condizionare i media. Nessuno ricorda quando mandò ad alcuni giornalisti un audio in cui annunciava una «megavendetta» del M5S contro i dirigenti che non assecondavano il programma del partito: «Ci concentreremo a far fuori tutti questi pezzi di mer del Mef». Diceva Casalino: «Non ce ne fregherà veramente niente, ci sarà una cosa ai coltelli proprio». Tutto dimenticato, l'ex portavoce è rientrato nel circo mediatico, dicono che è simpatico, sarà difficile scalzarlo. Tanto che nasce un sospetto: ma la caduta di Conte non sarà per caso legata all'uscita del libro?
Eccesso di pop. Povera Cultura, ti abbiamo abbandonato nelle mani di Casalino. Angela Azzaro su Il Riformista il 18 Febbraio 2021. Rocco Casalino, che oggi fa simpatia, preso di mira com’è da tutti coloro che fino al giorno prima speravano in un suo messaggio e scodinzolavano in attesa, è stato in ogni caso l’emblema di un’epoca: quella in cui per arrivare a palazzo Chigi vale di più partecipare al Grande Fratello che qualsiasi altro impegno politico. Addio, per sempre, alla scuola delle Frattocchie, quella in cui il partito comunista formava le giovani generazioni. Ma addio anche alla passione, all’impegno di chi, per esempio, venti anni fa esatti andava a Genova sperando in un mondo migliore. Per entrare nel gotha della politica oggi (ma speriamo che questa epoca stia finendo…) serve altro: serve passare dagli studi tv di Cinecittà tentando di non essere eliminato dal pubblico o dagli altri concorrenti. Non vogliamo certo sputare contro i reality o i talent. Anzi. La diffidenza della sinistra nei confronti dell’immaginario pop è stata un duro fardello, per troppo tempo trascinato, impedendo di capire gusti, attese e quel sogno che poi coincise con la discesa in campo di Silvio Berlusconi. Guy Debord lo aveva capito: la lotta di classe si sarebbe spostata dal materiale all’immaginario. E si doveva stare attenti: occupare, vigilare. Combattere. Appunto, combattere. Invece la sinistra non ha combattuto e ha continuato da una parte a restare fissa sulle proprie posizioni, concedendosi qualche veloce incursione in campo nemico (ogni tanto l’intervista dalla Maria De Filippi “Nazionale” , oppure qualche “comparsata” da Barbara D’Urso), ma senza mai davvero mettere le mani in pasta. Oppure, quando ha provato a scendere in quel territorio oscuro fatto di segni, visioni e consumo, lo ha fatto senza una strategia, un suo progetto, una sua direzione. E si è fatta fagocitare, divorare. È la scena di un film di Michelangelo Antonioni, Zabriskie Point, dove a esplodere siamo noi, il senso che attribuiamo alle cose. Più che Debord ci aveva visto bene Jean Baudrillard quando pensando allo schermo televisivo immaginava che ci avrebbe cannibalizzato, divorato, resi inutili. Dovevamo colonizzarlo e ci ha distrutti. Molto più dell’uso compulsivo dei social. Oggi siamo ancora a quel punto. La tv ha vinto, la sinistra ancora non sa che pesci pigliare e continua a proporre la stessa diatriba: o è persa nei meandri del Grande Fratello oppure è lì che invoca le periferie: ci siamo dimenticati le periferie, la sinistra ha abbandonato le periferie, la sinistra vive solo al centro, invece la destra sta nelle periferie. Periferie che non conosce, che non frequenta. Perché se le frequentasse capirebbe quanto ha di nuovo ragione Debord: lì, soprattutto lì, l’immaginario televisivo ha vinto, ha preso il sopravvento senza che nessuno facesse niente. Prima i voti a Berlusconi (il sogno), poi i voti ai Cinque stelle (la rabbia, la gogna mediatica, il bisogno di un nemico da odiare): tutto è passato sul piccolo schermo mentre la sinistra continuava a parlare di periferie senza metterci non tanto i piedi, quanto la testa. Bisognava combattere e per combattere ci voleva una strategia: senza abbandonare il campo, ma proponendo una propria visione, un proprio sogno, un proprio film. Poi le macerie. La cultura considerata un orpello, anzi una colpa: e tutti giù a dare addosso ai radical chic, a chi osava mettere la cultura al primo posto, a chi non urlava. Casalino, suo malgrado, ha rappresentato l’apoteosi di questo modo di concepire la politica e la classe dirigente. Si è poi aggiunto un elemento determinante: la cultura non pretende sangue caldo e immediato. La cultura richiede tempo, impegno, richiede che si vada a fondo nelle questioni. Invece in questi anni è prevalso un altro sentimento: l’illusione che bastasse aumentare le pene per risolvere qualsiasi problema. C’è delinquenza giovanile: che si fa? Si punta sulla scolarizzazione, sull’ascolto? No, si puniscono i giovani. Le donne vengono uccise dai loro mariti o compagni: che si fa? Si mette in campo un piano nazionale che coinvolga scuole, famiglie e centri antiviolenza puntando a un grande cambiamento culturale e sociale? No, si aumentano le pene per chi uccide. E infatti non smettono di farlo. Qualsiasi tema è stato ridotto a questione penale, derubricato ad anni di carcere, senza aver più un briciolo di speranza nel cambiamento, nella cultura, in un’idea diversa di società. L’abbraccio mortale del Pd ai Cinque stelle colpisce soprattutto per questo. Perché al di là delle questioni strettamente politiche segna la resa sul piano culturale. Ha ragione da vendere Fausto Bertinotti quando proprio su queste pagine scriveva che il problema dei dem non sono i grillini, ma che il vizio assurdo alberga dentro di loro. E questo vizio ha prima di tutto il volto di una resa culturale. Questa resa non riguarda però solo il Pd, ma tutta l’intellighenzia ancora chiusa nella contrapposizione tra cultura alta e cultura bassa. E alla fine è rimasto poco e niente. Certo non quel nazionalpopolare teorizzato da Gramsci che niente ha a che fare con la tv spazzatura o con la frequentazione acritica dei social. Quella di Gramsci è l’idea di una cultura che si fa senso comune, ma conservando le sue prerogative che non sono quelle di andare in nomination al Grande fratello.
E io, Rocco Casalino sono il portavoce che non perde la voce. Puglia, Grande Fratello e politica nella sua biografia. La Gazzetta del Mezzogiorno il 18 Febbraio 2021. È appena uscita l’autobiografia dell’ex portavoce dell’ex premier Giuseppe Conte, Rocco Casalino. S’intitola «Il portavoce» (Piemme, pagg. 272, euro 17,90). Il racconto della sua vita: dal padre violento al Grande Fratello, fino a Palazzo Chigi. L’altro giorno, la foto con le sue lacrime sotto la mascherina, nel momento dell’addio di Conte, hanno fatto il giro dei social. Pubbblichiamo alcuni estratti dal volume. «Muori. Devi morire.» Pronuncio queste parole con lingua ferma, a voce non troppo alta né troppo bassa. Senza rabbia. Almeno senza che la rabbia si faccia schiuma alla bocca. Parole ferme, dure, normali. La rabbia deve essere sepolta molto in fondo al mio cuore, anche alla mia carne, ai miei nervi. La rabbia ha impregnato ogni fibra del mio essere, ma è così da tanto tempo che è diventata tutt’uno con la mia anima e con il mio corpo. E adesso c’è solo quell’imperativo che è un imperativo di giustizia. «Devi morire.» Sussurro all’uomo steso sul letto attaccato alle macchine, a meno di un metro da me. Lo dico non come pronunciassi una sentenza, che del resto era già stata pronunciata, ma quasi come una didascalia, come un dato di fatto, come una sottolineatura. Io sono d’accordo con quella sentenza. La aspettavo da tanto tempo. Tumore ai polmoni, metastasi un po’ dappertutto. Mi volto, faccio qualche passo, mi allontano un poco dal letto – la stanza è piccola – e vado alla finestra. Guardo fuori, ma non vedo niente. Non vedo quello che c’è oltre il vetro. La mia mente è tutta occupata da quella scena, che non riesco a cancellare. E neanche voglio. Avevo nove anni. Era notte fonda. Mio padre era tornato ancora una volta ubriaco fradicio. Urlava a mia madre che voleva fare l’amore ma lei quella volta proprio non voleva, non voleva assolutamente, lo supplicava (in dialetto): «Per favore, Giuà, per favore non ho voglia, mi fa anche male, per favore Giuà, non ho voglia ti prego ti prego adesso no». Ma lui l’aveva presa con la forza. Non gliene importava nulla di mia madre, di quelle suppliche strazianti che avrebbero commosso un sasso (...).
–Dovete immaginare il 1960. Un paese di venti, trentamila abitanti, nell’entroterra pugliese, una decina di chilometri da Ostuni, sull’Adriatico, e a qualche chilometro in più dal Mar Ionio. Ceglie Messapica, con il suo borgo medioevale, case piccoline bianche, un castello abbastanza imponente al centro della città. Tutti vanno in chiesa, la messa della domenica come fondamentale luogo d’incontro, le donne con il fazzoletto in testa, se ti muore qualcuno devi portare il lutto per una vita, e c’è sempre qualcuno che muore, un marito, un figlio, un fratello, un cugino, uno zio, e allora le vedi, queste donne tutte vestite di nero, con il velo nero in testa a esibire lutto e assoluta sottomissione. Una mentalità molto chiusa, molto tradizionale. Il terrore dello scandalo. La condizione delle donne e il sesso. Inammissibile che una donna non arrivasse vergine al matrimonio. Se succedeva, lo scandalo travolgeva l’intero paese e per lei non c’era scampo. Nessun uomo se la sarebbe presa più. Sarebbe rimasta sola, abbandonata. Anche perché si sapeva sempre tutto. Il pettegolezzo, parlare e sparlare, o raccontare, era l’unico collante. Non c’era nient’altro. Succedeva tutto lì. Non c’erano viaggi, spostamenti. Eri lì. Vivevi lì. Non esisteva la prospettiva di farsi una vita altrove, andare via (...).
Dirigo un ufficio di 30 giornalisti. Mi occupo di tutta la comunicazione del governo e del presidente del Consiglio. Mi occupo dei discorsi del presidente del Consiglio. Sono l’interfaccia con tutti i giornalisti (quindi li sento più volte al giorno per dare la linea del governo. In sostanza i giornalisti sentono il portavoce per avere informazioni su cosa ha detto e fatto il presidente durante la giornata o durante incontri a cui giustamente i giornalisti non partecipano. Se così non fosse, l’opinione pubblica – ovvero i cittadini – avrebbero più difficoltà a sapere cosa fa il proprio presidente del Consiglio. È un lavoro di responsabilità, che comporta oneri e onori, e che non può essere svolto se non stando fianco a fianco al presidente del Consiglio, vertici e riunioni incluse. Quindi si lavora h24. Curo l’immagine pubblica del presidente. Delle sue interviste, delle sue presenze in tv, delle sue uscite pubbliche in ogni minimo dettaglio. Curo tutta la comunicazione social (Facebook, Instagram, Twitter). Scrittura dei post. Grafiche, video e foto. Realizzo campagne di comunicazione. Ad esempio vedrai prossimamente in Rai un video su come si trasmette il contagio. E un altro con dei domino che cadono. Mostra l’importanza della distanza di sicurezza. Seguo gli incontri bilateri tra il presidente e gli altri capi di stato o di governo. Mi si critica molto perché pochi sanno cosa effettivamente faccio. E il mio passato da gieffino non mi viene perdonato.
Marco Dotti per vita.it - estratto il 17 febbraio 2021. …………la pagina mancante nella sua biografia è forse quella di un’esperienza che avrebbe dovuto imbarazzare non poco i suoi compagni di viaggio nel Movimento 5 Stelle: il ruolo di anchorman, per quattro anni, su un canale tematico di scommesse, Betting Channel. Correva l’anno 2009 e dal suo spazio quotidiano serale in onda sul canale 657 di Sky, il futuro portavoce del M5S affermava: «i miliardi che arrivano nelle casse dello Stato dal gioco sono una cifra molto importante. Coloro che vivono il gioco con distacco e diffidenza devono rendersene conto. Anche i sindaci che vorrebbero limitarlo». L’esperienza sul canale di scommesse finirà nel 2011. Proprio in quell’anno Casalino... venne scelto dal M5S per far parte dello staff della comunicazione. Il resto è storia nota.
Rocco Casalino, "cosa ha nascosto nella sua biografia". Il lavoro che imbarazza il Movimento 5 Stelle. Libero Quotidiano il 18 febbraio 2021. Ma il Movimento 5 Stelle conosce il passato di Rocco Casalino? No, il Grande Fratello non c'entra. La "pagina mancante nella biografia" del portavoce dell'ex premier Giuseppe Conte, diventato nel giro di 3 anni eminenza grigia di Palazzo Chigi e dello stesso Movimento, è un'altra. E come ricorda il sito Vita.it, "è forse quella che avrebbe dovuto imbarazzare non poco i suoi compagni di viaggio" grillini: l'ingegnere, nella sua precedente vita professionale, è stato anche anchorman, per 4 anni, su un canale tematico di scommesse, Betting Channel. Niente di male, per carità. Se non che i 5 Stelle hanno spesso tuonato contro il gioco d'azzardo, anche quello legalizzato. Casalino, nel 2009, andava in onda sul canale 657 di Sky proprio per ricordare che "i miliardi che arrivano nelle casse dello Stato dal gioco sono una cifra molto importante. Coloro che vivono il gioco con distacco e diffidenza devono rendersene conto. Anche i sindaci che vorrebbero limitarlo". Praticamente, l'esatto opposto di quello che predicavano e predicano tutt'ora i suoi compagni del Movimento. "L’esperienza sul canale di scommesse finirà nel 2011 - ricorda ancora Vita.it -. Proprio in quell’anno Casalino venne scelto dal M5s per far parte dello staff della comunicazione". Insomma, Gianroberto Casaleggio e il suo staff probabilmente una letta veloce al suo curriculum l'avrà data. Chissà però se Luigi Di Maio, Vito Crimi e Alessandro Di Battista l'hanno fatto.
Franco Bechis per "il Tempo" il 17 febbraio 2021. Se eravate interessati a «Il Portavoce» e a conoscere i segreti della comunicazione di Rocco Casalino, prometto che per i soli lettori de II Tempo lo butterò giù, editando un audio libro con tutti i messaggi scritti e vocali che mi ha inviato in questi anni da Palazzo Chigi e prima ancora dal Senato dove guidava la comunicazione del M5s. Il libro uscito ieri per Piemme ha effettivamente quel titolo, «Il Portavoce» e la firma di «Roccobello», come pare lo soprannominasse Giuseppe Conte con affetto. Ma si guarda bene dal raccontare uno solo dei segreti o dei retroscena del suo lavoro. Pochissime pagine sono per altro dedicate a questo, e tutte agiografiche, avendolo scritto quando ancora stava a Palazzo Chigi e si illudeva di restarci almeno un altro paio di anni. Il libro che ha fatto irruzione nelle ultime 24 ore in tutte le trasmissioni tv e anche in radio non racconta nulla dei segreti del mestiere. Accenna al massimo qualche episodio fra le 267 pagine, e svela poco o nulla di quel che è accaduto. Meglio così che un racconto inevitabilmente non sincero: non è lì che si trova ad esempio lo scambio whatsapp con Augusto Minzolini nel giorno del rilascio dei pescatori di Mazara del Vallo dalle prigioni di Haftar, né motivo per cui il nostro Rocco che ci teneva a fare sapere di essere nella spedizione di liberazione inviò tragicamente la sua posizione in google maps nel bunker segreto di Bengasi, esponendo Haftar, i suoi generali ma anche la delegazione italiana guidata da Conte, Luigi Di Maio e dai capi di tutti i servizi segreti a un rischio altissimo. Eppure è l'episodio che meglio spiega Casalino: comunicatore diabolico e allo stesso tempo con ingenuità da bambino. Capitò anche con me un incidente simile, assai meno grave. Avevo trovato la documentazione di un appalto per il rifacimento del bagno nell'appartamento di palazzo Chigi a disposizione del presidente del Consiglio dei ministri, e c'era fra le altre cose un particolare imbarazzante: la costruzione di una doccia di lusso con getti Jacuzzi, non proprio un simbolo della sobrietà a cinque stelle. Rocco al telefono cercava disminuirne l'importanza e visto che non riusciva a convincere, sali nell'appartamento del premier, entrò in bagno e scattò una foto subito inviatami. Un secondo dopo la cancellò, come fece con tanti audio che avrebbero scandalizzato chi non lo conosceva da tempo (e io ogni volta in un secondo li giravo ad altro mio numero per sentirli meglio...). La foto però restò impressa nella galleria del mio telefonino e fu pubblicata la mattina dopo sulla prima pagina de II Tempo per lo stupore di chi me l'aveva inviata ed era sicuro di averla fatta sparire. Rocco è così, nature. E non aveva pensato che quella foto metteva in imbarazzo per altro motivo: il portavoce aveva evidentemente le chiavi dell'appartamento privato presidenziale da cui era in grado di entrare e uscire a suo piacimento. Tutto questo però non è citato nel libro, che invece l'autobiografia di un bambino che non è mai riuscito a diventare uomo, o forse di un uomo dentro cui alberga ancora irrisolto un bambino. Se lo prendete così, il libro si legge di un fiato, perché la scrittura è rapida e nervosa, i capitoli sono brevissimi, istantanee della sua vita fatte con l'occhio di un grande fotografo: respiri attraverso le sue parole i luoghi, vedi i panorami, vivi le sue contraddizioni, senti i profumi degli uomini e delle donne che incontra e prova ad amare. È una storia da romanzo che non ha finale, perché tutta la vita di Casalino irrisolta: quella del ragazzo immigrato, quella del protagonista di una Milano ancora da bere, quella del figlio che odiava ma amava il padre (il libro inizia con un rancore acido davanti al giaciglio con l'ultimo respiro di vita del genitore, ma finisce una notte di San Lorenzo con la pietà e la riconciliazione sulla sua tomba: «Ciao papà»), quello dell' ateo e del devoto, del maschio e della femmina che coabitano in lui. Ragazzino eterosessuale che si sente gay, poi gay che sogna il ritorno alla eterosessualità. Uomo in cerca spasmodica di un amore che non trova, ma anche di un Dio che di giorno nega e nella paura delle ombre della notte disperatamente cerca. Gran romanzo la sua vita che ancora è un libro aperto in cerca di un padre come di una compagnia che faccia sentire nella carne e nell'anima quelle parole leggere ma così profonde che sono «Per sempre». Poi volete curiosità? Ce ne sono seminate nei capitoli. La prima, il danno che Bin Laden fece ai palazzi della politica italiano senza saperlo: fu l'attentato alle Twin Towers a convincere Casalino che doveva smetterla di vivere frou-frou sulle ali del successo del Grande Fratello e impegnarsi, darsi da fare in politica. Nacque quel giorno il «Portavoce». Seconda curiosità: lo scarso amore per la Lega. Casalino fu licenziato da Telelombardia per colpa di qualche politico del Carroccio, e la prese malissimo: «persi ingiustamente il lavoro dei miei sogni». Terza e ultima curiosità, Matteo Renzi. Lo vide in tv promuovere il referendum, e gli venne quasi voglia di darli una mano: «Gli servirebbe uno come me, capace di dirgli: non andare più in tv, ogni volta che vai ti fai male»...
Da la7.it il 17 febbraio 2021. Rocco Casalino attacca Matteo Renzi: "Conte ha portato 209 miliardi di euro, sono sicuro che ci saranno capitoli dei libri di storia dedicati ai suoi successi e paragrafetti per altri Presidenti pieni di fallimenti".
Estratto dell’articolo di Selvaggia Lucarelli per “il Fatto Quotidiano” il 17 febbraio 2021.
Mai una smagliatura?
Anche in pandemia tutti avevano delle crisi di nervi, lui rimaneva lucido. Noi della comunicazione facevamo i turni per seguirlo, io non riuscivo a reggere i suoi ritmi, che erano dalle 8 a mezzanotte, sempre. A una certa ora mi scusavo: "Presidente, io vado a casa".
Siete diventati amici?
Sì, ci davamo del tu, gli parlavo anche di cose personali, quando mia mamma ha avuto problemi di salute lui si preoccupava.
In cosa hai sbagliato in questi anni?
Nel pensare di poter costruire un rapporto di amicizia coi giornalisti. Ci fu la famosa storia delle note audio diffuse dalla stampa, un' ingenuità la tua. Mi è dispiaciuto perché lavoravo con questi giornalisti da anni, mi fidavo, rispondevo a tutti sempre, fino a notte fonda.
(…)
Regali te ne ha fatti?
Tanti. Molte cravatte importanti. E libri.
Tu a lui?
L' ultimo è stato un panettone artigianale di "Da Vittorio".
Un panettone?
Sì, ma da 300 euro. (…)
Da liberoquotidiano.it il 17 febbraio 2021. Una Selvaggia Lucarelli versione mastino azzanna senza pietà Rocco Casalino. Se non ci credete, avete le vostre buone ragioni. Innanzitutto, perché difficile trovare giornale più schierato con Giuseppe Conte e il suo cerchio magico del Fatto quotidiano, diretto da Marco Travaglio, che con Palazzo Chigi aveva un filo diretto. Secondo, perché l'intervista della Lucarelli all'ex portavoce del premier è soprattutto sul versante intimo. Tutto molto bello, se non che il personaggio Roccobello ha valenza soprattutto politica e incarna "l'anima grigia" del contismo, tutto quello che si muoveva alle sue spalle. Un aspetto completamente trascurato da Selvaggia. Tant'è, un'occasione persa anche se è lo stesso Casalino a recuperarla, parlando a destra e manca in tv per promuovere il suo imperdibile libro-retroscena sui suoi 3 anni a fianco dell'avvocato. Risultato: le domande della intervistatrice insolitamente docile non fanno altro che far emergere il lato dolente dell'ex gieffino e muovere a sincera compassione il lettore. Considerato che è quello del Fatto, forse l'obiettivo era proprio quello. E così, l'interrogatorio verte sull'amicizia nata tra premier e portavoce ("Lui è uno che non lascia niente al caso. Anche quando serviva un comunicato stampa pulito, in cui dovevo comunicare che so, che aveva incontrato la Merkel, io dicevo 'Presidente, mando?' e lui: 'Fammi leggere'", o ancora "Anche in pandemia tutti avevano delle crisi di nervi, lui rimaneva lucido"), sugli errori di questi anni ("Pensare di poter costruire un rapporto di amicizia coi giornalisti", insomma colpa dei cronisti)", le note audio sprezzanti su Ponte Morandi derubricate da Selvaggia a "ingenuità" quando in altri casi, o con altre persone, sarebbero valse la gogna social e la richiesta di dimissioni immediate, tanto per gradire. Su Zingaretti, Renzi e Salvini apre semplicemente "il rubinetto", come fosse davanti al più grande spin doctor della storia e non all'uomo più contestato (anche dentro il M5s) a cui molti addebitano il pessimo atteggiamento (mediatico e politico) che ha portato alla rottura con gli alleati. "Ti è pesato dover stare attento a tutto?", è la domanda più cattiva. "Molto, sono invecchiato 10 anni almeno. Prima ero più spensierato e più buono". Si scende nella psicanalisi: "Ti sono venute fobie?", "Quella della parola, di essere registrato, frainteso, filmato". "Ti è dispiaciuto che ti sfottessero per le lacrime mentre Conte lasciava il palazzo?", e così si viene a sapere che "nel palazzo erano tutti in lacrime" (forse di gioia). E via con altri dettagli imperdibili sul panettone o l'insonnia. "Non dormo meglio la notte, il dispiacere è ancora fortissimo. Non per me, ma per Conte. Non se lo meritava".
Otto e Mezzo, Rocco Casalino si tradisce: "Oddio, l'ho detta male". Il lapsus con cui rivela il suo futuro in televisione. Libero Quotidiano il 16 febbraio 2021. E adesso, Rocco Casalino che cosa farà? Si parla ovviamente anche di questo a Otto e Mezzo, nello studio di Lilli Gruber, nella puntata in onda su La7 lunedì 15 febbraio, quella in cui l'ospite d'onore era l'ormai ex portavoce del premier, Giuseppe Conte, fresco di stampa del suo libro dal titolo, appunto, Il Portavoce. Dalla Gruber è Rocco-show. Casalino si spende in elogi sperticati per Conte, assicura che Conte "c'è e ci sarà", quasi una minaccia, invece nicchia e si imbarazza quando tirano in ballo il Grande Fratello, sua croce e delizia. Croce perché Rocco non tollera che se ne parli, delizia perché senza quello chissà cosa avrebbe fatto, per certo non sarebbe mai arrivato a Palazzo Chigi. Dunque, il futuro di Rocco. "Si candiderà?", chiede Lilli la rossa a bruciapelo. "Per adesso non so ancora cosa farò. È successo tutto molto rapidamente", risponde riferendosi ovviamente alla detronizzazione del presunto avvocato del popolo. Ma la Gruber insiste: "Le piacerebbe candidarsi?". "Sono dieci anni che ho avuto ruoli importanti nel Movimento e poi sono diventato portavoce del presidente Sono sempre stato qualcosa di...". Ma Lilli lo interrompe, vuole a tutti i costi strappargli una risposta affermativa: "Dunque le piacerebbe... sì". Anche Casalino non molla: "Non lo so, mi stanno arrivando un sacco di proposte altrettanto belle". Cosa, di grazia? "Sempre nell'ambito della politica, però anche nell'ambito della televisione. No, no, oddio... l'ho detta male. Sempre nell'ambito del giornalismo", si corregge. Insomma, Casalino sembra quasi "paventare" il fatto che gli abbiano offerto una conduzione, o qualcosa di simile (ospite fisso?). Già, perché parla di televisione (salvo poi correggersi immediatamente, "l'ho detta male", ovvero voleva dirci che non ce lo troveremo all'Isola dei famosi così come ce lo trovammo anni fa al GfVip). Dunque, parla di televisione e di "giornalismo": basta fare due più due per capire che cosa ci abbia svelato Casalino. Insomma, il Rocco-show potrebbe continuare sul piccolo schermo. Per inciso, anche dopo questa risposta, in una sorta di coazione monomaniaca a strappargli un "sì" su un futuro politico da candidato, ecco che la Gruber chiede per la quinta volta: "Però le piacerebbe fare politica attiva?". "La faccio da otto anni". "Sì, ma da politico" (e siamo a sei volte). A quel punto, un Casalino estenuato, risponde: "Può essere una strada". Gruber soddisfatta, cala il sipario.
Dagospia il 16 febbraio 2021. Riceviamo e pubblichiamo: Caro Dago, la Gruber ha dato dell'Ingegnere a Casalino. Severgnini si è prontamente accodato a chiamarlo Ingegnere, precisando che gli piaceva, in analogia a CDB. Sono io l'unico fesso che è andato a verificare sulll'Albo Unico e ha constatato che Ingegnere (titolo che puoi usare solo se iscritto all'Ordine) Rocco Casalino non è? Un episodio minore, emblematico -tuttavia- della stampa e del potere dell'epoca dei 5 Stelle. Alessandro
Rocco Casalino, quel grosso guaio nel passato: "Provai ad hackerare una banca e arrivò la polizia". Libero Quotidiano il 16 febbraio 2021. Rocco Casalino in vena di confessioni. Il fu capo ufficio stampa di Palazzo Chigi svela più del dovuto. E lo fa nella sua nuova autobiografia. "Fin da piccolissimo, fin dalle elementari, ero un vero genio nelle materie scientifiche. Una spanna sopra tutti gli altri. Al punto che poi, a 13 anni, avevo provato ad hackerare una banca - si legge -. Mica per rubare davvero dei soldi, ma proprio per il piacere di riuscire a violare un importante sistema di sicurezza. E qualcosa sono riuscito a fare se era venuta la Kriminalpolizei a casa. Pensavano fosse stata opera di un adulto, interrogarono mio padre. Quando videro che era la sbruffonata di un ragazzino lasciarono perdere". Il portavoce di Giuseppe Conte ha raccontato la difficile infanzia passata tra la Germania e la Puglia. Il complicato rapporto con un padre violento e la sua sessualità. Poi la vita pubblica, quella che lo ha portato sulla strada del Movimento 5 Stelle. La carriera politica - spiega - è iniziata con una proposta sfacciata a Francesco Rutelli sul balcone affacciato sul Foro: "Vorrei fare politica", aveva detto salvo poi ricevere da Walter Veltroni un: "Vediamo cosa si può fare". Da lì la candidatura alla Camera, alle politiche del 13 maggio 2001. Un sogno che si frantumò sul nascere. Alla fine - confessa - "vinse il panico" e si ritirò. Ma la fortuna gli sorrise. Poco dopo si fiondò nella casa più spiata d'Italia, il Grande Fratello Vip. “Una cosa l'avevo capita presto, e ho poi verificato che l'avevano capita anche gli spettatori: il meccanismo delle nomination. Lo stratega ero io” commenta “sapevo come gestire le persone nella casa, come fare a rimanere fino alla fine, settimana dopo settimana". Un carattere che piano piano lo portò a diventare il braccio destro del premier più ricordato degli ultimi tempi: quello che gestì l'emergenza coronavirus.
Da corriere.it il 16 febbraio 2021. Il portavoce dell'ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte, torna in tv. Rocco Casalino, ospite di Lilli Gruber a “Otto e Mezzo” in onda su La7, ha parlato di Draghi, degli insulti ricevuti da Renzi, e di quanto la politica italiana, a detta sua, sia maschilista.
Gabriele Barberis per "il Giornale" il 16 febbraio 2021. Se Draghi si chiude in un laborioso silenzio da ex banchiere centrale, chi c'era prima di lui sceglie la tattica comunicativa opposta: farsi notare. Giuseppe Conte si fa intercettare dalle telecamere amiche del Fattoquotidiano.it per sospirare sul suo imminente ritorno come docente all'università di Firenze. L'immagine è quella del «civil servant» prestato alla politica che, dopo due anni e mezzo di potere e lustrini, ritorna a lavorare per lo Stato da semplice dipendente pubblico. Giuseppi è comunque consapevole di avere guidato per due volte il governo di uno dei principali Paesi del mondo, un'esperienza che a soli 56 anni (portati bene e con stile) potrebbe riservargli nel futuro altre soddisfazioni politiche di alto livello. Oggi lo inebria il tesoretto di consensi social, soprattutto il milione e 200 mila «like» che hanno salutato su Facebook il suo post di commiato da Palazzo Chigi. Il suo portavoce uscente, quel geniaccio ingombrante di Rocco Casalino, non ha dimenticato di rimarcarlo nell'ennesima intervista in cui spiega quanto sia bravo il suo capo a toccare il cuore della gente. Non si parla più di dpcm, di lodi all'imbarazzante Trump, delle mascherine di Arcuri e di altri disastri che alla fine hanno portato alla defenestrazione del sedicente «avvocato del popolo». La premiata ditta Conte&Casalino riparte da un effimero gradimento sul web che può toccare vette impressionanti in poche ore, sull'onda del riuscito reality finale di Palazzo Chigi, ma anche svanire non appena il neo premier Draghi inizierà a interagire con gli italiani, meglio con i fatti che con le conferenze stampa ammaestrate. Del professor Conte si immagina un ritorno come guida moderata ed elettorale dei Cinque Stelle, se non un provvisorio stazionamento nella riserva della Repubblica. Del comunicatore Casalino, in tour virtuale sull'autobiografia, si intravede un ritorno alla regia comunicativa dei grillini, se non un posto da parlamentare al primo giro utile. Auguri a tutti e due. Resta però difficile scorporare il loro sodalizio professionale e politico, a giudicare da quanto le mosse dell'ex premier sembrino costantemente plasmate dal suo guru mediatico. Se Draghi opererà per il Paese senza pronunciare una parola di troppo, Giuseppe e Rocco studieranno giorno per giorno come porsi all'opinione pubblica per non farsi dimenticare dagli elettori. Al momento hanno scelto di prolungare l'uscita dal cono di luce dei riflettori. Sanno anche loro che questo Paese così bizzarro e mutevole ama gli addii commoventi ma sa anche asciugarsi in fretta le lacrime. Fino al fatidico «chissenefrega» finale che ha sepolto nell'oblìo tante carriere politiche che parevano inarrestabili.
Casalino: “Io in politica? Ci penso. Renzi più cinico di Machiavelli”. Redazione su Il Riformista il 16 Febbraio 2021. “Non sono parlamentare perché ho ritirato la mia candidatura dopo gli attacchi feroci per il mio passato al Grande Fratello“. Così Rocco Casalino, il portavoce dell’ex premier Giuseppe Conte nel corso della registrazione di Porta a Porta in onda su Rai 1 e interrotta quando il cellulare di Casalino è squillato perché lasciato inavvertitamente acceso. “E’ lui” ha detto a Bruno Vespa il responsabile della comunicazione di Conte. In futuro però non esclude una nuova possibilità, questa volta senza ritiro. “Ci sto pensando ma non lo so onestamente”. Proprio sul futuro dell’ex premier, Casalino si mostra scettico e asserisce di avanzare dei dubbi sul vederlo alla guida del centrosinistra. “Forse è un’idea che ha lui e che può avere la coalizione” ma “mi auguro di vederlo a capo del Movimento. Conte – ha proseguito – ha portato credibilità all’Italia in Europa, ha portato i 209 miliardi, lo definisco uno statista straordinario, il Paese ci perde se torna a fare il professore. Io glielo dico tutti i giorni. Sono passati pochi giorni da quando è uscito da Palazzo Chigi, ci vorrà del tempo per elaborare la cosa, ma va chiesto a lui, non sono più il suo portavoce“. Intervenuto in precedenza a ‘Un giorno da pecora’ su Rai Radio 1, Casalino ha così commentato il futuro dell’ex premier: “A Conte conviene fare il capo del M5S o fare il leader di coalizione? Berlusconi però faceva il capo di un partito ed era anche capo della coalizione…”. “Il problema adesso è che la coalizione” di centrosinistra “è attualmente 7 punti sotto al centrodestra quindi qualcuno deve rimediare. Bisogna lavorare su un partito per attrarre consenso”, conclude. Sul leader politico meno gradito a Conte, Casalino fa muro e attacca: “Renzi o Salvini? Per quanto mi riguarda entrambi hanno fatto cadere il governo per ragioni personali”. Poi si sofferma sulla “metodologia” del leader di Italia Viva che ha fatto “una crisi di governo in piena pandemia”. “Posso comprenderne le ragioni politiche ma a livello di cinismo secondo me supera Machiavelli – aggiunge –. Se Conte ha sbagliato qualcosa? No, era già tutto deciso. C’è stata una operazione di logoramento”.
Marco Ciriello per Dagospia il 15 febbraio 2021. A dispetto della posa in copertina che evoca il Frank Underwood della serie “House of Cards”, la biografia di Rocco Casalino,“il Portavoce” (Piemme), ha poco racconto politico, pochissimi intrighi e moltissimo di personale. Chi si aspettava il backstage dei governi Conte non troverà nulla, nemmeno il passaggio dalla Lega al Pd, perché Casalino è convinto che il privato sia politico, e che la sua ascesa sia molto più importante dell’essere portavoce del presidente del consiglio. Non contano le maggioranze né le alleanze ma contano gli stati d’animo (il libro è costellato di emozioni). Casalino è l’evoluzione dei personaggi sordiani, un italiano meravigliosamente medio, e niente racconta il recente ventennio meglio della sua biografia. È riuscito dove i personaggi di Walter Siti e Ferzan Özpetek hanno fallito. Non ha dio, ma solo padri putativi, e come Nico Naldini rivendica una omosessualità trasversale e mediterranea. È un italiano laterale, come quelli di Paolo Virzì, un dirottato dalla sinistra, vessato e vendicativo, complottista e sognatore, ingenuo e con tanta rabbia esibita senza la vergogna borghese. Brama e prega, anzi supplica, ma poi s’impegna per diventare una geisha della comunicazione. È un piagnone spaventato che sa essere spietato, un laureato in ingegneria elettronica – titolo da esibire ovunque – con una cultura medissima: se evoca Mao è per il caos sotto il cielo, Marx per le religioni come oppio, la Dickinson per l’amore che è tutto e Calvino per la leggerezza. Però, ha più cose da dire di molti dei romanzi che arrivano in finale allo Strega, ma essendo un provinciale che ha scontato l’essere fuori posto (uno dei refrain del libro), non coglie la sua forza, ma solo gli abusi che gli vengono da questa forza. Rigetta il disprezzo che gli cade addosso per il Grande Fratello scavalcando le connessioni col Parlamento, tra la politica culturale di Mediaset e l’incarnazione nelle pagine di cultura dei giornali oggi, tra il racconto frammentato su twitter e la nota politica post-ceccarelliana, tra lo share e il consenso. Non dice di George Orwell, ma solo di Nunzia De Girolamo che lo addita nei corridoi di Montecitorio come colpevole d’essere stato nella casa a Cinecittà. Ignorando, con molti altri, che Rocco Casalino è una figura centrale di questi anni, che vuole piacere a tutti mentre s’illude di cambiare il Paese, ma ci vorrebbero Rodolfo Sonego e Ettore Scola per farne un grande film. Rocco vive l’adolescenza da emigrante in Germania, poi torna al sud, nel paesino di Ceglie Messapica, in Puglia, si laurea a Bologna, sogna l’America attraverso i film: “Wargames”, “Karate Kid”, “Una donna in carriera”. Sente la vocazione politica nel giorno dell’assassinio di Falcone, ma scende in campo dopo l’undici settembre – la vera vittoria di Al-Qa?ida sull’Occidente: consegnarlo ai selfie con Trump, Macron e la Merkel –, poi incontra Beppe Grillo: l’unico a non fargli pesare la partecipazione al reality. Avendo ripudiato il padre in punto di morte, per una storia di violenza sulla madre che tutti i giornali hanno riportato senza capire che era l’amo per il lancio, poi alla fine il Rocco realizzato va sulla tomba a far pace, a differenza di Frank Underwood che sulla tomba del padre ci piscia. Ma Rocco è un uomo del sud, educato per sbaglio in Germania, di cui, però, conserva la logica dell’efficienza, nonostante le vessazioni, e come un Manfredi emigrante vorrebbe apparire sulla tivù tedesca la sera che spiega – in tedesco – il Movimento 5 stelle alla cancelliera Merkel davanti a un pollo impanato. Una scena che da sola si beve tutte le commedie italiane degli anni venti. Rocco è quello che dopo averlo filmato si conserva il segnaposto della cena con Trump: andando oltre la Noemi Letizia di “Loro” immaginata da Contarello e Sorrentino. Vuole cambiare il mondo, ma nel libro non c’è preoccupazione nemmeno per i problemi del traffico di Roma, vuole candidarsi al parlamento e Walter Veltroni lo accontenta: con i Ds nel collegio di Brindisi, ma poi rinuncia, non volendo sperperare il successo ottenuto con il “Grande Fratello”, meglio gli sconti regalati da Dolce&Gabbana: le pagine dove porta la madre a comprare tutti i vestiti e le scarpe che vuole sono da sequel di “Pretty Woman”. Però c’è la sintesi – involontaria – dell’effimero della sinistra vendoliana: negli anni di militante di Rifondazione Comunista scopre la taranta e non Giuseppe Di Vittorio. Insomma, Rocco rappresenta le contraddizioni di questi anni, non è peggiore dei funzionari e dei parlamentari del Pd o di Forza Italia, anzi. Ha attraversato i mondi lavorativi dai call center al giornalismo di Telelombardia e Telenorba, con Sandro Parenzo e Lamberto Sposini, fino ad incontrare Grillo che appare come un incrocio tra Elijah Muhammad e Jerry Falwell, il primo dei tre grandi padri che lo aiuteranno a crescere. Poi arriva Gianroberto Casaleggio che lo faceva scattare in piedi anche quando era solo al telefono, come salivano sui banchi i ragazzi de “L’attimo fuggente”, è il padre che gli detta le regole della comunicazione, gli insegna tutto, ma muore. Infine, c’è il padre perfetto, Giuseppe Conte, di cui si ritrova portavoce, servendolo come il maggiordomo di “Quel che resta del giorno”. Rocco è la sostanza antropologica italiana: ha studiato quello che occorre, sa un po’ di Einstein anche se non gli interessa la sua tempra morale; è cialtrone quanto serve, quindi bugiardo e in fondo le bugie sono un trucco per vivere meglio; un discreto manipolatore, ma anche un ingenuo e un manipolato a sua volta; è mammone e indipendente, metà vita da eterosessuale e il resto da gay, ma col rimpianto di non aver avuto la grande storia d’amore; è navigato ma lo fregano ancora; un figlio d’emigranti che ha subito il razzismo e s’è tenuto la politica migratoria peggiore di questi anni; ricorre a tutti i mezzucci comunicativi dalle prepotenze alle preghiere, è mellifluo e tiranno, un acerbo comunista col fascino del capitalismo; e la politica è il mezzo per stare meglio, non importa come. La sua è la migliore piccola epopea possibile dentro al potere per uno che viene dal basso, la dimostrazione del classismo italiano e di come si possa scardinarlo, dell’impossibilità di diventare razza padrona, ma solo padroncina: per poco e in modo traballante, quasi abusivo; è la classe dirigente uscita dalle nebbie post-ideologiche che non sa bene cosa fare, ma sa come illudere e illudersi di farlo.
Monica Guerzoni per il “Corriere della Sera” il 15 febbraio 2021. Essere Rocco Casalino, sentirsi sempre fuori posto «come un Forrest Gump», passare la vita a «dimostrare che potevo stare lì dove stavo e che ci ero arrivato da solo». Dalla casa del Grande Fratello alla Casa Bianca, quando rimirandosi dentro uno specchio si disse, tra stupore e orgoglio: «Ma guarda dove sono arrivato». L'infanzia da emigrante in Germania, la povertà assoluta, i vestiti di quarta mano, le botte del padre amato e odiatissimo e quelle dei bulli, che gli gridavano italiano, finocchio, frocio, gay. E poi lo studio matto e disperatissimo, la ricerca (vana) del vero amore, la laurea in Ingegneria, la tv e il successo, il riscatto e l'invidia, i soldi facili e quel «marchio di infamia» di cui non si è mai liberato: «Come mai Rocco del Grande Fratello è il portavoce del premier?». Per rispondere alla domanda che lo tormenta da vent'anni ha scritto un libro per Piemme che esce domani (Rocco Casalino il Portavoce - La mia storia) . Dal primo giorno di vita a Frankenthal l'1 luglio del 1972, «nato per caso, non desiderato, non voluto, sbagliato», fino a Giuseppe Conte, che assieme a Gianroberto Casaleggio è stato «la persona più grande mai incontrata».
Cominciamo dalla fine, quando Conte ha lasciato Palazzo Chigi lei ha pianto. Per il potere perduto?
«Il concetto di potere lascia il tempo che trova. Per me Palazzo Chigi è stata una esperienza impegnativa di lavoro. Quest'ultimo anno con la pandemia è stato molto faticoso, un livello di stress pazzesco. E quando Conte è uscito la commozione ha colpito tutto il palazzo. Lui ha il dono di arrivare al cuore e questo lo renderà diverso da tutti i presidenti del Consiglio».
Dal servo encomio per Conte siamo passati al codardo oltraggio di manzoniana memoria?
«Non credo che Conte sarà presto dimenticato. Il video del suo addio ha incassato su Facebook un milione di like, numeri pazzeschi che non fa nessuno al mondo. Proprio tutto questo consenso ha fatto di lui un problema».
Pd e M5S lo hanno già scaricato?
«Conte è stato fatto cadere come tutti sanno da Renzi con una manovra di palazzo ben studiata. Invece di fargli una statua è stato mandato a casa dopo aver ottenuto dall'Europa 209 miliardi».
E ora come pensa di salvare il soldato Giuseppi?
«Io saprei come farlo. Il grande dubbio è cosa vuole fare lui. Credo sia una risorsa importantissima per il M5S, ma questo è un mio desiderio personale. La scelta tocca a lui e al Movimento».
È Di Maio l'ostacolo alla leadership di Conte?
«Un dualismo molto alimentato da altri, perché sono sempre andati d'amore e d'accordo. Ora è importante capire cosa accadrà con una leadership a cinque che cambia tutto».
Conte farà un partito?
«Non so cosa farà Conte, ma mi auguro che la sua strada si intersechi con quella del Movimento».
Continuerà a curare la comunicazione dell'ex premier o punta davvero a fare un giorno il ministro?
«Io sono un attivista del M5S, sto valutando cosa fare e mi serve un po' di tempo per riprendermi. Con Conte continuiamo a sentirci, non ci siamo lasciati come se qualcosa fosse finito. Questa è la legislatura che ha sottovalutato Conte. Ha peculiarità straordinarie. Con lui in una campagna elettorale si possono fare cose incredibili».
Quali peculiarità?
«È una persona vera, ci mette la faccia. Ha avuto il coraggio di affrontare migliaia di operai arrabbiati all'Ilva di Taranto. È andato a trattare a Bruxelles ed è stato un numero uno, ottenendo il risultato migliore di tutti. Una macchina da guerra, uno stakanovista assoluto, capace di lavorare 18 ore».
Ora cambierà tutto, Draghi ha imposto che a parlare siano i fatti.
«Buoni propositi che aveva anche Conte. Non credo nei Cdm segreti, come sosteneva Gianroberto Casaleggio "se siamo in tre, due sono già di troppo". Noi ci raccomandavamo di non far uscire i Dpcm, ma come li mandavamo ai ministeri e ai vari uffici, venivano resi pubblici. L'ho vissuto sulla mia pelle, accusato di dare ai giornalisti veline e notizie. Vedrete, anche con Draghi uscirà tutto».
Non è ora che lei faccia un po' di autocritica?
«A chi lavora tanto possono capitare errori. Con me hanno fatto di tutto per evidenziarli, anche se insignificanti. Non avete idea di quanti errori e disastri veri si possono fare con la comunicazione, con lo stress e nei tempi strettissimi dovuti all'emergenza. Nessuno prima aveva gestito la comunicazione di una pandemia, lo abbiamo fatto bene e credo che il merito vada riconosciuto».
Fosse il portavoce di Draghi lo renderebbe più pop?
«No, punterei sulla competenza. Stonerebbe e avrei il timore dell'effetto Mario Monti col cagnolino, in tv da Daria Bignardi».
"Crolla Conte e cado pure io". La triste profezia di Casalino. Abbiamo letto in anteprima l'autobiografia di Rocco Casalino. Tra drammi e scalate al potere, si interroga sulla sua fine. Serena Pizzi, Domenica 14/02/2021 su Il Giornale. Il tempo di Giuseppe Conte in coppia con Rocco Casalino è finito. Ieri, il governo guidato da Mario Draghi ha giurato e per il duo è arrivato il momento di preparare armi e bagagli. Di andarsi a cercare un altro impiego. Questa uscita di scena, però, ha commosso particolarmente l'ex concorrente del Grande Fratelllo (guai a chiamarlo così!). Alcune telecamere, infatti, lo hanno inquadrato nel momento in cui l'ex premier stava abbandonando Palazzo Chigi e lo hanno trovato completamente in lacrime. Il duro, lo spietato e l'imperturbabile Rocco si è mostrato in tutta la sua fragilità. Ma sarà davvero così? O forse nella testa di Casalino stavano frullando migliaia di altri pensieri? Leggendo la sua autobiografia, Il portavoce, edito da Piemme, ci rendiamo conto fin dalle prime pagine che Rocco è perseguitato da un unico pensiero: "Sono il più bravo di tutti, ho studiato, so le lingue, costruisco personaggi, perché non lavoro? Anzi, ce l'ha chi non se lo merita. Non posso stare senza lavoro". Ma Casalino non è solo travolto da questo personalissimo senso di giustizia. L'ex portavoce sente di avere una marcia in più. Come quando si presenta all'Electronic Data System (per poi scoprire che si tratta di un normalissimo centralino) e dentro di sé confabula parole del tipo "qui capiranno il mio valore. Mi assegneranno il ruolo che merito e mi faranno fare le grandi cose per cui ho studiato". Vedi Rocco, non sempre quello che noi pensiamo poi è effettivamente la realtà. Probabilmente al mondo esistono ingegneri (perché questo titolo ci tieni a sbatterlo in faccia a chiunque) più preparati di te. Ne Il portavoce, infatti, dopo diversi capitoli dedicati alla sua tragica situazione famigliare - che per rispetto non commenteremo, chi siamo noi per farlo? - ci illustra tutti i suoi studi, i suoi sacrifici, gli ostacoli che la vita gli ha messo davanti. Ci dice chiaramente di essere perfetto per qualunque ruolo: dal giornalista televisivo allo spin doctor. E proprio per la sua perfezione non riesce a capacitarsi del fatto che il suo "successo" sia arrivato così tardi. Nel testo, si definisce convintamente ateo e comunista. E dopo diverse pagine (e un sudato percorso interiore) ci confessa di aver capito di essere gay, "anche se mi piacciono di più gli eterosessuali". A pagina 110, poi, scrive per la prima volta una frase che diventerà un leitmotiv della sua autobiografia: "La spunto io. Come sempre, devo dire". Rocco, infatti, viene assunto nel call center. Non perché ami quel lavoro ma per dimostrare che quando vuole una cosa se la prende. E così dirà per il resto del libro (a pagina 114 la frase diventa "si sa che alla fine ottengo sempre le cose impossibili che voglio"). Ama rimarcare le differenze fra lui e gli altri, "tutti giovani, nessun laureato, solo diplomati". Ci verrebbe da consigliargli di guardare i curricula dei politici del MoVimento, ma evitiamo. Piccola parentesi. Due pagine dopo la frase si trasforma per diventare: "La cosa incredibile è che davo sempre per scontato che quello che volevo lo avrei raggiuto, cosa che poi paradossalmente si è sempre avverata nella mia vita". Quanta modestia. Ma procediamo. Nel flusso di coscienza di Rocco, non possiamo non addentrarci in un piccolo spazio, quello del Grande Fratello. Casalino ne parla prima come una grande opportunità, come la svolta della sua vita, "mi riconoscevano tutti in strada". E proprio dentro le quattro mura di Cinecittà dice di essersi reso conto che è uno stretega: "Sono riuscito praticamente a controllare tutto, a fare andare le cose come volevo". Diciamo che questa parabola felice nella storia politica attuale non si è concretizzata. Il tanto discusso audio dove l'ex portavoce dice "amore, stai tranquillo... ci sarà un Conte Ter" assomiglia più allo "stai sereno" di Renzi a Letta. E sappiamo tutti - in entrambi i casi - come è andata. Con il Gf Rocco diventa famoso, ricco e si sente onnipotente. Sa che sarebbe stato "disposto a fare cose non corrette" per sopravvivere e vive di trasgressione. Poi arriva la tanto contestata intervista de Le Iene. Siamo nel 2001 e Rocco perde la "retta via". Si lascia andare a insulti e offese verso quella parte di società in cui lui è cresciuto. "Il povero ha un odore molto più forte - diceva -. Hai mai provato a portarti a letto un rumeno o uno di questi dei paesi dell'Est? Anche se si lava o si fa 10 docce continua ad avere un odore agro dolce, non so che cavolo di odore è. Però lo senti". Dopo un po' si rivede in tv e rinnega se stesso. Arriva addirittura ad odiare quella etichetta di "gieffino". Qui - scrive - capisce di doversi dedicare ad altro. Si butta sul giornalismo, anche se dentro si sente un politico mancato. Dopo una serie di digressioni e paralellismi con Conte, arriva alla parte "calda": il Movimento Cinque Stelle. È in completa adorazione per Beppe Grillo, per la sua politica rivoluzionaria "non attaccata alle poltrone" (oggi avremmo qualcosa da ridere in merito). Così si avvicina a questi ragazzotti che di professione non sono politici, tanto che quando entrano in Parlamento nel 2013 - ci confessa - non sapevano come muovesi. "Poverini, erano stati eletti, molti senza aspettarlo, erano completamente disorientati". Addirittura pensavano che qualcuno dicesse loro "cosa avrebbero dovuto fare" una volta al governo. Tra una riga e l'altra, tira fuori dal cilindro la solita teoria dell'uno vale uno, dell'onestà e del vincolo massimo di due mandati. Parole che lette oggi fanno un po' sorridere. Da questo momento in poi, Casalino tesse la sua ragnatela. Inizia a cucire addosso alle persone personaggi. Lo fa con Di Maio e poi con Conte. E ne va particolarmente fiero. Tanto che fra un capitolo e l'altro ci spiega quanta fatica abbia speso per "rendere" Giuseppi quello che è oggi, "una leader riconosciuto internazionalmente" anche se ci tiene a precisare che la base era buona. Narra dei suoi sforzi per costruire una comunicazione televisiva efficiente "perché io la conosco questa macchina". E arriva pure a parlare dell'ottima comunicazione fatta in tempi di Covid. Su questo avremmo molto da obiettare: dalle fughe di bozze a tarda notte, ai continui (e incomprensibili) dpcm alle conferenze stampa a reti unificate. Ma forse Casalino le reputa piccolezze. Infine, elogia Giuseppe Conte, le sue trattative a Bruxelles per il Recovery Fund (nonostante il tanto lavoro e la sveglia presto), le "lotte" combattute per l'Italia e tutto ciò che hanno costruito insieme. Ma sul finire torna con i piedi per terra. "Cosa voglio fare da grande?", si chiede. Ricordiamo che il testo di Casalino uscirà il 16 febbraio. Dieci giorni fa lo aveva addirittura bloccato e non voleva più pubblicarlo. Eravamo in piena crisi di governo. Lui e Conte si prodigavano per raccattare responsabili per il Conte Ter, ma non ce l'hanno fatta. Oggi abbiamo al governo Mario Draghi, ma mente Rocco scriveva era all'apice del suo "potere". Però sapeva che niente dura per sempre: "Da un lato il mio lavoro è precario e la gente non se ne rende conto. Io non sono un dipendente statale con il posto fisso. Cade il governo e cado anche io. E dopo? Boh, chi lo sa". Fra le varie ipotesi che butta lì (parlamentare e ministro), però, è convinto di una cosa: "Non finirò in mezzo alla strada, ho una professionalità finalmente riconosciuta". Ecco, arrivati alla fine di tutto, viene spontaneo farci una domanda. Perché Rocco ieri piangeva? Non è che stava pensando al suo futuro? Il governo è caduto.
Annalisa Cuzzocrea per “la Repubblica” il 13 febbraio 2021. Rocco Casalino sa di essere molte cose insieme. Il ragazzo che faceva strategie nel confessionale del Grande fratello e l'uomo che spiega il Movimento ad Angela Merkel mentre mangiano una coscia di pollo panata. Il bambino che ha sofferto l' indigenza estrema, il bullismo e il razzismo in Germania e lo stratega delle Ong taxi del mare e del balcone su cui Di Maio annunciò di aver abolito la povertà. Quel che racconta, nella sua biografia - Il portavoce , in uscita per Piemme il 16 febbraio - è insieme la storia di un' ossessione, il reality vissuto come uno stigma, e quella di un riscatto, «quando sono entrato nel Movimento mi guardavano con schifo, mi sono guadagnato il loro rispetto».
Questo libro si apre in modo molto crudo: la violenza di suo padre su sua madre, soprattutto, poi su lei e sua sorella. Il "devi morire" che ha pronunciato l'ultima volta in cui l'ha visto. Ha davvero perdonato, l'estate scorsa, in quel cimitero in cui è corso a dirgli addio?
«È difficile, quando hai una ferita così grande. Anche solo poterne parlare, raccontarlo, ha richiesto un lavoro enorme su me stesso. Perché da un lato c'è la rabbia, il dolore, ma dall'altro c'è il fatto che quello è tuo padre e questo legame, ti piaccia o no, non puoi reciderlo. Parlarne in quel modo, nel libro, è stata una violenza per me, un nuovo dolore. Però è servito, mi ha aiutato a superare questa lacerazione, forse grazie a questo sono riuscito a perdonarlo davvero».
Ci sono due figure di cui parla come fossero paterne: Giuseppe Conte e Gianroberto Casaleggio.
«Entrambi rappresentano per me un esempio di cosa voglia dire essere uomo e padre. Sono legato ad entrambi da un profondo sentimento di stima e affetto».
Di Casaleggio dice: nessuno mi ha mai fatto sentire così protetto. Noi osservatori ricordiamo il Casaleggio punitivo, dall' espulsione facile.
«Quello che gli osservatori esterni vedevano erano il suo rigore morale e la sua granitica coerenza. Agiva come fa una leonessa con i suoi cuccioli».
Questo libro esce nei giorni in cui "il portavoce" lascia Palazzo Chigi. E contiene almeno cinque vite: quella del bambino figlio di immigrati bullizzato dai tedeschi; del ragazzo che in Puglia scopre i sentimenti e il comunismo; il grande Fratello e i soldi facili; poi ancora il giornalismo e l' inizio dell' avventura con il M5S. Cosa pensa di fare ora?
«Una parte di me, quella profondamente legata al Movimento, mi spinge a tornare lì, anche in vista di una campagna elettorale che non vedo poi così lontana. So che potrei dare un contributo fondamentale. Un'altra parte di me, però, è tentata da nuove esperienze e progetti».
Scrive che ottiene sempre quello che vuole. Lo pensa ancora?
«Sono fortemente convinto che alle prossime elezioni, magari tra un anno o un anno e mezzo, il Movimento possa recuperare consensi. Vorrei si agisse già in un' ottica di campagna elettorale subito».
La sua vita in Germania, gli insulti, la sabbia messa dai colleghi nel cibo di sua madre, le baracche, la povertà che ha conosciuto rendono difficile capire come possa essere stato lei a promuovere slogan come le Ong taxi del mare.
«L' immigrazione è un tema complesso, sono convinto che bisogna trovare un modo per regolarizzare i flussi in modo da evitare che la situazione degeneri facendo crescere intolleranza e razzismo».
La televisione le ha fatto tirar fuori il lato peggiore di sé. Ma è stato lei a spingere il M5S a superare il tabù per la tv, a usarla. È come se fosse convinto di saperla manipolare.
«Manipolarla è una parola che non mi piace, preferisco piuttosto dire che so usarla in maniera efficace. La tv è uno strumento da maneggiare con cura: ancora oggi vengo ricordato per alcuni interventi televisivi dove chiaramente interpretavo un personaggio costruito, paradossale, come se quella fosse la mia natura».
Scrive che era meglio quando l'omosessualità si doveva nascondere. Ne è sicuro?
«In quel passaggio mi riferisco all' erotismo che derivava anche dalla costrizione di vivere le proprie esperienze segretamente. È chiaro che sono molto felice che oggi sia (più o meno) accettata dalla società».
Dice: «Se ci fosse una pillola per diventare etero, la prenderei».
«Ho vissuto questa esperienza con sofferenza, per la difficoltà di trovare un amore stabile. Oggi sono convinto che se fossi stato etero avrei trovato il grande amore della mia vita».
Del suo passato in Rifondazione aveva detto, ma di quella volta in cui Veltroni - su intercessione di Rutelli - voleva candidarla a Brindisi no. Si è mai pentito di non essere entrato in politica allora?
«No, con il senno di poi riconosco che all' epoca non ero ancora pronto».
L'addio di Di Battista potrebbe essere l' inizio di una scissione. Secondo lei è ancora evitabile?
«Conosco Di Battista benissimo e sono convinto della sua buona fede e grandezza d'animo. Non credo che farà qualcosa che possa danneggiare il M5S. Io penso che si possa ricucire, magari serve la persona giusta che possa riportare l'armonia».
Potrebbe essere Conte?
«Spero proprio che i destini di Conte e del Movimento siano destinati a intersecarsi».
Rocco Casalino si racconta in un libro: dal padre violento alla carriera politica. Notizie.it il 12/02/2021. Le anticipazioni del libro di Rocco Casalino, "Il portavoce - La mia storia", con il racconto del padre violento, della carriera e del GF. Le anticipazioni del libro “Il portavoce – La mia storia“, autobiografia di Rocco Casalino, edita da Piemme, sono state riportate dal quotidiano La Verità e dal Corriere della Sera. Il libro uscirà il 16 Febbraio, dopo che la data di uscita è slittata a causa della crisi di governo. Il libro scritto da Rocco Casalino racconta tutta la sua vita, dai momenti con il padre violento, all’esperienza dal Grande Fratello, fino ad arrivare alla sua carriera in politica. Rocco Casalino aveva un padre violento e alcolizzato. Ha raccontato di aver trascorso notti intere a dormire con la sorella nella vasca da bagno, perché quella era l’unica stanza in cui si potevano chiudere a chiave per difendersi dalle violenze del padre. Ha scritto anche che quando si è trovato davanti al genitore, che era in un letto di ospedale, lo ha guardato e gli ha detto: “Muori. Devi morire“. “Pronuncio queste parole con lingua ferma. Senza rabbia… Sono sollevato. Tutto il male che mio padre aveva fatto a mia madre, a me e mia sorella…” sono le parole scritte da Rocco Casalino, parlando di un momento molto duro della sua vita. Nel libro edito da Piemme, Casalino ha voluto ripercorrere tutta la sua vita, raccontando ogni momento che ha vissuto. Ha parlato della sua infanzia passata in Germania da figlio di emigranti e anche degli anni della sua adolescenza e di quando è stato vittima di bullismo. Ha raccontato la sua esperienza al primo Grande Fratello, nel 2000, per poi passare alla sua carriera. Dal 2011 ha iniziato la sua militanza nel Movimento 5 Stelle e poi nel 2018 è diventato portavoce del premier Giuseppe Conte. Non ha dimenticato di citare le cene in compagnia di Donald Trump. “Non mi ha regalato niente nessuno, questo è sicuro. E se sono orgoglioso di dove sono arrivato non è tanto per il ruolo che ricopro ma perché non dimentico mai da dove sono partito, cioè dalle condizioni più svantaggiate dell’universo” ha scritto Rocco Casalino.
Giorgio Gandola per “la Verità” il 12 febbraio 2021. Immagina di mandare la foto di una cena con Angela Merkel ai compagni di scuola in Germania. Il figlio di emigranti pugliesi insultato, picchiato, deriso («Casalino formaggino») negli anni vissuti a Frankenthal, in Renania, ha in testa questa rivincita. Ha anche cercato sui social quelli che lo bullizzavano. «Sogno di andare in una tv tedesca importante perché mi vedano quelli con cui sono cresciuto e che mi hanno fatto così male. Sogno che tornino a casa la sera dal lavoro, si siedano a tavola, accendano la televisione, mi vedano. E gli caschi la faccia nel piatto della zuppa». Ci sono sincerità e polvere di stelle ne Il Portavoce (sottotitolo «La mia storia»), l'autobiografia di Rocco Casalino prima pubblicizzata e poi congelata dall'editore Piemme in attesa degli eventi politici in evoluzione. Ora Giuseppe Conte e il suo responsabile della comunicazione sono fuori, guida Mario Draghi, così il libro si può distribuire. Va in libreria il 16 febbraio e sembra scritto sul lettino dello psicanalista, è liberatorio come un urlo in cima a una montagna e racconta le vicende di un ragazzo del Sud nato povero, cresciuto con dentro una rabbia vincente (60 alla maturità, laureato in Ingegneria), ma diventato ricco di sconfitta in sconfitta (non trovava lavoro) fino alla consacrazione televisiva. C'è una curiosità che percorre le 268 pagine: la faccenda del Grande Fratello, gli sguardi di chi lo bolla con il Grande Fratello lui non li regge più. Vorrebbe rimuovere la sua seconda nascita (quella pubblica) ma non può. Perché per l'Italia intera quel portavoce inquadrato a gambe larghe come un pistolero western mentre Conte annunciava i Dpcm, sarà sempre un prodotto da Grande Fratello. Se ne farà una ragione, c'è di peggio. Come quando, da bambino, era costretto a dormire nella vasca da bagno con la sorella perché quella era l'unica stanza che si poteva chiudere a chiave. Almeno lì il padre che tornava ubriaco non li avrebbe picchiati. In compenso angariava la mamma e sotto gli occhi di Rocco sfogava le sue manesche frustrazioni. Anni dopo, quando il genitore è in un letto d'ospedale a pochi minuti dall'ora del destino lui lo osserva e dice: «Muori. Devi morire». Poi spiega: «Pronuncio queste parole con lingua ferma, a voce né troppo alta né troppo bassa. Senza rabbia. Parole ferme, dure, normali (...). La rabbia ha impregnato ogni fibra del mio essere, ma è così da tanto tempo che è diventata tutt' uno con la mia anima e con il mio corpo». E ancora: «Sono sollevato. Tutto il male che aveva fatto a mia madre, tutto il dolore che aveva fatto patire a me da ragazzo (...). Non ho mai provato un dolore più grande che vedere picchiare, umiliare, violentare mia madre». Quelle scene se le porta dentro oggi a 48 anni, forse sono ancora causa delle insonnie e della paura dei vampiri. Il padre sarà perdonato solo sulla tomba, anni dopo. Il rapporto è simile a quello descritto in Open da André Agassi, anche se qui la narrazione è più ruspante. A scuola Rocco è bravo, lo «spaghetti fresser» (divoratore di spaghetti, ma Fressen è un termine usato solo per gli animali) è un piccolo genio informatico affascinato dal film culto di John Badham, Wargames, e a 14 anni tenta per gioco di hackerare il sito di una banca, con tanto di intervento della polizia. Suo padre va in pensione e la famiglia decide di tornare a casa, a Ceglie Messapica, dietro Ostuni. Una storia di emigrazione andata e ritorno come tante, ma il ragazzo si sente un deportato, sempre fuori posto: «Ero italiano in Germania e tedesco in Puglia». Negli anni salentini è travolto da tre rivelazioni che gli forgiano il carattere: la negazione di Dio (diventa anticlericale con sfumature nicciane), la sostituzione di Dio con il comunismo e il sesso con inclinazioni bipartisan. Nel senso che è gay ma non riesce a rivelarlo a sé stesso. Per ora la politica è lontana e la fregola di retroscena sul triennio contiano del tutto frustrata; Il Portavoce è un «Inside Rocco» e poco più. La sua professoressa di Lettere e Storia lo avvia all'estrema sinistra, un perfetto comunista (anche se ora la parola non gli piace). A 20 anni aderisce a Rifondazione comunista, Che Guevara e la Taranta, il suo idolo televisivo è Michele Santoro. Sono gli anni di Tangentopoli con le monetine a Bettino Craxi davanti all'hotel Raphael. Per Casalino è una catarsi sociale. «Col senno del poi capisco che non è una cosa bella, ma ai tempi sembrava che finalmente il popolo potesse liberarsi dei potenti malvagi e arroganti». Vorrebbe essere lì a tirare le cento lire; in embrione è il giorno alfa del suo grillismo. Diventa ingegnere elettronico a Bologna. È orgoglioso di quel Dott. Ing. che fa stampare sui biglietti da visita. Ma per trovare lavoro al Sud serve a poco, al massimo riesce a infilarsi in un call center dove la domanda più frequente è: «Ho lo schermo nero del computer, cosa faccio?». Risposta: «Provi ad accenderlo». A questo punto arriva, come uno schiocco del destino, il Grande Fratello. Prima edizione, anno 2000, 16 milioni di telespettatori al gran finale. Scopre che per entrare bisogna essere spiazzanti, provocare. Ai selezionatori dice: «Sono qui con la mia ragazza ma mi piacciono anche gli uomini. Sono un ingegnere elettronico, lavoro per una multinazionale americana e odiavo mio padre». Preso. È perfetto, resta nella casa 93 giorni su 100 e diventa ricco anche senza vincere. Serate, televendite, il Rolex, la Porsche. Torna a casa e rovescia i gettoni d'oro sul letto per mostrarli alla mamma. Ha svoltato, una vita da cinepanettone dei Vanzina. Ma con il sensore da ragazzo nato povero, Rocco coglie un particolare: questa pacchia finirà. Allora decide di buttarsi in politica, ovviamente a sinistra. A una trasmissione da reduci del Gf incontra Barbara Palombelli e le confida il proposito. È un domino: il sindaco di Roma Francesco Rutelli (marito della Palombelli) lo manda da Walter Veltroni che lo rimbalza ai Ds pugliesi. Il ragionamento è poco gramsciano: un volto noto potrebbe dragare voti presso i non militanti. Niente, all'ultimo Casalino si ritira, preferisce provare a fare il giornalista. Prima a Telelombardia, dove sostiene di essere stato licenziato perché criticava troppo duramente la Lega, poi a TeleNorba, pupillo di Lamberto Sposini. È il 2008, c'è il secondo Vaffa Day e Casalino individua il suo nuovo messia: Beppe Grillo. Entra nel Movimento 5 stelle, piace soprattutto a Vito Crimi, mette a frutto le tecniche televisive e indirizza con qualche dritta di marketing quell'esercito di neofiti. Riempie un vuoto, funziona sempre così. Nel frattempo ci sarebbero anche gli amori di un omosessuale lacerato e dubbioso, che rivela: «Se ci fosse una pillola per diventare etero la prenderei». È un elenco senza distinzione di sesso: dal compagno di scuola Markus alla giapponese Mieko, da Giuliana la fisioterapista ad Anastasia la lap dancer, da Daniel a Yoandys, a Gaetano, fino a Josè. È il compagno ufficiale, quello che lo mette in difficoltà con le scommesse in Borsa finite nel mirino dell'antiriciclaggio. Lo porterà anche al Quirinale in un incontro con Sergio Mattarella. Rocco arriva a Roma con la piena e con un ruolo tosto: capo della comunicazione al Senato. Gianroberto Casaleggio lo fa crescere con telefonate all'alba stile Gianni Agnelli. Quando, dopo le elezioni del 2018, partecipa al summit fra Luigi Di Maio e Matteo Salvini per decidere il presidente del Consiglio, vede entrare cardinali Giuseppe Conte e Giulio Sapelli. Vince il suo premier, che nel libro paragona a Tony Blair e John Kennedy. Lo stima ai limiti dell'adorazione, ne parla come di quel papà che non ha mai avuto.Nei tre anni contiani il Dott. Ing. «Casalino formaggino» è diventato larger than life; mentre racconta, mostra un super ego che riempie i saloni del potere e al tempo stesso sembra Aldo Baglio («Non ci posso credere...»). Stringe la mano alla regina Elisabetta e a Emmanuel Macron, va in palestra a fare i pesi con il premier greco Kiriakos Mitsotakis, siede a tavola accanto a Donald Trump. È travolto da una felicità provinciale, chissà a Ceglie Messapica domani... Nel suo esibire l'inventario c'è l'ingenuità dello Zelig. O di Totò Schillaci dopo i mondiali di Italia 90, quando disse: «Sono fortunato, ho conosciuto principi e sindaci». A proposito, che fine ha fatto?
Marco Leardi per davidemaggio.it l'11 febbraio 2021. Dopo l’esperienza a Palazzo Chigi accanto all’ormai ex premier Conte, Rocco Casalino torna per un attimo alla tv. La sua antica passione. L’ex portavoce del Presidente del Consiglio ha infatti in programma due imminenti apparizioni sugli schermi: domani sera – 12 febbraio – a Propaganda Live, con delle dichiarazioni rilasciate a Diego Bianchi e lunedì 15 febbraio con un’intervista vera e propria da Lilli Gruber. Casalino dirà la sua in una conversazione ‘in soggettiva’, nello stile di Zoro, raccolta per strada proprio nelle giornate frenetiche dei colloqui e delle consultazioni, in una settimana che ha visto l’ex premier Giuseppe Conte sparire progressivamente dal centro dell’attenzione dopo la conferenza stampa improvvisata dietro ad un tavolino in Piazza Colonna. Proprio in quell’occasione, il portavoce di Conte aveva organizzato il tutto, chiedendo esplicitamente agli operatori convenuti di non inquadrare Palazzo Chigi perché quello non era solo un intervento istituzionale. Non è la prima volta che Zoro riesce ad intercettare Casalino; anche un paio di settimane fa il videomaker lo aveva raggiunto dopo una lunga rincorsa montata poi, nella resa televisiva, sulle note della sigla del Grande Fratello. Ma la prima intervista vera e propria dopo tre anni trascorsi a Palazzo Chigi, Casalino la rilascerà lunedì prossimo ad Otto e Mezzo da Lilli Gruber, in occasione della presentazione e dell’uscita del suo libro dedicato proprio all’esperienza da portavoce presidenziale. Un appuntamento che per primi siamo in grado di anticiparvi e che segnerà il ritorno di Casalino in tv da protagonista e non da "uomo ombra" di Giuseppe Conte.
Da vigilanzatv.it il 15 febbraio 2021. Casalino ospite da Lilli Gruber con Scanzi e Severgnini. Rimpatriata fra M5s, Cairo e Fatto Quotidiano. Questa sera, lunedì 15 febbraio 2021, alle 20.30 su La7, Lilli Gruber accoglierà a 8 e 1/2 come ospite speciale Rocco Casalino, ex portavoce dell'ex Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, e ora - dopo l'insediamento del governo di Mario Draghi - tornato semplice "attivista del M5s", per usare le sue parole. Da Lilli, Casalino presenterà il suo libro Il portavoce - La mia storia, e avrà modo di raccontare i due anni trascorsi a Palazzo Chigi in qualità di influentissima eminenza grigia di Conte. Gli altri ospiti della puntata di questa sera sono Andrea Scanzi, prezzemolino televisivo firma del Fatto Quotidiano, e il giornalista del Corriere della Sera Beppe Severgnini. Una rimpatriata, quella nel salotto di Lilli, che - come Dagospia aveva già segnalato in varie occasioni - riunisce ancora una volta sotto lo stesso tetto M5s, Fatto Quotidiano, La7 e Corriere della Sera (gli ultimi due di proprietà di Urbano Cairo, artefice qualche settimana fa di un endorsement all'ex Presidente del Consiglio pentastellato, auspicando un Conte Ter).
E Casalino ora inizia la maratona tv per il suo libro. Rocco Casalino prepara gli scatoloni da Palazzo Chigi e lancia la maratona televisiva per presentare il suo libro Il Portavoce. Pasquale Napolitano, Venerdì 12/02/2021 su Il Giornale. Rocco Casalino prepara gli scatoloni da Palazzo Chigi e lancia la maratona televisiva per presentare il suo libro Il Portavoce. Agenda, stavolta non per il premier dimissionario Giuseppe Conte, fitta di ospitate in tv per l'ex gieffino. Si parte questa sera su La7: Casalino sarà ospite di Diego Bianchi, in arte Zoro, alla trasmissione Propaganda Live. Andrà in onda una un'intervista registrata nei giorni caldi della crisi di governo e delle consultazioni del presidente del Consiglio incaricato Mario Draghi. Dopo una lunga rincorsa, Zoro ha intercettato il portavoce (ancora per pochi giorni) del capo del governo all'esterno di Palazzo Chigi. L'intervista, che andrà in onda stasera, è stata anche l'occasione per chiarire alcune polemiche esplose nei giorni dello scontro Conte-Renzi. Dopo Propaganda Live, l'ex concorrente del Grande Fratello ha pianificato altre due ospitate in tv: sabato o lunedì sarà in diretta da Lilli Gruber al programma Otto e Mezzo. Ancora su La7. Ancora per parlare del suo libro. Ma soprattutto per andare a fondo nei veleni delle ultime settimane. Casalino si sottoporrà alle domande della Gruber. Dopo quasi tre anni a coordinare la comunicazione istituzionale di Palazzo Chigi, Casalino si prepara al nuovo abito. Di scrittore e uomo tv. In realtà la tv per Casalino è un vecchio amore. La terza ospitata sarà sulle reti Mediaset a metà della prossima settimana: in data da definire. Ma nell'agenda del portavoce del premier c'è già lo spazio riservato. Una maratona televisiva per spingere la sua opera: un libro che svela il lavoro duro e scivoloso del portavoce di un capo del governo. Il libro era in uscita a fine gennaio. Poi la crisi, le dimissioni di Conte suggerirono un rinvio. Un po' come accaduto al ministro della Salute Roberto Speranza, autore di un libro mai andato in libreria. Casalino non molla. Conserverà per ancora poco tempo la poltrona di portavoce a Palazzo Chigi. Il neopremier Draghi è orientato su altre scelte. D'ora in avanti Casalino non dovrà più dispensare veline e imbeccate. Non dovrà più monitorare gli intrighi di Palazzo. Non dovrà più minacciare smentite e querele. Ora ha una nuova missione: lanciare l'immagine di Casalino scrittore.
Mario Giordano per “la Verità” l'8 febbraio 2021. Caro Rocco Casalino, mi spiace che l'uscita della sua biografia sia stata anticipata dall'uscita di lei medesimo da Palazzo Chigi. Evidentemente la vocazione letteraria non ha portato bene alle figure di spicco del Conte due: il ministro Roberto Speranza, a ottobre, ha dovuto ritirare in tutta fretta le copie dalle librerie per evitare la figuraccia di quelle pagine che cantavano la vittoria sul virus proprio mentre stava per esplodere la seconda ondata. E lei si troverà a presentare una copertina che la vede raffigurato nel massimo del potere, in posa da House of cards, proprio mentre il potere totale che ha avuto per quasi tre anni le è sfuggito di mano. E siccome in Italia l'ora del maramaldo è sempre pronta a scoccare, sono sicuro che non perderanno occasione per farla a pezzi e ridere di lei. Hanno già cominciato. Il giorno stesso in cui Mattarella ha convocato Draghi al Quirinale, tutti coloro che pendevano dalle sue labbra e dalle sue chat, tutti quelli che si scioglievano per un vocale, che impazzivano per un whatsapp, hanno cominciato a descriverla come un «isterico», «permaloso», «troppo disinvolto» e persino «un po' mitomane». Ma, dico io, come mai non se n'erano accorti prima? Quando invece facevano a gara per adularla? Per leccarle le terga magari sperando di avere in cambio qualche favore o uno dei suoi tipici emoticon di risposta, con smack incorporato? Lo so che così va il mondo, ma è un mondo che non mi piace. E l'unico appunto che le posso fare, seriamente, è che quel mondo abbiamo sperato tutti di cambiarlo. Quando lei entrò a Palazzo Chigi, lo ricorderà, dopo le elezioni del 2018, si parlava proprio di «governo del cambiamento». E lei aveva fatto campagna elettorale per una forza che prometteva di avvicinare i palazzi al popolo, lottando contro le élite che hanno sempre governato per aiutare la finanza più che i cittadini. Se dopo 3 anni ci troviamo costretti a sperare di essere salvati da quello che un suo vecchio compagno di battaglia chiama l'«apostolo delle élite» la colpa è tutta vostra perché avete affondato l'immensa fiducia che gli italiani vi avevano accordato dentro una palude di miserie, vergogne e manfrine della peggior specie. Non so se nel libro c'è una riflessione su questo. Lo spero. Perché lei in questi anni è stato il portavoce di un fallimento che non può che addolorare profondamente tutti coloro che ci avevano creduto davvero. E qualsiasi cosa andrà a fare ora, mi auguro che porti con sé non solo le sue indubbie capacità comunicative, ma anche una riflessione vera sul fatto che le capacità comunicative non bastano. Bisogna anche aver qualcosa di buono da comunicare. E bisogna capire che un grande spin doctor non è quello che organizza gli Stati generali più sfarzosi di sempre, ma quello che sa far capire al suo leader che sono inutili. Siamo tutti figli del Grande fratello, ma l'apparenza non basta. Non è mai bastata. Tanto meno in questi tempi così duri. Ci pensi. In ogni caso, io il suo libro lo leggerò con piacere. E, a differenza di tanti altri, le garantisco, senza riderci su.
Da “La Verità” il 5 febbraio 2021. L'autobiografia di Rocco Casalino, eccentrico portavoce di Giuseppe Conte con un indelebile passato nella prima edizione del Grande Fratello, stava per fare la fine dell'ultima fatica letteraria del ministro della Salute uscente, Roberto Speranza: passato dal lancio al macero per evitare imbarazzi (anche perché aveva tutta l'aria di un'ode alla sconfitta del Covid). La caduta di Giuseppi aveva infatti causato il rinvio dell'uscita de Il portavoce (272 pagine al prezzo 17,90 euro, edizioni Piemme), inizialmente prevista per il 23 febbraio. Da quanto risulta alla Verità, però, il poderoso volume uscirà addirittura con una tiratura maggiore di quanto inizialmente ipotizzato: 25.000 copie per la prima edizione. Questo tira e molla non era altro che un'astuta strategia di marketing?
Dagospia il 5 febbraio 2021. COMUNICATO STAMPA DI “PIEMME” SULL’USCITÀ DELL’AUTOBIOGRAFIA DI CASALINO
IL PORTAVOCE di Rocco Casalino – uscita: 16 febbraio 2021. Tante vite vissute, tante esperienze fatte, tanti aneddoti e scoop. In questa autobiografia senza filtri c’è di tutto e molto altro. C’è il Rocco Casalino più privato, quello che si immerge nei ricordi più intimi: l’infanzia dura in Germania, il rapporto con il padre e poi il suo ritorno in Italia. La Puglia dei suoi genitori e della sua tarda adolescenza. Le sue prime passioni, i suoi amori, la sessualità, la militanza politica degli esordi e ciò che lo ha portato a diventare una star del piccolo schermo. Ci sono i tanti incontri della sua vita, il vuoto che ha vissuto, i motivi che hanno portato al suo ingresso in politica. E poi c’è il Rocco Casalino personaggio pubblico. Il rapporto con il potere. Il suo incontro con Grillo e Casaleggio, il ruolo fondamentale nella costruzione di una classe dirigente grillina. Retroscena e rivelazioni puntuali sugli ultimi anni di storia repubblicana. Vezzi e virtù di protagonisti della politica internazionale e politici nostrani sulla cresta dell’onda. Stili e metodi originali e innovativi di gestire la comunicazione di palazzo Chigi. Un ruolo fondamentale, quello del Portavoce, per Giuseppe Conte. Una storia che ne contiene molte. Rocco Casalino è unico, uno dei pochi strateghi nel panorama politico di questi anni.
Aldo Grasso per OGGI il 3 gennaio 2021. C’è un personaggio da cui nel 2021 mi aspetto qualcosa di positivo. Si chiama Rocco Casalino, detto anche Tarocco Casalino: esercita inopinatamente la carica di portavoce del primo ministro Giuseppe Conte. Mi aspetto da lui un atto di generosità: andarsene da Palazzo Chigi e tornare in tv. Sono pronte per lui tante opportunità: opinionista da Barbara d’Urso, ballerino da Milly Carlucci, postino da Maria De Filippi, persino conduttore del Grande Fratello, a coronare una grande carriera di grillino perfetto. Come molti ricorderanno, Rocco è stato uno dei protagonisti della prima edizione del Grande Fratello. L’ex gieffino aveva deciso di candidarsi come consigliere regionale nelle schiere del M5S. Poi le proteste contro il suo passato lo avevano fatto desistere. Rocco è ingegnere elettronico, ma anche giornalista professionista dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia dal 2007 (qualcuno ricorda qualche suo articolo?). Di lui si ricorda invece solo questa dichiarazione: «Sono entrato nell’agenzia di Lele Mora appena uscito dalla casa del GF e già circolavano voci di un rapporto particolare tra Lele e Fabrizio Corona, che mi fu quasi descritto come il suo compagno». Come sia entrato nel cuore di Giuseppe Conte, che lo ha sempre strenuamente difeso di fronte alle sue non poche cadute di stile, non si sa. Prima l’audio di minacce ai dipendenti del ministero dell’Economia e delle Finanze se non avessero trovato i soldi necessari per i provvedimenti del governo, poi l’audio in cui si lagnava dei giornalisti che gli chiedevano notizie sulla tragedia del Ponte Morandi dato che gli era pure saltato il ponte di Ferragosto. Infine un vecchio video in cui dichiara il suo disprezzo per gli anziani e le persone afflitte da sindrome di Down. Invece, come ricorda Paolo Liguori, «Casalino decide tempi e modi della comunicazione del governo che finisce sui mezzi di informazione: non solo i Dpcm, ma anche, attraverso le scelte degli orari, la “scaletta” dei principali telegiornali e delle reti televisive del nostro Paese. Non è più un semplice portavoce, è una specie di sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, senza titolo, né giuramenti alla Costituzione». Poco importa se la comunicazione del governo si è ulteriormente involuta. Panico, confusione e spaesamento si susseguono alimentando tragicamente la macchina comunicativa congegnata dall’ex concorrente del Grande Fratello. Giuseppe Conte assomiglia sempre di più a un Re Travicello e quello che ha creato Casalino è stato di trasformare la politica in un reality show. Ci mancava solo quello.
Fabrizio Roncone per il "Corriere della Sera" il 4 febbraio 2021. L' ufficio di Rocco Casalino, a Palazzo Chigi, ha le dimensioni di un campo da calcetto. Fu un bellissimo capriccio. Il funzionario gli mostrò la stanza di solito destinata al portavoce del premier. Rocco restò immobile per alcuni istanti (solo il labbro superiore iniziò a tremargli: gli succede sempre quando sta per esplodere). Poi, battendo i piedi, urlò: «Orrore! È uno sgabuzzino!». Il funzionario, mortificato, chinò il capo. Nel pomeriggio iniziarono i lavori di ampliamento e così, adesso, non sarà una questione di scatoloni. Servirà una ditta di traslochi. Rocco, entrando lì, si è da subito percepito in grande. È inutile cercare di definire il suo ruolo: demiurgo, spin doctor, eminenza grigia, sottosegretario senza aver giurato sulla Costituzione. Rocco è stato quello che gli è stato consentito di essere. Mettendo in controluce la figura di questo ex concorrente del Grande Fratello - palestrato, 48 anni portati sempre dentro abiti stretti e corti, da buttafuori di discoteca brianzola - si comprende meglio quanto quella in cui siamo precipitati non sia una crisi di governo, ma una crisi di sistema. Certo, per i cronisti politici sono stati anni stupendi. Rocco allude, tratta, corteggia, annuncia, rimprovera, minaccia, drammatizza e poi, quasi sempre, perdona. Permaloso e un po' mitomane (tornando da Bruxelles: «Per questo benedetto Recovery avete ringraziato tutti, da Conte a Gualtieri, e vi siete dimenticati di me»), pignolo fino all' ossessione, narratore sfrenato (Lele Mora, suo ex agente: «Ha talento, è solo un filo pettegolo»).
Rocco odia Wikipedia. Cova una bizzarra pretesa all' oblio. Invece fai clic, e la sua storia torna. L' infanzia in Germania, a Frankenthal. Il padre operaio, la madre commessa, pugliesi emigrati da Ceglie Messapica che si spezzano la schiena per farlo studiare. Lui si laurea a Bologna, in Ingegneria: ma non ci si vede in un cantiere. Così gira un po' a vuoto, finché, nel Duemila, riesce ad entrare nella «Casa» di Canale 5, prima edizione del reality, milioni di italiani incollati morbosamente alla tivù: lui resiste alla segregazione 92 giorni con Pietro Taricone e Marina La Rosa (che, la scorsa estate, gli fa la cortesia di raccontare a Cruciani&Parenzo: «Rocco era bravissimo a leccarmi i piedi»).
Lui diventa un puma. Perché intanto s' intrattiene con Trump, e organizza cene con Conte, Macron, Merkel: dove, senza esitare, si siede a capotavola. Poi si alza e, al cellulare, decide gli ospiti dei talk show ( Il Foglio spiegò che c' era un «Codice Rocco»), in Rai è temutissimo, annulla interviste ai quotidiani («Stabilisco io se Peppino parla o no»), via WhatsApp - duro come gli ha insegnato Casaleggio padre - minaccia i dirigenti del Mef: «Li cacciamo». Dannato cellulare. Non usarlo così, Rocco. Sei troppo disinvolto. Glielo dicevano: ma niente. Crolla il ponte Morandi a Genova, i pilastri in macerie ancora fumanti, la conta dei morti e dei superstiti, ma lui si lamenta con i giornalisti: «Basta, non mi stressate! Chiamate come pazzi. Io ho pure diritto di farmi un paio di giorni, che m' è già saltato Ferragosto, Santo Stefano, San Rocco...». Era un «vocale», c' era l' audio: è costretto a chiedere scusa. Pochi giorni dopo i paparazzi lo sorprendono comunque sugli scogli con José Carlos Alvarez, il suo fidanzato cubano. Questo Alvarez è un ex cameriere, ha perso il lavoro, vive di sussidi, però un giorno viene segnalato all' Ufficio Antiriciclaggio della Banca d' Italia: il suo istituto bancario registra movimenti sospetti di cifre «rilevanti».
Panico. Rocco che urla. Crisi nervosa. Poi prova a spiegare: «José giocava in Borsa, non sapevo nulla, è vittima di ludopatia». Versione ufficiale. Non si discute. Come quando confessò a una Iena, su Italia 1: «Hai mai provato a portarti a letto un rumeno? Se gli fai dieci docce, continua ad avere un odore agrodolce». Ragazzi - spiegò poi Rocco - «ma è chiaro, stavo recitando». Sparita, invece, la pagina LinkedIn in cui vantava un master in business administration conseguito all'università di Shenandoah, in Virginia («Mai avuto uno studente con il cognome Casalino», comunicarono dagli Usa). Senza master, ma con un talento naturale per lo spettacolo. Conte che legge i Dpcm nella notte; le conferenze stampa in cui le telecamere sono costrette - in una liturgia rivoluzionaria - ad inquadrare un po' il premier e un po' anche lui, Rocco; gli Stati Generali dell' economia organizzati a Villa Doria Pamphili nello sfarzo e nella totale inutilità. La politica, però, è una roba diversa. Rocco, ad un certo punto, non ci capisce più niente. Scrive un libro autobiografico. Augusto Minzolini, tornato squalo, pubblica su Twitter un suo audio di tre giorni fa. «Amore, ci sarà un Conte Ter, stai tranquillo».
Comincia a girare una notizia: subito dopo aver saputo che Mario Draghi aveva accettato l' incarico, «l' ex portavoce di Conte ha cominciato a fare pressioni sulle truppe a 5 Stelle, chiedendo di non votargli la fiducia». Rocco smentisce. Rocco è isterico. Rocco, coraggio, è finita. Vieni via, esci da quell' ufficio.
Il giorno in cui i giornalisti italiani hanno deciso che Casalino era sputtanabile. Guia Soncini su L'Inkiesta il 5/2/2021. «Come lo vede er governo?». La domanda è del terzo tassista della giornata, quello alla fine della cui corsa rielaborerò il Mike Nichols di «il primo e il quarto matrimonio sono i migliori»: il terzo tassista è la più precisa chiave di decodifica della Roma che si rivolta contro chi ha troppo a lungo compiaciuto. S’i fossi Rocco, arderei le redazioni. Magari non con letteralismo neroniano, ma come si brasa la credibilità oggigiorno: lasciando filtrare conversazioni private. Quel che fino all’altroieri non facevano con lui. Ieri, con velocità maggiorata (sarà il cambio di cavallo nell’epoca dell’instant messaging) rispetto a quando questo imbarazzante paese passava dal tifo sotto al balcone al tifo contrario a piazzale Loreto, i giornalisti italiani hanno deciso che Rocco l’intoccabile fosse divenuto sputtanabile. (A questo punto il terzo tassista interrompe i miei pensieri casalinocentrici per informarmi che, se al governo mettessero lui, lui stesso tassista, «ogni tanto dal balcone di palazzo Venezia volerebbe qualcuno». Credo gli si stiano sovrapponendo due modalità di dittatura, a scuola non ci siamo arrivati col programma ma sospetto che a far volare gli oppositori fosse un qualche sudamericano, mica quello di piazza Venezia, ma mi guardo bene dal dirglielo, taccio col rigore d’un analista freudiano). Insomma hanno passato tre anni a farsi trattare come neanche Mia Martini in Minuetto, «e lasci vocali sprezzanti quando vuoi, nelle notti più che mai, non rispondi, te ne vai, sono sempre fatti tuoi», e tutto il drammone che ben conoscono le amanti disamate e i cronisti giuseppecontici. Hanno passato tre anni di mutismo, a elemosinare un suo cenno e a non pubblicare mai uno dei suoi «amo’». Il Corriere ieri si produceva in un interessante esercizio di revisionismo storico, scrivendo che l’unica volta che qualcuno aveva scritto dei messaggi privati di Casalino, la volta del ferragosto rovinato, era perché era stato così pieno di hybris da lasciare un vocale insmentibile. Ha lasciato vocali insmentibili per anni, e voi donabbondiamente muti. («io je la pijo, ma nun se usa più: il Consiglio di Stato ha sentenziato che la legge è sbajata»: il terzo tassista, preso dopo avergli chiesto se avesse il pos, m’interrompe di nuovo, io qui che penso a Rocco e lui che pretende di farmi vedere un servizio di tg, salvato sul telefono immagino tra le cose più preziose, che dice che lui non è più multabile se non accetta la carta. Tento di spiegargli che a me della multa non me ne frega niente, io non giro coi contanti, mi dice e il caffè come lo paga, dico non bevo caffè, mi risponde che non è vero che c’è l’evasione fiscale. Da qualche parte Samuel Beckett sta prendendo appunti). Insomma pare che il libro di Casalino esca il 18 febbraio, finalmente una cosa da aspettare, chissà quanto venderà, chissà se lo ristampano in fretta e furia con un’appendice postgovernativa contando sul fatto che i costi della nuova tiratura siano coperti dal nostro precipitarci a comprarlo, ma soprattutto speriamo nell’appendice ci siano i messaggi che gli mandavano i postulanti in cerca d’un retroscena, d’un’intervista, d’un segno che contavano qualcosa dal Mazzarino in sedicesimo: se ora loro ritengono di poter sputtanare lui, pubblicandone le risposte cafone, chissà cosa potrebbe fare lui, pubblicando tutte le volte in cui pietivano. Che peccato che Abatantuono sia troppo vecchio, perché un altro così perfetto per il film biografico su Casalino mica c’è, che passando dal cangurotto di Buona Domenica salì da Ceglie Messapica a palazzo Chigi, che lui chiama Chigi e i cronisti più prostrati così lo chiamavano con lui, quando c’era l’egemonia casalina. («Io mi chiedo, co’ tutta ‘sta gente che paghiamo, ’n era mejo il re? Almeno magnava uno solo». Terzo tassista nonché guru politico, ti voglio parlare: posso pubblicare i tuoi aforismi, come fossi un Casalino decaduto?). Nel giorno in cui persino il Foglio, già gazzettino ufficiale di Volturara Appula, pubblica una telefonata di Casalino in cui l’uomo caduto dagli altari continua a dire «mica mi starete intervistando», e i suoi interlocutori fino al giorno prima ligi, scopertisi schienadrittisti di tabloid inglese, gongolano nel pubblicare un off the record, certo non posso pretendere che il sia il terzo tassista ad astenersi dal populismo. («Se guida male è de Latina», diagnostica il terzo tassista indicando un’auto impacciata quando scatta il verde. Sono tentata di chiedergli un giudizio sul suo collega che la mattina voleva mollarmi in viale Mazzini sostenendo fosse la vietta dove dovevo andare io, «questo non sbaglia mai», ripeteva indicando il navigatore, e l’avevo dovuto far guidare fin sotto la targa all’angolo del viale, lo vede che c’è scritto viale Mazzini, sì? E quello, impunito: «Mica posso conoscere tutte le strade, nun se agiti». Dov’è Nerone, perché nessuno dà fuoco a questa simpatica città? Dov’è Draghi, gli avete detto di prendersi un portavoce non romano?). Il fatto è che Rocco non è tedesco, non è pugliese: Rocco è romano. A stare a Roma si diventa romani. Persino i poliziotti a guardia delle transenne che isolano piazza Colonna, lì teoricamente a badare che il comizietto di Conte (l’avanzo, no il cantante) non venga disturbato, ma in realtà intenti a prendere per il culo le turiste fingendo avvistamenti d’un certo livello, «Guarda, è Draghi, è lui» alzano la voce rivolti a un’utilitaria che passa, persino loro ormai sono romani, da qualunque provincia remota (persino più remota di Roma) vengano. («La settimana scorsa ho portato una de Bologna, ma m’ha detto che a Bologna fa freddo». Figlio mio, veda lei, è febbraio. Qui da voi, nella parte improduttiva della California, ci son venti gradi, sarà per questo che andate a male?). Una volta, quando esistevano i giornali, un cronista politico raccontò di Rutelli (che è sempre stato innanzitutto il marito di Barbara Palombelli, ma all’epoca aveva una carriera politica) che lo riceveva mentre si faceva fare un massaggio alla spa del De Russie. Adesso, quello stesso cronista aspetta la caduta di Rocco per rendere pubblici i vocali «Amore, ci sarà un Conte ter». Forse il coraggio è un tono muscolare, con l’età declina. Forse è che oggi, a pubblicare quell’intervista a Rutelli, verresti sommerso di tweet indignati col listino prezzi della spa del De Russie. Chiederei al terzo tassista, ormai notista politico di riferimento, il suo parere, ma è impegnato a schivare le chiamate d’un collega noioso. A forza di lasciarlo squillare, persino io e il mio scarsissimo orecchio siamo costretti a riconoscere la musichetta. Sì, qualunque revisore della sceneggiatura mi segnerebbe questa scena come poco credibile. Roma si ostina a non bruciare, mentre dal telefono del terzo tassista trilla Faccetta nera.
Matteo Pucciarelli per repubblica.it il 2 febbraio 2021. La ripresa della pandemia in autunno comportò il ritiro della librerie del libro del ministro della Salute Roberto Speranza, edito da Feltrinelli. La crisi di governo ha lo stesso effetto, o comunque ha comportato uno stop all'uscita, per quello di Rocco Casalino, Il portavoce (Piemme). Una autobiografia. Su Ibs e Mondadori Store la copertina non c'è, ma il titolo sì, in uscita dal 23 febbraio prossimo. Prezzo 17 euro. Sul sito di Piemme invece la descrizione del libro è stata rimossa. "La pagina potrebbe non esistere più oppure l'indirizzo non è corretto". Una descrizione parziale del libro inviata con la newsletter della casa editrice del gruppo Mondadori anticipa il contenuto: "Rocco studia duramente, è il più bravo della classe, la matematica gli piace e gli riesce facile. Così, tornato in Italia, si iscrive alla facoltà di ingegneria". E poi, "tante vite vissute, tante lezioni imparate, tanta fame di farcela a tutti i costi: per diventare il portavoce di Giuseppe Conte e uno degli uomini più decisivi di questi anni. E se sono orgoglioso di dove sono arrivato non è tanto per il ruolo che ricopro ma perché non dimentico mai da dove sono partito". Il resto, forse e prima o poi, sarà disponibile per tutti. Specialmente se la crisi di governo verrà risolta.
Antonio Rossitto per "La Verità" il 3 febbraio 2021. «Amore, ma come faccio ad andare in libreria adesso? C'è la crisi...». Ci sembra quasi di vederlo, Rocco: alzare il sopracciglio guardingo, allungare il passo, cercare riparo in un angolino degli sterminati saloni di Palazzo Chigi, coprire con la mano le ialuroniche labbra per evitare la cattura anche di un sol fiato, infine mormorare al cellulare. Fermate le rotative, presto. Il «visto si stampi» è rimandato. Al secondo piano della Mondadori di Segrate, moquette arancio a quadrettoni e pannelli divisori verdi, pare di scorgere anche lo sconsolato editor. C'è la crisi, in effetti. E Rocco Casalino, vicerè governativo, non può certo fare la fine di un Robertino Speranza qualsiasi: l'esordio letterario per Feltrinelli del ministro della Salute, profetico titolo Perché guariremo, venne difatti ritirato dal mercato solo dopo fugace capatina. E non per il temuto assalto alle librerie dei cittadini, avidi di leggere sbalorditive rivelazioni come questa: «Non possiamo più permetterci di essere colti disarmati di fronte alla violenza di una eventuale nuova pandemia». Piuttosto, vista la sconsolante tempistica della pubblicazione: lo scorso fine ottobre, mentre la decantata guarigione veniva sostituita dal panico. Per tacere, ovviamente, dell'opportunità del libello. Memore dell'inciampo, e in aggiunta dotato di indubitabile tempismo, Rocco adesso anticipa gli eventi. L'uscita della sua autobiografia Il portavoce, prevista per il 23 febbraio 2021, è rinviata a data da destinarsi. Non era uno dei punti scanditi da Matteo Renzi per risolvere lo stallo più straziante della storia repubblicana, ma l'indesiderata conseguenza avrà comunque fatto gongolare il Jep Gambardella di Rignano, un altro che ama rimirarsi tra le pagine di personalistici memoir. Il volume siglato dal giovanottone che sussurra a Giuseppe Conte prometteva faville: 272 succulente pagine, al prezzo 17,90 euro. Tiratura iniziale prevista: 14.000 copie. Moltissime per un esordiente. Ma Rocco non è certo uno spin doctor qualsiasi. Frammenti di vita straordinaria si possono dunque estrarre grazie alla sinossi dell'annunciato bestseller, inviata in precedenza dalla newsletter mondadoriana e rinvenuta da Repubblica.
L'adolescenza da libro Cuore: «Rocco studia duramente, è il più bravo della classe, la matematica gli piace e gli riesce facile. Così, tornato in Italia, si iscrive alla facoltà di ingegneria». L'assalto al potere alla Bel-Ami: «Tante vite vissute, tante lezioni imparate, tanta fame di farcela a tutti i costi: per diventare il portavoce di Giuseppe Conte e uno degli uomini più decisivi di questi anni». Dal Grande Fratello a Palazzo Chigi: «Non mi ha regalato niente nessuno, questo è sicuro. E se sono orgoglioso di dove sono arrivato non è tanto per il ruolo che ricopro ma perché non dimentico mai da dove sono partito, cioè dalle condizioni più svantaggiate dell'universo».
Dal reality show alla realpolitik: «Rocco è ambizioso ma è anche bravo, impara la comunicazione politica da Gianroberto Casaleggio, per poi cambiare quella del Movimento 5 Stelle, stando fianco a fianco con Di Maio e Di Battista, e cresce su, su fino ad arrivare alla carica attuale». Fin qui nulla di succulento, certo.
Ovvio: mai svelare il meglio con così largo anticipo. Per leggere il resto bisognerà comunque attendere tempi migliori. Ben che vada, però. Il destino di Rocco è indissolubilmente legato a quello di Giuseppi, che ne ha fatto molto più di un sottosegretario alla presidenza. E il Conte ter, o meglio il bis-bis come lo chiama Renzi causa modesta furia innovatrice, rimane ipotetico. E poi, se c'è uno che il Matteo d'Arabia vorrebbe non veder più volteggiare tra i saloni presidenziali, beh, quello è proprio Casalino. Nel suo caso non si palesa la supposta incapacità attribuita dal leader di Italia viva ad altri due corazzieri del primo ministro, come il supercommissario all'emergenza Domenico Arcuri o il guardasigilli Alfonso Bonafede. No, seppur mai nettamente esplicitato, il motivo di cotanto odio sembra quasi opposto: il diabolico Rocco è, nel bene e nel male, il principale artefice delle fortune politiche di Giuseppi. Prepara imboscate e vie di fuga, blandisce e rimbrotta, distribuisce bastoni e carote. Sempre lì: un passo indietro al premier, gli occhi roteanti in cerca di agguati e la mente che macina contromosse. Non è il suggeritore. È il braccio destro insieme al sinistro. Chi voleva sbirciare dalle serrature di quelle porte intarsiate resta in spasmodica attesa. Il portavoce, sottotitolo la mia storia, rimane sospeso a mezz' aria al pari della crisi che ne ha differito la pubblicazione. E le bozze andranno probabilmente riviste, qualunque sia l'esito finale: rimpastino o governo istituzionale. Così come la copertina. Ritraeva Casalino in una posa che rende il titolo un'intollerabile diminutio. Rocco siede su una sontuosa poltrona con aria soddisfatta e usuale abbigliamento da bodyguard, completo blu e camicia bianca, nella sbarazzina e giovanile variante senza cravatta. Non c'è tanto da scervellarsi. L'immagine fa il verso a quella, ormai iconica, di Frank Underwood, alias Kevin Spacey, presidente degli Stati Uniti in House of cards. Difatti. Altro che portavoce. La posa non inganna. Rocco è per lo meno un vicerè. Forse, qualcosina in più.
Eh… Casalino! Alessandro Bertirotti l'1 febbraio 2021. È tutta questione di… fallimento. Partiamo da queste rivelazioni, del tutto realistiche, e da alcune considerazioni, altrettanto condivisibili. Beh… da un comico, potevamo forse attenderci qualche cosa di serio? Sì, se avessimo parlato di comici preparati, teatralmente e culturalmente all’altezza di una fra le professioni più serie del mondo. Ricordo, tanti anni fa, una performance sulla nascita della filosofia occidentale, circa due ore di spettacolo, tenuta in Trentino da Pippo Franco. Indimenticabile, anche perché l’evento proseguì a cena, assieme ad altri amici. Una preparazione disciplinare da fare invidia al miglior docente ordinario di Storia della Filosofia, annunciata con magistrale tecnica comunicativa, durante una performance che tenne inchiodato il pubblico, beato di fronte a tanta maestria, per i contenuti, la regia e la sceneggiatura di concetti ed idee spesso non facili da metabolizzare e comprendere. Invece, nel caso del nostro ospite indesiderato, Rocco Casalino, a Palazzo Chigi, siamo in presenza del nulla comunicazionale, condito di banalità, ovvietà e noia. In effetti, tranne le prime volte, quando sapevo che il Premier avrebbe tenuto la sua solita sbrodolatura in Tv, sapevo esattamente quando mettermi a cenare. E ceno sempre a televisione spenta. Mi sembra dunque giusto, nella eventualità che se ne vada Conte da Palazzo Chigi, lo segua anche questo suo rovinatore comunicazionale seriale, degno figlio di quei Cinque Stalle che tutto fanno tranne che essere credibili e affidabili. Certo, gli altri, come ho ampiamente scritto, non sono meglio di lui, ma almeno non li vediamo così spesso nei media, e il più delle volte riusciamo persino a dimenticarci della loro esistenza in vita. Cosa, quest’ultima che, permette un reale nostro prolungamento di aspettativa di vita. Il fatto è, come mi ricorda il collega universitario, che il mondo politico e della comunicazione sta andando in questa direzione, quella del Casalino, con la conseguente mistificazione del reale lavoro della politica (ammesso che qualche politico conosca l’origine nobile del termine polis… ma è ovvio che sorga qualche dubbio, almeno nella nostra nazione). Riusciranno i nostri onorevoli eroi (gli onorevoli siamo noi cittadini, gli altri si dovrebbero chiamare disonorevoli…) a riporre un minimo di fiducia nella politica, se andiamo avanti in questo modo? Ho, in effetti, qualche serio dubbio.
Rocco Casalino come Frank Underwood: ora arriva anche l'autobiografia in odore di santità. Il portavoce del presidente del Consiglio pubblica un libro sulla sua vita. Ma l'uscita viene spostata. Mauro Munafò su L'Espresso il 02 febbraio 2021. L'immagine e il carattere tipografico usato ricordano decisamente House of Cards, la serie tv sulla politica americana con protagonista Frank Underwood. Solo che, al posto dell'attore Kevin Spacey, c'è Rocco Casalino. Stiamo parlando della copertina della biografia del portavoce del presidente del Consiglio, dal titolo appunto “Il portavoce”, edita da Piemme e prevista nelle librerie a partire dal 16 febbraio. Previsione che sembra destinata a non avverarsi perché, a causa della crisi di governo, la sua data di uscita è stata posticipa a un non precisato futuro. E così, probabilmente per motivi di opportunità (un po' come successo nel caso del libro del ministro della Salute Roberto Speranza), dal web sono scomparse quasi tutte le informazioni sul volume. Qualcosa però, navigando a fondo, ancora la si riesce a trovare. La descrizione del libro fa trapelare una certa dose di agiografia, piuttosto normale quando si parla di autobiografie. «La sua è un’infanzia segnata da povertà, violenze e umiliazioni – si legge - Trascorre i primi quindici anni della sua vita in Germania, figlio di emigrati, in una casa modesta insieme a un padre violento, alla madre e alla sorella. Rocco studia duramente, è il più bravo della classe, la matematica gli piace e gli riesce facile. Così, tornato in Italia, si iscrive alla facoltà di ingegneria, ma una volta laureato scopre presto che le prospettive che gli si offrono al Sud non soddisfano le sue ambizioni e la sua voglia di riscatto. Che fare? Come ci si affranca da un destino che sembra inesorabilmente segnato? Fa il provino al primo Grande Fratello nella speranza di avere l’occasione per un cambiamento. Lascia poi la tv e inizia un percorso da giornalista. Qualche anno più tardi, approdato alla politica, scala il Movimento 5 Stelle con la grinta che ha imparato a coltivare. Ama uomini e donne, seduce e si lascia amare, avido di sentimenti veri. Rocco è ambizioso ma è anche bravo, impara la comunicazione politica da Gianroberto Casaleggio, per poi cambiare quella del Movimento 5 Stelle, stando fianco a fianco con Di Maio e Di Battista, e cresce su, su fino ad arrivare alla carica attuale». In totale 272 pagine per poco meno di 18 euro di costo. Chissà se, al momento dell'uscita, il portavoce del titolo sarà ancora il portavoce.
"Rocco è l'uomo decisivo di oggi". Ma la crisi blocca l'autobiografia di Casalino. Rocco Casalino ha scritto la sua autobiografia, "Il portavoce". Ma il testo è già saltato per via della crisi di governo. Serena Pizzi, Martedì 02/02/2021 su Il Giornale. Rocco Casalino ne sa una più del diavolo. L'ex concorrente del Gf - oggi portavoce di Giuseppe Conte - conosce tutte le tecniche per conquistarsi la scena. Che sia in positivo (?) o in negativo. Lo abbiamo visto durante le conferenze stampa del premier in piena emergenza Covid, quando cercava ogni modo per entrare nelle inquadrature del cameraman (negativo!). Lo abbiamo visto plasmare Giuseppi: è passato dall'essere avvocato del popolo a concorrente del Gf in pieno delirio social (negativo!). Lo abbiamo visto durante la più recente crisi di governo nei panni del consigliere spietato, talmente tanto da portare il premier quasi al "suicidio" (negativo!). Conte, infatti, era talmente tanto pieno di sé da essere convinto di raccattare per strada abbastanza "responsabili" per fare fuori Italia Viva di Matteo Renzi. Ma sappiamo benissimo come è andata a finire. Potremmo andare avanti con questo elenco per diverse altre righe. Ma evitiamo. E ora cosa ha combinato? Ha scritto un libro. Meglio: la sua autobiografia, Il portavoce (già il nome è tutto un programma). Edito da Piemme e in uscita il 23 febbraio prossimo. Ma c'è un però. Il testo è stato bloccato. È introvabile. Su Ibs e Mondadori Store la copertina non c'è, il titolo sì, il prezzo pure, è tutto pronto. Peccato che la crisi di governo lo abbia arrestato in corsa e la autobiografia di Rocco Casalino - al momento - non finirà fra le mani di nessuno (probabilmente per non alimentare ulteriori fratture e polemiche). Un sunto parziale del libro è stato inviato con la newsletter della casa editrice del gruppo Mondadori. "Rocco studia duramente, è il più bravo della classe, la matematica gli piace e gli riesce facile. Così, tornato in Italia, si iscrive alla facoltà di ingegneria", riporta Repubblica. E ancora, "tante vite vissute, tante lezioni imparate, tanta fame di farcela a tutti i costi: per diventare il portavoce di Giuseppe Conte e uno degli uomini più decisivi di questi anni (...) Non mi ha regalato niente nessuno, questo è sicuro. E se sono orgoglioso di dove sono arrivato non è tanto per il ruolo che ricopro ma perché non dimentico mai da dove sono partito, cioè dalle condizioni più svantaggiate dell'universo". Scriverebbe il buon Rocco nel suo libello. Ma questo non sarebbe tutto. Nel suo testo parlerebbe con orgoglio dell'esperienza al Grande Fratello, di ciò che gli è successo dopo, fino ad arrivare ad oggi. "Rocco è ambizioso ma è anche bravo, impara la comunicazione politica da Gianroberto Casaleggio, per poi cambiare quella del Movimento 5 Stelle, stando fianco a fianco con Di Maio e Di Battista, e cresce su, su fino ad arrivare alla carica attuale", si legge. Insomma, Rocco Casalino se la canta e se la suona da solo. Si dà del bello, del bravo, dell'ambizioso e dell'uomo vissuto. C'è da dire che ha tanta autostima, fa bene. Talmente tanta che, quando i giornalisti gli chiedono qualche battuta sulla vicenda, replica con un sostenuto "va bene così". E se fino a qui tutto sembra già surreale, aspettate. C'è la chicca: la copertina, che richiama neppure troppo velatamente la locandina di House of cards, in cui Frank Underwood si aggrappa a un trono di marmo con uno sguardo fiero. Frank, nella serie, dà inizio ad un giro di intrighi per arrivare ai vertici del potere americano. I temi nella serie tv trattati sono: pragmatismo (spietato), manipolazione, tradimento e potere. Domanda: Casalino si sente davvero Underwood? Al momento, non possiamo rispondere a questo quesito. Ma possiamo dire una cosa. Questo governo non è molto fortunato con i libri (aggiungerei anche con altro). Ricordate il volume di Roberto Speranza che sarebbe dovuto uscire lo scorso autunno? Perché guariremo è stato ritirato dal mercato a seguito dello scoppio della seconda ondata. Il ministro della salute, infatti, dava una visione troppo ottimista di questa pandemia che ancora ci flagella. Il testo, che noi abbiamo avuto" l'opportunità" di leggere, non risponde ai tanti "perché" sulla gestione dell'epidemia. Resta vago. E dopo la marea di critiche dal tono "mentre la gente moriva Speranza scriveva il libro", il testo è stato bloccato. E ora Casalino si accoda al collega giallorosso. Magari si leggeranno a vicenda i testi per farsi qualche appunto. Magra consolazione.
Rocco Casalino guadagna il doppio di Conte: ecco i nuovi costi degli staff di Palazzo Chigi. Cambiano le maggioranze a sostegno dell'esecutivo e i collaboratori a supporto dei vari ministri. Ma il portavoce del presidente del Consiglio resta per distacco la figura meglio retribuita. Mauro Munafò su L'Espresso il 06 dicembre 2019. In una sua recente intervista a Sette, Rocco Casalino ha dichiarato che in futuro potrebbe anche pensare all'idea di candidarsi. Ma per l'attuale portavoce e capo ufficio stampa del presidente del Consiglio ottenere un incarico politico significherebbe dover anche ridurre i propri compensi. Sì, perché l'uomo che gestisce la comunicazione di Giuseppe Conte è di gran lunga meglio retribuito anche del suo capo. Lo era nel primo esecutivo Conte, e lo è anche in questo secondo governo, come confermano i nuovi dati sui costi degli staff consultati dall'Espresso. Grazie a uno stipendio lordo di poco superiore ai 169mila euro, Casalino si conferma come il collaboratore meglio pagato di Palazzo Chigi. Il suo emolumento si compone di tre voci: 91.696 mila euro di “trattamento fondamentale” a cui si aggiungono 59.500 mila euro di “emolumento accessorio” e 18.360 euro di “indennità diretta di collaborazione”. La stessa cifra che percepiva durante il primo governo Conte e in linea con quanto incassato dai suoi predecessori nello stesso ruolo. Curioso tuttavia notare come il suo “capo”, il presidente del Consiglio, al momento risulta guadagnare la metà. Conte dovrebbe infatti percepire 110mila euro l'anno ma ha chiesto una riduzione del 20 per cento del suo emolumento e al momento guadagna quindi 88mila euro per il ruolo di premier. Il nuovo elenco degli staffisti di Palazzo Chigi, cioè i collaboratori assunti per chiamata diretta negli uffici di collaborazione e i cui contratti decadono con la caduta del governo, presenta tante conferme e qualche novità. Intanto il numero di collaboratori è crollato rispetto al primo governo Conte, passando dai 101 nomi dello scorso luglio agli attuali 48. Le ragioni sono almeno due: nel precedente esecutivo c'erano infatti le segreterie dei vicepremier Luigi Di Maio e Matteo Salvini con relativi staff a Palazzo Chigi, mentre oggi non ci sono vicepremier. Inoltre Conte aveva assunto l'interim degli affari europei con relativo staff. In carico ai sottosegretari del primo governo Conte c'erano poi anche delle deleghe di peso, come quella alle pari opportunità, che nel Conte 2 sono state invece distribuite in un ministero ad hoc. Il paragone diretto tra i due governi non è quindi ancora realizzabile. Anche perché molte cifre dei compensi dei nuovi staff sono ancora in fase di definizione. Dietro Rocco Casalino, il secondo posto di staffista meglio pagata lo mantiene Maria Chiara Ricciuti, vice capo ufficio stampa, che conserva la retribuzione complessiva di 129mila euro lordi annui. Nell'ufficio stampa anche il videomaker Filippo Attili (con un aumento di 8mila euro lordi annui), il coordinatore amministrativo Carmelo Dragotta (74mila euro), i collaboratori Massimo Prestia e Laura Ferrarelli (68mila euro), il responsabile dei social Dario Adamo (115mila euro) e le new entry Giuseppe Coeta (60mila euro) e Giuseppe Dia (40mila euro). Interessante invece il percorso di Dario De Falco, capo segreteria particolare del vicepremier Di Maio (e suo amico di lungo corso) nel primo governo Conte, con uno stipendio di 100mila euro. Diventato ora, che Di Maio è in altro ministero, “consigliere per le questioni istituzionali” del sottosegretario Riccardo Fraccaro, con uno stipendio ancora in via di definizione. Nell'Ufficio di Conte vengono confermati il segretario particolare Andrea Benvenuti (84mila euro), l'assistente del capo di gabinetto Giulio Bonifacino (con aumento di 3mila euro rispetto al primo governo Conte), l'esperto Domenico Bottega (aumento di 5mila euro), l'esperto Giacomo Bracci (55mila euro, con aumento di 20mila euro), i consiglieri a titolo gratuito Gerardo Capozza, Vincenzo Cerulli Irelli, Tommaso Donati, l'esperto Edoardo De Riu (33mila euro, con aumento di 7mila euro), Giulio Ginetti (25mila euro, con aumento di 5mila euro), il capo di gabinetto Alessandro Goracci. Entrano nello staff Concetta Baratta, Guglielmo Bevivino e Paolo Rametta.
Anticipazione da “Oggi” il 6 gennaio 2021. Il settimanale OGGI, in edicola da domani, ospita un intervento del portavoce del presidente del Consiglio Rocco Casalino, che replica a una rubrica dello stesso settimanale in cui Aldo Grasso gli aveva espresso critiche. «In questo caso ritengo le accuse nei miei confronti infondate, ingiuste e ingenerose. Accuse che, più in generale, confermano un accanimento, verso la mia persona e il mio lavoro professionale, che non comprendo e che si giustifica solo con una certa fissazione o pregiudizio», scrive Casalino. Che aggiunge: «Mi sfugge il motivo per cui Grasso non mi raccomanda di tornare alla mia vecchia professione di ingegnere elettronico di una multinazionale americana. Evidentemente è più utile ricordare sempre quella parentesi in tv». Poi Casalino ricorda «il difficile e complicato lavoro svolto dalla Comunicazione del Presidenza del Consiglio in tutti questi mesi» mentre «queste critiche non tengono in minima considerazione le difficoltà e le condizioni di costante emergenza alle quali anche la Comunicazione di Palazzo Chigi è stata sottoposta durante la pandemia. In questi mesi, infatti, il nostro lavoro è andato ben oltre il carattere prettamente istituzionale e politico, per assumere anche una connotazione fortemente sociale, con risvolti che, ben più del solito, si sono dipanati sul piano umano, individuale e collettivo, e su quello economico». Argomentazioni che non hanno convinto Aldo Grasso: «La libertà d’espressione, che resta ancora un baluardo del nostro Paese, e gli anni di ricerca e di insegnamento nel campo della comunicazione mi permettono di ribadire che ritengo Rocco Casalino inadeguato alla funzione che ricopre».
Monica Guerzoni per il “Corriere della Sera” il 29 gennaio 2021. Per una volta il grande comunicatore non ha voglia di comunicare. Niente interviste, poche parole concesse con tono basso e cadenza lenta, anche quando ripete «io non mollo, non mollo». La voce di Rocco Casalino, oltre alla delusione e alla preoccupazione per la piega che ha preso la crisi di governo, tradisce una stanchezza nuova. Dopo le dimissioni di Giuseppe Conte, nei palazzi della politica scossi dalla sfida del rottamatore all' avvocato del popolo si dice che il portavoce, anche lui, stia per annunciare il passo indietro. Matteo Renzi avrebbe chiesto la sua testa, come una delle condizioni per sedersi a un tavolo e trattare. Ma lui non si arrende: «Io non mollo manco morto. Certo non mi dimetto perché lo chiede Renzi». Finché il giurista pugliese sarà a Palazzo Chigi, ci sarà anche lui. Perché i 5 Stelle lo hanno blindato sin dal primo giorno, quando lo imposero come tutor e vigilante del professore arrivato dal nulla. E perché lui è sicuro che, se miracolosamente Conte dovesse mai tornare premier, il rapporto di stima e reciproca fiducia che ha costruito non potrà spezzarsi per le pressioni dei partiti. A turno Lega, Fratelli d' Italia, Forza Italia, il Partito democratico e Italia viva hanno chiesto il suo licenziamento, ma lui si è sempre fatto una risata: «Chi pensa di imporre al presidente del Consiglio i suoi collaboratori personali non sa di cosa parla e forse ha visto troppi film. Conte non ha mai pensato di cacciarmi e anche oggi è una fake news». Sono le ore più dure per il giurista di Volturara Appula e lo sono anche per il suo spin doctor, forse il più chiacchierato e bersagliato della storia politica italiana. Ha reso «pop» l' immagine di Conte e costruito una formidabile macchina acchiappa-consensi, ma ha anche collezionato gaffe, bucce di banana e scontri plateali, innescati da qualche (imperdonabile) leggerezza. L'ultima a metà dicembre, quando Conte e Di Maio erano in Libia per la liberazione dei pescatori di Mazara e lui si fece scappare lo screenshot della geolocalizzazione a Bengasi. «Errore del telefono», si difese il portavoce, laurea in ingegneria elettronica. Le cronache sono piene di episodi anche pittoreschi, che Casalino - 170 mila euro di stipendio lordi l' anno contro i 114 mila di Conte premier - non rinnega e anzi a volte ostenta come medaglie. Non in queste ore nere però, in cui «Rocco» avrebbe solo voglia di gridare quello che ha dentro. Che Renzi attacca lui «per non attaccare il presidente Conte, uno che ha dalla sua parte il 70 per cento degli italiani». Che i renziani lo fanno apparire come «il deus ex machina», lo usano come bersaglio, parafulmine, scudo...Può sembrare incredibile, ma c' è stato un tempo in cui Renzi e Casalino erano quasi amici e avevano preso a chattare via WhatsApp. Conte era da poco a Palazzo Chigi con la Lega e l' ex sindaco di Firenze, forse colpito dal talento comunicativo del portavoce, gli scrisse per complimentarsi. Ne nacque una confidenza, persino una simpatia reciproca. Finché il capo dell' ufficio stampa della presidenza del Consiglio scrive qualcosa che fa saltare i nervi a Renzi, il quale blocca il contatto e non si fa più vivo. Lì finisce il feeling e comincia la guerra, spesso giocata con le armi dei social. «Devono confrontarsi con noi, non con gli hashtag», è una frecciata ricorrente del leader di Italia viva. Il quale ieri, appena uscito dal colloquio con Mattarella, ha di nuovo mirato al bersaglio: «Questa non è una saga, non è una fiction, non siamo al Grande Fratello... Qui siamo al Quirinale». Tanto astio si deve a una frase che il portavoce avrebbe pronunciato conversando con alcuni parlamentari del M5S, che la riferirono a Repubblica : «Se andiamo in Senato lo asfaltiamo, come è successo con Salvini». Parole riferite a Renzi, il quale non gliel' ha perdonata nonostante la «categorica smentita» di Palazzo Chigi.
Flavia Perina per "La Stampa" il 28 gennaio 2021. È il mantello magico del Superman (ex-Superman?) di Palazzo Chigi e al tempo stesso la sua kriptonite. Rocco Casalino, portavoce del premier, è stato per tre anni la sua risorsa numero uno ma anche l' arma sistematicamente impugnata dai nemici per ferirlo, il tema fisso di ogni battuta irridente ai limiti dell' insulto, tanto che in questi giorni si parla del suo allontanamento come uno dei pegni che il premier dovrà comunque pagare, anche se riuscirà a trovarsi una nuova maggioranza puntellata dai centristi e riconciliata coi renziani. L'espressione «il governo di Conte e Casalino» accompagna il presidente del Consiglio uscente dal suo primo incarico ed è stata abitualmente usata, fin dall' inizio dell' avventura politica del premier, allo scopo di denigrare Palazzo Chigi associandolo alla galassia dei talent e dei morti di fama. L'hanno ripetuta tutti, quella frase: il Pd quando Conte governava con la Lega, la Lega quando i ruoli si sono rovesciati e infine Matteo Renzi, che seppure senza citarlo direttamente, nei giorni della pre-crisi, ha evocato Casalino ogni volta che in tv o in Senato ha ripetuto: «Il dibattito non può essere sostituito da un tweet, il Parlamento non è una diretta Facebook, il governo non è un talent». Ecco, l'arte dei talent applicata alla politica - l' abilità di costruire e demolire personaggi e imbastire un racconto che, alla fine, premi un solo protagonista - è la specialità di Casalino, che in fondo non ha fatto che implementare il ruolo praticato da molti suoi predecessori. Da tempo immemorabile, dall' epoca di Paolino Bonaiuti con Silvio Berlusconi fino a quelli di Filippo Sensi e Matteo Renzi, i portavoce sono diventati cosa ben diversa dai paludati custodi della «verità ufficiale» della Prima Repubblica. Sono spin doctor, funamboli dell' immagine e della parola, inventori di copertine, sparring partner e insieme coach di leader sempre bisognosi di rassicurazione, rivincite mediatiche, incoraggiamento, anche amicizia. Casalino tuttavia, a differenza degli altri, è sempre apparso più padrone che maggiordomo, e forse per questo ha suscitato irritazioni così estreme. Come Giuseppe Conte è arrivato in politica da outsider assoluto, seppure dopo aver provato la strada della candidatura diretta nel 2012, alle Regionali lombarde, poi ritirata per l' insurrezione dei grillini duri e puri. Era già personaggio di successo, principalmente per la prima edizione del Grande Fratello, nel Duemila, che sfornò figure formidabili come Pietro Taricone e aprì una inaspettata finestra sull'«Italia normale». Un percorso peraltro condiviso da numerosi coetanei, comprese alcune star della politica che hanno cominciato in tv ma si sono fermati alle comparsate nella Ruota della fortuna (Matteo Renzi) o al Pranzo è servito (Matteo Salvini).
«Rocco» è diventato in fretta uno degli uomini chiave del Movimento Cinque Stelle. Quello a cui bisogna obbedire. Dicono le leggende che conquistò la prima assunzione mandando un video Youtube a Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio: «Sono Rocco Casalino, ingegnere elettronico e giornalista professionista. Vi chiedo di giudicarmi per quello che sono e di evitare i pregiudizi che mi accompagnano da molto tempo». Ma siccome le leggende in quel mondo le inventa lui, è lecito immaginare percorsi meno favolistici. Di certo dal 2013, quando entrò in pista come vice-capo della comunicazione al Senato, ha fatto fuori tutti quelli che occupavano ruoli superiori, elenco lunghissimo e dimenticato. È stato il ferreo custode del lockdown delle ospitate M5S (divieto assoluto di andare in tv, fase 2013/2014), poi il tutor della normalizzazione dell' immagine grillina (2014/2018) e infine, dal 2018 in poi, il signore indiscusso del grillismo di governo e del Contismo: una costruzione che sarà pure una bolla di sapone ma ancora regge nell' immaginario di gran parte del Paese. Casalino ha difetti assai noti - prepotenza, spirito vendicativo, furberia corsara - ma chi ricorda i Cinque Stelle prima maniera sa che senza un bastone neanche Nando Orfei avrebbe potuto domare quel circo, composto da gente che straparlava sul controllo tramite microchip sottocutanei (Paolo Bernini) e capigruppo che commentavano pubblicamente i colloqui al Quirinale dicendo: «È andata bene, non si è addormentato» (Vito Crimi su Giorgio Napolitano). Si può immaginare quale trattamento-choc abbiano subito i diretti interessati se, dopo la sua promozione al top, la risposta di prammatica a qualsiasi richiesta rivolta a esponenti grillini diventò: «Devo sentire Rocco» (in alternativa: «Meglio che senti Rocco»). Ora che «il governo di Conte e Casalino» è uscito di scena, ora che il premier ha perso il tocco magico e la testa di entrambi è sul ceppo, ci si chiede cosa resterà del Casalinismo qualora finisca male. Senz' altro ricorderemo la definizione che inventò per Conte, «avvocato del popolo», una genialata che riuscì ad accorpare il mondo Lega e M5S evocando al tempo stesso la giustizia, il garantismo e i rispettivi elettorati di protesta. Ricorderemo la primavera delle fidanzate, nel 2019, quando Luigi Di Maio e Matteo Salvini si rincorrevano su Chi con le foto delle loro nuove fiamme (Virginia Saba e Francesca Verdini), servite al pubblico per stroncare il gossip sul loro scarso successo con le donne (o addirittura la propensione a ignorarle). Ricorderemo, anche, la libertà senza precedenti con cui Rocco ha portato la sua identità gay a Palazzo Chigi, mai nascondendola, anzi lasciandosi vedere volentieri in giro col compagno cubano Josè, 30 anni ben palestrati, un lusso che la politica italiana - dove gli omosessuali sono stati e sono un gran numero - non si è mai concessa, trincerandosi sempre dietro mogli e ragazze di copertura, improbabili voti di castità o giornate tutte casa-partito-chiesa (e chissà quanti ricatti, minacce, contropartite sono costate queste doppie vite). Ecco, magari anche questo dettaglio aiuta a capire il surplus malmostoso che Casalino provoca dentro e fuori dal suo mondo, tra i molti che vorrebbero andarsene in spiaggia con l' amico/a e non possono, tra i moltissimi prigionieri (non necessariamente omo) della finzione maritale, e insomma: vai a vedere che l' irrisione, l' uso del nome di Casalino come insulto, alla fine non nasconda anche un po' di invidia.
Il portavoce del premier Conte. Rocco Casalino non molla “manco morto” Palazzo Chigi: “Non mi dimetto perché lo chiede Renzi”. Antonio Lamorte su Il Riformista il 29 Gennaio 2021. “Io non mollo manco morto. Certo non mi dimetto perché lo chiede Renzi”. Rocco Casalino, portavoce del Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, non pensa nemmeno a dimettersi. Aspetta e spera non meno del premier il terzo incarico, che resta comunque l’ipotesi più probabile. Al terzo e ultimo giorno di consultazioni viene data come più probabile l’ipotesi di un mandato al Presidente della Camera Roberto Fico. L’avvocato del popolo e di Volturara Appula è comunque in pole. E con lui Casalino, secondo molti osservatori una sorta di premier ombra. “Chi pensa di imporre al presidente del Consiglio i suoi collaboratori personali non sa di cosa parla e forse ha visto troppi film. Conte non ha mai pensato di cacciarmi e anche oggi è una fake news”, riporta Il Corriere della Sera. Lega, Fratelli d’Italia, Forza Italia, Partito Democratico, Italia Viva hanno chiesto tutti a turno il suo licenziamento. Niente da fare. Matteo Renzi, durante la conferenza stampa dello scorso 13 gennaio che ha aperto la crisi di governo con le dimissioni delle ministre Teresa Bellanova ed Elena Bonetti, aveva sottolineato più volte la necessità di tornare a una comunicazione più formale. “La democrazia non è un reality-show”, aveva detto Renzi facendo riferimento al passato di Rocco Casalino nel Grande Fratello. L’ex premier avrebbe avuto all’inizio un buon rapporto con Casalino, poi il taglio di tutti i contatti. Tanto potere – il portavoce dirige una squadra di 30 giornalisti – ma anche gaffe da parte del portavoce che hanno portato Casalino a essere ascoltato dal Copasir, il Comitato parlamentare della Sicurezza della Repubblica. Due gli episodi: il primo del 17 dicembre, quando Conte e il ministro degli Esteri Luigi Di Maio volano in Libia per la liberazione dei 18 pescatori detenuti da 108 giorni. I giornalisti che chiedevano conferme e informazioni vedevano recapitarsi sul cellulare lo screenshot della geolocalizzazione a Bengasi, zona aeroporto. Un’uscita (la notizia è de Il Foglio) che non passa inosservata, anzi. Nel giro di poche ore Casalino ha fatto sapere di non aver mandato alcuna geolocalizzazione: solo un errore nel cellulare. Rocco Casalino è laureato in ingegneria informatica. Il secondo episodio riguarda la storia che appare sull’account ufficiale di Conte: una stories che invita a cliccare per “mandare a casa Renzi”. La crisi di governo è stata appena aperta. Il responsabile di web e social media della Presidenza del Consiglio Dario Adamo si dissocia. Si parla subito di un presunto hackeraggio. Il caso porta alla richiesta di audizione anche del Segretario generale della Presidenza del Consiglio Roberto Chieppa. Ultima uscita, puntualmente smentita, rivelata da Repubblica, dopo l’apertura della crisi. “Asfaltiamoli in Parlamento”, aveva sacramentato Casalino riferendosi a Italia Viva. Casalino ormai richiama l’attenzione, a tratti, anche più dello stesso premier, come ha analizzato il data journalist Livio Varriale per questo giornale. Il portavoce è puntualmente uno degli argomenti di interesse e discussione sui social. Si può parlare del portavoce più decisivo e chiacchierato della storia d’Italia. Forse anche qualcosa in più di un portavoce.
Rocco Casalino, il ritratto di Filippo Facci: "Il badante del premier che si vergogna del suo passato". Libero Quotidiano il 03 gennaio 2021. Rocco Casalino è l'uomo dell'anno, che è stato - tutti d'accordo - un anno di merda. È una sintesi complessa e sofisticata che tiene in considerazione vari fattori, ma è anche un concetto semplice che già scrivono sui muri (anno di merda) e sugli striscioni e in rete, anche se è un luogo comune offensivo per le cose buone che pure ci sono state: quando ci verranno in mente faremo degli esempi.
Tuttavia «uomo dell'anno», tornando a Casalino, pare un'espressione impegnativa e che scricchiola un po': restituisce un senso di vertice, di acme, di livello, di homo faber che si staglia sopra la massa come una farfalla, immobile a mezz' aria, che guarda dall'alto gli insetti brulicanti. Non è proprio così, anche se gli insetti c'entrano. Casalino, come il verbo grillino auspicava in origine, è parte integrante del terreno vischioso e fangoso in cui ci siamo inzaccherati (come Paese) ed è l'incarnazione autentica di quel «uno vale uno» dove sguazza il Paese imbruttito e incattivito descritto dal Censis, laddove milioni di internettiani si credono qualcosa mentre altri milioni, probabilmente di meno, l'hanno infine capito: uno vale uno, sì, ma quell'uno è un cretino. Insomma, chiamiamolo «omino dell'anno» e risolviamo così, per lo scorno di chi - come lo scrivente - per anni ha rifiutato la semplice esistenza di uno come lui nei paesaggi istituzionali: e invece bisogna ammetterlo, lui c'è, ci si stropiccia gli occhi ma lui c'è ancora, egli vive, esiste davvero, e fa delle cose che hanno delle conseguenze. È il portavoce del presidente Giuseppe Conte (non potrebbe portare la voce di nessun altro) e l'incredibile è che decide i tempi e i modi della comunicazione del governo, la quale comunicazione - poi basta, non useremo più questa parola - è di merda, perché ha tempi e modi da ciarpame gossip (prima e male: si sa tutto prima del tempo) e soprattutto è una comunicazione che ha paura di se stessa, non ha il coraggio delle proprie azioni anche perché spesso sono sbagliate o tardive.
MARCHIO DI FABBRICA. In ogni caso: Casalino è l'omino che decide o concorda le doglie e il parto dei dpcm, ma, nondimeno, attraverso le scelte degli orari di comunicazione, decide le «scalette» dei principali telegiornali e delle reti televisive. Quindi non è più un semplice portavoce, è una specie di sottosegretario alla Presidenza del Consiglio ma senza titolo né giuramenti alla Costituzione. È una figura inventata (all'estero non esiste, ma non esisterebbe neppure nella fantasia di un romanziere) ma che di fatto potrebbe sembrare che comandi su Conte (per quel che ci vuole) e che, con la sua puntuale presenza fisica, ne sia il badante, il tutore, il consigliori, il segretario particolare, lo sbrigafaccende, comunque - ci arrendiamo, dobbiamo ammetterlo - una figura coerente perché perfettamente rappresentativa di questo governo, di questo momento storico (di merda, ops, non dovevamo più dirlo) e insomma, per dirla male, anzi benissimo: se lo meritano, Rocco Casalino. Siamo noi che forse non ce lo meritiamo, anche se in parte non è vero, perché una parte del Paese ha votato come ha votato. Per il resto, di ritratti di Casalino ne hanno già scritti tanti, non c'è da menarla ancora. Che egli nasca, sia e resti un concorrente del Grande Fratello (tecnicamente un morto di fama) è mera realtà e non può lamentarsene: anche se gli scoccia che i media lo ricordino. Ma è il suo marchio di fabbrica, consolidato e perfetto, una grande cicatrice sul corpo come un galeotto russo: deve rassegnarsi, non c'è niente di cui vergognarsi nel suo passato: è sul presente che abbiamo qualche dubbio. Deve rassegnarsi al fresco ricordo della faccenda col suo fidanzato, il ludopatico José Carlos Alvarez Aguila: perché, anche quella, è roba indelebile che peraltro anticipa di gran lunga i tempi del Grande Fratello: pura commedia all'italiana. Voi guardatelo come il lungo titolo di un film di Lina Wertmuller: «Cubano che è fidanzato col portavoce del Presidente del Consiglio percepisce indennità di disoccupazione e se la gioca in Borsa fornendo gli scontrini dei croccantini per il cane». Ne consegue che non può pretendere l'oblio, Casalino: è un ponte tra passato e presente (sul futuro ci tocchiamo le palle) e comunque all'oblio si è sostituito il rincoglionimento generale dopo un anno terribile, un anno di okay. Ma non calerà l'oblio sul master negli Stati Uniti che in realtà non ha mai frequentato. Non calerà l'oblio sulla sua collaborazione con Lele Mora e col suo ruolo di casinaro televisivo. E neanche sulle sue minacce di licenziamento verso una serie di dirigenti del ministero dell'Economia. E neanche sulla sua gestione sovietica e ricattatoria degli ospiti da mandare nei talkshow, o sulle pregiudiziali bullesche su determinati giornalisti (ciao Rocco) e insomma roba che ormai è vecchia, sì, ma non cade in prescrizione.
TROPPO ITALIANO. Noi però parlavamo del 2020, che è l'anno del covid-19 e del Governo Conte. Ci basta. È lui l'omino dell'anno, che risiede a Ceglie Messapica mentre Giuseppe Conte e di Volturara Appula: magari bei posti (boh) ma centrali come il governo che ci ritroviamo. Rocco Casalino non è un demiurgo machiavellico, non è un'eminenza grigia: non cerchiamo paroloni, non sopravvalutiamolo e neanche ridimensioniamolo. Casalino è quella cosa lì. È nato in Germania, dove - ha raccontato - lui e la sua famiglia erano oggetto di discriminazioni perché italiani. In pratica e in fondo, da noi, succede la stessa cosa: è oggetto di discriminazione in quanto italiano. Troppo. Terribilmente. Irrimediabilmente. Homo, homini, lupus. Homo, omini, casalini.
Da "Libero quotidiano" l'8 gennaio 2021. La lettera di Rocco Casalino: Ancora una volta mi trovo a leggere offese gratuite nei miei confronti e accuse infamanti volte esclusivamente a screditare il mio lavoro e il mio nome. Trovo incomprensibile l’acredine di Filippo Facci e i suoi attacchi infondati sulla mia attività professionale, che poi degenerano in attacchi anche sul piano personale. A differenza di quanto possa pensare l’autore dell’articolo, non rinnego affatto il mio passato e vado fiero del mio duro percorso di studi e delle mie esperienze professionali che mi hanno portato ad assumere il ruolo di Portavoce del Presidente del Consiglio. Ricordo a Facci, infatti, che ho una lunga esperienza nel mondo del giornalismo e della comunicazione. Oltre a essere un giornalista da più di tredici anni, sono stato anche per diversi anni a capo della comunicazione del Movimento 5 Stelle. Ma non voglio soffermarmi su questo, sulla mia laurea, e sul mio percorso di studi nel corso del quale - io sí - ho ottenuto sempre ottimi risultati. Ricopro il mio ruolo ogni giorno con il massimo impegno e professionalità. Eppure, nonostante questo, c’è ancora chi mi critica strumentalmente solo sulla base di un forte pregiudizio. Io non scenderò al livello di Facci. Sono solito confrontarmi sul campo, con onestà intellettuale e non denigrare il lavoro altrui per screditare la reputazione di chi si ha di fronte. Dico soltanto: se Facci, che a scuola mi risulta fosse l’ultimo della classe, oggi può fare “l’intellettuale”, a maggior ragione il sottoscritto - diplomato con il massimo dei voti, laureato in ingegneria, che parla 5 lingue, giornalista professionista - può fare il portavoce del Presidente del Consiglio. Naturalmente mi riservo di querelare Facci per le offese contenute nel suo articolo.
Risponde Filippo Facci: Tu non hai neppure la più pallida idea di quanto io ti disprezzi, e ti do del «tu» come si fa con le cose, non dovendo io neppure rispettare una carica elettiva che non hai mai avuto. Non meritavi risposta, ma me l’hanno chiesto. Intanto le mie offese non sono gratuite: mi pagano per scriverle. In secondo luogo, sino alla quarta elementare mi portavano in giro per le scuole come fenomeno del disegno e della matematica: ma non sono mai stato così idiota da misurare l’intelligenza di una persona dal livello di studi. Solo gli ignoranti lo fanno. Tu poi sei ingegnere (come mio padre, che infatti faceva l’ingegnere) e la sola cosa che m’incuriosisce di questo tuo «duro percorso di studi con ottimi risultati» da ingegnere (unica laurea italiana che dovrebbe assicurare subito un lavoro) è come lo sbocco naturale ne sia stato il Grande Fratello, laddove tu sei rimasto. Per il resto, come giornalista non sei mai stato niente, e le tue «esperienze professionali», quelle che ti hanno portato a comandare la comunicazione dei grillini e di questo» presidente del consiglio (scritto minuscolo) non sono referenze: sono il problema, sono la vergogna ingoiata da un Paese che si è immerdato in questa perdurante penitenza. Comunque fa niente se non ti vergogni del tuo passato: a quello pensiamo noi. Il problema è il vergognoso presente, sinché dura: il mestiere che fai, come lo fai, come ancora lo chiami. Ma è passato il colera, passerà il Covid e passeranno i grillini. Attendo la tua querela (querelare sarebbe da te) anche perché tanto, grazie ai tempi della vostra giustizia, andremo a giudizio quando sarete polvere di cui nettarsi i piedi.
Fulvio Abbate per “il Riformista” l'8 gennaio 2021. Contemplo l’allure “ufficiale” di Rocco Casalino, e mi viene da pensare, di più, constatare, l’immensa strada professionale che l’ex giovane ha fatto dai giorni del suo “Grande Fratello”, vent’anni or sono. Alla fine, riflettendo anche su me stesso e le più recenti esperienze che riguardano proprio la mia persona, viene subito da rispondere davvero con tono piccato, a chi volesse obiettare che sempre personalmente, avrei fatto male, molto male, a non trovare scrupoli morali, partecipando anch’io al “Grande fratello”. Nel mio caso “Vip”. Il caso di Rocco C., che mi ha preceduto molti anni fa, da questo punto di vista è davvero esemplare. Il Gf si è dimostrato per lui uno straordinario e irresistibile collocamento professionale, sia detto a dispetto d’ogni ironia in epoche di disoccupazione. Nessuno avrebbe mai immaginato che, nel corso degli anni, Casalino, sebbene molti non avrebbero scommesso un gettone telefonico bucato su di lui, sarebbe diventato una sorta di Richelieu o forse un Mazzarino, un’“eminenza grigia” (cit.). Per lui c’è chi scomoda addirittura il perfido Rasputin. E della politica, per giunta. L’avremmo semmai supposto, nel migliore dei casi, ospite-residente negli studi di Cologno a commentare altri campioni a lui simili, già carne da reality, privati tuttavia di un gettone fisso in televisione. Non certo cooptato da una Archibugi o un Virzì nel cinema per ceti medi riflessivi, veltroniani. Nessuna introspezione, nulla di bergmaniano si addice al nostro, non sussurri e grida profondi per Rocco… Ciononostante, a dispetto delle anime belle e culturalmente affluenti, a un certo punto, Casalino, ecco, che ti diventa il consigliere del Principe, il suo suggeritore, di più, anzi, di meglio, il sussurratore speciale, l’inventore, forse, del Principe stesso. Principino anch’egli. In questo senso, aveva ragione, meglio, dovevo dare retta alla sua compagna d’avventura iniziale, Marina La Rosa, che ancora adesso racconta che Rocco, da sempre, sognava, come si dice al Sud, di “mettersi” in politica. Alla fine, il proteiforme Movimento 5 Stelle è stato il suo omnibus, il suo suv. Ora che ci penso, me lo ricordo qualche anno fa, come un pifferaio magico, o forse un mangiafuoco, un pesce pilota, un acchiappino, a traghettare i giovani parlamentari grillini, ancora inermi e inesperti, gattini ciechi, in questo o quell’altro talk - “Agorà” o “Omnibus”, fa lo stesso - con quelli gli andavano dietro, mansueti come pecore pasquali di marzapane, lo stendardo a 5 stelle conficcato sulla schiena idealmente, e lui intanto a dire loro dove sedersi, dove aspettare, come sedersi, come aspettare, come rispondere e quando e quanto rispondere. Sembrava allora che la macchina del MoVimento fosse solo in rodaggio, e Casalino lì cooptato come capogita, al pari di quell’altro, anonimo militante estroso, che ai raduni si presenta in costume da D’Artagnan. Per Casalino invece l’abbigliamento sbarazzino iniziale, da sauna tra fratelloni del “Grande fratello”, è stato ora sostituito da una cravattona azzurra su colletto rigido di taglio “francese”, un abito, come dire, modello “Gianfranco Fini”. Insomma, l’abito di una nuova scena, un nuovo copione. Quando l’avevamo perso in qualche modo di vista, tutti noi, poveri fessi, ingenui, continuavamo a dire che lui, Casalino, sì, “…quello del Grande Fratello,” e giù a ridere come sciocchi. Invece era lui che si faceva beffe di noi. Rocco infatti, improvvisamente, si è mostrato seduto alla destra di chi a detta di molti sarebbe davvero una sua creatura, l’irresistibile, l’irripetibile, l’incredibile Giuseppe Conte. Oh, sarebbe meraviglioso poter assistere alle loro conversazioni private, al momento in cui Rocco dice a Giuseppe che, “… no, tu devi procedere così, devi dire così, te lo dico io che sono stato al Grande Fratello, e nessuno, credimi Peppe, avrebbe scommesso un centesimo su di me e invece, guarda dove ti ho portato!” Peppe o Pino o Peppino o Joseph o Peppuccio, fa lo stesso, giusto per indicare confidenza e estrema familiarità. Se è concessa una riflessione autobiografica, non c’è luogo al mondo politico - ho detto po-li-ti-co - più paradigmatico per comprendere lo stato delle cose della Casa di Cinecittà, poco importa se Vip o altro. Dopo essere stato lì, incredibile a dirsi, passa la voglia perfino di interessarsi alle cose della politica, non fai più caso ai talkshow, ti sembra irrilevante ciò che dice questo o quell’altro ospite della Gruber o di Mentana o di Vespa, trovi risibili le timidezze dei conduttori, degli stessi giornalisti che si guardano bene dal obiettare qualsiasi cosa al politico invitato e truccato, anzi, sembra che siano lì a chiedergli se si trovino comodi, un po’ come i presidi delle scuole private per estremi ripetenti, che hanno soprattutto cura di non amareggiare l’allievo pagante una retta che abbia assai poca voglia di studiare, ma sogna unicamente un diploma in fretta… E non c’è nulla di più politico di questa evidente indifferenza. Il talento? In politica si vive molto meglio e più a lungo addormentando i problemi, anche perché in assenza di soluzioni non esistono neppure i problemi. Su tutto, la calma piatta dell’ambizione improvvisata, ecco che vedi troneggiare proprio un Casalino, “eminenza grigia”, con tutti a dire che “… beh, i francesi hanno L’ENA, la grande scuola che serve a formare la loro classe dirigente, certo, noi abbiamo la Bocconi, che è un po’ il corrispettivo di quell’istituto dell’Esagono”, tutti a dire che una volta, metti, i comunisti avevano Le Frattocchie, sì, ma adesso? Adesso c’è Casalino, quello del Grande Fratello, e anch’io che vi sto parlando devo dire che comincio a pensare che il passaggio dalla casa di Cinecittà potrebbe offrire una carriera piena di fulgori a chiunque, non necessariamente intesi come semplice trenino di Capodanno. Casalino? Ecco, mi piace immaginarlo bravissimo anche in quella specialità nelle stanze di Palazzo Chigi. Con Conte, a cantare. “Brigitte Bardò Bardò, Brigitte metrò, metrò…”
Giorgio Gandola per “Panorama” l'1 gennaio 2021. «Basta con le Casalinate». L'estate scorsa la frase sembrava diventare dogma dentro i capannelli dei parlamentari del Pd. Insofferenti verso un Giuseppe Conte ancora disegnato da Mandrake e il suo Lothar Rocco Casalino. Erano i giorni degli Stati Generali in cui si doveva divinare il futuro del Paese post-Covid che la galassia dem (Nicola Zingaretti in testa) aveva digerito male, vedendoli come una passerella per la vanità del premier e di quel portavoce che sfuggiva a ogni canone: non stava in disparte, non stava in silenzio, non stava al suo posto. Sul pianeta della pandemia aveva cominciato a piazzarsi a due metri dal presidente del Consiglio nelle adddomesticate conferenze stampa; braccia conserte, gambe larghe, sguardo scrutatore come il bodyguard di una cantante con l'agorafobia. Nei monologhi dell'avvocato del popolo. più che un addetto stampa Casalino pare un bassista rock. Due passi dietro il frontman, mossette stereotipate, quel toccare le corde giuste alla John Paul Jones dei Led Zeppelin, che un giorno disse: «Qualunque cosa suoni, tu detti il ritmo». Rocco ha il passo da spin doctor e la triste intellighenzia rossa non lo ha mai sopportato. Quando, all'invito di trovarsi un nuovo lavoro, è uscito il suo imbarazzante audio «Amore, ci sarà anche un Conte ter», lui ha davvero rischiato di volare fuori dalla finestra di palazzo Chigi a testa in giù. Poi è arrivata la seconda ondata e il virus cinese ha salvato Rocco Tarocco, come lo chiama Dagospia. Così è ancora in sella, sempre più padrone del destino del premier, delle sue gaffe, dei suoi ritardi agli appuntamenti tv con gli italiani. delle sue trovatine da avanspettacolo. Come l'ultima, quella di sa, su un Falco» dell'aeronautica militare per volare a Bengasi a baciare la pantofola del generale Khalifa Haftar, signore libico della guerra. Una legittimazione internazionale in cambio della liberazione dei 18 pescatori di Mazara del Vallo; Casalino non ci ha pensato un animo, il fine giustifica i mezzi. E per fare il fenomeno ha mandato sugli smartphone dei giornalisti amici la geolocalizzazione del luogo dell'incontro rischiando di creare un incidente diplomatico. Capita la figuraccia da dilettante allo sbaraglio, si è giustificato: «Tutta colpa del cellulare». Rocco non sbaglia mai. E protegge l'infallibilità con sfuriate al telefono: chi ha subito un suo shampoo sostiene che non ha nulla da invidiare a quelli di Matteo Renzi nella stagione da premier. Oggi le Casalinate continuano, come le Cassanate calcistiche dei tempi d'oro. Anzi sono la cifra del governo Conte. E vanno oltre il metodo di comunicazione che porta il suo nome, caratterizzato dalle fughe di notizie centellinate a un quotidiano o a una tv per vedere - come cantava Enzo Jannacci - «l'effetto che fa». Una strategia spericolata adottata durante la pandemia con conseguenze micidiali: la fuga da Milano a inizio marzo, l'incertezza dei cittadini riguardo alle regole, agli scenari sanitari, alle prospettive future. Il contrario degli interventi di Angela Merkel. Un andare per tentativi, un saggiare l'opinione pubblica per abituarla alle restrizioni prima che entrino in vigore. Con la possibilità di mitigarle nei Dpcm se vengono accolte male. In tutto ciò va notato il ruolo subalterno di molta stampa disposta a raccogliere da terra le veline lasciate cadere dall'uomo-ombra del premier per rilanciarle senza preoccuparsi delle conseguenze sociali. Un carnevale della fake news, un procurato allarme in allegria che non ha inventato Casalino, ma arriva da lontano. la scuola di Alastair Campbell, lo spin doctor di Tony Blair, che teorizzò la sostituzione sistematica della politica del fare con quella dell'annunciare, perfettamente incarnata in Italia dalla stagione di Renzi al potere. Dove dieci sfide e slogan come «Decreto sblocca Italia., «Una riforma al mese» e «Rivoluzione giustizia riempivano di nulla il vuoto govemativo. Rocco e i suoi fratelli (i 30 ragazzi della batteria per la comunicazione di palazzo Chigi) si sono limitati ad aggiornare i maestri. Nessuno crede più che l'ingegnere di Ceglie Messapica (Brindisi) cresciuto alla scuola del Grande Fratello sia solo l'addetto stampa messo da Luigi Di Maio alle costole del capo del governo per è. Oggi Casalino è molto di più, è un sottosegretario alla Presidenza senza essere passato dalle elezioni, senza titoli né giuramenti sulla Costituzione. È un piccolo cardinal Richelleu che detta i tempi e i modi delle uscite pubbliche di Giuseppe Conte, ricuce con le regioni, corregge, blandisce, protegge il capo nella stagione del cupo regime sanitario. È il Domenico Arcuri della parola. È Norman, il servo di scena che toglie le scarpe al capocomico in catalessi ma quando è in teatro gli ricorda le battute e gli modella l'anima. Una carriera folgorante per l'ex ragazzone di 48 anni nato in Germania, che si laureò in ingegneria gestionale a Bologna e scrisse sul curriculum di avere ottenuto un master in business administration alla Shenandoah University di Winchester (Usa), smentito a stretto giro dallo stesso ateneo della Virginia. Un destino nel controverso mondo della politica per il brillante uomo immagine della scuderia di Lele Mora folgorato sulla via di Beppe Grillo. Di lui parlò così due anni fa Cristina Plevani, la vincitrice della prima edizione del Grande Fratello: «Abbiamo lavorato insieme ma non credo di essergli simpatica. Allora mi diceva che non ero abbastanza intelligente per discutere con lui perché non ero laureata. E io pensavo: ma anche con la laurea puoi essere un cretino». È l'alter ego di Conte e come portavoce guadagna più di lui: 169 mila euro contro i 114 del premier. A sinistra lo sopportano in pochi e i suoi detrattori ricordano quando a Domenica in fu ipnotizzato da Giucas Casella, «ma si risvegliò». Ufficialmente sono tutti allineati per due motivi: è gay e da lui si deve passare. l suoi inizi nel governo Conte furono disastrosi. Nel giorno del crollo del ponte Morandi, ai cronisti che lo tempestavano di telefonate, rispose: «Piantatela di rompere, ho diritto anch'io a qualche giorno di ferie». Durante la crisi dei gilet gialli postò un emoticon con il dito medio sotto una foto di Emmanuel Macron. Arrivò a minacciale i tecnici del Tesoro che erano in cerca dei fondi per il reddito di cittadinanza: «Se non vogliono uscire i soldi, nel 2019 faremo fuori una marea di gente del Mef. Questi pezzi di m..., non è accettabile che non trovino 10 miliardi del ca...». In passato aveva sentenziato: «I vecchi mi fanno schifo, i ragazzi down mi danno fastidio». Un lord, insomma. Per un periodo le sue intemerate poco criptate hanno messo di cattivo umore anche i suoi sponsor storici, Grillo e Di Maio. Nessun problema, il furbo spin dottor si è appoggiato a Vincenzo Spadafora, ad Alfonso Bonafede e tramite quest'ultimo (trapiantato a Firenze) ha lanciato un ponte verso Maria Elena Boschi e verso la sinistra. Dove fino a un anno e mezzo fa era un appestato. Teresa Bellanova: «Le sue sono parole rozze e volgari». Roberto Gualtieri: «E’ un personaggio arrogante e indegno». Michele Annidi: «È accusato dalle tv di usare metodi ricattatori». Oggi c'è un silenzio da nevicata nella steppa, le poltrone stemperano ogni livore. Nei corridoi di palazzo Chigi gira un motto: Casalino scrive e Conte legge. Tre esempi recenti, il primo vincente. A metà novembre, per distogliere l'attenzione dai fallimento delle strategie governative palazzo Chigi pubblica su Facebook una letterina di Natale del piccolo Tommaso Z. di Cesano Mademo: «Caro presidente Conte, sono preoccupato per Babbo Natale e volevo chiederle se può fare un'auocertificazione speciale per consentirgli di consegnare doni a tutti i bambini del mondo». Una Casalinata da collezione. Giorgio Gori, che ebbe la responsabilità di inventare il GF italiano, ha qualche dubbio: «La missiva non sembra scritta da un bimbo di cinque anni». Pierluigi Battista, editorialista del Corriere della Sera, va giù più pesante: «Il finto bambino che scrive una finta letterina è robaccia da Saddam Hussein». Rocco non deflette e risponde con una trovata da David Letterman: manda Tommaso da Barbara D'Urso a intenerire le nonne. Chapeau. Il secondo esempio è perdente. A fine novembre, quando si materializza la fibrillazione per il rimpasto chiesto da Renzi, i giornali riportano frasi come «non possiamo soddisfare le ambizioni di qualcuno che avendo fondato un partito nuovo non ha ottenuto ciò che voleva». Sono attribuite a Conte, succede il finimondo e Casalino (che in molti indicano come il suggeritore degli articoli) è costretto a smentire. Il messaggio passa comunque con effetto boomerang: Renzi furente si mette in modalità #staisereno. il terzo esempio dimostra quanto sia indispensabile, per un premier modesto come Conte, la cura Casalino. È sufficiente che alle maglie della selezione di chi fa le domande sfugga un giornalista vero (prima Alberto Ciapparoni di Rtl, poi Jana Gagliardi di Sky) per vedere il premier sulla graticola farfugliare o minacciare in un italiano maccheroni...Senza il filtro di Rocco lui va a picco. Per questo va protetto, tenuto lontano dagli interrogativi che scottano. E il Richelieu di Ceglie sa come fare. L'ideale sono le dirette Facebook senza interlocutori che nei mesi scorsi sono arrivate a quintali. Quando voleva sfuggire alle domande scomode. Ronald Reagan faceva accendere il motore dell'elicottero presidenziale prima di uscire nel prato della Casa Bianca dov'erano assiepati i cronisti. E allungando il passo verso il velivolo indicava un orecchio: «Scusate, non vi sento». Altri tempi, altra classe Oggi basta il codice Rocco e tutti a cuccia.
Giuseppe Alberto Falci per corriere.it il 27 giugno 2021. Non c’è solo la presenza ingombrante di Beppe Grillo a frenare Giuseppe Conte. C’è anche altro che ha acuito la distanza fra l’ex comico e l’ex presidente del Consiglio. In particolare, una figura cui il Garante del Movimento assegna ormai un’importanza tale da essere soprannominata — come sussurra un parlamentare che ha chiesto l’anonimato — «la Casalina di Beppe». Si tratta di Nina Monti, cantautrice romana, figlia dell’ex paroliere Maurizio, che scrisse per Patty Pravo alcuni dei suoi grandi successi: «Pazza Idea», «Per una bambola», «Come un Pierrot». Monti, da quando i Cinquestelle sono entrati al governo con Mario Draghi, guida l’ufficio di comunicazione dei pentastellati. Grillo infatti le ha affidato l’arduo compito di rilanciare un Movimento che negli ultimi anni ha fatto una serie di giravolte nel segno del governismo. Ora però l’ex comico le ha chiesto di «costruire un mondo nuovo, con nuove parole». Una mossa, quella di Grillo, che ha di fatto ridimensionato quel Rocco Casalino che è stato il regista della «war room» di Conte ai tempi di Palazzo Chigi. E dunque il duello «Beppe contro Giuseppe» ruota anche attorno a questa cantautrice, figlia d’arte, che non appena ha messo piede dentro gli uffici della comunicazione del Movimento, ha iniziato a dire che occorre puntare tutto sulla sostenibilità ambientale, sulla transizione ecologica, sulle battaglie storiche delle Cinque Stelle. Temi che il Garante non intende lasciare per strada e che da ora in avanti Monti inietta giornalmente quando si confronta con lo staff e con i parlamentari. La cantautrice romana già da qualche anno affianca il fondatore del Movimento, nella confezione del blog, curandone i testi e le immagini. Ed è sempre lei che affianca Grillo nei numerosi appuntamenti che il comico fa in giro per l’Italia.
Ecco chi è l'anti-Casalino che sussurra a Grillo. Stefano Iannaccone il 28 Giugno 2021 su Il Giornale. Da cantante a principale collaboratrice dell'ex comico. L'artista cura i contenuti del blog da anni e di recente ha catechizzato i vertici della comunicazione alla Camera. Un’eminenza grigia alle spalle di Beppe Grillo, silenziosa, semisconosciuta anche all’interno del Movimento 5 Stelle. Nina Monti è il volto nuovo che affianca il fondatore del M5S, benché collabori da anni con lui. Con pazienza si è conquistata la fiducia dell’ex comico, notoriamente diffidente, ritagliandosi uno spazio da grande consigliera. Tanto da aver messo da parte, almeno per il momento, la sua carriera da cantante avviata all’inizio degli anni Duemila. E, inevitabilmente, scatta il dualismo con l’altro grande portavoce: Rocco Casalino, suggeritore di ogni intervento di Giuseppe Conte, finito nel mirino proprio di Grillo nell’intervento che ha minato il cammino verso la leadership dell’ex presidente del Consiglio. Due stili diversi, due modi di intendere la comunicazione in maniera opposta, quelli di Casalino e della nuova dama grillina.
Nina Monti, da 4 anni con Grillo. Eppure Monti è dall’agosto 2017, quasi quattro anni ormai, assistente personale di Grillo e responsabile dei contenuti pubblicati sul blog beppegrillo.it. Un impegno full-time, portato avanti con discrezione almeno fino a qualche mese fa. Si mormora che i primi contatti con Grillo risalgano a una delle kermesse del Movimento, al Circo Massimo a Roma nel 2014, nel pieno splendore del grillismo anti-sistema, quando la giovane è salita sul palco in qualità di cantante, ovviamente molto vicina alle posizioni del M5S. Lei è figlia d’arte: il padre Maurizio Monti è stato autore di brani interpretati da Patty Pravo e ha pubblicato due dischi. Quindi, da quella manifestazione al Circo Massimo c’è stato il contatto, poi sono cominciate le manovre di avvicinamento, fino a che l’ex comico non l’ha indicata per ricoprire il ruolo che fu di Pietro Dettori, oggi uomo di fiducia di Luigi Di Maio. Un balzo in avanti notevole.
La lezione alla Camera. Solo di recente è stata pubblicamente vicino al garante dei pentastellati, in particolare era con lui durante la discussa visita all’ambasciata cinese. “Abbiamo saputo di lei attraverso le notizie stampa. Ma la cosa non ci meraviglia, Grillo è fatto così”, ammette una fonte parlamentare. Spiega un altro esponente del Movimento: “Di sicuro Beppe si fida tantissimo di lei, noi l’abbiamo vista raramente. Non è iper-presenzialista, almeno nei nostri confronti”. E infatti, raccontano a IlGiornale.it, che nei mesi scorsi è stata avvistata una sola volta alla Camera per l’incontro con Andrea Cottone, capo della comunicazione del Movimento 5 Stelle alla Camera. "Una lezione in piena regola", viene riferito da ambienti parlamentari. In quell’occasione ha catechizzato i vertici, sottolineando quale strategia bisognava seguire, puntando soprattutto sui temi ambientali ed evitando gli eccessi di presenzialismo televisivo. “Dopo non l’abbiamo più vista”, dice un’altra fonte. Il pallino di Nina Monti pare sia la transizione ecologica, un’ossessione di Grillo, che ha preteso un apposito Ministero nel governo Draghi. Sui social, in particolare su Linkedin, c'è un apprezzamento di Monti all’ex ad di Ferrovie dello Stato, Gianfranco Battisti, nel post in cui il manager si accomiata dall’incarico in società. Poi poco altro, solo un like a un post del blog beppegrillo.it.
Dalla musica alla politica. Ma chi è Nina Monti? La sua carriera è quella della cantante. L’ultimo album, intitolato Quando la notte, risale al 2018: è un’autoproduzione con dieci brani. Il cammino, però, inizia negli anni Duemila, nella sua biografia risulta un’apertura al concerto di Umberto Bindi e una collaborazione, non si conosce di quale tipo, con Lucio Dalla. Successivamente raccoglie qualche risultato come la semifinale al Premio Recanati, nel 2005, e a Musicultura nel 2009. La passione per la musica, però, porta Monti verso l’attivismo politico e finisce per esibirsi in alcuni eventi del Movimento 5 Stelle, prima più piccoli e poi sulla platea nazionale. Dal sogno artistico alla rivoluzione grillina.
Stefano Iannaccone. Irpino di nascita, classe '81, vivo e lavoro a Roma dal 2005. Sono giornalista politoc-parlamentare e scrittore. Dagli studi in Scienze della Comunicazione ai primi passi nel mondo del giornalismo, sono trascorsi sati qualcosa come due decenni. Oltre che per IlGiornale.it scrivo per Panorama, IlFattoquotidiano.it, Impakter Italia e Fanpage. In passato ho lavorato per il quotidiano La Notizia e Lettera 43.
Daniele Capezzone per "la Verità" il 28 giugno 2021. «Voglio una donna!». Proprio come Ciccio Ingrassia nella celebre scena felliniana di Amarcord, anche Beppe Grillo (in questo caso, senza gridarlo da un albero) sembra prigioniero di una nuova ossessione al femminile. Stiamo parlando di Nina Monti, figura poliedrica vicinissima all' autoproclamato Elevato di Sant' Ilario. Nel suo profilo Linkedin, si legge che la Monti è deputy editor del blog Beppegrillo.it, definizione ripetuta, accanto a quella di «assistente di Beppe Grillo», pure sull' account Twitter @NinaMontiRock. personale (ninamonti.it) in cui l'interessata ci informa della sua carriera artistica. Ecco la minibio tratta dal sito: «Romana, cantautrice (ma anche attrice, ndr). Figlia d' arte (suo padre Maurizio Monti è l'autore storico di Patty Pravo). Sin da piccola sente la vocazione artistica, e si dedica a canto, danza, recitazione, pittura. Ma la sua prima e unica passione è la musica, ed impara a suonare la chitarra acustica. Da "grande" (ndr, le virgolette non sono le nostre ma sempre della biografia del sito) canta e suona in alcuni tra i più noti locali romani». Segue una fitta rassegna di tutte le comparsate della ragazza: performance live, qualche ospitata in tv, piccole collaborazioni con artisti più noti. Per gli appassionati del genere, è anche possibile ascoltare il suo fondamentale album Tappezzeria, oltre che sbirciare un significativo repertorio fotografico. Un'altra hit imperdibile si intitola Indignati ancora. È la stessa Monti a spiegarne il senso profondo in un'intervista del 2012: «Il brano Indignati ancora è il mio semplice punto di vista sulla situazione critica che stiamo vivendo, sull' instabilità che i giovani, e non solo, vivono ogni giorno. Per migliorare le cose bisogna partire da dentro noi, come diceva Che Guevara». Ecco, è questa figura che Grillo vorrebbe collocare in posizione dominante nella stanza dei bottoni della comunicazione grillina, insidiando il ruolo di Rocco Casalino, ormai considerato un pasdaran contiano. Il già citato papà della ragazza (autore tra l'altro di Pazza idea) è un amico personale di Grillo, e lei stessa, oltre che figura chiave del sacro blog, è fidatissima per il comico, avendo curato anche alcune delle sue tournée. Ora, i superficiali crederanno alle supercazzole sulla transizione ecologica e la sostenibilità ambientale, i mantra che la comunicazione grillina sarà chiamata a spingere, anche recuperando le mitiche origini delle «cinque stelle» del Movimento. A noi pare più appropriato mettere a fuoco quattro elementi ben più prosaici.
Primo. Nell' esplosione di conflittualità tra grillini ormai completamente balcanizzati, Grillo vuole una sua pretoriana in una posizione chiave, e la vuole a Roma, dove lui è assente. Di lei si fida, di troppi altri non più.
Secondo. Grillo combatte una doppia «guerra». Quella più visibile è con Conte (e con il suo spin doctor Casalino). Il comico è letteralmente inferocito per il trattamento mediatico che ritiene di aver subìto in questi giorni: Conte trattato in guanti bianchi, e lui invece descritto come un orco, come Saturno che divora i suoi figli.
Ossessioni a parte, almeno un elemento di verità, dal punto di vista del comico, c' è: fa abbastanza ridere che Grillo sia descritto come un filocinese scatenato (il che è vero), mentre contemporaneamente si cerca di cucire addosso a Conte un impeccabile vestito atlantista. È vero che furbescamente l'ex premier si è sottratto alla visita in Ambasciata in pieno G7 (un'autentica provocazione antioccidentale da parte di Grillo), ma era stato proprio Conte a spingere a lungo per l'asse con Pechino. Dicevamo che c' è anche una seconda «guerra» meno visibile (e certamente ad intensità minore) che Grillo conduce, ed è quella con Luigi Di Maio. Elogiatissimo in pubblico (ancora la scorsa settimana davanti ai parlamentari): ma in realtà la scelta di una fedelissima del garante alla guida della comunicazione è un segnale anche per il titolare della Farnesina, affinché non dimentichi chi comanda davvero.
Terzo. Grillo richiama tutti alla centralità del blog, con l'implicita accusa a chi ha occupato postazioni istituzionali di aver in molti sensi dimenticato quello strumento.
Quarto. Non occorre un genio per capire che Grillo può avere anche un'altra idea mentre spinge per valorizzare una figura femminile. Il comico si è forse reso conto di quanto sia stato devastante il suo video a difesa del figlio Ciro, specie nella parte oggettivamente sgradevole verso la ragazza che, secondo le ipotesi accusatorie, potrebbe essere stata vittima di una violenza. Di qui, la necessità di un tocco femminile per ricalibrare la comunicazione. Tuttavia, a parte l'autogol di quella video-invettiva, sarà dura far dimenticare molte altre cose - ben difficilmente difendibili - comparse anche di recente su quel blog, a partire dal bizzarro «report» che ha provato a negare la persecuzione del regime comunista cinese contro gli uiguri. Sarà questa la «nuova comunicazione» da valorizzare?
· Alessandro Di Battista.
Di Battista non sa bene cosa fare nella vita, così pensa di tornare in politica. Mario Lavia su L'Inkiesta il 5 novembre 2021. La metamorfosi dei Cinquestelle ha tagliato fuori il descamisado. Ma lui non molla e non esclude la nascita di un altro movimento. Dibba come Er Califfo. Ricordate la canzone di Franco Califano? «Questo è il motivo per cui ti ho chiamato, è l’istinto/Per dirti non sono stanco è stato un errore pensarlo/Ma ora lo ammetto, anche se sono lontano/Non escludo il ritorno/Non escludo il ritorno», cantava, voce roca e occhialoni neri, queste parole perfette per una specie di Califfo politico, romanaccio anch’egli, giramondo, tombeur de femmes: forse avete capito, signori, qui si sta parlando di “Ale” Di Battista che così parlò con il magazine Tpi: «Non escludo la nascita di un altro movimento».
Un movimento ovviamente alternativo al suo caro vecchio Movimento 5 stelle che nel frattempo ha cambiato pelle sotto il segno del “CamaleConte”, come venne soprannominato l’avvocato del populismo quando passò armi e bagagli e senza battere ciglio da Salvini a Zingaretti.
Una metamorfosi che tagliò fuori definitivamente il descamisado Dibba che riprese a girare per i quattro continenti senza peraltro che in Italia se ne sentisse troppo la mancanza mentre “Giuseppi” annegava la politica in una palude di potere senza idee prima di essere sbalzato via da Ciampolillo.
Evidentemente ora Dibba non sa più bene cosa fare nella vita – viaggiare stanca – e probabilmente si sente chiamato dalla Storia a combattere Conte per riprendersi tutto chillo che è nuosto, magari pure il vecchio Grillo è d’accordo.
È come un fuocherello che lo stuzzica a riprendere un posto di combattimento, e poi tra poco più di un anno si vota, no? E allora perché non provare a tornare nell’arena, con tutta la malmostosità che alligna in ogni condominio italiano si può provare a fare un partitino di opposizione-a-tutto, tentar non nuoce, d’altronde adesso o mai più, la vita è breve.
Il suo tour è partito da Siena, la nuova Bibbiano col marchio Mps, ci informa Repubblica che in sala c’erano 150 persone, non male ma nemmeno un trionfo, bisognerà vedere come va, se il brand Dibba scalda ancora qualche cuore.
Però che bello quel «non escludo»! Cioè: non affermo ma neppure nego e mi trincero dietro un doroteissimo «non escludo», una pausa nella ricerca di un’Itaca mai dimenticata, anche se forse è Itaca che ha dimenticato lui, ma ecco, quel «non escludo» è un sensuale farsi desiderare e al tempo stesso un metter mano alla spada pur senza sguainarla, così, tanto per incutere qualcosa di terribile che potrebbe ancora sgorgare dall’eroe dei due mondi grillino che fu.
Quel «non escludo» è una frase aperta ed enigmatica degna dell’immortale stream of consciusness di Nanni Moretti al telefono, «che dici vengo? Mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente? Vengo. Vengo e mi metto così, vicino a una finestra di profilo in controluce, voi mi fate: «Michele vieni in là con noi dai…» e io: «Andate, andate, vi raggiungo dopo…». Vengo! Ci vediamo là. No, non mi va, non vengo, no».
Ecce Dibba, si potrebbe dire se non fosse ormai un uomo fatto e non più il ragazzone di Roma Nord che avevamo tanto odiato quando insultava tutto il mondo, più a sinistra che a destra, diciamo, e la buttava nella caciara più populista degli ultimi 50 anni.
Adesso, questa operazione spettacolar-politica (il tour si intitola “Su la testa”, come Grillo anche lui dà un nome teatrale ad una iniziativa politica) è chiaramente un ammiccare a quei vecchi stereotipi estremisti-isterici che trovarono un amalgama ben riuscito nel Movimento 5 Stelle e quindi lui punta a “rifare la banda” come i Blues Brothers, ignorando che in politica le cose non si ripetono mai due volte: la seconda rischia di essere una pantomima, un remake, un cameo, un abracadabra da chiromante dilettante.
E dunque dietro quel «non escludo» c’è anche un pizzico di malinconia, soprattutto un mettere le mani avanti per poter domani dire, davanti al fallimento: beh io c’ho provato.
Alessandro Di Battista, truffa M5s agli Stati Generali: "Secretati i voti sulle preferenze, lui era primo". Libero Quotidiano il 04 settembre 2021. Il Movimento 5 Stelle, che da sempre si è riempito la bocca di "trasparenza", si trova oggi a nascondere i voti. Si tratta della lista dei trenta candidati più votati agli Stati generali, ben secretata da nove mesi e di cui è a conoscenza solo il comitato di garanzia composto da Vito Crimi, Roberta Lombardi e Giancarlo Cancelleri, il collegio dei probiviri (Jacopo Berti e Fabiana Dadone), il tesoriere Claudio Cominardi e il garante Beppe Grillo. Il motivo è dei più banali: non far sapere chi ha ottenuto le preferenze. Al primo posto infatti - secondo quanto visionato dal Giornale - c'è niente di meno di Alessandro Di Battista. Il più ribelle dei riottosi a Cinque Stelle supera anche Luigi Di Maio, che si posiziona terzo dopo Dibba e Dino Giarrusso. "Questo voto plebiscitario ottenuto da Dibba - spiegano alcune fonti - è il motivo per cui per la prima volta nella storia del Movimento si è deciso di tenere nascosti i voti". Giuseppe Conte non avrebbe mai avuto i numeri per arrivare alla leadership del Movimento. Da qui la decisione di non mostrare i voti. "Il fatto - proseguono - che il 40 per cento dei votanti abbia dato una delle sue preferenze a Di Battista la dice lunga su quanto sia amato dalla base e che avrebbe vinto anche la nomina a capo politico a mani basse". Poca chiarezza anche sui costi dei tanto controversi Stati generali. Nel bilancio mancano i dettagli, ci sono giusto due voci molto generiche: 50mila euro in consulenze e altri 67mila per "spese organizzazione evento". Totale: 117mila euro. Una cifra elevata se si considera che l'evento era interamente digitale e di appena due giorni. Ma ciò che lascia più interdetti sono ancora una volta le manovre che hanno portato Conte a pendersi il Movimento. Le stesse che hanno creato un'insanabile crepa tra Davide Casaleggio e i grillini: il primo convinto che "non si può violare lo Statuto perché non piace il possibile risultato democratico". I secondi intenti a sbarrare l'ascesa di Dibba.
Da video.corriere.it il 12 febbraio 2021. Alessandro Di Battista -intercettato sotto casa - conferma la sua decisione di lasciare il Movimento 5 Stelle: «Non credo in questo governo con partiti che hanno sempre rappresentato gruppi di poteri». L'ex leader pentastellato dice di aver rispetto del presidente incaricato Mario Draghi ma rivendica anche il diritto di contestarlo: «Draghi è persona che rispetto, ma della quale ricordo scelte passate scellerate. credo che sia un diritto opporsi e non fidarsi, a prescindere dal curriculum eccezionale. Non credo sia blasfemia criticarlo, anche se ultimamente sembra un sacrilegio».
Da adnkronos.com il 13 febbraio 2021. "È partita la “rappresaglia” mediatica contro di me dai giornali berlusconiani". È la denuncia di Alessandro Di Battista su Facebook, all'indomani del suo annuncio relativo al ventilato addio al Movimento 5 Stelle. "Per quale ragione? Per articoli come questo! - scrive Di Battista condividendo un suo articolo per Tpi dal titolo 'Memoria dell'Italia moderna: storia della condanna di Dell'Utri' - Qui ho messo in fila fatti. Solo fatti provati e sentenze. Il quadro è da film horror. Soprattutto in virtù del fatto - sottolinea l'ex pentastellato - che un partito come Forza Italia (nato con determinati presupposti, con determinate relazioni e con determinati obiettivi), probabilmente, nelle prossime ore, tornerà al governo del Paese". Quanto al governo Draghi, dice intercettato sotto casa dai giornalisti, qualora "dovesse fare delle cose buone io le sosterrò. A me interessa il bene dei cittadini e in particolare della classe media". Nessuna frizione con l'amico di tante battaglie Luigi Di Maio: "L'ho sentito, i rapporti sono molto buoni e sereni. Gli faccio un imbocca al lupo. Luigi sa perfettamente come la penso io, non c'è nessun tipo di rancore". Ma con il Movimento "una bellissima storia d'amore finisce. Sono molto tranquillo, sono convinto delle mie idee. Ho preso una decisione coerente con quello che sono io". "Adesso - chiarisce - non ho alcun futuro politico, scrivo e faccio le mie battaglie. Sono tre anni che faccio le mie battaglie fuori dal Parlamento", aggiunge. "Gli iscritti che hanno votato no al governo Draghi? Sono uno di loro, non sono il capo di nessuno", prosegue Di Battista. E a chi gli chiede se ci siano parlamentari pronti a seguirlo, l'ex deputato risponde: "Non ne ho idea, ognuno ha le proprie responsabilità. Casaleggio? Mi fanno piacere gli attestati di stima. Io ho le mie idee, non posso far altro che farmi da parte. Un governo con tutti questi partiti che ho contrastato non è una cosa buona per l'Italia".
Alessandro Di Matteo per “la Stampa” il 12 febbraio 2021. Per i più romantici è l' anima incorruttibile del Movimento. I maliziosi dicono che è un furbo, che si sfila e si mette un passo di lato, scommettendo sul malumore di molti militanti per il governo Draghi. Quello che pare certo è che Alessandro Di Battista non intende abbandonare la politica e lui stesso, nel video su Facebook in cui annuncia la fine di quella che chiama una «storia d' amore», lascia uno spiraglio: «Se poi un domani la mia strada dovesse incrociarsi di nuovo con quella del Movimento, vedremo». Parlando con La Stampa, "Dibba" dice chiaramente che continuerà ad occuparsi di politica: «Scriverò, farò le mie cose, prenderò le mie posizioni. Lo farò in maniera più libera di prima, tutto qua». Il "gemello" sempre più diverso di Luigi Di Maio assicura di non avere dubbi: «Sono convinto della scelta che ho fatto, l' ho molto ponderata ed è veramente una scelta serena». Soprattutto, tiene a precisare, una decisione «senza rancori». Certo, c' è un «disaccordo» che non può «essere superato per ragioni di coscienza. Ma non c' ho nessun tipo di rancore nei confronti di nessuno. Anzi, è proprio un bel periodo per me». Che lui e Di Maio fossero lo Yin e lo Yang, il bianco e il nero, del Movimento 5 stelle è stato chiaro fin dall' inizio. Era in Parlamento da pochi mesi quando nel settembre 2013 salì sul tetto di Montecitorio per protestare contro il piano di riforma della Costituzione del governo di Enrico Letta. Con lui c' erano altri 11 deputati 5 stelle ma, appunto, non Di Maio. Uno in vestito blu e camicia bianca, subito a studiare da uomo delle istituzioni, l' altro in giro per l' Italia sulla motocicletta, «il Che Guevara di Roma Nord» infierirono i detrattori. Alle elezioni del 2018 il M5S investe su Di Maio come candidato premier, mentre lui a sorpresa non si ricandida e parte zaino in spalla per un viaggio in Centroamerica. Il resto è cronaca recente. Di Battista entra nel totoministri del governo "Conte-ter", ma il tentativo finisce come sappiamo. E a Draghi lui dice subito no, senza esitare. Aspetta i risultati del voto su Rousseau e poi posta su Facebook il suo video: «Zero polemiche», giura. Anche se qualche stoccata la tira: « Non parlerò più a nome del M5S, anche perché l' M5S non parla più a nome mio. Faccio un grande in bocca al lupo ai miei ex colleghi, per questo terzo governo di questa legislatura...». E sempre senza polemica assicura «grandissimo rispetto per il voto degli iscritti, al di là di quello che si può pensare della scrittura del quesito». (...)
Mario Ajello per ilmattino.it il 12 febbraio 2021. Il Vaffa Day del Dibba. Contro Draghi? Certo. Ma soprattutto contro Grillo e contro Di Maio, contro Fico finto-rivoluzionario (evidentemente non basta la barba guevarista e la collana da alternativo anche perché sovrastata dalla cravatta da casta) e contro tutti i «traditori» del popolo. Che per un pugno di poltrone - ecco il Dibba pensiero - si sono venduti all’«apostolo dell’establishment», al banchiere dei poteri forti e dell’Europa matrigna e insomma al peggio del peggio e cioè a Draghi. Il Che di Roma Nord, alias Alessandro Di Battista, dopo l’ebrezza del Ciapas va sulle montagne di Monte Mario e scatena la Resistenza de’ noantri. Lo fa con un video ambientato nella cucina Ikea di casa zona Cassia (vuole pure lui come Lenin il «governo delle cuoche»?) tra tegami, presine fatte con l’uncinetto (ogni rivoluzionario ha la sua mammà come musa e come leader) e l’appello alla lotta dura senza paura è questo: «Accetto il risultato della votazione su Rousseau ma non posso digerirlo. Non sono d’accordo e ora mi faccio da parte». Ma figuriamoci. Questa del Dibba è una chiamata alle armi. Dice di non volere nulla e invece prova a fare lo stratega del quartierino e a capitalizzare quel 40 per cento di voti su Rousseau contrari al governo Draghi e el pueblo unido jamàs serà vencido. In Parlamento, nella sua scissione e nella sua lotta dura senza paura contro l’opportunismo di un movimento «ormai mastellato» e diventato «come l’Udeur» (secondo il Dibba pensiero), il subcomandante Ale non lo seguirà quasi nessuno. O almeno non più di una quindicina di parlamentari. La Lezzi, ma certo! Toninelli? Forse. E poco più. Meglio tenersi lo scranno e lo stipendio in corso e irripetibile fuori dalla politica. Ma nella base M5S - e in quello che era il cuore del partito azienda, la Casaleggio Associati di Davide, figlio del fondatore - il ribellismo anti-palazzo della revoluciòn incarnata dal Dibba ancora esiste eccome. E quindi, pur considerandolo poco più che folklore (ma è quello da cui provengono), non vivono affatto bene i vertici grillini lo strappo del Dibba. E quella zona grigia di filo-Ale in Parlamento che vorrebbero dargli ragione non possono farlo perché desiderosi senza se e senza ma di restare in Parlamento (anzi di più: mi fanno sottosegretario?) e la rivoluzione la faccia lui e io tifo per Dibba ma soprattutto tifo per me, per il mio mutuo da pagare e per la mia moglie disoccupata da mantenere. Insomma, «accetto il risultato del voto ma la mia coscienza politica non ce la fa ad andare avanti. Lascio il movimento 5 stelle perché un governo con questi partiti non fa per me». Sahra busta la pasta? No, lady Dibba non si vede in scena. Ma si sente che c’è anche lei dietro le quinte insieme ad Andrea, il primogenito cresciuto tra Milvio e Ande, e a Filippo l’ultimo arrivato di Casa Dibba ad agosto e «nato ascoltando Sweetest Thing» degli U2 (che tra l’altro è una delle peggiori canzoni del gruppo irlandese). Ma forse sarebbe stato meglio fargli vedere la luce al ritmo dei Clash così anche lui, come papi, potrebbe presto diventare combat rock. Si scinde il Dibba. Il pericolo è che poi, girandosi, si accorga che, come in una famosa commedia all’italiana, «m’hanno rimasto solo ‘sti quattro cornuti». «Non parlerò più a nome del movimento perché ornai da tempo il movimento non parla più a nome mio»: ecco l’addio. Malinconico e sofferto, tutt’altro che baldanzoso, questo è evidente nel filmato. E se Dibba chiama alla rivolta contro Grillo e Di Maio, contro Draghi e contro l’accordone dei 5Stelle con Salvini e con Berlusconi e sa di avere con sé un mondo anche mediatico oltre che da meet up che ha tifato per Conte e ora tifa per lui contro tutti, le adesioni alla sua revoluciòn tra gli eletti alla Camera e al Senato per ora non fioccano e in pochi si tolgono la cravatta per diventare descamiciados al seguito del subcomandante Ale. Sì, c’è Dibba lassù a fare il partigiano a Monte Mario. Ma sotto, vige il tengo famiglia.
Concetto Vecchio per “la Repubblica” il 12 febbraio 2021. E alle nove della sera Dibba aziona il tasto video di Facebook dalla cucina, con alle spalle le posate appese al muro, e celebra il funerale del grillismo del Vaffa. «Non posso andare contro la mia coscienza», dice con la voce incrinata. E siccome tutto in lui è emotività e biografismo, aggiunge: «È stata una bellissima storia d' amore». Difficile inquadrarlo, perché è stato figlio di questo tempo senza più appigli. Ha personificato la confusione nella quale siamo precipitati, e perciò modernissimo. Per Trump e contro Obama. Ma anche zapatista e cooperante in Sudamerica. Per il governo con la Lega, ma con un passato giovanile di elettore di sinistra. A Cuba ha abbracciato la statua del Che anche se il padre ha il busto di Mussolini in casa. Alleato con i gilet gialli, eppur fiero del suo passato di catechista. Tutti si tiene, alla rinfusa, perché Dibba in fondo è «un blog fatto persona, un post vivente, un fate girare tutti!», come scrisse una volta l' Espresso. Diceva frasi che oggi ci fanno un po' ridere: «Sono pronto a morire per l' Italia, dobbiamo risvegliare le coscienze». Ma ci fu un tempo, non tanto lontano, in cui milioni di italiani si spellavano le mani per slogan come questi. E infatti Beppe Grillo stravedeva per lui. Disse più volte che lo riteneva il suo erede. Un retore di talento, che sbagliava i congiuntivi: «Lei non m' interrompi!»; ma anche questa contraddizione in fondo è contemporaneità. È stato obiettivamente il più efficace sul palchi del Vaffa, il più telegenico nei talk, anche Silvio Berlusconi, che se ne intende, a un certo punto lo corteggiò, e Di Battista pubblicò naturalmente gli sms delle avance su Facebook. E ora che farà, il capopopolo dei grillini delusi? La verità è che gli sono sempre piaciute troppe cose per essere davvero costante nella sua ambizione, troppo Peter Pan per ambire davvero al potere. Difficile immaginarlo a capo di un partito di arrabbiati, perché vuole fare insieme politica, realizzare doc, scrivere libri, fare il reporter, dormire in tenda alle Galapagos ed essere il migliore papà del mondo. Dibba è stato soprattutto la sua biografia. «Si vede che sono felice? » scriveva su Instagram durante il tour contro il referendum di Renzi nell' estate 2016, quando macinò migliaia di chilometri in moto, e il popolo gli rispondeva «sei il nostro guerrieroooo». Nella stagione dell' antipolitica, («i partiti sono tutti marci!»), era una furia: contro la casta, l' euro, i poteri forti, vedeva ovunque mafia e politica, e dei complotti del mondo comiziava ogni lunedi a casa di un militante di periferia, per mostrare che lui era uno che mangiava la pizza con la gente di Giardinetti, sulla Casilina. Scrive nella sua biografia A testa in su: «Quella volta che mi licenziai e acquistai un biglietto di sola andata per Buenos Aires, per quasi due anni viaggiai in autostop per l' America Latina tra la gente qualunque come una persona qualunque, alla ricerca di spremute di umanità». Qualcuno dirà: Dibba è rimasto fedele alle sue origini di movimentista, di grillino duro e puro. Ma pure Di Maio non è cambiato, ha mantenuto sempre quell' aria da eterno assessore. Infatti Dibba dice, in diretta social, «vogliono sistemizzare il Movimento », proprio mentre Di Maio incitava quel che resta del popolo grillino a votare per il Sì. Nessuno ha mai capito veramente perché sia rimasto fuori dalle elezioni del 2018, rinunciando a una poltrona sicura da ministro degli esteri. Negli ultimi anni ha postato quasi ogni giorno una foto di sé con i figli, Dibba in famiglia, un sfoggio che testimoniava un certo imborghesimento, una lontananza dalle durezze della battaglia politica. Da tempo Grillo aveva preso le distanze dal figlio prediletto. La scorsa estate, quando Dibba accusava i Cinquestelle di essere diventati «come l' Ncd di Alfano», Grillo aveva capito che la rabbia che li aveva portati al 32 per cento non c' era più nella società, mentre Dibba ne aveva nostalgia: «Chi canalizza la rabbia sociale in autunno? », si chiedeva. L' altra sera in assemblea Grillo aveva capito tutto: «Restiamo uniti, ma non possiamo accontentare tutti». Una profezia. Il video della cucina sancisce però davvero la fine di una storia. A inizio legislatura l' M5S ha fatto parte di un governo che non disdegnava di uscire dall' euro («la moneta unica ci ha distrutto», diceva Dibba), e la finisce dentro un esecutivo europeista, guidato dall' ex presidente della Bce. Il populismo italiano è spirato per le troppe capriole ieri sera nel tinello di casa Di Battista.
Marco Imarisio per il “Corriere della Sera” il 12 febbraio 2021. «Di Battista chi?» Da dove cominciare. Un aiuto arriva dal messaggio di un deputato molto governativo che risponde così alla richiesta di una opinione sull'addio dell'ex enfant prodige del M5S. Poi ci sono i ricordi. Come le indimenticabili lezioni di giornalismo offerte «umilmente e in grandissima simpatia» ai cronisti che lo seguivano ovunque. Siate brevi, cercate le notizie in Italia, che tanto ormai i pezzi lunghi come i reportage dai luoghi esotici non li legge più nessuno. E si potrebbe andare avanti, con la tiritera del Che Guevara di Roma nord, «le spremute di umanità», con il libro su Bibbiano che stiamo ancora aspettando, con l'indubbia tendenza a piacersi molto. In questi anni è stato spesso rivoltato come un calzino, Alessandro Di Battista, tanto per citare un esergo della cultura giustizialista a lui cara. Spesso è stato preso in giro per le sue uscite di politica estera, dall'ammirazione per la Cina a quella per i Gilet gialli, tutto purché contro L'Europa e in subordine gli Stati Uniti, mai amati sulla scia delle suggestioni paterne. Il fuoco è stato quello amico, o presunto tale. (...) Grillo e Dibba indossano la maglietta «Expo Invaders». «Qui sarà un fallimento annunciato», dicono. Poi il futuro Elevato aggiunge che i Cinque stelle «erano come i panda, destinati a stare da soli» e indica il ragazzone romano. «Di Maio è un Casaleggio senza capelli, lui invece è simile a me, sarà il mio erede sul palco». L'ultima cartolina, tra le tante, arriva da Venaus, capitale dei No Tav. Inverno 2015, Di Battista in osteria che dirige i cori contro Silvio Berlusconi. «Beppe dice che se andiamo al governo, lo sbattiamo in galera». Tutti gli altri si sono mossi, eccome. Esercitando una coerenza che gli va riconosciuta, Alessandro Di Battista invece è rimasto fermo. E si è trasformato nell'ultimo panda dei Cinque stelle.
(ANSA l'11 febbraio 2021) "Accetto la votazione ma non posso digerirla. Da tempo non sono d'accordo con le decisioni del Movimento 5 Stelle e ora non posso che farmi da parte". Così Alessandro Di Battista in un video su Fb dove saluta e ringrazia i suoi ex colleghi e Beppe Grillo. "Non posso far altro, da ora in poi, che parlare a nome mio e farmi da parte, se poi un domani la mia strada dovesse incrociare di nuovo quella del M5s lo vedremo, dipenderà esclusivamente da idee politiche, atteggiamenti e prese di posizione, non da candidature o ruoli. Faccio un grande in bocca la lupo ai miei ex colleghi". Lo ha detto Alessandro Di Battista su Facebook. "Questa scelta di sedersi con determinati personaggi, in particolare con partiti come Forza Italia, in un governo nato per sistematizzare il M5s e buttare giù un presidente per bene come Conte non riesco a superarla". Lo ha detto Alessandro Di Battista su Facebook
Paolo Mieli a PiazzaPulita: "Alessandro Di Battista, il dittatore del M5s. Ecco quando tornerà a farsi avanti". Libero Quotidiano il 12 febbraio 2021. Che cosa significa l’addio di Alessandro Di Battista al Movimento 5 Stelle? È l’interrogativo che Corrado Formigli ha posto a Paolo Mieli, ospite nello studio di La7 di PiazzaPulita. “Di sicuro non creerà problemi al governo di Mario Draghi, ma sia Dibba che Giuseppe Conte si sono messi di riserva perché pensano che prima o poi le elezioni arriveranno”, è stata l’analisi dell’editorialista del Corriere della Sera, che ha poi aggiunto: “Il M5s è l’unico partito che ha un gruppo dirigente di riserva solido. Conte ufficialmente non ne fa parte, però io sono malizioso e lo vedo come il Prodi dei 5 Stelle”. E Di Battista invece? “Lui è il loro dittatore, quello che in caso di tracollo della leadership è pronto a farsi avanti. Tra l’altro per la prima volta si è espresso in maniera alternativa a Beppe Grillo, che in questo caso si è speso molto per il governo Draghi”. Non riuscendo però a convincere uno sponsor del calibro di Marco Travaglio della bontà dell’operazione, dato che il direttore del Fatto Quotidiano ha espresso un giudizio molto severo da Lilli Gruber a Otto e Mezzo. “Per i 5 Stelle è più grave andare al governo con Berlusconi che con Salvini”, ha dichiarato Mieli ricordando che il Cav rappresenta tutto ciò che il Movimento ha sempre combattuto: “Alla fine con il leghista ci sono stati per un anno e anche il Fatto ha difeso ciò che accadeva nel Conte uno. Berlusconi, invece, è una questione identitaria forte, è colui il quale ha caratterizzato la seconda Repubblica e anche gli anni in cui si è sviluppato il M5s”.
(ANSA l'11 febbraio 2021) "Da Dell'Utri a Bontate: il curriculum di Berlusconi ci impone di dire No al nuovo governo". E' questo il titolo del nuovo articolo di Alessandro Di Battista su Tpi. "Non è accettabile dividere questioni economiche da questioni morali. Perché nella nostra Italia vi sono stati esempi virtuosi: imprenditori che hanno chiuso, non solo per scelte politiche sbagliate, ma perché assassinati per essersi opposti al pizzo. E l'hanno fatto mentre un imprenditore che oggi viene ricevuto con tutti gli onori nelle stanze del potere romano non ha fatto altro che pagare, pagare e ancora pagare. Ed oggi rischia di tornare al governo del Paese". "Oggi su Rousseau ho votato NO. Per evitare di sedersi al tavolo con certi personaggi che sono tra i motivi per cui è nato il Movimento 5 Stelle". Lo scrive Danilo Toninelli in post su Fb in cui riporta la prima pagina de 'il Giornale' che titola "In mano ai Toninelli". "Ricordo che il quotidiano , che mi dedica la prima pagina di oggi 11 febbraio, è di proprietà della famiglia Berlusconi. Di cui fa parte quel Silvio Berlusconi che potrebbe diventare nostro futuro alleato di governo se prevalesse il sì nel voto su Rousseau".
(ANSA l'11 febbraio 2021) La senatrice M5s, Barbara Lezzi, sostenitrice con Alessandro Di Battista dell'opzione "astensione" del M5s al governo Draghi, torna in campo e rilancia sui social la posizione espressa in proposito da Casaleggio ("Qualora vincesse il no, ci sarà da stabilire se il voto sarà negativo o di astensione"). Anche Lezzi ricorda il governo della "non sfiducia" del '76 e dice: "ora siete voi, iscritti al M5S, che potete decidere se accomodarvi accanto a Berlusconi, Salvini, Renzi, Calenda e gli altri oppure pretendere che tutto passi dal M5S che avrebbe forza e mani libere per negoziare e trattare ogni voto". "La storia ci riporta a chi si assunse responsabilità senza entrare nel governo e lo fece per senso di responsabilità verso un paese piegato dalla crisi economica e dal terrorismo. Lo fece perché aveva la consapevolezza che la rilevanza politica l'avrebbe potuta esercitare al meglio costringendo il Governo a negoziare e a trattare ogni singolo provvedimento per conquistare il voto di chi aveva scelto l'astensione", scrive Lezzi che ricorda: "Era il 1976, nacque il governo della non sfiducia grazie all'astensione di Berlinguer che non si andò a sedere con Andreotti". "Caro Giuseppe Conte, il tuo appello di ieri a votare Sì al quesito Rousseau ha, ancora una volta, dimostrato che sei un vero signore. Dato il tuo ruolo, dato il tuo garbo istituzionale non avresti potuto fare altro . Per me è diverso. Voterò un NO convinto". Così la senatrice Barbara Lezzi in un lunga 'lettera aperta' indirizzata dal suo profilo Fb all'ex premier, in cui "motiva" le regioni del suo voto contrario. "Giuseppe, ora tu non puoi dirlo, ma non posso credere che tu sia convinto che questa accozzaglia sia fatta per il bene del Paese. Un Paese stremato, stanco e indebolito, al quale non possiamo restituire i Renzi, Salvini e Berlusconi potenziati, senza alcuna forma di controllo parlamentare. La responsabilità impone di far tutto ciò che serve per impedirlo" scrive Lezzi.
Michele Serra per "la Repubblica" il 4 febbraio 2021. Dice il Di Battista che Draghi è «l' apostolo delle élite». Ah, magari fosse vero, magari potessimo ancora illuderci che le élite, orco dei populisti, esistono veramente. Se poi provassimo a chiamarle una buona volta, queste famigerate élite, "classe dirigente", qualche speranza di sfangarla potremmo averla, visto che da quando sono nato sento lamentare, in Italia, la mancanza di una classe dirigente all'altezza. Insomma, il dubbio vero (ravvivato dall'esperienza del governo Monti, anche lui figlio dell'illusione che un manipolo di bravissimi e competentissimi arrivasse a salvarci, come Batman) è che ci sia l'apostolo, ma non le élite. O forse abbiamo udito, in tempi recenti, il discorso di un confindustriale più coinvolgente e nobile di quello di un politico? O conosciamo un mago della Borsa in grado di sanare il deficit pubblico? O un tycoon tecnologico capace di dire due parolette che possano finalmente mandare in archivio lo stradetto, consunto "stay hungry, stay foolish" di Steve Jobs, che ormai è diventato come i pensieri di Mao, souvenir di un'epoca remota? E dei tanti fenomenali scienziati catapultati in video dalla pandemia, non abbiamo forse ricavato l'impressione che qualcuno di loro, lontano dalle sue provette, possa anche essere un minchione? E se invece per élite si intendono i ricconi, avete presente la tradizione inossidabile dei presidenti delle nostre squadre di calcio, saga decennale di trafficoni che parlano peggio del più casual tra i deputati grillini? Ah Dibba', ma 'ndo stanno, 'ste élite? Diccelo, per cortesia, che le andiamo a cercare col lanternino.
Odio di classe contro l'"élite". È arrivato l'apostolo delle élite. Così Di Battista ha subito apostrofato Draghi come nuovo messia del Potere. Claudio Brachino, Venerdì 05/02/2021 su Il Giornale. È arrivato l'apostolo delle élite. Così Di Battista ha subito apostrofato Draghi come nuovo messia del Potere, lui ultimo apostolo del celodurismo grillino che ci lascia troppe macerie, dai banchi a rotelle a una giustizia mai votata, dai no vax (nel senso che i vaccini proprio non ci sono) agli inutili navigator. A parte che i miei pochi risparmi, a naso, li affiderei più all'apostolo Draghi che all'apolide Dibba, che tra parentesi. A parte che, stando ai sondaggi, la pensino così più del 60% degli italiani. Ma torniamo alle manipolazioni sulla parola élite. Da un lato la semantica cristallizzata, poteri forti, banche, oligarchie mondiali, club ristretti dove si decidono i nostri destini. Qualcosa di lontano e minaccioso, che il povero cittadino non può controllare con le liturgie della democrazia rappresentativa, a cominciare o a finire dal voto. Ecco che in questa distanza si inserisce il leader populista, che, poco consono al galateo istituzionale, dice al suo pueblo: non ti preoccupare, ci penso io a ristabilire la giustizia per te. E poi, uno vale uno, nessuno vale più di me stesso per difendere i miei interessi nel mondo dei bottoni. Ciampolillo, l'uomo che sussurra agli ulivi prima del loro ultimo respiro, non fa impressione in sé. Fa impressione chi l'ha portato dentro il Senato della Repubblica. Comunque per dieci anni questo movimento anti-casta ha capitalizzato la rabbia sociale, fino alle elezioni del 2018. Poi è arrivato lui, il Covid. Dei suoi effetti si parla tutti i giorni, poco però del fatto che ha riportato al centro del governo della cosa pubblica una cosa che si chiama competenza. Questa è la semantica giusta quando si parla di élite associata a Draghi. Il corollario linguistico immediato è molto importante: credibilità, nazionale e internazionale, storia, esperienza, conoscenza. Mattarella l'altra sera è stato netto e finalmente grande: basta con il teatrino dei no incrociati, la polis, l'Italia, sta morendo. Se non vuole fallire si deve affidare a uomini così, che sappiano salvarci la vita materiale con i vaccini e quella economica con la gestione sensata dei soldi dell'Europa. Superata la dicotomia élite-interesse della gente, bisogna non indugiare sull'altra, altrettanto deviante, politica o tecnica. Chi farà per davvero il meglio per la polis Italia sarà supremamente politico, in senso etico, anche senza la tessera in tasca.
Filippo Ceccarelli per “la Repubblica” il 30 gennaio 2021. Ma Dibba fa sul serio? Con personaggi come lui è benvenuto un supplemento di cautela. E quindi occorre sapere che è dall'autunno almeno che va e viene questa storia della scissione. Era novembre quando in uno dei tanti e caotici appuntamenti a cinque stelle, anche solo per "partecipare", l'ex deputato e intermittente viaggiatore esotico Alessandro Di Battista pose sei condizioni, che suonavano tante anche allora, ma di cui oggi si è perso anche il ricordo. Di nuovo: bisogna credergli? Boh. La pancia grillina lo adora, ma l'altro giorno, mentre il povero Conte era ridotto a elemosinare voti, ha postato su Instagram l'ennesima inconfondibile immagine: lui e la moglie seduti per terra, una tovaglia sul pavimento e una cartocciata di prosciutto crudo: «Uno dalla zia, l'altro che dorme... e noi picnic in salotto». Faccione appagato in primo piano e moglie che fa il segno di vittoria, per un totale di 17 mila like. Ognuno, è chiaro, concepisce la propria vita come gli pare. Il punto di novità o di rottura è che in pochi altri come in Dibba l'impegno politico coincide con l'autorappresentazione, ciò che ne fa il più grande attore, sognatore, aspirante eroe e quotato influencer dell'odierno paesaggio visivo e post-ideologico. Il multiforme accumularsi dei ruoli apparenti, ciascuno dei quali a sua volta genera ulteriori varianti social (papà, atleta, amico del pueblo), presuppone un'indispensabile carica di narcisismo ultrapiacione, ma soprattutto gli assicura un'ampia e per certi versi addirittura portentosa capacità di attrarre curiosità, in mancanza della quale non si starebbe qui a scriverne in questi termini azzardati. Sia che lanci una campagna sul riciclo dei giocattoli o che stracci in diretta tv un mazzetto di franchi africani, cameriere nella pensione del cugino, falegname costruttore di trottole, direttore di collane editoriali, mancato autore di un libro su Bibbiano e riuscito coach di un corso per giornalisti (185 euri), il dato performativo rischia di oscurare la sostanza e la continuità del suo operato. È un uomo sincero e ha tutte le ragioni, anche se forse è sconsiderato dirlo, quando fa presente ai cinque stelle tristemente ministerializzati che poteva "pretendere" poltrone, ma ha preferito di no. Forse è anche un fatto di inquietudine romantica, forse davvero gli "scottano i piedi", come ha scritto, così ogni tanto si scoccia e parte per le periferie del mondo, Centroamerica, Persia. Però anche quando non parte dice lo stesso che deve partire: l'Africa (questo per la verità è piuttosto comune nella vita pubblica italiana) o l'India, per studiare il fenomeno Bollywood. In viaggio invia degli articoli interminabili e realizza dei documentari che la critica titolata di solito giudica malissimo, "meglio Pechino Express" o "Turisti per caso". Il fatto che Dibba abbia il dono e/o il guaio di accendere l'altrui fantasia fa sì che sulla sua figura si addensino, fin da quando aspirava al cast di "Amici" e faceva l'animatore nei villaggi turistici col soprannome "Cuore di panna", una considerevole quantità di sintomatiche definizioni. Se Salvini l'ha classificato un "chiacchierone tropicale", l'elenco contempla "Che Guevara di Roma Nord", "Italo Balbo equosolidale" o "la versione italiana e maschile di Evita Peron" (by Panebianco). Fuori dal campo più immediatamente politico, ai confini della satira Luca Bottura l'ha fulminato: "Ragazzo immagine di se stesso". In questo privilegia un registro voluttuosamente epico e letterario: «Ho annodato braccialetti in strada a Buenos Aires, ho pescato aragoste a Panama, venduto orecchini a Valparaíso, aiutato gli ambulanti di frutta secca a Santiago, caricato sabbia sui camion in Honduras...». Rispetto a tutto ciò la scissioncina dell'esausto MoVimento sembra, in tutta onestà, un compito niente affatto allettante. Rapporti con Grillo, vai a sapere. Quelli con Di Maio, nell'ormai pazzotico serraglio, buttano sull'indecifrabile discontinuo, un giorno amiconi, un giorno potenziali nemici. Tutto è sempre molto complicato quando le idee non ci sono più e contano solo i caratteri.
· Virginia Raggi.
Gianluca Veneziani per “Libero quotidiano” il 21 luglio 2021. Ma siamo sicuri che, a bombardare Roma, non siano stati i nazisti? O magari gli aragonesi in combutta con i cartaginesi? Lecito chiederselo dopo l'ennesima gaffe di Virginia Raggi, classico esempio di sindaco che amministra una città, senza conoscere alcunché sia della città che della sua storia. Due giorni fa, in occasione del 78° anniversario del bombardamento sulla Capitale, in particolare sul quartiere di San Lorenzo, la Raggi ha scritto in un tweet: «Roma è e sarà sempre antifascista. Ho deposto una corona per commemorare il 78° anniversario del bombardamento che nel 1943 colpì San Lorenzo e altri quartieri della città. Un evento drammatico che non dobbiamo dimenticare perché senza memoria non c'è futuro». Peccato sia stata lei la prima a dimenticarsi di un dettaglio non trascurabile: a bombardare Roma non furono mica i fascisti, ma gli americani. In molti glielo hanno ricordato su Twitter sbeffeggiandola: «Ma almeno leggiti Wikipedia!», «La Raggi gnaa fa proprio, eh», «Padroneggia la storia come l'attività amministrativa», «Pensa che ero fermamente convinto l'avessero bombardata gli Americani, che erano antifascisti». Il dramma è che, all'ignoranza, la Raggi associa l'accecamento ideologico (autoindotto, per compiacere i salotti buoni e il pensiero buonista), cosicché finisce per vedere il mostro fascista dovunque, anche dove non c'è. Del resto non è la prima volta che il sindaco, insieme al suo staff, scambia fischi per fiaschi e vede cose che voi romani neanche immaginate... perché non esistono. In un video promozionale della Ryder Cup di golf a Roma, pubblicato sul profilo Facebook della Raggi, i collaboratori del sindaco non si accorsero che, al posto del Colosseo, c'era l'Arena di Nîmes, che dalla Capitale dista qualcosa come mille chilometri...Quando non lo scambia con altri anfiteatri, la Raggi confonde il Colosseo con la Basilica di San Pietro, robba da ggniente, come direbbero a Roma. Presentando qualche giorno fa un altro torneo di golf, l'Open d'Italia, ha detto testualmente: «Dal green dell'Open si può ammirare, guardando bene, anche la cupola del Colosseo, uno scenario davvero eccezionale e straordinario». Già, la Cupola del Colosseo. E noi che pensavamo fosse un anfiteatro a cielo aperto. Se a volte la Raggi aggiunge cupole, altre volte toglie consonanti. Risale a un mese e mezzo fa la scena imbarazzante del sindaco impossibilitato a inaugurare davanti al presidente Mattarella la targa dedicata a Carlo Azeglio Ciampi, perché al nome Azeglio mancava una «g»: si era accorciato in «Azelio». Peggio del buco era solo la toppa: dal Cerimoniale del Campidoglio facevano sapere che la targa non era stata scoperta perché «seriamente danneggiata». Non era vero, l'unico danno era l'offesa alla memoria di Ciampi. Il vizio di voler cambiare la storia, forse perché consapevole che alla storia lei non passerà mai se non come peggior sindaco, la Raggi non l'ha mai perso. Già a inizio giugno era incappata in un primo errore sul bombardamento di Roma, sbagliando la data: «Ho incontrato a Porta San Paolo», aveva scrit Il bombardamento di Roma durante la Seconda guerra mondiale avvenne il 19 luglio del 1943, ad opera di bombardieri statunitensi delle forze aeree alleate del Mediterraneo. L'attacco fu sferrato la mattina: la città subì pesanti danni materiali e numerose perdite umane. San Lorenzo fu senza dubbio il quartiere più colpito dai bombardieri americani. Le 4.000 bombe (circa 1.060 tonnellate complessive) sganciate sulla città provocarono circa 3.000 morti e 11.000 feriti, di cui 1.500 morti e 4.000 feriti per l'appunto nel solo quartiere di San Lorenzo to in un tweet, «il partigiano Mario Di Maio, testimone del bombardamento di San Lorenzo avvenuto il 19 maggio del 1943». Ma che maggio, era luglio... Lo scorso anno si era invece sbarazzata senza fare un plissé di Romolo e Remo: aveva modificato il tradizionale appuntamento dell'Estate Romana, sostituendolo con il nome bruttissimo Romarama e adottando come logo, in modo inspiegabile, al posto della lupa una gatta rosa. Con questi presupposti la Raggi probabilmente si candida alla più sonora sconfitta elettorale di un sindaco uscente. Ma, al contempo, vista la sua padronanza in storia e geografia, si propone seriamente al ruolo di leader dei 5 Stelle: dovrà solo fare un corso accelerato, per apprendere da Gigino Di Maio che la Russia si affaccia sul Mediterraneo e che Pinochet fu il dittatore del Venezuela, da Manlio Di Stefano che gli abitanti del Libano si chiamano libici e da Alessandro Di Battista che Napoleone vinse nella celebre battaglia di Auschwitz. Naturalmente combattendo contro i fascisti.
Stefano Baldolini per huffingtonpost.it il 24 marzo 2021. L’avevamo persa di vista affaccendati con il coronavirus, ma occorre ricordare che Virginia Raggi è ancora la sindaca di Roma. Anzi, pare che goda anche di buoni sondaggi. Verrebbe da dire a sua insaputa, se la stessa riemerge dal dimenticatoio perché provano a inserirle tra i collaboratori la compagna di un assessore, o perché in piena seduta del suo consiglio comunale, aula Giulio Cesare, il capogruppo 5s e il presidente dell’Assemblea (5s) si apostrofano con frasi tipo: “Ma ’nte fai schifo da solo? Fai schifo! Fai schifo!”. E al cospetto di tanto rovinoso sfacelo, lei, Virginia, che fa, che pensa, che ha in mente? Ecco, per descrivere la metamorfosi di Virginia Raggi in rovina tra le rovine romane, conviene partire dal principio, da quell’affaccio emozionato sui Fori, nel primo giorno al Campidoglio, dove era entrata da sola in un tardo pomeriggio di giugno 2016. Da lassù, dal balconcino dello Studio del sindaco, come raccontava Filippo Ceccarelli, “figurina sopraffatta da una solitudine di cielo, pietra, abisso e splendore”, Virginia non lo sapeva, ma stava guardando se stessa. Così, cinque anni dopo, mezza abbandonata dai suoi consiglieri comunali, lasciata al suo destino dai vertici di un Movimento in crisi psico-politica, dimenticata dai cittadini che ormai non ricordano nemmeno più di avere un sindaco, Virginia giace tra le vestigia di un potere che fu assoluto e fugace. “Quant’è bella la Raggi! Speriamo ci faccia uscire da questi lager”. Tra capitelli, tronchi di statue ed erbacce, è solo un’eco il grido di speranza raccolto nei campi rom nei giorni del trionfo. Quando le periferie la votarono per disperazione. Quando si parlava di rivoluzione tranquilla delle madri - come a Torino, con Chiara Appendino - contro il sistema di potere dem. Se “fare il sindaco di Roma è il mestiere più difficile del mondo” - come ha scritto Walter Veltroni che coerentemente lasciò lo scranno dell’Urbe per seguire la vocazione del nascente Pd - dopo l’esperienza Raggi c’è da averne il terrore solo a pensarci. Virginia sul tetto del Campidoglio. Virginia che dice no alle Olimpiadi. Virginia tra i bus dell’Atac che vanno a fuoco - oltre 150, l’ultimo sul “sacro” Gra, all’altezza di Tor Bella Monaca. Virginia che non fa lo stadio della Roma. Virginia che non riapre le stazioni della metro, con scale mobili pronte a inghiottirti, come le altrettanto letali buche stradali. Virginia che viene assolta per falso in atto pubblico e si incazza contro il fuoco amico: “Tanti devono riflettere e per decenza tacere”. Virginia che rilancia la funivia di Casalotti. Che inaugura due volte gli stessi bus. Che vara migliaia di monopattini e twitta accanto a ceppi d’alberi rimossi. Virginia che va avanti, nonostante tutto e tutti, e anzi, questi ultimi tende a cambiarli raggiungendo il record di 39 avvicendamenti tra vicesindaci, assessori, capi di gabinetto e di personale, dirigenti di municipalizzate. E i record non sono finiti - stando ai calcoli del dipartimento Risorse Umane del Campidoglio riportati da Repubblica - se consideriamo i 97 “collaboratori politici” che permettono al comune di spendere 5,3 milioni di euro nel solo 2020, surclassando le presunte “Parentopoli” di Ignazio Marino e Gianni Alemanno. Ma fa niente perché Virginia incassa il colpo e prosegue il suo percorso. Intanto pare che la sua giunta non abbia più la maggioranza, e si inizia a parlare di mozione di sfiducia riproponendo quello che Christian Raimo nel suo recente “Roma non è eterna” ha definito “il guasto alla trama del dibattito politico. I mandati degli ultimi sindaci si sono conclusi con una dimissione, una cacciata, una condanna a corruzione”. Intanto Enrico Letta e Giuseppe Conte si incontrano anche per decidere della sua ricandidatura che Nicola Zingaretti ha già definito “una minaccia per Roma”. Pronta la risposta da perfetta vittima sacrificale: “Parole come pietre, io giovane donna minacciata dai clan”. “Aridaje”, direbbe Beppe Grillo, se sapesse cosa vuol dire. Lei, Virginia, “sindaca guerriera” (sempre Grillo) in scadenza a fine giugno, dovrebbe resistere fino a novembre, in un trimestre “bianco” causa pandemia che rischia di trasformarsi in una lenta agonia per tutti. La città dovrebbe farcela a sopravvivere. “Di Roma, - scrive Francesco Piccolo (The Passenger, Iperborea) - Joyce disse che gli faceva venire in mente "un uomo che si mantiene facendo vedere i turisti il cadavere della nonna"”. Insomma, figuriamoci se non ce la fa. Discorso diverso per Virginia, sempre che tra qualche mese riusciremo ancora a distinguerne la sagoma, lassù sull’affaccio dal Campidoglio (va messo in conto, potrebbe ricapitare), o rovina tra le rovine.
L'ex grillina di ferro asfalta Grillo e Conte: "Vi dico tutto". Elena Barlozzari l'1 Giugno 2021 su Il Giornale. Barbara Lezzi, la pasionaria ex grillina sospesa dal Movimento dopo il no a Draghi, si racconta: il futuro politico, il rapporto con Casaleggio jr e con gli ex compagni di lotta. Ecco cosa bolle in pentola. "Mi dispiacerebbe se tutto finisse con il senso di incompiuto che provo ora". Barbara Lezzi, senatrice leccese ed ex ministro per il Sud, è rimasta fedele all’ortodossia grillina. Dal Gruppo Misto, dove è confluita dopo l’espulsione dal Movimento Cinque Stelle, guarda con disincanto le dinamiche politiche e si prepara al contrattacco: "Lavoriamo per presentarci alle prossime amministrative".
Perché non ha votato la fiducia a Draghi?
"Draghi rappresenta, per molte delle sue azioni, l’antitesi delle ragioni che mi hanno condotta ad aderire al M5S. È un uomo molto preparato ma non ha usato la sua competenza per il bene dell’Italia. Ho, poi, una personale questione di coscienza: per me era improponibile dare la fiducia ad un governo in cui c’è anche Forza Italia. Infine, ma non per ultimo, sapevo già da prima che riformare questo Paese con forze diametralmente opposte sarebbe stato impossibile. Stanno decidendo tutto Draghi e i suoi ministri tecnici. Non c’è dubbio che questo governo sia sbilanciato verso il liberismo."
In quanti pezzi si sono frammentati i Cinque Stelle?
"In due: chi sostiene questo Governo e chi ha scelto, assumendosene le responsabilità, di non farlo. Ad oggi, non vedo altro."
Dove ha sbagliato Grillo?
"A Grillo mi lega la riconoscenza di aver fondato il M5S, che ha dato una speranza al Paese. Ha cambiato linea, non condivido né il Draghi grillino, né Cingolani come rivoluzionario green. Se sono stati errori, lo deciderà la Storia ma dubito fortemente che ci saranno vantaggi da questo cambio di linea."
Cosa sta sbagliando Conte?
"Non conosco i passaggi che sta intraprendendo Conte se non da qualche indiscrezione giornalistica. Quello che so per certo è che sarebbe bastato saldare il debito con Rousseau per risolvere l’impasse. Con poche centinaia di euro da parte dei parlamentari, ora avrebbero già struttura e leader."
Ci racconta qualcosa in più del soggetto politico a cui state lavorando?
"Insieme ad altri colleghi espulsi dai gruppi parlamentari ma, ricordo, ancora solo sospesi dal M5S, stiamo convergendo per costituire una componente che partirà dalla Camera per questioni di regolamento. Alcuni gruppi territoriali ci chiedono supporto per presentarsi alle prossime amministrative e noi ci saremo. Il resto, lo diremo insieme quando saremo pronti."
Quanti parlamentari ancora Cinque Stelle potrebbero venire con voi?
"Non lanciamo Opa sul M5S."
Casaleggio ora è il nemico numero uno del Movimento, che rapporti ha con voi?
"Molte dichiarazioni contro Casaleggio, Sabatini e Rousseau sono fuorvianti, parziali e infamanti. Sono sconcertata nel leggere accuse senza alcun fondamento che nascondono solo una miserabile questione di soldi. Ho stima di Davide ed Enrica. Credo nel progetto di Rousseau, Gianroberto ne parlava dall’inizio ed io non sono una che dimentica da dove, da chi e perché si è arrivati a conquistare il 33 per cento degli elettori. Continuo a versare i 300 euro. Vede, ho lavorato per ventuno anni in una piccola impresa. Ho iniziato che avevo diciannove anni e lì ho imparato che la serietà si esprime, innanzitutto, nella solvibilità. Mi occupavo dell'amministrazione e avevo un compito ben preciso, quello di pagare sempre e puntualmente stipendi, fornitori e tasse."
Lei si sente ancora in linea con le idee fondative del Movimento?
"Certo che sì. Questo non significa che non ci si debba evolvere e crescere. Tutti noi cresciamo ma il Dna resta quello."
Che rapporto ha con Di Battista? Pensa che possa essere lui il leader della "rifondazione grillina"?
"Ad Alessandro tutto il M5S deve una parte significativa di quel 33 per cento. È una persona che stimo e gli voglio anche sinceramente bene come amico. Non gli tirerò la giacchetta perché rispetto e rispetterò le sue decisioni. Sa dove siamo e che, con noi, avrebbe lo spazio che merita."
Non le manca tornare alla vita normale?
"Di fatto conduco una vita molto normale, faccio le cose di sempre. L’unica differenza rispetto a prima è mio figlio di cinque anni che è nato nel corso del mandato. Non temo di rientrare al mio lavoro da cui sono in aspettativa, ma mi dispiacerebbe se tutto finisse con il senso di incompiuto che provo ora."
Quando ha capito che non c’era più posto per lei nel partito di Conte?
"È stato il M5S a non volersi confrontare con me e con gli altri. Ha di fatto chiuso le porte ad una sintesi."
Lei si definisce femminista?
"Femminista moderata. Negli ismi è facile esondare."
Molte femministe sono contrarie al ddl Zan, lei che posizione ha? Lo voterà?
"Lo voterò pur sapendo che non sarà utile a quella inversione culturale che sarebbe necessaria per contrastare le prevaricazioni."
Pensa che ci sarà mai una leder grillina o post grillina donna?
"Spero di sì. In ogni modo, nel M5S non c’è mai stata alcuna preclusione di genere."
In questi giorni sta facendo scalpore il caso di Aurora Leone, lei è mai stata vittima di discriminazioni di genere?
"Sono stata fortunata. Nell’azienda in cui ho lavorato ero l’unica donna, molto rispettata e il cui lavoro è sempre stato riconosciuto anche sotto il profilo economico."
Cosa è per lei la famiglia?
"È il luogo in cui sei sempre accolto. Me lo ha trasmesso mia madre ed è quello che tento di far percepire a mio figlio. Non mi importa da chi sia composta ma che sia un nucleo aperto alla comprensione e al sostegno."
In cosa lei si sente donna del Sud?
"Sono italiana prima di tutto. Troppo spesso, però, il Sud non è trattato come il resto del Paese. In questo sento la frustrazione di non ricevere quanto ci spetterebbe di diritto."
Cosa le piacerebbe fare il giorno in cui non sarà più senatrice?
"Non ci ho ancora pensato. Intanto, ho un lavoro che mi aspetta e un figlio da crescere. Non mi mancherà il da fare."
Le piace Enrico Letta come segretario del Pd?
"È una persona educata, che ha sempre rispetto dei suoi interlocutori ma ha in testa l’alleanza con Berlusconi. Per questo, non mi piace affatto. Ora non fa altro che mettere sul tavolo temi declinati in maniera sommaria."
Sull’immigrazione lei si sente più vicina al Conte 1 o al Conte 2?
"Le persone continuano a morire in mare, si continua a non avere una politica seria su questo fenomeno enorme che richiederebbe una lucidità svincolata dalle ideologie. D’altronde è uno dei pochi argomenti che i partiti possono usare per schierarsi a destra o a sinistra, ma il mio strazio non cambia se le persone muoiono con in vigore un decreto sicurezza o l’altro. Con il gruppo dei parlamentari con cui sto lavorando, ci stiamo impegnando anche su questo fronte con delle proposte concrete. Intanto, Draghi ha ottenuto il solito rinvio da parte dell’Europa. È molto grave che sia accaduto e che sia stato nascosto dalle polemiche sulla tassa di successione e sul nuovo garantismo."
Chi le piacerebbe votare come Presidente della Repubblica?
"Ci sono ancora alcuni mesi per rispondere. Parlarne ora significa macinare e bruciare nomi. Nella scorsa legislatura ne abbiamo eletti ben due, so bene che in quel contesto non bisogna dare nulla per scontato."
Pensa che il sogno della democrazia diretta di Gianroberto Casaleggio sia fallito?
"Per niente. Il futuro arriverà, non può fallire."
Elena Barlozzari. Sono nata a Roma, in un quartiere dove i ruderi antichi dormono da secoli, imperturbabili da fare invidia. Invece io sono un’anima inquieta. Le suole delle mie scarpe mi raccontano molto meglio di qualche riga impilata. Se potessero parlare, probabilmente, chiederebbero pietà. Collaboro con Il Giornale.it dal 2016 e mi occupo soprattutto di cronaca, con qualche sconfinamento nella politica e negli esteri. La laurea in Giurisprudenza mi è servita moltissimo, a capire che l’avvocatura non fa per me. Sono giornalista pubblicista perché “è sempre meglio che lavorare”.
· Roberta Lombardi.
Annalisa Cuzzocrea per “la Repubblica” il 14 marzo 2021. «Abbiamo dimostrato che quando si lavora sulle cose che uniscono e non sulle differenze, che permangono, le cose si fanno e pure velocemente». Roberta Lombardi, storica esponente del Movimento 5 stelle, è la nuova assessora alla Transizione ecologica e alla trasformazione digitale della Regione Lazio. Lavorerà al fianco di Nicola Zingaretti. Dà vita, con la benedizione del Garante Beppe Grillo, di Giuseppe Conte e di tutti i dirigenti M5S, alla prima giunta regionale giallo-rossa.
Che importanza ha un passo del genere nella vita del Movimento?
«È un percorso partito tre anni fa. La maggioranza aveva i suoi numeri, non aveva bisogno di noi, ma abbiamo cominciato fin dal principio a collaborare su alcuni temi. Abbiamo approvato misure importanti dal punto di vista legislativo e abbiamo capito che, pur restando due forze politiche distinte, c' è un pezzo importante di strada che possiamo fare insieme. Questo dimostra la trasformazione ineluttabile del Movimento: siamo nati raccogliendo rabbia, indignazione e rancore, ma siamo passati dalla frustrazione alla possibilità di realizzare le cose».
Dal punto di vista dei superortodossi, anche dentro al Movimento, lei e Valentina Corrado, nuova assessora al Turismo, enti locali e sicurezza, vi siete prese due poltrone.
«Usano ancora il linguaggio della rabbia della prima ora. Tra noi c' è invece chi è cresciuto, maturato, non è rimasto un eterno adolescente in lotta col mondo. Ci siamo presi le poltrone perché sono posizioni che ti permettono di modificare veramente le cose. Se poi chi critica lo fa dopo averla persa, una poltrona, significa che cambiano a seconda di chi ci siede sopra».
Ma non siete passati dal voto su Rousseau. Perché?
«Perché stiamo ridefinendo il rapporto con l' associazione Rousseau. Ci sono un po' di nodi da sciogliere in maniera definitiva, per via di problemi che sono stati lasciati a bagno per anni. In questo momento non ci è stato consentito l' utilizzo della piattaforma, contiamo di risolvere l' intera questione entro la fine del mese per poter ricominciare a usare i nostri strumenti di democrazia diretta».
Come la risolverete?
«Trovando un accordo sia di tipo economico sia definendo i reciproci ruoli. Altrimenti, cercheremo una formula di fine rapporto che sia equa».
Il manifesto controVento di Davide Casaleggio sembra un elenco di condizioni.
«L' ipocrisia di fondo di quell' operazione mi ha profondamente disturbata. Io sono nei 5 stelle da sempre, so tutto, e ho trovato quelle parole incoerenti con i comportamenti messi in campo da chi quel manifesto lo ha stilato».
L' esperienza della Regione Lazio, della Puglia dov' è entrata un' altra vostra assessora, si ripeterà alle prossime amministrative? Pd e 5 stelle insieme nelle città?
«Non a tutti i costi. Non serve affrontare insieme le elezioni se non c' è un progetto comune. È lavorando sui temi, sommando le differenze, che si possono trasformare in ricchezza. A me ad esempio non interessa il discorso di fare fronte comune contro la destra. Non serve correre contro qualcuno , ma per qualcosa».
Chiara Appendino ha lanciato un laboratorio comune per Torino. E a Roma? La sua idea resta quella delle primarie, nonostante Virginia Raggi sia ormai ufficialmente la candidata del Movimento?
«Penso, ma è una mia idea, che tutte le forze che si riconoscono nella rete progressista debbano presentare un programma e un candidato e che i cittadini dovrebbero votare chi li convince di più. Per poi correre insieme».
È preoccupata che a guidare il Pd non ci sia più Nicola Zingaretti?
«No. Sarei preoccupata se ci fosse una persona che non ha lo sguardo alzato verso il futuro, qualcuno concentrato sulle beghe di partito e sul bisogno di accontentare le correnti. Non mi sembra il caso di Enrico Letta però. Per come l' ho conosciuto, durante la sua esperienza di governo, sono abbastanza tranquilla. È stata un' epoca molto diversa da quella renziana».
Avete affidato a Conte il nuovo Movimento, rendendo vano tutto il lavoro che avevate fatto agli Stati generali. Vi occorreva un salvatore?
«So che Conte sta leggendo attentamente il documento di indirizzo uscito dagli Stati generali perché è frutto di un' elaborazione e di una maturazione fatta in questi anni. Quel che può offrirci la sua figura è la possibilità di contaminarci con altri movimenti, altre sensibilità, altre esperienze».
State uscendo dal blog.
«Dal blog siamo usciti da parecchio. C'è qualcuno che vorrebbe ridurre tutto alla dimensione digitale, ma la politica si fa in strada o nei palazzi. Ogni giorno».
Con Conte capo, Grillo resterà garante?
«Ci sarà sempre. Deve esserci. Nei primi anni di legislatura ci siamo concentrati sui bisogni dei singoli, con il reddito di cittadinanza. Adesso lui ha spostato l' attenzione sui bisogni della collettività, del luogo che ci ospita tutti, del pianeta. E che fai, te lo perdi uno così?».
· Paola Taverna.
"Voleva fare la vicepremier...": ecco la verità sulla Taverna. Paola Taverna, al centro di alcune polemiche per le mancate restituzioni, viene descritta dai colleghi M5S come una "dissidente nascosta", delusa per essere stata esclusa dal nuovo governo. Francesco Curridori - Lun, 22/02/2021 - su Il Giornale. Tra i grillini, ancora scossi dalla nascita del governo Draghi, le polemiche non si placano e, anzi, ad innescarne di nuove è la figura del vicepresidente del Senato Paola Taverna. La senatrice romana è finita nel mirino del grillino Filippo Gallinella, presidente della Commissione Agricoltura alla Camera, per una vicenda riguardante il tema delle restituzioni. "All'inizio di questa legislatura avevamo preso un impegno, tra i tanti: quello di rinunciare all'indennità di carica", attacca il pentastellato sul suo profilo Facebook che nel post pubblica lo screenshot di un articolo del Corriere in cui la Taverna afferma di aver donato le sue indennità. "Si vede - prosegue Gallinella - che le regole valgono solo per alcuni. Avendo più volte segnalato la cosa senza avere risposta, da domani la richiederò anche io e la donerò come la collega Paola Taverna". Ma la vicepresidente del Senato è vista con sospetto da alcuni colleghi di partito indignati per il suo atteggiamento da 'dissidente nascosta', come lo descrive una grillina alla prima legislatura che, parlando a taccuini chiusi con ilGiornale.it, chiede di tenere riservata la sua identità. "Paola gioca con due mazzi di carte: un po' fa la governista e un po' la dissidente, mimetizzandosi nelle parole del suo 'portavoce' Dessì. Facile così...", aggiunge l'esponente M5S. La Taverna, infatti, durante tutto questo travagliato periodo di crisi, non si è esposta molto, ma pochi giorni fa sul suo profilo Facebook ha spiegato così la sua scelta di votare la fiducia al governo di Mario Draghi: "In questi giorni così delicati ciascuno di noi si è trovato davanti a scelte impegnative. Per quanto mi riguarda non è stato semplice. Posso solo assicurare che ho davvero fatto ciò che ritenevo il meglio per l'Italia". E, dopo aver ricordato le parole di Conte sulla necessità di non auto-isolarsi, ha aggiunto: "il mandato degli iscritti ha tolto ogni dubbio residuo, nonostante le mie forti resistenze". Traduciamo: "ero contraria, ma ho ingoiato il rospo". Il post della Taverna, però, si conclude con una frase che è rivelatrice della sua 'dissidenza nascosta': "Ricordo - chiosa la senatrice - che tanti colleghi che hanno votato in dissenso sono parte fondamentale del Movimento, oltre che amici fraterni e compagni di tante battaglie. Serve unità adesso, perché proprio in questo momento comincia la nostra più grande partita". Ma un grillino che faceva parte del vecchio governo ci rivela un altro dettaglio importante: "Paola voleva fare la vice premier nel governo Draghi", dice la nostra fonte, che prosegue: "Sembra fantascienza, ma è così. E da quando ciò non è avvenuto è iniziato il suo mal di pancia". E sarebbe questo il motivo per cui la Taverna resta con un occhio rivolto al M5S e con un altro, invece, guarda le mosse dell'ormai ex pentastellato Alessandro Di Battista il quale, come lei, era desideroso di entrare nel nuovo governo. "Dibba - continua la nostra fonte - voleva un ministero. Poi la cosa non è andata in porto e ha iniziato a fare al suo solito la guerra a tutto e a tutti, fino al punto che sappiamo. Ma adesso viene il bello: approfittando del suo legame con Paragone, sta cercando di spingere i colleghi fuoriusciti verso Italexit. Roba da rabbrividire".
· La Questione Morale.
L'inchiesta sulla Fondazione Open. I Pm e le ‘indagini creative’ su Renzi, ma su Philip Morris chiudono gli occhi. Piero Sansonetti su Il Riformista il 26 Novembre 2021. Il ministro degli Esteri Di Maio, intervenendo a un convegno nell’ambito di Expo 2020, si è detto soddisfatto per gli investimenti che Philip Morris sta realizzando in Italia. Già. E così mi è venuta in mente tutta la vicenda dei rapporti stretti tra i 5 Stelle e Philip Morris della quale in realtà ha parlato quasi solo il nostro giornale ma è una vicenda bella grossa. Mi è venuta in mente anche per un’altra ragione. Ho messo mentalmente a confronto il rumor di grancassa intorno all’inchiesta dei Pm fiorentini su “Open” e il silenzio ovattato intorno a questa vicenda di Philip Morris. Vediamolo bene questo confronto. “Open” è una Fondazione che è stata finanziata in maniera volontaria e con somme relativamente modeste da alcune centinaia di sostenitori. Non sottobanco. Ogni euro versato è stato bonificato, registrato, dichiarato e segnalato. Non c’era niente di illegale né di losco. I Pm di Firenze hanno deciso di mettere sotto indagine “Open” per due ragioni. Una evidentemente vera, l’altra evidentemente pretestuosa. La ragione vera è che “Open “è roba di Matteo Renzi, e un pezzo di magistratura e di informazione (entità talvolta quasi coincidenti) da tempo hanno messo Renzi nel mirino. Se non si trovano reati a suo carico resta solo la possibilità dell’”indagine creativa” che invece di fondarsi sul codice penale si fonda sulla capacità di inventiva degli inquirenti.
L’inventiva, a pensarci bene, è una qualità, non un difetto. E così i Pm hanno deciso che siccome finanziare una Fondazione non è reato, neppure un pochino, basta però stabilire che “Open” non è una Fondazione ma un partito e il finanziamento (almeno una parte del finanziamento) anche se dichiarato e trasparente diventa reato, sulla base di una legge recente che equipara il finanziamento dei partiti politici a quello delle associazioni a delinquere. Ok. Ma come si fa a stabilire che “Open” non è una fondazione ma un partito? I Pm hanno deciso che per fare questo è sufficiente la loro parola. Se loro dicono che è un partito, è un partito. E allora hanno detto: è un partito. La parola dell’inquirente diventa prova. Anche questo è diritto creativo, uno degli aspetti più originali della modernità. La faccenda Philip Morris invece è molto più semplice. L’abbiamo denunciata con scarsi risultati circa un anno fa. Cosa era successo? La Philip Morris aveva finanziato con circa 2 milioni di euro la Casaleggio. E – ovviamente in modo del tutto casuale – i 5 Stelle – che all’epoca erano molto legati a Casaleggio – in Parlamento avevano ottenuto un clamoroso sconto fiscale a vantaggio dei prodotti della Philip Morris. Abbiamo calcolato che questo sconto produceva una riduzione delle tasse di circa 500 milioni all’anno per la Philip Morris. E, di conseguenza, produceva mancate entrate all’erario per mezzo miliardo. Una quantità di denaro clamorosa, se pensate che la maxitangente Enimont – quella che nel ‘92 provocò la caduta della Prima repubblica, centinaia di arresti tra i politici, la fine e poi la morte in esilio di Bettino Craxi – era una tangente di circa 60 milioni di euro. Noi del Riformista, quando fummo informati di questa storia, cercammo di parlarne sul nostro giornale e di farci notare. Ottenemmo che nella legge di bilancio del 2021 lo sconto fiscale fosse ridotto un pochino, ma non troppo. Però questa modesta riduzione, scritta nella legge mandata alle Camera, nella notte fu ritoccata con un ulteriore piccolo favore a Philip Morris (anche in questo caso, lo so benissimo, i fatti furono del tutto casuali e privi in ogni caso di dolo). Ora non credo che ci sia bisogno di ulteriori spiegazioni per capire che i due casi – “Open” e Philip Morris – sono molto diversi. Nel primo caso non c’è l’ombra né di reati né di scambio tra finanziamenti e favori. Nel secondo caso sicuramente ci sono stati sia i finanziamenti (molto cospicui) sia i favori (clamorosamente cospicui) anche se niente ci autorizza e credere che tra favori e finanziamenti ci fosse una relazione. In genere, a essere onesti, i Pm non sottilizzano molto, in questi casi, e se vedono un finanziamento e subito dopo un favore, anche piccolino, stangano. C’è gente che ha avuto la vita rovinata per 10 mila euro, non per due milioni. Stavolta, per fortuna, sembra che i Pm vogliano comportarsi in modo parecchio più cauto. E questa è una cosa buona. Che noi apprezziamo molto. Sarebbe ancora migliore se qualche cautela la dimostrassero anche i Pm fiorentini. Ma forse è chiedere troppo. Così come è una domanda veramente stronza quella di chi vorrebbe sapere dai grandi giornali come mai si sono entusiasmati per “Open “e se ne fregano del tabacco. Proprio stronza: noi ci guardiamo bene dal porre questa domanda.
Piero Sansonetti. Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.
"Ridateci i soldi". I nomi dei grillini che vogliono gli arretrati. Francesco Boezi il 16 Novembre 2021 su Il Giornale. Non solo il presidente della commissione Antimafia Nicola Morra: altri quattro senatori grillini o post grillini hanno chiesto soldi indietro. Il caso del presidente della commissione Antimafia Nicola Morra può essere associato ad altre vicende simili: l'ex del MoVimento 5 Stelle non è l'unico ad aver chiesto soldi indietro. Voci di corridoio ascoltabili in Senato parlano di almeno altri quattro parlamentari che hanno inviato una richiesta formale. Il fine? Ottenere arretrati. Siamo sempre in campo grillino o post grillino. Il caso della vicepresidente Paola Taverna è già noto: la grillina è stata protagonista durante lo scorso anno di una richiesta sulla restituzione dell'indennità. Quella che sarebbe stata devoluta in "beneficienza". All'epoca dei fatti, c'era stata grossa bagarre nel mondo dei pentastellati, tanto che la senatrice era entrata persino nel "mirino" di chi avrebbe voluto che venisse espulsa dalla creatura di Beppe Grillo. Erano ancora i tempi dell'oltranzismo (e alla fine della legislatura mancava qualche tempo in più). Il cartellino rosso non è scattato, mentre le logiche della politica hanno proseguito il loro corso. Oggi la romana è diventata la vice dell'ex premier Giuseppe Conte. La nuova fase vede la Taverna protagonista e di fibrillazioni interne sul suo caso non c'è più traccia. Parlando della faccenda con l'Adnkronos all'epoca delle polemiche, la pentastellata aveva comunicato che avrebbe rinunciato di nuovo in seguito alla fine dell'emergenza pandemica. Vale la pena sottolinearlo. Ma la Taverna è soltanto il nome più in vista tra quelli che fanno parte di un elenco di persone che gravitano o che hanno gravitato nell'universo grillino. Stando a quanto appreso dal Giornale.it, il vice presidente della commissione Difesa Mininno Cataldo, che è di Bari e che è stato buttato fuori dal MoVimento 5 Stelle dopo la mancata fiducia al governo di Mario Draghi, ha chiesto indennità ed arretrati nel marzo del 2020. La ragione, pure in questa circostanza, sarebbe quella di "fare beneficienza". Stesso discorso per il senatore Fabrizio Ortis, ex grillino espulso dal gruppo per via della sua contrarietà al governo d'unità nazionale, che ha sua volta inviato richiesta formale per ottenere gli arretrati indietro. Lo scopo? Sarebbe sempre quello di "fare beneficienza". E siamo a tre, oltre a Nicola Morra si intende.
Poi c'è la senatrice Angela Anna Bruna Piarulli, che fa ancora parte del MoVimento 5 Stelle e che presiede la Commissione Bicamerale d'Inchiesta sul "Forteto". In questo specifico caso, mancherebbe la motivazione della "beneficienza", ma saremmo sempre dinanzi ad una richiesta formale per avere indietro indennità di carica più arretrati. I pentastellati hanno fatto delle loro rinunce una bandiera. Qualcuno si ricorderà del Restitution Day e di tutte le dichiarazioni altisonanti in merito alla novità introdotta. Se è vero che la maggior parte di coloro che oggi rivogliono le loro indennità sono stati ricusati dall'emisfero grillino (tre su cinque), è vero pure che il duropurismo di quell'area si è ormai sgretolato sotto i colpi delle necessità di una democrazia parlamentare. L'antipolitica non esiste più. E le richieste su indennità ed arretrati iniziano ad essere un po'. Magari ne esistono anche altre.
Francesco Boezi. Sono nato a Roma il 30 ottobre del 1989, ma sono cresciuto ad Alatri, in Ciociaria. Oggi vivo in Lombardia. Sono laureato in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali presso la Sapienza di Roma. A ilGiornale.it dal gennaio del 2017, mi occupo e scrivo soprattutto di Vaticano, ma tento
Sprechi, acquisti anomali e una barca di 20 metri. Marcello Minenna indagato per abuso d'ufficio. Andrea Ossino su La Repubblica il 4 novembre 2021. Il direttore dell'Agenzia dei monopoli e delle dogane accusato dalla procura di Roma sulla base di alcuni esposti presentati dai dipendenti. Il ricorso al tribunale del lavoro da parte dell’ex direttore dell’agenzia dei monopoli Alessandro Canali, l’esposto presentato al Mef dal Codacons e anche la denuncia depositata alla procura di Roma. Sono diverse le inchieste che l’attuale direttore dell’agenzia dei monopoli e delle dogane, Marcello Minenna, deve affrontare. E l’ultima, in particolare, potrebbe impensierire l’uomo chiamato per qualche mese, nel 2016, a mettere le mani sul bilancio della Capitale allora guidata da Virginia Raggi.
Marcello Minenna indagato: ipotesi abuso d’ufficio per il direttore dell’Agenzia dei monopoli. Il Corriere della Sera il 4 novembre 2021. Marcello Minenna, il direttore dell’Agenzia dei monopoli e delle dogane, è indagato dalla Procura di Roma. La notizia viene riferita dal «Domani», che aveva avviato diverse inchieste giornalistiche sull’economista grillino. L’ipotesi per ora è di abuso d’ufficio, ma non è detto che i pm decidano di archiviare o le indagini obblighino ad aprire altri filoni d’inchiesta. Le denunce contro Minenna sono partite dall’ex vicedirettore Alessandro Canali, avvocato vicino al M5S che aveva rapporti stretti con il direttore, e l’ex finanziere Roberto Fanelli. Minenna sarebbe stato protagonista di presunti sprechi di risorse. Canali ha raccontato ai magistrati di essere stato licenziato dopo aver denunciato le trasferte del direttore, pagate dall’ente pubblico, insieme a una dipendente con cui il direttore avrebbe una relazione sentimentale, Patrizia Bosco. Sotto osservazione viaggi in business class sui treni e pernottamenti in hotel con camera suite. Secondo l’Agenzia, l’ex dirigente sarebbe stato rimosso dall’incarico solo per una riorganizzazione già annunciata da tempo. Minenna è da sempre un economista di riferimento del Movimento 5 Stelle. Nel 2016 è stato assessore al Bilancio del Comune di Roma, nella giunta guidata da Virginia Raggi, ma si è dimesso dopo qualche settimana. Ex funzionario della Consob, il 31 gennaio del 2020 è stato nominato direttore dell’Agenzia per la durata di tre anni, scelto direttamente dall’ex premier Giuseppe Conte col benestare di Grillo.
Luigi Ferrarella per il "Corriere della Sera" il 17 novembre 2021. Falsa partenza per quello che sarebbe dovuto essere lo sprint spagnolo dell'inchiesta della Procura di Milano sul possibile finanziamento illecito del Movimento 5 Stelle nel 2010 da parte del Venezuela di Chávez e Maduro: se c'era chi - pochi per la verità in Procura, molti più invece tra politici in fibrillazione nel reciprocamente rinfacciarsi scandali giudiziari - si attendeva ieri una svolta alle indagini dall'interrogatorio in rogatoria a Madrid dell'ex capo dei servizi segreti venezuelani Hugo Armando Carvajal, l'aspettativa è andata delusa. Almeno per adesso: un po' perché «il Pollo» (soprannome del generale sudamericano fermato in Spagna su richiesta di estradizione degli Stati Uniti per vicende di droga) ha preso le cose parecchio alla larga nelle risposte ai pm milanesi in trasferta, e molto perché lo 007 ha preliminarmente insistito a subordinare la propria disponibilità (anche con gli inquirenti italiani come prima con quelli spagnoli interessati invece a eventuali finanziamenti al movimento «Podemos») a concrete garanzie sulla propria posizione giudiziaria e sulla sicurezza per sé e per sua moglie. Il punto di partenza è sempre l'articolo scritto nell'estate 2020 dal giornalista del quotidiano spagnolo ABC, Marcos Garcìa Rey, secondo il quale Nicolás Maduro, all'epoca ministro degli Esteri di Hugo Chávez, avrebbe autorizzato la consegna, tramite il console del Venezuela a Milano, Gian Carlo Di Martino, di una valigetta con 3,5 milioni di euro al defunto Gianroberto Casaleggio, indicato nel documento come «promotore di un movimento di sinistra rivoluzionario e anticapitalista nella Repubblica Italiana». Difeso dagli avvocati Luigi Isolabella e Maria Beatrice Lanzavecchia perché indagato per diffamazione dopo la querela sporta da Davide Casaleggio, il giornalista mesi fa aveva ribadito anche ai pm milanesi di essersi basato su un documento dei servizi segreti venezuelani, il cui mittente sarebbe stato il responsabile di una unità speciale dell'intelligence sudamericana e il cui destinatario sarebbe stato appunto Carvajal. Dal generale venezuelano ci si aspettava quindi che ieri almeno confermasse o smentisse di essere stato lui il destinatario del documento; e che chiarisse se quanto scritto fosse un progetto rimasto sulla carta (soldi destinati ai 5Stelle), oppure fosse stato poi attuato; e, in questo caso, se attuato solo nella prima tratta (soldi portati in valigetta diplomatica dal Venezuela al console Di Martino a Milano) o anche nella tratta finale (soldi cioè non solo arrivati in Italia con quella teorica destinazione, ma davvero poi consegnati a Casaleggio o comunque a esponenti 5Stelle). Ma su questi interrogativi, dopo l'interrogatorio di ieri di fronte al procuratore aggiunto milanese Maurizio Romanelli e alla pm Cristiana Roveda, la situazione sembra essere rimasta interlocutoria. «Quel documento è un falso, il "Pollo" sta parlando in Spagna solo per cercare di non essere estradato negli Stati Uniti, e il Venezuela (per il quale Carvajal è un agente della Cia che ha tradito Chávez) ribadisce che il governo non ha avuto alcun legame col Movimento 5 Stelle, che rispettiamo ma col quale non c'è stato nessun passaggio di denaro», aveva reagito il console Di Martino quando era emerso che questo 55enne ex sindaco della città di Maracaibo era indagato per le ipotesi di riciclaggio e violazione della legge sul finanziamento pubblico al partito. A complicare l'inchiesta milanese è il fatto che la movimentazione dei soldi, collocata a 11 anni fa dal quotidiano spagnolo, se non «rinfrescata» da qualche più recente segmento di condotta sarebbe comunque estinta dall'intervenuta maturazione dei termini massimi di prescrizione del reato.
Da "il Giornale" il 24 novembre 2021. La Procura antidroga di Madrid ritiene che gli Stati Uniti abbiano dato «garanzie sufficienti» alla giustizia spagnola in merito alla possibile condanna di Hugo Carvajal, ai fini dell'estradizione dell'ex capo dell'intelligence militare chavista che ha rivelato le mazzette milionarie del regime a molti partiti europei tra cui il M5s. Fonti legali citate da El Mundo ritengono che la risposta degli Stati Uniti sia in linea con altre inviate in simili estradizioni e ritengono che possa essere considerata sufficiente dalla Corte Nazionale spagnola. Nonostante il parere favorevole della Procura Antidroga, la decisione sulla legittimità o meno della consegna alle autorità Usa di Carvajal spetta alla Camera Penale, tenuto conto della memoria del pubblico ministero e di quanto asserito dallo stesso Carvajal. Gli Stati Uniti accusano «El Pollo» di traffico di droga su larga scala, reato che potrebbe significare l'ergastolo. L'ex alto ufficiale venezuelano ritiene che si tratti di una forma di pressione per cercare di ottenere da lui informazioni sul regime di Chávez e Maduro. Su «El Pollo», il cui nome è al centro delle cronache anche in Italia per la vicenda del presunto finanziamento da 3,5 milioni di euro del regime chavista al Movimento 5 Stelle, grava anche una richiesta di estradizione da parte del Venezuela, come rivelato da Il Giornale. Le autorità di Caracas accusano Carvajal di avere complottato con il generale Garcia Palomo, già in carcere da due anni con l'accusa di essere stato a capo di una congiura per destituire Nicolàs Maduro.
Soldi di Chavez ai 5 Stelle: Carvajal andrà negli Usa. Paolo Manzo il 27 Novembre 2021 su Il Giornale. Mala tempora currunt per Hugo "El Pollo" Carvajal - l'ex capo dell'intelligence venezuelana dei tempi di Chávez e, soprattutto, la "gola profonda" sui casi di finanziamento illecito al partito spagnolo Podemos e al nostro Movimento 5 Stelle. Mala tempora currunt per Hugo «El Pollo» Carvajal - l'ex capo dell'intelligence venezuelana dei tempi di Chávez e, soprattutto, la «gola profonda» sui casi di finanziamento illecito al partito spagnolo Podemos e al nostro Movimento 5 Stelle - che è sempre più vicino all'estradizione negli Stati Uniti. L'Alta Corte Nazionale di Madrid ha ritenuto «sufficienti le garanzie fornite dagli Stati Uniti per procedere con l'estradizione». Gli Usa accusano l'ex generale venezuelano di traffico di droga, riciclaggio di denaro sporco e collaborazione con i terroristi delle Farc colombiane. È dunque adesso scontato che nei prossimi giorni, forse già oggi, «El Pollo» lascerà Madrid per indossare la divisa arancione da detenuto a New York o a Miami (se lo contendono entrambe le procure). La sua estradizione è una boccata d'ossigeno sia per il premier socialista Pedro Sánchez, che governa in Spagna grazie alla coalizione con Podemos, sia per i grillini. Sicuramente gli interessi investigativi degli americani in merito a Carvajal divergono da quelli della magistratura spagnola e italiana che, nelle settimane scorse, hanno interrogato il «Pollo». Carvajal avrebbe preferito di gran lunga continuare a rimanere in Europa piuttosto che vedersi di fronte ad accuse per narcotraffico e terrorismo che gli fanno rischiare una pena detentiva di 40 anni. Avendo già 61 anni compiuti, per Carvajal sarà gioco forza collaborare con la giustizia «a stelle e strisce». «Il Pollo è una miniera d'oro per gli inquirenti americani» spiegava qualche giorno fa da Miami a Il Giornale Salvatore Lucchese, un ex capo di polizia venezuelano costretto a lasciare il suo Paese perché nel 2017 si era rifiutato di far sparare su manifestanti anti-chavisti. Resta da vedere se, dopo il viaggio della scorsa settimana a Madrid, i pm milanesi, Maurizio Romanelli e Cristiana Roveda, saranno disposti a volare negli Usa per risentire Carvajal in merito alla famosa valigetta dei 3,5 milioni di euro. Paolo Manzo
(ANSA il 3 dicembre 2021) - Il tribunale spagnolo dell'Audiencia Nacional ha rigettato anche l'ultimo dei ricorsi presentati dall'ex 007 venezuelano Hugo Armando Carvajal, alias "El Pollo", per evitare o ritardare l'estradizione dalla Spagna negli Usa, dove è ricercato per accuse di attività legate narcotraffico. Lo riporta l'agenzia di stampa Efe. L'ordine di estradizione per Carvajal, arrestato a Madrid a settembre, era già stato approvato in un primo momento, ma poi la giustizia spagnola successivamente l'ha sospeso, in attesa di garanzie da parte delle autorità statunitense sul suo eventuale trattamento penitenziario. Garanzie poi giudicate "sufficienti" dalla stessa Audiencia Nacional. "El Pollo" Carvajal è stato sentito recentemente a Madrid da due pm milanesi nell'ambito di un'inchiesta su presunti fondi venezuelani che sarebbero stati ottenuti dal Movimento 5 stelle in passato. L'indagine è partita dopo la pubblicazione di un'inchiesta giornalistica del quotidiano spagnolo Abc a giugno 2020, basata su un presunto documento dei servizi segreti di Caracas. Secondo l'articolo, il console venezuelano a Milano Gian Carlo Di Martino avrebbe consegnato nel 2010 una valigetta con 3,5 milioni di euro a Gianroberto Casaleggio, scomparso cinque anni fa. Il presunto episodio di cui ha parlato Abc sarebbe già prescritto, ma le indagini puntano a verificare se ci siano stati altri passaggi sospetti di fondi e presunti intermediari e altri destinatari. Da qui anche l'esigenza per gli inquirenti di ascoltare "El Pollo".
Nuovi soldi dal Venezuela ai grillini. Paolo Manzo il 20 Novembre 2021 su Il Giornale. La rivelazione di Carvajal ai pm milanesi che indagano sui fondi a Casaleggio. Come anticipato ieri dal Giornale, la procura di Milano sta indagando sulle dazioni di denaro della dittatura del Venezuela al Movimento 5 Stelle. L'inchiesta è aperta da oltre un anno, il giornalista Marcos García Rey che aveva pubblicato nel giugno 2020 sul quotidiano spagnolo ABC lo scoop della oramai famosa valigetta da 3,5 milioni di euro, aveva consegnato alla procura milanese un dettagliato memorandum già agli inizi di novembre dell'anno scorso. Adesso, però, la vicenda ha subito un'accelerazione. Nodo di svolta il viaggio dei due pm milanesi, Maurizio Romanelli e Cristiana Roveda, a Madrid, dove hanno interrogato per oltre un'ora martedì scorso Hugo Carvajal, alias «il Pollo». Dalla terra iberica, dove l'ex capo dell'intelligence chavista è da settembre agli arresti in attesa di essere estradato negli Stati Uniti, «il Pollo» ha confermato due cose importanti. La prima è che la valigetta dei 3,5 milioni di euro che sarebbe stata data a Gianroberto Casaleggio dal console del Venezuela a Milano, Gian Carlo Di Martino, nel 2010, non sarebbe la sola ad essere finita nelle mani dei grillini. La seconda è che il flusso tra Caracas e il Movimento 5 Stelle sarebbe continuato almeno sino al 2017. Questo ha detto Carvajal a Romanelli e Roveda, come da noi scritto ieri ed anticipato in terra iberica dall'autorevole sito El Confidencial. Elemento però se vogliamo ancora più importante ai fini dell'accertamento della verità è la duplice richiesta avanzata da Carvajal alle nostre autorità inquirenti. La prima è la domanda di asilo politico all'Italia che l'ex generale chavista ha fatto, dopo che Madrid gli aveva respinto poche settimane fa una richiesta analoga. La seconda è la richiesta di protezione che «il Pollo» ha preteso dall'Italia in cambio dei documenti probatori legati al processo in corso. In estrema sintesi un «do ut des» di latina memoria, quello offerto da Carvajal alle nostre autorità: «Io vi faccio avanzare nell'indagine ma voi farete di tutto per evitare la mia estradizione negli Stati Uniti». Se infatti l'Italia vuole vederci chiaro sulle valige diplomatiche, l'obiettivo primario di Carvajal, che soffre pure di claustrofobia, è di uscire al più presto dal carcere, evitando l'estradizione negli Usa, dov'è ricercato per narcotraffico. Paolo Manzo
L'accusatore dei 5s vuole l'asilo politico in Italia. Paolo Manzo il 19 Novembre 2021 su Il Giornale. Carvajal ai pm milanesi: vi darò le prove dei soldi ai grillini ma pretendo garanzie. Colpo di scena nel processo italiano che vede imputato il console del Venezuela a Milano Gian Carlo Di Martino e che vuole fare luce sui presunti finanziamenti illeciti erogati dalla dittatura chavista al Movimento 5 stelle. Ieri, infatti, El Confidencial, informato sito di notizie spagnolo, ha rivelato che il testimone eccellente del processo, l'ex capo dei servizi segreti chavisti Hugo Armando Carvajal che tutti conoscono con il soprannome «il Pollo», martedì scorso ha assicurato ai procuratori italiani di «poter dettagliare altre consegne di contanti dal Venezuela al Movimento 5 stelle» fondato da Grillo e Casaleggio, oltre a quella già nota del 2010, oggetto dell'indagine in corso. Ma Carvajal ha anche aggiunto che collaborerà con la giustizia italiana «solo se» il nostro Paese gli garantirà «la protezione» di cui ha un disperato bisogno per evitare l'estradizione negli Stati Uniti, oltre che «l'asilo politico». Il magistrati milanesi hanno voluto interrogare «Il Pollo» nell''mbito di un procedimento aperto da oltre un anno sulla presunta ricezione da parte dei grillini di tre milioni e mezzo di euro «in nero». L'inchiesta italiana è iniziata a seguito delle informazioni pubblicate dal quotidiano iberico ABC sull'esistenza di consegne di contanti ai grillini da parte del consolato venezuelano a Milano e si concentra su un ordine dato da Nicolás Maduro nel 2010, quando l'attuale presidente era ministro degli Esteri, per una valigia con dentro 3,5 milioni di euro da consegnare a Gianroberto Casaleggio, tramite il console Di Martino. Il cofondatore dei 5 Stelle era identificato nell'ordine di Maduro come il «promotore di un movimento di sinistra rivoluzionario e anti-capitalista nella Repubblica Italiana». Il problema imprevisto è che i procuratori italiani Maurizio Romanelli e Cristiana Roveda che hanno interrogato Carvajal sono stati accolti da una duplice sorpresa. «Il Pollo» si è offerto sì di passare agli inquirenti milanesi i dati che interessano per accertare se la valigetta dei 3,5 milioni di euro sia stata data o meno a Casaleggio, cosa che il console Di Martino nega, ma a due condizioni. In primis ha chiesto che l'Italia gli conceda l'asilo politico e, in seconda battuta, vuole una protezione speciale prima di presentarsi di fronte ai nostri pm per rilasciare nuove dichiarazioni, documenti alla mano. L'interrogatorio non ha dunque chiarito tutti i dubbi dei pm milanesi al di là della futura promessa di consegna della documentazione da parte di Carvajal che, sinora, non ha fornito dati scritti, fatture né altre annotazioni a Romanelli e Roveda. L'ex capo dell'intelligence venezuelana ha però detto ai pm che le consegne di contanti tramite la sede diplomatica venezuelana in Italia sarebbero state maggiori rispetto ai 3,5 milioni di euro di cui si è parlato sinora. «Ci sono stati - ha precisato Carvajal - altri pagamenti che i pm italiani non hanno ancora localizzato» rivelava ieri El Confidencial. La cooperazione del «Pollo» dipenderà dalla risposta delle autorità italiane alle sue richieste di asilo e protezione. Paolo Manzo
Paolo Manzo per "il Giornale" il 18 Novembre 2021. Rimane top secret sia in Spagna che in Italia il contenuto dell'interrogatorio di Hugo Armando Carvajal detto «Il Pollo», durato poco più di un'ora e condotto l'altroieri da due importanti esponenti della Procura di Milano, i magistrati Maurizio Romanelli e Cristiana Roveda, arrivati appositamente dall'Italia a Madrid. Presenti al fianco dell'ex capo dell'intelligence militare venezuelana anche il procuratore capo della Corte Nazionale spagnola, Jesús Alonso ed il giudice iberico Joaquín Gadea. L'interesse del nostro paese ad interrogare Carvajal si ricollega all'indagine su una spedizione di 3,5 milioni di euro via valigia diplomatica al fondatore del Movimento 5 Stelle, Gianroberto Casaleggio, tramite la delegazione venezuelana di Milano nella persona del console Gian Carlo Di Martino, al momento indagato. Al termine dell'interrogatorio, i pubblici ministeri italiani hanno confermato di «avere un'indagine aperta sul finanziamento dei grillini» ma che, proprio a causa della segretezza del caso e delle sue ramificazioni internazionali, «non possono fornire i dettagli dell'interrogatorio». Anche l'avvocato di Carvajal, Dolores de Argüelles, ha mantenuto il massimo riserbo quando le sono stati chiesti lumi sulle risposte date dal suo assistito. Tuttavia, ha assicurato di «non essere assolutamente sorpresa» per il fatto che la Procura italiana fosse interessata ad interrogare «Il Pollo». Il motivo è semplice: da quando Carvajal è stato arrestato - lo scorso settembre in Spagna dopo due anni di latitanza - ha scelto di fare rivelazioni sempre più dettagliate sui tentacoli del governo chavista al di fuori del Venezuela e giornalisti provenienti da Italia, Argentina, Perù e Brasile l'hanno chiamata «insistentemente per informarsi sulla dichiarazioni giudiziarie» del suo cliente. E naturalmente anche i sistemi giudiziari dei paesi sopracitati si sono attivati per sentire Carvajal. L'avvocato del Pollo ieri ha annunciato che intende chiederne il rilascio, pur mettendogli un braccialetto elettronico per evitare il rischio di fuga. Da quando è detenuto, Carvajal sta usando tutte le strategie possibili per fermare la sua estradizione negli Stati Uniti, dicendo tutto ciò che sa sul finanziamento illecito della dittatura di Caracas a partiti come l'iberico Podemos ed il M5s.
Le testimonianze sul caso Venezuela-5stelle. “Chavez pagava i partiti, presto vedremo le prove”, nuove testimonianze sui soldi dal Venezuela ai 5 Stelle. Aldo Torchiaro su Il Riformista il 4 Novembre 2021. Del caso Venezuela-M5s purtroppo non si occupano Report e le altre grandi testate di inchiesta. Riguarda d’altronde un fatto minore, evidentemente. Si tratterebbe, stando alla confessione dell’ex capo dei servizi segreti, solo di tre milioni e mezzo di euro che sarebbero stati versati in nero dal governo venezuelano nelle casse del partito politico che oggi esprime il ministro degli Esteri Luigi Di Maio e il sottosegretario Manlio Di Stefano. Un fatterello che la Rai ha derubricato a notizia di scarso rilievo, di quelle da ignorare. Se ne sta occupando però la Procura di Milano, che ha aperto un fascicolo avente un destinatario ben preciso, il console del Venezuela in Italia, Gian Carlo Di Martino. La gola profonda che con le ultime rivelazioni sta mettendo a nudo le relazioni pericolose tra Cinque Stelle e governo Chàvez e poi Maduro, “el Pollo” Carvajal, secondo la tesi del console sta collaborando con la giustizia spagnola (è trattenuto dalla giustizia spagnola a Madrid) per evitare l’estradizione negli Stati Uniti. Può anche darsi che abbia deciso di parlare come strategia dilatoria, per andare ai tempi supplementari di un processo che lo mantiene al sicuro, ma intanto parla. E sta confermando alla magistratura spagnola quanto scritto da Abc sulla base di un documento inedito dei servizi segreti venezuelani. Nell’atto si legge che Nicolas Maduro, all’epoca ministro degli Esteri di Hugo Chavez, aveva autorizzato la consegna, tramite il console del Venezuela a Milano, Giancarlo Di Martino, di una valigetta carica di 3,5 milioni di euro al defunto Gianroberto Casaleggio, che nelle ricostruzioni di Carvajal sarebbe il «promotore di un movimento di sinistra rivoluzionario e anticapitalista nella Repubblica Italiana». L’episodio è ritenuto verosimile dal governo “ad interim” di Juan Guaidò, che in Italia può contare sulla presenza di deputati eletti regolarmente in Venezuela nel 2015 e da allora qui come richiedenti asilo. Mariela Magallanes – che il Riformista ha incontrato – è una deputata fedele a Guaidò e decisa a lottare per il ritorno della democrazia nel suo Paese. Guaidò è il presidente riconosciuto da 21 paesi europei, ma non dall’Italia: la netta contrarietà del Movimento Cinque Stelle, saldamente ancorato a un vincolo con il governo di Maduro, ha impedito ad oggi qualsiasi allineamento di Roma con l’Europa. «Per proteggere la mia incolumità sono stata costretta a rifugiarmi all’ambasciata italiana a Caracas. Devo ringraziare il ministro degli Esteri di allora Moavero Milanesi che ha permesso il mio soggiorno in ambasciata, dove sono rimasta per quasi 7 mesi», rievoca Magallanes. Che il 30 novembre 2019 grazie alla delegazione diplomatica italiana arrivata in Venezuela con a capo il senatore Pierferdinando Casini, è riuscita attraverso una negoziazione politica a ottenere la libertà di partire da Caracas. «Io e altri deputati abbiamo ottenuto asilo politico in Italia, alla quale sarò eternamente grata per avermi permesso di ricongiungermi alla mia famiglia già in Italia da qualche tempo», racconta. Il paradosso è evidente: la nostra Farnesina mantiene il suo fedele sostegno al Venezuela caduto in mano a una dittatura, ma riconosce gli esuli come esiliati politici. «Il Venezuela di Chàvez aveva iniziato a pagare i promotori di movimenti destabilizzatori in diversi paesi latinoamericani ed europei», è l’analisi di Magallanes. «Soprattutto coloro che erano più distanti dalla sensibilità filoatlantica, quei movimenti che sembravano pronti a sovvertire un certo ordine costituito». Ed ecco il M5s, per l’Italia. Podemos per la Spagna. «Ho i nomi dei testimoni che verranno in aula a dare i dettagli», ha detto la settimana scorsa Carvajal al giudice Manuel García-Castellón. Aspetta di conoscere i dettagli dell’inchiesta madrilena e ancor di più di quella milanese la responsabile esteri della segreteria del Pd, la deputata Lia Quartapelle. «Sono in contatto quotidiano con il Venezuela e in particolare con Voluntad Popolar, il grande partito socialdemocratico che sostiene il presidente Guaidò», ci dice. La controparte, rispetto a Maduro. «Forse però il momento in cui il riconoscimento del Presidente Guaidò andava fatto è passato. Adesso è in corso uno sforzo di mediazione con il governo Maduro, in cui tutta l’opposizione è impegnata», dice Quartapelle. L’opposizione si starebbe interrogando su un cambio di approccio necessario. Ma è su Milano e sulla figura su cui sta indagando la magistratura che l’on. Quartapelle punta i fari: «Gli atteggiamenti del Console Di Martino sono stati particolarmente attenzionati, nel tempo. E sono stata sollecitata ad intervenire, sia pure informalmente, per riportare il Console alle regole di civiltà e rispetto che il codice della diplomazia impone». Comportamenti minacciosi e arroganti, ai limiti dell’intollerabilità secondo i cittadini venezuelani in Italia che hanno protestato – ad alcuni dei quali è stato negato il visto sul passaporto – e richiesto l’intervento delle autorità italiane. Sarebbe stato lui, Gian Carlo Di Martino, secondo le indicazioni fornite ai magistrati spagnoli, la longa manus che avrebbe fatto arrivare il denaro a casa dei Cinque Stelle. «Sono intervenuta in maniera informale, facendo sapere al console che l’immunità diplomatica non mette al riparo da qualunque cosa», precisa Quartapelle. «Immunità e impunità vanno sempre insieme per gli esponenti di un governo abituato a trattare con le armi del denaro», torna a sottolineare Mariela Magallanes. «Chiediamo all’Italia un’attenzione particolare a quello che è avvenuto con i tentativi di corruzione internazionale di Chàvez e Maduro, perché sappiamo che ci sono stati e presto o tardi ne avremo le prove», dice ancora Magallanes. Fa capire che l’opposizione ha le sue fonti. «La doppia contabilità del petrolio si è indirizzata verso il narcotraffico e verso la politica, due binari di finanziamento coperto sui quali arriveremo ai documenti, a Caracas». Il Venezuela è un paese deflagrato, ricostruire la tela dei rapporti non sarà facile, una volta iniziato davvero il processo di transizione. «Certamente il nostro rapporto con il Venezuela è cambiato negli ultimi anni, anche il Movimento Cinque Stelle si è occidentalizzato», dice Quartapelle. «L’uscita di Pino Cabras, che aveva posizioni estreme, ha aiutato». Cabras, va detto, (L’Alternativa c’è, commissione Esteri) è sempre rimasto un passo indietro rispetto a Di Maio e a Di Stefano. Le posizioni del partito erano quelle decise da Casaleggio e Grillo (siamo nel 2010) e poi sostenute sul Blog delle Stelle, unica fonte ufficiale del Movimento e ancora colma di incitazioni “venezuelane”. Ma sull’intera vicenda l’esponente Pd non ha dubbi: «Sicuramente il regime ha provato a influenzare e a corrompere movimenti politici alternativi, in Europa. Oggi non hanno più le condizioni economiche per farlo, ma è possibile che nel 2010 ci abbiano provato».
Aldo Torchiaro. Romano e romanista, sociolinguista, ricercatore, è giornalista dal 2005 e collabora con il Riformista per la politica, la giustizia, le interviste e le inchieste.
Informazione o regime? Soldi al M5S, Di Maio non chiarisce dove sono finiti i 3,5 milioni di dollari venezuelani. Piero Sansonetti su Il Riformista il 28 Ottobre 2021. Un pentito è un pentito è un pentito – diceva, più o meno, Gertrude Stein. Forse non diceva esattamente così ma il concetto è quello. E voi probabilmente sapete che noi del Riformista ci siamo fidati sempre poco dei pentiti. I pentiti sono i santini dei giornalisti e dei politici giustizialisti e sono la miniera dei magistrati. Noi invece pensiamo che spesso, molto spesso, non siano molto attendibili e che talvolta tentino di inguaiare qualche loro nemico, o cerchino visibilità, o provino a compiacere i Pm che li interrogano. Ok. Detto questo non possiamo non tener conto del fatto che i quattro quinti delle grandi indagini degli ultimi trent’anni si sono basate sui pentiti. E anche i quattro quinti della cronaca giudiziaria e dei titoloni nelle prime pagine, nell’ultimo trentennio, non ci sarebbero stati senza pentiti. Non ho mai letto, per esempio – diciamo sul Fatto Quotidiano, per prendere un giornale a caso – un articolo nel quale si mettesse in discussione la testimonianza di un pentito. Neanche quando la possibilità che quel pentito avesse tutto l’interesse a inguaiare l’imputato era una possibilità molto concreta. O che millantasse credito. O che la sua testimonianza fosse indispensabile per blindare un teorema precedentemente costruito da un Pm. Di nuovo: ok. Ora io voglio capire una cosa. Ma perché se parla un picciotto della mafia, o un sottufficiale, o un piccolo funzionario, o un politico ignoto, allora la sua testimonianza è fuori discussione, e se invece parla un generale – dico un generale con tutte le stellette – che per di più è stato il capo dei servizi segreti di una potenza straniera, la attendibilità del pentito scompare? Voi dite, magari, perché questo spione poteva avere qualche interesse ad inguaiare qualcuno. Beh, vediamo un po’. Stiamo parlando del generale Carvajal, uomo di Hugo Chavez, che interrogato da un magistrato spagnolo dice che sono stati dati dei soldi al partito italiano dei 5 Stelle (oltre che al partito spagnolo di Podemos). Ma per quale scombiccherata ragione questo super 007 dovrebbe avere interesse a inguaiare i ragazzi di Casaleggio e Grillo, e quale interesse mai potrebbe avere l’inquirente spagnolo ad avere questa confessione? E infatti all’inquirente spagnolo dei soldi ai 5 Stelle italiani interessa pochissimo, lui però vuole sapere dei finanziamenti illegali del Venezuela alla sinistra spagnola. Ha ragione, direi. Le cose stanno proprio così: in Spagna è avviata una inchiesta giudiziaria sulle dichiarazioni del generale Carvajal, qui da noi il silenzio. Non risulta che sia stata aperta un’inchiesta, e per di più i giornali – dopo una intimazione al silenzio dettata da Davide Casaleggio – hanno deciso il silenzio. Cioè hanno deciso di scattare sull’attenti agli ordini del figlio del fondatore dei 5 Stelle. È normale tutto questo? Beh, magari con la vecchia storia della obbligatorietà dell’azione penale – di fronte a una notizia di reato – e con l’abitudine delle procure italiane di aprire inchieste gigantesche e costosissime anche per possibili (magari anche improbabili) episodi di corruzione di un migliaio di euro o giù di lì, uno ha il diritto a stupirsi un pochino. Qui ci troviamo di fronte a un’ipotesi clamorosa: che il regime di Chavez e poi di Maduro abbia coperto di milioni i 5 Stelle, chiedendo loro in cambio, si immagina, di influire a favore del Venezuela nella politica estera dell’Italia. Influenza che è stata poi esercitata. Se voi pensate che qualche anno fa un ministro della Repubblica fu costretto alle dimissioni perché un imprenditore aveva regalato un orologio a suo figlio, un ragazzo, ed è stato costretto alle dimissioni dopo che i giornali avevano per vari giorni riempito le prime pagine con questo scandalo, ammetterete che uno resta di stucco quando nota che sullo scandalo Chavez-Cinque Stelle il silenzio è generale. Casaleggio ha anche fatto sapere di avere scritto una lettera al Presidente della Repubblica per chiedere a lui di intervenire in modo da mettere il silenziatore a giornali e Tv. Quali poi? Noi, Il Giornale e qualche tg Mediaset. Stop. Al Quirinale, per la verità, negano di avere ricevuto questa lettera. E dicono che casomai dovesse arrivare sarebbe irricevibile. Chissà perché Casaleggio ha detto di aver spedito una lettera che non ha mai spedito. Magari per dare più peso alla sua intimidazione nei confronti della stampa (intimidazione che avuto risultati eccellenti). Ieri l’affare Venezuela è finito in Parlamento. Perché un deputato di Fratelli d’Italia, l’on. Lollobrigida, ha posto una domanda – in sede di Question Time – al ministro degli esteri Di Maio. Il quale ha risposto sostenendo che il documento che provava questi versamenti, pubblicato alcuni mesi fa dal quotidiano spagnolo Abc, era un documento falso. E che dunque la vicenda è chiusa. Ora, che quel documento fosse o no falso, è questione aperta. Ma il problema è che oggi non si parla più di quel documento ma della testimonianza chiara e forte di un generale venezuelano, ex capo dei servizi segreti. Lui dice che i soldi furono mandati a Milano in valigette diplomatiche e consegnati ai 5 Stelle. Di Maio, nel Question Time, non ha neppure accennato alla testimonianza del testimone prestigioso, né al fatto che la procura spagnola sta indagando, né alla novità di ieri, e cioè che il generale venezuelano ha fornito al magistrato i nomi di un certo numero di persone che possono testimoniare per sostenere la sua accusa. Di Maio si è limitato a giurare che i 5 Stelle non hanno mai visto quei soldi. Naturalmente è molto probabile che il giuramento di Di Maio sia in ottima fede. Noi naturalmente non sappiamo se le accuse circostanziate del generale Carvajal siano vere o false, pensiamo però che in ogni caso, se i soldi fossero arrivati, nessuno lo avrebbe detto a Di Maio. Il quale, di conseguenza, pensa: “se ci avessero comprato, io lo saprei”, Eh, no, Gigi: quelli mica te le dicono le cose delicate… In tutta questa vicenda, e nella storia dell’omertà dei giornali, c’è un fatto ulteriore che mi ha colpito. Sul quotidiano del mio amico Marco Travaglio, al silenzio per questa vicenda esplosiva – particolarmente interessante, penso, per un giornale come Il Fatto che si occupa quasi esclusivamente della corruzione politica dei partiti e dei loro dirigenti – si è accompagnata una campagna, con titoloni in prima pagina, contro il generale Figliuolo. Leggete qui. Prima pagina, caratteri cubitali: “Quattro capi di sartoria gratis a Figliuolo”. Con gran spargimento di foto sue e di altri militari. Poi leggi l’articolo nel quale si parla pochissimo di Figliuolo, e trovi esattamente questa frase: «Quella delle forniture è una contestazione che non ha nulla a che vedere con la posizione di Figliuolo, la cui iscrizione nel registro degli indagati è un atto dovuto, a sua tutela. E nelle prossime settimane la Procura di Roma potrebbe chiedere l’archiviazione». Dio mio – penso – ma di questo passo che fine farà il giornalismo italiano?
Piero Sansonetti. Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.
"Omertà, omertà, omertà". FdI incalza i grillini sul caso Venezuela. Francesco Boezi il 2 Novembre 2021 su Il Giornale. L'onorevole Andrea Delmastro Dellevedove non molla la presa sul caso del presunto finanziamento ai grillini che sarebbe partito dal Venezuela. Ora Fratelli d'Italia parla di "opaca resistenza" da parte grillina. Il ministro Luigi Di Maio, rispondendo ad un'interrogazione di Fratelli d'Italia sul caso Venezuela, ha insistito molto sulla natura falsa del documento che è alla base della vicenda. Ma, come sottolineato già in più circostanze, le dichiarazioni de "Il Pollo" Hugo Carvajal, ex vertice degli 007 chavisti che ha confermato dinanzi ad un giudice spagnolo la presenza di un sistema di finanziamenti che sarebbero stati destinati a partiti "amici" del regime in Europa, sono successive alla fuoriuscita di quel documento. E l'onorevole Andrea Delmastro Dellevedove, che ha risposto al capo del Dicastero degli Esteri nel corso del question time di qualche giorno fa alla Camera dei deputati, non ha intenzione di mollare la presa. Fdi sta chiedendo a gran voce la nascita di una commissione parlamentare d'inchiesta. Un organo che possa chiarire in tutti i suoi aspetti una faccenda che rimane all'interno di un cuneo d'ombra. Com'è noto, peraltro, sul presunto finanziamento che sarebbe arrivato dal Venezuela al MoVimento 5 Stelle, sta indagando la procura di Milano.
Le risposte del ministro Luigi Di Maio non sono soddisfacenti per Fdi, giusto?
"No, non siamo soddisfatti. Non basta dire "è un fake". Anche perché Di Maio è anche sfortunato al livello di tempistiche. Un minuto dopo le dichiarazioni del ministro sul "fake", è partita l'indagine ufficiale della procura di Milano, con l'inchiesta per riciclaggio e finanziamento illecito cui è stato sottoposto il console Giancarlo Di Martino, che sarebbe colui che avrebbe fatto la dazione. Per di più, non si può bollare come un "fake" ciò che viene detto da un ex membro dell'intelligence militare. E soprattutto, nel caso fosse un "fake", non si spiegano una serie di cose, come ho avuto modo di dire in Aula. Oltre al tema del presunto finanziamento illecito, infatti, c'è quello della politica estera italiana...".
Cosa vuole dire?
"Siamo l'unica nazione europea che non ha riconosciuto Guaidò come presidente della Repubblica ad interim del Venezuela, peraltro dopo proteste popolari di piazza. Siamo gli unici che hanno impedito all'Ue di riconoscere Guaidò, ponendo di fatto un veto. Siamo in presenza del sottosegretario Manlio Di Stefano che ha guidato la delegazione per i funerali di Chavez e che ha presentato, durante la scorsa legislatura, una risoluzione in cui si sostiene che il Venezuela sarebbe una democrazia avanzata nel contrasto alla povertà. Lo vadano a raccontare a quei bambini che nascono e vengono collocati nelle scatole di cartone, come facevamo in Italia con i gattini negli anni settanta!".
Insomma, le vostre considerazioni geopolitiche non trovano sostegno da parte grillina...
"Personalmente, ho portato avanti tutta una serie di risoluzioni di condanna, da quella sulla incarcerazione dei deputati a quella riguardante il trattamento subito dai giornalisti, passando per quella inerente agli spari contro convogli umanitari che trasportavano medicinali sul confine. Maduro gli ha sparato contro come se quei veicoli trasportassero i germi del capitalismo. La Farnesina non ma hai voluto sostenere le nostre ferme condanne. A tutela dell'onorabilità del ministro Luigi Di Maio, ho sempre eccepito la sua parziale incapacità d'intendere e di volere. Ma, in questo caso, l'alternativa all'ipotesi della dazione di denaro è il vizio totale di mente, quando siamo l'unica nazione che non condanna questo regime brutale, autoritario e sanguinario. Ci sono gravi e circostanziati indizi che questa dazione di denaro.... . Un po' perché viene detto dall'ex capo dell'intelligence, un po' perché oggi, dopo le dichiarazioni di Di Maio sul "fake, la procura ha aperto un fasciolo... . E poi rimangono evase le domande sulla nostra politica europea che rimane unica nel panorama europeo".
Fdi insisterà sulla commissione d'inchiesta...
"La commissione d'inchiesta giace dal 15 giugno del 2020. Visto che il MoVimento 5 Stelle continua a sostenere che si tratti di un "fake", con la commissione avrebbero la straordinaria occasione di appoggiare la calendarizzazione della commissione in velocità e poter dimostrare, urbi et orbi, che loro non c'entrano nulla. Ma al momento c'è un'opaca resistenza da parte del mondo pentastellato. Con tutta evidenza, il perché può risiedere nel potere della commissione d'inchiesta, che in certi casi può avere persino facoltà più penetranti di una procura. Evidentemente è una pentola che non dev'essere scoperchiata. Non basta dire "è un fake" e "faremo le querele". Anche perché, lo dico da avvocato penalista, per quanto io creda nella presunzione d'innocenza, devo però registrare che tutti, colpevoli e innocenti, dicono sempre "non è vero". A volte non basta, in specie quando ci sono delle gravi chiamate in causa di responsabilità, come nel caso di un ex numero uno dell'intelligence militare chavista".
Con Giuseppe Conte leader non è cambiato nulla: la linea geopolitica grillina è sempre quella.
"L'unica svolta è essere passati, mi si conceda la battuta, da "onestà, onestà, onestà" ad "omertà, omertà, omertà". Per quanto riguarda l'asse geopolitico, siamo sempre al fianco del male. In America latina i grillini non hanno abbandonato Maduro, mentre siamo stati gli Efialte della nostra civiltà con la sottoscrizione della via della seta, concedendo alla Cina la penetrazione industriale nel nostro tessuto europeo, italiano ed occidentale. Lo scontro con la Cina è tale per cui la terza guerra mondiale rischia di essere combattuta sul piano produttivo e su quello economico, con una strenua difesa del nostro settore industriale. Ma noi siamo sempre dalla parte sbagliata: questo è vero da quando Di Maio ed i Cinque stelle flagellano la politica estera italiana".
La stampa italiana, sul caso Venezuela, è un po' dormiente...
"La stampa italiana è incredibilmente silente verso questa storia del Venezuela. Mi ricordo invece che non ha riservato un uguale trattamento alla Lega per quanto riguardava l'ipotesi dei rubli di Savoini e così via. Voglio sperare che la Lega chieda, per il MoVimento 5 Stelle, uguale trattamento, e cioè trasparenza totale su quello che è accaduto. Anche perché, in questo caso, la faccenda riguarderebbe il principale partito italiano che detiene saldamente le chiavi della Farnesina nelle sue mani. E quindi si salderebbe il tema del presunto finanziamento illecito con la presunta interferenza nella politica estera italiana".
La prima Repubblica è caduta proprio su tematiche attinenti ai finanziamenti...
"Si vede che la prima Repubblica aveva una dignità maggiore nel voler risolvere questi temi piuttosto che sbrigarsela con un post su Facebook in cui si scrive che è "un fake". L'unico vero "fake" è che al governo dell'Italia ci sia chi per politica industriale usa il reddito di cittadinanza ed in politica estera è al fianco degli ayatollah, criminali come Maduro e dei cinesi. Non dimentichiamoci che, durante, ahinoi, il governo gialloverde, c'è stata una fase in cui si è ragionato persino sul vendere il nostro debito pubblico in Cina. Il MoVimento 5 Stelle è sempre al fianco di tutto ciò che è anti-Italia, anti-Europa ed anti-occidente".
Francesco Boezi. Sono nato a Roma il 30 ottobre del 1989, ma sono cresciuto ad Alatri, in Ciociaria. Oggi vivo in Lombardia. Sono laureato in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali presso la Sapienza di Roma. A ilGiornale.it dal gennaio del 2017, mi occupo e scrivo soprattutto di Vaticano, ma tento
Luigi Ferrarella per il “Corriere della Sera” il 30 ottobre 2021. «Sono tutte falsità, il "Pollo" sta parlando in Spagna solo per cercare di non essere estradato negli Stati Uniti, e noi in Venezuela ribadiamo che il governo non ha avuto alcun legame col Movimento 5 Stelle, che rispettiamo ma col quale non c'è stato nessun passaggio di denaro». Il console venezuelano Gian Carlo Di Martino, 55enne ex sindaco della città di Maracaibo, reagisce così al piccolo sussulto in questi giorni del fascicolo aperto da un anno e mezzo dalla Procura di Milano per le ipotesi di riciclaggio e finanziamento illecito a partito nel presupposto che il Movimento 5 Stelle abbia ricevuto nel 2010 tre milioni e mezzo di fondi neri dal governo di Chavez. Allo stato l'ipotesi trova linfa per lo più in quanto scritto nell'estate 2020 dal giornalista del quotidiano spagnolo ABC , Marcos Garcìa Rey, che affermava (e che mesi fa, difeso dagli avvocati Luigi Isolabella e Maria Beatrice Lanzavecchia nella querela per diffamazione sporta da Davide Casaleggio, ha ribadito anche al procuratore aggiunto milanese Maurizio Romanelli e alla pm Cristiana Roveda) di essersi basato su un documento dei servizi segreti venezuelani: una carta secondo la quale Nicolás Maduro, all'epoca ministro degli Esteri di Hugo Chavez, avrebbe autorizzato la consegna, appunto tramite il console del Venezuela a Milano, di una valigetta con 3,5 milioni di euro al defunto Gianroberto Casaleggio, indicato nel documento come «promotore di un movimento di sinistra rivoluzionario e anticapitalista nella Repubblica Italiana». «Quel documento è un falso», nega il console, che afferma di nemmeno aver mai conosciuto sia Casaleggio padre sia Casaleggio figlio. Il fatto che Di Martino sia sinora l'unico indagato a Milano era emerso nei giorni scorsi quando ancora i giornali iberici avevano scritto che in Spagna (ma su mandato degli Stati Uniti per vicende di droga) era stato arrestato il generale ex capo dell'intelligence venezuelana, Hugo Armando Carvajal, detto «El Pollo »; e che ai giudici spagnoli costui avrebbe già iniziato a confermare una politica di finanziamenti illeciti del Venezuela a diversi movimenti politici nel mondo, tra i quali Podemos in Spagna e appunto i 5 Stelle in Italia. Da qui la decisione della Procura di Milano di provare a chiedere alla Spagna, attraverso un ordine di investigazione europeo, la possibilità di interrogare «il Pollo» per verificare se davvero disponga di informazioni credibili in questo senso. Peraltro il fatto storico asserito dal quotidiano spagnolo ed evocato dal generale venezuelano sarebbe, se calato nel mondo del diritto penale italiano, già prescritto, visto che l'eventuale finanziamento illecito risalirebbe a oltre 11 anni fa. «Questa storia ha ripreso colore dopo un anno e mezzo - è l'opinione che ieri Di Martino affida all'Agi - dopo le dichiarazioni in Spagna del generale Carvajal, che per il Venezuela è un agente della Cia che ha tradito Chavez, e che sta facendo queste dichiarazioni solo per evitare l'estradizione» negli Usa, barattando ció con la conferma della pista dei finanziamenti governativi a movimenti «rivoluzionari» in giro per il mondo. Come spesso in vicende dove inchieste penali intersecano politica, diplomazia e intelligence di Paesi stranieri, anche in questo caso non manca la sensazione di specchi e controspecchi. Basti pensare che due anni fa proprio a Milano Di Martino era stato al centro di una richiesta di archiviazione, poi respinta dal giudice che aveva ordinato l'imputazione coatta, per la denuncia per stalking presentata da due dipendenti del consolato, le quali prospettavano che il console maneggiasse denaro con procedure non trasparenti e per finalità differenti da quelle ufficiali.
Giuliano Foschini e Luca De Vito per “la Repubblica” il 30 ottobre 2021. La rogatoria è stata trasmessa agli spagnoli. E i magistrati della procura di Milano sperano di poter fare in fretta. Perché nella storia raccontata da "el Pollo", cioè Hugo Carvajlo, ex capo dell'intelligence venezuelana del presidente Hugo Chavez, arrestato in Spagna e in via di estradizione negli Stati Uniti, ci sono delle domande che è necessario che vengano fatte e le cui risposte potrebbero avere un rumore importantissimo in Italia. Quella della grande calunnia. O quello della valanga: chi ha detto al "Pollo" che il governo venezuelano ha finanziato nel 2010 con 3,5 milioni di euro il Movimento 5stelle di Gianroberto Casaleggio? Cosa sa degli altri contatti, raccontati ai magistrati da alcuni testimoni, dell'allora governo venezuelano con persone vicine al Movimento? E ancora: quanto sono durati? Le domande sono importanti perché raccontano una storia che, fino a oggi, era rimasta silenziosa. Questa: dopo le rivelazioni del quotidiano spagnolo Abc - che aveva pubblicato un documento nel quale si raccontava di soldi dati dal governo venezuelano a una serie di partiti e movimenti europei, tra cui appunto i 5 Stelle - la procura di Milano ha aperto un'inchiesta, seguita dal procuratore aggiunto Maurizio Romanelli e dalla pm Cristiana Roveda. Indagine che fin qui si è mossa su due fronti: accertare la veridicità del documento ma anche, dopo la denuncia di Davide Casaleggio, figlio di Gianroberto, una possibile diffamazione. Per farlo sono stati ascoltati alcuni vecchi dirigenti 5S (la storia fa riferimento al 2010), lo stesso giornalista spagnolo. Ed è stata affidata una delega alla Guardia di finanza. Contemporaneamente, come ha dato notizia ieri Repubblica , è stato iscritto nel registro degli indagati il console venezuelano in Italia, Gian Carlo Di Martino, che secondo le accuse di El Pollo su ordine dell'ex ministro Tareck el Aissami e dell'allora cancelliere Nicolàs Maduro avrebbe consegnato la valigetta a Casaleggio. Per lui le accuse sono di riciclaggio e finanziamento illecito. «Tutte falsità - ha spiegato ieri Di Martino - Carvajal fa quelle dichiarazioni soltanto per evitare l'estradizione. Il documento che produce è falso: non c'è stato mai alcun legame con il Movimento e soprattutto nessun passaggio di denaro». In realtà, anche alla nostra intelligence risultano negli anni dei rapporti tra il governo venezuelano e persone vicine ai 5 Stelle, ma senza alcuna conferma su passaggi di soldi. Intelligence che però ha da tempo acceso i riflettori sul riciclaggio di denaro nel nostro Paese da parte degli uomini di Chavez. Il caso più clamoroso è quello di Alex Saab, imprenditore colombiano di origini libanesi, considerato dai governi di mezzo mondo come il prestanome di Maduro. L'uomo è indagato a Roma per riciclaggio e, con lui, la sua fidanzata, la modella Camila Fabbri, oltre al fidanzato della sorella. È proprio il cognato che costruisce, verosimilmente sotto il controllo di Saab, un complesso sistema di società e scatole cinesi, grazie al quale riesce a far transitare sull'asse Spagna-Austria-Italia, con destinazione Russia, circa tre milioni di euro in poco più di un anno. Questi, per lo meno, sono i soldi che riesce a tracciare la Guardia di Finanza. Che, ora, però sta cercando di capire da chi, dove e come siano passati i soldi dell'ex governo venezuelano nel nostro Paese.
Venezuela, i pm sui 5S. Quell'inchiesta segreta sulla caccia al tesoro. Luca Fazzo il 29 Ottobre 2021 su Il Giornale. Da un anno si indaga sul presunto finanziamento ai grillini: tutto top secret. E adesso in Italia parte la caccia al tesoro nascosto del Movimento 5 Stelle. Perché se davvero, come raccontano le rivelazioni dell'ex 007 venezuelano Hugo Carvajal, valigie di soldi sono state consegnate presso il consolato a Milano della repubblica sudamericana al «guru» dei grillini Gian Roberto Casaleggio, l'unica certezza è che quei soldi non si possono essere volatilizzati. Così per capire davvero cosa è successo l'unica soluzione è andare a frugare in quel mondo sconosciuto e sommerso che è la contabilità della macchina da guerra grillina, dove gli affari privati di Rousseau si mischiavano ai movimenti di cassa del partito. È questa la strada maestra dell'indagine che la Procura di Milano sta conducendo sotto traccia ormai da un anno, aperta subito dopo che la storia del malloppo di petrodollari arrivati a Milano era finita sulla prima pagina del giornale spagnolo Abc. È una inchiesta complicata che in Procura viene paragonata ad un'altra indagine sul lato oscuro della politica, quella sui finanziamenti russi alla Lega: «Un Russiagate in salsa grillina», lo definiscono al quarto piano del palazzaccio milanese. La differenza, a voler puntualizzare, è che l'indagine sui faccendieri moscoviti vicini al Carroccio è stata condotta con strepito di trombe e titoloni fin dall'inizio, mentre il fascicolo aperto un anno fa sulle mazzette targate Maduro è rimasto lontano dai riflettori fino a ieri. La sua esistenza viene rivelata da uno scoop della Stampa, quando ormai - a urne chiuse da ormai quasi un mese - il pasticcio non può più danneggiare le sorti elettorali dei grillini. Ma si tratta ovviamente di una coincidenza. Il fascicolo di indagine è gestito dal pool di Maurizio Romanelli, il procuratore aggiunto specializzato in reati contro la pubblica amministrazione, e vede uno o più nomi iscritti nel registro degli indagati per i reati di riciclaggio e finanziamento illecito. Il reato cruciale è il primo, il riciclaggio, sia perché ipotizza che ad arrivare nel consolato milanese siano stati soldi di provenienza delittuosa, sia perché è indispensabile per evitare che l'intera vicenda, risalente al 2010, sia coperta dalla prescrizione. Un anno fa, quando uscì l'articolo di Abc, il procuratore Francesco Greco aveva detto che a una prima valutazione la vicenda «non sta in piedi» e che comunque il finanziamento illecito era prescritto ormai dal 2016. All'epoca era stata resa nota l'esistenza di una indagine «conoscitiva», senza reati nè indagati. Invece, in silenzio, l'inchiesta del nucleo milanese della Guardia di finanza ha dato spunti di sostanza al documento che stava alla base dell'articolo di Abc, l'appunto su carta intestata dei servizi segreti di Caracas in cui si parlava del versamento. È l'appunto che il regime venezuelano ha sempre liquidato come un falso grossolano, sottolineando al contempo come un appoggio nel 2010 ai 5 Stelle non avesse alcun senso, visti gli ottimi rapporti di Chavez e Maduro con i governi italiani dell'epoca. Ma ora è arrivata la svolta con il pentimento dello 007 Carvajal, che - anche per evitare l'estradizione negli Stati Uniti - sta collaborando con la magistratura spagnola, confermando per intero e arricchendo di dettagli quanto Abc aveva scritto un anno fa. Così il passo cruciale dell'inchiesta della Procura sarà interrogare Carvajal, per il quale è già partita una richiesta di collaborazione verso la Spagna attraverso un ordine di investigazione europeo, tuttora in attesa di risposta. Ma la partita vera, per arrivare a capirci qualcosa, è capire dove possa essere finita - ammesso che sia mai esistita - la montagna di dollari sbarcata a Milano undici anni fa.
Luca Fazzo (Milano, 1959) si occupa di cronaca giudiziaria dalla fine degli anni Ottanta. È al Giornale dal 2007. Su Twitter è Fazzus.
Venezuela, ecco il dossier che incastra i 5 Stelle sui soldi avuti da Chavez. Luca Fazzo il 30 Ottobre 2021 su Il Giornale. C'è la prova: le carte smentite dai 5s sono vere. Il console indagato è pronto a parlare con i pm. C'è un collegamento diretto tra la fase 1 e la fase 2 dello scandalo in salsa venezuelana che ha investito il Movimento 5 Stelle, sospettato dalla Procura milanese di avere incassato 3,5 milioni di finanziamento in nero dal regime di Caracas attraverso il suo console a Milano, Giancarlo Di Martino, ora indagato per riciclaggio e finanziamento illecito. Un anno fa le prime rivelazioni, con l'articolo del giornale spagnolo Abc; ora la seconda ondata, con l'arresto in Spagna dello 007 venezuelano Hugo Carvajal, che sta descrivendo l'intero sistema di «aiuti» firmati Chavez e Maduro a partiti amici qua e là per il pianeta. Carvajal, detto «el Pollo», fornisce conferme e dettagli a quanto scritto da Abc. Il motivo è semplice, secondo quanto accertato dalla Procura di Milano: era proprio «el Pollo» il destinatario del documento interno ai servizi segreti venezuelani in cui il 5 luglio 2010 si dava conto della consegna a Gianroberto Casaleggio, creatore di Rousseau e leader ombra dei grillini, di tre milioni e mezzo di dollari provenienti dai fondi riservati del paese. Il foglio proveniva dal «direttore degli affari speciali» dei servizi ed era destinato al «direttore generale dell'intelligence militare». Una indicazione che il governo venezuelano ha sempre liquidato come impropria, segno - insieme ad altri indizi come lo stemma e i timbri - della falsità del documento. Ora invece si scopre chi era il destinatario del rapporto: proprio lui, Carvajal, l'uomo allora potentissimo che oggi sta collaborando per evitare l'estradizione negli Usa. A indicare Carvajal come l'uomo a cui giunge il rapporto è stato il giornalista di Abc autore dello scoop di un anno fa, Marcos Garcia Rey, interrogato recentemente dalla Procura di Milano, cui ha consegnato una corposa memoria difensiva (era interrogato come indagato nell'ambito del procedimento scaturito da una improvvida querela per diffamazione da parte del figlio di Casaleggio). Rey ovviamente non ha rivelato chi gli ha passato il documento, ma ha spiegato di conoscere da tempo il «Pollo» e che era stato proprio quest'ultimo a ricevere nel 2010 l'appunto che raccontava della valigia di soldi a Casaleggio. Per la Procura di Milano è stato uno dei punti di svolta dell'indagine. Perché se le dichiarazioni di questi giorni di Carvajal possono sembrare l'annaspare di un uomo che rischia di finire sepolto in carcere, il memoriale di Rey proviene invece da un professionista che è apparso fin da subito ai pm scrupoloso e credibile. Anche da questo passaggio nasce la decisione del procuratore aggiunto Maurizio Romanelli di passare all'offensiva, iscrivendo nel registro degli indagati il console Di Martino per riciclaggio e finanziamento illecito. È una mossa delicata, perché il console è tutelato dalla immunità diplomatica, ma per la Procura indispensabile per chiarire la vicenda. Ieri con alcune dichiarazioni all'Agi il console ha fatto sapere di essere pronto a farsi interrogare e fornire la sua versione dei fatti. Ma a quanto pare gli inquirenti non hanno l'intenzione di sentirlo a breve. In questo momento interrogare Di Martino significherebbe dargli campo libero per offrire la sua versione senza potergli fare contestazioni precise. L'obiettivo del dottor Romanelli in questo momento continua ad essere quello di partire per la Spagna e interrogare direttamente Carvajal, utilizzando il nuovo rinvio dell'estradizione concesso ieri dalle autorità spagnole. E intanto ricostruire, nell'oscuro sistema di finanziamento dei grillini, dove potrebbero essere andati a sparire i dollari partiti da Caracas.
Luca Fazzo (Milano, 1959) si occupa di cronaca giudiziaria dalla fine degli anni Ottanta. È al Giornale dal 2007. Su Twitter è Fazzus.
La strategia dell'accusatore dei grillini: vuotare il sacco per evitare l'estradizione. Manila Alfano e Stefano Zurlo il 29 Ottobre 2021 su Il Giornale. Carvajal pronto a fare i nomi dei "complici". E chiama in causa un petroliere. Guadagna giorni. Settimane. Forse, mesi. L'ex capo dell'intelligence venezuelana Hugo Carvajal, detto «El Pollo» per ora non si muove da Madrid. Un cavillo nella procedura di estradizione, ma soprattutto la richiesta di asilo politico avanzata dai suoi legali. Carvajal è pronto a consegnare all'Audiencia Nacional i nomi dei suoi collaboratori, in pratica la rete delle spie venezuelane che per anni hanno inondato i partiti antisistema di mezzo mondo di dollari. Carvajal però chiede certezze e non è detto che il braccio di ferro si possa risolvere in breve. Anche se proprio oggi l'Audiencia Nacional potrebbe correggere l'errore e rimettere in moto immediatamente la procedura congelata. In ogni caso il caso dilaga dentro e fuori i confini del Paese: a Buenos Aires è già stato aperto un fascicolo e altrettanto, rivela ora la Stampa, è accaduto in Italia l'anno scorso. Insomma, a Madrid sono arrivate o stanno arrivando rogatorie che potrebbero mettere in imbarazzo molti leader di partiti dell'America Latina e dell'Europa. Compresi i 5 Stelle italiani che avrebbero ricevuto dieci anni fa una valigetta passata per il consolato di Milano. «Carvajal è disposto a consegnare la sua lista segreta ai magistrati spagnoli - spiega al Giornale l'avvocato María Dolores Arguelles - ma siamo in una fase di attesa. Dobbiamo capire cosa accadrà sul fronte dell'estradizione e soprattutto rispetto alla domanda di asilo che era già stata rigettata e che abbiamo riproposto in appello. Questa situazione di stallo in media dura un anno, in questo caso si potrebbe comprimere, ma comunque per completare tutti i passaggi ritengo ci vogliamo almeno tre mesi». Una partita che è insieme politica e giudiziaria e che dunque non offre certezze perché un colpo di scena in un senso o nell'altro è sempre possibile. E il destino dell'ex generale è perfettamente in bilico. Lui intanto affina la strategia e lascia filtrare qualcosa dai suoi cassetti: una somma importante sarebbe andata in Spagna a Podemos, ma non solo: 21 valigette sarebbero atterrate all'aeroporto di Buenos Aires e sarebbero arrivate al partito dei Kirchner. C'è poi la ormai famosa donazione a Gianroberto Casaleggio che il figlio Davide nega sdegnato. In contemporanea, Carvajal disegna a grandi linee l'organigramma degli 007 impegnati in quella politica di «destabilizzazione», di cui ha parlato proprio al Giornale il deputato dell'opposizione Armando Armas. Ecco che sul piatto Carvajal mette il nome potente e temuto di Rafael Ramirez, l'ex numero uno dell'ente petrolifero di Stato, il bancomat di Chavez e Maduro. A un certo punto Ramirez avrebbe rotto con il governo ed è scappato a Roma dove vive indisturbato e rispettato. Ora Carvajal lo chiama in causa e fa intendere che più di un'operazione è stata condivisa. Come andrà avanti la magistratura spagnola? Impossibile sapere se quella italiana abbia già provato a sondare proprio Ramirez. Di sicuro, i pm di Milano hanno già ascoltato, attraverso la polizia giudiziaria, Giovanni Favia, ex leader politico dei 5 Stelle poi espulso da Grillo. «Fui contattato da personale diplomatico venezuelano- conferma al Giornale - perché il regime voleva un contatto autorevole con il Movimento. Io a mia volta li misi in relazione con la Casaleggio Associati e con Grillo. Poi non so cosa sia successo, ma posso dire che l'anno scorso, subito dopo aver raccontato ai giornali la mia esperienza, sono stato ascoltato come testimone nel procedimento milanese».
Manila Alfano e Stefano Zurlo
La Procura vuole interrogare Carvajal. Presunti soldi dal Venezuela al M5S, indagato il console Di Martino: sarebbe “l’intermediario” della valigetta da 3,5 milioni ai grillini. Carmine Di Niro su Il Riformista il 29 Ottobre 2021. Nell’inchiesta della Procura di Milano sul presunto finanziamento illecito al Movimento 5 Stelle con soldi provenienti dal regime venezuelano di Hugo Chavez c’è un primo indagato. Si tratta del console del Venezuela nel capoluogo lombardo, Gian Carlo Di Martino: sarebbe stato lui infatti l’intermediario tra Chavez e i pentastellati per consegnare la presunta valigia diplomatica contenente 3,5 milioni di euro finita a Gianroberto Casaleggio, lo scomparso co-fondatore del Movimento. Uno scambio che sarebbe avvenuto nel 2010, il 12 aprile, nell’anno in cui Di Martino sbarca a Milano dopo essere stato sindaco di Maracaibo, sua città d’origine. Una ricostruzione dei fatti finita lo scorso anno sul quotidiano spagnolo Abc e costata all’autore dell’articolo, il giornalista Marcos Garcìa Rey, una querela da parte del figlio di Casaleggio, Davide, che ha sempre ribadito che il documento dei servizi segreti venezuelani che tira in ballo il padre sia un falso messo in circolazione per infangarne la memoria. Rey era stato sentito dai magistrati come indagato, in quanto querelato da Casaleggio, rivendicando però ai pm la validità del suo lavoro giornalistico e del documento pubblicato su Abc, parlando anche di contatti con 007 venezuelani che gli avrebbero confermati il quadro. Secondo Marcos Garcìa Rey e quell’atto diffuso dal quotidiano, nel giugno 2020, l’allora cancelliere del regime chavista Nicolas Maduro e l’ex ministro Tareck el Aissami, avevano autorizzato la consegna tramite il console del Venezuela a Milano Gian Carlo Di Martino di una valigetta contenente 3,5 milioni di euro, destinata a Casaleggio senior. Fatti che, va specificato, risalendo al 20120 sarebbero comunque già prescritti. Anche Di Martino, già intervistato dai giornali ai tempi in cui esplose lo scandalo per l’articolo di Abc, respinse ogni accusa sostenendo di non aver mai neanche conosciuto i Casaleggio, padre e figlio. Sulla posizione di Di Martino, al momento non sentito nell’indagine, influiscono comunque le questioni legate all’immunità diplomatica. Per i pm milanesi Maurizio Romanelli e Cristiana Roveda il compito di accertare se esiste una verità nelle accuse formulate in quel documento e confermate nelle scorse settimane da Hugo Armando Carvajal, ex capo dei servizi segreti militari del governo di Caracas che dalla Spagna ha rivolto le stesse accuse a Casaleggio. ‘El Pollo’, come viene chiamato l’ex generale chavista, è stato arrestato in Spagna su mandato degli Stati Uniti in virtù di un mandato di cattura del 2011 emesso da Washington, dove è accusato di narcotraffico e appartenenza al crimine organizzato. Carvajal è finito in manette il 9 settembre scorso mentre si nascondeva in un appartamento di Madrid, tentando poi la carta dell’asilo politico nel paese iberico per evitare l’estradizione negli States, ma soprattutto iniziando a parlare con gli inquirenti spagnoli in merito a presunti finanziamenti del regime a partiti ‘di sinistra’, dai 5 Stelle a Podemos. Magistrati milanesi che, a proposito di Carvajal, attendono riscontri dalla Spana per capire se le autorità giudiziarie daranno il via libera all’interrogatorio dell’ex capo dei servizi segreti militari, chiesto tramite un ordine di investigazione europea (Oie), una sorta di rogatoria internazionale. Una volontà, quella dei pm meneghini di ascoltare ‘El Pollo’, anche per capire se vi siano stati altri presunti finanziamenti illeciti sull’asse Caracas-M5S dopo il 2010 o altri intermediari/destinatari.
Carmine Di Niro. Romano di nascita ma trapiantato da sempre a Caserta, classe 1989. Appassionato di politica, sport e tecnologia
Chiesta rogatoria internazionale. Soldi di Chavez al Movimento 5 Stelle, i pm di Milano ‘volano’ a Madrid per interrogare Carvajal. Aldo Torchiaro su Il Riformista il 10 Novembre 2021. Sul caso Venezuela-M5S sembra destinato a diradarsi il porto delle nebbie. Secondo le ammissioni dell’ex capo dei servizi segreti di Caracas, Hugo Carvajal – attualmente detenuto a Madrid – nel 2010 l’allora cancelliere del regime chavista Nicolas Maduro e l’ex ministro Tareck el Aissami, avevano autorizzato la consegna tramite il console del Venezuela a Milano Gian Carlo Di Martino di una valigetta contenente 3,5 milioni di euro, destinata a Casaleggio senior. Le autorità vogliono vederci chiaro: i servizi segreti, il Copasir, la giustizia penale si stanno muovendo. Si intuisce che si intravedono informazioni di peso: con urgenza i pm Maurizio Romanelli e Cristiana Roveda vogliono acquisire tutte le carte in possesso della magistratura iberica. Gli inquirenti hanno formalizzato una richiesta di rogatoria internazionale inviata ieri dalla Procura della Repubblica milanese. Destinatario della richiesta – pervenuta alla Sesta sezione della Corte Nazionale spagnola – è il giudice Manuel Garcia Castellòn, che sta interrogando da giorni il super testimone, Carvajal. L’indagine italiana prende le mosse da quella degli omologhi spagnoli; in Spagna il sospetto è che i fondi neri venezuelani, derivanti dalla triangolazione di petrolio e narcotraffico, siano andati a finanziare illecitamente Podemos in Spagna e M5S in Italia, così come altri partiti populisti e anti-sistema considerati particolarmente amici dal regime di Maduro. E non vi sono dubbi sull’amicizia del Movimento con il chavismo, una amicizia protrattasi nel tempo e resa manifesta attraverso interventi legislativi, associazioni di italiani all’estero, viaggi di delegazioni curiosamente folte di deputati grillini verso la Mecca di Caracas. Agli atti della rogatoria internazionale con cui si chiede di interrogare Carvajal, un documento nel quale si dava indicazione al servizio segreto venezuelano di agire “per favorire l’invio di 3.5 milioni di euro in sicurezza e in segreto al fondatore di un movimento italiano rivoluzionario e anticapitalista”. Ma anche il Copasir vuole vedere le carte e capire meglio i contorni dell’inchiesta. Così come si chiede di capire se qualche potenza straniera, come l’Arabia Saudita, abbia tentato di influenzare la politica italiana tramite consulenze e incarichi a politici italiani, il Copasir ha chiesto di acquisire il fascicolo di indagine di Milano ed i suoi aggiornamenti futuri. Alla presenza del direttore dell’Aise, generale Giovanni Caravelli, il Copasir ha affrontato le ipotesi di finanziamento illecito e riciclaggio sul caso del denaro versato dal Venezuela al M5S. “Nel corso dell’audizione del direttore dell’Aise si sono approfonditi questi casi e valutato se considerarli come possibili attività di soggetti esteri contro gli interessi nazionali italiani”. Del resto i tentativi di ingerenza straniera sono attentamente monitorati dall’intelligence. Il Copasir, da parte sua, vuole vederci chiaro ed ha fatto ricorso ad un articolo della legge di riforma dei servizi, la 124 del 2007, che gli consente di ottenere, “anche in deroga al divieto stabilito dall’articolo 329 del codice di procedura penale, copie di atti e documenti relativi a procedimenti e inchieste in corso presso l’autorità giudiziaria o altri organi inquirenti”. Dalle procure di Firenze e Milano saranno così acquisiti gli atti delle due inchieste per valutare eventuali profili di competenza del Comitato.
Aldo Torchiaro. Romano e romanista, sociolinguista, ricercatore, è giornalista dal 2005 e collabora con il Riformista per la politica, la giustizia, le interviste e le inchieste.
L'autorizzazione accordata dalla Spagna. Soldi dal Venezuela al M5s, i pm italiani possono interrogare la “gola profonda” dei 007 di Chávez. Antonio Lamorte su Il Riformista il 12 Novembre 2021. I magistrati italiani interrogheranno Hugo Armando Carvajal, anche conosciuto con il soprannome di “El Pollo”, l’uomo già a capo dei servizi di intelligence del Venezuela nel governo dell’ex Presidente Hugo Chávez, personalità una volta ai vertici della Repubblica bolivariana, indagato per narcotraffico dagli Stati Uniti, e che ai magistrati spagnoli ha raccontato di presunti finanziamenti illeciti da parte del governo latinoamericano a partiti europei come Podemos in Spagna e il Movimento 5 Stelle in Italia. A riportare la notizia è il media indipendente venezuelano El Pitazo. La Procura di Milano indaga sulle ipotesi di riciclaggio e finanziamento illecito. Il presunto intermediario indagato è il console del Venezuela a Milano Gian Carlo Di Martino. Il caso esplose in realtà un annetto fa: quando il giornalista Marcos Garcìa Rey dello spagnolo Abc pubblicò un documento inedito dei servizi segreti venezuelani con il presunto passaggio di denaro. Un articolo, e un documento, entrambi smentiti da Davide Casaleggio, figlio del co-fondatore del Movimento Gianroberto, morto nel 2016. Una “patacca”, così la definì il presidente della piattaforma Rousseau, per infangare il M5s e il padre. Il giornalista spagnolo fu denunciato per diffamazione. Il presunto passaggio di denaro sarebbe avvenuto nel 2010. 3,5 milioni di euro. Secondo Marcos Garcìa Rey e quell’atto diffuso dal quotidiano, l’allora ministro degli Esteri del regime chavista e oggi presidente, Nicolas Maduro, aveva autorizzato la consegna tramite il console a Milano Di Martino di una valigetta con i fondi destinata a Gianroberto Casaleggio. “El Pollo” Carvajal è stato arrestato in Spagna a inizio settembre, dopo due anni di latitanza, su mandato degli Stati Uniti, e lì è recluso a Estremera (Madrid). Il procuratore aggiunto Maurizio Romanelli e il pm Cristiana Roveda avevano inviato nelle scorse settimane alle autorità spagnole un ordine di investigazione europea (Oie) per poter interrogare Carvajal prima della sua probabile estradizione negli Stati Uniti, dove rischia una condanna pesantissima. L’ex capo degli 007 venezuelani è ricercato dagli USA per traffico di droga a appartenenza al crimine organizzato, perciò ha chiesto asilo in Spagna: richiesta respinta dal ministero dell’Interno come il ricorso al Tribunal Supremo del Paese iberico. I documenti che avrebbe presentato nei mesi scorsi riguarderebbero, oltre Podemos e M5s, anche finanziamenti allo scomparso ex presidente argentino Néstor Kirchner, Evo Morales in Bolivia, Inácio Lula da Silva in Brasile, l’ex vescovo Fernando Lugo in Paraguay, Ollanta Humala in Perù, Manuel Zelaya in Honduras, Gustavo Petro in Colombia. “L’ultima consegna di cui sono a conoscenza risale ai primi di luglio del 2017”, ha riferito senza specificare il presunto destinatario. La modalità delle presunte consegne: tramite “borse diplomatiche venezuelane” stracolme di soldi cash, fatti arrivare ai destinatari tramite ambasciate e consolati o tramite società di facciata o tramite l’ambasciata cubana in Venezuela. Di Martino, il console indagato, era arrivato in Italia nel 2010 dopo essere stato sindaco di Maracaibo. Ha respinto ogni accusa, negando di conoscere i Casaleggio. Stando alle tempistiche i fatti sarebbero comunque già prescritti. “Mio padre non ha mai preso denaro dal Governo del Venezuela. Già lo scorso anno si è dimostrato che il documento portato come prova era stato contraffatto con Photoshop”, ha detto all’AdnKronos Casaleggio. L’autorizzazione a interrogare Carvajal è arrivata dall’Audiencia Nacional spagnola. I pm vorrebbero capire se altri finanziamenti illeciti si sarebbero verificati dopo il 2010. Efe ha confermato che un giudice dell’Audiencia ha emesso l’ordine che autorizza i pm a recarsi in Spagna e interrogare “El Pollo”.
Antonio Lamorte. Giornalista professionista. Ha frequentato studiato e si è laureato in lingue. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Ha collaborato con l’agenzia di stampa AdnKronos. Ha scritto di sport, cultura, spettacoli.
Fondi dal Venezuela, il Copasir vuole ascoltare il giornalista dello scoop. Chiara Giannini l'11 Novembre 2021 su Il Giornale. Davvero i 5s ricevettero 3 milioni e mezzo di fondi illeciti dal Venezuela? Ma, soprattutto, il fatto potrebbe costituire un rischio per la sicurezza dell'Italia? Davvero i 5s ricevettero 3 milioni e mezzo di fondi illeciti dal Venezuela? Ma, soprattutto, il fatto potrebbe costituire un rischio per la sicurezza dwll'Italia? Sono queste le domande scaturite nel corso dell'ultimo incontro del Copasir, che indaga dopo l'apertura di un'inchiesta da parte della Procura di Milano. Da palazzo San Macuto le informazioni sono blindate. Si sa per certo che il Comitato ha richiesto le carte alla Procura e se si riterrà opportuno saranno probabilmente ascoltati il giornalista spagnolo del quotidiano Abc, primo a tirare fuori la notizia, qualche esponente del M5s e l'ambasciatore del Venezuela, visto che Hugo Armando Carvajal, ex capo dell'intelligence venezuelana, dal carcere spagnolo in cui si trova ha detto agli inquirenti che i finanziamenti ai partiti di sinistra sarebbero andati avanti fino al 2017. Il punto però è: che problemi di sicurezza nazionale potrebbero ravvisarsi in quello che di fatto non risulterebbe come un finanziamento illecito a un partito, semmai un versamento di soldi a una singola persona (Gianroberto Casaleggio)? Su questo punto c'è stata un po' di maretta. Alla Camera ieri è infatti stato presentato da Fdi, ovvero dal partito del presidente del Copasir Adolfo Urso, un ordine del giorno con cui si chiede al governo, ovvero al controllato, di fare un intervento legislativo per rafforzare i compiti del Copasir, che è organo parlamentare terzo. Una mossa che nei prossimi giorni creerà certamente attrito anche tra i partiti di centrodestra. Nel 2010, anno in cui sarebbero stati versati i 3 milioni e mezzo di euro, il Movimento era nato da poco, ma già molte ombre si annidavano. Non era chiaro chi vi fosse dietro, al di là di Grillo e Casaleggio. Si trattava di un soggetto politico che raccoglieva gente pressoché sconosciuta e la candidava in politica. Così accadde con Luigi Di Maio, Alessandro Di Battista e molti altri. Negli anni molti ex pentastellati hanno raccontato di questo sistema interno secondo cui «tutto cade dall'alto» e gli «ordini non vanno discussi». Un movimento creato in breve tempo, basato su criteri diversi da quelli dei normali partiti. Anche con agganci importanti in università, nel settore imprenditoriale e culturale. Insomma, quasi creato a tavolino. Poteva allora attirare l'attenzione del Venezuela come Carvajal dice? O fu solo un favore personale a Casaleggio? Che fine hanno fatto quei soldi? La procura di Milano ha inviato a Madrid un ordine di investigazione europeo per poter sentire Carvajal, anche perché era in carica ai tempi del governo di Hugo Chavez e poi agli inizi di quello di Nicolas Maduro. Lui ha interesse a parlare, in questa fase, anche perché vuole evitare di essere estradato negli Stati Uniti.
Chiara Giannini. Livornese, ma nata a Pisa e di adozione romana, classe 1974. Sono convinta che il giornalismo sia una malattia da cui non si può guarire, ma che si aggrava con il passare del tempo. Ho iniziato a scrivere a cinque anni e ho solcato la soglia della prima redazione ben prima della laurea. Inviata di guerra per passione, convinta che i fatti si possano descrivere solo guardandoli dritti negli occhi. Ho raccontato l’Afghanistan in tutte le sue sfumature e nel 2014 ho rischiato di perdere la vita in un attentato sulla Ring Road, tra Herat e Shindand. Alla fine ci sono tornata 13 volte, perché quando fai parte di una storia non ne esci più. Ho fatto reportage sulle missioni in Iraq, Libano, Kosovo, il confine libico-tunisino ai tempi della Primavera araba e della morte di Gheddafi e sull’addestramento degli astronauti a Star City (Russia). Sono scampata all’agguato di scafisti a Ben Guerdane, di ritorno da Zarzis, tre le poche a documentare la partenza del barconi. Ho scritto due libri: “Come la sabbia di Herat” e l’intervista al leader della Lega, dal titolo “Io sono Matteo Salvini”, entrambi per Altaforte. Sono convinta che nella vita contino solo due cose: la verità e la libertà. Vivo per raccontare il mondo, ma è sempre bello, poi, tornare a casa e prendere in mano un giornale e rileggere il tuo articolo.
Chiara Giannini per “il Giornale” il 10 novembre 2021. Il Copasir (Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica) vuol vederci chiaro sulla vicenda dei presunti fondi venezuelani versati al Movimento 5 stelle, tanto che nel corso dell'ultimo incontro ha deciso di chiedere alle procure che stanno indagando su questi filoni gli atti delle inchieste per verificare eventuali profilli di interesse del Comitato, ovvero possibili minacce alla sicurezza nazionale. Durante l'ultima riunione sono state trattate anche le vicende di Matteo Renzi legate ai compensi che il senatore ha ricevuto da Stati esteri. Dei 5 stelle si è parlato durante l'audizione di ieri al Copasir del direttore dell'Aise, Giovanni Caravelli. L'indagine verte sui reati di riciclaggio e e finanziamento illecito al partito. La procura di Milano ci sta lavorando da giugno dello scorso anno, tanto che è stato aperto un fascicolo per verificare se il nascente Movimento 5 Stelle, nel 2010, abbia veramente ricevuto tre milioni e mezzo di «fondi neri» venezuelani. A tal proposito sarà sentito dalle procure Hugo El Pollo Carvajal, l'ex capo dei servizi segreti venezuelani che fu arrestato in Spagna su ordine degli Usa. Carvajal aveva confermato ai giudici spagnoli l'ipotesi del finanziamento illecito a diversi partiti tra cui anche il Movimento 5 stelle, ma anche al Podemons spagnolo. A tirare fuori il caso fu Marcos Garcìa Rey, il giornalista dell'Abc che nel 2020 pubblicò un documento esclusivo dei servizi segreti venezuelani. Le indagini sono affidati al Nucleo di Polizia economico finanziaria della Guardia di Finanza. Ora il Copasir vuol fare giustamente chiarezza per capire se il Movimento 5 stelle abbia realmente ricevuto i 3,5 milioni di euro in maniera del tutto illecita.
Le indagini si allargano. Renzi e 5 Stelle nel mirino del Copasir: chiesti atti alle procure su compensi dell’ex premier e rapporti col Venezuela dei grillini. Carmine Di Niro su Il Riformista il 9 Novembre 2021. Chiarimenti alle Procure che si stanno occupando delle due inchieste. È la richiesta arrivata nel corso dell’audizione odierna del Copasir, il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica, in merito ai compensi che Matteo Renzi ha ricevuto da Stati esteri, in particolare l’Arabia Saudita, e dai rapporti tra Movimento 5 Stelle e Venezuela e i presunti fondi illeciti ricevuti nel 2010 dal partito fondato da Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio. Il Copasir ha chiesto, alle procure che stanno indagando su questi filoni, gli atti delle inchieste: l’obiettivo è quello di verificare eventuali profilli di interesse del Copasir, ovvero possibili minacce alla sicurezza nazionale. Una mossa che non sorprende. Nei giorni scorsi Elio Vito, deputato di Forza Italia e componente del Copasir, aveva auspicato che il Comitato si occupasse in particolare del caso Renzi per “i profili attinenti la sicurezza nazionale” derivanti dal finanziamento da parte di Stati esteri, in particolare l’Arabia Saudita di Mohammad bin Salman, come speaker di eventi internazionali. L’Ansa riferisce che durante la riunione, in cui è intervenuto il direttore dell’Aise (Agenzia informazioni e sicurezza esterna) Giovanni Caravelli, si è discusso della possibilità che alcuni Stati intendano, attraverso questi rapporti con figure politiche italiane, influenzare gli indirizzi dell’Italia. Stessa motivazione che ha spinto il Copasir ad occuparsi anche del caso M5S-Venezuela e dell’inchiesta della Procura di Milano che sta indagando con le ipotesi di finanziamento illecito e riciclaggio sul caso: la storia è quella già raccontata lo scorso anno dal quotidiano spagnolo Abc dei 3,5 milioni di euro in contanti che nel 2010 sarebbero arrivati dal Venezuela al fondatore del Movimento, Gianroberto Casaleggio. Il Comitato parlamentare quindi, facendo ricorso ad un articolo della legge di riforma dei servizi, la 124 del 2007, che gli consente di ottenere, “anche in deroga al divieto stabilito dall’articolo 329 del codice di procedura penale, copie di atti e documenti relativi a procedimenti e inchieste in corso presso l’autorità giudiziaria o altri organi inquirenti“.
Carmine Di Niro. Romano di nascita ma trapiantato da sempre a Caserta, classe 1989. Appassionato di politica, sport e tecnologia
Venezuela, la lista segreta dell'accusatore dei grillini. Manila Alfano e Stefano Zurlo il 28 Ottobre 2021 su Il Giornale. L'ex capo degli 007 di Caracas pronto a fare i nomi. I giudici spagnoli bloccano l'estradizione. I nomi in cambio di protezione. Hugo Carvajal un piede già sull'aereo per gli Stati Uniti, gioca l'asso davanti ai giudici di Madrid: «Sono pronto a fare i nomi degli agenti che distribuivano le mazzette». In pratica l'ex numero uno degli 007 venezuelani, fa balenare la lista segreta dei contributi ai partiti anti sistema di mezzo Mondo e proprio in extremis l'estradizione viene sospesa. Niente game over. La partita resta aperta, apertissima, metà sul piano politico e metà sul piano giudiziario. I giudici spagnoli si attaccano a un cavillo, un vizio di forma provvidenziale, che blocca- almeno per ora- il procedimento e nei prossimi giorni l'interrogatorio riprenderà. Insomma, Carvajal ha o dovrebbe avere come tutte le spie che si rispettano più di un segreto custodito nei suoi cassetti, è probabile che sappia con precisione a chi sono finite le decine di milioni di dollari ed euro elargiti per anni e anni dal regime venezuelano, prima nell'era Chavez e poi in quella di Maduro. Ma l'ex generale procede per gradi: «Vi darò i nomi dei collaboratori, dei miei sottoposti che tenevano i rapporti con gli altri Paesi» ma è evidente che la lista- nomi del regime e relative destinazioni- è oggetto ora di una contrattazione. A quanto emerso fino ad ora, la rete di Carvajal avrebbe elargito cifre astronomiche un po' ovunque. Tre milioni e mezzo sarebbero arrivati anche in Italia a sostegno dei 5 Stelle, nelle mani di Gianroberto Casaleggio, il figlio Davide però smentisce su tutta la linea e minaccia querele. Altre movimentazioni sorprendenti stanno emergendo però in altri Paesi. È il caso di Podemos in Spagna, ma non solo, c'è la storia quasi incredibile dei fondi illeciti smistati in Argentina: 21 milioni di dollari inviati dentro valigette su altrettanti voli dal Venezuela per Buenos Aires «consegne tutte filate lisce come l'olio con funzionari aeroportuali pagati per non fare storie» rivela Carvajal. E ancora i fondi inviati all'Ecuador, e poi anche quei 3 milioni e mezzo che sarebbero stati inviati al Movimento 5 Stelle, denaro in contante dentro alle solite valigette. Oggi siamo davanti a un bivio, Carvajal è pronto a vuotare il sacco entrando nei dettagli, ma chiede una sorta di immunità, o meglio non vuole assolutamente finire nelle inospitali carceri americane. La lista segreta con i nomi nero su bianco «sarebbe già pronta» e se interrogate - fa intendere lui- queste persone potrebbero confermare quello che ha già detto, ma non solo, aggiungere nuove informazioni, ampliare il discorso.
Sono tanti i nomi di spicco che rimbalzano, come quello di Josè Luis Zapatero, Carvajal potrebbe a questo punto chiarire il mistero dell'ipotetica miniera d'oro che sarebbe intestata proprio all'ex premier spagnolo. Un'accusa tutta da dimostrare. In queste settimane è tutto un grande andirivieni dei suoi avvocati che stanno portando in Tribunale i documenti, le carte con i nomi dei dirigenti di partito coinvolti in operazioni opache, azioni di corruzione del regime venezuelano. Un giallo, un mistero che ha tutta l'aria di essere solo all'inizio ma che potrebbe creare un vero e proprio terremoto politico internazionale.
Monica Serra per "La Stampa" il 28 ottobre 2021. Riciclaggio e finanziamento illecito al partito. Sono queste le ipotesi di reato su cui sta lavorando la procura di Milano che, già a giugno 2020, ha aperto un fascicolo per verificare se il nascente Movimento 5 Stelle, nel 2010, abbia ricevuto tre milioni e mezzo di «fondi neri» venezuelani. E ora punta a interrogare Hugo El Pollo Carvajal, l'ex capo dei servizi segreti venezuelani arrestato in Spagna su mandato degli Stati Uniti, che già al giudice spagnolo ha confermato i presunti finanziamenti illeciti del Venezuela a diversi movimenti politici come Podemos in Spagna e i 5 Stelle in Italia. Prima ancora che la notizia venisse riportata da diversi giornali spagnoli, a fare il nome di El Pollo ai magistrati italiani, che da oltre un anno indagano nel più assoluto silenzio, è stato Marcos Garcìa Rey, il giornalista dell'Abc che l'anno scorso ha fatto esplodere lo scandalo, pubblicando un documento inedito dei servizi segreti venezuelani. Secondo quanto si legge nell'atto, Nicolas Maduro, all'epoca ministro degli esteri di Hugo Chavez, aveva autorizzato la consegna, tramite il console del Venezuela a Milano, Gian Carlo Di Martino, di una valigetta carica di 3,5 milioni di euro al defunto Gianroberto Casaleggio, il «promotore di un movimento di sinistra rivoluzionario e anticapitalista nella Repubblica Italiana». Rey è stato denunciato per diffamazione da Davide Casaleggio, che lo accusa di aver infangato il nome del padre, fondatore del Movimento 5 Stelle. Assistito dagli avvocati Luigi Isolabella e Maria Beatrice Lanzavecchia, è stato interrogato qualche settimana fa. Non ha rivelato il nome della fonte che gli ha fatto avere quel documento, ma ha messo in fila tutte le verifiche che ha fatto prima di pubblicarlo. E, tra le persone e le autorità sentite, ci sarebbe stato proprio El Pollo, con cui Rey sarebbe sempre rimasto in contatto. Qualche giorno dopo, i quotidiani spagnoli hanno pubblicato le rivelazioni dell'ex direttore dell'intelligence venezuelana, che sarà estradato negli Stati Uniti. Ma, da quel che emerge, già lunedì sarebbe arrivato alle autorità spagnole un ordine di investigazione europea (Oie), una sorta di rogatoria, che porta le firme del procuratore aggiunto Maurizio Romanelli e del pm Cristiana Roveda. Un atto che svela le accuse ipotizzate in Italia: riciclaggio e finanziamento illecito al partito. Anche perché non è detto, e da quel che si sa El Pollo non lo avrebbe escluso, che dopo il 2010 (per cui parte delle accuse sarebbero già prescritte) non ci siano stati altri presunti finanziamenti illegali sull'asse Venezuela - 5 Stelle. Sull'inchiesta e sull'ordine di investigazione in procura vige il più assoluto riserbo, nessuno conferma o smentisce. Ma ora è evidente che l'obiettivo dei magistrati sia quello di interrogare El Pollo prima della sua estradizione negli Usa. E cercare anche nella documentazione che sostiene di possedere conferme alle accuse. Le indagini affidate al Nucleo di polizia economico finanziaria della Gdf puntano ad accertare il presunto finanziamento, a capire il ruolo del console Di Martino e degli altri eventuali intermediari intervenuti, chi avrebbe ricevuto i 3,5 milioni di euro in Italia oltre al defunto Casaleggio e per quale fine siano stati utilizzati. Soprattutto se ci sono altri e più recenti episodi su cui indagare.
SOLDI AI CINQUE STELLE IL CONSOLE VENEZUELANO È IL PRIMO INDAGATO. Monica Serra per "la Stampa" il 29 ottobre 2021. C’è già un nome finito nel registro degli indagati. È quello del console del Venezuela a Milano Gian Carlo Di Martino. Sarebbe stato lui, infatti, il presunto intermediario del finanziamento illecito al Movimento Cinque Stelle. E proprio sulla rete degli intermediari si concentrano le indagini dei magistrati, in attesa di sapere se la Spagna darà il via libera all’interrogatorio dell’ex capo degli 007 venezuelani Hugo «El Pollo» Carvajal che, con la sua testimonianza e i documenti che avrebbe in mano, sta già facendo tremare Podemos. La presunta valigia diplomatica con 3, 5 milioni di euro per finanziare il M5S, secondo quanto ricostruito dall’Abc, sarebbe rimasta nelle mani del console Di Martino, prima di finire in quelle del defunto Gianroberto Casaleggio, «promotore di un movimento di sinistra, rivoluzionario e anticapitalista». Lo scambio sarebbe avvenuto nel 2010, proprio l’anno in cui, il 12 aprile, Di Martino è arrivato a Milano, dopo essere stato sindaco di Maracaibo, sua città d’origine. Cinquantasei anni, tuttora in carica, intervistato già a giugno 2020, quando è esploso lo scandalo, Di Martino ha sempre respinto ogni accusa, sostenendo di non aver mai neanche conosciuto i Casaleggio, né Gianroberto, morto nel 2016, né Davide, che ora battaglia a colpi di querele per difendere il nome del padre. L’aggiunto Maurizio Romanelli e il pm Cristiana Roveda in questo fascicolo ipotizzano le accuse di riciclaggio e finanziamento illecito al partito. Ma, da quel che si sa, Di Martino non è nuovo alle aule di giustizia milanesi. Due anni fa è finito sotto processo, con un’imputazione coatta del gip, per stalking su due donne: una collega e una dipendente del consolato. Minacce e persecuzioni che si sarebbero scatenate, a leggere la denuncia presentata nel 2017, proprio quando le vittime hanno sollevato dubbi sulla sua gestione delle finanze «attraverso procedure che non rispettavano i protocolli interni ed erano sbagliate». I fatti denunciati risalgono a gennaio 2016. Periodo in cui la collega di Di Martino avrebbe rilevato «profonde irregolarità amministrative che fanno pensare a un’appropriazione indebita dei fondi dello Stato venezuelano». Si parla di persone assunte in nero, stipendi elargiti anche a chi di fatto non lavorava, addirittura spese messe a bilancio per una cerimonia mai tenuta, con tanto di fotografi, interpreti e catering per le autorità milanesi. «In realtà ho sempre avuto i sospetti che i soldi che arrivavano dal Venezuela venissero destinati ad altre cose di carattere non istituzionale ma prima non ho potuto verificarlo personalmente», ha messo a verbale la collega che all’epoca segnalò le presunte irregolarità al ministero degli Esteri venezuelano, dando il via a indagini amministrative contro Di Martino. Ma né quelle né il processo penale sembrano aver interferito in alcun modo sulla sua carriera diplomatica. Il console, nel corso delle indagini del Nucleo di polizia economico finanziaria della Gdf, non sarebbe mai stato interrogato. Sono invece già stati sentiti come persone informate sui fatti alcuni esponenti del M5S, a cui è stato chiesto di ricostruire la natura dei loro rapporti con Maduro e col Venezuela.
Massimiliano Panarari per "la Stampa" il 29 ottobre 2021. Come si dice in questi casi, la giustizia faccia il suo corso. Ma la spy-story che arriva dal Venezuela chavista è l'ennesima picconata alla mitologia pentastellata. Di più, la nemesi finale per l'ex movimento degli Incorruttibili che vinceva urlando nelle piazze «onestà, onestà!» e «uno vale uno» (salvo, dettaglio trascurabile, essere di fatto un partito cesaristico). E, allora, si lascino indagare i giudici, come invocano i 5 Stelle diventati repentinamente alfieri del garantismo prêt-à-porter (e pro domo sua). Ma la storiaccia c'è tutta proprio sul piano etico, oltre che politico (con lo scambio di amorosi sensi tra il grillismo e un regime autocratico). Così, dalla mancata rendicontazione di certe spese degli eletti si è finiti ai presunti fondi neri dei nemici dell'Occidente. Se la moglie di Cesare deve essere al di sopra di ogni sospetto, figurarsi il figlio del cofondatore. Trasparenza: e il naufragar m' è dolce in questo oceano Atlantico..
Soldi venezuelani ai Cinque Stelle ora i pm indagano per riciclaggio. Monica Serra il 28 Ottobre 2021 su La Stampa. Riciclaggio e finanziamento illecito al partito. Sono queste le ipotesi di reato su cui sta lavorando la procura di Milano che, già a giugno 2020, ha aperto un fascicolo per verificare se il nascente Movimento 5 Stelle, nel 2010, abbia ricevuto tre milioni e mezzo di «fondi neri» venezuelani. E ora punta a interrogare Hugo El Pollo Carvajal, l’ex capo dei servizi segreti venezuelani arrestato in Spagna su mandato degli Stati Uniti, che già al giudice spagnolo ha confermato i presunti finanziamenti illeciti del Venezuela a diversi movimenti politici come Podemos in Spagna e i 5 Stelle in Italia. Prima ancora che la notizia venisse riportata da diversi giornali spagnoli, a fare il nome di El Pollo ai magistrati italiani, che da oltre un anno indagano nel più assoluto silenzio, è stato Marcos Garcìa Rey, il giornalista dell’Abc che l’anno scorso ha fatto esplodere lo scandalo, pubblicando un documento inedito dei servizi segreti venezuelani. Secondo quanto si legge nell’atto, Nicolas Maduro, all’epoca ministro degli esteri di Hugo Chavez, aveva autorizzato la consegna, tramite il console del Venezuela a Milano, Gian Carlo Di Martino, di una valigetta carica di 3, 5 milioni di euro al defunto Gianroberto Casaleggio, il «promotore di un movimento di sinistra rivoluzionario e anticapitalista nella Repubblica Italiana». Rey è stato denunciato per diffamazione da Davide Casaleggio, che lo accusa di aver infangato il nome del padre, fondatore del Movimento 5 Stelle. Assistito dagli avvocati Luigi Isolabella e Maria Beatrice Lanzavecchia, è stato interrogato qualche settimana fa. Non ha rivelato il nome della fonte che gli ha fatto avere quel documento, ma ha messo in fila tutte le verifiche che ha fatto prima di pubblicarlo. E, tra le persone e le autorità sentite, ci sarebbe stato proprio El Pollo, con cui Rey sarebbe sempre rimasto in contatto. Qualche giorno dopo, i quotidiani spagnoli hanno pubblicato le rivelazioni dell’ex direttore dell’intelligence venezuelana, che sarà estradato negli Stati Uniti. Ma, da quel che emerge, già lunedì sarebbe arrivato alle autorità spagnole un ordine di investigazione europea (Oie), una sorta di rogatoria, che porta le firme del procuratore aggiunto Maurizio Romanelli e del pm Cristiana Roveda. Un atto che svela le accuse ipotizzate in Italia: riciclaggio e finanziamento illecito al partito. Anche perché non è detto, e da quel che si sa El Pollo non lo avrebbe escluso, che dopo il 2010 (per cui parte delle accuse sarebbero già prescritte) non ci siano stati altri presunti finanziamenti illegali sull’asse Venezuela – 5 Stelle. Sull’inchiesta e sull’ordine di investigazione in procura vige il più assoluto riserbo, nessuno conferma o smentisce. Ma ora è evidente che l’obiettivo dei magistrati sia quello di interrogare El Pollo prima della sua estradizione negli Usa. E cercare anche nella documentazione che sostiene di possedere conferme alle accuse. Le indagini affidate al Nucleo di polizia economico finanziaria della Gdf puntano ad accertare il presunto finanziamento, a capire il ruolo del console Di Martino e degli altri eventuali intermediari intervenuti, chi avrebbe ricevuto i 3, 5 milioni di euro in Italia oltre al defunto Casaleggio e per quale fine siano stati utilizzati. Soprattutto se ci sono altri e più recenti episodi su cui indagare.
"Soldi da Caracas per sovvertire le democrazie". Manila Alfano il 26 Ottobre 2021 su Il Giornale. Il deputato venezuelano dopo il caso M5s: "Il regime usa la strategia nata da Castro". L'anno scorso è stato quasi ucciso in Parlamento, picchiato in modo brutale. La famiglia è sotto attacco di continuo. È il prezzo da pagare quando si decide di stare all'opposizione in Venezuela. Il deputato, avvocato ed attivista politico Armando Armas, del partito Volontà popolare vicinissimo a Guaido, vive ormai da un anno e mezzo da ricercato. Il regime Chavista lo rivuole indietro, perché fuori è libero di raccontare. Troppo pericoloso. Intanto le dichiarazioni di Hugo Carvajal, il capo degli 007 di Chavez, hanno riacceso i riflettori sul Venezuela; è lui che in extremis, nel disperato tentativo di bloccare la propria estradizione negli Usa dove è ricercato per reati legati al narcotraffico, parla dei 3 milioni e mezzo di finanziamento al Movimento 5 Stelle; fa il nome di Gianroberto Casaleggio, anello di congiunzione - a suo dire - tra il Movimento e Chavez. Il figlio Davide minaccia querele e non ci sta, ribadisce la totale estraneità ai fatti del padre e promette nuove azioni giudiziarie. Eppure il racconto di Armas, testimone in prima linea della brutalità di un regime fa capire bene il clima del Paese.
Che interesse ha Maduro a finanziare illegalmente partiti stranieri?
«Semplice, vogliono destabilizzare. Il Venezuela non è uno stato poliziesco ma è governato da un apparato criminale. Lo Stato alimenta l'economia criminale, è totalitario e ha ambizioni egemoniche. L'obiettivo del regime è destabilizzare il sistema democratico. Con il denaro rinvigoriscono partiti populisti, i movimenti anti sistema».
Come i Cinque stelle o Podemos secondo Carvajal
«Sì ma non solo. Il loro raggio d'azione è mondiale. Un mese fa ero a Strasburgo, ho parlato con un mio collega di un Paese dell'Est Europa. Hanno avuto problemi anche loro con infiltrazioni da Caracas. Una riflessione: non è un caso che in Europa solo l'Italia, oltre a Cipro, non ha riconosciuto Guaido presidente democraticamente eletto. E c'era Conte come premier».
Di quale Paese si tratta?
«Non posso dirlo. Quello che voglio far capire è che fiumi di denaro sono andati in ogni Paese. E non sempre solo a partiti, ma anche a società. La corruzione è dilagante, dopo vent'anni di sistema sanno bene come fare, lobby la cui funzione è quella di mediare tra politici e militari del Venezuela come il caso della milanese Lattonedil, di cui hanno parlato anche i giornali italiani (gli inquirenti italiani sono al lavoro)».
Dopo Chavez, i finanziamenti illeciti sono continuati anche con Maduro?
«Certo, non si sono mai fermati ma anzi, è fondamentale per loro. È parte di una visione destabilizzante. Una strategia che nasce da Castro, e il Venezuela è un paese cooptato da Cuba, soggetto attivo per prendere il potere a Caracas. Già nel '98 la visione di Chavez era chiara: il Venezuela doveva lanciarsi nella rivoluzione cubana, ancora oggi c'è una presenza massiccia di intelligence cubana, di consiglieri cubani negli organi strategici. Uno schema di dominazione vera e propria. Poi ci sono altri attori sul piano militare e strategico, come la Cina la Russia, l'Iran, tutti Paesi antidemocratici che perseguitano la dissidenza».
Da dove arriva il denaro?
«Il pozzo è profondo. I soldi arrivano principalmente dal petrolio ma anche dal narcotraffico, dal denaro sporco internazionale che trova in Venezuela il posto ideale per essere lavato».
Eppure il vostro è un Paese poverissimo.
«Ma attenzione: è una scelta. Le risorse il Paese le ha. Il regime ha scelto deliberatamente di indirizzare le ricchezze per infiltrarsi nel mondo. E lascia la gente a morire di fame, un disastro criminale, in cui il 90 per cento della popolazione è povera e il 70 per cento vive in povertà estrema. Il Venezuela è tra i 4 Paesi più corrotti del mondo ma non solo, è tra i primi a corrompere. Pensiamo solo ai vicini di casa, Nicaragua, Argentina, Messico. La democrazia è un concetto che deve essere difeso».
Come ha fatto a fuggire?
«Da Washington dove ho amici, mi è arrivata una telefonata che mi ha salvato la vita. Viviamo come in guerra, noi rappresentiamo l'opposizione, ma abbiamo infiltrati, così come loro. Ho attraversato il confine con tre ore di vantaggio, avevano già il mio mandato d'arresto». Manila Alfano
Le rivelazioni dell'ex capo 007. M5S da Honestà a Homertà: Casaleggio ordina ai giornali di censurare la notizia sulla tangente venezuelana. Piero Sansonetti su Il Riformista il 22 Ottobre 2021. Voi sapete chi era Alessandro Pavolini? Un giovane e raffinato intellettuale anticonformista, un giornalista bravo, che prese una sbandata per Mussolini all’inizio degli anni Venti e diventò un gerarca fascista. Durante la repubblica di Salò arrivò al traguardo più alto, perché Mussolini lo nominò alla segreteria del partito. Ma già alla fine degli anni Trenta aveva assunto un incarico importantissimo: ministro della Cultura popolare. Quel ministero era piuttosto conosciuto, anche all’opinione pubblica, con la sigla accattivante e amichevole di Minculpop; era conosciuto soprattutto per l’attività giornalistica che svolgeva. Era una specie di Spectre dei giornali. Una direzione unificata. Mandava tutti i pomeriggi delle veline ai direttori, nelle quali c’era scritto quali notizie andavano date ai lettori e quali no, quali con rilievo e quali con scarso rilievo, quali aggettivi andassero usati nei titoli, quali fotografie fossero le migliori e così via. I direttori, e tanto più i redattori, si adattavano bene. Del resto, più o meno, la differenza tra una dittatura e una democrazia, nei suoi caratteri generali è proprio questa (o almeno questa è una delle più importanti): in democrazia la stampa è libera, in dittatura è sottomessa. Da noi – oggi, dico – com’è la stampa? Beh, vi racconto questo episodio piccolo piccolo avvenuto proprio ieri. L’ex capo del controspionaggio venezuelano ha raccontato ai magistrati spagnoli che lo interrogavano che Caracas mandò molti soldi in giro per il mondo per finanziare la politica amica. Mandò soldi anche in Europa. A Podemos – dice il vecchio 007 – in Spagna, e anche in Italia al gruppo dei 5 Stelle. A chi?, gli viene chiesto dagli inquirenti. Lui risponde: a Gianroberto Casaleggio, cioè al capo. Dice che i soldi venivano mandati in valigette diplomatiche con dentro tante banconote. Dollari. Beh, fa sensazione, no? Non era nato questo Movimento 5 stelle per mandare affanculo i partiti che arraffavano soldi di qua e di là?… La notizia in parte era già uscita qualche mese fa. Ma era una pura illazione e fu smentita con sdegno dai 5 Stelle. La fonte era un importante giornale spagnolo, il quale giurava che la sua fonte fosse attendibile, ma la fonte era coperta. Per questo, immagino, fu fatta cadere. Ieri invece la notizia è stata confermata al massimo livello possibile. E Il Giornale la ha scovata e pubblicata. Davide Casaleggio, figlio di Gianroberto, ha emesso un comunicato rivolto direttamente ai giornalisti. Dice così: chi scriverà questa notizia sui giornali verrà trascinato in tribunale. È leggendo quelle due righe di Casaleggio che a me è venuto in mente Pavolini. Il quale era un intellettuale serio e colto, non era mica un picchiatore di strada. Suo fratello – antifascista – era un grande drammaturgo, regista, studioso, suo padre Paolo Emilio un raffinatissimo professore di sanscrito. I Casaleggio, anche loro, hanno studiato: un po’ meno dei Pavolini, ma hanno studiato. Lo stile e il piglio dell’ordine che impartiscono ai giornalisti è simile. Ed è molto simile l’effetto della loro disposizione. Se Alessandro Pavolini avesse scritto su una velina che era vietato ai giornalisti parlare di un finanziamento illecito (vero o finto, noi non lo sappiamo), potete stare sicuri che la notizia non sarebbe uscita su nessun quotidiano. Né l’avrebbe data l’agenzia di stampa Stefani, né la radio. L’imperiosa ingiunzione al silenzio di David Casaleggio ha avuto lo stesso effetto. Silenzio assoluto. Ieri ho cercato disperatamente di capire come i giornali avessero fornito ai lettori questa informazione, e come e quanto si fossero indignati per la minculpoppata di Davide. Zero. Ho trovato la notizia solo sul Giornale (e sul Riformista) , tutti gli altri agli ordini del novello Pavolini. Possibile? Non parlo del Fatto, il quale, ovviamente, tocca vette inesplorate del ridicolo. Già lo ha fatto con l’affare Di Donna, ma stavolta è volato assai più alto. Silenzio totale. Travaglio ha dedicato quasi tutta la prima pagina al presunto scandalo Open, roba vecchia di un paio d’anni e priva di polpa (l’accusa sanguinosa è quella, a Renzi, di essersi fatto pagare la nota spese dalla sua fondazione: hotel, pranzi e cene; mentre, credo, Travaglio quando viaggia per lavoro, l’albergo e la cena mica li fa pagare al giornale: se li paga di tasca sua…. E alla storia dei milioni ai 5 Stelle neanche una riga. Ma non si è trovato solo soletto, il giornale di Travaglio, come sarebbe stato immaginabile: no, i grandi giornali – succede spesso – si sono allineati. In tutti questi anni quasi tutti i grandi giornali, e la Rai e La 7 e altre Tv, quasi sempre si sono allineati, timorosi e pigri, alla coda del Fatto. Come si spiega? Forse con la circostanza che il Fatto è considerato il giornale della magistratura e la magistratura, oggigiorno, intimorisce un po’ tutti, anche perché si è capito che, in gran parte, è fuori controllo. La forza di Travaglio non sta nel suo giornale, che spesso, col suo stile parecchio infantile e approssimativo, suggerisce delle risatine sobrie e indulgenti nei suoi lettori: la sua forza sta nel fatto che è riuscito a trascinare dietro di sé il fior fiore dei quotidiani e delle televisioni. Proviamo a chiudere gli occhi e a immaginare cosa sarebbe successo se il capo dei servizi segreti russi avesse dichiarato che da Mosca, in valigette diplomatiche, arrivavano dei soldi per Salvini. Dollari in contanti. Voi pensate che avreste potuto trovare un solo giornale che non avrebbe messo la notizia in prima pagina? Non scherziamo: sarebbe stato lo scandalo del secolo. Del resto, quante volte sono finiti in prima pagina i famosi 49 milioni fantasma della Lega? Oppure, facciamo un secondo gioco. Sempre con Salvini (ma anche con Berlusconi, o con Letta). Pensate alla reazione dei giornali alla possibile intimidazione di uno di loro contro i nostri colleghi. Oggi saremmo di sicuro tutti in sciopero se Salvini, o Berlusconi, o Letta o Giorgia Meloni avessero intimato ai giornalisti di non scrivere su un possibile scandalo che li avesse riguardati, minacciando di farli mettere in prigione dagli amici magistrati. E invece ho cercato disperatamente sulle agenzie di stampa per capire come avesse reagito il sindacato dei giornalisti, o l’Ordine, alla folle intimidazione di Casaleggio jr. Niente. Non ho trovato niente. Tutti acquattati. Mamma mia che spettacolo!
P.S. 1 – Un amico mi ha obiettato: ma scusa, tu sei garantista, perché dai per sicuro che l’accusa del capo degli 007 venezuelani sia vera? Io non do per sicuro proprio niente. Mi limito a fare due osservazioni: la prima è che, comunque, il fatto che il capo degli 007 venezuelani dice di avere mandato soldi ai 5 Stelle, è una notizia. La seconda osservazione – ma questa è molto maliziosa – è che i giornali che hanno censurato la possibile tangente ai 5 Stelle, in passato hanno sempre creduto – alla coda di tanti Pm – a qualunque testimonianza di qualsiasi pentito di quint’ordine, o di qualunque cosiddetta olgettina, se le accuse di questo pentito o di questa olgettina inguaiavano un esponente politico non 5 stelle.
P.S. 2 – Ieri Casaleggio ha scritto anche al presidente Mattarella. Gli ha chiesto di intervenire per fermare i giornali che parlano dei rapporti tra il Venezuela e i 5 Stelle. Il povero Mattarella avrà pensato: ma allora non prendevano da Chavez solo i soldi, anche l’idea di Stato…
P.S. 3 – Vi ricordate il grido “Honestà, Honestà!”? Dio, ci hanno ossessionato con quel grido. Ora li troveremo a fare i picchetti sotto le sedi dei giornali e gridare: “Homertà, homertà!” Sempre con l’acca.
Piero Sansonetti. Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.
Cinque domande a Conte: sapeva dei soldi dall'estero? Paolo Manzo il 22 Ottobre 2021 su Il Giornale. Il nuovo capo politico dei 5s non può nascondersi dopo le rivelazioni dal Venezuela: ora deve chiarire. L’universo 5 Stelle è stato travolto in questi giorni dallo scandalo Carvajal. In Spagna, infatti, l’ex capo dell’intelligence militare del Comandante Chávez, Hugo Carvajal, detto «Il Pollo», così lo chiamano tutti nel suo Paese, ha fatto di tutto per evitare l’estradizione negli Stati Uniti dove lo vogliono processare per narcotraffico internazionale. Non c’è riuscito, visto che ieri da Madrid è arrivato l’ok alla consegna, ma nel suo disperato tentativo «il Pollo» ha scelto di collaborare con la giustizia iberica, svuotando il sacco sui finanziamenti della dittatura sudamericana verso partiti e politici della sinistra revolucionaria mondiale. Tra questi in prima linea Podemos, la creazione di Pablo Iglesias che grazie anche a quest’aiutino pecuniario da oltreoceano, è riuscito per un periodo ad arrivare financo alla vicepresidenza della Spagna, ma pure il nostro Movimento 5 Stelle. 3,5 milioni di dollari cash in una valigetta diplomatica. Pollo dixit, producendo documentazione copiosa di cui, per quanto ci è dato sapere, solo una parte è stata diffusa dai suddetti media. Le sue dichiarazioni sono state messe a verbale in quel di Madrid e, grazie allo scoop di un paio di testate spagnole, ABC ed OkDiario, è arrivata in Italia grazie al Giornale. Ciò premesso, sorgono spontanee alcune domande che vorremmo porre all’attuale capo del M5S, Giuseppe Conte, pur essendo consapevoli che la conoscenza in materia storico geografica anche dei figli grillini migliori non eccelle, annoverando tra le perle più note «il Venezuela di Pinochet». Ma ben sapendo come tali svarioni, a volte, in terra italica possano non impedire promozioni e ministeri prestigiosi come quello degli Esteri, ci proviamo. 1 Giuseppe Conte, lei ha mai avuto sentore che potessero arrivare finanziamenti illeciti dalle casse viscose di una delle dittature più crudeli del mondo, che i rapporti dell’Alto commissario per i Diritti umani, la cilena Michelle Bachelet, hanno denunciato più volte per le oltre 7.000 esecuzioni extragiudiziali dal 2014 ad oggi? 2 Il Pollo molto presto sarà estradato negli Stati Uniti d’America, dove il sistema giudiziario è molto serio e veloce, meno incline a far trapelare dichiarazioni di collaboratori di giustizia ma severo sulle dichiarazioni dei rei. Non teme che tutta questa storia possa avere pesanti ripercussioni sul fronte transatlantico nei rapporti tra Movimento 5 Stelle e Usa? 3 Come spiega la difesa a spada tratta di egregi esponenti del suo partito della dittatura venezuelana, addirittura additata come un «modello da seguire» sul fronte della «lotta alla povertà ed alla diseguaglianza» nella Risoluzione 7-01168 presentata in Parlamento nel 2017 dall’oggi potente (e facente le funzioni di Di Maio in America latina, pur senza la delega) Manlio Di Stefano, Di Battista, Scagliusi, Spadoni, Grande e Del Grosso? «In Venezuela prima di Chávez 5 milioni di persone soffrivano la fame, oggi sono meno di 500mila», si leggeva nella Risoluzione. Pecunia non olet o bugie spiegabili alla luce anche delle dichiarazioni di Carvajal? 4 Perché, ad inizio 2019, quando tutto il mondo occidentale, in modo compatto (perfino la Spagna di Pedro Sánchez) riconobbe come presidente legittimo del Venezuela Juan Guaidó, il suo partito ostinatamente continuò ad appoggiare ed elogiare il presidente de facto, Nicolás Maduro? Sulla base di quali considerazioni? 5 E infine, lei sarebbe disposto ad andare in pellegrinaggio sulla tomba del Comandante Chávez, per rendergli omaggio, al pari di quanto fece il 5 marzo del 2017 Manlio Di Stefano insieme a due altri membri del suo partito, che si rifiutarono invece di incontrare e ascoltare le voci disperate della nostra comunità italiana? Perché la delegazione 5 Stelle preferì a loro il dittatore Nicolás Maduro, il «macellaio» come lo ha definito persino Der Spiegel, rivista di certo non tacciabile di simpatie destrorse? Paolo Manzo
Bomba sui 5S, lo 007 conferma: Chavez finanziava il Movimento. Paolo Manzo il 20 Ottobre 2021 su Il Giornale. L'ex 007 conferma i finanziamenti ai partiti "amici" della dittatura, da Podemos al M5s. L'ex capo dell'intelligence militare di Hugo Chávez, Hugo Carvajal - o, come tutti lo chiamano in Venezuela «il Pollo» per la sua piccola testa ed il collo lungo - sta collaborando con la giustizia spagnola. Il motivo è semplice: evitare di fare la stessa fine del narco-imprenditore Alex Saab e dell'ex infermiera/tesoriera del compianto Comandante Chávez, entrambi estradati la settimana scorsa nelle tutt'altro che confortevoli carceri statunitensi. E nel collaborare con la giustizia, l'altroieri Carvajal ha rivelato preziose informazioni sul finanziamento, illecito e rigorosamente «top secret», del chavismo ai politici della sinistra mondiale, che va a braccetto con quella italiana, e udite udite, al Movimento 5 Stelle italico fondato dal compianto Gianroberto Casaleggio. Il documento della «collaborazione di giustizia» del Pollo dove si cita ampiamente l'ex partito del «Vaffa» (oggi partito di governo), la cui foto alleghiamo per onore di cronaca, non sorprende affatto Il Giornale. Nel giugno del 2020, ne avevamo scritto ampiamente riprendendo un documento esclusivo che lo stesso Pollo aveva fatto avere per vie traverse degne dell'intelligence al giornalista Marcos García Rey che poi lo pubblicò in prima pagina del quotidiano di Madrid, ABC. In cambio Il Giornale ricevette le smentite «per sentito dire» su Il Corriere della Sera di Paolo Mieli, lo sdegno «rumoroso» di Massimo Fini su Il Fatto, oltre che la comprensibile rabbia di Casaleggio Jr. che si affrettò a pubblicare sui suoi social un timbro della Digos di Milano, a testimonianza di una querela da lui depositata nella città meneghina. Peccato solo che la denuncia fosse contro García Rey e non contro Carvajal. Adesso, invece, sappiamo per certo che, se volesse querelare la persona giusta, Casaleggio Jr potrebbe farlo nei confronti di colui che per oltre dieci anni da capo degli 007 venezuelani fece il bello e il cattivo tempo sotto Chávez, innaffiando di dollari in contanti le segreterie dei partiti di mezzo mondo occidentale, quelle più «benevolenti» nei confronti della dittatura di Caracas. Tra cui spiccano - è sotto gli occhi di tutti - per la difesa stoica di una dittatura che affama un intero popolo, i grillini. Già perché oggi «il Pollo» descrive nel dettaglio alle massime autorità iberiche - il suo obiettivo è ottenere un asilo politico a Madrid per evitare le manette perpetue statunitensi - i tre modus operandi che lui stessa «attivava» per inviare denaro «sotto copertura» ai partiti politici alleati del chavismo, tra cui gli unici in Italia per quanto è dato sapere ad oggi, ma l'inchiesta spagnola è appena agli inizi - il Movimento 5 Stelle. La tecnica più usata da Carvajal consisteva nell'usare «borse diplomatiche venezuelane» piene di contanti, adoperando consolati ed ambasciate come meri «distributori di cash». «Il Pollo» ha snocciolato l'altroieri nel suo scritto depositato agli atti i nomi di coloro che hanno ricevuto finanziamenti illeciti da Caracas. In primis l'argentino Néstor Kirchner in Argentina, anche lui un de cuius, ma poi i vivissimi Evo Morales Aymara in Bolivia, don Inácio Lula da Silva in Brasile, l'ex vescovo Fernando Lugo in Paraguay, Ollanta Humala in Perù, Manuel Zelaya in Honduras, Gustavo Petro in Colombia, il partito Podemos in Spagna e, last but not least, proprio il Movimento 5 Stelle in Italia. «Tutti questi sono stati a me segnalati come destinatari di denaro inviato dal governo venezuelano», ha detto Carvajal nel documento riservato inviato al giudice Manuel García-Castellón, che ha adesso in mano una patata bollente che fa tremare la sinistra di mezzo mondo, America latina, Italia e Spagna in testa. Altri modus operandi per inviare denaro erano quello di spedire milioni in contanti in Spagna attraverso società di facciata oppure usare come «bancomat» di smistamento l'ambasciata cubana in Venezuela. Carvajal ha assicurato che il Venezuela «finanzia illegalmente movimenti politici filochavisti nel mondo da almeno 15 anni» e, secondo l'ex capo dell'Intelligence di Chávez, «l'ultima consegna di cui sono a conoscenza risale ai primi di luglio del 2017». A chi non è dato sapere. Per ora. Paolo Manzo
Luca Fazzo per "il Giornale" il 23 novembre 2021. Hugo Carvajal, l'alto dirigente dei servizi segreti venezuelani diventato il personaggio chiave dell'inchiesta sui finanziamenti del governo di Caracas al Movimento 5 Stelle, «è indagato nella operazione Constitucion in concorso con il generale Garcia Palomo. La richiesta di estradizione è avviata ed è in attesa di decisione del Tribunal supremo». Arriva così, direttamente da alte e qualificate fonti della magistratura venezuelana, la conferma della notizia che circolava con insistenza: Carvajal - detto «el Pollo» - non è più nel mirino solo del governo Usa, che chiede la sua consegna per l'accusa di narcotraffico, ma è in lista d'attesa anche per essere estradato direttamente a Caracas. L'accusa che pende contro l'ex 007 è micidiale: il generale Garcia Palomo è in carcere da due anni con l'accusa di essere stato a capo di una congiura per destituire Nicolàs Maduro, il successore di Hugo Chavez alla guida del paese sudamericano. L'accusa di complicità con Garcia Palomo è per Carvajal un potenziale biglietto di sola andata per un confortevole carcere di massima sicurezza del suo paese. È davanti a questo ostacolo che si sono trovati i magistrati milanesi che nei giorni scorsi si sono recati a interrogare «el Pollo» in Spagna. È chiaro che il rischio di essere consegnato al suo paese è per la vecchia superspia un pericolo ancora maggiore che finire in un carcere americano. E questo condiziona inevitabilmente la sua scelta di collaborare con la giustizia spagnola ed italiana, rivelando gli episodi - finora sempre negati con forza dalle autorità di Caracas - di fondi neri dei servizi segreti venezuelani distribuiti a una serie di partiti in Sudamerica e in Europa: a beneficiarne in Italia, secondo un appunto interno all'intelligence pervenuto allo stesso Carvajal, il M5s attraverso lo scomparso Gianroberto Casaleggio, che avrebbe ricevuto 3,5 milioni di dollari dal console venezuelano a Milano, Giancarlo Di Martino. Nel suo interrogatorio al procuratore aggiunto Maurizio Romanelli e al pm Cristina Roveda, Carvajal ha fatto capire di essere al corrente di altri versamenti a favore dei grillini. Non è entrato nei dettagli, non ha detto nulla che i pm milanesi possano per ora utilizzare. Ha avanzato, come è noto, una proposta di scambio: informazioni in cambio di protezione e asilo politico. Romanelli gli ha risposto che non è dalla Procura milanese che possono venirgli promesse simili. La partita è tutta politica: dovrebbe essere il ministero della Giustizia insieme a quello degli Esteri (con qualche imbarazzo, forse, del suo titolare Luigi Di Maio) a chiedere in prestito alla Spagna il potenziale pentito. Una volta arrivato in Italia, «el Pollo» potrebbe iniziare una trattativa vera. E la situazione per i grillini potrebbe iniziare a farsi complicata. Perché se dal punto di vista giudiziario - morto Casaleggio, prescritti i finanziamenti - i rischi sono minimi, politicamente la conferma dei quattrini dal discusso governo chavista sarebbe per il M5s un brutto colpo. Scenari in cui fa ora irruzione la richiesta di estradizione venezuelana di Carvajal: che rispetto a quella Usa ha maggiori possibilità di successo per il motivo che in Venezuela, come in Spagna, la legge non prevede l'ergastolo. Gli scrupoli garantisti che finora hanno spinto il governo spagnolo a ritardare la consegna a Washington qui sarebbero più flebili. Ma cosa accadrebbe al «Pollo», una volta tornato in patria?
Caracas lo accusa di trame contro Maduro. Soldi da Chavez al M5S, il Venezuela chiede l’estradizione di Carvajal: così l’inchiesta di Milano rischia di ‘morire’. Carmine Di Niro su Il Riformista il 23 Novembre 2021. L’inchiesta della Procura di Milano sui presunti finanziamenti illeciti del governo venezuelano di Hugo Chavez al Movimento 5 Stelle rischia di ‘morire nella culla’. Il paese sudamericano ha infatti chiesto l’estradizione dalla Spagna di Hugo Carvajal, l’ex capo dei servizi segreti militari di Maduro e ‘gola profonda’ dell’indagine. È Carvajal, detto ‘El Pollo’, l’uomo che accusa il regime venezuelano di aver finanziato diversi movimenti di sinistra in occidente, tra cui Podemos in Spagna e il Movimento 5 Stelle in Italia. Ma nei suoi confronti adesso si muovono le stesse autorità sudamericane, come scrive Il Giornale: Carvajal è indagato nella operazione Constitucion in concorso con il generale Garcia Palomo e per questo è stata chiesta l’estradizione a Caracas. Palomo da due anni è in carcere in Venezuela con l’accusa di esser stato a capo della congiura per destituire il governo di Nicolas Maduro, successore di Chavez. Nel caso le autorità accettino tale proposta, appare evidente che per i magistrati milanesi che nei giorni scorsi sono volati in Spagna per interrogare ‘El Pollo’ sarebbe un colpo mortale per il proseguimento dell’indagine. Carvajal infatti nel corso dell’interrogatorio col pm Cristina Roveda e il procuratore aggiunto Maurizio Romanelli non ha fornito dettagli utilizzabili nell’inchiesta, che punta a chiarire se vi sia stato realmente un passaggio di denaro, 3.5 milioni di euro, dal regime chavista al Movimento (in particolare allo scomparso co-fondatore Gianroberto Casaleggio) tramite una valigetta diplomatica consegnata dal console venezuelano a Milano Giancarlo Di Martino (indagato a Milano, nda) In cambio delle sue rivelazioni Carvajal ai magistrati milanesi ha chiesto un accordo che ovviamente Romanelli e Roveda non possono garantire: l’asilo politico e la protezione in Italia. Di questo, eventualmente, dovrebbero occuparsi infatti i ministri della Giustizia Marta Cartabia e il suo collega alla Farnesina Luigi Di Maio, quest’ultimo in una posizione particolarmente complicata vista l’inchiesta che coinvolge il suo Movimento. Il Venezuela, come noto, non è l’unico Paese che ha chiesto l’estradizione di Carvajal: in prima fila ci sono infatti gli Stati Uniti, dove l’ex capo dei servizi segreti militari di Maduro rischia la condanna all’ergastolo per le accuse di narcotraffico e appartenenza al crimine organizzato. Nella giornata di lunedì la Procura antidroga di Madrid aveva chiarito che gli USA avevano fornito “garanzie sufficienti” alla giustizia spagnola in merito alla possibile condanna di Carvajal. A spiegarlo in una lettera alla Terza Sezione Penale è stato il pm del caso Javier Redondo, come scrive El Mundo: la Terza Sezione Penale è incaricata di far rispettare la decisione della magistratura di consegnare Carvajal alle autorità statunitensi per essere processato. “Anche se venisse imposto (l’ergastolo)”, questo non significa che il condannato “resterà detenuto a vita”, rispettando così la dottrina della Corte costituzionale spagnola, scrive il pm.
Carmine Di Niro. Romano di nascita ma trapiantato da sempre a Caserta, classe 1989. Appassionato di politica, sport e tecnologia
Domenico Di Sanzo per "il Giornale" il 20 ottobre 2021. Non c'è solo il Venezuela. Con il giallo della presunta valigetta con 3,5 milioni di euro che - secondo il quotidiano spagnolo Abc - sarebbe stata inviata nel 2010 dal regime di Nicolas Maduro al partito fondato da Beppe Grillo e Davide Casaleggio e le dichiarazioni che potrebbe fare a Miami Alex Saab, l'uomo d'affari colombiano vicino al governo chavista appena estradato negli Usa. A dispetto del percorso atlantista intrapreso negli ultimi anni dal ministro degli Esteri Luigi Di Maio, la nascita e l'ascesa del M5s sono state contraddistinte dalle polemiche sui rapporti con alcuni dittatori in giro per il mondo. Dalla Cina di Xi Jinping all'Iran degli ayatollah fino ad altri discussi leader sudamericani come il boliviano Evo Morales e alla Cuba castrista. Sul Dragone c'è stata una vera e propria inversione di rotta, culminata con gli accordi della Via della Seta, partita nel 2018 quando i grillini sono arrivati al governo. Agli esordi del Movimento, Grillo dal suo Blog non risparmiava attacchi feroci a Pechino. Poi l'atteggiamento è cambiato. Sul Blog del fondatore compaiono da tre anni articoli celebrativi sulle mirabilie del regime erede del maoismo. A febbraio del 2020, per esempio, il Garante vaticinava: «Coronavirus: la Cina ne uscirà più forte». Quindi i faccia a faccia con l'ambasciatore cinese a Roma Li Junhua. Due incontri top secret a fine novembre 2019. Più di recente la visita privata del 12 giugno scorso. In quella circostanza l'annunciata presenza dell'allora leader stellato in pectore Giuseppe Conte scatenò una polemica, costringendo l'ex premier ad annullare l'appuntamento all'ultimo minuto. Andando indietro nel tempo, la prima testimonianza di un contatto tra il M5s e la Cina è datata 24 giugno 2013. È una foto scattata negli uffici milanesi della Casaleggio Associati. Si vedono Grillo, Gianroberto Casaleggio e l'ambasciatore Ding Wei. Il capitolo - Pechino è arricchito dalle polemiche per l'intervento del Ceo di Huawei Italia Thomas Miao a un evento della Srl di Davide Casaleggio a novembre del 2019. E non bisogna dimenticare la sottoscrizione da parte di Grillo di un documento «negazionista» sulla repressione nello XinJiang. Il rapporto, datato maggio 2021, è stato firmato anche dal senatore Vito Petrocelli, presidente della commissione Esteri a Palazzo Madama. Lo stesso Petrocelli ad aprile è stato in visita in Azerbaijan, paese governato dalla dinastia degli Aliyev a partire dalla caduta dell'Urss. Il senatore ha incontrato in missione ufficiale, ad aprile del 2019, tra gli altri il ministro degli Esteri di Teheran Javad Zarif. In un'intervista concessa a Repubblica a giugno, Petrocelli ha spiegato che l'Italia dovrebbe essere «il miglior riferimento» per Cina e Iran. A novembre 2019 anche il sottosegretario agli Esteri Manlio Di Stefano ha avuto un incontro molto amichevole con l'ambasciatore iraniano a Roma. Alessandro Di Battista è da sempre tenero con l'Iran, nazione da cui ha scritto una serie di reportage a febbraio del 2020. Tristemente memorabile l'intervento di Dibba del 16 agosto 2014 - in piena ascesa dell'Isis - sul Blog di Grillo. Un invito a «smetterla di considerare il terrorista un soggetto disumano con il quale nemmeno intavolare una discussione». E poi i convegni filo-Maduro alla Camera come quello del 2015 organizzato insieme a Di Stefano. Quest' ultimo nel 2017 sarebbe andato in visita a Caracas con Petrocelli. L'ultima prodezza è del 18 luglio scorso. Sul Blog del fondatore del M5s appare un articolo del teologo brasiliano Frei Betto. Una difesa a spada tratta del regime castrista di Cuba. «La Rivoluzione cubana vi assicurerà tre diritti umani fondamentali: cibo, salute e istruzione, oltre a casa e lavoro», si legge. Più chiaro di così...
Marco Travaglio sul "Fatto" nasconde gli stipendi d'oro M5s? Ecco le cifre, che disastro per Giuseppe Conte. Tommaso Montesano su Libero Quotidiano il 15 settembre 2021. Il boccone era troppo ghiotto: Renato Brunetta. Per i motivi più svariati: la provenienza politica (l'odiata Forza Italia di Silvio (Berlusconi); l'essere ministro (e tra i più apprezzati) nel governo di Mario Draghi che ha spazzato via quello dell'amato Giuseppe Conte; l'occupare la scrivania di Palazzo Vidoni, dove prima sedeva la grillina Fabiana Dadone. Così Il Fatto Quotidiano, ieri mattina, ha sparato in prima pagina una delle notizie delle sue. Filone: la "lotta alla casta". Il titolo in prima pagina è accattivante: «Paga doppia per la Panucci, braccio destro di Brunetta». Sottinteso: proprio lui, Brunetta, fustigatore dei vizi altrui, è di manica larga col cedolino del suo capo di gabinetto, ex direttore generale di Confindustria. Da pagina uno si passa a pagina sette. Titolo: «Brunetta, tesoro: Panucci si raddoppialo stipendio». Quindi, nell'articolo, i dettagli: ad agosto, l'indennità di diretta collaborazione di Panucci è passata da 68mila a 124.400 euro. Da sommare ai 75.600 euro previsti a titolo di trattamento economico fondamentale (cifre lorde). «In un sol colpo, il suo compenso complessivo si è attestato a quota 200mila euro rispetto ai 145mila pattuiti a inizio dell'incarico, che pure non eran spicci», chiosa il quotidiano diretto da Marco Travaglio. Insomma, «a Palazzo Vidoni è scoppiata un'altra grana», laddove la prima sarebbe la nomina, poi saltata per il passo indietro del diretto interessato, di Renato Farina come consulente del ministro. Fatto sta che di «grana» non si tratta. Anzi, a guardare i compensi - presenti e passati degli altri capi di gabinetto (sia del governo Draghi, sia del governo Conte bis), siamo in presenza piuttosto di «tanto rumore per nulla», come fanno notare da Palazzo Vidoni: «Ogni pretesto è buono per portare avanti la crociata» contro un ministro che agli occhi del Fatto ce l'ha proprio tutte. Non ultima quella di essere in qualità di ministro più anziano- il "supplente" del presidente del Consiglio, Mario Draghi, qualora l'ex governatore della Bce salisse al Colle dopo Sergio Mattarella. Altro che scoop, ribattono dall'ex ministero della Funzione pubblica. La verità è che i trattamenti economici degli "esterni" alla Pubblica amministrazione, titolari di uffici diretta collaborazione, «sono costruiti progressivamente e allineati a quelli del personale di ruolo di funzione corrispondente (ovvero dirigente generale)». E qui arrivano in soccorso i dati, reperibili sul sito del governo, sugli altri capi di gabinetto dei ministri senza portafoglio. Tanto per cominciare Stefano Firpo, braccio destro del ministro dell'Innovazione Vittorio Colao, è sui livelli di Panucci. E poi Sebastiano Cardi e Raffaele Piccirillo, rispettivamente capi di gabinetto di Luigi Di Maio (Esteri) e Marta Cartabia (Giustizia), superano di circa 40mila euro annui il compenso di Panucci. Ma non è finita qui: il predecessore dell'ex direttore generale di Confindustria, ovvero l'ex capo di gabinetto della grillina Fabiana Dadone, Guido Carpani, guadagnava 35.730,36 euro in più di Panucci. Peccato che non si ricordino paginate dal Fatto Quotidiano.
Carlo Tecce per espresso.repubblica.it il 3 settembre 2021. Il Giuseppe Conte di questo periodo, il corrente Giuseppe Conte, da non confondere con la versione gialloverde ai tempi di Matteo Salvini né con il rivestimento giallorosso ai tempi di Goffredo Bettini e neanche con l’offeso da Beppe Grillo o il minaccioso con Beppe Grillo, insomma il Giuseppe Conte capo dei Cinque Stelle o dei Cinque Conte si è accorto che per fare politica ci vogliono i denari. Un assillo. Un tormento. Quasi una vergogna per gli ultimi puristi grillini oltre il medesimo Grillo. Allora il presidente proclamato Conte sta lì, nel partito dei francescani, delle restituzioni, delle donazioni, dei rendiconti, degli scontrini, dei bonifici ritirati, dei bonifici inoltrati, dei bonifici agognati, a studiare un modo, di innocuo impatto mediatico, sennò gli elettori si spaventano, per accumulare più denari. Che poi, i denari, servono per pagare la struttura di un partito classico, non un prototipo della democrazia diretta, piuttosto un esemplare della vetustà: sedi centrali, sedi locali, utenze, portaborse, consulenti, trasferte, banchetti, avvocati, sondaggi, manifesti, propaganda. Secondo una stima di Luigi Di Maio, elaborata lo scorso anno nel giorno in cui si congedò da capo politico, i Cinque Stelle hanno rinunciato a 106 milioni di euro pubblici in una legislatura e mezza. A ogni stima, però, non si è precisato mai abbastanza che i Cinque Stelle percepiscono, com’è legittimo e necessario, i generosi contributi destinati ai gruppi di Camera e Senato che sono tarati sul numero dei componenti. Ciascun deputato o senatore che abbandona i Cinque Stelle, non lascia un vuoto, ma un buco nel bilancio. Non proprio un buco, un foro. Però i fori sono tanti. Il gruppo alla Camera ha ricevuto 9,1 milioni di euro nel 2019 e 8,6 nel 2020 per le costanti defezioni. In proporzione al gruppo al Senato è andata peggio con 6,4 milioni di euro nel 2019 e 5,8 nel 2020. Oltre la metà di queste risorse viene utilizzata per gli stipendi dei collaboratori. I Cinque Stelle non hanno alternative: o caricano i costi degli assistenti a vario titolo sui gruppi di Camera e Senato, com’è successo per Rocco Casalino, o si affidano a un organismo esterno, com’è accaduto fino a luglio con l’associazione Rousseau di Davide Casaleggio. A proposito: la transazione col figlio di Gianroberto per il riscatto dei dati degli iscritti si è conclusa con tre bonifici a luglio per un totale di 316.000 euro. Al varo della legislatura, tre anni fa, i Cinque Stelle disponevano di 333 parlamentari. Adesso sono instabilmente a quota 234. I gruppi di Camera e Senato riescono ancora a risparmiare più di 3 milioni di euro assieme, ma la differenza fra entrate e uscite si assottiglia. L’abbondanza di parlamentari ha permesso al Movimento di affastellare una preziosa liquidità: più di 15,5 milioni di euro. I contributi sono riservati alle attività parlamentari e dunque non possono soddisfare le esigenze del partito, ma ci sono spese - sondaggi, personale, promozione - che se pure concentrate sui deputati e senatori portano beneficio all’intero partito o comunque non si distinguono molto. Conte ha intenzione di attingere anche dai risparmi dei parlamentari per lanciare la sua stagione che comincia dal mattone. L’ex premier ha adocchiato e affittato presto un elegante ufficio in via di Campo Marzio 46 a Roma, in zona palazzo Montecitorio, già operativo per le elezioni amministrative seppur non ancora ammobiliato: è di proprietà di Ibl banca, che voleva un inquilino di prestigio, oltre 500 metri quadrati per oltre 10.000 euro al mese. Nei depositi bancari dei Cinque Stelle ci sono altri 7,5 milioni di euro - l’ultimo aggiornamento è di agosto - per finanziare progetti umanitari, educativi, culturali e di piccole imprese. Si tratta del fondo del microcredito che i Cinque Stelle, sin dall’ingresso in Parlamento, hanno alimentato con versamenti mensili di 2.000 euro da sottrarre allo stipendio di onorevoli. Ha funzionato con l’entusiasmo degli esordi, poi si è inceppato con la burocrazia, i sotterfugi, le sanzioni, le espulsioni. Nel bel mezzo dei drammatici viaggi fra Roma e Kabul, deliberando per sé e per gli altri, Conte ha annunciato che un pezzo di quel gruzzolo verrà usato per l’accoglienza dei profughi afghani. Il capo decide in autonomia siccome al momento è sprovvisto di vice o vice dei vice. Se non si contraddice, procede spedito. Però i parlamentari paganti, una minoranza, non sono d’accordo e prima che l’ex presidente del Consiglio stanzi parte o gran parte di quei 7,5 milioni di euro desiderano discutere, soprattutto perché temono che possa dirottarli sul nuovo Movimento. Il deputato bresciano Claudio Cominardi, il solo rimasto a valere uno, cioè la sua parola vale la sua e nient’altro, è il tesoriere senza poteri che il fondatore Beppe Grillo e il reggente Vito Crimi hanno nominato a dicembre. Ad aprile l’ex premier ha varato la sua riforma. In passato i parlamentari erano costretti a elargire 2.300 euro mensili al partito di cui 2.000 per il fondo del microcredito e 300 per la piattaforma Rousseau. Conte ha portato la tassazione a 2.500 di cui 1.500 per la beneficenza e il supporto alle imprese e 1.000 per il partito da costruire. Gli attuali parlamentari dovrebbero rimpinguare le casse con 585.000 euro al mese, ma nel quadrimestre aprile, maggio, giugno e luglio, compresi gli sbadati e i redenti, si è arrivati a 1,6 milioni contro i 2,3 previsti. L’obolo di 1.000, dopo una iniziale diffidenza (non s’era capito chi la spuntava fra Casaleggio e Conte e poi fra Conte e Grillo), oggi viene saldato con regolarità da quei parlamentari che sperano in un’altra candidatura a dispetto delle regole sui due mandati. Gli inadempienti sono almeno un terzo e il flusso non consente grossi investimenti o impegni per gli acquisti. Così il tesoriere Cominardi supplica i parlamentari di anticipare le rate e il buon esempio l’ha dato Crimi ad aprile. I 234 parlamentari in organico ai gruppi con 1.000 euro a testa potrebbero garantire 234.000 euro al mese per il funzionamento del partito da qui al voto, quando, per il taglio delle poltrone e dei consensi, Conte si ritroverà poche decine di migliaia di euro. Perciò l’ex premier valuta soluzioni più solide: l’adesione al 2xmille. A novembre i tesorieri devono consegnare un modulo alla Commissione che controlla i bilanci dei partiti insediata in Parlamento per accedere al meccanismo del 2xmille, uno strumento leggero che ha sostituito i famigerati rimborsi pubblici. Con la dichiarazione dei redditi, il militante, l’elettore o il simpatizzante può destinare il 2xmille al suo partito di riferimento. La scelta è libera e, se non si sceglie, i soldi restano allo Stato. I Cinque Stelle hanno sempre rifiutato di usufruire di una forma surrettizia di finanziamento pubblico, ma stavolta potrebbero accodarsi. Fare come gli altri. Diventare come gli altri. Di fatto essere gli altri. Ormai il gettito annuo sfiora i 19 milioni di euro. Il Partito democratico è il più organizzato e il più ramificato (anche nei Caf) e oscilla fra 7 e 8 milioni di euro, le due Leghe (la vecchia Nord e la Salvini Premier) superano i 3 milioni, Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni si ferma a due milioni abbondanti. La base dei Cinque Stelle è ancora ampia e Conte potrebbe ambire a un paio di milioni. Dopo averne svelati molti, Conte ha paura di svelare il vero Conte. Questa paura si è acuita con l’investitura a capo dei Cinque Stelle. Vuole un Movimento diverso, ma se è troppo diverso lo possono accusare di essere un dissipatore di memorie e valori e se non è troppo diverso lo possono accusare di essere un populista con la pochette. Una cosa diversa l’ha fatta. Ha incontrato imprenditori di media e grande stazza, a volte con l’intercessione dell’ex viceministro Stefano Buffagni, un Cinque Stelle che ha relazioni con quel mondo, per illustrare il suo Movimento. Alcuni hanno espresso curiosità. Altri hanno ascoltato. Nessuno si è schierato al suo fianco. Per un paio di motivi: Conte è vago sui temi e ha posizioni modellabili e, soprattutto, viene reputato il principale oppositore del premier Mario Draghi. Col piano di ripresa e resilienza e le cascate di denaro, non conviene esporsi col nemico. Scusate, c’è un altro Conte in sala?
(ANSA il 28 giugno 2021) - Il tribunale di Torino ha condannato per diffamazione aggravata la viceministro dell'Economia Laura Castelli. Il procedimento riguardava un post su Facebook in cui criticava una candidata Pd alle amministrative 2016, Lidia Roscaneanu. Sotto il post furono molti gli insulti sessisti e razzisti contro la donna, di origini romene. La Castelli è stata condannata a una sanzione di 1.032 euro e dovrà pagare 5mila euro alla parte civile. Condannati anche altri due imputati, mentre altre tre persone sono state assolte per la "tenuità del fatto". A gennaio saranno processati altri 6 imputati che hanno scelto l'abbreviato e il patteggiamento.
E.Bu. per il "Corriere della Sera" il 6 aprile 2021. Soldi, ancora soldi. Nel mirino stavolta finisce Vito Crimi. Un gruppo di parlamentari Cinque Stelle è pronto a chiedere delucidazioni nel dettaglio all'ex reggente sul denaro impiegato per organizzare gli Stati generali. «Si tratta di una cifra ingente per una manifestazione che alla fine non ha portato a quanto promesso», dice un pentastellato. La kermesse online, infatti, aveva portato alla nascita del comitato direttivo, mai varato però dalla base. Le indiscrezioni parlano di una spesa ben superiore ai 100 mila euro per l'evento virtuale, quasi 130 mila secondo alcuni. Una cifra che ora - in un momento in cui il gruppo è in subbuglio dopo le indiscrezioni circolate in merito alle nuove rendicontazioni forfettarie (tremila euro al mese da versare nelle casse pentastellate) - molti ritengono «farebbe comodo» alla causa M5S. «Semplicemente chiederemo spiegazioni puntuali», dicono nel M5S per cercare di arginare la polemica. Ma le tensioni restano alte. Una parte dei parlamentari sta facendo pressioni anche su Giuseppe Conte: chiedono che il Movimento utilizzi il due per mille riservato ai partiti. Uno degli ultimi pilastri M5S, così come il tetto dei due mandati. E come per la deroga alla terza legislatura, anche in questo caso sarebbe intervenuto Beppe Grillo. Il garante ha chiarito all'ex premier che i contributi restano un tabù.
Alessandro Sallusti per “il Giornale” il 2 aprile 2021. Scrive ieri sul suo Facebook Alessandro Di Battista, cittadino nullafacente in attesa di rientrare in politica: «Qualche anno fa avanzai una proposta alla Rai: scrivere nei sottopancia dei politici, oltre alle loro cariche, i carichi pendenti e le eventuali condanne. Esempio? Stasera abbiamo ospite Roberto Formigoni, ex presidente della Regione Lombardia condannato a 10 anni e 5 mesi per corruzione. Logico no? Un completamento del servizio pubblico». E la stessa prassi Di Battista vorrebbe anche applicarla ai giornalisti perché il «castigo etico deve valere per tutti», scrive citando il mio caso di direttore condannato a 14 mesi e messo agli arresti domiciliari nel 2012. Vorrei ricordare a Di Battista che nel mio caso il sottopancia dovrebbe essere «Alessandro Sallusti, direttore del Giornale e vittima di malagiustizia», perché quella vergognosa condanna che ho subito è stata prima annullata dal presidente della Repubblica in quanto manifestamente infondata (me la cavai con una semplice multa) e poi sanzionata dalla Corte europea che ha costretto lo Stato italiano a risarcirmi per ingiusta detenzione. Ma non ne voglio fare un caso personale, anzi rilancio. Ok ai sottopancia-gogna. Per esempio, quando in televisione appare il suo leader Beppe Grillo una scritta deve avvisare il telespettatore: «Fondatore del Movimento Cinque Stelle, condannato per triplice omicidio, padre di un figlio rinviato a giudizio per stupro». Già, perché fermarsi alle notizie sul soggetto che appare può essere riduttivo, anche il contesto familiare è importante. Così quando appare Alessandro Di Battista sarebbe giusto informare che chi sta parlando è figlio di un signore indagato per offese al Presidente della Repubblica e finito nei guai per non aver pagato i dipendenti. Oppure quando appare Di Maio: «Ministro degli Esteri, figlio di un indagato per discariche abusive». Cosa dice Di Battista, procediamo con i sottopancia etici? Io «vittima di malagiustizia» ci sto, a voi grillini non so se conviene.
Pasquale Napolitano per “il Giornale” il 19 marzo 2021. Il rientro nei saloni di Montecitorio e Palazzo Madama per gli ex ministri grillini (o ministri trombati) è un incubo: Spadafora, Bonafede, Azzolina vagano soli e desolati per i corridoi, lunghissimi e silenziosi (causa Covid), della Camera dei deputati. Pensano e ripensano alla vita che fu. Da ministri: staff, auto blu, agenda fittissima di appuntamenti, telefoni bollenti, briefing, stanze spaziose in residenze storiche. Bei tempi. La nuova vita da semplici onorevoli, dopo l'ebbrezza dei due governi Conte, è un risveglio amaro.
Capitolo stanze: il più doloroso. Gli ex ministri grillini, rientrati a Montecitorio (o Palazzo Madama) da deputati (o senatori), non hanno diritto a un ufficio singolo, personale. Alla Camera, i deputati di un gruppo condividono con i colleghi personale e uffici nel palazzo di Vicolo Valdina, a pochi passi da Montecitorio. Solo i capigruppo, presidenti di commissione e componenti dell'ufficio di presidenza (Camera o Senato) hanno diritto a un trattamento di privilegio: uffici personali, staff e fondi. Gli altri deputati, come Bonafede, Spadafora, Azzolina, devono condividere le stanze con i colleghi. Un bel guaio: il M5s ha 165 parlamentari. Ipotecare una stanza per un incontro riservato è come vincere un terno al lotto. Un problema grosso per gli ex ministri che negli ultimi tre anni hanno frequentato i piani alti della politica italiana. Gli ex ministri del M5s, rientrati oggi a Montecitorio nella veste di deputati semplici, sono tre: Vincenzo Spadafora, ex ministro dello Sport, Lucia Azzolina, ex ministro della Pubblica Istruzione, e Alfonso Bonafede, ex ministro della Giustizia. C'è poi Riccardo Fraccaro: non era ministro ma sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Aveva un ufficio a Palazzo Chigi, accanto alle stanze dell'ex premier Giuseppe Conte. Valeva più di un ministro. Con l'arrivo di Mario Draghi è rientrato da soldato semplice a Montecitorio. Al Senato fa il proprio viaggio di ritorno l'ex ministro del Lavoro Nunzia Catalfo. Cambia poco: niente stanze personali, dove incontrare cittadini e continuare l'attività politica. Stop ad auto dello Stato. Ma solo uffici in condivisione con i colleghi. Gli ex ministri non si rassegnano. Non vogliono stare sullo stesso piano dei parlamentari. Spadafora, Azzolina, Bonafede stanno tempestando di richieste il capogruppo alla Camera Davide Crippa per chiedere di riassegnare le stanze del gruppo grillino. Tenendo in considerazione un principio: il passato da ex ministro. Follia. Il capogruppo sta provando a tirare fuori un paio di stanze per gli ex ministri. Scatenando però la rivolta degli altri parlamentari. Il primo a spuntarla dovrebbe essere l'ex sottosegretario Fraccaro. Un deputato che è anche Questore della Camera o presidente di commissione possiede tre stanze per ufficio personale e segreteria. Tanta invidia.
Secondo capitolo, altro trauma: lo staff. Da ministri, Spadafora, Bonafede, Azzolina, Fraccaro avevano addetti stampa personali (almeno due), segretaria personale e social media. Da parlamentare semplice, budget del gruppo permettendo, al massimo possono arruolare due assistenti. Altra delusione.
Terzo capitolo: le auto blu. Da componenti del governo i grillini non hanno rinunciato alle auto ministeriali. Ovviamente, utilizzate solo per gli impegni istituzionali, come recita la legge. Sfrecciavano con autisti a tutta velocità. Ora si viaggia in auto propria, in bici o in monopattino. Un trauma. C'è un'eccezione: Alfonso Bonafede. L'ex ministro della Giustizia viaggia ancora con le auto di scorta. È giusto. È la legge che lo impone per gli ex Guardasigilli. Un modo per sentirsi ancora ministro.
Da "la Stampa" il 15 marzo 2021. Sono solo 90 i parlamentari del M5S (52 deputati e 38 senatori, il 37,5% del totale) «in regola» con le restituzioni di quota delle loro indennità fino al mese di dicembre 2020, che includono anche il contributo di 300 euro per la piattaforma Rousseau. È quanto si evince dalla lettura del sito del Movimento «Tirendiconto.it». Presentando il manifesto di Rousseau, «ControVento», Davide Casaleggio si era lamentato per il calo delle risorse provenienti dai parlamentati e aveva sottolineato i mancati versamenti. Quanto alle restituzioni, se dal 2020 si passa all'anno in corso, il numero dei parlamentari che hanno restituito sono 24 e a febbraio addirittura 2. Per quanto riguarda invece i «morosi» a fine anno, oltre a numerosi parlamentari che mancavano di restituire da molti mesi, ce ne sono alcuni a cui restano da saldare solo una o due mensilità e che hanno manifestato la volontà di regolarizzare la loro posizione: tra questi Luigi Di Maio, Alfonso Bonafede, Roberto Fico e Vito Crimi.
Matteo Pucciarelli per “la Repubblica” l'1 marzo 2021. L'obiettivo è chiudere un accordo nel giro di qualche mese, ma le premesse sono più che buone affinché il M5S entri nella famiglia socialista del Parlamento europeo. La capogruppo dei Socialisti e Democratici, la spagnola Iratxe García Pérez (Psoe), ha informalmente fatto sapere che non ci sono preclusioni all' ingresso dei 5 Stelle; ma con una postilla, cioè che l' ultima parola spetta al Pd. Se i compagni italiani daranno il via libera, allora si farà. I 145 eletti iscritti al gruppo socialista diventerebbero quindi 155, rafforzando il proprio ruolo di seconda forza europea dopo l' area centrista dei popolari. Non si tratta ovviamente di una improvvisa conversione alle ragioni della socialdemocrazia da parte del Movimento, ma di sicuro da quando si è formato il Conte bis assieme a Pd e Leu anche in Europa i rapporti si sono consolidati. Non è più il M5S contrario all' euro del 2014 che una volta nel Parlamento Ue si alleò con l' euroscettico Nigel Farage e nemmeno quello che flirtava con i gilet gialli francesi del 2018. Oggi l' adesione al campo progressista appare chiara e i pontieri da entrambi le parti sono al lavoro da tempo. Dice Massimiliano Smeriglio (Pd), vicino a Nicola Zingaretti, che questo «è un passaggio politico fondamentale al quale però dobbiamo arrivare con la massima cautela, la discussione deve essere vera». I socialisti possono esserci, insomma, ma non vogliono passare per un taxi da prendere al volo prima di metà legislatura europea, quando si rifanno le nomine nelle varie commissioni; commissioni che oggi vedono il M5S fuori da tutto perché non aderenti ad alcun gruppo, cosa assai penalizzante in Europa dal punto di vista regolamentare. Certo l' ingresso dei 5 Stelle nei S&D avverrebbe con un gruppo distinto da quello del Pd, ognuno conserverebbe la propria identità. «Non ci sono esiti preconfezionati di questo dialogo ma c' è la volontà di lavorare insieme per supportare un punto di vista progressista anche rispetto al recovery fund», ragiona il capodelegazione pd Brando Benifei. Anche Pierfrancesco Majorino dà ampi segnali di apertura: «Se c' è un' evoluzione dei 5 Stelle marcatamente europeista e verso il campo socialista e democratico la cosa per me è positiva. Ora però non facciamoci prendere dalla fretta. Dialoghiamo già spesso con diversi di loro al parlamento europeo, confrontiamoci ancora di più sui contenuti e le idee». Dopodiché il Pd vive già la propria fase pre-congressuale, con l' area ex renziana mai tenera con il M5S che tenta di riorganizzarsi, quindi è per questo che ci si va coi piedi di piombo anche in quel pezzo di partito ancorato all' idea di fronte progressista. Quanto ai 5 Stelle, la loro collocazione naturale sarebbero stati i verdi, che però a dicembre hanno accolto quattro fuoriusciti di area "dibattistiana", atto considerato più di uno sgarbo visto che i rapporti di collaborazione andavano avanti da tempo. Ma lì in realtà sono entrate in gioco dinamiche geopolitiche di altro tipo: la famiglia ecologista è a forte trazione nordico-tedesca, con l' ingresso di tutti i 5 Stelle l' asse italo- francese avrebbe preso il sopravvento. Dopodiché già nella scorsa legislatura europea, la prima della storia del Movimento, nonostante il rapporto con Farage e il tentativo di ingresso nei liberaldemocratici, il M5S aveva votato in linea con i socialisti nel 71 per cento dei casi, la seconda affinità più alta dopo quella coi verdi per l' appunto (74 per cento). «La nostra delegazione adesso è convinta e compatta nella scelta di provare a percorrere questa strada in comune con i S&D», assicura il vicepresidente del Parlamento europeo Fabio Massimo Castaldo. Aggiunge Laura Ferrara, anche lei 5 Stelle, che «questo percorso rafforza l' interesse nazionale in Europa dove nei prossimi mesi si dovranno prendere decisioni fondamentali come la riforma del Patto di Stabilità che dovrà assicurare più crescita e meno rigore e poi ricostruisce su basi nuove l' esperienza positiva del governo Conte, unico avamposto a Salvini e ai sovranisti. Con il Pd su lotta all' austerity, transizione ambientale, legalità e difesa dei diritti dei cittadini siamo in sintonia». Non è ancora un matrimonio quindi, ma una proposta di fidanzamento sì.
Da huffingtonpost.it il 10 febbraio 2021. “Sei d’accordo che il MoVimento sostenga un governo tecnico-politico: che preveda un super-Ministero della Transizione Ecologica e che difenda i principali risultati raggiunti dal MoVimento, con le altre forze politiche indicate dal presidente incaricato Mario Draghi?”. Questo il testo del quesito che domani verrà votato dagli iscritti M5s sulla piattaforma Rousseau. C’è tutto: il come, il dove e il quando. C’è anche qualcosa di molto di più in quel quesito secco - sì o no, senza previsioni di astensione - per votare domani su Rousseau sul governo Draghi. C’è, infatti, la soluzione del rebus sulla formula del governo (definito “tecnico-politico”) e anche una neanche troppo velata indicazione implicita di voto, laddove si descrive il governo che potrebbe essere vicino alla nascita non solo dotato “di un super-Ministero della Transizione Ecologica”, chiesto ieri da Beppe Grillo, ma anche con il compito di difendere “i principali risultati raggiunti dal Movimento, con le altre forze politiche indicate dal presidente incaricato Mario Draghi”.
La faida dei grillini. I 5 Stelle ostaggio di un sito privato, su Rousseau va in onda lo scontro finale tra Grillo e Casaleggio. Aldo Torchiaro su Il Riformista l'11 Febbraio 2021. Il Movimento si muove su un terreno minato. Grillo e Casaleggio non vanno più d’accordo da tempo e Rousseau è l’ultimo duello tra il fondatore e il figlio del padre nobile. Alla fine il dissidio partorisce un didascalico quesito: “Sei d’accordo che il MoVimento sostenga un governo tecnico-politico: che preveda un super-Ministero della Transizione Ecologica e che difenda i principali risultati raggiunti dal MoVimento, con le altre forze politiche indicate dal presidente incaricato Mario Draghi?”. Questa la domanda alla quale sono chiamati a rispondere gli iscritti al M5s. Si voterà sulla piattaforma Rousseau dalle ore 10 alle ore 18 di domani. Potranno votare solo gli iscritti da almeno sei mesi, con documento certificato. Ciascun iscritto può verificare il proprio stato di iscrizione facendo login e controllando il bollino colorato accanto al nome (in alto a destra): se il bollino è verde l’utente è certificato e abilitato al voto. Beppe Grillo vuole dire di sì a Mario Draghi, ma lo statuto gli impone di passare attraverso Rousseau. Marco Canestrari, ex socio di Casaleggio, la inquadra così: «Chiedono la ratifica della decisione a una piattaforma privata, tecnicamente manipolabile e gestita in maniera non trasparente». La base è in subbuglio: secondo sondaggi attendibili, ben pochi voteranno per l’ingresso nel governo. E sono guai. Beppe non può mandare il suo Vaffa ai grillini, mentre quelli sono pronti per il Vaffa a Draghi. Ed ecco che si cercano nuove bandiere, facili slogan da far digerire. La sola trovata è quella del Ministero per la transizione ecologica, il Superministero, lo chiama Grillo. Niente di originale, nessuna panacea: esiste in Francia da molti anni ed è l’accorpamento dei ministeri dell’Ambiente, energia e opere pubbliche. Il risultato che ha dato Oltralpe non è clamoroso: ha finalizzato la Tav nella tratta Marsiglia-Lione e ne sostiene la realizzazione nella tratta finale Lione-Torino, dopo aver fatto scavare la Francia in lungo e in largo. Ma poco importano i dati di realtà, è il momento della suggestione. E poi è tutta comunicazione interna, vanno rassicurati i dissidenti. Fonti parlamentari parlano di un incontro con Crimi, di un altro con Di Maio, riferiscono che Grillo ha sentito anche Casaleggio. Il partito di Grillo è lacerato ormai anche in streaming. Su Zoom si danno appuntamento i dissidenti, aizzati da Alessandro Di Battista e in aula da Barbara Lezzi e da Elio Lannutti (“Siamo al golpe”). Va in onda una chiassosa gazzarra che prende di mira i big. Dietro le quinte, succede che Mario Draghi ha fatto capire quale sarà la composizione dell’esecutivo: niente numeri uno, tanti tecnici scelti da lui e dal Movimento, un solo ministro noto. Il nome che circola è quello di Patuanelli. Lo stesso Di Maio tornerebbe al partito, come capo politico che deve sedare il conflitto interno. D’altronde si è fatto un’esperienza da diplomatico. E il ritardo con cui il Paese intero sta facendo i conti, con il governo che aspetta il via libera grillino, si dovrebbe proprio alle trattative che cercano di tenere in piedi i rapporti di forza interni e quelli – ormai notoriamente logori – tra Grillo e Davide Casaleggio. Rousseau sarebbe diventato il titolo di credito attraverso il quale l’azienda privata che ne è proprietaria tratterebbe la sua onorevole uscita. Se la proprietà si allineasse con la governance del Movimento, l’esito di Rousseau non sarebbe sfavorevole a Draghi. L’unica alternativa è per Grillo quella di ottenere subito un esito sbandierabile: come detto, il Superministero. Per questo, come animali in via d’estinzione, puntavano gli occhi colmi di speranza sul Wwf. Donatella Bianchi, la presidente, esce ieri sera dalle consultazioni con Draghi annunciando che il presidente incaricato ha dato la sua parola sulla nascita del nuovo dicastero verde. «Per noi è sufficiente questo», si affretta a sancire una fonte autorevole M5S. Passa la nottata, Draghi aspetta Rousseau, dunque Casaleggio. Questa sera alle 18 sapremo.
Sì da Rousseau a Draghi: finita la sceneggiata del M5s. Antonio Lamorte su Il Riformista il 11 Febbraio 2021. Il Movimento 5 Stelle approva la nascita del Governo di Mario Draghi. O almeno lo approva la piattaforma Rousseau. E’ stato comunicato intorno alle 18:45 il risultato, come era stato previsto. Hanno votato circa il 70 per cento degli iscritti. Circa il 59,3%, 44.177 voti, degli iscritti ha detto sì a Draghi. Il voto era partito alle 10:00 di stamattina, in corso fino alle 18:00. A spingere per il voto era stato il dominus della piattaforma, Davide Casaleggio, figlio del guru e fondatore dei 5Stelle Gianroberto Casaleggio. Lo stesso Casaleggio era arrivato a Roma la settimana scorsa in vista delle consultazioni con il Presidente incaricato Mario Draghi del partito, come era arrivato Beppe Grillo, il comico e garante che si era detto favorevole all’esecutivo, e che alle consultazioni ha partecipato. Tutto lo Stato Maggiore nella capitale evitare una frattura definitiva nei 5 Stelle. E stando ai risultati la frattura c’è, il Movimento spaccato quasi a metà. Lo stesso Grillo ha praticamente dettato il quesito esposto sulla piattaforma: “Sei d’accordo che il MoVimento sostenga un governo tecnico-politico: che preveda un super-Ministero della Transizione Ecologica e che difenda i principali risultati raggiunti dal MoVimento, con le altre forze politiche indicate dal presidente incaricato Mario Draghi?”. Due le opzioni: Sì o No. L’ambiente era tra l’altro tra le 5 Stelle della fondazione. In un video messaggio il Garante aveva parlato, ieri sera, proprio del “super” dicastero, sui modelli di quelli che esistono in Francia e in Spagna, come la condizione primaria per formare l’esecutivo. Un veto poi sulla Lega, che di ambiente secondo Grillo non ci capisce molto, al governo proprio i grillini nel primo esecutivo Conte. Al dicastero si lavora, come confermato in conferenza stampa dalle associazioni ambientaliste che hanno incontrato Draghi ieri. A questo punto il premier incaricato potrebbe sciogliere la riserva e salire al Quirinale dal Presidente Sergio Mattarella e presentare la squadra di governo. Attesi sviluppi nel fine settimana se non prima. La prima reazione, via social, al risultato è stata quella del ministro degli Esteri ed ex Capo Politico Luigi Di Maio: La responsabilità è il prezzo della grandezza. Oggi i nostri iscritti hanno dimostrato ancora una volta grande maturità, lealtà verso le istituzioni e senso di appartenenza al Paese. In uno dei momenti più drammatici della nostra storia recente, il MoVimento 5 Stelle sceglie la strada del coraggio e della partecipazione, ma soprattutto sceglie la via europea, sceglie un insieme di valori e diritti di cui tutti noi beneficiamo ogni giorno e dietro ai quali, purtroppo non di rado, si nascondono egoismi e personalismi. La fedeltà alla Nazione, oggi, si è mostrata più forte della propaganda. Questo è il M5S. Questo è il Movimento che riconosco e in cui ho scelto di spendere tutto me stesso. Voglio ringraziare ogni singolo attivista e iscritto alla piattaforma Rousseau che ha espresso il proprio voto. L’intelligenza collettiva ha prevalso sul singolo e ha mostrato nuovamente la sua forza, una forza buona e adulta, che deve spronarci a fare meglio, ancora di più, per la nostra Italia. La legalità, la giustizia, lo stop ai privilegi, la protezione dell’ambiente, lo sviluppo sostenibile, l’acqua pubblica e molto altro. Siamo ancora questo. Anzi, da oggi lo siamo con maggiore consapevolezza. Ringrazio anche Beppe Grillo per il grande contributo offerto in questa fase. Il pensiero è libero solo quando libere sono le persone. Viva il Movimento 5 Stelle. Viva l’Italia.
Povera Italia, costretta a prendere sul serio la buffonata di Rousseau. Piero Sansonetti su Il Riformista il 12 Febbraio 2021. Ieri mattina qui al Riformista abbiamo fatto un gioco. Ciascuno di noi ha scritto su un foglietto di carta quelli che prevedeva sarebbero stati i risultati della votazione sulla Rousseau. Qualcuno ha scritto 60 a 40, qualcuno 61 a 39, qualcuno 59 a 41. Tutta qui l’oscillazione dei pronostici. Che poi alle sette della sera si sono dimostrati tutti vicinissimi al risultato reale. Questione di decimali. Possibile che tutti noi redattori del Riformista siamo così attenti conoscitori della realtà del popolo a 5 Stelle, tanto da prevedere quasi al millimetro i rapporti di forza e le opinioni? È più probabile che semplicemente siamo dei discreti conoscitori del vertici dei 5 Stelle, in particolare di Grillo e Casaleggio. Che sono, in fondo, persone piuttosto semplici, non sofisticatissime, e quindi abbastanza prevedibili. Diciamo la verità: quasi nessuno crede che i risultati della consultazione con la piattaforma Rousseau siano stati spontanei. Siamo un po’ tutti convinti che l’esito del voto fosse stato trattato l’altra sera dai due capi del Movimento 5 Stelle e decisi a tavolino. Né Grillo né Casaleggio erano interessati a una roulette russa. In una situazione così delicata per il Movimento, affidarsi alla dittatura della sorte era troppo pericoloso. Grillo aveva bisogno di vincere il voto su Rousseau e dare il via libera a Draghi. Casaleggio – che è contrario all’ingresso nel governo Draghi – non poteva permettersi un clamoroso insuccesso. Meglio trattare e decidere un onorevole 59 a 41, giusto? Poi può anche darsi che le cose non siano andate così, e che il voto ci sia stato davvero e sia stato libero, e solo per puro caso si sia concluso con le cifre che un po’ tutti prevedevano. Il problema è che nessuno ci crederà mai. Soprattutto perché nessuno può controllare la piattaforma Rousseau se non chi la gestisce, cioè Casaleggio, e quindi non ci sarà mai una prova della correttezza di questa operazione. Poco male. Se esiste un movimento che decide di affidare le proprie sorti a una ditta privata alla quale consegna risorse e cervelli e che delega a pensare e a decidere al proprio posto, e se poi questo movimento si presenta alle elezioni e ottiene più del 30 per cento dei voti, bisogna prenderne atto e basta. Non si può impedire alle persone di rinunciare ai propri diritti politici e nemmeno alla propria libertà. Il paese dopo le elezioni del 2018 è andato alla deriva. Ha rinunciato ad avere una classe dirigente e si è affidato a piccole bande che si univano o si scontravano seguendo logiche che non avevano nessun rapporto con la politica. Così è nato il governo di estrema destra Salvini-Di Maio (che ha tagliato fuori il centro liberale berlusconiano) e poi è nato il governo rosso-bruno (come dicono i politologi per definire le alleanze tra reazionari e progressisti) con il Pd che ha accettato di accodarsi in posizione subalterna ai 5 Stelle. Naturalmente questa disinvoltura politica ha prodotto una situazione di ingovernabilità e anche notevoli danni sociali ed economici. Aggravati per altro dalla pandemia, che ha aperto, oggettivamente, una crisi molto profonda che comunque qualunque governo avrebbe faticato a dominare. Ora la mossa del cavallo di Mattarella e Renzi, e cioè l’incarico di formare il governo a una personalità di alto livello, come quella di Mario Draghi, può in parte essere una soluzione e può frenare lo sbando. Ma non sarà una cosa semplice. Perché a Draghi nessuno può dare un mandato in bianco, sarà in Parlamento che si combatteranno le battaglie politiche. E il Parlamento in questo momento è una bolgia dove piccole squadrette di 5 stelle o ex Cinque stelle o dissidenti 5 stelle si affrontano all’arma bianca e si fanno guerra fino all’ultimo sangue. Ed è proprio qui che nasce il secondo problema. Quello della democrazia. L’esperienza di questi tre anni ha provocato una caduta verticale del tasso di democraticità di questo paese. I Cinque Stelle hanno portato in tutte e due le alleanze (quella con il Pd e quella con la Lega) una forte dose di neo-autoritarismo. Che poi è la sostanza vera del populismo antico e moderno. Sia sul piano della tendenza a smantellare lo stato di diritto, sia su quello della lotta ai partiti, ai sindacati, al volontariato, all’associazionismo. E non hanno trovato molti oppositori. Prima la Lega e poi il Pd hanno assunto una posizione subalterna e reverente nei confronti del partito di Grillo e Casaleggio. Rinunciando alla propria identità, alla propria autonomia, a buona parte della propria storia. Forse il Pd lo ha fatto più ancora della Lega. E il Pd non è un partito qualsiasi: è l’unico vero erede della Prima Repubblica, del miracolo italiano, della stagione dello sviluppo del paese e delle grandi conquiste sociali. Cos’è rimasto di quel partito. Ha disperso una immensa eredità politica, di sapere, di tradizioni. Un giorno bisognerà ragionare bene sulle responsabilità di questo sfacelo. Al quale non sono estranei gli intellettuali e in particolare la macchina dei mass media, interamente sottomessa ai nuovi vincitori. Per ora però c’è una cosa più urgente da fare: provare a rimettere in moto la politica e a riaprire la battaglia politica. Anche quella tra destra e sinistra. Tra liberali e autoritari. Tra nazionalisti e europeisti. Non tocca certo a Draghi questo compito. Lui è stato chiamato per svolgere un altro ruolo. Rimettere ordine, riparare, rilanciare l’economia strapazzata per anni dal dominio dei moralisti e dei magistrati e dei burocrati. Non è lui che può ridare anima e linfa alla democrazia morente. I partiti che ancora esistono si limiteranno a dire signorsì al premier, o approfitteranno di questo grande armistizio, per ritrovare voce e pensiero? Altrimenti lasciamo ancora campo libero ai comici, ai commedianti che sono riusciti a impancarsi a maestri di politica e di cultura e ancora non smettono. Però allora sarà davvero la rovina del paese. Non basterà Draghi ad evitarla.
Uno schiaffo alla democrazia. Il voto sulla piattaforma Rousseau è uno schiaffo alla democrazia. Una duplicazione delle liturgie di una nazione dentro gli schemi di un movimento. Claudio Brachino, Giovedì 11/02/2021 su Il Giornale. Il voto sulla piattaforma Rousseau è uno schiaffo alla democrazia. Una duplicazione delle liturgie di una nazione dentro gli schemi di un movimento per creare una sorta di avvertimento al presidente incaricato Draghi. Ma possono 60 milioni di italiani dipendere, in una fase drammatica del paese, da meno di 200mila iscritti a una sorta di simulacro dell'abolizione del meccanismo rappresentativo che invece non ha nessuna autorevolezza istituzionale? Da un lato in sintesi c'è il sogno irrealizzabile dell'iperdemocrazia on line di Casaleggio padre, dall'altro la nostra democrazia reale, cristallizzata in una carta costituzionale. Imperfetta, in crisi, strattonata dalla rivoluzione tecnologica del nostro secolo, ma pur sempre il faro dei cittadini della penisola. A garanzia di questa democrazia c'è un signore, il capo dello Stato, che finalmente stanco delle liti in salsa giallorossa e della caccia ai Ciampolilli, ha chiesto a tutti uno scatto. La polis prima delle logiche di partito, i vaccini che salvano la vita, i progetti del Recovery fund che salvano l'economia e il futuro delle prossime generazioni. Quasi tutti hanno sentito questo richiamo. Il Pd si è liberato dell'ossessione piscoanalitica di Giuseppi e ha detto siamo Con te, intendendo Mattarella. Italia viva aveva questo, secondo me, come approdo fin dall'inizio, magari con il sussurro di Biden, tanto che per trovare un elogio all'intelligenza politico-machiavellica di Renzi si è dovuto scomodare il New York Times. Berlusconi è venuto di persona a Roma accolto come una pop star per suggellare la stima reciproca con l'ex capo della Bce e blindare un partito che per primo si era detto disponibile al bene del paese al di là degli steccati. Salvini, ricordiamolo ancora in testa ai sondaggi nazionali, ha fatto una scelta simile sul piano della maturità personale e della maturazione istituzionale della Lega. La Meloni segue legittimamente la sua coerenza, regge la dialettica dell'opposizione a tutti i costi (ma Draghi non è e non sarà Monti). E Grillo che fa? Prima lodi sperticate, poi colpo di freno. Sentiamo un po' che dice il grande banchiere e poi votiamo su Rousseau. Quando? Vediamo, lo dico io. Intanto rilancia l'idea di un superministero green, e siccome sulla rivoluzione sostenibile ci finiranno circa 70 miliardi di euro, chi ci mette il cappello... Fosse così, più che di iperdemocrazia parlerei di ipermercato!
Marco Canestrari sul suo blog marcocanestrari.it l'1 febbraio 2021. Cinque anni fa, Nicola Biondo e io abbiamo iniziato a raccontare la vera storia del Movimento 5 Stelle. Se conoscete come davvero è nato quel partito, il ruolo di Casaleggio Associati, le strategie di propaganda, le pericolose alleanze internazionali, da Putin a Farage, è grazie al fatto che abbiamo deciso di mettere il pubblico a conoscenza di quanto avevamo visto e vissuto. Io ho lavorato quattro anni nell’azienda del signor Davide Casaleggio, ho letteralmente visto nascere la propaganda populista negli uffici dell’azienda di Milano. Me ne sono andato, rinunciando nel 2010 a un contratto a tempo indeterminato. Io e Nicola abbiamo scritto due libri, Supernova e Il sistema Casaleggio, centinaia di articoli e rilasciato decine di interviste negli ultimi cinque anni. Il signor Davide Casaleggio mi ha chiesto i danni. Ritiene che le cose che ho raccontato non siano vere o che che gli abbiano causato danni. Io credo che questa sia un’ottima notizia. Ho deciso di rendere questo procedimento, che inizierà fra pochi mesi, un atto pubblico di responsabilità civica. Ho raccontato e continuo a raccontare queste vicende, impegnando buona parte del mio tempo libero e delle mie risorse, perché ritengo un problema l’influenza che il signor Casaleggio esercita sul Parlamento senza nessun controllo democratico. Mi sono assunto e mi assumo il rischio di pagare in prima persona, perché questo problema ho contribuito a crearlo e mi sento in dovere di cercare di risolverlo. Non accetterò nessuna mediazione: voglio approfittare di questo tentativo di intimidazione da parte del signor Casaleggio per stabilire alcune cose di fronte a un tribunale civile. Non ci sono in ballo reati: solo fatti. Nell'intimidazione non ha funzionato e non funzionerà: continuerò a scrivere, raccontare, commentare, sbugiardare il sistema Casaleggio.
È vero o non è vero che Casaleggio Associati ha fondato e amministrato il Movimento 5 Stelle?
È vero o non è vero che il signor Davide Casaleggio è una persona esposta politicamente?
È vero o non è vero che la sua azienda, attraverso i propri siti web, rilanciava la propaganda del Cremlino?
È vero o non è vero che il Movimento 5 Stelle ha avuto strettissimi rapporti con il partito di Putin?
È vero o non è vero che il Movimento 5 Stelle ha supportato pubblicamente regimi autoritari?
È vero o non è vero che l’architettura di gestione del Movimento 5 Stelle impedisce che il signor Davide Casaleggio sia sottoposto a qualsiasi controllo democratico?
Tutte queste verità dovranno essere stabilite una volta per tutte dal Tribunale civile di Milano, a partire dal prossimo giugno. Ho messo insieme un piccolo gruppo di lavoro: un avvocato, un consulente, alcuni amici a cui chiederò consiglio. Come ho già detto mi assumo il rischio di dover pagare di tasca mia. Se volete potrete contribuire: ho attivato una raccolta fondi che trovate sul sito processoalsistemacasaleggio.it e sul mio sito marcocanestrari.it. Più risorse avrò a disposizione, più evidenze potrò portare a sostegno di quanto ho raccontato. È importante che si stabilisca una volta per tutte il ruolo dell’azienda del signor Davide Casaleggio nella storia di questo Paese. Che sia fatta chiarezza sui metodi di propaganda, sulle relazioni internazionali, sugli interessi, sui soldi che sono circolati, sui conflitti d’interesse, sul pericolo che il metodo Casaleggio rappresenta per le Istituzioni. Cercherò di raccontarvi passo passo il procedimento e proverò a creare un archivio di tutto il materiale che porterò a supporto della mia difesa. Un archivio che raccoglierà le prove di quanto abbiamo sostenuto in questi anni, a disposizione di tutti.
La farsa è finita: il 59,3% dice sì a Draghi. Di Maio: “Vince l’intelligenza collettiva”. Gli altri tutti cretini. Stefania Campitelli giovedì 11 Febbraio 2021 su Il Secolo d'Italia. “Abbiamo scelto la strada del coraggio e della partecipazione“. Alle 19,03 Luigi Di Maio dà il grande annuncio. Il popolo grillino ha detto sì all’ingresso nel governo Draghi. Un’ora dopo la chiusura dei ‘seggi’ virtuali sulla piattaforma Rousseau il leader azzoppato dei 5Stelle canta vittoria. E spaccia un esito scontato, eterodiretto dai capi, come uno straordinario successo di democrazia. Senza un minimo di decenza. Ma davvero qualcuno poteva pensare che le consultazioni online degli iscritti pentastellati potessero dare un risultato diverso? Con quel quesito imbarazzante? Prodotto dalla mente furbetta e pericolosa del duo Grillo-Casaleggio junior. Con il sì già annunciato. Con il calendario del premier incaricato già pronto. Governo e fiducia lampo per dare subito lo start al "governo della provvidenza". Su oltre 74mila votanti la percentuale dei sì è stata pari al 59,3 per cento. Tanto basta, meglio non strafare, per far vincere la linea governista. Favorevoli all’esecutivo di “alto profilo” 44.177 mentre, contrari 30.360. Non proprio una schiacciante vittoria per la nomenklatura 5Stelle. Nessuna percentuale bulgare come per le passate consultazioni online. Quella sull’alleanza di governo con la Lega e sulla successivo abbracci con il Pd. Una volta spalancate le porte all’esecutivo dell’amico delle banche, l’odiato ex numero uno della Bce, i vertici 5Stelle hanno messo in scena la solita arlecchinata. “Faremo decidere gli iscritti”. Ma certo, saranno loro a sciogliere i nodi della posizione del primo partito in Parlamento (non certo nel paese, visti i sondaggi). Tutto secondo copione. La piattaforma dei miracoli intitolata al filosofo del bon sauvage, i ritardi cronici, lo slittamento del voto appeso al ministero ‘green’. Lo stupore finale. Sullo sfondo quel rompiscatole di Di Battista ad abbaiare alla luna. Non cambio idea – ha detto fino all’ultimo. No al governo dei tecnocrati. Il primo step è andato. Ma ora per Grillo sarà impossibile evitare la scissione. Giggino da il meglio di sé. Gongolante per l’esito che gli permetterà, forse, di restare ancora in sella con un ministero. “Voglio ringraziare ogni singolo attivista e iscritto alla piattaforma Rousseau che ha espresso il proprio voto”, scrive su Facebook parlando di ‘intelligenza collettiva’ che prevale sul singolo. E ancora. “La legalità, la giustizia, lo stop ai privilegi, la protezione dell’ambiente. Lo sviluppo sostenibile, l’acqua pubblica e molto altro. Siamo ancora questo. Anzi, da oggi lo siamo con maggiore consapevolezza”. Infine, noblesse oblige, il ringraziamento a Beppe. “Per il grande contributo offerto in questa fase”. “Non ho ancora parlato con Grillo, adesso lo chiamo”. Così Davide Casaleggio dopo il voto degli iscritti sulla piattaforma che ha dato il via libera all’esecutivo Draghi. Lo stesso che poco prima aveva messo le mani avanti nel caso, molto remoto, il no a fosse stato maggioritario. “Le valutazioni politiche le rimando agli organi politici del M5S” ha aggiunto. Senza svelare il suo voto.
Marco Imarisio per il "Corriere della Sera" l'11 febbraio 2021. La tentazione di ricorrere a facili giochi di parole va sempre evitata. Ma che qualcosa potesse generare confusione fu chiaro fin dall'inizio, quando all'improvviso i bordelli divennero una priorità del M5S. La piattaforma Rousseau debuttò il 5 luglio 2016 chiedendo agli iscritti di formulare proposte da portare al più presto in Parlamento. Al secondo posto si piazzò a sorpresa la riapertura delle case chiuse. Quel risultato, accolto con qualche sconcerto dai vertici di allora, non scalfì la mitologia nascente della struttura tecnologica che all'epoca si definiva Sistema operativo del Movimento 5 Stelle. «Una formica non deve sapere come funziona il formicaio, altrimenti tutte le formiche ambirebbero a ricoprire i ruoli migliori e meno faticosi, creando un problema di coordinamento». Questo passaggio di Tu sei rete , il libro di Davide Casaleggio che è una summa del pensiero paterno, rappresenta anche l'ambiguità concettuale di una struttura che viene presentata come simbolo di democrazia diretta ma in realtà ha funzione di reclutamento, profilazione dei dati, raccolta di fondi. E non di vera e propria partecipazione. Perché a decidere infine sarà solo il Capo, al quale infatti è affidata la possibilità di capovolgere gli esiti sgraditi delle votazioni, oppure di indirizzarle scrivendo i quesiti in un certo modo. Rousseau nasce nella tempesta. Lo statuto dell'associazione viene scritto nella stanza dell'ospedale Auxologico di Milano dove Gianroberto Casaleggio si sta spegnendo. L'ultima telefonata con Beppe Grillo è una lite feroce, senza riappacificazione finale, il culmine negativo di un rapporto ormai logorato. La piattaforma, destinata a prendere il posto del blog dell'ex comico, risente di questo dissidio feroce, perché viene concepita soprattutto per blindare il Movimento da ogni tentativo di scalata, per conservarne lo spirito delle origini, e da ultimo per affidarne controllo e gestione in via dinastica. È uno strumento di potere interno, che come tale funziona alla perfezione, anche in tempi di declino e di relativa rappresentatività. All'interno del M5S non è certo un mistero il fatto che nel gennaio del 2020 Luigi Di Maio si dimetta da capo politico anche a causa dello scarso risultato ottenuto dalla votazione sul «team del futuro», il suo ultimo tentativo di mediazione con l'ala più radicale rappresentata da Davide Casaleggio. Poco riscontro, poco entusiasmo, addio. Eppure, c'è stato un tempo in cui queste tare così evidenti non contavano, e i destini del Movimento sembravano sovrapponibili a quelli di Rousseau. I primi due anni di vita sono il momento di massimo splendore. La piattaforma accoglie l'eredità del Sacro blog e dei Meet up, i 391 gruppi virtuali dai quali si è generato il M5S. Alla vigilia delle elezioni politiche del 2018, concentra il lavoro sulla selezione dei candidati, con le Parlamentarie che a oggi restano il suo maggior successo. Poco importa se la piattaforma presentata come un prodigio di tecnologia mostra falle e distorsioni evidenti. Nel 2017 tre attacchi hacker ne dimostrano la vulnerabilità, con tanto di sberleffi assortiti, come l'inserimento nel database di una falsa donazione da un milione di euro fatta dall'allora segretario del Pd Matteo Renzi o la finta vendita dei dati in cambio di bitcoin. Vengono cambiate le password, salvo poi scoprire che gli espulsi del Movimento, definiti «utenti dormienti» da un curioso comunicato, hanno ancora accesso a Rousseau. L'anno seguente, l'istruttoria del Garante della privacy stabilisce che i nomi degli iscritti sono stati comunicati «a soggetti terzi, in mancanza del consenso degli interessati», stigmatizza «l'indiscutibile obsolescenza tecnica» ed evidenzia come «le misure di sicurezza per il controllo delle operazioni di voto destino perplessità». Ma il garante si chiama Antonello Soro, ex deputato del «Pd meno elle», il nemico giurato. Così va la vita. A prevalere è piuttosto l'alone di purezza che circonda Rousseau. La piattaforma diventa un simulacro del vecchio M5S, è il cordone ombelicale che lega il Vaffa alle nuove grisaglie governative, le giustifica con la sua esistenza. E proprio per non toccare uno statu quo che va in direzione opposta all'intransigenza di Casaleggio, aumenta le sue contraddizioni. Il quesito sul caso della nave Diciotti, che vede coinvolto l'alleato Matteo Salvini, viene cambiato nottetempo per essere trasformato in un rebus da Settimana enigmistica, chi vuole dire sì all'imputabilità del ministro dell'Interno deve votare no, e viceversa. Ma siamo già nel 2019. L'era del bieco realismo è cominciata da un pezzo, le case chiuse non sono mai state riaperte. Tanto più che Rousseau non decolla. Gli iscritti sono sempre quelli, poco più di centomila, i parlamentari sono insofferenti a questo collo di bottiglia virtuale e ai suoi costi. La mitica piattaforma diventa ben presto un orpello, un passaggio obbligato utile giusto a togliere il M5S dall'imbarazzo certificando scelte indigeste. E comunque se qualcosa non va come deve, a norma di statuto non è solo possibile rivotare, ma anche annullare la decisione. Mario Draghi può dormire tranquillo.
La profezia di Travaglio invecchiata malissimo. Travaglio e la "rosicata" sul M5S al governo con Draghi: “Grillo si è fatto intortare, non conteranno nulla”. Carmine Di Niro su Il Riformista il 12 Febbraio 2021. Il Movimento 5 Stelle? Nel governo Draghi “non conteranno più niente” e “prima di calarsi le brache avrebbero dovuto chiedere qualche garanzia in più”. Marco Travaglio è un fiume in piena nel salotto televisivo di ‘Otto e mezzo’, dove è praticamente di casa, nel commentare il "Sì" sulla piattaforma Rousseau alla fiducia all’esecutivo dell’ex numero uno della Banca centrale europea. Il direttore del Fatto Quotidiano, ideologo-ombra del Movimento 5 Stelle, è visibilmente sconvolto dalla svolta di “responsabilità” dei grillini e in particolare dei loro vertici, da Luigi Di Maio a Vito Crimi, fino al fondatore e garante Beppe Grillo. Proprio sul comico genovese arrivano le parole più dure: “Si è trattata di una circonvenzione di capace. È stato intortato da quel volpone di Draghi con la supercazzola del super-ministero della Transizione ecologica”, accusa Travaglio. Quanto al futuro del Movimento, il direttore del Fatto prevede una spaccatura, perché “ci sarà qualcuno che non ha lo stomaco così forte da andare al governo con Berlusconi e con chi gli ha buttato giù i due precedenti governi”.
LA PREVISIONE SBALLATA DI TRAVAGLIO – Nello studio di "Otto e mezzo" riecheggiano ancora le parole di Travaglio smentite dai fatti di queste ultime ore. Giovedì 5 febbraio, soltanto una settimana fa e prima della chiamata al voto degli iscritti sulla piattaforma Rousseau, Travaglio era certo delle future mosse del Movimento: nessuna fiducia a draghi perché “il tabù numero uno dei Cinque Stelle è Berlusconi, un pregiudicato”, diceva il direttore del Fatto scandendo ogni sillaba e mettendosi le mani alla bocca a mo’ di megafono. Non solo. Per Travaglio, che si rivolgeva alla Gruber, era letteralmente impossibile vedere in futuro prossimo i grillini al governo con ministri forzisti: “Te li vedi che fanno i ministri insieme agli uomini di Berlusconi che vogliono cancellare la riforma della prescrizione. Cioè, ma pensate veramente che la politica sia una pagliacciata a questi livelli? È evidente che devono trovare un altro modo se vogliono evitare la scissione, che potrà essere l’astensione o un appoggio esterno. Ma certamente la gente se vede dei Ministri dei Cinque Stelle con i Ministri di Berlusconi gli sputerà in faccia”, diceva il buon Marco. Ebbene, come da risultato della piattaforma Rousseau, il Movimento 5 Stelle sarà al governo proprio col “pregiudicato Berlusconi”. Vedremo se i sostenitori grillini avranno la saliva pronta…
Otto e Mezzo, “e allora quei voltagabbana del Pd?”: Marco Travaglio, crisi di nervi per difendere la farsa-Rousseau. Libero Quotidiano l'11 febbraio 2021. Marco Travaglio ha rispolverato un grande classico: “E allora il Pd?”. Ospite di Lilli Gruber a Otto e Mezzo, il direttore del Fatto Quotidiano ha sparato sul partito di Nicola Zingaretti per difendere la votazione-farsa sulla piattaforma Rousseau che ha sancito il via libera da parte degli iscritti all’ingresso del M5s nel governo di Mario Draghi. “Far votare 74mila persone - è la versione di Travaglio - è sempre meglio che far decidere a 3-4 persone. Quanti hanno deciso nel Pd che la linea che Andrea Orlando ha enunciato due settimane fa fosse cambiata?”. Il riferimento è alla dichiarazione “non aggiungeremo mai i nostri voti a quelli leghisti neanche se il premier fosse Superman”. “Ma questa è democrazia rappresentativa, Marco”, ha provato a ricordargli la Gruber. Ma Travaglio ha tirato dritto per la sua strada: “No, quello significa essere dei voltagabbana a casa mia. È meglio sentire ogni tanto anche i propri iscritti: in Germania Spd li fa votare per posta, il M5s li fa votare online”. Poi il direttore del Fatto ha risposto alla domanda della conduttrice di La7 su una possibile spaccatura tra i 5 Stelle dopo il voto su Rousseau: “Credo che ci sarà per forza qualcuno che non avrà lo stomaco così forte da votare un governo con Berlusconi e con quello che gli ha buttato giù i precedenti due”.
Travaglio demolisce il MoVimento: "Si è calato le brache, non conterà più niente". È un Marco Travaglio critico contro il Movimento 5 Stelle quello che ha parlato da Lilli Gruber e che non ha risparmiato commenti al veleno per i grillini. Francesca Galici, Giovedì 11/02/2021 su Il Giornale. Marco Travaglio in rotta con il Movimento 5 Stelle? Uno dei più leali sostenitori del partito di Beppe Grillo sembra aver cambiato idea e ospite di Otto e mezzo non ha risparmiato critiche, anche ben argomentate, al M5S che fino a pochi giorni fa elogiava. Il pomo della discordia per Marco Travaglio è la decisione di appoggiare il governo di Mario Draghi, soprattutto perché in quella stessa maggioranza ci saranno anche Silvio Berlusconi e Matteo Salvini, che i grillini da sempre contestano. Solo pochi mesi fa sembravano rabbrividire all'idea, escludevano categoricamente l'ipotesi di un'alleanza e adesso l'appoggio a Draghi ha cambiato tutto, facendo storcere il naso a Marco Travaglio. "Prima di calarsi le brache avrebbero dovuto chiedere qualche garanzia in più", ha sbottato Marco Travaglio con Lilli Gruber, commentando il voto du Rousseau che ha di fatto dato il via libera al Movimento 5 Stelle di appoggiare Mario Draghi. "Non conteranno più niente", ha sottolineato il direttore de Il fatto quotidiano ai microfoni di Otto e mezzo, forse anche mettendo in evidenza il malumore di gran parte dei grillini, che quando iniziò l'avventura del M5S decisero di appoggiarlo proprio perché in apparenza diversi dalla politica classica. Marco Travaglio è molto duro nel suo giudizio sull'appoggio al governo nascente: "Grillo è tutt'altro che scemo. Si è trattata di una circonvenzione di capace. È stato intortato da quel volpone di Draghi che lo ha intortato con la supercazzola del super-ministero della Transizione ecologica". Per Marco Travaglio, quindi, i grillini si sarebbero fatti abbagliare da promesse e da piccolezze che hanno però fatto perdere al MoVimento il suo slancio e la sua identità. Ma non è solamente l'appoggio a Draghi a infastidire Marco Travaglio, è soprattutto la composizione della maggioranza: "Una spaccatura ci sarà per forza, ci sarà qualcuno che non ha lo stomaco così forte da andare al governo con Berlusconi e con chi gli ha buttato giù i due precedenti governi". Secondo l'analisi del giornalista, quindi, prossimamente si assisterà a una scissione importante all'interno del MoVimento, soprattutto perché secondo lui con il nuovo governo "i 5 stelle non toccheranno palla, non contano più niente". Travaglio ha un pensiero anche per Giuseppe Conte: "È una fortuna il fatto di tenersi a distanza da questa ammucchiata. A prescindere da Draghi che è un santo e cammina sulle acque, fa la fila al supermercato invece di farsi largo con il machete, ma tutto il resto ci riserverà tali spettacoli che chi ha la fortuna di avere un mestiere, un bel mestiere come insegnare all'università, è un bene se si tiene fuori".
Marco Travaglio a Otto e Mezzo, "non conteranno più niente" e insulti a Berlusconi: crisi di nervi dopo aver perso il M5s. Libero Quotidiano il 12 febbraio 2021. La disperazione e la rabbia di uno sconfitto, ovvero Marco Travaglio. Il "suo" M5s si è ribellato al re dei Manettari e, dopo la farsa del voto su Rousseau, si è consegnato a Mario Draghi. Tutto ciò che il direttore del Fatto Quotidiano, a suon di insulti contro Silvio Berlusconi e Matteo Salvini e deliri sul "complotto dei giornaloni", non avrebbe mai voluto vedere. E così, il direttore capo-ultrà di Giuseppe Conte, mostra tutta la sua disperazione ospite in collegamento con Otto e Mezzo di Lilli Gruber, nella puntata in onda su La7 ieri sera, giovedì 11 febbraio, proprio pochi minuti dopo la chiusura del voto sulla piattaforma pentastellata. "Prima di calarsi le brache avrebbero dovuto chiedere qualche garanzia in più", ha sbottato il Travaglio disperato. E ancora: "Non conteranno più niente". Brutto colpo, per Travaglio, prendere atto che il suo partito di riferimento è ridotto al nulla. Dunque, su Beppe Grillo: "È tutt'altro che scemo - ha premesso -. Si è trattata di una circonvenzione di capace. È stato intortato da quel volpone di Draghi che lo ha intortato con la supercazzola del super-ministero della Transizione ecologica". E qui, Travaglio, mente sapendo di farlo. Cerca infatti di spacciare la vicenda del ministero "verde" come un argomento in grado di persuadere il M5s, quando in verità è stato semplicemente uno strapuntino chiesto e ottenuto dai pentastellati per poterselo rivendere ai votanti su Rousseau per ottenere il "sì". E ancora, il Marco Manetta scaricato dai grillini punta il dito per la composizione della maggioranza: "Una spaccatura ci sarà per forza, ci sarà qualcuno che non ha lo stomaco così forte da andare al governo con Berlusconi e con chi gli ha buttato giù i due precedenti governi". Insomma, il M5s destinato allo scissione per colpa della presenza di Berlusconi, quel Berlusconi che Travaglio è tornato a insultare con violenza dalle colonne del suo Fatto Quotidiano. Insulti che sarebbero dovuti servire a convincere i vertici M5s a non andare mai al governo con Berlusconi. Ma Travaglio ha fallito.
Rousseau travolge i 5 Stelle. Dibba se ne va: "Inaccettabile". Il voto della base per l'ok a Draghi apre la frattura tra i grillini. Di Battista annuncia l'addio. Altri già pronti a seguirlo. Francesco Boezi, Giovedì 11/02/2021 su Il Giornale. Gli iscritti della piattaforma Rousseau hanno detto la loro sul prossimo esecuvito, ma le previsioni non parlano di concordia interna: il MoVimento 5 Stelle è nel caos. E il rischio dietro l'angolo è quello di una scissione bella e buona. L'ala purista - quella per intenderci che guarda ai valori fondativi della formazione pentastellata - non ci sta. Dopo l'espressione del 59% circa degli iscritti, che hanno guardato con favore del governo con Mario Draghi premier, le strade, per i massimalisti, sono due: restare all'interno del grillismo pur mantenendo dei distinguo ideologici, dovendo però sottostare alla volontà politica dei vertici e della base che ha votato su Rousseau, oppure fuoriuscire, dando vita ad una scissione. Le acque sono agitate: nulla può essere dato per scontato. La frattura arriva con l'annuncio del pasionario, Alessandro Di Battista, che ha usato i social per comunicare la sua posizione: "Rispetto il voto degli elettori – ha fatto sapere attraverso un video – ma da ora in poi non parlerò in nome del M5s, perché il M5s non parla a nome mio. Questa scelta non riesco a superarla. Non posso fare altro che farmi da parte. Vedremo se un giorno o l’altro le nostre strade si rincroceranno". "Questa scelta politica di sedersi con determinati personaggi, in particolare con partiti come Forza Italia, con un governo nato essenzialmente per sistematizzare il M5S e buttare giù un presidente perbene come Conte... questa cosa non riesco proprio a superarla. D'ora in poi non posso far altro che parlare a nome mio e farmi da parte. Se poi un domani la mia strada dovesse incrociarsi di nuovo con quella del M5S, vedremo: dipenderà esclusivamente da idee politiche, atteggiamenti e prese di posizione". "Grazie a Beppe Grillo, è lui che mi ha insegnato a prendere posizione, anche controcorrente. E io oggi non ce la faccio proprio ad accettare un Movimento che governa con questi partiti, anche - per l'amor di Dio - con le migliori intenzioni del mondo", ha detto. "È stata una bellissima storia d'amore, con gioie e battaglie vinte, ma anche diverse delusioni e qualche battaglia disattesa o persa. Io, con tutto l'impegno del mondo, non possono non considerare determinate mie convinzioni politiche. Poi magari mi sbaglierò su questo governo, ma non posso proprio andare contro la mia coscienza", aggiunge Dibba. Bisognerà attendere, adesso, l'eventuale principio di un percorso che porti alla formazione di un'altra forza politica. L'ultimo a parlare è stato Pino Cabras, un parlamentare pentastellato. Il gioco ormai è a carte scoperte: "Non voterò la fiducia a Draghi se le premesse sono queste, nessuno conosce il programma. Per convincermi, Draghi dovrebbe stupirmi con effetti speciali", ha esordito il deputato, che ha rilasciato dichiarazioni all'Adnkronos. Poi un avvertimento neppure troppo velato dal punto di vista politico: "Quello di oggi su Rousseau è un referendum che non è avvenuto con le regole del referendum, dal momento che il quesito era inquinato dalla risposta che implicava. E' stata una manipolazione", mentre l'esito "dà una indicazione del fatto che il M5S è spaccato. C'è un evidente orientamento di moltissimi iscritti". Ventilare l'esistenza di una spaccatura è di solito un buon modo per veicolare una scissione. Anche su questo Cabras non si nasconde: Il parlamentare gillino ha confidato di non essere tra i fautori di una divisione intestina, aggiungendo tuttavia che quando si parla di scissione ci si riferisce ad "una dinamica che non è da escludere. Io - ha aggiunto il deputato del MoVimento- non sto lavorando per la scissione. Fin dall'inizio ho lavorato per sostituire una politica che ci ha portati a cedere su tutto. Ora bisogna vedere quali sono le condizioni. Crimi dice che l'indicazione degli iscritti è vincolante. Per me è vincolante il voto di 11 milioni di persone che non volevano quei governi in cui ora ci impelaghiamo!". Rispetto alla parabola politica ormai conclusa (almeno quella con i grillini), Di Battista ha aggiunto che è stata una "bellissima storia d'amore, piena di gioie e battaglie vinte. Anche con diverse delusioni e qualche battaglia disattesa o persa però questa è la politica. Non posso andare avanti, non posso non considerare determinate mie opinioni, determinate mie convinzioni politiche. Non posso proprio andare contro la mia coscienza", ha chiosato. Due visioni, dunque: chi intravede nel risultato della piattaforma Rousseau il lasciapassare in grado di fornire qualunque giustificazione politica ai grillini e chi, invece, proprio non riesce a sedersi al tavolo con altre forze che verranno coinvolte nella costruzione di una solida maggioranza parlamentare in grado di reggere il governo Draghi. Il MoVimento 5 Stelle non è mai stato così vicino all'implosione. Difficile che qualcuno faccia questo nome dinanzi alle telecamere dei giornalisti, ma è chiaro che tra i palazzi romani si guarda soprattutto all'atteggiamento di Alessandro Di Battista. Ma quanto è rimasto delle convinzioni del primo grillismo? La risposta è nei fatti politici della giornata. Sì, ma i vertici potrebbero rispondere, sottolineando come Draghi abbia immediatamente annuito dinanzi alla richiesta posta da parte grillina: quella della istituzione di un ministero per la transizione ecologica. Un punto che Beppe Grillo ritiene con tutta evidenza fondamentale. Cabras però ha argomenti da esibire pure in relazione a questo punto: "Ma cosa significa in concreto? Semplice: un decreto-legge sposterà dipartimenti e direzioni generali che adesso sono in altri ministeri (con tanto di strutture, risorse e personale) e li accorperà sotto un'unica nuova sigla. Saranno cambiate alcune targhe in ottone e la carta intestata. In cambio di questo Tetris di ufficetti, si cede su tutto quello per il quale erano stati chiesti e ottenuti i voti". Da giorni, peraltro, si parla di una ventina di parlamentari pronti a salutare la formazione politica con cui sono stati eletti o comunque fortemente contrariati dall'ipotesi di votare la fiducia ad un governo Draghi. L'area massimalista qualcosa farà, Oppure, in questo processo di normalizzazione politica, le beghe verranno messe da parte, favorendo la dialettica correntizia. Come farebbe un partito tradizionale. Quello che il MoVimento 5 Stelle, stando alla visione promossa, non sarebbe mai dovuto diventare.
Un Ministero per la Transizione ecologica.
Finalmente la politica parla di transizione ecologica: perché l’Italia è già (troppo) in ritardo. Il passaggio a un’economia più sostenibile è il primo punto del nuovo governo, e il 37 per cento dei fondi del Recovery Plan servono a questo. Ma il nostro Paese al ritmo attuale mancherà gli obiettivi europei. Stefano Liberti su La Repubblica l'11 febbraio 2021. La strada l’ha indicata chiaramente il presidente degli Stati Uniti Joe Biden. Nominando un inviato speciale per il clima, nell’autorevolissima persona dell’ex segretario di stato John Kerry, ha fatto seguire alle parole della campagna elettorale i fatti. Nel “climate plan” da 1.700 miliardi di dollari che dovrà essere supervisionato proprio da Kerry, si prevede tra le altre cose il raggiungimento della totale neutralità climatica per il 2050 e il superamento dell’utilizzo di combustibili fossili nel settore elettrico già nel 2035. Che detto dagli Stati Uniti, primo produttore al mondo di petrolio, non è poco. Anche l’Unione europea nel suo Green New Deal ha indicato l’orizzonte del 2050 per raggiungere la neutralità climatica, prevedendo per il 2030 una riduzione delle emissioni di gas a effetto serra di almeno il 55 per cento rispetto ai livelli del 1990. La transizione ecologica e il contrasto alla crisi climatica sono tra le priorità dei governi in diversi paesi europei. In Germania, la cancelliera Angela Merkel - soprannominata “klimakanzlerin” per la sua attenzione al tema - ha lanciato un programma di de-carbonizzazione estremamente ambizioso. In Francia e in Spagna è stato istituito un ministero per la transizione ecologica. In Italia siamo ancora parecchio indietro: la questione ha difficoltà a trovare spazio nel dibattito pubblico. Compare nelle agende delle principali forze politiche in modo episodico, sempre in posizione ancillare rispetto a quelli che sono considerati temi più stringenti. Per questo la proposta del fondatore del Movimento Cinque Stelle Beppe Grillo di istituire anche da noi un super-ministero simile a quelli francese e spagnolo, che governi le politiche ambientali ed energetiche, ha avuto il merito di mettere la questione al centro delle discussioni alla vigilia della nascita del nuovo governo presieduto da Mario Draghi. Quanto il tema della transizione ecologica dominerà l’azione del prossimo esecutivo? Quanto si sceglierà di utilizzare i fondi del Next Generation-Eu per disegnare effettivamente un nuovo modello di sviluppo, basato su de-carbonizzazione, economia circolare, mobilità sostenibile e cura dell’ambiente? I fondi europei - 209 miliardi di euro, di cui il 37 per cento vincolati a “progetti green” - rappresentano da questo punto di vista un’opportunità unica per recuperare il terreno perduto. Se nell’ultima bozza del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) da presentare a Bruxelles una parte cospicua di risorse (67,5 miliardi di euro) è destinata alla transizione verde, come prevedono i vincoli europei, nel documento sembra mancare una visione sistemica, che dia un reale indirizzo alle politiche da realizzare. Manca, come fa notare il Forum disuguaglianze e diversità che fa a capo all’ex ministro Fabrizio Barca, un’indicazione di obiettivi da raggiungere e una misurazione degli impatti. «Nella sua bozza attuale, il Piano non usa il linguaggio dei risultati attesi, l’unico che interessa non solo l’Unione europea ma anche le persone comuni, impegnate a ricostruire le proprie vite nei tempi difficili che ci troviamo a vivere», sottolinea Barca. I tempi che viviamo - con la duplice crisi pandemica e climatica in pieno svolgimento, quella sociale ed economica alle porte - imporrebbero scelte radicali. La transizione ecologica dovrebbe tradursi in un ripensamento delle modalità di produzione dell’energia, della mobilità, del sistema agricolo e industriale, del modo in cui sono organizzate le nostre città. Richiederebbe un approccio olistico, visionario e ambizioso, che sappia guardare al mondo del futuro. «Purtroppo per ora la politica non ha colto la profondità della sfida che abbiamo di fronte. Il Next Generation-Eu è stato interpretato come una grande legge di bilancio pagata dall’Europa e non per quello che in realtà è: un piano volto a promuovere un cambiamento strutturale delle società secondo linee guida ben precise», rincara Edo Ronchi, ex ministro dell’ambiente e presidente della Fondazione per lo sviluppo sostenibile. «Il pilastro principale di queste linee guida è proprio la transizione ecologica, a cui nella bozza del piano italiano sono destinate risorse tutto sommato limitate e in buona parte per progetti pre-esistenti», continua Ronchi. A ben guardare, esclusi i progetti già in essere, alla cosiddetta rivoluzione verde sono dedicati 6 miliardi l’anno. «Una cifra», sottolinea ancora l’ex ministro, «del tutto insufficiente per raggiungere l’ambizioso target di riduzione delle emissioni indicato dalla Commissione europea». Uno degli ambiti cruciali per la futura de-carbonizzazione è quello energetico, ancora fortemente dipendente dai combustibili fossili. All’attuale ritmo di crescita delle fonti rinnovabili difficilmente raggiungeremo i nuovi obiettivi fissati dall’Ue. «L’anno scorso i Paesi Bassi hanno installato impianti fotovoltaici per una potenza di 2.9 Gigawatt, circa quattro volte di più di quanto si è fatto in Italia. Il fatto che un paese infinitamente più piccolo e meno soleggiato del nostro ci sorpassi in modo così vistoso è un segno inequivocabile del nostro ritardo», analizza Ermete Realacci, presidente della Fondazione Symbola. «C’è un problema di farraginosità nel sistema nei permessi. Se per avere l’autorizzazione per un piccolo parco eolico devi attendere cinque anni, hai già sforato gli orizzonti temporali fissati dal Next Generation-Eu». Oltretutto, la tanto decantata rivoluzione energetica viene sistematicamente contraddetta dal mantenimento di politiche anacronistiche, come i sussidi ai combustibili fossili - che, secondo quanto calcolato in un recente rapporto di Legambiente, ammontano complessivamente a 35,7 miliardi di euro tra sussidi diretti e indiretti. Una cifra astronomica, che pregiudica investimenti in altri settori e difende rendite di posizione di aziende inquinanti. Anche sulla mobilità sostenibile c’è molta strada da fare. Dopo il piccolo Lussemburgo, l’Italia è seconda in Europa per densità di auto private. Secondo uno studio Eurostat, nel nostro paese circolano quasi 40 milioni di autoveicoli, per la precisione 646 ogni 1000 abitanti (compresi i bambini). Per ridurre questo numero esorbitante, si dovrebbe puntare su mobilità dolce, sharing e trasporto pubblico. Invece, nell’ultima legge di bilancio si è scelto di sussidiare nuovamente con fondi statali (circa 700 milioni di euro per l’anno in corso) l’acquisto di nuove autovetture. Se da una parte favorisce lo svecchiamento del parco auto con veicoli meno inquinanti, la misura esacerba quello che rimane il principale problema della nostre città: la congestione. «Per la mobilità urbana sostenibile sono stati previsti 760 milioni di euro l’anno, che dovrebbero servire per un numero elevato di misure (le piste ciclabili, il rinnovo della flotta autobus, le tranvie, i treni e i trasporti navali regionali) con quasi nulla sul tema cruciale della sharing mobility», analizza ancora Ronchi. La scarsa sensibilità ecologica della classe politica si rispecchia insomma in una serie di misure contraddittorie e, per quanto riguarda il Pnrr, in un elenco di progetti poco articolati che in larga parte non sembrano frutto di una visione d’insieme ma quasi una forzatura imposta dall’Europa. «Per un vero cambiamento, bisognerebbe far passare il messaggio che l’ambiente non è una materia di nicchia, ma una questione strategica per la buona società e pure per l’economia», sostiene Paolo Pileri, professore di pianificazione e progettazione urbanistica al Politecnico di Milano. Una convinzione che in realtà innerva già da tempo una parte non marginale del mondo produttivo. Se la politica ci sente poco da questo orecchio, sono molte le imprese in sintonia con l’aria del tempo. Nel settore agricolo, l’Italia ha raggiunto ragguardevoli traguardi nella diminuzione nell’uso di pesticidi e nell’abbattimento delle emissioni. Nel settore industriale, tanti sono gli esempi di aziende grandi e piccole che hanno fatto della sostenibilità una bandiera. «Negli ultimi 5 anni, 432mila imprese hanno investito in prodotti e tecnologie green. L’Italia è una super-potenza dell’economia circolare: è il paese europeo con la più alta percentuale di riciclo di rifiuti. È una propensione che fa parte del nostro Dna di paese tradizionalmente manifatturiero ma privo di materie prime», sottolinea ancora Realacci. «Questi record andrebbero messi a sistema, valorizzati e incentivati». Saprà la politica cogliere l’occasione? Riuscirà il governo Draghi a guidare il paese attraverso l’attuale contesto di crisi e promuovere una transizione ecologica seria, in linea con gli obiettivi europei e con le tendenze globali? L’Italia ha fino al 30 aprile per presentare a Bruxelles il nuovo Pnrr. A novembre si terrà a Glasgow la Cop26, la conferenza delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico, di cui il nostro paese è co-organizzatore. Il tempo stringe e il momento delle scelte radicali sembra non più rinviabile.
Paolo Baroni per “la Stampa” il 12 febbraio 2021. L' idea non è nuova: già nel 2018 il portavoce dell' Alleanza per lo sviluppo sostenibile, l' ex ministro del Lavoro Enrico Giovannini, in un saggio pubblicato da Laterza intitolato «L' Utopia Sostenibile», proponeva di creare un ministero per la Transizione ecologica. E non a caso oggi Giovannini è dato in pole position per guidare questo nuovo dicastero, il classico coniglio tirato fuori dal cilindro da Draghi giusto in tempo per tenere bene agganciati i 5 Stelle e che a tutti gli effetti rappresenta la vera novità del nuovo governo che si sta formando. Non solo questa operazione segna un netto salto di qualità delle politiche di governo ma metterà a disposizione del nuovo ministro una potenza di fuoco notevole, sia in termini di competenze che di risorse. Ai 68-70 miliardi stanziati col Recovery plan, posto che Bruxelles raccomanda di investire non meno del 37% delle risorse nelle politiche green, vanno infatti aggiunti altri 19 miliardi di sussidi «ambientalmente dannosi» che ora si conta di cancellare e reimpiegare meglio.
Il modello francese. Nel suo saggio, oggi quanto mai attuale, Giovannini proponeva di «ripensare la distribuzione delle competenze dei diversi ministeri alla luce del "modello" dello sviluppo sostenibile» richiamando esplicitamente la scelta fatta dalla Francia, dove «il ministero dell' Ambiente è stato trasformato in ministero della Transizione Ecologica e Inclusiva, con competenze anche nei campi dell' energia, della prevenzione dei rischi, della tecnologia e della sicurezza tecnologica, dei trasporti e della navigazione, della gestione delle risorse rare». Un altro modello a cui ispirarsi è quello spagnolo, dove il «vecchio» ministero dell' Ambiente è diventato ministero della Transizione ecologica e della Sfida demografica, con competenze che vanno dalla lotta al cambiamento climatico alla prevenzione delle contaminazioni, dalla protezione del patrimonio naturale allo spopolamento dei territori.
Gli accorpamenti. Nel nostro caso si tratterebbe di accorpare al ministero dell' Ambiente le competenze nel campo dell' energia che oggi fanno riferimento al ministero dello Sviluppo, e volendo aggiungervi le competenze sui trasporti in capo al Mit e le politiche forestali che oggi sono sotto il Mipaf. Ma non si esclude nemmeno la possibilità di fondere Ambiente e Sviluppo e creare per davvero un nuovo superministero. La formula finale, come tutte le altre alchimie di governo, ce l' ha in testa però solo Draghi e per ora se la tiene ben stretta. Di certo non si parte da zero perché già oggi all' Ambiente c' è un Dipartimento per la transizione ecologica, mentre da inizio anno il Comitato per la programmazione economica si è evoluto nel nuovo Comitato Interministeriale per lo Sviluppo Sostenibile, col preciso scopo di assicurare un migliore orientamento degli investimenti pubblici agli obiettivi dell' Agenda 2030. Il primo obiettivo del nuovo dicastero sarà allineare il nostro Recovery plan al Green new deal europeo che di qui al 2030 punta a ridurre del 55% le emissioni di gas serra con programmi che spazieranno dall' agricoltura sostenibile all' economia circolare, dalle energie rinnovabili a idrogeno e mobilità sostenibile, dall' efficienza energetica degli edifici alla tutela di territorio e risorse idriche. «Un ministero della transizione ecologica alla francese - ha spiegato la vicepresidente della Commissione Ambiente della Camera Rossella Muroni - aiuterà a coniugare il rispetto dell' ambiente con lo sviluppo sostenibile, a tenere insieme programmazione, investimenti pubblici, politiche di sviluppo, lavoro di qualità e tutela degli ecosistemi ed ad affrontare con una visione complessiva e competenze trasversali tutte le questioni ambientali aperte, a cominciare dalla crisi climatica». In pratica la «rivoluzione verde» interesserà tutti i settori produttivi, la manifattura, la meccanica e l' acciaio. «Per noi - sostiene la responsabile ambiente del Pd Chiara Braga - l' emblema è il rilancio dell' ex Ilva di Taranto dove accanto al rilancio della produzione e del lavoro è necessario gestire le ricadute ambientali e sulla salute dei cittadini».
Applausi e critiche. Dopo l' annuncio arrivato mercoledì al termine dell' incontro del premier incaricato con Wwf, Legambiente e Italia nostra, tutto il mondo ambientalista ha festeggiato. Qualcuno ha però avanzato anche dubbi sull' efficacia dell' operazione, come il presidente dei costruttori dell' Ance Gabriele Buia «molto preoccupato» per la creazione di un superministero. «È un sforzo titanico - ha spiegato - e conoscendo i tempi con cui si muovono i nostri ministeri avrei paura ad unificare così tante competenze. Immaginatevi la bolgia».
Diodato Pirone per "Il Messaggero" l'11 febbraio 2021. Un feticcio. O un drappo rosso. Supercazzola o cosa seria? Un'idea valida per alcuni, molto meno per altri, spuntata sul palcoscenico politico con l'obiettivo evidente di spingere una parte del popolo dei 5Stelle a inghiottire il rospo Draghi. Comunque sia, il progetto di istituire un ministero della Transizione Ecologica ieri è montato come la panna. Legittimato persino dal meno ecologico dei partiti, la Lega di Salvini («Potremmo essere d'accordo anche se non basta emulare la Spagna», ha dichiarato Paolo Arrigoni, responsabile Energia del Carroccio) nonostante al momento nessuno sia in grado di stabilire cosa sia e soprattutto cosa farà questo nuovo ministero. Nelle ultime 24 ore sono persino spuntati due possibili ministri per il nuovo dicastero. C'è chi ha fatto girare il nome di Walter Ganapini, fra i fondatori di Legambiente, con una enorme esperienza nella gestione delle aziende di raccolta rifiuti (è stato anche presidente dell'Ama nel 1997). A sera è spuntato anche il nome di Catia Bastioli, amministratrice delegata di Novamont, inventrice della cosiddetta chimica verde. La Bastioli è notissima per la fabbricazione dei sacchetti di plastica riciclabile (tecnicamente fatti con un materiale vegetale che si chiama Mater-Bi) che dal 2018 sono obbligatori per la frutta sfusa venduta nei supermercati. I sacchetti riciclabili Novamont, un vanto del made in Italy, sono esportati in tutto il mondo. La Bastioli finì nel tritacarne della polemica politica perché fu nominata da Matteo Renzi alla presidenza di Terna, la società che trasporta l'energia elettrica, ma alcuni mesi dopo fu molto elogiata da Beppe Grillo dopo una visita alla Novamont. Ma quale dovrebbe essere il profilo di questo ministero della Transizione Ecologica? Le scuole di pensiero sono due. I 5Stelle caldeggiano - sia pure a grandi linee - l'idea di accorpare ministero dello Sviluppo, ministero dell'Ambiente e quella parte del ministero delle Infrastrutture che si occupa di Trasporti. I detrattori di questa ipotesi sottolineano che si tratterebbe di far nascere un moloch della spesa pubblica che, oltre a concentrare una quantità di fondi pubblici perlomeno anomala, sommerebbe competenze che con l'ambiente ci azzeccano poco come ad esempio la gestione dei regolamenti del commercio o del profilo giuridico dei trasporti. Per i poco esperti di profili burocratici va detto che già oggi il ministero dello Sviluppo gestisce molti progetti ecologici come quegli degli incentivi per chi riduce i consumi energetici delle abitazioni oppure quello della produzione di idrogeno verde. La seconda ipotesi sulla quale il professor Draghi starebbe lavorando è invece un allargamento delle competenze del ministero dello Sviluppo che avrebbe una missione ecologica mentre il ministero dell'Ambiente manterrebbe l'attuale missione forse con un nuovo nome. A far pendere il bilancino delle probabilità verso questa soluzione c'è il fatto che già nel 2019 il governo Conte presentò un progetto in Parlamento, poi abbandonato per decisione della stessa maggioranza, per trasformare il ministero dell'Ambiente in ministero della Transizione ecologica. Del progetto resta traccia nella struttura del dicastero che prevede tre l'altro un Dipartimento per la transizione ecologica e gli investimenti verdi (DiTEI) articolato nei seguenti quattro uffici di livello dirigenziale: Direzione generale per l'economia circolare (ECi); Direzione generale per il clima, l'energia e l'aria (CLEA); Direzione generale per la crescita sostenibile e la qualità dello sviluppo (CreSS); Direzione generale per il risanamento ambientale (RiA). Sul sito del ministero la missione del Dipartimento è descritta così: «Il Dipartimento esercita le competenze in materia di: politiche per la transizione ecologica e l'economia circolare e la gestione integrata del ciclo dei rifiuti; strategie nazionali di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici; mobilità sostenibile; azioni internazionali per il contrasto dei cambiamenti climatici, efficienza energetica, energie rinnovabili, qualità dell'aria, politiche di sviluppo sostenibile a livello nazionale e internazionale, qualità ambientale». Decisamente un super-ministero. O no?
Il dipartimento fantasma (per i 5 Stelle). Ministero della Transizione ecologica, l’ultima trovata di Beppe Grillo che in realtà già c’era (guidata da un altro Grillo). Carmine Di Niro su Il Riformista l'11 Febbraio 2021. Era la richiesta principale del Movimento 5 Stelle, la creazione di un “superministero” della transizione ecologica “come lo hanno in Francia, Spagna, Svizzera, Costarica e altri paesi”, aveva strillato sul suo blog il fondatore e garante Beppe Grillo. E Mario Draghi, l’ex numero della Banca centrale europea incaricato dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella di formare un governo di “alto profilo”, è intenzionato a seguire il “consiglio” grillino, come anticipato dalle associazioni ambientaliste ricevute ieri dal presidente incaricato per le consultazioni, con la presidente del WWF Donatella Bianchi che ha anticipato l’intenzione di Draghi di creare nel futuro esecutivo “il ministero della Transizione ecologica”. Una notizia che il Movimento 5 Stelle si è subito intestato come una vittoria e utilizzato in chiave strumentale per dare il via al voto sulla piattaforma Rousseau in merito alla fiducia all’esecutivo dell’ex numero uno dell’Eurotower di Francoforte. Peccato però che questo ministero della Transizione ecologica in Italia ci sia già. Esiste infatti in forma di dipartimento e fa parte del ministero per l’Ambiente guidato da Sergio Costa, ex Generale di brigata dei Carabinieri Forestali entrato in politica proprio con il Movimento 5 Stelle. Il colmo? A guidarlo come dipartimento è un altro Grillo, Mariano. Il dipartimento guidato dal quasi omonimo Grillo si occupa, come si legge dal sito del dipartimento, di “investimenti verdi” e “cura le competenze del Ministero in materia di economia circolare, contrasto ai cambiamenti climatici, efficientemente energetico, miglioramento della qualità dell’aria e sviluppo sostenibile, cooperazione internazionale ambientale, valutazione e autorizzazione ambientale e di risanamento ambientale”. Al di là delle facili ironie sui due Grillo, per ora l’unica certezza sul tema del futuro ministero della Transizione ecologica è l’incertezza: attualmente non solo Draghi non ha confermato la creazione del ministero, ma non è chiaro neanche come potrebbe essere strutturato. Le ipotesi vedono la possibilità di unire i ministeri di Ambiente e Sviluppo Economico, oppure potenziare radicalmente il ministero guidato attualmente da Sergio Costa per fare fronte ai tanti miliardi a disposizione col Next Generation EU. Proprio il piano sul Recovery presentato dal governo Conte prevede di stanziare 67,5 miliardi di euro per l’economia verde e la transizione ecologica, ma è stato pesantemente criticato in questa parte delle stesse associazioni ambientaliste.
Da video.corriere.it il 12 febbraio 2021. “C’è per tutti quanti noi un elemento di grande consolazione. Abbiamo appreso da Beppe Grillo che si realizzerà il Ministero della transizione ecologica, nulla di meno. Ministero della transizione ecologica. Dunque dovremmo aspettarci questa grande novità in Italia avremo il Ministero alle Galassie che credo sarà affidato a una persona di alto profilo - Giordano Bruno, credo, che sta aspettando a Campo dei fiori da qualche tempo di essere convocato.” Così il Presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca in un video in diretta su Facebook.
La Transizione ecologica esiste già. È al Ministero e la guida proprio un Grillo. Il Tempo il 10 febbraio 2021. Beppe Grillo vuole creare un Ministero nuovo di zecca da dedicare alla Transizione ecologica. Lo ha detto personalmente al premier incaricato Mario Draghi durante le consultazioni. Un ministero che dovrà essere al centro della svolta ambientalista del Movimento 5 Stelle, uno dei capisaldi su cui Grillo vorrebbe basare l'appoggio al nuovo esecutivo. Ciò che probabilmente Grillo non sa è che il suo nuovo cavallo di battaglia non è affatto una novità. La Transizione ecologica esiste già, ed è un dipartimento del Ministero dell'Ambiente. E chi guida questo dipartimento della Transizione ecologica? Il dirigente, guarda che coincidenza, si chiama proprio Grillo, nome di battesimo Mariano. Il dottore Mariano Grillo si occupa, come si legge dal sito del dipartimento, di "investimenti verdi" e "cura le competenze del Ministero in materia di economia circolare, contrasto ai cambiamenti climatici, efficientemente energetico, miglioramento della qualità dell’aria e sviluppo sostenibile, cooperazione internazionale ambientale, valutazione e autorizzazione ambientale e di risanamento ambientale". Inoltre, " il Dipartimento esercita (...) le competenze in materia di: politiche per la transizione ecologica e l’economia circolare e la gestione integrata del ciclo dei rifiuti; strategie nazionali di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici; mobilità sostenibile; azioni internazionali per il contrasto dei cambiamenti climatici, efficienza energetica, energie rinnovabili, qualità dell’aria, politiche di sviluppo sostenibile a livello nazionale e internazionale, qualità ambientale, valutazione ambientale, rischio rilevante e autorizzazioni ambientali; individuazione e gestione dei siti inquinati; bonifica dei Siti di interesse nazionale e azioni relative alla bonifica dall’amianto, alle terre dei fuochi e ai siti orfani; prevenzione e contrasto del danno ambientale e relativo contenzioso; studi, ricerche, analisi comparate, dati statistici, fiscalità ambientale, proposte per la riduzione dei sussidi ambientalmente dannosi". Bastava che Grillo avesse alzato il telefono e avesse chiamato il ministro dell'Ambiente Sergio Costa, il quale tra l'altro è stato scelto proprio dal M5s.
Filippo Facci per “Libero quotidiano” il 12 febbraio 2021. Parlano come se il famigerato e inventato Ministero della «transizione ecologica» dovessero darlo a uno di loro, a un grillino, parlano come se questo ministero dovesse avere una rilevanza rispetto alla missione che Mario Draghi è chiamato a compiere, ma soprattutto parlano come se il ministero parente stretto, quello dell'ambiente, non l'avessero gestito loro sino a ieri: coi meravigliosi risultati a tutti noti. Certo che no, non possiamo ascrivere al macchiettistico ministro Sergio Costa tutti i macro-disastri nazionali che per il grillismo hanno rappresentato un fallimento perfetto rispetto alle velleità sbandierate in campagna elettorale: però - prima ancora di chiedersi verso che cosa si possa ecologicamente transigere, se dicono sempre di no a tutto - qualche catastrofe va menzionata, così, velocemente. I grillini dovevano bloccare ogni trivellazione petrolifera nell'Adriatico e nel 2016 avevano sostenuto il referendum sulle trivelle, costato 300 milioni: poi, dopo non averne bloccata nessuna, il governo ha autorizzato altre tre trivellazioni nel mar Ionio: che in effetti non è l'Adriatico. Tre decreti di fine dicembre 2018 hanno accordato a una compagnia americana trivellazioni per 2.200 km quadrati tra Puglia, Basilicata e Calabria: tutte zone dove i grillini avevano preso consensi facendo gli ecologisti integerrimi, tanto che in tutta la Puglia «No-Triv» presero quasi il 43 per cento. A proposito di Puglia: il famoso Tap, il Gasdotto Trans-Adriatico che attraverserà Grecia e Albania per approdare nella provincia di Lecce, «con il governo a 5 stelle, in due settimane non si farà più» dissero Di Maio e Di Battista. Beh, si farà. A Lecce i grillini avevano conquistato il 67 per cento, poi, dopo il via all'opera, nell'ottobre 2018, un gruppo di militanti bruciò le bandiere del Movimento. Del Tav, per pietà umana, non diremo nulla. Diciamo qualcosina del famoso «Terzo Valico» a cui, secondo i grillini, andava preferito «un potenziamento della linea ferroviaria esistente», disse Di Maio: si farà anche quello, perché «l'analisi costi-benefici ha previsto che il totale dei costi del recesso ammonterebbe a 1 miliardo e 200 milioni di euro, di conseguenza non può che andare avanti». Si farà. E «Taranto senza Ilva, pienamente bonificata»? Con relativa «chiusura delle fonti inquinanti, senza le quali le bonifiche sarebbero inutili»? l'Ilva c'è ancora ed è più forte di prima, mezza statalizzata e bonificata solo dalle inchieste giudiziarie. Ma queste sono sciocchezze da poche decine di miliardi di euro. Veniamo alla «transizione ecologica» in senso stretto (?) e alla famosa economia circolare, la raccolta differenziata, le energie alternative, la direzione verso cui dovremmo transigere (nota: nell'accezione usata, il sostantivo transizione in realtà non accetta coniugazioni) e insomma vediamo che cazzo hanno fatto, oltre al niente. Risposta a sorpresa: niente. Inceneritori, termoutilizzatori o termovalorizzatori, rigassificatori: niente, non li volevano e non li vogliono. L'entourage eco-giustizialista, capitanato da Sergio Costa, ha escluso ogni lontana ipotesi di termovalorizzatore anche quando c'è stato il dramma della monnezza a Roma (di Napoli non parliamo più) e sono rimasti fedeli al film del «rifiuto zero» che in concreto significa immobilismo; lo dimostrano anche i dati sulla raccolta differenziata per cui l'Europa seguita a sanzionarci. La media italiana è 58 per cento, con estremi in Veneto (74 per cento), Campania (52) e Sicilia (29). Forse si potrebbe aggiungere che poi, la sera, si corre a guardare qualche gomorresco serial tv in cui la malavita organizzata ingrassa proprio per la mancanza di impianti: dello stoccaggio abusivo si occupano loro. Ma dicevamo la transizione. Verso dove, verso che cosa? «No agli inceneritori, incentivi alle rinnovabili» è sempre rimasto il motto. Nell'attesa, il ministro Costa ha cercato di aumentare il costo dei prodotti petroliferi per rendere il gasolio più caro della benzina, ciò che avrebbe aumentato anche il costo del petrolio agricolo. Senza contare - notizia Ansa - che la produzione mondiale di litio, fondamentale per produrre le batterie per auto elettriche, rischia di far aumentare la produzione di anidride carbonica (CO2) di almeno 6 volte, tra estrazione, produzione, trasporto e fabbricazione: ciò che triplicherebbe entro il 2025 le emissioni di CO2. Quanto alle energie rinnovabili, che per ora sono poca cosa, si registra un prevedibile fenomeno: le centrali energetiche alternative sono tutte (tutte) contestate indipendentemente dal loro potenziale di inquinamento, anche le più pulite. Non importa se sono centrali a biomasse o impianti eolici o fotovoltaici: è la vicinanza fisica a far scattare la protesta. I comuni attigui a una centrale progettata - ha notato l'osservatorio Nimby - si oppongono il 50 per cento delle volte, mentre i comuni confinanti nel 90 per cento dei casi. Ma forse sono comuni di destra.
Il ministero buffo...Il ministero della transizione ecologica esiste già, l’ultimo sketch del comico Grillo. Paolo Guzzanti su Il Riformista il 12 Febbraio 2021. Il più bel castello – marcondiro-ndirondella- è lo sfolgorante Nuovo Ministero Immaginario che ora tutti giurano di riuscire a vedere lassù, sulla collina. In realtà, la miracolosa visione consiste soltanto un’accorpata di vecchie baracche, legate dal miracoloso collante della “narrazione” che, come la vernice di Pier Lambicchi, lega e nasconde quel che si vuole: lavoro, energia, strade, treni, mulattiere, meccanica quantistica e politiche agricole inevitabilmente verdi come l’insalata, trasporti per trasbordi, visioni ambientali anche di ambienti malfamati ma ecosostenibili, cioè fuffa. La trattativa sull’oggetto misterioso funziona come il test delle macchie d’inchiostro di Rorschach le quali, in sé, non significano nulla, ma in cui ciascuno può – se crede – vedere quel che vuole e poi lo racconta allo psichiatra – o al drago – che ne prende diligente nota e riassume: «Lei desidererebbe dunque una transumanza ecologica con connotazione energetica verde ma sostenibile, così da promuovere sviluppo industriale e posti di lavoro nel più scrupoloso rispetto dell’ambiente?». «Sìì», risponde l’interlocutore dalla vasta capigliatura a macchia mediterranea: «Come ha fatto a saperlo?». «Psicologia, anzi sintonia. Vada pure e consideri la cosa fatta». La buona novella fiabesca viene subito diffusa: esisterà il Ministero di tutti i Ministeri ed esso stesso sarà sia mistero che ministero, laddove lo spazio-tempo di Einstein si incontrerà con i nativi Inps ed Empas dei sotterranei e sarà festa grande. È evidente che si tratta di uno sketch per vendere ciò che già esiste, comunque la si chiami, ma è utile per l’acchiappo di un’ottantina dei miliardi europei. Però, il maquillage teatrale permette di soddisfare le esigenze di scena di Beppe Grillo il quale sa anche di poter contare sulla comprensione dello stesso circo mediatico-televisivo che ha sempre tifato per il governo più bello del mondo, lo stesso che è stato appena fatto cadere con un calcio nel sedere ben concordato e teleguidato da Renzi; e solo a partire da quel momento dichiarato nefasto, da sostituire di corsa con l’arrivo di un demiurgo che è anche un chirurgo. E poiché tutti sanno che la narrazione del mistero dei ministeri accorpati in una trasudazione ecologica dei luoghi comuni è soltanto una chiacchiera con cui i grillini possono convocare quarantamila insetti sulla tastiera, ecco che il circolo mediatico-televisivo evolve in un movimento decorativo e dadaista che drappeggia questa scemenza teatrale con bofonchiamenti pensierosi ma positivi. Però, ancora non basta, perché occorre un altro elemento di supporto: il dirottamento su un obiettivo finto, ovvero l’astuta ma inattaccabile conversione a U di Matteo Salvini che ha aderito al governo senza se e senza ma, alla maniera dei gesuiti “perinde ac cadaver”: passivo come un cadavere, seguendo la prescrizione del Quirinale. Più che una mossa da cavallo, è stata quella dell’alfiere: dritto come una diagonale. A questo punto lo schieramento che aveva in precedenza steso tappeti rossi al governo Conte e poi si era istantaneamente dichiarato mario-draghista, ha avuto un cenno d’infarto: come sarebbe a dire che Salvini ci sta? Bisogna assolutamente opporsi a questo indegno stato delle cose perché, va bene il “bene del Paese”, ma qui si rischia di perdere la faccia davanti a un elettorato pronto a spacchettarsi. È stato così che alla questione irreale del ministero immaginario è stata garantita realtà, mentre la scelta di Salvini è stata declassificata al rango di realtà non accettabile, ovvero di provocazione. I lettori sanno quanto poco ci piaccia Salvini e la sua paccottiglia dei pieni poteri, madonne crocefissi e tequila, ma la doppia manipolazione cui abbiamo assistito ci fa trasalire perché ha finora castigato il principio di realtà e premiato il comedian, il cantastorie proprio quando ci avevano fatto sognare il ritorno alla competente concretezza, il che è più preoccupante che frustrante, ma abbiamo pazienza e aspettiamo, non perinde ac cadaver, ma a orecchie dritte e occhi spalancati.
Non sarà un inutile Ministero della Transizione ecologica a salvare l’ambiente. Carmine Gazzanni su Notizie.it l'11/02/2021. Il M5s vincola il sì a Draghi alla nascita del super-Ministero, ma un Dipartimento per la Transizione ecologica esiste già e in tre anni di governo il Movimento non ha saputo mantenere nessuna promessa in ambito ambientale. La domanda è d’obbligo: che cos’è e cosa sarà il ministero per la Transizione ecologica, così fortemente voluto da Beppe Grillo? E soprattutto: era così necessario? Il dubbio, infatti, è che il Movimento cinque stelle abbia posto una condizione tanto di facciata e poco impattante nel concreto soltanto per mettere sul governo di Mario Draghi la propria bandierina più in alto delle bandierine degli altri partiti. Il dubbio nasce per varie ragioni. Innanzitutto pare strano che la questione ambientale – di cui, seppure sia uno dei temi cardine dell’anima M5S, non si è mai parlato fino a due settimane fa – proprio ora diventi così esiziale, al punto da oscurare un tema centrale nell’agone politico come quello della giustizia. Detta in altri termini: un ministero per la Transizione ecologica val bene una prescrizione? Già, perché uno dei primi scogli della nuova maggioranza sarà in Parlamento con la conversione in legge del decreto Milleproroghe, provvedimento al cui interno c’è lo stop alla prescrizione voluto dal Guardasigilli uscente Alfonso Bonafede. Già sono stati presentati da varie forze politiche emendamenti per cancellare la norma vessillo del Movimento. Cosa succederà allora? Difficile pensare che Forza Italia e Italia Viva (e lo stesso Pd) possano confermare (e dunque prolungare) lo stop alla prescrizione. Molto più facile supporre che la norma salterà. E a quel punto cosa farà il Movimento? A sentire le voci che si rincorrono tra i pentastellati “critici”, più di qualcuno è convinto che si metterà una toppa. E questa toppa risponde per l’appunto al nome di “Transizione ecologica”. Ecco perché l’insistenza sull’ecologia in questo frangente sembra tanto una sorta di “velo di Maya” finalizzato a coprire i potenziali nervi scoperti dell’esecutivo del tutti dentro. E non possono sfuggire altri curiosi dettagli. Pochi sanno che all’interno del ministero dell’Ambiente già c’è un dipartimento specifico, il “Dipartimento per la Transizione ecologica e gli investimenti verdi”. Sarà forse che il capo dipartimento si chiama Grillo (ma Mariano, non Beppe), ma ciò non giustifica che un dipartimento interno a un Ministero ora assurga a ruolo di dicastero sintetizzando peraltro due Ministeri centrali come Ambiente e Sviluppo economico. Ultimo appunto, ma forse il più importante. Se proprio i pentastellati avessero voluto rendere l’ambiente centrale nell’azione di governo avrebbero potuto farlo già nei due e più anni in cui sono stati al governo. E invece abbiamo assistito nell’ordine: all’ok alla Tap in Puglia, alla mancata riconversione ambientale nell’area dell’Ilva a Taranto, all’ok definitivo alla Tav Torino-Lione. Tutte opere che, piaccia o non piaccia, sorridono semmai agli interessi economici, industriali e infrastrutturali ma che non tengono per nulla in conto (o poco) l’aspetto ambientale. Non è un caso che in campagna elettorale i candidati del Movimento – e in primis Luigi Di Maio – avevano chiaramente detto che non ci sarebbe stata alcuna Tap ma politiche di tutela degli uliveti pugliesi; che lo stabilimento siderurgico di Taranto sarebbe stato completamente riconvertito; e infine che l’alta velocità non avrebbe mai avuto il parere favorevole dei 5 Stelle. Alla fine, nonostante dettagliati report di analisi costi-benefici di cui tanto abbiamo sentito parlare, nessuna promessa è stata mantenuta. Ma c’è di più. A scorrere per bene i dati dell’Ufficio per il Programma di Governo (che fa capo direttamente a Palazzo Chigi), si scopre che tanti altri piccoli (ma importanti) provvedimenti “ambientali” sono stati annunciati, messi su carta, approvati e poi bloccati. Tutta colpa dei cosiddetti “decreti attuativi” che rappresentano una sorta di secondo tempo legislativo: molto spesso dopo che una norma viene approvata occorre che il ministero di riferimento (in questo caso quello dell’Ambiente) intervenga per rendere quel provvedimento operativo. E invece? Invece niente. Doveva a esempio nascere un Comitato per la finanza ecosostenibile e non è mai nato; dovevano essere predisposte nuove modalità per gli studi di impatto ambientale e non è mai avvenuto; mai partito il progetto delle autostrade ciclabili né quello per la rete urbana delle ciclabili, due idee lodevoli per cui peraltro erano stati stanziati decine di milioni di euro. Annunciato e mai partito anche il “Programma strategico nazionale per il contrasto ai cambiamenti climatici e il miglioramento della qualità dell’aria”. La “transizione ecologica”, insomma, poteva avvenire senza annunci eclatanti nel corso di questi due anni. E invece, ancora una volta, abbiamo l’annuncio eclatante col dubbio che poi i fatti restino a zero. Purtroppo, non basta un nome o un titolo per fare una politica.
Dagospia il 12 febbraio 2021. Ferdinando Cotugno: Piccoli smottamenti ideologici: qui Di Maio con i gilet gialli nel 2019, la cui protesta era nata avendo come bersaglio le nuove tasse sul carburante, proposte dal Ministero per la transizione ecologica, lo stesso che oggi è la bandiera politica del Movimento 5 Stelle.
Marco Antonellis per Dagospia il 10 dicembre 2018. Beppe Grillo pare proprio essersi innamorato dei gilet gialli: "Sono come noi" ha tuonato dalle pagine del Fatto Quotidiano. "I Gilet gialli hanno venti punti di programma, non parlano solo di tasse, vogliono il reddito di cittadinanza, pensioni più alte...tutti temi che abbiamo lanciato noi", dice il fondatore del Movimento 5 Stelle. Ma l'innamoramento non è destinato a fermarsi qui. Perché tra i pentastellati più vicini al leader c'è chi confida che "ci si possa alleare con i Gilet gialli a livello europeo dato che hanno espresso l'intenzione di trasformarsi in Movimento politico". Capito i 5Stelle dove vogliono andare a parare? Perché i sondaggisti d'oltralpe danno gli anti Macron addirittura in doppia cifra se si candidassero alle prossime elezioni europee. Insomma, ne verrebbe fuori un bottino notevole che messo assieme a quello dei pentastellati nostrani potrebbe diventare "ago della bilancia" nel prossimo europarlamento per decidere, di volta in volta, se stare con i sovranisti alla Salvini o con i partiti tradizionali. "Cambiare l'Europa, che è quello che ci proponiamo di fare, con i Gilet gialli sarebbe molto più facile" spiegano dal Movimento che nel frattempo ha già iniziato la stesura del programma elettorale in vista delle elezioni di fine Maggio: tra i punti qualificanti dovrebbe esserci l'abolizione del Fiscal Compact (bye bye Mario Monti), l'esclusione dal limite del 3% per gli investimenti in innovazione così come -si sta ragionando- la modifica dello Statuto della Bce con buona pace di Angela Merkel e per la gioia di Donald Trump: si vorrebbe una Bce sul modello dell'americana Fed, la banca centrale degli Stati Uniti d'America. Intanto, i 5Stelle si stanno già attrezzando anche sotto il profilo delle candidature in vista delle elezioni per il parlamento di Strasburgo: tra i probabili candidati, in molti danno per sicuro il sindaco di Livorno Nogarin che già ne avrebbe parlato con il numero uno del Movimento, Luigi Di Maio.
Alberto Clò per rivistaenergia.it, fondata con Romano Prodi, il 26 novembre 2018. Le violente proteste dei "gilet gialli" francesi contro l’aumento dei prezzi dei carburanti deciso dal governo di Edouard Philippe dicono molto sullo scarto nella popolazione francese (ma non solo) tra il dichiararsi contro i cambiamenti climatici ed accettarne le misure per combatterli. Le proteste sono scaturite nei territori agricoli ma a dire dei sondaggi godono del sostegno del 74% della popolazione. Eppure, il gasolio aumenterà di (appena) 6,5 cent €/lt e la benzina di 2,9 cent €/lt portando il prezzo medio a circa 1,53 €/lt. Prezzi comunque inferiori, e di non poco, a quelli medi italiani: 1,63 €/lt per la benzina e 1,55 €/lt per il gasolio (dati al 15 novembre, Staffetta Quotidiana). Dichiararsi contro i cambiamenti climatici è una cosa, accettarne le misure per combatterli un’altra. A fine agosto il Ministro francese per la "Transizione ecologica e solidale" si dimise perché non aveva più intenzione di ‘mentire a sé stesso’, non essendo riuscito ad adottare misure significative, a partire dal rinvio della riduzione del nucleare nella generazione elettrica. Fu sostituito da Francois de Rugy, Presidente del Parlamento francese e a lungo membro del partito "Europe ècologie – Les Verts", moderato ma comunque desideroso di agire. Da qui, la decisione del governo, col sostegno del Presidente Emmanuel Macron, di aumentare la carbon tax, denominata, "Contribution Climat Energie" (CCE), nella complessiva ‘Taxe interieure de consommation sur le produit energetique’ (TICPE). La tassa sul carbonio fu introdotta nel 2014 – Presidente Francois Hollande, Ministro dell’ambiente Segolene Royal – e da allora è aumentata di oltre 6 volte, da 7 a 44,6 €/tonn CO2, con la previsione di portarla a 55 € nel 2019 sino a 100 nel 2030. Attualmente la TICPE è pari a 0,94 euro/litro (di cui fa parte la CCE per il 63%) su un prezzo finale medio intorno a 1,50 €/lt Prezzo grosso modo simile tra benzina e gasolio, per la decisione del governo francese di ridurre gli sgravi fiscali a favore delle auto diesel, motivato dai loro presunti danni ambientali e dal prossimo avvento dell’auto elettrica. Motivazioni entrambe inconsistenti. Il gasolio in Francia aumenterà di (appena) 6,5 cent €/lt e la benzina di 2,9 cent €/lt, portando il prezzo medio a circa 1,53 €/lt: prezzi comunque di non poco inferiori a quelli medi italiani. Cosa insegna la protesta dei gilets jaunes? Più cose.
Primo: “la transizione energetica come ogni altra rivoluzione, perché di questo si tratta – scrivevo oltre un anno fa nel mio ‘Energia e Clima’ (pag. 32) – attraverserà in modo diseguale le varie componenti economico-sociali interne ad ogni paese […]. Si avranno vincitori e vinti nella distribuzione dei costi e dei benefici – tra imprese, industrie, lavoratori, consumatori, contribuenti – con tensioni politiche e sociali”. Come va accadendo e sempre più accadrà.
Secondo: la benzina o il gasolio sono un bene essenziale per una larga parte della popolazione, specie quella pendolare che ogni giorni deve andare a lavorare o studiare. In Italia ammonta a 29 milioni di persone. La maggior parte usa l’automobile. Questo accade anche in Francia, nonostante la maggior efficienza del suo sistema ferroviario. Da qui la rabbia dei ‘rurali contro i parigini con il metrò sotto casa’. I cittadini/consumatori non fanno poi solo il pieno, ma usano l’elettricità o il metano, i cui prezzi in Italia stanno diventando sempre più insopportabili per milioni di famiglie. L’economia dei divieti e della burocrazia realizzata col pretesto dell’ecologia è un’economia percepita come punitiva e perciò stesso respinta.
Terzo: l’accettabilità sociale della transizione energetica diminuisce con l’intensificarsi delle misure per realizzarla. Non solo prezzi, ma anche restrizioni, proibizioni, sanzioni. Sarà allora interessante vedere, ad esempio, come reagiranno i 2,2 milioni di parigini al Piano ambientale approvato lo scorso anno dal loro sindaco Anne Hidalgo dal suggestivo nome ‘Paris change d’ère. Vers la neutralité carbone en 2050’ che mira a ridurre le emissioni clima-alteranti del 50% al 2030 e dell’80% al 2050 in larga parte con una miriade di misure coercitive.
Ne riportiamo le principali:
limitare l’aumento degli abitanti nel 2030 a non più di 160.000 (come?);
dimezzare le 600 mila vetture in circolazione (chi e come deciderà?), che dovranno avere dal 2030 almeno 1,8 (sic!) occupanti (idem);
aumentare in ogni modo i "costi di utilizzazione delle autovetture";
eliminare i parcheggi;
incoraggiare l’andare a piedi o in bici;
puntare a un’“alimentazione meno carnosa” col divieto di distribuire la carne due giorni la settimana;
“orientare più massicciamente le scelte dei parigini verso regimi alimentari plus durables” (?);
bloccare la circolazione nei week-end organizzando grandi feste popolari per le strade.
Il tutto, mirando a “conquistare i cuori e gli spiriti” dei parigini e a “nutrirne l’immaginario […] mutualizzando gli acquisti o sincronizzando le decisioni”. Non so quanti dei circa 34 milioni di turisti che visitano annualmente Parigi o gli stessi parigini gradiranno queste restrizioni dei gradi di libertà individuale. Rivoluzionare dall’alto economie e modi di vivere richiederebbe rigidi sistemi di pianificazione scarsamente accettabili dalle società moderne. L’economia dei divieti e della burocrazia realizzata col pretesto dell’ecologia è un’economia percepita come punitiva e perciò stesso respinta. I gilets jaunes anche questo insegnano.
Morra indagato per le frasi dopo la morte di Jole Santelli: «Notizia dopo annuncio dell'audizione di Palamara». Il Quotidiano del Sud l'11 febbraio 2021. Il presidente della Commissione parlamentare antimafia, Nicola Morra, è indagato in un’inchiesta della Procura di Cosenza per diffamazione. Morra è stato querelato dalle sorelle di Jole Santelli, Paola e Roberta, dopo la frase pronunciata dal senatore del Movimento 5 Stelle subito dopo la morte della governatrice. Morra, infatti, aveva detto: «Sarò politicamente scorretto, era noto a tutti che la presidente della Calabria Santelli fosse una grave malata oncologica. Umanamente ho sempre rispettato la defunta Jole Santelli, politicamente c’era un abisso. Se però ai calabresi questo è piaciuto, è la democrazia, ognuno dev’essere responsabile delle proprie scelte: hai sbagliato, nessuno ti deve aiutare, perché sei grande e grosso». Espressioni che avevano indotto Paola e Roberta Santelli, sorelle della governatrice, a sporgere querela. Dopo avere appreso di essere indagato, Morra ha affermato: «Dopo due giorni dall’aver divulgato la notizia della prossima l’audizione del Dott. Palamara in Commissione Antimafia, apprendo da un’agenzia di essere indagato per diffamazione». Attraverso i social, Morra ha aggiunto: «Ho il dovere-diritto della trasparenza, sarà un caso, certamente, due giorni fa ho dato la notizia della prossima audizione del dottor Luca Palamara in Commissione Antimafia, sarà forse qualche altra cosa, però, tutto potrebbe essere. Io adesso provvederò a segnalare la notizia, per come sono le regole del Movimento, a chi di dovere, ai Probiviri, al garante, e procederò tranquillamente, perché se ho sbagliato dovrò rispondere dei miei errori, se non ho sbagliato, come penso, tutto dovrà essere archiviato». Il presidente della Commissione Antimafia ha sostenuto: «Mi sembra francamente irrituale che quelle parole, che sono state oggetto di polemiche formidabili all’epoca, possono produrre un’inchiesta con l’ipotesi di diffamazione aggravata e continuata, però sarà la magistratura a dover decidere. Io intanto continuo e cercherò certamente di audire il dottor Palamara». L?avvocato Sabrina Rondinelli, legale delle sorelle Santelli, ha confermato all’Adnkronos: «Confermo che Morra è stato querelato, una volta a novembre e una a dicembre, e che c’è un’indagine della procura di Cosenza».
Gli insulti alla governatrice scomparsa. Nicola Morra indagato per le frasi diffamatorie su Santelli: ma il grillino evoca complotti e Palamara. Fabio Calcagni su Il Riformista il 12 Febbraio 2021. Parole che costano caro. Il presidente della della commissione parlamentare antimafia, il grillino Nicola Morra, è indagato dalla Procura di Cosenza per il reato di diffamazione aggravata e continuata. Il fascicolo su Morra si riferisce alle frasi espresse dal parlamentare dopo la morte della presidente della Regione Calabria Jole Santelli (“scelta e votata malgrado fosse risaputa la sua malattia oncologica” disse Morra a novembre). Frasi che innescarono la querela da parte delle sorelle della governatrice, Paola e Roberta, tramite l’avvocato Sabrina Rondinelli. Morra, nel prendere atto di essere indagato, evoca complotti. Per il presidente dell’antimafia non sarebbe un caso che la notizia della sua indagine esca due dopo quella sulla imminente audizione in commissione antimafia dell’ex giudice Palamara. “Un caso? Forse, chi lo sa – ha detto Morra in un intervento su Facebook – ne risponderò se ho sbagliato, altrimenti tutto verrà archiviato”. Quanto alle parole spese su Jole Santelli, Morra non fa marcia indietro: “Era noto a tutti che la presidente della Calabria Regione Santelli fosse una grave malata oncologica. Se però ai calabresi questo è piaciuto è la democrazia, ognuno deve essere responsabile delle proprie scelte”, queste le frasi dopo le quali le sorelle Santelli, Paola e Roberta, parti offese, presentarono querela. Morra ha ribadito che “provvederà a segnalare la notizia, secondo le regole del Movimento a chi di dovere, ai probiviri, al garante, e procederò tranquillamente perché, se ho sbagliato dovrò rispondere dei miei errori, se non ho sbagliato, come penso, tutto dovrà essere archiviato”.
Morra ha ragione, per questo (forse) dovrebbe lasciare l’Antimafia. Aldo Varano su Il Dubbio il 14 febbraio 2021. Già contestato per le sue valutazioni politiche su Jole Santelli, ora Nicola Morra viene ora indagato per le stesse dalla procura di Cosenza. Nicola Morra presidente dell’Antimafia, nei mesi scorsi contestato da Forza Italia che ne aveva chiesto le dimissioni per le sue valutazioni politiche su Jole Santelli, richiesta respinta da Morra perché di diverso avviso politico, viene ora indagato dalla procura di Cosenza, su denuncia dei familiari della Santelli, che dell’Antimafia fu vice presidente con Morra Presidente, per diffamazione aggravata e continua. Morra, gesto per lui inedito, contrattacca la procura: «Sarà certamente un caso, due giorni fa ho dato notizia dell’audizione di Luca Palamara in Commissione Antimafia, sarà qualche altra cosa, però apprendo da un’agenzia di essere indagato». Intanto, tranquillizziamo Morra: non si tratta di un’altra cosa, ma è stato indagato proprio del caso Morra-Santelli. Inoltre, secondo noi, sempre garantisti quanto e come impone la Costituzione, Morra ha ragione: sul caso Santelli ha espresso solo giudizi politici, anche se infelici e difficilmente condivisibili. Ma quale messaggio lancia Morra, ne sia consapevole o no, con la sua dichiarazione? Fa sapere: io sto per illuminare lo scempio interno alla magistratura emerso dal caso Palamara e un magistrato mi mette al centro di un’indagine. Non sappiamo se le cose stanno veramente così o se la denuncia dei familiari della Santelli dovesse obbligatoriamente essere presa in considerazione. Sappiamo però che il meccanismo insinuato da Morra è quello che abitualmente scatta quasi sempre quando ci sono di mezzo uomini politici o personaggi in vista che possono facilmente finire sui giornali. Loro, sputtanati e con carriera rallentata; i magistrati, applauditi e con carriera velocizzata. Morra in tutti quei casi, non è facile ricordare una qualche eccezione, ha sempre sostenuto e spinto, verso le dimissioni degli imputati dalle proprie cariche pubbliche. Sarebbe veramente clamoroso, e Morra sconfesserebbe la sua intera carriera politica, se ora non si dimettesse come è giusto chiedergli in nome della coerenza che è diritto- dovere dei politici, da presidente dell’Antimafia.
P. S. E gli andrebbe anche bene. Si dimetterebbe da una Commissione che già 27 anni fa Dario Gambetta, uno dei più autorevoli studiosi del Novecento delle mafie, giudicava inutile. «Si ha l’impressione – scriveva da Oxford in una delle riedizioni del sua opera fondamentale che questo istituto, di cui pure fecero parte Cesare Terranova e Pio La Torre che hanno pagato con la vita la loro lotta alla mafia – sia servito come una palestra in cui le forze di Governo permettevano all’opposizione di sinistra di menare pugni antimafia purché rigorosamente nel vuoto». ( Dario Gambetta, La mafia siciliana, pag XI dell’introduzione, Einaudi, 1994)
Riccardo Tucci, il deputato M5s indagato per evasione fiscale: nel mirino le false fatture. Libero Quotidiano il 29 gennaio 2021. Il deputato del Movimento Cinque Stelle Riccardo Tucci è indagato per evasione fiscale. Secondo l'accusa, avrebbe aiutato un suo cugino, titolare dell'azienda per cui lavorava, ad evadere le tasse, emettendo fatture false per 701.500 euro a fronte di «operazioni oggettivamente inesistenti». Ieri mattina su richiesta della Procura di Vibo Valentia, il gip Marina Russo ha emesso un decreto di sequestro preventivo e un'ordinanza di misura cautelare interdittiva nell'ambito di un procedimento penale a carico di cinque soggetti indagati, a vario titolo, per reati tributari. Tra questi ci sono appunto il deputato grillino e suo cugino Adriano. A quest' ultimo, le fiamme gialle hanno notificato un sequestro per 19.200 euro. Tucci ha commentato su Facebook: «I fatti contestati sono precedenti all'inizio della mia attività politica. Ho già avvisato di quanto successo i vertici del M5S, il comitato di garanzia e il collegio dei probiviri. Ho piena fiducia nella magistratura e sono sicuro di poter dimostrare la mia totale estraneità ai fatti contestati». La frode fiscale sarebbe stata ideata da Vincenzo Maria Schiavello, titolare della "Autoelettrosat" ed ex socio di Riccardo Tucci. Coinvolta la cooperativa "Assistenza servizi telematici satellitari", di proprietà del deputato, il cui cugino è amministratore unico. «Gli accertamenti espletati dalla Guardia di Finanza - scrive il gip - rassegnano con palmare evidenza la sussistenza di un'unica realtà imprenditoriale, avente quale effettivo dominus Schiavello Vincenzo Maria, che, grazie allo schermo di società formalmente terze, mediante emissione di fatture per operazioni inesistenti e le conseguenti fraudolente dichiarazioni, ha acquisito profitti illeciti».
Giuseppe Legato e Maurizio Tropeano per “la Stampa” il 14 maggio 2021. Tre aggettivi per nulla clementi: «Frettolosa, imprudente, negligente». Se 160 pagine di una sentenza si potessero riassumere in una rosa ristretta di aggettivi, sarebbe questa quella che condensa i motivi per cui Chiara Appendino è stata condannata in primo grado per la tragedia di piazza San Carlo avvenuta il 3 giugno 2017 durante la proiezione della finale di Champions League Juventus Real Madrid. Li ha utilizzati il giudice Maria Francesca Abenavoli per inquadrare le responsabilità colpose della prima cittadina nell' organizzazione di quella notte maledetta chiusa con 1500 feriti e due morti. Le motivazioni della sentenza complicano i piani di Giuseppe Conte e Luigi Di Maio di ricandidare Chiara Appendino nonostante le sue perplessità legate, appunto, all' esito dei processi. La memoria dei giudici, infatti, rafforza la scelta della sindaca di non scendere in campo - è anche in attesa del processo di appello per il reato di falso in bilancio, altri sei mesi di condanna- senza però rinunciare a fare politica. I vertici nazionali del M5S, invece, tramontata l' ipotesi di candidare Guido Saracco, la ritengono la più adatta e competitiva per sfidare il Pd a Torino dove il 46% dei torinesi, per un sondaggio commissionato dai Dem, ritiene che abbia governato bene. Adesso resta da capire se Di Maio e, soprattutto Conte, continueranno nel pressing sulla sindaca. Ma che cosa c' è scritto in quelle motivazioni? «Decidendo di proiettare in piazza San Carlo la partita - scrive il giudice - Appendino ha chiesto all' amministrazione di operare in condizioni la cui criticità era evidente, disinteressandosi poi di tutti gli aspetti operativi. Secondo il Tribunale «la prima cittadina ha trascurato di assicurare il dovuto rilievo agli aspetti legati alla sicurezza non curando il bilanciamento di tale interesse (di rango nettamente superiore) con quello pur legittimo dei tifosi della Juventus di assistere alla partita». Ancora: «Ha agito attraverso il suo capo di gabinetto Paolo Giordana, ma questa non la esime da responsabilità visto il rapporto fiduciario che legava due figure apicali dell'amministrazione». Insomma: «Ciò che Giordana ha fatto su indicazione o delega della Appendino è anche a lei riconducibile in quanto da ritenersi frutto di un' unica volontà». La sindaca avrebbe dovuto vigilare di più dunque. Anche alla luce "di tempi strettissimi, di un budget incerto, di un organizzatore privo di specifica esperienza nel settore e considerata la terribile stagione terroristica che l' Europa stava vivendo e che colpiva soprattutto in occasione di raduni con grande partecipazione di pubblico» avrebbe «dovuto mettere a punto un monitoraggio molto più da vicino». I suoi avvocati però non demordono: «Nella sentenza in realtà - spiega l' avvocato difensore Luigi Chiappero - hanno trovato accoglimento molte nostre considerazioni. Il giudice ritiene insussistenti numerosi profili di colpa sugli aspetti autorizzativi che hanno consentito la proiezione della partita. Ancora, si legge come non fosse l' organo apicale del Comune a dover vigilare sull' osservanza delle prescrizioni imposte dalla Commissione Provinciale di Vigilanza. Restiamo convinti che, allo stesso modo, non spettasse alla prima cittadina seguire, anche sotto il profilo tecnico, l' evoluzione organizzativa dell' evento. Sarà uno degli aspetti fondanti dell' atto d' appello, con il quale chiederemo la piena assoluzione perché col senno del poi è facile dire che tutto era prevedibile».
Appendino condannata per falso ideologico. Report Rai 21 settembre 2020 ore 18:14. La sindaca di Torino, Chiara Appendino, è stata condannata a sei mesi per falso ideologico nell'ambito del processo per il mancato inserimento nel bilancio 2017 del Comune di cinque milioni di euro versati come caparra dalla società Ream Sgr, controllata dalla fondazione bancaria Crt. La società, durante la precedente amministrazione comunale, si era interessata alla riqualificazione di un'area abbandonata nella periferia del capoluogo, detta ex Westinghouse. Il progetto era stato poi affidato a un'altra società, senza che il Comune restituisse la caparra. È il 2016 e in quell’anno la città di Torino era a rischio dissesto finanziario, per l’ingente mole di debiti accumulati: il mancato inserimento della partita in bilancio sarebbe servito, secondo la tesi della procura, a far quadrare i conti dell’Ente locale. Il giudice non ha riconosciuto invece l'ipotesi di reato, formulata dalla Procura, di abuso di ufficio, pertanto la condanna non rientra nei casi per i quali la legge Severino prevede la decadenza dalla carica pubblica. Report aveva raccontato la vicenda nell'inchiesta di Manuele Bonaccorsi "Mal comune", andata in onda il 19/11/2018. Il servizio si occupava anche del dissesto del Comune di Catania, per cui l'allora sindaco Enzo Bianco è stato recentemente condannato a un risarcimento di 48 mila euro con l'interdizione per 10 anni dai pubblici uffici.
Gabriele Guccione per "il Corriere della Sera" il 28 gennaio 2021. C'è amarezza nello sguardo di Chiara Appendino. Si intravede appena, sopra la mascherina nera, insieme a un certa dose di scoramento. «Per fare il sindaco devi essere un martire», si sfoga con chi le sta accanto. Il giudice ha appena finito di pronunciare la sentenza. Un anno e mezzo di carcere. Colpevole di disastro, omicidio, lesioni colpose. Accuse che pesano sull' animo di una giovane mamma di 36 anni, ancor prima che sulla fedina penale della sindaca. Non è la prima condanna, questa. Solo quattro mesi fa, in un' altra aula dello stesso palagiustizia, il tribunale l' aveva giudicata responsabile di falso ideologico in una vicenda relativa alla compilazione del bilancio comunale. Robe da travet, difficili da comprendere se non si è un esperto contabile. Questa volta però è diverso. L' ondata di panico, le vittime, due donne morte in seguito alle lesioni, i 1.694 feriti di quel 3 giugno 2017 in piazza San Carlo durante la finale Juventus-Real Madrid: tutto è ancora lì, come un fermo immagine, davanti agli occhi dei torinesi. «Pago un gesto fatto da altri», non smette di ripetere Appendino, i capelli corvini raccolti in una coda. Indica la responsabilità dei quattro baby-rapinatori armati di spray urticante che quella sera scatenarono il fuggi fuggi. «Avrei dovuto prevedere, secondo i giudici, quanto poi è accaduto e annullare la proiezione della partita. Se avessi avuto gli elementi per farlo - afferma -, l' avrei fatto. Ma così non fu e purtroppo il resto è cronaca». Nulla è stato più come prima dopo quella notte di tre anni e mezzo fa. Qualcosa si è incrinato per sempre nel rapporto tra Appendino e la città. Lei stessa ne è consapevole. «Non ve lo nascondo, questa tragica vicenda - ammette - mi ha segnato profondamente. Quei giorni, e i mesi che sono seguiti, sono stati i più difficili sia del mio mandato da sindaca sia della mia sfera privata, personale. Quel dolore è ancora vivo, lo porterò sempre con me». E, ora, esserne giudicata responsabile è terribile. Come se non bastasse, poi, si abbatte sulle sue prospettive politiche future a pochi mesi dalla sua uscita da Palazzo Civico. Già dopo la prima condanna si era autosospesa dal M5S e una eventuale ricandidatura era stata messa da parte. Con le dimissioni del Conte bis si sarebbe potuto riaprire un qualche spiraglio, magari per un posto nel nuovo governo. Nulla da fare. «Io sono demotivata. Il contesto generale è terribile», confida, mentre il Movimento si stringe attorno a lei. «Ti mando un grosso abbraccio, sei straordinaria e continuerò a fidarmi di te», è il messaggio di Luigi Di Maio. Così, dopo essere stata condannata (mai successo a un sindaco di Torino), Appendino lancia la palla nel campo dei rapporti tra giustizia e politica. «Forse - propone - andrebbe aperta una sana discussione sul difficile ruolo dei sindaci, sui rischi e sulle responsabilità a cui sono esposti». Il suo predecessore, Piero Fassino, raggiunto l' altro giorno da un avviso di garanzia, le va dietro: «Condivido». E i sindaci d' Italia si uniscono all' appello, fanno quadrato attorno alla collega, la difendono. «Non possiamo essere ancora capri espiatori», sostiene il primo cittadino di Bari e presidente dell' Anci, Antonio Decaro. «Spesso paghiamo anche per gesti folli di altri», fa notare il fiorentino Dario Nardella, che con un tweet rivolge alla collega «un abbraccio», mentre il milanese Giuseppe Sala si limita a un «mi dispiace, è un' amica». Appendino si appresta così a uscire di scena nel suo ruolo di sindaca. Lei, che nel 2016 entrò in municipio tra i cori giustizialisti dei grillini: «Onestà, onestà».
Ottavia Giustetti per repubblica.it il 27 gennaio 2021. La sindaca di Torino, Chiara Appendino, è stata condannata a un anno e sei mesi nel processo con rito abbreviato per i fatti di piazza San Carlo. Il processo si riferisce ai fatti del 3 giugno 2017, quando un'ondata di panico collettivo tra la folla che stava assistendo alla finale di Champions League tra Juventus e Real Madrid causò il ferimento di oltre 1600 persone e la morte di due donne: Erika Pioletti, deceduta in ospedale dopo una decina di giorni, e Marisa Amato, rimasta tetraplegica e spirata nel 2019. Nel processo, oltre alla sindaca, hanno ricevuto la stessa condanna il suo ex capo di gabinetto Paolo Giordana, l'allora questore Angelo Sanna, l'ex presidente di Turismo Torino (l'agenzia che prese in carico la creazione dell'evento) Maurizio Montagnese, ed Enrico Bertoletti, professionista che si occupò di parte della progettazione. Per tutti l'accusa è di disastro, omicidio e lesioni colpose. Per Appendino il procuratore aggiunto, Vincenzo Pacileo aveva chiesto una condanna a un anno e 8 mesi; stessa richiesta per l'ex questore Sanna, due anni per Giordana, un anno e sette mesi per Montagnese e 3 anni e sei mesi per Bertoletti. Per l'accusa, sostenuta dal pm Vincenzo Pacileo, la manifestazione fu organizzata male e troppo in fretta. Le difese hanno invece replicato che era impossibile prevedere ed evitare il panico collettivo. Dalle indagini emerse che a causare l'ondata di panico fu una gang, poi sgominata dagli investigatori, che compiva rapine tra gli spettatori in piazza usando spray urticanti. Secondo il pm Pacileo la sindaca Appendino, in particolare, "non ebbe solo un ruolo politico ma anche gestionale". L’udienza era iniziata ed è stata quasi subito interrotta dopo che i difensori Paolo Pacciani, Simona Grabbi e Roberto Macchia, avevano sollevato l’eccezione di nullità dell’intero processo a causa del fatto che per un errore alcuni atti non sono mai stati resi noti ai difensori né depositati nel fascicolo d’indagine. Sono le copie dei telefonini e dei computer dell’ex portavoce della sindaca e l’ex capo di gabinetto che furono sequestrati a gennaio 2018 in un procedimento parallelo ma che contengono conversazioni di alcuni dei protagonisti prima del processo, prima, durante e dopo l’evento. Il processo è poi ripreso dopo che il gup, Maria Francesca Abenavoli, ha rigettato l'istanza di nullità. Successivamente il giudice si è ritirato in camera di consiglio: dopo un'ora e mezza la sentenza.
Processo per i morti di piazza San Carlo, Appendino condannata a 1 anno e 6 mesi. Il sindaco di Torino è stata condannata a un anno e mezzo per la tragedia di piazza San Carlo. Per il pm Pacileo la sindaca "non ebbe solo un ruolo politico ma anche gestionale". Martina Piumatti, Mercoledì 27/01/2021 su Il Giornale. Il pm Vincenzo Pacileo aveva chiesto un anno e otto mesi. Un anno e sei mesi è stata, invece, la condanna per la sindaca di Torino Chiara Appendino, riporta l'Agi. Il processo con il rito abbreviato si riferisce ai fatti del 3 giugno 2017, quando un attacco di panico collettivo tra la folla ammassata sotto il maxi schermo di Piazza San Carlo per assistere alla finale di Champions League tra Juventus e Real Madrid, portò al ferimento di oltre 1600 persone e alla morte di due donne. Erika Pioletti, deceduta in ospedale dopo una decina di giorni, e Marisa Amato, rimasta tetraplegica e, poi, morta nel 2019. Dalle indagini è emerso che a causare il panico fu una gang di ragazzini solita compiere rapine durante gli eventi usando spray urticanti. I quattro sono già stati condannati in appello a 10 anni per omicidio preterintenzionale. Per l'accusa, sostenuta dal pm Pacileo, la manifestazione era stata organizzata male e troppo in fretta e la sindaca Appendino, in particolare, "non ebbe solo un ruolo politico ma anche gestionale". Per le difese, invece, sarebbe stato impossibile prevedere ed evitare il panico collettivo. Stessa condanna anche per l'ex capo di gabinetto della sindaca Paolo Giordana, l'allora questore Angelo Sanna, l'ex presidente di Turismo Torino (l'agenzia che prese in carico la creazione dell'evento) Maurizio Montagnese, ed Enrico Bertoletti, che, invece, si occupò di parte della progettazione. Per tutti l'accusa è di disastro, omicidio e lesioni colpose. L’udienza, appena iniziata, si era subito interrotta dopo che i difensori Paolo Pacciani, Simona Grabbi e Roberto Macchia, avevano sollevato l’eccezione di nullità dell’intero processo. Per un errore alcuni atti non sarebbero stati resi noti ai difensori né depositati nel fascicolo d’indagine. Poi, l'udienza è ripresa dopo che il gup, Maria Francesca Abenavoli, ha rigettato l'istanza di nullità. Il giudice si è ritirato in camera di consiglio e dopo un'ora e mezza la sentenza di condanna per tutti gli imputati. A inchiodarli sono state le copie dei telefonini e dei computer dell’ex portavoce della sindaca e l’ex capo di gabinetto che furono sequestrati a gennaio 2018 in un procedimento parallelo ma che contengono conversazioni decisive di alcuni dei protagonisti. "Accetto e rispetto la decisione del giudice anche per il ruolo istituzionale che ricopro ma non posso non nascondere una certa amarezza perché c'è un sindaco che paga per un gesto folle di alcuni ragazzi che sono stati già condannati anche in appello", commenta la sindaca di Torino che annuncia il ricorso in appello. "Quello che è accaduto quel giorno è un dolore che porto con me, che porterò sempre, lo porto io, lo porta la città, lo porta la comunità, quindi le questioni processuali non incidono sul lato personale - ha aggiunto - detto ciò attendiamo le motivazioni ma sicuramente procederemo con l'appello". Dura la reazione del leader del Carroccio Matteo Salvini. “Appendino condannata per piazza San Carlo e Bonaccini indagato dopo aver minacciato un sindaco perché schierato col centrodestra. Mi chiedo - tuona il segretario della Lega - se i problemi giudiziari siano ancora un problema, per grillini e la sinistra, o se la fame di poltrone gli fa digerire tutto come già successo per l’indagato Zingaretti”.
La sentenza per la sindaca di Torino e altri 4 imputati: condanna a un anno e sei mesi. Chiara Appendino condannata per la tragedia di piazza San Carlo: “Non potevo prevedere, pago gesto folle ragazzi”. Redazione su Il Riformista il 27 Gennaio 2021. Un anno e sei mesi con sospensione condizionale della pena. Questa la sentenza di primo grado, con rito abbreviato, emessa dal Gup Maria Francesca Abenavoli per la sindaca di Torino Chiara Appendino e per altri quattro imputati nel processo per i fatti accaduti il 3 giugno 2017 in piazza San Carlo durante la finale di Champions League, persa dalla Juventus con il Real Madrid, dove successivamente morirono due persone e ci furono oltre 1500 feriti. Appendino insieme all’ex capo di gabinetto del Comune Paolo Giordana, l’allora questore Angelo Sanna, l’architetto Enrico Bertoletti e l’ex presidente dell’Agenzia Turismo Torino, Maurizio Montagnese, deve rispondere di disastro, omicidio e lesioni colpose. Un sesto imputato, Danilo Bessone, esponente di Turismo Torino, ha chiesto e ottenuto di patteggiare un anno e sei mesi. Per la sindaca di Torino la Procura aveva chiesto un anno e 8 mesi, due anni per Giordana, un anno e sette mesi per Montagnese e 3 anni e sei mesi per Bertoletti. “È una decisione che accetto e rispetto, anche per il ruolo che rivesto ma non posso non nascondere una certa amarezza perché c’è un sindaco che paga per un gesto folle di alcuni ragazzi che sono stati già condannati anche in Appello”. Così, in un lungo post su Facebook, commenta Chiara Appendino. “La tesi dell’accusa, oggi validata in primo grado dalla Giudice, è che avrei dovuto prevedere quanto poi accaduto e, di conseguenza, annullare la proiezione della partita in piazza. È una tesi dalla quale mi sono difesa in primo grado e che, dopo aver letto le motivazioni della sentenza con i miei legali, cercherò di ribaltare in Appello perché è evidente che, se avessi avuto gli elementi necessari per prevedere ciò che sarebbe successo, l’avrei fatto. Ma così non fu e, purtroppo, il resto è cronaca”, aggiunge. “Quello che è accaduto quel giorno – prosegue – è un dolore che porto con me, che porterò sempre, lo porto io, lo porta la città, lo porta la comunità, quindi le questioni processuali non incidono sul lato personale – ha aggiunto – detto ciò attendiamo le motivazioni ma sicuramente procederemo con l’appello”.
LA TRAGEDIA – Durante la proiezione della finale di Champions League in piazza San Carlo si scatenò il panico quando, come ricostruito dagli inquirenti, alcuni rapinatori spruzzarono dello spray al peperoncino tra la folla, provocando un fuggi fuggi generale. Numerosi i feriti, la più grave, Erika Pioletti, 38 anni, morirà in ospedale dopo dodici giorni di agonia. La seconda vittima è la 65enne Marisa Amato, rimasta paralizzata e morta il 25 gennaio 2019. Altri nove imputati, che a titolo diverso presero parte all’organizzazione dell’evento, hanno scelto invece il rito ordinario, con il processo che è tuttora in corso.
Appendino condannata, il reato? Essere sindaca. Salta il codice morale 5S. Aldo Torchiaro su Il Riformista il 28 Gennaio 2021. Gli incidenti del 2019 a piazza San Carlo, a Torino, costati la vita a due donne e il ferimento di 1500 persone, portano a una condanna dura, un anno e sei mesi di detenzione, per la sindaca Chiara Appendino. Ma è una sentenza di primo grado, la Sindaca farà appello e si guarda bene dal dimettersi, appoggiata dai più autorevoli guardaspalle del Movimento: già ieri Marco Travaglio, torinese, aveva dettato sul Fatto l’arringa difensiva: assurdo condannarla per una responsabilità che non poteva assumere, il senso delle sue parole. «Che avrebbe potuto fare Appendino se non vietare preventivamente la manifestazione?», si chiedeva. Tuttavia la macchina della giustizia gira come gira, inchiodando i Sindaci a ogni tipo di responsabilità civile e penale. Ed eccone il risultato. È la stessa sindaca a dirsene amareggiata. «La tesi dell’accusa, oggi validata in primo grado dalla Giudice, è che avrei dovuto prevedere quanto poi accaduto e, di conseguenza, annullare la proiezione della partita in piazza», ribadisce Appendino. Che non nasconde di essere segnata dalla vicenda. «Quei giorni e i mesi che sono seguiti, sono stati i più difficili sia del mio mandato da sindaca sia della mia sfera privata, personale». Ma qui si apre una riflessione che finalmente si intesta una esponente del Movimento che fino a ieri agitava le manette per tutti e le dimissioni immediate, al primo avviso di garanzia: «La carica istituzionale che ricopro comporta indubbiamente delle responsabilità, alle quali non ho alcuna intenzione di sottrarmi. Proprio sul difficile ruolo dei sindaci, sui rischi e sulle responsabilità a cui sono esposti, forse andrebbe aperta una sana discussione». Silvia Fregolent, deputata torinese di Italia Viva, entra nel merito: «Noi come IV dicemmo da subito che qualcosa non andava sui commenti fatti da Chiara Appendino sulla sola responsabilità di Torino Eventi e non della propria. Da subito parlammo di responsabilità politiche, e di come la cattiva gestione di quell’evento avesse segnato l’inizio del declino della città». Appendino è a fine mandato, per la sua successione Pd e M5S mantengono l’idea di un candidato unitario. «Sbagliando», chiosa Fregolent. Circola l’idea di far slittare la tornata delle amministrative in autunno, davanti al persistere della pandemia e alle vaccinazioni a rilento. Appendino godrebbe dunque di una estensione del suo mandato. Anche il responsabile giustizia di Azione, il deputato e avvocato Enrico Costa, cuneese, ha frequentato piazza San Carlo negli anni dell’università. «Sono molto colpito da una condanna che attribuisce ad un Sindaco una responsabilità organizzativa che prevede l’imprevedibilità dell’evento». Aggiungendo un punto più politico: «I suoi compagni di partito, se fosse capitato a qualche loro avversario, avrebbero sollevato un polverone e chiesto cento passi indietro. Noi no: le auguriamo di far valere in appello la sua innocenza». La sentenza-choc qualche merito ce l’ha. Suona la sveglia tra i Cinque Stelle, che scoprono oggi (meglio tardi che mai) cosa significa amministrare. Anche il viceministro al Mise grillino, Stefano Buffagni, se ne rende conto: «Questa vicenda rischia di portare qualsiasi amministratore e dirigente pubblico, non solo sindaci o figure apicali istituzionali, a temere per ogni decisione da prendere e quindi a non fare. Dobbiamo come parlamentari e legislatori aprire una seria riflessione sulla tutela dei sindaci e degli amministratori». E il sindaco dem di Pesaro, Matteo Ricci, presidente delle Autonomie Locali Italiane: «È assurda una legge che scarica sui sindaci responsabilità che oggettivamente non possono avere. Ogni sindaco oggi è Chiara Appendino». Una inversione da capogiro che fa dire a Matteo Salvini che «ora va bene tutto, a sinistra e grillini: i guai giudiziari non sono più un problema». Solo quindici giorni fa era arrivata la sentenza della Cassazione sulla strage ferroviaria di Viareggio – il deragliamento di un treno che trasportava Gpl – operante distinguo importanti: il processo a Moretti va rifatto, aveva deciso la Corte suprema, perché l’impianto accusatorio faceva acqua da tutte le parti. E l’ad di Ferrovie era alla sbarra non per un atto commesso ma per l’incarico professionale rivestito. A quella decisione era seguita la furia dei parenti delle vittime, corroborata dalle dichiarazioni dello stesso Salvini e dei Cinque Stelle, oltre che del Pd: tutti scandalizzati e uniti nel pretendere pene severe per i vertici dell’azienda. Il Fatto di Travaglio aveva titolato: “Giustizia & impunità: la strage di Viareggio senza colpevoli”. Una riflessione seria va fatta sul ruolo degli amministratori, tutti.
Ego te absolvo. Marco Travaglio archivia l’honestà e "assolve" Chiara Appendino. Tiziana Maiolo su Il Riformista il 15 Ottobre 2020. Mettere la parola “onestà” al posto di “innocenza”. E tutto quadra. Si potrebbe persino modificare l’articolo 27 della Costituzione (che in realtà parla di non colpevolezza, non di “innocenza”), nel mondo di Marco Travaglio e dei suoi cari. Che in realtà non credono nella giustizia. Nel mondo in cui Chiara Appendino dovrebbe essere ricandidata a sindaco di Torino, secondo il direttore del Fatto, «non per la presunzione di innocenza, ma per la certezza di onestà». Schiuma di rabbia, il povero Marcolino, quasi qualcuno gli avesse disobbedito, facendo deporre la fascia tricolore al sindaco di Torino. Che Chiara Appendino sia una persona per bene, un sindaco “normale”, e che non abbia fatto disastri come la sua collega Virginia Raggi a Roma, non c’è nemmeno bisogno di dirlo. È sotto gli occhi di tutti. Ma in questi quattro anni la prima importante sindaca grillina, pur appoggiata inizialmente dal mondo produttivo torinese, non è riuscita a scrollarsi di dosso il suo mondo d’origine, quello dei No-Tav e della purezza da decrescita più o meno felice che l’ha portata a rinunciare alle Olimpiadi della neve e a perdere il salone dell’auto, oltre che a chinare la testa di fronte alla più combattiva Milano, concorrenziale su grandi mostre e salone del libro. Motivi politici, e difficoltà d’incontro dei due mondi – quello grillino con il ditino alzato e i grandi rifiuti, e quello della tradizione di sinistra, da Mirafiori fino all’intellighenzia snob con la puzza sotto il naso – prima ancora che la “questione di coerenza” per motivi giudiziari, hanno portato la sindaca al passo di lato. Così lei stessa ha definito il suo abbandono della fascia tricolore. Il che toglie un bel po’ di castagne dal fuoco all’alleanza rossogialla. Per lo meno a Torino, viste le difficoltà nella città di Roma con la ricandidature spontanea di Virginia Raggi. Nel mondo “normale”, come avrebbe potuto essere quello di un sindaco normale come Appendino, non peserebbe più di una piuma quella condanna a sei mesi per falso ideologico che accomuna il primo cittadino di Torino a quello di Milano Beppe Sala e a tanti altri sparsi per l’Italia. Sono gli assurdi “incidenti sul lavoro” dei pubblici amministratori. Quegli stessi soggetti che la piccola sub-cultura di Marcolino e del suo amico Bonafede ha voluto, per esempio con la legge “spazzacorrotti”, equiparare agli assassini mafiosi e ai trafficanti internazionali di droghe. Ma nel mondo di onestà-onestà ogni sospiro, ogni piccolo gesto di attenzione di un pubblico ministero conta più di un premio Nobel. A volte, e in questo il Fatto quotidiano è insuperabile maestro, gli uffici della procura vengono addirittura sollecitati. È il caso dell’assessore lombardo alle politiche sociali Giulio Gallera, per sua fortuna non sottoposto a nessuna indagine giudiziaria, ma il cui cognome viene ogni giorno storpiato con la cancellazione di una “L” in modo da evocare e sollecitare le manette. Ovvio che, nel piccolo mondo di Marcolino, quella condanna in primo grado di Chiara Appendino bruci come una bestemmia in chiesa. Un affronto. Ma anche una realtà che cozza con le strampalate regole del grillismo e del travaglismo. Basterebbe rileggere quell’accozzaglia di insulti che ogni giorno viene stampata sul colonnino laterale destro nella prima pagina del Fatto. Quel che è stato sparato, con la forza di pallottole, per esempio nei confronti del sindaco milanese Sala o del governatore lombardo Fontana. Amministratori “normali” proprio come Appendino. Di cui però Marcolino non auspicherebbe mai la ricandidatura, soprattutto per motivi giudiziari. Ecco perché non riesce a ingoiare la rinuncia della sindaca di Torino al secondo mandato. Se la prende con il partito di Grillo e Di Maio perché non aggiorna immediatamente il Codice etico, «ancora troppo rigido e dunque inefficace». Poi inciampa, ricordando come sia giusto allontanare i condannati, specie se per reati gravi come il falso. Però l’ultima parola, suggerisce, andrebbe ai probiviri. Sembra quasi dire che non conta tanto la decisione della magistratura quanto quella del partito. Complimenti per il doppiopesismo, Marcolino! Per uno che è campato sulle vicende giudiziarie di Roberto Formigoni non è male come giravolta. Che cosa dice di Chiara Appendino? «Non ha rubato, “mafiato”, truffato, sperperato, abusato del suo potere a fini personali». Sai, Marcolino quanti esempi di pubblici amministratori, da Tangentopoli in avanti, potremmo farti, anche di persone che si sono suicidate per la vergogna di insinuazioni ingiuste fatte da persone come te? Persone per bene che, proprio come Chiara Appendino, non avevano rubato o truffato o “mafiato” e hanno dovuto subire magari il carcere e la gogna quotidiana sparsa a piene mani dalla sub-cultura che a te è sempre piaciuta finché le condanne non hanno colpito i tuoi cari. Non stupisce il finale del tuo colonnino laterale destro di ieri. Uso volutamente il termine “laterale destro”, con cui viene definito, nei tribunali, il giudice più anziano che siede alla destra del presidente. Perché tu oggi hai emesso una sentenza. Hai stabilito che non ti importa niente della giustizia. Tu invochi il Movimento Cinque Stelle, cioè un partito, in favore di Chiara Appendino: «Un movimento che ha a cuore l’onestà dovrebbe annullare la sua autosospensione e spingerla a ricandidarsi. Non malgrado la sentenza, ma alla luce della sentenza». Ed ecco lo squillo di trombe, la vera anima del giacobino che in realtà non crede nelle decisioni dei giudici (del resto ha sempre preferito i pubblici ministeri): «Non per la presunzione di innocenza, ma per la certezza di onestà». Ego te absolvo.
· La Variante Cinese.
Dalla Dc a Berlinguer fino a Berlusconi, la Cina e la linea soft dei politici italiani. Filippo Ceccarelli su La Repubblica il 17 giugno 2021. Al netto degli exploit di Grillo e delle intemerate di Massimo D'Alema, tutta la Prima Repubblica e buona parte della Seconda ha avuto un atteggiamento morbido rispetto al gigante asiatico. Nel 1954, durante il suo primo viaggio, il futuro ministro degli Esteri Pietro Nenni si sentì chiedere da Mao se era vero che Mussolini era stato socialista. A Nenni piacque molto la Cina anche se, come rivelò maliziosamente Pertini, "faceva assaggiare dalla moglie i cibi prima di provarli". Il dettaglio non è ovviamente risolutivo. Ma certo alcuni anni dopo Nenni si spese molto per il riconoscimento della Cina da parte dell'Onu.
Gabriele Carrer per formiche.net l'1 agosto 2021. Primo giugno: sul “sacro blog” di Beppe Grillo, fondatore del Movimento 5 Stelle, appare un articolo del titolo “Per un’iniziativa di pace” che presenta “finalmente” un rapporto “scientifico” sulla questione dello Xinjiang. Si tratta della regione nord-occidentale cinese fondamentale snodo della Via della Seta, al centro delle tensioni geopolitiche per via delle persecuzioni del governo cinese sulla minoranza uigura che gli Stati Uniti e diversi loro alleati definiscono genocidio. Come raccontato da Formiche.net, tra i firmatari di quel documento stilato da “ricercatori indipendenti” non specificati ci sono, tra gli altri e oltre a Grillo, Thomas Fazi, figlio dell’editore Elido Fazi che aveva affidato la collana saggistica ad Alessandro Di Battista, il senatore pentastellato Vito Petrocelli, presidente della commissione Esteri, e Marco Ricceri, segretario generale dell’Eurispes. Il Foglio ha ipotizzato che tra gli autori ci fosse Fabio Massimo Parenti, professore associato dell’Istituto Internazionale “Lorenzo de’ Medici” e assiduo frequentatore del blog di Grillo, per via di alcune coincidenze tra i suoi scritti e quel rapporto. Un documento di meno di 40 pagine in cui ci sono molti riferimenti a fonti ufficiali del governo cinese, come la testata Global Times, l’agenzia di stampa Xinhua e documenti dell’amministrazione. Il rapporto è stato “promosso in collaborazione” con il laboratorio Brics dell’Eurispes, l’Istituto Diplomatico Internazionale e il Centro Studi Eurasia-Mediterraneo (CeSEM), che a distanza di due mesi dalla pubblicazione ancora lo colloca in bella vista sulla homepage del proprio sito. Ed è stato rilanciato – amplificato, potremmo dire – anche da Aaron Maté di Grayzone, blog statunitense che il think tank australiano Aspi ritiene parte della propaganda del Partito comunista cinese. Nei giorni scorsi Alexander Reid Ross, docente di geografia alla Portland State University, ha pubblicato un’analisi del documento sul quotidiano israeliano Haaretz che parte da una delle prime frasi, una citazione di Lev Gumilëv, riferimento del presidente russo Vladimir Putin come raccontato in passato dal Financial Times e di Aleksandr Dugin, ideologo del populismo che ha ammiratori anche nelle destre sovraniste di Francia e Italia. Ross parla di “bizzarro riferimento” che “ha senso alla luce dell’organizzazione che ha condotto questo sforzo”, ossia il CeSEM, definito “think tank dal nome banale”. Che, prosegue, è nato dalla rete di Claudio Mutti, che si descrive come un “nazi-maoista” unendo neofascismo a idee di estrema sinistra. In pratica, un cosiddetto rossobruno, antisemita e antioccidentale. Mutti è stato più volte arrestato per terrorismo e poi prosciolto (anche in relazione all’attentato di Piazza Fontana) e si è convertito all’Islam sciita con il nome di Omar Amin, lo stesso che scelse Johann von Leers, ex SS che fu consigliere del presidente egiziano Gamal Abdel Nasser. Negli anni Mutti ha costruito rapporti nella Libia di Muammar Gheddafi, in Cina, in Iran (fondando anche una rivista, Jihad, sostenuta dall’ambasciata di Teheran a Roma) e in Russia. Oggi dirige la rivista Eurasia, strettamente legata al CeSEM come dimostrano i rispettivi siti e i molti eventi organizzati assieme, ai quali è spesso presente Dugin. Secondo Ross il rapporto nato nella rete del nazi-maoista Mutti e firmato dai pentastellati Grillo e Petrocelli è soltanto “semplice, volgare negazionismo”. “Se l’obiettivo è quello di guadagnare credibilità per i punti di vista negazionisti del genocidio, gli alleati italiani della Cina sembrano aver fatto più male che bene”, scrive il docente. “D’altra parte, molte, molte meno persone leggeranno effettivamente il rapporto (e quindi avranno la possibilità di notare i suoi enormi difetti) rispetto a quelle che saranno esposte alla disinformazione concentrata di Maté e dei suoi compagni di Grayzone, i ‘giornalisti’ ‘indipendenti’ dedicati a tempo pieno a coprire i dittatori dal Venezuela alla Siria alla Cina, e a diffamare coloro che osano difendere i diritti umani e il dissenso”, conclude.
Da Pechino all’Iran, la fascinazione grillina per i regimi anti-Usa. Concetto Vecchio su La Repubblica il 21 agosto 2021. Gli elogi alla Cina e i viaggi da Maduro, la presenza al congresso di Russia unita e quella vecchia proposta di Di Battista: dialogare con l’Isis. Era l’agosto del 2014. L’Isis seminava il terrore, i grillini in Parlamento non parlavano con nessuno e il deputato M5S Alessandro Di Battista propose di aprire un tavolo di confronto con i jihadisti. Pubblicò un post per dire che «dovremmo smetterla di considerare il terrorista un soggetto disumano con il quale nemmeno intavolare una discussione. Nell’era dei droni e del totale squilibrio degli armamenti il terrorismo, purtroppo, è la sola arma violenta rimasta a chi si ribella».
L’amore di Grillo e dei Cinquestelle per la Cina non nasce per caso: ecco che cosa c’è dietro. Fortunata Cerri sabato 21 Agosto 2021 su Il Secolo d'Italia. I cinquestelle flirtano con la Cina comunista. Un amore che si è manifestato già durante il governo Conte ma che avrebbe radici lontane. Ecco perché l’apertura al regime talebano non apparirebbe casuale. A ricostruire il flirt del M5S nei confronti del Dragone è il Giornale: «Basta cercare nell’archivio del Blog di Beppe Grillo la parola “Cina”». Ecco una breve panoramica. Nel 2008, ricorda il quotidiano, in occasione delle Olimpiadi di Pechino le frasi erano di questo tenore: «La Cina ha intenzione di far partire la fiaccola olimpica proprio dal Tibet, dalla cima dell’Everest. È come se la Germania la facesse partire da Auschwitz». Ma i tempi cambiano. E così «nel 2020 il fondatore del Movimento profetizzava: “Coronavirus: la Cina ne uscirà più forte”». Ci sono anche “reclamizzazioni” delle politiche del Dragone. «Cina: agevolazioni fiscali per incoraggiare l’innovazione» del 31 maggio 2019. «La Cina inaugura il ponte sul mare più lungo del mondo» del 23 ottobre del 2018. Il caso più controverso, ricorda ancora il Giornale, di sostegno grillino alla Cina è sulla questione dello Xinjiang. La regione in cui il governo cinese da anni perseguita la minoranza musulmana degli Uiguri. Su questo tema c’è un documento del 19 maggio di quest’anno, ancora scaricabile in pdf dal Blog di Grillo. «Si tratta – scrive il Giornale – di un rapporto intitolato “XinJiang. Capire la complessità, costruire la pace”. (…) Il testo è deliberatamente filo-Cina e tende a colpevolizzare chi si oppone alla segregazione».
La posizione di Conte. E anche Giuseppe Conte pare abbia subito il fascino del Dragone. «A ottobre dell’anno scorso l’allora premier – in visita a Taranto – ha dato il via libera all’acquisizione da parte della società cinese Ferretti Group di un’area di 220mila metri quadri nel porto della città jonica». Per arrivare ai nostri giorni. Solo ieri, ricorda il quotidiano, il ministro degli Esteri Luigi Di Maio ha parlato di «ruolo cruciale della Cina in Afghanistan» in una telefonata con il suo omologo cinese Wang Yi. Lo stesso Di Maio ha firmato, in epoca gialloverde, il memorandum sulla Via della Seta.
DDS. per “il Giornale” il 21 agosto 2021. Sugli smartphone di qualche parlamentare del M5s da ieri circola uno screenshot. È un titolo con alcune parole pronunciate da Alessandro Di Battista il 16 agosto del 2014. La notizia di sette anni fa parla di «un post pubblicato sul Blog di Beppe Grillo» dall'allora deputato pentastellato in commissione Esteri. Si tratta del tristemente famoso articolo in cui Di Battista invitava a «trattare con i terroristi». Per poi spiegare così la sua quantomeno discutibile posizione: «Dovremmo smetterla di considerare il terrorista un soggetto disumano con il quale nemmeno intavolare una discussione». «Avete capito adesso da dove arriva l'uscita di Conte?» sibilano con perfidia dalle parti dei governisti. Nel gruppo parlamentare collegano la gaffe del presidente del Movimento a certi toni barricaderi del passato, incarnati alla perfezione dalle prodezze di Dibba, che Conte rivorrebbe nei Cinque Stelle. Non solo a proposito della Cina, nel corso degli anni troppi grillini si sono distinti per le posizioni borderline in politica estera. Antica la passione per il dittatore venezuelano Hugo Chavez e il suo erede Nicolas Maduro. Il 13 marzo del 2015 Di Battista e l'attuale sottosegretario alla Farnesina Manlio Di Stefano organizzano un convegno a Montecitorio dal titolo «L'alba di una nuova Europa». Durante l'evento si prende a modello l'alleanza dei governi filo-chavisti di Centro e Sudamerica. Luciano Vasapollo, un professore della Sapienza, esalta Maduro. Di Battista e Di Stefano battono le mani. Sempre Di Stefano, accompagnato dalla deputata Ornella Bertorotta e dal senatore Vito Petrocelli, nel 2017 va a Caracas. La Bertorotta si distingue per una brillante dichiarazione: «Anche in Italia si sta male con Renzi». A giugno del 2020 il quotidiano spagnolo Abc rivela la storia di un presunto finanziamento in nero del regime chavista al M5s, soldi che secondo il giornale sarebbero stati ricevuti da Gianroberto Casaleggio nel 2010. La vicenda, controversa, si conclude con una querela da parte di Davide Casaleggio. Chavez, Maduro, Fidel Castro, Evo Morales. Senza trascurare gli ayatollah iraniani. A gennaio dell'anno scorso gli Usa uccidono il generale Qassem Soleimani, numero due del regime. Di Battista commenta e definisce «vigliacco» e «stupido» il raid americano. Quindi aggiunge: «L'Iran non ha mai rappresentato una minaccia per il nostro Paese». Qualche mese prima, a novembre 2019, il sottosegretario Manlio Di Stefano aveva avuto un cordialissimo incontro con l'ambasciatore di Teheran a Roma. Noti anche i rapporti del senatore Petrocelli con l'Azerbaijan, governato col pugno di ferro dalla dinastia degli Aliyev a partire dal crollo dell'Unione Sovietica. Più volte ospite nella capitale Baku, Petrocelli ad aprile scorso ha guidato una delegazione del Comune di Matera (amministrato dal grillino Domenico Bennardi) in visita nel paese del Caucaso. Infine Grillo, ancora lui. Tra il serio il faceto il Garante il 15 settembre dell'anno scorso interviene in collegamento durante un incontro con i senatori. Eloquenti le sue parole, a proposito della democrazia diretta nel mondo: «Chiedono delle domande nei Paesi dove hanno un dittatore. Allora oggi è paradossale che funzionino più le dittature che le democrazie».
Il peccato originale del Movimento. Francesco Maria Del Vigo il 21 Agosto 2021 su Il Giornale. Si chiamerebbe intelligenza con il nemico, se di intelligenza ce ne fosse traccia. Già in tempo di pace l'animo duplice del Movimento Cinque Stelle era un problema per la politica italiana. Si chiamerebbe intelligenza con il nemico, se di intelligenza ce ne fosse traccia. Già in tempo di pace l'animo duplice del Movimento Cinque Stelle - a tratti vagamente di governo, più spesso barricadero e violento - era un problema per la politica italiana, ora, in un momento così delicato per la geopolitica mondiale, è un vulnus per la democrazia. Ci spieghiamo meglio: l'apertura di Giuseppe Conte che ha definito quello dei talebani come un «regime distensivo» non si può declassare come una sparata o liquidare come una voce dal sen fuggita. È una dichiarazione assolutamente coerente con un movimento che sin dalla sua nascita ha sempre strizzato l'occhio ai regimi. Se per anni idolatri Chavez, benedici Maduro e dipingi l'Iran come il paradiso terrestre, poi diviene quasi naturale considerare «distensivo» chi taglia le gole, spara sui manifestanti e fa rastrellamenti porta a porta. Non è che andando con lo zoppo s'impara a zoppicare è che, dal punto di vista democratico, il movimento ha sempre avuto un evidente problema di deambulazione. Ora la fascinazione autoritaria si somma e si salda a un altro pericoloso flirt: quello con la Cina. Non è un mistero che tra i grillini e il Dragone ci sia una corsia preferenziale che durante il governo Conte ha preso forma con gli accordi della Via della Seta, ma che affonda le radici addirittura nel 2013. Ad allora risale il primo incontro tra Beppe Grillo (in quel caso partecipò anche Gianroberto Casaleggio) con l'ambasciatore cinese in Italia, l'ultimo è avvenuto a Roma appena due mesi fa. Una trama fitta di rapporti personali, politici e soprattutto economici, che si è sempre mossa in una zona di totale opacità. Non è neppure un mistero - e lo abbiamo scritto più volte in questi giorni -, che il Dragone da tempo abbia esteso le sue mire sull'Afghanistan e proprio ieri il ministro Luigi Di Maio ha telefonato al suo omologo cinese per complimentarsi per il ruolo cruciale di Pechino. E così il cerchio trova la sua quadratura. I grillini filo cinesi tendono la mano ai talebani ai quali la Cina tende ben più di una mano. Chi si stupisce non conosce l'essenza anti Occidentale dei grillini o, peggio ancora, è in malafede.
Francesco Maria Del Vigo. Francesco Maria Del Vigo è nato a La Spezia nel 1981, ha studiato a Parma e dal 2006 abita a Milano. E' vicedirettore del Giornale. In passato è stato responsabile del Giornale.it. Un libro su Grillo e uno sulla Lega di Matteo Salvini. Cura il blog Pensieri Spettinati.
Alessandro Sallusti contro Beppe Grillo: traditore dell'Occidente e infiltrato della peggiore dittatura. Libero Quotidiano il 17 giugno 2021. Beppe Grillo ha postato ieri sul suo sito un lungo articolo contro il segretario della Nato Stoltenberg e contro il premier Draghi che nel corso del G7 in corso in Cornovaglia hanno lanciato un appello all'Occidente a "difendere i nostri valori" dall'aggressione politica, culturale ed economica di Russia e Cina. Grillo, insomma, ci vorrebbe fuori dall'Alleanza atlantica e al fianco dei regimi comunisti che intendono spadroneggiare nel mondo. Affari suoi, come è affare suo tifare Iran nella contesa con Israele. Ma sarebbero affari suoi se non fosse che al momento sia il capo riconosciuto di uno dei principali partiti di governo che esprime, tra l'altro, il ministro degli Esteri, il sindaco di Roma e che in questi anni ha allungato le mani sui nostri servizi di sicurezza nazionale. Non sappiamo che cosa ne pensi a proposito l'europeista e atlantista Enrico Letta, non il reggente dei Cinque Stelle Giuseppe Conte fresco di patti di ferro con i leader dei paesi occidentali, ma sappiamo di che cosa siano capaci i politici pur di vincere una elezione per cui c'è il rischio reale di finire nelle mani di un traditore dell'Occidente, di un infiltrato delle peggio dittature. Io non mi fido della "moderazione" di Di Maio né di Conte. Non perché li ritenga pericolosi sovversivi ma perché le chiavi dei Cinque Stelle le ha ancora in mano il fondatore senza il cui assenso nessuno può fare nulla di veramente importante. Pensare a una Italia fuori dalla Nato, sganciata dall'America e isolata nel cuore dell'Europa al fianco di Cina, Russia ed Iran è cosa troppo grave e troppo seria per essere presa come scherzo di un vecchio pazzo magari anche un po' ubriacone. Conte, Di Maio e Letta devono dire a tal proposito una parola chiara e a questo punto definitiva sia sulle alleanze internazionali che su Beppe Grillo. Passi il reddito di cittadinanza e utopie simili ma tradire l'Occidente non potrà mai essere in agenda.
Domenico Di Sanzo per "il Giornale" il 16 giugno 2021. Beppe Grillo, i giallorossi e la variante cinese. Tornata di moda l'unità dell' Occidente in funzione anti-Cina, vedi G7 in Cornovaglia, a Roma le simpatie di parte del M5s per Pechino potrebbero diventare un' altra trappola sul cammino della coalizione con i democrat. Ascoltando le perplessità all' interno dei Cinque Stelle, la variabile impazzita della politica estera è sostanzialmente Grillo. Dopo la discussa visita di cortesia di venerdì scorso all' ambasciata cinese in Italia, il Garante non si smentisce e pubblica sul suo Blog un intervento filocinese a firma di Andrea Zhok, docente di filosofia all' Università di Milano, già collaboratore de L' Espresso e di Micromega. L'articolo è un contraltare alla rinnovata compattezza del blocco occidentale, uscita fuori dal G7 e dalla successiva riunione della Nato. «Una parata ideologica come non se ne vedevano dalla caduta del muro di Berlino», stronca i summit lo studioso sul Blog di Grillo. Il condimento del commento è tutto a base di antiamericanismo e terzomondismo. «Il messaggio veicolato dai leader occidentali, capitanati dal mite Biden - scrive Zhok - è che ci siamo noi», l'Occidente, e poi ci sono loro, gli altri, dalla cui aggressività ci dobbiamo difendere e che minacciano i nostri valori». Sotto accusa la frase «dobbiamo difendere i nostri valori», pronunciata anche dal premier Draghi. Il post pubblicato da Grillo è un rovescio della politica filo-atlantica intrapresa con decisione dal governo. Siamo di nuovo al grillismo strampalato di qualche tempo fa. Tra «servizi a salve sui diritti degli Uiguri, missili terra-aria sulle violazioni degli hacker russi, siluri sulle origini del virus nel laboratorio di Wuhan». Come se tutte e tre le questioni fossero trascurabili, notizie diffuse dalla propaganda occidentale. Zhok infilza: «Finché erano gli Usa ad estendere il proprio potere a colpi di accordi commerciali e flussi di capitale strategici, quella era l'apoteosi del libero commercio. Quando lo fa la Cina, questo è perfido imperialismo economico». Insomma, «ad averci reso le colonie e i protettorati che siamo non sono né i russi né i cinesi». L' atteggiamento del comico in politica estera indispettisce gli alleati, solidamente filo-atlantisti, del Pd. Ma ubriaca anche il M5s, avviato verso un complicato aggiornamento delle sue posizioni. «Quel post è una follia», taglia corto con Il Giornale una fonte pentastellata di governo. Moltissimi parlamentari del Movimento chiedono un intervento di Giuseppe Conte per chiarire la linea. La grana della Cina scoppia nei Cinque Stelle. «Grillo parla a titolo personale o per il M5s?» si chiede un parlamentare. Anche nel Pd invocano una sterzata chiarificatrice da parte di Conte. Il fattore cinese mette in crisi i rapporti tra i giallorossi, già divisi in quasi tutte le città al voto in autunno. Ma a sinistra ci si mette pure Massimo D' Alema. L' inossidabile ex premier elogia il comunismo in un'intervista all' emittente New China Tv, in occasione dei cento anni dalla fondazione del Partito comunista cinese. D' Alema sottolinea lo «straordinario salto verso la modernità e il progresso» compiuto dalla Cina, «il grande merito storico del Partito comunista cinese». L' intervista è stata rilanciata su Twitter da Hua Chunying, portavoce del ministro degli Esteri cinese. La stessa che durante la prima ondata di Covid in Italia aveva postato un video taroccato in cui si faceva credere che gli italiani fossero scesi in strada a Roma, suonando l'inno cinese per ringraziare degli aiuti ricevuti durante l'emergenza.
Domenico Di Sanzo per "il Giornale" il 16 giugno 2021. Luigi Di Maio, Alessandro Di Battista, il sottosegretario agli Esteri Manlio Di Stefano, e l’ultrà filocinese per eccellenza nel M5s, il senatore Vito Petrocelli. Ma soprattutto Beppe Grillo. O meglio, il suo Blog. Il rapporto tra i Cinque Stelle e la Cina ha attraversato diverse fasi. L' iniziale avversione per il Dragone, testimoniata ancora da vecchissimi post sulla vicenda della minoranza degli Uiguri e sulla questione del Tibet. Poi c' è stato l'appoggio monolitico alla causa del regime comunista di Xi Jinping. E adesso i grillini sono divisi anche sul supporto a Pechino. Molto più freddo da parte di Di Maio e dei suoi, intatto per Grillo e per l'ex stellato Di Battista. Ma dicevamo del Blog del fondatore. Ecco alcuni titoli di articoli dedicati alla Cina negli ultimi anni: «La Cina e il governo del cambiamento» (11 giugno 2018), «Coronavirus: la Cina ne uscirà più forte» (12 febbraio 2020), «Cina - Italia: un destino condiviso» (12 marzo 2020), «La Cina inaugura il ponte sul mare più lungo del mondo» (23 ottobre 2018), «In Cina sul mercato le prime auto senza guidatore» (26 marzo 2018). E sono solo alcuni degli innumerevoli post dedicati, soprattutto negli ultimi tre anni, a magnificare le magnifiche sorti e progressive del paradiso cinese. Un feeling culminato nei due faccia a faccia in due giorni di Beppe Grillo con l'ambasciatore cinese a Roma Li Junhua nel novembre del 2019, con tanto di pesto donato al diplomatico. Sul Blog di Grillo a fine marzo scorso compariva un articolo di Fabio Parenti, docente di Economia politica a Pechino. Nel commento si negava la persecuzione da parte del governo cinese ai danni della minoranza musulmana degli Uiguri nella regione dello Xinjiang. Per il collaboratore del Blog le accuse dell'Occidente farebbero parte di un complotto «per bloccare lo sviluppo della Cina e la sua rinnovata influenza internazionale». Ancora più ardite le tesi sostenute dal senatore Vito Petrocelli, vicepresidente Commissione Esteri a Palazzo Madama, che ha apposto la sua firma in un controverso rapporto sullo Xinjiang. Nel testo viene ridotta a «sensazionalismo» la violenza contro gli Uiguri, vittime di quelle che sono definite «presunte repressioni». Elogi e difese d' ufficio anche da Alessandro Di Battista. Gli ultimi complimenti ad aprile 2020, quando l'ex deputato scriveva sul Fatto Quotidiano che «la Cina vincerà la terza guerra mondiale senza sparare un colpo». E che l'Italia sarebbe stata dalla parte giusta in virtù «di un rapporto privilegiato con Pechino, merito di Di Maio». Il ministro degli Esteri in realtà si stava cominciando già ad allontanare dalle sirene cinesi e aveva costruito buone relazioni con l'ex segretario di Stato Usa Mike Pompeo. Di Maio però aveva firmato il memorandum della Via della Seta da ministro gialloverde. Un patto che vale 2,5 miliardi di euro, con un potenziale di 20 miliardi. Secondo un rapporto del Copasir del novembre dell'anno scorso, a fine 2019 erano 405 gli investimenti diretti di società cinesi in Italia, con un flusso di capitali pari a 4,9 miliardi nel 2018. Senza dimenticare il nodo del 5g. Ed ecco le parole del sottosegretario agli Esteri Manlio Di Stefano, che ad aprile 2020, intervistato dal giornale South China Morning Post, faceva professione di fede: «L' Italia è ancora orgogliosa di far parte dell'Ue, ma vogliamo essere il più vicino possibile alla Cina».
· I Raccomandati.
Francesco Bonazzi per “La Verità” il 19 giugno 2021. La battuta che già circola alla Farnesina è di quelle feroci, come solo tra ambasciatori: «A Luigino gli accenderà il computer». Già, perché Luigi Di Maio ha ingaggiato l'ex ministro per l'Innovazione, Paola Pisano, come «consulente per la digitalizzazione» nella sua segreteria particolare agli Affari esteri e alla cooperazione internazionale. L' incarico è di pochi giorni fa e conferma la tendenza del grillismo, un tempo fieramente anti casta, a non lasciare a casa nessuno, a patto che si dimostri fedele ai vertici del Movimento. E così, in questi giorni in cui tra Giuseppe Conte, Beppe Grillo, Di Maio, Alessandro Di Battista, Vito Crimi e compagnia litigante si discute animatamente di rimozione o conferma del tetto dei due mandati, ecco che Giggino dal cuore d' oro recupera la docente torinese rimasta a piedi, con la nascita del governissimo di Mario Draghi. Ma non è l'unica mossa solidale. Mentre Di Maio cerca di difendere il reddito di cittadinanza, sono state trovate due poltrone (di Movimento) anche per l'ex capo della segreteria tecnica del Mise, Daniel De Vito, e per l'ex sottosegretario alle Politiche europee, Laura Agea. Sostituita al ministero da un peso massimo come l'ex amministratore delegato di Vodafone, Vittorio Colao, dopo la caduta del governo Conte bis la Pisano è tornata in cattedra nella sua Torino e da metà aprile ha ripreso a fare lezione al dipartimento di Informatica, dove tiene il corso di «Innovazione sociale; comunicazione e nuove tecnologie». Finite le lezioni, ha accettato di tornare a Roma, caso abbastanza raro di ex ministro che fa il consulente di un ministro. Lavorerà fianco a fianco con Di Maio, come consulente per la digitalizzazione. Torinese, 44 anni, prima di fare il ministro è stata assessore all' Innovazione nella giunta guidata da Chiara Appendino, alla quale è legatissima e della quale è stata una sorta di ambasciatore a Roma in questi ultimi due anni. Adesso che è ricominciato il pressing nel Movimento per provare a convincere «Chiarabella» a ricandidarsi (lei non vuole perché condannata a un anno e mezzo per la notte di follia Chiampions di Piazza San Carlo, oltre ai sei mesi rimediati per falso ideologico in atto pubblico nel bilancio comunale del 2016), nel Movimento molti ricordano come in realtà fosse la Pisano il vero candidato dell'Appendino. Era l'idea di un anno fa che piaceva anche a Di Maio, pronto a portare Appendino a Roma come vice, al partito. Ma il problema della Pisano, paradossalmente, è di natura elettronica. Quando era assessore all' Innovazione di Torino, la Pisano fece alcune cose buone sull' informatizzazione degli uffici, una mossa assai discutibile come aprire le porte ai colossi cinesi Huawei e Zte (l'amore per Pechino la accomuna da sempre a Di Maio e Grillo), ma soprattutto scivolò sulla carta d' identità elettronica. Per fare un parallelo, nella vicina Valle d' Aosta la carta d' identità arriva in venti giorni, ma a Torino può impiegare anche sei mesi e mezzo. Le polemiche e le prese in giro sono state talmente tante che gli stessi vertici M5s, sondaggi alla mano, hanno capito che la Pisano pagherebbe quel flop se osasse candidarsi come sindaco del capoluogo piemontese. Ora, alla Farnesina, i diplomatici sperano che la nuova consulente del Signor Ministro non metta mano a tornelli e badge perché potrebbe fare più danni di un hacker russo o cinese. Ma Giggino cuore d' oro non si è dimenticato neppure di Daniel De Vito, capo segreteria tecnica del ministro allo Sviluppo economico, prima con lui e poi con il successore Stefano Patuanelli (ora passato alle Politiche agricole). E così De Vito, avellinese, 35 anni, laurea in legge, nelle scorse settimane è stato assunto nella fondazione Enea tech come «responsabile coordinamento direzione generale». Due settimane fa, però, il governo ha trasformato questo ente privato del Mise, che doveva gestore 500 milioni per il trasferimento tecnologico, in una struttura mirata ai nuovi farmaci e alla ricerca biomedica, vista l'esperienza del Covid-19. Estate senza pensieri anche per un'altra esponente grillina restata a casa con la caduta del secondo governo Conte. L'ex impiegata umbra Laura Agea, 42 anni, originaria di Città di Castello, è stata scelta come consigliere personale dalla compagna di partito Laura Castelli, viceministro per l'Economia e le finanze. Agea è stata eurodeputato dal 2014 al 2019 e poi sottosegretario alla Politiche comunitarie nel precedente governo. Nel dicembre scorso, quando il Movimento 5 stelle dovette scegliere chi mandare a discutere del Recovery plan con gli allora ministri Gualteri e Amendola, furono ingaggiati Patuanelli, Castelli e Agea. Insomma, essendo esperta di Ue e fondi comunitari, per l'amica Castelli l'Agea si occuperà di Terzo settore. Che essendo una via di mezzo tra Stato e privati, è perfetto per questa sorta di welfare dei grillini trombati, ovviamente sempre a spese dei contribuenti.
Roma e la parabola dei 5S: dalla lotta alla casta al posto ai parenti. Stefano Costantini su La Repubblica il 20 aprile 2021. L'ultimo inciampo, l'assessora (grillina) alla Cultura assume il marito come capostaff. Ma le tracce della loro relazione erano state cancellate dai social. Salvo poi riapparire. Lo ammettiamo subito. Sull'affaire Fruci abbiamo sbagliato. Quello che l'assessora stava per assumere a 90 mila euro l'anno non era un amico come abbiamo scritto ieri, ma il marito.
Da "fuori i partiti dalla Rai" alle nomine a raffica. La doppia morale grillina: ennesimo scatto di carriera per Mazzola, ex candidata 5 Stelle al Cda Rai. Carmine Di Niro su Il Riformista il 26 Marzo 2021. Una carriera a dir poco folgorante in quota Movimento 5 Stelle, lo stesso movimento che voleva aprire il Parlamento “come una scatoletta di tonno” e gridava “fuori i partiti dalla Rai”. Ma col tempo si cambia e i grillini si sono subito adeguati allo spoil system all’italiana. Così arriva la nuova nomina e l’ennesima promozione in Rai per Claudia Mazzola: come ricorda il segretario della Vigilanza Rai Michele Anzaldi, in 3 anni l’ex giornalista del Tg1 “è riuscita nel prodigio di effettuare un quadruplo scatto di carriera, un vero record che non ha eguali neanche nella Rai iperpoliticizzata”. Se nel 2018 il Movimento 5 Stelle voleva nominarla nel Cda Rai, tanto da sottoporla ad una votazione su Rousseau, la Mazzola ha comunque fatto una carriera di tutto rispetto: “da quando il Movimento 5 stelle amministra la Rai con Salini, nominato dal governo gialloverde, Mazzola è stata prima promossa da redattore ordinario a caposervizio, poi è diventata vice caporedattore, poi caporedattore per essere nominata a capo dell’ufficio stampa (nel governo Conte I, ndr) e ora addirittura direttore dell’Ufficio Studi, quando in Rai ci sono già decine di direttori senza incarico”, ricorda ancora Anzaldi. L’ennesima promozione in Rai di Claudia Mazzola rappresenta il trionfo della lottizzazione politica targata M5s. Mentre il Governo Draghi cerca di salvare gli italiani dalla pandemia e l’economia del paese, M5s lottizza barbaramente fino all’ultimo secondo. Una carriera folgorante e una nomina che arriva con un timing quantomeno sospetto: tra poche settimane infatti andrà a scadenza l’amministratore delegato Rai Fabrizio Salini. Per il segretario della Vigilanza Rai la nomina di Mazzola, da 20 anni giornalista Rai al posto di Andrea Montanari, passato a fare il direttore di Rai Radio 3, è uno “scandalo senza precedenti” col Movimento 5 Stelle che “lottizza barbaramente fino all’ultimo secondo”. Il deputato renziano ricorda anche come la Mazzola ha in realtà una doppia poltrona grazie ai grillini, con la nomina a presidente dell’Auditorium di Roma decisa dalla giunta di Virginia Raggi.
Massimo Gramellini per il "Corriere della Sera" il 26 gennaio 2021. La sindaca di Roma ha nominato assessora alla Cultura una sua compagna di liceo. Solo un osservatore particolarmente prevenuto vi troverebbe qualcosa da ridire. Darei per scontato che in un incarico così decisivo (la cultura, per Roma, è come la finanza per Milano o le nocciole per Alba) Virginia Raggi abbia preteso il meglio e valutato fior di candidati, salvo concludere che la persona giusta sorrideva già nella foto di classe della sua adolescenza. E non era una compagna qualsiasi - di quelle che, se le incroci per strada vent'anni dopo, cambi marciapiede - ma una sua cara amica. Quando si dice la fortuna. Né deve scandalizzare che la nuova assessora alla Cultura di Roma, Lorenza Fruci, non sia un'esperta di storia antica o di arte rinascimentale ma di «burlesque», e abbia scritto una biografia della celebre pin-up americana Betty Page. Se l'avesse fatta su Messalina sarebbe stato meglio, ma ha comunque scritto un libro, forse lo ha addirittura letto, e questo basta e avanza per farla svettare nel paesaggio culturale, denso di avvallamenti, della politica italiana. Nessuna obiezione, dunque. Soltanto un dubbio: se il sindaco di qualunque altro partito avesse affidato i musei e i monumenti di Roma a un compagno di scuola competente in spogliarelli vintage, i sodali della Raggi sarebbero stati altrettanto tolleranti, riconoscendogli la buona fede, o avrebbero strillato allo scandalo e alluso a cricche e a scelte familiste per privilegiare gli amici degli amici?
Fulvio Fiano per il "Corriere della Sera - Edizione Roma" il 26 gennaio 2021. «La passione è il mordente della sua vita e non l'abbandonerà mai». Non è chiaro se nella frase che compare sulla homepage del suo sito personale la neo assessora alla Cultura del comune di Roma, Lorenza Fruci, parli di sé in terza persona o riporti una definizione che spererebbe sentirsi regalare. Oltre alla passione, anche l'amicizia con Virginia Raggi non l'ha mai lasciata negli anni. Per la sua nomina a gestire i mille monumenti e i teatri in crisi della Capitale manca ancora l'ufficializzazione, ma la scelta continua a far sollevare più di un sopracciglio anche nel M5S. Sindaca e neo assessora erano compagne al liceo scientifico Newton (1992-1997) e secondo i critici sarebbe questo il merito principale della 43enne, in un momento in cui la prima cittadina, per puntare alla rielezione, sembra circondarsi di fedelissimi. Via dunque il vicesindaco con delega alla cultura, Luca Bergamo, che aveva criticato la sua ricandidatura, dentro l'amica di classe. È il 17esimo cambio di assessore, oltre a due vicesindaci, il capo di gabinetto (Raffaele Marra) e più volte i vertici di Ama, Atac, Acea. Sempre sul suo sito, Fruci si qualifica come comunicatrice e progettista culturale in un curriculum carico di definizioni ad effetto ma - nel settore di cui si occuperà - non altrettanta sostanza. Tag di pensiero: Cultura-empowerment-ironia. Laureata in scienze delle Comunicazione alla Sapienza, un master in «Filmare l'arte», un corso di perfezionamento in «Forme di governo e logiche decisionali femminili nella storia del presente». Poi elenca una serie di docenze, collaborazioni e laboratori sullo «storytelling», il «mentoring», la «comunicazione culturale». Una «talk» (chiacchierata) con Federico Buffa a Viterbo, un «paper» (testo?) su «Martina Dell'Ombra ci è o ci fa?», la moderazione di alcuni «panel», la docenza su Arabesque e Burlesque come credito formativo per i giornalisti dell'ordine di Alessandria. Dal precedente incarico porta analoghe polemiche e dubbi, sia sulla scelta (di Raggi) che sulle competenze. Dal 2019 a oggi aveva la delega alle Pari Opportunità (27.576 euro lordi annui) con un contratto part time e compiti di «indirizzo e controllo politico in ordine alle progettualità afferenti lo sviluppo delle politiche di genere per la promozione dei relativi diritti, per l'accoglienza e il sostegno alle donne». Uniche tracce al quel momento di suoi interventi sul tema erano i due libri «Burlesque. Uno spettacolo chiamato seduzione» e «Betty Page. La vita segreta della regina delle pin-up», oltre al corto «Burlesque. Storia di donne». Alla cultura Fruci ricoprirà il ruolo che è stato di Gianni Borgna, Umberto Croppi, Flavia Barca e Renato Nicolini. Già nelle feste natalizie aveva partecipato all'organizzazione dell'iniziativa del Campidoglio «Facciamo finta che... tutto va ben».